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“LE BASI NEUROFISIOLOGICHE DEL MOVIMENTOPROF.SSA ROSA SGAMBELLURI

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Università Telematica Pegaso Le basi neurofisiologiche del movimento

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 IL MOVIMENTO E LA SUA CLASSIFICAZIONE ------------------------------------------------------------------- 3

2 GLI SCHEMI MOTORI ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 7

3 LA PRENSIONE E LA MANIPOLAZIONE NEL BAMBINO ------------------------------------------------------ 11

4 LA CAPACITÀ VISIVA E ATTENTIVA, IL LINGUAGGIO E LO SVILUPPO DELLA SOCIALITÀ -- 13

5 IL CONTROLLO DEGLI SFINTERI E IL DIALOGO TONICO -------------------------------------------------- 18

6 LA PERCEZIONE DEL PROPRIO CORPO --------------------------------------------------------------------------- 20

BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 23

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1 Il movimento e la sua classificazione

“..Che cosa è il movimento? La definizione più completa è ritenuta quella che lo caratterizza

come una tra le più importanti funzioni organiche dell’ uomo.

La vita dell’ uomo si manifesta attraverso il movimento non solo quando ci spostiamo nello spazio

(camminiamo, andiamo in bicicletta, corriamo ecc.), ma anche quando provvediamo ai nostri

bisogni essenziali come il mangiare, il bere, l’ andare in bagno…”.1

Se consideriamo le più semplici attività quotidiane che implicano nell’ individuo l’ assunzione di

posizioni statiche (stazione seduta, stazione eretta) è possibile notare, allo stesso modo, del

movimento a seguito di meccanismi interni all’ organismo.2

“..Il benessere e la qualità della vita dell’ uomo dipendono da diversi fattori e la corretta gestione

delle attività di movimento è uno di questi, in quanto il nostro corpo è fatto per muoversi. Un buon

equilibrio tra attività mentale ed attività fisica è una condizione essenziale per il benessere

individuale…”.3

Secondo i dati dell’ Istituto Nazionale di Statistica relativi al 2012, in Italia nella popolazione dai 3

anni in su il 21.9% degli intervistati dichiara di praticare attività sportiva in modo continuativo, il

9.2% in modo saltuario, il 29.2% rivela di svolgere qualche attività fisica e il 39.2% sostiene di non

aver mai pratica attività sportiva.

Per evidenziare come le abitudini e gli stili di vita dei cittadini (sul territorio nazionale) siano

cambiati, seppur lievemente negli ultimi anni, occorre fare riferimento ai dati dell’ ISTAT relativi al

2003 dai quali è possibile rilevare che il 41.2% della popolazione italiana dai 3 anni in su non

praticavano attività sportiva e solo il 20.6% la praticavano in modo continuativo.

Tanti sono gli effetti di un’ attività motoria costante, ad intensità moderata e protratta nel tempo.

Sulle ossa: l’esercizio fisico svolge una importante azione preventiva ritardandone

l’invecchiamento, ed aiuta a combattere l’ osteoporosi rendendo il tessuto osseo più elastico e meno

fragile; sulle articolazioni: mantiene in attività tutte quelle che ci servono per vivere - ginocchia,

1 Casolo, F. (2007). Lineamenti di teoria e metodologia del movimento umano, Milano: Vita e Pensiero, p. 7.

2 Ibidem

3 Ibidem

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gomiti, caviglie, spalle ed anche - prevenendone e curandone l’ artrite; sul cuore: negli individui

attivi diminuisce il rischio di infarto e tutto l’ apparato cardiocircolatorio funziona meglio.

Anche i nostri muscoli, grazie all’ esercizio, possono mantenere una buona tonicità, e quindi

sorreggerci e farci svolgere una vita senza eccessiva fatica, dolori o altro…”.4

Uno stile di vita attivo favorisce nell’ uomo benessere fisico e psicologico di conseguenza l’

individuo acquista una maggiore fiducia in se stesso ed accresce la propria autostima.5 In un articolo

inserito all’ interno della Rivista della Facoltà di Scienze Motorie dell’ Università degli studi di

Palermo si ribadisce quanto “..l’ attività fisica eseguita con costanza rappresenti un importantissimo

fattore di prevenzione nei confronti delle patologie più spesso associate alla morte nei paesi

industrializzati. (…) Persone con un livello moderato o alto di fitness cardiorespiratoria hanno un

rischio di mortalità inferiore a chi ha abitudini sedentarie o un basso livello di Fitness

Cardiorespiratoria (FCR)…”.6

“..Il movimento è dunque, per tutte le età, una grande funzione organica che consente all’ uomo di

crescere, mantenere un buono stato di salute, interagire con l’ ambiente…”.7

L’ attività motoria dunque è da ritenere un ottimo alleato per l’ uomo. Secondo una recente ricerca

condotta presso l’ Università di Bristol e pubblicata successivamente all’ interno della rivista

American Journal of Epidemiology coloro che praticano nel tempo libero una costante attività fisica

appaiono meno inclini a soffrire di ansia e depressione.

La ricerca, con un follow up di dieci anni, è stata condotta su una coorte di uomini di mezza età

provenienti da Caerphilly, South Wales, United Kingdom.

I partecipanti vennero sottoposti a diverse domande del Minnesota Leisure Time Physical Activity

Questionnaire relative allo svolgimento, alla frequenza e all’ intensità con la quale avevano

praticato attività fisica negli ultimi dodici mesi. I ricercatori dopo aver esaminato le risposte dei test

inserirono i singoli partecipanti all’ interno di una classifica realizzata appositamente.

La classifica venne strutturata in quattro parametri di attività occupazionale (la classe uno

equivaleva ad una scarsa attività fisica mentre la classe quattro si riferiva un’ attività intensa) .

4 Casolo, F. (2007). Lineamenti di teoria e metodologia del movimento umano, Milano: Vita e Pensiero pp. 7-8.

5 Ivi, p. 8.

6 Paoli, A. ; Bianco, A. ; Neri, M. ; Palma, A. , Journal of Sport Sciences and Law, “What is fitness: definition, history

and health benefits. A review”., <http:/ www.rivista.scienzemotorie.unipa.it > Archive: vol.1, fasc.3, sez.2, (2008) pp.

147-148. 7 Casolo, F. (2007). Lineamenti di teoria e metodologia del movimento umano, Milano: Vita e Pensiero, p. 8.

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Dai risultati evinse che il 34% degli uomini che praticavano attività sportiva avevano meno

probabilità di soffrire di disturbi mentali nei successivi cinque anni, di conseguenza il movimento

garantiva agli individui un maggior benessere psicologico.8

Grazie alle continue ricerche Nicola J. Wiles, Anne M. Haase, John Gallacher, Debbie A. Lawlor e

Glyn Lewis hanno sottolineato quanto sia importante svolgere una sana e regolare attività fisica in

quanto stimola nel cervello la produzione di alcune sostanze in grado di favorire il benessere

psicologico e garantire dunque all’ individuo una migliore qualità di vita.9

“..L’ attività del corpo ha un’ importanza fondamentale per lo sviluppo fisico e motorio, cognitivo

ed emotivo del bambino. Il movimento stimola la respirazione e la circolazione; inoltre un buon

controllo motorio permette ai bambini di mettersi più facilmente in relazione con il mondo esterno e

di esplorare realtà circostanti. (…) Il corpo è il primo mezzo dell’ azione, della conoscenza e della

relazione: molte delle conoscenze e competenze che il bambino acquisisce sono strettamente legate

alle attività del corpo e ai suoi movimenti non visibili e visibili, interni ed esterni…”.10

“..Tutti i movimenti, sia i più elementari come il camminare o l’ afferrare, sia quelli più complessi

come i movimenti che si osservano nelle attività sportive, sia ancora quelli più precisi come i

movimenti che si compiono quando si scrive o si aggiusta un orologio, non sono altro che il

succedersi, con diversa combinazione e con diversa velocità o forze, di schemi motori

semplici…”.11

In ambito neurofisiologico è possibile classificare il movimento umano nel seguente modo:

primitivo, riflesso o automatico, volontario o controllato, automatizzato, patologico.

Il movimento primitivo è un tipo di movimento presente nell’ uomo sin dalla nascita quindi innato

che garantisce all’ individuo stesso il soddisfacimento delle funzioni di sopravvivenza e delle

funzioni organiche fondamentali.

Il movimento riflesso o automatico spinge l’ uomo a reagire involontariamente ad uno stimolo

sensoriale. Si distinguono i riflessi incondizionati ovvero quei movimenti che vengono trasmessi a

8 Wiles afferma “5-year follow up. In the short term, (…), men who undertook any heavy-intensity leisure-time

physical activity were less likely to report common mental disorder. (…) 10-year follow up. There was no association

between leisure-time physical activity and common mental disorder at 10 years of follow up”. 9 Wiles, N. J. ; Haase, A. M. ; Gallacher, J. ; Lawlor, D. A. ; Lewis, G., American Journal of Epidemiology , “Physical

Activity and Common Mental Disorder: Results from the Caerphilly study”,

<http:/www.aje.oxfordjournals.org/content/by/year > Archive: vol.165, n. 8, (2007) pp. 946-954. 10

Manzoni, S. , “ Profumo di libertà” , in Mondo zero3 , 2011, vol. 8, fasc. 1, p. 19. 11

Castano, P. ; Donato, R. F. (2006). Anatomia dell’ uomo, Milano: Edi.Ermes, p. 559.

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livello genetico e quelli condizionati ovvero quelli che si sviluppano a seguito dell’ adattamento

dell’ individuo all’ ambiente.

Vengono definiti volontari o controllati quei movimenti eseguiti consapevolmente e

volontariamente dal soggetto i quali richiedono particolare “..attenzione, cura e controllo nell’

esecuzione…”.12

Con movimento automatizzato si intende quel movimento appreso grazie alle continue ripetizioni

dell’ atto ed a continui perfezionamenti. Con il tempo questo tipo di movimento può essere eseguito

dal soggetto con un limitato controllo cosciente.

Il movimento patologico è un tipo di movimento che non è finalizzato ad uno scopo ben preciso

poiché la sua insorgenza deriva da uno stato patologico a carico del soggetto.13

“..La motricità

primitiva dal punto di vista neurofisiologico è riflessa. Il neonato dispone di alcuni movimenti

innati legati alla sopravvivenza quali la respirazione, il pianto, la suzione, la deglutizione, ed altri

legati alle funzioni organiche fondamentali…”.14

12

Casolo, F. , op. cit. , p. 68. 13

Ibidem 14

Ivi, p. 35.

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2 Gli schemi motori

Gli schemi motori di base non sono altro che il risultato della combinazione delle abilità

motorie (ovvero quelle azioni che se eseguite continuamente vengono apprese dal soggetto) e delle

capacità motorie note in tutti gli individui “..e che si manifestano con livelli di prestazione

individuale differente, come ad esempio la forza, la resistenza o la capacità di equilibrio che

possono essere più o meno sviluppate in ciascun bambino ma sono comunque possedute da

tutti…”.15

Gli schemi motori di base sono intesi come “..le prime unità di movimento che il bambino apprende

e tramite le quali può appropriarsi di tutto il bagaglio motorio necessari per la vita di relazione. Esse

sono: strisciare, rotolare, la quadrupedia, il camminare, il correre, il saltare, il lanciare, afferrare, l’

arrampicarsi, dondolarsi, ecc.

E’ importante, per l’ insegnante saper combinare tutti gli schemi motori di base tra loro, con attrezzi

e oggetti diversi, affinché i bambini abbiano un bagaglio motorio il più ricco possibile. In più ciò

che può far la differenza è tener presente che il bambino ha bisogno di combinazioni e cambiamenti

continui.

Le attività sugli schemi motori di base consentono di sviluppare quella che Piaget chiama “la

geometria innata” ossia i concetti topologici:

- spazio: avanti/indietro, destra/sinistra, dentro/fuori, (…)

- tempo: al bambino è bene far notare il prima, il dopo e il contemporaneamente,

veloce/lento, con riferimento a attrezzi, persone, il proprio corpo, ecc…

- quantità: tanto/poco, tutto/niente, in relazione con lo spazio, le persone, il tempo, il

movimento…

- qualità: pesante/leggero, forte/piano, duro/morbido, (…)

- tatto: sapersi muovere in relazione alla palla, agli attrezzi, allo spazio, al tempo…(…)

15

Tedesco, C. (2004). I bambini e lo sport, Roma: Sovera Multimedia, p. 11.

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Gli schemi motori di base:

. sono le forme di coordinazione più semplici

. si tratta di spostamenti globali a corpo libero, senza adattamenti spazio-temporali specifici

. il loro esercizio tende a suscitare un piacere funzionale, una distensione dinamica e a favorire l’

automatizzazione e l’ arricchimento degli stessi

. compaiono spontaneamente nello sviluppo psicomotorio

. a 4 anni circa il bambino con uno sviluppo psicomotorio normale li possiede tutti…”.16

Ovviamente le attività motorie di base devono essere continuamente esercitate per lo sviluppo dello

schema corporeo.

Il bambino durante il suo sviluppo prima di acquisire la stazione eretta utilizza come schema

motorio di base lo strisciare per muoversi nell’ ambiente.

Dopo aver assimilato tale schema il piccolo passa al rotolare; il rotolare “..sviluppa molto di più l’

orientamento in situazioni non abituali. Esperienze di questo genere sviluppano la strutturazione

dello schema corporeo.

Attraverso l’identificazione dei confini del corpo umano si permette al bambino di acquisire un

corretto schema corporeo, inoltre sviluppa la coordinazione dinamica generale, l’ equilibrio, la

percezione spaziale, l’ orientamento e migliora la mobilità della colonna vertebrale…”.17

Il rotolamento si può esercitare sia in relazione all’ asse trasversale sia in relazione all’ asse

longitudinale.

Per allenare la quadrupedia sarebbe opportuno proporre ai bambini degli spostamenti liberi o dei

percorsi costruiti appositamente dalle insegnanti in modo da favorire tale schema motorio di base. Il

tutto può avvenire anche sotto forma di gioco.18

Dopo esser diventato padrone del proprio movimento il bambino passa in maniera naturale alla

corsa; un buon controllo di questa attività motoria si acquista intorno ai dieci anni. “..Durante l’

acquisizione di questo schema motorio, ci sono difficoltà che impediscono al bambino piccolo un’

azione di corsa veloce, ma al tempo stesso fluida ed economica: il sistema nervoso del bambino è

ancora immaturo ed incapace di realizzare un controllo efficace della velocità e dell’ inerzia

16

Gasperat, A. (2009). Nasco….e…se mi muovo…cresco. Didattica delle attività motorie, Fano: Aras Edizioni, p. 78. 17

Ivi, p. 79. 18

Ibidem

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(equilibrio dinamico) e di coordinare in un movimento armonico i vari segmenti coinvolti. (…) La

ancora non completa strutturazione spazio-temporale e della lateralizzazione complica le cose con

una scarsa percezione del ritmo tipico della corsa (…) . La scarsa coordinazione motoria (…) gli

permette di correre solo per brevi tratti e lo obbliga a frequenti pause di riposo. (…).

Altra difficoltà che il bambino incontra nell’ azione di corsa deriva dalla poca forza muscolare di

cui può disporre…”.19

All’ interno della rivista Studi sulla Formazione nata nel Dipartimento di

Scienze dell’ Educazione dell’ Università di Firenze il professore Cambi ribadisce come la musica

sia uno strumento fondamentale per scandire il ritmo e il tempo infatti “..Tra i bambini e la musica

corre un rapporto simbiotico.

La musica è –per il bambino- ritmo: ritmo a livello fisico e percettivo che fa scandire i gesti e crea

un modo particolare di sentire il tempo. Gesto-gioco e tempo-fruito. Su questi fondamenti

dobbiamo collocare, anche a scuola, ogni insegnamento musicale già a livello di scuola dell’

infanzia. E va tenuto conto anche di quello che già ci ricordava Rodari: dal ritmo legato ai suoni e al

corpo si passa al ritmo legato alla parola, si passa poi alla filastrocca e si entra nel mondo della

poesia: della cultura e dell’ espressione ad un tempo…”.20

Il salto è uno schema motorio che implica una buona coordinazione dinamica e di controllo per

essere eseguito; per acquisire questa capacità sarebbe propedeutico far svolgere ai bambini di età

inferiore ai 3 anni attività che richiedono di salire e scendere.

Il lanciare e l’ afferrare sono ulteriori schemi che il bambino sin da piccolo sperimenta attraverso la

prensione o attraverso l’ atto di afferrare, con lo sviluppo questi movimenti diventano sempre più

coscienti e volontari.

L’ arrampicarsi è un’ altra attività motoria conquistata dal bambino in età neonatale, essa precede

infatti la conquista della stazione eretta, ed è adatta anche ai più piccoli poiché questi non temono il

pericolo.

Ovviamente l’ arrampicata permette al bambino di ri-equilibrarsi continuamente e di controllare il

movimento delle mani e dei piedi in modo coordinato.21

19

Gasperat, A. , op. cit. , p. 92. 20

Cambi F., Studi sulla Formazione, Osservatorio: “I bambini,la musica e…la gioia”, <http:/

www.fupress.net/index.php/sf > Archivio: vol.11, fasc.1, (2008) p. 177. 21

Gasperat, A. (2008/2009). Nasco…e…se mi muovo….cresco., Fano: Aras Edizioni,

pp. 96-101.

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Si possono classificare gli schemi motori di base in locomotori e non locomotori. I locomotori

“..sono legati alla capacità di muoversi dinamicamente nell’ ambiente con tutto il corpo;

essi sono:

. Strisciare

. Rotolare

. Gattonare

. Camminare

. Correre

. Saltare

. Arrampicarsi

I non locomotori, riguardano i movimenti propulsivi e di definizione di traiettorie di oggetti; essi

sono:

. Afferrare

. Lanciare

. Colpire

. Calciare

Entrambi, si sviluppano secondo un processo ben definito di stadi nel corso del quale ogni stadio

include quello precedente e lo schema motorio diventa sempre più intenzionale, più complesso, più

controllato…”.22

22

Gasperat, A. , op. cit. , p. 81.

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3 La prensione e la manipolazione nel bambino

Il primo riflesso di afferramento nel bambino è il riflesso di Gaspring. La prensione è

strettamente correlata alla localizzazione visiva del neonato, capacità non presente nei primissimi

giorni dopo la nascita ma che subentra successivamente. Nel sesto-settimo mese il piccolo è in

grado di afferrare degli oggetti e di giocarci usando entrambe le mani. A quindici mesi la prensione

si caratterizza per la sua precisione e a diciotto mesi viene completamente automatizzata dal

bambino che intende a questo punto focalizzare la propria attenzione sulla manipolazione. Intorno

ai due anni il bambino è capace di raggiungere e raccogliere degli oggetti senza l’aiuto dell’ altra

mano, incomincia a sperimentare l’ atto del vestirsi e dello spogliarsi ed intorno ai tre anni riesce a

mangiare autonomamente.23

Ovviamente la prensione si perfeziona attraverso tappe ben definite;

“..all’ inizio la presa è cubito-palmare, cioè si compie tra il mignolo e l’eminenza ipotenar (rilievo

carnoso posto alla base del mignolo), con spostamento successivo dell’ oggetto al centro del palmo.

Tale modalità è preminente tra la 20° e la 28° settimana.

Verso la fine di questo periodo compare anche l’ afferramento dell’ oggetto con le dita a rastrello

(“raking”). Tra la 28° e la 32° settimana si afferma la prensione palmare, per cui l’ oggetto viene

afferrato tra palmo e ultime dita flesse (“holding”). Verso il termine di questo stadio l’ area di

afferramento si concentra sulle dita radiali (presa “radio-palmare”).

Nelle settimane successive, tra la 32° e la 36°, l’ oggetto viene afferrato tra i bordi laterali delle

ultime falangi del pollice e dell’ indice (…). Progressivamente si arriva alla presa pollice-indice con

una vera e propria opposizione del pollice. Infine si perfeziona l’ accostamento frontale dei

polpastrelli delle due dita (…) che consente la presa di oggetti di dimensioni anche minime. Viene

raggiunta così, a 9 mesi, la prensione radio-digitale, che è quella definitiva…”.24

La permanenza

dell’ oggetto è un processo che si sviluppa con l’ acquisizione della prensione a partire dai 4 mesi e

mezzo sino agli 8-9 mesi.

Intorno ai 5-7 mesi il bambino sviluppa una particolare condotta preparatoria all’ acquisizione della

permanenza dell’ oggetto. Se viene posto uno schermo vicino al viso del bambino che gli impedisce

di vedere e prendere un oggetto egli tenterà di allontanarlo, questa condotta si definisce intorno agli

8-9 mesi.

23

Gasperat, A. , op. cit. , pp. 22-27.

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Quando l’ oggetto desiderato dal bambino scompare dal suo campo visivo perché coperto

interamente dallo schermo, il piccolo cerca di sollevare quest’ ultimo in modo tale da ritrovare l’

oggetto. Questa condotta evidenzia la ricerca attiva da parte del bambino di un oggetto scomparso e

quindi la comparsa della permanenza dell’ oggetto. Piaget afferma nelle sue teorie che la

permanenza oggettiva si acquisisce definitivamente solo tra i 18 e 24 mesi.25

24

Pisaturo, C. (1996). Appunti di Psicomotricità, Padova: Piccin Nuova Libreria, pp. 130-131. 25

Ivi, pp. 133-134.

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4 La capacità visiva e attentiva, il linguaggio e lo sviluppo della socialità

Il neonato alla nascita intravede delle immagini sfocate, “..solo a due settimane riesce a

vedere distintamente, anche se ancora in bianco e nero, o più precisamente in gradazioni di grigio,

un oggetto posto a 20-25 cm di distanza dal suo viso, (…) questa è la distanza a cui si trova il viso

della madre mentre allatta il proprio piccolo. Durante la poppata, il bambino riesce a vedere

distintamente il volto della madre e a familiarizzare con esso.

Controlla ancora male la convergenza degli occhi che spesso possono incrociarsi o divergere.

Reagisce positivamente al volto umano. L’inseguimento visivo raggiunge i 180°. Segue i

movimenti delle proprie mani e delle persone intorno a lui. Scopre i colori ed è attratto dalle tinte

forti e dai contrasti luce ombra…”.26

Secondo alcuni studi scientifici nei primi mesi di vita i neonati possiedono competenze attentive.

L’ attenzione viene rivolta in modo particolare al volto umano in quanto attratti dalla simmetria,

dalla presenza di curve, dalla mobilità. Nelle interazioni con l’adulto il neonato tende ad essere

maggiormente attento quando il caragiver si mostra con espressioni del viso positive, al contrario

quando l’ adulto sposta il suo campo visivo altrove il neonato cerca di richiamare la sua attenzione

attraverso continui vocalizzi.

A partire da 6 mesi l’ attenzione diviene condivisa e viene facilitata nel bambino se l’ adulto

focalizza l’ attenzione verso un oggetto in particolare, come un pupazzo, e a questo fa seguire un

richiamo attraverso il canale acustico (ad esempio “Osserva il pupazzo!”).

Tra i 7/8 mesi il bambino è in grado di mettere in atto dei comportamenti che hanno la finalità di

attirare l’ attenzione dell’ adulto su di lui. Dai 9 ai 12 mesi le capacità attentive vengono rivolte

prevalentemente ad eventi o oggetti esterni.27

“..Le prime produzioni sonore del bambino da 0 a 3 mesi sono i vagiti: sono casuali, generati dal

movimento del proprio corpo, ma l’ adulto, molto spesso la mamma, li contestualizza donando loro

dei significati. Proprio in questo gioco di scambi nasce la prima forma di comunicazione

26

Gasperat, A. , op. cit. , p. 28. 27

Di Terlizzi, E. , “Capacità attentive e interazioni sociali nel primo mese di vita” , in Mondo zero3 , 2011, vol. 8, fasc.

1, pp.7-9.

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intenzionale, in cui il bambino impara che ad ogni gesto corrisponde una risposta della

mamma…”.28

Il linguaggio assume una funzione comunicativa intorno ai 2-3 mesi con la comparsa

delle lallazioni (ovvero ripetizioni delle sillabe). I suoni prodotti dal bambino sono simili a quelli

usati da coloro che vivono nel suo stesso ambiente ma tendono ad assumere delle intonazioni

proprie.29

“..Lo sviluppo del linguaggio, (…), passa dalla fase prelinguistica o preverbale

(vocalizzazioni e lallazione, espressioni bucco-fonatorie prive di valore fonologico funzionale) dei

primi dieci mesi di vita, alla fase linguistica. Questo passaggio dal suono al linguaggio intrica

maturazione ed apprendimento. (…) E’ il momento dell’ ecolalia, nella quale il bambino assimila,

senza integrarli, i suoni emessi dagli altri.

All’ ecolalia semplice (dei 9-12 mesi), a forte componente meccanica, inscritta nel quadro di una

relazione puramente sonora, in cui il bambino imita i fonemi che già possiede, succede (e

frequentemente si associa) la metalalia (Lewis) e cioè la ripetizione differita di suoni. (…) verso la

fine del primo anno d’ età, il bambino fissa la prima sillaba doppia al suo oggetto. (…) Così verso i

12 mesi il bambino impara effettivamente ad attribuire i suoni “mamma”, “papà” (…) alle figure

essenziali del suo universo affettivo, con precisa intenzione designativa.

L’ evento è di considerevole portata: tale fissazione segna la prima vera utilizzazione simbolica del

linguaggio. (…) tra i 12-15 mesi, appaiono altre parole che sono la pronuncia deliberata dei suoni

convenzionali assimilati dall’ ambiente.

Entro i 18 mesi il vocabolario si arricchisce di suoni nuovi fino a includere 10-15 parole…”.30

Successivamente si assiste alla combinazione di diverse parole ed alla formazione delle prime frasi

verso i 2 anni. In questo periodo il bambino assimila numerosi vocaboli, passa da una media di 10-

15 parole ad una media di circa 100. A 3 anni acquisisce poi l’ uso del pronome io.31

“..A tre anni il bambino si avvia verso la pronuncia corretta di quasi tutte le parole del suo lessico;

questa abilità gli permette di cimentarsi in costruzione di frasi sempre più complesse, volte ad

esprimere relazioni e sentimenti, raccontare avvenimenti. L’ elevata sensibilità nell’ uso delle regole

grammaticali, tipica di questo periodo, genera le così dette “sovra generalizzazioni grammaticali”,

ovvero la regolarizzazione di forme grammaticali irregolari (“dicono” diventa “diciono”) …”.32

28

Leo, L. , “La comunicazione verbale nei bambini da 0 a 3 anni” , in Mondo zero3 , 2011, vol. 7, fasc. 6, p. 11. 29

Pisaturo, C. (1996). Appunti di Psicomotricità, Padova: Piccin Nuova Libreria, p.137. 30

Pisaturo, C. (1996). Appunti di Psicomotricità, Padova: Piccin Nuova Libreria, pp. 149-151. 31

Ivi, p. 162. 32

Leo, L. , La comunicazione verbale nei bambini da 0 a 3 anni, in Mondo zero3 , 2011, vol. 7, fasc. 6, p. 16.

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“..Secondo la ricercatrice Anna della Vedova, professore di psicologia clinica presso l’ Università di

Brescia, e altri ricercatori, la maturazione dell’ apparato sensoriale avviene al 90% già durante la

gravidanza; gli organi di senso e i centri cerebrali sono già formati fin dal periodo embrionale. (…).

Il primo senso che si sviluppa è quello tattile: (…). A 8 settimane c’ è già la percezione tattile; a 32

settimane la percezione sensoriale è completa (…) Attraverso la parete addominale e uterina il feto

sente le carezze della madre, del padre, dei fratellini. (…) Il gusto è sviluppato già alla 14

settimana.

Il feto discrimina se nel liquido amniotico ci sono sostanze zuccherine o amare. Al feto piace il

gusto dolce: alcuni ricercatori che fanno capo a Thomas Verny hanno notato che quando il feto

assaggia sostanze amare fa espressioni di disgusto. Si è notato anche che l’ iniezione di sostanze

dolci determina un aumento dei movimenti di suzione e di deglutizione (…) .

Tra la 5 e l’ 11 settimana, (…) si sviluppano i recettori olfattivi (…) Essendo immerso nel liquido

amniotico, il bambino avverte gli odori trasportati attraverso questo fluido e riesce a distinguerli.

(…) L’ apparato uditivo si sviluppa verso l’ 8-10 settimana (…).

L’ ambiente uterino è ricco di rumori che provengono dal corpo materno e dall’ esterno: funziona

come cassa di risonanza…”.33

Le evidenti manifestazioni del neonato alla nascita rivelano la sua capacità di riconoscere l’ odore

di chi si prende cura di lui. Egli tende infatti a volgere il capo dalla parte dell’ odore riconosciuto.

Numerose ricerche hanno dimostrato la capacità del neonato di riconoscere l’ odore del latte

materno. Il processo di attaccamento sarebbe dunque influenzato da questo fattore.34

Nei primi mesi di vita il neonato utilizza il sorriso dapprima per esprimere il suo piacere

successivamente per manifestare il suo benessere relativamente alle cure materne che riceve.35

Nelle ricerche condotte da Renè Spitz, sul comportamento del bambino nei primi mesi di vita,

emerge che la risposta del sorriso, che si manifesta intorno al terzo mese, compare alla vista di

qualsiasi persona umana e non solo a quello della madre.

Spitz afferma che il sorriso non è altro che una risposta ad una Gestalt-signal costituita da fronte-

occhi-naso in movimento.36

33

Micelli, M. (2011). La relazione madre-feto e lo sviluppo esistenziale della persona, Roma: Armando Editore, pp.

26-27. 34

Amato, M. (2008). Legame materno, Roma: Sovera Editore, p. 28. 35

Gasperat, A. , op. cit. , p.33.

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Già a sei mesi il bambino è capace di distinguere coloro che solitamente vivono con lui e con

queste crea delle relazioni differenziate. “..Perché tale fenomeno si verifichi completamente, è

necessario, secondo lo Spitz, che la madre sia assente…”.37

Ajuriaguerra “..osserva che anche il sorriso iniziale, sebbene possa apparire come una semplice

reazione ad eccitazioni interne ed esterne, entra già “in un quadro di relazione, come

metalinguaggio, fornito di sottigliezze e tonalità melodiche”.

Esso annuncia l’ apertura di un sistema pronto a funzionare: sistema di segnali che immette il

bambino nel dialogo con l’ altro. (…) Nello stesso senso (della comunicazione) vanno interpretate

le grida-pianto e le prime vocalizzazioni. (…) Il pianto ha caratteristiche fin dall’ inizio di segnale:

deve essere vigoroso, ma variabile per tonalità, qualità e durata, fin dai primi giorni di vita, perché

possa informare sullo stato di buona salute del neonato, cui appartiene.

Assume un più deciso valore sociale, la sua interruzione, nel corso delle prime settimane, al suono

di una voce umana vicina…”.38

Nel primo anno di vita il bambino instaura delle relazioni duali, solitamente con il genitore, che

tendono a realizzarsi a livello visivo, fisico e linguistico.

Raggiunta una maggiore autonomia (intorno ai due anni) egli è in grado di avviare delle relazioni

più complesse con i coetanei: inizialmente le interazioni sono caratterizzate da un’ azione imitativa

che il bambino esercita nei confronti dell’ altro, con lo sviluppo assimila poi comportamenti di

collaborazione.

La relazione che il bambino avvia con i coetanei sono fondamentali in quanto favoriscono la

sperimentazione di nuove attività a livello sociale, permettono il confronto di idee e la maturazione

di nuove abilità cognitive.39

Dai due ai tre anni il bambino riconosce di avere una propria e distinta identità, individui i

comportamenti ritenuti accettati a livello sociale e quali no, inizia a instaurare relazioni con i pari

attraverso attività ludiche ed è in grado di spiegare agli altri cosa sta facendo attraverso il linguaggio

verbale.40

36

Ossicini, A. (1963). La relazione madre-bambino, Firenze: Casa Editrice Giunti, pp. 13-14. 37

Ivi, p. 15. 38

Pisaturo, C. (1996). Appunti di Psicomotricità, Padova: Piccin Nuova Libreria, pp.124-125. 39

Cavalli, G. , “Lo sviluppo delle relazioni” , in Mondo zero3 , 2012, vol. 8, fasc. 5, p. 15. 40

Gasperat, A. , op. cit. , pp. 33-34.

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In particolare “..Tra i 12 e i 18 mesi il piccolo sviluppa la capacità di seguire le richieste e le

proibizioni dell’ adulto; inoltre comprende quando le regole vengono infrante (distinguendo tra

“com’ è” e “come dovrebbe essere”) e quando un comportamento danneggia un’ altra persona.

Verso il terzo anno, poi, è consapevole di essere responsabile delle azioni (“sono stato io”).

A partire dal secondo anno il rispetto delle regole diventa importante e va inteso non in senso

punitivo, ma come progetto educativo a lungo termine: le regole servono per vivere meglio. (…)

Solitamente i bambini compiono azioni non accettabili perché spinti dalla curiosità o perché molto

coinvolti emotivamente nella situazione. (…) Verso i 15 mesi, quando le interazioni con gli altri

bambini diventano più frequenti, compaiono comportamenti come graffiare e mordere i compagni,

che possono essere interpretati come una reazione allo stress dovuto al fatto di non conoscere o di

non saper gestire l’ intenso desiderio di relazionarsi con loro…”.41

41

Cavalli, G. , “Tra affetto e regole”, in Mondo zero3 , 2011, vol. 8, fasc. 2, p. 15.

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5 Il controllo degli sfinteri e il dialogo tonico

Per il bambino il controllo sfinterico è uno degli obiettivi più difficili da conquistare. Il

passaggio dal pannolino al vasino viene intravisto dal bambino come una nuova fase da dover

raggiungere per acquisire una maggiore autonomia. Questo obiettivo non verrà raggiunto dal

bambino senza nessuna difficoltà, al contrario il percorso sarà pieno di fallimenti ed insuccessi.

In questa fase l’ adulto deve sostenere e motivare il bambino in modo tale che questo non perda la

fiducia in se stesso e in ciò che sa fare. Tendenzialmente questo percorso, meglio riconosciuto dalle

bambine rispetto ai maschietti, viene intrapreso verso i due anni.42

Da questa età in poi, raggiunge una sufficiente maturità, che può indurlo ai primi tentativi di

controllo degli sfinteri. Questa conquista gli consente di accrescere la fiducia in se stesso e aumenta

il piacere che egli trae dal proprio corpo. In questa situazione dovete offrirgli un’ affettuosa

collaborazione e non una rigida costrizione.

Il bambino deve essere aiutato e deve poter contare sulla vostra fiducia, che gli è essenziale per

coltivare quel sentimento di autostima indispensabile per sentirsi sicuro nelle sfide che deve e dovrà

affrontare per crescere. Ha bisogno di comprensione e di tempo per perfezionare le proprie

acquisizioni. In un primo tempo raggiunge il controllo diurno e successivamente, anche dopo molti

mesi, il controllo notturno. Tuttavia sono frequenti momenti di crisi, specialmente quando il

bambino è turbato da qualche problema. Per esempio la nascita di un fratellino, l’ inserimento al

nido o alla scuola materna.43

Lo strumento che funge da mezzo di comunicazione tra il bambino e gli altri è il tono muscolare.

“..Il neonato reagisce con stati di tensione e distensione ai disagi interni ed esterni, o alla

soddisfazione dei bisogni. La madre subito interverrà per interpretare, identificare, rendere

significativi questi stati tonici e li percepirà, ad esempio, come disagi provocati da fame, sonno,

voglia di essere preso in braccio, mal di pancia…”.44

Con il dialogo tonico “..il neonato manifesta con una ipertonia le richieste di attenzione e di

richiamo e con una ipotonia uno stato di sollievo e di appagamento…”.45

Con il termine ipertonia si

42

Gasperat, A. , op. cit. , p.67. 43

Ferrari, G. (2011). Il bambino felice, Novara: De Agostini, cap. 17. 44

Gasperat, A. , op. cit. , p. 62. 45

Casolo, F. (2007). Lineamenti di teoria e metodologia del movimento umano, Milano: Vita e Pensiero, p. 30.

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designa la contrazione del tono muscolare a seguito di continue manifestazioni di richiamo da parte

del neonato, il termine ipotonia al contrario rivela uno stato di decontrazione del tono muscolare

evidente ad uno condizione di sollievo e soddisfazione da parte del bambino.46

Il primo ad

individuare una relazione tra il tono muscolare e le emozioni fu Wallon.

Secondo l’ Autore “..ad ogni emozione sono connessi contemporaneamente un dato comportamento

tonico e trasformazioni caratteristiche delle attitudini posturali, oltre che determinate reazioni

muscolari e viscerali. (…) L’ interrelazione tra tono ed emozioni si stabilisce precocemente…”.47

Wallon afferma che: “..il bambino impara a riconoscere il proprio stato emozionale attraverso le sue

reazioni toniche. In altri termini impara a riconoscere sé stesso. (…) la possibilità che il bambino ha

di percepire ed esprimere benessere o disagio, cioè le emozioni primitive, si evolve parallelamente

alla discriminazione del mondo esterno e conduce alla presa di coscienza di sé…”.48

Ajuriaguerra sostiene la presenza della relazione tono-motricità in tutte le fasi di sviluppo del

bambino. L’ attività tonica permette al movimento di assumere una certa qualità ed organizzazione

in quanto il tono stesso prepara, orienta e sostiene la motricità. Il dialogo tonico è quindi il mezzo

più primitivo ed immediato che funge da comunicazione interindividuale.49

Lapierre individua nel dialogo tonico “..le modulazioni toniche che accompagnano il gesto, che gli

danno la sua tonalità affettiva, rivelatrice dei sentimenti, consci o inconsci, che l accompagnano.

(…) La volontà cosciente può inibire l’ espressione tonica spontanea e sostituirvi un atteggiamento

controllato più conforme all’ ideale dell’ Io, all’ immagine che vuole dare la persona, ma questa

sostituzione raramente è completa. Ne deriva un doppio messaggio che contiene una parte

volontaria e conscia e una parte involontaria e inconscia che contraddice la precedente…”.50

“..In seguito subentra il dialogo corporeo che, oltre alle variazioni di tono, comporta anche una

gestualità ed una espressività intenzionale. La successiva comunicazione verbale si innesta e viene

influenzata dalla acquisizione dell’ idea di sé e dalla presenza di queste due forme comunicative

primarie…”.51

46

Casolo, F. ; Melica, S. (2005). Il corpo che parla. Comunicazione ed espressività nel movimento umano, Milano:

Vita e Pensiero, p. 48. 47

Pisaturo, C. (1996). Appunti di Psicomotricità, Padova: Piccin Nuova Libreria, p. 75. 48

Ivi, pp. 76-77. 49

Ivi, pp.79-80. 50

Lapierre, A. (2002). Dalla psicomotricità relazionale all’ analisi corporea della relazione, Roma: Armando Editore,

p. 92.

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6 La percezione del proprio corpo

“..Si intende per schema corporeo “la percezione periferica del proprio corpo,

schematicamente cosciente, strutturata, delimitata nello spazio, costruita su precedenti informazioni

sensoriali”. Lo schema corporeo deve essere considerato una entità dinamica che si evolve

continuamente anche in funzione delle immagini corporee degli altri e delle loro aspettative

(ruoli)…”.52

Il concetto di 'schema corporeo' incominciò a diffondersi alla fine del 1800 in campo

neurologico a seguito di alcuni soggetti, con lesioni cerebrali, che manifestavano delle alterazioni

nella percezione del proprio corpo o parti di esso. A questi vennero diagnosticati dei disturbi a

carico dello schema corporeo, ai pazienti mancava quindi una corretta percezione della forma, della

dimensione e della posizione del proprio corpo.

Gli esperti incominciarono così a studiare i meccanismi che sono alla base della conoscenza del

corpo. Head ed Holmes considerarono importanti gli elementi visivi, spaziali e temporali inoltre

furono i primi a considerare l’aspetto evolutivo dello schema corporeo.53

Secondi gli autori “..L’ idea di un corpo rappresentato nello spazio (…) si movimenta in rapporto

alla percezione dei suoi diversi continui cambiamenti di posizione ed all’ apprezzamento dello

scarto temporale che intercorre tra le diverse sensazioni percepite. (…) Gli AA giungono a questa

concezione mentre cercano una spiegazione alla facoltà dimostrata dai soggetti esaminati di

valutare, ad occhi chiusi, la direzione dei movimenti impressi dall’ esterno a parti del loro corpo.

Presuppongono l’esistenza di un modello (o schema) della posizione che ciascun segmento

occupava prima di essere mosso: con questo il soggetto confronta, durante ogni movimento, le

sensazioni fornite dalle afferenze cinestesiche provenienti dal segmento che si muove…”.54

Nella cultura psicomotoria i vari autori tendono ad associare lo schema motorio alla nozione di

corpo-azione.

Per Le Boulch, lo schema corporeo, o immagine del corpo (…) può essere inteso come un’

“…intuizione d’ insieme o conoscenza immediata che si ha del proprio corpo, sia in condizione

51

Casolo, F. (2007). Lineamenti di teoria e metodologia del movimento umano, Milano: Vita e Pensiero, p. 30. 52

Gasperat, A. , op. cit. , p. 66. 53

Pisaturo, C. (1996). Appunti di Psicomotricità, Padova: Piccin Nuova Libreria, pp. 83-85. 54

Ivi, p. 85.

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statica sia in movimento, in rapporto alla diverse parti, fra loro in relazione, e soprattutto nei

rapporti con lo spazio e con gli oggetti che lo circondano…”.55

Pick e Vayer affermano che “..la conoscenza delle varie parti del corpo (in quanto differenti dal

punto di vista anatomico e diverse sul piano funzionale) conseguente alla loro percezione,

determina il controllo di sé e la padronanza del proprio corpo e permette di acquisire la disponibilità

del corpo per l’azione…”.56

Di matrice diversa dagli autori precedenti sono Lapierre ed Aucoutourier . Essi sostengono che lo

schema motorio venga influenzato da elementi della vita inconscia, “..Nel corso della vita inconscia

(…) in rapporto alla qualità delle relazioni stabilite con l’ ambiente, le parti del corpo sono oggetto

di un differente investimento libico, subordinatamente alle diverse evenienze della dinamica

“piacere/dispiacere”. Esse diventano le zone del corpo dove viene fantasmizzato il piacere (e cioè

vengono immaginate in funzione della soddisfazione del bisogno pulsionale)…”.57

Secondo l’ opinione di Piaget lo schema corporeo compare durante lo 'stadio pre-operatorio'.

Durante questa fase il bambino è in grado di produrre immagini mentali quindi è capace di

rappresentazione, in questo stesso periodo avviene anche l’ acquisizione della prensione

intenzionale, “..il corpo proprio a questo punto è legato all’ organizzazione dello spazio e viene

posto in relazione spaziale con tutti gli oggetti e con il corpo altrui.

Allorché è acquisita la capacità rappresentativa, il bambino addiviene all’ imitazione gestuale

(facoltà di imitare, col proprio corpo, ciò che compie il corpo degli altri), la quale assicura una più

stretta “connessione tra il proprio corpo e quello altrui”. (…) Con la comparsa delle imitazioni

differite e poi delle prime immagini mentali, si accede all’ immagine corporea, che all’ inizio sarà

costituta da un’ “imitazione interiorizzata” e dopo acquisterà la consistenza di un’ immagine

strutturata…”.58

Gli autori che sono intervenuti su tale argomento ritengono che lo schema corporeo

non sia una struttura innata ma che evolve lentamente nel corso dello sviluppo in diverse fasi: -

'Corpo vissuto' (0-3 anni) : il mondo circostante si caratterizza per le relazioni che intercorrono tra

gli oggetti e questi ed il corpo del bambino (sopra, sotto, lontano, vicino…) , egli è impegnato in

alcuni aggiustamenti di tipo corporeo ed assimila le nuove esperienze attraverso il meccanismo per

prove ed errori. Intorno ai due anni il bambino intraprende il percorso per il controllo sfinterico. –

55

Ivi, p. 94. 56

Ivi, p. 95. 57

Pisaturo, C. (1996). Appunti di Psicomotricità, Padova: Piccin Nuova Libreria, p. 96. 58

Ivi, p. 104.

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'Corpo percepito' (3-6 anni) : a tre anni il bambino possiede l’ immagine del proprio schema

corporeo a livello visivo dunque risulta importante che questo riesca ad associare allo schema

corporeo le varie esperienze propriocettive. – 'Corpo rappresentato' (6-12 anni) : il bambino

perfeziona il suo schema corporeo ed è in grado quindi di individuare le varie parti del proprio

corpo. Lo schema corporeo deve essere sollecitato non solo a livello visivo “..ma bisogna aiutare i

fanciulli ad associare i dati visivi con quelli cinestesici corrispondenti siano essi propriocettivi,

provenienti dalle sensazioni interne, soprattutto dai recettori articolari e muscolari, che esterocettivi,

in arrivo, cioè dal canale della sensibilità tattile. La ricchezza delle situazioni motorie realizzate è la

condizione ottimale per lo sviluppo e la maturazione dello Schema Corporeo. Attraverso un’

esecuzione più varia possibile, in diverse stazioni di partenza e in diversi contesti esecutivi si arriva

gradualmente alla padronanza del movimento…”.59

59

Gasperat, A. , op. cit. , pp. 66-67.

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