Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2....

134
Dall’economia al diritto, dall’ecologia e l’ambiente alla società, alla tecnologia e l’innovazione: un’antologia di articoli dei docenti Bocconi su temi e problemi di attualità. Our View ’10 Bocconi. Empowering talent.

Transcript of Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2....

Page 1: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Dall’economia al diritto,dall’ecologia e l’ambiente

alla società, alla tecnologiae l’innovazione:

un’antologia di articoli dei docenti Bocconi

su temi e problemi di attualità.

OurView’10

Bocconi. Empowering talent.

Copertina Our View:copertina.qxd 14/01/2011 15.19 Pagina 1

Page 2: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Indice*

Economia Usa e Ue, sussidi tra le nuvole 3 di Stefano Riela L’apologo della ciliegia e dell’arancia 5 di Enzo Baglieri L’economia sommersa rallenta l’integrazione degli stranieri 7 di Carlo Devillanova Cinque mesi di campagna elettorale per una delle più grandi democrazie 9 di Antonella Mori La Cina che avanza 11 di Carlo Filippini Un paradiso fiscale dal futuro incerto e pericoloso 13 di Giorgio Brunetti E se Obama fosse figlio di Franklin D. Roosevelt? 15 di Giuseppe Berta

Management Un break di news 19 di Diego Rinallo Sanità. Tocca l’Europa l’onda della riforma Usa 21 di Giovanni Fattore ______________________________________ * Our View è una selezione di articoli precedentemente pubblicati su Bocconi Newsletter, e consultabili online su ViaSarfatti25, il quotidiano della Bocconi, all’indirizzo www.viasarfatti25.unibocconi.it.

Page 3: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Campioni di redditività 23 di Dino Ruta Contro i mantra manageriali 25 di Francesco Castellaneta L’identikit delle imprese che resistono 27 di Giovanni Valentini Se la finanza arriva ai minimi la terra si prende la rivincita 29 di Paolo Preti Le aziende investono ancora sulle risorse più promettenti 31 di Claudia Tamarowski Non solo low cost, ora i prezzi si polarizzano 33 di Sandro Castaldo Da grande farò il business innovation manager 35 di Silvia Zamboni Sponsorizzatissimi 37 di Paolo Guenzi Romanticismo e competitività stabiliscono dov’è fatta l’auto 39 di Carlo Alberto Carnevale Maffè Il tocco umano entra in campagna 41 di Stefania Saviolo L’uomo solo al comando si fa superare 43 di Beatrice Bauer e Massimo Magni Asset intangibili: non li tocchi, ma fanno la differenza 45 di Francesco Perrini Una settimana al mare dall’altra parte del mondo 47 di Magda Antonioli Inventando s’impara. Ad inventare 49 di Raffaele Conti, Alfonso Gambardella, Myriam Mariani

Page 4: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Usa-Ue-Cina: ognuno è globale a modo proprio 51 di Margherita Pagani Perché ti rivelo tutti i miei segreti in cucina 53 di Giada Di Stefano e Gianmario Verona Imprenditori per avere successo ascoltate Lau Tzu 55 di Thanos Papadimitriou e Brett Martin

Società e Cultura Il lavoro si fa liquido e noi ci lasciamo travolgere 59 di Vincenzo Perrone Le mamme che diventano opinione pubblica 61 di Paola Dubini Una lingua comune per la contemporaneità 63 di Stefano Baia Curioni Stagnante sarà lei, ma non la cultura 65 di Anna Merlo La politica come professione? In Italia è possibile 67 di Alex Turrini e Giovanni Valotti Diventano planetarie anche la malattia e la salute 69 di Eduardo Missoni Arte. Solita esagerazione 71 di Stefano Baia Curioni C’era una volta il fotogiornalismo 73 di Marina Nicoli Donne e lavoro, una cultura contro 75 di Paola Profeta L’economia dell’influenza 77 di Guido Alfani e Alessia Melegaro

Page 5: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Energia, Ambiente & Infrastrutture Prime donne d’accordo. Ma nessuno si muove 81 di Luigi De Paoli Infrastrutture. Impensabile una lista di priorità 83 di Lanfranco Senn Rinnovabili, occasione d’oro 85 di Clara Poletti a Arturo Lorenzoni Il petrolio in crisi impari dall’industria nucleare 87 di Emanuele Borgonovo

Tecnologia e Innovazione Quando l’utente non genera più 91 di Luigi Proserpio Collaborare anche quando il gioco si fa duro 93 di Emanuela Prandelli e Gianmario Verona Online falliscono i maniaci del controllo 95 di Silvia Vianello Fatto l’e-book, facciamo i libri 97 di Paola Dubini Web 2.0 e Y-Gen, le verità nascoste 99 di Leonardo Caporarello e Giacomo Sarchioni

Finanza Alle banche non possono bastare due aspirine 103 di Andrea Resti

Page 6: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Sovrani troppo espansionisti 105 di Carlo Filippini Sappiamo misurare davvero la ricchezza delle famiglie? 107 di Stefano Gatti Perché i giovani non credono più nell’onestà degli accountant 109 di Mara Cameran e Ariela Caglio L’altruismo del risparmio 111 di Brunella Bruno Fenomenologia dello scandalo 113 di Alessandro Zattoni Rimpianto calcolato, investitore salvato 115 di Alessandra Cillo Come assicurarsi un brindisi con un pinot noir della Borgogna 117 di Claudio Zara

Diritto La crisi ha interrotto un cammino convergente 121 di Maurizio del Conte Finalmente tutelato il Made in Italy: ma basterà? 123 di Giorgio Sacerdoti Le armi spuntate dell’Unione per indurre la disciplina di bilancio 125 di Claudio Dordi Posso uploadarti? 127 di Oreste Pollicino

Page 7: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

0BEconomia

Page 8: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma
Page 9: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Economia

3

Usa e Ue, sussidi tra le nuvole di Stefano Riela

Nel mercato aeronautico il braccio di ferro legale tra l’americana Boeing e l’europea Airbus ha messo in evidenza i forti legami tra sistema pubblico e le due aziende. Ma per Stefano Riela, docente Bocconi di European Economic Policy, potrebbe avvicinarsi un accordo valido per tutti.

Il mercato aeronautico, interessante sia per dimensione che per grado di concentrazione, è caratterizzato da un braccio di ferro transatlantico. Il Boeing 787 Dreamliner, appena collaudato, è la risposta americana all’Airbus A330 venduto in oltre 600 esemplari e in corso di aggiornamento per diventare un A350. Un virtuoso ampliamento, quello della famiglia Airbus, che comprende l’A380, l’aereo di linea più grande del mondo e concorrente del best seller Boeing 747, anch’esso in fase di aggiornamento. Uno scontro transatlantico che risale agli anni Ottanta e che segna l’affermazione di un duopolio dopo l’acquisizione di McDonnel Douglas da parte della Boeing; operazione approvata pienamente dalla statunitense Federal trade commission ma parzialmente dalla Commissione Europea. Bruxelles aveva richiesto al nuovo big americano, onde evitare un eccessivo rafforzamento di posizione dominante nel mercato europeo, maggiore trasparenza e riduzione degli aiuti pubblici, soprattutto per quelli ricevuti tramite le commesse militari. La richiesta della Commissione ha reso palese la nudità di entrambi i re. I legami tra sistema pubblico e le due aziende sono così solidi che Usa e Ue si sono impegnati, in un accordo bilaterale del 1992, a limitare i sussidi nel settore: l’Airbus non poteva beneficiare di aiuti per più di un terzo dei costi di produzione dei nuovi modelli, mentre gli aiuti indiretti alla Boeing non avrebbero dovuto superare il 4% delle entrate dell’azienda. Soglia superata da Airbus, secondo Boeing, per la realizzazione di alcuni componenti della famiglia A300, per effetto di sussidi forniti dai paesi Ue coinvolti pari a 4,7 miliardi di dollari. Parte così, il 6 ottobre 2004, l’azione legale americana presso il Wto contro l’Ue e Airbus, la quale, nel frattempo, cominciava il sorpasso su Boeing

Page 10: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Economia

4

ricevendo più ordini (256 in più dal 1998 al 2004) e consegnando più velivoli (59 in più nel solo biennio 2003-2004). In effetti, in Airbus il legame pubblico-privato è palese. Si tratta di un’azienda di diritto francese proprietà di Eads, una società controllata da un raggruppamento franco-tedesco (e in minima parte spagnolo) in cui convivono aziende e soggetti pubblici quali il governo francese e quello spagnolo. Nel settembre 2009, il Wto si esprime con una sentenza consegnata, in via riservata, all’Ue e agli Usa. Secondo indiscrezioni, l’organismo di risoluzione delle controversie avrebbe accolto il 30% delle istanze presentate dagli Usa contro gli aiuti pubblici ricevuti da Airbus. Alla fine del primo tempo, Boeing esce vincitrice. Una vittoria di principio per l’azienda americana che oggi è però in ritardo con i suoi progetti. Nel caso del Dreamliner, si tratta di un ritardo sulla tabella di marcia di oltre due anni che potrebbe costare penali per gli oltre 800 aeromobili ordinati. Ma la partita è ancora lunga. Il secondo tempo prevede una sentenza finale che terrà in considerazione le osservazioni che le parti coinvolte presenteranno. Vi saranno tempi supplementari se infine Airbus decidesse di fare appello. In realtà lo stesso campo di gioco sta ospitando un’altra partita con le stesse squadre. Sempre il 6 ottobre 2004, poche ore dopo l’azione americana presso il Wto, l’Ue ricambia denunciando sovvenzioni del governo americano a beneficio di Boeing, attraverso Nasa, Dipartimento della difesa, del commercio e altre agenzie governative, nonché tramite sovvenzioni all’esportazione (vietate dal Wto) e riduzioni ed esoneri fiscali e di finanziamenti di infrastrutture di sostegno per lo sviluppo e la produzione. I tempi della giustizia del Wto potrebbero favorire la negoziazione di nuovi contenuti per l’accordo bilaterale del 1992, aprendolo a una maggiore flessibilità. Il nuovo accordo potrebbe andare oltre il rapporto transatlantico e dettare le regole anche per altri paesi che stanno crescendo con le rispettive industrie domestiche. La canadese Bombardier e la brasiliana Embraer ritagliano crescenti spazi nel segmento degli aerei regionali dominato attualmente da Boeing e Airbus, mentre si affacciano con progetti ambiziosi Giappone, Russia e Cina; nuova concorrenza per un duopolio che continuerà a dominare la scena, economica e politica, nei prossimi anni. L’Autore Stefano Riela è docente di European Economic Policy alla Bocconi.

Da Bocconi Newsletter no. 84/2010

Page 11: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Economia

5

L’apologo della ciliegia e dell’arancia di Enzo Baglieri

Attenzione a non confondere i prodotti “locali” e “legati al territorio” con i prodotti “sostenibili”. Per Enzo Baglieri, direttore della Unit Produzione e tecnologia della SDA, è difficile avere sistemi sostenibili, finché il consumatore continua a chiedere ciliegie in inverno e arance in estate.

Il timore di patologie di origine animale, un maggiore discernimento nell’acquisto di alimentari e il consolidamento di visioni identitarie e localiste hanno fatto maturare negli ultimi anni una forte sensibilità della domanda verso forme di consumo ‘sostenibili’. Ne sono nate iniziative tese a privilegiare i prodotti locali o a ‘km zero’, come quelle avviate in Veneto sotto l’egida della Coldiretti, che hanno favorito la nascita di una rete locale a km zero e che inducono a pensare alla creazione di una apposita etichetta di ‘sostenibilità’. Nel 2008 queste iniziative hanno favorito l’approvazione della legge regionale 7/2008, che prevede la presenza di alimenti legati al territorio, nelle mense di asili nido, scuole, ospedali, residenze per anziani e nei menù della ristorazione. Non si devono però confondere prodotti ‘locali’ e ‘legati al territorio’ con ‘sostenibili’. Negli ultimi 50 anni i metodi di coltura e allevamento tradizionali sono stati trascurati a vantaggio di una forte meccanizzazione dei processi produttivi, dell’utilizzo di sostanze di sintesi a protezione delle colture, della selezione delle varietà per la robustezza della coltura, l’aspetto estetico e la ‘trasportabilità’. Le prassi sostenibili dei nostri avi (come la combinazione tra allevamento animale e colture praticate per facilitare la chiusura del ciclo dei rifiuti di entrambe le produzioni, e l’adozione di sostanze naturali a protezione della coltura) non si adeguano con la richiesta di produttività che è seguita allo sviluppo dei grandi sistemi distributivi organizzati. Questi attori hanno favorito una domanda sensibile alla varietà e alla de-stagionalizzazione del consumo. La soddisfazione della domanda si è tradotta però in una sostanziale globalizzazione della fornitura agro-alimentare e in una crescita del potere contrattuale della grande distribuzione. La citata recente sensibilità al consumo “sostenibile” si è implicitamente tradotta nel recupero di modelli produttivi diversi e del concetto di identità locale. Non esiste nessuna garanzia, tuttavia, che il prodotto locale sia per definizione sostenibile, poiché sono ormai rare le forme di produzione che non fanno ricorso a soluzioni meccanizzate e all’impiego di materiali ausiliari di sintesi. Anche il cosiddetto “biologico” non è sostenibile, se

Page 12: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Economia

6

non si associa a catene distributive molto corte e all’impiego di soluzioni logistiche più sostenibili. La nascita di forme distributive quali i farmer market, i farm shop o la consegna a domicilio continueranno a confondere quindi il concetto di territorialità e di protezione del patrimonio locale con quello di sostenibilità, finché non esisterà una formula oggettiva di certificazione della sostenibilità dei processi e delle tecnologie di coltura, allevamento, produzione e trasporto. In definitiva, quindi, l’accento non deve essere posto sulla questione dell’identità territoriale del prodotto agro-alimentare, poiché è indubbio che questo debba essere preservato e valorizzato. Più rilevante sarebbe invece progettare sistemi di regole e di controlli che alla filiera corta e al km zero associno gli stessi requisiti di sicurezza e di qualità intrinseca oggi garantiti dal controllo distribuito lungo le supply chain più complesse, anche se ovviamente a spese delle sensazioni percettive e della freschezza del prodotto. In ultima analisi, tuttavia, bisognerebbe riflettere sui modelli di consumo: finché il consumatore continuerà a voler comprare ciliegie in inverno e arance in estate sarà impossibile progettare sistemi di produzione, trasporto e distribuzione che siano anche implicitamente sostenibili. L’Autore Enzo Baglieri è assistant professor di Economia e gestione delle imprese alla Bocconi e direttore della Unit Produzione e tecnologia della SDA Bocconi. Ha conseguito il diploma ITP presso la Stern School of Business, NYU, NY (USA), ed è stato visiting professor presso la University of San Paolo (San Paolo, Brasile) nel 2002. Aree di interesse scientifico Gestione dei processi di innovazione tecnologica. Management del processo di sviluppo del nuovo prodotto. Project management. Gestione strategica della relazione con la fornitura.

Da Bocconi Newsletter no. 86/2010

Page 13: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Economia

7

L’economia sommersa rallenta l’integrazione degli stranieri di Carlo Devillanova

Il lavoro nero è un grave ostacolo all’integrazione degli immigrati. Secondo Carlo Devillanova, docente di Economia del lavoro alla Bocconi, perché si realizzino veri percorsi di integrazione bisogna contrastare l’economia sommersa e rilanciare con forza la cultura della legalità.

Poco si sa sulle differenze territoriali nei percorsi di integrazione degli immigrati in Italia. Recenti fatti di cronaca suggeriscono che anche in questo campo esistono importanti diversità fra Nord e Sud Italia. L’impressione pare trovare conferma in un recente studio curato da Cesareo e Blangiardo (Indici di integrazione, Franco Angeli, 2009), che evidenzia un indice d’integrazione mediamente inferiore nelle province del meridione d’Italia. Occorre riconoscere che la definizione di integrazione non è univoca e richiama numerosi diversi ambiti di riferimento, che includono la sfera sociale, culturale, politica ed economica. È però vero che queste dimensioni sono correlate. I fattori che stanno alla base delle specificità territoriali nei processi di integrazione possono essere innumerevoli. Si pensi, ad esempio, alla diversa composizione etnica degli immigrati nelle regioni italiane. Di assoluto rilievo sono anche le disparità nelle politiche sociali, in generale e relative all’integrazione dei rifugiati in particolare, delegate in modo preminente alle amministrazioni pubbliche locali ed espressione di scelte autonome degli enti, ma soprattutto della forte sperequazione delle basi imponibili locali. Altri esempi possono essere addotti. Tuttavia, sono convinto, probabilmente anche per deformazione professionale, che l’integrazione degli immigrati nelle sue varie accezioni sia fortemente facilitata dal loro corretto inserimento nel mercato del lavoro, in professioni che ne esaltino le competenze e facilitino percorsi di mobilità sociale. Vale notare, a questo proposito, che l’incidenza di fenomeni di sovra qualificazione è molto superiore fra gli immigrati rispetto agli italiani. Da questo punto di vista, le più recenti stime Istat confermano che la quota di unità di lavoro irregolari sul totale sfiora, a livello nazionale, il 12% e che il dato

Page 14: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Economia

8

aggregato cela differenze territoriali eccezionalmente rilevanti: la quota di lavoro irregolare del Mezzogiorno è più che doppia rispetto a quella del Nord. È evidente che la diffusione di lavoro nero facilita l’inserimento degli immigrati in occupazioni irregolari, poco qualificate e con bassi salari, condizionando molti aspetti del loro processo di integrazione: si pensi alle possibilità di accesso a soluzioni abitative decorose, a servizi sociosanitari minimi, alla vita culturale. Inoltre, l’irregolarità lavorativa rende improbabile l’uscita da situazioni di permanenza irregolare, mancando i requisiti necessari per partecipare agli eventuali provvedimenti di regolarizzazione. In tal senso, essa favorisce il perdurare di presenze irregolari, per le quali le prospettive di integrazione sono sostanzialmente nulle e che, al contrario, rischiano di generare gravi fenomeni di esclusione sociale. Tutto ciò può rivelarsi drammaticamente vero nelle aree del paese in cui l’economia sommersa è più diffusa. Concludendo, credo che il contrasto al lavoro nero possa agevolare i processi di integrazione degli immigrati e, contemporaneamente, contribuire a ridurre le differenze territoriali negli stessi. Da questo punto di vista bisogna riconoscere che l’assenza di canali realistici per l’ingresso regolare in Italia, l’enfasi posta sui controlli alle frontiere, il legame stretto fra contratto di lavoro e requisiti per la permanenza regolare, la recente introduzione del reato di clandestinità sono misure che rendono i lavoratori stranieri particolarmente ricattabili nel mercato del lavoro, con possibili gravi conseguenze su tutti gli altri ambiti di integrazione. Occorre rilanciare con forza la cultura della legalità, rafforzando i controlli sul posto di lavoro o predisponendo un sistema di sanzioni che incentivi la collaborazione virtuosa fra immigrato (e lavoratore italiano irregolare) e autorità. L’Autore Carlo Devillanova è professore associato di Economia politica alla Bocconi. In precedenza è stato docente di Macroeconomia al Master of Business Administration della SDA Bocconi, ricercatore di Scienza delle finanze presso l'Università di Trieste e professore associato presso l'Università Pompeu Fabra, Barcellona. Aree di interesse scientifico Economia pubblica. Migrazioni. Economia del lavoro.

Da Bocconi Newsletter no. 87/2010

Page 15: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Economia

9

Cinque mesi di campagna elettorale per una delle più grandi democrazie di Antonella Mori

In Brasile entra nel vivo la sfida elettorale per la presidenza tra Dilma Rousseff, candidata del partito del presidente uscente Lula, e José Serra, candidato del principale partito di opposizione. Antonella Mori, docente Bocconi di Economia politica, offre un’analisi di scenario.

Saranno cinque mesi di campagna elettorale intensa quelli che accompagneranno i 130 milioni di elettori brasiliani alle presidenziali del 3 ottobre 2010. La sfida elettorale si gioca tra Dilma Rousseff, candidata del Partito dei Lavoratori (Pt), il partito del presidente Lula, e José Serra, candidato del Psdb (Partito della social democrazia brasiliana), il principale partito di opposizione. Da molti mesi i sondaggi danno a Serra un ampio vantaggio sulla Rousseff e solo nelle ultime settimane il divario si è ridotto. A fine 2009 i sondaggi attribuivano a Serra un vantaggio tra i 14 e i 20 punti percentuali, un margine che verso la fine di marzo di quest’anno si era però ridotto a 5-10 punti. Nonostante il vantaggio nei sondaggi, l’opposizione è preparata a una difficile battaglia elettorale. Dilma Rousseff è la candidata del presidente Lula, che gode di una popolarità vicina all’80%. Il Brasile è stato tra gli ultimi paesi a subire gli effetti della crisi economica e finanziaria globale e tra i primi a riprendere la crescita: il governo prevede che il pil crescerà del 5% quest’anno, dopo essere cresciuto dell’1% nel 2009. Non sono solo i risultati economici recenti a sostenere la popolarità del presidente. Dall’inizio del proprio mandato, Lula ha messo la lotta alla povertà e all’esclusione sociale al centro delle politiche del governo: i programmi di assistenza ai poveri hanno avuto un impatto enorme sulla qualità della vita di 11 milioni di famiglie brasiliane. È logico aspettarsi che il presidente cerchi di trasferire questo capitale politico alla Rousseff: quello che non è ancora chiaro è come questo trasferimento si realizzerà. I principali candidati e i maggiori partiti hanno già fatto trasparire le linee principali delle loro strategie elettorali. Serra si sta presentando agli elettori come colui che può far meglio progredire il Brasile sul percorso di crescita avviato dalla precedente presidenza (“Brazil can do more” è lo slogan).

Page 16: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Economia

10

Nonostante sia il rappresentante del principale partito di opposizione, Serra si propone come la miglior scelta per la continuità, sostenendo che la propria esperienza come amministratore lo renda più adatto della Rousseff a guidare il paese. In effetti Serra è stato ministro e parlamentare e ha appena lasciato la carica di governatore dello Stato di San Paolo, che ha ricoperto con successo. Il presidente in carica e il suo partito, il Pt, mirano invece a convincere gli elettori che i risultati ottenuti dai governi Lula sono il risultato di una visione politica che solo Dilma Rousseff può portare avanti. Lula sta quindi cercando di distanziare le politiche del suo governo da quelle del suo predecessore, Cardoso, dello stesso partito di Serra, sottolineando le diverse linee che li hanno ispirati. Per rendere ancora più chiare queste differenze l’amministrazione Lula potrebbe puntare su un maggior impegno dello stato in vari settori, agendo sulla politica industriale, energetica e sociale. Negli ultimi mesi ve ne sono già stati segnali: le pressioni sulla società mineraria Vale, privatizzata nel 1997, affinché produca acciaio in Brasile e acquisti navi da cantieri brasiliani; la proposta di costituire un fondo sovrano, alimentato da redditi generati dallo sfruttamento dei giacimenti petroliferi appena scoperti, per finanziare politiche di protezione sociale, educative e ambientali. Non è stato un caso che il 29 marzo, poco prima che la Rousseff lasciasse l’incarico di capo gabinetto di Lula (come richiesto dalla legge elettorale), il governo Lula annunciasse la fase due del Programma di accelerazione della crescita (Pac2), che prevede investimenti infrastrutturali per 880 miliardi di dollari, di cui il 60% tra il 2011 e il 2014. Se eletta, Rousseff avrebbe il compito di realizzare il Pac2, dopo essere stata responsabile della prima fase avviata nel 2007. L’elezione del prossimo presidente brasiliano è particolarmente importante per l’Italia, non solo per i profondi legami che uniscono i due paesi (tenuti vivi dai circa 30 milioni di oriundi italiani che vivono in Brasile) ma anche perché il 1° gennaio 2011, in concomitanza con l’insediamento del nuovo presidente, avrà inizio l’anno dell’‘Italia in Brasile’, un’occasione unica per sfruttare le potenzialità di collaborazione economica e culturale tra i due paesi. L’Autrice Antonella Mori è ricercatrice di Economia politica alla Bocconi presso il Dipartimento di Analisi istituzionale e management pubblico e presso l'ISLA, Istituto di Studi latino americani e dei paesi in transizione. È docente nel master in Diplomacy dell’ISPI, Istituto per gli Studi di politica internazionale. Dal 1995 al 2001 è stata docente di macroeconomia dell'MBA della SDA Bocconi. Aree di interesse scientifico Economia internazionale. Sviluppo economico. America latina.

Da Bocconi Newsletter no. 89/2010

Page 17: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Economia

11

La Cina che avanza di Carlo Filippini

La Cina sta riguadagnando con impeto la posizione di potenza egemone occupata per secoli, in passato, in Asia. Per Carlo Filippini, docente Bocconi di Economia politica, nel mondo multipolare di oggi non è pensabile una Cina al centro con una periferia di stati tributari. Domani però...

Ottocento anni fa la Cina cercò di consolidare la sua influenza sul Giappone; chiese alla nazione vicina di pagare un tributo e di riconoscere l’autorità imperiale: a quei tempi era il modo di manifestare l’egemonia politica ed economica. Ma un tifone – vento divino, kamikaze – disperse la sua flotta. Trecento anni dopo il Giappone, appena riunificato, tentò a sua volta di conquistare la Cina; anche questo tentativo fallì per una ragione molto simile: il mancato controllo del mare. Le due grandi potenze dell’Asia orientale hanno sempre avuto rapporti profondi ma molto competitivi: la Cina è stata la sorgente della cultura, della filosofia, della religione (gli ideogrammi, le arti, il confucianesimo, il buddismo). Il Giappone però non le ha mai importate e copiate, ma le ha sempre adattate alle proprie esigenze e mentalità. Pensiamo agli ideogrammi ‘riscritti’ e diventati il proprio modo di scrittura; in altre nazioni tributarie della Cina essi furono lasciati invariati e usati dalle classi colte in parallelo alla lingua popolare. Dalla fine dell’Ottocento i ruoli si sono invertiti: il Giappone ha fuso tecniche occidentali e spirito giapponese diventando la seconda potenza economica al mondo; la rapida crescita ha quasi cancellato il senso di dipendenza culturale. Negli ultimi anni la Cina sta impetuosamente riguadagnando la posizione di potenza egemone occupata per secoli: allora in Asia, domani probabilmente nel mondo. Molti sono gli aspetti della crescente influenza cinese: lo studio e la rivalutazione di Confucio, di Mao, di un sistema di valori del socialismo con caratteristiche cinesi sottolineano la crescente fiducia nella propria identità culturale che si accompagna al progressivo allontanamento dalle ideologie importate dall’Occidente: quella politica (il marxismo-leninismo) e quella economica (il capitalismo o libero mercato). Il modello democratico occidentale (un po’ appannato a causa della crisi in atto) è sfidato da quello ‘sviluppista’ orientale, di derivazione confuciana, dove i confini tra stato e mercato, tra pubblico e privato sono sfumati e incerti: il potere deve promuovere il benessere dei sudditi, questi a loro volta devono prestare obbedienza all’autorità.

Page 18: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Economia

12

Concreta espressione di questi sentimenti è l’apertura di centinaia di Istituti Confucio in tutto il mondo con lo scopo di diffondere la lingua cinese e di promuovere la cooperazione culturale, educativa ed economica tra la Cina e le comunità estere; questi istituti sono generosamente finanziati dalle autorità cinesi. All’estremo opposto vi è il rafforzamento della marina militare e la creazione della ‘collana di perle’, una serie di installazioni di vario genere dalla Cina al Canale di Suez, che ha l’obiettivo di rendere più sicuri i rifornimenti di petrolio e altre materie prime, senza i quali la Cina vedrebbe soffocata la propria crescita; nel 2009 più di metà del petrolio consumato era importato. Paesi e addirittura continenti considerati fino a pochi anni fa ‘riserva di caccia’ delle potenze occidentali, l’Africa (ma anche l’America del Sud), vedono una presenza cinese sempre più rilevante e diffusa: i prodotti cinesi di livello tecnologico medio-basso sembrano più adatti ai bisogni dei consumatori africani; gli investimenti cinesi non sono accompagnati da vincoli relativi all’ambiente o alle condizioni di lavoro (come invece lo sono quelli delle organizzazioni internazionali o delle nazioni occidentali). Altri aspetti della crescente leadership cinese sono più noti e certamente più importanti: l’ammontare delle riserve valutarie, la dimensione del mercato, la capacità di esportare. In un prossimo futuro nella stanza dei bottoni al Fondo monetario internazionale potrebbe entrare un cinese. Naturalmente oggi il mondo è multipolare, vi sono parecchi giocatori strategici. Non è pensabile una Cina al centro con una periferia di stati tributari, almeno non per qualche anno, più avanti… L’Autore Carlo Filippini è professore ordinario di Economia politica alla Bocconi, dove è stato direttore dell’ISESAO, Istituto di studi Economico-sociali per l’Asia Orientale e del MEc, Master in Economics. È professor di Economia alla SDA Bocconi, di cui è stato membro del consiglio direttivo. Ha insegnato all’Università degli Studi di Trento. È membro dell’American Economic Association, della Royal Economic Society, della Società Italiana degli Economisti e del Christ’s College di Cambridge, UK. Aree di interesse scientifico Sviluppo economico. Progresso tecnico. Economia giapponese. Integrazione economica del Sud-Est Asiatico.

Da Bocconi Newsletter no. 93/2010

Page 19: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Economia

13

Un paradiso fiscale dal futuro incerto e pericoloso di Giorgio Brunetti

Guatemala: traffico di droga e guerriglia urbana hanno causato, nel solo 2009, quasi 10.000 morti. Secondo il docente emerito della Bocconi Giorgio Brunetti, il paese centroamericano sconta uno stato fragile, corrotto e incapace di assumersi le sue funzioni e le sue responsabilità.

In Guatemala, tormentata repubblica del Centro America, si è sorpresi dai molti school bus, di color giallo, squadrati e dal muso lungo, che transitano per le strade del paese. Il viaggiatore straniero è spinto a pensare che questo sia l’evidente espressione di una politica volta a investire nell’istruzione per combattere povertà e analfabetismo, piaghe del sottosviluppo. Niente di tutto questo! Sono automezzi usati, acquistati all’asta in Nord America, da intraprendenti personaggi locali che, dopo aver cambiato il motore e rimpiazzate le trasmissioni automatiche con quelle manuali, vengono destinati al servizio pubblico. Si danno in affitto a conducenti che saranno spinti a utilizzarli al massimo per riuscire a portare a casa un misero salario. Sono chiamati scherzosamente “chicken buses” perché a bordo è facile trovare galline assieme ad esseri umani, vista la natura agricola del paese. Dal Nord America, oltre agli school bus, provengono le automobili usate che intasano le strade. Strade perennemente in riparazione, specie nelle zone dell’Altopiano, per la caduta di frane. Da Puerto Barrios-Izabal, l’unico porto guatemalteco sul Mar Caraibico, sotto la regia di importatori locali e stranieri, ne scaricano quasi ogni giorno molte unità. Macchine sgangherate, rumorose, inquinanti che alimentano tanto la rivendita di ricambi quanto il lavoro di officine meccaniche, sparse nel territorio, volte alle riparazioni. Guatemala: due bimbi maya fotografati da un gringo. Ecco un’immagine che esprime bene la condizione del paese nei riguardi degli Stati Uniti. Non solo importazione di bus e macchine usate, ma ben altro. In primis, la forte presenza del capitale americano. Poi il narcotraffico, poiché le regioni orientali del paese sono un crocevia della droga proveniente dalla Colombia, visto che il suo consumo negli Stati Uniti continua a salire. Sono queste le zone del paese che alla vista del visitatore appaiono meno povere. Infine, l'emigrazione, fonte di rimesse, che incontra qualche difficoltà per i recenti provvedimenti di Obama contro i clandestini, volti in realtà a contenere la crescente presenza ispano-americana nel paese.

Page 20: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Economia

14

Numerose altre piaghe sociali attanagliano il paese. Tra queste il traffico di esseri umani, specie donne e bambini, tanto che secondo stime dell’Onu è un traffico che tenderà a superare il commercio illegale di droga e di armi. Quindi, la guerriglia urbana fomentata da bande e gang giovanili. Amaro residuo della guerra civile che ha creato uomini che sanno solo usare le armi. O dalla parte della legge o contro. Nel 2009 sono stati compiuti quasi 10 mila omicidi, quanti nemmeno la guerra civile, conclusa nel 1995, aveva prodotto. Come tutti i paesi del Centro America, il Guatemala ha problemi enormi, legati alla distribuzione della ricchezza. È storia antica visto che affaristi e multinazionali ne hanno sempre fatto terreno di conquista. Tra l’altro, è tuttora operante una legislazione tributaria che fa del Guatemala un paradiso fiscale. Con il turismo, che sta a fatica riprendendosi dalla gelata conseguente alla crisi mondiale, il caffè è la principale fonte di esportazione, oltre al petrolio. Al caffè guatemalteco ricorre anche la Illy che, pur perseguendo la ricerca della più alta qualità della materia prima, non trascura il rispetto delle individualità e specificità culturali del paese. Problemi economici e sociali enormi dei quali però non si vede ancora una via di soluzione. Perfino la Colombia e il Venezuela stanno segnando passi in avanti. Il Guatemala sconta uno stato fragile, corrotto, incapace di assumersi le sue funzioni e le sue responsabilità, a cominciare dalla sicurezza democratica e dall’educazione dei propri giovani. Un avvenire incerto e pericoloso! L’Autore Giorgio Brunetti è professore emerito di Strategia e politica aziendale in Bocconi, dove insegna dal 1992, dopo aver svolto buona parte della carriera accademica presso l’Università di Ca' Foscari di Venezia, presso la quale si era laureato nel 1960. Ha svolto attività di docenza, oltre che alla SDA Bocconi, presso enti e società di formazione quali il Cuoa, il Politecnico di Milano, la FIAT-Isvor, l’IFAP, l’IRI Management. È stato consulente aziendale in importanti società e in primari gruppi industriali e bancari, e consigliere di amministrazione in numerose società. Aree di interesse scientifico Economia delle piccole e medie imprese. Governance aziendale e controlli aziendali. Politiche di facilitazione per le piccole e medie imprese. Applicazione delle tecnologie di rete nei distretti.

Da Bocconi Newsletter no. 96/2010

Page 21: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Economia

15

E se Obama fosse figlio di Franklin D. Roosevelt? di Giuseppe Berta

Secondo Giuseppe Berta, direttore EntER Bocconi, l’amministrazione democratica americana attuale rivela atteggiamenti che ricordano l’epoca del New Deal. È il caso della task force guidata da Steven Rattner per salvare le imprese dell’auto di Detroit, General Motors e Chrysler.

Ci sono un lascito, una traccia, un imprinting nell’attuale amministrazione democratica americana che possano essere fatti risalire al New Deal? Il presidente Obama, tacciato così spesso di interventismo da parte dell’opposizione repubblicana al punto di essere accusato di socialismo, è per qualche verso un erede di Franklin D. Roosevelt? A prima vista, nessuna delle politiche messe in atto dalla nuova amministrazione sembra riecheggiare alcun tema newdealer. L’attitudine espansiva che caratterizza la Fed non ha relazione con la politica economica degli anni Trenta, né esiste un programma di intervento pubblico che richiami le ampie strategie rooseveltiane. E tuttavia, emergono tra le righe atteggiamenti e propensioni che rivelano un’assonanza con quelle temperie, se non altro per un approccio che si riallaccia alla grande tradizione democratica del secolo scorso. Quest’aspetto affiora dalla lettura del primo libro che descrive il funzionamento e il modus operandi dell’amministrazione Obama dall’interno, proprio attraverso l’analisi dell’intervento pubblico che è stato realizzato durante questa crisi. Il libro è quello firmato da Steven Rattner e si intitola Overhaul. An Insider’s Account ot the Obama Administration’s Emergency Rescue of the Auto Industry (Boston-New York, Houghton Mifflin Harcourt, 2010). Rattner, un ex giornalista passato a Wall Street, dove ha avuto successo come banchiere d’investimento, è colui che ha guidato la task force nominata da Obama all’inizio del proprio mandato per salvare le imprese dell’auto di Detroit, General Motors e Chrysler, minacciate nella loro sopravvivenza. Si è trovato così alla testa di un’agile struttura d’intervento temporanea, creata all’interno del Tesoro, che ha dovuto organizzare e gestire un salvataggio da 82 miliardi di dollari: il più grande nella storia americana del dopoguerra. È stato un compito molto difficile, portato a termine con efficacia da Rattner che per senso di

Page 22: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Economia

16

missione civile ha lasciato i ricchi incarichi di Wall Street per sobbarcarsi un mucchio di problemi, a fronte di un compenso risibile. Ciò che avvicina l’opera della task force sull’auto allo spirito del New Deal è, anzitutto, che si è trattato di una struttura speciale, che agiva in una condizione di autonomia rispetto all’amministrazione ordinataria ed era perciò dotata di una rapidità e di una flessibilità operative più elevate. Poi, in un certo senso, Rattner e la sua squadra si sono trovati di fatto a far rivivere una particolare dimensione del New Deal, quella del rapporto triangolare fra big state, big business e big labor, muovendosi fra i manager delle grandi case automobilistiche e l’ancor influente Union of Automobile Workers of America (un sindacato che aveva contribuito all’elezione di Obama nel Midwest). Certo, in più c’era che si dovevano contenere le spinte e le pressioni di concessionari d’auto imbufaliti e detentori delle azioni e delle obbligazioni di General Motors e Chrysler, timorosi di perdere tutto. Si è così configurato un processo di negoziato che non è affatto riconducibile a un sistema regolato dallo Stato o in cui le attività siano per principio sottomesse al controllo pubblico. Al contrario, ha prevalso una dinamica degli interessi fortemente pluralistica, dove gli attori chiamati a interagire fra di loro sono stati molteplici. Nel complesso, si è delineato un metodo fondato sulle interdipendenze, che non ha nulla a che vedere con una regolazione coercitiva. Un assetto che rimanda a una visione di pluralismo organizzato e dinamico, che recupera e assorbe (ma anche depura degli elementi dirigistici) la grande lezione democratica del Novecento. L’Autore Giuseppe Berta è professore associato di Storia contemporanea alla Bocconi, dove è direttore dell’EntER, Centro di ricerca Imprenditorialità e imprenditori. È stato tra i fondatori di ASSI, Associazione di storia e studi sull'impresa, di cui ha ricoperto la presidenza fra il 2001 e il 2003. È stato responsabile dell'Archivio Storico Fiat dal 1996 al 2002. Fa parte del comitato di direzione del Dizionario biografico degli imprenditori italiani, edito dall'Istituto della Enciclopedia Italiana. Aree di interesse scientifico Storia dell'industria. Storia delle élite economiche e delle rappresentanze degli interessi. Business and politics.

Da Bocconi Newsletter no. 98/2010

Page 23: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

Page 24: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma
Page 25: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

19

Un break di news di Diego Rinallo

Uno studio di Diego Rinallo, docente Bocconi di Economia e gestione delle imprese, dimostra che nelle riviste di moda chi acquista più pubblicità ottiene anche una maggiore visibilità. E porta a interrogarsi anche su temi come l’obiettività dell’informazione e l’autonomia dei giornalisti.

I media seguono con attenzione molte categorie di prodotti e servizi e la visibilità generata influenza notevolmente i processi d’acquisto dei consumatori, che riconoscono ai media una funzione informativa super partes. Se però si considera che gran parte degli introiti dei media è generata dalle inserzioni pubblicitarie, è spontaneo chiedersi se e come le decisioni di queste organizzazioni, quando coprono prodotti e servizi degli inserzionisti, siano libere dall’influenza di questi ultimi. Si tratta di una questione che va a toccare temi forti come la libertà della stampa, l’autonomia dei giornalisti e l’obiettività dell’informazione. In un recente studio con Suman Basuroy della University of Oklahoma abbiamo esplorato la questione in un campione di 291 imprese italiane di moda, di cui abbiamo raccolto i dati su investimento pubblicitario e visibilità editoriale all’interno delle riviste di 123 editori italiani, francesi, inglesi, tedeschi e statunitensi, oltre a numerose variabili di controllo. I risultati mostrano senza ombra di dubbio che gli inserzionisti pubblicitari ricevono un trattamento preferenziale e ottengono una visibilità mediatica grossomodo proporzionale all’investimento. Il fenomeno è più accentuato nelle riviste specializzate di moda. Apparentemente i media generalisti, avendo una base di inserzionisti più ampia, risultano un po’ più liberi nelle proprie scelte editoriali. Esistono però differenze significative tra i diversi brand nella propria capacità di ottenere visibilità per un dato livello di investimento. Le imprese di dimensioni minori sono quelle che fanno più fatica, anche quando investono tanto in pubblicità. Per contro, le imprese più innovative riescono, a parità di condizioni, a ottenere una media coverage maggiore. Inoltre, vi sono fenomeni di opinion leadership tra i giornalisti. I brand molto coperti dai colleghi di altre riviste ricevono più visibilità, indipendentemente dall’investimento pubblicitario sulla singola testata.

Page 26: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

20

L’effetto della pubblicità sulla visibilità mediatica non conosce barriere geografiche ed è presente sia per investimenti in Italia che all’estero. Nondimeno, esistono differenze significative: una pagina di pubblicità genera più visibilità in alcune nazioni estere e meno in altre. Così, le riviste americane sono apparentemente ‘italianofile’, mentre quelle francesi coprono un po’ meno i brand nostrani. Le implicazioni dello studio sono diverse. In primo luogo, nelle economie capitalistiche la pubblicità è una delle forze istituzionali in grado di plasmare il contenuto dei media. Non necessariamente però ciò danneggia il consumatore: se i big spender, come spesso accade, hanno prodotti di buona qualità, il benessere del consumatore potrebbe addirittura aumentare. Solo quando sono i prodotti scadenti a godere di elevati livelli di pubblicità ‘compensativa’ i consumatori vengono penalizzati. Lo studio suggerisce inoltre che l’impatto della pubblicità sulle vendite è probabilmente sottostimato. Nella misura in cui la copertura mediatica influenza le vendite, la pubblicità ha un effetto diretto sul fatturato delle imprese e uno indiretto tramite l’influenza sui media. Passando alle implicazioni manageriali, le imprese hanno molte strategie a disposizione per massimizzare il volume di visibilità mediatica ottenibile a partire da un dato livello di investimento pubblicitario. In primo luogo, i media seguono con particolare attenzione i prodotti innovativi, che sono più notiziabili. Sono soprattutto le imprese più piccole quelle che potrebbero beneficiare dalla costante ricerca di novità dei media. In secondo luogo, le imprese dovrebbero considerare che esistono differenze tra i media in termini di risposta all’influenza degli inserzionisti. Le imprese che concentrano il budget su media specializzati, e in certe nazioni, otterranno una maggiore copertura. Inoltre, alcuni media fungono da opinion leader e le imprese possono ottenere visibilità gratuita sfruttando le gerarchie di prestigio tra le diverse testate anche laddove non pubblicizzano i propri prodotti. L’Autore Diego Rinallo è assistant professor di Economia e gestione delle imprese alla Bocconi, dove è anche analista presso il CERMES, Centro di ricerca su Marketing e servizi, e membro della faculty del MiMeC, Master universitario in Marketing e comunicazione. Aree di interesse scientifico Comunicazione e branding. Eventi di Marketing. Manifestazioni fieristiche. Moda. Consumer Culture Theory.

Da Bocconi Newsletter no. 81/2010

Page 27: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

21

Sanità. Tocca l’Europa l’onda della riforma Usa di Giovanni Fattore

La riforma sanitaria di Obama, se passerà, avrà degli effetti anche nel resto del mondo. Giovanni Fattore, docente del Dipartimento di Analisi istituzionale e management pubblico della Bocconi, esamina le possibili conseguenze sull’industria farmaceutica e sui sistemi sanitari mondiali.

La proposta di riforma sanitaria del presidente Obama affronta le due maggiori criticità del sistema sanitario americano: il controllo della spesa e l’assenza di copertura assicurativa per circa il 15% della popolazione. Entrambe le questioni sono complesse e risolverle contemporaneamente sarebbe un evento straordinario nella storia della protezione sociale americana. D’altra parte il buon senso suggerisce che più di 40 milioni di persone non assicurate e una spesa al 15% del pil sono indicativi di grandi sprechi, oltre che di ingiustizia sociale. Innanzitutto, il sistema risulta inefficace e inefficiente perché all’elevata spesa sanitaria degli Stati Uniti non corrisponde un guadagno di salute della popolazione; la maggiore spesa del sistema Usa rispetto al resto del mondo è più che altro attribuibile a elevati costi amministrativi e assicurativi, fattori produttivi costosi (lavoro, tecnologie e farmaci) e alla malpractice (costi per l’assicurazione dei medici contro i danni professionali e servizi sanitari ordinati solo per tutelare il medico in caso di contenzioso). È anche uno spreco la gestione dell’assistenza sanitaria delle persone non assicurate, spesso prestata tramite i costosissimi pronto soccorso o reti di assistenza totalmente scoordinate. Se il buon senso suggerisce la necessità della riforma, un’attenta analisi degli interessi in gioco rende perplessi e non troppo ottimisti. Il 15% del pil destinato alla sanità significa che un settimo del reddito del paese è concentrato in questo settore, con evidenti straordinari interessi in gioco. La maggioranza di medici, assicuratori, ospedali, aziende farmaceutiche e altri fornitori della sanità stanno facendo di tutto, apertamente o meno, per bloccare la riforma o ridurne la portata. E occorre sempre ricordare che la popolazione non assicurata è una netta minoranza, con scarsa o nulla voce politica. D’altra parte, la minaccia di una perdita di qualità del sistema per coloro già assicurati rischia di bloccare qualsivoglia pulsione solidaristica, comunque tradizionalmente debole in gran parte degli Stati Uniti.

Page 28: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

22

Le analisi della riforma americana tendono a considerare solo tematiche domestiche, trascurando eventuali effetti a livello internazionale. Invece, ci sono almeno due grandi potenziali ricadute dell’eventuale successo della proposta di Obama. Primo, se si riuscisse veramente ad intervenire per garantire una copertura universale (o quasi) della popolazione, l’effetto simbolico su molti paesi sarebbe molto forte. Verrebbe meno l’esistenza stessa di modelli non universalistici tra i paesi più sviluppati e questo servirebbe da riferimento anche per i paesi emergenti. L’effetto in Europa sarebbe un rafforzamento generale dei sistemi sanitari a finanziamento pubblico e universalisti, con probabili effetti sui paesi dell’Est Europa. Il secondo effetto internazionale riguarderebbe i mercati dei settori industriali collegati alla sanità, in particolare l’industria farmaceutica. Si ritiene che gli elevati prezzi sul mercato americano siano un importante sostegno alla ricerca e sviluppo. Se Obama riuscisse nel suo intento di ridurre la spesa, presumibilmente anche tramite un controllo più stringente dei prezzi, che effetto si avrebbe sulla ricerca nel settore bio-medicale? Le imprese potrebbero cambiare radicalmente strategia industriale? Eventualmente con contraccolpi sui prezzi nei mercati europei? È difficile fare previsioni sugli effetti “globali” dell’eventuale approvazione della riforma Obama. Quello che appare certo è che cambiamenti strutturali nel sistema sanitario americano avrebbero contraccolpi importanti nel resto del mondo. L’Autore Giovanni Fattore è professore associato presso il Dipartimento di Analisi istituzionale e management pubblico della Bocconi. È stato direttore del MIHMEP, Master in International Healthcare Management Economics & Policy dal 2002 al 2008. È membro della faculty del PhD in Business Administration and Management e professor dell’Area Public Management e Policy della SDA Bocconi. È membro del consiglio direttivo del CERGAS, Centro di ricerche sulla Gestione dell’assistenza sanitaria e sociale, e del Centro “Carlo F. Dondena” per la ricerca sulle Dinamiche sociali della Bocconi. È Membro del board editoriale di Pharmacoeconomics Italian Research Articles e Politiche Sanitarie ed è attualmente Presidente dell’Associazione Italiana di Economia Sanitaria. Aree di interesse scientifico Management sanitario. Politica sanitaria. Analisi comparata dei sistemi sanitari. Politica del farmaco. Analisi costi-efficacia e costi-benefici. Metodi di ricerca in management. Performance management nelle istituzioni pubbliche. Mentalità e strumentazioni di governo.

Da Bocconi Newsletter no. 83/2010

Page 29: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

23

Campioni di redditività di Dino Ruta

I grandi eventi sportivi portano benefici non solo economici, ma anche urbani, sociali e politici. Per la prima volta, spiega Dino Ruta, direttore International Master in Management, Law and Humanities of Sport della SDA Bocconi, un ente gestirà l’eredità delle olimpiadi di Vancouver.

A fine 2009, nonostante la crisi, i 1000 delegati della Convention sul business sportivo di Londra hanno dichiarato un incremento generalizzato delle entrate e una crescita del 94% dei ricavi da sponsor. Lo sport arriva sempre più facilmente a casa di tutti e ogni evento sportivo massimizza il ritorno economico con lo sfruttamento della sua visibilità e dei suoi protagonisti. Lo sport è utilizzato come piattaforma di comunicazione nazionale e internazionale: il Liverpool promuoverà la Spagna come “Official destination partner” in virtù dell’allenatore e dei diversi giocatori spagnoli che militano nel club inglese. Ogni evento oggi punta a farsi conoscere nel maggior numero di paesi, vendere immagini e notizie. A parità d’investimento nell’organizzazione ogni ulteriore ricavo è un’opportunità in più per crescere. La Uefa ha firmato un accordo da 32 milioni di euro per la trasmissione della Champions league in Croazia, pur non essendo questo uno dei principali paesi protagonisti tra i club. Il Giro d’Italia si internazionalizza con atleti e città conosciute da tutti nel mondo per sensibilizzare l’acquisto dei media. Il valore degli eventi sportivi è cresciuto con l’esplosione dei diritti televisivi e con la popolarità di alcuni sport un tempo solo a carattere locale. La globalizzazione degli eventi sportivi, fenomeno caro a Olimpiadi e Campionati del mondo di calcio, si diffonde anche per altri eventi e per altri sport. Lo studio sul potenziale impatto economico del gran premio di F1 a Roma, parla di circa 1 miliardo di euro per l’aumento della produzione e di un incremento di circa 10.000 unità di lavoro, creando un indotto non solo temporaneo. Roma ha di recente ospitato i Mondiali di nuoto, ospiterà il World tour di beach volley e ha avuto un beneficio di circa 45 milioni di euro per aver ospitato la finale di Champions league nel maggio scorso. Le entrate sono il risultato non solo di un flusso economico positivo nei giorni dell’evento, ma considerano anche tutti gli investimenti legati all’organizzazione dell’evento.

Page 30: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

24

Organizzazione che spesso impone la costruzione di strutture e infrastrutture, nonché la rivitalizzazione di città e comunità. L’investimento programmato per Chicago, se avesse vinto i Giochi olimpici del 2016, sarebbe stato di 3,3 miliardi di dollari, con un totale di entrate pari a 3,8 miliardi. Milano nel 2009 è stata capitale europea dello sport ospitando atleti da 120 nazioni, una sessantina di eventi sportivi, dai mondiali di canoa al torneo di frisbee freestyle. Ogni evento sportivo, se ben gestito, sembra essere una gallina dalle uova d’oro che produce soldi ed entusiasmo. Gli eventi non hanno solo un ritorno economico, anzi, in realtà occorre considerare soprattutto gli altri benefici: urbani, sociali e politici. In particolare, si caratterizzano per la diffusione di valori sportivi e per la capacità di generare competenze negli organizzatori. Valori sportivi che si respirano nel Tour de France, che nel 2009, oltre al giro d’affari di 150 milioni di euro, è stato seguito fisicamente da 15 milioni di persone. Dopo le Olimpiadi è l’evento live più amato dagli appassionati di sport. Competenze che si costruiscono come a Torino, che dopo le Olimpiadi 2006 ha fortemente voluto altri eventi, grazie anche alla capacità organizzativa consolidata e alle infrastrutture a disposizione. Pensare che anche l’Expo 2015 di Milano nasce come esercizio italiano post olimpico in un contesto diverso. In sintesi, non è giusto parlare solo di impatto economico, ma occorre considerare le eredità che l’evento sportivo lascia al territorio, spesso più sul lato intangibile. A Vancouver per le prossime Olimpiadi invernali è stata fondata “2010 Legacy now”, prima organizzazione di questo tipo che lavorerà con 4.000 partner che ruotano attorno all’evento, per sviluppare un’eredità sostenibile in tema di sport, intrattenimento, arte, accessibilità e volontariato. Opportunità per manager culturali attenti alle esigenze dei tanti stakeholder, senza dimenticare che alla fine si tratta di valori sportivi e l’importante è sempre partecipare. L’Autore Dino Ruta è SDA Bocconi professor di Organizzazione e personale e direttore scientifico dell'International Master in Management, Law and Humanities of Sport (FIFA Master). È inoltre assistant professor di Organization and Human Resource Management alla Bocconi, e direttore del MasterOP, Master in Organizzazione & personale. Aree di interesse scientifico HR Strategico. Management dello sport.

Da Bocconi Newsletter no. 83/2010

Page 31: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

25

Contro i mantra manageriali di Francesco Castellaneta

Per conoscere i rischi derivanti dal ‘management by mantra’, osserva Francesco Castellaneta, docente presso il Dipartimento di Management Bocconi, basta leggere i giornali dell’ultimo anno e mezzo. Alla riscoperta delle lezioni di un classico del management come Peter Drucker.

Avanti con il prossimo mantra manageriale: con la loro invocazione ripetuta e cantilenante di concetti, sono come alcuni capi di alta moda. Da un anno all’altro devi buttarli perché non vanno più. I mantra entrano di gran lena nelle aziende, si impongono alla maggioranza e poi cadono in disuso o, nei casi peggiori, in disgrazia; in attesa che se ne facciano avanti di nuovi, con la nuova stagione. Il ‘management by mantra’ fa sì, per esempio, che ci si accanisca a demonizzare le stock option e gli incentivi retributivi, piuttosto che provare a capire se, perché e quando sono stati disegnati e utilizzati male. La confusione che la rincorsa ai mantra provoca in chi è sul ponte di comando delle aziende ha spinto recentemente molti a rileggere i grandi classici i cui contributi, sebbene apparsi nel millennio scorso, sono ancora di grande utilità. Tra questi c’è sicuramente Peter Drucker. Egli è il più acerrimo oppositore della dittatura dei mantra manageriali e uno dei più accaniti sostenitori delle invarianti del buon management. Egli ritiene che la funzione obiettivo di un’impresa non sia né quella dello shareholder, né la creazione di valore per gli azionisti, né il perseguimento di alcun altro obiettivo singolo. “La ricerca di un obiettivo unico rappresenta essenzialmente la ricerca di una formula magica che elimini la necessità del giudizio” e “il tentativo di sostituire il giudizio con una formula è sempre un atto irrazionale”. La bussola da seguire per portare a sintesi i molteplici obiettivi è il “bene dell’impresa”, identificato con la sua sopravvivenza e prosperità nel lungo periodo. Il bene dell’impresa va ricercato domandandosi “che cose è giusto per l’impresa” e non ciò che è giusto per gli azionisti, i dipendenti, il mercato di borsa: se una decisione non è giusta per l’impresa, essa non è giusta neppure per i suoi stakeholder. Drucker, più di venti anni fa, aveva denunciato un rapporto superiore a 40:1 tra le retribuzioni del vertice e della base. Tali differenze retributive spingevano i top manager ad assumere decisioni basate su “ottimizzazioni parziali”: soluzione dei

Page 32: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

26

problemi limitatamente a un piccola parte e nel breve periodo, a scapito di tutte le altre funzioni e della sopravvivenza e prosperità nel tempo. Alla morte di Drucker (2005) il rapporto tra le retribuzioni del vertice e della base era salito a più di 400:1. Egli riteneva che tali retribuzioni si fossero ormai distaccate dal reale valore prodotto, dalla misurazione dei risultati e dalla verifica nel lungo periodo, ritorcendosi proprio contro gli azionisti. Il contributo di Drucker più conosciuto, il management by objectives, è fondato proprio sull’idea di agganciare le retribuzioni alla performance. Drucker, da sostenitore della retribuzione di risultato, si trasformò in seguito in detrattore delle distorsioni retributive. Tale posizione non era ideologica e preconcetta, ma basata sull’osservazione dei rischi derivanti dal divorzio tra gli obiettivi immediati e quelli lontani. “Previsioni fatte cinque, dieci o quindici anni avanti sono sempre delle semplici ipotesi. Esiste però una differenza tra quella che potrebbe essere definita una «ipotesi istruita» e un presentimento, fra un’ipotesi, cioè, basata su una valutazione razionale di tutte le possibilità esistenti e un’ipotesi che altro non è se non un azzardo”. Certi bonus (per esempio annuali e slegati dalla performance di lungo termine) hanno spinto alcuni managers a giocare d’azzardo sul futuro con i soldi degli azionisti. I rischi derivanti dal management by mantra si possono comprendere rileggendo i giornali dell’ultimo anno e mezzo. Per comprendere, invece, come costruire le decisioni di oggi per i risultati di domani sarebbe invece utile rileggere i libri di Drucker, per esempio The practice of management (1954) o The effective executive (1966). Buona lettura… o rilettura! L’Autore Francesco Castellaneta è assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Management e tecnologia della Bocconi.

Da Bocconi Newsletter no. 85/2010

Page 33: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

27

L’identikit delle imprese che resistono di Giovanni Valentini

Qual è l’identikit delle imprese che hanno resistito meglio alla crisi? Chi ha investito costantemente nel tempo in ricerca e sviluppo, e chi ha saputo governare la crescita. Giovanni Valentini, docente presso il Dipartimento di Management e tecnologia Bocconi, commenta i risultati di un recente studio.

Alcuni discutono sulle sue cause, altri si domandano se sia già finita o no. Tutti, però, concordano sul fatto che gli ultimi mesi, o forse è meglio dire gli ultimi anni, sono stati caratterizzati da una marcata crisi economica. In tale difficile contesto generale, è tuttavia indubbio che alcune aziende sono riuscite meglio di altre a far fronte alle difficoltà e a ottenere risultati economici soddisfacenti, almeno in termini relativi. Cosa caratterizza queste aziende? Quali fattori possono contribuire a spiegarne il successo e la capacità di adattamento? Per capirlo, Laura Sobrero e io abbiamo analizzato un campione di circa di 500 aziende europee di dimensioni medio-grandi. La redditività di chiusura del 2008 di queste aziende, così come catturata dal ritorno degli investimenti, è stata messa in relazione alle scelte strategiche compiute dalle aziende stesse nei quattro anni precedenti. Al di là di alcune ovvie differenze settoriali, l’analisi statistica effettuata indica che due fattori principali sembrano essere stati alla base della capacità delle imprese di affrontare la crisi. Tali fattori confermano il senso comune, ma con alcune importanti specificità. Anzitutto, lo studio ha evidenziato l’importanza di investimenti sostenuti e costanti nel tempo in ricerca e sviluppo. Investire in maniera occasionale, anche se si tratta di cifre ingenti, non è sufficiente. Anzi, può risultare addirittura controproducente. Le aziende che nei quattro anni precedenti l’inizio della crisi avevano non solo investito in r&s, ma lo avevano fatto anche con continuità e costanza (ovvero con minor varianza) hanno potuto ottenere i migliori risultati economici. Questo perché investire in innovazione non significa solo puntare a conseguire un nuovo prodotto o servizio che, per un periodo ormai sempre più limitato, sia in grado di influenzare direttamente il posizionamento competitivo di un’azienda, ma significa anche, indirettamente, puntare al miglioramento delle competenze interne dell’azienda e alle proprie capacità di adattamento agli

Page 34: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

28

shock esterni. Per fare questo, tuttavia, è necessaria una politica, nonché una cultura, di investimenti in r&s non estemporanei. Il secondo fattore che distingue le aziende che hanno ottenuto una maggior redditività concerne il loro percorso di crescita. Si potrebbe essere portati a pensare che le aziende che meglio hanno sostenuto l’avvento della crisi siano state quelle che erano cresciute più delle altre prima della crisi stessa, quelle che cioè potevano potenzialmente contare su una maggiore disponibilità di liquidità e risorse economico-finanziarie rispetto alle altre imprese. Lo studio mostra come in realtà esista un livello ‘ottimale’ di crescita delle vendite, oltre il quale prevalgono effetti negativi. La redditività delle aziende è infatti legata in maniera curvilineare alla crescita del fatturato degli anni precedenti, con una tasso maggiore di redditività per le aziende che sono state caratterizzate da un livello intermedio di crescita. Crescere e non limitarsi ad una strategia di mera sopravvivenza è fondamentale, ma la crescita non deve essere l’obiettivo da massimizzare. Paradossalmente, il rischio è proprio quello di minare le basi della crescita futura e sostenibile. Se questi fattori contribuiscono a spiegare la performance delle aziende nell’ultimo periodo di crisi, è altresì vero che le indicazioni scaturite dallo studio possono comunque costituire un utile elemento di riflessione per delineare le strategie future per uscire dalla crisi. E per prepararsi al prossimo momento di difficoltà. L’Autore Giovanni Valentini è assistant professor di Strategia presso il Dipartimento di Management e tecnologia della Bocconi. Aree di interesse scientifico Strategia competitiva. Strategie per l'innovazione.

Da Bocconi Newsletter no. 85/2010

Page 35: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

29

Se la finanza arriva ai minimi la terra si prende la rivincita di Paolo Preti

Nella crisi del terziario si torna al primario; con la finanza ai minimi storici riacquista valore la terra. Paolo Preti, docente dell’Area Organizzazione e personale della SDA, racconta l’incontro con un pastore sardo che, partito da 25 pecore, ha ora un’impresa da qualche milione di euro.

Era lo scorso settembre e, in vacanza in Sardegna, avevo trovato sul mensile Dove l’indirizzo di un punto vendita di prodotti alimentari locali, secondo Slow Food tra i migliori dell’isola. Il riferimento risultava un po’ strano, bivio per Portobello di Gallura, senza numero né via, ma stimolato dalla disponibilità del commerciante mi misi in macchina con mia moglie per percorrere la quarantina di chilometri che mi separava da quello che pensavo essere un normale negozio. Mano a mano che mi avvicinavo telefonavo allo stesso numero per avvisare di un ulteriore piccolo ritardo o per avere ragguagli più precisi sulla strada: ogni volta rispondeva una voce diversa, ma tutte si dimostravano al corrente del nostro arrivo. Nell’ultima qualcuno, comprensibilmente un poco spazientito, mi dice che mi trovavo ormai a un chilometro di distanza e che mi avrebbe atteso fuori dall’edificio. Le giornate stavano ormai iniziando ad accorciarsi ed era già buio: nello spazio di una decina di chilometri sembrava non esserci anima viva. Dietro una curva della strada, un faretto illuminava un edificio di due piani, rientrato di un centinaio di metri rispetto alla carreggiata, in mezzo al nulla e con una corpulenta figura in piedi all’esterno. Su un pezzo di legno e scritta a mano, l’insegna “Antichi sapori di Sardegna”. Erano ormai le 21.30. Mario Usai è uno di quegli imprenditori, probabilmente lui non si definirebbe così, che mi piace incontrare: per la verità sono la stragrande maggioranza. Non ero finito in un negozio, ma in una casa di sua proprietà dove al piano terra operava uno dei tre punti vendita dell’azienda. In un quarto d’ora mi ha raccontato la sua storia che qui riassumo ancora più brevemente. 60 anni, una moglie ragioniera, undici figli (ecco chi si alternava al telefono), dai 32 ai 12 anni, tre laureati, tutti impegnati a dare una mano all’attività paterna. Orfano giovanissimo di entrambi i genitori, ma con un nonno morto a 107 anni, va servo-pastore a Viti, in Barbagia, a 14 anni, e torna in Gallura anni dopo con venticinque pecore. Oggi ha 200 ettari di pascolo in proprietà e altrettanti in affitto, 2.000 pecore in mungitura per 300.000 litri di latte e 600 quintali di formaggio,

Page 36: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

30

250 mucche, 50 capre, 30 cavalli, centinaia di maiali. L’intera attività, che comprende anche la macellazione, impiega 15 persone e fattura qualche milione. Oltre a tantissime ore lavorate ogni giorno da sempre, due sono le linee di azione a cui si è sempre attenuto: una l’ha imparata (“ricordati che devi comprare o l’oro o la terra”), l’altra la insegna, in particolare ai figli (“il valore è costituito dai clienti e dalla qualità del prodotto”). Nella crisi del terziario si torna al primario, con la finanza ai minimi storici quanto a prestigio riacquista valore la terra: non solo nel senso economico, ma soprattutto in quello tradizionale. Un ministro brillante, associazioni di categoria attive, molte aziende gestite da giovani imprenditori figli d’arte o di prima vocazione, nuove modalità distributive come i ‘mercati del contadino’ che permettono l’incontro tra produttore e consumatore finale e notevoli risparmi, una rinnovata attenzione alla qualità e al servizio anche attraverso la tracciabilità del prodotto, grande interesse per gli orti di casa, Obama docet: sono tutte caratteristiche che in un generale ritorno all’essenzialità stanno aiutando lo sviluppo del settore. L’Autore Paolo Preti è professor di Organizzazione e personale alla SDA Bocconi e professore associato di Organizzazione aziendale presso l’Università della Valle d’Aosta. Aree di interesse scientifico Organizzazione delle piccole e medie imprese. Gestione del personale nelle piccole e medie imprese. Imprenditorialità. Accordi interaziendali. Crescita e sviluppo nelle piccole e medie imprese. Successione generazionale. Rapporto famiglia-impresa.

Da Bocconi Newsletter no. 86/2010

Page 37: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

31

Le aziende investono ancora sulle risorse più promettenti di Claudia Tamarowski

Le imprese mostrano interesse crescente per la formazione manageriale, e investono sempre di più nei corporate master, programmi internazionali di lungo termine destinati alle risorse con le maggiori potenzialità. Lo spiega Claudia Tamarowski, docente Bocconi di Finanza aziendale.

La richiesta di una formazione su misura a trecentosessanta gradi da parte delle imprese è sempre più diffusa ed è rivolta a soddisfare diversi tipi di esigenze: la necessità di affinare e omogeneizzare le competenze delle risorse aziendali, quella di approfondire temi specialistici e innovativi e, infine, la necessità di valorizzare i talenti. L’obiettivo comune, attraverso la personalizzazione dei contenuti, è quello di dotare i manager degli strumenti necessari a gestire e affrontare situazioni problematiche, interpretando i dati e le informazioni a disposizione al fine di supportare decisioni di business tempestive. Uno degli elementi che contraddistingue le iniziative su misura è la valutazione iniziale condotta con le varie funzioni aziendali e un continuo fine-tuning con i partecipanti, finalizzato alla facilitazione dei processi di apprendimento e all’interiorizzazione dei modelli proposti. Solitamente il primo livello di una formazione su misura è rappresentato dai corsi non specialistici, che hanno l’obiettivo di creare una cultura organizzativa orientata alla gestione economica. Si tratta di percorsi brevi il cui vantaggio è quello di avvicinare manager con diverso background e provenienza alle discipline che sottendono tutti i processi decisionali d’impresa. Al secondo livello, si inseriscono percorsi di formazione rivolti sia alle varie famiglie professionali sia ai top manager. L’obiettivo dichiarato dalle aziende che decidono di attivare anche questo secondo livello di formazione è quello di stimolare uno sviluppo delle competenze nel lungo termine, in cui la formazione rappresenta indubbiamente una delle attività principali che partecipano alla crescita del profilo manageriale.

Page 38: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

32

Tale sviluppo si è poi concretizzato, nell’ultimo periodo, con il crescente interesse mostrato dalle imprese verso i corporate master, le cosiddette Academy, ossia programmi internazionali di lungo termine con obiettivi molto ambiziosi. Si tratta di percorsi di sviluppo delle competenze rivolti ai talenti delle aziende, della durata di circa due anni, divisi in moduli trimestrali, che affrontano e approfondiscono tematiche interfunzionali anche con l’ausilio di progetti sul campo tutorati. I corporate master, veri strumenti di attraction e retention, rappresentano indubbiamente un segnale positivo e dimostrano come, a dispetto del particolare periodo congiunturale, le aziende vogliano, comunque, investire sulle risorse più promettenti. In particolare, sono le imprese multinazionali a seguire il percorso descritto, proponendo inizialmente programmi basic per arrivare a sviluppare iniziative internazionali, basate sui core value aziendali. Ne è l’esempio Chiesi Farmaceutici SpA, in cui la responsabilizzazione economica dei manager e l’esigenza di coprire i loro gap di competenze è stato l’obiettivo principale che ha portato ad intraprendere percorsi di formazione personalizzati. In questo senso, il modello di sviluppo seguito si è caratterizzato per una forte focalizzazione di settore, in cui lo sforzo della SDA Bocconi è stato quello di adattare temi e contenuti alle specificità dell’industry. L’esperienza maturata da Chiesi mostra come credere nel valore di una formazione continua, diffusa e opportunamente calibrata sul settore e sui fabbisogni delle persone, coerentemente al loro percorso di sviluppo, sia vincente per l’azienda e stimolante per gli stessi destinatari. L’Autore Claudia Tamarowski è ricercatore di Finanza aziendale e analisi finanziaria alla Bocconi e professor di Amministrazione, controllo, finanza aziendale e immobiliare alla SDA Bocconi. Aree di interesse scientifico Corporate Finance. Project Financing. Asset Allocation. Shareholders Value. Comunicazione finanziaria.

Da Bocconi Newsletter no. 88/2010

Page 39: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

33

Non solo low cost, ora i prezzi si polarizzano di Sandro Castaldo

Prodotti di largo consumo: si sviluppano le aree dei primi prezzi (low cost) e premium price, mentre si riduce l’area di prezzo medio. Per Sandro Castaldo, docente Bocconi di Economia e gestione delle imprese, si tratta di una buona notizia sia per i consumatori sia per le aziende.

La logica del low cost caratterizza ormai la maggior parte dei comparti della nostra economia. Una delle ragioni sta nel successo di molte iniziative che hanno colto l’esigenza di un numero sempre maggiore di clienti i quali hanno iniziato a privilegiare prodotti e servizi no frills (senza fronzoli). Si acquista il viaggio aereo: tutti gli altri servizi, in logica di unbundling (spacchettamento), sono proposti in modo separato (es. le bevande). Nel marketing il fenomeno è stato studiato in termini di politica di pricing soprattutto a livello retail, contrapponendo l’approccio every day low price (edlp) a quello high-low (hi-lo). Il primo caratterizza l’offerta di imprese come Wal-Mart che ha fatto della politica di ‘prezzi bassi tutti i giorni’ il tema centrale del proprio posizionamento. In questo modo si riesce normalmente a stringere una forte relazione fiduciaria con il cliente nel lungo periodo, accrescendo il livello di performance dell’impresa. La politica high low invece è quella fondata su un ricorso alla promozione di prezzo che offre uno sconto, ma solo su alcuni prodotti e per un periodo di tempo limitato. Tale politica è la più diffusa nel nostro retail ed è quella che determina benefici soprattutto nel breve termine. Essa però si fonda su un presupposto debole, quello di attrarre il cliente con i prodotti civetta (pochi, spesso di marca assai nota, commercializzati non raramente sottocosto) cercando poi di estendere in store la spesa del cliente anche su prodotti commercializzati a prezzo pieno. Tale politica di pricing può risultare pericolosa per i distributori e le imprese industriali se gestita in modo non oculato, in quanto premia l’opportunismo del cliente e il segmento dei cosiddetti cherry picker, che approfittano in qualche modo del valore creato dai clienti fedeli. Questi ultimi non ricevono dall’impresa un premio proporzionale al valore che generano, i cherry picker opportunisti massimizzano invece il loro vantaggio, acquistando solo i prodotti in offerta. Insomma, l’approccio hi-lo rischia di premiare gli infedeli e

Page 40: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

34

demotivare i fedeli. Nel lungo periodo tale tecnica riduce i livelli di customer loyalty e i livelli di performance delle imprese. Nel 2009 la Nielsen ha evidenziato come più del 25% dei prodotti della grande distribuzione sono stati venduti con promozioni, con punte del 30% per l’ipermercato. A differenza della politica hi-lo, l’approccio edlp offre al cliente un ritorno di valore proporzionale ai suoi acquisti, garantendo convenienza sempre e su tutti i prodotti, creando un rapporto di fiducia stabile e solido. Ecco il motivo che spinge molte imprese a intraprendere la politica del low cost. Un secondo elemento evidenziato dagli studi di marketing con riferimento all’economia del low cost è un apparente paradosso. Esaminando i dati dell’andamento dei mercati sembra che la trasformazione dell’intera economia in low cost sia una chimera che non rispecchia i trend delle vendite. In realtà, i più attenti parlano a tal riguardo di polarizzazione dei mercati, ossia di sviluppo di tutta l’area dei primi prezzi (low cost), ma di una contemporanea crescita dell’area premium price, con una conseguente riduzione dell’area di prezzo medio. Classificando tutti i prodotti di largo consumo venduti dalla distribuzione moderna per fasce di prezzo, indicando con 100 il prezzo medio di ciascuna categoria, si può constatare come negli ultimi tempi si sia accresciuta notevolmente la market share dei prodotti con prezzo inferiore a 70, che nel 2009 rappresentano il 12,6% del volume complessivo, mentre i prodotti che si collocano nella fascia di prezzo superiore a 130 rappresentano quasi il 30% del venduto. Finalmente si può parlare di reale differenziazione di prodotto, dal no frills, al full frills a tutto beneficio del cliente. Quindi una buona notizia per i consumatori che finalmente possono scegliere. Una buona notizia anche per le imprese, che possono percorrere la traiettoria dell’innovazione, con la certezza che i clienti saranno in grado di riconoscere il vero valore degli elementi di differenziazione offerti. L’Autore Sandro Castaldo è professore ordinario di Economia e gestione delle imprese alla Bocconi. Dal 2004 al 2009 è stato direttore dell'Area Marketing della SDA Bocconi dove insegna in numerosi corsi, fra cui l'MBA full time e l'EMMS, Executive Master in Marketing & Sales. Aree di interesse scientifico Fiducia nelle relazioni di mercato. Relazioni industria-distribuzione e politiche di canale. Analisi del consumatore e dei processi di acquisto. Processi innovativi e sviluppo dei nuovi prodotti. Intermediazione virtuale, fiducia e privacy.

Da Bocconi Newsletter no. 89/2010

Page 41: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

35

Da grande farò il business innovation manager di Silvia Zamboni

Il manager dell’innovazione è un profilo aziendale consolidato nei paesi anglosassoni e ora emergente nel contesto italiano ed europeo. Silvia Zamboni, docente della Unit Produzione e tecnologia della SDA Bocconi, spiega che cosa significa gestire il cambiamento in ampio senso.

In un contesto di mercato complesso e competitivo, una sfida significativa per le organizzazioni è quella di dare nuove risposte rapide e incisive ai cambiamenti ambientali, sapendo anche gestire una rete di relazioni che supera i confini aziendali, grazie alla creazione, organizzazione e gestione di legami virtuali tra l’azienda, i suoi dipendenti, i collaboratori esterni, i fornitori e i clienti. L’innovazione non si identifica solo come sviluppo di un nuovo prodotto o di un nuovo servizio, ma abbraccia tutti i processi aziendali e può realizzarsi come innovazione di business, di processo o organizzativa favorendo la crescita aziendale rispettivamente attraverso nuovi mercati e/o l’espansione di quelli esistenti, l’introduzione di nuovi o migliorati prodotti e servizi e l’implementazione di nuovi modi di lavorare. Pertanto nelle grandi aziende è sorta l’esigenza di avere un ruolo dedicato alla promozione e alla gestione dell’innovazione, dando luogo alla creazione di un profilo organizzativo ad hoc, quello del chief innovation officer (cio), ribattezzato business innovation manager (bim) nel contesto italiano per dare maggiore enfasi all’innovazione sul modello di business. Il manager dell’innovazione è un profilo aziendale consolidato nei paesi anglosassoni ed emergente nel contesto italiano ed europeo. È, in origine, l’evoluzione di diversi profili aziendali, funzionali o di processo, a seconda di quale sia il principale fattore abilitante l’innovazione in azienda. In quest’ottica il bim svolge un’attività di spinta all’innovazione di business attraverso una buona visione strategica e una conseguente capacità di pianificazione economico-finanziaria. Il profilo richiede inoltre valide capacità organizzative, di gestione del cambiamento e di negoziazione per organizzare progetti e processi d’innovazione in modo strutturato e continuativo e per favorire la creazione di un ambiente creativo e propositivo. Infine, deve possedere spiccate competenze di marketing per individuare i vuoti di offerta,

Page 42: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

36

stimolare la generazione di idee e trasferire le innovazioni tecnologiche sul mercato, in modo che generino valore per il cliente e per l’azienda. A corollario, una buona conoscenza delle tecnologie Ict e le loro potenzialità nelle relazioni collaborative interne ed esterne completano lo sfidante profilo del bim. Nel corso dell’ultimo anno, una ricerca svolta da SDA Bocconi, in collaborazione con Progetti Manageriali (società di servizi di Federmanager), ha indagato quanto le competenze richieste a questo nuovo profilo siano possedute dai diversi profili manageriali che oggi sono coinvolti nei processi di innovazione. La ricerca ha evidenziato alcune aree di debolezza nelle competenze di gestione dei team e delle relazioni con le risorse, anche esterne, di gestione dinamica delle core competence e di competitive intelligence e, infine, di organizzazione e gestione del processo di innovazione e degli ambienti multiprogetto. Rimane aperta la questione del percorso di carriera, di apprendimento e professionale che una figura simile deve effettuare per corrispondere al profilo ideale, specie in un contesto come quello italiano dove i percorsi di carriera sono ancora strettamente legati alla specializzazione e alla crescita verticale. L’Autrice Silvia Zamboni è professor di Produzione e tecnologia alla SDA Bocconi. Aree di interesse scientifico Modelli di innovazione a rete e open innovation. Gestione delle attività di ricerca, sviluppo e progettazione. Collaborazione tra clienti e fornitori lungo il processo di sviluppo dei nuovi prodotti/servizi. Project management nei contesti di ricerca e sviluppo di nuovi prodotti/servizi. Process analysis and management. Service innovation and operations management. Facility management e gestione degli acquisti di servizi.

Da Bocconi Newsletter no. 90/2010

Page 43: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

37

Sponsorizzatissimi di Paolo Guenzi

L’86% delle sponsorship in Europa riguarda lo sport, soprattutto calcio e motori. Un business che varia molto da paese a paese, come mostra Paolo Guenzi, docente Bocconi di Economia e gestione delle imprese. La vera sfida? Ottimizzare gli investimenti e saper misurare i risultati...

L’interesse per lo sport da parte della popolazione europea è elevato. Nei principali cinque paesi del Vecchio continente il 25% degli abitanti dichiara di essere “molto interessato” e un ulteriore 35% si professa “interessato”. Questo interesse si è trasformato sempre più, nel tempo, in valore economico, ad esempio attirando enormi investimenti in sponsorizzazione nel mondo sportivo. In Europa, secondo vari studi di International marketing reports, i contratti di sponsorizzazione hanno a oggetto lo sport nel 70% dei casi, e le sponsorizzazioni sportive rappresentano l’86% del totale del valore degli accordi di sponsorship. La crescita dello sport business è in larga misura legata allo sviluppo degli investimenti che media e imprese scelgono di destinare allo sport. In particolare, secondo molti osservatori, in Europa la sponsorizzazione sportiva ha ormai raggiunto uno stadio di maturità. Dal punto di vista delle tipologie di sponsorship, quelle relative a team rappresentano il 62% del totale, seguite da quelle associate ad eventi (23%) e a singoli atleti (12%). Gli accordi di naming rights per strutture quali stadi e palazzetti, pur essendo in crescita, pesano oggi solo il 2%. Nel Vecchio Continente, le sponsorizzazioni sportive sono fortemente concentrate in due sole discipline: il calcio pesa per il 38%, seguito dai motori con il 32%. Gli altri sport, nonostante la loro popolarità, raccolgono molto meno: ad esempio il tennis ha un gradimento nel 23% della popolazione ma attrae solo il 3% delle sponsorizzazioni. Questa minore capacità di attrazione di investimenti è spiegata soprattutto dall’eterogeneità dell’interesse per vari sport in differenti mercati europei. Infatti, ad esempio, se i “giganti” calcio e motori risultano graditi ovunque, uno sport come il golf registra invece un indice di gradimento del 23% in Gran Bretagna, ma solo del 2% in Italia. Analogamente, l’atletica piace al 30% dei francesi ma solo al 14% degli italiani. Esistono dunque specificità culturali e locali molto marcate che influenzano pesantemente il potenziale di generazione di business di diversi sport in differenti paesi. Le varie discipline sportive sono anche molto eterogenee dal punto di vista del profilo di pubblico ad esse interessato. Ad esempio, il basket piace molto

Page 44: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

38

alle persone sotto i 30 anni, mentre subisce un notevole calo di attenzione da parte delle fasce anagrafiche più mature, mentre lo sci risulta attrattivo allo stesso modo in tutte le fasce di età. La concentrazione di interesse in specifici segmenti di clientela, pur limitando le opportunità di investimento da parte di imprese non interessate ad essi, offre però la possibilità ad alcuni sport di offrire un target più mirato ai potenziali sponsor, e dunque di essere molto attrattivi per quelle aziende, sempre più numerose, in cerca di pubblici selezionati. Ad esempio, rispetto ad altre discipline, la vela registra una molto più accentuata presenza di sponsor provenienti dal business della moda, che sono invece quasi completamente assenti da altri sport. I settori di provenienza delle imprese che investono in sponsorizzazione sono molto numerosi: i principali sono i servizi finanziari (13% del totale del valore dei contratti), seguiti dall’automotive (12%) e dalle telecomunicazioni (10%). Le principali sfide per chi si occupa di sponsorizzazione (sia come property owner, sia come sponsor) consistono nell’ottimizzare i ritorni sugli investimenti per tutte le parti coinvolte nell’accordo, e nel migliorare la misurazione dei risultati. Per raggiungere questi obiettivi occorre sviluppare competenze sempre più articolate e specialistiche, soprattutto relativamente a temi di marketing e brand management. Le ricerche di mercato a supporto delle decisioni devono essere sempre più sofisticate per permettere di raggiungere una più profonda comprensione dei consumatori di sport e delle loro reazioni ad iniziative di sponsorizzazione. L’Autore Paolo Guenzi è professore associato di Economia e gestione delle imprese alla Bocconi e professor di Marketing alla SDA Bocconi, dove è responsabile dei corsi sulle vendite. Aree di interesse scientifico Sales management. Marketing relazionale. Marketing del tempo libero.

Da Bocconi Newsletter no. 91/2010

Page 45: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

39

Romanticismo e competitività stabiliscono dov'è fatta l’auto di Carlo Alberto Carnevale Maffè

Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente dell’Area Strategia e imprenditorialità della SDA Bocconi, spiega perché è indispensabile un equilibrio tra esigenze di economie di scala e rinnovato ruolo degli stati nelle politiche di protezione dell’occupazione. Il caso Fiat lo dimostra.

Si fa presto a dire Made in Italy. Negli anni della globalizzazione trionfante, il concetto di Made in ha visto trasformarsi profondamente il suo significato economico e culturale, vedendo progressivamente erodere la sua connotazione di identità territoriale e trasformandosi in un’opzione organizzativa, quasi accidentale, all’interno di una catena logistica complessa e geograficamente distribuita. Il brand aziendale, si è predicato per anni dai pulpiti del marketing, doveva sostituirsi alla denominazione di origine geografica delle merci nel ruolo di garanzia di qualità: il Made in doveva diventare Made by, e il riferimento non doveva essere più una nazione, un territorio, ma una marca, un’organizzazione. Ma la lezione della grande crisi economica di questi anni, con i suoi rigurgiti di protezionismo e mercantilismo, ha insegnato ai manager più avveduti l’opportunità di tornare a considerare il lavoro manifatturiero un fondamentale fattore di arbitraggio sul mercato nazionale ed internazionale delle politiche fiscali e dei sussidi alle aziende. Per la grande impresa manifatturiera, oggi più che mai, il lavoro è merce di scambio politico e istituzionale. E la grande sfida industriale è quella di coniugare i vincoli di una filiera che impone economie di scala e rigorose razionalizzazioni produttive con il rinnovato ruolo degli stati nazionali nelle politiche di protezione dell’occupazione. Il caso dell’industria automobilistica è esemplare in tal senso. Durante il periodo più acuto della crisi economica, i paesi europei, Francia e Germania in testa, sono andati in soccorso delle rispettive industrie automobilistiche nazionali con interventi di sussidio più o meno diretto, infischiandosene delle normative europee che vietano gli aiuti di stato alle imprese, con le autorità preposte alla tutela della concorrenza rese di fatto innocue dall’emergenza finanziaria globale. Nel settore auto in profonda crisi, la tutela del Made in è diventata la giustificazione politica per interventi di protezione dell’occupazione. In Italia Fiat, alle prese con

Page 46: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

40

una crisi di mercato troppo grande per essere compensata dal ruolo di uno stato nazionale troppo piccolo, ha tempestivamente colto l’opportunità, con l’affare Chrysler, di proporre al governo Usa un azzardato scambio istituzionale, offrendo sinergie tecnologiche e continuità occupazionale in cambio di una quota azionaria con un’opzione di controllo. E nelle scorse settimane, con l’iniziativa “Fabbrica Italia” del nuovo piano industriale, Sergio Marchionne ha messo sul piatto negoziale il raddoppio della produzione automobilistica in Italia - che peraltro costituisce il ripristino dei livelli di output precedenti alla crisi a parità di perimetro di stabilimenti produttivi - in cambio di un patto sindacale sulla flessibilità produttiva. Questa intelligente mossa di relazioni industriali si accompagna a scelte che proseguono senza ripensamenti verso la sempre maggiore standardizzazione della componentistica, la condivisione di piattaforme e di moduli tecnologici e il perseguimento di economie di scala con collaborazioni industriali su scala globale. Per un processo produttivo come quello automobilistico, tuttavia, la quota di valore aggiunto che afferisce all’assemblaggio finale della vettura - ovvero ciò che convenzionalmente conferisce l’attributo di Made in al prodotto - si è sempre più ridotta negli anni, a beneficio sia delle fasi manifatturiere a monte, quelle relative alla componentistica e alle piattaforme, sia di quelle a valle, con le formule di vendita basate su schemi di finanziamento. Il Made in Italy nell’auto, quindi, ha dovuto reinventarsi: sarà sempre più costituito dal perimetro di processi ottimo minimo per assicurare il giusto compromesso tra il necessario livello di relazioni industriali e istituzionali, nonché di connotazione identitaria del prodotto, da una parte e le esigenze di razionalizzazione di una filiera produttiva irreversibilmente globale, dall’altra. Peccato per il romanticismo, meglio così per la competitività. L’Autore Carlo Alberto Carnevale Maffè è docente dell’Area Strategia e imprenditorialità della SDA Bocconi, dove è stato anche coordinatore del Master in Strategia aziendale (2003-2007). Aree di interesse scientifico Competitive intelligence. Strategie non competitive e strategie internazionali. Strategie di innovazione tecnologica. Settori: technology, media, telecomunicazioni, luxury goods.

Da Bocconi Newsletter no. 91/2010

Page 47: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

41

Il tocco umano entra in campagna di Stefania Saviolo

Alta moda: la comunicazione delle grandi aziende italiane punta sempre più sul valore artigianale e sartoriale dei prodotti. Per Stefania Saviolo, co-direttore del Master MAFED della SDA Bocconi, sarà anche cruciale, però, trasmettere il mestiere ai giovani e preservare la legalità.

In un momento in cui la crisi ha reso il cliente più selettivo su prezzo e qualità, le aziende italiane della moda possono cogliere una grande opportunità sfruttando valori e competenze che da sempre appartengono loro, ma ai quali è necessario dare oggi nuova voce. Molto del dibattito sulla moda made in Italy in questi tempi ha riguardato la tracciabilità della produzione, tema approdato a una nuova legge. Ma per dare un reale contenuto al made in Italy, è necessario supportare le competenze che vi sono dietro, quel sapere artigiano fatto di gusto e innovazione che ha reso il prodotto italiano unico. In questo ambito le aziende dell’alto di gamma hanno ruoli e responsabilità diverse rispetto al mass market. Nella moda di massa il cliente cerca la tendenza e il prezzo; dall’alto di gamma si aspetta invece garanzie di qualità, intesa come manualità, creatività, spesso legata a un paese o a un territorio. La celebrazione delle competenze che stanno dietro il prodotto è diventata in questi mesi la nuova strategia di comunicazione dei marchi della moda. “Forever now” è la campagna pubblicitaria che Gucci ha dedicato nel 2010 ai propri artigiani come interpreti dell’eredità di qualità e tradizione dell’azienda. Presso la boutique romana del marchio è stato avviato "Artisan Corner", progetto destinato a girare il mondo, dove si svelano i procedimenti artigianali di borse e accessori sotto gli occhi dei clienti. Gucci ha anche dichiarato di voler continuare la produzione al 100% in Italia investendo negli artigiani che lavorano per l’azienda (solo in Toscana 7.000 persone). In occasione dell’ultima sfilata, Dolce & Gabbana ha presentato il lavoro dell’equipe sartoriale e dei due stilisti sullo sfondo della passerella: mani di sarte esperte mostrano la confezione del capo iconico della griffe, la giacca.

Page 48: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

42

Ma ci sono aziende italiane che hanno da sempre messo il prodotto e il tocco umano al centro della loro strategia e comunicazione (e sono aziende che sono riuscite a crescere anche durante la crisi). Brunello Cucinelli e Tods hanno sempre collegato il loro prodotto all’eccellenza del territorio. Cucinelli ha ricevuto nel 2010 il Confindustria Awards for Excellence come impresa campione della valorizzazione del territorio. Da sempre Cucinelli valorizza l’immagine del suo gruppo di lavoro chiamando i suoi dipendenti “le sue 500 anime pensanti”. Il marchio Tods gestisce in Italia la più grande fabbrica di scarpe dei paesi occidentali e fa dell’”Italian touch” il cuore della sua filosofia di marca. Anche nella moda più accessibile ci sono aziende che crescono investendo sul made in Italy: il marchio Rinascimento, 90 milioni di fatturato e parte del gruppo Teddy, impiega solo fornitori italiani, con un indotto di quasi 2.000 persone. La crisi degli stregoni della finanza servirà forse a ridare spazio, nella moda, a quei maestri dell’alto artigianato che con le loro creazioni possono rinnovare il miracolo del made in Italy. E questa sarebbe una vera innovazione in un paese dove la fabbrica e il lavoro artigiano sono sempre stati percepiti come marginali. Ma è solo in parte un ritorno al passato: l’artigianato oggi si arricchisce di nuove tecnologie, deve posizionarsi in filiere globali e complesse sviluppando una nuova capacità di interagire con le sue controparti. Fare made in Italy significherà offrire valore a un cliente globale, bilanciando tradizione e innovazione. Con due grandi problemi ancora da risolvere. Anzitutto, vendere questa cultura ai nostri giovani: per attrarli verso questi mestieri c’è bisogno di proposte formative nuove, che garantiscano competenze realmente utili e uno status sociale adeguato. Il secondo problema è il controllo della legalità e correttezza attraverso cui si fa moda made in Italy. Da più parti si denuncia il fatto che la necessità di soddisfare condizioni basate su costi bassi, consegne rapide, alta flessibilità, sta producendo in Italia una tipologia di attività conto-terzi che sopravvive solo mantenendo margini di irregolarità. Il rischio, e il paradosso, è che il vero made in Italy in futuro venga garantito sempre di più da laboratori clandestini. L’Autrice Stefania Saviolo è lecturer presso il Dipartimento di Management e tecnologia Bocconi e co-direttore del MAFED, Master in Fashion, Experience & Design Management della SDA, dove è professor di Strategia e imprenditorialità. Aree di interesse scientifico Gestione imprese della moda. Brand management. Strategie di internazionalizzazione.

Da Bocconi Newsletter no. 92/2010

Page 49: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

43

L’uomo solo al comando si fa superare di Beatrice Bauer e Massimo Magni

La leadership dell’uomo “che non deve chiedere mai” non funziona più. I manager di successo, per Beatrice Bauer (SDA Bocconi, Area Organizzazione e personale) e Massimo Magni (Dipartimento di Management Bocconi) possiedono autoconsapevolezza, scouting e modularità.

Negli ultimi anni sempre più manager si rendono conto di non avere le nuove competenze necessarie per gestire con successo situazioni problematiche, di crisi o di cambiamenti continui, di non saper affrontare momenti di stress mantenendo calma ed equilibrio. Una recente ricerca condotta dall’Istituto di organizzazione e sistemi informativi della Bocconi ha messo in evidenza che il 56% dei manager intervistati percepiscono di avere troppe attività da completare, mentre il 57% pensa di non avere sufficiente tempo per svolgere i propri compiti. Non stupisce quindi che la creazione di un team in grado di superare individualismi esasperati e di integrare competenze e atteggiamenti differenti sia uno dei problemi che maggiormente assorbe le energie dei leader di oggi. Una leadership basata sull’immagine dell’uomo forte, che impone le sue idee e ottiene acritica ubbidienza da parte del suo team, quello che “non dove chiedere mai”, non è più un fattore di successo. Oggi, accanto alla conoscenza del mercato e del proprio business, è diventato fondamentale per un leader saper stimolare energia, partecipazione e proattività dei collaboratori, in un continuo equilibrio tra sé e gli altri. Spesso a questo aspetto di fondamentale importanza viene data scarsa attenzione: i leader non sanno interpretare per i propri collaboratori la loro visione del futuro, non sanno esprimere in modo attraente gli obiettivi da raggiungere, limitandosi a definire le singole azioni da svolgere avulse da una comprensione più ampia del contesto. Infatti, dai risultati delle nostre ricerche emerge che il 36% della differenza della capacità di innovare e il 44% della capacità di affrontare l’inatteso da parte dei team è attribuibile ai comportamenti del team leader. Ma quali sono i segreti dei leader che sono in grado di gestire efficacemente un team? I risultati hanno messo in luce elementi essenziali che aiutano il leader ad agire lo stile giusto al momento giusto. Innanzitutto, l’autoconsapevolezza. I leader che sono in grado di gestire i team in modo efficace presentano un elevato livello di consapevolezza rispetto ai propri punti di forza e di debolezza. Questo aspetto consente

Page 50: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

44

di comprendere quando si sta affrontando qualcosa che va al di là delle proprie abilità e comprendere quali siano le conoscenze complementari necessarie a gestire situazioni ad elevata complessità. Secondo, lo scouting. Oltre alla consapevolezza del sé, il team leader deve essere in grado di attivare il proprio network di conoscenze per comprendere dove risiedano le expertise necessarie per poter costruire in tempi rapidi un team che presenti diversità e competenze necessarie per gestire problemi complessi. Terzo, la modularità. Autoconsapevolezza e scouting sono condizioni necessarie ma non sufficienti. Infatti, i team leader più efficaci sono coloro che riescono a modulare il proprio stile di conduzione con rapidità e coerentemente al contesto, alternando accentramento ed empowerment. La capacità di modulare i propri comportamenti non è innata ma richiede esperienza, esercizio, e molta costanza soprattutto perché la tendenza è di attuare schemi comportamentali simili che spingono verso uno stile ripetuto e “preferito”. Per mettere in evidenza lo stile di team leadership che lo caratterizza, il lettore può compilare un questionario (http://www.sdabocconi.it/leadingteams). Riceverà in tempo reale un report sintetico che le offrirà un primo spunto individuale nell’analizzare i comportamenti che maggiormente lo contraddistinguono nella conduzione di un team, evidenziando i contesti in cui tali comportamenti sono maggiormente efficaci. Gli Autori Beatrice Bauer è docente dell’Area Organizzazione e personale della SDA Bocconi. Aree di interesse scientifico Modificazione cognitivo comportamentale in momenti di forte cambiamento. Motivazione al cambiamento, assertività, stress salute e malattie psicosomatiche. Leadership e team building per affrontare situazioni complesse e problematiche, cambiamenti organizzativi e sviluppo di organizzazioni capaci di stimolare cambiamenti comportamentali, empowerment. Massimo Magni è assistant professor presso il Dipartimento di Management e tecnologia della Bocconi. È stato visiting research scholar presso la University of Maryland e visiting instructor presso la University of Texas, Austin. Aree di interesse scientifico Processi di implementazione e sviluppo di sistemi informativi. Comportamento organizzativo nell'ambito dei sistemi informativi.

Da Bocconi Newsletter no. 93/2010

Page 51: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

45

Asset intangibili: non li tocchi, ma fanno la differenza di Francesco Perrini

Il capitale intangibile dà a un’impresa un vantaggio competitivo duraturo e difficilmente imitabile dai concorrenti. In questo, spiega Francesco Perrini, direttore del Centro ricerche Bocconi su Sostenibilità e valore, la corporate social responsibility gioca un particolare ruolo strategico.

È innegabile come, nei mercati competitivi attuali, la creazione di valore passi attraverso la gestione strategica di risorse e competenze distintive intangibili. Tali risorse hanno a che vedere con la dotazione di capitale umano, intellettuale, sociale, simbolico e organizzativo di un’impresa. L’assunto alla base della superiorità del capitale intangibile nell’assicurare un vantaggio competitivo duraturo e sostenibile è facilmente intuibile. Gli asset tangibili, ossia il capitale fisico e quello finanziario, sono in grado di generare solo un modesto ritorno sugli investimenti, poiché rappresentano forme di capitale comuni e facilmente imitabili. Soltanto risorse rare, di valore, difficilmente imitabili e configurate in modo tale da poter essere efficacemente utilizzate all’interno di una data organizzazione possono consentire un differenziale positivo di rendimento. Sono le risorse intangibili a possedere tali caratteristiche, costituendo la base dei processi di generazione di valore nelle economie moderne. È in questo che la progressiva integrazione strategica e organizzativa delle pratiche e degli strumenti di corporate social responsibility (Csr) può fare la differenza. L’adozione di standard sociali e ambientali più elevati di quanto prescritto dalla legge e da norme etiche individuali deve essere motivata non più tanto da un riscontro immediato sulla bottom line ma piuttosto quale conseguenza inevitabile del complesso e dinamico sistema di relazioni che lega ciascuna impresa al proprio contesto sociale d’appartenenza. Il passo tra comportamenti e strategie socialmente responsabili e accumulazione del capitale intangibile è breve. Quanto più dimensione economica, sociale e ambientale saranno integrate all’interno del disegno strategico dell’impresa e quanto più quest’ultima orienterà i propri processi al lungo periodo considerando con oculatezza le opportunità di profitto immediato, tanto più potrà godere di legittimazione, appoggio e consenso presso le diverse categorie di stakeholder e incrementando, così il proprio stock di risorse immateriali fondate sulla fiducia e sulle relazioni.

Page 52: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

46

Recenti studi mostrano come l’accumulazione di risorse immateriali funga da volano tra l’adozione di strategie di responsabilità sociale e la capacità delle imprese di beneficiarne, in termini economico-finanziari. In base a tale approccio, gli asset relazionali, intesi come l’insieme delle relazioni dell’azienda con il mercato e di cui costituiscono parte integrante i rapporti con i clienti, con le comunità aziendali e con le altre categorie di stakeholder, gli asset strutturali, ossia la capacità dell’impresa di innovare, attraverso lo sviluppo e la gestione di conoscenze e competenze tecniche coerenti con la strategia e la cultura aziendale, e gli asset intellettuali, intesi come l’insieme dei comportamenti, delle competenze e delle attitudini dell’organismo personale, mediano le relazioni che legano le prestazioni socio-ambientali e quelle economico-finanziarie. Si pensi a come l’implementazione di programmi e strategie volti alla riduzione degli impatti ambientali richiedano lo sviluppo di nuove competenze aziendali che, migliorando lo stock di capitale intellettuale e strutturale, agiscono sull’efficienza operativa e il miglioramento dei risultati aziendali. A questo si associa il miglioramento delle relazioni con le diverse categorie di stakeholder, che si traduce, per le imprese, in licenza a operare in determinati contesti e, dunque, l’accesso a nuove opportunità di business. Condizione necessaria perché questo possa accadere, resta, comunque, la convinzione che la responsabilità sociale vada intesa come parte integrante delle strategie e delle politiche aziendali, interagendo quale conseguenza con tutti gli ambiti della gestione d’impresa, dalla produzione al marketing, dalla gestione delle risorse umane al governo aziendale. Non c’è dunque da stupirsi del fatto che le richieste che da più parti s’impongono oggi all’attenzione del mondo del business siano riconducibili non più soltanto alla generica necessità che le imprese adottino comportamenti socialmente responsabili, ma all’importanza di definire il significato che ciascuna impresa attribuisce alla Csr e come questo si traduca in obiettivi, attività concrete e risultati misurabili e monitorabili. L’Autore Francesco Perrini è professore ordinario di Economia e gestione delle imprese alla Bocconi, dove è titolare della Sif Chair of Social Entrepreneurship & Philanthropy Management, direttore del CReSV, Centro ricerche su Sostenibilità e valore, e del Corso di laurea triennale in Economia aziendale e management. È docente dell’Area Amministrazione, controllo, finanza aziendale e immobiliare della SDA Bocconi, dove è condirettore delle attività relative allo sviluppo della Corporate Social Responsibility dal 2002. Ha insegnato Economia e gestione delle imprese presso l’Accademia della Guardia di Finanza di Bergamo, ed è stato visiting professor presso EAE - Escuela de Administraccion de Empresa di Barcellona e presso la Universidad de Chile nel 2000-2001. È stato Fondatore dell’Osservatorio Finetica con la Pontificia Università del Laterano, Città del Vaticano. Aree di interesse scientifico Analisi per le decisioni. Valutazioni d’investimenti, start-up e d’impresa. Quotazione in Borsa. Project financing. Strategie finanziarie per lo sviluppo delle Pmi. Finanza e Rating Etici. Corporate social responsibility. Corporate governance. Social entrepreneurship.

Da Bocconi Newsletter no. 94/2010

Page 53: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

47

Una settimana al mare dall’altra parte del mondo di Magda Antonioli

Globalizzazione del turismo: la quota dell’Europa è diminuita in trent’anni dal 55% al 45%. Secondo Magda Antonioli, coordinatore del Master Bocconi in Economia del turismo, si va verso “turismi di nicchia”, da intercettare con un’efficace presenza e una buona reputazione online.

Il tema della globalizzazione nel turismo sta assumendo sempre più rilievo, traducendosi in una questione di competitività. A livello mondiale, negli ultimi anni si sono affacciate nuove destinazioni, mentre quelle più tradizionali, spesso pur registrando una crescita, hanno visto ridursi la propria quota in termini di contributo al flusso totale. È il caso dell’Italia e dell’intera Europa, passata da un peso superiore al 55 % degli anni ’70 a uno del 45% nel primo decennio del 2000. Una simile evoluzione impone una serie di considerazioni che partono dalla struttura del mercato per giungere alla configurazione dei ruoli degli attori, quali i vettori aerei, lo sviluppo delle Ict e in generale tutti coloro i quali si occupano di turismo (enti pubblici, aziende, settori complementari come cultura, eventi, sport etc.). La globalizzazione implica innanzitutto che società, culture ed economie diverse siano sempre più strettamente collegate e interrelate. I cambiamenti tecnologici, la spinta alla liberalizzazione del commercio dei beni e dei servizi e l’aumentata e facilitata mobilità delle persone hanno di fatto ridotto, se non abolito, barriere spaziali e temporali. Il cambiamento demografico, soprattutto nei paesi più sviluppati, ha mostrato una forte tendenza all’invecchiamento della popolazione; ciò implica maggiore disponibilità di risorse economiche e di tempo, ma anche diverse esigenze e preferenze per quanto riguarda destinazioni, prodotti e servizi. Le tecnologie informatiche e Internet, insieme alla generalizzata disponibilità di altre tecnologie di comunicazione personale (telefonini, gps) hanno cambiato il modo di informarsi e di prendere decisioni. Un’aumentata disponibilità di prodotti e servizi rende difficile valutare a pieno la loro qualità. I consumatori cercano altri fattori su cui basare le loro scelte e si orientano sempre più verso soluzioni su misura. È più difficile identificare target omogenei per le azioni di marketing e commercializzazione. In altri termini, ci si muove verso ‘turismi di nicchia’.

Page 54: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

48

Cresce poi la domanda per un consumo responsabile dal punto di vista ecologico, sociale ed economico. La tendenza è rafforzata dalle iniziative legislative per far sì che i consumatori e la società agiscano in modo più sostenibile. È il caso delle politiche a livello mondiale (da Kyoto ai programmi europei) e alle ricadute che manifestano sul turismo, sui trasporti, sull’agricoltura. Inoltre, uno stile di vita sempre più sedentario ha portato a una maggiore attenzione per la salute e il benessere come attività per il tempo libero. I modelli imprenditoriali a basso costo entrano infine con successo nel mercato, riducendo i prodotti e i servizi ai loro componenti di base. Tali modelli commerciali trovano il loro spazio accanto ai modelli più tradizionali. Con le sfide cui si è fatto cenno, gli operatori del turismo, e quelli europei in particolare, si confrontano con destinazioni e operatori dei paesi emergenti. Cina, India, Brasile stanno rapidamente guadagnando terreno sia come ‘importatori’ che come ‘esportatori’ di turisti. L’Europa sta perdendo quote di mercato e se fino a qualche anno fa i paesi europei occupavano compatti tutti i primi posti nelle classifiche mondiali (vedi United Nations World Tourism Organization), oggi il gruppo di testa appare un po’ meno compatto. La Cina, per esempio, che nel 1998 era al sesto posto nella classifica mondiale, dal 2006 scavalca l’Italia. Se poi si aggiunge Hong Kong alla Cina continentale, la storica prima posizione della Francia risulta seriamente minacciata. Probabilmente, comunque, la sfida più impegnativa per molti operatori europei e italiani è quella che si gioca nel campo delle tecnologie informatiche. La grande frammentazione e l’enorme numero di piccole aziende fa sì che l’approccio a questo mondo non sia dei più facili. Eppure, l’apporto delle Ict è unanimemente riconosciuto come di fondamentale importanza. Una efficace presenza in rete e una buona reputazione online sono leve competitive importanti per qualunque attore operi nel comparto. L’Autrice Magda Antonioli è professore associato di Politica economica alla Bocconi, dove è coordinatore del MET, Master in Economia del turismo e responsabile della sezione turismo del CERTeT, Centro di Economia regionale, dei trasporti e del turismo. Ha svolto attività di docenza presso le Università di Brescia, Venezia e Firenze, ed è stata visiting professor presso l'Università di Kyoto (Giappone, 1995), la Chulalongkorn University di Bangkok (Thailandia, 1999), l'ESADE di Barcellona (Spagna, 1998) e l'Università di Federio Santa Maria di Santiago (Cile, 2001-2002). È inoltre direttore di unità di ricerca di progetti MIUR e CNR, di ricerche per la UE e membro dell'Educational Council del WTO. Aree di interesse scientifico Economia e politica del turismo. Politica economica con particolare riguardo all'Economia dell'ambiente. Economia industriale.

Da Bocconi Newsletter no. 94/2010

Page 55: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

49

Inventando s’impara. Ad inventare di Raffaele Conti, Alfonso Gambardella, Myriam Mariani

Per un’impresa che vuole innovare, meglio investire su inventori giovani o con esperienza? Raffaele Conti (Bocconi PhD School), Alfonso Gambardella (docente Bocconi di Economia e gestione delle imprese) e Myriam Mariani (docente Bocconi di Industry analysis) spiegano che in realtà...

La maggior parte delle invenzioni sono incrementali e hanno un limitato valore tecnologico. Solo poche invenzioni sono radicali, e costituiscono la base per invenzioni future. È possibile per un inventore “imparare” dall’esperienza passata a produrre queste invenzioni? In altre parole, qual è il ruolo dell’esperienza nella creazione di invenzioni radicali? Il nostro articolo (Learning to be Edison? The Effect of Individual Inventive Experience on the Likehood of breakthrough inventions) mostra che l’esperienza di un inventore (cioè il numero di invenzioni che ha già prodotto nel passato) ha un duplice effetto. Da un lato, diminuisce la probabilità che ogni singola invenzione sia radicale; dall’altro rende gli inventori più produttivi. Il motivo è che gli inventori più esperti tendono a replicare quello che hanno fatto nel passato: per loro sarà quindi facile produrre nuove invenzioni, ma tali invenzioni tenderanno a essere incrementali, somiglianti a quelle passate. Tuttavia, poiché le invenzioni radicali sono molto difficili da prevedere, fare molte invenzioni è il metodo più sicuro per ottenerne una: di conseguenza, gli inventori cha hanno acquisito più esperienza, grazie alla loro maggiore produttività, sono maggiormente capaci di generare invenzioni radicali. Al fine di quantificare l’impatto dell’esperienza passata, è possibile affermare che un aumento dell’uno per cento nello stock di esperienza inventiva determina un aumento proporzionale (all’incirca dell’uno per cento) nelle chance che un inventore ha di generare un’invenzione radicale. Le implicazioni manageriali sono immediate e rilevanti. Molte imprese oggi investono ingenti risorse cercando di generare invenzioni radicali. La distribuzione del valore economico delle invenzioni è infatti molto sbilanciata: ci sono cioè molte invenzioni incrementali che valgono poco o nulla, e pochissime invenzioni radicali che hanno un valore assai ingente. Per una piccola impresa, o un’impresa appena formatasi, produrre un’invenzione radicale significa dunque, potenzialmente, creare vantaggio competitivo togliendo

Page 56: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

50

significative porzioni di mercato alle grandi imprese. Per una grande impresa creare un’invenzione radicale implica invece mantenere il proprio vantaggio competitivo, dando un nuovo slancio alla propria attività, e avere l’opportunità di entrare in nuovi segmenti di mercato. Cosa fare dunque per aumentare le possibilità di generare un’invenzione radicale? Il nostro articolo suggerisce che, nel caso un’impresa si trovi a dover scegliere tra più invenzioni, come accade nei mercati delle tecnologie, allora dovrebbe puntare sulle idee degli inventori più inesperti, che hanno una maggiore probabilità di essere radicali. Tuttavia, il suggerimento è esattamente l’opposto nel caso in cui l’impresa debba scegliere un nuovo inventore da assumere, o ancora nel caso in cui si trovi a dover decidere quali inventori favorire nell’allocazione delle risorse interne. In questo caso bisognerebbe puntare sugli inventori maggiormente esperti. Infatti, nonostante ciascuna delle loro invenzioni abbia una minore probabilità di essere radicale, gli inventori più esperti hanno maggiori chance di generare invenzioni radicali in quanto più produttivi. Gli Autori Raffaele Conti è dottorando in Management alla PhD School Bocconi Alfonso Gambardella è professore ordinario di Economia e gestione delle imprese alla Bocconi, dove è direttore della Scuola di Dottorato. È editor di European Management Review e membro dell'editorial board di Academy of Management Review, Global Strategy Journal, Industrial and Corporate Change, Research Policy e Strategic Management Journal. Aree di interesse scientifico Economia e gestione delle imprese. Economia industriale. Economia e management della tecnologia. Myriam Mariani è professore associato presso il Dipartimento di Analisi istituzionale e management pubblico della Bocconi, dove è vicedirettore e membro del comitato scientifico del Centro KITeS, Knowledge, Internationalization and Technology Studies. Aree di interesse scientifico Economia e politica dell'innovazione. Inventors' life cycle. Spillovers di conoscenza, economie di agglomerazione e apertura internazionale delle regioni europee: analisi degli effetti economici.

Da Bocconi Newsletter no. 96/2010

Page 57: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

51

Usa-Ue-Cina: ognuno è globale a modo proprio di Margherita Pagani

E-commerce: le tecnologie digitali favoriscono la globalizzazione, ma il consumatore non è affatto globale nel loro uso. Per Margherita Pagani, docente del Dipartimento di Marketing della Bocconi, una corretta strategia di e-marketing deve partire dalle specificità di chi acquista.

Le nuove tecnologie digitali, riducendo distanze e costi, permettono la globalizzazione e la intensificano. Telecomunicazioni e informatica trattano e diffondono in tutto il mondo, continuamente (e quasi istantaneamente), enormi quantità d’informazioni. I progressi delle tecnologie dell’informazione e comunicazione rappresentano perciò una determinante dell’integrazione dei mercati che consente alle imprese di confrontarsi con l’economia mondiale a livello di sbocchi di mercato e canali di approvvigionamento. Anche la progressiva globalizzazione dei prodotti, progettati e realizzati per essere venduti in tutto il mondo, interessa l’offerta di prodotti/servizi online. I dati di crescita del commercio elettronico in tutto il mondo confermano come i canali di vendita digitali (web, tv e mobile) stanno affermandosi sempre più quali canali di distribuzione che consentono di aumentare l’ampiezza del mercato (reach) superando i tradizionali confini nazionali e offrendo un dettaglio d’informazione e una ricchezza di catalogo (richness) non altresì possibile nel mercato reale. Il mercato elettronico offre nuove opportunità sia alle imprese che affiancano il canale virtuale per estendere il proprio mercato di sbocco oltre i confini nazionali ma anche a nuove categorie di operatori che nascono e operano esclusivamente nel canale virtuale (è il caso di Dell o Amazon). Numerosi sono perciò i vantaggi che le tecnologie offrono alle imprese per estendere il proprio mercato di sbocco consentendo non solo di superare il tradizionale trade-off ma anche di sviluppare strategie di personalizzazione one to one e targettizzazione quali determinanti del vantaggio competitivo nella strategia di customer relationship management. Le piccole e medie imprese beneficiano inoltre dei canali digitali (in particolare web) per iniziative di carattere promozionale e pubblicitario su vasta scala e a costi contenuti o irrisori se rapportati a quelli necessari per realizzare campagne di analogo impatto attraverso i media tradizionali.

Page 58: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

52

Media tradizionali e new media estendono perciò le opportunità di globalizzazione per piccole e grandi imprese. Oltre al tradizionale web anche nuovi canali televisivi digitali di shopping consentono al consumatore di acquistare comodamente da casa prodotti e servizi. Il canale televisivo digitale Qvc in Usa (e già presente anche in Giappone, Germania e in fase di lancio in Italia) è il primo canale televisivo digitale di shopping. Nell’ultimo anno Qvc ha ricevuto oltre 181 milioni di telefonate negli Usa e venduto oltre 166 milioni di prodotti nel mondo con un fatturato di 7 miliardi di dollari. Molte imprese stanno inoltre utilizzando anche le potenzialità dei social network (Facebook, MySpace, Twitter). Se da un lato le tecnologie digitali rappresentano un driver al processo di globalizzazione, è opportuno considerare che il consumatore non è affatto globale nel loro utilizzo e sono riscontrabili nel mercato diversi modelli di consumo e adozione delle tecnologie che impongono all’azienda globale di riconsiderare le scelte strategiche di online commerce. Da uno studio in corso dell’Università Bocconi con la Northeastern University, volto ad analizzare il processo di acquisto online in tre grandi aree (Usa, Europa e Cina), emergono delle differenze cross-culturali nel processo di adozione della tecnologia da parte del consumatore. Il livello d’individualismo e collettivismo che caratterizza la dimensione culturale influenza l’utilizzo della tecnologia e gli antecedenti dell’attitudine all’utilizzo. Il rischio percepito nelle transazioni online modifica inoltre l’attitudine verso tale tipo di commercio ed evidenzia significative differenze tra Europa e Usa. Anche nell’uso delle tecnologie emergono differenze: mentre il consumatore Usa appare più pc-centrico, l’Europa è molto tv-centrica. Le nuove tecnologie mobili, inoltre, offrono nuove opportunità di commerce in Europa e nei paesi asiatici. La tecnologia è perciò un driver della globalizzazione per molte imprese, tuttavia una corretta strategia di e-marketing globale non può prescindere dalle specificità del consumatore nel processo di adozione delle tecnologie. L’Autrice Margherita Pagani è assistant professor presso il Dipartimento di Marketing della Bocconi. Affiliate presso l’MIT Massachusetts Institute of Technology e membro dell'Executive Faculty di Lorange Institute of Business - Zurich. È stata visiting scientist presso la MIT Sloan School of Management (2008), visiting scholar presso il Massachusetts Institute of Technology (2003 - 2007) e visiting professor presso la University of Redlands (California, 2004). È associate editor di Journal of Information Science and Technology e membro dell’editorial board di Industrial Marketing Management, European Journal of Operational Research, Journal of Interactive Marketing, International Journal of Human-Computer Studies e International Journal of Cases on Electronic Commerce. Aree di interesse scientifico Consumer behavior. Modelli di Adozione delle tecnologie digitali (Tv digitale, wireless web). e-Marketing, Economia dei media digitali. System Dynamics. Mobile wireless, interactive digital advertising.

Da Bocconi Newsletter no. 97/2010

Page 59: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

53

Perché ti rivelo tutti i miei segreti in cucina di Giada Di Stefano e Gianmario Verona

Lo scambio di informazioni tra chef è oggi sempre più frequente. Come si può spiegare? Giada Di Stefano e Gianmario Verona, docenti del Dipartimento di Management e tecnologia Bocconi, cercano alcune risposte, interessanti anche per molti altri settori ad alto tasso di innovazione.

Negli ultimi anni assistiamo alla crescente esposizione mediatica di un contesto trascurato dall’opinione pubblica: l’alta cucina. Con le parole di un celebre ristoratore milanese: “Vent’anni fa, a differenza di oggi, l’attività dello chef non era valorizzata, non ne era esaltata la professionalità e il consumatore finale non era in grado di cogliere e apprezzare tutta la ricerca, lo studio e l’impegno necessari ad arrivare al piatto servito in tavola.” Sempre di più, il mondo dell’alta cucina si espone con la produzione di libri, con un’intensa organizzazione convegnistica e, di recente, grazie a trasmissioni e canali dedicati. A questa crescente esposizione mediatica corrisponde un fenomeno ancora più affascinante: a livello privato esiste un’intensa comunicazione tra cuochi, spesso concorrenti, in merito a ricette, tecniche, fornitori. In alcuni casi si arriva persino a scambiare il personale di servizio. Questo scambio tra imprese concorrenti costituisce un duplice paradosso. Da un lato, il vantaggio competitivo in questo settore dipende in larga misura proprio dall’unicità delle creazioni e dal continuo rinnovamento dell’offerta al consumatore. Scambiare informazioni con i concorrenti, o renderle pubbliche, potenzialmente mina le fondamenta della generazione del valore di uno chef. D’altro canto, il settore in questione si caratterizza per l’impossibilità di ricorrere ai diritti di proprietà intellettuale. Come efficacemente osservato da uno chef blasonato: “Come si possono richiedere i diritti di autore su una propria creazione, quando a chi la copia basta cambiare la posizione di una foglia sul piatto per non incorrere in alcuna sanzione?”. Una volta portata al di fuori dei confini aziendali, l’informazione cade facilmente preda di concorrenti imitatori, rischiando di perdere valore. Nonostante tutto, lo scambio d’informazioni è sempre più frequente. Racconta uno chef d’alta cucina: “Una volta i cuochi tenevano nascoste le proprie ricette. Oggi c’è uno scambio continuo. Ci sono eventi in cui condividiamo la stessa cucina e prepariamo i piatti più famosi stando gomito a gomito”. Cosa spiega dunque questo fenomeno? Ma soprattutto, cosa lo rende sostenibile? Rispondere a queste domande può avere importanti implicazioni per molti settori ad alto tasso d’innovazione. In primo luogo, per quelli in cui il nostro paese eccelle e che sono caratterizzati da scarsa protezione dei diritti

Page 60: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

54

di proprietà intellettuale, come l’editoria, la moda, il design. In secondo luogo, per quei settori in cui è sempre più difficile ricorrere ai metodi tradizionali di protezione dell’innovazione, a causa della velocità con cui essa è prodotta (healthcare) o del crescente coinvolgimento di terze parti nel processo innovativo (software e mondo Web). Nel lavoro Kitchen Confidential? Knowledge Transfer and Social Norms in Gourmet Cuisine (del quale è co-autore anche Andrew A. King della Tuck School of Business del Dartmouth College), portiamo alla luce due spiegazioni alternative e complementari, sulla base dei risultati di un questionario sperimentale a cui hanno risposto più di 500 cuochi italiani inclusi nella guida Michelin 2009. Innanzitutto, gli chef confermano l’esistenza di un sistema alternativo di protezione della proprietà intellettuale basato sulle norme sociali. Gli chef hanno sviluppato un codice di condotta che detta le regole di comportamento per chi voglia essere considerato degno di stima e rispetto da parte dei colleghi. Di fronte allo scambio di una ricetta, una tecnica, o un’informazione su un ingrediente, gli chef sanno cosa è lecito e cosa non è lecito fare. A ciò si aggiunge l’utilizzo di strategie che limitano l’eventuale danno derivante dall’utilizzo improprio dell’informazione. Si pensi al caso di uno chef molto innovativo: il valore di una singola ricetta sarà per lui indubbiamente inferiore, per cui, anche in caso di copia, il danno sarebbe limitato. Oppure, si considerino due cuochi che condividano la stessa filosofia di cucina e vogliano promuoverla: in questo caso, lo scambio di informazioni potrebbe beneficiare entrambe le parti, arricchendo il loro bagaglio di conoscenza e sostenendo il loro approccio. In sostanza: trasferire conoscenza sì, ma anche in funzione dell’oggetto della transazione, della posizione competitiva ricoperta e del valore strategico dello scambio. Gli Autori Giada Di Stefano è assegnista di ricerca del Dipartimento di Management e tecnologia della Bocconi. Aree di interesse scientifico Gestione della Tecnologia e dell’Innovazione. In particolare: diritti di proprietà intellettuale, norme sociali e trasferimento di conoscenza Gianmario Verona è professore ordinario di Economia e gestione delle imprese alla Bocconi e coordinatore del PhD in Business Administration and Management. Professor dell’Area Marketing della SDA Bocconi, ricopre la carica di Programme Chair della Divisione Competitive Strategy della Strategic Management Society. Insegna presso la Tuck School of Business al Dartmouth College. È membro dell’editorial board di Strategic Management Journal e vicedirettore della rivista Economia & Management. Aree di interesse scientifico Technology and Innovation Management. Dynamic Capabilities. Knowledge Integration. User Innovation and Entrepreneurship.

Da Bocconi Newsletter no. 97/2010

Page 61: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

55

Imprenditori per avere successo ascoltate Lau Tzu di Thanos Papadimitriou e Brett Martin

Stili manageriali. Una survey condotta con la Harvard Business Review mostra che spesso si è incapaci di delegare. Thanos Papadimitriou (docente SDA di Produzione e tecnologia) e Brett Martin (imprenditore) citano Lau Tzu: “Se a un uomo dai un pesce, lo nutri per un giorno. Se invece gli insegni a pescare...”

Gli imprenditori più navigati sanno che il segreto del successo di una startup è l’implacabile capacità d’esecuzione, secondo una lista di priorità breve. In fin dei conti è la focalizzazione che consente ai nuovi imprenditori di competere con imprese mille volte più grandi. Sfortunatamente, nella concitazione della battaglia, alcuni imprenditori non capiscono che i compiti che devono svolgere di persona evolvono con la crescita dell’impresa. Prendiamo il caso di MaritimeX (un nome fittizio per una vera società di spedizione). Costruita dal nulla da due amici d’infanzia greci, Aris e Stavros, MaritimeX, da ufficetto di due persone, era diventata un’importante impresa con 25 impiegati. C’era solo un problema: il fatturato, raggiunti i 9 milioni di dollari, non era più cresciuto per tre anni. Nonostante lavorassero fino allo stremo, i fondatori di MaritimeX non riuscivano a sfondare il tetto delle otto cifre. Sarebbe bastato uno sguardo veloce al flusso di lavoro di MaritimeX per capire il problema: ogni singola richiesta dei clienti doveva essere vagliata da uno dei due fondatori. Siccome ci voleva almeno una settimana, se non due, perché Aris o Stavros potessero concludere la valutazione, spesso i potenziali clienti rinunciavano prima ancora che qualcuno alla MaritimeX si rendesse conto dell’opportunità. Anche se i due fondatori lavoravano a tempo pieno alle valutazioni, MaritimeX poteva gestire solo pochi contratti per volta. Per svolgere questo superlavoro, i fondatori finivano per ignorare interi mercati, lasciandosi sfuggire, per esempio, la possibilità di fornire ricchi servizi di trasporto specializzato. Aris e Stavros erano diventati il collo di bottiglia della loro impresa! Gli imprenditori sono di ostacolo al proprio successo quando il loro desiderio di perfezione gli impedisce di fare i passi necessari alla crescita. Quando gli si chiedeva perché volessero valutare di persona ogni singola attività, i proprietari di MaritimeX rispondevano che era un compito incredibilmente complesso, richiedeva una sofisticata comprensione dei costi e una conoscenza da iniziati della legislazione internazionale. I due

Page 62: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Management

56

fondatori erano più bravi e più veloci degli altri a identificare le proposte migliori. Come avrebbero potuto farsi da parte e sopportare che venissero fatte valutazioni pressappochistiche? Aris e Stavros dovevano prendere decisioni importanti dai punti di vista finanziario e personale. Volevano crescere, con il rischio di pregiudicare la qualità del servizio e le relazioni così gelosamente custodite? O preferivano rimanere piccoli, ma di successo, impressionando i clienti con il loro coinvolgimento personale? Che cosa era più importante per loro: la crescita o il controllo? In realtà le due cose non si escludono necessariamente. Uno sguardo alle più comuni scuse per il micromanagement evidenzia i ragionamenti erronei che limitano tanti imprenditori altrimenti di successo: “Come decision maker finale, devo fare tutto perché devo sapere tutto”. Gli imprenditori non possono evitare di sporcarsi le mani, ma le decisioni e la raccolta delle informazioni dovrebbero essere delegate tutte le volte che sia possibile, cosicché l’imprenditore possa dedicarsi ad attività che nessun altro può davvero svolgere, come immaginare gli scenari. “Delegare gente meno competente di me comporta risultati inferiori”. Tutti i fondatori detestano vedere i collaboratori fare errori “evitabili”, ma i bravi imprenditori sanno che il meglio è nemico del bene (e in molti casi della crescita). Conoscere i difetti degli impiegati non è una scusa per fare tutto da soli. Gli imprenditori di successo sanno che il modo migliore di impiegare il loro tempo è preparare gli altri ad affrontare le difficoltà e aiutarli a imparare dagli errori. “Il tempo impiegato a formare i collaboratori è tempo perso (non è fatturabile)”. Lau Tzu ha detto: “Se a un uomo dai un pesce, lo nutri per un giorno. Se gli insegni a pescare lo nutri per tutta la vita”. Far prendere tutte le decisioni alla stessa persona è insostenibile e causa ritardi. In una survey che abbiamo condotto con la Harvard Business Review (http://bottlenecksurvey.chefsnotbakers.com/), uno stupefacente 41% dei rispondenti ha rivelato che la loro impresa “collasserebbe” o, nella migliore delle ipotesi, “decadrebbe lentamente” senza di loro! Anche se si è il migliore in ogni campo, non significa che si debba fare tutto. Gli imprenditori che non riescono a modificare il loro stile manageriale da “esecutore” a “insegnante” non troveranno mai le risorse necessarie a cercare nuove opportunità. Gli Autori Thanos Papadimitriou è professor di Produzione e tecnologia alla SDA Bocconi. Aree di interesse scientifico Operations. Information System. Entrepreneurship. Brett Martin è un imprenditore.

Da Bocconi Newsletter no. 98/2010

Page 63: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Società e Cultura

Page 64: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma
Page 65: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Società e Cultura

59

Il lavoro si fa liquido e noi ci lasciamo travolgere di Vincenzo Perrone

Il lavoro si insinua sempre di più in spazi e tempi finora ritenuti privati, anche grazie alle nuove tecnologie. Essere acrobati del multitasking dà un senso di potenza. Ma attenzione: c’è un prezzo da pagare, avverte Vincenzo Perrone, docente di Organizzazione aziendale in Bocconi.

Il 2010 sarà l’anno del lavoro: da non perdere, da ritrovare o da trovare per la prima volta, per rimettere in moto quella mobilità sociale che si è inceppata con il rischio di condannare il nostro paese all’asfissia. I giovani, che vedranno allungarsi i tempi del primo impiego, e chi ha perso il lavoro nella mezza età subiranno i contraccolpi più duri. Ma il momento di forte incertezza produrrà effetti anche su chi non ha mai perso il lavoro, accentuandone la caratteristica emergente della liquidità, o pervasività. Il lavoro si espande nella vita di molti, proprio come un liquido. Ha perso forma e struttura per il venir meno di parametri certi nel tempo e nello spazio. Le ristrutturazioni costringono chi rimane in azienda a fare di più con meno risorse e l’intensità del lavoro, di conseguenza, aumenta. Anche una azienda come Fiat diventa il riferimento organizzativo di questa nuova intensità: con gli stessi manager che cumulano ruoli in luoghi divisi tra loro da un Oceano. Con strutture appiattite e decine di riporti diretti e con l’idea che solo l’occhio del manager, senza troppe mediazioni e accompagnato da una mano che si posa su tutto, ingrassa il business. Chiunque abbia responsabilità anche minime dà per scontati straordinari, reperibilità telefonica, lavoro a casa e riunioni nel fine settimana. Il lavoro ha rotto da tempo le catene del “dalle 9 alle 5”, e ora si insinua, aiutato dalla tecnologia, in spazi e tempi finora ritenuti privati. Abbiamo assecondato questa evoluzione per paura, per convenienza e perfino provandoci gusto. La situazione di incertezza relativa al posto di lavoro ci spinge ad accondiscendere a richieste di maggiore impegno e produttività. Ma se è vero che il lavoro si inserisce nella vita privata, è vero anche l’opposto. Rispetto al passato, oggi è tecnicamente possibile, e tacitamente tollerato, organizzarsi le ferie utilizzando la Rete dell’ufficio, fare qualche telefonata privata, chattare. In questo mescolamento tra lavoro e non lavoro si apprezza la discrezionalità nell’uso del tempo e il senso di potenza che ci dà, ma si sottovaluta il prezzo che paghiamo. Acrobati del multitasking, rischiamo la sindrome da deficit di attenzione: ovvero l’incapacità di rimanere focalizzati su una questione alla volta, dedicandole tutte le nostre capacità.

Page 66: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Società e Cultura

60

Rischiamo di perdere quello che ci serve di più in un mondo complesso: la capacità di distinguere, di affinare lo sguardo, di cogliere le differenze anche quando sono sfumate, di avere pazienza, di abbassare la voce fino a spegnerla per ascoltare meglio. Il 2010 potrebbe anche essere l’anno della presa di coscienza. Chi ha perso il posto a causa di una ristrutturazione, chi invece ha perso gli affetti familiari o la salute facendo sempre più vasche su vasche nella piscina del lavoro liquido, si mette in discussione e, in alcuni casi, reagisce. Chi capisce che, per governare la vita, si deve governare il tempo, cerca lavori che abbiano un ritmo diverso, immagina la possibilità dello slow work. Va in questa direzione la riscoperta della terra e dell’agricoltura che si registra, ancora in forma di nicchia, da qualche tempo. Un’altra reazione è quella della riscoperta dell’uomo artigiano, ben descritto nel libro di Richard Sennett, che recupera il gusto del lavoro attraverso le mani, la competenza, i tempi giusti, la soddisfazione del risultato concreto. Neppure il 2010 sarà, però, un anno di cambiamenti radicali, come quelli ai quali sembravamo tutti disposti quando la crisi faceva più paura e mostrava in modo chiaro il lato folle del sistema che ci siamo costruiti. Consulenti, manager, imprenditori e banchieri stanno ricominciando il loro business, as usual. L’idea sostenuta da Sarkozy e dall’ennesima commissione francese che si possa sostituire l’obiettivo della crescita del pil con qualcosa di più sensato e più vicino al fine di essere tutti più felici, ha provocato un articolo su qualche giornale e molti sorrisetti di scherno. E invece a volte converrebbe a tutti fermarsi un attimo e immaginare che lo scenario visionario del film Matrix non sia poi così distante dalla nostra realtà: chi e cosa governa davvero la nostra vita? Quanta felicità per minuto produciamo per noi, per gli altri e per il pianeta? Sono domande scomode, che non tutti hanno il lusso di potersi permettere, ma che fanno la differenza, almeno, tra consapevolezza e narcosi. E il mondo del lavoro difficile e globale che ci aspetta richiede persone sveglie. E allora: pillola azzurra o pillola rossa? L’Autore Vincenzo Perrone è professore ordinario di Organizzazione aziendale alla Bocconi, dove ricopre la carica di prorettore per la Ricerca. È membro dell'editorial board di Organization Science dal 2003 e ad hoc reviewer per Journal of International Business Studies, Academy of Management Journal, Academy of Management Review. Dal 1992 al 1994 è stato visiting professor presso la Carlson School of Management della University of Minnesota (USA). È stato titolare della cattedra di Organizzazione aziendale presso l'Università degli Studi di Cassino dal 1994 al 1999, e Direttore dell'Area Organizzazione & personale della SDA Bocconi dal 1995 al 2001. È direttore di Economia & Management, rivista della SDA Bocconi, e direttore responsabile di Ticonzero - Knowledge and Ideas for Emerging Leaders. Aree di interesse scientifico Teoria dell’impresa. Relazione tra strategia ed organizzazione. Forme reticolari di organizzazione. Gestione del cambiamento. Comportamento organizzativo. Ruolo della fiducia nelle relazioni interorganizzative.

Da Bocconi Newsletter no. 81/2010

Page 67: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Società e Cultura

61

Le mamme che diventano opinione pubblica di Paola Dubini

Le mamme filtrano e selezionano le informazioni all’interno della famiglia, sono decisori d’acquisto critico e guida per i figli nei processi di scelta. Per Paola Dubini, direttore ASK Bocconi, capire il rapporto tra mamme e informazione permette di immaginare come sarà l’offerta informativa del futuro.

Molte delle ricerche sui cambiamenti nelle filiere dell’informazione, dell’intrattenimento e della comunicazione si concentrano sul lato dell’offerta, esaminando soprattutto le nuove configurazioni di prodotto, i regimi di gestione della proprietà intellettuale, la sostenibilità dei modelli di business. Quando questi cambiamenti sono analizzati sul lato della domanda, non si può solo esaminare i nuovi modi di consumare prodotti e servizi informativi o di svago o il grado di penetrazione e le modalità d’uso di mezzi di informazione fisici e digitali, ma occorre inserire questi risultati nel quadro di una riflessione più ampia sui nuovi modi di formazione dell’opinione pubblica. All’aumentare delle fonti disponibili e del loro grado d’intercambiabilità nel corso della giornata, all’aumentare degli intermediari (i cosiddetti aggregatori) e in presenza di un ruolo attivo degli utenti nei processi di produzione e distribuzione delle informazioni e dei messaggi, il consumatore è chiamato a un livello di consapevolezza crescente nel suo rapporto con i contenuti, in una giornata che rimane di 24 ore: non necessariamente la maggiore disponibilità di informazioni ci rende cittadini più informati. Il vertiginoso aumento della disponibilità di informazioni e notizie non si è accompagnato a una crescita armonica della consapevolezza di come selezionarle e validarle, con il risultato che la ridondanza informativa non è sempre vissuta come opportunità ma spesso come fonte di fatica o di chiusura mentale. In assenza di questa consapevolezza, il consumatore si trova vittima di un bombardamento, sempre meno informato e sempre più in balia “dell’ultima notizia”; in presenza di consapevolezza, la ridondanza informativa è una ricchezza e ciascuna fonte offre possibilità specifiche di soddisfare fabbisogni di informazione e conoscenza. In questo quadro, le mamme rappresentano un oggetto di studio particolarmente interessante per diversi motivi. Sono consapevoli delle implicazioni che le loro scelte hanno sull’economia e sul benessere della famiglia: sono spesso la figura all’interno della famiglia che filtra e preseleziona le informazioni, accompagnando i figli nei loro processi di scelta; sono un decisore d’acquisto critico; sono abituate a

Page 68: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Società e Cultura

62

scambiare, verificare, validare e somministrare in modo selettivo informazioni all’interno di gruppi più o meno ristretti. Anche quando non usano Internet le mamme “sono web 2.0” nel loro rapporto con i contenuti e con le altre persone. Una prima ricerca sulla gestione della ridondanza informativa condotta su un campione di 720 mamme socialmente e culturalmente attrezzate ad affrontare la ricchezza di stimoli informativi diversi mostra una correlazione fra il grado di consapevolezza della ricchezza informativa disponibile e i consumi d’informazione; le mamme più in grado di affrontare la ridondanza informativa sono anche quelle che consumano più informazioni su più fonti diverse. Più della metà delle mamme intervistate mostra di avere un comportamento proattivo nei confronti della ridondanza informativa, pur in presenza di strategie informative diverse. Peraltro, anche in un campione composto per buona parte da persone istruite e con familiarità all’uso di fonti diverse emergono profili di consumo di informazione che tradiscono una difficoltà a controllare i flussi crescenti di informazioni e strategie informative “di difesa”. Questo è un segno che la pista di ricerca sul rapporto con l’informazione è ad oggi più importante della riflessione sull’uso di mezzi informativi diversi e che la comprensione dei processi di raccolta e condivisione delle informazioni (fra mamme e all’interno della famiglia) è cruciale per immaginare l’evoluzione dell’offerta informativa nel prossimo futuro. L’Autrice Paola Dubini è professore associato di Economia aziendale alla Bocconi, dove è direttore del Centro ASK, Art, Science and knowledge, e docente senior dell’area Strategia della SDA Bocconi, presso la quale è anche affiliato al centro di ricerca DIR Claudio Dematté. È inoltre docente di Economia della cultura e di Economia delle Imprese editoriali presso la Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università degli Studi di Milano e responsabile del modulo di Economia del Master per redattori dell’Università degli Studi di Milano e AIE, Fondazione Mondadori. Aree di interesse scientifico Modelli di business nelle filiere dell’informazione e della comunicazione. Economia delle imprese che operano nei settori artistici, culturali e del turismo. Attrattività e competitività dei territori. Imprenditorialità. Economia Aziendale e Strategia di impresa.

Da Bocconi Newsletter no. 82/2010

Page 69: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Società e Cultura

63

Una lingua comune per la contemporaneità di Stefano Baia Curioni

Negli ultimi dieci anni in Europa sono stati fondati oltre 250 musei. L’arte è ‘sovraesposta’ e allo stesso tempo trasformata in prodotto e merce. Per Stefano Baia Curioni, vicepresidente ASK Bocconi, è ora cruciale interrogarsi sulla trasformazione dell’arte nell’immaginario collettivo.

L’arte è di moda ed è, anche, moda. Negli ultimi dieci anni in Europa sono stati fondati oltre 250 musei o centri d'arte, in edifici costosi, a volte vistosi, che raccontano ambizioni politiche, culturali, urbanistiche che sfiorano l'utopia e talvolta si traducono in delusioni. L'arte è 'sovraesposta': è indicata da molti come rimedio taumaturgico per la vasta gamma delle de-moralizzazioni contemporanee, benzina per la stagnazione economica, balsamo per il disagio sociale, incentivo cognitivo, simbolo e tratto di un'economia nella quale si fondono quasi magicamente ricchezza bellezza e, in fondo, anche bontà. Contemporaneamente l'arte è per lo più conosciuta in modo molto superficiale, è trattata come un lusso, o un'occasione mondana, è usata in modo cinico e strumentale, come belletto per gli spietati registri della competizione sociale e della dominanza. Non si tratta di vivere con atteggiamento censorio o moralistico questa contraddizione: la trasformazione essenziale dell’arte in prodotto e merce è un tratto problematico della modernità e ci accompagna dai tempi in cui essa è venuta alla luce nella società europea. È però importante interrogarsi apertamente sullo strano modo in cui un’attività ‘antica’, rischiosa sul piano personale, ostica nelle sue espressioni, scabra e a volte anche ingrata con chi vi si dedica, portatrice di una conoscenza eterogenea rispetto a quella calcolante e scientifica, abbia conosciuto una simile trasformazione nell’immaginario collettivo. È importante perché le arti cambiano, si trasformano, possono anche decadere, e quando questo accade in genere è il segnale di un processo che coinvolge una società nel suo complesso. Le scienze sociali possono svolgere un ruolo importante nel riconoscere, concettualizzare, rappresentare questo processo e impostare i registri che danno vita alle politiche e alle istituzioni artistiche. Non è però una possibilità scontata, anzi richiede la paziente costruzione di un terreno di ricerca condiviso.

Page 70: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Società e Cultura

64

Le discipline non hanno certo una struttura monolitica e in molti casi (economia, sociologia, antropologia) il confronto con il tema dell’arte ha accompagnato tutta la loro storia intellettuale generando soluzioni e impostazioni molto differenziate. Nello stesso tempo la complessità dell’atto creativo e la progressiva strutturazione di paradigmi dominanti hanno condotto ad un certo ‘riduzionismo’ nella considerazione del tema e anche una sua relativa marginalizzazione. Per questo motivo è stato avviato dal centro ASK Bocconi un ampio percorso di confronto sul tema “Arts and social sciences”, coinvolgendo geografi, studiosi di urban studies, sociologi, economisti, storici economici, storici dell’arte, dell’architettura, della musica, e articolato attorno al problema di determinare un terreno di intesa attorno a domande quali: Come cambiano le arti? Cosa determina la loro trasformazione? Quali sono le condizioni per il loro sviluppo o la loro possibile decadenza? La linea di tensione centrale che si è registrata riguarda il problema di pensare la ‘differenza’ dell’arte rispetto ad altre forme di produzione e scambio. Una differenza che nelle prospettive più tipiche delle scienze sociali tende a essere sfumata o addirittura negata, mentre negli studi critici specifici è fortemente enfatizzata. Non si tratta semplicemente di una distinzione che rimanda alla soggettività della percezione. Al contrario la domanda sullo ‘specifico’ dell’arte potrebbe aiutare ad uscire dalla soggettività e forse anche migrare dai vincoli paradigmatici delle varie discipline, per convergere ad una ricerca mirata ad assegnare una lingua comune allo studio della contemporaneità. L’Autore Stefano Baia Curioni è professore associato di Storia economica alla Bocconi, dove è direttore del Corso di laurea magistrale in Economics and Management in Arts, Culture, Media and Entertainment e vicepresidente del Centro ASK, Art Science and Knowledge (del quale è stato direttore dal 2004 al 2009). È stato direttore generale della Fondazione ERGA, creata da Università Bocconi e Scuola Normale Superiore di Pisa, dal 2005 al 2009, e membro del comitato scientifico del Palazzo Te di Mantova dal 2008 al 2009. Ha fatto inoltre parte della Commissione per la valorizzazione del patrimonio culturale italiano, nominata dal Ministero per i Beni e le Attività Artistiche e Culturali. Aree di interesse scientifico Storia del pensiero economico. Analisi dello sviluppo istituzionale dei mercati di Borsa in Italia. Beni e attività culturali.

Da Bocconi Newsletter no. 84/2010

Page 71: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Società e Cultura

65

Stagnante sarà lei, ma non la cultura di Anna Merlo

Secondo una definizione nata negli Usa del boom economico, la capacità produttiva del settore culturale viene detta “stagnante”. Anna Merlo, supervisore scientifico del Master in Management dello spettacolo Bocconi, spiega perché è ormai tempo di abbandonare questo termine.

Produttività ‘stagnante’: in questo modo, nella metà degli anni ’60, due economisti statunitensi al servizio della Fondazione Ford definiscono la capacità produttiva del settore culturale, di contro alla capacità produttiva del settore industriale, dagli stessi definito a produttività ‘progressiva’, certamente in termini quantitativi, di efficienza, grazie ai progressi tecnologici. Progressi che invece non impattano significativamente sulle modalità produttive delle istituzioni artistiche, caratterizzate da manualità e artigianalità, e dunque da una produttività senza dubbio più bassa, sempre in termini quantitativi, di efficienza. Bassa produttività che, combinata con costi alti e crescenti, al seguito dei ricavi dei settori a produttività progressiva, genera un patologico rapporto tra ricavi e costi tale per cui, all’aumentare della produzione, nei settori a produttività stagnante il margine, anziché aumentare, tende addirittura a ridursi. Condizione considerata inaccettabile e insostenibile, dal classico punto di vista economico, a meno di interventi di sostegno da parte di finanziatori terzi. Il che peraltro, a pensarci, caratterizza non soltanto il settore culturale, ma anche altri settori, nei quali pure sono le menti, le mani, i corpi umani a produrre e non macchine, come ad esempio l’artigianato, lo sport, l’educazione, la ricerca, la sanità, i servizi alle persone. ‘Stagnante’: un termine che contiene un giudizio, negativo, certamente figlio dell’epoca e della cultura in cui viene coniato: l’America del boom economico del secondo dopoguerra. Non sarebbe oggi il momento di cambiarlo, un simile termine? Non soltanto sostituendolo con qualche definizione neutrale, ma anche ripercorrendo con visione diversa, a distanza di ormai mezzo secolo, le valutazioni che allora hanno portato a formularlo.

Page 72: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Società e Cultura

66

La produttività del settore culturale, e dei settori simili, è definita ‘stagnante’, in termini quantitativi, di efficienza, in raffronto a quella dei settori industriali. Ma ha senso, nell’epoca post-industriale in cui stiamo vivendo, mantenere come unici termini di raffronto industria, quantità, efficienza? Se invece pensassimo in termini di efficacia? Di qualità? Di innovatività? E perché no, anche di sostenibilità? Negli obiettivi perseguiti, nelle risorse e competenze impiegate, nella complessità dei processi produttivi, negli standard di riferimento per i risultati prodotti. Pensiamo in questa luce ai settori a rischio di produttività cosiddetta ‘stagnante’: non sono forse tra i settori potenzialmente più qualitativi e innovativi, sfidanti e intriganti, e dunque oggi più competitivi e strategici? E, per contro, non sta forse a questi livelli la crisi moderna dei settori industriali, quelli a produttività cosiddetta ‘progressiva’, e che stanno invece registrando gravi ‘stagnazioni’? Forse è arrivato il momento di smettere di definire, e soprattutto di considerare, certi settori ‘a produttività stagnante’, è arrivato il momento di ri-attribuire loro, anche nominalmente, le valenze di qualità, innovatività, competitività, strategicità, e anche il valore economico, che un secolo di industrializzazione ha loro ottusamente sottratto, oltre ai significati sul piano storico, sociale e umano che essi hanno da sempre. Insomma, in attesa che persino il mercato arrivi a riconoscerne e dunque ripagarne il valore, cominciare intanto a non chiamarli più settori ‘a produttività stagnante’. L’Autrice Anna Merlo è supervisore scientifico del MASP, Master in Management dello spettacolo Bocconi, professor di Public Management and Policy alla SDA Bocconi e ricercatrice presso l'Università della Valle d'Aosta. Aree di interesse scientifico Economia solidale. Aziende non profit. Istituzioni culturali e servizi di pubblica utilità. Compatibilità tra imprenditorialità e responsabilità.

Da Bocconi Newsletter no. 89/2010

Page 73: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Società e Cultura

67

La politica come professione? In Italia è possibile di Alex Turrini e Giovanni Valotti

Uomo, età media 52 anni, indennità annuale fino a 200.000 euro: è l’identikit del parlamentare italiano nell’ultimo rapporto Ocap, come spiegano Alex Turrini (DAIMAP Bocconi) e Giovanni Valotti (docente Bocconi di Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche).

L’ultimo rapporto dell’Osservatorio sul Cambiamento delle amministrazioni pubbliche tenta di tratteggiare il profilo del parlamentare italiano attraverso l’analisi delle caratteristiche individuali dei parlamentari succedutisi alla Camera e al Senato nelle ultime 10 legislature. Il risultato di tale ricerca, che si fonda sulla sistematizzazione di dati secondari rintracciabili da diverse fonti parlamentari, restituisce un quadro generale caratterizzato da luci e ombre. Il parlamentare italiano sembra infatti essere invecchiato negli ultimi 35 anni. Se infatti nella prima legislatura considerata (la VII) l’età media di deputati e senatori era di 49,7 anni, nell’ultima legislatura (la XVI) tale media aumenta di 3 anni portandosi a 52,8 anni. In particolare, considerando solamente l’età, le fasce più giovani sono le meno rappresentate: se si prende ad esempio l’ultima legislatura, mentre nella popolazione italiana la popolazione con meno di 40 anni rappresenta il 23,6% degli italiani, in parlamento essa si assesta all’8,4%. Tale dato potrebbe far pensare alla presenza di un lungo cursus honorum che deve essere intrapreso prima di approdare in Parlamento. Tuttavia, l’analisi effettuata non depone a favore di questo argomento: in tutte le legislature considerate i parlamentari che prima di essere eletti a livello nazionale hanno ricoperto incarichi istituzionali a livelli inferiori sono quasi la metà (in media il 45,6% nelle legislature considerate). Al contrario, una volta eletti, è molto probabile che il parlamentare rimanga in Parlamento per più legislature: i senatori mediamente rimangono in carica per quasi due legislature mentre i deputati per più di due (per la precisione 2,26). Un ulteriore aspetto considerato riguarda le differenze di genere e la retribuzione dei parlamentari. La ricerca evidenzia che la quota rosa raggiunge il 20% solo nell’ultima legislatura non rispecchiando la presenza femminile nella popolazione italiana (che, come è noto, è pari a più della metà della popolazione residente nel nostro paese). La presenza femminile in parlamento tuttavia appare più consistente rispetto al mondo imprenditoriale: nelle società di capitale con un fatturato superiore ai 10 milioni di euro le donne che siedono nelle posizioni di vertice delle imprese sono infatti solo il 14%. Infine, a prescindere dal genere, lo studio

Page 74: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Società e Cultura

68

sottolinea come l’incarico di parlamentare frutti un’indennità lorda annuale (comprensiva cioè dei rimborsi spese a copertura dell’attività di parlamentare) che può raggiungere i 200.000 euro. In ultima analisi, parafrasando un celebre scritto di Max Weber, dalla ricerca effettuata sembra che in Italia esistano le condizioni affinché i parlamentari italiani possano vivere ‘della’ politica (è dunque lontana la possibilità che esista un reclutamento ‘plutocratico’ del ceto politico), ma in alcune fasce della popolazione italiana (i giovani e le donne) sembra affievolirsi lo stimolo a vivere ‘per’ la politica, facendone una vocazione professionale anche per un limitato periodo di tempo. Le ragioni di quest’ultimo fenomeno possono essere riconducibili a vari elementi fra cui sicuramente le modalità di selezione della classe politica (sia dal punto di vista dei meccanismi elettorali in essere che dal punto di vista della ‘formazione’ del politico) rappresentano un punto nevralgico di rinnovamento e riforma. Gli Autori Alex Turrini è assistant professor di Economia delle aziende pubbliche e non profit alla Bocconi e professor di Public Management and Policy presso la SDA Bocconi. Aree di interesse scientifico Network di interesse pubblico, public governance, collaborative management. Comportamento della domanda e politiche pubbliche. Settori di indagine: arte e cultura, scuola, servizi sociali. Riforme di management pubblico. Giovanni Valotti è professore ordinario di Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche presso il Dipartimento di Analisi istituzionale e management pubblico Bocconi, dove è direttore della Scuola Universitaria Bocconi. È professor di Public Management and Policy alla SDA Bocconi, dove è stato direttore della Divisione Master. È componente del comitato scientifico delle riviste Azienda Pubblica e Management delle utilities. Aree di interesse scientifico Gestione strategica delle imprese di servizi locali, pubbliche e private. Definizione dell'assetto istituzionale, delle strategie di evoluzione e dei modelli organizzativi delle amministrazioni pubbliche. Analisi delle forme di collaborazione tra aziende private e aziende pubbliche. Formule innovative di gestione delle istituzioni pubbliche. Revisione delle politiche del personale nelle amministrazioni pubbliche e nelle imprese di pubblici servizi. Valutazione delle prestazioni del personale nelle pubbliche amministrazioni. Sistemi di controllo sui risultati e sulla qualità dei servizi erogati nel contesto pubblico. Valutazione di impatto dei processi di decentramento nel settore pubblico. I processi di internazionalizzazione delle amministrazioni pubbliche. La modernizzazione del settore pubblico nei paesi Europei.

Da Bocconi Newsletter no. 92/2010

Page 75: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Società e Cultura

69

Diventano planetarie anche la malattia e la salute di Eduardo Missoni

La globalizzazione sta facendo emergere nuove criticità legate alla salute, come la diffusione di nuove patologie, la riduzione di risorse per la sanità pubblica e la crisi dei sistemi sanitari. Oggi, spiega Eduardo Missoni (CERGAS Bocconi), c'è una nuova disciplina a studiare questi temi.

La crescita dell’interconnessione umana su scala planetaria ha prodotto negli ultimi decenni un’accelerazione fenomenale del processo di globalizzazione, con conseguenze straordinariamente rilevanti anche per la salute umana. La salute è riconosciuta come diritto umano fondamentale, indivisibile da tutti i diritti umani e interdipendente da essi. Come tale è alla base dell’atto costitutivo dell’Organizzazione mondiale della sanità, che la definisce come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non esclusivamente assenza di malattia”. Riconoscerne la gran varietà di determinanti sociali, aiuta a comprendere l’interdipendenza del diritto alla salute da altri diritti fondamentali, il cui perseguimento è responsabilità della società nel suo complesso. La salute costituisce non solo uno dei beni più intimi e vitali della persona, ma anche un bene pubblico globale e indisponibile, come l’ambiente, il clima, la sicurezza e la pace, ai quali peraltro la salute è strettamente legata. Sono numerosi gli elementi di preoccupazione che portano alla necessità di un’attenta analisi dei rapporti tra globalizzazione e salute: emergono e si diffondono nuove patologie, si assiste alla riduzione delle risorse per la sanità pubblica e alla crisi dei sistemi sanitari, l’accesso alle cure è sempre più limitato e il diritto alla salute è spesso messo in discussione da approcci utilitaristi e da forti interessi economici. Nel più generale quadro di accentuazione delle disuguaglianze tra Nord e Sud del mondo, in termini di salute e non solo, si è progressivamente ridotto il ruolo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, istituzionalmente preposta alla promozione della salute nonché, più in generale, quello dei programmi e delle agenzie delle Nazioni Unite per lo sviluppo. Cambia il peso relativo degli attori tradizionalmente attivi nel settore sanitario e anche le politiche pubbliche, nazionali e internazionali, sono oggi più attente alla creazione di ambienti

Page 76: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Società e Cultura

70

favorevoli agli investimenti piuttosto che agli effetti sulle condizioni di vita e sullo stato di salute della popolazione. La salute, anziché essere considerata come valore intrinseco e come una delle precondizioni della libertà personale e dello sviluppo umano, è spesso considerata solamente una variabile del sistema economico-finanziario, un peso per i bilanci, un’opportunità per i mercati. Conseguentemente, le politiche sanitarie adottate negli ultimi decenni, spesso subordinate a politiche macroeconomiche di aggiustamento strutturale, hanno contribuito ad aggravare la situazione in molte parti del mondo. Come in molti paesi africani, dove la speranza di vita è regredita dopo oltre un secolo di miglioramento quasi generalizzato di quell’indicatore. Data la loro rilevanza, gli effetti del processo di globalizzazione sulla salute umana sono divenuti oggetto degli studi della cosiddetta ‘salute globale’. Insieme ai determinanti sociali, economici e politici della salute, questa disciplina emergente analizza anche le risposte internazionali e transnazionali attuate sul piano politico, strategico e operativo, considera la loro governance, complessa e reticolare, nonché l’interazione di quei processi con i sistemi sanitari e di sviluppo locali e nazionali. La gestione della salute globale richiede l’acquisizione di nuove capacità analitiche e interdisciplinari, che trascendono le competenze, nonché gli ambiti di ricerca e apprendimento tradizionali della sanità pubblica. Di qui il suo naturale inserimento quale area di ricerca presso il CERGAS e la necessità di introdurre la materia nei diversi piani di studio universitari, ivi inclusi quelli delle discipline economiche, come avviene da quest’anno in Bocconi. Insieme alle nuove competenze, i futuri manager della salute globale, dovranno acquisire altresì la consapevolezza che la salute va difesa e promossa in quanto diritto umano fondamentale e bene comune globale. L’Autore Eduardo Missoni, medico, specialista in medicina tropicale, è coordinatore del Gruppo di ricerca sulla Salute globale e lo sviluppo del CERGAS, Centro di ricerche sulla Gestione dell’assistenza sanitaria e sociale della Bocconi. È stato segretario generale dell’Organizzazione Mondiale del Movimento Scout (WOSM) dal 2004 al 2007. Insegna anche all'Univeristà Bicocca di Milano ed è visiting professor di Etica e organizzazioni internazionali allo IOMBA dell'Université de Genève (Ginevra). Aree di interesse scientifico Salute globale e sviluppo. Gestione delle Istituzioni e delle Organizzazioni Non profit Internazionali. Cooperazione allo Sviluppo.

Da Bocconi Newsletter no. 95/2010

Page 77: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Società e Cultura

71

Arte. Solita esagerazione di Stefano Baia Curioni

All’esplosione della crisi finanziaria del 2008, il mercato dell’arte passò, da frenetico che era, a immobile. Stefano Baia Curioni, vicepresidente ASK Bocconi, spiega come i mercati abbiano ora ritrovato il gusto dei record, fino a sfiorare talvolta un’incomprensibile esagerazione.

Black Out. Quando la crisi finanziaria si è rivelata, nel 2008, il mercato dell’arte, come avesse guardato Medusa negli occhi, è passato dalla frenesia alla pietrificazione. Liquidità dissolta a New York e Londra, ma soprattutto nei mercati emergenti: fermi. ArtBasel nel 2009 era un trionfo di proposte di piccolo taglio e capitava che galleristi, nei privè, dimezzassero i prezzi dei grandi master. Poi i mercati hanno ritrovato il gusto dei record e della ‘normale esagerazione’ del capitalismo internazionale. Sono riapparsi i prezzi di decine di milioni di euro per il lavoro di individui come il transilvano Andy Warhol, campione di una marginalità disperata e irredimibile, oggi sugli altari di un valore privo di parametri umanamente comprensibili. Tutto tornato normale? Forse, ma era normale prima? Forse no. Il quadro del sistema dell’arte contemporanea e moderna pre-crisi era caratterizzato da tre principali driver di cambiamento. Aumento della domanda: da almeno un decennio erano cambiati il numero dei collezionisti, la loro disponibilità economica, le loro scelte. Nuovi ricchi nella finanza e nei paesi emergenti venivano alla ribalta: prima promuovendo arte europea o americana e quindi proiettando i nuovi artisti delle diverse nazioni nel firmamento del valore. Le dinamiche del mercato inducevano la formazione di nuovi attori (fondi) che enfatizzavano la finanziarizzazione del sistema dell’arte. Trasformazione del sistema di mediazione: la crescita della domanda si è congiunta a tecnologie che avrebbero potuto disintermediare i gatekeeper tradizionali del sistema, ovvero gallerie, musei e critici. Ma la natura particolare del sistema dell’arte ha impedito che questa disintermediazione riducesse la lunghezza delle catene distributive incrementando l’efficienza dei mercati. Al contrario, il ruolo delle gallerie è cresciuto, con la creazione di grandi entità internazionali, capaci di integrare produzione e promozione aumentando l’offerta complessiva di opere. Se mai si sono sviluppati altri intermediari capaci di ibridare la dimensione

Page 78: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Società e Cultura

72

museale e quella commerciale: le fiere. La loro presenza si è moltiplicata su scala internazionale, producendo occasioni di spettacolarizzazione, comportamenti emulativi dei collezionisti, nuove forme di esposizione. Terzo driver, la concentrazione sul repertorio e sulle icone. La complessità di un sistema che in pochi anni ha aumentato il volume e l’estensione del suo raggio d’azione ha concentrato l’attenzione collettiva su un repertorio ristretto di icone globali con un forte effetto di semplificazione. Tutti e tre questi elementi di trasformazione sono oggi ancora attivi. Ciò che cambia è il sistema nel suo complesso perché la crisi ha agito diversamente sul mondo privato delle gallerie rispetto a quanto accaduto in quello più pubblico dei musei. La scarsità di risorse tocca quest’ultimo – anche per la numerosità assoluta delle istituzioni (oltre 200 nuove costruzioni in dieci anni) – in modo assai più drastico e meno reversibile. Nel medio periodo il sistema sarà più privato e più orientato al mercato . Sarà questo un bene o un male? Le attività di ricerca e di sperimentazione plausibilmente si concentreranno nei musei più grandi o si disperderanno negli spazi indipendenti a basso budget. Le istituzioni culturali saranno più vincolate a compiti di entertainment sofisticato. Ma la sfida principale resta sullo sfondo, perché il mercato dell’arte non è solo un sistema di scambio, è un modo di istituire l’arte nella contemporaneità, di renderla possibile, capace di resistere (almeno un po’ ) al gioco feroce che porta l’arte fuori dal campo artistico e filosofico per ridurla a simulacro della possibilità di riscattare la natura interscambiabile e provvisoria del senso della vita, propria di un tempo in cui si tende a sradicare ogni consistenza metafisica dagli oggetti e dai gesti quotidiani. La domanda per il futuro sarà quindi: può il mercato essere un rimedio al nichilismo? Per la risposta aspettiamo le Sales autunnali… L’Autore Stefano Baia Curioni è professore associato di Storia economica alla Bocconi, dove è direttore del Corso di laurea magistrale in Economics and Management in Arts, Culture, Media and Entertainment e vicepresidente del Centro ASK, Art Science and Knowledge (del quale è stato direttore dal 2004 al 2009). È stato direttore generale della Fondazione ERGA, creata da Università Bocconi e Scuola Normale Superiore di Pisa, dal 2005 al 2009, e membro del comitato scientifico del Palazzo Te di Mantova dal 2008 al 2009. Ha fatto inoltre parte della Commissione per la valorizzazione del patrimonio culturale italiano, nominata dal Ministero per i Beni e le Attività Artistiche e Culturali. Aree di interesse scientifico Storia del pensiero economico. Analisi dello sviluppo istituzionale dei mercati di Borsa in Italia. Beni e attività culturali.

Da Bocconi Newsletter no. 95/2010

Page 79: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Società e Cultura

73

C’era una volta il fotogiornalismo di Marina Nicoli

Ci sono immagini indimenticabili, che raccontano la storia molto più delle parole, come quella dello studente fermo davanti ai carri armati in piazza Tienanmen. Oggi, il mercato della fotografia di informazione è in crisi. Marina Nicoli (docente ASK Bocconi) si chiede: è la fine del fotogiornalismo?

Quando parliamo di fotogiornalismo, non sfuggono al nostro ricordo le immagini che hanno contribuito alla formazione della nostra memoria storica visiva: la bimba colpita dal napalm in Vietnam, lo studente di piazza Tienanmen fermo davanti ai carri armati, i superstiti dell’attentato dell’11 settembre ricoperti da una coltre di polvere. Viviamo in un’epoca satura d’immagini, con un mercato in continua espansione (si stima che nel 2013 il mercato della fotografia digitale si aggirerà su 213 miliardi di dollari) eppure paradossalmente le fotografie sembrano diventate un semplice rumore di fondo. Su quotidiani e riviste il linguaggio fotografico è stato confinato a semplice segno grafico, illustrazione o riempitivo. Sempre più di rado l’editore si assume il rischio di investire nella produzione di nuovi reportage fotografici, dal momento che il web offre la possibilità di accedere ad enormi database di immagini a costi quasi irrisori. Come emerge dalla ricerca The Commoditization of Images: The Changing Landscape of Photojournalism, la chiusura negli ultimi anni di alcune tra le più importanti agenzie (Gamma, Sygma, acquisita da Corbis, L’Oeil Public, Grazia Neri), la caduta dei prezzi delle fotografie pubblicate su quotidiani e settimanali (da 110 a 15-20 euro per foto), la concorrenza di un numero sempre maggiore di fotografi amatoriali, la diffusione di siti di stock e l’offerta royalty free (fondata sulla possibilità di utilizzare un’immagine per un numero infinito di usi pagando poche decine di euro) ha portato gli addetti al settore a cantare il “de profundis” rispetto alla professione del fotogiornalista, denunciando una progressiva perdita di qualità nell’informazione visiva proposta ai lettori. Lo stato di crisi del mercato della fotografia d’informazione è generalizzato a livello internazionale ed è il risultato di cambiamenti registratisi dagli anni Novanta, quando lo standard tecnologico si è spostato al digitale. Se da una parte la tecnologia digitale ha aumentato la produzione d’immagini abbattendo tempi e

Page 80: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Società e Cultura

74

costi di sviluppo, dall’altra Internet ne ha favorito la velocità di circolazione. Contemporaneamente il mercato ha visto la nascita di nuovi tipi di intermediari online, quali Getty, Corbis e Jupiter, che hanno progressivamente acquisito il controllo del mercato offrendo immagini a prezzi concorrenziali e assorbendo alcune delle più importanti agenzie tradizionali. Nel corso del XX secolo le agenzie svolgevano un ruolo fondamentale non solo d’intermediazione tra i fotografi e gli editori, ma anche di garanti della qualità dei servizi fotogiornalistici. La crisi dell’editoria ha poi aggiunto un altro tassello alla storia: il calo dei lettori e il collasso delle fondamenta economiche della stampa (le inserzioni pubblicitarie), il crescente ruolo del giornalismo digitale come principale fonte di informazione, hanno contribuito a giustificare i tagli che le redazioni hanno operato sui fotografi di staff e sulla produzione di nuovi reportage. Le domande che scaturiscono da tali trasformazioni sono al centro del dibattito sul futuro del fotogiornalismo e più in generale dei media tradizionali: cosa sostituirà quanto si sta perdendo? I nuovi media dell’informazione garantiranno un’offerta di contenuti iconografici attendibili? Le agenzie fotografiche sono ancora validi intermediari o tale funzione può essere svolta dalle nuove tecnologie quali il web? Per sopravvivere le agenzie hanno provato ad adeguarsi, innescando una guerra di prezzi che ha determinato un sempre minor investimento nella produzione di nuovi contenuti fotografici. Dalle agenzie che hanno chiuso i battenti hanno iniziato a gemmare alcune alternative che potrebbero rappresentare il nuovo modello economico per il fotogiornalismo del XXI secolo. Tra queste, la nascita di collettivi fotografici, il crowdfunding (il finanziamento tramite micro donazioni), il finanziamento da parte del non profit. È il caso allora di domandarsi: il fotogiornalismo è morto? L’Autore Marina Nicoli è research affiliate del Centro ASK, Art, Science and Knowledge della Bocconi.

Da Bocconi Newsletter no. 96/2010

Page 81: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Società e Cultura

75

Donne e lavoro, una cultura contro di Paola Profeta

Occupazione femminile: l’Italia è molto lontana dagli obiettivi fissati a Lisbona per il 2010, soprattutto al Sud. Paola Profeta, docente Bocconi di Scienza delle finanze, si è chiesta quanto incidano, su questa situazione, i fattori culturali. E avverte: la strada da fare è ancora lunga.

L’Italia è fanalino di coda nelle classifiche sull’uguaglianza di genere nel mondo del lavoro. Il tasso di occupazione femminile è del 46%, penultimo in Europa, seguito solo da Malta e lontano dall’obiettivo del 60% fissato a Lisbona per il 2010, e ancora più lontano dal nuovo obiettivo che prevede per il 2020 un tasso di occupazione sia maschile sia femminile del 75%. Ma l’Italia è variegata: mentre il Nord con un tasso di occupazione superiore al 56% non è troppo lontano dall’obiettivo di Lisbona, per il Sud, fermo al 30,6%, la distanza è abissale. Eppure le differenze nei tassi di occupazione maschili tra Nord e Sud, pur esistenti, non sono così enormi. Lo stesso vale per i tassi di istruzione: anche al Sud le laureate hanno superato i laureati e la percentuale di laureati è molto simile a quella del Nord. Sembrerebbe quindi che al Sud quei fattori che possiamo riconoscere alle origini della bassa occupazione femminile in Italia, della mancata valorizzazione dei talenti delle donne e dei loro investimenti in istruzione siano molto accentuati. Quali sono questi fattori? Negli studi con Alessandra Casarico (Donne in attesa. L’Italia delle disparità di genere, Egea, 2010), oltre alle caratteristiche del mercato del lavoro e al ruolo delle istituzioni, ci soffermiamo sull’elemento familiare: la divisione del lavoro all’interno della coppia è in Italia molto sbilanciata, con le donne più dedite al lavoro domestico e al lavoro di cura e gli uomini impegnati sul mercato. Questa divisione dei ruoli così marcata è in realtà parte di un processo culturale più ampio: dipende da valori e norme sociali che tendono a riprodurla, espressione delle attitudini degli individui e delle imprese. Ci chiediamo quindi se l’eterogeneità dei differenziali occupazionali di genere sul territorio italiano si possa spiegare, almeno in parte, con fattori culturali. È quanto sosteniamo in una ricerca svolta su dati delle province italiane (Campa, Casarico, Profeta, Gender culture and gender gap in employment, CESifo Economic studies, in corso di pubblicazione). In questa ricerca misuriamo la cultura di genere con due

Page 82: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Società e Cultura

76

indicatori complementari. Il primo, teso a cogliere le preferenze individuali, è basato sulle risposte date a tre domande di una delle World Value Surveys: essere una casalinga è altrettanto soddisfacente che lavorare sul mercato? Un figlio in età pre-scolare soffre se la mamma lavora? Quando il lavoro scarseggia, gli uomini devono avere precedenza sulle donne? Valori più alti si associano a una cultura più avversa alle donne. Per avere un’idea, sulla seconda domanda oltre l’81% di italiani si dichiara d’accordo, contro una media europea del 50%, con valori al Sud molto più alti che al Nord. La seconda misura è basata sulle previsioni di assunzione di un campione di imprese in ogni provincia e sulle loro preferenze riguardo al genere, rilevate dall’indagine Excelsior di Unioncamere. Secondo questi dati nel 2008 il 41,4% delle imprese italiane dichiara di preferire l’assunzione di uomini, solo il 17,4% preferisce una donna e il resto è indifferente. Di nuovo, al Sud la percentuale di indifferenti è molto più bassa che al Nord. La nostra analisi econometrica mostra che, controllando per una serie di fattori rilevanti (le caratteristiche del mercato del lavoro, la disponibilità di lavori part-time, le caratteristiche socio-demografiche e il contesto istituzionale) nelle province in cui gli indicatori di cultura mostrano una maggiore apertura alle donne lavoratrici, i differenziali occupazionali di genere sono più bassi. Questo vale quando consideriamo entrambe le nostre misure di cultura, a indicare che si tratta di un risultato piuttosto robusto. Al Sud pesa una cultura più avversa alla donna lavoratrice, sia perché i cittadini preferiscono mantenere la divisione dei ruoli nella coppia, sia perché le imprese sono più restie all’assunzione di donne. La strada da fare è ancora lunga. L’Autrice Paola Profeta è professore associato di Scienza delle finanze alla Bocconi. Aree di interesse scientifico Economia pubblica. Sistemi di welfare (pensioni, istruzione). Economia di genere. Analisi comparata dei sistemi di tassazione.

Da Bocconi Newsletter no. 98/2010

Page 83: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Società e Cultura

77

L’economia dell’influenza di Guido Alfani e Alessia Melegaro

Nel 2009 l’allarme influenza suina ha fatto investire risorse enormi, a fronte di un rischio rivelatosi poi modesto. Per Guido Alfani (docente Bocconi di Storia economica) e Alessia Melegaro (Centro Dondena Bocconi) per pianificare interventi efficaci è necessario guardare anche al passato.

La parola pandemia ha causato molta confusione in occasione di recenti crisi quali quella provocata dalla cosiddetta influenza suina (A/H1N1). Informati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel giugno 2009 che si era appena entrati nella fase di massima possibile allerta pandemica e che ci si preparava a far fronte a una minaccia sanitaria globale, gli abitanti del pianeta si sono trovati improvvisamente a chiedersi quante sarebbero state le vittime di una pandemia, vale a dire di una epidemia capace, stando all’etimologia della parola, di colpire tutto il popolo e tutti i popoli. Gli esempi del passato non erano certo confortanti. In Italia, la peste nera del 1347-49 aveva spazzato via tra il 30 e il 60% della popolazione (vedi G. Alfani, A. Melegaro, Pandemie d’Italia. Dalla peste nera all’influenza suina: l’impatto sulla società, Egea, 2010). La peste del Manzoni del 1630 aveva ucciso, solo nel Nord della penisola, circa due milioni di persone. La più benigna influenza Spagnola del 1918, oggi impiegata comunemente quale parametro di stima del worst case scenario di pandemia influenzale, aveva comunque causato perdite umane ingentissime, dell’ordine delle 300-400.000 unità. Che cosa attendersi, dunque, dalla suina? Nonostante l’allarme delle prime ore e le reazioni scomposte di quanti ammassavano scorte di antivirali o organizzavano Swine Flu Parties per procurarsi un grado d’immunizzazione prima del (presunto) tracollo delle strutture sanitarie, il conteggio finale non supera, per l’Italia, le poche centinaia di decessi accertati: molti meno di quelli causati, ogni anno, dalla comune influenza stagionale. Pandemia, però, non significa alta mortalità, bensì elevata diffusione di una malattia. In questo senso, la suina fu davvero pandemica, con 7 milioni di casi stimati di ‘sindrome simil-influenzale’ in Italia tra il luglio 2009 e il luglio 2010, per la stragrande maggioranza causati da A/H1N1. Tuttavia, dopo l’esperienza dell’anno passato oggi si discute dell’opportunità di collocare nella stessa categoria malattie letali e non letali, anche allo scopo di evitare il ripetersi di allarmi non completamente giustificati, forieri di panico tra la popolazione e di danni per l’economia reale del paese. Se le pandemie del passato e quella più recente hanno avuto un impatto demografico radicalmente diseguale, lo stesso si può dire per le loro conseguenze economiche. La peste

Page 84: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Società e Cultura

78

nera causò la completa paralisi delle attività; alterò durevolmente gli assetti proprietari e le mentalità economiche; innalzò bruscamente i livelli di disuguaglianza. A ben vedere, ebbe anche qualche effetto positivo, ad esempio migliorando la disponibilità pro capite di risorse, ma la cosa che più conta è che ebbe un impatto economico enorme, neppure paragonabile a quello dell’influenza suina. Tuttavia, se consideriamo l’aspetto specifico delle risorse investite dalle autorità sanitarie e di governo nel fronteggiare le minacce pandemiche, vere o presunte, e se confrontiamo l’entità di tali risorse all’effettivo rischio corso da ciascun individuo durante la crisi, allora la suina spicca, tra le pandemie, per l’enormità delle risorse investite a fronte di un rischio rivelatosi davvero modesto. Trattandosi d’influenza, malattia quanto mai imprevedibile (e proprio la Spagnola ne fornisce una terribile evidenza empirica), la prudenza era sicuramente raccomandabile. Rimane aperto, però, il problema di valutare, specialmente in tempi di economia non florida, la sostenibilità sul lungo periodo di strategie d’intervento, nazionali e internazionali, potenzialmente assai costose e necessariamente impiegate agli albori di eventi che potrebbero rivelarsi non gravi. Conoscere la storia delle pandemie, caratterizzata da impressionanti fattori di continuità nella reazione sociale e istituzionale ai rischi di volta in volta generati da un ambiente instabile, appare (in questo come in molti altri casi) un ingrediente essenziale di ogni pianificazione razionale degli interventi volti a fronteggiare le crisi che ci attendono nel futuro, speriamo in quello remoto. Gli Autori Guido Alfani è assistant professor di Storia economica alla Bocconi, dove è fellow del Centro “Carlo F. Dondena” per la ricerca sulle Dinamiche sociali e dell'IGIER, Innocenzo Gasparini Institute for Economic Research. È responsabile della RDB Bocconi Distribution and Concentration of Wealth in Historical Perspective, e membro del progetto di ricerca internazionale Mobilités, Populations et Familles (MPF). Redattore capo della rivista Popolazione e Storia, è membro del comitato di redazione della rivista Genus, nonché cofondatore e organizzatore, con Vincent Gourdon, del network scientifico internazionale Patrinus. Aree di interesse scientifico Concentrazione e distribuzione della ricchezza durante l'Età Moderna. Disuguaglianza economica e sociale. Trend economico italiano nell'età preindustriale. Sistemi di alleanza sociale e reti di relazione. Pratiche di padrinato e di imposizione del nome. Geografia del costume. Storia delle carriere. Demografia storica. Alessia Melegaro è research fellow del Centro “Carlo F. Dondena” per la ricerca sulle Dinamiche sociali Bocconi. Aree di interesse scientifico Progettazione di programmi di controllo contro le malattie infettive efficaci e ed efficienti. Modellazione matematica, analisi statistica ed economica, studi sociologici per comprendere come gli individui entrino in contatto gli uni con gli altri e come si trasmettano di fatto le infezioni. Focus sui problemi reali che permetta ai decision maker di ottimizzare la progettazione di programmi di controllo di sanità pubblica.

Da Bocconi Newsletter no. 99/2010

Page 85: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Energia, Ambiente e Infrastrutture

Page 86: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma
Page 87: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Energia, Ambiente e Infrastrutture

81

Prime donne d’accordo. Ma nessuno si muove di Luigi De Paoli

Copenhagen: solo in apparenza la conferenza sul clima si è conclusa con un accordo. In realtà mancano prese d’impegno chiare e vincolanti. Per Luigi De Paoli, docente di Economia dell’energia e dell’ambiente in Bocconi, anche i leader europei si sono limitati a fare le prime donne.

Ogni anno i paesi che hanno aderito alla Convenzione quadro sui cambiamenti climatici del 1992 si riuniscono per discutere della sua attuazione. Col tempo le parti aderenti sono diventate 196 e gli osservatori un numero imprecisato. Ogni anno va così in onda una kermesse che, data la rilevanza del tema, attira anche l’attenzione dei media. La quindicesima Conferenza delle parti (Cop15) di Copenhagen è finita con l’approvazione del Copenhagen Accord, che difficilmente rimarrà a lungo nella memoria. Anzi, lo stesso termine ‘accordo’ è stato preso dai più in modo ironico perché più che con un accordo la conferenza si è conclusa con un non-accordo. Il documento prevede: che l’aumento globale della temperatura non superi 2 °C; che si cooperi affinché il picco delle emissioni sia raggiunto il prima possibile (e quindi che si inizi a diminuire le emissioni quanto prima) riconoscendo che i pvs avranno più tempo a disposizione; che entro il 31 gennaio 2010 i paesi Ocse e Eit dovessero presentare gli obiettivi di emissione e i pvs (se lo volessero) i loro programmi di riduzione delle emissioni, mentre le misure di riduzione potranno essere comunicate anche successivamente. L’accordo prevede poi finanziamenti per la riduzione della deforestazione nei pvs; l’impegno dei paesi sviluppati a mobilitare 30 miliardi di dollari per il triennio 2010-12, arrivando a 100 miliardi all’anno entro il 2020, per aiutare i pvs a ridurre le emissioni e ad adattarsi ai cambiamenti climatici; la creazione, di un Copenhagen green climate fund per gestire gli aspetti finanziari dei programmi di aiuto. Dalla lettura della lista di impegni e da quanto (non) sta accadendo si deduce che si è potuto (e voluto) intitolare il testo conclusivo della Cop15 “Accordo di Copenhagen” perché contiene dichiarazioni senza impegni davvero chiari e vincolanti. Prendiamo le somme promesse ai pvs: chi le mette a disposizione? Dove andranno? Alla luce dell’accordo, la risposta non può che essere vaga.

Page 88: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Energia, Ambiente e Infrastrutture

82

Prendiamo l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura media sotto i due gradi. Come si può garantirlo quando le nostre conoscenze non consentono di dire con precisione qual è la concentrazione di gas di serra da non superare? È un’affermazione di principio astrattamente condivisibile e perciò facile da sottoscrivere se non si precisano le implicazioni operative. Prendiamo allora l’elemento più operativo: sapere se ci saranno vincoli cogenti sulle emissioni per tutti o almeno per alcuni dopo il Protocollo di Kyoto, i cui effetti finiscono nel 2012. Qui si è raggiunto il massimo del contorsionismo per accontentare tutti. I paesi industrializzati avrebbero dovuto presentare autonomamente i loro obiettivi di riduzione delle emissioni al 2020 entro il 31 gennaio, ma nessuno lo ha fatto. I Pvs, dal canto loro, dovevano (ma senza impegno!) presentare dei piani di riduzione delle emissioni (senza obbligo di dichiarare un livello di emissioni globali) e nemmeno loro per il momento lo hanno fatto. Ma era così difficile prevedere quello che finora è accaduto tenendo conto che in una trattativa nessuno fa concessioni, se non a fronte di concessioni altrui e che proprio la Cop15 dimostrava che la trattativa al momento si trovava su un binario morto? La conclusione della Conferenza di Copenhagen si presta dunque a ribadire alcuni concetti. La lotta ai cambiamenti climatici coinvolge tutti i paesi come inquinatori e come inquinati e ha un costo. Tutti devono perciò dare il loro contributo, seppure con un impegno diverso. Tale impegno non può essere lasciato alla buona volontà dei singoli paesi. Ai negoziati non si partecipa in 200: è giocoforza restringere il numero dei partecipanti ai principali player e poi aggregare gli altri. L’Europa si è presentata ai negoziati apparentemente unita perché aveva già stabilito di ridurre le proprie emissioni del 20% al 2020, ma nei fatti in ordine sparso. Finché primi ministri e presidenti fanno le prime donne anche sul clima è difficile pensare che l’Europa sia ‘un’ negoziatore. L’Autore Luigi De Paoli è professore ordinario di Economia applicata alla Bocconi. In precedenza ha insegnato presso l'Università di Palermo, l'Università di Padova, l'Université des Sciences Sociales di Grenoble e lo SPRU, Università del Sussex di Brighton (UK). Aree di interesse scientifico Economia e politica dell'energia. Regolamentazione e politica industriale. Servizi pubblici. Economia delle aziende pubbliche. Economia dell'ambiente.

Da Bocconi Newsletter no. 85/2010

Page 89: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Energia, Ambiente e Infrastrutture

83

Infrastrutture. Impensabile una lista di priorità di Lanfranco Senn

Che si costruiscano strade, ponti o ferrovie, le infrastrutture progettate a Nord e a Sud d’Italia non mirano agli stessi obiettivi di sviluppo. Per questo, spiega Lanfranco Senn, direttore del CERTeT Bocconi, non si può immaginare una lista unica di priorità tra Settentrione e Meridione.

Il ruolo delle infrastrutture sullo sviluppo economico è assai controverso: vi è una parte di studi e ricerche scientifiche che giungono a conclusioni assolutamente positive e altri studi che invece tendono a dimostrare un loro impatto pressoché nullo. È probabile che a una conclusione univoca non si giungerà mai se non si pongono correttamente le domande e non si fanno alcuni distinguo. Nel nostro paese il dibattito si è spesso concentrato sull’opportunità di realizzare infrastrutture privilegiando il Sud, perché meno avanzato, oppure il Nord, perché più sviluppato e quindi più bisognoso di rimuovere alcune diseconomie esterne che ne impediscono la competitività internazionale. Di qualunque infrastruttura si parli, relative a trasporti, energia, risorse idriche, telecomunicazioni, è certo che le infrastrutture a Nord e a Sud non rispondono agli stessi obiettivi di sviluppo. Mentre a Nord la loro realizzazione consente di rimuovere alcuni vincoli allo sviluppo, nel Sud le infrastrutture dovrebbero consentire di creare condizioni di attrattività per le imprese e i cittadini. Tuttavia è evidente che le infrastrutture da sole non sono in grado di mettere in moto un processo di accelerazione dello sviluppo al Sud: costruire strade e autostrade, ferrovie, reti energetiche, ponti, porti e aeroporti non innesca necessariamente un circolo virtuoso se la domanda da parte dei sistemi produttivi e insediativi locali è insufficiente. Occorre invece una certa contestualità tra la realizzazione di infrastrutture ed emergere della domanda effettiva dei servizi che esse possono fornire: costruire reti ferroviarie (binari) se poi non c’è domanda di mobilità da parte di soglie sufficienti di merci e passeggeri può apparire inutile. La ‘scommessa’ sul ruolo potenzialmente positivo delle infrastrutture sullo sviluppo del Sud deve perciò essere coerente con parallele politiche di incentivazione produttiva e insediativa, di sicurezza, di qualità amministrativa, di servizi alle persone e alle imprese. Oppure, bisogna essere in condizioni di assenza di vincoli finanziari, per cui non si associa la scelta di realizzare infrastrutture solo alla loro potenziale sostenibilità economica, ma a seri obiettivi di riequilibrio territoriale del paese. Altrimenti si corre il rischio di rafforzare

Page 90: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Energia, Ambiente e Infrastrutture

84

un’astratta dotazione infrastrutturale indipendentemente dalla domanda, implicita o esplicita, dei servizi che dalla loro esistenza il territorio può ricavare (in termini di dotazione di infrastrutture di trasporto il Sud è oggi relativamente più dotato del Nord!). D’altro canto nel Nord il fabbisogno di infrastrutture è motivato dall’obiettivo di diminuire la congestione e l’inquinamento (per le infrastrutture di trasporto), di garantire continuità energetica a prezzi più contenuti per gli utenti, qualità dei servizi idrici più elevati… in un’ottica di competitività. In questo caso la domanda è già consolidata e le infrastrutture devono perseguire prevalentemente obiettivi di miglioramento qualitativo e solo in alcuni casi quantitativo: Malpensa esiste e non si tratta di costruire nuovi aeroporti, ma di rendere il territorio più accessibile alle destinazioni globali; l’Alta Velocità deve consentire rapide interconnessioni internazionali; lo sviluppo di fonti energetiche pulite deve rispondere all’esigenza della sostenibilità e di costi più bassi. Non si può pertanto immaginare di creare una lista unica di priorità infrastrutturali tra Settentrione e Meridione ma di individuare priorità diverse e strumenti diversi di valutazione: le analisi costi benefici, ad esempio, non sono adeguate a rispondere se non a scelte comparative tra infrastrutture e non a scelte assolute. Altrimenti il Sud sarà sempre penalizzato e il Nord sempre favorito. Occorrono invece strumenti più sofisticati come le analisi multi criteri che consentono di inquadrare le priorità in obiettivi più vasti di politica dello sviluppo complessivo del paese. L’Autore Lanfranco Senn è professore ordinario di Economia regionale alla Bocconi e direttore del CERTeT, Centro di Economia regionale, dei trasporti e del turismo. È professor di Economia alla SDA Bocconi, dove ha ricoperto la carica di direttore dell’Area Economia. Ha in precedenza insegnato presso le Università di Trento, Bari, Bergamo e Università Cattolica di Milano e, come visiting professor, al Politecnico di Zurigo e all’Università Hitotsubashi di Tokyo. Membro del Comitato Ordinatore dell'Università della Svizzera Italiana a Lugano, è esperto delle Direzioni Generali delle Politiche Regionali e dei trasporti dell’Unione Europea e presidente di Metropolitana Milanese Spa. Aree di interesse scientifico Economia Regionale. Economia Urbana. Economia dei Trasporti. Economia dei Servizi. Valutazione delle politiche regionali. Input-Output Analysis. Servizi di pubblica utilità.

Da Bocconi Newsletter no. 87/2010

Page 91: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Energia, Ambiente e Infrastrutture

85

Rinnovabili, occasione d’oro di Clara Poletti e Arturo Lorenzoni

L’Italia si è impegnata a livello internazionale a portare la quota di energia tratta da fonti rinnovabili al 17% nel 2020. Una sfida in cui le amministrazioni regionali avranno un ruolo chiave, mostrano Clara Poletti (direttore) e Arturo Lorenzoni (direttore di ricerca) dello IEFE Bocconi.

L’Italia ha assunto a livello internazionale l’impegno ad accrescere la sua quota di energia da fonti rinnovabili da poco più del 5% del 2005 al 17% al 2020. Una bella sfida non solo tecnologica ed economica ma anche culturale, che comporta investimenti di larga portata distribuiti sul territorio nazionale. Una sfida che passa attraverso il coinvolgimento diretto delle amministrazioni regionali, chiamate a regolare e indirizzare il processo di investimento secondo criteri di razionalità e sostenibilità. Quale contributo possiamo aspettarci dalle diverse aree del territorio nazionale? Se guardiamo alla distribuzione delle risorse naturali e, dunque, al potenziale fisico di sviluppo di fonti energetiche rinnovabili vediamo come il Centro-Sud Italia sia favorito, in particolare per l’energia eolica e solare. L’obiettivo al 2020 potrebbe dunque rappresentare un’occasione unica di crescita con il coinvolgimento di risorse locali (lavoro, capitali e conoscenze). Tuttavia, se guardiamo agli investimenti effettivamente realizzati notiamo come la crescita delle rinnovabili sia spesso stata più vivace in zone non particolarmente avvantaggiate nella dotazione potenziale. Si prenda ad esempio il fotovoltaico: i dati sembrano mostrare una forte attività anche nelle regioni del Nord. In termini di potenza fotovoltaica installata per abitante, il caso di maggior successo è quello del Trentino Alto Adige, che guida di gran lunga la classifica, grazie a una politica mirata e stabile, che ha costruito competenze diffuse sul territorio e creato una cultura imprenditoriale e amministrativa. I dati sul fotovoltaico mostrano con chiarezza che i fattori che guidano oggi le scelte di investimento non sono legati solo alla disponibilità di risorse, ma anche e soprattutto a fattori non direttamente riferiti alla tecnologia. In primo luogo la tempestività nel cogliere nuove opportunità, così come la prontezza nell’adesione culturale a un nuovo modello energetico, in cui gli investimenti sono distribuiti sul territorio. Per l’effettiva realizzazione degli obiettivi assunti con l’Unione europea non sono determinanti solo le imprese, ma anche l’amministrazione, la finanza e tutta la società, che devono concorrere a creare l’ambiente favorevole, capace di spingere verso l’utilizzo delle fonti rinnovabili. E se è vero che ci sono esempi virtuosi tra le regioni

Page 92: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Energia, Ambiente e Infrastrutture

86

del Nord, è anche vero che alcune regioni del Sud, segnatamente la Puglia, hanno colto perfettamente le opportunità che il settore offre e sono oggi il riferimento nazionale per quanto riguarda le fonti rinnovabili, mentre altre regioni del Nord accusano ritardi enormi rispetto alle loro potenzialità. Nella convinzione che gli investimenti in questo settore rappresentino un’occasione di crescita per il territorio, si nota come di fatto si possa prevedere una concorrenza tra le amministrazioni regionali nell’attrarre i nuovi investimenti. Gli investimenti in nuova capacità si devono fare, per gli impegni assunti su scala internazionale. Le amministrazioni che meglio riusciranno a creare le condizioni perché gli investitori possano operare riusciranno a portare sul proprio territorio ricadute importanti in termini di lavoro, conoscenza, ritorni sul capitale. E questa è un’occasione che soprattutto le regioni del Sud non possono perdere. Gli Autori Clara Poletti è direttore dello IEFE, Istituto di Economia e politica dell’energia e dell’ambiente Bocconi. È stata direttore della Divisione Mercato e competizione dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas. Aree di interesse scientifico Regulation. Electricity markets design. Arturo Lorenzoni è direttore di ricerca presso lo IEFE, Istituto di Economia e politica dell’energia e dell’ambiente Bocconi e professore associato di Economia dell’Energia ed Economia del Mercato Elettrico presso il Dipartimento di Ingegneria elettrica dell’Università degli Studi di Padova. Consulente per diversi enti e operatori del settore (Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas, ENEA, Associazione dei Produttori di Energia Rinnovabile, Unindustria, Associazione Nazionale Costruttori Edili, Kyoto Club, vari Comuni, imprese varie), collabora con numerose riviste di settore. Aree di interesse scientifico Economia applicata al settore dell’energia e regolamentazione del settore. Sviluppo delle fonti rinnovabili di energia. Gestione del sistema elettrico.

Da Bocconi Newsletter no. 88/2010

Page 93: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Energia, Ambiente e Infrastrutture

87

Il petrolio in crisi impari dall’industria nucleare di Emanuele Borgonovo

Dopo Chernobyl e Three Mile Island, il nucleare subì le stesse critiche vissute oggi dall’industria petrolifera. Ne è uscito un risk management rinnovato, fondato sul principio della ‘defense in depth’. Per Emanuele Borgonovo, direttore ELEUSI Bocconi, il petrolio ora può fare lo stesso.

È indubbio che la storia sia caratterizzata da corsi e ricorsi. All’inizio dell’estate, in un dibattito al Senato degli Stati Uniti sul gravissimo disastro nella ormai famigerata piattaforma della British Petroleum, è stata rivolta a George Apostolakis, commissioner della Nuclear Regulatory Commission, la domanda su che cosa differenzi l’industria nucleare dall’industria petrolifera in materia di sicurezza. La risposta è stata: “Il principio della defense in depth, ovvero della difesa in profondità”. Tale principio stabilisce la sicurezza come principio fondante del modo di operare di qualunque player dell’industria nucleare. Uno dei dibattiti che sta pervadendo l’analisi dei rischi del nucleare nel Nord America proprio di questi tempi è quello di come misurare la “safety culture”, ovvero di trovare degli indicatori che siano in grado di segnalare al regolatore se l’organizzazione nel suo complesso sia improntata alla sicurezza come primo valore o se si stia derogando al principio della defense in depth. Notiamo anche che tutta l’attività dell’autorità per la sicurezza americana è approntata alla massima trasparenza. Nel caso del nucleare, l’attenzione alla sicurezza è d’obbligo, viste le conseguenze catastrofiche di un incidente. Abbiamo parlato di corsi e ricorsi, perché trent’anni fa, dopo il disastroso incidente di Chernobyl, proprio l’industria nucleare è stata oggetto delle medesime domande a cui è sottoposta oggi l’industria petrolifera, in termini di miglioramenti nella sicurezza. Il problema del risk management è quello di trovare risposte gestionali vaste e, se possibile, definitive al problema. Tra i risk manager circola spesso il seguente aneddoto. Un amico dice all’altro: “Ieri mi sono schiantato contro un albero, però ho imparato. Adesso, quando ripasserò di lì, lo schiverò”. E l’altro: “Ma, dopo che hai sterzato, fai attenzione anche agli altri alberi”.

Page 94: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Energia, Ambiente e Infrastrutture

88

L’assenza d’incidenti negli ultimi vent’anni sembrerebbe però, con le dovute cautele, segnalare che esperienze estremamente negative quali i disastri di Chernobyl e Three Mile Island siano stati utilizzati dall’industria nucleare per un ripensamento profondo del risk management. L’assenza d’incidenti sta anche riportando la fiducia del pubblico verso il nucleare, tanto che si parla ormai apertamente di nuclear renaissance, con numerosi paesi quali gli Stati Uniti (con 17 dichiarazioni di intenti), Inghilterra, Germania, e Italia pronti a rivedere le proprie scelte. Rispetto agli altri paesi, l’Italia si trova in una posizione al tempo stesso di privilegio e svantaggio. Il privilegio sta nel fatto che, partendo da capo, ha l’opportunità di strutturare il proprio assetto in ambito di industria nucleare adottando direttamente le più attuali best practice. Lo svantaggio sta nel fatto che, anche se in Italia si tratterà di un sistema con dimensioni non paragonabili a quelle statunitensi, quella nucleare è una tecnologia complessa, che va affrontata con la ristrutturazione di un intero sistema, che parte dalla costruzione dell’autorità per la sicurezza, e finisce con la gestione delle scorie. Le scelte devono inoltre essere accompagnate dalla più totale trasparenza sia nella comunicazione passo-passo delle decisioni del ritorno al nucleare, sia poi nella gestione e nella regolamentazione del sistema. L’esperienza americana del deposito di rifiuti radioattivi di Yucca Mountain, con 9 miliardi di dollari bloccati dal dissenso della popolazione locale a progetto quasi concluso, insegna che senza trasparenza la fiducia nel nucleare non si tramuta in accettazione. L’Autore Emanuele Borgonovo è professore associato presso il Dipartimento di Scienze delle decisioni alla Bocconi e direttore dell’ELEUSI, Centro per l'Elaborazione logica e l'utilizzazione sistematica dell'informazione. È membro onorario della Sigma XI, the Scientific Research Society of North America e della Alpha Nu Sigma, la Società Onoraria dell'American Nuclear Society. È membro dell'editorial board dell'International Journal of Mathematics in Operational Research e collabora con l'editorial board dell'European Journal of Operational Research. È referee per Risk Analysis, Annals of Operations Research, European Journal of Operational Research, Theory and Decision, International Journal of Production Economics, Finanza Marketing e Produzione, Reliability Engineering and System Safety, IIE Transactions, International Journal of Numerical Methods in Engineering, Journal of Risk and Reliability, International Journal of Geographical Information Science. Aree di interesse scientifico Metodi matematici per l'analisi di sensibilità locale e globale. Analisi di incertezza. Analisi del rischio. Modellazione finanziaria. Valutazione di Investimento. Opzioni Reali. Project Financing. Teoria delle decisioni.

Da Bocconi Newsletter no. 95/2010

Page 95: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Tecnologia e Innovazione

Page 96: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma
Page 97: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Tecnologia e Innovazione

91

Quando l’utente non genera più di Luigi Proserpio

I contenuti generati dagli utenti sono alla base del web 2.0, ma ancora non esiste un nuovo Google che permetta di valorizzarli. L’eccesso di rumore (o “marmellata digitale”) rischia di soffocare il mondo di Internet e dei social network, spiega Luigi Proserpio, docente del Dipartimento di Management e tecnologia della Bocconi.

Magari non capiterà proprio l’anno prossimo, ma Internet rischia di subire un’involuzione importante se gli utenti ridurranno il loro contributo in termini di contenuti. Il concetto di web 2.0 è intimamente legato a quello di contenuto generato dagli utenti, in gergo ugc, user generated content. Ipotizziamo che gli utenti diminuiscano o smettano di contribuire con filmati, commenti, fotografie; questo potrebbe minare molti dei processi sociali che sono alla base della nuova internet. Ad oggi, gli ugc aumentano la massa di informazioni presente in rete e sono alla base del coinvolgimento emotivo di chi contribuisce e commenta. Gli stessi contenuti, presenti in grande quantità, rendono però difficile, o più semplicemente frustrante, l’utilizzo del web. In teoria è possibile trovare argomenti di nicchia, assenti dai media tradizionali, cercare risposte ai propri quesiti tecnici, lasciare una traccia della propria competenza o semplicemente della propria identità digitale. In pratica questo si scontra spesso con la difficoltà di giudicare la qualità della fonte e con l’inadeguatezza degli strumenti di ricerca che Internet ci propone. Quattro variabili potrebbero determinare il crollo della contribuzione. Innanzitutto, la bassa qualità e visibilità dei contenuti generati dagli utenti. La marmellata digitale (l’eccesso di rumore) sommerge gli ugc e non ne permette la valorizzazione. Non è un grande problema se i navigatori sono maturi abbastanza da non aspettarsi ricompense/notorietà dai propri upload su internet. Può invece rappresentare un pericolo se provoca frustrazione negli utenti che non si sentono ripagati degli sforzi, sempre fatti pro bono. Troppi filmati di bassa qualità portano all’emersione di quelli migliori (il lato positivo) ma anche alla decisione di evitare in futuro contribuzioni che hanno creato frustrazione (il lato negativo). Siccome tanti contenuti generano molti commenti che si distribuiscono secondo una logica long tail, avere una diminuzione di numerosità può portare all’impoverimento.

Page 98: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Tecnologia e Innovazione

92

In secondo luogo, l’accresciuta difficoltà di ricerca degli ugc, che spesso non porta ai risultati sperati. La ricerca algoritmica di Google indirizza ma non risolve tutti i problemi. Ovviamente sottostima gli ugc a favore di realtà più istituzionalizzate. La ricerca basata sui contributi degli utenti (tag, voti, segnalazioni) è embrionale. Come risultato, non trovare contenuti significa diminuire la possibilità di valorizzare la produzione degli utenti. Terzo, la non cancellabilità dell’identità digitale. La digital reputation e la digital identity sono un’opportunità e un pericolo. Molti dei messaggi lasciati in rete non hanno la caducità delle conversazioni orali. Jimmy Wales, fondatore di Wikipedia, scrive nella prefazione a Throwing sheep in the boardroom (di Fraser e Dutta) che non si devono ingabbiare troppo gli utenti pensando che i loro comportamenti saranno negativi e poco etici. Questo è certamente di buon auspicio, ma se le persone autodanneggiano la propria identità digitale, poi è difficile rimettere assieme i pezzi. Si rischia di avere una cura dell’identità digitale molto più bassa di quella fisica e questo impatta anche sui contesti di lavoro, aprendo il privato ai colleghi. Il dileggio diventa permanente se memorizzato nei social network. Infine, la mancanza di appeal sociale dei social network, che iniziano a essere meno attrattivi anche per i più giovani. Gli internauti scrivono tante cose, ma gli strumenti per generare atmosfera sono ancora molto approssimativi. Utilizzare Facebook per le prime volte, con un numero sufficiente di amici, dona una sensazione positiva di realtà aumentata. Dopo qualche mese può diventare luogo noioso per la quantità di informazioni generate dagli utenti e per la ripetitività delle stesse. Il ‘Facebook suicide’ è piuttosto frequente di questi tempi, perché l’applicazione non riesce più a generare una atmosfera calda, coinvolgente ed attrattiva. Il mondo di Internet è alla ricerca di una nuova Google che possa aiutare a valorizzare i contenuti generati dagli utenti. Se questo funzionerà, saremo di fronte a molti altri anni di prosperità e sviluppo. In caso contrario, ci attendono tempi più oscuri. L’Autore Luigi Proserpio è professore associato presso il Dipartimento di Management e tecnologia della Bocconi e professor di Organizzazione e personale alla SDA Bocconi. Aree di interesse scientifico Groupware. Distance Learning. Knowledge Management. Cambiamento organizzativo indotto dalle tecnologie di informazione e comunicazione.

Da Bocconi Newsletter no. 81/2010

Page 99: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Tecnologia e Innovazione

93

Collaborare anche quando il gioco si fa duro di Emanuela Prandelli e Gianmario Verona

Si può innovare, condividendo con altri i segreti dei nuovi prodotti? Emanuela Prandelli, vicedirettore KITeS, e Gianmario Verona, direttore PhD in Business Administration Bocconi, mostrano le opportunità date dalla “collaborative innovation” e da logiche di scambio non strettamente economiche.

La collaborative innovation (Ci) è da qualche anno considerata la best practice per innovare. Per Ci si intende una filosofia di progettazione e sviluppo di prodotti e servizi che abbandona sia la convinzione di riuscire a innovare nell’ambito di una singola impresa sia i timori di condividere i segreti legati all’innovazione. Al contrario, è un’innovazione che abbraccia le opportunità di condivisione di informazione e conoscenza. La Ci si è fatta strada nei laboratori di r&d e nelle funzioni di design e marketing di alcune delle aziende più aperte al cambiamento sia a livello locale che globale. Dai casi più sobri in cui la co-progettazione avviene attraverso una rete di alleanze (il settore farmaceutico), a quelli in cui l’innovazione avviene grazie alla condivisione delle competenze di clienti e ricercatori (Procter & Gamble e L’Oreal), sino alle forme di innovazione integralmente co-creata da un’impresa (come in InnoCentive, Threadless e Lego) o da comunità orchestrate dagli stessi utenti (come in Linux), la Ci pare aver intrapreso un percorso di diffusione irreversibile. Oggi due soli fattori ostacolano una diffusione anche più ampia e veloce: l’atteggiamento culturale di molti operatori e la fisicità dei prodotti. Superare timori e rischi legati alla condivisione di un bene prezioso come l’innovazione rappresenta una sfida che richiederà ancora alcuni anni per essere metabolizzata. La Ci impone l’abbandono di una logica di scambio strettamente economica (come insegna il Nobel per l’economia 2009, Elinor Ostrom) a favore di un approccio legato ad aspetti meno razionali, non semplici da accettare per una generazione abituata a una nozione proprietaria di innovazione. Il secondo aspetto riguarda invece i vincoli d’interazione per i prodotti tangibili. Le parole che permettono di co-innovare su Wikipedia e i codici che consentono a Linux di far propria la conoscenza di molteplici user si prestano alla Ci molto più di quanto possano fare i prodotti e servizi che caratterizzano gran parte degli operatori economici. I primi casi di open source hardware (Osh) aiutano però a capire come superare questo secondo ostacolo. L’Osh è una pratica emersa nello sviluppo di diversi prodotti, dai sintetizzatori ai telefoni cellulari. Centinaia di inventori di hardware hanno cominciato a pubblicare le loro specifiche di prodotto, dando vita a innovazioni

Page 100: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Tecnologia e Innovazione

94

inimmaginate alla fonte. Dall’Osh sono anche emersi nuovi progetti imprenditoriali, come Arduino, il primo microcontroller open-source. L’impresa che ha creato Arduino (http://tinker.it) rende disponibili online tutti i segreti commerciali relativi a questo nuovo tipo di circuito elettronico: oltre al software, l’azienda mette apertamente a disposizione della comunità degli utenti le specifiche e i disegni originali delle parti elettroniche. Scaricandoli, ognuno può costruire Arduino da solo e personalizzarlo per poterlo implementare all’interno del proprio prodotto, da un personal robot a un motore d’auto. In questo modo, l’Osh viene a caratterizzarsi quale processo che consente di separare la fisicità dell’oggetto dalla sua componente progettuale. Si lavora a partire da un codice sorgente, che viene poi adattato alla varietà di prodotti per i quali si vuole immaginare la soluzione. E stimolando la creatività dei singoli e la loro imprenditorialità. Grazie all’Osh, la collaborative innovation acquisisce credibilità anche in contesti industriali originariamente inaccessibili a causa dei vincoli fisici del prodotto. E così facendo, dischiude ulteriori porte al futuro dell’innovazione. Gli Autori Emanuela Prandelli è professore associato di Management alla Bocconi, dove è vicedirettore del Centro KITeS, Knowledge, Internationalization and Technology Studies, e professor di Marketing alla SDA Bocconi. Aree di interesse scientifico Web Marketing e commercio elettronico. Impatto delle tecnologie digitali sul processo di innovazione. Fashion Management. Management delle aziende editoriali. Gianmario Verona è professore ordinario di Economia e gestione delle imprese alla Bocconi e direttore del PhD in Business Administration and Management. Professor dell’Area Marketing della SDA Bocconi, ricopre la carica di Programme Chair della Divisione Competitive Strategy della Strategic Management Society. Insegna presso la Tuck School of Business al Dartmouth College. È membro dell’editorial board di Strategic Management Journal e vicedirettore della rivista Economia & Management. Aree di interesse scientifico Technology and Innovation Management. Dynamic Capabilities. Knowledge Integration. User Innovation and Entrepreneurship.

Da Bocconi Newsletter no. 82/2010

Page 101: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Tecnologia e Innovazione

95

Online falliscono i maniaci del controllo di Silvia Vianello

Libertà di espressione, ampia base di utenti, varie attività informative: le aziende hanno molto da imparare dalle community gestite dai consumatori. Per Silvia Vianello, docente Bocconi di e-marketing, regole troppo strette mettono in fuga gli utenti dalle community gestite dalle aziende.

Le brand community, ovvero quelle community fondate online come punto di avvicinamento e incontro tra azienda e consumatori o tra consumatori tra loro, se gestite correttamente costituiscono un potente strumento di marketing. Molte brand community gestite dalle aziende, però, falliscono in quanto nel processo di segmentazione-targeting-positioning definiscono ex-ante un target di partecipanti eccessivamente ristretto. Inoltre enfatizzano discussioni intrinsecamente correlate ai prodotti esistenti. Il livello di controllo di queste community da parte delle aziende è spesso molto elevato, con moderatori che impediscono ai consumatori di postare commenti che non rispettino regole a volte troppo stringenti. Il risultato è che i consumatori partecipano (se partecipano) a queste community per scopi puramente egoistici, quali ad esempio motivi funzionali di risoluzione di specifici problemi con un prodotto dell’azienda. Spesso in questo contesto non vi è dunque formazione di legami o relazioni stabili né tra l’azienda e i consumatori né tra i consumatori tra loro e viene meno il clima collaborativo che caratterizza altre tipologie di community. Diversamente, talvolta le community gestite dai consumatori sono più efficaci in quanto non essendoci conflitti di interessi (quali ad esempio tenere celati alcuni difetti di fabbricazione dei prodotti o il lancio di un nuovo prodotto per il temuto effetto di cannibalizzazione) permettono ai partecipanti di esprimersi liberamente con discussioni inerenti sia i prodotti dell’azienda, sia quelli dei competitors. Inoltre permettono a una base di partecipanti più ampia di prendere parte alle discussioni, per esempio con un linguaggio non eccessivamente tecnico. Maggior libertà di espressione, potenziale base utenti più ampia, l’incoraggiamento dei gestori alla partecipazione a uno spettro più ampio di attività (confronto prezzi, confronto prodotti di diversi player del mercato, etc) sono condizioni che facilitano la formazione di una community.

Page 102: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Tecnologia e Innovazione

96

In altre parole, spesso i consumatori partecipano a queste community per passione nei confronti del brand, per motivi emotivi e di socializzazione. Questo costituisce la base di partenza per la formazione di una vera community. Con quali vantaggi? Una volta formatasi una community, può essere utilizzata come strumento per vari scopi di marketing, a bassissimi costi. Si possono condurre ricerche di marketing con veloce turn-around, generare e testare idee per innovazioni di prodotto, fornire servizi di supporto al cliente di elevata qualità con l’ausilio di consumatori esperti, educare e fidelizzare i consumatori che acquistano un prodotto dell’azienda per la prima volta, rafforzare l’attaccamento al brand dei consumatori esistenti. Per fare in modo che le aziende possano beneficiare di questi vantaggi, e che le community di maggior successo non siano quelle gestite dai propri consumatori, le aziende dovranno imparare a indirizzare correttamente i loro sforzi di marketing online, in certe circostanze proprio imitando le dinamiche delle community gestite dai consumatori, per non perdere enormi potenziali. L’Autrice Silvia Vianello è docente di e-marketing e e-commerce alla Bocconi e assistant professor di Marketing alla SDA Bocconi. Aree di interesse scientifico Digital marketing. Pricing. Marketing farmaceutico. Marketing strategico. Green Marketing.

Da Bocconi Newsletter no. 83/2010

Page 103: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Tecnologia e Innovazione

97

Fatto l’e-book, facciamo i libri di Paola Dubini

Il fenomeno iPad e la crescente diffusione degli e-book reader hanno aperto nuove opportunità nel mercato editoriale. Per Paola Dubini (direttore del Centro ASK Bocconi) ora la vera sfida sarà creare prodotti innovativi, che sfruttino in pieno le potenzialità di questo strumento.

Rispetto ad altre filiere, quella editoriale libraria si trasforma lentamente: la tecnologia precedente e ancora oggi dominante ha consolidato in circa cinque secoli un supporto estremamente versatile per almeno tre tipi di fruizione che oggi sono possibili con device specializzati: quella rilassata, tipica dei libri di varia, quella in mobilità (ad esempio durante un viaggio), quella interattiva, tipica della ricerca e dell’approfondimento. La diffusione di supporti progressivamente più funzionali, specializzati per ciascuna funzione e complementari fra loro, apre possibilità di accesso ai contenuti ed esperienze di lettura indubbiamente più ricchi e stimolanti ed è destinata a rendere sempre più debole il vantaggio competitivo del supporto cartaceo. Se fino a oggi ero scettica sulle possibilità degli e-book (qualunque cosa significasse il termine) di rappresentare un genuino elemento di discontinuità rispetto al passato, oggi quattro fattori mi portano a pensare che sia giunto il momento del cambio di traiettoria: l’emergere di standard di pubblicazione ‘neutri’ rende possibile per l’editore immaginare un trattamento dei testi che permetta la declinazione su diversi supporti; le trasformazioni in atto nella filiera dei quotidiani e l’avvio dei processi di digitalizzazione della scuola rappresentano agenti di cambiamento economicamente e socialmente ben più potenti dei libri e spingono aziende e consumatori a cavalcare il cambiamento; la diffusione di reader dedicati e quindi di cataloghi di titoli creano l’opportunità di mercato, l’occasione perché diversi attori modifichino i propri comportamenti nella stessa direzione e permettano quindi un nuovo allineamento della filiera lungo una direzione di sviluppo diversa rispetto al passato. Anche così, però, potrebbe non bastare: di sicuro, l’iPad è destinato a essere il prodotto cool del Natale 2010, e gli editori lo sanno bene, tant’è che si sono affrettati ad annunciare per l’autunno cataloghi di titoli e-book; però quasi metà della popolazione in grado di leggere in Italia non legge nemmeno un libro l’anno (esclusi i libri di scuola) e metà di quelli che leggono, ne ‘consuma’ da uno a tre: non abbastanza da giustificare l’acquisto di un device dedicato per la lettura ‘rilassata’ e per di più ad oggi costoso e non superiore, semmai complementare nelle sue funzionalità, rispetto alla carta.

Page 104: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Tecnologia e Innovazione

98

Creato il contesto, ora bisogna creare i libri nuovi, prodotti pensati fin dall’inizio per una genuina fruizione multimediale e non come testi su carta cui aggiungere “appendici” più o meno curate su siti companion o su supporti vari. Uno dei grossi pregi dei reader rispetto al pc è di ridare dignità al testo, di rendere nuovamente piacevole la lettura. Se però il pregio degli e-book per un forte lettore deve essere solo il fatto di avere in un device tanti titoli e di non dover viaggiare con una valigia di carta, tutto sommato non credo cambierà molto. Se invece pensiamo alle infinite possibilità di arricchire di servizi una guida turistica o di inserire l’esperienza di visita a una mostra in un gioco di sponda fra l’opera, l’audioguida, il catalogo, l’e-book apre le porte a un futuro entusiasmante di innovazione e di allargamento del mercato. Alcuni dei testi scolastici di nuova concezione, declinati per modalità didattiche in aula, a distanza, su carta e su digitale sono operazioni editoriali e didattiche straordinarie, in grado di stimolare la curiosità del Lucignolo più incallito e di aiutare nel suo lavoro l’insegnante più affaticato. I servizi pensati per la (auto)verifica dell’apprendimento rappresentano genuini passi avanti nel miglioramento dei processi didattici. Ci vorrà certo tempo per avere opere che sfruttino le molte opportunità offerte dai nuovi supporti, ma credo che i tempi siano maturi per immaginare un’economia del libro diversa dall’attuale. Amazon ed Apple hanno fatto la loro. La parola ora passa agli editori. O a Google. L’Autrice Paola Dubini è professore associato di Economia aziendale alla Bocconi, dove è direttore del Centro ASK, Art, Science and knowledge, e docente senior dell’area Strategia della SDA Bocconi, presso la quale è anche affiliato al centro di ricerca DIR Claudio Dematté. È inoltre docente di Economia della cultura e di Economia delle Imprese editoriali presso la Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università degli Studi di Milano e responsabile del modulo di Economia del Master per redattori dell’Università degli Studi di Milano e AIE, Fondazione Mondadori. Aree di interesse scientifico Modelli di business nelle filiere dell’informazione e della comunicazione. Economia delle imprese che operano nei settori artistici, culturali e del turismo. Attrattività e competitività dei territori. Imprenditorialità. Economia Aziendale e Strategia di impresa.

Da Bocconi Newsletter no. 94/2010

Page 105: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Tecnologia e Innovazione

99

Web 2.0 e Y-Gen, le verità nascoste di Leonardo Caporarello e Giacomo Sarchioni

È opinione diffusa che i giovani tra i 20 e i 30 anni (la “Y-Gen”) siano i custodi dei segreti del nuovo web: ma è davvero così? Leonardo Caporarello e Giacomo Sarchioni (direttore e collaboratore Learning Lab SDA) avvertono: possedere gadget tecnologici non significa averne conoscenza.

Sono ormai alcuni anni che si parla di Web 2.0. Giornali, tv, siti Internet usano questo termine, senza dubbio affascinante, sempre più spesso. Rispetto alla “versione 1.0”, il 2.0 rappresenta in sostanza una diversa modalità di comportamento in rete basata sulla partecipazione attiva e sull’interazione tra i suoi utenti. È inoltre ampiamente diffusa la convinzione che gli individui della cosiddetta generazione Y, ovvero i giovani di età compresa tra 20 e 35 anni, siano i custodi dei segreti del nuovo web: ma è proprio così? Abbiamo così deciso, al Learning Lab di SDA Bocconi, di condurre uno studio per verificare il livello di conoscenza del fenomeno “2.0” posseduto dai giovani della Y-gen. Un’analisi preliminare dei dati raccolti fornisce qualche riflessione interessante. In primo luogo emerge come i rispondenti abbiano una conoscenza del 2.0 più di tipo superficiale che di dettaglio. Infatti, ad esempio, riconoscere il logo di alcuni famosi social network e altri strumenti 2.0 è stato semplice per quasi tutti i rispondenti. Così come altrettanto semplice è stato definire qual è la differenza tra 1.0 e 2.0, cosa si intende per cloud computing, cos’è un ambiente di collaborazione wiki. Ma indagando la loro conoscenza su alcune funzionalità degli strumenti 2.0, come gli RSS feed e Google Docs, la percentuale delle risposte esatte si riduce al di sotto del 20%. Abbiamo poi indagato quanto i rispondenti siano dotati di tecnologia. In particolare è stato loro chiesto di indicare quali tecnologie possiedano tra quelle da noi suggerite (tra parentesi è riportata la frequenza delle risposte): Internet ad alta velocità (81,5%), telefono 3G/Umts (74%), chiavetta Internet Usb (63%), tv lcd/plasma (67%), TV pay-per-view (48%). C’è una relazione tra “quante tecnologie si possiedono” e il livello di conoscenza del 2.0?

Page 106: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Tecnologia e Innovazione

100

Per meglio rispondere a questa domanda, abbiamo diviso i rispondenti in due gruppi, in base al numero di risposte corrette fornite, e cioè in “pionieri” e “tradizionalisti”. Il dato interessante è che non emerge una specifica associazione, come forse ci si potrebbe aspettare, tra il gruppo di appartenenza (pionieri o tradizionalisti) e la numerosità delle tecnologie possedute. In altri termini, possedere tanta tecnologia non implica necessariamente un elevato livello di conoscenza del fenomeno 2.0. Questo risultato è in linea con uno studio condotto da Nielsen nel 2009, secondo il quale il giovane della Y-gen sempre connesso e cresciuto tra i computer altri non è che un mito piuttosto diffuso. Inoltre, lo stesso studio afferma che i giovani statunitensi compresi nella fascia d’età 12-24 anni, pur possedendo per la maggior parte (90%) una connessione Internet domestica a banda larga, trascorrono una quantità di tempo online notevolmente inferiore (circa 13 ore al mese) alle ore trascorse in rete dagli utenti compresi nella fascia d’età 35-54 (circa 40 ore al mese). La figura del giovane sempre connesso sembra, pertanto, non trovare un effettivo riscontro nella realtà. Altro risultato interessante riguarda la relazione tra l’essere 2.0 e gli interessi personali. Abbiamo riclassificato le risposte raccolte in merito agli interessi in quattro principali categorie: viaggiare, spettacolo e cultura, sport, hobby e tempo libero. Ciò che emerge è che gli appartenenti al gruppo dei pionieri hanno una più ampia gamma di interessi. Infatti, mentre tutti i rispondenti amano viaggiare, fare sport e interessarsi di spettacolo ed eventi culturali, solo gli appartenenti al gruppo dei pionieri mostrano una predilezione nei confronti di hobby e tempo libero. Queste prime evidenze sembrano confermare quanto detto in apertura: essere 2.0 indica più un “comportamento” basato sull’interazione che una conoscenza degli strumenti 2.0 e il possesso delle più moderne tecnologie. Il tipico ventenne dotato di iPhone e perennemente connesso a Facebook potrebbe essere molto meno 2.0 di quanto si creda. Gli Autori Leonardo Caporarello è docente di Organizzazione e sistemi informativi alla Bocconi e direttore del Learning lab della SDA Bocconi. Aree di interesse scientifico Analisi e riprogettazione dei processi aziendali. Progettazione e sviluppo organizzativo in relazione agli obiettivi strategici. Gestione del cambiamento organizzativo. Comportamento organizzativo nei processi di implementazione di nuove tecnologie. Giacomo Sarchioni è collaboratore del Learning lab della SDA Bocconi.

Da Bocconi Newsletter no. 97/2010

Page 107: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Finanza

Page 108: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma
Page 109: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Finanza

103

Alle banche non possono bastare due aspirine di Andrea Resti

Il 2010 dovrebbe portare a una lenta ripresa per le banche. Andrea Resti, direttore del CAREFIN Bocconi, mette però in guardia: guai se il clima di scampato naufragio rallentasse l’indispensabile processo di riforma, e se il sistema bancario venisse così privato dei necessari cambiamenti strutturali.

Per le banche, la congiuntura del prossimo anno appare relativamente positiva. La lenta uscita dalla recessione dovrebbe comportare, nella seconda parte dell’anno, una riduzione del tasso di sofferenza dei prestiti, oggi elevato; ristrutturata la capacità produttiva, le imprese tornerebbero più affidabili, dunque meno costose per le banche in termini di ‘cattivo credito’. Appare invece più difficile che la domanda di finanziamenti, da cui dipende parte dei ricavi del sistema bancario, conosca un consistente e rapido recupero; sembra più verosimile uno scenario di cauta ripresa, anche a causa del probabile aumento del costo del denaro. L’incremento dei tassi dovrebbe poi consentire alle banche maggiori profitti sulla raccolta, visto che i rendimenti pagati ai clienti seguiranno solo con ritardo la risalita dei saggi di mercato. Infine, se proseguirà la tendenza dei mesi più recenti, il recupero del mercato azionario migliorerà la redditività del risparmio gestito, perché le masse su cui si calcolano le commissioni aumenteranno in parallelo alla ripresa dei prezzi e perché i clienti, superato il grande spavento, torneranno a chiedere prodotti più rischiosi e più redditizi per chi li produce. Altre voci di ricavo potranno beneficiare di un clima di mercato più disteso in cui sia possibile programmare collocamenti azionari, acquisizioni e altre operazioni straordinarie. Tutto ciò potrebbe però rappresentare una minaccia per il sistema: vi è infatti il pericolo che il clima di scampato naufragio rallenti un indispensabile processo di riforma. Le autorità internazionali intendono presentare proposte concrete entro i primi mesi del nuovo anno e tradurle in riforme entro l’autunno, dopo aver sondato le opinioni degli operatori circa il possibile impatto delle nuove regole. Se queste scadenze venissero modificate, o se le nuove regole diventassero meno incisive, il sistema bancario verrebbe privato dei necessari cambiamenti strutturali. Tali cambiamenti riguardano, in primo luogo, l’introduzione di regole che inducano i banchieri a ‘mettere fieno in cascina’ nei periodi di espansione, per essere in grado di sostenere le perdite che emergono nelle fasi recessive. Le autorità internazionali stanno guardando con molta attenzione alla normativa spagnola, che

Page 110: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Finanza

104

prevede un sistema di accantonamenti obbligatori il cui fine è proprio quello di rendere le banche meno vulnerabili al ciclo economico. Una recente ricerca del CAREFIN (Centre for applied research in finance) dell’Università Bocconi ha mostrato che l’introduzione di regole di questo tipo in Italia ridurrebbe considerevolmente la volatilità dei profitti e il rischio di salvataggi a carico del bilancio statale. Altre riforme attengono al rischio di liquidità, un pericolo a lungo sottovalutato nella presunzione che il mercato fosse sempre in grado di prezzare e scambiare qualunque attività finanziaria (mentre la crisi ha dimostrato che se manca il lubrificante della trasparenza e della fiducia, il meccanismo si ingrippa) e al ruolo dei derivati ‘over the counter’ (scambiati senza garanzie e dunque suscettibili di creare rapide voragini nel settore finanziario se una singola grande istituzione sperimenta difficoltà). Altre ancora sono allo studio, ma è essenziale che il processo non rallenti. Guai se nel 2010 banchieri e politici si illudessero che, dopo la sbornia del credito facile e i tormenti della grande crisi, tutto sia passato con un paio di aspirine. L’Autore Andrea Resti è professore associato presso il Dipartimento di Finanza Bocconi e direttore del CAREFIN, Centre for Applied Research in Finance. È professor di Intermediazione finanziaria e assicurazioni alla SDA Bocconi e direttore dell'Osservatorio FinMonitor su Fusioni e aggregazioni tra gli intermediari finanziari. Aree di interesse scientifico Sistemi di rating, VaR creditizio e Accordo di Basilea sul Capitale. Fusioni e aggregazioni tra banche. Asset management e private banking. Misura dell'efficienza degli intermediari finanziari.

Da Bocconi Newsletter no. 82/2010

Page 111: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Finanza

105

Sovrani troppo espansionisti di Carlo Filippini

La limitata trasparenza, se non segretezza, di molti fondi sovrani d’investimento suscita riserve e perplessità nella comunità internazionale. Carlo Filippini, docente di Economia politica alla Bocconi, esamina il caso di China Investment Corporation e le linee guida di Fmi e Ocse.

A dicembre 2009 ha suscitato interesse la notizia che all’inizio del 2010 i vertici del fondo sovrano Cic visiteranno l’Italia per valutare l’acquisizione di imprese e forme di collaborazione con la Cassa depositi e prestiti per il cofinanziamento di grandi progetti e di pmi. China investment corporation è un fondo d’investimento controllato dal governo, perciò detto “sovrano”, con lo scopo di impiegare una parte delle elevate riserve valutarie cinesi. Ha iniziato le sue operazioni il 29 settembre 2007 con una disponibilità di 200 miliardi di dollari (ora più vicina ai 300). Il Cic ha investito in società finanziarie, petrolifere e minerarie, senza assumere ruoli gestionali (oltre che in obbligazioni, dell’area dollaro in particolare). Si ritiene che sia interessata a società occidentali che abbiano stretti rapporti con i propri governi e con quelle che hanno fatto rilevanti investimenti in Cina. È uno dei più giovani fondi sovrani: il primo, del Kuwait, risale al 1953; della metà degli anni 70 sono altri di Singapore, Abu Dhabi e stato dell’Alaska. In Cina ha un fratello maggiore (per età e soldi): Safe investment company, controllato dalla banca centrale. I fondi sovrani nascono per investire le ingenti disponibilità accumulate da alcuni paesi ricchi di petrolio e altre materie prime (Kuwait, Abu Dhabi, Alaska) o in costante attivo nei rapporti commerciali con l’estero (Singapore, Cina) svolgendo l’utile funzione di aumentare la liquidità internazionale. Inoltre petrolio e materie prime si esauriranno. L’improvvisa ricchezza causa spesso inflazione e sprechi; se non è usata con un’ottica di lungo periodo diventa una maledizione. Si tratta di un’innovazione finanziaria analoga (fatte le dovute distinzioni) ai petrodollari di qualche decennio fa, rimessi in circolo soprattutto dalle grandi banche americane.

Page 112: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Finanza

106

In apparenza i fondi sovrani agiscono come quelli tradizionali, cercando opportunità favorevoli per ottenere rendimenti elevati. In questo periodo di crisi sono spesso invocati come cavalieri bianchi da paesi che non sanno o possono sfruttare le loro risorse naturali o da imprese in difficoltà finanziarie. A fine 2008 questi fondi gestivano quasi 4.000 miliardi di dollari e si stima che l’ammontare raddoppierà entro il 2015; occorre naturalmente tener conto anche di altri fondi gestiti da enti pubblici, quali fondi pensione per i dipendenti (altri 5.500 miliardi) e le restanti riserve valutarie (circa 6.000 miliardi) dei paesi in questione. Vi sono però parecchie perplessità e riserve sollevate in alcuni ambiti nazionali e internazionali a causa della limitata trasparenza, se non segretezza, di parecchi fondi sovrani: i loro obiettivi e strategie non sono quelli prevalentemente economico-finanziari dei fondi tradizionali. Qualche fondo sovrano sembra voler acquisire il controllo di imprese in settori strategicamente rilevanti per motivi politici, non commerciali e utilizzare questi investimenti per sostenere interessi nazionali. Particolarmente delicati sono gli investimenti in settori quali telecomunicazioni, informatica, linee aeree, difesa, energia e alcune materie prime necessarie per prodotti industriali essenziali (le nuove batterie elettriche, ad esempio). Inoltre si teme per informazioni riservate, tecnologiche o commerciali. Nel maggio 2008 è stato costituito un Gruppo di lavoro dei fondi sovrani, la cui segreteria è gestita dall’Fmi; il primo risultato è stato un documento contenente regole che dovrebbero adottare volontariamente. Anche l’Ocse ha pubblicato linee guida per i paesi riceventi che pongono l’accento sulla necessità di evitare misure protezionistiche e sostenere comportamenti corretti, imparziali e trasparenti. L’Ue ha un atteggiamento simile, confermando il principio di libertà di movimento per i capitali finanziari e appoggiando l’adozione volontaria di regole da parte dei fondi sovrani. L’Autore Carlo Filippini è professore ordinario di Economia politica alla Bocconi, dove è stato direttore dell’ISESAO, Istituto di studi Economico-sociali per l’Asia Orientale e del MEc, Master in Economics. È professor di Economia alla SDA Bocconi, di cui è stato membro del consiglio direttivo. Ha insegnato all’Università degli Studi di Trento. È membro dell’American Economic Association, della Royal Economic Society, della Società Italiana degli Economisti e del Christ’s College di Cambridge, UK. Aree di interesse scientifico Sviluppo economico. Progresso tecnico. Economia giapponese. Integrazione economica del Sud-Est Asiatico.

Da Bocconi Newsletter no. 84/2010

Page 113: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Finanza

107

Sappiamo misurare davvero la ricchezza delle famiglie? di Stefano Gatti

Secondo l’Istat, negli ultimi dieci anni in Italia si sono arricchite soprattutto le banche. Stefano Gatti, docente di Economia degli intermediari finanziari alla Bocconi, invita a riflettere sulla possibilità di misurare il benessere di un paese con indicatori anche diversi dal prodotto interno lordo.

Il presidente dell’Istat Enrico Giovannini ha affermato di recente che tra il 1999 e il 2008 la quota di ricchezza nazionale che non va alle famiglie e finisce a banche e finanza è raddoppiata, mentre si è ridotta di un terzo la quota che va alle imprese. È una buona occasione per discutere di due temi attuali: la modifica dei saldi finanziari settoriali in Italia; l’opportunità di continuare a misurare il benessere di un paese attraverso un indicatore come il pil. I saldi finanziari misurano la capacità di risparmio finanziario di un settore istituzionale (famiglie, imprese, società finanziarie, pubblica amministrazione e resto del mondo) e colgono bene la capacità di accumulazione del risparmio nonché i settori nei quali questo risparmio viene impiegato. Le affermazioni del presidente dell’Istat sono confortate dai dati della Banca d’Italia che indicano che le famiglie italiane passano, dal 2005 al 2008, da un saldo finanziario del 4,5% rispetto al pil al 2,8%. Il saldo finanziario del resto del mondo passa invece da -0,8% a -3,1% sempre rispetto al pil. A questo va aggiunto che le imprese sperimentano un aumento di saldi finanziari negativi dal -2,1% al -3,6%. La lettura che si può dare lascia spazio a diverse interpretazioni. Tuttavia, fare riferimento ai dati 2008 consente almeno di limitare l’effetto derivato dall’avvio della crisi finanziaria e reale che ha segnato il 2009. In sostanza, le famiglie italiane esprimono minore capacità di generazione di risorse finanziarie destinabili agli investimenti produttivi, le imprese mostrano un più alto fabbisogno finanziario e il sistema economico italiano deve appoggiarsi in modo più pesante sul resto del mondo per arrivare a un equilibrio finanziario interno. Per le famiglie in particolare, Giovannini sostiene che tra il 1999 e il 2008 il pil è cresciuto più del reddito disponibile dei nuclei familiari. Fatto 100 il pil nel 1999, nel 2008 l’indice è arrivato a 111, il reddito disponibile lordo delle famiglie a 107.

Page 114: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Finanza

108

La misura del benessere attraverso il pil sembrerebbe indicare quindi una riduzione di benessere delle famiglie italiane. Tuttavia il dato probabilmente sottostima tale perdita. Sempre di più, infatti, il ruolo del pil come misuratore del welfare è contestato. Il presidente Nicolas Sarkozy ha creato una commissione, coordinata da Joseph Stiglitz, Amartya Sen e Jean Paul Fitoussi, per studiare le soluzioni alternative alla misurazione della performance economica, di benessere sociale, di conservazione delle risorse ambientali e di social sustainability. Il rapporto presenta 12 raccomandazioni che dovrebbero servire ai governi per migliorare la produzione del “benessere” in termini più ampi di quelli colti dalla misura di pil. La prima raccomandazione è che la valutazione del well-being dovrebbe basarsi sul reddito e sul consumo (con considerazione ulteriore della ricchezza accumulata) più che sulla produzione. In questo quadro l’enfasi dovrebbe spostarsi su reddito e consumo delle famiglie, indicatori più diretti per cogliere il benessere dei cittadini. Tra l’altro, l’utilizzo dei valori mediani rispetto ai valori medi dovrebbe consentire di cogliere meglio i comportamenti individuali o familiari ‘tipici’. La commissione suggerisce inoltre di ampliare gli aggregati sotto osservazione, di affinare misure della qualità della vita in grado di captare il senso di sicurezza, la rappresentatività e le ineguaglianze, e di creare indicatori in grado di cogliere in modo più puntuale quanto bene vivono gli individui nel proprio paese. Tremonti ha l’impressione “che la realtà italiana non sia esattamente catturata dai meccanismi del pil, poiché la consistenza dei global asset italiani è maggiore di quanto risulta dal pil”. Segnale che anche in Italia il dibattito è a maturazione. L’Autore Stefano Gatti è professore associato di Economia degli intermediari finanziari alla Bocconi, dove è direttore del Corso di laurea triennale in Economia e finanza, e membro del collegio docenti del PhD in Finance. È docente ufficiale MBA della SDA Bocconi e del programma TACIS Banking Management - Comunità Economica Europea per la riqualificazione dei quadri dell’ex USSR. È stato visiting fellow all’International Finance Corporation, The World Bank Group, Washington DC, nel 2000. ITP International Teachers Programme, Manchester Business School, 2003. Aree di interesse scientifico Merchant e investment banking. Valutazioni d’aziende e di risorse immateriali. Benchmarking, Project management e BPR.

Da Bocconi Newsletter no. 86/2010

Page 115: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Finanza

109

Perché i giovani non credono più nell’onestà degli accountant di Mara Cameran e Ariela Caglio

Come esce l’immagine degli accountant dai recenti scandali contabili? Mara Cameran, docente SDA dell’Area Amministrazione, controllo, finanza aziendale e immobiliare, e Ariela Caglio, docente di Programmazione e controllo in Bocconi, commentano i risultati di una recente ricerca.

I recenti scandali contabili hanno messo sul tavolo il tema dell’etica: quale impatto hanno avuto bilanci gonfiati, manager senza scrupoli e risparmiatori truffati, sulla percezione pubblica dell’etica dei professionisti dell’amministrazione? La professione è ancora ritenuta in grado di tutelare e servire il pubblico interesse? A tale domanda, cruciale per la sopravvivenza della professione stessa, che fonda sul concetto di ‘accountability’, ossia di ‘affidabilità’, la sua ragione d’essere, risponde una recente ricerca condotta grazie all’analisi di circa 1.700 questionari, compilati da studenti universitari e da accountant professionisti. In prima battuta, le analisi condotte evidenziano che l’associazione tra ‘accountants’ e ‘corruzione’ è marginale (3% del campione). Gli scandali non sembrano avere lasciato strascichi rilevanti per la reputazione della professione. Tutto bene, dunque? L’onore è salvo e gli accountants sono fuori pericolo? A un’analisi più attenta, in realtà, i dati raccolti evidenziano che le opinioni sull’onestà degli amministrativi sono positive, ma molto vicine alla neutralità (su una scala da 1 a 5, dove 3 è il punto di indifferenza, la media del campione è 3.3) e che esistono, all’interno del campione, opinioni differenziate in merito all’integrità degli accountants. Ad esempio, le risposte delle donne, se confrontate con quelle degli uomini, danno un’immagine molto più positiva di questi professionisti, così come i meno giovani hanno percezioni più favorevoli rispetto ai più giovani. Il che potrebbe suggerire, per le associazioni professionali o per le aziende che si occupano di revisione e che fanno consulenza in campo amministrativo, politiche di comunicazione mirate, con l’obiettivo di rafforzare la percezione dell’etica professionale presso alcuni target di popolazione. Inoltre coloro che hanno seguito corsi di accounting alle scuole superiori sono molto più sensibili al tema dell’etica rispetto a chi lo ha fatto all’università. Tale evidenza mette in luce l’opportunità di affrontare in maniera esplicita, nei percorsi universitari, temi cui attualmente non è dedicata grande attenzione, quale appunto quello dell’etica professionale, con l’obiettivo di fornire agli studenti gli strumenti per riconoscere e

Page 116: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Finanza

110

affrontare adeguatamente situazioni future potenzialmente ambigue e problematiche. Infine, chi già opera in campo amministrativo da tempo ha una percezione meno positiva dell’etica professionale rispetto a chi lavora da poco: è solo una questione di, chiamiamola, esperienza sul campo? Forse sì, ma l’indicazione che viene da questo dato è che l’etica è un’area di formazione che dovrebbe essere oggetto di riqualificazione e aggiornamento continuo. Da ultimo, ulteriori spunti di riflessione sono emersi dalla definizione delle dimensioni comportamentali che sono associate alla nozione astratta di etica. A livello di campione complessivo, tali dimensioni riguardano (non sorprendentemente) il rispetto della legge, la riservatezza e l’impegno sul lavoro. Vi è, però, un gap di percezione tra chi esercita e chi non esercita la professione. Ad esempio, per coloro che lavorano presso società di revisione, è etico chi rispetta la legge ed è onesto, mentre chi non esercita né intende esercitare la professione suggerisce un’idea di etica professionale più articolata. Tale visione va oltre la semplice aderenza alla norma e la mera richiesta di onestà, includendo tratti personali che i professionisti dell’amministrazione dovrebbero possedere per essere percepiti come onesti e affidabili. Si rimette così in discussione l’idea di professionalità e correttezza legata al possesso delle sole competenze tecnico specialistiche, enfatizzando, invece, la necessità di alcune soft skills, quali le capacità di fare team, di condividere e collaborare e di mettere la propria conoscenza al servizio degli altri. Le Autrici Mara Cameran è ricercatore di Contabilità e bilancio alla Bocconi, dove è direttore del MAAC, Master universitario in Accounting, Auditing & Control, ed è docente dell'Area Amministrazione, controllo, finanza aziendale e immobiliare della SDA Bocconi. È membro del comitato scientifico dell'EARNet (European Auditing Research Network) e dell'editorial board di Auditing: A Journal of Practice & Theory and Issues in Accounting Education. È inoltre referee per International Journal of Auditing, Eurpean Accounting Review, Family Business Review, The Service Industries Journal, Rivista dei Dottori Commercialisti e la rivista Financial Reporting (ex Revisione Contabile). Aree di interesse scientifico Il mercato della revisione contabile con particolare riferimento all'analisi delle dinamiche della domanda e dell'offerta e ai prezzi dei servizi. La reputazione goduta dalle società di revisione in Italia. L'immagine goduta dalla professione contabile. Ariela Caglio è assistant professor e docente di Programmazione e controllo alla Bocconi. Aree di interesse scientifico Il controllo nelle imprese a rete e nelle forme organizzative "ibride". Il costing nella supply chain. L'impatto delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione sui sistemi amministrativi e sulla professionalità amministrativa. Il business plan.

Da Bocconi Newsletter no. 87/2010

Page 117: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Finanza

111

L’altruismo del risparmio di Brunella Bruno

Alla (ri)scoperta del significato sociale e morale del risparmio individuale: Brunella Bruno, docente Bocconi di Economia degli intermediari finanziari, sottolinea come il risparmio finanziario si possa considerare segnale di senso del futuro e di cura di sé e degli altri.

Il tema del risparmio, che è reddito non consumato, ha riacquisito una notevole attualità subito dopo la recente crisi, della quale non a caso ha sofferto di più proprio chi (individui, aziende, nazioni) disponeva di meno risparmio. La favola della cicala e della formica lo insegna: è nel rigido inverno che la cicala imprevidente si trova senza rifugio e senza cibo. Nell’ultima relazione, la Banca d’Italia riporta il dato del risparmio (o saldo) finanziario delle famiglie italiane che a fine 2008 è pari al 2,8% del pil, mentre tre anni prima ammontava al 4,5% del prodotto nazionale. Analogamente, la capacità di risparmiare (e di autofinanziarsi) delle imprese nazionali si è ridotta e, pur in presenza di un forte calo degli investimenti, il fabbisogno di indebitamento delle nostre aziende è salito al 3,6% del pil (era il 2,1% a fine 2005). Nei rispettivi rapporti della primavera del 2009, nell’individuare le cause della crisi a livello macroeconomico, la Bank for international settlements e la Financial services authority segnalano l’esistenza di squilibri globali identificabili in un differenziale di capacità di risparmio tra le economie emergenti (in primis la Cina) e le economie capitaliste (in primis gli Usa). Questo macro squilibrio a livello di tassi di risparmio si è quindi tradotto in movimenti di flussi di capitale dai paesi emergenti verso le capital rich-industrial economies e conseguentemente in un eccesso di deficit corrente di queste ultime. Tutto ciò, combinato con bassi tassi d’interesse, ha poi innescato un’espansione creditizia a cui hanno avuto accesso anche consistenti fette di popolazione a basso reddito (e ridotta o nulla capacità di risparmio). È così che il credito si è sostituito al risparmio per l’acquisto di abitazioni e per il finanziamento dei beni di consumo. Come si diceva, è con la crisi che la valenza del risparmio ha trovato nuovo vigore. Fino a qualche anno fa l’imperativo, anche in economie relativamente parsimoniose come l’Italia, era quello del consumo. Persino durante la crisi i governi si sono prodigati a mettere in luce l’importanza del consumo per sostenere la domanda interna. E ancora oggi c’è chi guarda con perplessità alle economie (come la Germania) che difendono la propria scelta di risparmiare e rifiutano di sostituirsi agli Usa come motore della domanda nel mondo.

Page 118: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Finanza

112

Quasi che il risparmio fosse sinonimo di un modello economico chiuso ed egoistico e il consumo, al contrario, segnale d’impulsi altruistici e di progresso. Allora forse è bene richiamare il significato economico e sociale del risparmio ripartendo dall’art. 47 della nostra Costituzione: “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio …; disciplina … l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”. Il commento viene da sé. In una società come la nostra in cui la parte non spesa dei redditi incassati viene tipicamente riversata nel sistema finanziario e da qui automaticamente reinvestita sotto forma di credito all’economia, il risparmio individuale raggiunge il massimo del suo significato sociale. Anche per questo quella del risparmio è una decisione che ha in sé qualcosa di naturalmente morale. Il risparmio è moderazione, pensiero dedicato alle persone care di cui ci facciamo carico, attenzione per il futuro che è paura di tempi peggiori e voglia di tempi migliori. Ma non è solo in vista degli inverni più rigidi che è bene risparmiare. La valenza sociale del risparmio sta nel fatto che mentre risparmiamo, non solo pensiamo a noi e alle nostre famiglie, ma anche, seppur inconsciamente, ad altri diversi da noi (altre famiglie, imprese) i cui consumi e i cui investimenti odierni finanziamo con il nostro risparmio. Nella prima lezione del corso di economia degli intermediari finanziari si insegna che il risparmio è meritevole di tutela perché è con esso che si alimenta il canale del credito e la crescita dell’economia. Il risparmio finanziario non ha dunque in sé niente di egoistico, ma diventa senso del futuro e segnale di cura di sé e degli altri, della propria famiglia e della propria nazione. L’Autrice Brunella Bruno è ricercatore di Economia degli intermediari finanziari alla Bocconi e docente presso l'Area Intermediazione finanziaria e assicurazioni della SDA Bocconi. Aree di interesse scientifico Intermediazione creditizia. Gestione del rischio di credito. Cartolarizzazione e mercato secondario dei prestiti. Valutazione degli investimenti in arte.

Da Bocconi Newsletter no. 90/2010

Page 119: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Finanza

113

Fenomenologia dello scandalo di Alessandro Zattoni

È possibile prevedere la crisi finanziaria di un’impresa? Sì, secondo Alessandro Zattoni, direttore dell’Area Strategia e imprenditorialità della SDA Bocconi. Gli indizi che dovrebbero mettere in allerta gli organi di controllo e incoraggiare un’attenta supervisione sono sei...

Quando uno scandalo societario colpisce una grande impresa, l’opinione pubblica accusa il modello di corporate governance e invoca interventi legislativi che rafforzino i controlli ex ante e aumentino le sanzioni ex post. Tuttavia, passano pochi anni e nuove società crollano per una crisi finanziaria inaspettata. I comportamenti illeciti sembrano sfuggire a ogni forma di controllo e di sanzione, anche perché si manifestano in forme sempre più sofisticate. Inoltre, non è possibile aumentare troppo i controlli societari se non si vogliono soffocare gli animal spirit che spingono le imprese verso lo sviluppo. È quindi impossibile evitare tali eventi? No. L’analisi degli scandali societari evidenzia alcuni loro tratti tipici, la cui presenza dovrebbe incoraggiare un’attenta supervisione da parte degli organi di controllo. Primo, la rapida crescita aziendale mediante operazioni di acquisizione. Esse si rivelano talvolta disastrose per i bilanci, anche se occorrono anni perché tali effetti siano evidenti agli investitori. Inoltre, la corsa alla crescita dimensionale può distogliere il management dall’attività operativa e dal core business. Infine, le acquisizioni rendono (per esempio con l’iscrizione di avviamenti fittizi) il bilancio aziendale poco chiaro e confrontabile con il passato. Secondo, la pesante relazione con il mercato finanziario. Tali imprese utilizzano spesso la leva finanziaria per alimentare la crescita aziendale e hanno per brevi periodi performance azionarie strabilianti. I giudizi entusiasti degli analisti e l’alone di prestigio dei vertici spingono gli investitori a sostenere il titolo e gli organi di governance ad allentare il controllo. Terzo, l’elevato potere dei vertici aziendali. Tali imprese sono solitamente gestite da azionisti di controllo o top manager che dominano il processo decisionale aziendale, si circondano di collaboratori fedeli, gestiscono personalmente la relazione con i principali stakeholder, identificano il loro destino con quello aziendale,

Page 120: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Finanza

114

ricevono ricche ricompense. Sono attenti alla reputazione aziendale e personale presso il mercato finanziario e la collettività perché essa può alimentare la crescita dell’impresa. Solo ex post si comprendono gli effetti nefasti della loro ambizione. Quarto, la scarsa indipendenza o competenza degli organi di controllo. Le imprese quotate sono sottoposte a una molteplicità di controlli che dovrebbero impedire comportamenti illeciti. I casi di dissesto mostrano invece intrecci d’interessi che spingono i controllori a non lavorare efficacemente. Inoltre, non sempre tali organi sono composti da persone che comprendono le sempre più sofisticate operazioni create dai vertici aziendali per manipolare i dati contabili. Infine, questi organi svolgono attività interdipendenti: il loro corretto funzionamento richiede collaborazione e fiducia reciproca. La presenza di un anello debole e l’eccesso di fiducia verso il top management possono determinare il fallimento dell’intero sistema. Quinto, una cultura aziendale fondata sull’avidità e su un forte orientamento alla speculazione. Non si deve però pensare che tutte le persone coinvolte negli scandali societari siano destinate a compiere illeciti. Tali comportamenti possono essere attuati con l’idea di tutelare l’azienda in un momento di difficoltà con la speranza che i risultati aziendali possano migliorare col tempo. Tuttavia, una volta superata la linea della legalità non è facile tornare indietro. Ultima caratteristica è la pressione sui risultati aziendali in un contesto competitivo ed economico difficile. In tali circostanze i vertici aziendali possono essere tentati di percorrere tutte le vie, anche illecite, per mantenere elevata la performance e la reputazione aziendale. Tuttavia, la prolungata caduta dei mercati e dell’economia rende sempre più vane le soluzioni temporanee per scongiurare il manifestarsi della crisi. Alla fine proprio i mercati finanziari, che a lungo avevano sostenuto l’impresa, facilitano l’emersione della crisi e la risolvono con esiti devastanti per tutti gli stakeholder. L’Autore Alessandro Zattoni è direttore dell’Area Strategia e imprenditorialità della SDA Bocconi e professore ordinario di Economia aziendale presso l’Università Parthenope di Napoli. Aree di interesse scientifico La strategia aziendale. La strategia delle piccole e medie imprese. Il business plan. La Corporate Governance, con particolare attenzione a: l’assetto istituzionale delle imprese, i gruppi aziendali, il consiglio di amministrazione, le stock option.

Da Bocconi Newsletter no. 92/2010

Page 121: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Finanza

115

Rimpianto calcolato, investitore salvato di Alessandra Cillo

Le decisioni, anche nella finanza, non sono mai influenzate solo dalla ragione. Alessandra Cillo, docente del Dipartimento di Scienze delle decisioni della Bocconi, ha cercato di capire quanto un’emozione come il senso di rimpianto incida sul comportamento e sulle scelte degli investitori.

I processi alla base di ogni tipo di decisione, in particolar modo quelle finanziarie, sono estremamente complessi. Raramente le decisioni sono influenzate solo dalla ragione. La paura, l’ansia, il rimpianto, sono solo alcune delle emozioni che entrano in gioco quando siamo chiamati a fare scelte importanti. Le scelte sono il frutto di valutazioni sia economiche che emotive: questo spiega perché la decisione non sia spesso quella ottimale, o meglio, quella che solidi modelli economici avrebbero previsto. Basta osservare la crisi attuale del mercato finanziario: probabilmente non si sarebbe verificata se gli investitori avessero agito da agenti razionali, seguendo un protocollo da manuale. Numerose sono le evidenze che suggeriscono che le decisioni sono influenzate anche dalle emozioni. Un fenomeno spesso osservato nel mondo finanziario è questo: gli investitori sono riluttanti a realizzare perdite mentre sono desiderosi di realizzare guadagni. In teoria, non ci sarebbe nulla di sbagliato e atipico se non fosse che questo porta a trattenere un’azione più del necessario quando il suo valore sta scendendo a picco (con la speranza che prima o poi risalga) e, viceversa, a venderla subito quando questa è magari destinata a salire. Diversi studi hanno cercato di sviluppare modelli decisionali in grado di catturare tale fenomeno. La teoria del rimpianto è uno di questi. Sviluppata negli anni Ottanta, tale teoria sostiene che la scelta di un’alternativa piuttosto che un’altra scaturisca dalla minimizzazione del rimpianto di aver fatto la scelta sbagliata. Tralasciando considerazioni di tipo più filosofico, ossia se sia corretto o meno giudicare come razionale chi fa dipendere le scelte anche da componenti emotive, esiste un dato di fatto: la maggior parte dell’evidenza empirica dimostra che le emozioni svolgono un ruolo principale nei processi decisionali. Una domanda, di taglio più pratico, che sarebbe dunque lecito porsi sarebbe la seguente: dato che le emozioni hanno un ruolo chiave, riusciamo a quantificarle? In altri termini, riusciamo a misurare quanto le emozioni influiscano sulle decisioni? Sebbene non sia compito facile, e/o addirittura non intuitivo, riuscire a misurare qualcosa di astratto come le emozioni, è altrettanto importante provare a farlo visto che sono parte fondamentale dei processi decisionali e, in alcuni casi, fin troppo, a tal punto da essere nocive per i decisori stessi. In un recente articolo,

Page 122: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Finanza

116

A Quantitative Measurement of Regret Theory, pubblicato su Management Science, con due colleghi, Han Bleichrodt, dell’Erasmus School of Economics, ed Enrico Diecidue, dell’Insead, siamo riusciti a misurare gli effetti di una importante emozione, il rimpianto appunto. Lo studio propone una metodologia, raccoglie e analizza dati provenienti da esperimenti effettuati su studenti di economia. La teoria del rimpianto riesce a giustificare atteggiamenti che violano la transitività (se preferisco A a B, e B a C, allora preferisco A a C). Investitori che violano la transitività sono maggiormente esposti a money pumps: dinamiche che sottraggono denaro al decisore, pur non migliorando la sua situazione (lasciandolo nella situazione iniziale). Di conseguenza, una metodologia che consente di misurare il rimpianto, consente di informare gli investitori dei rischi che corrono basandosi su scelte fortemente influenzate da quest’ ultimo. L’Autrice Alessandra Cillo è assistant professor del Dipartimento di Scienze delle decisioni Bocconi. Aree di interesse scientifico Theory and experiments in decision under risk and intertemporal decision making. Risk-Value modeling.

Da Bocconi Newsletter no. 99/2010

Page 123: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Finanza

117

Come assicurarsi un brindisi con un pinot noir della Borgogna di Claudio Zara

Il clima influisce in modo decisivo sui settori “weather sensitive”, come quello vitivinicolo. Claudio Zara, docente Bocconi di Economia degli intermediari finanziari, mostra la grande utilità di servirsi di un particolare tipo di strumenti finanziari: i derivati climatici.

C’è una particolare categoria, nel grande calderone dei derivati, quegli strumenti accusati di essere alla base della crisi finanziaria, che potrebbe essere fondamentale per la protezione del reddito di numerose attività economiche weather sensitive (il 30% del pil mondiale, fonte Wrma). Si tratta dei derivati climatici. Un esempio è il settore vitivinicolo. Nei vigneti, che sono fabbriche a cielo aperto, il clima impatta in modo significativo sulla resa quali-quantitativa dell’uva e influisce sul vino prodotto. Nel contesto che stiamo sviluppando, ha rilevanza la rischiosità associata alle manifestazioni climatiche, che è di due tipi: rischio catastrofale, un evento di grande impatto a manifestazione saltuaria (grandine), e rischio sistemico, a elevata ricorrenza (variazioni della temperatura rispetto a un modello di previsione). Il rischio catastrofale, se possibile, è ceduto attraverso un contratto assicurativo (come l’assicurazione sul rischio grandine). Di norma il rischio sistemico non è cedibile attraverso un contratto assicurativo a causa della sua natura di ricorrenza. Allo stato attuale, le imprese vinicole possono sviluppare delle strategie di copertura dal rischio di tipo non finanziario: realizzando impianti di irrigazione per ovviare alle carenze di piovosità, oppure impiantando i vigneti in aree che hanno condizioni pedoclimatiche diverse e complementari tra di loro (il territorio compreso nella DOC Trento oppure la Napa Valley in California). Queste tipologie di coperture trovano però dei limiti sia nelle caratteristiche dei territori, che non sempre consentono la realizzazione di hedging geografici (è il caso della DOCG Franciacorta), sia nell’ammontare degli investimenti che debbono essere sostenuti. Un’alternativa potrebbe essere la copertura del rischio climatico ricorrendo a una strategia di hedging realizzata con weather derivate, come ho proposto in un articolo recentemente pubblicato dall’International

Page 124: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Finanza

118

Journal of Wine Business (Weather derivatives in the wine industry) e riferito alla produzione dell’uva Pinot Noir in Borgogna. Che tipo di rischio, collegato all’andamento della temperatura e delle precipitazioni, ha subito un viticoltore della Borgogna, che conduce un ettaro di vigneto Pinot Noir, nel periodo tra il 1998 e il 2008? In otto anni su undici (73% dei casi) l’indice bioclimatico che sintetizza gli andamenti sia della temperatura sia della pioggia caduta è stato significativamente diverso dal valore ritenuto ottimale. Questa situazione ha impattato in termini sia di rese effettive rispetto a quelle teoriche, sia di minore qualità dell’uva. In termini economici si è tradotto in una perdita economica complessiva pari a 3.354 euro e in un’elevata volatilità dei risultati conseguiti. Di conseguenza, rimanere scoperti ha significato per l’impresa vinicola non solo perdere dei soldi rispetto al risultato atteso, ma soprattutto essere soggetta a una forte variabilità dei risultati di anno in anno che si traduce in una instabilità dello scenario sul quale poter programmare la propria attività e i propri investimenti. Una strategia di copertura che faccia ricorso allo strumento dei derivati climatici rappresenta la risposta ai rischi dell’andamento della temperatura e, in aggiunta, ad altre manifestazioni climatiche ricorrenti (piovosità, vento, etc). Nel caso in esame, si è evidenziato un potenziale guadagno economico complessivo pari a 91 euro e una sensibile riduzione della volatilità dei risultati conseguiti, pari a -21,43% rispetto alla posizione scoperta. Tale copertura finanziaria, in particolare, è ottimale quando si manifesta questa combinazione produttiva: territori omogenei, monovitigno e millesimo, perché in questo caso le strategie di copertura non finanziarie sono spesso inattuabili. La medesima strategia può essere estesa ad altre coltivazioni agricole a valore aggiunto, come la produzione di frutta, per stabilizzare i redditi conseguibili. La finanza, insomma, può fare un servizio a valore aggiunto ai settori weather sensitive perché è in grado di portare un contributo per realizzare una maggiore stabilità di reddito aziendale e, di conseguenza, uno scenario più favorevole alle scelte di gestione e di sviluppo dell’impresa. L’Autore Claudio Zara è ricercatore di Economia degli intermediari finanziari alla Bocconi e professor di Intermediazione finanziaria e assicurazioni presso la SDA Bocconi. Visiting fellow presso il Research Bureau della Warwick Business School, University of Warwick, e il Department of Accounting and Finance della National University of Singapore, ha conseguito l’ITP Programme presso la London Business School. Aree di interesse scientifico Tecnica e gestione delle operazioni di finanza straordinaria. Analisi finanziaria, valutazione delle aziende e degli assets intangibili. Organizzazione e gestione degli investitori finanziari.

Da Bocconi Newsletter no. 99/2010

Page 125: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Diritto

Page 126: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma
Page 127: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Diritto

121

La crisi ha interrotto un cammino convergente di Maurizio del Conte

La contrazione dell’occupazione causata dalla crisi economica è stata al Sud Italia oltre tre volte superiore che al Nord. Per Maurizio Del Conte, docente Bocconi di Diritto del lavoro, serve un nuovo sistema di regole collettive del mercato e dei rapporti di lavoro per le imprese del Sud.

I più recenti dati sulle forze lavoro ci riportano con crudezza alla drammatica frattura sociale fra Nord e Sud del paese. Il lento e faticoso cammino verso la convergenza tra mezzogiorno e settentrione è stato bruscamente interrotto con la crisi iniziata nel 2008, che ha fatto segnare una pesante contrazione dell’occupazione nelle regioni meridionali, di oltre tre volte superiore a quella registrata nel Centro-Nord. Tutto ciò in un contesto che, in tempi ‘normali’, presentava già un tasso di occupazione ai minimi termini. Basti pensare che nel 2007 il tasso di occupazione della popolazione in età compresa tra i 15 e i 64 anni era del 46,5%, contro il 65,4%, del Centro-Nord. Ciò si aggiunge alla storica arretratezza salariale del meridione, il cui scarto negativo nei confronti della parte alta della penisola si aggira attorno al 20%. In proposito la Banca d’Italia ha osservato come “gli elevati tassi di disoccupazione e d’irregolarità suggeriscono che il livello del costo del lavoro nel Mezzogiorno, pur inferiore a quello del Centro Nord, non consenta l’equilibrio tra la domanda e l’offerta di lavoro, dato il perdurante ritardo di produttività dell’area. In presenza di insufficienti meccanismi di flessibilità salariale, le migrazioni contribuiscono a riequilibrare domanda e offerta”. Il problema è che oggi, molto più che in passato, questo fenomeno migratorio produce l’effetto di drenare le risorse più qualificate, contribuendo così al circolo vizioso della progressiva depressione qualitativa, oltre che quantitativa, del lavoro e della produzione nel mezzogiorno. Simbolo del declino industriale del Sud è il piano Fiat di dismissione dello stabilimento di Termini Imerese e di drastico ridimensionamento di quello di Pomigliano d’Arco, proprio quando la stessa azienda automobilistica ha annunciato per i prossimi due anni un ambizioso piano di investimenti di circa otto miliardi di euro, prevalentemente concentrati negli stabilimenti del Nord Italia. E il disimpegno meridionale della Fiat è solo la punta mediaticamente più visibile di un fenomeno dalle proporzioni ben più vaste e sempre più diffuse anche

Page 128: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Diritto

122

tra le medie e piccole imprese. Una situazione, questa, che il sistema paese nel suo complesso non si può permettere. Che fare? Non vedendosi all’orizzonte segnali forti sul piano politico, sembra quanto mai urgente una scossa che parta dalla base del sistema produttivo, cioè dalle stesse imprese del Sud che oggi sono in bilico fra la sopravvivenza, la chiusura o la fuga in altri territori. In questa prospettiva, l’unica leva a disposizione dei soggetti produttivi per reagire allo stallo politico è la creazione di un nuovo sistema di regole collettive del mercato e dei rapporti di lavoro. Nel recente passato si è fatto un gran parlare dell’agonia delle relazioni industriali, tacciate troppo frettolosamente di essere uno strumento obsoleto, legato a una realtà produttiva definitivamente consegnata alla storia. Ma l’attuale crisi ci ha ricordato che, quanto più i problemi economici colpiscono le fondamenta sociali, tanto più il confronto che si sviluppa nelle relazioni industriali riesce a produrre soluzioni pratiche condivise e, quindi, efficaci. La crisi del lavoro nel mezzogiorno richiede un nuovo sistema di contrattazione collettiva che vincoli gli investimenti privati e gli incentivi pubblici allo sviluppo del lavoro nel territorio, mediante garanzie di stabilità occupazionale e, al contempo, di flessibilità produttiva e salariale oggi non ancora sperimentate. Richiede formule incentivanti che rendano appetibile il lavoro al sud anche per le professionalità più avanzate. Richiede che imprese e sindacati confidino meno nella politica e più nella contrattazione aziendale. Ma per far sì che tutto ciò si realizzi è necessario che le centrali associative datoriali e sindacali dismettano il tradizionale atteggiamento paternalistico verso il sud, delegando ai soggetti territoriali e alla bilateralità quote crescenti di competenze operative in materie chiave come salari, organizzazione del lavoro e formazione professionale. L’Autore Maurizio Del Conte è professore associato di Diritto del lavoro alla Bocconi. In precedenza, ha insegnato presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’Università degli Studi di Milano Bicocca. È stato international visiting professor per il corso di Comparative Labor Law presso la University of Richmond, School of Law (Richmond, Virginia) nel 1999/2000 e nel 2001/2002. Ha inoltre tenuto lezioni all’Università di Tokyo, all’Università di Kyoto e all’Università di Kobe. È coordinatore di redazione della rivista Orientamenti della giurisprudenza del lavoro e membro del comitato di redazione della rivista Diritto delle relazioni industriali. Aree di interesse scientifico Diritto del lavoro. Diritto sindacale. Diritto del lavoro comparato. Diritto privato.

Da Bocconi Newsletter no. 88/2010

Page 129: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Diritto

123

Finalmente tutelato il Made in Italy: ma basterà? di Giorgio Sacerdoti

Dal prossimo ottobre una nuova legge regolerà l’indicazione “Made in Italy” per tessili, pelletteria, calzature. Per Giorgio Sacerdoti, docente Bocconi di Diritto internazionale, già presidente dell’organo di appello del Wto, potrebbe però tradursi anche in un flop.

Il Parlamento ha approvato il disegno di legge Reguzzoni-Versace-Calearo, che risponde alle pressanti istanze di settori della filiera del Made in Italy di ottenere una protezione speciale che valorizzi la fabbricazione in Italia di prodotti di qualità, esposti alla concorrenza a basso costo dei paesi in via di sviluppo anche a prescindere dalla contraffazione. L’istanza era (e resta) quella di introdurre una marcatura obbligatoria dei prodotti importati per rendere nota al consumatore l’origine della merce. È ciò che è previsto per legge in molti paesi industrializzati come gli Usa. Si tratta però di una competenza dell’Unione europea nel cui ambito i principali paesi importatori, come Gran Bretagna e Germania, sono risolutamente contrari. Solo un deciso intervento dei parlamentari europei, ora competenti in materia grazie al trattato di Lisbona, potrebbe finalmente risolvere lo stallo. Ecco perché a Roma si è scelta una via diversa. Da un lato la nuova legge impone un sistema di etichettatura obbligatoria dei prodotti finiti nel tessile, pelletteria e calzaturiero che ne evidenzi l’origine quanto a ciascuna fase di lavorazione e assicuri la tracciabilità dei prodotti, secondo modalità che saranno precisate in futuri decreti attuativi. Dall’altro lato, in modo più preciso e innovativo, la legge riserva l’indicazione Made in Italy per i prodotti finiti nel tessile, pelletteria, calzaturiero, i prodotti conciari e i divani, a quei prodotti in cui sono realizzate da noi almeno due fasi qualificanti della lavorazione, precisate nella legge in relazione a ciascun settore. Da notare che la marcatura non è obbligatoria, ma se il produttore vuole utilizzarla queste sono le condizioni. Dopo tanto discutere il Made in Italy ha dunque una sua tutela; l’obiettivo è che il consumatore possa distinguere tra il prodotto nostrano e quello importato, tanto più che le false indicazioni saranno severamente punite. Il presupposto è che al prezzo di regola più alto corrisponda davvero una migliore ‘qualità italiana’ tale da poter essere valorizzata nella pubblicità e nel marketing, sia in Italia che all’estero.

Page 130: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Diritto

124

Due cautele sono però d’obbligo. Anzitutto, l’entrata in vigore della legge è stata fatta slittare al 1° ottobre 2010 per dar tempo alla Commissione di Bruxelles di esprimersi sulla compatibilità della legge con la normativa europea. Anche se il nostro Parlamento si è ben guardato dal legiferare sui prodotti importati, i requisiti di tracciabilità delle varie fasi di produzione e della loro localizzazione potrebbero cozzare con i vincoli europei. Dall’altro lato, c’è il rischio che questo sistema di etichettatura riservata per il Made in Italy si risolva o in un boomerang o in un flop, vuoi per la complessità dello schema che per ragioni di mercato. È possibile che ci siano prodotti che non hanno diritto al marchio, a sensi della legge, ma che pure siano fabbricati e concepiti in larga parte in Italia. Prodotti delle nostre aziende fabbricati o fatti fare in parte all’estero per ragioni di prezzo e concorrenza risulteranno discriminati. D’altra parte potersi fregiare dell’ambito Made in Italy non equivale in alcun modo a garanzia di qualità! C’è poi un rovescio della medaglia. Perché il consumatore dovrebbe diffidare a priori del Made in China o del Made in Perù? L’idea che solo il prodotto nostrano sia valido e che il prezzo sia una variabile secondaria è indice di una mentalità protezionistica, alla lunga perdente. Proprio quando i nostri produttori delocalizzano e si lamentano a ragione delle barriere che tanti paesi promettenti in via di forte crescita frappongono alle nostre esportazioni in settori tipici del Made in Italy, non solo quelli dell’elenco di legge. L’Autore Giorgio Sacerdoti è professore ordinario di Diritto internazionale, titolare della cattedra Jean Monnet di Diritto europeo alla Bocconi. È membro del Committee on International Trade Law dell’International Law Association. È stato presidente dell’Organo di Appello della World Trade Organisation, di cui è stato membro dal 2001 al 2009. Ha insegnato come professore di Diritto internazionale nelle Università di Milano, Bergamo, Bari e Urbino. È stato International fellow all’Aspen Institute (1985) e visiting professor presso l’Institut des Hautes Etudes Internationales dell’Università di Parigi (1987). È stato docente all’Accademia in Diritto internazionale dell’Aja (1994) e vicepresidente del Comitato OCSE sulla lotta alla corruzione internazionale (1989-2001). Aree di interesse scientifico Diritto internazionale, comunitario e del commercio internazionale. Investimenti. Arbitrato. Contratti internazionali.

Da Bocconi Newsletter no. 90/2010

Page 131: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Diritto

125

Le armi spuntate dell’Unione per indurre la disciplina di bilancio di Claudio Dordi

Secondo Claudio Dordi, docente di Diritto internazionale in Bocconi, la crisi economica e finanziaria greca ha smascherato le debolezze del sistema di regole e di governance dell’Ue. La responsabilità è di tutti gli stati membri, riluttanti a introdurre adeguati meccanismi di controllo.

Non si può non condividere l’analisi di Giuliano Amato (Il Sole 24 Ore, 2 maggio 2010) che ha individuato quattro principali responsabili della crisi greca: il governo ellenico, arrivato in passato anche a truccare i conti per mascherare una situazione economica e finanziaria preoccupante; la Germania, riluttante nel concedere l’assenso alle operazioni di salvataggio per questioni elettorali interne; l’Ue stessa, per la mancanza di adeguate norme e procedure per fronteggiare i momenti di crisi, e le agenzie di rating, che, benevole verso la “spazzatura finanziaria” privata, hanno assunto un atteggiamento severo nei confronti del debito di uno stato membro dell’Ue. La responsabilità principale, tuttavia, va imputata a tutti gli stati membri, riluttanti a introdurre nel Trattato Ue adeguati meccanismi di controllo e sanzionatori in grado di assicurare la convergenza delle politiche fiscali e di bilancio. Il sistema di Maastricht, in sostanza invariato con il Trattato di Lisbona, prevede che il mantenimento della convergenza dovrebbe essere assicurato attraverso le regole che fissano specifici vincoli ai bilanci pubblici e la relativa procedura per assicurarne il rispetto (la cosiddetta procedura per disavanzi eccessivi) e con gli obblighi in termini di coordinamento delle politiche economiche nazionali. Tuttavia, come si è visto, le rilevazioni statistiche del sistema Eurostat lasciano margini agli stati di dichiarare il falso e la prassi dei primi anni dell’Ue ha dimostrato tutte le difficoltà nell’applicare sanzioni per disavanzo eccessivo nei confronti dei paesi membri. Il problema è che tale procedura rientra fra le misure di controllo politico nei confronti degli stati membri, sottratta, pertanto, al controllo giurisdizionale della Corte di giustizia. Si pensava che il sistema avrebbe potuto funzionare grazie al controllo esercitato dagli stati più virtuosi su quelli più indisciplinati. Nella prassi, tuttavia, i governi nazionali hanno preferito ignorare le reciproche inadempienze: proprio la Germania (con la Francia), aveva evitato nel 2003 le meritate sanzioni per violazione degli impegni

Page 132: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Diritto

126

di bilancio grazie all’assenza del necessario consenso politico fra gli stati membri in sede di Consiglio (organo partecipato dagli esecutivi dei membri Ue). Peraltro, tale circostanza aveva indotto i membri a procedere alla revisione del patto di stabilità originario per rendere più flessibile la procedura di rientro dei disavanzi eccessivi di bilancio. Anche gli obblighi di coordinamento delle politiche economiche nazionali nel quadro degli indirizzi di massima definiti annualmente dal Consiglio sono più nominali che reali: gli stati rimangono pienamente responsabili delle loro politiche fiscali e la massima sanzione che può comminare il Consiglio in caso di discostamento dagli indirizzi di massima è quella di rendere note (!) le raccomandazioni fornite per richiamare lo stato a rivedere le proprie politiche economiche. La crisi economica e finanziaria non ha fatto che smascherare tutte le debolezze del sistema di regole e di governance dell’Ue. Oltre al danno, poi, anche la beffa di osservare società private statunitensi quotate in borsa (le agenzie di rating) che, almeno corresponsabili della peggiore crisi economico-finanziaria dal dopoguerra, riescono ancora, con il loro giudizi sul debito dei vari attori finanziari, a influire in modo determinante sugli operatori. Anche in questo caso, però, l’Ue può solo recitare il mea culpa: chissà se a qualcuno è mai venuto in mente di creare un’authority europea indipendente, a capitale pubblico, che sia una vera agenzia di rating credibile anche dal punto di vista istituzionale? L’Autore Claudio Dordi è professore associato di Diritto internazionale alla Bocconi, dove è membro del collegio dei docenti del PhD in International Law and Economics. È incaricato del corso di Diritto internazionale dell’economia alla LIUC di Castellanza. È stato visiting professorial fellow alla Georgetown Law School di Washington e membro della faculty del World Trade Institute di Berna. Ha insegnato Diritto del commercio internazionale all’Università di Brescia. Aree di interesse scientifico Diritto internazionale dell’economia (commercio internazionale e rapporti monetari internazionali). Diritto delle comunità europee. Diritto internazionale pubblico. Diritto delle organizzazioni internazionali.

Da Bocconi Newsletter no. 91/2010

Page 133: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Diritto

127

Posso uploadarti? di Oreste Pollicino

No server, no law? Per Oreste Pollicino, docente Bocconi di Diritto pubblico comparato, dopo la condanna a Google da parte del tribunale di Milano per trattamento illecito di dati personali, sarà più difficile per il colosso di Mountain View eludere la normativa italiana ed europea.

La decisione del Tribunale di Milano che ha condannato il 24 febbraio (ma le cui motivazioni sono state rese note solo di recente) tre dirigenti di Google a sei mesi di reclusione per trattamento illecito dei dati personali fa discutere. I fatti sono noti: un bambino autistico viene verbalmente e fisicamente umiliato da alcuni compagni di scuola che filmano il tutto col cellulare e pubblicano la registrazione su Google Video. Il video rimane online per due mesi ed entra nella top ten dei video più divertenti (sic!), prima di venire rimosso a seguito dell’intervento della polizia postale. Ma quali le implicazioni della pronuncia? La prima, è forse la meno interessante: abbiamo avuto conferma del grande rispetto che il colosso di Mountain View ha nei confronti delle nostre istituzioni. Basti citare il commento al Financial Times del grande capo Eric Schmidt: “Il giudice ha assolutamente torto. Allora pigliamo tre persone a caso e spariamogli. È una stronzata. Offende me e offende l’azienda”. Non c’è che dire, l’ha presa bene. Ma nonostante il bon ton di Schmidt, sarebbe un errore liquidare come un semplice abbaglio, per usare un eufemismo, la pronuncia del giudice Magi. Infatti, un effetto importante della decisione è che sarà, da ora in poi, molto più difficile per Google eludere gli obblighi che gli sono imposti dalla normativa italiana ed europea trincerandosi dietro il “No server, no law”. Cioè affermando che essendo le infrastrutture informatiche situate nella Silicon Valley, non sarebbe applicabile la legge italiana sulla tutela dei dati personali. Il giudice ha affermato che tale normativa è invece applicabile e che quindi il giudice italiano è competente tutte le volte in cui il trattamento dei dati personali ha avuto luogo anche in Italia, attraverso la diffusione del video su Google Italy. Ma se la disciplina italiana ed europea è applicabile, allora i provider, d’ora in poi, dovranno iniziare a prendere sul serio gli obblighi che impone quando si trattano dati sensibili. Attenzione, il giudice non individua tra tali obblighi, come si è detto a sproposito, quello di un controllo preventivo di tutto il materiale caricato online. Non solo perché sarebbe tecnicamente impossibile, ma perché si scontrerebbe con quanto previsto dalla disciplina italiana ed europea che esonera da un dovere generale di vigilanza gli Internet

Page 134: Our View’10 - unibocconi.itcontact.unibocconi.it/info/upload/trienni/ita/OverView... · 2012. 2. 10. · di Beatrice Bauer e Massimo Magni . Asset intangibili: non li tocchi, ma

Diritto

128

provider. Quello che invece Google poteva e doveva fare era approntare un’informativa più chiara e leggibile nei confronti degli utenti che caricano video in cui siano ripresi terzi, sulla necessità che sia preliminarmente acquisito il consenso di questi. Nonostante dunque i toni retorici con cui, prima di conoscere le motivazioni (ma anche dopo), si è parlato della pronuncia del Tribunale di Milano come di un attacco alla libera espressione sul web, sembra che più che un problema di tutela dei diritti fondamentali (e, in particolare, della libertà di espressione), alla base del caso ci sia una questione, più banalmente, di riequilibrio di un modello di business aziendale. In altre parole, quanto è opportuno e quanto è conveniente che spenda in più Google per essere in grado di rispettare la legge italiana (ed europea) sulla tutela dei dati personali? Un’ultima considerazione, consapevole di andare controcorrente. Non mi pare che a tutti i servizi che offre Google si possa applicare sic et simpliciter la normativa comunitaria (e nazionale) sull’esonero di responsabilità nei confronti degli Internet service provider. La prima ragione è che la normativa in questione concepisce il provider come un soggetto terzo che non ha alcun controllo sui contenuti in quanto non ha possibilità di incidere concretamente sulle loro modalità di diffusione, ma può al massimo prestare uno spazio poi gestito autonomamente dal fornitore di contenuti. Si può dire che Google video (e ora YouTube) con i suoi sistemi sofisticati di filtri e indicizzazioni, non abbia alcun controllo sui dati del prestatore di servizio? La seconda ragione è di natura economica. È probabile che la direttiva sul commercio elettronico adottata nel 2001 e che prevede l’esonero di responsabilità, avesse in mente quegli Internet service provider che fornivano il servizio di connessione in cambio di una contropartita economica, e non chi, come Google, fa dei guadagni non chiedendo un quid per il servizio di connessione, che è gratuito, ma lucrando sulla pubblicità che ospita la piattaforma. L’Autore Oreste Pollicino è professore associato di Diritto pubblico comparato alla Bocconi. È membro del comitato di direzione di Diritti comparati, comparare i diritti fondamentali in Europa (http://www.diritticomparati.it); International Journal of Communications Law and Policy (http://www.ijclp.net) e del comitato di redazione di Diritto Pubblico Comparato ed Europeo (http://www.dpce.it), Osservatorio sul rispetto dei diritti fondamentali in Europa della Fondazione "L. Basso" (http://www.europeanrights.org), Panoctica, Revista Eletrônica Acadêmica de Direito (http://www.panoptica.org). Aree di interesse scientifico Diritto costituzionale europeo. Diritto dell'informazione e della comunicazione. Diritto di Internet.

Da Bocconi Newsletter no. 93/2010