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Università Telematica Pegaso La metodologia attiva alla base del
processo di apprendimento
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Indice
1 STRATEGIE DIDATTICHE EFFICACI PER IL SUCCESSO FORMATIVO ---------------------------------- 3
2 LE TECNICHE ATTIVE: STRUMENTI UTILI ALLA DIDATTICA --------------------------------------------- 6
3 IL ROLE PLAYING: PER COMPRENDERE UN PUNTO DI VISTA ALTERNATIVO ---------------------- 8
4 TECNICHE DI ANALISI DELLA SITUAZIONE: STUDIO DI CASO E L’INCIDENT --------------------- 11
5 UNA DIDATTICA PER PROBLEMI: METODOLOGIA ATTIVA ----------------------------------------------- 13
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 17
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1 Strategie didattiche efficaci per il successo formativo
Nella pratica didattica possono essere utilizzati diversi modelli pedagogici di riferimento che
indicano strategie, metodi, tecniche che un docente può adottare per facilitare l’apprendimento. E’
necessario allestire ambienti favorevoli all’apprendimento integrando varie teorie educative e
avendo anche la capacità di escluderne alcune da un determinato contesto di apprendimento che non
risultino adeguate ed efficaci.
In generale qualsiasi modello venga scelto deve essere eteroreferenziale, avere cioè come
obiettivo prioritario il successo formativo dell’alunno e orientare gli itinerari scelti verso
metodologie didattiche più funzionali alla realizzazione e al conseguimento di risultati significativi,
nello specifico di capacità dirette a esplorare, classificare fenomeni e definire questioni e problemi,
stabilire e comprendere connessioni, costruire nuovi scenari interpretativi e progettare soluzioni.
Un ruolo evidente ha quindi la figura del docente, legato alla sua leadership e assertività.
Diversi autori si sono soffermati a descrivere le (meta-)competenze che deve possedere un docente.
La teachership, infatti, è un elemento fondamentale di sostegno che coinvolge in pieno la
professionalità docente che deve essere in grado di comprendere quali siano gli obiettivi generali
che deve acquisire lo studente (contenuti, conoscenze, abilità e competenze) e quale modello
didattico risulta più valido da applicare al contesto (instructor-centered, learner/learning team
centered).
A tutto ciò si devono poi applicare quelle competenze specifiche di un docente, quali la
capacità di analizzare e comprendere il contesto educativo, l’abilità a situare l’azione didattica in un
ambiente di apprendimento innovativo, competenze di pianificazione, di mediazione e valutative,
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abilità nella gestione delle relazioni interpersonali, capacità di gestione della motivazione in un
gruppo di apprendimento.
La scelta di un metodo deve avere come prospettiva un apprendimento significativo
(Ausubel), cioè l’alunno deve essere in grado di rielaborare i nuovi dati e di ristrutturarli sulla
scorta dei propri schemi o concetti consolidati, ma integrabili.
Alcune delle strategie didattiche più rilevanti sono classificate in base a logiche di
raggruppamento diversificate che indicano maggiore o minore concretezza/approccio
euristico/elaborazione; direttività/non direttività dell’azione docente; maggiore o minore centralità
dell’alunno.
Una cosa è certa che i metodi tradizionali, incentrati sull’erogazione di contenuti non
autentici, codificati dal docente e non interpretati dall’alunno, non creano conoscenza reale, in
quanto situati in un contesto monodirezionale, asimmetrico, in cui non c’è un vero e proprio
scambio di conoscenze.
Tuttavia non è da escludere una prima fase frontale nell’insegnamento dedicata a fornire un
modello di funzionamento, una pratica, alla quale lo studente si può riferire per apprendere per lo
più per imitazione o per modellamento. E’ questo il cosiddetto modello dell’apprendista naturale
non in grado di apprendere dai contesti perché non ha imparato ad imparare, a cogliere il valore dei
significati, ma ha solo imitato e riprodotto procedure, funzione questa comunque utile
all’apprendimento. Nell’ottica cognitivista, invece, l’apprendimento è un metodo di insegnamento
volto a risolvere problemi, comprendere ed eseguire particolari compiti, affrontare situazioni
difficili. In tal modo le conoscenze vengono collocate nel contesto di applicazione e viene riservata
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attenzione al processo, alla capacità dell’alunno di operare un valido feedback delle operazioni che
svolge.
In tale prospettiva si muove la metodologia attiva, infatti, la ricerca educativa evidenzia che
gli studenti apprendono in modo più profondo e lavorano meglio, sui compiti assegnati loro dagli
insegnanti, se hanno l’opportunità di impegnarsi in attività che li obbligano ad utilizzare la
conoscenza studiata per risolvere i problemi connessi a situazioni del mondo reale, in un contesto di
tipo cooperativo (Darling-Hammond, 2008).
I risultati positivi dell’apprendimento si registrano, inoltre, quando gli studenti, durante le
attività in classe, partecipano a lezioni che richiedono di costruire e organizzare la conoscenza
considerando continuamente delle alternative; quando gli studenti vengono coinvolti in ricerche
dettagliate ed approfondite, nell’analisi e nella scrittura di report; quando viene chiesto loro di
comunicare efficacemente i risultati ottenuti ad altri – i compagni di classe, quelli di altre classi o a
esperti esterni – che possono valutare i loro lavori, quando cioè sono attivi e costruttori della propria
conoscenza. Per questo motivo oggi trova ampia applicazione la metodologia attiva dove il termine
“attivo” deve essere inteso come l’iniziativa, ricerca di soluzioni, l’utilizzo della sperimentazione e
dell’osservazione per l’elaborazione teorica, che nel metodo tradizionale erano fortemente
subordinati alla memorizzazione.
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2 Le tecniche attive: strumenti utili alla didattica
Le tecniche attive respingono il ruolo passivo, sostanzialmente ricettivo dell’allievo e
richiedono all’allievo una partecipazione sentita e consapevole, poiché contestualizzano le
situazioni di apprendimento in ambienti reali che vive attualmente (integrazione qui e ora della
pluralità dei contesti) o che vivrà in futuro (previsione e virtualità).
Sono le attività procedurali che coinvolgono attivamente lo studente nel processo di
apprendimento. Le tecniche utilizzate nelle attività didattiche proposte si caratterizzano per:
la partecipazione “vissuta” degli studenti (coinvolgono tutta la personalità dell’allievo);
il controllo costante e ricorsivo (feed-back) sull’apprendimento e l’autovalutazione;
la formazione in situazione;
la formazione in gruppo.
Le proposte si collocano nell’ambito di quattro gruppi di tecniche attive:
1. tecniche simulative, in cui troviamo il role playing (gioco dei ruoli) per l’interpretazione e
l’analisi dei comportamenti e dei ruoli sociali nelle relazioni interpersonali;
2. tecniche di analisi della situazione che si avvalgono di casi reali; qui troviamolo studio di
caso e l’incident. Con lo studio di caso si sviluppano le capacità analitiche e le modalità di
approccio ad una situazione o a un problema, nell’incident, si aggiungono le abilità
decisionali e quelle predittive;
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3. tecniche di riproduzione operativa;
4. tecniche di produzione cooperativa, tra cui troviamo il metodo del cooperative learning,
per lo sviluppo integrato di competenze cognitive, operative e relazionali1.
Le tecniche definiscono il rapporto tra il soggetto che apprende e la situazione
d’apprendimento. Con le tecniche di simulazione il soggetto impara immerso nelle situazioni; con
quelle di analisi della situazione impara dalle situazioni (leggendole); con le tecniche di
riproduzione operativa impara operando sulle situazioni, e con quelle di produzione cooperativa
impara a modificare (o a inventare) le situazioni.
Naturalmente è variabile anche il coinvolgimento emotivo degli studenti: è profondo nelle
tecniche simulative, con l’immersione nella realtà e con l’assunzione di ruoli specifici, più
distaccato nelle analisi delle situazioni e nelle riproduzioni operative.
Le tecniche simulative mirano in primo luogo allo sviluppo di competenze socio-relazionali,
e quindi direttamente utilizzate negli insegnamenti in cui il fulcro è dato dal rapporto tra le persone.
Sono, comunque, tecniche estremamente valide anche in situazioni disciplinari in cui gli allievi
sono chiamati a simulare persone e ruoli direttamente implicate nelle discipline. Ad es.: in storia si
può simulare un avvenimento del passato con la specifica “che cosa sarebbe successo se …”,
oppure si può simulare l’azione dello storico; in fisica si può simulare un dibattito tra due scuole di
pensiero differenti, ecc.
1 F. Tessaro Metodologie dell’insegnamento e tecniche per l’apprendimento attivo pp 113-120.
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3 Il Role Playing: per comprendere un punto di vista alternativo
Il role playing (gioco o interpretazione dei ruoli) consiste nella simulazione dei
comportamenti e degli atteggiamenti adottati generalmente nella vita reale ed è una delle più
efficaci tecniche simulative. Gli studenti devono assumere i ruoli assegnati dall’insegnante e
comportarsi come pensano che si comporterebbero realmente nella situazione data. Questa tecnica
ha, pertanto, l’obiettivo di far acquisire la capacità di impersonare un ruolo e di comprendere in
profondità ciò che il ruolo richiede. Il role playing non è la ripetizione di un copione, ma una vera e
propria recita a soggetto. Riguarda i comportamenti degli individui nelle relazioni interpersonali in
precise situazioni operative per scoprire come le persone possono reagire in tali circostanze. Il
docente è tenuto a rispettare gli studenti nelle loro scelte e reazioni senza giudicare.
Come ogni tecnica di sensibilizzazione utilizzata a scopi formativi, anche il role playing
deve essere utilizzato come tale e deve avere delle sequenze strutturate e concludersi con una
verifica degli apprendimenti.
Gli elementi fondamentali del role playing:
1. Si predispone una scena in cui partecipanti devono agire.
2. I partecipanti sono al centro dell’azione e devono recitare spontaneamente secondo
l’ispirazione del momento.
3. L’uditorio assume particolare importanza poiché il gruppo non funge da semplice
osservatore, ma cerca di esaminare e di capire quanto avviene sulla scena.
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4. Il docente deve mantenere l’azione dei partecipanti e la situazione scenica, anche
sollecitando, suggerendo, facilitando l’azione fino al momento in cui gli studenti
protagonisti non agiscono autonomamente.
5. Il docente può avvalersi di collaboratori incaricati di favorire la recita, anche con la loro
recitazione: potranno utilizzare tecniche come quella dello specchio (in cui rinviano gli
atteggiamenti del soggetto al soggetto stesso) o la tecnica del doppio (in cui si sforzano di
cogliere gli atteggiamenti tipici del soggetto prolungandone l’espressione e rendendo
esplicito ciò che rimarrebbe latente).
Vantaggi del role playing:
1. Aiuta a vincere la “curva della monotonia” in modo efficace. Perché ci si deve alzare, andare
verso qualcuno, decidere chi fa questo e chi fa quello.
2. È più lieve e didattica l’autocritica dello studente. Se la critica la fa il docente può essere
sgradita o rifiutata. Si crea, durante il role play, un clima giocoso e pratico-concreto che
compensa gli aspetti teorici precedentemente trattati e spesso li conferma.
3. L’indice di apprendimento aumenta. Perché l’ascolto unito all’agire migliorano l’efficacia di
quanto appreso e la sua ritenzione.
Aspetto negativo del role playing:
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Tale tecnica prevede una forte componente rappresentativa dove potrebbero emergere
problematiche personali e familiari che investirebbero negativamente la classe. In effetti
dobbiamo ricordare sempre di non confondere il role playing (a valenza pedagogica) con lo
psicodramma (a valenza psicoterapeutica)” (D. Demetrio, 1988, p. 146).
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4 Tecniche di analisi della situazione: studio di caso e l’incident
Lo “studio di caso” consiste nella descrizione dettagliata di una situazione reale. Con esso si
intende sviluppare negli studenti le capacità analitiche necessarie per affrontare sistematicamente
una situazione complessa di cui sono fornite tutte le indicazioni fondamentali. Con lo studio di caso
si presenta agli studenti la descrizione di una situazione reale (e in quanto tale complessa), frequente
o esemplare. La situazione da esaminare può anche riguardare un caso problematico, ma bisogna
non dimenticare che l’obiettivo di questa tecnica non è quello di risolvere un problema, bensì quello
di imparare ad affrontare le situazioni e i problemi, ad individuarli e a posizionarli.
La descrizione viene consegnata agli studenti che, dapprima, studiano il caso individualmente e poi
lo discutono in gruppo, moltiplicando così le alternative di approccio al caso stesso. Accanto allo
sviluppo delle capacità analitiche, il metodo dello studio di caso presenta anche altri importanti
aspetti formativi, se utilizzato come tecnica di gruppo. L’interazione tra gli studenti, infatti:
favorisce la conoscenza delle altre persone, scoraggiando dall’emettere semplicistici giudizi
nei loro confronti;
permette di capire come le stesse situazioni o problemi possano essere valutati in modo
diverso da persone diverse;
consente di abbattere facili generalizzazioni, utili soltanto come difese individuali;
sensibilizza e forma all’interazione e alla discussione creando condizioni che facilitano una
migliore comprensione reciproca;
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mette in evidenza le difficoltà che presenta il pensare ad un problema reale e il giungere ad
una eventuale soluzione di gruppo.
All’inizio delle esperienze con i casi gli studenti sono ansiosi di conoscere le risposte ai vari
interrogativi e le soluzioni adottate nella realtà. Ma dopo un po’ comprendono che è più importante
imparare il processo di analisi per arrivare alla soluzione piuttosto che “indovinare” la soluzione in
sé.
L’“incident”, invece, può essere considerato una variante dello studio di caso, benché si
differenzi da esso sia per l’oggetto di studio sia per la tecnica didattica. L’oggetto dell’incident,
infatti, è sì una situazione reale, ma è una situazione di emergenza, in procinto di esplodere, può
diventare un incidente di percorso. Anche con l’incident, quindi, gli studenti devono dimostrare
competenze analitiche, e non soltanto per individuare le strategie di approccio, ma soprattutto per
sviluppare le abilità decisionali atte a superare favorevolmente l’emergenza. Anche nell’incident,
come con lo studio di caso, il docente predispone accuratamente tutti gli elementi connessi alla
situazione per poter effettuare una presentazione chiara e sintetica agli studenti; la progettazione
dell’intervento, pertanto, è analoga a quella dei casi. Nell’incident, però, varia la tecnica didattica.
La descrizione non richiede che qualche minuto poiché il materiale presentato agli studenti è
volutamente mancante di molti elementi.
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5 Una didattica per problemi: metodologia attiva
La “didattica per problemi” è un metodo che trae le sue origini da Dewey e che consente agli
allievi di apprendere a risolvere, con gradualità, problemi sempre più complessi ma che li aiuta ad
acquisire abilità cognitive di livello elevato. Tale metodo può essere applicato in ogni ordine e
grado di scuola, avendo ben presente lo sviluppo delle abilità cognitive dell’allievo di una
particolare età.
“L’apprendimento basato sui problemi o Problem-Based Learning (PBL) è una
metodologia didattica che si dice fornisca agli studenti le conoscenze adatte per risolvere problemi.
Tutto l’apprendimento, in un curriculum basato sui problemi, comincia con un problema. Un
problema di solito descrive alcuni fenomeni o eventi che possono essere osservati nella vita
quotidiana, ma può anche consistere nella descrizione di un argomento” (Schmidt, 1983).
La teoria costruttivistica scaturisce primariamente dagli studi di John Dewey e di Jean
Piaget secondo i quali i discenti costruiscono le proprie conoscenze e sono motivati
all’apprendimento quando fanno esperienza di un conflitto cognitivo. Considerato che
nell’apprendimento basato sui problemi la conoscenza è il prodotto di una costruzione attiva del
soggetto, partire da casi concreti e applicarli all’interno di un piccolo gruppo di studenti i quali
discutono, collaborano e negoziano le ipotesi possibili e gli interventi risolutivi alla luce delle
informazioni aggiuntive trovate al di fuori del gruppo, con l’aiuto di un facilitatore che si preoccupa
dì far riflettere a livello metacognitivo e cognitivo il gruppo, la metodologia può legittimamente
affiancare i precedenti modelli didattici derivanti dal costruttivismo.
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La didattica per problemi deve rispettare alcune regole fondamentali di relazione:
i problemi non debbono essere imposti, in modo direttivo, ma debbono essere discussi e
condivisi dal gruppo classe e/o nei piccoli gruppi;
i docenti assumono la funzione di guida metodologica, di assistenza e di consulenza per
ciascun allievo o per il gruppo di alunni impegnato nella soluzione del problema.
il docente svolge le funzioni di tutor.
La didattica per problemi consente il conseguimento dei seguenti obiettivi per ciascun allievo:
a. apprendere ad organizzare in modo significativo le proprie conoscenze (Ausubel);
b. apprendere a valutare l’utilità delle conoscenze acquisite, rispetto agli obiettivi
prefissati in termini di conoscenze, competenze e capacità;
c. sviluppare l’attitudine ad affrontare problemi nuovi ed imprevisti e a trasferire le
conoscenze acquisite in contesti diversi (transfert);
d. decidere in condizioni d’incertezza oltre che di certezza;
e. sviluppare la capacità di dominare situazioni anche complesse;
f. apprendere ad utilizzare appropriati metodi di comunicazione oltre che di
documentazione;
g. apprendere ad apprendere.
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Il metodo consente, inoltre, di sviluppare alcuni aspetti fondamentali della personalità quali:
la responsabilità, l’autonomia, la fiducia in sè, la stima di sé, la cooperazione con gli altri, la
solidarietà, le capacità decisionali.
Il ruolo del docente non è più quello di trasmettitore di conoscenze ma di facilitatore di
apprendimento. Egli svolge essenzialmente 4 funzioni:
1. Il tutor meta cognitivo del gruppo: Il tutor è colui che conduce il gruppo di studenti per
tutta la durata del modulo o blocco didattico. Egli presidia il processo ponendo domande
apposite e svolge un ruolo meta-cognitivo, chiede agli studenti di esplicitare a voce alta i
processi cognitivi che stanno elaborando e si preoccupa del buon funzionamento del gruppo.
Il docente partecipa ai gruppi di pianificazione dei moduli didattici fissando gli obiettivi
irrinunciabili della sua disciplina per il raggiungimento degli obiettivi del modulo.
Contribuisce alla costruzione o alla scelta dei problemi da sottoporre agli studenti, comunica
l’elenco delle risorse bibliografiche necessarie per lo studio indipendente degli studenti
affinché siano disponibili in biblioteca o sui siti.
2. Il pianificatore del modulo: Contribuisce alla pianificazione e gestione di laboratori
didattici connessi con obiettivi specifici, di solito pratici o relazionali, da realizzare in modo
integrato con partenza dal problema.
3. Il valutatore: Il docente contribuisce a preparare le prove di valutazione di fine modulo per
una valutazione oggettiva degli studenti.
4. L’esperto dei contenuti disciplinari: Il docente tiene alcune lezioni su temi chiave al
Modulo e partecipa agli incontri di chiarificazione con gli studenti quando, alla fine della
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discussione del secondo incontro necessitano di chiarimenti ulteriori. In questo modo il
docente si trova a rispondere a domande poste da studenti preparati e motivati.
In conclusione l’utilizzo di metodologie attive favorisce un’acquisizione di sapere per
appropriazione-scoperta, piuttosto che per trasferimento-ricezione. Gli allievi sono posti di fronte a
situazioni problematiche fin dall’inizio del processo formativo, in tal modo, essi sono stimolati alla
ricerca di risposte e soluzioni, utilizzando procedimenti d’analisi, d’intuizione e di ricerca. Si parla
di appropriazione perché i discenti costruiscono attivamente il loro sapere utilizzando al massimo le
loro risorse intellettive, anziché riceverlo per trasmissione. Ciò determina, da parte degli allievi, una
maggiore padronanza delle competenze che hanno contribuito personalmente a costruire. Nell’ottica
attiva gli allievi si costruiscono da soli, attraverso il dialogo e la collaborazione, il percorso per
raggiungere delle soluzioni. Il docente interviene soltanto per orientare e far riflettere il gruppo
rispetto agli obiettivi prefissati. Il docente facilitatore dei processi risulta essere la scommessa della
nuova scuola basata sulla didattica per competenza. L’innovazione consiste anche nell’attribuire
all’allievo un ruolo centrale nel processo formativo. Secondo tale concezione, non si può realizzare
alcuna azione formativa se l’allievo non dimostra un desiderio e una motivazione ad apprendere.
Solo se il docente si mostrerà attento a tali componenti, si potranno porre le basi e le premesse per
una crescita dei discenti.
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Bibliografia
“Dentro le storie” di D. Demaziere, C. Dubar. Milano, Cortina, 2000.
“Verso una scuola che apprende” di M. Castoldi. Roma, SEAM, 1995.
“Metodi della ricerca sociale” di Guala. Roma, Carocci, 2000.
“Metodologie e didattiche attive. Prospettive teoriche e proposte operative”di V. Gherardi.
Aracne editrice S.r.l., Roma, 2013.
“Dialogo su una scuola possibile” di F. Frabboni, C. Scurati. Giunti, Firenze, 2011.
“Processi e metodologie dell’insegnamento” di F. Tessaro. Armando Editore, Roma 2002.
“Didattica per problemi reali. Rendere significativi gli apprendimenti” di F. J. Beau, C. M.
Rasmussen, M. C. Moffitt. Ed. Erickson.
“Problemi” di B. D’Amore. F. Angeli, Mi, 1993.
“Le condizioni dell’apprendimento” di R. Gagnè. A. Armando, Roma, 1973.
“Problem solving” di B. Kleinmuntz. A. Armando, Roma, 1966.
“Come risolvere problemi di matematica” di G. Polya. Feltrinelli, Mi, 1983.
“Didattica per problemi” di B. Martini. Infantiae.org Newsletter n.213 del 2l.10.2004
“Role playing, autocasi ed esercitazioni psicosociali. Come insegnare comportamenti
interpersonali” di M. Castagna. Franco Angeli, Milano, 2002.