PAARRO OLLAA DDII DDIIO MESE DI FEBBRAIO 2000 · 3 Gesù prende per mano la nostra umanità, la sua...

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Riflessioni quotidiane sulla PAROLA DI DIO MESE DI FEBBRAIO 2000

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Riflessioni

quotidiane

sulla

PPAARROOLLAA DDII DDIIOO

MESE DI FEBBRAIO 2000

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FEBBRAIO 2000

MARTEDI’ 1

Santa Verdiana; Sant’Orso; San Severo di Ravenna

Parola di Dio: 2Sam. 18,9-10.14.24-25.30; Sal.85; Mc.5,21-43

“UNA DONNA AFFETTA DA EMORRAGIA GLI TOCCO‟

IL MANTELLO E ALL‟ISTANTE LE SI FERMO‟ IL

FLUSSO DI SANGUE”. (Mc. 5,25-29)

In tutti e quattro i Vangeli, ma specialmente in Marco, troviamo

il termine „toccare‟ riferito a Gesù. Egli tocca il lebbroso,

prende per mano la suocera di Pietro per guarirla e poi lo stesso

Pietro per tirarlo su dall‟acqua mentre sta per annegare, prende

per mano la figlia di Giairo per farla risorgere… e poi c‟è anche

gente come l‟emorroissa che vuol toccare Gesù e che lo fa di

nascosto per la sua condizione di „impura‟ davanti alla Legge e

che per questo gesto, che può sembrare anche un po‟

superstizioso, riesce a „rubare‟ un miracolo a Gesù.

Gesù è venuto „per toccare la nostra umanità‟. Il suo non è il

giro turistico del ministro che passa nelle corsie dell‟ospedale

per farsi vedere popolare, che scambia sorrisi e magari anche

qualche stretta di mano ben sapendo che mezz‟ora dopo, lavata

e rilavata la mano, ha qualche incontro politico ben più

importante. Gesù si è incarnato nella nostra realtà, conosce gli

odori delle nostre case e delle nostre stalle, il sudore dei

contadini e degli operai, l‟odore delle barche, la polvere dei

pellegrini, la fatica del pane quotidiano. Ha toccato con mano le

nostre „ricchezze‟ e conosce le povertà, si siede alla mensa dei

ricchi e spezza il suo pane con i poveri, conosce la ruvidezza

del legno non solo perché ha fatto il falegname ma anche

perché lo ha sperimentato con il legno della croce.

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Gesù prende per mano la nostra umanità, la sua mano solleva,

accompagna, guarisce, salva; diventa allora il gesto più

semplice della fede quello di volerlo toccare. Noi abbiamo

bisogno di toccare e di essere toccati. La fede ha bisogno di

segni e soprattutto il cuore ha bisogno di lasciarsi toccare per

poter liberare il meglio dei suoi sentimenti.

E Gesù continua ad offrirci, al di là di ogni superstizione e

magia, la possibilità di toccarlo.

La sua parola è la mano tesa che ci rinnova, incoraggia, guida; i

suoi

Sacramenti sono i segni che accompagnano il cammino della

fede: il Battesimo ci riveste di Lui, la Cresima ci dà il tocco del

suo Spirito, la sua Eucarestia è il pane concreto per il cammino

quotidiano, il Perdono è la sua mano che ci rialza e ci guarisce,

il Matrimonio e l‟Ordine sono la sua presenza nelle scelte

fondamentali della vita e l‟Unzione degli infermi è la sua

compartecipazione al mistero del dolore, della morte, per

donare speranza qui e per la vita eterna.

Lui ci tocca, noi possiamo toccarlo, ma ci vuole fede. Gesù lo

dice chiaro a quella donna: “Tu mi hai toccato, mi hai rubato un

miracolo col tuo gesto, ma io questo miracolo te lo ridono

perché è la tua fede che ti ha guarita”.

MERCOLEDI’ 2

Presentazione del Signore

Santa Caterina de’ Ricci

Parola di Dio: Ml. 3,1-4; Sal. 23; Eb. 2,14-18; Lc. 2,22-40

In San Pietro: Giubileo della vita consacrata.

“SI E‟ RESO IN TUTTO SIMILE AI FRATELLI PER

DIVENTARE UN SOMMO SACERDOTE

MISERICORDIOSO E FEDELE”. (Eb. 2,17)

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Quando ero ragazzino, nel seminario minore, aspettavo con

ansia e con gioia che qualche missionario, rientrato in Italia

magari per un momento di riposo o molto più spesso per cure

mediche, venisse a predicare a noi seminaristi.

Mi piaceva e ci piaceva perché di solito questi uomini ,

innamorati di Dio, ma anche dell‟uomo erano molto concreti e

vedendo noi ragazzi costretti da un‟educazione che teneva più

conto del “Regolamento” che di noi, anche attraverso il

racconto delle loro avventure, aprivano gli orizzonti della nostra

fantasia. Ma li aspettavamo anche perché sentivi che parlavano

del Madagascar, del Tanganica, del Congo, non come di

qualcosa lontano, ma come della loro vera patria, e parlavano

degli indigeni non come di trogloditi o di incapaci, ma come di

persone amate. Vedevi nelle parole, che quasi avevano

dimenticato il corretto uso della grammatica italiana, il volto del

lebbroso, non una foto anche scioccante dei giornali, ma un

volto e un nome su cui il missionario si era chinato.

Se non si condivide l‟angoscia del povero, la miseria

dell‟umiliato, non si può pretendere di aiutarli veramente. Come

sono freddi certi uffici missionari, o certi ricchi vescovadi,

anche in terra di missione, dove si stabiliscono strategie

missionarie che altri dovranno eseguire, o dove si divide la torta

degli aiuti quasi pensando che solo l‟economia possa risolvere

ogni problema di povertà e di giustizia sulla terra. Senza

solidarietà effettiva, ogni sforzo è compromesso in partenza.

La festa che celebriamo oggi, la presentazione di Gesù al

Tempio, ci ricorda la strada che Gesù ha scelto per redimerci.

Non si è accontentato di darci qualche ricetta di morale

spicciola. Non è venuto per istruirci in teologie complicate… si

è fatto uno di noi, in tutto simile a noi. Quanto è bello vedere

quella santa famiglia in fila con gli altri che rioffrono i figli a

chi glieli ha donati, vedere Maria nel gesto dell‟offerta, vedere

Giuseppe che forse con senso di vergogna va a comprare il

riscatto dei poveri, una coppia di colombi (due colombi per

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avere restituito il Figlio di Dio!) e vedere Gesù, il Re del mondo

fatto bambino passare nelle braccia di due vecchi che da Lui

sembrano ringiovaniti, che lodano Dio ma annunciano per Lui e

per Maria anche una incarnazione di dolore e di sofferenza.

Si è fatto in tutto simile a noi. Capisce le gioie ed anche le

sofferenze. E capisce anche il peccato, non perché lo abbia

sperimentato, ma perché si è fatto peccato per liberarci dal

peccato. Lui e Lui solo può capirmi fino in fondo!

GIOVEDI’ 3

San Biagio; Sant’Ansgario (Oscar)

Parola di Dio: 1Re 2,1-4.10-12; Cantico da 1Cr. 29,10-12;

Mc. 6,7-13

“E ORDINO‟ LORO CHE NON PRENDESSERO NULLA

PER IL VIAGGIO”.(Mc. 6,8)

E‟ la prima volta, nel Vangelo di Marco, che gli apostoli

vengono lasciati soli, anzi, proprio mandati, e se già ci eravamo

stupiti per la scelta dei dodici fatta non tra i più sapienti, i più

intelligenti, ci può stupire ancora di più l‟equipaggiamento di

questi missionari: non hanno niente, non devono portare niente!

Sono davvero „truppe leggere‟ questo primo drappello di

inviati. Portano niente di proprio per far risaltare unicamente

l‟opera di Dio e per essere sempre leggeri e pronti a ripartire.

L‟insegnamento è grande anche per la Chiesa di oggi e per

ciascuno di noi che, proprio perché cristiano, dovrebbe sentire

l‟anelito della missione, cioè la gioia di annunciare agli altri la

liberazione di Gesù.

Un segno del Giubileo che stiamo vivendo non dovrebbe essere

quello di riscoprire la semplicità dei mezzi che ci evitano di

cadere in ogni forma di trionfalismo?

Faccio qualche esempio, sia grande riguardante le istituzioni

della Chiesa, sia più modesto riguardante noi.

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La Chiesa spesso giustifica uno smodato uso di mezzi terreni

col pretesto dell‟utilità e dell‟efficacia di questi stessi mezzi, ad

esempio: l‟oratorio sarebbe un buon mezzo per offrire ai

giovani delle alternative nella loro crescita. Costruiamo dunque

un oratorio, spendiamo due miliardi tra l‟acquisto del terreno, la

costruzione, l‟attrezzatura, e poi.. l‟oratorio viene aperto solo in

certe ore e in certi giorni perché non ci sono preti e i laici

impegnati sono già talmente impegnati! E poi… ci vengono

così pochi giovani e quelli che vengono sono interessati al

biliardino o ai videogiochi, e poi… dobbiamo chiudere perchè

anche lì circolano certe pasticche!

I cristiani lottano per la scuola cattolica. Giusto che in questa

società ci sia un pluralismo di offerte culturali! Ma quanti

edifici di scuole cattoliche in cui sono stati profusi miliardi sono

quasi vuoti o dimessi ad altri usi, e quanti di quelli che hanno

frequentato la scuola cattolica oggi frequentano la Chiesa?

E‟ vero, anche santi come don Bosco o il Cottolengo hanno

maneggiato fior di soldoni, ma di certo non hanno fondato le

loro opere su di essi. Dio si manifesta quando l‟uomo si fida di

Lui e non dei soldi o di se stesso.

Quando io voglio essere missionario e voglio convertire a tutti i

costi e gioco tutto sulle mie capacità intellettive, di simpatia, di

chiacchiera o sulla attrattiva delle cose, farò un servizio a me

stesso o ad un certo tipo di Chiesa, ma non di certo al Vangelo e

a Gesù.

Non è il caso di diventare dei pauperisti. Le cose servono

(alcune), ma il mondo non sarà più cristiano solo perché

avremmo attirato alcuni giovani scimmiottando i mezzi del

mondo o solo perché avremmo ricominciato a costruire

cattedrali a base di miliardi. Forse il mondo sarà un po‟ più

cristiano se mi vedrà cristiano di Cristo.

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VENERDI’ 4

San Gilberto; Sant’Andrea Corsini

Parola di Dio: Sir. 47,2-11; Sal. 17; Mc. 6,14-29

“VOGLIO CHE TU MI DIA, SUBITO, SU UN VASSOIO,

LA TESTA DI GIOVANNI IL BATTISTA”. (Mc. 6,25)

Lo sappiamo tutti che la sorte dei profeti non è mai una vita

tranquilla. Sappiamo anche che in questo sono figura

dell‟unico, grande profeta che è Gesù e anticipano quanto

capiterà a Lui, però mi ha sempre fatto pensare la figura di

Giovanni il Battista, “il più grande tra i nati di donna” come lo

definisce Gesù, che ci lascia la testa per la gelosia di una donna.

Sia pure andata come la racconta Marco, rifacendosi ad una

tradizione popolare, o come la racconta Giuseppe Flavio che nel

suo libro „Antichità Giudaiche‟ vede l‟uccisione di Giovanni

dettata da ragioni politiche, fatto sta che Giovanni per la verità

annunciata viene martirizzato.

Ma questa conclusione tragica di martirio sta già anche nella

sua vita. Egli è sicuro di aver parlato a nome di Dio ed ha

annunciato un Messia potente, giudice terribile, che “ha in

mano il ventilabro per mondare la sua aia”, ed è arrivato Gesù a

farsi battezzare da lui, in fila con altri peccatori. Giovanni è

stato disposto a “diminuire affinchè Lui cresca”, si è spogliato

perfino dei suoi discepoli per mandarli dietro a Gesù, ma Gesù

non sembra aver fretta di farsi conoscere e anche quando fa

qualche miracolo impone il segreto messianico. Penso che

Giovanni, nella solitudine della sua prigione, sapendo che era

solo questione di tempo prima di venire giustiziato, si sia

chiesto se per caso non avesse sbagliato tutto, e soprattutto avrà

sperimentato fino in fondo quanto terribile fosse il silenzio di

Dio. Continuare ad aver fede in quei momenti è altrettanto

eroico, se non di più, che allungare la testa davanti alla spada.

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Servire Dio non è facile. Cercare di essere fedeli alla propria

vocazione e alla missione a cui Lui vuole mandarci è eroico,

anche perché non sempre sei sicuro. E‟ vero, noi abbiamo Gesù,

chi vede Lui vede il Padre, ma le scelte concrete non sempre

sono così evidenti quando devi scegliere tra due beni, ad

esempio, tra verità e giustizia, tra perdonare e non creare

presupposti di danno per altri, tra obbedienza e ricerca di

verità… E Dio sembra tacere, e la tua coscienza sembra non

darti aiuto, ma solo far nascere nuovi interrogativi.

Come risolve Gesù? E‟ il momento della croce che apre un

barlume. E‟ là sopra il luogo dove Gesù grida quasi

contemporaneamente due cose che sembrano opposte: “Dio

mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” e “Nelle tue mani

affido il mio spirito”. Anche per Lui la grande prova sta nel

sentirsi solo, abbandonato, moribondo e fidarsi di Dio.

Dio aiuti tutti coloro che vivono oggi questo martirio a fidarsi

di Lui.

SABATO 5

Sant’Agata

Parola di Dio: 1Re 3,4-13; Sal. 118; Mc. 6,30-34

“VENITE IN DISPARTE, IN UN LUOGO SOLITARIO, E

RIPOSATEVI UN PO‟ “. (Mc. 6,31)

I discepoli sono tornati dalla missione: hanno tante cose da

raccontare.

Quando ero chierico al seminario di Rivoli, il sabato e la

domenica ci lasciavano andare nelle parrocchie a fare un po‟ di

esperienza: chi agiva in oratorio, chi con la San Vincenzo, chi

animava la liturgia. Alla domenica sera si tornava stanchi, ma

con tante cose da raccontare, con desideri e propositi per

migliorare la testimonianza, con nel cuore la sofferenza di

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qualche malato, la gioia di qualche bambino… e si passavano

ore a parlarne tra noi.

Gli apostoli sono meravigliati di quanto è successo proprio a

loro, poveri pescatori di pesci che si scoprono capaci di pescare

uomini. Mi è facile immaginare quel gruppo che

entusiasticamente parla. Le voci si sovrappongono: “Io ho

fatto…”, “Io ho detto…”,”Quella persona si è aperta con

me…”, “Ho visto quel malato sorridere…”,” Tanta gente ha

accolto la parola di Gesù”… E Gesù, che sembra commosso

dall‟entusiasmo di questi neofiti missionari, dice loro: “Venite

in disparte e riposatevi un po‟”.

Gesù è attento alle necessità umane dei suoi (ricordate, ad

esempio, quando fa risorgere la figlia di Giairo, appena la

rimette tra le braccia dei genitori dice loro: “Datele da

mangiare”).

Gesù aveva detto: “Ogni operaio ha diritto alla propria

mercede” e qui sembra dire: “Dopo il lavoro ci vuole il giusto

riposo”.

Ma Gesù non avrà anche voluto dire un‟altra cosa? Davanti a

questi facili entusiasmi che facilmente possono portare gli

apostoli a sentirsi protagonisti indispensabili della missione,

Gesù non avrà voluto anche ridimensionarli un po‟? Gesù,

invitandoli a ritirarsi in disparte, forse vuol far capire a loro e a

noi di non lasciarci prendere dai troppo facili trionfalismi.

Anche la Chiesa di oggi spesso soffre di questa malattia. Si

contano i partecipanti alle manifestazioni religiose quasi come i

gestori dei programmi televisivi contano l‟indice di „audience‟;

si pensa di essere unici e indispensabili perché quel gruppo

funzioni; il giusto zelo religioso rischia di renderci cristiani

affannati, stressati, troppo „impegnati‟ e questo moltiplica

strutture, burocrazie e alla fine si dimentica il perché della

missione.

“Venite a riposarvi” non sarà, allora, anche: “Venite a fare il

pieno di Me”?

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Sì, perché se non hai Lui nel cuore, che cosa puoi dare agli

altri?

DOMENICA 6

V^ DOMENICA DEL TEMPO DELL’ANNO (B)

Santi Paolo Miki e compagni;

Santa Dorotea; San Gastone

Parola di Dio: Gb. 7,1-4.6-7; Sal. 146;

1Cor. 9,16-19.22-23; Mc. 1,29-39

RIFLESSIONE

San Paolo, nella seconda lettura di oggi, ricordando che il suo è

un annuncio, gioioso, libero, gratuito del Vangelo, dice che

proprio per questo amore, “Pur essendo libero da tutti, mi sono

fatto servo di tutti, mi sono fatto debole con i deboli, mi sono

fatto tutto a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno”. Paolo ha

capito che il Vangelo non è l‟annuncio di qualche teoria, di

qualche morale, di una legge, è l‟annuncio di un Dio incarnato

nel reale della vita di ciascuno e solo partendo di lì si può fare

esperienza di Lui.

Noi, nella nostra vita piena di mistero e di interrogativi, spesso

cerchiamo risposte e vorremmo che queste fossero sempre

chiare ed esaustive, quasi che se un giorno, ad esempio, ci fosse

spiegato per filo e per segno il senso del dolore, noi non

dovessimo soffrire più. Invece, man mano che gli anni passano,

ci accorgiamo sempre più di vivere nel mistero, come Giobbe.

Giobbe, colpito da disastri economici, familiari, di salute si

chiede angosciosamente il perché della sua sofferenza. Alcuni

amici lo vanno a trovare e gli dicono che se soffre vuol dire che

ha peccato contro Dio. Ma egli non ricorda di aver peccato:

soffre da innocente. Un altro amico gli dice che Dio permette il

male non solo per punire, ma anche per purificare e preservare

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dal peccato. Ma, anche questo non lenisce o consola totalmente

il suo dolore.

Il problema del dolore rimane, fa male.

Ci sono momenti particolari della nostra vita in cui questo

problema sembra sovrastarci perché entra a più riprese,

devastante nella nostra vita e in quella delle nostre famiglie,

nella nostra storia. Per prendere un esempio universale che

superi i nostri dolori personali, penso abbiate ancora tutti

presente una settimana del mese di novembre dello scorso anno:

arrivavano notizie di guerra e di morte dalla Cecenia, un aereo

con più di 280 persone a bordo si inabissa: tutti morti; il

terremoto si abbatte ancora una volta sui già pochi e malandati

superstiti della Turchia; a Foggia una casa si accartoccia

addosso alle persone che dormono e sono lutti per tante

famiglie, e muoiono bambini innocenti, un altro aereo

dell‟O.N.U con delle persone che hanno dato il loro tempo per

un servizio di volontariato cade: tutti morti… Perché? Ma che

cos‟è la nostra vita? Come si può accostare l‟idea di un Dio

buono e Padre con queste carneficine?

Giobbe non ne può più: “Mi sono toccati mesi di illusione e

notti di dolore mi sono state assegnate. Si allungano le ombre e

sono stanco di rigirarmi fino all‟alba… E‟ un soffio la mia vita:

il mio occhio non rivedrà più il bene”, e poi rappresenta la

propria vita come una spola del tessitore che si srotola. Ma,

attenzione, nel linguaggio ebraico c‟è un particolare, in questo

paragone, che diventa determinante: il termine tikva significa

filo. Ma vuol anche dire speranza.

La vita cessa quando si spezza il filo, quando non c‟è più filo.

Ma, anche la vita si interrompe allorchè vien meno la speranza.

Giobbe stesso, nonostante tutto concorra a portarlo alla

disperazione, sembra afferrarsi a questo filo-speranza quando si

lascia sfuggire: “Ricordati che è un soffio la mia vita”.

Tutto è niente. Lui si sente già morto, eppure si rivolge a Dio

con uno struggente: “Ricordati”. Evidentemente è rimasto

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ancora un filo di speranza. E questo può portare lontano… E

Giobbe rispondeva così, ma non aveva Gesù, perché Gesù è la

Parola che Dio ci dà come risposta al dolore e al peccato; non

una risposta teorica, non una serie di norme per spiegarsi tutto

per filo e per segno e neppure una serie di riti per evitare la

sofferenza, ma un Dio-uomo che viene per vivere in tutto la

nostra storia e la nostra esperienza, un Dio che ha provato tutto

e che ha sofferto tutto; è colui che ha dato un volto al dolore, è

la mano tesa che solidarizzando con l‟uomo lo rialza dal dolore

e lo spinge al servizio come è successo alla suocera di Pietro di

cui si parla nella pagina odierna del Vangelo.

Aveva ragione Simone Weil, un‟ebrea vissuta ai margini della

fede e della Chiesa cattolica, di affermare: “La grandezza del

Cristianesimo viene dal fatto che esso non crea un rimedio

soprannaturale contro la sofferenza, bensì un impiego

soprannaturale della sofferenza”.

Don Carlo Gnocchi fu quel prete che, dopo essere stato

cappellano degli Alpini nella campagna di Russia (Alpini che

furono decimati dalle armi russe e dal freddo della steppa)

decise di dedicare la sua vita ai figli dei caduti e ai piccoli

mutilati: voleva non solo recuperarli fisicamente, ma anche dare

un senso e uno scopo alle loro sofferenze. Ecco come andarono

le cose.

Un giorno don Gnocchi si trovò accanto al letto di Marco, un

povero ragazzo che, per lo scoppio di una bomba, aveva dovuto

subire l‟amputazione delle gambe. Gli chiese: “Dimmi, Marco,

quando i medici ti strappano le bende, ti frugano le ferite, ti

fanno piangere, a chi pensi?”.

“A nessuno!”, egli rispose.

“Ma tu non credi che ci sia Qualcuno al quale potresti offrire il

tuo dolore, per amore del quale tu potresti reprimere i lamenti e

inghiottire le lacrime, e che potrebbe aiutarti a sentire meno il

tuo dolore?”.

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Marco fissa nel vuoto il suo viso devastato, guardando con

l‟unico occhio stranito, risponde: “Non capisco…”

Alla vista di quello stupore, don Gnocchi ha un‟intuizione:

perché non raccogliere tutti i ragazzi mutilati che soffrono e

insegnare loro a dare al proprio dolore un volto, un indirizzo di

amore? Così è nata l‟opera di don Gnocchi che ha cercato di

dare un volto ed un indirizzo alla sofferenza soprattutto degli

innocenti.

Il credente non ama il dolore, non cerca il dolore, grida nel

dolore, non conosce tutto il senso del dolore, ma dà un volto al

dolore.

Scriveva Henry Perreyre, un grande scrittore di ascetica del

secolo scorso: “ Se piangi, piangi con Gesù, perché pianse Egli

pure. Se ti lamenti, sia con Gesù, perché Egli pure si è

lamentato. Se invochi il termine delle tue angosce, fallo con

Gesù, poiché Egli pure lo invocò, ma domandalo come Egli lo

domandò, dicendo: “O Padre mio, se è possibile passi da me

questo calice; però che si faccia non come voglio io, ma come

vuoi Tu”.

Unisciti a Cristo, non correre il rischio di perdere quella parte

così preziosa della vita che è il dolore. Fidati come Lui si è

fidato, ma fatti anche prendere per mano da Gesù come è

successo alla suocera di Pietro e come succederà a Pietro stesso,

quando starà per affogare nelle acque del lago. Quella mano

farà sì che il tuo dolore non diventi il centro del mondo, il

problema inspiegabile, il peso che uno cerca di riversare sugli

altri perché è insopportabile portarlo da soli, ma diventi invece

servizio a Cristo e al mondo.

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LUNEDI 7

San Teodoro

Parola di Dio: 1Re 8,1-7.9-13; Sal. 131; Mc. 6,53-56

“E DOVUNQUE GIUNGEVA, IN VILLAGGI O CITTA‟ O

CAMPAGNE, PONEVANO GLI INFERMI NELLE PIAZZE

E LO PREGAVANO DI POTERGLI TOCCARE ALMENO

LA FRANGIA DEL MANTELLO; E QUANTI LO

TOCCAVANO, GUARIVANO.” (Mc 6,56)

Marco, in uno dei suoi riassunti, senza cercare né spiegazione

né collegando direttamente le guarigioni con le parole

dell‟annuncio della Buona Novella, ci parla dell‟azione

taumaturgica di Gesù.

A che cosa servono i miracoli? Gesù era un guaritore? I

miracoli confermano la divinità di Gesù? Perché Gesù non ha

guarito tutti i malati? Quanti interrogativi tipici della nostra

mentalità razionalistica occidentale!

Nel mondo antico il male, in qualunque modo si manifesti, si

oppone al bene, cioè a Dio. Il male, poi, dà all‟uomo la giusta

dimensione, cioè lo aiuta a pensarsi non autosufficiente, ma

debole, finito, bisognoso di aiuto.

Dio non ama il male, né il peccato, né le sue conseguenze, anzi

aiuta l‟uomo a combatterlo. Gesù è la risposta più grande di Dio

alla lotta contro il male. E Gesù raccoglie tutto il male del

mondo per inchiodarlo sul legno della croce, per morire di lui e

con lui, per trasformare peccato, male, sofferenza, morte in

risurrezione e vita eterna. Dicendo questo so di aver detto

molto, ma so anche di aver balbettato su un mistero enorme nel

quale tutti noi siamo inseriti.

Gesù, in questo brano di Marco, non parla, agisce, guarisce.

Non fa distinzioni su qualità di fede più o meno superstiziosa,

su malati meritevoli o meno di guarigione. Gesù „si lascia

toccare‟ e guarisce. E‟ l‟aspetto più concreto, più consolante

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della Buona Novella. Che poi questo sia la realizzazione delle

profezie, la conferma della divinità di Gesù, è tutto vero, ma

intanto le guarigioni sono segno concreto che l‟impero del male

non è invincibile, che basta una frangia del mantello di Gesù o

la sua ombra per cacciarlo.

Non chiedetemi perché Gesù, oggi, non operi o non possa

operare questo o quel miracolo, non cercate le spiegazioni di

qualcosa che proprio perché è miracoloso non potrà mai essere

spiegato (ricordate il cieco nato? Davanti alla ridda delle

interpretazioni e delle domande dei farisei risponde con le

uniche parole valide di fronte al miracolo: “Io so che prima non

ci vedevo e adesso ci vedo”); a me, questa Buona Novella che

comincia con delle guarigioni fisiche di gente che soffre, piace

proprio, e mi piace altrettanto, e mi fa pensare, la parola che

Gesù dice ai primi discepoli: “Andate, guarite i malati, cacciate

i demoni, e predicate che il Regno di Dio è qui”.

MARTEDI’ 8

San Girolamo Emiliani

Parola di Dio: 1Re 8,22-23.27-30; Sal. 83; Mc. 7,1-13

“TRASCURANDO IL COMANDAMENTO DI DIO VOI

OSSERVATE LA TRADIZIONE DEGLI UOMINI”. (Mc.

7,8)

Davanti a critiche fondate alla religione, si possono assumere

atteggiamenti diversi, da chi applaude e, continuando ad

aggiungere critica su critica, spesso va oltre dimenticando

quanto il religioso porta in sé di veritiero e di giusto, a chi si

ritira scandalizzato perché, almeno formalmente, ritiene

l‟ambito religioso intoccabile, a chi erge subito barriere

difensive accusando a sua volta di irreligioso o di ateo chi si è

permesso di esprimere una critica.

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Alla luce di questo, immaginiamoci adesso la scena del

Vangelo di oggi: “Si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni

scribi venuti da Gerusalemme”. E‟ una vera e propria

commissione di inchiesta. I sommi sacerdoti hanno sentito

parlare di Gesù, le voci corrono e il centro del potere religioso

ha orecchie molto lunghe, sono preoccupati di questo

predicatore che „canta fuori del coro‟, sono preoccupati della

sua ortodossia, sono preoccupati per „il bene del popolo‟ in

quanto sono unicamente loro, con la loro politica e diplomazia a

conoscere quanto e quale sia il bene per la gente… e, allora…

mandiamo una commissione della santa inquisizione a vedere, a

prendere atto, a contestare, a raccogliere prove, a formulare atti

di accusa. Ma questi trovano non uno che davanti a „cotanti‟

personaggi importanti si spaventa, ma uno che dice loro con la

massima libertà pane al pane e vino al vino.

Gesù non odia i farisei, Gesù ama tutti, Gesù non è un

areligioso o un contestatore alla moda sempre contro tutte le

forme di autorità. Gesù è un osservante dei precetti, ma è anche

l‟uomo più libero, più giusto, e se fa dei rimproveri li fa per

migliorarci.

Esaminiamo, allora, il contesto di ciò che Gesù critica e

scopriamo che va proprio bene sia per i farisei e gli scribi di

allora che per vescovi, sacerdoti e religiosi di oggi, e che va

proprio bene anche per me e per te.

Quante tradizioni umane vengono fatte passare per dottrine

volute da Dio! Ad esempio certe norme morali date come

dottrina divina che sono solo aspetti culturali di certe epoche, di

certe paure, o dettate solo per la difesa di supposti principi,

oppure certi ritualismi che hanno perso significato ma che

vengono mantenuti solo per l‟aria di mistero e di superiorità che

sembrano supporre. Si disserta sul cappello dei vescovi o

sull‟abito dei sacerdoti dimenticando che sotto il cappello o

dentro o fuori di una talare ci debba essere un vero uomo di

Dio. Si parla tanto di Chiesa, di missione, di ortodossia dei

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teologi e spesso ci si dimentica di far riferimento a Gesù o,

peggio ancora, si usa arbitrariamente del Vangelo leggendolo a

senso unico per confermare le proprie posizioni. Troviamo

spesso ipocrisie piccole o grandi di cristiani che si danno il

segno di pace, ma non si salutano per strada; che ritengono

importante appartenere ad una comunità soprattutto per il

prestigio che dà loro ricoprire in essa qualche compito rilevante.

Vediamo ancora una Chiesa che continua a concedere

monsignorati o cavalierati per „meriti cristiani‟ (che, detto in

altri termini, significa corse agli onori o soldi versati per „pie

iniziative ecclesiastiche‟).

So benissimo che, dopo aver letto questa pagina, qualcuno

storcerà il naso e alla prima occasione mi dirà che non amo la

Chiesa, che punto il dito, che non ho misericordia…(tutte cose

già sentite) ma, amare la Chiesa sarà stare zitti o cercare di

cambiarmi e di cambiarla anche solo una briciola perché sia

davvero un po‟ più specchio del Vangelo?

MERCOLEDI’ 9

Santa Apollonia; San Rinaldo

Parola di Dio: 1Re 10,1-10; Sal. 36; Mc. 7,14-23

“DAL CUORE DEGLI UOMINI ESCONO LE INTENZIONI

CATTIVE: FORNICAZIONI, FURTI, OMICIDI,

ADULTERI, CUPIDIGIE, MALVAGITA‟, INGANNO,

IMPUDICIZIA, INVIDIA, CALUNNIA, SUPERBIA,

STOLTEZZA”. (Mc. 7,21-22)

Sulla falsariga di una pagina di Alessandro Pronzato ripercorro

alcuni vizi di questa lista che Gesù ci ha proposto come elenco

di mali che escono dal cuore dell‟uomo, e, se lo dice Lui che sa

quello che c‟è nel cuore dell‟uomo, deve essere vero.

Gesù parla di “invidia”. Il termine usato significa “avere occhio

cattivo”, quindi non essere sereni nel giudizio sia con il

18

prossimo che con Dio. E‟ non essere contenti del bene altrui ma

anche mugugnare nei confronti di Dio, essere meschini e

incapaci di vedere le sue vie.

La “superbia” è intesa come orgoglio, alterigia, arroganza. E‟

l‟atteggiamento di chi si crede qualcuno, di chi presuppone di

“essersi fatto da sé”. E‟ contraria all‟umiltà e alla verità.

La “stoltezza” non ha bisogno di grandi spiegazioni, basta

guardarsi attorno per vederne infinite applicazioni. Gesù chiama

stolti gli ipocriti che puliscono l‟esterno ma dentro son pieni di

rapine e di malizia, quindi è stolto soprattutto chi bada solo alle

apparenze, chi bada alle minuzie e trascura le cose importanti.

La “cupidigia” è anche questa una forma di stoltezza perché

significa dare alle cose più valore di quello che hanno.

Questi e gli altri prodotti di questo elenco purtroppo li

conosciamo e sappiamo che escono dal cuore corrotto

dell‟uomo.

Però dal cuore dell‟uomo nascono anche le cose buone. Di

queste Gesù non fa un catalogo. Ci può essere un catalogo dei

vizi ma le cose buone e pulite non possono essere codificate.

Un giorno una signora mi diceva: “Chissà lei che confessa,

quante ne sente!” Non è affatto vero, non c‟è niente di più

vecchio e ripetitivo del peccato. In quel campo non si inventa

nulla, al massimo si aggiornano cose vecchie. Nella bontà,

invece, è possibile la creazione di qualcosa di veramente nuovo

e insospettato. Solo in questo territorio sono possibili le

scoperte, le invenzioni più sensazionali, le cose più incredibili.

Gesù affermando la morale del cuore e non solo delle azioni ci

invita alla retta intenzione. Dice Bruno Maggioni: “Il primo

dovere di coscienza per Gesù è di tenere pulita la coscienza,

prima di seguirla”. Il cuore deve essere pulito e allora diventa il

luogo dove Dio si rivela e il luogo da cui, con l‟aiuto dello

Spirito, parte ogni creatività.

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GIOVEDI’ 10

Santa Scolastica

Parola di Dio: 1Re 11,4-13; Sal. 105; Mc. 7,24-30

“NON E‟ BENE PRENDERE IL PANE DEI FIGLI E

GETTARLO AI CAGNOLINI”.

“SI‟, SIGNORE, MA ANCHE I CAGNOLINI, SOTTO LA

TAVOLA, MANGIANO LE BRICIOLE DEI FIGLI”. (Mc.

7,27-28)

Il bellissimo dialogo di fede tra Gesù e la donna cananea si

svolge intorno al tema del pane, un tema caro a Marco e alla

comunità primitiva: il pane essenza di vita, il pane moltiplicato

e condiviso da Gesù con 5000 persone, Gesù che si fa pane e si

dona a noi nell‟Eucarestia e attorno ad essa si ritrova e forma la

comunità. Ecco, allora, che questo Pane è il Segno per

eccellenza dei cristiani. In esso si “fa memoria della passione,

morte e risurrezione di Gesù”, esso diventa il segno della

solidarietà e della condivisione, esso va rispettato, non gettato.

E qui, poco per volta nascono le norme per regolare l‟accesso

all‟Eucarestia. Chi può o non può ricevere questo Pane?

Gesù alla donna pagana, venuta a chiedere un miracolo di

guarigione per sua figlia, risponde: “Non è bene prendere il

pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”. Dunque, il pane è per i

figli. E qui teologi e moralisti si sono sbizzarriti: chi saranno i

figli? Il popolo di Israele? Ma è restrittivo! Saranno i battezzati?

Ma quando Gesù ha parlato dicendo questo non aveva ancora

mandato a battezzare… Sarò semplicista, ma a me sembra

evidente che i figli sono tutti, perché ognuno è figlio di Dio,

fatto a sua immagine e somiglianza. L‟unica cosa è averne

coscienza e aver coscienza della divinità di Gesù. Forse la

distinzione tra figli e cagnolini sta proprio in questo: l‟idolatra,

il materialista, l‟ateo professo non ha coscienza di essere figlio

di Dio e quindi il pane dei figli non è per lui.

20

Vedete che se la ragioniamo così, il criterio di accostarsi o

meno all‟Eucarestia non può essere un criterio dettato da norme

che pur sono un buon punto di riferimento per la formazione di

una retta coscienza, ma deve essere un qualcosa che parte dal

profondo dell‟uomo che riconoscendosi figlio, magari anche

peccatore, indegno, si decide a mettersi in cammino per tornare

alla casa del Padre ed ha bisogno di mangiare lungo la strada

per non venir meno.

Comprendiamo bene! Non è che questo metodo sia meno

severo di quello delle norme. Se le norme, infatti, si possono

sempre eludere, aggirare, la coscienza, se sei onesto, no. Con

questo criterio, però, si sposta il centro da fredde norme (spesso

volute da elucubrati ragionamenti umani per tenere in potere

gli uomini attraverso il dominio sulle loro coscienze) all‟uomo

stesso.

Questa pagana che è giudicata con superiorità dai benpensanti,

conscia delle proprie debolezze, ma che sa usare le stesse

debolezze per proclamare i suoi diritti, alla fine non solo

mangia le briciole ma, “per questa sua parola”, ottiene il

desiderato miracolo.

VENERDI’ 11

Madonna di Lourdes; Sant’ Adolfo

Parola di Dio: 1Re 11,29-32;12,19; Sal. 80; Mc. 7,31-37

In San Pietro: Giubileo degli ammalati e degli operatori sanitari

“APRITI!”. (Mc. 7,34)

Oggi, festa delle apparizioni della Madonna a Lourdes, la

lettura continua del Vangelo di Marco che stiamo facendo, ci

propone la guarigione di un malato sordomuto. Viene

spontaneo, per chi è stato in quella cittadina ai piedi dei Pirenei,

21

ricordare le lunghe sfilate di carrozzelle davanti alla grotta o la

benedizione Eucaristica dei malati.

Quante malattie, quante sofferenze là come in ogni ospedale, in

ogni famiglia. E quante persone che invocano una guarigione o

del corpo o del cuore. E ripenso anche alla sfilata di migliaia di

“sani” davanti a quella grotta, sani a volte più malati dei malati.

E allora, senza nulla togliere alla concretezza e materialità del

miracolo del Vangelo, mi piace, oggi, leggere quell‟ “Apriti!”

di Gesù come rivolto a noi.

Tu che sei sordo davanti all‟universo, alla natura, apriti per

comprendere che non sei frutto del caso, che non viaggi verso il

nulla; ascolta, leggi nei segni della creazione l‟opera di un

creatore provvidente.

Tu che dici di cercare Dio ma che cerchi solo te stesso, apriti al

Dio che ha parlato lungo tutta la storia della salvezza e che

“nella pienezza dei tempi ci ha parlato attraverso Suo Figlio”

fatto uomo per noi.

Tu che vivi esclusivamente nel tuo guscio, per te stesso, apriti

al mondo non fatto di estranei e di concorrenti ma di fratelli

perché figli dello stesso Dio.

Tu che sei triste, musone, apriti alla parola gioiosa del Vangelo,

apri il tuo volto al sorriso, i tuoi occhi alla serenità, il tuo spirito

all‟ottimismo.

Tu che vivi con rabbia la tua sofferenza, la tua malattia, la tua

solitudine, apriti a chi può darle un senso e un valore.

Apri le tue labbra per dire una parola di incoraggiamento

piuttosto che un giudizio, lascia che dal tuo cuore riconoscente

sgorghi un canto di lode.

Apri soprattutto il cuore perché cessando di essere un cuore di

pietra diventi di carne, capace di lasciarsi ferire e di amare,

capace di ricevere e di donare.

Apriti alla speranza di un Dio che, non ancora stanco del rifiuto

dei suoi figli, ti offre quotidianamente il sacrificio di Gesù

nell‟Eucarestia.

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Smettila con i chiavistelli e le porte blindate che ti chiudono al

mondo e a Dio, lascia entrare un raggio di sole in casa tua e sii

un po‟ luce anche per chi vive con te.

SABATO 12

San Damiano; Santa Eulalia

Parola di Dio: 1Re 12,26-32;13,33-34; Sal. 105; Mc. 8,1-10

“E DOMANDO‟ LORO: QUANTI PANI AVETE?”.(Mc. 8,5)

L‟episodio raccontato dal brano odierno del Vangelo comincia

da un profondo sentimento di Gesù: “Sento compassione di

questa folla”, e sappiamo che per Gesù compassione non vuol

dire: “Poverini!”, ma è: “Che cosa possiamo fare per loro?”.

E per vedere se i suoi hanno capito chiede subito: “Quanti pani

avete?”. La vera compassione non è pietire gli altri magari

dicendo dentro di sé: ”Meno male che non è toccato a me”, è

tirare fuori il proprio poco e metterlo a disposizione.

Oggi ci sono dei neologismi sempre più in voga: si parla di

globalizzazione, di villaggio comune. Pensando alla

moltiplicazione dei pani e al “villaggio comune” vi offro oggi

una provocazione di Pronzato:

“Dicono che il mondo sia diventato „un grande villaggio‟. Un

cosmonauta lo può percorrere in un‟ora e mezzo, non di più.

Dicono che in questo grande villaggio ci sono cento ricchi e

duecentotrenta poveri.

Dicono che nel quartiere dei ricchi muore in media una persona

l‟anno e nasce meno di un bambino. Mentre nel quartiere dei

poveri ne muoiono tre e ne nascono nove.

Dicono che, fatte le proporzioni, nel grande villaggio del

mondo ogni anno ci sono 10 milioni di ricchi in più e sempre

più ricchi. E sessanta milioni di poveri in più e sempre più

poveri.

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Dicono che nel grande villaggio qualcuno sia molto bravo a fare

i conti.

Dicono che nel grande villaggio che è il mondo circola una

parola miracolosa: progresso. Ma che i poveri non hanno ancora

imparato a riempirsi lo stomaco con questa parola ad alto

contenuto nutritivo.

Signore, ti rincresce lasciare il deserto e venire a dare

un‟occhiata a questo grande villaggio? Ci arrivi in fretta ma è

probabile debba trattenerti un po‟ più di tre giorni.

Ti avverto che non dovrai stupirti se qualcuno di noi, mandato a

fare l‟inventario delle provviste, andrà dritto e filato nelle case

dei poveri…

Che cosa vuoi, è l‟abitudine. L‟abitudine del progresso.”

DOMENICA 13

VI^ DOMENICA DEL TEMPO DELL’ANNO (B)

Santa Fosca; Santa Maura

Parola di Dio: Lev. 13,1-2.45-46; Sal. 31; 1Cor. 10,31-11,1;

Mc. 1,40-45

RIFLESSIONE

Nel nostro linguaggio ci sono parole che hanno significati

diversi, ad esempio, la parola partito può designare un gruppo

di persone di una determinata appartenenza politica o sociale,

oppure può intendere la scelta di un determinato compagno di

vita. Specialmente nel tradurre da un‟altra lingua ci si trova

spesso in difficoltà ancora maggiori. E‟ quello che è successo a

chi ha tradotto il racconto del Vangelo che abbiamo appena

letto. Quando il lebbroso va da Gesù, qualcuno traduce che

Egli, „commosso‟ lo toccò; qualcun altro che Egli „adiratosi‟ lo

toccò. Quale sarà la traduzione giusta, visto che l‟originale

sembra avere la possibilità di entrambi i significati?

24

Io penso che entrambi i significati calzino a pennello sia

all‟atteggiamento di Gesù, sia all‟episodio narrato.

Gesù, lo sappiamo, si commuove spesso, ad esempio davanti

alle folle che sono come un gregge senza pastore, quando

incontra la sepoltura del figlio della vedova di Naim, piange

insieme al dolore di Marta e Maria, sulla tomba di Lazzaro, si

commuove davanti a Gerusalemme…

Ma Gesù anche si adira: fa la voce grossa con gli indemoniati, è

sferzante contro l‟ipocrisia dei farisei, la sua ironia spesso cava

la pelle, caccia i venditori dal tempio a suon di sferzate e di

banchi dei cambiavalute capovolti.

E, nel caso del lebbroso del Vangelo di oggi, Gesù non può non

provare commozione davanti ad un lebbroso, malato, sfigurato

nel corpo, senza più un ruolo nella società, uno che vive o

sopravvive aspettando la morte, ma nello stesso tempo si adira

per quanto la mentalità dettata da una religiosità falsata e dalla

paura ha fatto dei lebbrosi.

La lebbra, infatti, appariva come l‟immagine più appropriata di

tutto ciò che era “impuro”, sia dal punto di vista morale che

religioso, segno di tutto ciò che doveva suscitare ribrezzo e

rifiuto. Il lebbroso, oltre che essere “un castigato da Dio”, era

un malato da evitare, in nome della Legge e dell‟igiene. Non si

possono leggere senza venir percorsi da brividi di raccapriccio

le norme minuziose riguardanti i lebbrosi dettate dal libro del

Levitico di cui abbiamo letto in minima parte nella prima

lettura. Lo scopo dichiarato è quello di tutelare la salute dei

sani, di quelli che “sono nell‟accampamento”. Infatti, il

lebbroso viene tenuto fuori prima dall‟accampamento e poi

dalle città. Questi malati dovevano starsene lontani dalla società

civile e religiosa. Vestiti di stracci dovevano gridare a chi si

avvicinava: “Impuro, impuro”. In ricompensa, e forse per

aggiustarla un po‟ con la coscienza, i sani dovevano provvedere

a mandar loro un po‟ di cibo.

25

Penso dunque che “l‟arrabbiatura di Gesù” non sia tanto perché

il lebbroso gli si è avvicinato (Lui è venuto per superare tutte le

barriere), quanto piuttosto per questo aver voluto isolare le

persone facendole soffrire ancor di più.

Mi chiedo se, dopo 2000 anni di quella che noi chiamiamo

civilizzazione, nel mondo che è diventato “paese”, nel tempo in

cui si parla di “globalizzazione”, non ci siano più lebbrosi o

accampamenti da difendere.

Eppure la lebbra fisica c‟è ancora; nel mondo dove la lebbra è

curabile a volte con una spesa anche irrisoria (ricordate che

Raul Follereau chiedeva, senza risultato, all‟America e alla

Russia di devolvere il costo di un bombardiere a testa per

debellare la lebbra?) ci sono ancora circa 16 milioni di lebbrosi

a cui si aggiungono milioni e milioni di persone che soffrono

altre lebbre: la fame, la povertà, gli odi razziali ed etnici,

l‟isolamento.

E come risolvere i problemi il nostro mondo?

Nascondendo, ghettizzando, difendendosi. Sono le soluzioni più

spicce. In un mondo in cui conta la bellezza, la prestanza fisica

è meglio nasconderli i brutti, i poveri, i lebbrosi; in un mondo in

cui conta la ricchezza, basta far finta di non accorgersi delle

favelas alle porte della città. A New York c‟è violenza? E il

bravo sindaco, osannato da tutti, comanda alla polizia di non

lasciar dormire nessuno per le strade, tutti i barboni devono

andare negli „ospizi‟. Bene, diremo noi. Peccato che una

ordinanza di alcuni giorni prima prevedeva che negli ospizi

potessero essere accolti solo coloro che dimostravano di avere

un lavoro. E questa è la civilissima America. Ma da noi non è

che vada molto meglio.

E che dire dell‟accoglienza dei “nuovi” nei nostri gruppi, degli

estranei? Può andar di moda in certe famiglie elitarie invitare il

marocchino a pranzo il giorno di Natale, andare a dir messa ben

agghindati un giorno nelle carceri, ma poi dove ti può trovare il

marocchino o il carcerato nei tremendi e normali giorni feriali?

26

La rabbia di Gesù non è per il lebbroso, è per chi rende ancora

più lebbrosi.

Ma proviamo anche a guardare a che cosa ha fatto il lebbroso

del Vangelo. Egli sa benissimo quale sia la sua condizione, sa

anche di non avere possibilità di guarirsi da solo, sa che non

deve aspettarsi molto dagli altri che lo emarginano e allora

rompe lui stesso la sua emarginazione, provoca questo maestro,

strappa il miracolo. Ed ecco, colui che era costretto ad andare in

giro gridando: “Immondo, immondo”, d‟ora in poi andrà in giro

gridando, anche se non autorizzato, le meraviglie che Gesù ha

compiuto in lui.

Un‟ultima riflessione: noi possiamo essere malati di lebbra sia

che ci troviamo “nell‟accampamento” sia che ci troviamo fuori

di esso; siamo malati di lebbra ogni volta che il nostro egoismo

innalza delle barriere; pensate, ad esempio, a quanti malati

egoisti che tiranneggiano coloro che hanno vicino e pensano di

essere gli unici; pensate agli anziani acidi e pessimisti a cui non

va mai bene niente; pensate a quei giovani che pensano che

ogni cosa sia loro dovuta; pensate ai preti senza gusto,

mestieranti, difensori di una morale senz‟anima, ai cristiani

bacchettoni incapaci di sorridere, a coloro che, come i farisei

del Vangelo, “mettono sulle spalle degli altri pesi per i quali

non muoverebbero neppure un dito”.

Tutte queste lebbre fuori o dentro l‟accampamento hanno un

ceppo d‟origine unico: l‟egoismo, ed hanno una fonte di

guarigione unica: l‟amore di Gesù.

Gesù non si lascia spaventare dalle barriere,

Lui le supera, non si spaventa del peccato, si lascia toccare dalla

nostra lebbra, anzi, se la carica sulle spalle insieme alla sua

croce, è venuto a cercare i peccatori, ma io sono disposto a

superare le barriere costruite da me o imposte da altri per

andare da Lui? sono disposto a riconoscere con verità ed umiltà

che “Se vuoi, puoi guarirmi”?

27

LUNEDI’ 14

Santi Cirillo e Metodio; San Valentino; San Vitale

Parola di Dio: Is. 52,7-10; Sal. 95; Mc.16,15-20

“ANDATE IN TUTTO IL MONDO E PREDICATE IL

VANGELO AD OGNI CREATURA”. (Mc. 16,15)

Oggi, pensando a due fratelli santi, Cirillo e Metodio che furono

grandi missionari dei paesi slavi, ascoltiamo ancora una volta

l‟invito pressante che Gesù fa agli apostoli e alla Chiesa prima

di salire al cielo: “Andate…”. Non è semplicemente un

suggerimento, un optional, è un imperativo. Ogni credente in

Cristo è un mandato. E, comprendiamo bene, anche per

distinguerci da certi propagandisti di religioni che sembrano

noiosi, asfissianti, tristi „venditori porta a porta‟, andare, essere

missionari non è convincere altri con eloquenza, con teologie,

con promesse di dolcificanti paradisi. Andare è soprattutto

uscire da sé, è rompere quella crosta di egoismo che tenta di

imprigionarci nel nostro io, è smetterla di girare intorno a noi,

come se fossimo il centro del mondo e della vita. Partire non è

divorare chilometri, attraversare i mari, volare a velocità

supersoniche. Partire, come diceva quel piccolo grande vescovo

di Recife che era Helder Camara, è anzitutto aprirci agli altri,

scoprirli, farsi loro incontro. Aprirci alle idee, comprese quelle

contrarie alle nostre, significa avere il fiato di un buon

camminatore.

La strada non la si compie con le parole, le discussioni, le dotte

dispute ecclesiali, la si compie con il movimento, la fatica delle

gambe e del corpo.

Chiesa seduta o Chiesa in cammino?

L‟imperativo di Gesù non lascia dubbi.

Una buona notizia, se non è trasmessa, non è neppure una

notizia. Ma, particolarmente per la nostra Chiesa occidentale e

per me, il Vangelo è ancora una buona notizia che ti riempie il

28

cuore e scuote dal torpore e smuove le gambe impigrite dal

troppo immobilismo?

La missione è vicina a te, è in casa tua, nel tuo palazzo di

illustri sconosciuti, nel tuo ufficio di qualunquisti religiosi, nella

tua parrocchia in cui molti sono i benpensanti senza Dio.

Agli apostoli, però, Gesù dice di andare dopo che ha fatto far

loro l‟esperienza di stare con Lui. Allora come cristiano

comprendo che il mondo è la mia patria ma che io porterò

qualcosa agli altri solo se prima avrò fatto io l‟esperienza di

incontrare e di stare con Gesù.

Sentite quanto amore c‟è in questa preghiera per i popoli da lui

evangelizzati, fatta da San Cirillo, a quarantadue anni,

consumato dal suo zelo apostolico, proprio prima di morire:

“Signore mio Dio, ascolta la mia preghiera e conserva nella

fede il tuo gregge, a capo del quale mettesti me, tuo servo

indegno ed inetto. Liberali dalla malizia empia e pagana di

quelli che ti bestemmiano; fa crescere la tua Chiesa e raccoglili

tutti in unità.

Rendi santo, concorde nella vera fede e nella retta confessione

il tuo popolo, e ispira nei cuori la parola della tua dottrina.

Quelli che mi hai dato, te li restituisco come tuoi; guidali ora

con la tua forte destra, proteggili all‟ombra delle tue ali, perché

tutti lodino e glorifichino il tuo nome di Padre e Figlio e Spirito

santo. Amen”.

29

MARTEDI 15

San Faustino e Giovita; San Sigfrido

Parola di Dio: Gc.1,12-18; Sal. 93; Mc. 8,14-21

“I DISCEPOLI NON AVEVANO CON SE‟, SULLA BARCA,

CHE UN SOLO PANE E DICEVANO: NON ABBIAMO

PANE… E GESU‟ DISSE LORO: NON CAPITE

ANCORA?”. (Mc. 8,15.16.21)

Da sempre, quando si vuole indicare il ministero del Papa e dei

vescovi si usa figurativamente il termine “la barca di Pietro”. Fa

pensare, nel nostro Vangelo di Marco, il fatto che fino ad ora

abbiamo avuto tre episodi riguardanti la barca di Pietro e tre

grandi insegnamenti per la Chiesa. Nel primo episodio gli

apostoli si scoprono deboli e paurosi: hanno paura di affondare

durante la tempesta e invece sono chiamati ad aver fede in Lui

che dorme. Nel secondo lo pensano un fantasma mentre

cammina vincitore sulle acque e sono chiamati a riconoscerlo

nella sua divinità, senza cercare di scimmiottare la sua

presenza, se no si affonda. In questo terzo episodio è ancora una

volta una Chiesa più preoccupata di poco pane e di panettieri

che manifesta la sua incomprensione nei confronti di Gesù. La

“barca di Pietro” manifesta la poca fede, ma Gesù pur

rimproverando accoratamente è su quella barca.

Gesù è l‟incompreso. I rappresentanti ufficiali della religione

cercano di farlo morire, i suoi apostoli si dimostrano ciechi

davanti a Lui, più preoccupati della loro sopravvivenza

materiale che di Lui, più propensi al pane della mensa che al

pane di Gesù.

La Chiesa (noi) ha sempre con sé l‟unico vero Pane, il solo

capace di calmare ogni tempesta e di colmare ogni fame, ma

spesso ignora questo. Spesso ci lasciamo infettare dal “lievito

dei farisei e degli erodiani”, cioè dalle forme delle false

sicurezze religiose, dal facile ridurre la fede a norme religiose

30

da applicare soprattutto sulla schiena degli altri, oppure dalla

sete del potere e dell‟avere e siamo anche abili a trovare

giustificazioni (anche manipolando la Scrittura). Ma,

ricordiamoci, farisei ed erodiani, potere civile e religioso sono

alleati per uccidere Gesù. Se noi ci lasciamo infettare dal loro

modo di essere, diventiamo come loro, contro Gesù e poco per

volta il nostro cuore si indurisce e non lo comprende più, i

nostri occhi diventano occhi incapaci di riconoscerlo. Lui è

sulla barca, Lui cammina al nostro fianco e noi non lo

vediamo. Chissà quando capiremo la lezione smettendola di

preoccuparci dei nostri piccoli poteri e cibandoci di Lui, Pane di

vita eterna?

MERCOLEDI’ 16

Sant’Onesimo; Beato Giuseppe Allamano

Parola di Dio: Gc. 1,19-27; Sal. 14; Mc. 8,22-26

“VEDO GLI UOMINI, INFATTI VEDO COME ALBERI

CHE CAMMINANO”.(Mc. 8,24)

Signore, quante volte, in questi anni della mia vita mi hai

sentito chiederti: “Perché?” E “Che cosa vuoi da me?”.

Ti ho chiesto perché vedendo le tante sofferenze ingiuste degli

uomini. Ti ho chiesto il perché insieme a quella mamma che in

un momento ha perso il proprio figliolo. Ti ho chiesto perché

celebrando tante volte sepolture di persone che mi sembrava

avessero ancora un ruolo importante sulla terra.

Ti ho chiesto perché quando ho visto il corpo devastato e sfatto

di persona malata di cancro. Ti ho chiesto perché del rantolo

continuo e senza speranza dei moribondi.

Ti ho chiesto perché perfino davanti alla croce di Cristo: perché

questa sofferenza per salvarci? Perché la tua bontà paterna non

è intervenuta almeno per Lui, il Tuo Figlio prediletto?

31

E poi quante volte ti ho chiesto: “Che cosa vuoi da me?” Te

l‟ho chiesto cercando di chiarire una vocazione, te l‟ho chiesto

davanti ai miei progetti che pensavo benedetti da Te e che

venivano cambiati in un momento dalla malattia. Te l‟ho

chiesto migliaia di volte confessando, per essere davvero Tua

Parola a chi veniva a cercare il tuo perdono, e altre migliaia di

volte davanti al foglio bianco che stavo per scrivere per i miei

amici e per i tuoi figli.

Vedi, Signore, ci sono stati periodi in cui mi pareva di vedere e

di vederci chiaro. Il periodo del razionalismo materialista che

esigeva sempre risposte chiare e ben distinte, il periodo della

ricerca di una teologia che spiegandomi Dio per filo e per segno

mi desse il senso di ogni problema, il periodo in cui pensavo

che con il volontarismo e una morale ben precisa si potesse

essere noi stessi risposta ad ogni problema… ma,

immancabilmente erano risposte parziali, non soddisfacenti.

Eri già intervenuto, mi stavi prendendo per mano, ma io, come

il cieco del Vangelo vedevo e vedo “gli uomini come alberi che

camminano”.

Signore, c‟è bisogno di un secondo intervento, ed anche ben

deciso. C‟è ancora troppo „squame‟ nei miei occhi, troppa terra

e poco cielo, troppa ragione e poca fede, troppo io e poco Tu.

Signore, se vuoi, puoi farmi vedere, e anche subito, ma se

questa non è la tua volontà permettimi almeno di contemplare

tutto come un‟ombra, ma di scorgere almeno il Tuo Volto.

GIOVEDI’ 17

Santi sette fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria;

Santa Marianna

Parola di Dio: Gc. 2,1-9; Sal. 33; Mc. 8,27-33

“E VOI, CHI DITE CHE IO SIA?”. (Mc. 8,29)

Fai attenzione! Se non è ancora capitato, prima o poi succederà

nella tua vita. A forza di cercare, di stare con Gesù, magari nel

32

momento in cui non te lo aspetti, arriverà anche per te la

domanda cruciale.

Fin che Gesù sembra informarsi puoi cavartela anche facendo

bella figura e, rispondendo, statistiche alla mano, su che cosa il

mondo pensi di Lui: basta aver letto, magari anche solo di

traverso, qualche libro che pomposamente parla di sociologia

del cristianesimo o, peggio ancora, certi annuari della Chiesa

cattolica dove sono elencati i cristiani nel mondo, i convertiti, i

battezzati, il numero dei preti e delle suore e mille altre cose

inutili…

“Ma tu chi dici che io sia?”.

E qui non è consentito aggirare l‟ostacolo, rispondere con le

definizioni dei teologi (e anche quelle del “Credo” non vanno

bene se sono solo formali). Sei costretto a rispondere del tuo.

Forse sei confuso, non ci vedi bene, vorresti prendere del

tempo.

Ti accorgi che a seconda della tua risposta, da questo momento

cambia qualcosa.

Nel Vangelo di Marco infatti siamo al giro di boa; le folle, i

miracoli, i facili entusiasmi si diradano; gli scribi, i farisei, i

sommi sacerdoti si fanno agguerriti, cercano l‟eliminazione non

più verbale ma fisica; su tutto si allunga inquietante l‟ombra

della croce.

Dare una risposta a quella domanda non significa essere lo

scolaro più bravo, fare bella figura, meritare una medaglia

premio o un diploma di ortodossia, significa giocare la propria

vita in qualcosa che non sempre è allettante, in qualcosa che

non ci piace né per Gesù, nè per noi: la croce.

Al Signore non interessa neppur tanto come la penso, gli

interessa sapere se sono disposto a seguirlo.

Non sarà proprio per questo che poi Gesù chiede di non

parlarne? Le parole, da adesso in avanti servono a poco,

serviranno di nuovo se passeremo lo scoglio del Calvario.

33

VENERDI’ 18

San Simeone; San Flaviano; San Claudio

Parola di Dio: Gc. 2,14-24.26; Sal.111; Mc. 8,34-9,1

“SE UN FRATELLO O UNA SORELLA SONO SENZA

VESTITI E SPROVVISTI DEL CIBO QUOTIDIANO E

UNO DI VOI DICE LORO: „ANDATEVENE IN PACE,

RISCALDATEVI, SAZIATEVI‟, MA NON DATE LORO IL

NECESSARIO PER IL CORPO, CHE GIOVA?”

(Gc. 2,16)

Tra la montagna di cose che stupidamente ho accumulato in

questi anni ho ritrovato il ritaglio di questa lettera scritta da un

sacerdote e pubblicata sul settimanale „Epoca‟ del 16 aprile

1967. E‟ certamente „datata‟ e da allora alcune cose sono

cambiate. Quale sarebbe il pensiero di quel sacerdote dopo

questi anni? E noi che cosa ne pensiamo e che cosa facciamo?

“Voglio una Chiesa povera, senza oro, senza argento, senza

conti correnti, senza fastose apparecchiature, senza costosissimi

addobbi. Voglio una Chiesa che distribuisca tutto ciò che può

ricevere.

Non sono un eccentrico, non sono un prete di sinistra. Sono un

giovane servo del Signore che vorrebbe sentire il Signore più

vicino, e vorrebbe che lo sentissero più vicino tanti infelici che

sono nel mondo, malati non solo di miseria ma di sfiducia, di

incredulità, di solitudine e di tristezza.

Quanti cuori tornerebbero a Dio davanti all‟esempio di una

Chiesa povera, veramente povera, senza mezzi termini! Si può

dir messa senza ori e argenti. L‟oro e l‟argento onorano il

Signore? La nostra povertà, la più totale, la più assoluta,

l‟onorerebbe assai di più.

Vivo in parrocchia da quattro anni e non mi sento un pastore

d‟anime. Mi sento un impiegato, la rotella di un meccanismo,

manovro registri e schedari, “organizzo” cerimonie nuziali,

34

discuto con gli sposi le decorazioni floreali e il prezzo delle

stesse: la tariffa.

Non sono un ribelle. Sono un povero timido prete che tante sere

piange come un ragazzo perché gli sembra che tutto, intorno a

lui, sia falso e sbagliato.

Se parlo di queste cose con gli altri sacerdoti, essi mi

rispondono, chi con tristezza, chi con ironia, che non sarò io a

cambiare gli uomini e il mondo. Ma se vogliamo che gli uomini

e il mondo cambino, dobbiamo cambiare noi, tocca a noi dare

l‟esempio, sbarazzarci di tutto e vivere letteralmente di carità.

Tocca a noi pagare gioiosamente questo prezzo perché nella

Chiesa sia visibile il Vangelo vivo, a consolazione di tutti i

sofferenti, a conforto di tutti gli infelici.

Tutti abbiamo il dovere, oggi, di uscire da assurdi riserbi che

sono vere e proprie ipocrisie.

Sono un servo che si confessa: vorrei amarvi di più perché il

Signore sia amato e capito di più. Non voglio fare l‟impiegato

della Chiesa: voglio essere l‟uomo che Dio ha mandato tra voi

per soccorrervi quando siete stanchi, per abbracciarvi quando

siete infelici.

Questa è la Chiesa che tanti di voi attendono di vedere”.

SABATO 19

San Corrado Confalonieri; San Tullio; San Mansueto

Parola di Dio: Gc. 3,1-10; Sal. 11; Mc. 9,2-13

“USCI‟ UNA VOCE DALLA NUBE: QUESTI E‟ IL MIO

FIGLIO DILETTO: ASCOLTATELO!” (Mc. 9,7)

Il brano della trasfigurazione, oltre ad aprirci uno squarcio di

cielo, anticipo della gloria del risorto, è anche incentrato sulla

voce di Dio che, confermando Gesù nella sua missione, ce lo

indica dicendoci: “Ascoltatelo!”. Dio, qui, parla ancora a Gesù

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e a noi, poi sull‟altro monte, il Calvario, tacerà e ci sarà solo più

la Parola crocifissa a parlarci nel silenzio delle parole.

La fede del cristiano comincia ascoltando Gesù; e per ascoltarlo

bisogna „salire sul monte con Lui‟, espressione che nella Bibbia

vuol dire: andare incontro a Dio. Perché il monte, come il

deserto, più che essere un luogo concreto è una situazione

umana di prova e un‟opportunità di contatto con Dio.

Salire sul monte con Cristo significa camminare nell‟oscurità

della fede e nel silenzio dell‟assoluto; lasciare le nostre

sicurezze, scegliere la vita attraverso la morte. Il vangelo di

oggi ci rivela la chiave della fede. La voce del Padre ci invita ad

ascoltare Gesù, sia sul monte splendente della trasfigurazione

sia nella pianura del nostro quotidiano, perché Cristo è la

Verità, la Via e la Vita, perché solo Lui ha parole di vita eterna,

perché, seguendolo, la rinuncia si trasforma in libertà, il dolore

in gioia, la morte in vita.

La trasfigurazione è una meta possibile per chi ascolta Cristo.

La trasfigurazione è prima di tutto la nostra conversione a Dio,

per poter, in un secondo momento, camminare con Cristo verso

l‟affascinante avventura del donarsi totalmente ai fratelli,

soprattutto ai più poveri, in solidarietà con i nostri simili nelle

gioie e nelle speranze, nelle tristezze e nella angosce.

DOMENICA 20

VII^ DOMENICA DEL TEMPO DELL’ANNO (B)

Sant’Eleuterio; Sant’Ulrico; Sant’Eucherio

Parola di Dio: Is. 43,18-19.21-22.24-25; Sal. 40; 2Cor. 1,18-22;

Mc. 2,1-12

RIFLESSIONE

La pagina di Vangelo che abbiamo appena letto è una di quelle

pagine così semplici e lineari che, a prima vista, sembrano dire

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tutto a tutti, ma è anche così piena di riferimenti, di messaggi,

di interpretazioni che, probabilmente, non riusciremo mai a

comprenderla totalmente e pienamente, e questo è proprio il

bello della Parola di Dio che rivela e nasconde per poi rivelare

di nuovo e parlare sempre, purché ci sia un cuore che sia

disposto all‟ascolto.

Il brano di oggi è un racconto che parla di impedimenti.

Il paralitico è „impedito‟, la sua malattia lo blocca. Egli è un

uomo malato e non ci sono malattie belle o brutte, sono tutte

brutte. L‟uomo malato fisicamente soffre, non è più libero di

fare tutto ciò che vuole, è umiliato perché dipende da altri, non

riesce più ad essere autosufficiente, è limitato.

L‟uomo malato moralmente è uno che ha perso l‟equilibrio

della propria unità, non comprende più la vita e il suo senso,

vive costantemente di febbri, di desideri che non trovano

appagamenti. Ha bisogno degli altri, ma gli altri non soddisfano

i suoi desideri, ha bisogno di Dio ma qualche volta non può o

non vuole alzare lo sguardo sia in alto e neanche in basso,

dentro se stesso, perché vede solo la propria malattia.

Il paralitico è fortunato. Ha trovato quattro parenti o amici che

lo portano da Gesù.

Oggi è difficile trovare di questi amici. Trovi, a volte, qualcuno

che sfrutta la tua malattia, qualcuno è disposto a parlarti della

tua malattia, a spiegartene le cause o anche a dirti che non sei

malato affatto, ad importi se stesso e le proprie idee, a portarti

da qualche santone alla moda che „ha tutti i ritrovati per guarire

sia nel corpo che nello spirito‟, pronti magari a farti adepto di

qualche „congrega‟, ma trovare qualcuno che ti porti da Gesù

non è facile; forse troverai ancora qualcuno che ti porta dal

„suo‟ Gesù, ma non da Gesù.

C‟è ancora un altro impedimento: la folla, la massa dei curiosi,

l‟opinione pubblica, l‟audience, i luoghi comuni, la fede

chiacchierata, le masse che battono le mani ma che se prese dal

panico uccidono, calpestano, distruggono, le folle che, a

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seconda dell‟occasione e delle pressioni, gridano: “Osanna”

oppure “A morte”. Questa folla così blandita da ogni potere,

compreso quello religioso, che impedisce di arrivare a Gesù, va

aggirata. Non puoi mischiarti ad essa, pena il non arrivare, non

puoi perderti in essa o il tuo cervello non ci sarà più e cesserai

anche tu di essere persona per diventare folla anonima.

Gli amici del paralitico aggirano la folla, ma trovano un altro

ostacolo, un tetto: le persone per bene non entrano in una casa

passando dal tetto, ma dalla porta!

Ci vuole una fede fatta anche di fantasia e di cose pratiche per

arrivare a scoperchiare un tetto, usare corde, calare di là sopra

un malato dentro la sua barella! E‟ vero che i tetti erano di

paglia e fango, è vero che dietro la casa spesso vi erano degli

scalini per arrivare facilmente al tetto che ad ogni temporale o

colpo di vento forte era in pratica da riaggiustare, però, intanto,

questi portatori mi dicono che la fede non si spaventa davanti

agli ostacoli, è anticonformista, sa usare le cose più impensate,

è fatta anche di mani, di corde, di rischi e di fantasia.

Ma c‟è ancora un ultimo impedimento e sono gli scribi, gli

intellettuali religiosi, le persone per bene, i saputoni, i primi

della classe, coloro che hanno sempre una risposta per tutti i

problemi.

Essi sono ortodossi, conoscono a menadito la Bibbia e le

filosofie religiose con cui „da sempre‟ essa viene interpretata.

Davanti a Gesù che dice al paralitico: “Ti sono rimessi i tuoi

peccati”, fanno un ragionamento che non fa una grinza: “Solo

Dio può perdonare i peccati, quindi costui bestemmia!”.

Nella loro mente precisa non è passato neppure un sospetto: “ E

se costui… forse… fosse davvero…”

Non sono forse gli stessi scribi che, davanti a Galileo che

diceva qualcosa di nuovo e di diverso dal modo con cui da

sempre era stata interpretata la Bibbia, non si sono neppur

chiesti se invece non avrebbe potuto aver ragione?

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Non sono forse gli stessi ortodossi incalliti che, in ogni tempo,

nel nome della loro verità, hanno eretto roghi piuttosto che

confrontarsi con qualcuno che „forse‟ poteva anche aver

ragione?

Non sono forse gli stessi che leggendo le proposizioni di

Lutero, pur di non perdere certi privilegi e certe sicurezze, non

si sono neanche confrontati con esse ed hanno preferito lasciare

che la Chiesa si dividesse?

E non saranno gli stessi che nelle parrocchie e nelle comunità

impediscono l‟accesso ad altri perché non la pensano come loro

o perché hanno vissuto esperienze diverse da quelle codificate

dalla loro morale? Oppure, oggi, non saranno anche tutti quelli

che, per seguire l‟avanzare dei tempi, hanno deciso che il

peccato non esiste più, è solo un vecchio retaggio da Medioevo,

una cosa sorpassata da cui liberarsi il più in fretta possibile,

coloro che per guarire un malato insistono nel dirgli che la sua

malattia non esiste?

Gli scribi di allora e di adesso sono l‟ostacolo più grosso, ma

Gesù chiamando la malattia, malattia e il peccato, peccato, il

miracolo lo fa lo stesso.

Gli unici che restano „impediti‟ sono proprio questi scribi.

La gente davanti al miracolo riesce a meravigliarsi dicendo:

“Non abbiamo mai visto nulla di simile”, essi, invece non

vedono né un malato guarito, né un peccatore perdonato, né

colui che ha operato tutto questo: Gesù, il Messia, il Figlio di

Dio, e pensare che loro, proprio per il loro ruolo non avevano

neanche avuto bisogno di scoperchiare un tetto per arrivare

vicino a Gesù.

E mi fermo proprio su questa scena conclusiva.

Gesù, grazie alla fede di quei portatori e del malato che hanno

superato tanti ostacoli, ha potuto compiere il duplice miracolo

di guarigione e di perdono.

Noi, con quella folla rimaniamo meravigliati e arriviamo a

scoprire in Lui Colui che, mandato dal Padre, è venuto per

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liberarci da tutti i mali e pensiamo che anche noi possiamo

essere a nostra volta perdonati e guariti.

Gli scribi guardano in basso e stanno scovando nei ripostigli

della loro mente e della loro „cultura‟ tutte le

autogiustificazioni per dirsi: “Abbiamo ragione noi”.

E in mezzo a queste persone e a questi atteggiamenti vediamo il

paralitico che non ha detto una parola e davanti al quale questa

volta le folle si aprono, che se ne va portandosi sulle spalle il

ricordo di un impedimento fisico e morale dal quale il Figlio di

Dio lo ha liberato.

LUNEDI’ 21

San Pier Damiani; Sant’Eleonora

Parola di Dio: Gc. 3,13-18; Sal.18; Mc. 9,14-29

“CREDO, AIUTAMI NELLA MIA INCREDULITA‟ “.

(Mc. 9,24)

Un bellissimo dialogo quello che avviene tra il padre del

ragazzo posseduto dal demonio e Gesù.

Proviamo, in breve, a riprendere attraverso la scena del

Vangelo, il percorso di fede che questo brano vuol farci fare.

Questo padre porta suo figlio (malato o indemoniato, in fondo è

la stessa cosa) dai discepoli di Gesù. Essi avevano ricevuto da

Lui l‟incarico e il potere di “guarire gli infermi e di cacciare i

demoni”, ma questa volta non ci riescono: delusione degli

apostoli ma soprattutto delusione di questo padre. “Ho provato

a chiedere la grazia, sono anche andato a Lourdes e a

Medjugorie, ma, niente!” Ce n‟è abbastanza per dire :

ciarlatanerie!

Ma Gesù si interessa a questo ragazzo fino a farselo portare

davanti e allora, è tanto il desiderio di vedere guarito suo figlio

che questo padre dice a Gesù: “Se tu puoi qualcosa, abbi pietà

di noi e aiutaci”.

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E qui, Gesù vuol far prendere coscienza a quell‟uomo della sua

poca fede, cioè: per aumentare la fede bisogna prima di tutto

rendersi conto di non averne. In fondo dice a quel padre: guarda

che dipende da te. E il padre capisce che se il figlio è schiavo

del male e della malattia, lui, genitore, è malato di poca fede e

arriva a dire la più bella preghiera e il più bell‟atto di fede che

un uomo possa fare: “Credo, ma aiutami nella mia incredulità”.

E‟ una apparente contraddizione che definisce però la fede fatta

di dubbi, di paure, di povertà umane, ma anche di abbandono

fiducioso.

E quando, a miracolo avvenuto i discepoli chiederanno a Gesù

perché non sono riusciti compiere questa guarigione e Gesù

risponderà che “questa specie di demoni non si può cacciare in

alcun modo, se non con la preghiera”, Gesù, secondo voi, starà

parlando della Sua preghiera o della preghiera che finalmente è

sgorgata dal cuore di quel padre quando ha riconosciuto la

propria poca fede ma ha chiesto a Gesù di aumentargliela?

MARTEDI’ 22

Cattedra di San Pietro

Parola di Dio: 1Pt. 5,1-4; Sal. 22; Mt. 16,13-19

“A TE DARO‟ LE CHIAVI DEL REGNO DEI CIELI”.

(Mt. 16,19)

Cerchiamo di capire il senso della festività di oggi. La “cattedra

di Pietro” non è un trono come quello dei pochi re rimasti in

questo mondo, è il ministero, cioè il servizio che Dio ha

affidato a Pietro e alla Chiesa. Su questo tema così dibattuto

oggi preferisco lasciare parlare nientemeno che Sant‟ Agostino

che in un suo sermone diceva così:

Quando senti dire: “Pietro, mi ami?”, pensa che ti trovi dinanzi

ad uno specchio e guarda te stesso.

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Pietro non fu forse simbolo della Chiesa? Perciò il Signore,

domandando a Pietro, domandava a noi.

Per rendervi conto che Pietro fu simbolo della Chiesa, ricordate

il passo del Vangelo: “Tu sei Pietro e su questa pietra io

edificherò la mia Chiesa e le porte dell‟inferno non prevarranno

contro di essa. A te darò le chiavi dei cieli”.

Un solo uomo ha ricevuto quelle chiavi? A che cosa esse

servano, lo spiega Cristo stesso: “Quanto scioglierete sulla terra

sarà sciolto nel cielo”.

Se queste parole fossero state dette solo a Pietro, ora che lui è

morto chi mai potrebbe legare o sciogliere?

Oso dire che le chiavi le abbiamo ricevute noi tutti. Noi

leghiamo e sciogliamo. E anche voi legate e sciogliete.

Chi è legato è separato dalla vostra comunità, è legato da voi.

Quando però si riconcilia, è sciolto grazie a voi, poiché voi

pregate per lui. Tutti infatti amiamo il Signore, tutti siamo sue

membra.

E quando il Signore affida il suo gregge ai pastori, tutto il

numero dei pastori si riduce ad un solo corpo, quello dell‟unico

Pastore.

Innegabilmente Pietro è pastore, ma senza dubbio anche Paolo è

pastore. Giovanni è pastore. Andrea è pastore, ogni apostolo è

pastore. Tutti i santi episcopi sono pastori, non c‟è ombra di

dubbio.

MERCOLEDI’ 23

San Policarpo; Santa Romana da Todi

Parola di Dio: Gc. 4,13-17; Sal. 48; Mc. 9,38-40

“CHIUNQUE SA FARE IL BENE E NON LO COMPIE,

COMMETTE PECCATO”. (Gc. 4,17)

Credo che san Giacomo, con questa frase voglia insegnarci

principalmente due cose: 1) attenzione all‟ozio; 2) i peccati non

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si fanno solo con le parole e con le opere, ma anche con le

omissioni.

L‟ozio è non apprezzare la vita e chi ce l‟ha donata. Dice San

Giovanni Crisostomo: “Che cosa c‟è di più triste di un uomo

che fa nulla? Che cosa più deprimente e più spregevole?

L‟anima è di sua natura dinamica!”. E Basilio il Grande ci

ricorda che non dobbiamo nascondere l‟inattività neanche

dietro alla scusa della preghiera: “Non si deve dire: <Ma io

prego> per giustificare la propria pigrizia, il proprio orrore alla

fatica. Ricordino bene costoro ciò che dice la Bibbia: < Ogni

cosa va fatta a suo tempo>”.

Ma, come ci suggerisce Giacomo, non è peccato solo la pigrizia

in se stessa. Il non fare il bene che si potrebbe è male perché

non si dà fiducia a Dio che invece si fida di noi e si privano gli

altri di un dono che Dio aveva previsto per loro tramite noi.

Facciamo su questo punto un breve esame di coscienza.

Quante volte avrei potuto aiutare una persona e mi sono

nascosto dietro a tante scuse: “Non sono all‟altezza”, “Ma poi

porto via del tempo ad altre cose”, “Perché sempre io?”… e

quante volte abbiamo privato altri di una gioia solo per un

puntiglio, per tenere il muso, per avere l‟ultima parola. E questo

vale per quella parola di conforto non detta solo perché avevi

fretta, di quel momento di preghiera trascurato perché “c‟è

sempre tanto da fare”, per quella iniziativa vanificata perché a

parole eravamo tutti d‟accordo ma quando c‟è stato da agire…

c‟è un mio amico che usa questi termini: “Ci sono persone che

si fanno in quattro… per mandare gli altri tre”.

La prossima volta che andremo a confessarci, mentre facciamo

l‟elenco dei peccati commessi facciamo anche quello dei

peccati commessi proprio perché si è omesso di fare il bene.

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GIOVEDI’ 24

San Sergio di Cesarea

Parola di Dio: Gc. 5,1-6; Sal. 48; Mc. 9,41-50

“VOI RICCHI, PIANGETE E GRIDATE PER LE

SCIAGURE CHE VI SOVRASTANO”. (Gc. 5,1)

San Giacomo nel brano di oggi ci ricorda che le ricchezze non

sono la nostra salvezza.

Vi offro come continuazione di questa riflessione le frasi di

alcuni padri della Chiesa.

Massimo il Confessore: “Gli uomini desiderano il denaro non

per la sua utilità effettiva ma perché con esso possono diventare

schiavi del piacere. Tre sono le cause dell‟amore per il denaro:

il piacere, la vanità, la mancanza di fede.

Il lussurioso ama il denaro per consumarlo nei piaceri, il

vanitoso per procurarsi la gloria, l‟uomo cui manca la fede per

tenerlo nascosto temendo la fame, la vecchiaia, la malattia. Egli

si fida più del suo denaro che di Dio, creatore dell‟universo, la

cui provvidenza raggiunge l‟ultimo, il più nascosto degli

esseri.”

Teodoreto: “Pecca di semplicismo chi considera felici gli

uomini ricchi e potenti. Sono piuttosto infelicissimi e sciagurati,

perché possiedono i beni del mondo e li adoperano per il vizio e

per l‟iniquità.

Se perciò vediamo un uomo perverso nuotare nella ricchezza,

non diciamo: <Beato lui!>. E‟ uno sventurato giacché ha troppe

occasioni per vivere iniquamente. Se ne vediamo un altro, che a

nostro parere è un uomo retto, incatenato alle avversità e alla

povertà, non pensiamo subito che sia un infelice e non

accusiamo Dio di ingiustizia. Quelli che vivono nel male

trasformano in strumenti di malizia anche i cosiddetti beni.

Quelli che amano la virtù trasformano i supposti mali in mezzi

di autentica sapienza.”

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Agostino: “Hai oro? Esso è un bene. Ma soltanto se ne usi bene.

Non potrai farne un uso buono se sei malvagio. L‟oro è un male

per i malvagi, un bene per i buoni. Non perché sia un bene che

li rende buoni. Si converte in bene perché trova persone buone.”

Clemente Alessandrino : Le ricchezze bisogna usarle in maniera

ragionevole. Ed è necessario spartirle generosamente con gli

altri, vincendo l‟avarizia.

Guai se la gente dicesse di noi: < Le sue terre, il suo servo e il

suo oro valgono quindi miliardi, ma lui vale tre soldi>”.

Giovanni Crisostomo “E‟ follia e demenza riempire gli armadi

di vestiti e guardare con indifferenza un essere umano, un

essere fatto ad immagine e somiglianza di Dio, che è nudo,

trema dal freddo, è quasi incapace di reggersi in piedi.”

Basilio il Grande: “Se aiuti un povero nel nome del Signore, fai

un dono e nello stesso tempo concedi un prestito.

Fai un dono perché non hai speranza di essere rimborsato da

quel povero. Concedi un prestito perché il Signore salderà il

debito per lui. Poca cosa riceve il Signore per mezzo dei poveri,

ma pagherà molto al posto loro.”

VENERDI’ 25

San Cesario

Parola di Dio: Gc. 5,9-12; Sal. 102; Mc. 10,1-12

“L‟UOMO DUNQUE NON SEPARI CIO‟ CHE DIO HA

CONGIUNTO”. (Mc. 10, 9)

Mi pare di vederli e di sentirli, perché è una scena cui ho già

assistito parecchie volte: si è appena letto questo brano del

Vangelo e nel gruppo qualcuno ha il volto teso: “E‟ impossibile

una durezza del genere”. Altri invece: “Ecco la chiarezza. Gesù

è contro il divorzio e contro qualsiasi separazione”. A chi si

esprime in questi termini mi sento di dire, con una grande

schiera di studiosi della Bibbia, che non hanno capito nulla,

cominciando proprio da questa pagina del Vangelo.

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Vogliono tirare Gesù in una discussione moralistico legalistica

(anche allora circa il divorzio c‟erano diverse posizioni a

seconda dei vari rabbini, da chi lo escludeva tassativamente, a

chi lo permetteva in casi eccezionali ben definiti, a chi dava

all‟uomo la possibilità di sbarazzarsi della moglie per futilità).

Gesù non solo non entra in questa discussione casistica, ma

richiama a dei valori ed al progetto di Dio. La coppia è talmente

importante nel progetto di Dio, che solo ritornando ad esso e

riscoprendo in esso l‟uguaglianza dell‟uomo e della donna, la

libertà delle scelte, la „sola carne‟, la funzione della famiglia,

l‟amore della coppia a immagine dell‟amore di Dio per l‟uomo,

si supera ogni forma di giuridismo.

Questa pagina è proprio il superamento delle norme, delle

codificazioni, delle casistiche, è un invito a mettere al centro

progetto di Dio e coscienza formata e creatrice. Gesù non è

venuto né per allargare né per restringere le maglie della legge,

ma per allargare gli orizzonti.

Ho presente, però, la pena e la difficoltà di tanti che hanno visto

naufragare il proprio matrimonio e che poi hanno cercato per se

stessi o magari anche per i figli, di ricostruire qualcosa. Gesù

bolla queste persone come adultere? Penso proprio di no! Nel

patto tra Dio e l‟uomo, è adultero il popolo quando

volutamente rompe l‟alleanza e si consegna ad altri dèi. Nel

caso delle persone di cui parlavo prima, c‟è adulterio quando

volutamente e scientemente si uccide l‟amore, la coppia, i

progetti di Dio e dei due per qualcos‟altro, ma, vi pare che

Gesù che perdona l‟adultera, che accoglie i peccatori, che porta

in paradiso un brigante solo per un atto di fede, possa

appiccicare etichette di ignominia e di condanna a chi nella

sofferenza, magari anche con dei limiti personali, ha visto

sfumare un progetto di vita desiderato e ambito e, cercando di

ritornare „al principio‟ con umiltà e fatica, cerca di ricostruire

qualcosa per sé e per gli altri?

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Se in questi casi vogliamo ritornare a leggi, a norme, andiamo

proprio contro Gesù che ci ha invitato a superarle; se, invece,

accogliamo, cercando di aiutare le coscienze a comprendere i

progetti di Dio e poi a scegliere con vera libertà, nella serenità

dell‟amore e della misericordia di Dio, forse ritroveremo la

strada vera del Vangelo.

SABATO 26

San Nestore; Sant’ Alessandro di Alessandria

Parola di Dio: Gc. 5,13-20; Sal. 140; Mc.10,13-16

“LASCIATE CHE I BAMBINI VENGANO A ME E NON

GLIELO IMPEDITE PERCHE‟ A CHI E‟ COME LORO

APPARTIENE IL REGNO DEI CIELI” (Mc. 10,14)

Per seguire Gesù, per entrare nel suo Regno, o meglio, per

lasciare che il suo Regno entri in noi, bisogna vincere

l‟alterigia, la supponenza, l‟orgoglio. E‟ quanto ci suggerisce

l‟episodio narrato nel Vangelo di oggi. I discepoli non

sgridavano quelli che portavano i bambini perché disturbavano

il maestro, ma perché i bambini, per essi, non rappresentavano

nulla.

Secondo loro il Regno di Dio era da adulti e, per raggiungerlo,

era necessario fare scelte coscienti, avere certi determinati

meriti, compiere opere corrispondenti.

Gesù pensa, invece, che il Regno di Dio deve essere „ricevuto‟,

cioè il Regno è iniziativa divina. Per conseguenza l‟unico

atteggiamento adatto per „ricevere‟ è quello dei bambini: il

Regno di Dio prima lo si riceve e poi si entra in esso.

Gesù non idealizza per nulla i bambini. Ha parlato altre volte di

bambini maleducati che giocano nella piazza del mercato e

vogliono ora questo ora quest‟altro, e si mostrano impazienti e

testardi. Ecco perché la parola citata non significa affatto che

gli adulti debbano ritornare allo stadio dei bambini. C‟è però

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una cosa che possiedono i fanciulli e che li distingue dagli

adulti: il bambino è per sua natura fiducioso, disposto a ricevere

ciò che gli viene donato, capace di lasciarsi guidare; ha il dono

di vivere nell‟istante presente: e questo è proprio

l‟atteggiamento di fede richiesto per accogliere il Regno.

DOMENICA 27

VIII^ DOMENICA DEL TEMPO DELL’ANNO (B)

San Gabriele dell’Addolorata;

Sant’Onorina; San Leandro

Parola di Dio: Os. 2,16-17.21-22; Sal. 102; 2Cor. 3,1-6;

Mc. 2,18-22

RIFLESSIONE

Quando Maria era andata al Tempio per la presentazione di

Gesù, bene aveva profetato il vecchio Simeone dicendo che

questo Bambino sarebbe stato segno di contraddizione.

Il Vangelo, la persona di Gesù non sono innocui, anzi, guai a

chi li rende tali: è il peggior tradimento che si possa fare alla

Parola.

San Marco raccoglie ben cinque „controversie‟ o opposizioni a

Gesù.

Domenica scorsa abbiamo visto gli scribi che non solo non

riconoscono in Gesù il Messia, ma non riescono neanche a

comprendere una guarigione e una liberazione dal peccato e

accusano Gesù di essere un bestemmiatore.

Nel Vangelo di oggi vediamo persone per bene, come i

discepoli di Giovanni e i farisei, scandalizzati per il

comportamento dei discepoli di Gesù che non sono troppo

„seriosi‟ e soprattutto non digiunano.

Prima di addentrarci a cercar di cogliere ciò che Gesù vuole

dirci oggi con questa pagina, è bene cercar di capire qualcosa di

più sul digiuno in quanto, anche noi, tra non più di due

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settimane, con l‟inizio della Quaresima ci sentiremo proporre

come opere penitenziali, insieme alla preghiera e all‟elemosina,

proprio il digiuno.

Nella legge ebraica era prescritto un solo digiuno, quello del

giorno dell‟Espiazione come segno di pentimento e di richiesta

di perdono. Potevano poi essere fatti digiuni come segno di

partecipazione davanti a qualche evento luttuoso o per

prepararsi a qualche festa. Probabilmente i discepoli di

Giovanni digiunavano perché il loro maestro era stato arrestato

o ucciso. I Farisei, invece, quali splendidi eroi della loro

religione, con la solita esagerazione degli esaltati, digiunavano

due volte alla settimana.

A queste persone „affamate‟ sta stretto vedere altri che fanno

festa, ai volti emaciati fanno scandalo i volti gioiosi.

Che cosa risponde Gesù? Rifacendosi alla tradizione ebraica

che vedeva (lo abbiamo anche sentito nella prima lettura) la

venuta del Messia come compimento dello sposalizio definitivo

tra Dio e il suo popolo, dice che “finché c‟è lo sposo non si può

digiunare”. Afferma dunque la sua messianicità nel pieno senso

dell‟Antico Testamento: la venuta del Messia è la gioia più

profonda del popolo. I discepoli digiuneranno quando Gesù sarà

morto. Ma questo durerà solo tre giorni perché poi lo sposo

risorge.

Ed anche adesso “lo sposo non ci è tolto” perché Gesù ci ha

assicurato: “Io sono con voi tutti i giorni”, “Dove due o tre sono

riuniti nel mio nome Io sono in mezzo a loro”, “Questo è il mio

corpo… Fate questo in memoria di me”, “Io ho fame e tu mi dai

da mangiare…”. Possiamo allora essere nella tristezza? Certo,

cose tristi e difficili nella vita ce ne sono tante, ma lo sposo è

con noi, ci parla di speranza, di giustizia, di verità, di

risurrezione, di vita, la sua mano è su di noi per darci il

perdono, la sua croce ci dà forza nelle prove, la sua parola è

nuova tutti i giorni!

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E il digiuno? Permettetemi una battuta che poi cercherò di

spiegare; il digiuno lasciamolo fare a chi vuol fare la dieta

dimagrante! Non nel senso che il digiuno non possa avere una

valenza religiosa, ma nel senso che se diventa tristezza, ascesi

fatta per dovere, per comprarci Dio, o, peggio ancora, per farsi

vedere dagli altri, è meglio mangiare in santa pace. Certo, se

digiuni volontariamente per far parte delle tue cose, per

condividerle con chi è obbligato al digiuno quotidiano, fai bene;

se digiuni per aiutarti a capire che il fine di tutto non è solo la

soddisfazione materiale di tutti i piaceri, può essere utile per te,

se no, che piacere può fare a Dio vedere uno soffrire la fame

quando Lui stesso ci ha dato la natura con tutti i suoi doni?

E‟ ora di smetterla con certa religiosità che fa consistere la

bontà o meno di una vita a seconda della sofferenza che uno ha

patito.

E‟ ora di smetterla di dipingere Dio come un sadico che si

accontenta e si placa solo quando vede le sofferenze dei suoi

figli. E‟ ora di smetterla con una religione cupa, piatta, pesante

e pedante, con una predicazione fatta di dito sempre puntato

contro tutto e tutti, di spauracchi e di punizioni imminenti, con

celebrazioni ripetitive, non convinte, non partecipate ma vissute

solo per “obbligo”.

E‟ ora di riscoprire un Chiesa come luogo di misericordia e di

umanità.

E‟ ora di sentirci proporre il Cristianesimo come gioia e non

come somma di decreti, pratiche, osservanze, codici, statuti.

E‟ ora di riscoprire la dignità e la priorità di una coscienza

informata e formata che guida alla libertà (avete sentito San

Paolo: “La lettera uccide, lo Spirito dà vita”).

E‟ ora di riscoprire il proprio ruolo non semplicemente di

sudditanza in una ben congegnata piramide di poteri religiosi.

Ecco la novità di Cristo, il vino spumeggiante che se non stai

attento manda in frantumi le vecchie botti sgangherate che a

mala pena possono andare bene per l‟aceto.

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Anche oggi c‟è gente che digiuna invece di mangiare, che

mastica parole e parole e non sa gustare con semplicità la gioia

del banchetto di Cristo.

Sovente, in parrocchia, facevo questa esperienza. Mentre

magari venivano lette pagine meravigliose della Bibbia in cui si

parla di liberazione, di perdono, dall‟alto dell‟altare lasciavo

che il mio sguardo incontrasse il volto dei fedeli. Conoscendoli

quasi uno per uno sapevo che c‟erano volti segnati da

sofferenze e dolore e li rispettavo, ma quanti altri volti amorfi,

tristi, spesso gente chiusa in se stessa, o credenti che pensano

che per essere tali bisogna essere sempre ingessati in un volto

serio e triste.

Dov‟è la novità di Cristo? Sembra che non solo non si sia

cercato di cucire una toppa nuova sul vestito vecchio, ma che si

ami proprio il vestito logoro, cercando magari di rivoltarlo con

penosi risultati. E che dire poi, di quelli che per moda religiosa,

si mascherano di nuovo, ma tengono ben stretto il vestito

vecchio? Mi han sempre fatto difficoltà preti e laici che si

rivestono di giovanilismi, che si riempiono la bocca delle ultime

teologie senza conoscerle e approfondirle, che a parole sono

rivoluzionari e che poi scopri untuosi con il potere, incapaci di

accoglienza e di perdono, vecchi di mentalità e il vecchio non

può avanzare la pretesa di utilizzare qualche scampolo di novità

per mascherare le crepe e assicurarsi un po„ di sopravvivenza.

La novità del Cristo comporta una mentalità nuova. A questo

dobbiamo convertirci. Le vecchie strade non servono più.

Ce lo siamo già detti tante volte ma domandiamocelo ancora: se

un non credente vedesse la mia faccia e il mio operare in tutte le

situazioni belle e brutte della mia vita, scoprirebbe il vuoto

assoluto, la maschera della tradizione o il volto vero di Cristo?

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LUNEDI’ 28

Sant’Osvaldo di Worcester; San Romano di Condat

Parola di Dio: 1Pt. 1,3-9; Sal.110; Mc.10,17-27

“ALLORA GESU‟, FISSATOLO, LO AMO‟.” (Mc.10,21)

C‟è tutto un linguaggio degli occhi.

Un‟occhiata seria e di rimprovero può mettere sull‟avviso un

bambino che sta per combinarne qualcuna. Una semplice

occhiata di intesa può far mettere d‟accordo due nel compiere

un‟azione. Ci sono occhiate cariche di odio che ti trafiggono,

occhi che esprimono gioia, nostalgia, stanchezza, solitudine…

Gesù parlava molto con gli occhi. I suoi occhi vedono e

leggono il segreto dei suoi interlocutori, i suoi occhi si

inumidiscono di pianto davanti al dolore di Marta e Maria per la

morte del loro fratello Lazzaro, Gesù lascia che il suo sguardo

colga il gesto quasi furtivo di quella vedova che offre le sue

monetine nel tempio, si pone compassionevole sulle folle che

sono come pecore senza pastore.

Anche davanti all‟uomo del Vangelo di oggi, lo sguardo di

Gesù, compiaciuto, diventa uno sguardo di amore.

Mi chiedo: ma quando quell‟uomo se ne va, triste, perché è

molto ricco e non ha il coraggio di liberarsi delle sue ricchezze

per poter venire libero a seguire Gesù, lo sguardo di Gesù su di

lui sarà mutato?

Io penso di no! Quello sguardo, quell‟uomo, se lo è portato

dietro per tutta la vita. Quell‟amore non lo avrà più

abbandonato, forse sarà diventato rimorso, richiamo, nostalgia.

Lo sguardo di Gesù si posa su ciascuno di noi e, anche se in

certi casi potrebbe esserlo, non è mai uno sguardo di condanna,

ma sempre d‟amore, di incoraggiamento, di fiducia, di

speranza. Non è lo sguardo scrutatore di chi cerca gli errori per

punirli, ma lo sguardo serio e dolce di chi ci invita a seguirlo,

non è lo sguardo di chi si impone, ma di chi si propone.

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Lasciamoci conquistare da questo sguardo, di chi ci ha già

consegnato la propria vita e che vuole accoglierci nel suo cuore.

MARTEDI’ 29

Beata Antonia di Firenze

Parola di Dio: 1Pt. 1,10-16; Sal. 97; Mc.10,28-31

“NON C‟E‟ NESSUNO CHE ABBIA LASCIATO CASA, O

FRATELLI, O SORELLE… CHE NON RICEVA CENTO

VOLTE TANTO.” (Mc. 10,29-30)

Adriana Zarri, in un libro che nel titolo si rifà proprio al brano

evangelico di ieri e di oggi: “ E‟ più facile che un cammello…”,

commenta così:

“Come sarà, Signore, questo centuplo?

So bene che certi miei fratelli sovrannaturalisti lo immaginano

tutto fatto di spirito e di grazia, perché la “natura” li spaventa e

con la materia non vogliono avere a che fare per non sporcarsi

le mani.

Ma io le mani le ho già sporche: sono, esse stesse, sporcizia

perché sono materia; e io le amo così, tu le hai amate così e così

le hai volute indossare, quando indossasti carne umana. Io non

ho paura della carne, del suo calore, del suo amore, fatto anche

di brividi terrestri.

E non penso che tu voglia distruggerla e cancellare il dono che

ci hai fatto, all‟inizio dei secoli, quando ti sporcasti le mani

anche tu, con questa nostra terra (e che altro significa quel

simbolo delle tue mani che impastano il creato e modellano

l‟uomo con la creta, se non il tuo maneggiare senza tema la

materia terrestre?).

No, non penso, Signore, che la restituzione sia tutta in monete

celesti: in virtù, in grazia, in gloria eterna. Sì, certo, anche,

soprattutto ma non soltanto.

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Tu ci darai, Signore, la stessa moneta; e se ti abbiamo

sacrificato un affetto, ci restituirai quell‟affetto; se ti abbiamo

dato una casa, ci renderai quella casa, con i quadretti alle pareti

e i vasi di gerani alle finestre. Magari non ci saranno quei muri,

ma sarà quella dimensione, quella possibilità, quella libertà di

poterla riavere e riabitare. Saranno quei gerani che abbiamo

sacrificato alla nostra libertà e all‟amore esclusivo per te a

fiorire per sempre: nell‟eterno e in questi nostri giorni.”

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55

Cuore divino di Gesù, io ti offro per mezzo del Cuore

Immacolato di Maria, madre della Chiesa, in unione al

Sacrificio eucaristico, le preghiere e le azioni, le gioie e le

sofferenze di questo giorno: in riparazione dei peccati, per

la salvezza di tutti gli uomini, nella grazia dello Spirito

Santo, a gloria del divin Padre.

In particolare:

Perché le comunità cristiane siano terreno adatto ed

accogliente per tutte le vocazioni di speciale

consacrazione.

Perché i pellegrini che visiteranno Roma,

Gerusalemme e altri luoghi di spiritualità cristiana, si

facciano messaggeri dei Vangelo del- la speranza per

gli uomini dei nostro tempo.

Perché gli infermi, unendo le loro sofferenze a quelle

di Cristo Redentore, possano sperimentare la forza e la

consolazione dello Spirito e la solidarietà dei fratelli.

Cuore di Gesù, fa' che la trasparenza di vita dei tuoi

ministri sia offerta gradita al Padre.