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l’approccio farmacologico a questi. Appare evidente che nell’approcciare farmacologicamente con il pa- ziente oncologico, emergono problematiche inerenti: - gli effetti collaterali provocati dalle terapie psichiatri- che che in tale tipologia di pazienti possono essere particolarmente severi (ex effetti anticolinergici); - le numerose interazioni della terapia psichiatrica con altri trattamenti chemioterapici assunti dal paziente; - le frequenti condizioni cliniche di estrema criticità in cui verte il paziente oncologico. Obiettivi della terapia È possibile sintetizzare gli obiettivi del trattamento del di- sturbo psichiatrico nel paziente oncologico come segue: - mantenere il compenso dell’eventuale disturbo psichiatrico già diagnosticato; - permettere e facilitare l’aderenza al protocollo te- rapeutico, ripristinando e sostenendo la motivazio- ne e l’iniziativa; - contrastare la preoccupazione, intesa come ideazio- ne intrusiva e prevalente, che limita la capacità di gestione della malattia e peggiora la qualità di vita; - ridurre il rischio suicidario, correlato di regola con uno stato di intensa sofferenza psichica (http:// www.medicitalia.it/minforma/Psichiatria/552/An- sia-depressione e cancro). La Psico-Oncologia nasce con l’obiettivo di fornire al paziente oncologico un tipo di trattamento in grado di migliorare la qualità della vita ed evitare o limitare il ri- schio di conseguenze psicopatologiche. Tra le aree di intervento della Psico-Oncologia, secondo le linee guida della SIPO del 1993, possiamo ricordare: valutazione delle reazioni psicopatologiche (area psicodiagnostica); colloqui di supporto psicologico e di psicoterapia, individuali e di gruppo; conduzione di gruppi self help; trattamento psicofarmacologico (http://www.aist- pain.it/it/files/CURE%20PALLIATIVE/LA%20PSI- CO%20ONCOLOGIA.pdf). Modelli per la mente 2014; VI (1): 49-69 49 CONTRIBUTI ORIGINALI Introduzione Da un’attenta revisione della letteratura si evidenzia come negli ultimi anni è cresciuta in maniera esponen- ziale l’attenzione alle conseguenze psicosociali della diagnosi e del trattamento della patologia neoplastica, tanto da portare alla definizione dell’area psiconcologi- ca clinica quale punto di riferimento nell’assistenza dei pazienti e delle loro famiglie (Holland, 1998) (Morasso, Orrù, Grassi, Amadori, Casali, Bruzzi, 2001). Secondo la letteratura, nella fase iniziale della malat- tia neoplastica è presente un’alta percentuale di mor- bilità psichiatrica (30-45%), in particolare disturbi del- l’umore, disturbi d’ansia, della sessualità e dell’adatta- mento che, però, non necessariamente scompaiono con la guarigione della malattia (Van’t Spijker, Tij- sburg, Duivenvoorden, 1997). In una fase avanzata della patologia neoplastica, in un’alta percentuale di casi (50-75%) sono presenti di- sturbi determinati da un interessamento diretto o indi- retto delle strutture cerebrali (delirium, disturbi depres- sivi secondari al cancro) (Chochinov, 2000; Chochinov, Passik In Doyle, Hanks, Mac Donald, 1998). Accanto alle patologie accennate, la psiconcologia ed, in particolare, la psicofarmaconcologia, negli ultimi anni ha assunto un ruolo importante nella gestione del paziente oncologico come intervento adiuvante per la gestione di aspetti clinici legati al cancro quali inson- nia, nausea e vomito anticipatorio, dolore cronico e hot flashes. Questi di sopra riportati, rappresentano i più frequenti aspetti clinici che nel tempo hanno sem- pre più reso opportuno, finanche indispensabile, un intervento consulenziale psichiatrico all’interno delle strutture oncologiche. Si evince dalla letteratura, inoltre, come il comporta- mento verso la malattia e gli stili di coping appaiono al- terati in presenza di disturbi psichici, andando a condi- zionare, oltre che la qualità di vita, già notevolmente compromessa nel paziente oncologico, anche l’ade- renza a protocolli terapeutici e, quindi, la possibilità di guarigione. Basandosi su tutto quanto sopra riportato, il presente studio si focalizza sugli aspetti clinici psi- chiatrici nel paziente oncologico ed in particolare sul- Psicofarmacologia e terapia oncologica Alessia D’Andrea 1 , Simona Guardabascio 2 1 Medico Psichiatra, Unità Dipartimentale di Psichiatria, Istituto Nazionale Tumori Regina Elena e Istituto Dermatologico San Gallicano, IFO Roma 2 Psicologa, SCINT - Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo - Interpersonale Riassunto L’articolo suggerisce il ruolo determinante della psiconco- logia e della psicofarmacologia nella gestione di aspetti clinici psichiatrici, che nella maggior parte dei casi so- praggiungono nel paziente oncologico. Viene riportata una rassegna dei principali disturbi psichici che si pre- sentano in oncologia, quindi il trattamento farmacologico proposto, tenendo conto delle implicazioni e dei possibili effetti collaterali determinati dall’interazione con i tratta- menti chemioterapici. Parole chiave: psiconcologia, psicofarmacologia, disturbi psichici, trattamenti. 7_D'Andrea_Modelli x la mente_1-3_14 21/01/15 15:59 Pagina 49

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l’approccio farmacologico a questi. Appare evidenteche nell’approcciare farmacologicamente con il pa-ziente oncologico, emergono problematiche inerenti:- gli effetti collaterali provocati dalle terapie psichiatri-

che che in tale tipologia di pazienti possono essereparticolarmente severi (ex effetti anticolinergici);

- le numerose interazioni della terapia psichiatrica conaltri trattamenti chemioterapici assunti dal paziente;

- le frequenti condizioni cliniche di estrema criticitàin cui verte il paziente oncologico.

Obiettivi della terapia

È possibile sintetizzare gli obiettivi del trattamento del di-sturbo psichiatrico nel paziente oncologico come segue:- mantenere il compenso dell’eventuale disturbo

psichiatrico già diagnosticato;- permettere e facilitare l’aderenza al protocollo te-

rapeutico, ripristinando e sostenendo la motivazio-ne e l’iniziativa;

- contrastare la preoccupazione, intesa come ideazio-ne intrusiva e prevalente, che limita la capacità digestione della malattia e peggiora la qualità di vita;

- ridurre il rischio suicidario, correlato di regola conuno stato di intensa sofferenza psichica (http://www.medicitalia.it/minforma/Psichiatria/552/An-sia-depressione e cancro).

La Psico-Oncologia nasce con l’obiettivo di fornire alpaziente oncologico un tipo di trattamento in grado dimigliorare la qualità della vita ed evitare o limitare il ri-schio di conseguenze psicopatologiche. Tra le aree diintervento della Psico-Oncologia, secondo le lineeguida della SIPO del 1993, possiamo ricordare:• valutazione delle reazioni psicopatologiche (area

psicodiagnostica);• colloqui di supporto psicologico e di psicoterapia,

individuali e di gruppo;• conduzione di gruppi self help;• trattamento psicofarmacologico (http://www.aist-

pain.it/it/files/CURE%20PALLIATIVE/LA%20PSI-CO%20ONCOLOGIA.pdf).

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Introduzione

Da un’attenta revisione della letteratura si evidenziacome negli ultimi anni è cresciuta in maniera esponen-ziale l’attenzione alle conseguenze psicosociali delladiagnosi e del trattamento della patologia neoplastica,tanto da portare alla definizione dell’area psiconcologi-ca clinica quale punto di riferimento nell’assistenza deipazienti e delle loro famiglie (Holland, 1998) (Morasso,Orrù, Grassi, Amadori, Casali, Bruzzi, 2001).Secondo la letteratura, nella fase iniziale della malat-tia neoplastica è presente un’alta percentuale di mor-bilità psichiatrica (30-45%), in particolare disturbi del-l’umore, disturbi d’ansia, della sessualità e dell’adatta-mento che, però, non necessariamente scompaionocon la guarigione della malattia (Van’t Spijker, Tij-sburg, Duivenvoorden, 1997).In una fase avanzata della patologia neoplastica, inun’alta percentuale di casi (50-75%) sono presenti di-sturbi determinati da un interessamento diretto o indi-retto delle strutture cerebrali (delirium, disturbi depres-sivi secondari al cancro) (Chochinov, 2000; Chochinov,Passik In Doyle, Hanks, Mac Donald, 1998).Accanto alle patologie accennate, la psiconcologia ed,in particolare, la psicofarmaconcologia, negli ultimianni ha assunto un ruolo importante nella gestione delpaziente oncologico come intervento adiuvante per lagestione di aspetti clinici legati al cancro quali inson-nia, nausea e vomito anticipatorio, dolore cronico ehot flashes. Questi di sopra riportati, rappresentano ipiù frequenti aspetti clinici che nel tempo hanno sem-pre più reso opportuno, finanche indispensabile, unintervento consulenziale psichiatrico all’interno dellestrutture oncologiche.Si evince dalla letteratura, inoltre, come il comporta-mento verso la malattia e gli stili di coping appaiono al-terati in presenza di disturbi psichici, andando a condi-zionare, oltre che la qualità di vita, già notevolmentecompromessa nel paziente oncologico, anche l’ade-renza a protocolli terapeutici e, quindi, la possibilità diguarigione. Basandosi su tutto quanto sopra riportato,il presente studio si focalizza sugli aspetti clinici psi-chiatrici nel paziente oncologico ed in particolare sul-

Psicofarmacologia e terapia oncologicaAlessia D’Andrea1, Simona Guardabascio2

1 Medico Psichiatra, Unità Dipartimentale di Psichiatria, Istituto Nazionale Tumori Regina Elena e Istituto Dermatologico San Gallicano, IFO Roma2 Psicologa, SCINT - Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo - Interpersonale

Riassunto

L’articolo suggerisce il ruolo determinante della psiconco-logia e della psicofarmacologia nella gestione di aspetticlinici psichiatrici, che nella maggior parte dei casi so-praggiungono nel paziente oncologico. Viene riportatauna rassegna dei principali disturbi psichici che si pre-

sentano in oncologia, quindi il trattamento farmacologico

proposto, tenendo conto delle implicazioni e dei possibili

effetti collaterali determinati dall’interazione con i tratta-

menti chemioterapici.

Parole chiave: psiconcologia, psicofarmacologia, disturbi

psichici, trattamenti.

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Nello specifico, l’opportunità di approfondire la cono-scenza e la possibilità di integrazione dell’interventoterapeutico oncologico con il trattamento psicofarma-cologico, è sostenuta dall’evidenza riscontrata dell’al-ta percentuale di pazienti seguiti presso gli Istituti Fi-sioterapeutici Ospetalieri di Roma per patologia onco-logica che, in una delle fasi della malattia, hanno avu-to necessità di effettuare una valutazione psichiatrica.

Materiali e metodi

Sono stati valutati, attraverso la somministrazione diret-ta di un questionario, o l’acquisizione indiretta delle in-formazioni dalla cartella clinica, 299 pazienti afferenti al-la valutazione psichiatrica da differenti reparti dell’IFO. Nel questionario veniva riportata l’età del paziente, ladiagnosi oncologica e psichiatrica, il reparto di prove-nienza; rispetto al trattamento farmacologico, la pre-senza o meno di chemioterapia in corso e l’assunzio-ne o meno di trattamento psicofarmacologico, specifi-cando, di quest’ultimo, il tipo di farmaci assunti (anti-depressivi, benzodiazepine, neurolettici, stabilizzatoridell’umore).

Discussione

Dall’elaborazione dei dati acquisiti si evince che dei299 pazienti intervistati, 93 (31%) stavano attualmen-te effettuando chemioterapia, mentre i restanti 206, almomento della valutazione, non effettuavano tratta-mento chemioterapico.Dei 93 pazienti in chemioterapia, 74 (80%) assumeva-no contemporaneamente una terapia psichiatrica, 45(61%) di tipo antidepressivo ed ansiolitico, 10 esclusi-vamente antidepressivo, 8 ansiolitico, 4 antidepressivae di stabilizzazione, solo 1 di tipo neurolettico.Dei 206 pazienti che al momento della valutazione nonstavano effettuando chemioterapia, quindi in una fasepiù avanzata della malattia neoplastica rispetto alla dia-gnosi ed al trattamento terapeutico, ma di follow up ri-spetto alle cure neoplastiche specifiche, 186 (90%) ef-fettuavano terapia psicofarmacologica, di cui 75 (40%)di tipo AD ed ansiolitico, 45 (24%) di tipo antidepressi-vo e solo 12 (6%) esclusivamente ansiolitico.Si evince da questi dati come, sia nella fase precocedi malattia, quella della diagnosi e dei primi mesi deltrattamento chemioterapico, che nella fase tardivadella malattia neoplastica, quella caratterizzata daltermine della terapia specifica antineoplastica e dallapresenza dei controlli seriati di routine, manifestazionipsichiatriche, prevalentemente di tipo depressivo edansioso, siano particolarmente presenti e clinicamen-te rilevanti, tanto da necessitare di un intervento psi-cofarmacologico.Da ciò l’interesse e la necessità di un’accurata ed ap-profondita conoscenza del funzionamento e, soprat-tutto, delle possibili interazioni farmacologiche, deifarmaci psichiatrici in un contesto di somministrazionein soggetti particolarmente compromessi dal punto divista fisico, quali i pazienti oncologici, sia in funzionedella stessa malattia oncologica, sia delle politerapiealle quali frequentemente sono sottoposti.

Un ulteriore dato interessante riscontrato, è statoquello relativo all’esordio della sintomatologia depres-siva e, quindi, della necessità di assunzione di un trat-tamento antidepressivo:- dei 45 pazienti in chemioterapia che assumevano

terapia antidepressiva ed ansiolitica 22, quindi il50% o dei 10 esclusivamente antidepressiva 7,quindi il 70%, erano affetti da K mammario, quindiappartenenti alla popolazione femminile;

- dei 75 pazienti non in trattamento chemioterapico,che al momento della valutazione stava assumen-do terapia antidepressiva ed ansiolitica 11, quindiil 15% e dei 45 esclusivamente antidepressiva 5,quindi l’11%, erano affetti da k mammario, quindiappartenenti alla popolazione femminile.

Ciò a dimostrazione che è significativamente più ele-vata la percentuale di pazienti donne che sviluppa undisturbo depressivo in fase precoce della malattianeoplastica (diagnosi e trattamento) piuttosto che inuna fase più avanzata, nella quale la tipologia delleneoplasie è equamente distribuita tra popolazionemaschile e femminile e conseguentemente anche lapercentuale del disturbo depressivo.

Anche in conseguenza dei dati sopra riportati, in questolavoro verranno valutati e approfonditi gli strumenti di ti-po farmacologico utilizzati in ambito oncologico. Un uti-lizzo corretto degli psicofarmaci in ambito oncologicoimplica necessariamente una conoscenza delle moleco-le più frequentemente impiegate in questo ambito (SI-PO, 1994) e un’attenta analisi delle caratteristiche psi-copatologiche del paziente, delle condizioni mediche,nonché delle possibili interazioni tra psicofarmaci stessied altri farmaci quali agenti chemioterapici o interferone(Facchi, Grassi, 2002). “Il criterio di scelta successivosarà quello di valutare le differenze farmacodinamiche ecinetiche delle varie molecole, soprattutto alla luce dellapossibile interferenza in corso di polifarmacoterapie edella peculiarità di effetti indesiderati che possa con-troindicarne l’uso in alcuni pazienti: ad esempio, gli ef-fetti anticolinergici dei triciclici nei soggetti con problemidi transito gastro- intestinale o nelle mucositi; la possibi-le nausea da SSRI che può sommarsi a quella da che-mioterapici; la sedazione da effetto antistaminico nei pa-zienti astenici; le possibili interazioni farmacocinetichefra antidepressivi e chemioterapici; l’incremento prolatti-nemico delle benzamidi, ecc.” (Torta, 2011).Attualmente vi è una maggiore attenzione all’utilizzodegli psicofarmaci in oncologia avendo come obiettivoil miglioramento degli standard degli interventi psico-farmacologici in tale ambito; è stato, inoltre dimostra-to come l’integrazione tra psicofarmacologia ed inter-venti psicologici sia utile per il trattamento dei disturbipsichici secondari al cancro che influenzano forte-mente il funzionamento individuale, la qualità della vi-ta del paziente e la capacità di adattamento alla ma-lattia (Bellani, Morasso, Amadori, Orru, Grassi, Casa-li, Bruzzi, 2002; Grassi, Facchi, Torta, 2011).

I disturbi psichici in oncologia

La valutazione dei disturbi psichiatrici secondari al can-cro costituisce una delle aree principali della psiconco-

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logia clinica. A tal fine vengono solitamente seguiti i cri-teri diagnostici più usati in ambito psichiatrico, specifica-mente i criteri stabiliti dall’Organizzazione Mondiale del-la Sanita (ICD-10) o quelli messi a punto dall’AmericanPsychiatric Association (DSM-IV-TR). Tuttavia è beneconsiderare che “l’applicabilità di criteri clinico-diagno-stici dei più noti manuali nosografici alla patologia onco-logica è sovente inadeguata”. Si vedano ad esempio al-cuni disturbi estremamente frequenti in oncologia, defi-niti “sottosoglia”, che non trovano una collocazione ade-guata nelle più comuni classificazioni nosografiche at-tuali. […] È il caso ad esempio di quadri clinici come ledepressioni minori, i quadri ansioso-depressivi o di at-teggiamenti quali la demoralizzazione secondaria, icomportamenti atipici o i problemi relazionali secondarialla malattia (Borio, Torta In Torta, Mussa, 2007).I disturbi più frequentemente riscontrabili in oncologiacomprendono i disturbi dell’adattamento, i disturbi de-pressivi, i disturbi d’ansia, i disturbi della sessualità, idisturbi psichiatrici su base organica e, più raramente,i disturbi psicotici.

Disturbi dell’adattamento

“Con tale termine si intendono i disturbi in cui, in as-senza di una particolare vulnerabilità individuale, unevento stressante (quale la diagnosi di cancro ed itrattamenti ad essa legati) rappresenta il fattore cau-sale ed esclusivo di insorgenza dei sintomi, che si pre-sume non sarebbero altrimenti occorsi. Essi presenta-no caratteristiche ed intensità tali da influire negativa-mente sull’adattamento del soggetto alla malattia esul funzionamento psicofisico generale. I sintomi possono essere variamente rappresentati dareazioni depressive, reazioni d’ansia o miste (ansioso-depressive), reazioni con altri aspetti emozionali (irri-tabilità, aggressività e collera, labilità emotiva) o condisturbi della condotta (comportamenti inadeguati).Importante risulta la diagnosi differenziale con i di-sturbi d’ansia e depressivi.

In genere i disturbi dell’adattamento vengono supera-ti senza residui emozionali, se il paziente riceve unadeguato sostegno psicologico. Se non trattati, essipossono cronicizzare od aggravarsi sconfinando inquadri psicopatologici più severi, quali disturbi de-pressivi persistenti e disturbi d’ansia generalizzata.

Disturbi d’ansia

L’ansia può rappresentare, in oncologia, uno dei sin-tomi o il sintomo principale di una serie di disturbi chehanno però caratteristiche cliniche, prognostiche e te-rapeutiche diverse tra loro. Dal punto di vista sinto-matologico, l’ansia si manifesta con sintomi di tipo psi-cologico (paure, sensazione di presagi vissuti in chia-ve pessimistica, ecc.) e con sintomi di tipo somatico(sudorazione, tachicardia, fame d’aria, ecc). I disturbi d’ansia si possono manifestare in forme acu-te, più frequenti nelle fasi immediatamente successivealla diagnosi di malattia o di recidiva. Tali quadri sonocaratterizzati da insonnia marcata, pensieri continui

della malattia, rievocazioni di immagini intrusive, si-milmente a quanto si verifica dopo un evento cata-strofico o un trauma violento. Per tale ragione, essivengono anche definiti col termine di Sindrome Post-traumatica da Stress (PTSD). Una forma specifica didisturbo d’ansia a carattere acuto e rappresentata dal-la Sindrome di Nausea e Vomito Anticipatorio, carat-terizzata da meccanismi di condizionamento per cui isintomi di nausea e di vomito, secondari alla chemio-terapia, vengono sperimentati dal paziente prima del-la chemioterapia stessa. Forme ad andamento più cronico (quali il disturbod’ansia generalizzata) sono caratterizzate da senti-menti di tensione soggettiva, accompagnata da pro-blemi dell’addormentamento o di mantenimento delsonno, preoccupazione costante per la malattia (chepuò avere carattere ipocondriaco) e per il futuro, diffi-coltà nei rapporti interpersonali dovute al senso di ver-gogna, diversità e inadeguatezza. I disturbi d’ansia possono essere presenti nel 10-15%dei casi (la nausea e il vomito anticipatori anche nel40-50% dei casi). L’intervento specialistico (supportopsicologico, psicoterapia e, se necessario, psicofar-macoterapia) rappresenta una modalità d’azione im-prescindibile per il loro trattamento.

Disturbi depressivi

Per ciò che concerne le manifestazioni cliniche di piùfrequente riscontro in ambito oncologico, ritroviamo:– paziente oncologico e deflessione del tono del-

l’umore.

Reazione alla diagnosi

Si è evidenziato nella pratica clinica come la reazioneemotiva è presente già prima della diagnosi, quandola malattia neoplastica è già sospettata o ipotizzata. Inquesta prima fase, il paziente associa l’ipotesi diagno-sticata con l’idea di malattia maligna, a prognosi in-certa e potenzialmente letale con un periodo più o me-no lungo di menomazione o distruzione della qualitàdella vita. Come viene vissuta questa prima fase (pre-diagnostica), condiziona notevolmente l’intensità e laviolenza della fase successiva (postdiagnostica)quando il paziente può presentare un adattamento omeno alla situazione definita in termini diagnostici.In tale reazione può distinguersi una fase immediata,generalmente transitoria, caratterizzata da oscillazioni(Wald, Kathol, Noyes, Carrol, Clamon, 1993) di sinto-matologia anche di notevole rilevanza clinica di tipoansioso, frequentemente buon indicatore prognostico(Fawzy, Cousins, Fawzy et al., 1990; Fawzy, Fawzy,Hyun, et al.,1993) ed una secondaria che può assu-mere diverse connotazioni cliniche: depressiva, fobi-ca, anancastica.La prima (depressiva) caratterizzata da una forte ridu-zione dell’iniziativa e del coinvolgimento nella situa-zione problematica, senza la contemplazione di alcu-na soluzione (mancanza di speranza), può conside-rarsi equivalente alla depressione primaria sia in ter-mini prognostici che terapeutici.

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La seconda (fobica) si caratterizza per la presenza diun atteggiamento di paura ed evitamento per la ma-lattia e per le sue conseguenze tale da compromette-re l’aderenza ad un protocollo efficace di trattamentoe, pertanto, non consentire il contrastare del decorso(Greenberg, 1991).La terza (anancastica), si caratterizza per la presenzadi uno scrupoloso coinvolgimento nelle procedure dia-gnostiche e terapeutiche conseguente ad un atteggia-mento di ipercontrollo della malattia. Tale iniziale mo-dalità di adattamento frequentemente evolve, in unafase successiva, verso un quadro di scompenso dia-gnosticamente inquadrabile in un disturbo dell’adatta-mento quando, la malattia neoplastica assume un an-damento non controllabile o di incertezza prognostica.

– Depressione indotta da farmaci oncologiciElemento importante da considerare davanti ad unpaziente oncologico, è l’effetto iatrogeno depressoge-no che hanno diversi farmaci neoplastici (ex. INF, che-mioterapici, analgesici). È necessaria, pertanto, un’at-tenta valutazione del profilo delle singole molecole al-lo scopo di scegliere quella più adatta e, soprattutto,meglio tollerata.

Obiettivi della terapia

È possibile sintetizzare gli obiettivi del trattamento del di-sturbo depressivo nel paziente oncologico come segue:- mantenere il compenso dell’eventuale disturbo

psichiatrico già diagnosticato- permettere e facilitare l’aderenza al protocollo te-

rapeutico, ripristinando e sostenendo la motivazio-ne e l’iniziativa

- contrastare la preoccupazione, intesa come ideazio-ne intrusiva e prevalente, che limita la capacità digestione della malattia e peggiora la qualità di vita

- ridurre il rischio suicidario, correlato di regolacon uno stato di intensa sofferenza psichica(http://www.medicitalia.it/minforma/Psichiatria/552/Ansia-depressione e cancro).

I disturbi depressivi si pongono come problema signifi-cativo in oncologia. Secondo vari studi la loro prevalen-za e compresa tra il 6 ed il 30% a seconda della fase dimalattia, del contesto psicosociale e delle specifiche ca-ratteristiche cliniche di depressione (Grassi, 1997).Vengono in questo ambito considerati più frequenti gliepisodi depressivi maggiori, seguiti dalle forme persi-stenti (ad es. distimia) e dalle depressioni croniche.Se i sintomi depressivi sono presenti in maniera in-tensa e continua (almeno due settimane), e verosimil-mente presente un quadro depressivo maggiore. Se ladurata del disturbo si prolunga per un periodo di tem-po più considerevole, siamo di fronte a quadri persi-stenti o ad andamento cronico. La diagnosi non e sempre facile: e stabilito che, in ge-nere, non devono essere impiegati i cosiddetti criterisomatici del disturbo (astenia, perdita di peso e del-l’appetito), che sono spesso determinati dalla malattianeoplastica e che, se usati, porterebbero ad una so-vrastima di depressione. È necessario invece basarsisoprattutto sui criteri affettivo-cognitivi quali sentimen-ti di anedonia, demoralizzazione, impotenza, inutilità,

disperazione, colpa e idee di morte larvate o suicida-rie franche. La concomitante presenza di dolore facilita lo sviluppodi quadri depressivi, in particolare di quelli più severi,quali la depressione maggiore, aumentando anche ilrischio suicidario (Spiegel, Sands, Koopman, 1994).Le conseguenze della depressione nei pazienti concancro sono molteplici e comprendono, oltre al rischiodi suicidio già citato, effetti negativi sulla qualità dellavita del paziente e della famiglia, problemi nella com-pliance al trattamento e, più in generale, alterazionidella relazione medico-paziente.Nella diagnosi e nel trattamento dei disturbi depressivi unintervento psichiatrico strutturato e sempre necessario.

Disturbi della sessualità

I disturbi della sessualita (ad es. mancanza del deside-rio, mancanza dell’orgasmo, disturbi dell’erezione edell’eiaculazione) rappresentano una terza importantecategoria di problemi secondari al cancro, date le impli-cazioni che sia la malattia sia le terapie hanno sulla vi-ta intima della persona (interventi chirurgici deturpanti,effetti dei farmaci chemioterapici o della radioterapia).La loro prevalenza e maggiore di quanto non sembri:infatti, quando incoraggiati ad esporre questi problemi,i pazienti rivelano spesso difficoltà e disagio, fino aquadri strutturati di disturbo sessuale. Altrettanto fre-quentemente, tuttavia, tali problemi e disturbi restanomisconosciuti per la scarsa tendenza da parte dei me-dici ad esplorare questa naturale area dell’esistenza eper la reticenza dei pazienti ad aprirsi spontaneamen-te. Se non trattati i disturbi della sessualità tendono acronicizzare, interferendo in misura notevole sulla qua-lità della vita del paziente e della coppia. Per tali ra-gioni interventi preventivi precoci sono assolutamenteimportanti e, sinteticamente, fanno riferimento: • alla prevenzione delle possibili conseguenze della

malattia sulla vita sessuale attraverso la scelta diterapie oncologiche meno invalidanti possibile o lariduzione dei rischi (ricostruzione del seno, con-servazione dello sperma, lubrificanti vulvari, prote-si peniene, ecc.);

• agli interventi informativi ed educazionali sul-l’eventualità di disturbi sessuali, sulla loro reversi-bilità e sull’utilità di una discussione aperta colpartner;

• al counselling sessuale (possibilità di affrontaredettagli intimi, anche “tecnici”, con la figura sanita-ria di riferimento).

In caso di situazioni in cui il problema debba essereaffrontato in maniera più specialistica, interventi di psi-coterapia breve e terapia sessuologica sono i punticentrali del trattamento.

Disturbi psichiatrici su base organica (stati confu-

sionali)

Tali disturbi comprendono alcuni quadri psichiatrici chesi presentano con una prevalenza compresa tra il 5 ed il40%, a seconda del tipo di neoplasia, dello stadio e del-le terapie effettuate. Sul piano eziologico sono infatti

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chiamati in causa sia i fattori che direttamente interes-sano le strutture cerebrali (ad es. neoplasie primarie ce-rebrali o più frequentemente metastasi cerebrali), sia ifattori che indirettamente comportano disturbi del Siste-ma Nervoso Centrale (ad es. processi infettivi, disturbidel metabolismo, dell’equilibrio idro-elettrolitico, dellavascolarizzazione cerebrale; farmaci con azione tossicasul SNC, quali gli oppioidi). Tra i quadri psico-organicipiu frequentemente osservabili, in particolare nelle fasiavanzate di malattia, sono gli stati confusionali, noti conil termine di delirium. I sintomi del delirium, caratterizza-ti da disturbi della memoria e dell’attenzione, disorienta-mento temporo-spaziale, agitazione psicomotoria (tal-volta rallentamento psicomotorio), disturbi del compor-tamento e, non infrequentemente, disturbi del pensiero(delirio) e della percezione (allucinazioni). L’impatto del delirium sul paziente (profonda angoscia),sui familiari (preoccupazione per la “trasformazione” del-la personalità del proprio caro) e sullo staff (difficoltà nel-la gestione della situazione) rende ragione dell’utilità dimonitorare le funzioni cognitive dei pazienti in maniera re-golare cogliendo, quando possibile, i sintomi prodromicidel disturbo (ad es. ipersonnia diurna, insonnia notturna;fluttuazioni dell’attenzione e dell’orientamento). Il tratta-mento e sia farmacologico (neurolettici) che interperso-nale (gestione del disturbo del comportamento, ri- orien-tamento del paziente, illuminazione della stanza, presen-za di figure significative più facilmente riconoscibili). Ulteriori quadri sono rappresentati dai disturbi a livel-lo cognitivo ad andamento più cronico con interessa-mento delle funzioni dell’attenzione, della memoria odella concentrazione. Spesso tali quadri sono il risul-tato di terapie (ad es. irradiazione) che lasciano comeesito danni al SNC In alcune circostanze la gravitàdell’interessamento delle funzioni superiori può porta-re a quadri di demenza.

Disturbi psicotici

Non frequenti in oncologia, salvo nelle situazioni in cuiil paziente presenti una storia di grave sofferenza psi-copatologica a livello anamnestico, comprendonoquadri caratterizzati da agitazione intensa, disturbi delcomportamento, deliri ed allucinazioni, in assenza diun interessamento organico del SNC. Tali sintomi pos-sono essere presenti quali espressione di disturbi af-fettivi (ad es. fase maniacale del disturbo bipolare omaniaco-depressivo, agitazione melanconica nelladepressione maggiore c.d. psicotica) o di disturbi del-lo spettro schizofrenico (ad es. bouffees deliranti acu-te, episodi psicotici transitori, schizofrenia). Necessi-tano di un intervento psichiatrico strutturato di tipo siafarmacologico (neurolettici) che gestionale (ricoveropsichiatrico) (http://utenti.unife.it/luigi.grassi/Docu-menti%20Psico-Oncologia/LINEE_GUIDA_SIPO.pdf).

Psicofarmacologia in oncologia

Farmaci ansioliticiBenzodiazepineNella pratica clinica le benzodiazepine sono la tipolo-gia di farmaci maggiormente utilizzati e ciò è dovuto

al loro elevato indice terapeutico, al buon profilo ditollerabilità.Le benzodiazepine possono essere suddivise in BDZPronordazepam-simili, BDZ Oxazepam-simili, Ni-troBDZ, TriazoloBDZ, Tienodiazepine e Toenotriazolo-diazepine. Nel contesto oncologico viene altresì utiliz-zata la classificazione delle BDZ in funzione della loroemivita, in BDZ a emivita breve (inferiore alle 5-6 ore),BDZ a emivita intermedio-breve (compresa tra 6 e 12ore), BDZ ad emivita intermedio-lunga (compresa tra12 e 24 ore) e BDZ a emivita lunga (maggiore di 24ore). L’emivita della molecola, così come il suo meta-bolismo (ossidazione o coniugazione) e importantenella scelta della BDZ stessa, essendo preferibile l’im-piego di BDZ che presentino emivita breve, siano me-tabolizzate attraverso processi di coniugazione epati-ca e non abbiano metaboliti attivi (lorazepam) nei pa-zienti defedati, in quelli con epatopatie, insufficienzed’organo o in politerapia (Facchi, Grassi, 2002). In oncologia le benzodiazepine vengono utilizzate neltrattamento dei disturbi di ansia e nello specifico nel-l’ansia anticipatoria legata alla chemioterapia: primadel trattamento chemioterapico una percentuale cheoscilla tra il 20 e il 70% dei pazienti manifesta nauseao vomito anticipatori che accompagnano lo stato diansia.Per ciò che concerne la somministrazione delle benzo-diazepine, l’utilizzo per via parenterale risulta essereutile nel caso di episodi di ansia acuta o agitazione psi-comotoria, per via endovenosa quando è necessariauna rapida induzione dell’effetto terapeutico, mentre lavia intramuscolare comporta problemi di assorbimentoin relazione alla scarsa idrosolubilità delle BDZ, ad ec-cezione di alcune, quali flunitrazepam e lorazepam chepresentano assorbimento rapido e completo. Le benzodiazepine sono impiegate ulteriormente neltrattamento dei disturbi del sonno. Risulta indispensa-bile scegliere la molecola e la durata del trattamentosulla base della forma di insonnia, discriminandone iltipo (iniziale, centrale, terminale), la durata (transito-ria, intermedia, cronica):- insonnia iniziale: somministrazione di una moleco-

la con rapido assorbimento e a breve emivita (en-tro le 6 ore, come il britizolam o il triazolam);

- insonnia intermedia: molecola a emivita interme-dia (entro le 12 ore, come l’estazolam o il lormeta-zepam o il temazepam);

- insonnia terminale: molecola ad emivita prolunga-ta (oltre le 12 ore, come il desmetildiazepam, o ilflurmetazepam o il flurazepam o il quazepam) o te-rapia antidepressiva.

Nel paziente oncologico anziano, defedato o con in-sufficienza d’organo, sarebbe consigliabile una doseridotta a causa del rischio di insorgenza di effetti do-se-dipendenti, come gli effetti di sedazione residua,confusione mentale e astenia al risveglio (Bellani, Mo-rasso, Amadori, Orru, Grassi, Casali, Bruzzi, 2002;Grassi, Facchi, Torta, 2011).Tra gli effetti collaterali possibili delle benzodiazepine,si considerano: la depressione dei centri del respiro inparticolare nei pazienti in fase avanzata della malattiaoncologica che presentano complicanze mediche si-gnificative, nelle situazioni in cui le benzodiazepinevengono somministrate per via endovenosa. Altri ef-

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fetti collaterali che possono essere riscontrati sonosonnolenza, sedazione muscolare, astenia da miori-lassamento, confusione mentale, incoordinazione mo-toria. In particolare è emerso che il paziente defedatoin trattamento con benzodiazepine, può avere l’insor-genza di ipotensione ortostatica, come conseguenzadella riduzione di sensibilità dei barocettori, che puòassociarsi a vertigini e a confusione mentale, oltre chead atassia, sintomi che insieme al miorilassamento,possono causare cadute nel passaggio dalla posizio-ne clinostatica a quella ortostatica. Appare necessaria un’attenzione particolare ai pa-zienti con disturbi neuro-muscolari concomitanti, co-me miastenia, data l’azione miorilassante delle ben-zodiazepine o nei pazienti affetti da disturbi della coa-gulazione ematica (trombocitopenia secondaria a che-mioterapia, coagulopatie), nei quali la somministrazio-ne parenterale andrebbe proscritta (Facchi, Grassi,2002).

Farmaci antidepressiviCome già accennato in precedenza, i disturbi e gli sta-ti depressivi in oncologia sono molto frequenti e sonoevidenziabili differenze notevoli imputabili alla variabili-tà della popolazione di pazienti, a fattori clinici (sede estadio di malattia, tipo di trattamenti) a fattori socio-ana-grafici (età, sesso, stato civile, occupazione). Spesso la risposta depressiva ad una diagnosi di can-cro costituisce una condizione “fisiologica” legata anumerosi fattori quali il dolore, la disabilità, la dipen-denza da strutture o persone, la perdita della propriaimmagine corporea, l’isolamento ambientale e socia-le, la morte (Borio, Torta In Torta, Mussa, 2007).In psiconcologia i farmaci antidepressivi sono ampia-mente utilizzati e il loro effetto “non si esercita sempli-cemente a livello cerebrale, ma risulta sistemico, mo-dulando serotonina, noradrenalina e dopamina a livel-lo di tutto il soma ed interagendo con tutti i sistemi or-monali, in particolare con quello dello stress”. “Lascelta dell’antidepressivo in oncologia si fonda più su-gli aspetti dimensionali e sintomatologici che non suicriteri categoriali e necessita di un’attenta valutazionedel rapporto rischi-benefici che deve anche tener con-to del problema delle possibili interazioni fra antide-pressivi e terapia oncologica” (Torta, 2011). Esiste un’ampia letteratura ed una maggiore esperien-za nell’uso degli antidepressivi triciclici nel pazienteoncologico. Trattasi di molecole che agiscono attraver-so il blocco della ricaptazione cerebrale dei neurotra-smettitori NA, 5-HT e DA; ciascuna molecola possiedespecifiche caratteristiche in funzione della specifica se-lettività e potenza che possiede nei confronti di cia-scun sistema neurotrasmettitoriale. L’efficacia di talifarmaci si è dimostrata molto elevata (80%) così come,però, la percentuale di drop-out (41,2%) a causa deinumerosi ed importanti effetti collaterali riferiti dai pa-zienti (Holland, Romano, Heiligenstein, et al. 1998).A causa della loro scarsa selettività, infatti, è possibi-le individuare diversi effetti collaterali in funzione del-le proprietà di blocco recettori di ciascun sistema NT:colinergico centrale e periferico, alfa-adrenergico edistaminergico ed al possibile sovraccarico epatico,specie per il concomitante impiego di altri farmaci.In particolare per quanto riguarda gli effetti anticoli-

nergici, in ambito oncologico tali aspetti vanno a som-marsi rendendo spesso controindicato l’uso degli ADtriciclici ad altri effetti secondari legati alla patologia dibase (situazioni in cui sia presente un interessamentocerebrale ad esempio secondario a metastasi o di-sturbi metabolici); a terapie concomitanti (stomatiti dairradiazione o chemioterapia); a disturbi gastrointesti-nali (in patologie a rischio di ostruzione) (Torta, Cico-lin in Torta, Mussa, 1997). Dopo un periodo di largo uso degli antidepressivi trici-clici, la scarsa managevolezza che li caratterizza,causa dell’alta percentuale di drop-out, ha spostatol’attenzione dei clinici su altri antidepressivi non TCA(non triciclici).Più recenti rispetto ai TCA, questa categoria di farma-ci comprende molecole diverse tra loro accomunateda un sostanziale simile effetto sul tono dell’umore ri-spetto ai TCA, ma con minori effetti collaterali: quadriciclici, eterociclici e farmaci a struttura atipica.Fanno parte di questi, molecole quali:- mianserina: antagonista dei recettori presinaptici

alfa-adrenergici, serotoninergici ed istaminergici;- trazodone: azione moderatamente serotoninergica

con effetti minimi sulla ricaptazione della dopami-na e noradrenalina;

- nefazodone: possiede un’attività serotoninergicamista.

Seppur impiegati con sufficiente efficacia clinica acausa dei minori effetti secondari rispetto agli ADTCA, tali molecole sono state decisamente superatecon l’introduzione sul mercato degli AD selettivi, unaclasse di molecole caratterizzate da una netta seletti-vità d’azione sui diversi NT che motiva la loro mag-giore maneggevolezza e minore collateralità pur man-tenendo invariata l’efficacia.Tra questi, in particolare, ruolo prevalente rivestonogli inibitori selettivi del re-uptake della serotonina(SSRIs).La loro specifica selettività sul sistema ne limita forte-mente la loro collateralità non legata alla loro attivitàserotoninergica.Le molecole appartenenti a questo gruppo (fluvoxami-na, fluoxetina, paroxetina, sertralina, citalopram, esci-talopram) si differenziano tra loro in funzione del di-verso tipo di metabolismo.In particolare, possono distinguersi molecole con me-taboliti attivi (fluoxetina) e molecole senza (paroxeti-na). Un’altra caratteristica che distingue le molecoleappartenenti a questo gruppo di AD è la loro specificainterazione con il sistema citocromiale epatico (CYP),importante per la possibilità di interferenza con altrifarmaci e che assume particolare rilevanza specie neicasi in cui ne siano assunti molti, come nel caso delpaziente oncologico (chemioterapici o farmaci antie-metici 5-HT3-antagonisti).La necessità di cogliere e, per quanto possibile, evita-re interazioni tra i diversi farmaci assunti dal pazienteed il rischio di sovradosaggio in caso di cosommini-strazione, ha portato negli ultimi anni ricercatori e cli-nici a porre particolare attenzione al sistema di oltre30 isoenzimi epatici implicati nel metabolismo ossida-tivo di composti endo-esogeni (Sproule, Narajo, Bren-mer, Hassan, 1997).

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SNRIGli SNRI presentano lo stesso spettro d’azione deiTCA sulla serotonina e sulla noradrenalina, ma in as-senza di blocco recettoriale H1, alfa1 e muscarinico,avendo così un profilo di tollerabilità sovrapponibileagli SSRI e superiore ai TCA.In generale gli SNRI agendo sui circuiti noradrenergi-ci, hanno un’efficacia maggiore sui sintomi somaticidella depressione, tuttavia ciò è anche collegato ad unmaggiore rischio di ipertensione arteriosa (in partico-lare la venlafaxina) (Torta, 2011).Considerando la scarsa azione degli SNRI sul sistemadel citocromo P450, è possibile l’utilizzo in sicurezzadi tali farmaci in associazione a farmaci oncologici(Jin, Desta, Stearns, 2005). “Un importante capitolo riguardante l’impiego degli an-tidepressivi in oncologia attiene alla possibilità diun’azione neutrofica degli antidepressivi, mediata dal-l’incremento dei fattori di crescita neuronale (BDNF,NGF). Tale azione potrebbe dimostrarsi utile nel limi-tare i danni da neurotossicità centrale e periferica dialcuni chemioterapici (alcaloidi della vinca, platini, ta-xani). Alcuni dati iniziali supportano tale ipotesi, siaper la venlafaxina, che sembra in grado di antagoniz-zare almeno in parte la neurotossicità da chemiotera-pici, sia l’incremento di BDNF osservabile nei pazien-ti oncologici depressi, rispetto ai non depressi, dopotrattamento con duloxetina” (Torta, 2011). Uno studio del 2012 (Durand, Deplanque, Montheil,Gornet, Scotte, Mir, Cessot, Coriat, Raymond, Mitry,Herait, Yataghene, Goldwasser, 2012) ha evidenziatol’attività clinica della venlafaxina contro la tossicitàneurosensoriale acuta indotta da oxaliplatino. In parti-colare “nel periodo 2005-2008, i pazienti con neuro-tossicità acuta correlata a oxaliplatino sono stati ran-domizzati in uno studio in doppio cieco a ricevere ven-lafaxina 50 mg un’ora prima dell’infusione di oxalipla-tino, e venlafaxina a rilascio prolungato 37.5 mg dalgiorno 2 al giorno 11, contro placebo. La neurotossici-tà è stata valutata utilizzando una scala numerica diclassificazione (NRS) per intensità del dolore e sollie-vo ottenuto nel corso del trattamento, la scala NPSI(Neuropathic Pain Symptom Inventory) e la scala dineurotossicità specifica per oxaliplatino. L’endpointprimario era la percentuale di pazienti con un sollievodel 100% in corso di trattamento. Sono stati inclusi 48pazienti (27 maschi, età mediana: 67.6 anni). La mag-gior parte dei pazienti aveva carcinoma colorettale(72.9%). Il numero mediano di cicli somministrati almomento dell’inclusione è stato 4.5 (dose media cu-mulativa di oxaliplatino: 684.6 mg ). In totale, 20 su 24pazienti nel braccio A (venlafaxina) e 22 su 24 nelbraccio B (placebo) sono risultati valutabili per la neu-rotossicità. In base alla scala NRS, il sollievo comple-to è risultato più frequente nel braccio venlafaxina:31.3% versus 5.3% ( P=0.03)” (http://www.farmape-dia.it/farmaci/efexor/20721-efficacia-della-venlafaxi-na-per-la-prevenzione-e-il-sollievo-della-neurotossici-ta-acuta-indotta-da-oxaliplatino).

DuloxetinaLa duloxetina è un antidepressivo appartenente allaclasse degli inibitori della ricaptazione della serotoni-na e noradrenalina (SNRI). Essa inibisce debolmente

la ricaptazione della dopamina con nessuna affinità si-gnificativa per i recettori istaminergici, dopaminergici,colinergici ed adrenergici.Fra gli effetti indesiderati indotti da questa molecola ven-gono riferiti ansia, cefalea, febbre, sonnolenza, stitichez-za, dolore addominale, allucinazioni, crisi convulsive, ga-stroenterite, vampate di calore, disturbi del desideriosessuale (http://it.wikipedia.org/wiki/Duloxetina).Sulla base di ciò che emerge da un report di speri-mentazione, appare che la duloxetina contribuisca adalleviare il dolore cronico causato da alcuni farmacicontro il cancro. In particolare si fa riferimento ad unostudio pubblicato sul Journal of American Medical As-sociation (JAMA) (Lavoie Smith, et al., 2013), che hatestato la duloxetina su pazienti con forme croniche dineuropatia periferica correlata alla chemioterapia -dolore, formicolio e intorpidimento degli arti che si ve-rifica per danneggiamento periferico farmaco-indotto.Dei 115 pazienti che hanno assunto l’antidepressivoper cinque settimane, il 59% ha ottenuto un certo gra-do di sollievo dal dolore, rispetto al 38% dei pazientitrattati con un placebo. Ciò sembrerebbe confermarequanto riscontrato nella pratica clinica, dal momentoche la duloxetina è già utilizzata per trattare gli effettitossici della chemioterapia. In un recente lavoro (La-voie Smith et al., 2013), sono stati arruolati 231 pa-zienti con dolore neuropatico che persisteva da alme-no tre mesi, dalla conclusione del loro ciclo di che-mioterapia. Alla metà è stata assegnata in modo ca-suale la duloxetina per cinque settimane, mentre l’al-tra metà ha assunto placebo in doppio cieco. Nei pa-zienti a cui era stata somministrata la duloxetina perprima, il punteggio medio del dolore è diminuito di unpunto su una scala da 0 a 10. I pazienti che hanno as-sunto la duloxetina hanno avuto una probabilità dop-pia di avere una diminuzione del 50% nei punteggi deldolore rispetto a quelli che hanno assunto il placebo,e in generale hanno segnalato miglioramenti nella lo-ro funzionalità quotidiana e nella propria qualità dellavita. Non è chiaro in che modo l’antidepressivo aiuti ri-spetto alla neuropatia, ma si pensa che agisca su al-cune sostanze chimiche cerebrali coinvolte nella tra-smissione dei segnali di dolore (http://www.pharma-star.it/index.html?cat=23&id=10842). In conclusione,un trattamento di 5 settimane con duloxetina è asso-ciato ad una riduzione significativa del dolore rispettoal placebo, nei pazienti con neuropatia periferica in-dotta da chemioterapia. L’effetto della duloxetina èmaggiore in seguito a effetti neurotossici per sommi-nistrazione di platino, rispetto all’utilizzo di taxani(http://edicola.sifweb.org/edicola/farmaci/numero/125/articolo/2383).Elemento da valutare nell’utilizzo della duloxetina è ilpotenziale rischio di epatossicità, come rilevato nelpre-marketing e nel presente RCP del farmaco(http://www.dialogosuifarmaci.it/rivista/pdf/4a0931cddd290.pdf).Alcune di queste segnalazioni indicano che i pazienticon preesistente malattia epatica che assumono Du-loxetina possono presentare un aumentato rischio diulteriore danno epatico. La duloxetina aumenta il rischio di innalzamento dei li-velli plasmatici di transaminasi: è riportata nello 0.4%dei pazienti trattati con duloxetina.

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In questi pazienti, il tempo mediano di rilevamentodelle transaminasi era di circa 2 mesi.

Negli studi controllati (Food and Drug Administration,2005) che hanno riguardato il disturbo depressivomaggiore, aumenti dell’alanina transaminasi (ALT) piùdi 3 volte il limite superiore del valore normale si sonopresentati nello 0.9% dei pazienti trattati con duloxeti-na e nello 0.3% dei pazienti trattati con placebo.

Negli studi controllati che hanno riguardato la neuro-patia diabetica periferica, aumenti di ALT più di 3 vol-te il limite superiore del valore normale si sono pre-sentati nell’1.68% dei pazienti trattati con duloxetina enello 0% dei pazienti nel gruppo placebo.

Considerando l’insieme degli studi clinici controllaticon placebo, l’1% dei pazienti trattati con duloxetinaha avuto un aumento di ALT più di 3 volte il limite su-periore del valore normale contro lo 0.2% dei pazientitrattati con placebo.

Segnalazioni nella fase post-marketing hanno riguar-dato casi di epatite con dolore addominale, epatome-galia ed aumento dei livelli di transaminasi più di 20volte il limite superiore del valore normale, con o sen-za ittero.

Sono stati riportati casi di ittero colestatico con mini-mo innalzamento dei livelli di transaminasi.

La combinazione degli aumenti delle transaminasi edella bilirubina, senza evidenza di ostruzione, è gene-ralmente riconosciuta come un importante predittoredi grave danno epatico.

La letteratura specialistica (Food and Drug Admini-stration, 2005) riporta il caso di 3 pazienti trattati conduloxetina che hanno presentato aumenti delle tran-saminasi e della bilirubina, con un aumento anche del-la fosfatasi alcalina, indicando la presenza di un pro-cesso ostruttivo; in questi pazienti c’era evidenza diun forte uso di alcool, che può aver contribuito alle al-terazioni biochimiche. Anche 2 pazienti del gruppo placebo avevano presenta-to un innalzamento delle transaminasi e della bilirubina.

Segnalazioni nella fase post-marketing hanno indica-to che elevati valori di transaminasi, bilirubina e fosfa-tasi alcalina possono presentarsi nei pazienti con ma-lattia epatica cronica o cirrotica.

Poiché è possibile che la duloxetina e l’alcool possanointeragire per causare un danno epatico, oppure che laduloxetina possa aggravare una persistente malattiaepatica, questa molecola non dovrebbe essere prescrit-to nei pazienti con evidenza di malattia epatica cronicao che fanno uso di alcool. (http://www.xagena.it/news/efarmacovigilanza_it_news/9274d9c796197a68442ddab7a28f5608.html).

NARIAd oggi l’unico inibitore selettivo della ricaptazione del-la noradrenalina disponibile in Italia è la reboxetina.

ReboxetinaL’utilizzo della reboxetina in oncologia attualmente èindicato in pochi studi, ma, nonostante ciò, è stata ri-portata una buona efficacia di tale farmaco sui sintomidepressivi di pazienti affette da cancro alla mammellae quindi un conseguente miglioramento della qualitàdella vita e un buon indice di tollerabilità (Grassi, Bian-cosino, Marmai, et al. 2004; Torta, 2011).La somministrazione di reboxetina sembra essere effi-cace in particolar modo per i pazienti con neoplasie chepresentano un quadro depressivo caratterizzato da iner-zia e astenia (Bellani, Morasso, Amadori, Orru, Grassi,Casali, Bruzzi, 2002; Grassi, Facchi, 2002; Torta, 2011).Il pattern metabolico della reboxetina è sconosciuto ed èpertanto difficile predire interazioni tra reboxetina ed altrimedicinali. Il citocromo P450 enzima CYP2D6 non sem-bra essere coinvolto nel metabolismo della reboxetina.A causa dello stretto margine terapeutico della rebo-xetina, l’eventuale inibizione della sua metabolizza-zione e conseguente eliminazione, può costituire unpunto critico importante. Poiché questo effetto non èstato valutato, reboxetina non deve essere sommini-strata in associazione con farmaci che, oltre alCYP2D6, inibiscono altri enzimi epatici, tra i quali ri-cordiamo l’antidepressivo serotoninergico fluvoxami-na, gli antimicotici azolici, gli antibiotici macrolidi co-me l’eritromicina.Le informazioni relative alle potenziali influenze della re-boxetina sulla farmacocinetica di altri farmaci è limitata.I dati in vitro mostrano che la reboxetina ad alte con-centrazioni inibisce CYP3A4 e CYP2D6. Fino a quan-do non saranno disponibili altri dati in vitro, la reboxe-tina deve essere usata con cautela quando prescrittain concomitanza con farmaci metabolizzati da CYP3A4o CYP2D6, che hanno uno stretto margine terapeutico,quali gli antiaritmici, gli antipsicotici, gli antidepressivitriciclici o la ciclosporina. Non sono state evidenziatesignificative interazioni farmacocinetiche reciprochetra reboxetina e lorazepam. Durante la co-sommini-strazione in volontari sani, si è osservata sonnolenza,da lieve a moderata, ed un aumento della frequenzacardiaca, di breve durata, in posizione ortostatica.La reboxetina nel volontario sano non sembra poten-ziare l’effetto dell’alcool sulle funzioni cognitive. L’usoconcomitante dei MAO inibitori deve essere evitato acausa del potenziale rischio (effetto tiraminico) dovutoal loro meccanismo di azione.L’uso concomitante con altri antidepressivi (triciclici,MAO, inibitori SSRI e litio) non è stato valutato duran-te gli studi clinici.L’uso concomitante dei derivati ergotinici potrebbecausare un aumento della pressione sanguigna.L’assunzione di cibo ritarda l’assorbimento della re-boxetina, tuttavia senza influenzarne significativa-mente l’entità.Sebbene non siano disponibili dati dagli studi clinici,dovrebbe essere considerata la possibilità di ipopo-tassiemia con l’assunzione contemporanea di diureti-ci che provocano perdita di potassio (http://www.lnf.infn.it/~dmaselli/bugiardini/EDRONAX.htm).

SSRINegli ultimi anni l’utilizzo degli inibitori selettivi del re-uptake della serotonina (SSRIs) anche in ambito onco-

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logico è aumentata notevolmente. Tra gli SSRI di piùlargo utilizzo ricordiamo la fluoxetina, la paroxetina, ilcitalopram, l’escitalopram. Essi sono notevolmente dif-ferenti tra loro per quanto concerne il tipo di metaboli-smo (molecole con metaboliti attivi, quali fluoxetina emolecole senza metaboliti attivi, quali paroxetina). “Significativa sul piano farmacologico è l’interazionedegli SSRIs con il sistema citocromiale epatico (CYP),diversa da molecola a molecola ed importante per lapossibile interferenza con altri farmaci assunti dal pa-ziente, in particolare chemioterapici o farmaci antie-metici 5-HT antagonisti (quali l’ondansetron o granise-tron). Di fatto, negli ultimi anni l’attenzione al sistemadi oltre 30 diversi isoenzimi epatici implicati nel meta-bolismo ossidativo di composti endo-esogeni ed ai fat-tori influenzanti l’attività CYP-450 è particolarmenteaumentata, data la necessità di cogliere le interazionitra farmaci assunti dal paziente e i possibili rischi disovradosaggio in caso di cosomministrazione” (Fac-chi, Grassi, 2002).

Escitalopram Dai dati della letteratura, tale molecola, in funzione delsuo profilo farmacologico e farmacodinamico, sem-brerebbe essere particolarmente idonea al trattamen-to del paziente oncologico, clinicamente spesso forte-mente compromesso e politerapizzato (http://it.wikipe-dia.org/wiki/Escitalopram).È usato per il trattamento della depressione, del di-sturbo d’ansia generalizzato, della fobia sociale e de-gli attacchi di panico.L’escitalopram è l’S-enantiomero del citalopram race-mico, inibitore selettivo della ricaptazione della sero-tonina (SSRI). Dei due enantiomeri del citalopram,l’isomero R è farmacologicamente inattivo (assenza diattività a livello del trasportatore della serotonina); aparità di dosaggio quindi l’escitalopram possiedeun’attività di inibizione della ricaptazione della seroto-nina doppia rispetto al racemo. L’affinità di legamedell’escitalopram al trasportatore umano della seroto-nina è pari a 1,1 nmoli, più 6.000 e 25.000 volte su-periore all’affinità verso il trasportatore umano, rispet-tivamente, della noradrenalina e della dopamina. In vi-tro, l’inibizione del reuptake della serotonina indottadall’escitalopram è pari a 2 volte quella del citaloprame a 100 volte quella dell’enantiomero R (Boulenger,Huusom, Florea, Baekdal, Sarchiapone, 2006).L’escitalopram è l’SSRI più selettivo per il sistema sero-toninergico. Inoltre non presenta la debole attività anti-staminica del citalopram dovuta alla debole affinità del-l’enantiomero R per il recettore H1 (Owens et al. 2001).In vitro e in vivo, escitalopram mostra selettivitàd’azione nell’inibizione della ricaptazione della seroto-nina, con effetti minimi sulla ricaptazione di noradre-nalina e dopamina. Non possiede o possiede scarsaaffinità per i recettori della serotonina (5HT1-7), recet-tori alfa e beta adrenergici, dopaminici (D1-5), istamini-ci (H1-3), muscarinici (M1-5) e benzodiazepinici; influen-za l’attività dei canali ionici (Na+, K+, Cl-, Ca++).In ambito clinico il tempo necessario perché compaial’effetto antidepressivo di escitalopram è di circa 2-4settimane. In vivo, l’azione antidepressiva (reversionedel comportamento anedonico nel modello animale)dell’escitalopram è risultata più rapida rispetto a quel-

la di citalopram (1 settimana vs 2 settimane) (Sanchezet al., 2003). È stato anche osservato che l’enantio-mero R non solo non possiede attività farmacologica,ma tende ad attenuare gli effetti dell’enantiomero atti-vo. La co-somministrazione di R- citalopram attenual’incremento dei livelli di serotonina nello spazio inter-sinaptico e previene completamente l’effetto antide-pressivo dell’escitalopram in modelli animali.Il trasportatore di serotonina, proteina che permette ilreuptake del neurotrasmettitore nelle terminazioninervose e target dell’azione degli SSRI, presenta duesiti di legame: un sito primario responsabile dell’azio-ne farmacodinamica e un sito di modulazione alloste-rica. L’escitalopram si lega sia al sito primario, da cuidipende l’effetto di inibizione del trasporto della sero-tonina, sia al sito allosterico che modifica la confor-mazione della proteina di trasporto stabilizzando il le-game fra il sito primario e il farmaco (blocco comple-to del trasportatore). L’enantiomero R invece non silega al sito primario ma si lega a quello allosterico;questo legame disturba il legame fra sito primario eenantiomero S e di fatto interferisce con l’attività ini-bitoria dell’escitalopram (blocco incompleto dell’attivi-tà del trasporatore).Nonostante la similarità tra l’escitalopram e il citalo-pram, studi preclinici e clinici (inclusi test a doppio cie-co) hanno dimostrato effetti differenziati tra citaloprame escitalopram (Van’t Spijker, Tijsburg, Duivenvoor-den, 1997), come ad esempio una superiorità clinica,comparato a diversi altri SSRI, come la paroxetina(Chochinov, 2000), specialmente in pazienti grave-mente depressi.

Escitalopram: effetti collateraliLa collateralità di tale molecola, vista la sua selettivi-tà, è legata all’azione sui recettori 5-HT presenti neidiversi distretti corporei ed è sovrapponibile a quelladegli altri SSRI.A livello gastrointestinale (nausea, vomito, diarrea, di-spepsia, riduzione dell’appetito) sono i più frequentied associati alle fasi iniziali della terapia assieme atensione, irritabilità ed insonnia. Tutti tendono a regre-dire dopo poche settimane di trattamento. Con la som-ministrazione continuativa del farmaco, si verifica unasorta di desensibilizzazione dei recettori serotoniner-gici presenti a livello intestinale a causa di prolungatastimolazione serotonina-mediata: ciò provoca il pas-saggio da una condizione di stimolazione eccessivadella peristalsi (diarrea) ad un possibile blocco dellaperistalsi (costipazione).A livello neurologico (cefalea e sintomi extrapiramida-li) e sessuale (riduzione della libido, eiaculazione ri-tardata, anorgasmia) specie nel trattamento a lungotermine. Benché privo di effetti cardiovascolari, l’escitalopramagendo aumentando il tono serotoninergico, può pro-vocare una modificazione del tono vasale con conse-guenti effetti di ipotensione posturale. Sono, inoltrestati segnalati casi di fibrillazione ventricolare ed al-lungamento dose-dipendente dell’intervallo QTc (NO-TA AIFA Dicembre 2011).Per completezza, si riportano effetti secondari sul me-tabolismo: iponatremia, inappropriata secrezione diADH ed iperglicemia.

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Cautela deve essere posta nell’uso concomitante diescitalopram con altri farmaci che potenziano la tra-smissione serotoninergica. In particolare destrometor-fano, tramadolo, meperidina, venlafaxina, trazodone,nefazodone, paracetamolo, dossilamina, pseudoefe-drina, linezolide, triptofano, ossitriptofano, risperidone.Tale associazione prolungata aumenta il rischio diSindrome Serotoninergica, una manifestazione clinicacaratterizzata da confusione mentale, agitazione, dia-foresi, diarrea, tachicardia, mioclonie, iperreflessia, in-coordinazione motoria, febbre e brividi, nausea e vo-mito e nei casi più gravi ipo o ipertensione, disturbidella coscienza fino a coma e convulsioni.Dopo l’inizio del trattamento con escitalopram e so-prattutto con il suo perdurare, è necessario porre par-ticolare attenzione alla modalità della sospensione alloscopo di prevenire il rischio di Sindrome da astinenza.Tale evento si caratterizza per agitazione, ansia, ano-ressia, confusione mentale, riduzione della coordina-zione motoria, diarrea, cefalea, insonnia, disturbi sen-soriali, diaforesi, tremori, vomito. Nella maggior partedei casi si risolve in 2-3 settimane. Solo in una limita-ta percentuale di pazienti può prolungarsi per un pe-riodo maggiore (2-3 mesi).

Escitalopram: interazioni farmacologicheIn vitro, escitalopram non inibisce l’attività enzimaticadi CYP3A4, 1A2, 2C9, 2C19 e 2E1 ed è a sua voltametabolizzato da più sistemi enzimatici; il potenzialedi interazioni farmacocinetiche clinicamente significa-tive è quindi considerato basso (von Moltke et al.,2001).Ciò rende tale molecola particolarmente adatta all’ap-proccio con il paziente oncologico ed alla sua fre-quente politerapia.Nonostante ciò, è importante fare un accenno alle piùsignificanti interazioni farmacologiche di escitalopramriportate in letteratura.Farmaci inibitori di CYP3A4, 2C19: sebbene questidue enzimi siano coinvolti nel metabolismo di escitalo-pram, la somministrazione di ritonavir, potente inibito-re di CYP3A4, non ha determinato variazioni significa-tive dei parametri farmacocinetici di escitalopram (ridu-zione del Vd del 10%) e del suo metabolita principale(in parte ottenuto tramite CYP3A4) (lieve incrementodel tempo di picco plasmatico) (Gutierrez et al., 2003).Farmaci metabolizzati da CYP2D6: in vitro escitalo-pram non ha mostrato attività inibitoria sull’isoenzimacitocromiale 2D6. In vivo il farmaco ha mostrato unadebole attività inibitoria verso CYP2D6, evidenziata dalfatto che la co-somministrazione con desipramina,substrato per CYP2D6, provoca un incremento del suopicco plasmatico del 40% e dell’AUC del 100%. La si-gnificatività clinica di questa interazione non è nota.Antivirali (darunavir, efavirenz, ritonavir): la sommini-strazione di ritonavir, potente inibitore di CYP3A4, nonha determinato variazioni significative dei parametrifarmacocinetici di escitalopram (riduzione del Vd del10%) e del suo metabolita principale (in parte ottenu-to tramite CYP3A4) (lieve incremento del tempo di pic-co plasmatico) (Gutierrez et al., 2003).Carbamazepina (induttore CYP3A4): potrebbe ridurrela concentrazione plasmatica dell’escitalopram (Stei-nacher et al., 2002).

Cimetidina: la co-somministrazione di escitalopram(20 mg) e cimetidina (concentrazioni allo steady state)è stata associata ad un aumento dell’esposizione al-l’antidepressivo del 72%. Questa variazione non èstata considerata avere rilevanza clinica (Rao, 2007).Dexamfetamina: l’associazione di questo farmacocon citalopram è stata associata ad aumento del ri-schio di sindrome serotoninergica per interazione far-macodinamica (incremento della concentrazione in-tersinaptica di serotonina rispettivamente per aumen-to del rilascio del neurotrasmettitore e inibizione delsuo reuptake). Poiché l’escitalopram è l’enantiomeroD del citalopram, l’interazione farmacologica non puòessere esclusa.Iperico: in associazione a escitalopram possono veri-ficarsi nausea, vomito, letargia, confusione e ansia fi-no a sindrome serotoninergica (potenziamento deglieffetti degli SSRI). L’associazione è controindicata.MAO-inibitori: in associazione con escitalopram au-menta il rischio di sindrome serotoninergica. Il rischioè più elevato con MAO-inibitori non selettivi (tranilci-promina, fenelzina) e A-selettivi (meclobemide); è me-no frequente con MAO inibitori B-selettivi (selegilina,rasagilina). Sintomi da tossicità serotoninergica sipossono verificare fino al 50% dei casi in cui la me-clobemide è assunta in associazione a farmaci sero-toninergici e nel 30% dei casi la tossicità risulta grave.La co-somministrazione è controindicata. Litio: potrebbe aumentare gli effetti serotoninergici diescitalopram e favorire la comparsa di sindrome sero-toninergica. Il litio infatti aumenta la sensibilità dei re-cettori 5-HT postsinaptici causando un aumento aspe-cifico della risposta farmacodinamica alla serotonina.Metoprololo: la co-somministrazione di escitalopram(20 mg/die per 21 giorni) con metoprololo (dose sin-gola di 100 mg) ha indotto un incremento del 50% edell’82% rispettivamente del picco plasmatico e del-l’AUC del metoprololo stesso. L’incremento della con-centrazione ematica di metoprololo è stato associatoad una riduzione della cardioselettività. L’associazio-ne dei due farmaci non ha comunque determinato va-riazioni clinicamente importanti della frequenza car-diaca e della pressione arteriosa.Pimozide: l’associazione con alcuni SSRI è stata as-sociata a gravi aritmie ventricolari, fra cui “torsione dipunta”.Omeprazolo: la co-somministrazione di escitalopram(20 mg) e omeprazolo (concentrazioni allo steady sta-te) è stata associata ad un aumento dell’esposizioneall’antidepressivo del 51%. Questa variazione non èstata considerata avere rilevanza clinica (Rao, 2007).Oppioidi: gli oppioidi derivati dalla fenilpiperidina (pe-tidina, tramadolo, metadone, fentanil) sono deboli ini-bitori della ricaptazione della serotonina. In associa-zione a SSRI aumenta il rischio di tossicità neurologi-ca (sindrome serotoninergica).Tioridazina: l’associazione con alcuni SSRI è stata as-sociata a gravi aritmie ventricolari, fra cui “torsione dipunta”.Triptani (almotriptan, frovatriptan, naratriptan, riza-triptan, sumatriptan, zolmitriptan): in associazione aescitalopram si potrebbe avere un incremento del ri-schio di ipertensione e vasocostrizione coronaricaper sommazione degli effetti serotoninergici. L’asso-

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ciazione triptani-escitalopram può indurre aumentodel rischio di sindrome serotoninergica: l’associazio-ne è controindicata.Warfarin: possibile aumento dell’effetto anticoagu-lante con un aumento del rischio di sanguinamentonon gastrointestinale. Uno studio che ha preso inconsiderazione l’esposizione ai seguenti SSRI: cita-lopram, escitalopram, fluvoxamina, fluoxetina, paro-xetina e sertralina, ha evidenziato un aumento del ri-schio di ospedalizzazione per sanguinamento non-gastrointestinale negli utilizzatori degli antidepressivi(OR: 1.7; 95% CI 1.1-2.5) ma non per sanguinamen-to gastrointestinale (OR 0.8; 95% CI: 0-4-1.5). Il ri-schio di sanguinamento non-gastrointestinale è risul-tato simile a quello riscontrato per i pazienti in tera-pia con FANS (OR 1.7; 95% CI: 1.3-2.2). La valuta-zione specifica per i singoli SSRI non ha identificatodifferenze significative per il rischio di sanguinamen-to sia gastrointestinale che non-gastrointestinale(Kurdyak et al., 2005).

Escitalopram ed efficacia: un accenno di letteraturaLa serotonina possiede attività vasocostrittrice e an-tiaggregante piastrinica. Le piastrine, che non sonocapaci di sintetizzare il neurotrasmettitore, lo assorbo-no dal sangue attraverso una proteina che funge datrasportatore di serotonina. All’interno della piastrinala serotonina è accumulata in granuli per essere poi ri-lasciata nuovamente nel torrente circolatorio quandola piastrina è attivata nel processo di emostasi. L’inibi-zione del reuptake della serotonina indotto dagli SSRIblocca anche il trasportatore di serotonina piastrinico.È stato osservato che il trattamento con SSRI aumen-ta il rischio di sanguinamento uterino, il rischio di san-guinamento associato ad intervento chirurgico ortope-dico nei pazienti anziani e il rischio di sanguinamentodel tratto gastrointestinale superiore (Movig et al.,2003; van Walraven et al., 2001).In uno studio di coorte relativo a pazienti trattati per 3mesi con antidepressivi, il ricovero per sanguinamen-to gastrointestinale superiore era pari ad un aumentodi 3,1 episodi per 1000 trattamenti/anno per i pazientitrattati con antidepressivi che inibivano la ricaptazionedella serotonina rispetto a quelli che non la inibivano(Dalton, 2003). L’aggiunta di FANS o acido acetilsali-cilico aumentava ulteriormente il rischio, rispettiva-mente di 12,2 volte e di 5,2 volte con asa (il rischio disanguinamento con asa in monoterapia a basso do-saggio è stato stimato pari a 2,5 volte e quello deiFANS a 4,5 volte, rispetto ai non utilizzatori). Il rischioaumenta anche con antidepressivi non selettivi (ami-triptilina, dosulepina, doxepina, imipramina, lofeprami-na), ma in misura minore (2,3 volte) rispetto agli SSRI.Con gli antidepressivi privi di azione sui recettori se-rotoninergici (amoxapina, desipramina, maprotilina,mianserina, nortriptilina e trimipramina) il rischio au-menta dell’1,8. Il rischio di sanguinamento inoltre nonè sembrato dipendere dalla durata della terapia (nes-suna differenza dopo 1 mese, 2 o 6 mesi) (Layton etal., 2001).In caso di pazienti ambulatoriali con depressionemaggiore, escitalopram (10 o 20 mg/die) è risultatosuperiore al placebo nell’indurre un miglioramentodelle scale di valutazione dell’effetto antidepressivo:

MADRS (Montgomery-Asberg Depression RatingScale), CGI-I e CGI-S (Clinical Global Impression Im-provment and Severity Scale), HAM-D (Hamilton Ra-ting Scale for Depression) (Waugh, Goa, 2003).Nel trattamento del disturbo depressivo maggiore,escitalopram ha mostrato un più veloce e netto di-scostamento dal placebo nella valutazione dell’effica-cia terapeutica rispetto a citalopram; in un sottogrup-po di pazienti con depressione lieve, ha mostrato ef-ficacia terapeutica maggiore di citalopram, dopo 24settimane; è stato associato ad una risposta clinicapiù duratura e una remissione rapida rispetto a ven-lafaxina in pazienti con depressione maggiore(Waugh, Goa, 2003). La somministrazione di escitalopram (10 mg/die) è ri-sultata superiore al placebo nel ridurre il punteggio divalutazione della depressione dopo 4 settimane di te-rapia e superiore a citalopram 20 mg/die (Montgome-ry et al., 2001).In pazienti con depressione moderata-severa trattatiper 8 settimane con escitalopram (10-20 mg/die) e ci-talopram (20-40 mg/die), l’enantiomero S è risultatopiù efficace di citalopram nel migliorare già dalla primasettimana l’item “tensione interna” della scalaMADRS, item relativo all’ansia associata a depressio-ne (Gorman et al., 2002). Inoltre, dopo 8 settimane laquota di pazienti in remissione (MADRS </= 12) erasuperiore al 50% vs 43% circa ottenuta con citalopram(Lepola et al., 2003).Non sono emerse differenze nell’efficacia terapeuticafra escitalopram, somministrato alla dose di 10 mg/diee il racemo, citalopram, alla dose di 40 mg/die, dopo 8settimane di terapia; escitalopram alla dose di 20mg/die è risultato superiore a citalopram 40 mg/die (lasuperiorità presentava una significatività statisticaborderline, P=0.06). Entrambi i farmaci hanno mostra-to superiorità terapeutica rispetto al placebo (Burke etal., 2002). L’efficacia del trattamento con escitalopram a lungotermine (36 settimane) è stata valutata in un trial vsplacebo, nel quale il periodo libero da recidiva è statosignificativamente maggiore nel gruppo trattato rispet-to al gruppo placebo così come la percentuale di rica-duta (percentuale cumulativa di ricadute: 26 vs 40%dei pazienti rispettivamente con escitalopram e place-bo). Inoltre il 7% dei pazienti del gruppo placebo ha in-terrotto il trattamento per eventi avversi rispetto al 4%del gruppo trattato (Rapaport et al., 2004).In un altro studio sono stati confrontati escitaloprame citalopram entrambi a basso dosaggio (rispettiva-mente 10 mg/die e 20 mg/die) per 24 settimane. Altermine dello studio non sono state rilevate differen-ze nella variazione media del punteggio MADRS fra idue trattamenti, ma al termine delle prime 8 settima-ne, la percentuale di pazienti responder risultava sta-tisticamente superiore con escitalopram (63 vs 55%,P<0.05). Dopo 24 settimane circa l’80 vs 76% dei pa-zienti, rispettivamente con escitalopram e citalopram,aveva risposto al trattamento farmacologico e il tas-so di remissione era pari al 76 vs 71% (differenzastatisticamente non significativa) (Colonna et al.,2005). Poiché il dosaggio dei due farmaci che erastato selezionato per questo studio era più appro-priato per pazienti con depressione di grado modera-

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to (cioè con un punteggio MADRS < 30), è stata con-dotta un’analisi post-hoc sul sottogruppo di pazienticon depressione moderata. È risultato che il punteg-gio totale MADRS subiva una diminuzione statistica-mente significativa a favore di escitalopram sia dopo8 settimane sia dopo 24 settimane (per entrambi i va-lori, P< 0,05). Dopo 8 settimane la percentuale di pa-zienti responsivi era 75 vs 58% (P< 0.01) e quella dipazienti in remissione era 75 vs 53% (P< 0.001). Do-po 24 settimane le differenze fra i due gruppi nonraggiungevano la significatività statistica (Colonna etal., 2005). In uno studio disegnato per valutare la superiorità del-l’escitalopram verso il citalopram, pazienti con de-pressione grave (MADRS >/= 30) sono stati trattaticon l’enantiomero S o il racemo alla dose massima(20 mg/die e 40 mg/die rispettivamente) per 8 setti-mane. L’esito clinico principale era rappresentato dal-la variazione del punteggio MADRS che è risultato pa-ri a –22.4 vs –20.3 (P< 0.05) rispettivamente con esci-talopram e citalopram. Il 14,8% dei pazienti nel grup-po escitalopram e il 16,4% di quelli del gruppo citalo-pram sono andati incontro ad almeno un evento av-verso; di questi pazienti rispettivamente il 19% e il36% hanno interrotto la terapia precocemente.In caso di disturbi da panico, con o senza agarofobia(definito in base ai criteri diagnostici DSM-IV), la som-ministrazione di escitalopram (5 mg/die per 10 setti-mane) è risultata più efficace del placebo nel ridurre isintomi, la severità degli attacchi di panico (in media ilnumero di attacchi per settimana pre-trattamento eradi 5) e la qualità di vita (Stahl et al., 2003).Nei pazienti trattati con escitalopram è risultata più al-ta la percentuale di pazienti libera da attacchi di pani-co (circa 50 vs 39%, rispettivamente con escitaloprame placebo). Escitalopram è risultato inoltre più effica-ce nel diminuire la sensazione di ansia anticipatoria.Gli effetti collaterali più frequenti sono stati nausea,cefalea e insonnia, con un’incidenza sovrapponibilenei due gruppi di trattamento e hanno determinato lasospensione della terapia in una percentuale minoredi pazienti in terapia con escitalopram (6 vs 8%).Escitalopram ha evidenziato efficacia terapeutica so-vrapponibile a sertralina. In uno studio di 8 settimane,pazienti con depressione sono stati trattati con escita-lopram a dose fissa (10 mg/die) oppure sertralina adosaggio variabile (50-200 mg/die). Sia la risposta cli-nica sia la remissione clinica al termine dello studio ri-sultava sovrapponibile, ma la percentuale di pazientiera statisticamente superiore con escitalopram allaseconda, terza e sesta settimana per la risposta clini-ca; alla seconda, terza, quarta e sesta settimana perla remissione clinica. Mentre nel gruppo trattato conescitalopram la dose iniziale risultava sufficiente atrattare la maggior parte dei pazienti (dose raccoman-data), nel gruppo in terapia con sertralina, il 65% ave-va richiesto un aggiustamento, al rialzo, della dose(150-200 mg/die). La percentuale di pazienti che hainterrotto precocemente la terapia per eventi avversi èstata il 2% con escitalopram e il 4% con sertralina(Alexopoulos et al., 2003).L’escitalopram è stato confrontato con venlafaxina inpazienti affetti da depressione in due studi controllati,uno in cui i due farmaci sono stati somministrati a do-

si variabili e l’altro in cui l’assunzione era a dose fissa(20 mg/die per escitalopram e 225 mg/die per venla-faxina). Nel primo studio i pazienti sono stati trattaticon dosi iniziali di 10 mg/die per l’SSRI e di 75 mg/dieper la venlafaxina. Se necessario la dose veniva rad-doppiata alla seconda e alla quarta settimana. Sullabase dei punteggi di MADRS (esito clinico principale),i due farmaci hanno evidenziato efficacia terapeuticaequivalente. L’escitalopram è stato associato a per-centuali di risposte cliniche significativamente supe-riori a venlafaxina dopo la seconda, terza e sesta set-timana. Anche per quanto riguarda la percentuale dipazienti in remissione, risultati statisticamente supe-riori sono stati ottenuti con escitalopram alla seconda,terza, quarta e sesta settimana. La percentuale di pa-zienti che ha interrotto precocemente il trattamentofarmacologico è stata pari all’11 vs 8% rispettivamen-te con venlafaxina e escitalopram. Nausea, stipsi eaumento della sudorazione si sono manifestati confrequenza maggiore nel gruppo trattato con venlafaxi-na. Nessun evento avverso ha avuto un’incidenza su-periore con escitalopram (Montgomery et al., 2003).Nello studio a dose fissa, i pazienti sono stati trattaticon escitalopram o venlafaxina per 8 settimane. Sullabase del punteggio MADRS (esito clinico principale) idue antidepressivi hanno mostrato efficacia equiva-lente. Nel sottogruppo di pazienti con depressionegrave (punteggio MADRS >/= 30), la riduzione delpunteggio della scala MADRS è stato statisticamentesuperiore nel gruppo in terapia con escitalopram ri-spetto a quello trattato con venlafaxina. I pazienti chehanno sospeso il trattamento per effetti avversi sonostati il 16 vs 4,1% rispettivamente con venlafaxina eescitalopram (Bielski et al., 2003).L’escitalopram è stato confrontato con duloxetina neltrattamento della depressione maggiore sia in acutosia come terapia a lungo termine, in particolare perquanto concerne l’impatto del trattamento sulla di-sfunzione sessuale, effetto collaterale frequente asso-ciato all’uso di SSRI. La durata dello studio è stata di8 mesi. I farmaci sono stati somministrati ad una doseiniziale di 10 mg/die per escitalopram e di 60 mg/dieper duloxetina; dopo 8 settimane era possibile effet-tuare degli incrementi di dosaggio per ottimizzare laterapia. Dopo le prime 8 settimane, il 33,3% dei pa-zienti trattati con duloxetina vs il 48,7% del gruppoescitalopram vs 16,7% del gruppo placebo mostrava-no disfunzione sessuale; tale differenza tra i farmaciattivi non era più osservabile dopo 12 settimane. Ad 8mesi, l’incidenza di disfunzione sessuale associata altrattamento risultava pari al 33,3 vs 43,6 vs 25% ri-spettivamente con duloxetina, escitalopram e place-bo. Indipendentemente dal trattamento i pazienti cheottenevano remissione della malattia depressiva evi-denziavano miglioramento della funzione sessualeglobale e viceversa, peggioramento era riscontrabilenel gruppo di pazienti che non avevano raggiunto re-missione della sintomatologia depressiva (Clayton etal., 2009).In uno studio che ha preso in considerazione 12 revi-sioni sistematiche relative all’impiego di SSRI, mirta-zapina, venlafaxina, duloxetina, milnacipran, bupro-pione e reboxetina nel trattamento in acuto della de-pressione maggiore è emerso che, da un punto di vi-

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sta dell’accettabilità (uno dei parametri considerati, in-sieme all’efficacia terapeutica), l’escitalopram è risul-tato al primo posto come accettabilità e al secondoposto come efficacia, dopo la mirtazapina (Lancet,2009).

ParoxetinaLa paroxetina cloridrato è un farmaco antidepressivoappartenente alla categoria degli SSRI, commercia-lizzato a partire dal 1992. Come gli altri SSRI la suaassunzione genera un aumento della disponibilità si-naptica di tale neurotrasmettitore a livello intersinap-tico. Rispetto ad altre molecole della stessa classeterapeutica (fluoxetina, sertralina, ecc.) a parità didosaggio ha un effetto più potente e più rapido. Vie-ne comunemente impiegato nel trattamento della de-pressione, negli attacchi di panico associati o menoad agorafobia, nel disturbo ossessivo-compulsivo, incasi di fobia sociale e nei disturbi d’ansia. Come glialtri farmaci della sua classe la paroxetina è gene-ralmente preferita agli antidepressivi triciclici per lasua maggiore tollerabilità e la minor presenza di ef-fetti collaterali.La paroxetina condivide con gli altri SSRI alcune ca-ratteristiche relative al profilo farmacodinamico e far-macocinetico: essa, dopo somministrazione orale, vie-ne prontamente assorbita nel tratto gastrointestinale,subendo tuttavia un importante effetto di primo pas-saggio, per cui meno dei due terzi del farmaco assor-bito giungono in circolo. La paroxetina manifesta unvolume di distribuzione piuttosto elevato (3,1-28 L/kg)e una lipofilia elevata; a dosi terapeutiche il 95% delfarmaco è legato a proteine plasmatiche. Lo steadystate viene raggiunto in 7-14 giorni, benché si ritengache l’emivita, a livello del SNC, sia significativamentepiù lunga. La paroxetina viene metabolizzata dal fe-gato, tramite meccanismi di ossidazione e metilazio-ne, a derivati glucoronati e solfati inattivi, ad opera deicitocromi p-450, in particolare gli isoenzimi CYP3A,CYP2D6, CYP1A2. L’emivita del farmaco risulta esse-re di 18-21 ore (a dosi di 20-30 mg), benché sia ri-scontrabile un’ampia variabilità tra gli individui. È im-portante ricordare che l’emivita di eliminazione e laconcentrazione plasmatica nell’anziano sono tipica-mente aumentate (Wagstaff, Cheer, Matheson, Om-rod, Goa, 2002).La paroxetina manifesta una potente e selettiva attivi-tà di inibizione della ricaptazione della serotonina nelneurone presinaptico ed amplifica la neurotrasmissio-ne serotoninergica prolungando l’attività della seroto-nina a livello dei recettori postsinaptici. A differenzadegli antidepressivi triciclici (TCA), la paroxetina ma-nifesta scarsa affinità per i recettori istaminici H1, a- eb-adrenergici, dopaminergici D2, 5-HT2, mentre pre-senta, diversamente dagli altri SSRI, una rilevante at-tività per i recettori colinergici muscarinici. La sommi-nistrazione del farmaco per lunghi periodi sembra es-sere responsabile di cambiamenti neuroadattativi neirecettori sinaptici serotoninergici, in particolar mododella sottoregolazione degli autorecettori 5-HT1A e 5-HT1D/B a livello somatodendritico e della terminazio-ne neuronale, con un persistente aumento del rilasciodi serotonina. Tale elemento sembra essere alla basedell’effetto terapeutico del farmaco e giustificherebbe

peraltro il suo tempo di latenza, tipico di tutti gli SSRI(Perugi, Frare, Toni, Ruffolo, Moretti, Torti, 2002).

Qui di seguito vengono riportati alcuni accorgimentinell’uso di questa molecola, in particolare in ambitooncologico.Pazienti anziani e defedati: è consigliato somministra-re la minima dose efficace. Nella maggior parte deipazienti anziani la dose iniziale coincide con quellaraccomandata negli adulti. La dose massima non do-vrebbe superare i 40 mg/die. Benché in questa classedi pazienti siano state osservate concentrazioni sieri-che di paroxetina più elevate rispetto ai pazienti piùgiovani, il range delle concentrazioni sieriche può con-siderarsi sovrapponibile a quello osservato nei pa-zienti con meno di 65 anni.Tossicità epatica: in caso di variazioni prolungate deitest di funzionalità epatica, si consiglia di sospendereil trattamento con paroxetina. Il farmaco infatti è statocorrelato, anche se raramente, a danno epatico.Pazienti nefropatici: nei pazienti con ridotta funziona-lità renale potrebbe essere necessario ridurre la dosedi paroxetina o aumentare l’intervallo fra le dosi (ades. pazienti con befropatia cronica).Patologia cardiovascolare: in pazienti con patologiacardiovascolare la somministrazione di paroxetina ri-chiede cautela. Il farmaco infatti, soprattutto in pazien-ti anziani, può indurre iponatriemia (incidenza < 0,1%),reversibile con la sospensione dell’antidepressivo.Epilessia/convulsioni: la paroxetina deve essere impie-gata con cautela in caso di pazienti epilettici, con im-mediata sospensione in caso di comparsa di convul-sioni. La co-somministrazione di paroxetina con carba-mazepina, fenitoina, acido valproico in pazienti epilet-tici non è stata associata a comparsa di convulsioni.Tali aspetti sono di forte interesse in ambito oncologi-co vista la frequente comparsa di epilessia tumorale.Sindrome da inappropriata secrezione di ADH: è op-portuno monitorare natremia ed uremia al basale edopo 2 settimane dall’inizio del trattamento con SSRIed eseguire ulteriori controlli qualora i pazienti mani-festino sintomi come debolezza, letargia, cefalea,anoressia, confusione, stipsi ed aumento di peso(it.wikipedia.org/wiki/Paroxetina).Tossicità della paroxetinaLa comprensione delle problematiche relative ai piùimportanti effetti collaterali della paroxetina non puòprescindere dalla valutazione del metabolismo epaticodel farmaco, ad opera delle isoforme del citocromo p-450. Tali enzimi dotati di un gruppo eme si localizzanonelle membrane delle cellule in diversi distretti (epati-co, renale, intestinale, polmonare, SNC) e sono depu-tati al metabolismo di sostanze endogene ed esoge-ne. La capacità da parte di un isoenzima CYP di me-tabolizzare diversi substrati rende conto della notevo-le quantità di interazioni documentate tra farmaci, chepossono essere tali da portare ad una inibizione deimetabolismi delle singole molecole coinvolte (aumen-to della concentrazione plasmatica e dell’effetto) ov-vero ad una induzione dei citocromi (perdita dell’effi-cacia farmacologica). Il metabolismo della paroxetinacoinvolge l’isoenzima CYP2D6, prevalente negli indi-vidui “rapidi metabolizzatori” e, probabilmente, ilCYP3A4, attivo nei “lenti metabolizzatori” (deficitari

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dell’isoforma CYP2D6). Il secondo enzima, a dosaggiplasmatici medi, è responsabile del 25% del metaboli-smo, mentre a dosaggi elevati la sua attività divienepreponderante, garantendo inoltre l’eliminazione delfarmaco tramite una cinetica di tipo lineare.La PR (20 mg/die) ha dimostrato in vivo un’interazio-ne, con aumenti considerevoli dei livelli plasmatici,con antidepressivi triciclici quali imipramina (aumentodel 34%), desipramina (aumento del 421%), amitripti-lina (aumento del 58%), nortriptilina (aumento del143%). Sono stati rilevati inoltre effetti collaterali a ca-rico del sistema nervoso centrale, secondari all’au-mento della concentrazione plasmatica della perfena-zina (aumento fino al 695%), somministrata in con-temporanea con la PR. L’assunzione del farmaco siassocia anche all’alterazione della farmacodinamicadel metoprololo (aumento del 693% forma R, aumen-to del 408% forma S, enantiomero attivo), β-bloccan-te cardioselettivo, col rischio di manifestazione di ef-fetti avversi quali bradicardia e perdita di cardioselet-tività. L’effetto della PR sulla farmacocinetica dellaclozapina è stato oggetto di studi con risultati contra-stanti: in alcuni le interazioni risultano essere lievi oassenti, in altri la concentrazione della clozapina, edel suo metabolita norclozapina, appaiono aumentatifino al 156%. È dunque raccomandabile una notevoleprudenza nel somministrare la paroxetina assieme adaltri farmaci metabolizzati da CYP2D6, specialmentese caratterizzati da un basso indice terapeutico. Vainoltre notato che la paroxetina, come la fluoxetina ela sertralina, viaggia nel torrente ematico legata a pro-teine plasmatiche: per tale motivo, la somministrazio-ne contemporanea di PR e di altri farmaci con tale ten-denza può causare l’aumento della concentrazioneematica della quota libera di uno o dell’altro farmaco,con possibili effetti collaterali.

Sindrome serotoninergicaL’interazione tra PR e altri farmaci agonisti della tra-smissione serotoninergica può in alcuni casi tradursiin un quadro tossico definito come “sindrome seroto-ninergica”; con tale nome si indica una condizione pa-tologica infrequente, tipicamente di natura iatrogena,caratterizzata da alcuni sintomi neurologici, cognitivi,comportamentali e a carico del sistema nervoso auto-nomo. In corso di sindrome serotoninergica è quindipossibile riscontrare sintomi e segni frequenti comebrividi, diarrea, mioclonie, iperriflessia, atassia, diafo-resi, febbre, confusione mentale; sono più rari sintomie segni gravi quali ipertermia (temperatura superiorea 40,5° C), crisi convulsive, coagulazione intravasco-lare disseminata, aritmie, insufficienza renale, arrestorespiratorio e rabdomiolisi. Il meccanismo patogeneti-co della sindrome serotoninergica riconosce una ec-cessiva stimolazione dei recettori 5-HT da parte dellaserotonina, presente in eccesso nei terminali sinapti-ci: tale eventualità si può presentare quando diversifattori, con differenti modalità (inibizione del reuptakedella serotonina: SSRI, TCA; ridotta degradazionepresinaptica: IMAO; attività agonista su recettori 5-HT:triptofano), concorrono a potenziare la trasmissioneserotoninergica. La sindrome serotoninergica può ma-nifestarsi dunque dopo assunzione di due o più so-stanze ad azione serotoninergica (IMAO + SSRI,

IMAO + TCA, litio, buspirone, L-triptofano), ma ancheda cocaina o MDMA (“ecstasy”). Farmaci con attivitàserotoninergica, tra cui alcuni frequentemente utilizza-ti in ambito oncologico: destrometorfano, tramadolo,venlafaxina, trazodone, nefazodone, paracetamolo,dossilamina, pseudoefedrina, linezolide, triptofano,ossitriptano, risperidone: in associazione a paroxetinaaumenta il rischio di sindrome serotoninergica. Contriptofano e paroxetina si possono manifestare agita-zione e nausea. La sintomatologia tende ad andare in-contro a remissione entro 24 ore previa sospensionedell’assunzione delle sostanze responsabili; in casotuttavia di sintomi persistenti o particolarmente gravi,è possibile utilizzare farmaci antiserotoninergici (ci-proeptadina: 4 mg per os in 4 ore, fino a 20 mg in 24ore) o β-bloccanti (propanololo: 1-3 mg in 5 minuti, fi-no a 0,1 mg/kg); la sintomatologia convulsiva può es-sere controllata con benzodiazepine (diazepam, clo-nazepam). Le manifestazioni più eclatanti di sindromeserotoninergica sono poco comuni e tipicamente se-condarie ad assunzione contemporanea di IMAO eSSRI; relativamente alla paroxetina, in letteratura èdescritto un unico caso, promosso dall’associazionePR-moclobemide, ad esito infausto.

Sindrome da sospensioneLe interazioni tra la paroxetina ed altri farmaci posso-no anche portare all’induzione del citocromo p-450,processo regolatorio lento, con un significato, dal pun-to di vista biologico, di una risposta adattativa volta adifendere le cellule da xenobiotici tossici aumentando-ne la capacità di detossificazione; nella maggior partedei casi, l’effetto dell’induzione è quello di generareuna notevole quantità di metaboliti meno attivi dellamolecola madre, con una diminuita risposta farmaco-logica.La diminuzione della concentrazione ematica dellaparoxetina secondaria ad induzione dei citocromi p-450 può essere una delle ipotesi patogenetiche dellacosiddetta “sindrome da sospensione”, quadro clinicoche si associa frequentemente anche alla sospensio-ne brusca di antidepressivi triciclici, IMAO e SSRI (re-lativamente a questi ultimi, i più frequentemente coin-volti sono quelli a emivita breve, come paroxetina, ci-talopram, fluvoxamina). Il quadro clinico della sindro-me da sospensione comprende vertigini, parestesie,ansia, disforia, irritabilità e sintomi simil-influenzali (ri-norrea, mialgie, malessere, nausea, vomito, diarrea,brividi). Nella maggior parte dei pazienti i sintomi diastinenza si risolvono in 2 settimane, ma in alcuni ca-si si sono protratti per un periodo maggiore (2-3 me-si). Il riconoscimento dei sintomi può essere difficolto-so per il clinico, che può confonderli per una ricadutadella sintomatologia originaria (particolarmente veroper i sintomi comportamentali), mentre le strategie perevitare e controllare la sindrome da sospensione com-prendono una riduzione lenta e graduale del farmaco,nei trial clinici sono stati impiegati schemi che preve-devano una riduzione della dose di farmaco di 10 mgalla settimana. Se durante questo periodo compaionosintomi difficilmente tollerati dal paziente, si consigliadi aumentare nuovamente la dose di farmaco, stabi-lizzare il paziente, quindi diminuire la dose con decre-menti inferiori ai precedenti. Nel caso i sintomi perma-

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nessero gravi tali da ostacolare l’interruzione della te-rapia, potrebbe essere di beneficio passare alla fluo-xetina, un eventuale incremento del dosaggio in pre-senza di sintomi acuti e la sostituzione del farmacocon uno ad emivita più lunga. È comunque possibileinstaurare una terapia sintomatica utilizzando, per al-cuni giorni o settimane, benzodiazepine.

Rischio tumoraleDa uno studio emergono evenienze a favore di unapossibile associazione tra assunzione per più di dueanni di antidepressivi triciclici e rischio doppio di svi-luppare cancro alla mammella. Tra gli SSRI, l’unicofarmaco che sembrerebbe associarsi ad un aumentosignificativo del rischio di cancro alla mammella, è laparoxetina (Cotterchio, Kreiger, Darlington, Stein-gart, 2000).

Effetti collaterali e tollerabilità della paroxetinaLa paroxetina condivide con gli altri SSRI maggioresicurezza e tollerabilità rispetto ad antidepressivi del-le generazioni precedenti; sono tuttavia ad essaascrivibili alcuni effetti collaterali a carico di diversi si-stemi ed apparati. Gli effetti collaterali a carico del-l’apparato gastrointestinale, indubbiamente molto fre-quenti, comprendono nausea, vomito, diarrea, ano-ressia, stitichezza, dispepsia e dolori addominali. Lapatogenesi dei disturbi a livello dell’apparato gastro-enterico sembra potersi riferire alla stimolazione deirecettori 5-HT3 a livello del tronco encefalico e lungola parete del tubo intestinale. In particolare, la nauseae il vomito potrebbero esser correlati alla stimolazio-ne dei recettori del centro del vomito, nel tronco en-cefalico; i dolori addominali e la diarrea sarebberospiegabili con la stimolazione dei recettori 5-HT3 del-la parete del tubo digerente, la cui attivazione si as-socia ad un aumento della motilità. Va notato tuttaviache la nausea, effetto collaterale più comune tra quel-li relativi all’apparato gastroenterico, è tipicamente dilieve entità e tende a manifestarsi all’inizio del tratta-mento, per poi ridursi. Gli effetti neurocomportamen-tali della paroxetina possono essere schematizzati intre grossi gruppi: effetti comportamentali, effetti sulsonno ed effetti sull’attività motoria. Per quanto ri-guarda gli effetti comportamentali, è possibile il ri-scontro, specie nelle prime settimane di trattamento,di ansia, agitazione e nervosismo; i meccanismi allabase di tali manifestazioni comprendono un agonismodiretto, operato dal farmaco, sui recettori 5-HT2A a li-vello del circuito limbico, del grigio periacqueduttale,della corteccia e dei nuclei della base, uno sbilancia-mento, conseguente a tale agonismo, del rapporto trai recettori 5-HT2A e 5-HT1A, con un risultante anta-gonismo sui secondi: l’assunzione di buspirone (15-50 mg/die), agonista parziale dei 5-HT1A, viene sfrut-tata per il controllo di tali effetti collaterali; l’assunzio-ne della paroxetina si associa inoltre spesso con in-sonnia, effetto collaterale piuttosto frequente, seppurdose-dipendente e tendente all’attenuazione col pro-sieguo della terapia. Gli effetti sull’attività motoria so-no riferibili ad una serie di manifestazioni extrapirami-dali, comprendenti acatisia (simile ma più lieve ri-spetto a quella da terapia da neurolettici), parkinsoni-smo e discinesia tardiva. In tal senso è importante no-

tare come pazienti con una storia di disturbi extrapi-ramidali o sottoposti contemporaneamente ad un trat-tamento con antidopaminergici risultino essere piùsuscettibili; gli effetti sulla performance psicomotoria,di minore entità rispetto a quelli causati da antide-pressivi triciclici, vanno da una completa assenza disintomi ad una leggera compromissione (40 mg/die).Gli effetti della paroxetina sull’apparato cardiovasco-lare, come per gli altri SSRI, non sono particolarmen-te significativi, specie se confrontati con quelli dei tri-ciclici: anche in caso di overdose, la sua tossicità ri-sulta essere molto bassa; in individui trattati con pa-roxetina, in assenza di malattie cardiovascolari, nonsono state peraltro rilevate alterazioni di pressionearteriosa, di tracciato elettrocardiografico (relativa-mente alla lunghezza degli intervalli PQ, QRS, QTc, oall’ampiezza del complesso QRS), o di frequenza car-diaca. Similmente, in cardiopatici la paroxetina, comegli altri SSRI, ha dimostrato essere causa di una mo-desta riduzione della frequenza cardiaca, senza al-cun effetto degno di nota relativamente a pressionearteriosa, o modificazioni elettrocardiografiche degliintervalli PR, QRS e QTc. Dal punto di vista dei para-metri ematochimici, gli effetti della paroxetina, e degliSSRI in generale, sono sostanzialmente relativi al-l’aggregazione piastrinica e all’equilibrio elettrolitico.Il farmaco infatti manifesta la sua attività in periferiacausando il depauperamento della serotonina all’in-terno delle piastrine, inibendone l’attivazione, neces-saria per l’aumento dell’attività aggregante. Il rischiodi sanguinamento durante il trattamento col farmacorisulta aumentato: a livello gastrointestinale la proba-bilità di sanguinamento risulterebbe essere maggioredi circa 2,6 volte rispetto a quella della popolazionegenerale; il rischio risulta aumentato ulteriormentedall’associazione di SSRI e FANS, fino anche a 15,6volte rispetto a quello della popolazione generale. Èimportante tuttavia considerare come l’attività antiag-gregante possa essere sfruttata con successo in pa-zienti a rischio aterotrombotico, specie se si valutaanche il buon profilo, relativo agli effetti collaterali sul-l’attività cardiaca, del farmaco, particolarmente adat-to al trattamento della depressione in pazienti angi-nosi o infartuati. Gli effetti della paroxetina sull’equili-brio idroelettrolitico si manifestano in rapporto al ri-schio di sviluppare iponatremia, evento tipicamentesecondario ad una sindrome da inappropriata secre-zione di ADH (SIADH): l’attività del farmaco sembrapotersi riferire ad un turbamento dell’omeostasi idricaa livello centrale, da stimolazione al rilascio di quanti-tà eccessiva di ADH operata dalla serotonina attra-verso l’azione sui recettori 5-HT2C. La SIADH risultaessere più frequente e più temibile nell’anziano, dovela sensibilità del rene all’ormone è aumentata, a fron-te di un’immodificata clearance e di una ridotta capa-cità di concentrazione delle urine; la sindrome si ri-scontra più frequentemente negli individui di sessofemminile ed è maggiormente frequente nelle primesettimane di trattamento. I livelli ematici di sodio ten-dono alla normalizzazione in quasi tutti i casi dopo lasospensione del farmaco. La paroxetina può avereimportanti effetti collaterali anche sul peso corporeo:è spesso rilevabile un certo aumento ponderale dopoalcuni mesi di trattamento: secondo la FDA, il 18%

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dei pazienti trattati con il farmaco guadagna più del7% del peso corporeo nell’arco di un anno. Il mecca-nismo alla base dell’aumento ponderale sembra po-tersi riferire alla diminuzione del turnover della dopa-mina attraverso effetti delle proiezioni serotoninergi-che su neuroni dopaminergici, con conseguente dimi-nuzione del metabolismo. L’aumento di peso indottoda paroxetina, tipicamente di entità maggiore rispettoa quello degli altri SSRI, è comunque minore rispettoa quello osservato con antidepressivi triciclici oIMAO. Infine, effetti collaterali di estrema importanzaclinica relativi alla paroxetina sono quelli legati allasfera sessuale: il gruppo delle disfunzioni sessualicomprende manifestazioni quali calo del desiderio, di-minuzione dell’erezione o della lubrificazione vagina-le, anorgasmia e ritardo dell’eiaculazione. La diagno-si di disturbi sessuali secondari a trattamento con an-tidepressivi è importante per due motivi: in primo luo-go le disfunzioni sessuali sono causa comune di non-compliance nel trattamento e, in secondo luogo, talieffetti collaterali peggiorano significativamente laqualità di vita del paziente, rendendo più difficile laguarigione dalla depressione. Esistono inoltre dellediscrepanze importanti a proposito della prevalenzadi tali patologie tra quella riportata dai pazienti e quel-la valutata dai medici (la prima risulta essere circa ildoppio della seconda): spesso la possibilità di valuta-re in maniera realistica tale problema si scontra conbarriere sociali o incapacità da parte del medico dicondurre un’adeguata intervista clinica a propositodella sessualità del paziente; spesso inoltre il pazien-te tende a non riferire spontaneamente problemi ine-renti alla sfera sessuale. Virtualmente tutti gli SSRIsono capaci di causare disturbi sessuali, anche semeno frequentemente rispetto agli IMAO o agli anti-depressivi triciclici. L’assunzione di paroxetina, tra gliSSRI probabilmente quello con maggiori effetti colla-terali sulla sfera sessuale, si associa tipicamente a ri-tardo dell’eiaculazione ed anorgasmia (più raramentea calo del desiderio sessuale) e tali effetti sono dose-correlati; le alterazioni sulla funzione sessuale media-te dalla paroxetina si possono far ricondurre alla sti-molazione indiretta, causata dall’aumentata disponi-bilità di serotonina, dei recettori postsinaptici 5-HT2 e5-HT3, e alla scarsa attività di inibizione della dopa-mina esercitata dal farmaco. Fattori di rischio per losviluppo di disfunzioni sessuali secondarie a tratta-mento con paroxetina ed altri SSRI, comprendono etàavanzata, alte dosi giornaliere di antidepressivo, pre-senza di comorbidità associate alla disfunzione ses-suale, o uso in contemporanea di altri farmaci, abitu-dine al fumo, l’essere coniugati, scolarità inferiore al-la laurea, impiego non full-time (Tarolla, D’Andrea,Cantelmi, 2003).

Paroxetina e teratogenicitàDa uno studio del 2009 (Kelly CM et al., 2010) emer-ge che l’assunzione contemporanea di paroxetina ri-duce l’efficacia del tamoxifene e si associa ad un rile-vante aumento della mortalità specifica per cancrodella mammella.Obiettivo di questo studio di coorte basato su popo-lazione era di verificare se alcuni inibitori della ricap-tazione della serotonina (SSRI) riducessero l’effica-

cia del tamoxifene inibendo la sua trasformazione,da parte del citocromo P450 2D6 (CYP2D6), a meta-bolita attivo, endoxifene. Gli Autori hanno esaminatole cartelle cliniche di quasi 25.000 donne al di sopradei 66 anni, colpite da cancro alla mammella, cheavevano iniziato il trattamento con tamoxifene tra il1993 e il 2005.Misure di esito erano il rischio di morte da cancromammario dopo la sospensione del trattamento contamoxifene, come una funzione della proporzione ditempo nella quale, durante il trattamento con tamoxi-fene, era stato co-prescritto ciascun SSRI.

Risultati

Delle 25.000 donne esaminate, 7.500 avevano ricevu-to anche un antidepressivo e 2.430 un unico SSRI du-rante la terapia con l’antiestrogeno. L’SSRI più pre-scritto era proprio la paroxetina (25,9%), seguita dallasertralina (22,3%), citalopram (19,2%), venlafaxina(15%), fluoxetina (10,4%) e fluvoxamina (7,2%). Delle2.430 donne trattate con tamoxifene e con un singoloSSRI, 374 (15.4%) sono morte di cancro mammariodurante il follow-up (follow-up medio 2.38 anni, SD2.59). Dopo aggiustamento per età, durata del tratta-mento con tamoxifene, ed altri potenziali confondenti,l’incremento assoluto del 25, del 50, e del 75% dellaproporzione di tempo in trattamento con tamoxifene,con l’uso associato di paroxetina (un inibitore irrever-sibile del CYP2D6) era associato con l’aumento del24, 54, e del 91% del rischio di morte da cancro mam-mario, rispettivamente (P <0.05 per ciascun parago-ne). Di contro, non è stato osservato lo stesso rischiocon altri antidepressivi.Gli Autori hanno stimato che l’assunzione di paroxetinaper il 41% della durata del trattamento con tamoxifeneporterebbe a un decesso aggiuntivo ogni 19,7 pazientitrattate entro 5 anni dall’interruzione dell’antiestrogeno,e il rischio sarebbe ancora maggiore con una sovrap-posizione più lunga. Gli esperti che hanno firmato l’edi-toriale di commento allo studio, sostengono che vi èuna chiara raccomandazione ad evitare in queste pa-zienti gli SSRI che inibiscono fortemente il CYP2D6,come paroxetina e fluoxetina, e preferire invece inibito-ri meno potenti quali citalopram o venlafaxina.

Limitazioni dello studio

Non si è potuta accertare l’indicazione per il tratta-mento antidepressivo; non si hanno informazioni sullostadio del cancro mammario, per cui non si può esclu-dere la possibilità che donne che hanno ricevuto pa-roxetina, insieme al tamoxifene, per tempi più lunghi,avessero un cancro in stadio più avanzato, anche seclinicamente non sembra plausibile. Circa il 7% delledonne mostra una mancata attività funzionale delCYP2D6 ed è, pertanto, incapace di metabolizzare iltamoxifene in endoxifene; queste donne possono ave-re meno vampate di calore associate e maggiore ade-renza alla terapia con tamoxifene ma una risposta piùscarsa al farmaco. Non si hanno informazioni sul ge-notipo delle partecipanti allo studio, per cui è possibi-

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le che siano state incluse nello studio pazienti con po-limorfismi perdita di funzione che hanno portato a mi-nimizzare le conseguenze cliniche della inibizione delCYP2D6 farmaco-indotta, e possono aver attenuato lacapacità dell’analisi di discriminare tra i vari tipi diSSRI.

Il risultato di un aumentato rischio di morte da tutte lecause in donne con co-prescrizione di paroxetina sipuò spiegare in almeno due modi. Primo, il cancromammario era la causa più comune di morte in que-ste pazienti ed un’associazione tra uso di paroxetina emortalità totale era pertanto attesa.

Secondo, alcune morti non specificamente ascritte alcancro mammario possono essere state il riflesso dieffetti remoti della malattia (quali embolia polmonare otamponamento cardiaco) o della malattia stessa, spe-cialmente quando non sono state registrate altre cau-se di morte. È importante che queste limitazioni sonostate applicate a tutti gli antidepressivi e non possonospiegare il rischio differente di mortalità osservato conil trattamento con paroxetina. Sebbene il grado concui i vari SSRI inibiscono il CYP2D6 differisca tra i va-ri studi, vi è consenso che sia la paroxetina sia i suoimetaboliti siano forti inibitori del CYP2D6.

Gli Autori non hanno trovato associazione tra uso difluoxetina e morte da cancro mammario tra donne cheusano il tamoxifene. I motivi di questo non sono chia-ri ma potrebbe riflettere il basso numero di donne trat-tate con fluoxetina in questo campione di studio, percui i risultati di questo studio non possono essere visticome una evidenza di sicurezza d’uso della fluoxetinacon il tamoxifene. In maniera simile, non si può esclu-dere la possibilità che dimensioni insufficienti di cam-pione possono spiegare i risultati di mortalità non si-gnificativa con altri SSRI.

In un ulteriore studio caso-controllo in cui sono stateindividuate come campione 28 pazienti con recidive dicancro alla mammella e 28 donne senza recidiva deltumore, non sono state osservate differenze significa-tive nell’esposizione alla fluoxetina, paroxetina o ser-tralina tra i due gruppi (Lehmann et al., 2004).In uno studio danese caso-controllo su 184 donne conrecidiva del tumore e 184 donne senza recidiva non èstata dimostrata nessuna riduzione dell’efficacia deltamoxifene nelle donne in terapia anche con citalo-pram – circa 10% delle pazienti in ogni gruppo – (Lashet al., 2008).Questo studio caso-controllo è stato poi ampliato percoinvolgere un maggior numero di contee danesi. Daun registro nazionale di prescrizioni sono state identifi-cate 366 pazienti con carcinoma mammario recidivantee 366 donne senza recidiva del tumore (Lash et al.,2010). Non è stato osservato un aumentato rischio direcidiva di tumore al seno tra le donne trattate con ta-moxifene e che assumevano contemporaneamente unantidepressivo (citalopram, escitalopram, fluoxetina,paroxetina o sertralina). Uno studio di coorte ha incluso1.306 donne, circa il 19% di queste assumeva un SSRI(soprattutto paroxetina). Dopo un follow-up di 5 anninessun collegamento è stato osservato tra l’utilizzo di

un antidepressivo dopo diagnosi di cancro alla mam-mella ed il rischio di recidiva (Chubak et al., 2008).

Tra gli inibitori dell’isoenzima CYP2D6, oltre agli anti-depressivi, vengono inclusi principalmente: un antista-minico antagonista del recettore H2 (cimetidina); far-maci cardiovascolari (amiodarone, dronedarone, chini-dina, idrochinidina, propafenone, ranolazina); un far-maco contro l’emicrania (rizatriptam); un’anfetaminautilizzata per smettere di fumare (bupropione/amfebu-tamone); un antistaminico antagonista del recettore H1(difenidramina); un antiepilettico (stiripentolo); un ipou-ricemizzante (febuxostat); un calcio-mimetico (cinacal-cet); antinfettivi (chinina, lumefantrina, telitromicina, ri-tonavir, terbinafina); un farmaco antiaggregante pia-strinico (ticlopidina); antieneoplastici (sorafenib, imati-nib); un antinfiammatorio non steroideo (celecoxib).Sono stati individuati 3 studi epidemiologici che hanno va-lutato le conseguenze cliniche delle combinazioni di di-versi inibitori dell’isoenzima CYP2D6 con il tamoxifene.In base ai dati disponibili, nelle donne trattate con ta-moxifene per cancro al seno sarebbe meglio evitarel’uso prolungato di farmaci inibitori dell’isoenzimaCYP2D6, in particolare gli antidepressivi SSRI comela paroxetina e la fluoxetina. Alcuni Autori riportanol’utilità di ricordare che la depressione non necessitasempre di una terapia farmacologica. Nei casi in cui èconsiderato necessario l’utilizzo di un antidepressivo,può essere consigliabile sostituire il tamoxifene conun altro farmaco (Fava, Russo, 2003).

FluoxetinaTra gli antidepressivi SSRI la fluoxetina è indicata perla cura della depressione, dei disturbi ossessivi-com-pulsivi e della bulimia nervosa.L’efficacia della fluoxetina in ambito oncologico è sta-ta valutata in uno studio di confronto con placebo dacui è emersa la superiorità di tale molecola nel miglio-rare i sintomi psicopatologici come ansia, ostilità, psi-coticismo, paranoia e una lieve e non significativa ef-ficacia nel ridurre i sintomi depressivi (Razavi, Allilai-re, Smith et al., 1996; Facchi, Grassi, 2002).

In uno studio più recente, condotto presso l’Universitàdi Tel Aviv e pubblicato su Cancer Letters (Argov, Ka-shi, Peer, Margalit, 2009), è emerso che la fluoxetinariuscirebbe a potenziare l’azione della doxorubicina(conosciuta anche con il nome di adriamicina), un an-tibiotico antineoplastico della famiglia delle antracicli-ne, dotato di un ampio spettro antitumorale. In parti-colare sembra che tale antidepressivo riesca ad au-mentare circa del mille per cento l’azione del chemio-terapico, impedendo all’antitumorale di abbandonarele cellule malate e, di conseguenza, riducendo il ri-schio di tossicità sui tessuti sani. Inoltre nei modellianimali di cancro, emerge che l’associazione di fluo-xetina e doxorubicina è riuscita a rallentare la pro-gressione tumorale. Secondo gli Autori della ricerca,la fluoxetina è considerabile come un “alleato” nellacura del cancro.

AgomelatinaL’agomelatina è una molecola con una struttura mole-colare molto simile a quella della melatonina che agi-

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sce come agonista dei recettori della melatonina stes-sa, in particolare sui recettori MT1 e MT2, e possiedeinoltre proprietà antagoniste sui recettori serotoniner-gici 5- HT2C. Agomelatina è metabolicamente più stabile rispetto al-la melatonina. La molecola si lega da agonista ai re-cettori MT1 e MT2 della melatonina che sono coinvol-ti nella regolazione fisiologica del ritmo circardiano. Silega inoltre da antagonista ai recettori 5-HT2C e 5-HT2B della serotonina. In studi sperimentali condottisul ratto, induce una maggiore secrezione di noradre-nalina e dopamina nella corteccia cerebrale frontale.Si ritiene che l’azione combinata sui recettori melato-ninergici e serotoninergici sia, con ogni probabilità, al-la base dell’effetto antidepressivo. In studi condotti suvolontari sani agomelatina ha dimostrato di non alte-rare la vigilanza diurna e la memoria.Agomelatina dopo somministrazione per via orale vie-ne rapidamente assorbita dal tratto gastrointestinale.La biodisponibilità è bassa (inferiore al 5% della doseorale) con ampia variabilità interindividuale e di gene-re, essendo più alta nelle donne. La concentrazioneplasmatica massima è raggiunta nell’arco di 2 ore. Illegame con le proteine plasmatiche è del 95%. All’in-terno dell’organismo agomelatina viene rapidamentemetabolizzata sostanzialmente ad opera del citocro-mo epatico CYP1A2. I metaboliti principali, derivantida processi di idrossilazione e demetilazione, sonoinattivi e sono rapidamente coniugati ed eliminati nel-l’urina. L’emivita media plasmatica è di circa 1-2 ore.L’escrezione avviene per via urinaria (nella misuradell’80% circa).L’agomelatina è generalmente ben tollerata e le rea-zioni avverse sono in genere lievi o moderate, si verifi-cano nelle prime settimane di trattamento, sono transi-torie e raramente portano all’interruzione della terapia,motivo per cui risulta essere una molecola di interessein ambito oncologico. Sono stati riferiti durante il tratta-mento con agomelatina, cefalea, capogiro e vertigine,sudorazione, affaticamento, sonnolenza, insonnia, pa-restesia, ansia, irritabilità, irrequietezza, aggressività,incubi. Gli effetti avversi di tipo gastrointestinale che ri-corrono con maggiore frequenza sono: nausea, diar-rea, stitichezza, dolore addominale. In alcuni soggettisi evidenzia un incremento dei livelli plasmatici deglienzimi epatici (AST ed ALT). Il rischio di innalzamentodelle transaminasi nei pazienti che assumono agome-latina è noto fin dall’autorizzazione del prodotto nelfebbraio 2009. Episodi di danno epatico, inclusi insuffi-cienza epatica, innalzamenti degli enzimi epatici di 10volte superiori al limite superiore della norma, epatite eittero sono stati riportati in pazienti trattati con agome-latina nell’esperienza post-marketing. La maggior par-te di queste anomalie si è verificata nel corso dei primimesi di trattamento. Il tipo di danno epatico è preva-lentemente di natura epatocellulare. Le transaminasisieriche sono solitamente tornate a livelli normali dopol’interruzione del trattamento con agomelatina.A causa degli effetti epatici riscontrati, l’agometalinarisulta essere un farmaco controindicato nei soggetticon compromissione epatica in atto (Http://it.wikipe-dia.org/wiki/Agomelatina).Tali riscontrati effetti, assieme alla controindicata as-sunzione di questa molecola in associazione ad inibi-

tori di CYP1A2, enzima che prevalentemente è inte-ressato al suo metabolismo, ne limitano l’utilizzo inambito oncologico, pur avendone valutata l’esigua pre-senza di effetti collaterali in considerazione della nuo-va modalità d’azione rispetto agli altri AD già esistenti.

NeuroletticiL’impiego di questo gruppo di farmaci in oncologia ri-sulta d’elezione nel trattamento dei disturbi del pensie-ro, alterazione delle percezioni e nell’agitazione psico-motoria presenti nei pazienti con delirium (Mazzocatoet al., 2000). La maggiore incisività su questo tipo disintomi, legata alla alta selettività d’azione sui recettoridopaminergici, e la rapidità di manifestazione degli ef-fetti farmacologici, ha fatto negli anni dell’aloperidolo ilNL tipico maggiormente utilizzato in questo ambito. Nel loro utilizzo, deve venire considerato, oltre all’ef-fetto terapeutico, mediato dal blocco dei recettori post -sinaptici D2 a livello delle vie dopaminergiche meso-limbica e mesocorticale, anche quelli collaterali, legatiall’effetto su altri sistemi recettoriali. In particolare, ef-fetti di tipo extrapiramidale, mediati dal blocco recetto-riale nigrostriatale, endocrini, legati al blocco tubero in-fundibolare; sedativi, legati all’azione sui recettori ista-minici H1 ed alfa1-adrenergici (di particolare interesseper NL a bassa potenza di tipo fenotiazinico). Tra gli effetti collaterali endocrini, l’iperprolattinemia,specie per le benzamidi sostituite, tra i NL tipici, maanche per il risperidone, tra i NL atipici, ne richiedonoparticolare attenzione nella patologia oncologica dellamammella. Un altro utilizzo specifico di questa categoria di far-maci in ambito oncologico, è rappresentato dal tratta-mento della nausea e dal vomito anticipatorio per il lo-ro effetto come adiuvanti antiemetici in corso di che-mioterapia. La letteratura più recente, riporta dati in-coraggianti in questo senso anche per l’uso di NL ati-pici, in particolare l’olanzapina (Pirl et al., 2000).Gli antipsicotici tipici (convenzionali o di prima gene-razione) e atipici (seconda generazione) si differen-ziano per i loro effetti sui vari sottotipi di recettori del-la dopamina e della serotonina. Gli antipsicotici tipicisono tradizionalmente noti per essere associati aduna maggiore incidenza di effetti collaterali extrapira-midali a causa dei loro effetti sui recettori della dopa-mina D2 striatali. Gli antipsicotici atipici (risperidone,olanzapina, quetiapina, ziprasidone e aripiprazolo) so-no stati associati con un aumento di peso e la sindro-me metabolica, ma significativamente meno rischio dieffetti avversi extrapiramidali.

OlanzapinaOlanzapina, è classificata come tienobenzodiazepina,ha un’alta affinità per i recettori della dopamina e del-la serotonina e si lega ai seguenti recettori esercitan-do un’azione antagonista/agonista inversa:dopamine D1: 31 dopamine D2: 11 dopamine D4: 27serotonin 5-HT2A: 4 serotonin 5-HT2C: 11 serotonin 5-HT3: 57 muscarinic M1: 26 adrenergic alpha1: 19 hi-stamine H1: 7.Come la maggior parte degli antipsicotici atipici, ri-spetto agli antipsicotici tradizionali ha una bassa affi-nità per i recettori dell’istamina, per il recettore mu-scarinico dell’acetilcolina e per i recettori alfa-adre-

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nergici. Il meccanismo di funzionamento di olanzapinaè sconosciuto, si ipotizza che l’attività antipsicotica diolanzapina sia mediata principalmente da un’attivitàantagonista nei confronti dei recettori della dopamina,in particolare il sottogruppo D2. Anche l’attività anta-gonista per i recettori della serotonina potrebbe gioca-re un ruolo nell’efficacia di olanzapina. Seppur basso,l’antagonismo per i recettori muscarinici, istaminici ealfa-adrenergici probabilmente spiega gli effetti colla-terali anticolinergici, l’aumento di peso, la sedazione el’ipotensione ortostatica. Olanzapina ha una cineticalineare. La sua emivita di eliminazione varia da 21 a54 ore. Livelli plasmatici costanti si raggiungono in cir-ca una settimana di trattamento.Olanzapina è metabolizzata dagli isoenzimi 1A2 e inmisura minore 2D6 del sistema del citocromo P450. Ilmetabolismo del farmaco può essere aumentato o ri-dotto da sostanze che inducono (ad es. il fumo di si-garetta) o inibiscono (ad es. ciprofloxacina e fluvoxa-mina) l’attività del CYP1A2.L’utilizzo di olanzapina in ambito oncologico, risulta uti-le in funzione della scarsa incidenza di effetti extrapira-midali e di ipotensione ortostatica. Inoltre vi sono alcu-ne “segnalazioni cliniche di pazienti in fase terminale dicancro e affetti da delirium nei quali, dopo la sospen-sione a causa degli effetti extrapiramidali dell’aloperi-dolo, il trattamento con olanzapina (10 mg la sera, as-sociati a 2,5 mg al bisogno) ha determinato la comple-ta scomparsa dei sintomi dopo tre giorni di trattamento”(Passik, Cooper, 1999) (Facchi, Grassi, 2002).

RisperidoneRisperidone è un antagonista selettivo monoaminergi-co dotato di elevata affinità per i recettori serotoniner-gici 5-HT2A e per quelli dopaminergici D2. Si lega inol-tre ai recettori alfa1-adrenergici e, con minore affinità,a quelli H1- istaminergici e alfa2-adrenergici.Pur essendo un potente antagonista D2, e quindi ingrado di migliorare i sintomi positivi presenti nel deli-rium, rispetto a antipsicotici tradizionali, determinauna minore depressione dell’attività motoria e induzio-ne della catalessi. Esistono dati di impiego del risperi-done nel trattamento del delirium e di disturbi psicoti-ci e/o comportamentali associati a demenza. La poso-logia giornaliera in oncologia, come riferito in lettera-tura, può essere limitata a basse dosi (1,5-2 mg/die)(Bellani, Morasso, Amadori, Orru, Grassi, Casali,Bruzzi, 2002; Grassi, Facchi, 2002; Torta, 2011).Il contemporaneo antagonismo centrale bilanciato traserotonina e dopamina riduce il rischio di effetti inde-siderati extrapiramidali. Il frequente incremento dell’iperprolattinemia conse-guente all’effetto di blocco dopaminergico a livello tu-bero infundibolare, ne limita fortemente il suo utilizzoin caso di neoplasia mammaria.Il farmaco somministrato per via orale viene assorbitopressoché completamente dal tratto gastroenterico.Le concentrazione plasmatiche massime sono rag-giunte nel giro di 1-2 ore. La biodisponibilità orale as-soluta si aggira intorno al 70%.Il legame della molecola con le proteine plasmatiche èpari al 90%. Risperidone si lega sia all’albumina chealla alfa1-glicoproteina acida. Il principale metabolita,9-idrossi-risperidone, ha un legame con le proteine

plasmatiche pari al 77%. Il farmaco viene metaboliz-zato dal CYP 2D6 in 9-idrossi-risperidone, farmacolo-gicamente attivo e con attività simile a quella del pro-genitore. CYP2D6 è soggetto a polimorfismo geneti-co. I metabolizzatori rapidi del CYP2D6 convertonovelocemente il risperidone a 9-idrossi-risperidone.I metabolizzatori lenti lo convertono molto più lenta-mente. Ciò nonostante la frazione antipsicotica attivaè simile. Risperidone non inibisce in modo sostanzia-le il metabolismo dei farmaci metabolizzati dagli iso-enzimi del citocromo P450.

QuetiapinaQuetiapina interagisce con un ampio spettro di recet-tori neurotrasmettitoriali. Tuttavia l’effetto antipsicoticosi pensa sia mediato tramite attività antagonista suirecettori di dopamina e serotonina. Specificamentesui recettori dopaminergici D1 e D2, sui recettori adre-nergici alpha-1 e alpha-2, e sui sottotipi di recettori se-rotoninergici 5-HT1Ae 5-HT2. Scansioni PET conse-cutive per valutare l’occupazione del recettore D2 del-la quetiapina hanno dimostrato che essa si dissociamolto rapidamente dal recettore D2. Verosimilmentela maggiore selettività ed attività antagonista sui re-cettori 5HT2 rispetto ai recettori D2 spiega le proprie-tà antipsicotiche cliniche e la ridotta tendenza del far-maco ad indurre effetti avversi di natura extrapirami-dale rispetto ad altri antipsicotici tipici. La quetiapinaha inoltre un effetto antagonista sul recettore H1 del-l’istamina che ne giustifica l’effetto sedativo del far-maco (Http://it.wikipedia.org/wiki/Quetiapina).L’uso della quetiapina in ambito oncologico risultapiuttosto limitato a causa di riportati effetti collateraliprevalentemente a livello cardiovascolare (ipotensio-ne ortostatica), ematico (leucopenia e neutropeniatransitoria) ed epatico (incremento delle transaminasi)(Facchi et al., 2002).

Analgesia oncologica

In ambito psiconcologico, molti sono gli studi in lette-ratura che si sono occupati della percezione del dolo-re e della sua possibilità di trattamento (Facchi et al.,2002), sia per gli aspetti della qualità di vita nel pa-ziente oncologico, sia per l’importanza che questo te-ma rappresenta anche in relazione alla possibilità diaderenza alle cure farmacologiche (dolore sostenutoda ansia anticipatoria in corso di chemioterapia).Il cosiddetto “dolore da cancro”, è un’entità clinica lar-gamente rappresentata nella popolazione oncologica:presente nella metà circa nelle varie fasi della malattia,fino al 74% in quelle terminali (Landis, 1998). Di tale ma-nifestazione clinica, che presenta caratteristiche multi-formi nel corso della malattia neoplastica in relazione asede, intensità e qualità, non è possibile individuareun’unica eziologia. Il dolore, infatti, può essere diretta-mente correlato alla massa neoplastica (75-80%) prima-ria o secondaria, può essere conseguenza delle terapieoncologiche (15-19%), o a nessuna delle due (3-5%)perché sostenuto da altri fenomeni connessi alla malat-tia (esiti cicatriziali, immobilità, spasmi muscolari).Si evidenzia una frequente comorbidità tra patologiaalgica e disturbi della sfera affettiva (Facchi et al.,

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2002), per i quali è stato ipotizzato come meccanismopatogenetico comune, una disregolazione dei sistemiserotoninergici e noradrenergici. Ciò spiega l’effetto antalgico riscontrato con l’uso de-gli antidepressivi che, non risulta correlato unicamen-te all’azione sul tono dell’umore, manifestandosi conposologia inferiore a quella adeguata per l’effetto anti-depressivo e con periodi di latenza decisamente mi-nori (Bellani, Morasso, Amadori, Orru, Grassi, Casali,Bruzzi, 2002; Grassi, Facchi, 2002; Torta, 2011).

Tra gli antidepressivi, anche in funzione delle già ac-cennate problematiche di interazioni farmacologiche, vi-ste le frequenti politerapie alle quali i pazienti oncologicisono sottoposti, risultano maggiormente utilizzati gli an-tidepressivi inibitori del reuptake della setotonina (SSRI)ed i serotoninergici e noradrenergici di nuova genera-zione. Questi, hanno dimostrato avere allo stesso regi-me posologico, sia un’azione antalgica, sia eutimica edansiolitica, seppur, queste ultime, più tardivamente.Le BDZ si sono dimostrate efficaci nel trattamento del-la sintomatologia algica acuta, in relazione all’azionesull’ansia situazionale correlata all’evento doloroso.Appare, invece, controversa l’utilità delle stesse suldolore cronico, seppur sono riportati in letteratura stu-di sull’efficacia di molecole ad elevata potenza neltrattamento di sindromi algiche di natura oncologica. L’ampio uso dei NL tipici come adiuvanti della terapiaalgica in oncologia, a causa dell’elevata incidenza dieffetti collaterali extrapiramidali ed autonomini, è sta-to sostituito, negli ultimi anni, dall’utilizzo dei più tolle-rati ed indiscussamente efficaci NL atipici (clozapina,risperidone, olanzapina, quetiapina). Di questi ultimi,oltre all’effetto timolettico e di stabilizzazione del-l’umore (documentato in particolare per l’olanzapina),è stata ipotizzata una diretta azione antalgica, media-ta dall’azione sui recettori della serotonina coinvoltinella modulazione centrale del dolore.L’uso degli antiepilettici in ambito oncologico comeadiuvanti del trattamento antalgico, è noto.Tra essi ricordiamo la carbamazepina. Utilizzata per ildolore neuropatico da cancro con un dosaggio che va-ria tra i 200 e i 900 mg/die; gli importanti effetti colla-terali che la caratterizzano (a livello neurologico, ga-strointestinale, cardiovascolare, endocrino, ematico),rendono necessario un costante monitoraggio dei li-velli plasmatici del farmaco e costanti controlli emato-logici. Il valproato, di cui si conosce anche l’azione ti-molettica (Torta et al., 2003) viene comunemente uti-lizzato per il dolore neuropatico da cancro. In relazio-ne a questa molecola, merita particolare attenzioneuno studio (Bourg, Lebrun, Chichmanian, Thomas,Frenay, 2001) che riporta la possibile azione negativadel valproato nel facilitare la tossicità di alcuni che-mioterapici, quali il cisplatino.A causa della loro dimostrata efficacia in senso antal-gico e della minore collateralità, gli antiepilettici di pri-ma generazione, sono stati ampiamente sostituiti dainuovi AED (gabapentin, lamotrigina, topiramato). Il trattamento con gabapentin, molecola GABA-agoni-sta, con bassa emivita plasmatica ed eliminazioneesclusivamente renale, e solitamente iniziato a dosibasse (100-300 mg/die) aumentando quindi a 600-1200 mg/die in dosi refratte, in funzione delle condi-

zioni del paziente e dei possibili effetti collaterali (son-nolenza, cefalea, ipotensione arteriosa, leucopenia).La lamotrigina, il cui meccanismo d’ azione è mediatodalla stabilizzazione di membrana, inibizione dellaneurotrasmissione e prolungamento della fase di inat-tivazione del canale degli ioni sodio, viene impiegatausualmente ad un dosaggio compreso tra i 25 mg/die(dose iniziale) e i 400 mg/die. Gli effetti collaterali prin-cipali sono dati da sonnolenza, cefalea, eruzione cu-tanea e alterazioni ematiche (leucopenia, trombocito-penia) (Facchi, Grassi, 2002; Torta et al., 2004).

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