Fatto a Mano

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Fatto a mano Fatto a mano Reportage dalla provincia di Ravenna al seguito della più antica tradizione dell’artigianato artistico e tipico. Quattro percorsi seguendo i quali si scopre che la raffinata arte decorativa dei ceramisti di Faenza si incrocia con lo splendore delle tessere sapientemente lavorate dai mosaicisti di Ravenna, che nelle botteghe degli stampatori romagnoli si mantiene viva la tipica stampa a ruggine e dovunque, dall’Appennino alla costa, dal lavoro di mani sapienti e instancabili nascono opere uniche, di ferro o di legno, create ricamando su tessuti antichi o intessute con erbe di palude, ma anche incise sui metalli preziosi. Il testo offre spunti di approfondimento, suggerimenti bibliografici, notizie utili sulle località toccate dai percorsi e sugli eventi dedicati all’artigianato. fatto a mano Maestri e luoghi dell’artigianato artistico e tipico nella provincia di Ravenna Camera di Commercio della Provincia di Ravenna Ravenna intorno, Verde, Azzurro, Oro

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Reportage al seguito della più antica tradizione dell’artigianato artistico e tipico: raffinata ceramica, splendido mosaico, intramontabile stampa su tela,e artigianati minori che vanno dalla lavorazione di ferro e legno al ricamo all’intreccio di erbe palustri.

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Fatto a mano

Reportage dalla provincia di Ravenna al seguito della più

antica tradizione dell’artigianato artistico e tipico.

Quattro percorsi seguendo i quali si scopre che la raffinata

arte decorativa dei ceramisti di Faenza si incrocia con lo splendore

delle tessere sapientemente lavorate dai mosaicisti di Ravenna,

che nelle botteghe degli stampatori romagnoli si mantiene viva

la tipica stampa a ruggine e dovunque, dall’Appennino alla costa,

dal lavoro di mani sapienti e instancabili nascono opere uniche,

di ferro o di legno, create ricamando su tessuti antichi o intessute

con erbe di palude, ma anche incise sui metalli preziosi.

Il testo offre spunti di approfondimento, suggerimenti

bibliografici, notizie utili sulle località toccate dai percorsi e sugli

eventi dedicati all’artigianato. fatto a manoMaestri e luoghi dell’artigianato artistico e tipiconella provincia di Ravenna

Camera di Commerciodella Provincia di Ravenna

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Fatto a mano

Pubblicazione

a cura

dell’Assessorato

al Turismo

della Provincia

di Ravenna

e della Camera

di Commercio

della Provincia

di Ravenna

Coordinamento

editoriale

Set Studio

di Giovanni e Laura

Vestrucci

Comitato editoriale

CCIAA

CNA

Confartigianato

Provincia di Ravenna

Progetto grafico

Agenzia Image

Art direction

Massimo Casamenti

Impaginazione

Alice Lucci

Coordinamento

Tiziano Fiorini

Stampa

Grafiche MDM, Forlì

gennaio 2004

Unione Europea

RepubblicaItaliana

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Presentazione

Prosegue e si consolida con questa Guida l’intensacollaborazione fra la Camera di Commercio e la Provinciadi Ravenna. Nel caso specifico viene posta una nuova tessera nel complesso lavoro di valorizzazione dell’offertaintegrata del territorio.

Qui è di scena l’artigianato artistico (mosaico, cera-mica, tela stampata, preziosi, artigianato della fantasia,ecc.) che ci prende per mano alla riscoperta dei labora-tori divenuti anche occasione per rivisitare le nostre tra-dizioni, la nostra cultura, i nostri valori, anche nella lorovalenza sotto il profilo turistico.

Ringraziamo le Associazioni artigiane Confartigianatoe CNA che, dopo aver proposto l’iniziativa, ci hanno assi-stito nella sua realizzazione.Grazie anche all’autrice, Laura Vestrucci, per l’intelligentecreatività con cui ha realizzato la Guida.

Francesco Giangrandi Gianfranco BessiPresidente della Provincia Presidente della CCIAAdi Ravenna di Ravenna

Questo viaggio all’interno delle botteghe artigianerappresenta la “certificazione di qualità” dell’artigianatodella nostra terra. Straordinario è il risultato che scaturi-sce dalla fusione tra la materia sulla quale operano i Maestri artigiani e la genialità con cui essi esprimono la loro manualità. La CNA e la Confartigianato sono gratealla Camera di Commercio e alla Provincia di Ravenna peravere accolto la proposta di realizzare questa pubblica-zione ed esprimono il loro apprezzamento a LauraVestrucci, autrice di grande rigore ed al tempo stessoemotivamente coinvolta. Il ringraziamento più sincero va,infine, a tutti gli artigiani. Essi rappresentano una testi-monianza diretta e indiretta di qual è stato il camminodell’uomo verso la civiltà ed a tutt’oggi costituiscono un solido elemento su cui può poggiare l’economia e la società moderna.

Riccardo Ferrucci Lorenzo TarroniPresidente provinciale Presidente provinciale CNA Confartigianato

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Fattoa mano

Progetto narrativo e testo:Laura Vestrucci

“ [...] Un creatore può fare solo una cosa, può solo continuare, ecco quello che può fare.”

(da “Picasso” di Gertrude Stein, Adelphi)

Camera di Commerciodella Provincia di Ravenna

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Indice

Introduzione

Cartografia

Capitolo PrimoRavenna, di mosaico vestita

Capitolo SecondoPassaggio a Faenza

Capitolo TerzoUna ruggine da non perdere

Capitolo QuartoMemoria d’antico

AppendiceLuoghi da vedereEventi e sagre

Bibliografia

5

6, 7

8, 9

34, 35

66, 67

82, 83

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Introduzione

Fatto a mano. È una precisazione che aleggia intornoall’artigiano; nessuna conversazione con lui termina primache questo inciso, a mo’ di attributo, venga pronunciato.

La mano distingue il lavoro, gli attribuisce un valore,quasi un marchio di qualità, esorcizza le nostre paure dimassificazione del desiderio di bellezza e di bontà. Ciò cheè bello e buono deve essere fatto a mano.

L’uomo artigiano, però, non separa la mano dall’idea,anche il più fedele osservante dei canoni di una qualchetradizione di manifattura non ammetterà mai che la suamano abbia eseguito senza creare. La fisiologia stessa delcorpo umano può sostenere questa stretta adesione dellamano alla mente che crea.

Fatto a mano. E siamo anche risospinti indietro, finoall’infanzia dell’umanità e alla nostra stessa, quando ogniconquista si è ottenuta grazie alla manipolazione di qual-che materia e oggetto. Un flashback addirittura inevitabilequando il manufatto ci viene presentato con un pedigree di ineccepibile valore storico. Ma subito, e senza nostalgie,ritorniamo al nostro tempo, difficile, complesso, eppureaffascinante, se è vero che oggi si può ancora parlare conpersone orgogliose del loro lavoro fatto a mano.

Mi ha colpito, come una freccia lanciata durante unabreve intervista, rilasciata in occasione delle sfilate di altamoda parigina, nella stagione autunnale 2002, la riflessionedello stilista Christian Lacroix sulla mano, intesa come veicolo di modernità nella creazione artistica.

Questo reportage lo conferma, ed è esso stesso unapagina aperta sulla modernità dei mestieri più antichi dell’uomo.

Laura Vestrucci

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Massa Lombarda

Castel Bolognese

Faenza

Riolo Terme

Villa Vezzano

Brisighella

Casola Valsenio

San Martino

Ferrara

Bologna

Firen

ze

Bagnara di Romagna

Conselice

Solarolo

Sant’Agata sul Sa

> Simbologia della cartina:

mosaico

ceramica

tele stampate

artigianato minore

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Piangipane

Ravenna

Sant’Alberto

S. Stefano

S. Zaccaria

Castiglione Cervia

Villanova

Alfonsine

Mezzano

Russi

Lugo

Fusignano

Bagnacavallo

Cotignola

Gambettola

Venezia

Cese

natic

oRi

min

i

nterno

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Ravenna,di mosaicovestitaGuida ai laboratori del mosaicoin provincia di Ravenna

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Ravenna,di mosaico vestitaGuida ai laboratori del mosaicoin provincia di Ravenna

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Si viene a Ravenna almeno una volta nella vita e daogni parte del mondo. A Ravenna, come a Parigi, come a Londra, come a Roma. Si viene richiamati dal fascino dipresenze inequivocabilmente uniche. Sono le decorazionimusive conservate nelle basiliche e nei mausolei, in alto,sopra gli altari, sulle pareti absidali e nei perimetri geome-trici delle dimore tombali. Si viene e si guarda, il capo alzatoverso le volte e le cervici impegnate in semirotazioni. Si guarda e si ascolta la competente parola della guida che racconta, spiega, rivela. Oppure, si guarda e si legge la dettagliata descrizione delle guide cartacee.

Durante il tour ci accompagna la discreta, ma costantepresenza dei souvenir shop che sono per il turista come unsegno distintivo del luogo, meta di flussi turistici di notevoleintensità. E, senza l’affanno di accalcarsi nei quartieri piùfrequentati come tappe del tour, incontriamo i laboratori di riproduzione degli antichi mosaici bizantini o di realizza-zione di mosaici moderni che ci offrono l’incontro ravvicinatocon i mosaicisti, artigiani e artisti, maestri e discepoli.

Se, spinti dal desiderio di portare via con noi un ricordodelle meraviglie basilicali, vorremo acquistare una tavolettamusiva realizzata dalla mano esperta del mosaicista, saràpossibile, anche, domandargli ragione artistica del suolavoro che conserva il segreto del rapporto tra i materiali,

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> µουσειον:

la derivazione del

termine mosaico ha

suscitato gli interessi

di numerosi studiosi

(A.Furietti,M.Grapaldo,

G.Scaligero,G.G.Voss):

c’è chi cita di aver tro-

vato scritto museum,

chi riporta musiacum,

chi museacum, altri

mosiacum. E c’è chi

vi ha visto la radice

di un vocabolo semita,

soprattutto quando

la parola viene usata

come aggettivo e

potrebbe legarsi al

termine semita “Mosè”,

quindi “pertinente a

Mosè”. (Ipotesi presen-

tate ne “Il Mosaico”

di I. F. Roncuzzi,

Ed. Longo)

le tecniche del loro utilizzo e la luce che, infiltrandosi tra gli alabastri nei siti originali, permette ancora il miracolodella bellezza senza tempo.

Si può a ragione definire “senza tempo” la bellezzadelle opere musive in virtù dei materiali difficilmente cor-ruttibili che le costituiscono. Una sorta di eterna pittura,opera delle Muse come ci suggerisce l’etimologia dellaparola se si ritiene di farla risalire al greco µουσειον.

Se, tuttavia, il mosaico si sviluppò in tempi più lunghirispetto alla pittura vera e propria, dobbiamo forse accettarecome motivazione la difficile reperibilità dei materiali dibase. Inoltre la preparazione tecnica del mosaicista erauna condizione di partenza per il risultato finale che eralegato non solo alla scelta dei materiali adatti all’opera, maanche alla preparazione del fondo su cui le diverse tessereavrebbero trovato dimora definitiva.

La tessera fu sempre un elemento primario della com-posizione, un modulo riproducibile in dimensioni impreve-dibilmente diverse, visto che si giunse a collocarne anchesessantatre nello spazio di un centimetro quadrato (comenell’opus vermiculatum realizzato nelle più belle villeromane). Tra una tessera e l’altra l’interstizio aveva la fun-zione di collegare ogni singola unità nel contesto globale,era una sorta di facilitatore del risultato finale. Ma il fondosul quale si giocava la partita tra tessera e interstizio eraaddirittura il protagonista della creazione musiva. La suacomposizione, infatti, avrebbe determinato la tenuta delmosaico nel tempo. L’impresa di portare un mosaico aparete, un mosaico come quelli parietali che ancora oggiammiriamo nelle basiliche ravennati, richiede un fondofatto ad arte.

A Ravenna, a Firenze, a Roma furono diversi i tentativie le soluzioni per ottenere un valido e duraturo sostegno ai mosaici.

Gli impasti classici o empiricamentecreati, i leganti e i chiodi di rame o dibronzo, ma anche di ferro e fili di ferrointrecciati a reticolato ebbero, e hannotuttora, la funzione di trattenere lacomposizione musiva, di fissarla allepareti a tempo indeterminato.

E bisogna aggiungere che i mosaicidi Ravenna sono assai diversi da quellidi Venezia o di Roma. Nelle chiese enei palazzi della Serenissima e dellaCapitale i mosaici risultano lisci e piatti

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per effetto delle tessere usate quasi uniformi e molto rego-lari. Nel mosaico ravennate, invece, le tessere hanno ciascuna una forma diversa e vengono collocate con incli-nazioni e profondità variabili. La superficie risulta, così, scabrosa e ruvida, tale da trattenere o riflettere la lucesecondo la posizione dell’osservatore, comunque ribassatarispetto alle pareti absidali o basilicali. Un’attenta osserva-zione, possiamo chiamarla studio, dei mosaici ravennatidurante i restauri ha consentito di constatare come nei variperiodi di epoca bizantina le tessere fossero diverse performa e spessore secondo l’idea architettonica che guidavail loro utilizzo. Se nel periodo di Teodorico le scene e lefigure vengono progettate per coprire grandi superfici essesono però come contenute in uno spazio definito e l’esecu-zione del mosaico risulta molto curata e raffinata, in primisnel taglio dei materiali, smalti e ori, che vengono tagliatispesso a cuneo e smussati per reagire meglio all’accosta-mento. Il re Teodorico era, poi, assai esigente e voleva eglistesso conoscere i particolari più tecnici dell’esecuzione.

Di certo gli artisti all’opera per sua commissione eranostimolati a dare il meglio di sé. E ci sono ancora particolaririntracciabili come totalmente autentici del loro lavoro in monumenti come la bellissima Sant’Apollinare Nuovo.

“Qui, ad esempio, in un particolare della lunetta sopra

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> Tessere d’oro:

si legge nel testo di

Isotta Fiorentini

Roncuzzi “Il Mosaico,

materiali e tecniche

dalle origini a oggi”,

Ed.Longo, Ravenna

1990: “... i maestri

vetrai bizantini applica-

vano sopra una lastra

di vetro di un certo

spessore, detta sup-

porto, dopo averla inu-

midita leggermente, la

foglia metallica d’oro.

Sopra di essa distende-

vano un sottile strato

di vetro polverizzato e

rimettevano nel forno.

Al calore la polvere di

vetro formava una sot-

tile pellicola vetrosa

detta cartellina che pro-

teggeva l’oro. La cartel-

lina non risultava abba-

stanza trasparente, non

si univa completamente

al supporto, non era

uniforme in ogni punto.

Si staccava facilmente

lasciando la foglia oro

allo scoperto. L’unico

pregio era la non

uniformità. È questa la

caratteristica principale

dell’oro bizantino.”

la porta di Ravenna – spiega la professoressa IsottaFiorentini Roncuzzi – possiamo riconoscere la mano delmosaicista che vi lavorò direttamente creando l’opera digetto e in un solo tempo, su un disegno che era rappresen-tato nella sua mente come idea trasferita direttamentesulla superficie: un’idea di luce, di colore, di trasparenza e di opacità per un risultato di profondità prospettica.”

Quando, all’epoca di Giustiniano, le decorazioni musivediventano addirittura monumentali, inserite in uno spazioarchitettonico che dilata sapientemente lo spazio, il lavorodel mosaicista assume la responsabilità di ricoprire spazienormi ed egli è consapevole di dover operare per soddi-sfare un punto di osservazione assai lontano e ribassatorispetto alla superficie su cui realizza l’opera musiva.

La tessera perde il gusto per la forma che aveva carat-terizzato altri periodi, è di taglio più grossolano, ha dimen-sione maggiore. Non è, qui, importante la definizione delle forme, perché esse quasi si dissolvono nella distanzae nella monumentalità del contesto basilicale, e assistiamoal trionfo delle sfumature di colori e dei fondi dorati.

Essi, costituiti con tessere d’oro ottenute con unsapiente dosaggio dei componenti chimici della fogliametallica, impegnano il mosaicista a risolvere non pochiproblemi come quello del rapporto occhio-visione, in sequela di rigorose leggi fisiche. Bisognava evitare il fenomeno dell’abbagliamento diminuendo la riflettivitàdella superficie d’oro e, nel contempo, si doveva annullarel’effetto uniforme della tonalità. L’abilità del mosaicista si esprimeva anche in sapienti passaggi di zone prive delmetallo dorato collocate proprio al limite di alcune figurequasi a creare una linea continua incolore che attenuaval’effetto della luce riflessa dall’oro e definiva meglio lavisione del disegno. Ma le tessere dorate avevano anche la funzione di sottolineare l’importanza di un particolare, di un volto, di un edificio. Un esempio per tutti può essere la rappresentazione a mosaico della “Gerusalemme celeste”,

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la “città d’oro” che l’Evangelista Giovanni descrive nel librodell’Apocalisse e che possiamo ammirare nella basilica di San Vitale a Ravenna.

Le succinte note, quasi pennellate, che fin qui hannovoluto introdurci a qualche segreto dell’arte musiva sonouno stimolo ad intraprendere il percorso vero e proprioattraverso l’opera dei maestri mosaicisti che nella città di Ravenna vivono e operano esportando il frutto della pro-pria sapienza un po’ ovunque nel mondo. I mosaici parieta-li nelle basiliche e nei monumenti costruiti in epoca teodo-riciana e bizantina sono il giacimento al quale la città haattinto vigore portando motivo ad una schiera di giovani di studiare l’arte del mosaico e di protrarre il tempo dellaformazione artistica dilatandola fino a diventare la sceltaprofessionale definitiva.

Si è creato, dagli anni ’50 del Novecento ad oggi, un flusso quasi ininterrotto di relazioni tra docenti e allievi,con scambi e collaborazioni attraverso le scuole che hannoassolto il compito di trasmettere i fondamenti della cono-scenza del giacimento musivo. E dalle scuole senza solu-zione di continuità si giunge ai laboratori, luoghi spessoriposti, così bene integrati nell’edilizia urbana residenzialeche non è sempre facile individuarli tra le altre postazioni

professionali. Ma c’è anche chi ha scelto di

allontanarsi dal centro introducendol’attività di composizione del mosaiconelle aree dedicate agli artigianati chesi avvicinano al limite che li separadalla produzione seriale. Assai spessoquesto accade per risolvere problemidi spazio: il capannone artigianaledelle nostre periferie è una strutturache consente al mosaicista di impe-gnarsi anche nella realizzazione digrandi opere.

In un loft artigianale ho incontratoil mosaicista Liborio Puglisi, originariodi Enna e approdato a Ravenna nel1968 grazie ad una borsa di studio per il restauro del mosaico per il qualeaveva già frequentato tre anni di scuo-la nella sua città. Dopo un periodo di attività svolta nella centrale viaCavour, Puglisi ha deciso di separare il laboratorio, dove egli realizza siariproduzioni delle famose scene della

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15tradizione bizantina sia soggetti nuovi da lui ideati, dalnegozio, in viale Baracca n. 5. Nel laboratorio, situato ora in via Faentina n. 218/x, il mosaicista tiene anche corsi dimosaico sia professionali sia per appassionati dell’arte. I gruppi di turisti che vogliono una dimostrazione del proce-dimento di costruzione del mosaico possono ottenerla pren-dendo un appuntamento telefonico. Di Puglisi dobbiamosegnalare l’ideazione di un kit per il mosaicista hobbista.

Tra le sue opere di recente realizzazione, la rotondarealizzata a Riccione nel 1999 è incentrata sulla simbologiadei quattro elementi materiali, aria, acqua, terra e fuoco.

Per associazione di provenienza dell’artista artigiano,possiamo spostarci nel centro città e precisamente in via di Roma, al n. 30/a, dove ha sede lo studio laboratorio di un altro siciliano trapiantato a fare mosaici a Ravenna.Enzo Scianna, di Palermo, si trasferì a Ravenna negli anni’70 del Novecento, proveniente dall’esperienza della pitturae da un tour che lo condusse in molte regioni italiane e inpaesi europei. A Ravenna ha poi sviluppato la sua passioneper il mosaico al punto da lasciare la pittura. Ma di essarestano, forse, tracce nelle sue opere che si distinguonoper la forza espressiva. Nell’esposizione, che precede il locale laboratorio in via di Roma, si trovano proposte

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> Cooperativa

Mosaicisti

di Ravenna:

le origini si fanno

risalire all’anno 1924

quando venne istituita

la Scuola del Mosaico

dell’Accademia di

Belle Arti di Ravenna

per desiderio e grazie

all’impegno del diret-

tore V. Guaccimanni.

Nel primo dopoguerra

la scuola, premuta da

numerose commesse

esterne, riconobbe

di non avere le risorse

umane per fronteg-

giarle, sicché si costi-

tuì il Gruppo Mosaicisti

dell’Accademia delle

Belle Arti che ebbe

come direttore il

Salietti. La convenzione

tra scuola e bottega

prevedeva che fossero

assunti solo studenti

provenienti dalla

stessa Accademia.

Successivamente,

nel 1976, la bottega si

slegò dall’Accademia

e si costituì l’attuale

Cooperativa.

di arredo, mosaici moderni spesso incollaborazione con artisti contempora-nei e non mancano le riproduzioni deifamosi temi della tradizione bizantina.

Rimaniamo su questo argomento,ovvero la riproduzione dei grandimosaici del passato conservati aRavenna e per approfondirlo restiamonell’area urbana del centro storicodove lavorano mosaicisti che si distin-guono anche per la realizzazione di copie. Dire – anche – non è privo

di importanza, perché tra tutti coloro che dedicano la loroprofessionalità al mosaico è difficile trovare chi non abbia,in qualche modo e dopo il periodo della propria formazione,rivolto la propria attenzione al patrimonio conservato tra le mura monumentali. Allo stesso modo si può affermare il contrario, perché è altrettanto difficile trovare chi nonabbia in qualche misura tentato la strada della ricerca per-sonale, realizzando una produzione artistica originale forsemeno nota di quella riproduttiva.

Le due anime del mosaicista, quella artigianale e quellaartistica, in definitiva sempre convivono e possono alterna-tivamente ottenere visibilità attraverso le scelte che ilmosaicista stesso opera durante il proprio curriculum.

Abbiamo un esempio di questo nell’incontro con laCooperativa Mosaicisti di Ravenna che ha sede in viaFiandrini, nel basso edificio che fronteggia l’ingresso all’area monumentale di San Vitale.

Questa, presso la Cooperativa, è una tappa da preve-dere e da prenotare per ottenere anche notizie di interessestorico che l’attuale presidente, Marco Santi, può docu-mentare.

Le realizzazioni curate dai mosaicisti soci dell’attualecooperativa esprimono tre fondamentali direttrici che nel settore possono essere separatamente seguite, ma qui,grazie alle diverse competenze della equipe, convivonoegregiamente: la fattura di copia dei mosaici bizantini con-servati in Ravenna, la creazione di mosaici moderni, su cartoni di artisti, il restauro eseguito in diverse località italiane ed estere. Le copie o riproduzioni degli originalieseguite dalla Cooperativa Mosaicisti, così come quelleche ogni altro mosaicista esegue nel suo laboratorio,hanno il grande merito di far conoscere il patrimonio divalore inestimabile fuori dai confini municipali. Sebbene da numerosi decenni il mondo si sia mosso verso Ravennaper conoscere il giacimento musivo, tuttavia è stato grande

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il contributo dei mosaicisti esecutori delle copie per incre-mentare questa conoscenza. L’iniziativa che le riassumetutte è quella che portò all’organizzazione di una veramostra itinerante agli inizi degli anni ’50 del Novecento,composta da 200 copie di mosaici ravennati eseguiti dallastessa Cooperativa Mosaicisti.

La Cooperativa Mosaicisti vanta anche una autorevoleesperienza nell’esecuzione del cosiddetto “mosaicomoderno” cosa resa possibile dalla capacità di creare unlegame tra la tradizione e il modernismo pittorico. Le operenate da questa esperienza si sono avvalse della collabora-zione con artisti di chiara fama come Chagall, Guttuso,Campigli, Severini e altri dei quali si sono tradotti in mosaicoi cosiddetti “cartoni” privilegiando sempre la scelta deimateriali della tradizione e le tecniche rigorosamente artistico-artigianali. Siamo giunti così alla sezione di atti-

> Mostra itinerante: la collezione delle copie dei mosaici antichi fu prodotta all’inizio degli anni ’50 su iniziativa del Prof. Giuseppe Bovini e con il patrocinio del Rotary Club e della locale Azienda di Soggiorno e Turismo, per promuovere nel mondo la conoscenza di Ravenna e del suopatrimonio musivo.Esecuzione della copia: di ogni pezzo fu eseguito il disegno esatto e com-pleto dei contorni su di un lucido trasparente, applicato ai mosaici originali.In secondo luogo si fece la campionatura di tutti i colori, diversamentegraduati, e si ordinarono presso le Vetrerie di Murano le piastre vetroseche, dopo il taglio manuale, avrebbero dato un numero considerevole di tessere.Il metodo di esecuzione del mosaico era detto “diretto su base provvisoria”(un letto di calce su cui era stampato il lucido) ed era poi strappato, pulitoe ricollocato nella definitiva sistemazione.Il Prof. Giuseppe Bovini scriveva nel 1962: “Questo lavoro non si limita allariproduzione esatta delle singole tessere nei loro contorni e nei loro tonicromatici, ma si estende anche al rendimento della originaria inclinazionee profondità che impresse loro il pollice degli antichi “magistri musivari”.

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vità dedicata al restauro del mosaico che impegnò laCooperativa già dal periodo postbellico nell’intento di inter-venire tempestivamente a sanare i mosaici danneggiati daibombardamenti.

All’epoca il restauro era eseguito in modo separatodagli operatori della cooperativa, quasi degli “operai” cheeseguivano il lavoro manuale assistiti, ma sporadicamente,dall’intervento di studiosi come il Bovini che salivano sulleimpalcature, controllavano i lavori e ne traevano spuntoper elaborare qualche pezzo teorico.

Il lavoro del restauro, poi, non era documentato, per cui

> Cartoni: sotto la direzione dell’attuale presidente, Marco Santi, si èrealizzata la trasposizione a mosaico del cartone di Sharir (1995). L’opera,di mt. 4,10 x 18, destinata al Complesso dirigenziale del Shalom MayerTower Ltd di Tel Aviv, raffigura l’intera città di Tel Aviv, con i suoi settori, i mestieri, le istituzioni, i personaggi. L’esecuzione dell’opera ha richiestol’utilizzo di un elevatissimo numero di materiali organici e inorganici, marmi,smalti e ori. E’ in fase di realizzazione il mosaico sui cartoni dell’artista cala-brese Gisa D’Ortona, che opera in stretta collaborazione con il coniuge, lo scultore ed esperto d’arte, Michele di Raco. L’opera verrà collocatanella Chiesa di Santa Lucia a Reggio Calabria e occuperà un’area di 130metri quadrati. La scelta dell’artista è quella di operare secondo le tecnichetradizionali, con tessere tagliate a mano e materiali preziosi.

> Restauro: il restauro eseguito nei primi anni ‘50 dai soci dellaCooperativa Mosaicisti fu guidato dall’Architetto Orlandini dell’Opificiodelle Pietre Dure di Firenze, il quale impostò la tecnica basata sul distaccodella tessitura musiva dalle pareti e la sua ricollocazione in sito dopo averlaliberata dai supporti sottostanti utilizzati dai restauratori precedenti.La tecnica del distacco venne in seguito abbandonata per i mosaici parie-tali per i quali si sono intraprese metodiche di documentazione e di inter-vento che prevedono la collaborazione attiva di ricercatori per supportareanche la scelta dei materiali più idonei al successo dell’intervento. Il CNR-IRTEC di Ravenna è partner della Cooperativa MMosaicisti.

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ne restano solo frammentarie testimonianze, soprattuttoappunti che lo scrupolo degli “operai” di certo appassionatie incuriositi ci ha conservati.

La Cooperativa Mosaicisti svolge corsi per l’apprendi-mento dell’arte del mosaico anche per hobbisti che nevogliano conoscere le tecniche di base. Ci si può rivolgerein via Fiandrini per le iscrizioni. La didattica del mosaico è molto viva in Ravenna e tra i mosaicisti è facile trovarequelli che, come nella Cooperativa, organizzano corsi all’interno del proprio laboratorio.

In genere si tratta di brevi periodi, una settimana o quindici giorni, frequentati principalmente da allievi stranieri. Il fascino del mosaico è molto sentito in paesicome il Giappone o gli Stati Uniti ma anche nelle nazionieuropee come la Germania e la Francia. Per gli hobbisti, il fatto di produrre un oggetto di mosaico e di poterlo con-servare è già una motivazione sufficiente e, comunque,l’esperienza è replicabile.

Ancor più forte sarà la motivazione a frequentare un laboratorio, sotto la guida di un maestro mosaicista,degli studenti regolarmente iscritti ai corsi negli Istitutidi formazione all’arte del mosaico.

Il passaggio dalla fase teorica, seppur appresa dall’inse-gnamento di ottimi docenti e dalla pratica vissuta nei labo-ratori scolastici, all’esperienza diretta nel laboratorio priva-to guidato da un maestro mosaicista, è una prova inelimi-nabile prima di passare alla conduzione di una propria atti-vità nel settore. Tra gli studi-laboratorio che offrono corsi di avviamento e avanzati segnaliamo anche “Belkis” diMarisa Iannucci, in via dei Poggi n. 80, dove le lezioni (dasettembre a maggio, settimane full time o moduli trimestra-li) spaziano dal disegno e dal corso d’arte al corso specificosul mosaico e sulla scultura, che utilizza inserzioni musive.

La mosaicista realizza opere legate all’edilizia e all’archi-tettura sia in edifici pubblici che privati e, seppure in minimaparte, si dedica al tema bizantino.

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> Istituti. A Ravenna si può apprendere l’arte del mosaico nei seguenticorsi istituzionali:

ISTITUTO STATALE D’ARTE PER IL MOSAICO G. SEVERINI

Fondato nel 1959 si è inserito nella città come elemento di continuità conla grande tradizione dell’arte musiva che ha lasciato in eredità a Ravennaopere di valore universale. Qui gli studenti dalla più semplice azione di copisti, diventano loro stessiesecutori di cartoni-progetti personali. Lo studio delle discipline ha l’obiettivo di trasmettere capacità critiche e costruttive che consentano allo studente di destreggiarsi nel continuomoto di trasformazione tecnologica della società.Due corsi: Corso ordinamentale, Corso sperimentale.Corso ordinamentale: durata 3 anni con il conseguimento del Diploma di Maestro d’Arte (il diplomato può intraprendere un lavoro autonomo o inserirsi in industrie e laboratori artigiani o come disegnatore in uffici di enti pubblici). Se si frequenta in seguito il Corso Biennale si consegue la Maturità d’ArteApplicata (3+2) e si può accedere a tutte le facoltà universitarie.Corso sperimentale di “Arte e restauro del mosaico”: durata 5 anni con il conseguimento della Maturità d’Arte applicata Sperimentale. Il diploma di maturità dà accesso a tutte le facoltà universitarie e ad altricorsi superiori (Accademia, Cinematografia, Scenografia, Pubblicità) e consente di inserirsi in industrie o uffici pubblici oltre che svolgere una professione artistica.

ACCADEMIA DI BELLE ARTI

È stato istituito un percorso formativo sul mosaico che risponde alla voca-zione storica della città. Si vuole instaurare un’attività musiva di arredourbano o di intervento espressivo che rispecchi il potenziale di modernitàinsito nell’antichissimo linguaggio dell’arte del mosaico.

CONSORZIO PROVINCIALE PER LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

Corso annuale per mosaicista-progettista: durata 6 mesi. Ore di lezione da 700 a 1.000 (con i migliori mosaicisti ravennati e convalenti tecnici). Stage aziendale 150 ore. Visite guidate in località di inte-

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resse quali Pompei, Aquileia, Tunisia.Discipline: storia del mosaico, disegno e fotografia, rilievi grafici e gestioneinformatizzata delle immagini, chimica e mineralogia dei materiali, marketing e autoimpresa.

SCUOLA-BOTTEGA

Ha sede presso il CPFP ed è stata aperta per volontà del Comune diRavenna, del Centro stesso e con il sostegno di una Fondazione Bancariaper promuovere l’arte del mosaico e il polo ravennate sia a livello dellaqualità della produzione sia a livello turistico e culturale. Ogni anno la scuola bottega intraprende un progetto che spesso si inseriscenel contesto dell’arredo urbano o dell’ architettura civile. Vocazione primaria della scuola bottega è la realizzazione di copie dell’antico repertorio romano, bizantino e medievale (realizzazioni dellaS.B: “Pavimenta”, mostra didattica sulle diverse tipologie del mosaicopavimentale; collezione delle copie dei mosaici di S.Giovanni Evangelista).Corsi estivi settimanali (CISIM): dedicati a principianti sono anche un’occasione di avanzamento e di perfezionamento, presso il CentroInternazionale Studi Insegnamento Mosaico di Lido Adriano. Si tengono anche nel periodo non estivo con un massimo di 8 iscritti per settimana. Le iscrizioni sono accettate se pervengono una settimanaprima di quella scelta per il corso.

SCUOLA PER IL RESTAURO DEL MOSAICO

Gestita dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Ravenna: corso quadriennale (3+1) con frequenza obbligatoria al qualesi accede per pubblico concorso. Il numero annuale degli iscritti è contenuto entro le nove unità, di cui sei cittadini italiani e tre stranieri di età compresa tra i 18 e i 30 anni e con diploma di scuola secondaria superiore (livello corrispondente pergli stranieri).Il bando del concorso viene pubblicato annualmente sulla Gazzetta Ufficiale.Le discipline: storiche, tecniche, chimiche, fisiche, biologiche, della docu-mentazione, della tutela e del restauro dei beni Culturali.Laboratori: del restauro del mosaico, del restauro lapideo, di scagliola,gesso e stucco.

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> Isotta Fiorentini

Roncuzzi:

laureata in Chimica

Industriale a Bologna.

Incaricata del corso

di Chimica del Colore

presso l’Accademia

di Belle Arti di Ravenna.

Incaricata del corso

di Chimica del

Restauro presso la

Soprintendenza

per i Beni Ambientali

e Architettonici

di Ravenna-Ferrara-Forlì.

Docente di Scienze

al Liceo Classico di

Ravenna.

Ha insegnato

all’Accademia di Belle

Arti di San Pietroburgo.

Insegna anche nei corsi

del Consorzio Provinciale

di Formazione

Professionale di

Ravenna e collabora

con il CNR. Interviene

con corsi di lezioni

presso Università

italiane e straniere

e tiene conferenze

in Italia e all’estero.

Ha di recente ceduto

la presidenza dell’AIMC

di cui è attualmente

vice presidente.

La disponibilità del mosaicista ad accogliere nel propriolaboratorio persone nella fase dell’apprendimento o in quella dell’approfondimento è un fattore di salvezzadell’arte, perché mantiene vive quelle relazioni che sono il concime di ogni espressione artistica, relazioni tra maestroe discepolo e tra etnie diverse e logisticamente lontane, maappassionate della stessa forma artistica.

Non è casuale che a Ravenna abbia sede l’AssociazioneInternazionale del Mosaico Contemporaneo, di cui fannoparte 40 paesi, alla cui presidenza è stata per alcunidecenni, e fino a pochi mesi fa, la professoressa IsottaFiorentini Roncuzzi, ravennate, autorità indiscussa nelmondo del mosaico al quale ha dedicato la propria compe-tenza sui materiali grazie agli studi in Chimica Industriale.E ancora lo frequenta con la passione di chi conosce vera-mente tutto ciò che nel mondo si chiama mosaico.

L’incontro con Isotta Fiorentini Roncuzzi presso il Museo della Città dove ha sede l’AIMC (AssociazioneInternazionale del Mosaico Contemporaneo) è l’occasioneper fare un rapido viaggio attraverso la storia dell’artemusiva a Ravenna che si configura come una grande operaancora in fieri, un mosaico essa stessa sul quale si sonoavvicendati gli interventi dei grandi insegnanti e artisti… e scorrono velocemente i nomi di Ines Morigi, Cicognani,Ventura, Brunetti, Signorini e Recchi dai quali hanno appresol’arte i mosaicisti contemporanei di cui andiamo scoprendoqualche segreto in questo tour cittadino.

E mentre ci apprestiamo a ritornare tra le strade diRavenna apprendiamo da Isotta Fiorentini che è in fase di realizzazione il progetto, all’interno del Museo D’Artedella Città, di una sala dedicata al mosaico antico e contem-poraneo con l’utilizzo delle moderne tecnologie che consen-tiranno un excursus multimediale e il collegamento con altrimusei nel mondo.

È un’operazione virtuale, quest’ultima, che rispecchia

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23la dinamica reale della diffusione dell’arte musiva: da Ravenna nel mondo e viceversa.

A conferma di ciò andiamo a conoscere altri protagonisti.Alessandra Caprara conduce uno studio-laboratorio in viaMariani n. 9. Siamo ancora nel centro di Ravenna e non troviamo alcuna vetrina. Un imponente portone di legno,assai diffuso nelle case del centro storico, ci introduce nell’atrio che separa alcuni ambienti al piano terra dove lamosaicista progetta, lavora e tiene corsi di apprendimento.

Dopo gli studi compiuti al Liceo Artistico di Ravenna e proseguiti all’Accademia di Belle Arti, Alessandra Capraraha intrapreso la produzione di piccoli e grandi lavori dicopia del mosaico antico eseguiti nel rispetto delle tecnichetradizionali. “Qui tutto è tagliato a mano”, precisa mentremi conduce nella sala-laboratorio dove due mosaicistesono al lavoro. Una è la figlia, la seconda generazione di artista, ma c’è una giovanissima e promettente nipote chelascia già disegni appesi nelle pareti dello studio. Il taglio amano dei materiali che la mosaicista sta facendo con la clas-sica e indispensabile martellina è un gesto che sarà ripetutoun numero indefinibile di volte per portare a termine l’operasu cui si sta lavorando in questo laboratorio.

“È un pavimento che sarà collocato in una chiesa delMassachusetts, negli U.S.A.” – spiega Alessandra Caprara,

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24e fa scorrere lentamente il cartone dipinto che riproduce a grandezza naturale il disegno di scene dell’AnticoTestamento. Tutto il cartone è avvolto in un grande rulloappeso in alto sul soffitto, e le mosaiciste lo fanno scorrereverso il pavimento per realizzarlo, pezzo dopo pezzo, sul bancone di lavoro con le tessere appena tagliate. “È un lavoro che ci impegnerà per almeno cinque anni;dopo il pavimento realizzeremo per l’abside un Cristo inGloria. Sono impegnata in viaggi periodici sul posto, sia per controllare i lavori di posa sia per istruire un gruppo di allievi del Massachusetts che lavorano nella loro città, ma che in alcuni periodi vengono qui, a Ravenna, per unulteriore addestramento”. Se questa opera è stata commis-sionata da una comunità religiosa, ci sono anche singoliappassionati che desiderano avere nelle proprie residenzeun’opera di valore come quella realizzata con il mosaico.Quasi tutti i mosaicisti attivi a Ravenna sono impegnati siasul fronte di opere di interesse pubblico, sia sul fronte dicommesse private.

La grande risorsa, il valore aggiunto di un’opera realiz-zata con il mosaico è anche la sua versatilità che le consentedi accostarsi ad altre discipline, di applicarsi, come comu-nemente si dice, all’arte pittorica, alla scultura, all’architet-tura, alla rappresentazione drammatica attraverso le sce-

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nografie. I grandi artisti hanno spesso privilegiato il mosai-cista come partner nella realizzazione di opere di pregio.Ravenna ci offre numerosi esempi di queste connessioni.

In pochi minuti di cammino dalla via Mariani ci spostiamoin via L. Negri, al numero 14 per incontrare un’altra ottimaallieva dei grandi maestri ravennati, e oggi valente mosaici-sta, Luciana Notturni, il cui know how si arricchisce diun’attività rara e preziosa per il mondo del mosaico, quelladel restauro. Il curriculum di Notturni esprime bene il pos-sibile legame del mosaico con altri mondi artistici, e peraverne conferma basti consultare il suo sito web: la mosai-cista compare in due foto di repertorio in compagnia delregista Michelangelo Antonioni e del Maestro RiccardoMuti; nella terza foto, alle sue spalle un quadro a mosaico,il premio Nobel Dario Fo.

La cronaca raccontata da queste foto è quella di colla-borazioni realizzate, insieme con un team di maestri mosai-cisti ravennati, nell’ambito della manifestazione “RavennaFestival”, ideata e presieduta da Maria Cristina MazzavillaniMuti.

Da “Le montagne incantate” di MichelangeloAntonioni, a “La Chambre turque” di Balthus sono grandirealizzazioni che la mosaicista esegue senza abbandonarela sua principale attività che è quella di docente espertadel restauro presso la Scuola di Restauro del Mosaico di Ravenna, unica scuola al mondo, (dipendente dallaSoprintendenza dei Beni Ambientali ed Architettonici) cheassolve il compito di formare una generazione di restaura-tori di cui l’universo mosaico ha forte necessità. Dal 1970 è attivo il Mosaic Art Studio, crocevia di incontri e di colla-

> I mosaici e Ravenna Festival: “… il percorso parte nel 1991 con unmosaico “musicale” di Gino Severini, realizzato dagli allievi dell’Istitutod’Arte per il Mosaico. Nel 1992 Ravenna Festival presenta “Musive”, 7 fontanelle di mosaico realizzate da altrettanti studi cittadini (Arte e lavoro,Alessandra Caprara, Cooperativa Mosaicisti, Silvana Costa, LucianaNotturni, Il Mosaico, Akomena). Nel 1995 la stupenda “Chambre turque”di Balthus, realizzazione di PROMO MOSAICO, con la direzione artistica di Ines Morigi Berti, il coordinamento tecnico di Marco de Luca; gli artistiprotagonisti sono A. Caprara, S. Costa, L. Notturni, A. Racagni, F. Nittolo e P. Racagni. Nel 1998 si presenta la realizzazione musiva de “Le montagneincantate” di Michelangelo Antonioni, ad opera di L. Notturni, A. Caprara,S. Costa, D. Strada e con la direzione artistica del maestro RenatoSignorini. Nel 1999 la città di Beirut ospita la fontana in mosaico “ArdeaPurpurea” ideata e realizzata dal maestro Marco Bravura. Una sua copia sorgerà a Ravenna ancora opera di Bravura, a testimonianzadelle “Vie dell’Amicizia” intraprese da Ravenna Festival.

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borazioni che la Notturni instaura con artisti, architetti e designer di fama internazionale e dove, previo appunta-mento, è possibile incontrarla.

Prima di salutarla cogliamo dalle sue parole il segno di un profondo legame con la sua città e il suggerimento chel’arte dei maestri mosaicisti ravennati sia considerata, anchedagli amministratori locali, un valore aggiunto nella proget-tualità che viene rinnovando l’assetto dell’arredo urbano.

La frequentazione del centro storico di Ravenna ci con-sente di individuare anche i laboratori dove si è fatta piùapertamente la scelta commerciale comunque caratterizzatadall’offerta di oggetti che esprimono un forte legame con itemi della tradizione, ai quali si accompagna una produzionepiù moderna orientata al complemento d’arredo o ancheall’oggetto-souvenir che non guasta mai in una città percorsacontinuamente da gruppi di turisti e da scolaresche .

In via Rossi, al n. 8, a poche centinaia di metri da piazzadel Popolo, si apre la vetrina di “Mo’zaiko”, laboratorio enegozio condotti da Elisa ed Elena Biondi che hanno iniziatol’attività subito dopo il compimento degli studi artistici,rispettivamente nell’Istituto D’Arte e nel Liceo Artistico diRavenna. “Abbiamo cominciato con un piccolo laboratorioin un garage adibito – racconta Elisa – dove si lavorava perpreparare una mostra ogni anno, ma nel periodo estivo

il lavoro presso un bar cittadino ci permetteva di avere i mezzi per acqui-stare i materiali indispensabili allacostruzione dei mosaici. Nel 1999abbiamo scelto di dedicarci esclusiva-mente al mosaico e abbiamo apertoquesto locale”. Qui la produzione si differenzia in oggetti di ceramica,opere di Elisa, e in mosaici realizzatida Elena. Alcuni progetti prevedono,però, la fusione delle due arti. La collo-cazione del negozio, così centrale,

suggerisce alle due sorelle di creare ogni anno una nuovalinea di manufatti giusti anche per il turista di passaggio in città, come piccoli oggetti da regalo creati con fantasia,ma anche le riproduzioni dei mosaici antichi.

Da via Rossi, percorrendo via Cavour, raggiungiamo invia Argentario, al n. 5, le vetrine di “Annafietta” che dedicaun ampio spazio alla vendita di tutto quanto occorreall’hobbista per costruire un mosaico. È un’idea ben conte-stualizzata per la vicinanza ai monumenti del complesso di San Vitale. Nel piccolo atelier annesso, si confezionanoalcuni degli oggetti che poi vengono messi in vendita.

È ricorrente il tema dello specchio con cornice mosai-

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27cata che viene proposto in diverse dimensioni e colori.Spiccano, per la cornice impreziosita da un sapiente giocodi tessere, gli specchi, qui esposti per la vendita, di un’altramosaicista che ha un suo laboratorio in zona più ripostadel centro città, in via Rossi n. 35. Si tratta di DuscianaBravura, figlia del maestro mosaicista Marco Bravura.Dusciana ha già segnate nel suo curriculum alcune tappeimportanti, partecipazioni a collettive di giovani e mostrepersonali, quali “Specchio delle mie brame”, al Palazzodelle Prigioni di Venezia, nel 2001, e la “Biennale PostumiaGiovani” a Mantova, nel 2002. Dopo il percorso scolasticonell’Istituto d’Arte per il mosaico di Ravenna enell’Accademia di Bologna, Dusciana approda nel 1987 allacollaborazione con il padre che sta costruendo opere diarredo urbano come le fontane (sono “Fontana dellaChiocciola” e “Fontana del Tappeto Sospeso”).

Accettiamo la provocazione che ci viene dall’averincontrato la figlia, per giungere al padre; vogliamo infattimantenere vivo il senso dell’incontro con gli artigiani e congli artisti attraverso il suggerimento della città stessa.

Di Marco Bravura, che vive e lavora in una grande casaimmersa nella campagna lungo la strada Faentina diRavenna, ci insegue la fama un po’ ovunque durante questo percorso dedicato al mosaico. Sebbene, dopo

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gli studi iniziati all’Istituto d’Arte per il Mosaico di Ravenna e completati all’Accademia di Venezia, egli sia rimastonella Serenissima per diversi anni, tuttavia, al suo rientro a Ravenna con l’apertura di uno studio di mosaico, il suoreinserimento nella città di origine è segnato dal flussoininterrotto della creatività che si incontra anche, felice-mente, con quella del poeta Tonino Guerra.

Inizia una collaborazione tuttora in atto tra i due artisti;Bravura non rinuncia mai alla scelta, che è una necessitàartistica, di essere non un ottimo esecutore di progettialtrui, bensì di consentire al mosaico soprattutto come progettista che esprime la sua idea dell’opera e la realizzaintegralmente.

“Il mosaico avrà un senso compiuto quando sarà inso-stituibile come tecnica; – afferma Bravura – questa è statala mia esigenza fin dall’esordio, ridare al mosaico la suacaratteristica che è l’essere insostituibile”.

Nascono così le grandi opere pubbliche da lui proget-tate e realizzate in Italia e all’estero.

Ricordiamo per il turista della terra di Romagna le fon-tane: “Fontana del Tappeto Sospeso” a Cervia, “FontanaParco Franco Agosto” a Forlì; con la “Fontana dellaChiocciola” siamo invece a S. Agata Feltria e all’estero, a Beirut, è stata costruita “Fontana Ardea Purpurea” cheavrà, in Ravenna, quasi una gemella nella monumentale“Ardea Purpurea” in via di realizzazione in collaborazione conla Scuola Bottega del Centro di Formazione Professionale.

Ravenna si è potuta avvalere anche dell’acquisizionefatta dall’Amministrazione Provinciale, della splendida“Bambola Orientale”del Maestro.

Restiamo sulla Faentina Sud dove, al n. 2, in prossimitàdi Russi, ha sede il laboratorio di Silvana Costa, mosaicistacon un curriculum di poetessa e di performer, le cui operesono presso collezionisti privati, in Italia e all’estero, e in collezioni pubbliche presso alcuni comuni di Romagna

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29(Ravenna, Cervia, Russi, Bagnacavallo, Forlì).

L’intento artistico di Costa sta nel volere rinnovare ilpotenziale linguistico del mosaico liberandolo dalle regole,farlo apparire altro da sé, unirlo a materiali associabili,come la ceramica, ma anche ad altri addirittura improbabilicome spugna, polistirolo, cocci di bottiglia.

È responsabile della Scuola per il Mosaico di Cerviadove si tengono corsi durante tutto l’anno, naturalmenteanche in estate per i turisti, e per persone di diverse fascedi età. Se un gruppo desidera incontrare Silvana Costadovrà fissare con lei un appuntamento telefonico.

Dalla conoscenza dei mosaicisti ravennati abbiamotratto la consapevolezza dell’importanza dei materiali cheessi usano per realizzare le loro opere, le famose tesserevetrose e gli smalti, e più di uno ci ha suggerito di inoltrarcinella campagna della bassa ravennate, a S. Alberto, dove èattivo il laboratorio di Vittorio Bulgarelli. Qui si produconol’oro e altri metalli preziosi, come il palladio, per il mosaicoe tutto è pronto anche per gli smalti. La decisione di cimen-tarsi in questo settore assai importante è stata presa daBulgarelli dopo un lungo tirocinio fatto grazie alla sua pri-maria esperienza di ceramista che lo ha sensibilizzato aiprocessi termici e alle trasformazioni vetrose. Il brevetto

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30Bulgarelli consente di produrre oro per mosaico senzamandare i materiali in sublimazione, evitando emissioniinquinanti e sintetizzando in un’unica fase il procedimentodi doratura, di fusione dei vetri e di tempera. Il processo ègià sperimentato anche per gli smalti. C’è una certa attesanel mondo ravennate del mosaico intorno a queste nuoveproduzioni, il luogo di provenienza dei materiali vetrosi èsempre stato, infatti, il distretto di Murano, a Venezia, e in particolare le famose ditte Orsoni e Donà.

A S. Alberto si coglie l’occasione per conoscere le crea-zioni di Gatti Elisa che nel suo atelier “Arredo Mosaico”, invia Olindo Guerrini n. 70, può ricevere anche gruppi di turistiin visita. I suoi complementi di arredo (centro-tavola didiverse forme e dimensioni, orologi, specchi, tavolini) sonospesso caratterizzati dall’utilizzo della pietra avventurina,una pietra di sintesi elaborata a Venezia dal ‘600, luminosae ricca di riflessi e colori solari. Il lavoro di questa mosaici-sta vuole realizzare una sintesi intelligente tra la tradizionee il gusto moderno.

Per restare nell’area esterna alla città, e precisamentenella campagna ravennate ricca di centri rurali, si può rag-giungere la frazione di Piangipane, in prossimità di Mezzano,dove ha sede il laboratorio di Salvatore Palazzolo, ovvero

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“Domus Aurea”, in via Maccalone n. 52. È una tappa consigliata a quanti intendono superare

l’esperienza del complemento d’arredo e sono disponibili a realizzare nella propria abitazione rivestimenti sia dellepareti, sia dei pavimenti.

Negli ambienti di Domus Aurea, dove tre maestrimosaicisti mostrano in diretta il processo di esecuzione dei mosaici da rivestimento, si trova un’ampia mostra delle composizioni musive, su disegni classici e moderni,per i diversi ambienti della casa.

Salvatore Palazzolo, imprenditore, ma anche ideatore dei decori che vengono qui riprodotti, esporta il nome di Domus Aurea in molte regioni d’Italia e in alcuni paesiesteri dove i suoi mosaici sono installati in dimore private,hotel, chiese, locali del divertimento e della ristorazione. I turisti, anche organizzati in gruppi, possono prenotareuna visita del laboratorio.

L’ultima tappa di questo percorso si preannuncia comeesperienza non usuale, pur essendo perfettamente inseritanel tema del mosaico, in quanto ci offre un’approccio conl’arte musiva che supera il senso della vista e ci spinge a desiderare un contatto tattile con alcuni oggetti. Siamo aSan Zaccaria, località immersa nella campagna ravennate,ma molto in prossimità con il confine provinciale versoForlì. A San Zaccaria vive e lavora Francesca Fabbri che cisorprende per la capacità di creare con il tessuto musivociò che normalmente si crea con i tessuti veri e propri: tappeti, sedie, poltrone dalla morbida seduta, divanetti.

La scelta artistica della Fabbri, dopo il primo diplomanel 1982 ed il secondo nel 1987, si orienta alla ricerca e allasperimentazione contemporanea nel campo del design edell’architettura d’interni. Affiancata dalla consulenza arti-stica di Giuliano Babini e in collaborazione con alcuni gran-di architetti (Ugo La Pietra, Ettore Sottsass, Adolfo Natalinie altri) e designers, Francesca Fabbri porta nel mondo il

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nome del suo “Akomena, Spazio Mosaico” dove realizzavere e proprie collezioni in serie limitata di tavolini, “Du-Du”, “Tavolini di Mabel”, e “Tappeti di pietra” insiemecon l’intrigante “Sassoft” (pouf, poltrone, divani e chaiselongue). Di grande impatto visivo e, si vorrebbe, tattile, la Scultura Funeraria per la sepoltura di Rudolf Nureyev a Sainte Genevieve sou Bois, a Parigi.

La visita presso Akomena è consigliata solo a gruppimolto motivati e ben organizzati e solo dopo aver fissatoun appuntamento.

Si conclude all’insegna dello stupore questo breveviaggio nel mondo del mosaico che non dà tregua alleesperienze dei visitatori; dopo il tour tra i magnifici monu-menti essi potranno scegliere alcune delle nostre propostedi laboratori e ateliers, per soddisfare la propria curiosità di certo accresciuta dall’osservazione dei capolavori antichi.

Ravenna, di mosaico vestita, stupisce il mondo ancheper la sua abilità di rinnovarsi nella tradizione.

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Le aziendeda incontrare

Akomena Spazio Mosaico di Fabbri Francesca

via Ponte della Vecchia 27 San Zaccaria tel. 0544/554700 Lavorazione artistica di mosaico.

Arredomosaic di Gatti Elisa via O. Guerrini 70 Sant’Alberto tel. 0544/528714 Produzione di oggetti di arredamento.

Belkis di Marisa Iannucci via dei Poggi 80 Ravenna tel. 0544/66007 Produzione di decori e di complementi di arredo in mosaico.

Cooperativa Mosaicisti Ravenna Soc. Coop. a R.L.

via B. Fiandrini Ravenna tel. 0544/34779 Esecuzioni lavori in mosaico.

Dimensione Mosaico di Cangini Claudia Maria

via Ricci Curbastro 12 Fornace Zarattini tel. 0544/502493 Produzione mosaico.

Domus Aurea di Palazzolo Salvatore via Maccalone 52 Piangipane tel. 0544/417329 Produzione e vendita mosaico.

Mo’ Zaiko di Biondi Elisavia G. Rossi 8 Ravennatel. 0544/213365 Mosaici, ceramiche e oggettistica.

Moman Sas di Fabbri Francesca & C.via M. Monti 12 Zona Bassette tel. 0544/554700 Produzione mosaico.

Mosaic di Lodoli Barbaravia Arg. Ds. Canale Molino 39 San Bartolo tel. 0544/497228Produzione mosaico.

Mosaic and Mosaic di Sbrighi Massimo & C.

via Canala 75/79 Ravenna tel. 0544/502666 Produzione mosaico artistico.

Mosaici antichi e moderni di Caprara Alessandra

via Mariani 9 Ravenna tel. 0544/35448 Mosaicista. Restauro di opere d’arte.

P. R. P. Restauro e mosaici d’arte di Perpignani Paola

via Ghibuzza 43/a Ravennatel. 0544/37537 Restauro e realizzazione di mosaici d’arte.

Ravennae Srl via O. Guerrini 168 Sant’Albertotel. 0544/529209 Produzione di ori e smalti per il mosaico.

Scianna Enzo via di Roma 34/a Ravenna tel. 0544/37556 Mosaicista.

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Passaggioa FaenzaGuida alle botteghe della ceramica in provincia di Ravenna

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Passaggio a FaenzaGuida alle botteghe della ceramica in provincia di Ravenna

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> Albarello:

vaso piccolo di

maiolica dipinta in

uso presso gli antichi

speziali per custodirvi

farmaci ed essenze.

Di passaggio a Faenza per un soggiorno o per un week-end. Si ha la sorpresa di una città a misura d’uomo, agilel’accesso al centro storico dopo il passaggio sul fiume, sesi entra da sud est, percorrendo poche centinaia di metri,se si scende da un treno, e in pochi minuti d’auto uscendodal casello autostradale.

La città è “a portata di mano”, raccolta oltre la cintaverde dei viali e presidiata in qualche zona dai resti dellevecchie mura. Inizia presto il dialogo pacato con Faenzache fa quasi da guida a se stessa, come accade alle localitàentrate nella geografia mondiale grazie alla propria fama. Il passaggio da Faenza è intriso di interesse e di curiositàsuscitati dal suo stesso nome che ha superato l’anticolegame con i fondatori, che la spartirono equamente tra“decumano e cardo”, a favore del legame ancora più fortecon la ceramica prodotta da ben otto secoli nel connubiotra terra e acqua, aria e fuoco. Le “faenze” o “faiences”,come già in epoca rinascimentale, ovvero le maiolichefaentine, sono il primo motivo del passaggio a Faenza.

Piatti, vasi, boccali, ciotole, albarelli, zuppiere, tuttioggetti di uso quotidiano che il sapiente decoro rinnovatosinei secoli grazie alla creatività degli artigiani locali, ha tra-sformato anche in pezzi raffinati che si guadagnano spazionel mobile-vetrina delle case borghesi e nobili in ogni

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angolo del mondo.Chi viene a Faenza vuole guardare e acquistare, non si

lascia la città senza aver messo in valigia o nel portabagagliun manufatto decorato secondo uno dei molti stili dellatradizione ceramica faentina.

Nelle circa sessanta botteghe sparse ai quattro punticardinali della città “storica”, con qualche fuga verso la periferia e, in piacevolissimi siti, lungo la sinuosa stradastatale 302 meglio nota come “brisighellese”, possiamorinvenire i segni tangibili dell’appartenenza di ogni singoloartigiano alla tradizione iniziata dai propri predecessori,quelli che novecento anni orsono erano chiamati “orzelarii”e, in seguito, boccalari, vasari o vasai. Si era in epocheremote e l’artigiano era battezzato in ossequio alla formadell’oggetto da lui forgiato.

Oggi noi diciamo ceramista intendendo collegare l’uomocon il prodotto generico, la ceramica, o con la produzione,tout court. Ma, a ben guardare, sulle pareti delle botteghe,in angoli riposti rispetto all’esposizione dei manufatti, sipossono individuare carte-diplomi che evidenziano il nomedell’artigiano come “Maestro d’Arte Ceramica” e il suo cur-riculum attraverso le diverse scuole o istituti o centri diMagistero Artistico. I faentini che hanno voluto consegnareal futuro la pura tradizione della produzione ceramica sonoandati a scuola e, non appena la programmazione didatticalo consentiva, sono andati “a bottega” dai loro maestri,uomini che facevano parte della loro vita di cittadini, artistiche da decenni applicavano alla manipolazione della terrala propria genialità creativa di pittori o di scultori.

Nella piccola Faenza degli anni ‘50 e ‘60 del secolo XXsi sono formati gli artigiani che nella Faenza del 2000 noiincontriamo già carichi di significative esperienze e di suc-cessi conseguiti sia nell’alveo della tradizione sia nello spa-zio mai del tutto esplorato della ricerca e della modernità.

Accanto a loro guardano e lavorano i nuovi apprendisti

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dell’arte ai quali è affidato il compito, non facile, di nonfare calare il sipario sulla performance faentina. Un attounico, potremmo dire, ma lungo numerosi secoli, con qualche inevitabile intermezzo di riflessione stilistica pergli attori che, dietro le quinte, hanno voluto portare qualcheinnovazione al copione iniziale, decisi ad intrattenere il pro-prio pubblico fino all’ultima battuta. Che non ha una data e non deve averla.

Faenza, nelle sue qualità di “città impresaria”, non con-sente a se stessa quest’ultima battuta e continua a guidarei cittadini del mondo attraverso le sue strade, nelle piazze,nei borghetti rionali dove ferve la produzione di ciò che lafa bella e attraente. E non è forse vero che le donne hannosempre usato, e tutt’ora lo fanno, l’argilla pura per rinfre-scare la propria bellezza? Non ci meravigli, perciò, il fattoche Faenza sia bella grazie alla sua terra: estratta nella“cava” protetta dai rugosi e calanchivi fianchi delle colline,raccolta nelle buche, lì presso scavate, dagli scarriolanti edi qui caricata per la destinazione da essa più ambita, labottega, dove c’è un uomo, o una donna, capace di redi-merla. Dalla cava a cielo aperto non sarà privo di sacrificioil passaggio all’angolo buio e umido della bottega, in attesadella mano sicura che verrà a prelevarla e con gesti potentivorrà lavorarla fino a toglierle il respiro, prima soffocatadalla pressione e poi travolta dalla vertigine per il continuoruotare sul piatto del tornio. Una forma, infine, le darà unpo’ di pace, e si assopirà così forgiata dapprima in solitarioe, via via, in solidale compagnia.

Nella bottega si assiepano, quasi a stuolo, le creaturefoggiate al tornio e aspettano, ancora, a lungo, protette damalsane correnti d’aria o vampate di calori stagionali. Solol’aria domestica deve circondarle prima del grande fuoco, ilprimo fuoco della loro esistenza. E sono chiamate “biscotto”queste forme di colore mattone, quasi a presagire il secondoabbraccio della fornace dove faranno il loro ingresso giàtrasformate in bianche e vitree maioliche sulla cui superficiel’artista traccia linee e disegni, intingendo il pennello in pig-menti che il fuoco secondo esalterà in colori.

Bisognerebbe poter assistere alla chiusura del fornoriempito di maioliche pressoché candide e all’aperturadello stesso dopo un paziente suo raffreddamento: esplo-dono i colori che prima si perdevano nel biancore maiolicato.Una meraviglia che alcuni ceramisti hanno voluto estremiz-zare con l’esperienza di un terzo fuoco, meno potente deiprimi due, e in riduzione di ossigeno. Imprevedibili risultatiche non si sa in quale percentuale attribuire alla maestriadell’artigiano perché, con la sua complicità, è intervenuta la magia del “piccolo fuoco” con effetti madreperlacei, con

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dorature suggestive. Dovremo dare totale fiducia alla parola del ceramista

quando ci proporrà oggetti trattati con la terza cottura: i nostri occhi vedranno metalli e non ceramica.

Per conoscere e apprezzare l’itinerario artigianale e artistico così succintamente raccontato non occorronomediazioni culturali. Basta venire a Faenza. Qui vivono elavorano i protagonisti della migliore performance faentinache è la produzione ceramica.

Gli artigiani, qui, non affidano il prodotto del loro pre-zioso lavoro a commessi che ne curino la vendita. In ognunadelle sessanta e più botteghe faentine, varcando la soglia,si è accolti dal titolare dell’impresa: uomini e donne chehanno tenacemente mantenuto l’unità tra la destrezzamanuale lungamente esercitata e l’intelligenza creativa maiappiattita su soluzioni di facile resa commerciale.

La stessa dislocazione delle botteghe, spesso ancoraattive in siti storici, supera con eleganza e buon gusto la

soglia della concentrazione commer-ciale del manufatto, tipica di altre cittàcaratterizzate dalla produzione di arti-gianato artistico.

La litania, già vista, delle vetrinecon retro non impegna senza interru-zione i piani terreni della schiera degliedifici e spesso la bottega si fa cercaredal turista visitatore con l’aiuto dellostradario urbano.

Se non è un vantaggio, comesecondo alcuni potrebbe esserlo una

“cittadella della ceramica” nella città, è, però, una questionedi buon gusto ed eleganza che le botteghe si affaccinosulle strade anche dei quartieri più riposti, e non solo sullepiazze e sulle vie del centro storico.Della loro presenza nel territorio urbano si avvale anchel’autorevole complesso museale di corso Baccarini, noto in tutto il mondo come Museo Internazionale delleCeramiche.

Il Museo continua a suscitare l’interesse del pubblicoe degli artisti perché è un punto vivo e reale di partenzao un punto di sintesi di un percorso di conoscenza della

tradizione ceramica faentina che si può completare dopoaverlo visitato o prima di visitarlo.

È molto significativo che nell’esordio dell’estate 2002si sia aperta all’ingresso del Museo la “Sala delleBotteghe d’Arte Ceramica”: ogni 5 settimane le botteghesi passeranno il testimone nella staffetta espositiva delleproprie produzioni.

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Questa guida-reportage alla conoscenza delle botteghedella ceramica artistica in Faenza potrebbe perciò condurreil turista (il singolo o il gruppo) dapprima nel Museo o infinein esso. La conoscenza della Faenza delle ceramiche siavvale, per essere completa, di entrambe le opzioni.Bisogna tuttavia riconoscere che la visita delle botteghetrasmette, come è ovvio, un maggiore senso della contem-poraneità dell’artigianato artistico seppure svelando unforte legame con la tradizione.

> Sala delle Botteghe d’Arte Ceramica: tale iniziativa è la corretta appli-cazione di uno dei principi inseriti da Gaetano Ballardini, fondatore delmuseo nel 1908, nello Statuto Programma. Nel testo statutario il fondato-re si diceva convinto che un punto qualificante del Programma fosse pro-prio l’istituzione di una Stanza Commerciale per la promozione dell’attivitàdelle botteghe ceramiche. La sua finalità era quella di occuparsi di que-stioni relative ai mercati esteri di ceramica, segnalando i fabbisogni e icambiamenti del gusto. Oggi, quando altre realtà curano questa promo-zione, la Stanza Commerciale vuole aiutare il recupero dei valori tradizio-nali portando, però, contenuti aggiornati e di innovazione.

> Tradizione: il nucleo della tradizione ceramica faentina, o delle “faen-ze”, si può considerare costituito dalle tipologie tecnologiche e decorativeaffermatesi nel periodo rinascimentale che viene identificato come la sta-

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gione artisticamente più significativa. Ma la notorietà di Faenza comeluogo privilegiato della produzione ceramica risale al XII secolo.Si possono trovare capolavori siglati con la firma dell’artista artigiano finodal secolo XV. Nel 1454 Giacomo di Pietro ornava con oro la maiolica disua produzione. Tra il 1525 e il 1550 si distingue in Faenza la produzionedei Fratelli Pirotti. E bisogna segnalare come vanto di due secoli fino allafine dell’ ‘800 la produzione della fabbrica dei Conti Ferniani.

Stili e decori della tradizione.Primi secoli dopo il Mille: è il periodo detto anche Arcaico nel quale i vasaidi Faenza producono le maioliche (a smaltatura bianco vetrosa con pen-nello) e le ceramiche ingobbiate o graffite (decorate con punta di chiodo).Temi preferiti: vegetali, tralci, fiori, palmette; faunistici, pesci, uccelli fan-tastici; araldici riferiti a famiglie legate alla storia della città.Primo Rinascimento: stile Severo, cosi detto per i temi definiti e ricorrenti. Inesso si distinguono diverse famiglie: “zaffera”, “italo moresca”, “florealegotica”, “occhio di penna di pavone”, ”palmetta persiana“, “alla porcellana”. In pieno Rinascimento si diffonde la famiglia delle “Belle Donne” grazie aduna maggiore attenzione alla figura umana e successivamente la rappresen-tazione umana si completa con la decorazione narrativa detta “istoriato”.Distinguiamo due periodi: primo istoriato dedicato a scene mitologiche ebibliche, riprese o imitate da stampe e libri; secondo istoriato con l’uso dinuove tecniche quali l’uso della maiolica di colore grigio azzurro (è lo stileBerettino) su cui si realizzano decori come le grottesche, festoni di frutti,foglie e altri. Questi motivi sono portati al massimo di espressione nellostile “fiorito” con motivi a “raffaellesche”. Il Seicento è definito dallo stile“Compendiario” che offre al pubblico una serie di oggetti rivestiti da unosmalto bianco, grosso, coprente e colorati con tenui turchino e giallo. I decori rappresentano putti, stemmi, piccole corone di fiori; le forme sirinnovano in crespine, trafori leggeri, usate per saliere, calamai, fruttiere.Faenza si ripropone al mondo con la produzione dei “bianchi” per sopperi-re alla saturazione del mercato. Metà del Settecento: cambia di nuovo ilgusto decorativo ispirato alle mode europee, ma anche ad ambienti esoti-ci; alla fine del secolo si diffondono la “foglia di vite”, “il festone ”, “laghianda”, “il garofano”. Metà dell’Ottocento: i ceramisti si avvicinano allapittura da cavalletto con vedute acquerellate e ritratti paesaggistici.

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42All’inizio del percorso che ci porterà nei diversi quartieri

della città e nelle strade delle vicine colline fino al borgomedievale di Brisighella, ma anche nei paesi della pianurae della costa, appuntiamo la nostra attenzione sul segnodistintivo che individua le botteghe ceramiche di Faenza:una targa decorata secondo una simbologia in uso all’iniziodel XVI secolo, le due mani che si intrecciano nel gesto delsaluto. La decorazione era riprodotta su piatti portadolci esu boccali donati in occasione di nozze. Alcuni ceramisti mihanno espresso la propria opinione in merito ad una mag-giore esposizione della segnaletica, che potrebbe avvalersinon solo di questa bella targa collocata di fianco all’ingressodella bottega, ma anche di un’indicazione all’inizio dellastrada dove, assai spesso, troviamo più di una bottega.Posso confermare l’utilità di un’integrazione del genere:quando ci si muove sul tracciato del centro storico voltarea destra, anzichè a sinistra, può portarci da tutt’altra parterispetto alla nostra meta. Se all’inizio di una traversa di uncorso o della traversa della traversa di un corso troveremoun segnale circa la presenza di una bottega il nostro toursarà di certo più disteso. Non potendo contare all’oggi suquesto sussidio, ma avendo come unico supporto utile lacartina predisposta dall’Ente Ceramica Faenza può essereconveniente suddividere la città in settori.

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Devo subito evidenziare la concen-trazione di botteghe in almeno due di questi settori urbani, forse favoritadall’imponente presenza in uno di essidel Museo Internazionale e nell’altrodalla vicinanza alle piazze centrali. Ma di certo la dislocazione delle bot-teghe deve avere stretta connessionecon le ragioni del mercato immobiliareche talvolta hanno indotto alcuni arti-giani a staccare il loro laboratorio dalpunto di vendita.

Tuttavia ho riscontrato che, anche là dove questo siaaccaduto, il ceramista ha sempre scelto di ricreare nelnegozio uno spazio dove poter eseguire almeno la decora-zione, il che giova sia al ritmo del suo lavoro sia alla curio-sità del turista. L’osservazione in diretta fa parte integrantedella scena che il ceramista volentieri ricrea per il suopotenziale cliente. Come sempre la diversità arricchisce.

Faenza, comunque, sarebbe un’altra senza le sue bot-teghe, quelle che insistono nel suo centro storico. E nelmio viaggio urbano ho scoperto le trame di storie parentaliche si sono dipanate negli ultimi cinquant’anni segnandole sorti del settore della ceramica artistica, che non avrebbeconosciuto il successo degli ultimi decenni se non ci fossestato un passaggio di testimone tra padri e figli o figlie e un rischio d’impresa di coniugi e un coinvolgimento tra fratelli. A costoro si sono aggregate di anno in anno lerisorse umane formatesi artisticamente negli Istituti citta-dini, giovani che ancor oggi possono contare sui ceramistititolari di bottega per fare esperienze-tirocinio.

Al numero 13 di via Nuova, quasi all’ombra del MuseoInternazionale, ho iniziato il mio percorso entrando nellaboratorio del torniante Gino Geminiani che ci introducealla prima fase della lavorazione, quella che fa i conti conl’argilla, ancora materia informe e umida tratta dalle vene

> Ente Ceramica Faenza: associazione fondata nel 1977 alla quale aderi-scono artigiani e artisti ceramisti. L’Ente è finalizzato alla tutela del mar-chio della ceramica di Faenza, alla promozione e valorizzazione sia in Italiache all’estero della produzione di settore, artistica, artigianale, di design.

> Marchio: è stato ideato un simbolo grafico che qualifica la ceramicaartistica e tradizionale DOC, in base alla Legge 9 luglio 1990, n.188 comemodificata dall’art. 44 della legge 6 febbraio 1996, n.52. La denominazio-ne d’origine è riservata ai ceramisti iscritti nell’apposito registro cui all’art.3 della legge medesima. Tale denominazione viene riportata nei marchiapposti sulle opere che rispondono ai requisiti stabiliti dal disciplinare.

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> Manuale:

“vuole essere lo stru-

mento base per inse-

gnare l’antica arte

della foggiatura. Tutti

i gesti e le prese che

in esso sono raffigu-

rate non sono altro

che atti che si sono

ripetuti per migliaia di

anni, come un rituale

tramandato da tor-

niante a torniante,

per mantenere viva

un’arte che altrimenti

non sarebbe potuta

esistere”

(Gino Geminiani).

calanchive. Il torniante la plasma e la cuoce una primavolta ad alta temperatura per ottenere il caratteristicobiscotto. Nella bottega Geminiani, come in quelle degli altritornianti di Faenza, predomina la bicromia grigio-rosatoche testimonia il passaggio della materia da fresca a cotta. Le attrezzature che arredano la bottega del torniante sonoprive di ogni orpello decorativo: il tornio, il forno, piccoliarnesi che aiutano la foggiatura dopo il sapiente lavorodelle mani e grandi scaffalature per l’asciugatura e per l’esposizione del biscotto finito. Il torniante vende il suoprodotto ai ceramisti che provvederanno alle successivefasi della lavorazione secondo la propria peculiare sceltastilistica.

Geminiani Gino ha doti di formatore e si preoccupaanche della divulgazione dei contenuti che sostanziano la sua opera, tiene corsi di foggiatura e ha predisposto un manuale-guida alla conoscenza della sua storia e dellefasi salienti.

La sua carriera come torniante iniziò per la capacitàpersuasiva della sorella Silvana che, giovane studentessadiplomatasi presso l’Istituto Statale d’Arte, aveva apertouna bottega. Ancora oggi i pezzi decorati dalla sorella vengono in gran parte dal tornio di via Nuova.

Incuriosita da questo intreccio di storia e di arte e favorita dalla prossimità anche logistica, in poche decine di metri raggiungo la bottega di Silvana Geminiani in corsoBaccarini n. 15/b . È il primo contatto con la raffinata artedel decoro faentino. L’ambiente è sobrio ed elegante insie-me ed emana un calore forse favorito dai mobili in legno instile classico che la titolare ha utilizzato per la sua esposi-zione. Oltre l’ambiente negozio si accede direttamente ad uno spazio che suggerisce l’idea del laboratorio ed è,infatti, dedicato alle operazioni che trasformano il biscottoin manufatto artistico.

Il percorso artistico di Silvana Geminiani si intrecciacon la vicenda di maestri faentini, dai quali ella ha tratto

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> Traforato:

si diffonde come

decoro realizzato a

mano nel periodo del

Seicento Faentino che

si caratterizza per lo

stile compendiarlo;

i manufatti sono rive-

stiti da uno smalto

bianco coprente e la

decorazione è costituita

da figure semplici,

appena schizzate,

“compendiate”.

> Grottesca:

genere decorativo

che prese piede nel-

l’arte italiana del

Cinquecento ispiran-

dosi alle decorazioni

scoperte nei resti

della Domus Aurea

neroniana ( dette

“grotte”). Tale decora-

zione presenta com-

binazioni fantastiche

di animali mostruosi,

figurine stravaganti,

cornucopie, per lo più

di chiaroscuro bianco

in fondo turchino.

i primi segreti, e con quella di giovani ai quali ha offerto lapossibilità di iniziare l’arte e di intraprendere poi impresepersonali. In questo negozio laboratorio Silvana è da setteanni e lo considera il luogo dove poter lavorare solo a ciòche soddisfa il suo estro creativo, con un rapporto pacatocon la clientela che al 10 % è costituita da turisti stranieri.

Cosa troviamo presso “Ceramiche Geminiani”?Ceramiche da arredamento e da regalo, soggetti di ispira-zione quattrocentesca, il compendiarlo traforato a mano, la grottesca con un blu molto tenue e raffinato. E il moderno,anch’esso ornamentale, ma ottenuto con lo studio dellaforma e degli smalti e frutto della ricerca personale.

La lettura della carta topografica dell’Ente CeramicaFaenza mi avverte che qui vicino, in corso Baccarini, al numero 7/a, ha sede la bottega di Cesare Boschi, il vicepresidente dell’ente stesso. Il contrasto con la precedenteè subito palese nell’ingresso: la scelta minimalista nellaesposizione è ottenuta con scaffalature in cristallo chelasciano totale spazio visivo intorno ai manufatti protago-nisti assoluti dell’ambiente: maioliche tradizionali faentinedominano la scena, anche su espositori murali a griglia, a terra, invece, si fanno notare i grandi vasi in cotto bordaticon il decoro tradizionale. Cesare Boschi, Maestro d’Artecon un percorso di “scuola a bottega” presso lo studiodello scultore Angelo Biancini, è stato anche docente. Nel suo laboratorio vengono eseguite la smaltatura e ladecorazione a pennello secondo gli stili della tradizione.

Cosa troviamo nella bottega Boschi?Oggetti ornamentali rifiniti secondo il decoro tradizionale e nello stile “compendiario”, a “foglie di vite” e “raffaellesche”,soprattutto su ordinazione. Spiccano nella produzione le“damine”, i grandi vasi in cotto decorato, i tappi in ceramicaper le bottiglie di vino che furono una idea di Boschi cosiazzeccata che ben presto molti altri la replicarono.

Nel curriculum artistico del ceramista si distingue

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l’esecuzione di un grande pannello in ceramica (460 piastrelle)eseguito per la Chiesa dei Passionisti a Sant’Arcangelo di Romagna.

Dopo queste prime visite e nel dialogo con gli artigianisi fa più chiaro il panorama della produzione ceramica a Faenza e il suggerimento al lettore-visitatore singolo èquello di scegliere la bottega che più risponde al propriogusto; d’altra parte le occasioni per conoscere la tradizionefaentina pura sono tante quante le botteghe attive, perchè èquasi impossibile trovare un ceramista che non vi si dedichi,seppure in piccola misura. Non è impossibile, invece, acqui-stare oggetti di ottima fattura ad un prezzo accessibile:

alcuni artigiani vengono incontro a tale esigenza di acquistorapido ed economico esponendo piccoli oggetti souvenirs.

Ho trovato tale tipo di produzione presso la bottega-laboratorio di Monti Vittoria, al numero 22 di via Cavina; la titolare dedica alcune linee di oggettistica da piccoloregalo a periodi dell’anno solare che sono tradizionalmentesegnati da cerimonie religiose o ricorrenze fisse del calen-dario (comunioni, cresime, feste della mamma o del papàetc.). Ma, seppure entrati con la scusa dell’oggettino, èbene girare lo sguardo intorno: ci sono i decori “le rose e oro” creati dalla ceramista e le pitture di soggetto sacrosu lastra di refrattario, e vari decori dal ‘400 in avanti, piatti,vasi, brocche e anche qui le damine. Vittoria Monti ama la maiolica e l’imitazione dei modelli classici. La titolare èdisponibile ad accogliere anche gruppi di turisti organizzatiche può dividere in due fasi di visita, usufruendo della divisione della sua attività in due spazi separati, con dueingressi ciascuno.

A questo punto, visto che da corso Baccarini siamo virtualmente passati a via Cavina, segnalo un gruppo dibotteghe, non tanto perchè esse siano particolarmenteattrezzate all’accoglienza di gruppi di turisti, bensì perrispondere al proponimento progettuale di offrire unagamma di proposte che soddisfi la curiosità del turista che,

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anche singolarmente, volesse entrare in contatto con gliartigiani faentini. Quando ci troviamo su via Cavina, perciò,possiamo visitare la bottega “Le terre di Faenza” diUmberto Santandrea, ceramista che lavora in stretta colla-borazione con l’artista giapponese Miho Okai, che harecentemente rilevato l’attività.

La produzione di ceramica di Santandrea ha avuto inizioalla fine degli anni ottanta, sviluppandosi dopo varie espe-rienze di lavoro nell’industria della ceramica faentina; grazie alla conoscenza della materia prima e delle sue problematiche relativamente ai trattamenti di cottura e smaltatura, egli è potuto passare alla fase più creativa ed artistica con oggetti nei quali il decoro rivisita in chiavemoderna gli stili tradizionali. Spicca il riflessato turchese e l’utilizzo di smalti opachi su oggetti ideati come comple-menti d’arredo. Inoltre Santandrea può offrire al turista la visita di un luogo prezioso per Faenza, la cava di argillache era storicamente uno dei giacimenti dell’argilla faentina,un luogo suggestivo immerso nel paesaggio dei calanchifaentini.

Ancora su via Cavina si affaccia la bottega di GoffredoGaeta dove il lavoro si articola sotto la guida del maestrosecondo la maniera rinascimentale.

Artista eclettico il Gaeta, dopo tre stadi di formazionenegli Istituti d’Arte di Faenza e di Firenze e nell’Accademiadi Bologna, si afferma come uno dei grandi protagonistidella ceramica contemporanea. Difficile, però, chiuderlodentro la definizione di un’arte, visto che la pittura, anchesu stoffa e vetro, l’affresco, la scultura, anche maiolicata,fanno parte della sua produzione. I contenuti, invece, sonopreferibilmente di soggetto sacro. Infatti molte sue operesono state progettate per le chiese di diversi paesi nelmondo: Stati Uniti, Canada, Giappone oltre che, natural-mente, Italia e anche molto vicino a noi, in Romagna(Faenza, Cesena, Bertinoro).

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Assai vicino a via Cavina, in via Bondiolo n. 11, lavoraun altro grande maestro della ceramica d’arte, Ivo Sassi,da Brisighella. In questo studio, presso l’ex chiesina diSanta Margherita, possiamo incontrare anche la ceramistaCarmen Fantinelli, moglie dell’artista, la quale dopo unlungo periodo dedicato alla tradizione classica faentina, aimotivi del rinascimento italiano, e all’impiego della tecnicaa lustri e riflessi a terzo fuoco, si è ritrovata sulla strada del restauro per il quale si era formata in gioventù.

Dopo aver chiuso la propria bottega di viale IV Novembresi è trasferita qui, dove l’impronta preminente nell’ambientesembra, tuttavia, quella di Ivo Sassi, un maestro che lavorainstancabilmente, quasi un operaio della terra che lo hacosì affascinato da fargli abbandonare la primiera passionegiovanile per la pittura alla quale preferì la ceramica. E nella ceramica egli si è manifestato come artista a sestesso e al mondo, che non ha potuto ignorare l’inconteni-bile energia che egli infonde alla materia, piegata alla suescelte artistiche, al desiderio di intervenire nello spazio, disottolinearne la tridimensionalità, di scatenare la reattivitàluminosa degli smalti e dei lucidi che fuggono via dallabuia fucina gridando al mondo tutta la riflettività possibile.Pluripremiato ed invitato a mostre ed esposizioni in tutto il mondo, Sassi fa parte di quella schiera di artisti che delnome della propria arte e della propria terra fanno untutt’uno.

Se siamo un gruppo di turisti di passaggio a Faenza evogliamo avere un’incontro disteso con la ceramica faentinatradizionale non possiamo mancare all’appuntamento conil laboratorio ed esposizione-vendita di Gino Suzzi, meglioconosciuto come “La Vecchia Faenza”.

Siamo in via S. Ippolito al numero 23/a. Gli spazi dila-tati di una antica chiesa consentono una suddivisione trala zona dove le decoratrici sono intente al lavoro e quelladove il manufatto viene esposto.

Gino Suzzi, maestro ceramistacome praticamente tutti i titolari dibottega di ceramica, ha rivolto la suaattenzione e impegnato le sue capa-cità per ottenere una produzione diqualità nell’alveo della pura tradizionefaentina: i colori tipici, la smaltaturaad arte, i decori nel rispetto scrupolosodella tradizione. Qui si trova esattamente ciò che ci si aspetta entrando in Faenza, il solcoprofondo della pura tradizione.

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49Quando la grande bottega è visitata da folti gruppi,

fino a 50 persone possono entrare insieme previa prenota-zione, l’equipe si arricchisce della presenza di LauraSilvagni, moglie di Suzzi, ceramista che ha una propria attività con esposizione e vendita in corso Garibaldi, al numero 12/a e il laboratorio in via Mons. Battaglia.

La produzione di Laura Silvagni è incentrata su maiolichedecorate secondo lo stile “alla raffaellesca” con soggettiispirati al repertorio della pittura del ‘700, ma senza esclu-dere gli altri stili di epoche diverse che Faenza ha resofamosi. Una peculiarità è la confezione di pezzi di dimen-sioni inconsuete, piatti e anfore da collocare in ambientivasti che spesso vengono ordinati da committenti anchestranieri.

C’è un’altra ceramista faentina che riesce sempre aconciliare l’impegno per la propria produzione con l’acco-glienza dei turisti. Mirta Morigi, in via Barbavara n. 19,ospita gruppi in visita alla città ai quali dà dimostrazionedella sua arte, e organizza corsi di apprendimento per i piùappassionati. Impegnata nello sforzo di creare nel solcodella tradizione, ma sempre con lo sguardo al nuovo, MirtaMorigi è lucidamente presente nel contesto odierno dell’arte ceramica. Il suo estro interviene sulle forme rigo-

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rose della tradizione dando vita a presenze inaspettate chesembrano saltate lì, su un vaso o su una brocca, da unostagno o da un mondo preistorico. È il periodo delle rane,delle lucertole, dei camaleonti, ma anche delle civette mul-ticolori. Dove è finita la grigia argilla?

Viva si aggira tra gli scaffali in via Barbavara.

È ancora folto il gruppo di ceramisti che hanno sceltodi rappresentare la continuità della tradizione tout court e assolvono il non facile compito di mantenere integra la qualità della loro produzione, sempre rigorosamentemanuale.

Grazie al loro costante impegno Faenza può continuarea proporsi al mondo come capitale della ceramica.Massimo Linari propone opere di alto livello nel solco dellapiù raffinata tradizione faentina della Maiolica in via Naviglion. 19/a. Siamo nel pieno centro cittadino, durante la pas-seggiata a piedi fa piacere fermarsi e scegliere un oggettodi fattura decisamente tradizionale.

Se invece si proviene dall’autostrada A 14, sulla viaGranarolo, che dal casello conduce verso i viali, al numero63, si incontra l’edificio de “I Maestri Maiolicari Faentini”,di Lea Emiliani, la cui facciata si distingue per il grandearco che ricorda gli antichi forni a legna.

Ampie vetrine consentono di entrare subito in contattocon le attività che si svolgono all’interno. Un’ampia mostraoffre ai visitatori la conoscenza delle pregiate riproduzionidegli stili della tradizione, dall’Arcaico al Gotico-Floreale e al Berettino, ripercorrendo la storia della ceramica dalMedioevo al Rinascimento. L’ubicazione di questo labora-torio è assai favorevole per i gruppi di turisti che potrannoanche visitare i locali della lavorazione.

Non tutti i ceramisti hanno la concreta possibilità di organizzare il proprio lavoro in misura compatibile conl’accoglienza del turismo organizzato, ma sono tutti dispo-

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> Rioni:

sono cinque i rioni

di Faenza che si con-

tendono ogni anno

il premio del Palio

del Niballo la quarta

domenica di giugno.

Il Rione ha la fisiono-

mia di realtà di aggre-

gazione sociale.

Ha una propria sede,

il museo dei costumi

storici indossati dai

contendenti durante

il Palio e organizza

iniziative promozionali.

I rioni si distinguono

per il nome in Bianco,

Nero, Verde, Rosso

e Giallo.

nibili ad incontrare piccoli gruppi: due o tre persone cheentrano nel laboratorio-negozio fanno parte della normalità.

Li può accogliere anche il più piccolo ambiente cheforse ho incontrato in questo percorso, quello del ceramistaLuciano Sangiorgi, in corso Europa n. 134, due localipreannunciati da un grande pannello ceramicato raffigu-rante il San Giorgio. Ma Sangiorgi, Maestro d’Arte di pas-saggio anche nell’industria ceramica e dotato di talentocreativo, non sembra preoccupato della capienza della suabottega, egli lavora soprattutto su commissione e realizzaper i suoi clienti opere che vanno a completare il loro arredo, interno o esterno, spesso grandi pannelli decorativi (si cita tra i committenti il Vaticano). Tra gli scaffali dellasua bottega si trovano, comunque, oggetti che rivelano la sua ricerca del legame con la tradizione e con la città.

Assai vicino a Luciano Sangiorgi si sviluppa uno deirioni più attivi di Faenza, il Rione Bianco, con la bella chiesadella Commenda, un plesso storico di grande rilievo per la storia faentina che si può visitare facendone richiestapresso gli uffici della Pro Loco.

E a pochi metri dalla Commenda non si può mancareall’appuntamento con la storica Bottega d’arte ceramicaGatti, in via Pompignoli n. 4, fondata nel 1928 da RiccardoGatti (1886-1972), uno dei più grandi maestri della ceramicadel nostro tempo, al quale già a cominciare dal 1948 siaffiancava il nipote, Dante Servadei, allievo egregio grazieal quale oggi prosegue la fortuna e la fama della bottega,dove si respira ancora l’atmosfera delle antiche manifatture

faentine: ogni oggetto viene prodottoa mano secondo dettami e processi di lavorazione in uso da secoli.

Il nome di Gatti si distingue nellastoria della ceramica per aver egliinventato il metodo di produzione di maioliche “a riflessi” che, applicataalle più diverse forme rende la lorosuperficie ricca di fascino e di sugge-stione per le iridescenze preziose.Grandi artisti contemporanei hannovoluto collaborare con Gatti e si sonoavvicendati nella sua bottega.

Dal 1998, anno dell’inaugurazione, èpossibile visitare, previo appuntamento,il Museo Gatti dove è conservata unapreziosa collezione retrospettiva dellepiù rare opere di Riccardo Gatti.

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Restando in tema di musei privati il panorama si èarricchito dal maggio 2002 di un altro fiore all’occhiello per Faenza, il Museo intitolato a Carlo Zauli organizzato e guidato dai figli del grande maestro, Matteo e Monica.Carlo Zauli, scomparso nel gennaio 2002 dopo una lungamalattia che ci ha privato della sua creatività degli ultimianni, è considerato dalla critica internazionale uno deimassimi rinnovatori dell’arte della ceramica.

Nato a Faenza nel 1926 manifestò già nell’infanzia unaforte predisposizione alla manualità che volle impostareseguendo il rigore dell’Istituto d’Arte per la Ceramica.Ottenne qui il diploma di Magistero Tecnico al quale siaggiunse il titolo del Corso Speciale per la DecorazioneCeramica. Nel 1950 iniziò il lungo percorso artistico che lo portò a lavorare incessantemente e ad esporre le sueopere in tutto il mondo. Fu a contatto con i più grandi artisti contemporanei in uno scambio continuo di esperienzee ricerche artistiche.

Per venti anni fu anche docente di Tecnologia Praticapresso l’Istituto che lo aveva diplomato. Impossibile elen-care qui i nomi, le date , i luoghi della sua carriera, ci limi-tiamo a ricordare che la sua fama è legata a produzioniintitolate “I Bianchi di Zauli”, i “Vasi Sconvolti”, le “Zolle”,le “Arate”, e alla “Faenza”, l’azienda da lui fondata per laproduzione di piastrelle di gres in monocottura e per laquale egli creò una linea di design d’avanguardia. Tuttoquesto si può vedere di persona visitando il Museo CarloZauli, in via della Croce, là dove è stato ideato un percorsodella memoria e dell’arte nel luogo dove l’artista ha lavorato.

È un appuntamento al quale, di passaggio a Faenza,non si può mancare, perché anche qui si ottiene testimo-nianza di come la lavorazione della terra, anche partendodalla ceramica, può suscitare nell’uomo che vi si dedica il genio della scultura.

È evidente più che mai a questo punto che la tradizionedell’arte ceramica a Faenza ha goduto della forza delle

> Museo Gatti: qui sono raccolte le opere a partire dal 1908, quandoancora Riccardo Gatti non possedeva un proprio laboratorio. Di rilievosono le opere successive che testimoniano la collaborazione di Gatti conartisti del movimento futurista al quale egli aderì come attesta uno scrittodi Marinetti del 1928. Uscirono allora dalla bottega Gatti opere firmate daBalla, Benedetta, Dal Monte, Fabbri. Il percorso museale prosegue versole opere “a riflessi” del periodo a cavallo tra la fine degli anni Venti e iprimi anni Trenta del Novecento e giunge agli anni del dopoguerra, quan-do il Maestro si cimentò con le ceramiche a forme antropomorfe, zoomorfee astratte. Si approda così alla produzione degli ultimi venti anni che sonorappresentati dai più rari risultati nella continuità della tradizione.

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> Leandro:

per comprendere il

lavoro di Leandro

Lega sono utili le sue

parole rilasciate per

un articolo dedicato

alla figlia: “Ho sempre

lavorato fin da giova-

ne, ho faticato anche

manualmente e con i

piedi piantati per

terra per l’azienda

familiare dei cementi.

Con lo stesso impe-

gno ho affrontato la

ceramica... nell’arte

ceramica ho messo,

forse, la parte miglio-

re di me; ho provato e

riprovato in un’inces-

sante ricerca di tecni-

che, di forme, di orna-

ti, non senza delusio-

ni e però, devo pur

dirlo, con successi e

non pochi riconosci-

menti” (da I Quaderni

dell’EmilCeramica,

2002).

L’artista è deceduto

nei mesi precedenti la

stampa di questo

libro.

relazioni familiari, del fascino esercitato dai nonni o daglizii sui nipoti e dai padri sui figli che sono spesso diventatii primi allievi “a bottega“ dei maestri, mentre l’incontro trauomini e donne della ceramica ha generato sodalizi artisticiche tuttora sono un pregio per la città.

Un ulteriore esempio ci viene dato da Carla Lega, figliadel maestro Leandro, che si fa guida devota delle opere delpadre, esposte nella mostra di via Fratelli Rosselli n. 6,dove ella pure lavora sulle orme dell’artista.

La produzione di ceramica artistica Lega nasce neglianni ‘50, ‘60 periodo nel quale il Maestro partecipando a mostre in tutto il mondo ottiene riconoscimenti e vinceconcorsi. Nel 1975 viene affiancato dalla figlia Carla chesviluppa il proprio interesse verso una produzione innova-tiva. Gli oggetti a firma Lega sono tutti pezzi unici, decoratia mano e cotti a gran fuoco, rifiniti in riduzione medianteossidi e nitrati in modo da ottenere effetti iridescenti e sempre diversi.

Si diceva poc’anzi dei maestri e dei loro figli che hannoanche inconsapevolmente attinto alla quotidiana sorgente.Bisogna altrettanto considerare la schiera degli allievi, i tanti che pur non avendo in famiglia esempio che li facessevolgere all’arte della ceramica, avendo però scelto di attin-gere alla risorsa così viva nella propria città, si sono trovatinell’alveo della tradizione così ben segnato e testimoniatodai maestri, appunto, da non poterlo più abbandonare. Oggi la Faenza della ceramica si manifesta al mondo grazieal lavoro dei ceramisti diplomati che continuano a “uscire”dalle scuole faentine per entrare nelle botteghe e lavorare.

Un laboratorio di recente apertura è “Superfici”, in viaTomba n. 7/a, dove due giovani diplomate, MartaMonduzzi e Dea Melandri propongono le loro creazioni in ceramica e in mosaico. Oggetti concepiti come comple-menti d’arredo, specchiere, lampade, tavolini, consollespesso in collaborazione con un artigiano che crea conil ferro battuto, Marino Tarabusi.

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Intanto proseguiamo il nostro viaggio alla conoscenzadelle botteghe e dei loro artigiani già affermati professio-nalmente, ma ci allontaniamo da Faenza per assecondarela loro distribuzione sul territorio extraurbano.

La campagna e la collina hanno attirato a sè alcuniceramisti per i quali il fatto di lavorare nell’area del centrostorico non era più determinante anche ai fini di una espo-sizione verso il pubblico. Costoro hanno, in definitiva, valu-tato un vantaggio per sè e per la propria attività produttivail fatto di collocarsi in siti riposti. Questo è vero anche perdue ceramiste esperte del restauro che lavorano nell’arearurale faentina più vicina alla cerchia urbana, lungo l’arginedel fiume Lamone.

Quando si lascia Faenza per raggiungere Brisighellabisogna prepararsi ad un percorso panoramico e paesaggi-stico di grande interesse per il quale è consigliabile mante-nere una velocità media che consenta di parcheggiare in

alcune aree al limite della carreggiataper alcuni appunti di viaggio da scriverenella nostra memoria visiva. Solo cosìsarà possibile notare il cambiamentodel paesaggio determinato, qui, dallaincipiente coltivazione dell’ulivo cheha fatto di questa zona una delle piùcaratteristiche aree, è chiamata infatti“areale”, di produzione dell’olio extra-vergine denominato Brisighello, ilprimo in Italia ad ottenere la denomi-nazione Dop. Questo suggerimento

di una andatura moderata ci consentirà di fare sosta ancheper il motivo della presenza, lungo la Brisighellese, S.S.302, di alcune botteghe di produzione della ceramica faen-tina. Tutte possono essere visitate anche da gruppi orga-nizzati purchè essi prendano con i titolari un appuntamen-to telefonico.

Nello “Studio Erreti”, al numero 469 di via Firenze inlocalità “La Cartiera”, la titolare, Katia Tavanti, si è trasferitadalla centrale via Tomba (in Faenza). L’ambiente, introdottoda segnaletica rigorosamente di ceramica, è al piano terradi un edificio che si affaccia direttamente sulla strada e sisuddivide in stanze di produzione e di esposizione dellevarie fasi del lavoro.

Dal 1980 la Tavanti si dedica alla produzione di manu-fatti artistici in quasi tutti gli stili faentini: sono in continuaproduzione set da credenza (servizi da caffè e da thè),bomboniere, ceramiche da vino, “sputavino”, e da acetobalsamico, che spesso la ceramista confeziona per aziende

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agricole della regione imprimendone il logo, e ancoracache pot, porta ombrelli. Gli stili che lo studio Erreti pro-pone sono la “ghianda”, il “garofano”, “il compendiario”,“lo stile severo” e altri della tradizione faentina.

In località Celle, via Celle n. 38, immerso nella primacollina, il laboratorio di Alberto Razzi (diploma di Foggiatoreall’Istituto Ballardini di Faenza) è inserito in una tipicacostruzione rurale che gli consente di organizzare gli spazisuddividendoli in una bella sala di esposizione e nel labo-ratorio vero e proprio. Una scelta di vivere e lavorare inmezzo alla natura in collaborazione con la moglie, PatriziaPiancastelli (Diploma di Maestro d’Arte applicata).

La produzione di Razzi si lascia scoprire attraversoun’attenta osservazione dei particolari che la caratterizzanoe sono terrecotte decorate ottenute da argille colorate pre-parate nel laboratorio, arricchite da interventi con vetricolorati che le fa risplendere e con oro zecchino che leimpreziosisce insieme con i lustri colorati cotti a terzofuoco. Sugli scaffali troviamo anche una serie di statuinedel presepe davvero uniche nel loro genere, un motivo inpiù per visitare questo laboratorio.

Proseguendo lungo la S.S. 302 in direzione Brisighella,dopo circa un chilometro, raggiungiamo Villa Emaldi, pregevole esempio di dimora neoclassica, introdotta da un lungo viale di cedri centenari che incrocia il binario dellalinea storica tra Faenza e Firenze.

Oltre la ferrovia si entra nel parco della villa dove vive e lavora la ceramista Antonietta Mazzotti, che ha trasfor-mato la serra neogotica della casa padronale in suggestivolaboratorio, mentre altri locali al piano terra di un edificioannesso alla villa sono adibiti a esposizione permanentedelle produzioni: cachepot, saliere, versatoi, piatti da“pompa”, servizi da piatti e da thè, bomboniere con cifreintrecciate e stemmi, ma anche oggetti d’arredo come lampade, portaombrelli, vasi. Antonietta Mazzotti Emaldicon un curriculum di formazione nell’Istituto d’Arte per laCeramica di Faenza e all’Accademia di Bologna, dopo avereintrapreso l’insegnamento, aprì nel 1972 la sua prima bot-tega nel centro storico di Faenza. La sua ricerca di una per-fezione nella riproduzione degli stili della tradizione faenti-na le ha valso la stima di un pubblico internazionale che laconosce sotto il marchio di “Manifattura ArtisticaAntonietta Mazzotti Emaldi”.

La sua attività l’ha portata a collaborare con i museipiù importanti del mondo e a ricevere riconoscimenti dallemaggiori istituzioni e dalla stampa internazionale. Non c’èche dire, si vorrebbe protrarre la sosta in questo luogooltre il motivo contingente della produzione ceramica per

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godere del contesto ambientale che ha il fascino delledimore aristocratiche.

A Brisighella , dove si fa sosta per i motivi già detti, il bellissimo borgo e l’ottimo olio di oliva, si deve venireanche per conoscere due ceramisti che lavorano in coppiada una vita e che tutti conoscono come “Bartoli Cornacchia”.Scultore il primo, Walter, antico allievo del Biancini, pittoreil secondo, Adelmo, allievo del Maestro Ugonia.

Nel grande laboratorio che si affaccia proprio sui binaridella linea ferroviaria Faenza-Firenze, di fianco alla stazionedi Brisighella, sembra che gli spazi di lavoro siano propria-mente divisi tra i due che da sempre occupano ciascunouna postazione fissa: il pittore si dedica all’arte del pennellosotto la finestra che guarda i binari, poco distante, neipressi di un’altra finestra, lo scultore lavora la creta.Tutt’intorno immagini sacre, madonne, bassorilievi, pannelli,sculture, paesaggi agresti, scene di vita quotidiana.

A Brisighella si potrebbe addirittura seguire un percorsodedicato alle loro opere collocate nelle chiese del borgo,ma le ceramiche del laboratorio Bartoli-Cornacchia sonoormai in molte altre città della provincia e della regione(una sessantina in Italia) e viaggiano in Europa ad arricchirela fama della ceramica faentina, ed anche in altri continenti,in Africa, in Brasile e in Terra Santa. Se si vuole gustareappieno la misura del lavoro di questi due artisti è beneandare a Lugo, nella Chiesa Parrocchiale di San Lorenzo,nella cui contro facciata campeggia “Il Giudizio Universale”opera di Bartoli-Cornacchia, che impegna ben 150 metriquadrati di superficie.

Abbiamo constatato che Faenza ha diffuso a raggieraintorno a sé la dedizione alla lavorazione della terra trasformata in ceramica; ritornando dalla collina verso lacittà possiamo verificare questa diffusione anche in altredirezioni, nella pianura e fino alla costa, a Cervia.

Nella campagna che si stende lungo l’argine del fiumeLamone, in via San Martino, appena fuori la mura, si sonoinsediate due restauratrici della ceramica, che svolgono unlavoro prezioso e ricercatissimo da musei, non solo italiani,da collezionisti privati, da antiquari italiani e stranieri.

Valeria Castellari, maestra d’arte specializzata inMagistero di Restauro e attiva dal 1977, si occupa delrestauro di maioliche e porcellane di alta epoca del ‘700 e moderne.

Fra i suoi lavori si citano per il rilievo artistico il restaurodel pavimento della Cappella Vaselli nella Basilica di SanPetronio in Bologna; il restauro di una parte della collezionedei Musei Civici di Imola; il restauro di opere del Museo

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Civico di Lodi; Madonna del Santuario della Salute di Solarolo. Le dedicano articoli riviste specializzate in cera-mica antica e antiquariato e riviste divulgative (Dove,Carnet, Brava Casa). Tiene seminari e conferenze in occa-sione di convegni di studio.

Simona Serra, anch’ella con laboratorio in via SanMartino, è discepola della Castellari e ha iniziato l’attivitànel 1994. Lavora per antiquari e restaura pezzi di collezionimuseali.

Dopo questa parentesi dedicata al restauro ritorniamoagli attori della produzione ceramica attivi fuori Faenza.Tra Faenza e Forlì, nella campagna di Reda, vive e lavoraVittorio Ragazzini, siamo in via Colombarina al numero 4,nel suo Studio d’Arte Ceramica.

Dal 1990 Ragazzini si dedica alla creazione di pezziunici di carattere sacro e di pannelli decorativi per l’arredosecondo una personale ricerca in entrambi i campi e spessoin collaborazione con artisti locali.

La produzione più caratteristica è però quella dei

> Restauro: la prima forma di restauro fu la racconciatura ovvero la pratica di rimettere insieme i pezzi dei manufatti ceramici rotti fin dall’inizio della primissima produzione ceramica. Si accostavano le partirotte di un pezzo e lungo i bordi si praticavano dei fori dai quali si facevapassare del filo di spago o di cuoio o di ferro. Se era necessario si dovevanorifare anche parti indispensabili alla funzionalità dell’oggetto.Il restauro che oggi viene praticato su pezzi antichi (o moderni) può esseredi tipo conservativo o museale, di tipo antiquariale. Conservativo: mira a conservare e consolidare ciò che di autentico soprav-vive in un esemplare, lasciando in evidenza le parti mancanti con un’inte-grazione puramente plastica di ciò che è andato perduto.Antiquariale: include, oltre alla ricostruzione, il ritocco pittorico che vuolerestituire all’oggetto la fisionomia originale, perciò non si deve notare l’intervento.

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“Milites”, ovvero statuette militari o in divisa storica cheegli produce per le varie Arme nazionali o per sodalizi civilinel solco della tradizione iniziata dal suo maestro W. Bosi.Su commissione si possono ottenere anche sculture-ritratto.

A circa trenta chilometri da Faenza, immerso nella pacedella zona pinetale vicino alle Terme di Cervia, il laboratoriodi Giacomo Onestini, faentino per nascita e per formazioneartistica, ci riporta all’arte della foggiatura che egli ha praticato sempre con grande attitudine e passione.

E difficilmente un grande foggiatore (Premio mondialeper la foggiatura nel 1980) può scegliere la strada delladecorazione. Onestini ha accettato la sfida lanciatagli dallamanipolazione della materia prima e si è cimentato artisti-camente nella forma. Poi ha lavorato sugli effetti della luce,ottenuti con tecniche sperimentali. Sono i riflessi opachiper riduzione ad acido o ad impasto.

Per conoscere da vicino le opere di Onestini si potràvisitare il suo laboratorio presso l’abitazione, in via Murri n. 7,preferibilmente dopo un appuntamento telefonico. La fami-glia è attivamente impegnata ad organizzare mostre chefacciano conoscere l’opera dell’artista, dopo la sua recentescomparsa.

A Cervia, e precisamente a Montaletto, vive e lavoraClaudia Farneti ceramista che si è formata al liceo artisticodi Ravenna e alla scuola di Ceramica “Albe Steiner”. Gli stili che caratterizzano la sua produzione sono il Romagnolo tradizionale e il “ticchiolo”, decoro di scuolapesarese che in qualche modo la distingue dagli altri cera-misti. Una ventata di modernità si insinua nel suo lavoroquando sperimenta nuovi smalti con tecniche di riduzionein forno e ai nostri occhi appare un oggetto quasi di metalloche non rilascia, tuttavia, alcuna sensazione di freddezza.

A Castiglione di Ravenna, in via Zattoni n. 67, CristianaCasadio, diplomata nel 1977 all’Istituto Ballardini diFaenza, e specializzata in restauro ceramico, ha aperto nel 1980 il laboratorio con vetrina e negozio; qui realizza

oggetti d’arredo, in particolare per l’il-luminazione, con decori ispirati ancheai motivi delle tele stampate diRomagna, ma fondati sui canoni stili-stici della tradizione faentina.

Se percorriamo la S.S. 16 Adriatica,che da Cervia ci riporta verso Ravenna,proseguendo verso nord fino a Mezzano,possiamo fare sosta presso “CeramicaArtistica La Balena Bianca” di CristinaCapucci che qui propone un’oggettisticaper la casa decorata secondo gli stili

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59classici faentini, ma anche alla “turchesca”, in stile vene-ziano e secondo una libera creatività.

Le ultime tappe suggerite al curioso turista di passaggioa Faenza, per conoscerne le migliori produzioni ceramiche,lo conducono dalla costa cervese, dove siamo giuntiseguendo la traccia lasciata da alcuni ceramisti di scuolafaentina, fino al capoluogo di provincia, Ravenna, e diseguito nel cuore della campagna ravennate, a Godo di Russi, e a Lugo.

Ravenna, capitale del mosaico, ci riserva dunque la sorpresa della ceramica. Quattro ceramiste tengono viva la tradizione della ceramica faentina, ma con qualche concessione ad una, forse inevitabile, influenza bizantina e con una certa apertura alla Romagna. Lo possiamo vederecon i nostri occhi.

Malatesta Anna Maria, in via Maggiore n. 149/a, dipingesu ceramica alcuni motivi del mosaico bizantino (fiori, frutta,le colombe), riproduce paesaggi romagnoli e soprattuttoama proporre pitture secondo la scuola dei Della Robbia.

Rita Barboni, con bottega in via Pastore n. 6 (siamonella zona conosciuta come Bassette) si dedica al decororomagnolo ripreso dalla tradizione delle tele stampate amano nelle antiche stamperie; prevale il colore ruggine,

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ma anche il blu e il verde vengono applicati su servizi da tavola, soprammobili, lampade. In alcuni oggetti viene proposto anche il decoro siciliano dei limoni.

Ancora a Ravenna, in via Canneti n. 2, nei pressi delDuomo, Enrica Roncuzzi e Letizia Tozzi conducono “Argillasrl” e offrono alla loro clientela un assaggio di tradizionefaentina con il decoro a “foglia di vite” e il “berettino”,senza sottrarsi al fascino dei mosaici bizantini di cui ripro-ducono particolari intriganti quali le pietre preziose diTeodora, le stelle delle volte basilicali. Una sezione dellaproduzione è dedicata ad oggetti moderni sia nel design,sia nel decoro.

A questo punto ci apprestiamo a conoscere alcune attività di lavorazione della ceramica che impreziosiscono il contesto rurale della provincia.

Si chiama “Arte Ceramica” la bottega condotta daMaria Cristina Sintoni in via Faentina Nord n. 82, a Godo di Russi. Gli appassionati dell’Araldica avranno un motivoin più per entrare in questa bottega; qui, infatti, si realizzanoanche oggetti frutto della appassionata ricerca che la tito-lare conduce, da oltre 15 anni, sulla rappresentazione graficacodificata degli stemmi nobiliari e sui simboli connessi.Un’ulteriore novità proposta dalla ceramista sono glioggetti che fondono la cultura della ceramica faentina e quella del mosaico bizantino di Ravenna; intrapresa nel1989 questa linea produttiva si è presto imposta all’atten-zione del pubblico, con il termine sintetico, ma improprio,di “Ceramiche Bizantine”. Non mancano di attirare lanostra attenzione anche oggetti decorati secondo la tradi-zione faentina negli stili, ad esempio, del ‘400 e del ‘500.

Siamo immersi nella zona più vocata all’agricolturadella provincia e continuiamo a scoprire realtà di artigianatoartistico che sembrano perfettamente inserite nel contestorurale; non lontano da qui, infatti, seguendo il suggerimentodel percorso dedicato al mosaico, abbiamo incontrato anchealcuni artisti del mosaico.

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A Lugo due ceramiste hanno aperto il proprio laboratorioe hanno in qualche modo arricchito l’offerta turistica dellapropria città.

Laura Sughi, in corso Matteotti n. 25, lavora nel pienorispetto della tradizione faentina di cui ripropone i decoriclassici eseguiti con sapiente pennellata su un’oggettisticatipica del manufatto faentino.

Elisa Grillini si dedica alla ceramica artistica con voca-zione alla sperimentazione che le ha consentito di esporrele sue opere, tutti pezzi unici, sia in Italia che all’estero, da sola o convogliata da esperienze di gemellaggio delcomune di Lugo con alcune capitali europee.

La caratteristica delle sue creazioni è il decoro a “lustropersiano”, antichissima lavorazione di origine saracena coninfluenza mongolo-cinese. Gli smalti preparati dalla Grillinisono composti da sali metallici, nitrati d’oro e d’argentoche, durante la cottura, in ambiente riducente e con l’aggiunta di composti organici, sviluppando fumi, genera-no riflessi variegati e imprevedibili.

Significativa è anche la sua esperienza di insegnamentoin Istituti d’Arte, ospitando gli studenti presso il suo labo-ratorio e raggiungendoli in Comunità di recupero. Anchenelle Favelas del Brasile Elisa Grillini ha creato un laboratoriodi ceramica.

Attualmente il suo laboratorio, cheabbiamo visitato dapprima nel centrodi Lugo, si trova a Budrio di Cotignola,in via Gaggio n. 12.

L’accostamento delle due ceramistedi Lugo ci consente di tornare al temadel nostro esordio, ovvero la compre-senza nella storia della ceramica faentina e nel suo presente delle duecomponenti che chiamiamo “di tradi-zione” e “sperimentale”.

Sono due approcci molto diversialla lavorazione della terra e alla sua trasformazione inmanufatto; se è impossibile creare una graduatoria tra i due, è invece consentito riconoscere il valore complemen-tare delle due espressioni artistiche.

Accade, infatti, che in virtù di questa benefica diversitàil turista continui a segnare nel proprio taccuino di viaggio,“oggi passaggio a Faenza”. E, seguendo la nostra traccia,si troverà coinvolto in una storia antica che ha conquistatol’epoca moderna.

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Argilla Srl via Canneti 2 Ravenna tel. 0544/213459 Oggettistica in ceramica, mosaico e vetro.

Arte Ceramica di Farneti Claudia

via Bollana 39 Montaletto tel. 0544/965076 Produzione e decorazione oggetti in ceramica.

Arte Ceramica di Maria Cristina Sintoni da Faenza

via Faentina Nord 82/2Godo tel. 0544/419451 Produzione e restauro ceramiche.

Arte Della Ceramica di Sughi Laura

via Matteotti 27 Lugo tel. 0545/32397 Produzione di ceramiche artistiche.

Ballabene Ennio via Fenzoni 1/b Faenzatel. 0546/634393 Torniante.

Bartoli e Cornacchia Snc via De Gasperi 10 Brisighellatel. 0546/81283 Ceramisti.

Boschi Cesare viale Baccarini 7/a Faenzatel. 0546/22256 Ceramista.

Bottega d’arte ceramica Gatti di Servadei Dante

via Pompignoli 4 Faenzatel. 0546/634301 Ceramica artistica.

Bubani “Arte & Raku” di Bubani Federica

corso Baccarini 5/a Faenza

tel. 0546/23113 Ceramica ornamentale e complementi d’arredo.

Castellari Giovanna via Granarolo 373 Faenza tel. 0546/41024 Produzione di ceramica artistica.

Castellari Valeria via San Martino 21 Faenza tel. 0546/32522 Restauro di ceramica antica.

Ceramica faentina d’arredamento di Bedeschi Florio e C. Snc

via San Martino 5Faenzatel. 0546/29504 Accessori in ceramica.

Ceramica Artistica La Balena Bianca di Capucci Cristina

via Reale 115 Mezzanotel. 0544/522407 Ceramiche artistiche.

Ceramica Monti di Monti Vittoria

via P. M. Cavina 22 Faenza tel. 0546/25264 Produzione di ceramica artistica.

Ceramiche artistiche Vignoli di Vignoli Saura e C. Snc

via Fermi 30 Faenza tel. 0546/621076 Produzione di ceramiche artistiche.

Ceramiche Cristiana Casadio via Zattoni 67 Castiglione di Ravennatel. 0544/950308 Ceramista.

Ceramiche L’odissea di Moretti M. e Del Fagio D. Snc

via Scaletta 6 Faenzatel. 0546/660461 Ceramisti.

Le aziendeda incontrare

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Ceramiche Morigi Mirta via Barbavara 19/4 Faenzatel. 0546/29940 Produzione di ceramiche artistiche.

Ceramiche Rita di Barboni Rita via Giulio Pastore 6 Zona Bassettetel. 0544/453981 Produzione di ceramiche artistiche.

Ceramiche tradizionali di Faenza di Cortesi Romano

corso Mazzini 49/b Faenzatel. 0546/26929 Ceramista.

Ceramiche Vitali Snc di Vitali Jacopo e C.

corso Mazzini 110/a Faenzatel. 0546/25791 Produzione di oggetti in ceramica.

Dapporto Mauro via La Fonda 5 Faenzatel. 0546/46295 Ceramista e decoratore ceramico.

De Rossi Giovanna via Scaletta 2/2 Faenzatel. 0546/664735 Ceramista torniante e produzione oggetti in terracotta.

Diva Srl via Malpighi 4/a Faenzatel. 0546/667606 Decorazione piastrelle.

Emiliani Miralba via Madrara 85 Pieve Cesatotel. 0546/44726 Ceramista.

F O S Ceramiche di Mazzotti Piero Paolo

via Risorgimento 27 Faenzatel. 0546/621362 Produzione ceramica.

Fictilia Arti Ceramiche di Piazza e Morini Snc

via dell’Artigianato 12 Faenzatel. 0546/620896 Produzione ceramica artistica.

Garavini Ilirio via degli Olmi 10 Faenzatel. 0546/662134 Formatore e stampatore ceramica.

Garavini P. Paolo via degli Olmi 16 Faenzatel. 0546/29837 Torniante ceramista.

Grillini Elisa Ceramiche d’arte via Gaggio 12 Cotignolatel. 0545/32015 Produzione ceramiche artistiche e decorazione in genere.

Immagine Faentinavia S. Silvestro 1 Faenza tel. 0546/672151 Produzione ceramica artistica.

Keser Diva Design Spa via S. Silvestro 1 Faenza tel. 0546/660676 Progettazione e produzione prodotti ceramici.

La Tradizione Dalla Malva & C. via Onestini 15 Granarolo tel. 0546/41584 Produzione ceramica.

Maestri Maiolicari Faentini di Lea Emiliani

via Granarolo 63 Faenza tel. 0546/664139 Produzione ceramiche artistiche.

Maiorana Roberto via Baccarini 9/b Faenza tel. 0546/28477 Ceramista.

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Malatesta Anna Maria via Maggiore 151 Ravenna tel. 0544/465921 Ceramista.

Melandri Danilo via Pezzi 3/a Faenza tel. 0546/29480 Decoratore ceramiche.

Melandri Marinella via Battaglia 7 Faenza tel. 0546/663840 Ceramista.

Mi.Ba. di Missiroli Marco & C. Snc via Donatello 3 Faenza tel. 0546/28120 Semilavorati in argilla e ceramiche artistiche.

Mila Donati di Donati Mila e Peroni Barbara Snc

corso Saffi 46 Faenza tel. 0546/662665 Produzione e restauro di oggetti in ceramica e porcellana.

Ortelli Monica via Don Ragazzini 3/4 Faenza tel. 0546/32488 Ceramista.

Pedrelli Giuseppe via Gobetti 12 Bagnacavallo tel. 0545/60497 Ceramista.

Pico Faenza di Piancastelli Daniele

via San Martino 38 Faenza tel. 0546/33274 Produzione ceramiche.

Razzi Alberto via Celle 38 Faenzatel. 0546/622112 Ceramista.

Ricciardelli Liliana via Santa Lucia 77 Faenza tel. 0546/32426 Decorazione e produzione ceramica.

Sangiorgi Luciano corso Europa 134 Faenza tel. 0546/33270 Lavori di decorazione ceramiche.

Sartoni Danilo via Ravegnana 409/b Ravenna tel. 0544/401806 Ceramista.

Sassi Ivo via Bondiolo 11 Faenza tel. 0546/663069 Produzione sculture in ceramica.

Serra Simona via S. Martino 2 Faenzatel. 0546/26978 Restauro ceramica.

Silvagni Laura via Monsignor Battaglia 11 Faenzatel. 0546/26357 Produzione ceramica artistica.

Solovetro e... di Benzi Paola

viale Italia 87 Cerviatel. 0544/975242 Lavorazione vetro.

Studio ceramico Mancusi di Mancusi Mariapaola

via Aldo Moro 6/a Riolo Termetel. 0546/71111 Ceramista.

Studio d’arte Gaeta Goffredo via Gucci 20 Faenza tel. 0546/39141 Ceramista lavorazione vetrate artistiche.

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Studio Erreti di Tavanti Katia

via Firenze 469 Faenza tel. 0546/43285 Produzione ceramica artistica.

Studio Gemi D’at di Geminiani Silvana

via Baccarini 15/b Faenza tel. 0546/26566 Lavori da ceramista.

Suzzi Gino via Sant’ippolito 23/a Faenza tel. 0546/26907 Ceramiche artistiche.

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Una ruggineda non perdereGuida alle stamperie dellaAssociazione StampatoriTele Romagnolein provincia di Ravenna

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Una ruggine da non perdereGuida alle stamperie dell’Associazione Stampatori Tele Romagnolein provincia di Ravenna

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Se la ceramica è faentina, se il mosaico è ravennate, le tele stampate a mano, nel caratteristico colore ruggine,sono indiscutibilmente romagnole. Ravenna, Gambettola,Meldola, Cervia, S. Stefano, S. Sofia, Riccione, Forlì, Bellariae Cesenatico, sono tutti comuni di Romagna, luoghi dove è possibile incontrare i protagonisti di un’arte che si è mantenuta viva nel sito storico dei suoi esordi.

Dieci botteghe si sono costituite in associazione(Associazione Stampatori Tele Romagnole) per tramandareil metodo tradizionale della stampa a mano, difenderlodalle imitazioni industriali e diffondere la cultura che è alla base della tradizione stessa.

Il fine è ben rappresentato nel marchio dell’Associazione:le mani dello stampatore all’opera, l’una tiene fermo lostampo di legno, l’altra stringe il mazzuolo, strumento indi-spensabile per trasferire l’impronta del disegno sulla tela.

> Sito storico: la stampa su tela diffusa in Europa già nel VI secolo dopoCristo, forse importata da regioni orientali come l’India, ha attraversato i secoli fino alla modernità utilizzata soprattutto nelle tappezzerie e avvalen-dosi in alcuni paesi, come nell’Inghilterra del XVIII secolo, dell’invenzione di nuovi metodi. In Italia si crearono dei distretti della stampa su tela,come a Genova e nei territori dello Stato Pontificio, nelle attuali Marche e in Romagna, dove ancora esistono alcuni laboratori, e dove essi eranofortemente legati alla pratica agricola. Ricordiamo a questo proposito la produzione di tele-coperte da buoi stampate a mano che ancora possiamoammirare in Romagna, nella Storica Stamperia Pascucci. Esse erano prodotte in numerose botteghe, a Dovadola, Meldola, Castrocaro,Santarcangelo, come testimonia un numero della Rivista “La Piè” dedicatoalla mostra del folklore romagnolo tenutasi a Forlì nel 1921 e organizzata grazie all’impegno del poeta Aldo Spallicci. Lo stesso Spallicci, appassionatocultore delle tradizioni romagnole, scriveva della fortuna incontrata dalla pratica di stampare i tessuti in Romagna sia per l’arredo domestico, sia per il vestiario, probabilmente incoraggiata dalla fama conseguente alla mostradel 1921. E metteva in guardia dal rischio degli “stampatori d’occasione”.

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Un gesto sospeso nel tempo. Un’azione infinite volte replicata fino a diventare simbolo dell’autenticità dell’arte.Senza quel gesto non esiste la stampa a mano delle teleromagnole. Ed è un gesto sonoro, di un rumore tondo,compatibile, non ostico per i timpani di chi lo produce e di quanti intorno a lui lavorano. Legno batte legno sulla telaadagiata sul bancone. Uno, due colpi, ma sapienti, colmi di concentrazione. Li riceve la matrice di legno di pero incisacon sgorbie e scalpelli per pochi, circa cinque, millimetri.

Il legno di pero si addice al lavoro dello scalpello, ètenero, infatti, e si confà alle economie sobrie degli stam-patori che lo acquistavano anche nei tempi più antichi in quantità. Se ogni bottega ha oggi un patrimonio di centi-naia o di migliaia di matrici, lo dobbiamo all’oculato accu-mulo dei primi artigiani che, quasi in dote, trasferirono il proprio caveau di legno alle generazioni a seguire.

La fantasia dell’incisore possiamo apprezzarla diretta-mente sulla tela: motivi geometrici, a greca semplice ocomplessa, catene di anelli, teorie di roselline, foglie diedera, foglie di quercia, foglie di vite, il grappolo d’uva trapampini e foglie, ballerini rusticani in mezzo a tralci in fioree ancora forme di spighe e rose lungo i bracci di corone floreali, cerbiatti in corsa, il grifo alato, l’aquila in volo,il fagiano tra il fogliame, galletti, rustici boccali e caveje.

Tra tutte le matrici incise per ornare le suppellettili di casa, una fu dedicata dai primi stampatori alla stalla esul dorso dei buoi, che bisognava riparare dai rigori inver-nali, veniva gettata la coperta recante a stampa la figura di S. Antonio Abate, protettore delle bestie e delle stalle.

Le abbiamo viste, riproposte dalla stamperia Pascuccidi Gambettola, in mostra anche sulle spiagge romagnole,le coperte per i buoi e le tende da spiaggia, quelle cheriparavano dal sole i nostri nonni, ma stampate con gustomoderno, una proposta che ha piacevolmente sorpreso il pubblico dei turisti per il felice mix di attualità e di tradi-zione. Perchè di questo si tratta; il lavoro che gli stampatori

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romagnoli del terzo millennio proseguono nelle propriebotteghe ci si offre come connubio tra l’arte che si radicanell’antica, pura tradizione e il gusto dell’uomo modernoche, in qualche misura, sa rinnovare la produzione per nonsegnare il passo.

La creatività dell’artista impegnata su qualsivoglia mate-ria sa creare con successo il binomio tra antico e moderno,senza cedimenti alle lusinghe della produzione a bassocosto e in grandi quantità, industriale e indistinta.

Le sorprese non mancano quando si concepisce così il lavoro artigianale e il passato prossimo in Romagna cioffre già esempi di eventi realizzati grazie alla stretta colla-borazione tra artigiano stampatore e artisti, pittori, come èaccaduto a Bertinoro, a Predappio nella cornice della VillaPandolfa e a Forlì nella ricorrenza della festa patronale, conla mostra dedicata alla Madonna del Fuoco, la cui immagineè stata ritratta da noti pittori e stampata a mano su teladalla stamperia Pascucci.

Le dieci botteghe riunite sotto il marchio dell’Associazione(nata sotto gli auspici delle Associazioni Artigiane Provinciali),presieduta da Elisa Balsamini, hanno ciascuna la propria pecu-liare identità artistica, fatta di storia, di legami, di sperimenta-zioni, di ricerche, di scelte, di innovazione e tutte hanno accet-tato di non lasciarsi andare alle prospettive del guadagno faci-le ottenibile con la produzione seriale.

Le dobbiamo ringraziare, perchè hanno scelto insiemeuna strada e un ritmo di lavoro che preservano la loro produzione da sollecitazioni esterne e da contaminazioni.Eppure tutte devono vendere, per non trasformarsi in piccolimusei, ciascuna deve studiare una strategia di marketingper conquistare la propria fetta di mercato e individuare le occasioni giuste per incontrare il cliente. Che ama entrarenella bottega, viverne lo spazio fisico e reale e non dimostradisagio se non vi trova i segni della modernità. Fuori dallabottega, l’arte della stampa a mano si può incontrare

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71in mostre, fiere, padiglioni, palazzi, in luoghi aperti, nellesagre locali, nelle piazze, nelle darsene, ovunque l’artigianostampatore sceglie di portare il segno permanente del proprio lavoro.

Lo abbiamo visto anche nei paesi d’Oltralpe, inGermania, in Austria, in Norvegia, quanto sia compatibilela presenza dell’artigiano stampatore all’opera con gli strumenti dell’arte, con la folla curiosa che si raduna perun evento di festa e di mercato. Si hanno testimonianze di scambi culturali e commerciali iniziati nella circostanzadi eventi organizzati all’esterno della bottega e tutte leesperienze vi rifluiscono sia come entusiasmo dell’artista,sia come nuovi contenuti introdotti nell’opera.

Recentissimi esempi ci confortano anche circa il proficuoscambio che si può realizzare tra l’artista, il poeta, lo scrit-tore, il pittore, lo stilista e l’artigiano stampatore.

Un nome per tutti a conferma di ciò è quello di RiccardoPascucci di Gambettola, art director della stamperia difamiglia, che ha raccolto negli anni recenti e negli ultimimesi sollecitazioni dal mondo della moda e dalle varie discipline artistiche, ma sempre grazie all’incontro con per-sonaggi in sintonia con la sua vena di ricerca e di creatività.Sono nati così gli arazzi firmati da lui insieme con il poetaTonino Guerra. E non solo. La stamperia di Gambettola ha

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72portato la tela stampata romagnola nella cornice di PalazzoPitti a Firenze esponendo insieme alle più consolidateaziende di tessuti per l’abitare.

Visiteremo la bottega dei Fratelli Pascucci a Gambettola,in via Verdi n. 18.

In provincia di Ravenna, e precisamente a Santo Stefano,andiamo per conoscere un artigiano stampatore aderenteall’Associazione, sulla cui attività di bottega si rincorronovoci e fama degne di un preambolo di leggenda popolare.

Egidio Miserocchi, in realtà, non ha accumulato ancoragli anni che potrebbero conferirgli una patina leggendaria,eppure scambiando con lui qualche parola in più si scopronole sfumature del suo personaggio. Architetto, mosaicista,stampatore, pittore, ma potremmo annoverarlo anche nellaschiera dei ricercatori di quante altre espressioni creative si possano affacciare ad una mente versatile in buona sintonia con la manualità artigiana.

Se si entra nella bottega decisamente naif di Miserocchiper ottenere la visione delle tele stampate romagnole, ci si avvicina agli scaffali dove esse sono ripiegate in buonordine, ma per raggiungerle e sfiorarle si devono superarecon gli occhi altri tessuti, i più diversi, tra cui anche sete e velluti che per i loro colori e i decori di cui si fregiano

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richiamano la nostra attenzione. Non c’è ordine espositivo,un disordine voluto sembra, e forse è, lo specchio dell’arruf-fata fantasia dell’artigiano. O è più giusto chiamarlo artista?Si ripropone la domanda che ci accompagna in questonostro viaggio tra artigianato e arte.

Miserocchi non si adegua neppure all’utilizzo dei classicistampi in legno di pero. Ne possiede diverse centinaia, ma continua a crearne altri di materie nuove, le più astruse,eppure disponibili a farsi cesellare secondo una sua idea.

E i colori sono anch’essi il frutto di ricerca e sperimen-tazione che mettono alla prova le fibre e i reagenti naturali.Nelle stampe di Miserocchi, tuttavia, troviamo anche latavolozza e le pennellate del pittore: a riempire gli spaziche, nel rigore del disegno stampato resterebbero bianchi,interviene la pittura.

Oltre a ciò si avvicina alla linea del traguardo il progettodi un luogo dove dare spazio e tempi nuovi al prosegui-mento della storia. Una nuova bottega dove lavorare, stu-diare, fare ricerca e anche insegnare ad altri come già gliaccade di fare. Ma non pensiamo al classico laboratorio ealle botteghe che possiamo incontrare in questo percorsoromagnolo. Mi sovviene, qui, l’espressione di RiccardoPascucci, che mi fece presagire una diversità, “Un tempio!”,mi suggeriva. Comprendo la sua meraviglia guardando lefoto che Miserocchi ha scattato dell’ambiente che stacostruendo con le sue mani: mosaici pavimentali e parietali,pitture, materiali raccolti nei luoghi meno canonici e, forse,anche qui ingannerà il nostro occhio con l’arte, da lui prati-cata, del tromp l’oeil.

Per ora, tuttavia, continuiamo ad annotare l’indirizzodell’attuale bottega in via Miserocchi n. 4 a Santo Stefanodi Ravenna. E prima di raggiungerla diamo un preavvisotelefonico.

Restiamo In provincia di Ravenna, a Cervia, dove èmolto conosciuta e anche facilmente individuabile la bottega

“C’era una volta”, che si affaccia sulporto canale quasi di fronte al mercatinodel pesce e alla storica “La Pantofla”,il locale della Cooperativa dei Pescatori.

“C’era una volta” è condotta daMaurizio Babbi ed Elisa Drudi chehanno offerto ai turisti della famosalocalità balneare un’occasione in piùper apprezzare la tradizione romagnola.Gli ospiti delle più diverse provenienzein soggiorno a Cervia non mancano di visitare la bottega dove, entrando,

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74si è avvolti dalla calda cornice di tele disposte in ogniangolo, nella scenografia creata dai mobili in stile rusticoprovenienti dalla casa di campagna dei nonni, come le cre-denze e il letto antico sul quale fa spicco la coperta stam-pata nella bottega.

I due artigiani si integrano perfettamente nelle fasi dellavoro, lei provvede al taglio delle tele, alla loro cucitura e presiede la vendita, lui è l’artigiano artista, responsabiledelle scelte peculiari dell’arte: disegno, incisione, stampa e fissaggio dei colori sono il know how di Maurizio Drudiche ha appreso la tecnica in quindici anni di lavoro pressola storica Stamperia Pascucci a Gambettola.

Per convenire con la nostra prima affermazione sull’arte della stampa a mano su tela, laddove l’abbiamodefinita romagnola, ci lasciamo guidare dalla storia, dallatradizione, dall’odierno operare e, lasciando la provincia diRavenna ci dirigiamo verso il territorio forlivese che ci offrenumerose opportunità di conoscere stamperie aderentiall’Associazione.

A Gambettola, come poco sopra si ricordava, lavorano i fratelli Pascucci, in via Verdi n. 18, che hanno mantenutola sede storica del primo stampatore della famiglia attivonel lontano 1826 e che oggi rappresentano, in questa storiafamiliare e aziendale insieme, la quinta generazione.

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> Mangano:

era un’ imponente

macchina, una pressa,

usata per stirare a

freddo le tele prima

di lavorarle e tingerle.

Le tele uscivano dalla

pressatura lucenti

e compatte. Il mecca-

nismo, pesantissimo,

era azionato dalla

forza di due persone

adulte che mettevano

in movimento, girando

intorno ad un perno

ruotante, i rulli attorno

ai quali la tela era

stata predisposta.

Era caratteristico

il rumore provocato,

uno scricchiolio di

legno in movimento.

Oggi si può ammirare

il mangano in alcune

botteghe: nella

Stamperia Pascucci, in

quella di S. Arcangelo,

due più piccoli nelle

Stamperie Olivetti

a S. Sofia e Menghi

a Bellaria.

Un passaggio di testimone che ha superato abbondan-temente il secolo e mezzo mantenendo intatta la tecnica di lavorazione, la qualità del prodotto e la sua bellezza cheattira l’attenzione di un pubblico attento alla tradizione, ma moderno e deciso a collocare le tele stampate a manonella propria abitazione o nel luogo di lavoro (è il caso deilocali della ristorazione o degli alberghi).

Il laboratorio dei Pascucci, che si snoda tra diversiambienti antichi, sale con i soffitti ancora travati in legno,scaffali ricolmi di stampi di legno che sono un documentounico della storia di questa stamperia, il grande manganousato per la stiratura delle tele, tutto ci vorrebbe riportareindietro nel tempo e, una volta entrati, il tempo sembradavvero fermarsi e la fretta di riprendere la nostra strada si perde tra queste mura che l’assorbono, come assorbonoi rumori del lavoro quotidiano. Eppure essi stessi, gli arti-giani artisti di questa famiglia, ci insegnano che il legamecon il presente è irrinunciabile, ci ricordano che ogni giornole scelte aziendali sono fatte anche guardando al futuro e che le nostre scelte di consumatori possono esseredeterminanti per il successo degli stampatori romagnoliradunati sotto il marchio dell’Associazione.

Scegliere la qualità nella produzione è il primo impegnoe, per non venir meno all’esigenza, quando se ne presenti lanecessità, di una produzione quantitativamente impegnativa,le dieci botteghe possono attuare un processo “a catena” fradi loro. L’importante è che non si passi a metodi che sonodel tutto sbilanciati sulla quantità, come la serigrafia, e chenon si scenda nella qualità degli stessi tessuti. Per questo i Pascucci sono sempre alla ricerca di tele antiche, quelleancora conservate nei vecchi bauli e nelle cassapanche difamiglia e spesso le ricevono spontaneamente da personeche desiderano ornarle con i decori romagnoli, ma le acqui-stano anche da privati, ancora bianche, per poi stamparlenella bottega.

La continuità dei metodi di produzione nel corso dei

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76secoli non ha comportato, tuttavia, l’assenza di personaliz-zazione nell’esecuzione del lavoro. Riccardo Pascucci, checi guida in questa visita, ci fa notare che lo stesso ornato,ad esempio i galletti, realizzato dal nonno, è diverso daquello realizzato oggi da suo fratello. C’è un’evoluzionenella tradizione e la fase del lavoro che più la manifesta èquella affidata all’incisore, colui che crea il disegno, lo incidesullo stampo di legno di pero. Ogni generazione offre all’azienda un incisore che lascia una traccia personale. Ma gli stampi possono essere anche assolutamente nuovi,commissionati da un cliente che desidera un disegno da luipensato, uno stemma per la famiglia, e sugli scaffali vi sonoalcuni esempi di questa produzione moderna e personaliz-zata. E parlando di stampi si affronta anche il discorsodella loro conservazione e della memorizzazione dellemigliaia di matrici che sono conservate sugli scaffali.

Salta fuori, allora, un pesante catalogo che raccoglie,stampati su ruvida carta gialla, tutti i disegni della collezionePascucci. Alcuni li ammiriamo poi direttamente sulle teleche egli srotola sul banco di lavoro e su quelle che sonostese ad asciugare in alto, sopra le nostre teste, appesealle canne che nascondono il soffitto della sala. In questigiorni il panorama dell’asciugatura è rinnovato dai grandiarazzi che Riccardo Pascucci ha realizzato in collaborazione

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con il poeta Tonino Guerra. Ma le novità appassionano tra i Pascucci soprattutto lui,

Riccardo, che cura proprio la produzione e il rapporto con il cliente, che avverte le flessioni del mercato, più sensibili inalcuni periodi, ma accettate come fasi ineludibili. L’importanteè guardare avanti mantenendo forte il legame con il propriopatrimonio culturale, ciò che affascina la clientela.

Il viaggio alla scoperta delle stamperie romagnole,dove ancora si pratica il metodo della stampa a mano, puòcontinuare nelle province di Forlì-Cesena e Rimini dove in maggior numero esse sono situate.

Tra la costa, a Cesenatico, Bellaria, Rimini e Riccione, e l’Appennino, da Forlì, Meldola e Gambettola fino a S. Sofia,gli stampatori mantengono viva la tradizione pur proponendosoluzioni moderne e accattivanti per il nostro abitare.

I DECORI

C’è stata un’epoca in cui gli stampatori della Romagnaattinsero idee per decorare le proprie tele dal repertorioaccademico, ovvero dal cosiddetto “ornato”, che si eravenuto consolidando grazie al fiorire, dal Seicento all’Unitàd’Italia, di accademie dove si approfondivano le conoscenzedella pittura e del disegno.

I luoghi del sapere accademico nel campo delle “bellearti” più vicini al territorio delle stamperie erano l’Accademiadi Bologna e l’Accademia di Ravenna, sorta quest’ultimanel 1827. Dai luoghi del sapere le conoscenze uscivano e si diffondevano anche tra il popolo, visto che gli artigianistampatori scelsero di inserire tra le decorazioni della pro-pria bottega anche quelle desunte da modelli accademici.A questa divulgazione contribuirono di certo anche i testi-manuali di disegno che nei primi decenni del XIX secolovennero pubblicati.

Se poi si vuole fare una ricognizione anche se moltorapida sul risvolto sociologico di questo fenomeno si può

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ipotizzare che le classi contadine, che soprattutto usavanoil tessuto stampato nelle proprie dimore, avessero coltol’opportunità di avere un qualche richiamo all’eleganzatipica della borghesia, utilizzando decori secondo i dettamidell’ornato accademico, pur se riprodotti su tessuti noncosì raffinati come quelli in uso nelle case borghesi.

Un’altra fonte di ispirazione per l’incisione dei clichèsfurono i motivi del ricamo e dei merletti divulgati da testicanonici come il Burato (1527) o dai dettami della societàAemilia Ars (attiva a Bologna dal 1898 al 1903).

L’attenzione degli incisori si appuntò frequentementeanche sui motivi più ornamentali del mosaico bizantino(tralci, girali) e ancora sulle decorazioni ceramiche (aironefaentino).

In anni relativamente recenti, anni ‘30 del Novecento,si fa strada un concetto di decorazione più moderno, inerente al design e alla grafica pubblicitaria, che utilizzauno stampo riempito di chiodini di ferro tale da riempirecompletamente la superficie dei tessuti anche più sottilidella canapa, quali il lino e la seta. Questo tipo di stamposi può tuttora trovare nel caveau di alcune stamperie.

LA STAMPA A RUGGINE

Il Romagnolista Aldo Spallicci descrive la preparazionedella pasta in “La Piè”, X, 1929, p. 88:

“Tre vasi, tre misture. Ecco tutto il gabinetto del chimicotintore. In un caldano tenuto in vista d’un braciere (perchéil calore deve essere molto discreto), fanno un bagno aromatico chiodi e ferramenta di ogni genere. Aceto divino, dev’essere ben forte e maturo. Niente acido acetico.Un vecchio aceto di botticella ben sgrumata di tartaro chea levarne solo il cocchiume se ne profumi tutta la cantina.Si intride poi, in un secondo vaso, del fiore schietto di farinadi frumento in acqua di acetato di piombo e di solfato diferro. Infine si fa consumare nell’acido nitrico (che fa damordente) qualche pezzo di ferro non corroso dalla ruggine.

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79È certo che la mistura ad occhio richiede una lunga

esperienza. L’essere qui più, là meno generoso nella man-ciatella, significa donare un tono più freddo o più caldo alla tinta. È un po’ un impasto da tavolozza che vuole uncerto garbaccio da pittore. Ora di tre vasi se ne fa uno soloe il contenuto, ben rimescolato, tanto da avere una certadensità da colla da attaccare o da inchiostro da tipografia(…), si rovescia in un vassoio da calcina o in una cassetta”.Ingredienti di base: ferro dolce opportunamente ossidato e trattato con puro aceto di vino e acido nitrico per farneprecipitare la ruggine; si aggiungono acetato di piombo esolfato di ferro e il tutto viene “legato” con farina bianca di frumento che deve dare consistenza collosa alla pastacolorante. I pesi e le misure sono determinati dall’espertocolpo d’occhio dell’artigiano.

Gli altri colori sono ottenuti nelle stamperie con basiminerali sintetizzate chimicamente e ciascuna può ottenerecolori inediti facendo proprie ricerche ed esperimenti,come la bottega Visini di Meldola che ha ideato il verdemarcio ricavato dall’ossido di rame.

Dopo la preparazione della pasta come procedono gliodierni stampatori? La pasta viene stesa su un tampone; la tela viene collocata sul bancone da lavoro, ben imbottito.

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80L’artigiano prende lo stampo, lo intinge nel tampone e loappoggia sulla tela che vuole decorare con un gesto sicuro,rapido, indi lo percuote con il mazzuolo una, due, anche tre volte. Il mazzuolo ha il peso calibrato di circa 4 chili e imprime il disegno con nitidi contorni. L’operazione siripete fino a decorare tutta la tela. Ora la stoffa decorataviene posta ad essiccare, appoggiata in alto a bastoni, e quindi si passa al fissaggio ottenuto con soda causticache rende la tinta ruggine permanente.

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C’era una volta di Drudi Elisavia Nazario Sauro 150 Cerviatel. 0544/971234 Stampe su tela.

Miserocchi Egidiovia Miserocchi 4 Santo Stefano tel. 0544/563728 Stampe su tela.

Le aziendeda incontrare

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Memoriad’anticoGuida alle botteghe degli artigianati minori in provincia di Ravenna

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Memoria d’anticoGuida alle botteghe degli artigianati minoriin provincia di Ravenna

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E subito è doverosa una precisazione. Si può parlare di minorità di alcuni artigianati solo in riferimento alla loroconcentrazione sul territorio, ovvero alla diffusione.Null’altro, infatti, potrebbe relegare in seconda posizionel’arte del liutaio o quella del progettista e costruttore di naviin legno e, ancora, come potremmo non sentire il valoredell’arte orafa e il romantico richiamo delle ricamatrici edelle sarte che vestono bambole confezionate in ceramica?

Sono pochi gli artigiani del ferro battuto, ma ottengonorisultati splendidi nella loro fucina. Che dire poi degli anzianiche continuano a dare dimostrazione, e soprattutto allegiovani generazioni, dell’arte di intrecciare le antiche erbedi palude? La piadina romagnola viene cucinata ad arte in ogni comune della provincia, mentre un solo artigianocontinua a costruire il testo per cuocerla. E ancora... unosolo sa creare arte in attesa del vento.

Questi artigiani hanno accettato il testimone nella staffetta della storia e hanno saputo traghettare nel millen-nio più tecnologizzato l’arte antica, salvandone non solo la memoria, ma, ci auguriamo, il futuro. Questi artigianativalgono come un tesoro.

LA LAVORAZIONE DEI METALLI PREZIOSI

Si entra nel mondo della lavorazione dei metalli preziosiin punta di piedi e con la sensazione di invadere un “luogo”ricco di segreti custoditi tra le mura di alcune piccole impreseartigiane. Piccole può significare il lavoro di una sola perso-na, il titolare. È anche questa l’entità di risorsa umana checaratterizza l’impresa di oreficeria sparsa nei centri storicidel territorio provinciale di Ravenna.

Spesso però l’impresa si accresce diventando negozio,dove il frutto della creatività artigiana diventa propostacommerciale; il cliente affezionato, l’intenditore o l’investi-tore sanno che dietro i portoncini blindati di alcune orefice-rie-negozio potranno trovare quella nicchia di creatività, un oggetto già creato dall’orefice o quello che essi gli vor-

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ranno proporre come oggetto del proprio desiderio affinchéegli lo costruisca.

In Italia esistono dei veri e propri distretti dell’arteorafa, a Vicenza, a Valenza Po, ad Arezzo sono sorte innu-merevoli ditte e si organizzano eventi espositivi, ma solo di recente si è organizzato un corso di studi a livello univer-sitario per la lavorazione del metallo prezioso, a Milanopresso l’Università della Bicocca.

In realtà le migliaia di orefici attivi sul territorio hannoquasi sempre imparato a bottega e, se hanno frequentatocorsi professionali e scuole, hanno comunque cercato ben presto di affiancarsi ad un maestro orefice nel suo laboratorio.

Il breve percorso sul territorio provinciale per conoscerealcuni artigiani orefici tocca il capoluogo, Ravenna, ed i comuni di Russi e Fusignano.

A Ravenna, per conoscere un artigiano che realizza il ciclocompleto del lavoro sul metallo prezioso nel proprio laborato-rio, andiamo da Riccardo Brescini, in via Camporesi n. 21.

Quando si dice laboratorio si immagina un luogo nondefinito dall’immagine esterna, rivolta al pubblico, ma dalleazioni che si compiono al suo interno. Infatti la vendita, qui,è legata alla commissione, si acquista quasi esclusivamenteciò che abbiamo ordinato all’orafo, un oggetto studiato con lui. La vetrina, se c’è, è secondaria, ha soprattutto unafunzione di segnale e secondariamente di attrattiva.

Orafo, costruttore, riparatore, incassatore, RiccardoBrescini lo è diventato lavorando il metallo prezioso conpassione, curiosità e dedizione fino dalla giovinezza. A 15 anni era già in un laboratorio quando lo notò PaoloFerretti, attivo a Russi, e lo spronò ad intraprendere un’atti-vità in “proprio”. “Da quel momento, erano gli anni ‘70,non c’è stato per me un solo giorno senza lavoro”, vuoleprecisare Brescini, che è ancora legato alla tradizione deiFerretti di Russi attraverso il figlio, Daniele Ferretti, che tuttora gli commissiona dei pezzi.

Nel laboratorio di Brescini si realizza il ciclo completodella produzione, dall’idea all’oggetto “finito”, attraversotutti i passaggi che trasformano un lingottino o una laminain anello o in bracciale o in catena.

È possibile ripercorrere nel laboratorio l’iter della lavo-razione chiedendo al titolare un appuntamento e si potràcogliere l’occasione di studiare con lui un oggetto da rega-lare a noi stessi o ad una persona cara.

Qui tutti i procedimenti fondamentali sono realizzati amano e con il supporto, indispensabile, di alcuni strumentie di piccole macchine: si passa dai crogiuoli alle lingottiere,

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al laminatoio, alla filiera per giungere alla lavatrice ad ultra-suoni e alla pulitrice dotata di spazzole di varie dimensioni.Un recipiente pieno di segatura di canna è il passaggio perl’asciugatura.

Il ciclo della lavorazione non ammette perdite neppuredei minuscoli granuli di polvere caduti sul piano di lavoro osul pavimento. Tutto viene recuperato. L’acqua che scorrenel lavabo non finisce nel tubo di scarico, che non c’è più,sostituito da un secchio dove un cappello di feltro funge dafiltro. Le immondizie, quelle poche che vengono prodotte,non raggiungono i cassettoni municipali bensì, raccolte e trasformate in lingotto, vengono portate alle ditte specia-lizzate nella raffinazione.

Un ciclo di lavoro eco-compatibile si realizza nel labo-ratorio di Brescini, che ha imparato nell’esperienza quoti-diana anche l’arte dell’incassare le gemme e le pietre nell’oggetto d’oro da lui costruito.

Una caratteristica della produzione Brescini è la lavora-zione detta a “fusione diretta” che consente di creare effettidi decoro lavorando il metallo fuso direttamente sulla laminad’oro. Sono tutti pezzi unici, quindi, quelli che escono dallemani di questo artista dell’oro.

Una seconda tappa alla scoperta dell’arte orafa puòessere fatta in via Maggiore n. 159, nel laboratorio diMarco Gerbella. Le sue creazioni, frutto della formazionepresso valenti orafi, nella Valenza, patria dell’arte, e dellasua personale vena creativa, ci espongono al fascino delmonile classico: sapientemente studiato per ottenere unrisultato che bilanci perfettamente le sue componenti,perla, pietre e brillanti con la quantità d’oro.

Nonostante la giovane età, ha potuto fare anche espe-rienze di approfondimento dell’artigianato orafo applicatoalla creazione di oggetti indirizzati all’uso di rappresentanzaistituzionale di autorevoli ambienti, come quelli vaticani.Allievo in questo del maestro Marotto.

A Russi l’orafo Daniele Ferretti è facilmente raggiungibilenel negozio laboratorio sotto i portici di piazza Dante n.15.

Prima di superare il piccolo ingresso blindato è consi-gliabile soffermarsi a guardare un angolo della vetrinadove Ferretti espone le sue creazioni: oggetti in oro giallo e oro bianco, impreziositi spesso da pietre, creati secondoun’ispirazione suscitata in lui giovanissimo dalla vicinanzadel padre Paolo, orafo astrattista, anticipatore di forme e volumi come nella pittura fu il futurismo. All’epoca, erano gli anni tra il ‘50 e il ‘60 del Novecento,Paolo Ferretti non vendeva le sue creazioni perché troppoin anticipo rispetto al gusto del tempo, che prediligeva

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le forme classiche. Nel 1971 il figlio Daniele cominciò ad affiancarsi al

padre che gli aveva trasmesso la propria passione creativa,e non solo verso la lavorazione del metallo prezioso. Uomo poliedrico, maestro di magia di scena, prima di lavo-rare l’oro Paolo Ferretti aveva provato con i metalli dei resi-dui bellici dai quali ricavava gli accendini.

Oltre a ciò il passaggio di esperienze dal padre al figliosi arricchisce con le prove nella pittura e nella musica rock.Anche oggi le creazioni di Daniele sono decisamente “ferrettiane”, forse con qualche attimo di pacatezza in piùnella invenzione di forme che anche una donna ancorataallo stile classico possa indossare.

È sempre apprezzabile, comunque, l’idea che muove la mano, come quando Ferretti decide di lavorare intornoalla madreperla che conserva in sé il piccolo frutto nonmaturato, o quando costruisce oggetti sul tema dell’abitare,micro-riproduzioni degli ambienti domestici, un salottino,la libreria, la bathroom, fusioni in oro impreziosite talvoltada un brillante.

Le tecniche di lavorazione sono per noi come il titolo di una favola, i segreti della lavorazione a colatura, a lastra oa cera persa li lasciamo nell’angolo-laboratorio del negozio,sotto i portici di piazza Dante a Russi.

A Fusignano troviamo l’esperienza di un artigiano specializzato nella conoscenza e riparazione degli orologi,sia quelli personali da polso o da taschino, sia quelli d’arredo. Nel laboratorio di Erasmo Baravelli, in via Emaldin. 86, possiamo portare anche un oggetto prezioso, comeun orologio d’epoca in oro zecchino, per farlo restaurare.

L’esperienza di Erasmo Baravelli è anch’essa costruitafin dai tempi della giovinezza, con i primi rudimenti, la clas-sica gavetta, appresi a bottega presso lo storico laboratorioGirotti a Bologna. Qui lo notò la titolare della oreficeria di Fusignano che lo invitò a trasferirsi nel laboratorio inprovincia di Ravenna dove egli è rimasto fino ad oggi, specializzandosi ben presto nella lavorazione dell’orologeria.

Supportato da ripetute frequentazioni di corsi di aggior-namento nella patria dell’arte, in Svizzera, Baravelli haofferto a Fusignano e a largo raggio nel territorio ravennatela sua sicura competenza avvalorata dalla passione che ha trasmesso anche ai figli: un negozio Baravelli è attivo anche a Faenza presso il Centro Commerciale “Cappuccini”.

Qui a Fusignano il negozio, ampio e con grandi vetrine,conserva l’angolo di lavoro con il mobile in legno attrezzatocon cassettiere, luci da tavolo, bilancine, piccoli attrezziindispensabili al meticoloso lavoro delle mani.

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Ma le piccole mani dell’orologiaio sono sempre più rare;non è facile, oggi, introdurre i giovani di 15 anni a questolavoro e se le mani non si esercitano a partire dall’adole-scenza esse non saranno più adatte all’arte dell’orologeria.Non a caso le mani di Baravelli sono perfette, testimoni di un’arte esercitata con costanza a partire dall’età giusta.

ARTIGIANATO DEL LEGNO

Cantiere Navale De Cesari a CerviaA Cervia, perla della riviera romagnola dove si viene

per i motivi classici della vacanza balneare, per godere,cioè, di sole, mare e spiaggia, c’è un luogo forse poco fre-quentato dai turisti, molto di più dai proprietari di barcheda diporto: la piccola darsena, gremita di natanti che soloverso il molo lasciano qualche spazio alla piccola flotta dei pescherecci cervesi.

E accanto alla darsena, passando da Cervia a MilanoMarittima sul ponte mobile o sul traghetto, ci si trova, in via Sinistra del Porto, tra il Circolo Nautico e l’imponentemole dei capannoni di un cantiere navale.

Siamo nell’azienda di Pier Paolo De Cesari, artigiano,costruttore e progettista di barche a vela di legno, attivodagli anni ‘70 del Novecento quando, dopo aver frequentatol’Istituto per le Costruzioni Navali di Trieste, si inserìnell’attività iniziata negli anni ’30 dal padre Adriano (regi-strato con la tessera n. 4, nel 1947, come 4° Maestro d’AsciaNazionale). Una passione lunga un secolo ha generatoun’azienda che aggiunge fama alla Cervia balneare, offren-dole il valore aggiunto di un artigianato praticamente unicoin Adriatico.

Nel Cantiere De Cesari si costruiscono barche a vela intempi che non possono concorrere con quelli di una catenadi montaggio. Il committente, quasi sempre straniero,molto spesso americano, deve prevedere un’attesa di circatre anni per poter varare la propria imbarcazione che vienecostruita completamente a mano, compreso l’arredo che

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viene studiato su misura e realizzato sulla barca.Le pareti dell’ufficio di De Cesari, un luogo spartano

in totale sintonia con il contesto marittimo portuale in cuisorge, sono tappezzate di foto di imbarcazioni costruite quie varate nel corso degli ultimi decenni.

Oggi si sta lavorando per ultimare la barca numero 363,una 26 metri, che potrà ospitare nel cabinato sei personepiù l’equipaggio e il personale di servizio. Almeno otto persone lavorano nel cantiere tra le quali immancabile il maestro d’ascia, l’artigiano portatore di una qualificaindispensabile, la numero uno, per la costruzione dellebarche di legno. Con queste premesse non possiamo stupirci quando ci viene detto che il valore di una di questebarche non scema neppure nell’arco di 10-11 anni. Gioiellidel mare.

IL LIUTAIO

La lavorazione del legno ci porta dal grande scafodelle barche a vela al piccolo strumento musicale costruitonel “ritiro” di un laboratorio cittadino

Violini, viole e violoncelli escono dal laboratorio di MarcoMinnozzi, liutaio attivo a Ravenna in via dei Tomai n. 3.

Cambiano di gran lunga le dimensioni dell’oggetto, dai 26 metri di lunghezza della barca passiamo a 30-35 cmdel violino, ma non si accorciano i tempi di lavorazione. La pazienza sembra governare il lavoro degli artigiani dellegno. Minnozzi solo grazie ad un costante impegno puòcostruire forse due strumenti in un anno, visto che deveimpegnare addirittura qualche mese per la fase intermediadella verniciatura. E prima di questa ha dovuto ideare il modello, disegnarlo e tagliare il legno secondo il disegnodefinitivo. Passano in questa prima fase alcuni mesi.

Si devono poi costruire le piccole parti, le fasce, gli zocchetti, il manico a riccio, la tastiera, i filetti, l’anima, scegliere e applicare le corde e infine fare le prove di voce,verificare cioè, l’intonazione dello strumento.

È l’anima, un bastoncino posizionato in verticale all’interno dello strumento, il punto di verità, la sua correttaposizione e la giusta tensione consentono di mettere apunto la vocalità del violino e dei suoi similari. In quei pochicentimetri di strumento stupisce la varietà di materialiusati: il legno, ad esempio, cambia secondo le parti cheesso deve costruire, acero dei Balcani marezzato, salicerosso, abete italiano della Val di Fiemme, ebano, ai quali si aggiungono il budello animale, l’argento o altre legheper le corde, per finire con le resine naturali che devonorivestire alla perfezione lo strumento affinché esso le sentacome ciascuno di noi sente un abito, né troppo largo, né

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troppo stretto.Minnozzi fa questa paziente costruzione da solo, inse-

rendosi perfettamente nella grande tradizione dei maestriliutai che lo ha conquistato giovanissimo durante gli annidi studio compiuti presso il Conservatorio di Parma, coro-nati da un master negli U.S.A. per apprendere anche l’artedel restauro. Il primo strumento lo costruì nel 1981, ma l’azienda è stata avviata nel 1988.

Circa l’80 % della sua produzione è destinata ad unaclientela internazionale; in Inghilterra, Svizzera, America,ma soprattutto in Giappone i musicisti eseguono con glistrumenti di Minnozzi. Un artigiano che lascerà, come tuttii grandi liutai, un segno della propria sapienza ben ricono-scibile proprio grazie ai mutamenti e all’evoluzione dellasua creatività nel creare i modelli, che possono essere un centinaio nella vita di un liutaio.

Ogni modello, infatti, seppure costruito secondo ildesiderio del musicista committente, porta in sé il segnodell’artigiano che lo ha ideato e realizzato. È così cheancora oggi, possiamo riconoscere uno Stradivari, unGuarnieri. La perfetta conoscenza dei fondamenti tecnicidella costruzione è la base su cui si innesta la sensibilitàdel liutaio.

E Minnozzi è certo che questa sensibilità si affini anchegrazie a ciò che gli occhi del liutaio possono vedere fuoridal ritiro del laboratorio. Le bellezze senza tempo della suaRavenna sono per lui un riferimento ineliminabile per crearearmonie di forme e di suoni.

IL RESTAURO DEL LEGNO E DEL MOBILE D’EPOCA

C’è un pool di artigiani che si dedica al legno nella fasedelicata del suo recupero allo splendore d’origine. Sono i restauratori, che si applicano al recupero del mobile d’epoca, ma anche al restauro dei cosidetti “beni culturali”che a Ravenna costituiscono una delle risorse di maggioreinteresse turistico e che richiedono una costante opera

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di monitoraggio e sapienti interventi di mantenimento.Renzo Valmori è, in Ravenna, un valente artigiano impe-gnato in questo importante settore del restauro.

Per conoscere, invece, i segreti dell’arte del restaurodel mobile d’epoca possiamo raggiungere i laboratori di Marcello Monte, in via Bassano del Grappa n. 72 e di Antonio Vicentini, in via Port’Aurea n. 31. Qui il nostromobile antico, se bisognoso di cure particolari, otterrà di tornare in auge, recuperato, perciò, al suo valore nonsolo affettivo, ma anche commerciale.

Questi artigiani sono consapevoli della necessità di avere degli eredi della loro arte e sono particolarmentesensibili al problema della formazione delle giovani gene-razioni: auspicano per esse un percorso formativo scolasticocompleto che aumenti la competitività delle loro prestazioni.

ARTIGIANATO DELLA FANTASIA

Non lo diremo ai bambini che abitano nei comuni dellanostra provincia che tra la pianura e l’Appennino ci sonoluoghi dove si fabbricano i loro sogni: bambole, bambolotti,putti, cavalli a dondolo, in terracotta, e case di bambola in miniatura, accessori in legno e carillon.

Un mondo di favola costruito in tre piccole aziende artigiane la cui produzione viene venduta nei negozi specia-lizzati di tutto il mondo. Presso le aziende non si compra, inrealtà, neanche uno spillo, ma i tre titolari sono disponibiliad accogliere qualche gruppo di turisti, soprattutto se stranieri, per fare conoscere le fasi della lavorazione.Indispensabile la prenotazione.

Partendo da Ravenna la prima tappa di questo tour da favola potrebbe essere presso lo Studio CeramicheArtistiche di Danilo Sartoni, in via Ravegnana n. 409/b. Dal 1976 in questo laboratorio si costruiscono bambole e bambolotti, si confezionano i loro abiti con tessuti prove-nienti da antichi corredi, con pizzi e trine e si creano per

loro ambienti, suppellettili in miniatura.Ogni bambola è un oggetto unico, leparti del corpo mobili e i visi decoratia mano e lucidati con cera d’api sonoin terracotta.

Ancora in pianura, ma appena fuoriFaenza, passato il primo cavalcavia sullaautostrada, si imbocca via Spadarino,una viuzza immersa nella prima campa-gna, per arrivare al laboratorio di Cleò,al numero 39.

Una creatività bizzarra ci accoglie

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92nel porticato. Sono le “maniche a vento” in forma di uccellomigratore, di aeroplano, di conventicola di frati. Girano e sigonfiano ad ogni sospiro dell’aria. Le ha costruite GianniFabbri, contitolare dell’azienda. La Cleò, infatti, è conosciutacome azienda di Salaroli Sergio snc; dove è finito Fabbri?Lui, ironico, precisa di essere, appunto, “nella snc”.

In realtà la creatività qui è soprattutto la sua: centinaiadi bambole, sedute, distese, in piedi, tutte deliziosamenteespressive, carinamente sorprese o pensosamente tristi,vestite in sartorie dedicate, pettinate in fogge diverse, calzano scarpe artigianali.

Sono pronte per fare il giro del mondo, tanto vasto è ilmercato di Cleò. Si attraversano alcune stanze così abitatee si giunge in un angolo di lavoro, irripetibile, dove Fabbriinventa e realizza gli arredi in miniatura che egli ambientain una scatola, in una custodia di violino, in un pneumatico,in una stalla. Per le sue creazioni è stato premiato anchedalla Disney. Chi desidera acquistare in zona le bambole diCleò può trovarle a Faenza presso il negozio di Mila Donati,ceramista, che le propone insieme con la sua produzionedi ceramiche decorate secondo la tradizione.

Bisogna raggiungere Brisighella ed inoltrarsi versol’Appennino fino a San Martino in Gattara per conoscere

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l’azienda artigiana “Piccole cose Pieli”, in via San Martino n. 20. Pieli è il cognome della titolare, di nome Domenica,

che qui crea con Simona Sartoni e con un gruppo di abiliartigiane, bambole sempre vestite e pettinate secondoun’antica e romantica foggia, ciascuna dotata di un certifi-cato di autenticità e di unicità: i capelli sono veri, i pizziantichi e pregiati, le stoffe impreziosite da ricami e passa-manerie. Oltre alle bambole in azienda si confezionanoanche lampade rivestite di tessuti ricamati, carillon e altrioggetti come complementi di arredo. Il mercato è soprat-tutto estero.

LAVORAZIONE ARTIGIANA DELLE ERBE

A Casola Valsenio, patria del famoso professore RinaldiCeroni, ideatore del primo Giardino delle Erbe Officinali,tuttora attivo e interessante luogo di sperimentazionedidattica, c’è anche un’azienda che contribuisce a consoli-dare la fama che questo angolo di Romagna pre appenninicaha come di “piccola Provenza”.

La “Patrizio Breseghello” in via I Maggio n. 28, porta il nome del titolare, veneto di origine, ma si è sviluppatagrazie alla stretta collaborazione con la moglie Maria Rosa,emiliana di Vignola. I due, erboristi diplomati ad Urbinocirca venti anni fa, hanno raccolto la tradizione della fami-glia Breseghello che, dalla seconda metà dell’8oo, era attivanella coltivazione e lavorazione di piante officinali, in provin-cia di Padova. L’azienda nasce nel 1991 e nel 1996 vienetrasferita a Casola.

I Breseghello considerano vincente l’idea di specializ-zarsi nelle erbe, nella lavorazione delle piante officinali e dei loro derivati. La materia prima giunge qui da moltezone dell’Italia e dall’estero, raccolta nei paesi d’origine in periodi che dipendono dal tempo balsamico delle stessepiante, e viene immagazzinata in attesa della lavorazioneche può essere totale o parziale. La clientela, anche inter-nazionale, sono i grossisti che seguono poi la distribuzione

del prodotto confezionandolo per lavendita. La Breseghello ha introdottole erbe biologiche che seguono unapposito disciplinare di lavorazione e vengono certificate secondo il deca-logo Codex.

E un’ottima offerta per il mercato è stata quella del pot pourri che vieneproposto in una vasta gamma, giàprofumato e miscelato secondo unaformulazione aziendale.

Le novità per lo sviluppo della

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> Aule:

il riferimento è ad

“Arte sonora per i

bambini”, percorso

di collaborazione

(dal 1996) insieme

con Arianna Sedioli,

esperta di pedagogia

musicale e atelierista,

per guidare i bambini

tra arte, musica e

sonorità dell’ambiente

in cui vivono

(www.artesonoraperi-

bambini.com).

azienda sono legate al futuro inserimento dei figli chepotranno curare aspetti importanti come la commercializ-zazione e portare dentro all’azienda il know how scientifico,secondo il corso di studi che stanno seguendo. Quandosarà aperto il punto vendita aziendale sarà piacevole venirea Casola anche per acquistare i prodotti Breseghello.

Oggi è possibile ottenere una visita nell’azienda soloprevio appuntamento.

L’ARTE COME MESTIERE, UNA STORIA DI ARMONIA COSTRUITA

CON L’AIUTO DEL VENTO

Ho conosciuto un artigiano, ma molte persone dellaRomagna ormai lo conoscono e la sua fama si sta diffon-dendo nel mondo secondo un percorso anomalo, che nonsegue i canali pubblicitari, bensì le piste da lui stesso trac-ciate alla ricerca e nell’attesa di un soffio di vento.

Incontro Luigi Berardi nel suo nuovo “Laboratorio delPereo”, in via Pereo n. 18 a S. Alberto di Ravenna, un loftottenuto in affitto dalla Cooperativa Culturale del paese.Berardi si può incontrarlo in molti altri posti, laddove eglimonta le sue installazioni, “Arpe Eolie” le ha chiamate,lungo l’argine di un fiume, su uno scoglio di mare, lungo le dune, e… lungo i confini del mondo, ma anche nelle saledove egli espone progetti o nelle aule dove si intrattienecon i bambini ai quali vuole insegnare a dipingere un pae-saggio di suoni. Qui, però, nel suo laboratorio, in prossimitàdi un confine naturale oltre il quale si può solo traghettareverso le umidità delle valli ravennati, si ha la sensazione di poterlo come catturare prima che scappi dietro al vento.Qui egli esprime la sua umanità, di ricercatore che, inseritoin un contesto abitativo, famiglie e lavoratori, non vuoleoltrepassare la linea del comprensibile, non vuole esserevisto come l’artista strano e inavvicinabile, bensì si preoc-cupa dei suoi vicini e delle loro reazioni al suo lavoro.

Che non è usuale, neppure tra gli artigiani. Eppure eglilavora materiali assolutamente compatibili come il bambù,

il legno, la corda, il rame, metalli. Ciò che non è usuale è il progetto,

l’idea che muove le sue azioni, il cre-dere che il suono della natura sia unostrumento musicale e farlo provare ai suoi simili nel mondo.

Nel laboratorio Berardi studia e dàforma ai suoi progetti, nel laboratoriosi può fare un percorso attraverso le sue molteplici esperienze o perfor-mance raccontate dai manifesti e dalleparti smantellate o ancora assemblate

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95che abitano lo spazio: le grandi canne di bambù che sonostate sulla Muraglia Cinese nel 2000, le valve di conchigliaprototipo di quelle che saranno poste in galleggiamento,con il contenuto di un ospite, un Totem reduce da un labo-ratorio didattico, e fuori dal laboratorio, sul prato, “SilenzioArmonico”, una grande campana in forma di doppio gong,nella quale, entrando, si attende un’esperienza sonora, ma anche solo guardandola dall’esterno ci suggerisce unaqualche complicità con il suo costruttore e con il paesag-gio. Per conoscere subito l’artigiano e la sua versatilità diartista consultate il sito: www.paesaggiosonoro.com.

BURATTINAI A RAVENNA

La famiglia Monticelli è impegnata da cinque genera-zioni nel teatro delle marionette e dei burattini.Infatti produce e promuove spettacoli dal 1800.

Il nome dell’attuale compagnia costituita nel 1979 daifratelli Andrea e Mauro, figli di William Monticelli, è “Teatrodel Drago” la cui attività si svolge su due versanti: quellodella tradizione, con gli spettacoli di burattini tradizionali e la conservazione dei materiali della Collezione Monticelli,e quello della ricerca attraverso gli spettacoli di figura con-temporanei dove si concretizza una personale linea artistica,originale sia nell’impiego dei materiali, sia nelle tecniche

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> Teatro del Drago:

i burattini tradizionali

rappresentati da

Mauro e Andrea

Monticelli sono spet-

tacoli dinamici, basati

su gag e giochi di

parole che divertono

adulti e bambini dai

cinque ai novantacin-

que anni.

I testi sono tratti da

antichi canovacci

dell’Ottocento patri-

monio di famiglia:

fiabe antiche, espres-

sione di una saggezza

popolare. I ritmi e gli

stereotipi sono quelli

della Commedia

dell’Arte, come pure

le maschere.

Lo spettacolo può

essere rappresentato

in qualsiasi luogo, nel

teatro e nella piazza

di paese, perchè la

sua struttura lo rende

auto portante e indi-

pendente, senza par-

ticolari esigenze tec-

niche.

di animazione.Numerose sono state le tournèe all’estero in occasione

dei più importanti Festival di settore in Europa (GranBretagna, Svizzera, Polonia), in Africa (Tunisia, Libia), inAsia (Giappone, Taiwan). E numerosi sono i premi assegnatiai titolari del Teatro del Drago: “La luna d’Argento” Premioalla carriera nel 2002, Premio Hesperia 2000, al FestivalInternazionale di Teatro per ragazzi, ad Aosta, PremioNazionale migliore burattinaio dell’anno, nel 1994, perricordarne solo alcuni.

Se vogliamo essere tra il loro pubblico dobbiamo infor-marci sulle date delle loro tournèe consultando il loro sitointernet: www.teatrodeldrago.it.

L’indirizzo è via S. Alberto n. 297, Ravenna. Le tournèeromagnole toccano importanti teatri come il Rasi di Ravenna,ma anche scuole, giardini pubblici in estate, sale parrocchiali,piazze, e la scena si ripete nelle città d’Italia e d’Europa.

IL CENTRO ETNOGRAFICO DELLA CIVILTÀ PALUSTRE

DI VILLANOVA DI BAGNACAVALLO

Villanova di Bagnacavallo è un piccolo centro che siraggiunge facilmente lasciando la S.S. 253 San Vitale cheda Ravenna conduce a Bologna.

Situata in una zona denominata “ Bassa Romagna” ecaratterizzata da terreni acquitrinosi, da cui le derivò ancheil nome di ”Padusa”, Villanova diede ai propri abitanti unarisorsa di lavoro e di reddito grazie alla lavorazione di bencinque varietà di erbe palustri reperite nel territorio insiemecon legni autoctoni quali il pioppo e il salice.

Si era nel XIII secolo allorché sorse il paese di“Villanova delle Capanne”, presto sviluppatosi lungo l’arginesinistro del fiume Lamone, famoso in zona come re di tuttele bonifiche, che vennero realizzate, però, a partire dallafine del secolo XIX. Prima di allora la regione era disseminatadi zone umide in un ricco complesso idrogeologico costituitoda stagni, zone acquitrinose dell’entroterra, aree deltizie,

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basse retrodunali. Il tutto offriva agli abitanti una vegetazionespontanea adatta a usi tipici e rispettosi dell’ambiente.

La raccolta tramite sfalcio stagionale delle vegetazionipalustri, oltre che dare alle popolazioni motivo di lavoro,aveva la funzione di mantenere l’equilibrio ambientale,favoriva la vita delle zone paludose, agevolava i ritmimigratori degli uccelli. La struttura urbanistica di Villanova,cosidetta “a pettine”, in quanto costituita da borgatecostruite lungo la strada che collega i territori di Bagnacavalloe Mezzano, consentiva al passante forestiero di incontraredirettamente la litania delle attività di lavorazione delleerbe che le donne svolgevano anche sulla soglia della casae nei cortili. Era un modo naturale di promuovere l’economiadel paese: esporre le manifatture per attirare l’attenzionedel potenziale acquirente-cliente.

Stuoie, graticci, legacci, sedie impagliate, borse e sporte,scope, ciabatte, panciotti, pantofole, cappelli costituivanol’offerta della produzione locale, realizzata grazie alla lavo-razione delle 5 erbe locali, la canna, la stancia, il giunco, il giunco pungente, il carice. E nelle corti delle tenute e neipoderi si costruivano con la canna palustre i capanni, usaticome abitazione, poi sempre più come luoghi per il ricoverodi animali, attrezzi di lavoro o di generi alimentari bisognosidi conservazione.

I capanni erano un altro esempio di integrazione con il territorio che non riceveva alcun danno da tali costruzioni“a zero impatto ambientale”. Una dimora paragonabile intutto alle tane costruite dagli animali.

Tutto questo è stato salvato in esemplari, raccolto e sistemato in un’area museale, il Centro Etnografico dellaCiviltà Palustre” a Villanova di Bagnacavallo, in Largo TreGiunchi n. 1.

Il Centro è attivo dal 1985. Grazie alla passione e allavoro ininterrotto della curatrice, Maria Rosa Bagnari, si è potuto salvare un pezzo di storia interamente scrittadalla capacità di integrazione dell’uomo con l’ambiente in cui egli viveva.

Il Centro Etnografico è visitabile secondo un percorsoideato dalla curatrice e suddiviso in ambienti, o sezioniespositive, dove è stato raccolto il materiale prezioso trovato presso le famiglie del paese.

Le sezioni espositive sono 6: > La cambra d’in Ca> Bonifica e Trasporti> Canna> Carice-Legno> Stancia-Giunco> I giochi di una volta

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La visita-percorso ha un momento privilegiato nell’incon-tro con i depositari dell’arte e della cultura delle erbe palustri:artigiani che ancora, nonostante l’età, sono disponibili a dare dimostrazione del modo di lavorare, intrecciandole, le diverse erbe.

Assai utili sono gli audiovisivi che possono esserevisionati in alcune tappe della visita per completare l’infor-mazione su “Sfalci e raccolte”, su “I Capen”, su “La vita, la gente di un paese”.

Da non perdere la visita esterna in ambiente rurale adun capanno e ad una capanna-cantina di tipologia classica,e la passeggiata in zone umide che solo l’esperienza di unaguida esperta può rendere fonte di preziose conoscenze.

Il Centro che si propone come struttura interattiva,interdisciplinare, è di interesse didattico per tutte le fascedi età scolare, compresa l’universitaria, ma è moltepliceanche il pubblico adulto, studiosi e semplici turisti.

L’appuntamento per tutti è nella seconda settimana di settembre durante la Sagra dedicata alla civiltà delleerbe palustri.

È NATA PRIMA LA PIADINA O IL TESTO?

La “piada” in Romagna tutti la fanno ad arte, ma il “testo” per cuocerla ad arte lo fanno solo a Montetiffi:Rosella Reali e suo marito Maurizio Camilletti sono gli unicitegliai rimasti a portare nel nuovo millennio uno dei mestieripiù antichi, una famiglia e un’azienda artigiana in un borgodi case di pietra. Prima di loro e fino agli anni ‘90 delNovecento c’erano Pierino Piscaglia e Leone Reali, ma quandoessi lasciarono il mestiere per limiti d’età il testo rimase unsimbolo di Montetiffi, quasi un pezzo da museo etnografico.Finchè, nel 1998, i due giovani, Rosella e Maurizio, si lasciano conquistare dal fascino discreto dell’antica arte e decidono di imparare dagli unici maestri rimasti.

Introduco prima il “testo” non per voler suggerire una risposta al quesito posto nel titolo, ma per collocare

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in questo capitolo un manufatto che, come le tele stampatea mano, ci porta oltre i confini provinciali e, in questo caso,fin quasi al Montefeltro.

Dobbiamo infatti inoltrarci fino a Ville di Montetiffi ed oltrepassare Sogliano al Rubicone, patria del famosoFormaggio di Fossa, per incontrare gli eredi di un antichis-simo artigianato ai quali spetta l’onore e l’onere di aversalvato dall’estinzione il “testo” ovvero la teglia, dettaanche tegghia o teggia o tegia, ma anche lastra e tegola,per cuocere la piadina.

Oggi le teglie di Montetiffi hanno un marchio chegarantisce il metodo tradizionale di fabbricazione, un timbroimpresso a rilievo quando la teglia è ancora tenera: unateglia con quattro orecchie alle estremità e al centro la millenaria abbazia di Montetiffi.

Seguendo quasi un percorso inverso, la storia dellapiadina, che nel passato era legata al testo quanto la famedomestica ad un mestiere che la poteva sedare, si è carat-terizzata per un passaggio progressivo della stessa da cibodei poveri, confezionato nelle case della campagna, a preli-batezza portata sulle mense delle nostre città a simboleg-giare la tradizione culinaria romagnola.

Le città della Romagna sono ormai tutte disseminate dei caratteristici “chioschi” che si affacciano sui marciapiedi,sempre affollati di clienti, alcuni occasionali, di passaggio,altri fidelizzati, che affidano alla piadina il compito di riscal-dare le proprie mense nei giorni di festa, o di ravvivare

> Metodo tradizionale: la materia prima per fabbricare il testo è l’argilla,rossastra o grigio verde, prelevata dalle vene naturali in loco. L’argilla viene prima asciugata al sole e, seccata, viene poco alla voltadepurata e successivamente impastata con polvere di calcite ottenuta conun antico e faticoso procedimento; la pasta ottenuta, posta sul tornio,viene lavorata a mano fino ad ottenere un disco sottile rifinito nel bordosecondo un disegno semplice, ma ben identificabile. La fase successiva èquella della stagionatura in un luogo chiuso e arieggiato, essa può durareanche due mesi in inverno, ma in estate si ottiene in un solo mese. La cottura avviene in forno dove i dischi di argilla rifiniti ed essiccati sonoposti verticalmente in un numero che non supera i 150. La cottura è molto delicata e la temperatura deve salire in modo gradualefino a 700 gradi per non provocare la rottura dei pezzi. Solo dopo due giorni si procede all’apertura del forno.Il testo veniva poi usato per cuocere altri cibi come i ceci, le castagne,carne e pesce e, talvolta, perfino i cappelletti.Quando a causa del prolungato uso il testo subiva danni esso veniva riparato, quasi cucito, con filo di ferro.

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i propri banchetti, le feste di compleanno dei bambini e le merende consumate in allegra compagnia.

Non si può infine dimenticare che anche nei migliorilocali della ristorazione tradizionale la piadina viene sempreservita nel cesto di vimini, spesso gradita più del pane.La ricetta base della piadina romagnola è di una semplicitàdisarmante: farina, un pizzico di bicarbonato, strutto dimaiale, acqua tiepida e sale.

Le varianti, e sono relative sia alla quantità degli ingre-dienti sia alla scelta degli stessi, hanno nel corso deidecenni denominato la piadina con il nome della città incui quella certa ricetta è adottata per tradizione.

La fantasia del cuoco può naturalmente intervenire permodificare l’impasto, ma gli estimatori sono concordi nelpreferire il prodotto confezionato secondo la ricetta base. Nell’immaginario collettivo la piadina si accompagna con la musica della tradizione, con il chiassoso vociare dellecompagnie, con il sapore degli affettati che la farciscono edei formaggi freschi come lo squaquerone e, inconfondibile,con il profumo che emana nel momento magico della cot-tura mentre la forchetta puntigliosa la punge e la spingesul nero testo infuocato.

Si vedono assai spesso lunghe file di persone in attesadi ordinare la piadina, ma... il popolo della piadina roma-gnola è tale da poter fare lunghe file di attesa ai chioschisenza dare segni di impazienza e senza mancare di rispettoal vicino che come lui aspetta il suo turno.

LA PASTA FATTA A MANO

Le mani dell’Azdora, ovvero della donna romagnolache nei decenni del Novecento ha assunto il dettato oraledella tradizione nella quale è cresciuta, sono un libro aper-to. Ricche di sapienza, insegnano la pazienza e l’abilità, l’umiltà e la devozione. La trasformazione della società italiana, e perciò di quella romagnola, se ha allentato la frequentazione femminile dei siti storici della propria

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appartenenza alla tradizione contadina quali l’aia, la cucina,il focolare, il paiolo sul fuoco e il tagliere, non ha tuttaviacancellato l’istinto che ancora oggi porta la donna in etàmatura a tramandare il proprio sapere manuale alle giovanigenerazioni.

Abbiamo un chiaro esempio di questo nelle “sfogline”della Bassa ravennate che tuttora si sfidano in gare annualisui taglieri infarinati e testimoniano la poetica iniziazionedelle giovani all’arte della pasta fatta a mano ad operadelle madri e delle nonne.

Se nell’alveo di questa tradizione dura a morire si è sviluppato un business, ovvero la fioritura di negozi specia-lizzati nella confezione della pasta fresca artigianale, nonpossiamo temere un esito di allontanamento dal solcodella tradizione casalinga, bensì possiamo addiritturaapplaudire alla capacità imprenditoriale che ancora unavolta è delle donne impegnate in affari “da cucina”.

Cappelletti, tortelli, passatelli, strozzapreti, lasagne,tagliatelle e tagliolini, destinati al condimento rosso a base di carne dimaiale e manzo, ragoùt, o al grassobrodo di gallina o di cappone, vengonoincessantemente confezionati nellebotteghe artigianali della Romagna e consentono anche alla donna chelavora come operaia, come impiegatao come professionista, di offrire aipropri commensali un piatto tipicodella tradizione, genuino e fatto adarte.

GLI ARTIGIANI DEL FERRO BATTUTO

Nelle campagne del ravennate la bottega del fabbroancora negli anni ’50 era un valido supporto alle attivitàrurali, vi si costruivano infatti caveje, vanghe, vomeri e roncole. Ma c’erano anche fabbri che in piccole botteghe si dedicavano alla forgiatura del ferro per ottenere cancellie oggetti di genere più decorativo.

Oggi sono rare le botteghe del fabbro, i pochi artigianirimasti proseguono con orgoglio un’attività intrapresa intenera età, ma non trovano giovani ai quali affidare la pro-pria arte.

Dire che è un mestiere duro sembra addirittura banale. Chi può amare un lavoro che sviluppa muscoli asimmetrici,che si svolge in un ambiente spesso freddo e caratterizzatodal colore scuro del ferro lavorato al fuoco? Eppure qualcunosostiene che può essere più sano di altri lavori; si sonovisti fabbri nonagenarii.

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Noi proponiamo di scambiare qualche opinione conalcuni artigiani che, seppure in modo diverso, testimonianouna passione per il metallo addirittura insospettabile.

A Fusignano, in via Molino n. 33, Giovanni Martinidopo una vita dedicata al mestiere ha organizzato addirit-tura una mostra delle opere da lui realizzate in senso artistico. Sono oggetti costruiti nella sua fucina che si puòvisitare sotto la sua guida per conoscere tutti gli attrezzidel mestiere e le macchine di cui il fabbro si avvale. Martinipuò farci assistere alla lavorazione del ferro reso incande-scente dal fuoco e battuto e ribattuto con un martello chepuò pesare anche cinque chili.

La sua abilità, ottenuta grazie ad un esercizio quotidia-no fino dalla giovinezza e ad una innata passione per lamanipolazione dei materiali più diversi, la creta usata dabambino, il legno, poi il rame, si è espressa in oggetti clas-sici, un vaso, una brocca, un ortaggio come la zucca, e poiha creato forme nuove, moderne, avveniristiche, frutto diuna intuizione repentina suscitata dal pezzo di ferro ancorainforme.

La materia prima viene reperita nelle officine meccanichecomprata a peso; sono flange di ferro dalle quali può origi-narsi un cane, un bue, una stella o una forma tutta dainterpretare. Anche la lavorazione del ferro battuto creaeventi, mostre, concorsi, porta soddisfazioni all’artigiano.Martini ha già vinto due concorsi alla Biennale Europea delFerro Battuto che si tiene a Stia, in provincia di Arezzo.

L’ambiente della mostra permanente dei suoi lavori, completamente ristrutturata, è talmente spaziosa da poteraccogliere anche un gruppo di turisti. E di fianco al grandeedificio si può ammirare anche un vecchio mulino dal qualesi gode uno scorcio antico di campagna.

A Villa Vezzano di Brisighella, Marino Montevecchi vafiero di rappresentare la quarta generazione di artigiani

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103del ferro battuto, una tradizione di famiglia iniziata dallafonderia Montevecchi, specializzata nella costruzione dicampane da chiesa. Ma non ci sono all’orizzonte eredi chepossano prolungare nel terzo millennio, dopo più di centoanni, l’arte dei Montevecchi.

L’attività di Marino Montevecchi è incessante, le stanzedella sua “fabbrica” sono piene di oggetti finiti pronti perla consegna e il tavolo degli ordini è disseminato di disegnie progetti. Molti i letti costruiti per le coppie di sposi, manumerosissimi gli oggetti che completano l’arredo di internied esterni. C’è poi la sala dove sono conservati gli oggettiutilizzati per mostre personali o collettive.

È quasi incredibile la leggerezza che questi oggettisuggeriscono, il ferro lavorato dopo il riscaldamento nellefucine acquista sotto il martello, pesante diversi chili, unospessore che sembra suscettibile di movimenti ad un soffiodi vento. Qui vengono i clienti, spesso sono architetti eMontevecchi realizza con perizia e passione i loro progetti.Il capannone ha le pareti altissime, rivestite di pezzi darestaurare.

Le pause dal lavoro sono poche, troppi gli ordini perconcedersi una vacanza, e la sera fino a tardi gli amici vengono qui a fargli compagnia mentre lavora. Quando losi saluta e gli si stringe la mano è impossibile non notare

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104lo sviluppo anomalo del muscolo che ogni giorno stringe il martello di cinque chili per forgiare il ferro, Montevecchiche in gioventù fu pugile ne va fiero. Prima di venire a VillaVezzano telefonate perché Montevecchi potrebbe essere in viaggio per montare uno dei numerosi pezzi d’arredoche egli costruisce.

Un’altra tappa può essere fatta a Ca’ di Lugo dove ungiovane fabbro, Paolo Quadalti, è impegnato a fabbricareoriginali complementi d’arredo in ferro secondo una pro-gettazione personale, ma definita nel dialogo con il propriocliente.

Se a Villa Vezzano siamo arrivati alla quarta generazionedi artefici del ferro battuto, a Ravenna incontriamo il rappre-sentante della settima generazione: Enrico Bartolotti, arti-giano in via Circonvallazione San Gaetanino, al numero 211.

Si replica la magia di una lavorazione che può spaziaredalle forme più tradizionali ad altre decisamente moderneper accondiscendere all’evoluzione del gusto: cancellateartistiche, quindi, ringhiere, testate di letti, ma anche tavo-lini con inserti di mosaico, sedie, lampade, e una nicchia di produzione che esprime la creatività pura dell’artigianonella realizzazione di animali: gufi, lumache, pesci e altriesseri che traggono vitalità dalla sapiente battitura del

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metallo infuocato.Bartolotti, se raggiunto da un preavviso telefonico,

è disponibile ad organizzare una dimostrazione della suaarte, dall’accensione del fuoco alla fase creativa.

ASSOCIAZIONE “C’ERA UNA VOLTA IL RICAMO” A BRISIGHELLA

Se vogliamo conoscere e ammirare un artigianato chevive grazie alla passione e all’impegno di un gruppo di artistedell’ago da ricamo dobbiamo segnare in agenda dueappuntamenti: il primo, ovvero la mostra annuale, si tienea Brisighella presso la Chiesa del Suffragio dalla domenicadelle Palme fino alla festa di Pentecoste; il secondo, ovveroil concorso biennale giunto nel 2002 alla 4a edizione,richiama un folto pubblico a Faenza, a Palazzo Gessi, dal24 novembre al 10 dicembre.

“Di più non possiamo fare – precisano Anna Bartolie Claudia Cassani, entrambe ricamatrici provette e maestredi ricamo oltre che organizzatrici dei due eventi – Nonabbiamo risorse economiche sufficienti per dare maggiorevisibilità al nostro lavoro che, però, ha uno spazio fissonella rivista Rakam e in altre specializzate”.

Ma anche le risorse umane, e sono tutte di alta qualità,non superano le dita delle due mani: dieci persone sonol’anima di questa associazione che, allo spegnersi deiriflettori sulla mostra e sul concorso, rifluisce nel silenzio dell’alta valle del Lamone, fino alle propaggini dell’Appennino,a San Cassiano.

Qui incontro Anna Bartoli e Claudia Cassani e le seguocon paziente stupore mentre aprono sotto i miei occhi gliscrigni: scatole e cesti pieni di tessuti rifiniti a ricamo bianco

o colorato. E mi introducono breve-mente ai segreti dell’Aemilia Ars, miillustrano le principali differenze tra i punti tradizionali del ricamo.

Così incontro un pezzo di storia diquesta valle che le ricamatrici manten-gono viva e, proprio come accadevaalle nonne e bisnonne loro o dellealtre socie, tra un ricamo e l’altro puòcapitare di passare in cucina a control-lare l’arrosto perché il ricamo, in valledel Lamone, era un’attività svolta

dalle donne in casa per arrotondare il reddito familiare. A Brisighella e a Fognano l’arte fiorì ed ebbe successo

dall’inizio del Novecento fino alla seconda guerra mondiale.Allora esistevano le scuole, a Brisighella sotto la guidadelle sorelle Valvassori, a Fognano presso il ConvittoEmiliani delle Suore.

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Dopo l’apprendimento dell’arte le donne proseguivanoquesto lavoro tra le mura domestiche, lavorando anchefino a tarda notte a lume di candela. Il che non impedì lorodi creare dei corredi splendidi che sono stati conservati nellecase dei privati, nei conventi, nelle chiese e che, durante lamostra, l’Associazione propone al pubblico degli appassio-nati ed intenditori.

Se domando alle due “maestre” quali siano le loroallieve, per quali motivi giungano a frequentare i loro corsi,capisco che l’applicazione all’arte del ricamo compete conmolte attività che, in un’epoca tecnologizzata come l’attuale,conquistano il nostro tempo libero. Prima di lasciare questoluogo immerso nel silenzio posso ammirare alcuni pezzilavorati dalle due ricamatrici in totale libertà creativa eritrovo il fil rouge che sto pazientemente seguendo in que-sto viaggio nel mondo dell’artigianato artistico: il legametra la mano, abile e sicura per un lungo addestramento, e un’idea alla quale essa vuole dare corpo.

> Associazione “C’era una volta il ricamo”: si è costituita nel 1988, dopoun corso di formazione professionale per “Operatrici di Ricamo Tradizionale”. Oggi l’Associazione conta 10 socie. Ha sede in viale della Stazione n. 38, a San Cassiano di Brisighella (tel. 0546/86049).Finalità dell’Associazione:1) Studio ed approfondimento della storia e della tradizione del ricamo2) Progettazione e realizzazione di pezzi originali3) Ricerca ed analisi di manufatti d’epoca4) Divulgazione e formazione, esposizioni e corsi di ricamo. Si vuole mantenere attiva la pratica di tutte le tecniche di base del ricamoe di alcuni merletti come il tombolo, il modano, l’aemilia ars, il lavoro sutulle, velluto, seta ed altri tessuti delicati.L’Associazione organizza:> La mostra annuale che si tiene a Brisighella dall’aprile al maggio. La 1a edizione fu nel 1996. Il pubblico proviene da diverse regioni italiane> Il concorso biennale di Faenza (fine novembre – primi di dicembre) peril ricamo ispirato alla ceramica, che esamina i manufatti provenienti damolte regioni italiane e dall’estero. La partecipazione al concorso è gratuita. La giuria, composta da specialisti del settore, da giornalisti, da ceramisti,è presieduta dal direttore della rivista Rakam.I premi:dal 1° al 5° classificato> pezzi unici del maestro faentino Goffredo Gaeta,dal 6° al 10°> oggetti di maiolica faentina offerti dall’Ente Ceramica Faenza,fino al 22° classificato> un attestato di partecipazione ed un oggetto di maiolica faentina.Premi speciali: assegnati alla Scuola o Associazione di ricamo che ha par-tecipato con più elaborati, al concorrente più giovane, a quello più anzianoe a quello più lontano.

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RICAMO BIZANTINO A RAVENNA

Il percorso delle ricamatrici di Brisighella ha incorag-giato altre “artiste dell’ago” di Ravenna a tracciare unapista di conoscenza della tradizione del ricamo ispiratodalla tradizione decorativa bizantina.

Carla Scarpellini ha scritto un libro, “Il ricamo bizanti-no” (Ed. Essegi, 1998), nel quale viene proposto un itinera-rio di riscoperta storica, anche supportata da un ampiocorredo di illustrazioni, della “Bizantina Ars” o RicamoBizantino.

Essa trae ispirazione e soggetti dai mosaici ravennatidel V e VI secolo, ma anche dai capitelli e dalle transennefinemente lavorate.

Nel breve saggio di Andrea Ricci, contenuto nel libro, sirintracciano i nomi e i luoghi che danno al RicamoBizantino il fondamento di arte appresa presso una scuolae grazie all’insegnamento di esperte ricamatrici.

A Russi l’arte del Ricamo Bizantino è tenuta viva daIrma Scudellari Melandri (Artigianato Artistico Bizantino,Russi, tel 0544/580869) che ha voluto riportare in auge il patrimonio artistico di una scuola di ricamo che ebbealterne vicende, a cavallo dei due conflitti mondiali delsecolo passato.

Le numerose mostre che IrmaScudellari ha organizzato, e organizzatuttora, nel mondo, in Giappone, inFrancia, in Germania e in diverseregioni italiane, fanno conoscere alpubblico una lavorazione che riprodu-ce su tessuto i motivi dei mosaici, deimarmi, dei bassorilievi conservatinelle basiliche di Ravenna.

È in fase di ultimazione un testoche la signora Scudellari ha curatosull’argomento.

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108PIZZI E VECCHI MERLETTI A RAVENNA

Si chiama Flora Giugni e lavora nel suo atelier, in viaPasolini n. 9 (una traversa della centralissima via Cavour),dove realizza articoli per corredi e corredi interi, anche per il neonato. Se desiderate una culla inedita per il vostrobebè qui potete realizzarla.

Non solo: la titolare crea tovaglie, tende, paralumi, sottopiatti (erano suoi quelli sulla tavola imbandita per il Presidente Ciampi in visita a Ravenna). E le sue creazionispesso viaggiano oltreoceano.

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Le aziendeda incontrare

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> Metalli PreziosiArte Oro di Michieletti Gianni

via Mangagnina 57 Ravenna tel. 0544/451022 Fabbricante oggetti preziosi ed orafo.

Baldini Srl corso Emaldi 86 Fusignano tel. 0545/53343 Lavorazione e trasformazione di metalli preziosi.

Brescini Riccardo via Camporesi 21/a Ravenna tel. 0544/483465 Orafo.

Cose Preziose di Grandi Stefano

via Reale 238/a Mezzano tel. 0544/523071 Fabbricazione e riparazione oggetti preziosi.

Dottori Giuseppe via Mazzini 45 Ravenna tel. 0544/219482 Fabbricante di oggetti preziosi.

Farneti Cristiano via Mura S. Vitale 11 Ravennatel. 0544/32412 Fabbricazione oreficeria e metalli preziosi.

Iacono Gian Luca via Toscana 24 Ravenna tel. 0544/464749 Orafo.

Il regno della natura di Bazzi Gaetano

via Cantinelli, 31/33 Faenzatel. 0546/28044 Lavorazione pietre dure e oggetti in metallo prezioso.

L’arte dell’0r0 di Pagani Gianfrancovia Ugonia 3 Faenza tel. 0546/680456 Orafo.

La Bottega dell’orafo di Bedronici Massimo

via Emilia Interna 20 Castel Bolognese tel. 0546/54438 Riparazione di oggetti preziosi.

La bottega dell’oro D’Anetra Federicovia Castel S. Pietro 52 Ravenna tel. 0544/479252 Orafo e riparazione orologi.

Laboratorio artigiano di Farri Gianni e C. Snc

via Resistenza 16 Massa Lombarda tel. 0545/82832 Produzione artigiana di oreficeria.

Laboratorio incisioni Guerrini di Antonellini Maria

via Fiume Abbandonato 67/69 Ravenna tel. 0544/32106 Laboratorio di incisioni.

Liviano Soprani Taglieria pietre preziosevia Cerchio 61 Ravennatel. 0544/215080 Lavorazione pietre preziose.

Marco Gerbella orafo via Maggiore 159 Ravenna tel. 0544/464142 Orafo. Fabbricazione di gioielli.

Michieletti Gaetano via Primieri 49 Ravenna tel. 0544/452066 Riparazione oggetti in metallo prezioso.

Monilia Snc di Unich Luca e Scolaro Ettore

corso Emaldi 110 Fusignano tel. 0545/53466 Oggetti di gioielleria e oreficeria.

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Rubino di Olivoni Vittorio e C. Snc via C. Battisti 6 Riolo Termetel. 0546/71959 Orafo, fonditore, riparazione orologi.

Senno Gian Piero via San Mama 77 Ravenna tel. 0544/275057 Incastonatore di pietre preziose.

Zella Alfonsino via S. Vitale 26 Ravenna tel. 0544/39367 Orafo.

> Costruzioni barcheCantiere navale De Cesari A. Snc di De Cesari Pier Paolo

via Sinistra del Porto 9 Cervia Milano Marittimatel. 0544/974040 Costruzione imbarcazioni di ogni genere e loro accessori.

Carnevali Srl via Pisacane 45 Marina di Ravennatel. 0544/538660 Costruzione e riparazione barche e natanti.

Nova Vetro Srl via Bartolotti 7 Marina di Ravennatel. 0544/439126 Costruzione e riparazione imbarcazioni.

Orioli Enrico & figli di Orioli Luciano & C. Snc

via del Marchesato 23 Marina di Ravenna tel. 0544/530429 Costruzione e riparazione barche.

Scalvenzi Nautica di Scalvenzi Giuseppe e C. Sas

via San Rocco 11 San Pietro in Vincoli tel. 0544/551194 Costruzione e riparazione natanti.

> RestauroAnobium di Gaiani Romeo e C. Snc

via X Aprile 17 Lavezzola tel. 0545/80143 Riparazione e restauro mobili.

Antichità e restauro di Piancastelli Giancarlo

via Trieste 37 Villa Vezzano tel. 0546/70659 Restauro di mobili e ceramiche antiche.

Arte e restauro Sas di Angela Guerrini & C.

via Anita Garibaldi 52 Mandriole tel. 0544/449108 Conservazione e restauro opere d’arte.

Baldassarri Angelo via Farini 1 Bagnacavallo tel. 0545/63634 Restauro mobili e opere d’arte.

Bordini Mariano viale IV Novembre 30/1 Faenza tel. 0546/28941 Restauro architettonico e mobili.

Campagnoni Giorgio via Monastero 31 Brisighellatel. 0546/81817 Restauro pulitura e lucidatura mobili.

Cantoni Restauri Antiquariato di Cantoni Elisa

via P. Alighieri 23 Ravennatel. 0544/38117 Restauro mobili antichi e decorazioni.

Ceroni Telesforo piazza Marconi 27 Brisighellatel. 0546/81191 Restauratore mobili.

Ciarlariello Domenico via Ripe 23 Bagnara Di Romagna tel. 0545/76590 Restauro mobili e lavori artistici.

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Contoli Valerio viale Ceramiche 54 Faenza tel. 0546/662499 Lavori di restauro pitture antiche.

Gavelli Ruggero via Medaglia d’oro 96 Faenzatel. 0546/620768 Restauro e lucidatura di mobili.

Il Restauro di Foschi Gilberto

via Granarolo 14 Faenzatel. 0546/661625 Restauro mobili e accessori di arredamento.

L’arte del restauro di Monte Marcello

via Bassano del Grappa 72 Ravenna

tel. 0544/470837 Restauratore mobili antichi e usati.

Montanari Marco piazza San Rocco 5/a Faenza tel. 0546/681357 Restauro e lucidatura mobili.

Neri Otello via Campidori 16/a Faenza tel. 0546/30169 Riparazione mobili antichi.

Sonygiò di Corelli Sonia

via Bastia 319 Frascata tel. 0545/914330 Restauro mobili.

Vassura Isacco via Croce 27/b Faenza tel. 0546/20078 Lucidatura e restauro mobili.

Vicentini Antonio via Port’Aurea 37 Ravenna tel. 0544/218274 Ebanista restauratore.

> BamboleCleo di Solaroli Sergio e C. Snc

via Spadarino 29 Faenzatel. 0546/46335 Produzione bambole e relativo abbigliamento.

Diavolerio Snc di Todoli Giovanna e Nicosanti D

via Mazzolani 15 Cerviatel. 0544/970533 Produzione giociattoli e oggetti artistici.

P. F. Bambole Bricolage di Focaccia Claudia e C. Snc

via della Boaria 48/2 Faenza tel. 0546/22278 Bambole da collezione ed articoli da regalo.

Piccole Cose Pieli di Pieli Domenica e S

via Ca Battistone 19 San Martino in Gattaratel. 0546/87063 Bambole ed articoli da regalo e d’arredo.

> Erbe e piante officinaliJ. N. Srl.

via Lucania 20 Pinarellatel. 0544/980711 Produzione alimenti biologici.

L’albero del sole Snc di Calderoni Giuseppe & C.

via dell’Artigianato 7 Fusignanotel. 0545/954113 Prodotti da forno biologici.

Patrizio Breseghello di Breseghello Patrizio

via 1° Maggio 28 Casola Valseniotel. 0546/73400 Lavorazione piante officinali aromatiche.

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> Costruzione strumenti di fantasiaBerardi Luigi

via degli Angeli 211 Santerno tel. 0544/417321 Realizzazione strumenti musicali, sculture.

> LiutaiMinnozzi Marco

via De’ Tomai 3 Ravennatel. 368/3422267 Liutaio.

> Ferro BattutoL’incudine di Bartolotti Enrico

via Circ.ne San Gaetanino 211 Ravenna tel. 0544/454711 Lavori artistici in ferro battuto.

Montevecchi Marino vicolo Galetti 3 Villa Vezzanotel. 0546/89015 Lavorazione ferro battuto.

> Pizzi e merlettiGiugni Flora

via Pasolini 9 Ravennatel. 0544/34680 Pizzi e ricami, paralumi e cartonage.

Non solo pizzo di Cicognani Ermanna

via G. Rossi 14 Ravenna tel. 0544/212765 Articoli in tessuto e pizzo pregiati.

Mister B di Gondoni Ambra

via Rambelli 18 Faenza tel. 0546/634569 Stampe su tessuti in genere.

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Luoghi da vedere

> info: IatBagnacavallotel. 0545/280898

IatRavennatel. 0544/35404

> Ravenna Lo straordinario complesso di basiliche, battisteri e mausolei del V e VI secolo che costituisce la più ricca e ben conservata testimonianza di arte paleocristiana e bizantina in Italia: la chiesa di San Vitale con i mosaici raffiguranti i cortei di Giustiniano e Teodora, il Mausoleo di Galla Placidia che conserva i mosaici parietali più antichi di Ravenna, la basilica di S. Apollinare Nuovo in origine chiesa palatina di Teodorico, la basilica di S. Apollinare in Classe grandiosa per l’architettura e i mosaici raffigurantila Trasfigurazione, il Mausoleo di Teodorico con la cupola monolitica in pietra d’Istria, i Battisteri degli Ariani e degli Ortodossi. Il Museo Nazionale con notevoli collezioniromane, paleocristiane, bizantine e medioevali.Il Duomo e il Museo Arcivescovile dove è conservata la Cattedra d’avorio del Vescovo Massimiano. La zona dantesca con il sepolcro, il Museo di Dante e la chiesa di S. Francesco. Il Museo d’Arte della Città, presso la Loggetta Lombardesca sede della Pinacoteca Comunale e di mostre prestigiose. La basilica di S.Giovanni Evangelista e la chiesa di Sant’Agata entrambe del V secolo. La zona archeologica con i resti dell’antico porto di Classe. Il dominio veneziano è testimoniato dalle architetture di Piazza del Popolo e della Rocca Brancaleone, mentre la Biblioteca Classense risale al XVI secolo.

> Bagnacavallo L’antico Centro Storico costruito su pianta medioevale, con singolare struttura sinuosa, di prevalente stile barocco; la Piazza Nuova, piazza ovale portificata

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del XVIII secolo, antica sede di macellerie, pescherie e altre botteghe; la Torre Civica del XIII secolo e gli antichi palazzi nobiliari; la Pieve di San Pietro in Sylvis (VII secolo), una delle pievi meglio conservate del ravennate. Nei dintorni a Villanova di Bagnacavallo: il Centro Etnografico della Civiltà Palustre con la ricca raccolta di manufatti realizzati in epoca preindustriale con le erbe di valle e il legno di pioppo e salice (lavorazione artigianale tuttora esistente).

> Bagnara La Rocca medioevale, attualmente sede del Municipio, di Romagna e il Museo Mascagni, che raccoglie i cimeli del musicista

e il carteggio di 5.000 lettere tra Mascagni e la bagnarese Anna Lolli.

> Brisighella L’antico borgo medioevale con la via degli Asini, caratteristica strada sopraelevata e coperta, unica al mondo; il Museo Civico Giuseppe Ugonia; le Chiese dell’Osservanza e della Collegiata; la Torre dell’Orologiocon il Museo del Tempo; la Rocca Manfrediana con il Museo della Civiltà Contadina; la Pieve del Tho, costruita fra l’VIII e il X secolo d.C.; lo stabilimento termale, al centrodi una grande parco, famoso per le cure a base di acque sulfuree e salso-bromoiodiche, indicate per le forme infiammatorie croniche delle vie respiratorie.> Dintorni di Brisighella: il Parco del Carnè, oasi verde a 5 Km da Brisighella, ideale per pomeriggi all’aperto, visiteguidate ed escursioni didattiche. Con il suo paesaggio tipicamente carsico rappresenta uno degli angoli più belli della Vena del Gesso la cui formazione risale a circa sei

Iat Cervia /Milano Marittimatel. 0544/993435

Iat Pro LocoBrisighellatel. 0546/81166

Iat Pro LocoCasola Valseniotel. 0546/73033

Pro LocoBagnara di R.tel. 0545/76733

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Iat Pro LocoFaenza tel. 0546/25231

milioni di anni fa. Particolarmente suggestiva la Grotta della Tanaccia, frequentata dall’uomo fino dall’età del rame.

> Casola L’Abbazia di Valsenio, fondata dai Benedettini intorno Valsenio al X secolo, è di notevole interesse storico e architettonico.

Il Cardello, antica foresteria dell’Abbazia, poi trasformato in dimora signorile a fine Ottocento, fu a lungo abitato dallo scrittore Alfredo Oriani. Possiede un parco di rara bellezza.

> Cervia La Torre S. Michele costruita nel 1691 per difendere il porto dalle incursioni piratesche, oggi sede della biblioteca comunale; il Magazzino del Sale Torre (1691) e il Magazzino del Sale Darsena (1712) dove veniva raccolto e preparato il sale; il Museo della Civiltà Salinarasulla storia e il lavoro dei salinari; il Centro Storico con il “Quadrilatero” delle case dei salinari, il Palazzo Comunale, la Cattedrale, la Chiesa del Suffragio dove è conservato un pregevole crocifisso ligneo del XIV secolo, la Chiesa di S. Antonio da Padova, il Teatro Comunale; la fontana“Il Tappeto Sospeso”; la Casa delle Aie costruita nel 1790 come casa del fattore e dei pignaroli della pineta di Cervia; le Terme e il Parco Naturale.> Dintorni di Cervia: la Salina Camillone, unica salina artigianale rimasta in funzione, e le saline a raccolta industriale; il Santuario della Madonna del Pino (1487) di stile tardo-romanico con il bel portale in sassod’Istria; la Pieve di S. Stefano di Pisignano, risalente al 977, che fu ospizio per i romei, i pellegrini che nel Medioevo si recavano a Roma.

[ luoghi da vedere ]Pro LocoLugotel. 0545/22567

IatRiolo Termetel. 0546/71044

Pro LocoRussitel. 0544/583301

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> Faenza Il Centro Storico raccolto intorno alle due piazze principali, Piazza del Popolo e Piazza della Libertà, che richiamano l’idea di un salotto a cielo aperto; nel centro storico:il Duomo del 1400, Palazzo Milzetti, il principale palazzo neoclassico della regione Emilia Romagna, il Teatro Masini nella corte del palazzo comunale detto “la Molinella”; il Museo Internazionale delle Ceramiche, uno dei più importanti al mondo, che presenta la ceramica faentina dall’epoca romana ai nostri giorni e numerose opere di ceramica moderna realizzate da famosi artisti del XX secolo;le botteghe dei tornianti e dei ceramisti disseminate un po’ dovunque nella città, luogo di lavoro e di vendita, nelle quali gli artigiani sono lieti di illustrare i passaggi salienti della loro arte.> Dintorni di Faenza, Oriolo dei Fichi:la Torre esagonale a “doppio puntone” costruita dai Manfredi nel 1476, oggi sede dell’AssociazioneProduttori della Torre di Oriolo.

> Lugo La Rocca di fine ‘500, oggi sede del Municipio; il Pavaglione, caratteristico quadriportico costruito nel XVIII secolo per il mercato del baco da seta, oggi sede del mercato del mercoledì e, in estate, di una famosa rassegna di spettacoli; il Teatro Rossini nel quale si svolgono tutto l’anno spettacoli di prosa, concerti e una stagione lirica di prestigio internazionale; il Museo di Francesco Baracca allestito in onore dell’aviatore lughese eroe della Prima Guerra Mondiale, la chiesa della Collegiata; il Parco del Loto, area di verde attrezzato nell’Oasi delle Buche Gallamini.

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> Riolo Terme La Rocca è un esempio interessante di fortificazione militare quattrocentesca, costruita dai bolognesi nel 1388. Il Centro Termale è immerso in un parco di alberi secolari. Le sue acque sono celebri per le proprietà terapeutiche in numerose affezioni. È attivo un moderno Centro di Terapie Naturali e Biotecnologiche che ogni anno mette a punto nuovi metodi diagnostici e terapeutici. Il Campo da Golf a 18 buche si estende per 200 ettari sulle colline riolesi. Il tracciato è estremamente tecnico e movimentato.> Dintorni di Riolo: la Vena del Gesso, ambiente carsico di importanza europea, formatasi in lontane ere geologiche.Si presenta come una lunga cresta rocciosa di selenite, definita “pietra di luna” per i suoi riflessi lunari, che percorre trasversalmente per chilometri le valli del Senio e del Lamone. Fenomeni carsici hanno disegnato nel corso dei millenni scenari spettacolari, con grotte, doline, inghiottitoi. Da segnalare la grotta di Re Tiberio e gli Orridi di Rio Bassino, con cavità tortuose a cielo aperto, cascatelle,insenature e pozze di acqua limpida. Numerosi i sentieri segnalati per escursioni a piedi e in mountain bike e per il trekking.

> Russi La Villa Romana, risalente alla fine del I secolo d.C., al centro di un complesso archeologico di estremointeresse; il Palazzo San Giacomo (fine XVI sec.) costruito dai conti Rasponi di Ravenna come casa domenicale del nobile casato; la Pieve di Santo Stefano in Tegurio(VIII-IX sec. d.C.) e la Pieve di San Pancrazio (fine VIII sec.).

[ luoghi da vedere ]

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Eventi e sagre

Tutto l’anno > 3° fine settimana di ogni meseMostra Mercato dell’antiquariato e artigianato a Ravenna> settembre/maggio 1° fine settimana di ogni mese,giugno/agosto venerdì seraMercatino “Fatto ad Arte” a Ravenna> gennaio/giugno, settembre/dicembre 2° domenica del meseMercato dell’antiquariato, artigianato artistico e collezionismo a Lugo> ultimo sabato di ogni meseIl Mercatino dei Ricordi a Massalombarda> aprile, settembre, novembreI Mercatini delle feste a Fusignano

Primavera-estate > marzo/maggio La soffitta in piazza / Mercatino di primaveraa Villanova di Bagnacavallo> aprile/maggio Mostra di ricamo a Brisighella> aprile/maggio Note di primavera a Bagnacavallo> maggio/settembre I Martedì d’estate a Faenza> maggio/settembre Mostra Mercato dell’antiquariato, artigianato artistico e collezionismo a Cervia> giugno/luglioBagnacavallo al chiar di luna a Bagnacavallo> giugno/agosto

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Mosaico di notte a Ravenna> giugno/settembre I lunedì delle meraviglie a Riolo Terme> giugno/settembre Mercatino serale del venerdì a Brisighella> giugno/settembreIl Mercatino del porto a Porto Corsini> giugno/settembreIl Mercatino degli hobbisti a Marina Romea> giugno/settembreIl Mercatino degli hobbisti a Marina di Ravenna> giugno/settembreIl Mercatino degli hobbisti a Punta Marina Terme> giugno/settembreIl Mercatino degli hobbisti a Lido di Dante> giugno/settembreIl Mercatino degli hobbisti a Classe> giugno/settembreIl Mercatino degli hobbisti a Savio> giugno/ottobre Estate Ceramica a Faenza> luglio/agosto Mercatino delle erbe officinali a Casola Valsenio

Altri eventi > luglioMondial Tornianti a Faenza> settembreFiera biennale dell’agricoltura, industria e artigianatoa Lugo> settembreSagra della Civiltà delle Erbe Palustria Villanova di Bagnacavallo> settembreFesta di San Michele a Bagnacavallo> dicembreMercatini d’Europa a Cervia

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Isotta Fiorentini Roncuzzi, Il Mosaico. Materiali e tecnichedalle origini a oggi, Ravenna Longo Ed.

Isotta Fiorentini Roncuzzi, Arte Tintoria a Ravenna. Dallaflora tintoria ai minerali coloranti, Ravenna Longo Ed.

Carmen Ravanelli Guidotti, Thesaurus di opere della tradizione di Faenza nelle raccolte del MuseoInternazionale delle Ceramiche in Faenza, Agenzia PoloCeramico

Monica Ribetto, Tesi di Laurea “La Ceramica Artistica diFaenza nel panorama italiano”, 1996/97 (Corso di Laureain Economia e Commercio)

Elisabetta Merendi - Laura Tramonti, Il gioco del mosaico. Il metodo di Bruno Munari in un laboratorio di mosaico,Ravenna, Longo Ed.

Carla Scarpellini, Il ricamo Bizantino, Essegi Ed.

G. Milantoni, S. Nicolini, S. Pascucci, Decorare ad arte,Essegi ed.

Bibliografia

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Si ringraziano

Archivio dell’Assessorato al Turismo della Provincia di RavennaArchivio dell’Associazione StampatoriRomagnoliArchivio dell’Ente Ceramica di FaenzaArchivio di CNA di RavennaArchivio di Confartigianato di RavennaArchivio di Consorzio Provinciale per la Formazione Professionale Archivio della Società d’Area di Brisighella,Casola Valsenio, Riolo TermeArchivio del Comune di CerviaAlessandra CapraraFrancesca FabbriLuigi BerardiMaria Cristina SintoniArchivio di Centro Etnografico della CiviltàPalustre di Villanova di BagnacavalloMarco GerbellaPaolo de CesariMarco MinnozziAssociazione “C’era una volta il Ricamo” di BrisighellaSalvatore Palazzolo“Il Teatro del Drago“ dei fratelli MonticelliSergio SalaroliDanilo Sartoni Carla ScarpelliniEd. Essegi

Piero BandiniCesare BoschiMaria Concetta CossaRiccardo PascucciEnzo PezziIsotta Fiorentini Roncuzzi

Un ringraziamento particolare è rivolto a Edoardo Godoli della CCIAA, a MassimoBranzanti di CNA e a Claudio Suprani di Confartigianato che hanno seguito il progetto nelle sue diverse fasi.

L’Autrice