Osteosintesi del rachide: evoluzione dei materiali e delle tecniche

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01-05-055 Osteosintesi del rachide: evoluzione dei materiali e delle tecniche 01-05-055 Osteosintesi del rachide: evoluzione dei materiali e delle tecniche J.-P. Steib S. Schuller Riassunto. – La chirurgia strumentale del rachide ha conosciuto molteplici e radicali cambiamenti: dalla barra di Harrington, alle placche di Roy-Camille, allo strumentario di Cotrel-Dubousset. L’attenzione verso il profilo sagittale del rachide è cosa più recente e la chirurgia transcutanea costituisce l’ultima avanguardia. I punti di fissazione del rachide sono la spinosa, la lamina, i processi articolari o trasversi, il corpo vertebrale; ma oggi il punto di fissaggio più utilizzato è il peduncolo. I mezzi di fissaggio sono vari e vanno dai fili agli uncini; attualmente le viti sono le più utilizzate, peduncolari nell’approccio poste- riore, corporali nell’approccio anteriore. I mezzi di sintesi tra i punti di fissaggio sono oggi soprattutto barre, che hanno so- stituito le placche; ma si utilizzano anche fili, legamenti e cage intersomatici. La connessione tra elementi di fissaggio e mezzi di sintesi si effettua attraverso dadi, blocchi meccanici o clip, ma principalmente con tappi fissati a vite nel corpo aperto degli impianti. Il rachide non è un osso unico, quindi la sua osteosintesi deve rispondere a criteri precisi, con un in- nesto d’osso per essere duratura. Il rachide non ha un profilo piatto e l’osteosintesi deve rispettare o ristabilire le fisiologiche curvature; le zone di cifosi e di lordosi devono essere rispettate dall’osteosintesi al fine di ristabilire l’anatomia per un ra- chide equilibrato. La gestualità ossea non deve nuocere alla funzione di protezione nervosa della colonna. Per via posterio- re, il fissaggio tramite viti si esegue sull’occipite, le masse laterali di C1, i peduncoli di C2, l’odontoide, i massicci articolari cervicali, e in transarticolare (C1-C2); nei penduncoli nel tratto toracico, lombare e sacro. L’accesso anteriore permette un fissaggio tramite viti del corpo vertebrale. In ogni piano, gli uncini (laminari o peduncolari) orientati in alto o in basso sono spesso utilizzati a pinza per un fissaggio neutro. I cage posizionati con accesso posteriore o anteriore mantengono lo spazio intervertebrale. La riduzione delle lesioni tramite fissaggio a viti in compressione è nella maggior parte dei casi in- diretta. La distrazione-compressione che allontana (o avvicina) le estremità dell’assemblaggio ha un effetto di traslazione sull’apice della deformità. La traslazione della sommità ha un effetto di distrazione (o di compressione) sulle estremità dell’impianto. La correzione può quindi avvenire tramite rotazione della barra o attraverso curvatura in sede. Lo scopo dell’osteosintesi è di ottenere un solido fissaggio del rachide in una buona posizione per raggiungere le migliori condizioni di guarigione. Parole chiave: osteosintesi, rachide, strumentazione, chirurgia del rachide, riduzione, fissaggio. I riferimenti bibliografici a questo capitolo sono: Steib J.-P., Schuller S. Osteosintesi del rachide: evoluzione dei materiali e delle tecniche. Encyclopédie Médico-Chirurgicale. Trattato di tecniche chirurgiche - Chirurgia ortopedica 01-05-055, 2013, 17 p. Tutti i diritti riservati. immobilizzazione. La chirurgia del rachi- de si fornisce quindi dei mezzi necessari utilizzando gli impianti metallici. Gli inizi, ancora incerti, risalgono al 1950 con Merle d’Aubigné [2] e Judet [3] in Francia, Wilson [4] negli Stati Uniti e Boucher [5] in Canada. La prima rivoluzione si deve a Harring- ton [6] negli Stati Uniti nel 1960, seguito da Luque [7] in Messico, che introducono le prime strumentazioni metalliche capa- ci di ridurre e di fissare una deformità del rachide. La seconda rivoluzione si ha con Raymond Roy-Camille [8] , che utilizza, nell’aprile del 1963, placche Shermann e viti Phillips in posizione peduncolare per sintetizzare una frattura instabile laminectomizzata. Nasce la vite pedun- colare. Yves Cotrel e Jean Dubousset sono gli artefici della terza rivoluzione, quando operano insieme, a Saint Vincent de Paul, una scoliosi utilizzando la tecnica e il materiale che hanno elaborato; era il 21 gennaio 1983 [9] . Nasce la strumenta- zione multisegmentaria moderna. Le va- rie strumentazioni attuali si ispirano tutte al materiale di Cotrel-Dubousset degli anni Ottanta, che ha dato inizio all’era moderna della chirurgia del rachide. La quarta rivoluzione è costituita dalla presa di coscienza della differenza tra cli- nostatismo e ortostasi. Gli equilibri fron- tali [10] e soprattutto sagittali [11] sono oggi la principale preoccupazione dei chirurghi e il primo tema trattato nei lavori scienti- fici. La chirurgia mini-invasiva che sta nascendo deve conservare questi principi, per diventare la quinta rivoluzione. Introduzione La strumentazione del rachide può essere considerata la sorella minore della chirur- gia ortopedica. L’osteosintesi è stata a lungo riservata alla chirurgia degli arti, mentre il rachide veniva trattato in modo conservativo. L’innesto osseo [1] è stata la prima tecnica chirurgica utilizzata sul ra- chide, visto che il corsetto gessato permet- teva la riduzione e la stabilizzazione fino alla consolidazione. L’artrodesi non si è sempre rivelata un successo e si è giunti alla definizione delle nozioni di pseudoar- trosi e di vizio di consolidazione. Queste imporranno il ricorso alla decorticazione e all’osteotomia con tentativi di migliore J.-P. Steib ([email protected]). S. Schuller. Service de chirurgie du rachis, Hôpitaux universitaires de Strasbourg, 1, place de l’Hôpital, BP 426, 67091 Strasbourg cedex, France.
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Osteosintesi del rachide: evoluzione dei materiali e delle tecniche

J . -P. SteibS . Schuller

Riassunto. – La chirurgia strumentale del rachide ha conosciuto molteplici e radicali cambiamenti: dalla barra di Harrington, alle placche di Roy-Camille, allo strumentario di Cotrel-Dubousset. L’attenzione verso il profilo sagittale del rachide è cosa più recente e la chirurgia transcutanea costituisce l’ultima avanguardia. I punti di fissazione del rachide sono la spinosa, la lamina, i processi articolari o trasversi, il corpo vertebrale; ma oggi il punto di fissaggio più utilizzato è il peduncolo. I mezzi di fissaggio sono vari e vanno dai fili agli uncini; attualmente le viti sono le più utilizzate, peduncolari nell’approccio poste-riore, corporali nell’approccio anteriore. I mezzi di sintesi tra i punti di fissaggio sono oggi soprattutto barre, che hanno so-stituito le placche; ma si utilizzano anche fili, legamenti e cage intersomatici. La connessione tra elementi di fissaggio e mezzi di sintesi si effettua attraverso dadi, blocchi meccanici o clip, ma principalmente con tappi fissati a vite nel corpo aperto degli impianti. Il rachide non è un osso unico, quindi la sua osteosintesi deve rispondere a criteri precisi, con un in-nesto d’osso per essere duratura. Il rachide non ha un profilo piatto e l’osteosintesi deve rispettare o ristabilire le fisiologiche curvature; le zone di cifosi e di lordosi devono essere rispettate dall’osteosintesi al fine di ristabilire l’anatomia per un ra-chide equilibrato. La gestualità ossea non deve nuocere alla funzione di protezione nervosa della colonna. Per via posterio-re, il fissaggio tramite viti si esegue sull’occipite, le masse laterali di C1, i peduncoli di C2, l’odontoide, i massicci articolari cervicali, e in transarticolare (C1-C2); nei penduncoli nel tratto toracico, lombare e sacro. L’accesso anteriore permette un fissaggio tramite viti del corpo vertebrale. In ogni piano, gli uncini (laminari o peduncolari) orientati in alto o in basso sono spesso utilizzati a pinza per un fissaggio neutro. I cage posizionati con accesso posteriore o anteriore mantengono lo spazio intervertebrale. La riduzione delle lesioni tramite fissaggio a viti in compressione è nella maggior parte dei casi in-diretta. La distrazione-compressione che allontana (o avvicina) le estremità dell’assemblaggio ha un effetto di traslazione sull’apice della deformità. La traslazione della sommità ha un effetto di distrazione (o di compressione) sulle estremità dell’impianto. La correzione può quindi avvenire tramite rotazione della barra o attraverso curvatura in sede. Lo scopo dell’osteosintesi è di ottenere un solido fissaggio del rachide in una buona posizione per raggiungere le migliori condizioni di guarigione.

Parole chiave: osteosintesi, rachide, strumentazione, chirurgia del rachide, riduzione, fissaggio.

I riferimenti bibliografici a questo capitolo sono: Steib J.-P., Schuller S. Osteosintesi del rachide: evoluzione dei materiali e delle tecniche. Encyclopédie Médico-Chirurgicale. Trattato di tecniche chirurgiche - Chirurgia ortopedica 01-05-055, 2013, 17 p. Tutti i diritti riservati.

immobilizzazione. La chirurgia del rachi-de si fornisce quindi dei mezzi necessari utilizzando gli impianti metallici. Gli inizi, ancora incerti, risalgono al 1950 con Merle d’Aubigné [2] e Judet [3] in Francia, Wilson [4] negli Stati Uniti e Boucher [5] in Canada.

– La prima rivoluzione si deve a Harring-ton [6] negli Stati Uniti nel 1960, seguito da Luque [7] in Messico, che introducono le prime strumentazioni metalliche capa-ci di ridurre e di fissare una deformità del rachide.

– La seconda rivoluzione si ha con Raymond Roy-Camille [8], che utilizza, nell’aprile del 1963, placche Shermann e viti Phillips in posizione peduncolare per sintetizzare una frattura instabile laminectomizzata. Nasce la vite pedun-colare.

– Yves Cotrel e Jean Dubousset sono gli artefici della terza rivoluzione, quando operano insieme, a Saint Vincent de Paul, una scoliosi utilizzando la tecnica e il materiale che hanno elaborato; era il 21 gennaio 1983 [9]. Nasce la strumenta-zione multisegmentaria moderna. Le va-rie strumentazioni attuali si ispirano tutte al materiale di Cotrel-Dubousset degli anni Ottanta, che ha dato inizio all’era moderna della chirurgia del rachide.

– La quarta rivoluzione è costituita dalla presa di coscienza della differenza tra cli-nostatismo e ortostasi. Gli equilibri fron-tali [10] e soprattutto sagittali [11] sono oggi la principale preoccupazione dei chirurghi e il primo tema trattato nei lavori scienti-fici. La chirurgia mini-invasiva che sta nascendo deve conservare questi principi, per diventare la quinta rivoluzione.

Introduzione

La strumentazione del rachide può essere considerata la sorella minore della chirur-gia ortopedica. L’osteosintesi è stata a lungo riservata alla chirurgia degli arti, mentre il rachide veniva trattato in modo conservativo. L’innesto osseo [1] è stata la prima tecnica chirurgica utilizzata sul ra-chide, visto che il corsetto gessato permet-teva la riduzione e la stabilizzazione fino alla consolidazione. L’artrodesi non si è sempre rivelata un successo e si è giunti alla definizione delle nozioni di pseudoar-trosi e di vizio di consolidazione. Queste imporranno il ricorso alla decorticazione e all’osteotomia con tentativi di migliore

J.-P. Steib ([email protected]).S. Schuller. Service de chirurgie du rachis, Hôpitaux universitaires de Strasbourg, 1, place de l’Hôpital, BP 426, 67091 Strasbourg cedex, France.

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Materiale

Dopo l’uncino e la barra di Harrington gli impianti del rachide si sono moltiplicati. Rispondono ciascuno a principi di base (luogo e mezzi di fissaggio, sintesi tra i punti di fissaggio e connessione tra gli elementi di fissaggio e di sintesi) che li raggruppano in famiglie di impianti pro-prie della strumentazione del rachide.

PUNTI DI FISSAGGIO VERTEBRALE

L’anatomia vertebrale offre vari punti di ancoraggio per gli impianti del rachide.

Spinose

All’inizio sono state utilizzate per gli al-lacciamenti interspinosi [12] soprattutto a livello cervicale. I fissaggi a viti frontali penetranti il corpo vertebrale con placche bilaterali [13] sono stati abbandonati anche se è nato un sistema “coccodrillo”. I dispo-sitivi interspinosi moderni [14] hanno ripor-tato l’interesse sulle apofisi. Sono elemen-ti mediani e unici, a cui si può imputare una certa fragilità. Le spinose sono molto arretrate rispetto all’asse di flesso-esten-sione, cosa che può essere un vantaggio o un inconveniente (Fig. 1). Permettono una chirurgia semplice, rapida, poco invasiva, effettuabile eventualmente con anestesia locale.

Lamine

Corrispondono alla seconda struttura che si incontra nell’accesso del rachide. Sono state il punto universale di fissaggio per più di vent’anni, poiché sopportano uncini [6, 9], fili [7], addirittura viti [15] e oggi i clamp [16]. Queste strutture mediolaterali e simmetriche mantengono molta solidità anche nelle persone anziane e osteoporoti-che. Il passaggio sopralaminare richiede un’apertura del canale, non necessaria in-vece nel caso del passaggio sottolaminare (Fig. 2). La posizione mediolaterale della lamina limita l’effetto della correzione sul

piano orizzontale. Gli impianti hanno la tendenza a scivolare e ciò accentua questa limitazione (Fig. 3). Per gli uncini è neces-sario associare una doppia presa (pinza) per ottenere un fissaggio stabile.

Peduncoli

I peduncoli sono tra le strutture più resi-stenti del rachide [17]. Assicurano la sintesi tra l’arco neurale posteriore e il corpo ver-tebrale davanti. Agli inizi, Roy-Camille pensava che il fissaggio delle viti pedunco-lari fosse importante soprattutto all’interno del peduncolo stesso [18]. Sappiamo oggi che la vite peduncolare è importante per-ché interessa le tre colonne di Denis (Fig. 4). Il peduncolo può essere attraversato da un impianto (vite), ma può essere anche l’ancoraggio di un uncino che l’estremità della lamina penetra dal basso e verso l’esterno (Fig. 5). Il peduncolo è diventato

il punto di fissazione più utilizzato. Raggiungerlo correttamente può talvolta essere difficoltoso e presenta dei rischi (canale all’interno, grandi vasi davanti, radice in basso), mentre la posa degli unci-ni è in genere meno delicata. A livello cervicale i peduncoli sono difficilmente accessibili, perché sono piccoli e si è co-stretti a passare tra il midollo e l’arteria vertebrale (Fig. 6). Nel tratto toracico gli uncini peduncolari sono utilizzati frequen-temente da T1 a T10; al di sotto non sono impiantabili per ragioni anatomiche (arti-colari troppo sagittali). A livello lombare e

1 Rachide di profilo: posizione degli elementi anato-mici della vertebra in funzione dell’asse mediale di flessoestensione.

2 Incisione del legamento giallo per il passaggio sopra-laminare dell’uncino. A. Davanti. B. Uncino in sede.

3 L’uncino laminare è mediale e vicino all’asse antero-posteriore della vertebra. d1: lamina; d2: peduncolo.

4 Vite peduncolare che attraversa le tre colonne del rachide, secondo Denis. 1. Posteriore. 2. Media. 3. Anteriore.

5 In proiezione assiale è evidenziata la posizione ideale di un uncino peduncolare che penetra il peduncolo.

6 Peduncolo cervicale: rapporti stretti con il midollo e l’arteria vertebrale.

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sacrale le viti sono di uso facile e comune. Il peduncolo è una struttura laterale, sim-metrica e solida della vertebra e ciò rende il suo utilizzo particolarmente efficace.

Processi articolari

Si tratta di elementi simmetrici che sono stati utilizzati prima delle viti peduncolari [5]. Il fissaggio può avvenire solamente tramite viti. Possono essere mono- o biarticolari e partecipano quindi alla sintesi e all’artrodesi (Fig. 7). Le viti articolari rappresentavano un complemento alle viti peduncolari delle placche (un foro su due). Oggi invece sono utilizzate soprattutto nel tratto cervicale co-me punto di ancoraggio e nel rachide lomba-re con effetto di artrodesi (fissaggio a viti attraversanti lamina e faccetta). La presa spongiosa è meno efficace rispetto a quella del peduncolo. L’effetto di riduzione dimi-nuisce, ma lo sforzo cervicale è meno im-portante.

Processi trasversi

I processi trasversi toracici possono essere raggiunti molto facilmente attraverso il loro margine superiore. Davanti esiste una zona vuota (senza vasi né nervi) fra la tra-sversa e la costa (Fig. 8A). Un uncino può facilmente essere posizionato sulla tra-sversa. La trasversa è l’elemento bilaterale e simmetrico più laterale della vertebra. L’ancoraggio è molto semplice. La resi-stenza delle trasverse risulta tuttavia debo-le [19], eccetto forse che nel tratto toracico alto. Gli uncini trasversari vengono spesso utilizzati assieme agli uncini peduncolari (pinza peduncolotrasversaria) (Fig. 8B).

Corpi vertebrali

I corpi vertebrali rappresentano la più grossa struttura della vertebra [20] e accet-tano facilmente da una a più viti. La stru-

mentazione del corpo vertebrale richiede un accesso anteriore del rachide, più diret-to e facile nel rachide cervicale che nel tratto toracico o lombare. I fissaggi cervi-cali a vite sono anteroposteriori, spesso bicorticali per aumentare la presa sull’os-so spongioso. Nel tratto toracolombare, la fissazione con vite richiede una legatura dei vasi collaterali e avviene in genere la-teralmente sul piano frontale. L’accesso è da destra nel tratto toracico, per evitare l’aorta, e da sinistra nel rachide lombare, per evitare la vena cava. In L5-S1 e in L4-L5, l’accesso è anteriore per evitare la cresta iliaca che impedisce l’accesso late-rale. L’accesso anteriore della cerniera cervicotoracica resta delicato, a causa delle spalle lateralmente e dello sterno davanti. L’ancoraggio scelto dipende dalle condi-zioni locali e dalla patologia. A livello cervicale l’accesso anteriore è il più semplice e il più diretto. I muscoli spina-li sono spessi ed emorragici. Si tende a pre-ferire l’accesso anteriore, salvo per le cer-niere occipitocervicale e cervicotoracica.Nel rachide toracico e lombosacrale, l’ac-cesso posteriore è il più utilizzato soprat-tutto per le stabilizzazioni lunghe. La presa peduncolare si adatta perfettamente alla tendenza attuale di un uso generalizzato della vite peduncolare, anche se l’uncino peduncolare toracico ha ancora i suoi so-

stenitori. L’approccio anteriore si riserva piuttosto ai fissaggi paucisegmentari.

MEZZI DI FISSAGGIO

Ogni punto di fissaggio anatomico accetta degli impianti pensati per la sua anatomia e resistenza. I mezzi di fissaggio si divido-no in tre grandi famiglie: fili, uncini e viti il cui uso varia nel tempo secondo i model-li, la legislazione e le migliorie che si succedono.

Fili

Il loro uso abituale è intercanalare per tirare la vertebra indietro, verso la barra, utiliz-zando la lamina. L’unione dei due fili per-mette l’accorciamento del filo stesso e l’azione di avvicinamento della vertebra e della barra. Il passaggio intercanalare com-porta rischi neurologici. La trasversa è stata utilizzata nel rachide dorsale per le scoliosi dagli anni Settanta agli anni Ottanta e nel tratto lombare per le ricostruzioni istmiche. Anche le spinose sono accessibili. Gli im-pianti ibridi in cervicale superiore [21], pri-ma e seconda maniera secondo Judet, han-no conosciuto in passato un periodo di largo utilizzo. I cavi rappresentano un migliora-mento dei fili, hanno più stabilità e consen-tono una fissazione più razionale. I fili permettono una fissazione segmen-taria bilaterale, che è stata affidata unica-mente a loro per lungo tempo. Consentono, inoltre, una messa in estensione del ra-chide se uniscono due vertebre e una traslazione se il filo lega la vertebra alla barra. Non permettono la messa in dis-trazione, poiché scivolano sulla barra, ma permettono l’allontanamento auto-matico del rachide sopra e sottogiacente alla vertebra tra lata (Fig. 9A). Il clamp universale [16] è un’evoluzione del filo non più metallico, con un sistema di chiusura misurato e un vero e proprio uncino per l’appoggio alla barra che per-mette lo scivolamento e la distrazione o la compressione. I sistemi a filo richie-dono un’apertura del canale del rachide e svolgono un’azione mediolaterale con a volte la possibilità di scivolamento sulla lamina. La loro azione di riduzione (dero-tazione) è quindi limitata per questa ra-gione (Fig. 9B).

Uncini

Gli uncini si impiantano sulle lamine, i peduncoli e le trasverse. L’uncino è com-posto da un corpo che si unisce alla barra e da una lama che aggancia la vertebra, la cui anatomia cambia secondo l’inserzione. All’inizio il corpo era chiuso e autorizzava solo l’uso di due uncini per barra. Cotrel [9] inventò il concetto di uncino aperto, per-mettendo così la realizzazione di impianti multisegmentari. La chiusura si realizza con blocchi meccanici, clip o tappi.

7 Viti articolari (corte) che attraversano l’articolazione intervertebrale.

8 A. Vuoto tra i processi articolari e la costa. B. Pinza peduncolotrasversaria.

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L’uncino è di facile utilizzo, ma il suo funzionamento segue la direzione della lamina: spinge la vertebra verso il basso o verso l’alto. Garantisce stabilità solamente quando viene utilizzato come pinza: due uncini invertiti (pinza in compressione o in distrazione) (Fig. 10).

Uncini laminari Le lamine lombari, toraciche e cervicali possono essere trattate con uncini di misura e forma differente. La parte concava si ap-poggia sul bordo superiore o inferiore della lamina, mentre l’estremità è dietro la lami-na, nel canale. A livello toracico e cervica-le, la lama degli uncini è di forma obliqua per allontanare la propria estremità dal ca-nale al momento del carico (Fig. 11). Come i fili, richiedono un’apertura del canale (tranne quando si trovano nella parte infe-riore della lamina, tra l’osso e il legamento giallo) e svolgono un’azione mediolaterale. Non sono allineati sulla linea dei pedunco-

li, ma su quella degli uncini a corpo sfasato (Fig. 12). Vengono spesso utilizzati per proteggere una vite da possibili avulsioni. Sono perfetti per tirare la vertebra, meno per spingerla in avanti. Possono (e devono, per essere stabili) provocare una distrazio-ne o una compressione tra due punti fissi del rachide. L’uncino laminare non può essere utilizzato in caso di laminectomia.Tutti gli uncini necessitano di una messa in sicurezza attraverso dispositivi ad azione trasversa. La messa in distrazione di questi tra due barre attacca la lama dell’uncino all’osso della lamina e la allontana dal contenuto del canale.

9 A. Allontanamento vertebrale automatico permesso dal filo, dal cavo o dal clamp. B. Il filo scivola sulla lamina stringendosi: debole braccio di leva rispetto all’asse anteroposteriore della vertebra.

10 L’uncino può garantire presa solamente in movi-mento di spinta. 1. Messa in carico. 2. Pinza in compressione. 3. Pinza in distrazione.

11 A, B. Uncino tradizionale. C, D. Uncino a lama obliqua (più viene inserito in profondità, più la punta della lama dell’uncino si avvicina all’osso).

12 Uncino a corpo modificato: protezione delle viti alle estremità dell’impianto. A. Il corpo dell’uncino non si trova sulla linea dei peduncoli. B. Principio meccanico: i due momenti (F × d) si compensano.

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Uncini peduncolari Questi uncini hanno una forma particolare per introdursi nello spazio articolare ed entrare in contatto con il margine inferiore del peduncolo. L’estremità della punta della lama dell’uncino è stata modificata da Cotrel [22] per adattarsi alla convessità del bordo inferiore del peduncolo. Questo tipo di uncino richiede un percorso di ap-prendimento per il corretto posizionamen-to. È utilizzabile solo da T1 a T10, per ra-gioni anatomiche. Non richiede nessuna apertura del canale. Ha un’azione molto laterale e costituisce un eccellente stru-mento per tirare la vertebra indietro o mobilizzarla lateralmente grazie alla tacca presente all’estremità della lama (Fig. 5). Come ogni uncino deve essere messo in carico per assicurare la tenuta.L’uncino bipeduncolare [23] è una versione avanzata dell’uncino peduncolare con una presa bilaterale in pinza laterale. Si intro-duce lateralmente attraverso lo spazio tra-sversocostale e assicura tenuta per mezzo di una compressione monovertebrale. Non c’è apertura del canale per il posizio-namento. Compie un’azione molto laterale e permette un grande sforzo di correzione sul piano orizzontale. Può essere posizio-nato in neutralizzazione senza bisogno di essere messo in carico intervertebrale per assicurarne la tenuta. Uncini trasversari Questi uncini si fissano sul margine supe-riore della trasversa. Hanno una lama leg-germente più corta e il corpo più stretto. Vengono utilizzati soprattutto all’estremità dell’impianto per stabilizzare gli uncini peduncolari, permettendo una pinza pe-duncolotrasversaria.

PinzeGli uncini richiedono un carico, quindi un’azione di compressione o distrazione per avere buona tenuta. Sono spesso utiliz-zati come pinza:

– monolaminare (cervicale o lombare);

– bilaminare (cervicale, toracica o lombare);

– peduncolotrasversaria (monovertebrale, toracica, più raramente bivertebrale);

– peduncololaminare (toracica o C7-T1) bivertebrale.

Le pinze permettono un’azione di fissaggio mono- o bivertebrale in neutralizzazione.

Viti

Rappresentano oggi il mezzo più utilizzato per il fissaggio vertebrale, ma non è sempre stato così. Negli Stati Uniti, infatti, la Food and Drug Administration ne ha proibito l’utilizzo fino agli anni 2000 [24]. La vite è composta da una testa e un’anima di lun-ghezza variabile. Viene introdotta e assicu-ra tenuta grazie alla filettatura corticale o spongiosa. La testa della vite è vuota, aper-

diametro 7 mm. Si verificarono casi di rottura delle viti [34]; si comprese quindi che per questo tipo di impianti rigidi era necessario utilizzare viti di diametro mag-giore, che si avvicinasse al diametro della barra. Si passò quindi a viti di diametro 7 mm nel tratto sacrale, 6 mm nel lombare, 5 mm o anche meno nel toracico. L’orientamento venne modificato: non più diritto davanti, ma obliquo all’interno. Questa nuova generazione di viti ha per-messo una fissazione delle tre colonne di Louis [20] con un’azione molto più impor-tante nel corpo vertebrale per gli sforzi in traslazione e in rotazione, con sollevamen-to della vertebra attraverso una presa più completa [35] (Fig. 13). Il corpo delle viti era chiuso da blocchi meccanici e Cotrel ha introdotto la vite tulipano a tappo, nel 1988 [36]. Lapresle [25] ha introdotto nello stesso periodo le viti tulipano a riduzione (filettatura spezzabile del corpo della vite). Le varie viti a doppia filettatura sono nate nello stesso periodo. Progressivamente so-no stati creati diversi tipi di vite, fino ad arrivare alla vasta gamma di cui disponia-mo oggi. La vite peduncolare richiede un periodo di apprendimento per essere inserita nel mo-do corretto (Fig. 14). Può entrare in comu-nicazione con il canale all’interno, la radi-ce al di sotto o i vasi davanti. Permette una fissazione solida [37], bilaterale e simmetri-ca. La posizione laterale e la presa delle tre colonne fanno della vite il miglior mezzo di riduzione e fissaggio. Oggi le viti sono l’unico mezzo di fissa-zione che può essere inserito in modo percutaneo.

Viti corporaliQueste viti sono utilizzate differentemente secondo il livello anatomico. La loro fissa-zione è meno solida rispetto a quella delle viti peduncolari, poiché sono composte di osso spongioso e permettono di fissare solo la colonna anteriore di Louis. Le viti cave sono le più indicate in questo caso.

ta o chiusa come gli uncini, o piena a se-conda del suo fine di utilizzo: collegata a un mezzo di sintesi (azione segmentaria multi-vertebrale o azione di fissaggio in compres-sione di due parti ossee). Contrariamente all’uncino, la vite rappresenta un punto di fissazione stabile sotto la vertebra, senza necessità di carico per ottenere la stabilità. La superficie della vite è ricoperta di idros-siapatite per assicurare un miglior fissaggio secondario [25]. Esistono viti espandibili per permettere maggiore tenuta nell’osso osteo-porotico [26]. Possono essere articolari, pe-duncolari o corporali. Sono mono- o polias-siali (mobilità della testa della vite rispetto all’anima). Marnay e Huppert hanno messo a punto una vite cava (hollow modulare anchorage) [27].

Viti articolariLa vite articolare lombare era l’unica auto-rizzata negli Stati Uniti [5]. Fu riscoperta da Raymond Roy-Camille che la utilizzava con le placche lombari tra due viti pedun-colari. Oggi è meno usata. Queste viti sono utilizzate soprattutto a li-vello cervicale [28, 29] dove l’accesso ai peduncoli senza danno collaterale (midol-lo, arteria vertebrale) è più difficoltoso. Permettono una fissazione di qualità [30, 31] senza avere la solidità della vite pedunco-lare. Hanno una presa laterale che interes-sa però solamente la colonna posteriore della vertebra.

Viti peduncolariLe dobbiamo a Raymond Roy-Camille [32] che utilizzò la prima vite peduncolare nell’aprile del 1963. Si trattava di una vite a testa piena che si autobloccava su una placca. La vite attraversa il peduncolo per perdersi nel corpo vertebrale. All’inizio la vite era di piccolo diametro (4 mm) con tenuta all’avulsione soprattutto a livello del peduncolo [33]. Con l’arrivo del materiale di Cotrel-Dubousset, Roy-Camille utilizzò viti di diametro 4 mm con la barra universale di

13 La vite sposta la vertebra nello spazio, soprattutto grazie alla sua azione all’interno del corpo vertebrale.A. Profilo. B. Proiezione assiale.

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Rachide cervicale e toracico alto. Le viti vengono posizionate sulla faccia anteriore del rachide da davanti verso dietro. Sono mono- o bicorticali e sono utilizzate nella maggior parte dei casi con le placche. Hanno un diametro ridotto (2 o 3 mm). Rachide toracico medio, inferiore e lom-bare alto. Le viti sono posizionate lateral-mente sul piano frontale, per evitare i grandi vasi che potrebbero ulcerarsi, entrando in contatto con esse [38, 39]. Vengono utilizzate in fissaggio semplice o doppio [40, 41] e colle-gate tramite placche o barre. Hanno un dia-metro maggiore (da 4 a 5 mm). Rachide lombare basso e sacrale. Le creste iliache rendono impossibile il posi-zionamento trasversale delle viti, che ven-gono quindi posizionate in anteroposterio-

re con delle placche. I vasi iliaci si allonta-nano dal rachide, quindi questo posiziona-mento è più tollerato. Il diametro delle viti è intermedio (da 3 a 4 mm). Assialità Le viti erano all’inizio monoassiali, cioè a testa fissa. L’aggancio avveniva a 90° tra la vite e l’elemento di sintesi. La molteplicità dei mezzi di fissazione peduncolari ha reso difficile l’assemblaggio tra viti e mezzi di sintesi, così la testa della vite è diventata poliassiale in alcune strumentazioni. La mobilità della testa della vite (Fig. 15) permette un assemblaggio più facile al prezzo di un’azione di riduzione ridotta, poiché è la testa della vite e non la vertebra a entrare in contatto con il mezzo di sinte-

si. Il sistema ad ascensore (corpo della vite a filettatura spezzabile) aumenta la mano-vrabilità, ma trasforma la vite in un uncino attraverso un’azione di avvicinamento che tira la vertebra all’indietro (Fig. 16). L’azione di riduzione è inferiore, ma l’im-pianto più facile, con una possibilità di correzione che avverrà con altri mezzi.

Altri mezzi di fissazioneLe graffe sono impiegate nella chirurgia dell’epifisiodesi [42] e nel fissaggio a vite dei corpi vertebrali per assicurare le teste delle viti. Non vengono più utilizzate per il fissag-gio nel rachide sacrale, poiché permettevano solamente un’azione e una distrazione cifo-tizzante per la cerniera lombosacrale [43]. Oggi le ancore permettono il fissaggio dei cage o delle protesi al corpo vertebrale.

MEZZI DI SINTESI

Gli elementi di sintesi permettono di unire tra loro gli elementi di fissaggio, congiun-gono tra loro due vertebre o le incastrano.

Placche e barre Placche Sono elementi piatti perforati per ricevere le viti. In generale questi fori sono fissi, secondo una distanza interpeduncolare media (26 mm). Hanno una forma che si adatta e impone la curvatura sagittale del rachide. Sono inoltre rettilinee sul piano frontale. La correzione si attua attraverso il fissaggio a vite del rachide, che si riduce sulla placca. La connessione vite-placca può essere fissa e rigida a 90° [44] oppure più libera, permettendo un cono di mobili-tà (Roy-Camille e Louis [8, 20]) (Fig. 17). In

14 I tre elementi di rischio della vite peduncolare. A. Radice; proiezione sagittale e frontale. B. All’interno, il canale; davanti, i vasi (profilo assiale).

15 A. Vite monoassiale. B. Vite poliassiale: facilità di assemblaggio, perdita di riduzione.

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da ottenere la fusione, poiché la pseudoar-trosi viene evitata attraverso l’aggiunta di una fissazione complementare autostrin-gente stand alone. La superficie di contat-to con il piatto vertebrale deve essere massima perché il cage non impatti con l’osso, eventualità che impedirebbe l’effet-to di riduzione. La buona preparazione dei piatti e l’aumento degli orifizi interni met-te in equilibrio la fusione e la riduzione.Il cage può essere metallico o in materiale composto. Fu il concetto di cage a permet-tere lo sviluppo dei diversi materiali. Harms [51] ha messo a punto un cage con struttura a grata, in cui si dà preferenza all’osso. L’impatto del cage qui è voluto e la riduzione è assicurata dall’osteosintesi posteriore.

Dispositivi interspinosi

I dispositivi interspinosi sono stati intro-dotti da Sénégas [46] negli anni Ottanta e conoscono oggi un nuovo momento di in-teresse. La messa in tensione e il manteni-mento di una distanza fissa tra la base delle spinose dovrebbero dispensare il di-sco da costrizioni nocive. Il fissaggio nello spazio interspinoso a volte è di ostacolo a una rimessa in lordosi adeguata della co-lonna lombare. L’osteoporosi e la fragilità delle spinose sono uno dei limiti della tec-nica, mentre la sua facile applicazione in mini-invasiva o addirittura in anestesia lo-cale ne ha favorito l’uso.

Protesi discali e articolari Le protesi discali (totali o nucleiche) sono in pieno sviluppo. Le protesi discali esula-no dal tema principale di questo lavoro, ma si segnalano comunque alcuni progetti in fase embrionale di protesi articolari o intervertebrali.

CONNESSIONE TRA ELEMENTI DI FISSAZIONE E DI SINTESI

Le prime placche vedevano le viti incastrar-si nei loro fori. Le placche di Steffee furono sigillate con un dado (vite a doppia filetta-tura). I primi impianti aperti di Cotrel erano chiusi con blocchi meccanici che venivano posti nella barra nel senso (discendente o ascendente) e dal lato dell’impianto. Poi il blocco fu sostituito dalla clip [52]. Oggi il tappo è l’elemento più comune di chiusura degli impianti. Sono stati elaborati diversi strumenti di ausilio alla chiusura: doppia filettatura del corpo della vite, cilindro di guida, vite autobloccante ecc. Il vantaggio resta la facilità di chiusura e l’azione di av-vicinamento della vite (e quindi della verte-bra) verso la barra. L’inconveniente risiede nel blocco della vite, poiché il mezzo di chiusura dell’impianto e quello di sigillatu-ra si confondono. L’attorcigliamento inizia-le dei fili e dei cavi è stato quindi sostituito da sistemi sofisticati di chiusura e di sigilla-tura.

quest’ultimo caso il fissaggio è meno rigi-do, ma la riduzione più completa. Oggi vengono utilizzate soprattutto per i fissaggi corporali anteriori, poiché la plac-ca viene posizionata per prima e la vite subito dopo.

Barre La prima barra si deve a Harrington [6] all’inizio degli anni Sessanta: liscia, con un’estremità inferiore che rientra nell’un-cino chiuso in basso e un’estremità supe-riore dotata di una tacca che permette una distrazione con l’uncino chiuso superiore. Cotrel chiuse l’uncino con un piccolo bul-lone [22]. La sbarra passava con un va e vieni tra i due uncini chiusi; era diritta e ciò impediva di ottenere il profilo adatto. Il fissaggio era sommario, ma si trattava del primo dispositivo metallico di osteosintesi del rachide. I punti deboli della barra si trovano a livello delle tacche superiori, dove si verificavano frequenti rotture del materiale. Nel 1983, Cotrel mise a punto la prima barra [9] a superficie irregolare, senza che questo cambiamento di forma comportas-se ulteriori punti critici (a livello delle tacche). Aveva un diametro di 7 mm ed era facilmente modellabile per permettere il carico di numerosi uncini. Ammetteva sforzi in distrazione-compressione e la ro-tazione della barra permetteva la correzio-ne con la restituzione di un profilo in lor-dosi e cifosi. Oggi la barra è il mezzo di sintesi più co-mune. È generalmente liscia, con diametro ridotto a 3 o 4 mm nel tratto cervicale e 5 o 6 mm nel toracolombare. In passato veni-vano utilizzate anche barre-placche (roton-de con dei fori o rotonde che si trasformano in piatte), mentre oggi esiste anche una barra appiattita usata nella strumentazione.

LegamentiIl concetto fu introdotto da Graf [45] e Sénégas [46] negli anni Ottanta, poi da Dubois [47] negli anni Novanta (Dynesys®).

Oggi esistono diverse versioni di materiale che utilizzano questo concetto. L’ancoraggio attraverso viti peduncolari si accompagna a un legamento sintetico che permette una stabilizzazione del rachide e dispensa così dall’artrodesi. La mobilità residua è poco rilevante e gli sforzi conseguenti subiti nel lungo periodo dalle viti richiedono tecniche di posizionamento molto precise.

Fili e cavi

I fili, sempre meno utilizzati, vengono so-stituiti dai cavi, molto più resistenti. Permettono sintesi intervertebrali, inter-spinose o interlaminari. Negli anni Novanta, Mazel aveva immagi-nato una sintesi intervertebrale sostituendo ogni barra con due barre di 2,5 mm di dia-metro in inox (3 mm in titanio) [48] che permettessero un’osteosintesi flessibile del rachide con l’ausilio di viti peduncolari. Questa strumentazione (Twinflex®) dove-va adattarsi alla flessibilità naturale del rachide, che persiste anche in caso di inne-sto posteriore.

Cage

I cage sono stati introdotti negli anni Ottanta, all’inizio come spessori ossei iner-ti [49], poi come spessori vuoti [50] con un lembo di innesto che permetteva di ottenere attraverso essi una fusione intersomatica. Hanno avuto il loro maggior successo negli anni Novanta, a causa della proibizione delle viti peduncolari negli Stati Uniti. Possono essere introdotti per via anteriore (Anterior Lumbar Interbody Fusion [ALIF]) o per via posteriore (Posterior Lumbar Interbody Fusion [PLIF]). Da allora sono stati descritti molti metodi di introduzione per via più o meno laterale (Transforaminal Lumbar Interbody Fusion [TLIF], eXtrem Lateral Interbody Fusion [XLIF] ecc.). I cage permettono un allontanamento in-tersomatico che facilita la rimessa in lor-dosi. Gli orifizi che contengono l’innesto devono essere sufficientemente importanti

16 Vite ad ascensore.17 Il cono di mobilità delle viti nelle placche corri-sponde alle attuali viti poliassiali.

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Metodo

PARTICOLARITÀ DEL RACHIDE

Il rachide non è un osso lungo

Il rachide è composto da una successione di elementi ossei, le vertebre, separati da segmenti mobili: i dischi, le articolazioni posteriori, i legamenti. L’osteosintesi che si basa sulle vertebre e le unisce lascia delle persistenti soluzioni di continuità. L’osteosintesi non è una protesi, quindi non può sopportare a lungo punti di mobi-lità. Affinché il rachide assomigli a un os-so lungo si rende necessario un innesto osseo; senza di questo l’osteosintesi è de-stinata al fallimento, con progressiva rottu-ra del materiale. Questa nozione è fonda-mentale per comprendere il funzionamento dell’osteosintesi che è, e resta, un mezzo di riduzione e fissazione provvisorio per il raggiungimento di una buona fusione, po-sizionamento o consolidazione di una frat-tura. Nel caso di una protesi il movimento è ricercato e avviene nell’interfaccia tra l’elemento di fissaggio superiore e l’ele-mento di fissaggio inferiore. In un’osteo-sintesi, il movimento può avvenire solo nel punto di ancoraggio (gioco della vite, mo-bilizzazione forzata, avulsione, rottura di quest’ultima) o nella barra che si rompe (frattura per eccessivo sforzo). A corolla-rio di questa situazione si rilevano dolore e perdita di riduzione. Questo elemento si fa ancora più importante nell’epoca degli impianti transcutanei, in cui l’innesto ap-pare comunque necessario per la stabilità del materiale. Nelle osteosintesi legamen-tose il movimento è assicurato dal lega-mento, ma il punto debole è rappresentato dall’assenza di un centro di rotazione; la conseguenza che ne deriva è la sovrasolle-citazione dei punti di ancoraggio.

Il rachide non ha un profilo rettilineo

Se il rachide appare di norma rettilineo frontalmente, non è così per il profilo (che appare dritto solo in T12-L1). Il rachide è trattato chirurgicamente in decubito, ma il risultato della chirurgia deve essere fun-zionale alla posizione eretta. Si devono ri-spettare o ristabilire le curvature sagittali, per ottenere un buon equilibrio sagittale.

deve sempre poggiare sull’osso e serve da punto fisso per la compressione.

C0 (occipite) Le viti occipitali attraversano le tavole in-terne ed esterne. Richiedono una foratura con punta dotata di fermo. A causa della cresta occipitale, il miglior fissaggio risul-ta essere quello mediano. C’è il rischio di lesionare il seno venoso o di asportare una porzione di liquido cerebrospinale, ma il posizionamento della vite risolve di solito questo problema. Le viti utilizzate in que-sto caso hanno una lunghezza che va dai 10 ai 15 mm.

Rachide cervicale superiore Nel rachide cervicale superiore i fissaggi delle viti avvengono con motore lento, punta di diametro 2,8 mm e viti di diame-tro 3,5 mm. Attualmente ci si avvale molto dell’aiuto della navigazione computerizza-ta per migliorare e mettere in sicurezza l’impianto. C1. Il fissaggio a vite delle masse laterali di C1 richiede l’abbassamento della radice C2. Il punto di ingresso si trova sotto l’arco posteriore in mezzo alla massa laterale (Fig. 19). La direzione è leggermente convergen-te, parallela al piano della vertebra [54]. La vite è di 3,5 mm e lascia indietro una parte non filettata di 8 mm per raggiungere il li-vello posteriore di C2. C2. Il fissaggio con viti dei peduncoli di C2 fu raccomandato da Robert Judet a partire dal 1962 [55]. Il punto di ingresso si trova nel quadrante superiore interno del massiccio articolare di C2 (Fig. 20). La direzione è verso l’alto e l’interno di circa 20°. Ci si può aiutare con una palpazione prudente del margine interno e superiore del peduncolo con una spatola. Il fissaggio a vite del dente dell’epistrofeo è stato descritto da Böhler [56]. Si riserva alle fratture dell’odontoide oblique verso il basso e dietro o trasversali. Il punto di in-gresso è nella parte anteriore della superfi-cie inferiore di C2 (Fig. 21). La direzione molto obliqua verso l’alto è maggiormente apprezzabile tramite due amplificatori di brillanza che diano una visione frontale e del profilo allo stesso tempo. Alcuni autori giapponesi hanno descritto l’inserzione di viti di 3 mm nelle lame di

Oggi è impossibile operare un rachide senza prima avere i parametri pelvici e del rachide stesso. È fondamentale la lordosi lombare e la versione pelvica è l’adatta-mento più o meno forzato a una mancanza di equilibrio. Tale mancanza di conoscen-za è all’origine di molte complicanze e cattivi risultati della chirurgia passata. I fallimenti passati hanno incrinato la repu-tazione della chirurgia del rachide e hanno spesso imposto numerose successive revi-sioni a una chirurgia semplice, finendo quasi sempre in un’osteotomia transpe-duncolare non priva di rischi, anche vitali.

Il rachide si divide in tre parti

I tre segmenti del rachide, cervicale, tora-cico e lombare, sono differenti per posizio-ne, anatomia e misura. Bisogna aggiunge-re a questi la vertebra occipitale e la verte-bra pelvica di Dubousset [53]. La chirurgia più comune si interessa al rachide lomba-re, per il quale l’approccio posteriore è il più utilizzato. Gli approcci al rachide sono differenti secondo il livello.

Il rachide è attraversato da elementi nervosi

Il contenuto neurologico del rachide limita spesso le ambizioni ortopediche. La com-plicanza neurologica deve costituire sem-pre l’ossessione di un chirurgo del rachide responsabile. Se nel tratto lombare le radi-ci nervose sono più tolleranti, l’attenzione deve essere massima a livello cervicale e toracico, dove il midollo costituisce un elemento fragile il cui danneggiamento è spesso irreversibile. La strumentazione e la correzione devono essere ponderate e prudenti. La vascolarizzazione segmenta-ria del midollo è a tutt’oggi sconosciuta e qualsiasi aggressione vascolare intempe-stiva deve essere evitata.

FISSAGGIO

Con viti

Il fissaggio con viti può essere semplice (ancoraggio osseo) o a compressione tra due elementi ossei. Per essere efficace de-ve utilizzare una vite a filettatura corta, oppure un foro di scivolamento prossimale (Fig. 18). In ogni caso la testa della vite

18 Fissaggio a vite in compressione. A. Foro di scivolamento. B. Vite a filettatura distale.

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C2 [57] al fine di evitare ogni possibile con-flitto con l’arteria vertebrale (Fig. 22). C1-C2. Il fissaggio a viti transarticolari C1-C2 fu introdotto da Magerl e Seemann nel 1979 [58]. La testa deve trovarsi in po-sizione ideale, con sguardo all’orizzonte. Il punto di ingresso è situato nella metà inferiore del massiccio articolare di C2 (Fig. 23). La direzione è fortemente ascen-dente (60°) con un ingresso per perforazio-ne cutanea perpendicolare a C7. La corret-ta direzione è monitorata dal radioscopio,

19 Fissaggio con viti delle masse laterali di C1 (da A a C).

20 Fissaggio a vite del peduncolo di C2. 1. Punto di ingresso. 2. Arteria vertebrale. 3. Spatola.

21 Fissaggio a vite dell’odontoide (da A a E).

22 Fissaggio a vite della lamina di C2.

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per attraversare l’istmo e penetrare nella massa laterale di C1. Qualsiasi anomalia dell’arteria vertebrale rappresenta una controindicazione a questa tecnica.

Rachide cervicale inferioreIl fissaggio a vite dei peduncoli cervicali [59] non risponde a nostro avviso alle esigenze di riproducibilità e sicurezza. Il fissaggio a vite interessa preferibilmente i massicci articolari. Secondo Roy-Camil-le [60], il punto di ingresso si trova al centro

colare con una traiettoria da 20 a 25° verso l’alto e l’esterno (Fig. 24B).

Rachide toracicoLa direzione a livello toracico (Fig. 25) è stabilita a partire da un punto di ingresso situato perpendicolarmente al terzo ester-no dell’articolare superiore e guardando verso il terzo superiore della trasversa. La direzione è sul piano frontale da 5 a 10° verso l’interno e perpendicolare al piano della vertebra sul piano sagittale.

del massiccio articolare, sulla cima della prominenza che questo rappresenta. Al-l’interno è presente una piccola lacuna che separa il massiccio articolare dalla lamina (Fig. 24A). L’arteria vertebrale è proiettata davanti a essa, mentre la radice è proiettata davanti allo spazio articolare. La direzione è quindi perpendicolare al piano della ver-tebra con una minima obliquità verso l’esterno (massimo 10°). Secondo Magerl [61], il punto di ingresso si trova nel qua-drante superiore interno del massiccio arti-

23 Fissaggio a vite transarticolare C1-C2 (da A a C).

24 Fissaggio a vite cervicale. 1. Punto di ingresso. Da A a C. Secondo Roy-Camille.Da D a F. Secondo Magerl.

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Rachide lombareA livello lombare (Fig. 26), il punto di in-gresso si trova all’incrocio delle linee del centro del massiccio articolare superiore e del centro della trasversa. L’inclinazione è perpendicolare sul piano sagittale e da 10 a 15° sul piano frontale secondo le condi-zioni locali.

quindi il massimo fissaggio può essere ottenuto davanti. Il fissaggio ottimale è bicorticale. La traiettoria mediana (bifor-cazione dei vasi) e ascendente (dischi L5-S1) minimizza il rischio. La cresta iliaca in alcuni casi può impedire il pas-saggio ed è quindi necessario che subisca una resezione.

Rachide sacraleIl punto di ingresso è collocato nella par-te esterna del bordo inferiore del massic-cio articolare superiore del sacro (Fig. 27). La direzione è obliqua verso l’alto e l’esterno, per poter mirare all’angolo an-teriore della superficie sacrale [62]. Il sa-cro è un osso spongioso poco denso,

25 Traiettoria peduncolare toracica (da A a C).

26 Traiettoria peduncolare lombare (da A a C).

27 Traiettoria peduncolare sacrale. A. Proiezione posteriore. B. Proiezione di profilo. C. Proiezione assiale.

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Viti translaminofaccettarie Il punto di ingresso è situato alla base della spinosa (Fig. 28). La direzione è di circa 40° in basso e verso il lato opposto mirando al massiccio articolare. Per evi-tare un’incisione troppo grande può es-sere utile un passaggio transcutaneo a monte.

Cresta iliaca Il fissaggio a vite della cresta richiede viti lunghe (da 50 a 80 mm) e di grosso diametro (da 7 a 8 mm). Il punto di in-gresso è situato poco più di 2 cm a monte della spina iliaca posterosuperiore (Fig. 29). Si raccomanda di resecare la parte della cresta iliaca che sormonta il sacro all’indietro per allineare le due ossa; tale operazione permette altresì di recuperare osso per l’innesto. La traiettoria è tra i 15 e i 20° verso l’esterno e verso il basso. È possibile dirigersi verso il gran trocante-re trovandolo con la mano. Con la curette si passa tra le due corticali iliache. L’ideale è passare al di sopra del forame ischiatico e arrivare nella regione supe-riore del cotile.

bordo superiore orizzontale a 4 mm dalla linea intertrasversaria e il bordo interno verticale rispetto al punto P. Una volta tolto il frammento, si può penetrare lo spazio articolare e introdurre una raspa peduncola-re che aggancerà il peduncolo. È necessario sentire bene il peduncolo mobilizzando la vertebra verso l’esterno. A questo punto si può introdurre l’uncino a martello contro il margine inferiore del peduncolo. Uncini occipitali La presa occipitale può essere realizzata con due uncini invertiti a formare una pin-za di distrazione [63]. La tenuta è molto solida, ma richiede un foro con il trapano a livello occipitale.

Fili, cavi e clamp

Richiedono un’apertura canalare dall’alto al basso. Il filo o cavo è introdotto evitan-do qualsiasi punta che possa causare una lesione durale (è frequente l’introduzione a filo doppio). Vengono precurvati, al fine di adattarsi alla lamina ed evitare il sacco durale, e infine chiusi e sigillati con diver-se modalità. Uniti a una barra, la loro chiusura permette una traslazione. Senza mezzo di sintesi, l’impianto può essere laminolaminare o laminospinoso (Fig. 30). Servono inoltre a mettere in sicurezza una presa attraverso vite peduncolare con chiu-sura della barra sulla lamina. Impediscono l’avulsione delle viti.

Uncini

Uncini laminari Gli uncini sovralaminari richiedono un’aper-tura del canale. Il legamento giallo viene disinserito dal margine superiore della lami-na. L’istmo vertebrale viene leggermente stretto con la pinza di Kerrison per lateraliz-zare al massimo la lama dell’uncino. Un eventuale sanguinamento epidurale non de-ve essere coagulato, ma tamponato con Gelfoam®. L’uncino può quindi essere in-trodotto, con l’estremità della lama a contat-to con l’osso per non aggredire il midollo.Gli uncini sottolaminari non richiedono la sezione del legamento giallo e vengono introdotti tra l’osso e il legamento. Si ren-de necessario eventualmente rimpicciolire la parte mediale del massiccio articolare per lateralizzarla al meglio. Talvolta nel tratto lombare è necessario appianare con la pinza di Kerrison la parte anteriore della lamina perché l’uncino possa introdursi facilmente. Se due uncini vengono posi-zionati allo stesso livello bisogna verifica-re che le due lame non si accavallino e non comprimano il sacco durale.

Uncini peduncolari L’inserzione di un uncino peduncolare ri-chiede una tecnica molto rigorosa. È neces-sario esporre l’articolare inferiore della vertebra e reperirne la parte inferointerna (punto P) che la separa dalla lamina. Con lo scalpello piatto si seziona un quadrato con

28 Vite translaminofaccettaria.

29 Vite iliaca. 30 Allacciamento C1-C2 secondo Judet. A, B. Primo modo. C, D. Secondo modo.

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Cage

Benché non si tratti propriamente di mate-riale di osteosintesi, contribuiscono alla correzione delle deformità e al fissaggio del rachide. Il loro posizionamento in in-tersomatica prevede diverse vie, posteriori o anteriori. Corrispondono alle tecniche di artrodesi PLIF, TLIF, XLIF, ALIF e altri cage anteriori, alle quali si avvicina la tec-nica trans-one.

RIDUZIONE

L’osteosintesi del rachide non è solamente un metodo di fissaggio vertebrale (stabiliz-zazione), ma altresì e soprattutto oggi un metodo di riduzione. Fissare un rachide nella posizione errata non è più accettabi-le, quando se ne conoscono le conseguen-ze. La chirurgia deve restituire al paziente un’anatomia normale e garantire il miglior risultato funzionale. I mezzi e le tecniche di riduzione sono stati spiegati poco e a volte compresi male; sono molti e possono rispondere a una filosofia o a una necessità imposta dalle circostanze. Conoscerli è dunque importante. Tale riduzione può essere diretta o indiretta.

Diretta La riduzione diretta deriva dal fissaggio con viti in compressione. La vite a testa piena attraversa le due parti da unire e l’avvitamento nella parte distale provoca una compressione della soluzione di conti-nuità. Questa tecnica si applica alle lisi istmiche [64] e al fissaggio a viti interlami-noarticolare [15]. Per una maggiore effica-cia è necessario un foro di scivolamento con una vite normale o una vite a filettatu-ra distale (Figg. 18, 23, 28).

Indiretta

La riduzione si ottiene con l’assemblaggio degli elementi di fissaggio agli elementi di sintesi. La scoliosi resta un modello di deformità che può far comprendere al me-glio i principi di distrazione-compressione, traslazione, rotazione della sbarra, rotazio-ne delle viti e curvatura in sede.

Distrazione-compressione Inizialmente la distrazione si otteneva con la barra di Harrington [6] tra due uncini posizionati nella concavità di una scoliosi. L’allontanamento ottenuto imponeva un’elongazione del rachide ma soprattutto una traslazione automatica della sommità (Fig. 31). Due uncini lontani davano una modesta stabilità e non permettevano in alcun modo il controllo del profilo. Allo stesso tempo, una compressione convessa della sommità [65] migliorava il risultato frontalmente, ma questo tipo di compres-sione molto accentuata posteriormente sulla vertebra attraverso gli uncini aggra-vava la lordosi toracica. Le manovre di distrazione-compressione sono quasi ob-

Nel modello scoliosi, la traslazione consi-ste nell’avvicinare la sommità concava della deformità verso la barra mediana. Per creare spazio alla vertebra sulla sommità, le vertebre alle estremità devono allonta-narsi (Fig. 34). La traslazione crea quindi una distrazione automatica, così come la distrazione creava una traslazione automa-tica. Il sistema sviluppato da Luque [7] era particolarmente adatto a questo tipo di ri-duzione, poiché i fili permettevano un mi-glior scivolamento delle vertebre alle estremità. Si trattava inoltre della prima strumentazione multisegmentaria del ra-chide, con una stabilità che permettesse di evitare il corsetto postoperatorio.La traslazione tira la vertebra verso la bar-ra situata al suo fianco, generalmente all’indietro. La correzione frontale e di profilo è quindi possibile se la barra è mo-dellata in modo da ricreare una cifosi e una lordosi. Tuttavia la traslazione non per-mette di migliorare il piano orizzontale (rotazione) (Fig. 35). Per questa ragione le diverse tecniche associano alla traslazione la rotazione delle viti sul piano orizzonta-le. La rotazione delle viti verso avanti non migliora la cifosi toracica e appiattisce il dorso, ma permette comunque di migliora-re la lordosi lombare.

Rotazione della sbarra Nel 1983, Cotrel e Dubousset [9] realizza-rono la prima strumentazione multiseg-mentaria con l’aiuto di uncini. Si accorsero subito della difficoltà di applicare la tecni-ca di Harrington; ebbero quindi l’idea di curvare la barra per assecondare la conca-vità della deformità, poi di ruotare in tora-cica di 90° verso dietro. Questa manovra permetteva di ottenere un rachide dritto frontalmente e in cifosi di profilo (Fig. 36). La stessa manovra in lombare, ma ruotando la barra convessamente verso avanti permetteva di ottenere la correzione frontale e di ristabilire o accentuare la lor-dosi lombare. Oggi in ogni strumentazione del rachide queste manovre di rotazione della o delle barre consentono di facilitare la strumentazione e migliorare il profilo. La rotazione della barra ha fatto credere per molto tempo che anche la colonna ruotasse. Di fatto, come avveniva per la traslazione, nemmeno la rotazione della barra aveva effetti sul piano orizzontale. Per ottenere un risultato soddisfacente fu necessario aggiungere la rotazione delle viti.

Curvatura in sede La barra di Harrington era dritta, quella utilizzata nella tecnica di Cotrel-Dubousset invece veniva curvata fuori dal campo operatorio. La curvatura in sede ha come principio quello di dare alla barra la forma del rachide, per poi dare al rachide la for-ma della barra [66] (Fig. 37). La barra cer-cherà la vertebra e le manovre di curvatu-

bligatorie per la stabilità degli uncini e questo accentua l’importanza del loro sen-so opposto o convergente. Per assimilazione, diventò un’abitudine dire che la compressione posteriore lom-bare accentuava la lordosi. Questo è vero se il fissaggio è posteriore tramite uncini, ma non lo è più se vengono utilizzate del-le viti (Fig. 32A) poiché queste mobilizza-no le tre colonne. Le viti poliassiali ri-spondono parzialmente a questa manovra, che si conclude una volta raggiunta la mobilità completa della testa della vite (Fig. 33B). Le viti monoassiali non per-mettono di ottenere una lordosi attraverso la messa in compressione su una barra, lordosizzata o no.Oggi gli sforzi in compressione si applica-no soprattutto alle osteotomie per correg-gere e mettere in contatto le parti vertebra-li superiori e inferiori. La distrazione si ottiene con l’applicazione di una pinza in distrazione tra due punti non sigillati (uncini o viti tra due vertebre) o tra un punto fisso (uncino o vite, pinza autobloccante) e un punto libero (vite o uncino). Si può ottenere una distrazione realizzando altresì una compressione tra un punto fisso (pinza autobloccante) posi-zionato al di sopra dell’impianto superiore o al di sotto dell’impianto inferiore (Fig. 33). Gli stessi principi sono applicabili per la compressione.

TraslazioneLe placche [8] sono state il miglior esempio di traslazione: la chiusura delle viti riduce la vertebra sulla placca (anteriore o poste-riore). La forma della placca è quindi di importanza determinante, poiché la colon-na si incollerà a essa. Non esistendo alcu-na zona piatta di profilo, nel rachide, la placca non deve mai essere diritta.

31 Principi della distrazione (A, B).

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ra ripetute attorno a ogni impianto per-metteranno la mobilizzazione del rachide. Ogni vertebra è mobilizzata dal suo im-pianto, poiché le viti sono inserite il più possibile in avanti e gli uncini tirati all’in-dietro. La tecnica si accompagna fin dall’inizio a una rotazione delle viti, ma

tante averne compreso i principi di base per ricorrervi al momento appropriato. Le diverse tecniche rappresentano una rispo-sta dei chirurghi a momenti chirurgici difficili; questi principi devono servire di aiuto per un miglioramento della propria pratica.

su di un’asse variabile a ogni curvatura. Può essere utilizzata da sola o a completa-mento di altre tecniche.

In pratica

Tutte le tecniche sono utili e hanno le loro specifiche indicazioni. È quindi impor-

32 Principi di compressione. A, B. Con uncini. Da C a E. Con viti: monoassiali (C), poliassiali (D), Schanz (E).

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33 Diverse applicazioni della distrazione. A. Distrazione tra due viti. B. Distrazione tra un punto fisso e una vite.C. Distrazione per compressione tra una vite e un punto fisso al di sopra di essa.

SOLIDITÀ

L’osteosintesi moderna deve essere solida e permettere la mobilizzazione immediata del paziente operato senza mezzi di con-tenzione esterna. Le prese vertebrali devo-no essere solide e versatili. I mezzi di sintesi devono resistere al carico e agli sforzi ripetuti. Lasciare il paziente alletta-to e fare ricorso a un corsetto sono even-tualità che devono diventare eccezionali. Ogni nuova tecnica che non risponda a queste condizioni non rappresenta un avanzamento tecnologico. Il fine dell’osteo-sintesi è di ottenere una solida fissazione del rachide, in una buona posizione per raggiungere le migliori condizioni di gua-rigione (consolidazione della frattura o dell’artrodesi).

34 Principi di traslazione (A, B).

35 Difficoltà a ottenere un’azione sul piano orizzontale attraverso la traslazione (da A a C).

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36 Principi di rotazione della sbarra. A, B. Aspetto frontale prima e dopo la rotazione. C, D. Aspetto laterale prima e dopo la rotazione.

37 Principi di curvatura in sede (A, B).

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