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O 65 Vengono presentati insieme due termini che hanno significati contigui e indicano due approcci comparsi entrambi negli an- ni Quaranta. Le ricerche condotte nella prospettiva della ricer- ca-azione sono state da subito considerate come attività fina- lizzate a un cambiamento e si sono caratterizzate per la com- presenza di due componenti di fondo: un percorso originale di ricerca, specifico delle scienze sociali e un metodo di interven- to per promuovere cambiamenti individuali e collettivi. La paternità della prima action research sembra possa essere attribuita a Kurt Lewin, per il quale ha rappresentato innanzitut- to “una sperimentazione nella vita reale”. Nelle rappresenta- zioni diffuse in Francia, la ricerca-azione è stata associata so- prattutto a un caso, diventato celebre, di cambiamento delle abitudini alimentari negli Stati Uniti in periodo di guerra. Ma i primi testi scientifici in cui compare questo termine sono stati scritti da Lewin soltanto nel 1946, poco prima della morte, seb- bene descrivessero lavori iniziati nel 1934. Per quanto ne sap- piamo, il concetto di intervento psicosociologico è apparso in Francia qualche anno più tardi, intorno al 1946, per distingue- re questa attività di consulenza da quella degli ingegneri orga- nizzativi, che già utilizzavano la parola intervento per indicare il loro lavoro o quello di formatori o di psicotecnici. In seguito - alla fine degli anni Cinquanta - questa denominazione fu mantenuta per distinguerla dal modello lewiniano considerato troppo rigidamente definito dal metodo sperimentale e anche per individuarla rispetto ad alcuni lavori ad orientamento clini- co d’ispirazione freudiana e kleiniana realizzati da molti anni nell’ambito della Tavistock Clinic in Inghilterra, per i quali veni- va anche impiegato il termine action research. La parola inter- vento si è diffusa anche negli Stati Uniti verso la fine degli anni ORIGINE E SVILUPPI DELLA RICERCA-AZIONE* Jean Dubost, André Lévy (*) L’articolo è tratto da Ba- rus-Michel J., Enriquez E., Lévy A., Vocabulaire de Psy- chosociologie, Érès, Paris, 2002.

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Vengono presentati insieme due termini che hanno significaticontigui e indicano due approcci comparsi entrambi negli an-ni Quaranta. Le ricerche condotte nella prospettiva della ricer-ca-azione sono state da subito considerate come attività fina-lizzate a un cambiamento e si sono caratterizzate per la com-presenza di due componenti di fondo: un percorso originale diricerca, specifico delle scienze sociali e un metodo di interven-to per promuovere cambiamenti individuali e collettivi.La paternità della prima action research sembra possa essereattribuita a Kurt Lewin, per il quale ha rappresentato innanzitut-to “una sperimentazione nella vita reale”. Nelle rappresenta-zioni diffuse in Francia, la ricerca-azione è stata associata so-prattutto a un caso, diventato celebre, di cambiamento delleabitudini alimentari negli Stati Uniti in periodo di guerra. Ma iprimi testi scientifici in cui compare questo termine sono statiscritti da Lewin soltanto nel 1946, poco prima della morte, seb-bene descrivessero lavori iniziati nel 1934. Per quanto ne sap-piamo, il concetto di intervento psicosociologico è apparso inFrancia qualche anno più tardi, intorno al 1946, per distingue-re questa attività di consulenza da quella degli ingegneri orga-nizzativi, che già utilizzavano la parola intervento per indicareil loro lavoro o quello di formatori o di psicotecnici. In seguito- alla fine degli anni Cinquanta - questa denominazione fumantenuta per distinguerla dal modello lewiniano consideratotroppo rigidamente definito dal metodo sperimentale e ancheper individuarla rispetto ad alcuni lavori ad orientamento clini-co d’ispirazione freudiana e kleiniana realizzati da molti anninell’ambito della Tavistock Clinic in Inghilterra, per i quali veni-va anche impiegato il termine action research. La parola inter-vento si è diffusa anche negli Stati Uniti verso la fine degli anni

ORIGINE E SVILUPPI DELLA RICERCA-AZIONE*Jean Dubost, André Lévy

(*) L’articolo è tratto da Ba-rus-Michel J., Enriquez E.,Lévy A., Vocabulaire de Psy-chosociologie, Érès, Paris,2002.

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Sessanta e questo ha permesso un ulteriore avvicinamento deidue termini. Una definizione del britannico R.N. Rapoport(1970) può ben adattarsi ad entrambi: si parla di un progettoche risponda sia alle preoccupazioni pratiche di attori che si tro-vano in situazioni problematiche, sia allo sviluppo delle scienzesociali, attraverso una collaborazione che colleghi i due aspettisecondo uno schema etico mutualmente accettabile.

La locuzione action research individuata da Lewin qualificaun’attività di ricerca condotta al di fuori di un laboratorio uni-versitario, in un contesto di vita e collegata a problemi di azio-ne e pertanto orientata da valori.Il ricercatore, che non si considera esterno e distanziato dal-l’oggetto di ricerca, attraverso l’analisi di ciò che accade e sisviluppa nelle relazioni con e tra gli attori all’interno della ricer-ca stessa può accedere alla realtà (psicologica, sociale, grup-pale, istituzionale) che ci si propone di meglio comprendere.La ricerca-azione segna una rottura con la concezione classicadel lavoro scientifico e nei rapporti tra conoscenza scientifica esocietà, perché coniuga volutamente la ricerca e l’azione, masoprattutto perché definisce le relazioni reciproche in termininon funzionali o utilitaristici1. Si differenzia quindi dalla ricercaapplicata, che pone il ricercatore in una posizione di superio-rità scientifica da cui può fornire agli attori riferimenti per ela-borare strategie, stabilire delle valutazioni o definire delle dia-gnosi, fare delle previsioni,… D’altronde, contrariamente alleconcezioni positiviste della scienza per le quali il sapere è unoggetto in sé, le conoscenze assunte in una prospettiva di ri-cerca-azione sono intrinsecamente legate alle condizioni dicontesto in cui si formano e che danno loro senso.Il termine intervento psicosociologico qualifica un’attività di con-sulenza condotta da professionisti di una determinata disciplina;si parla pertanto di intervento psicologico, sociologico, socio-pedagogico, etc... Il fatto di riferirsi ad una disciplina scientificasottintende che il lavoro è legato ad una pratica di ricerca in cuicollaborano con ruoli distinti psicosociologi ed attori, e nellaquale si procede in modo diverso, soprattutto sul piano teorico.

(1) Alcune metodologie diricerca sono, a torto, consi-derate modalità tipiche del-la ricerca-azione, come sela loro stessa utilizzazionequalificasse il processo cheviene realizzato. Questo av-viene ad esempio per l’os-servazione partecipante, perl’etnometodologia in gene-rale, o ancora nel caso del-le storie di vita. Al di là di al-cune somiglianze, questimetodi restano spesso tribu-tari di una concezione posi-tivista della scienza (cfr. A.Lévy, 1984).

DALL’ACTION-RESEARCH

LEWINIANAALL’INTERVENTO

PSICOSOCIOLOGI-CO

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Differenziandosi quindi dal significato che il termine interventoassume in altri ambiti sociali (politico, economico, militare, tec-nico-gestionale…), la denominazione intervento psicosociolo-gico non rimanda ad un atto di autorità e neppure a un contri-buto specialistico (proposta, consiglio, suggerimento…) legitti-mato da una posizione di potere istituzionale o da una compe-tenza diagnostica. Esso consiste nell’istituire con gli attori, deidispositivi (interviste, riunioni di gruppo, analisi di processi, os-servazione…) che facilitino gli scambi tra tutti gli attori a variotitolo interessati e che sostengano un lavoro a partire dalle lo-ro percezioni e rappresentazioni, dai loro sentimenti spessoignorati, repressi, o semplicemente taciuti. In altre parole sitratta di permettere agli attori di comprendere meglio il signifi-cato delle situazioni vissute ed il loro ruolo in esse; allo stessotempo, se possibile, si cerca di mobilitare energie per trovaredelle risposte ai problemi. I dispositivi non esistono di per sé: iprofessionisti che li propongono, li accompagnano e ne sonogaranti, ne sono parte integrante. Non sono neppure definitiuna volta per tutte, né applicabili allo stesso modo in tutte le si-tuazioni, ma si modificano via via nello sviluppo del lavoro esono oggetto di analisi e di un’elaborazione collettiva che èparte del processo. In questo quadro gli elementi conoscitivimessi a disposizione dai committenti o dai finanziatori non ba-stano per prendere decisioni pertinenti. In parte facilitano alcu-ne decisioni (anche pesanti) e contribuiscono a farle capire eaccettare: le decisioni però sono acquisite e messe in praticadagli attori coinvolti, soltanto se derivano da un processo rela-zionale e da un apprendimento collettivo, che abbia portatoevoluzioni psicologiche significative, anche sul piano intellet-tuale ed affettivo. Le prese di decisione rappresentano delleconclusioni provvisorie, che si producono entro una mobilita-zione conoscitiva di più persone e gruppi che è parte intrinse-ca del processo di cambiamento. Il processo di ricerca non si colloca al di fuori della storia, macontribuisce a costruirla. La comparsa di qualche cosa di ine-dito nei pensieri e nei discorsi, non è irrilevante e non lascia lecose come stanno. Ed è proprio nel momento in cui la realtà ri-

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schia di chiudersi, di implodere che si delineano delle apertu-re, delle scoperte che non sono risultato del lavoro di un sin-golo esperto, ma esito di interazioni tra i diversi attori, compre-si i ricercatori. Questi, come soggetti impegnati a livello cono-scitivo, prendono parte all’elaborazione della storia e alla rela-tiva interpretazione: quando ai loro occhi diventa un po’ piùchiaro ciò che condiziona desideri e angosce, relazioni e rap-presentazioni e come può modificarsi, a quel punto emerge ilnuovo, si scopre l’impensato e si inventano modalità diverse einsolite di agire nel sociale. Ricerca-azione, nell’ottica psico-sociologica che viene qui proposta, significa allora soprattuttopromuovere evoluzioni in senso democratico nei gruppi, nelleistituzioni e nel modo stesso di fare ricerca.Se ogni ricerca-azione ha una componente di intervento e, re-ciprocamente, se ogni intervento ha una componente di ricer-ca, è però soltanto in condizioni particolari che si possono svi-luppare insieme e contemporaneamente le due componenti,senza che una prenda il sopravvento sull’altra. Si realizzanospesso degli interventi senza che vi sia un interesse o una pos-sibilità di investire specificamente in un lavoro di ricerca; ed’altra parte si conducono ricerche che non hanno risvolti intermini di cambiamento o che ne hanno a livello minimale, an-che perché non vi sono attese particolari di questo tipo.

Per datare il concetto, si può fare riferimento ai primi testi chesono stati scritti negli anni Quaranta; se invece si consideraquando il concetto si è affermato e diffuso è necessario anda-re almeno al periodo tra le due guerre. Va fatto il nome diLewin e dei suoi collaboratori non solo quelli del gruppo Tavi-stock di Londra (Bion, Rickman, Bowlby, Bridger, Curle, Trist,Wilson, Jaques, Emery...), ma anche di diversi studiosi ameri-cani loro contemporanei: Elton Mayo, venuto dall’Australia nel1922; Moreno, venuto dall’Europa Centrale nel 1925, Alinsky,formato all’Università di Chicago negli anni Trenta.

1. Kurt Lewin, professore di filosofia e psicologia all’Univer-sità di Berlino dal 1926, scacciato dai nazisti, nel 1933 è ac-

LA NASCITA DELCONCETTO DI

RICERCA-AZIONE:ALCUNI FONDATORI

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colto dalla Cornell University e dall’Università dello Stato delloIowa, poi ad Harvard e al MIT. Parallelamente, interviene comericercatore e consulente presso numerose istituzioni pubblichee private, con colleghi (Lippitt, White, Dembo, Festinger, Bave-las...) che si sono riuniti attorno al Research Centre for GroupDynamics, che egli dirige fino alla morte, nel 1947. Per questoautore il concetto di ricerca-azione identifica la sequenza epi-stemologica della pianificazione dell’azione e della rilevazionedei suoi possibili effetti, che, sviluppandosi nel tempo secondoun movimento a spirale, caratterizza il percorso scientifico;d’altro lato lo stesso concetto indica anche un’impostazioneche caratterizza “ogni progetto razionale di azione nel sociale”da parte di singoli e di organizzazioni, e che si traduce per chipartecipa a un intervento collettivo in un ‘“integrazione di azio-ne, formazione e ricerca”. Dal punto di vista puramente scien-tifico e anche dal punto di vista sociale, sono necessari “occhie orecchi sociali nei punti nevralgici e all’interno degli organi-smi di azione sociale”. Tuttavia a differenza dei fisici, che di-spongono di strumenti esterni per percepire i fenomeni (al prez-zo talvolta di alterarli), gli osservatori sociali devono essi stessiessere formati ad una percezione sociale attiva, perché si oc-cupano di un campo di fenomeni che non possono essere stu-diati senza interagire con essi.Compare già qui una delle ambiguità inscritte nel concetto: iltermine azione indica un momento della sequenza sperimenta-le, ma anche e forse ancor di più, il coinvolgimento del ricer-catore e dei suoi colleghi nel campo sociale, il loro impegnonel processo, il fatto che essi partecipino alla risoluzione deiproblemi sociali e non soltanto ai problemi di conoscenza.La fedeltà di Lewin al processo sperimentale non gli impediscedi lavorare in situazioni dove la sua traduzione pratica è im-possibile, ad esempio là dove si tratta di aiutare una comunitàlocale ad affrontare i conflitti con (o tra) le sue minoranze. ConR. Lippitt, egli riunisce gli attori per realizzare degli studi sulcampo e propone il concetto di communiy self-survey. In situa-zioni di consulenza, la conduzione della ricerca finisce per ap-plicare quelle regole democratiche, conformi ai valori di cui si

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era voluta dimostrare la pertinenza sociale e psicologica inesperienze divenute celebri.Secondo Lewin stesso, la ricerca-azione è sia un metodo di ri-cerca teorico-sperimentale, sia una ricerca sull’efficacia relati-va di diverse forme d’azione, sia una ricerca diagnostica perpreparare una strategia d’azione, sia un’occasione di diffonde-re, promuovere o democratizzare il processo scientifico attra-verso una formazione di vari attori sociali ancorata alla prassi,associandoli a precisi momenti del processo di ricerca.

2. Il Tavistock Institute. Se la ricerca-azione lewiniana è ani-mata da accademici (psicologia sociale, psicologia infantile,scienze dell’educazione...) che trovano la loro base tecnica inmetodi sperimentali e inchieste, quella che si sviluppa in In-ghilterra ha come fulcro iniziale la Tavistock Clinic, un ospeda-le diurno sorto sulle interazioni stabilitesi nel corso della primaguerra mondiale, tra la psichiatria e la psicologia dinamica.Nel periodo che gli inglesi chiamano depressione, le équipesdi terapeuti sono spinte a cercare di combinare orientamentisociologici e psicologici per far fronte a problemi nuovi e, piùtardi, per collaborare con la psichiatria militare in vista di aiu-tare l’esercito a superare la crisi che lo attraversa dopoDunkerque. Dal lavoro dell’équipe della Tavistock Clinic du-rante la guerra risulteranno: il metodo detto leaderless groups,derivato dalle modalità adottate per la selezione degli ufficiali,le unità di riadattamento, le comunità di transizione, che rap-presentano la forma di terapia di comunità più avanzata perquel tempo. Lo stesso gruppo interdisciplinare (psichiatri, psi-coanalisti, psicologi, sociologi, antropologi), formatosi neglianni Venti e Trenta darà vita al Tavistock Institute of Human Re-lations nel 1946, quando la Clinica verrà assorbita nel ServizioSanitario Nazionale Inglese.L’esperienza inglese è quindi precedente a quella di Lewin: findall’inizio ha un carattere clinico, per la sua impostazione me-dica e per il suo orientamento psicoanalitico; sotto la spintadella crisi degli anni Trenta e della guerra diventa clinico-so-ciale. Ben presto deve affrontare problemi di grande ampiezza:

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le prime esperienze di Bion e di Rickman nella comunità tera-peutica di Northfield ad esempio vengono riprodotte in venti si-tuazioni con l’aiuto di 4000 organizzazioni civili, per favorire ilreinserimento dei prigionieri di guerra liberati. Sforzandosi dirispondere ad una domanda sociale massiccia, le istituzionisorte da ricerche-azioni collegate ad un ambito terapeutico re-stano inscritte in una relazione di consulenza volta a prenderein carico sia le richieste individuali, sia le richieste di gruppo,attivando iniziative di aiuto nei confronti di differenti livelli diquella realtà che gli inglesi definiscono community. Lo stabilir-si di una relazione di collaborazione tra i professionisti dellescienze sociali (ricercatori o consulenti), con tutti gli attori coin-volti, è la regola applicata ad ogni livello. La responsabilitàscientifica dei professionisti è doppia: ascoltare e prendere incarico le domande, per cooperare alla risoluzione dei proble-mi specifici o generali, sollecitando anche le istituzioni ad as-sumere i “meta-problemi” che non possono essere trattati ai li-velli locali; articolare la collaborazione con un lavoro di ricer-ca perché non resti una semplice attività di consulenza.L’insistenza con cui si richiamano le responsabilità rispetto allaricerca2 sembra legata alla preoccupazione di contrastare latendenza del consulente a mettersi al servizio di colui o coloroche lo pagano, a identificarsi con le istanze direzionali o a col-ludere con una delle parti del sistema-cliente. Inoltre se i com-mittenti riescono a legittimare e condividere la finalità della ri-cerca il loro problema particolare può essere collocato in uncontesto sociale in cui altri attori condividono lo stesso disagio.E’ importante pertanto collegare il processo al contesto in cui èinserito, al livello della “comunità” di cui è parte. Si tende cosìad impedire che il lavoro del pensiero si svolga come in un’u-dienza a porte chiuse, rischio presente soprattutto in quelle ri-cerche-azioni che si sviluppano all’interno di una sola organiz-zazione. Tutto ciò rinforza o protegge la posizione di “terzietà”del professionista che interviene e apre una prospettiva di valu-tazione che va oltre la semplice registrazione di sentimenti disoddisfazione o insoddisfazione provati dai partecipanti (attori ericercatori) al termine del processo o nei suoi stadi successivi.

(2) Nella prospettiva inglesematurata nell’ambito dellaTavistock Clinic, i cui mem-bri erano tutti segnati dal-l’esperienza personale dellapsicoanalisi, il termine ricer-ca qualifica da un lato l’atti-vità di tutti i partecipanti im-plicati nel processo, e d’al-tra parte il lavoro teoricoche non soltanto accompa-gna ogni fase del processostesso in modo più o menoesplicito ma che prende cor-po nelle riunioni di staff suc-cessive, che venga o menosottoposto all’esame deipartecipanti. Come scriveFoulkes nel suo libro sullapsicoterapia psicoanaliticadi gruppo, “la terapia è unaricerca e la ricerca in questocampo è la terapia”(FOULKES S. (1964), Psi-coanalisi di gruppo. Tr.it. Bo-ringhieri, Torino, 1969)

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Nelle scienze naturali il laboratorio è la strada maestra perscoprire leggi che permettono poi applicazioni ulteriori, nellescienze sociali, come osserva il gruppo Tavistock (Eric Trist,1967, ad esempio), è necessario muoversi diversamente. È la“relazione professionale”, e non il laboratorio, che dà accessoalle aree in cui la ricerca può trovare i dati fondamentali di cuiha bisogno, perché rende possibile entrare nei processi attra-verso l’attività, le “applicazioni”, per costruire ipotesi teoriche eritornare alla situazione concreta in modo ricorsivo. È proprioquesto modo di procedere, ormai accolto positivamente, cheha permesso alla disciplina medica di svilupparsi. Non tutta laricerca sociale ha bisogno di seguire l’approccio della ricerca-azione, ma lo studio dei processi di cambiamento non può svi-lupparsi senza di essa.I testi pubblicati all’indomani della guerra testimoniano l’otti-mismo che il gruppo inglese condivideva con Lewin riguardoall’importanza che le scienze sociali avrebbero assunto in futu-ro, per offrire risposte di valore alle incertezze persistenti nellasocietà. Jacob L. Moreno, Elton Mayo, Saul Alinsky, altre im-portanti figure di fondatori che verranno di seguito presentate,hanno condiviso questo ottimismo sin dagli anni Trenta.

3. Moreno porta alle estreme conseguenze le critiche allescienze sociali convenzionali, che mirano a descrivere, misura-re e spiegare la dinamica dei fatti sociali. Egli pensa che sepa-rando il pensiero dall’azione, rifiutando di assumere l’impor-tanza della partecipazione attiva al cambiamento, mantenen-dosi in una posizione esterna e distanziata e riducendo ad og-getti i soggetti che si vogliono osservare o manipolare, lascienza accademica perda ogni capacità di scoperta, rinchiu-dendosi in una posizione autocratica. E’ piuttosto all’internodelle aggregazioni sociali, in vivo, che un nuovo tipo di ricer-catore può esplorare e scoprire ciò che sta sotto alla realtà so-ciale e partecipare alla sua trasformazione, come co-attoreche prende parte alle sue dinamiche . Dopo il “giornale viven-te” e l’axiodramma a Vienna nel 1918, realizza degli interven-ti, a partire dal 1929, ad Harlem, dove comincia a utilizzare il

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“sociodramma”, per comprendere ed analizzare la genesi del-le rivolte razziali e tentare di demolire lo stereotipo di “negro”.Sono quindi lo psicodramma e i diversi tipi di terapia ad essocollegati che costituiscono le forme di ricerca-azione più signi-ficative sperimentate da Moreno. Il suo progetto di conciliaremisurazione e liberazione di spontaneità creativa, segnala in-dubbiamente le sue esitazioni a rompere i legami con i model-li convenzionali della scienza; le sue attività non sono mai riu-scite a raggiungere questo obiettivo, ma hanno aperto delle vieche sono tuttora esplorate e rivisitate in modo vivace e vitale.

4. Elton Mayo e i suoi collaboratori (F.J. Roethlisberger, W.J.Dickson, H.A. Wright) hanno condotto, a partire dal 1923, al-la Western Electric Company, delle ricerche e degli esperimentiprima nelle officine, poi in condizione di laboratorio nella sedeaziendale. Si conoscono i risultati, sorprendenti, che hanno in-dotto i ricercatori a proporre parallelamente, a partire dal 1929,l’opportunità di avere dei colloqui clinici individuali (più di20.000 lavoratori in due anni)… La ricerca diventa azione, nonsoltanto per le sue sperimentazioni in contesti naturali o per gliinsegnamenti ricavati dall’analisi del corpus clinico, ma per l’uti-lizzo del personal counseling come strategia di cambiamento or-ganizzativo (Dickson e Roethilsberger, 1966).Il lavoro pionieristico di Mayo introduce diverse forme di ricer-ca-azione in ambiente industriale, e mette le basi per una teo-ria dell’organizzazione detta delle relazioni umane, che ha an-cor oggi un certo seguito e una certa influenza, anche se comeriferimento negativo. Secondo R.N. Rapoport, la formazione diMayo, la sua partecipazione nel 1941 alla creazione della So-ciety for Applied Anthropology e della rivista Human Organi-sation, con Margareth Mead, Clyde Kluckhohn, W. Lloyd War-ner, costituisce un filone di ricerca-azione diverso dalla tradi-zione lewiniana e da quella del Tavistock. Individua un’altramatrice della ricerca-azione legata alla seconda guerra mon-diale: la ricerca operativa (RO). Ciò può stupire, poiché questoapproccio multidisciplinare si fonda ben più sulle scienze ma-tematiche, fisiche e tecniche (informatiche) che sulle scienze

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umane; sembrerebbe infatti più adeguato classificare questaquarta tendenza come ricerca applicata. Rapoport però giusti-fica la sua argomentazione richiamando le collaborazioni chesi sono sviluppate negli anni Sessanta tra il Tavistock Institute evari specialisti di ricerca operativa, per formare équipes in gra-do di intervenire rispetto a progetti come la pianificazione e lagestione di ospedali pubblici, o anche direttamente in aziendeindustriali. Per la ricerca operativa è stata un’occasione diaprirsi alle scienze sociali, per la ricerca-azione un tentativo diintrodurre delle misurazioni nell’approccio clinico (“laborioso”,ammette Rapoport), per il Tavistock un’opportunità di creare unnuovo servizio e una nuova collana di libri (“Ricerca operativae scienze sociali”).

5. Saul Alinsky è una quinta figura di fondatore che va ricor-data per ricostruire le origini del fenomeno ricerca-azione nelperiodo tra le due guerre. Egli si colloca agli antipodi rispettoalla ricerca operativa: per i suoi valori, per i suoi riferimentiteorici, per il peso della politica nei suoi progetti, per la sceltadei gruppi sociali a cui offrire il proprio aiuto. Saul Alinsky èlontano dalla ricerca operativa come dagli interventi di EltonMayo. Sebbene non si riferisca mai esplicitamente alla ricerca-azione, dei community organizer (operatori di comunità ndt.)che si ispirano ai suoi insegnamenti rivendicano con essa deilegami diretti, salvo a parlare (in Québec) di “azione-ricerca”,per sottolineare che si tratta di scoprire, con gli attori coinvolti,le più efficaci strategie non violente di azione diretta: quellecioè atte a consentire ai gruppi più emarginati di aspirare a ri-trovare la dignità perduta, e insieme di arrivare a riconquistar-la attraverso la riuscita delle loro lotte.Nato in un ghetto da genitori immigrati, Alinsky si laurea nel1930 a Chicago in criminologia dopo un lavoro di ricerca sulcampo sulla gang di Al Capone durato due anni. La formazio-ne sociologica alla scuola di Chicago lo induce a ipotizzareche la causa principale della delinquenza siano le cattive con-dizioni abitative, le discriminazioni razziali, la disoccupazione,l’insicurezza economica e le malattie, e il fatto che nessuno

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sembra affrontare realmente questi problemi. Dopo una deci-na d’anni di lavoro con giovani delinquenti, passa all’organiz-zazione di un quartiere malfamato di Chicago, ed andando ol-tre le sue previsioni riesce a creare l’Industrial Areas Founda-tion, con l’aiuto della Chiesa e di fondi messi a disposizione daalcune aziende industriali. Un primo testo, scritto in carcere nel1944 e reso pubblico dall’Università di Chicago, è dedicatosoprattutto alla teoria dell’azione di lotta, alle regole tatticheche i militanti devono osservare per permettere agli attori diconquistare potere. Dopo trent’anni di interventi in una cin-quantina di comunità locali, un anno prima della sua morte,esce il suo ultimo libro, Rules for Radicals (Alinsky, 1971), in cuiin particolare vengono esposte quelle che si potrebbero chia-mare le sue strategie educative e la sua concezione del pro-cesso di collaborazione. Innanzi tutto va verificata l’esistenza di alcune condizioni preli-minari e cioè una domanda espressa dalle Chiese e dalle fon-dazioni private e soprattutto una richiesta di aiuto a organiz-zarsi proveniente dagli interessati stessi. A tal fine, l’organizerdeve avere una propria identità, dare alle autorità delle infor-mazioni allarmanti, quasi minaccianti, in modo da diventareoggetto di attacchi e di essere pubblicamente denunciato co-me nemico pericoloso; deve convincere i gruppi che si propo-ne di difendere che è dalla loro parte, che ha delle idee e sacome adoperarsi per far cambiare le cose. Non dovrà quindidire loro quello che devono fare, definire al loro posto i pro-blemi a cui applicarsi e gli obiettivi da raggiungere. All’iniziodeve andare invece in prima linea, fare da scudo: se qualcosava male, deve prendersene la responsabilità; se tutto va bene,il merito deve andare ai membri della comunità. Solo dopo leprime vittorie, man mano che il potere aumenta e i rischi dimi-nuiscono, le persone cominciano a correre loro stesse dei ri-schi, possono farsi avanti dei leaders e prendere il testimone.Lo schema generale consiste quindi nel far emergere un primoproblema, sufficientemente piccolo perché il successo sia qua-si certo, nel personalizzare l’avversario, il bersaglio (proprieta-ri, agenti immobiliari, impiegati, funzionari pubblici...), nel pro-

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gettare una strategia condivisa di azione, nell’affrontare la lot-ta ed il negoziato fino alla vittoria, festeggiamenti inclusi. Unprimo ciclo di questo tipo permette di individuare un nuovoobiettivo per la lotta e di iniziare un processo a spirale che per-metterà, alla fine, alla comunità di accedere ad un’integrazio-ne sociale più elevata e di perseguire da sola il proprio svilup-po. Una delle idee-chiave di Alinsky è: “Il potere prima, il pro-gramma dopo”; a proposito della distinzione tra processo eobiettivo, sottolinea che il processo è anche l’obiettivo.Gli operatori di comunità formati da Alinsky negli anni Sessan-ta, che hanno riformulato la loro pratica di intervento conflit-tuale in termini di ricerca-azione, aggiungono ai loro interventiuna funzione supplementare: fare in modo che i membri delgruppo che si sono mobilitati comincino un lavoro di riflessioneed analisi del loro funzionamento, che acquisiscano una co-scienza critica della loro condizione, che producano una cono-scenza esperienziale a partire dalla situazione vissuta, ma ancheun sapere politico riguardante le opzioni e le strategie di grup-po (Cfr. Revue Internationale d’ Action Communautaire, 1981).Le cinque figure descritte da un lato propongono ed esprimo-no orientamenti molto diversi, dall’altro permettono di rilevaretrasversalmente un elemento comune.La diversità è evidente: si possono trovare pratiche di ricerca conintenti teorici ancora molto vicine alla psicologia sociale acca-demica (Lewin); ma anche esperienze al servizio del manage-ment industriale che producono, per esempio, un sapere socio-logico riconducibile alle categorie di F. Tonnies e di M. Weber(Mayo); le strategie di azione adattive (condivise dalla maggiorparte degli autori citati) e conflittuali (in favore dei nullatenenti edelle minoranze in mano alla delinquenza, proposte da Alinsky);ed infine, prassi sociocliniche modellate più o meno esplicita-mente sulle base dei modelli medici, della psichiatria sociale,della psicoanalisi, della pedagogia attiva, dell’autogestione... supiccola o grande scala (il gruppo Tavistock, Moreno...)Il punto comune delle iniziative denominate ricerca-azione ointerventi psicosociologici (e di quelle che potrebbero attribuir-si delle titolazioni simili) è meno evidente. Nel tentativo di iso-

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lare dei criteri comuni a tutte le attività studiate, sembra possi-bile proporre una definizione generale della ricerca-azione incinque punti: “Un’azione deliberata, volta a promuovere uncambiamento nel mondo reale, impegnata su scala ristrettama inglobata in un progetto più generale, sottoposta a certeregole e discipline per ottenere degli esiti di conoscenza o disenso” (Dubost, 1984). Ma ciò che soprattutto contribuisce a dare unitarietà al concet-to sono le critiche che gli autori rivolgono - in modo più o me-no aperto - ai modelli che dominano i comportamenti dei ri-cercatori scientifici e quelli degli attori (o le libertà che essi siprendono rispetto a questi modelli). Le critiche e le trasgressio-ni hanno prima di tutto a che vedere con una resistenza a se-parare il pensiero dall’azione, col rifiuto dello schema: ricercateorica fondamentale -> insegnamento -> applicazioni prati-che (che esclude ogni approccio clinico). L’opposizione tra la-voro intellettuale/lavoro manuale risale almeno a Platone, mail successo della divisione del lavoro tayloristica e dell’indu-strializzazione l’hanno aggravata, anche nel mondo della ri-cerca scientifica: lo dimostrano la suddivisione delle discipline,il fatto di voler imporre alle scienze sociali e psicologiche un ri-cercatore che si pone come esterno, il prevalere del modellosperimentale nelle condizioni di laboratorio, la separazione difatti e valori, il disconoscimento implicito della responsabilitàumana negli accadimenti sociali... Un filosofo americano, FredH. Blum, l’aveva già affermato dal 1955; in Francia, Yves Ba-rel più recentemente (1984).Tutte le attività raggruppate sotto l’etichetta di ricerca azione odi intervento psicosociologico non contestano gli stessi ele-menti; possiamo distinguere almeno quattro ordini di problemiche saranno più oltre presi in considerazione: filosofico/episte-mologico; metodologico; etico; politico/sociopolitico.

Le dinamiche di gruppoSi è visto come le attività di gruppo nel campo delle cure medi-che e psicologiche nascano nel periodo tra le due guerre inGran Bretagna e come si sviluppino, all’inizio degli anni Qua-

QUALCHE TAPPAIMPORTANTE DELLOSVILUPPO

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ranta, grazie a Bion e Rickman, Foulkes e con l’aiuto di N. Elias,Anthony, con stretti collegamenti con le “comunità terapeuti-che”, vicine a quella che qualche anno più tardi in Francia saràdenominata psicoterapia istituzionale (Tosquelles, Oury...).Negli Stati Uniti la psicoterapia analitica di gruppo di Slavsoncomincia nel 1934, ma pare che non abbia intrattenuto rap-porti con quella di Moreno né con quella di Lewin ed è al Cen-ter for Group Dynamics, fondato nel 1945 e al National Trai-ning Laboratory in Group Development (NTL) che saranno in-ventati tra il 1946 e il 1949, i basic skills training groups (T-groups), chiamati in Francia “groupes de base”, “groupes dediagnostic”, “groupes de sensibiliation” o “groupes de évolu-tion”. Importati in Francia3 nel quadro degli scambi offerti dalPiano Marshall all’inizio degli anni Cinquanta, diventerannoun importante riferimento tecnico per gli interventi psicosocio-logici e, allo stesso tempo, contribuiranno ad arricchire le pri-me esperienze di formazione degli adulti, derivanti dalle peda-gogie attive e dalle pratiche di educazione popolare.Nati negli Stati Uniti allo scopo di tradurre in pratica una legi-slazione sociale volta ad affermare ad esempio l’uguaglianzarazziale in campo lavorativo, i T-groups tendono a sostituire letecniche di apprendimento con un metodo che passa attraver-so la presa di coscienza e pone le basi di un nuovo modo diconduzione dei gruppi e di consulenza.In quest’ottica ogni seminario è concepito come un’esperienza(nel significato originario di atto del provare, sentire) di grup-po, in cui si istituisce un contesto di formazione attiva che per-mette l’analisi hic et nunc dei comportamenti e dei vissuti nelgruppo e l’avvio di un processo evolutivo. La situazione di que-sto gruppo - gruppo di base o gruppo di evoluzione - è carat-terizzata dall’assenza di un compito preciso e di rapporti pre-cedenti tra i partecipanti, dalla eterogeneità di età, sesso, pro-fessione, dalla dimensione ristretta del gruppo, dalla consegnadi avere scambi verbali in piena libertà, dalla volontarietà del-la partecipazione, dal numero elevato di riunioni entro un pe-riodo di tempo relativamente breve; con queste condizioni sidelinea anche un nuovo ruolo dello psicosociologo. Nell ver-

(3) (In Italia l’acquisizione ela diffusione dei vari tipi digruppo ha avuto un proces-so analogo, ma almeno unadecina di anni più tardi el’importazione dagli StatiUniti è stata in qualche mo-do rafforzata da contatticon il mondo francese. I no-mi dati in Italia alle espe-rienze di gruppo sono deri-vati da traduzione di dicitureinglesi e francesi. Si usanopertanto accanto al classico“Tgroup”, anche gruppo disensibilizzazione o gruppod’evoluzione o gruppo dibase. Ndt)

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sione più clinica, il “monitore” (istruttore), il “leader”, l’”ani-matore”, il “conduttore” è coinvolto a sua volta nell’esperien-za: abbandona volutamente la posizione di osservatore ester-no al gruppo per cercare nel proprio vissuto, nel proprio mododi percepire gli avvenimenti, le persone, le relazioni e le intera-zioni, i sentimenti espressi nei suoi confronti, gli elementi chepotranno permettergli di aiutare i partecipanti ad analizzare lavita psicologica, il funzionamento del gruppo, i significati del-l’esperienza.Anche se è coinvolto nella situazione e inevitabilmente avvertecon intensità ciò che prova il gruppo, anche se è preso daglistessi fenomeni che agitano gli altri partecipanti, il conduttorenon è esattamente uno di loro: la sua figura ed il suo ruolo fan-no sì che i presenti lo investano di una certa autorità, proietti-no su di lui le loro angosce e la loro aggressività, desiderino ilsuo interessamento, ecc. In qualche modo è necessario cheriesca a staccarsi dai propri sentimenti per poterli analizzare,comprendere e comunicare al gruppo nei momenti in cui pos-sano essere recepiti e utilizzati.L’équipe del NTL che ha messo a punto questo metodo forma-tivo basato sulla presa di coscienza, con una progressiva ridu-zione del grado di strutturazione dei seminari, è stata influen-zata non solo da Lewin e Moreno, ma anche da Carl Rogers.L’idea di “non-direttività” o di “centratura-sul-cliente” avevagià raccolto consensi e anche notevole diffusione in psicotera-pia, nel counseling (consultazione psicologica), in formazione,in pedagogia e anche nelle interviste per ricerche psicosocialie sociologiche. All’epoca in cui l’équipe di Bethel cominciavaa sviluppare il T-group, Rogers stesso era impegnato nella con-duzione di un programma di ricerche sugli effetti dei tratta-menti eseguiti sotto la sua direzione al Counseling Center diChicago, collegato al Dipartimento di Psichiatria dell’Univer-sità. Le preoccupazioni di integrare in un sistema organizzatosu più anni le attività del Centro, di testare periodicamente gliindividui ripartiti tra un campione sottoposto a terapia e ungruppo di controllo collegato, di utilizzare sistematicamente laregistrazione delle sedute combinando metrica e clinica, insie-

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me a molte altre, rientrano bene nello spirito di una ricerca-azione che si sottomette alle esigenze di un metodo sperimen-tale. Per un autore come Rogers non esisteva alcuna incompa-tibilità tra questi metodi di valutazione e di validazione, giudi-cati necessari, e le sue opzioni teoriche e pratiche di psicotera-peuta.Lo studio delle dinamiche di gruppo d’altra parte era stato con-dotto sia in laboratorio che sul territorio con metodi sperimen-tali (Sherif, Bales, Festinger, Schachter, Lippitt e White, Leavitt,Cattel, Bavelas...), parallelamente ad altri interventi importantidi ricerca-azione in aziende industriali (Coch e French, FloydMann) o sul territorio, che avevano come oggetto i problemi diminoranze etniche e razziali, la prevenzione della delinquenza,le bande di adolescenti, le gangs... La scuola di Chicago puòessere considerata un precursore di queste ricerche, avviate giàdall’inizio del secolo: in particolare dagli anni Trenta viene pro-posta l’idea di una “sociologia clinica”, per sostenere le attivitàdei servizi sociali e, negli anni Quaranta, quella di ricerche-azioni del tipo community self-survey (Harding, Shaw e Hay-don, Martin). Le attività di formazione psicosociale, strutturatetramite esercizi spesso ripresi da esperienze di laboratorio, dacui tra l’altro sono nati i T-group, godevano dunque negli StatiUniti di un ambiente favorevole non solo a una coesistenza pa-cifica tra metodi, discipline, lavori universitari e interventi ri-spondenti a problemi della società, ma anche ad uno sforzonotevole per mettere in relazione sinergica questi elementi inuna prospettiva di integrazione delle scienze sociali. Così l’in-venzione del T-group non è soltanto quella di una nuova tipo-logia di ricerca-azione che va a collocarsi in qualche modo trala formazione psicosociale e la terapia, ma introduce una nuo-va dimensione nelle attività di consulenza e intervento.

“Planned change” e “organization development” (OD)E’ Ronald Lippitt, insegnante-ricercatore all’Università del Michi-gan e professionista appartenente al NTL di Bethel, che ripensa al-la ricerca-azione come orientamento da adottare in un rapporto diconsulenza che si propone di mettere in relazione due sistemi:

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- un “sistema-cliente”, desideroso di realizzare un cambia-mento con l’aiuto di un consulente specializzato; Lippitt di-stingue quattro livelli di sistema-cliente: una persona (nor-male o patologica), un gruppo, un’organizzazione, una co-munità.

- un sistema di intervento costituito da “agenti professionistidel cambiamento” o da “consulenti specializzati”; peresempio assistenti sociali, consulenti coniugali, analisti digruppo, consulenti di organizzazione, urbanisti...

Lo studio che viene pubblicato nel 1958 con J. Watson e B.Westley, “The dynamics of planned change”, cerca di teorizza-re i problemi di conduzione di un intervento di cambiamentovoluto a partire da un corpus di circa 100 casi già pubblicati esuddivisi su differenti livelli (distinguendo tra l’altro quelli nelleorganizzazioni e quelli sul territorio); gli autori si riferiscono,ogni volta che ne hanno occasione, alle concezioni di Lewin erestano ancorati alla ricerca-azione; ma l’agente del cambia-mento ora non è più “il ricercatore autocrate” denunciato daMoreno, ma un “consulente-ricercatore” capace in primo luo-go di gestire la relazione con il sistema-cliente in modo da ac-cettare la priorità del problema rispetto al metodo.A partire dagli anni Sessanta sembra che il planned change distampo nordamericano tenda sempre più a specializzarsi ri-spetto alle organizzazioni divenendo organization develop-ment, in particolare nelle aziende industriali, nelle impresecommerciali o nei servizi; via via che si sviluppa questo merca-to della consulenza, si ha l’impressione (anche se questa affer-mazione può apparire troppo schematica) che queste attivitàrinuncino ai propositi di ricerca e che siano più orientate a so-stenere un modello di management, ponendosi pertanto inun’ottica normativa. Il termine planned usato da Lippitt, Schein,Bennis sembrava significare piuttosto “voluto”, “deliberato”,che “pianificato”; altrettanto non vale per Beckhard, Argyris,Burke e Hornstein, Blake e Mouton… L’ “OD” tende a rappre-sentare una tecnologia sociale che offre una panoplia di “pro-dotti” elaborati dal sapere delle scienze comportamentali edell’esperienza precedente (in particolare dalle formazioni ispi-

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rate dalle dinamiche di gruppo) e giudicate sufficientementecollaudate per essere applicate direttamente. Rispetto agli an-ni Quaranta e Cinquanta gli interventi in ambiente territorialesi fanno più rari. (Riappariranno nel contesto urbano negli an-ni Settanta sottoforma di “esperimenti sociali”.)

La corrente europeaQuesta tendenza evolutiva appare relativamente in contrastocon quanto avviene in Europa. Anche in Gran Bretagna fin dal-la fine degli anni Quaranta si realizzano interventi che vengonodenominati come “OD”, ma a giudicare dalle pubblicazioni delTavistock, non sono mai disgiunti da un lavoro di ricerca e si svi-luppano spesso nell’arco di molti anni. Il più celebre di questiinterventi - quello condotto da Elliott Jaques alla Glacier MetalCompany - testimonia un orientamento che si è voluto di ispira-zione chiaramente psicoanalitica fino all’inizio degli anni Ses-santa; la lunga durata - una trentina d’anni a partire dal 1948-, i numerosi testi (circa venti) che presentano i risultati delle ri-cerche, la creazione dell’Istituto Brunel per estendere e trasmet-tere i risultati acquisiti, costituiscono dati che permettono di se-guire l’evoluzione teorica e metodologica di chi ha avuto unruolo centrale nell’intervento e di W. Brown, che fu a lungo am-ministratore delegato dell’azienda e diede contributi in primapersona anche attraverso sei libri scritti “in collaborazione”.Parallelamente al caso Glacier e anche per un periodo di tem-po più lungo ha avuto grande importanza nel campo della ri-cerca-azione l’approccio basato sul concetto di sistema socio-tecnico sviluppato da Erik Trist, Frederick Emery, A.K. Rice, K.W.Bamforth, Ph.G. Herbst, e altri: è illustrato e discusso in un’am-pia bibliografia che è molto importante anche perché ha con-tribuito, in un Paese come la Norvegia, sotto la responsabilitàdi Einar Thorsrud, alla nascita del Movimento di democratizza-zione del lavoro. Anche in altre aree d’Europa (Paesi Bassi, Ir-landa, Germania) e dell’America del Nord sono state realizza-te ricerche-azioni orientate sistematicamente al miglioramentodella “qualità della vita al lavoro” e in particolare per Eric Trist,dopo le esperienze di guerra e prima di quelle della Pennsylva-

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nia, il periodo 1967-1976 è stato assai fecondo, ricco di inse-gnamenti teorici e pratici circa la conduzione di interventi sugrande scala.Nella seconda metà del XX secolo si sono sviluppate diversecorrenti, anche a partire da critiche agli approcci precedenticonsiderati troppo subordinati a istanze di potere o troppoorientati in senso adattivo. Alcune non utilizzano neppure ladenominazione di ricerca-azione, pur praticandola: si pensi al-l’antipsichiatria britannica (Cooper e Laing) o italiana (Basa-glia), alla psicoterapia istituzionale (Tosquelles, Oury), alla pe-dagogia che riformula innovazioni più datate (per es. Freinet).Altre invece accettano o addirittura rivendicano la qualifica diricerca-azione, in particolare nel campo del lavoro educativo.Negli anni Settanta, correnti simili si affermano in Germania(Moser, Haag, Kluver e Kruger, Schwarz e Welt). Recentemente,nei Paesi Bassi, soprattutto negli ultimi due decenni, H. Coe-nen, Ben Boog e la rete di ricercatori applicati che ad essi fa ri-ferimento, difendono una concezione della ricerca-azione det-ta exemplarian. Pongono l’accento sui rapporti di reciprocità (odi “adattamento reciproco”) tra ricercatori e attori, e anche sul-le valenze emancipative di un processo che sia in grado di in-tegrare ricerca, tirocinio e azione, che possa trasferire in altricontesti le conoscenze acquisite localmente e mobilitare l’azio-ne di altri attori.

Contributi della ricerca-azione ai problemi urbaniAl di là del Tavistock, nello stesso periodo in Gran Bretagna èstata riservata un’attenzione crescente alle relazioni complessetra i problemi sociali, economici e ambientali degli spazi urba-ni, in particolare a quegli spazi che presentavano “carenzemultiple”. Alcuni programmi nazionali di ricerca-azione, svoltia campione sull’insieme del paese, per esempio il CommunityDevelopment Project (CDP, 1968-1975), sono significativi siaper i loro successi che per i loro fallimenti (specialmente perquanto riguarda i rapporti ricercatori-attori).Nel medesimo campo, quello della progettazione delle politi-che urbane, e nello stesso periodo, negli Stati Uniti, alcune ri-

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cerche-azione di orientamento più sperimentale si sforzano distudiare gli effetti di misure politiche ancora in fase di proget-tazione testandole su un campione di zone urbane per diversianni prima di presentarle e metterle ai voti. Ricerche-azioni dital genere sono state concertate rispetto a progetti di indennitàdi alloggio, di garanzia di reddito minimo, di politiche socialinel campo della salute e dell’educazione. Per ciascuna di que-ste si stanziarono, come già nel caso delle esperienze inglesi, fi-nanziamenti di centinaia di milioni di dollari negli anni Settanta.In una prospettiva completamente differente si collocano, co-me abbiamo già ricordato, gli interventi degli operatori socia-li, educatori specializzati, organizer (animatori) di comunità…,la cui tradizione risale alla scuola di Chicago, alle ricerche par-tecipate di tradizione lewiniana o ancora al sociodramma dimoreniana memoria, e che storicamente si collocano tra i dueconflitti mondiali. Bisogna citare inoltre, quali altri orientamen-ti di ricerca-azione in campo urbano, le esperienze di urbani-stica democratica, che tentano di coinvolgere gli abitanti eutenti di un quartiere in tutte le decisioni che riguardano le co-struzioni del loro spazio vitale (Alexander,1976); o anche l’atti-vità degli “advocates-planners”- “urbanistes de la défense”-che intervengono sia come mediatori tra i promotori o i loro fi-nanziatori e gli abitanti interessati, sia come consulenti di que-sti ultimi per difendere i loro interessi contro i primi.

Contributi della ricerca-azione ai problemi ruraliLe ricerche-azione in contesto rurale hanno origini diverse, chesi possono ricondurre a pratiche dell’etnografia o dell’antro-pologia applicata, a forme d’intervento che hanno fatto segui-to al processo di decolonizzazione e hanno portato ad azioni diformazione rivolte ad aiutare i contadini occidentali a evolvereverso una agricoltura più moderna (per esempio, in Francia,l’invenzione quasi lewiniana dei Centres d’études de techni-ques agricoles (CETA) da parte del geografo Estrangin, dopoquella della Jeunesse Agricole Chrétienne (JAC) da parte del-l’Azione Cattolica negli anni Trenta o delle monografie parteci-pative (di Economie et Humanisme dopo la Liberazione).

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Ma negli anni Ottanta e Novanta, nei paesi di lingua ingleseed in quelli di altre lingue europee, Francia inclusa, si sono rin-novate le pratiche e le teorie della ricerca-azione in modoesplicito ed applicato ai problemi agrari. Non sono più deiprofessionisti delle scienze sociali ma, per la prima volta perquel che ci è noto, dei fisici e dei biologi, che scelgono d’ini-ziare la loro attività di ricercatori in agronomia secondo gliorientamenti della ricerca-azione.Il contesto che li spinge in questa direzione, è facilmente identifi-cabile. La difesa dell’ambiente, la determinazione di una politicapiù attenta alla gestione delle risorse naturali, alla conservazionee alla valorizzazione dei beni comuni, l’adozione e la condivisio-ne di un’idea di sviluppo sostenibile in contrapposizione ad un’i-dea di crescita promossa da un perseguimento incontrollato deiprofitti, i problemi di ecopatologia animale… sono questi alcunidei problemi che li inducono a ripensare le loro attività. Alcunisoprattutto pensano che le loro ricerche abbiano alla fin fineprodotto più problemi che soluzioni. E questo li porta a modifi-care da subito il loro lavoro nei contesti sociali, che più di altri neavvertiranno conseguenze e risultati. Da qui l’idea di optare perdelle ricerche-azione collaborative, nelle quali viene riconosciu-ta al sapere “intrinseco” una posizione simmetrica, paritaria ri-spetto al sapere scientifico specialistico; la partecipazione degliagricoltori o delle popolazioni rurali alle ricerche non è soltantofunzionale, strumentale, ma riguarda anche la definizione degliscopi, dei metodi, delle tappe, in un confronto con gli altri atto-ri, portatori di interessi.Contemporaneamente alcuni studiosi che si collocano in questofilone di ricerca (Jiggins e Roling, 1997) contrappongono i para-digmi del “positivismo realista naif” e della razionalità strumen-tale, ai paradigmi del “costruttivismo”. La portata di questa ri-flessione epistemologica merita però di essere studiata e discus-sa anche in riferimento ad altre correnti della ricerca-azione.

Il caso della FranciaGli anni che seguono la Liberazione vedono l’emergere dinuove attività, che si richiamano alla psicologia, alla psicoa-

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nalisi, alla pedagogia, alla sociologia... Tra queste, alcune so-no vere e proprie ricerche-azione, come il primo istituto di cu-ra libero di Fernand Deligny, oppure la Grande Cordée, (orga-nizzazione sperimentale di cura per adolescenti) sotto la guidadi H. Wallon e con l’aiuto di S. Lebovici. Altre iniziative hannocaratteristiche simili, ad esempio quelle che considerano lapartecipazione dei dipendenti, eletti nel consiglio di fabbrica,una modalità con cui l’organizzazione può realizzare una“consultazione del personale” o uno studio sociologico sul-l’impresa. Altre ancora sono ricerche sperimentali condotte sulcampo, che tuttavia non prefigurano una dimensione d’inter-vento.Alla fine degli anni Quaranta, dei docenti universitari come D.Lagache (che ha degli assistenti quali D. Anzieu, J. Maisonneu-ve, R. Pagès), G. Friedmann, J. Stoetzel, G. Gurvitch, M. Mer-leau-Ponty, G. Bachelard, contribuiscono a creare un clima in-tellettuale favorevole a progetti del tipo ricerca-azione. Una so-cietà di consulenza - la Cegos - favorisce l’incontro tra direzio-ni d’impresa e ricercatori.In seguito alla nazionalizzazione dell’energia elettrica avvenu-ta in Francia nel 1946, EDF e GDF (due grandi enti pubbliciper la produzione e distribuzione dell’energia elettrica e delgas: Electricité de France et Gaz de France) affidano nel 1947a Guy Palmade l’incarico di esplorare quali contributi le scien-ze umane possano dare al nuovo servizio pubblico. Fin dall’i-nizio questo intervento, che si protrarrà molto a lungo nel tem-po, è strettamente collegato allo sviluppo di ricerche scientifi-che; per esempio, la psicotecnica è utilizzata contemporanea-mente come consulenza offerta ai quadri intermedi, che vo-gliono riflettere sulla loro posizione aziendale e sul loro pro-getto professionale e anche come oggetto di ricerca per vali-dare dei metodi, costruire nuovi test o applicare l’analisi fatto-riale agli studi del carattere. Durante parecchi decenni, la col-laborazione tra Palmade, l’équipe di consulenti a contratto dalui guidata, e due direzioni di stabilimento produrrà innovazio-ni in materia di formazione tecnica, di perfezionamento deiquadri, di metodi d’indagine, metodi d’intervento psicosocio-

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logico, di formazione di consulenti interni, etc. Contribuirà di-rettamente alla costruzione di una cultura organizzativa speci-fica i cui orientamenti di fondo, pur nel succedersi di varie di-rezioni aziendali, saranno messi in discussione soltanto alla fi-ne degli anni Ottanta.L’Associazione per la ricerca e l’intervento psicosociologico(ARIP) nasce alla fine degli anni Cinquanta sotto l’impulso diG. Palmade e M. Pagès. Altri gruppi (ANDSHA, CEFFRAP, GFS,CEPREG, ADSSA, ACUCES…) si costituiranno negli anni suc-cessivi. Si assiste anche, negli anni Sessanta e Settanta alla dif-ferenziazione tra orientamenti segnati maggiormente da C. Ro-gers (Pagès, Peretti), dalla psicoanalisi (ARIP…), da Moreno(GFS). I gruppi che sono più vicini alla sociologia (socioanalisi(Van Bockstaele), analisi istituzionale (Lapassade e Lourau), in-terventi sociopedagogici (Meignant), approccio sociotecnico(Liu e Ortsman) tentano anche di collegare orientamenti marxi-sti e freudiani: pedagogia istituzionale (Oury e Vasquez), so-ciopsicoanalisi istituzionale (Mendel). Questa elencazione nonrende certo conto dell’evoluzione di ciascuna corrente o delsingolo autore. Gli anni Settanta ereditano da un lato lo slancio portato dalSessantotto, soprattutto nell’ambito universitario, e dall’altro lereazioni che gli avvenimenti hanno suscitato negli ambienti im-prenditoriali. I lavori di M. Crozier nelle organizzazioni pro-muovono l’analisi strategica e contemporaneamente operatorisociali e formatori si avvicinano alla sociologia. A. Touraine eil CADIS sviluppano una metodologia di ricerca/intervento pertentare di anticipare delle evoluzioni dei movimenti sociali, me-todologia che sarà trasposta alla fine degli anni Ottanta e ol-tre, per studiare anche le organizzazioni o le forme di azionemarginali. R. Sainsaulieu realizza degli interventi per studiare lagestione del cambiamento nelle organizzazioni. Sempre neglianni Ottanta appaiono numerose pubblicazioni di ricerche-azione realizzate in campo educativo e vengono organizzatiuna dozzina di seminari (di cui otto in Francia), che riunisconosul tema studiosi di lingua francese. Nelle scuole medie infe-riori e superiori, nel settore sanitario, nei quartieri urbani diffi-

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cili, gli interventi psicosociologici si sviluppano nell’ultimo de-cennio, anche in connessione con le problematiche aperte dal-la crisi economica, che ha interrotto un lungo periodo di con-giuntura favorevole (i “trenta anni gloriosi”) e incrinato le basidel Welfare State.Nel mondo delle aziende pubbliche e private diversi fattoricontribuiscono a trasformare la posizione della ricerca-azione:l’indebolimento del movimento operaio e delle organizzazionisindacali accentuato dalla disgregazione dell’Unione Sovieti-ca, la riaffermazione di un’ideologia liberale tendente ad im-porsi su tutto il pianeta, la ripresa della questione sociale (di-soccupazione, emarginazione, razzismo, “fratture sociali”, nel-la società francese e nel mondo…), l’assenza di alternative po-litiche ed economiche consistenti e convincenti. Le conquistedemocratiche ottenute in varie forme rispetto ai contenuti dellavoro, ai modi di esercizio dell’autorità, al riconoscimento diuna relativa autonomia, tendono ad essere svuotate o a scom-parire in nome di aumenti di produttività, resi necessari dallacompetizione economica, di una pressione all’aumento deiprofitti, della crescita del potere finanziario. Lo sviluppo consi-derevole del mercato della consulenza è riconducibile all’offer-ta di modelli di management, di tecnologie sociali, di strumen-ti tecnici, che vengono preferiti ad approcci collaborativi, cherichiedono confronti tra diversi interlocutori, negoziazioni etempi congruenti.Per l’affermazione e lo sviluppo di iniziative di ricerca-azionenon è sufficiente l’esistenza di un regime democratico (attività diquesto genere non sono mai state tollerate nei regimi autoritario fortemente totalitari). E’ necessario anche che vi siano dellecondizioni favorevoli: per esempio, la presenza di una situazio-ne sociale critica, che è vissuta come problema da parte di di-versi attori e che trova concordi aree sociali anche distanti e dif-ferenti, che induce convergenze e mobilita sentimenti di solida-rietà (l’ultima guerra in Gran Bretagna o negli Stati Uniti, la ri-costruzione economica della Francia dopo la Liberazione); op-pure un’organizzazione aziendale in cui il successo e la soliditàeconomica sollecitano la direzione a tener più conto della com-

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ponente “sociale”; l’avvio di iniziative governative di aiuti pub-blici, per esempio in Francia negli anni Settanta l’Agence natio-nale pour l’amélioration des conditions de travail (Agenzia na-zionale per il miglioramento delle condizioni del lavoro,ANACT); una cultura tollerante, rispettosa delle libertà indivi-duali, desiderosa di contribuire alla giustizia sociale; e dei pro-fessionisti che non siano troppo estranei né troppo ostili ai pro-getti e ai valori degli attori. Si può constatare comunque chedopo mezzo secolo, nonostante alti e bassi, ci sono sempre sta-ti in Francia ambiti in cui era possibile tentare delle esperienze.Va segnalato ancora per quanto riguarda il contesto francesel’interesse della scelta di riferirsi al “costruttivismo” per ripensa-re la teoria della ricerca, scelta che è sottesa all’intervento psi-cosociologico e che guida in modo esplicito la ricerca-azioneattualmente praticata in ambito rurale. Da un lato, essa per-mette di riavvicinarsi e di confrontare molte correnti sociologi-che recenti, da Norbert Elias o da Pierre Bourdieu a ErvingGoffman o Peter Berger e Thomas Luckman, passando attra-verso Alfred Schutz o Anthony Giddens (Corcuff, 1955) e di ri-cercare con quali di queste teorizzazioni la ricerca-azione ab-bia maggiori affinità; d’altro lato rinvia anche a Jean Piaget,che ha sviluppato il “costruttivismo dialettico” nei suoi lavori diepistemologia genetica (cominciati fin dal 1936 con La nais-sance de l’intelligence de l’enfant; cfr. anche Wallon, 1942) edi epistemologia delle scienze (1967). Si può così pensare, oripensare, la ricerca-azione non più solamente come un feno-meno culturale moderno che esprime una forma di resistenzaalle scissioni istituite nel XIX secolo e successivamente conti-nuate (resistenza tra l’altro di cui la stessa psicosociologia co-stituisce un aspetto), ma anche come un’attività molto più ge-nerale che in qualche modo è di per sé inscritta nel mondo del-la natura, o almeno che è connaturata alla specie umana.

Dimensioni politiche ed istituzionaliSe una ricerca-azione produce effetti non irrilevanti nell’orga-nizzazione in cui viene realizzata - modi di funzionamento, re-lazioni interne, rappresentazioni… - è necessario che sia ac-

QUESTIONI APERTEPER LARICERCA-AZIONE

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cettata dalle persone, che sono più direttamente toccate e del-la cui cooperazione non è possibile fare a meno: dipende per-tanto dai membri dell’organizzazione, qualunque sia la loroposizione nella gerarchia. Dipende però anche dall’essere piùo meno accettata dai committenti (interni o esterni), da colorocioè che possono permettere o proibire l’ingresso di ricercato-ri nell’organizzazione e/o finanziare la ricerca in tutto o in par-te. Questo potere si accompagna generalmente (non sempre)a quello di interrompere in qualsiasi momento il processo o dicambiarne il senso, quando l’intervento finisce per andare inuna direzione contraria a quella che essi ritengono auspicabi-le. Se è vero che per i ricercatori essere in posizione autonomae liberi di esplorare, non essere subordinati a giochi di poteree a particolari interessi dei committenti, è una condizione pri-maria, che garantisce l’affidabilità dei loro risultati, è vero an-che che la loro azione come ricercatori non può ignorare lecondizioni istituzionali, che la condizionano.In altre parole i rapporti attivati nella ricerca azione non si limi-tano a quelli che si stabiliscono tra consulenti-ricercatori ed at-tori direttamente coinvolti. Queste relazioni non sono isolate.In quanto prassi, o azione sociale (in senso lato)- come Lewinaveva già a suo tempo sottolineato - impegnata in una pro-spettiva di evoluzione dei rapporti sociali, di sviluppo di nuoveforme di analisi e di trattamento dei problemi, essa si oppone,di fatto, all’alleanza oggettiva attuale tra positivismo e tecno-crazia. Da questo punto di vista la ricerca-azione implica unaessenziale dimensione di “esemplarità” che è stata più voltesottolineata (Boog e altri, 1996) o anche una promozione diforme democratiche d’organizzazione sociale (Enriquez,1984;Dubost , Lévy, 1980). Inevitabilmente si trova in conflitto con ipoteri costituiti a livello economico, professionale, interprofes-sionale o politico, e in particolare con l’organizzazione della ri-cerca e dell’insegnamento (pubblico e privato), che è imposta-ta nel senso di rinforzare il distacco, la scissione tra ricerca eazione e quindi la separazione tra ricercatori, professionisti eoperatori. Spesso ci si rassegna a ricorrere a ricercatori chepropongono percorsi di ricerca più collaborativi soltanto quan-

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do approcci più tradizionali hanno mostrato i loro limiti4. Ma sitratta di situazioni eccezionali. Per lo più la struttura gerarchicadell’organizzazione del lavoro porta a isolare l’idea di ricerca-azione a livello di utopia, o a confinarla entro situazioni circo-scritte, su scala ridotta, a livello locale (lavoro clinico, consu-lenze a équipes) dove vi siano meno rischi di trovarsi a ridiscu-tere dei principi di funzionamento dell’organizzazione o strate-gie definite ad alto livello.Lo sviluppo della ricerca-azione e l’acquisizione della visionecritica e delle ipotesi di cambiamento sociale che sono ad es-sa connaturate, richiedono pertanto la creazione di nuove isti-tuzioni (nell’insegnamento, nella formazione, nella trasmissio-ne dell’approccio psicosociologico) e di nuove modalità di col-laborazione tra professionisti di diverse provenienze (si pensiall’esperienza del Tavistock e ad altre che si sono avute neipaesi dell’Europa del nord, alle esperienze dell’ARIP e del CIR-FIP...). Esiste realmente un problema di legittimazione della ri-cerca-azione, ma anche di formazione e di inserimento profes-sionale di giovani professionisti e sia l’uno che l’altro non pos-sono essere trattati che in una dimensione istituzionale. Le nuo-ve istituzioni è necessario che siano riconosciute dallo Stato edal sistema universitario nelle loro dimensioni e nella loro rap-presentatività. In mancanza di legittimazioni di questo genereci si ritrova a dover affrontare chiusure e diffidenze dei com-mittenti, soprattutto di quelli collocati ai livelli gerarchici più al-ti, con azioni rivolte a persuadere e convincere, che rischianodi tradursi in un approccio più strumentale che clinico, in con-trasto con la prassi e l’etica della ricerca-azione. La teoria lewi-niana dei gate-keeper (cfr. voce Kurt Lewin) e le metodologieche ne derivano, si inscrivono in questa prospettiva. Si posso-no individuare diverse soluzioni secondo i campi di applicazio-ne: aziende, amministrazioni pubbliche, organizzazioni sanita-rie o educative o comunità urbane o rurali (ambiti territoriali)dove la presenza delle dimensioni politiche è più esplicita eineludibile.La ricerca-azione è condannata a rimanere in una posizionemarginale? Non è forse inscritto nella sua epistemologia e nel-

(4) E’ quanto è accadutonegli anni Settanta, in In-ghilterra, dopo che delle ri-cerche erano state finanzia-te in pura perdita, perché iricercatori non riuscivanoad imporre le loro esigenzemetodologiche positiviste adegli operatori sociali concui lavoravano per com-prendere perché i program-mi sociali fallivano. Non sideve da qui concludere cheil ricorso a dei processi di ri-cerca-azione si verifichi, es-senzialmente e sempre, invista della ricerca di unamaggior efficacia per risol-vere dei problemi. Da un la-to, infatti, (malgrado i nu-merosi studi di psicologiaeffettuati in questo senso ne-gli anni 1940-1960), non èmai stato veramente dimo-strato che i processi parteci-pativi garantiscano, in lineagenerale, risultati senz’altropositivi rispetto ai processipiù o meno autoritari. Il ri-sultato dipende evidente-mente da molte variabili.D’altro lato si è spesso sot-tolineato che il significatodella ricerca-azione si collo-ca su un altro piano rispettoa quello dell’efficacia o del-l’utilità sociale. Certamente,si può ipotizzare che lacomplessità crescente dellesituazioni sociali e organiz-zative e la loro multidimen-sionalità richieda sul lungotermine delle risposte menoriduttive rispetto a quelleproposte dai processi tradi-zionali. Ma non si può igno-rare a breve o medio termi-ne, che le soluzioni fondatesu una logica corrisponden-te al razionalismo strumen-tale possano mostrare unatemibile efficacia. Le moti-

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le condizioni particolari in cui può essere messa in atto (ogniesperienza è unica ed è impossibile comprimere i tempi di ela-borazione da parte dei ricercatori), o anche nelle condizionisociali, politiche o istituzionali, che prevalgono in questo oquel periodo? Può essere realizzata su larga scala o non deveessere necessariamente circoscritta a situazioni locali, di di-mensioni limitate, che permettono relazioni faccia a faccia?Soltanto condizioni sociali e storiche eccezionali hanno per-messo in parte di superare questi vincoli e queste pesantezze, edi sviluppare ricerche-azione su una scala più ampia. L’istitutoTavistock per esempio ha potuto riprendere e continuare leesperienze acquisite durante la guerra che avevano permessola creazione di una comunità di ricercatori, che condividevanovalori comuni, grazie però a sovvenzioni messe a disposizioneper parecchi anni da fondazioni private (in particolare la fon-dazione Rockefeller). Altre istituzioni possono oggi giocare unruolo simile nello sviluppo dei Paesi dell’Europa dell’Est (la Co-munità Europea, alcune fondazioni...). E’ avvenuto qualchecosa di simile ai tempi della crisi del 1929, quando più decisi-ve sfide sociali e politiche hanno messo in evidenza i limiti del-le istituzioni esistenti e le rigidità dogmatiche e istituzionali de-gli assetti della ricerca tradizionale.

Dimensioni etiche ed epistemologicheScegliendo di uscire dall’ambito protetto del laboratorio perstudiare i processi sociali in real life, in vivo o “sul campo”,Lewin aveva l’ambizione di estendere il campo del processoscientifico sperimentale e di dimostrare la sua efficacia nel trat-tamento dei problemi psicologici e sociali reali. Le implicazioniepistemologiche di questa scelta appaiono solamente in segui-to e si avvertono progressivamente. In realtà anzichè sostenerel’approccio sperimentale, Lewin lo mise profondamente in di-scussione, introducendo una rottura con i principi, ereditati dalpositivismo di Auguste Comte, successivamente riformulati daClaude Bernard. Ogni esperimento procede agendo sull’og-getto studiato e modificandolo un poco e questo è vero sia peril biologo che per il fisico: questi ricercatori si sforzano di otte-

vazioni che conducono i re-sponsabili a ricorrere a deglialtri approcci sono certa-mente complesse e difficilida analizzare: si dimostranospesso fondate su ragioni diordine personale o su valoririsultanti da esperienze di-verse, sul piano individualeo collettivo.

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nere una certa “oggettività” controllando gli effetti che produ-cono necessariamente e volutamente, e anche tentando di ri-durre al massimo quelli che provocano senza saperlo e senzavolerlo. Ma queste possibilità di controllo e di padronanza del-la situazione non esistono più quando il ricercatore entra diret-tamente in relazione con gli attori sul campo, alle prese con iloro problemi, quando si ritrova come loro sottoposto a pres-sioni costanti, esercitate sui loro modi di agire e di pensare. Ilcoinvolgimento anche inconsapevole nei giochi organizzativinon ha solamente l’effetto di limitare il suo potere sulla situa-zione, ma soprattutto rende necessario riconsiderare le moda-lità di rapporto con gli attori che vanno considerati partners enon soltanto soggetti di esperienze.In un celebre testo, datato 1944, (ripresentato nella raccoltaField theory and social science - Teorie del campo e scienze so-ciali), Lewin analizza le conseguenze di questa scelta: a diffe-renza di quanto accade nelle situazioni di laboratorio, il ricer-catore è obbligato a venire a patti con le resistenze che il grup-po esprime rispetto ad interventi che vede come ingerenze eostacoli alla realizzazione dei propri obiettivi e anche con i ti-mori suscitati negli attori dalla preoccupazione che risulti dimi-nuito il potere di influenzare. Per essere in grado di perseguirei propri obiettivi di ricerca e fare accettare e funzionare il di-spositivo che li rende possibili, il ricercatore non può lavoraresenza la collaborazione degli attori. Lewin d’altro lato sottoli-nea come questo garantisca una reale cooperazione attiva,non cioè limitata ad un’accettazione passiva della presenza diqualcuno che interviene dall’esterno: da qui la necessità chegli attori riescano a cogliere le implicazioni, che a breve o lun-go termine le ricerche possono avere concretamente sulla riso-luzione dei loro problemi. Gli attori in ogni caso non sono maidisposti ad attribuire un potere illimitato allo sperimentatore;sono però più disposti a coinvolgersi nella ricerca se in qualchemodo sono stati “socializzati” alle dimensioni scientifiche deiproblemi in gioco, potendo così comprenderne meglio la na-tura, anche se questo richiede un importante impegno di ap-prendimento. Per Lewin ciò costituisce un elemento centrale del

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processo di cambiamento: il processo consiste nel confrontar-si, con obiettività, con i problemi degli altri e ciò si può tradur-re in una modificazione di atteggiamenti5.Ben consapevole delle prospettive aperte dalla ricerca-azionedal punto di vista del cambiamento delle persone e della riso-luzione dei problemi organizzativi e sociali, Lewin mette però inguardia contro la tentazione, per il ricercatore, di trasformarsiin militante e di sostituirsi agli attori nelle loro scelte fonda-mentali. Non può essere lui a determinare quali obiettivi vada-no privilegiati: deve limitarsi a chiarire le scelte e le loro con-seguenze e a raccogliere i dati pertinenti per tradurle sul pianooperativo. Ne deriva che più i problemi del gruppo sono im-portanti, meno essi si riducono a questioni di ordine tecnico.Ogni lavoro di ricerca, anche soltanto teorico, è in certo modoun’azione sociale, che coinvolge i ricercatori in ragione del po-tere, anche limitato, che acquisteranno sugli attori con cui sitrovano a cooperare, se non altro nella riformulazione delledomande iniziali.Le prospettive aperte dalla ricerca-azione non riguardano solola posizione dei ricercatori. Introducono una concezione origi-nale dell’agire sociale in vista di cambiamenti psicologici e so-ciali significativi nell’organizzazione del lavoro, nei rapporti dipotere, nella gestione dei conflitti, nella formazione e l’educa-zione, nei modi di analizzare e affrontare i problemi: è un agi-re che si fonda sull’ipotesi centrale che questi cambiamenti esoprattutto l’invenzione di nuove modalità per affrontare pro-blemi collettivi, debbano essere sostenuti da un lavoro colletti-vo di elaborazione teorica, che si traduce, a livello di singoli, inprocessi di apprendimento e di evoluzione psicologica conti-nua. In questo senso la ricerca-azione ha delle somiglianzecon la medicina e con la clinica in genere (attività e relazioni diaiuto), e si differenzia dalle pratiche strumentali che consistononell’agire sugli altri secondo strategie elaborate in particolareda attori che dispongono di mezzi per influenzare le decisioni,spesso utilizzati senza che coloro a cui sono rivolti se ne accor-gano e ne conoscano la finalizzazione.Sul piano etico e filosofico, la ricerca-azione assume un rico-

(5) Va sottolineato che lequestioni sollevate dallasperimentazione in un con-testo reale si sono incontra-te ben prima dell’inizio delXIX secolo, attraverso gliesperimenti a grandezza na-turale, dove si trattava di in-ventare delle nuove forme diorganizzazione sociale met-tendo in opera dei dispositi-vi scientifici per studiarli.Parallelamente gli antropo-logi studiando le popolazio-ni lontane (o vicine) si inter-rogano, da molto tempo,sugli effetti della loro pre-senza e del loro coinvolgi-mento nelle loro relazionicon i nativi (cfr. la voce “os-servazione partecipante”).Pur tenendo conto degli ef-fetti di cambiamento provo-cati dalla sua presenza l’et-nologo che studia i gruppi ole società lontane o vicine,si riferisce a una tradizioneche lo conduce a privilegia-re gli obiettivi di conoscenzae a minimizzare il più possi-bile gli effetti del suo inter-vento. E’ pertanto una tradi-zione diversa dalla tradizio-ne psicosociologica in cui leprospettive aperte dalla ri-cerca-azione hanno contri-buito allo sviluppo di inter-venti che si sono avviati apartire da esigenze di ricer-ca.

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noscimento dell’altro come soggetto e non come oggetto pas-sivo, e come un soggetto a pieno titolo, cioè pienamente par-tecipante ai processi di cambiamento, di apprendimento e diproduzione di conoscenze. Postula che non può esserci acqui-sizione di conoscenze senza intervento in vivo, non sull’ogget-to stesso (che si definisce via via) ma sulle relazioni tra ricerca-tori e attori.La metodologia ed i dispositivi di ricerca utilizzati non possononon essere coerenti con questo modo particolare di relazione(non strumentale, di cooperazione, di aiuto...): implicano perciòuna dimensione etica; non si può fare ciò che si vuole con e sul-le persone al fine di acquisire delle conoscenze. L’affermazione,fatta in questi termini, rischierebbe di ridursi ad un imperativo diordine morale, di cui l’esperienza di Norbert Elias (la sua eticadi non coinvolgimento, fondata sul rifiuto di sottomettersi adun’ideologia per quanto rispettabile, nel nome della sola ricer-ca della verità) ha mostrato limiti e paradossi. La questione etica non può essere separata dalla questione epi-stemologica: i valori etici non esistono in sé e per sé, semplice-mente giustapposti (o sovrapposti) ad un processo di produzio-ne di conoscenze inizialmente riferito a dei principi puramenteepistemologici. L’atto di conoscenza (volto a sapere sull’uomo esulla società) implica una modalità specifica di entrare in rap-porto con l’altro escludendo la volontà di comprimerlo entro ipropri schemi e di sottometterlo ai propri desideri (promuoven-do piuttosto quella che alcuni indicano come la sua autonomia,cfr. Castoriadis, 1975): assume pertanto una valenza etica nelsenso ampio del termine, che è quella che caratterizza e distin-gue la ricerca-azione dalla concezione tradizionale del lavoroscientifico, tendente, come già si è più volte richiamato, a un sa-pere oggettivo neutro e universale inteso come oggetto autono-mo, indifferente ai fini per i quali potrebbe servire. Per un fine diquesto genere sarebbe sufficiente applicare con rigore regolemetodologiche definite in modo generale, eludendo ogni rap-porto tra questioni epistemologiche ed etiche.Il contributo di Levinas a questo proposito è particolarmente il-luminante: il rapporto con l’altro è fondato sul riconoscimento

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di una differenza radicale in rapporto a sé, che travalica la ca-pacità di pensarlo, e sull’intrinseco significato di domanda, co-me richiamo; nella misura in cui questo rapporto costituisce unostacolo, un limite al pensiero, il confronto con l’Altro rendepossibile l’attività teorica.Se le condizioni di produzione delle conoscenze sono riferite aposizioni etiche, accade la stessa cosa per il sapere che vienecostruito: nella misura in cui non riguarda un oggetto separatodal soggetto che lo concepisce, ma i rapporti che li collegano,il sapere non è dissociabile dall’esperienza attraverso la quale siconosce. Inscritto nel tempo e nella vita di un soggetto, questosapere è sempre da riformulare, condizionato dalle circostanze(sociali, psicologiche e relazionali) nelle quali è prodotto (dai ri-cercatori, ma anche da colui o da coloro ai quali lo si destina elo si comunica). Un atto di conoscenza di questo genere nonpuò essere opera di un singolo, soprattutto se riguarda il lega-me sociale e i processi secondo i quali esso si forma e si tra-sforma. Una tale conoscenza non può essere acquisita, se nonattraverso un lavoro collettivo realizzato a più voci (joint action- azione congiunta): non produce senso se non nelle e per le re-lazioni tra le persone fisiche, e questo corrisponde a ciò a ciòche Piaget chiamava “sapere idiosincrasico”.Non è possibile ripetere la prova (le esperienze non sono ripe-tibili) ma le conoscenze ciò nonostante devono poter esseretrasmesse, trasposte ad altre situazioni analoghe, acquisiresenso per altri. In altri termini, si presume che ogni esperienzaparticolare abbia nella propria specificità un significato poten-zialmente universale6.

Sapere profano, sapere scientificoUna questione centrale tra gli interrogativi riguardanti la ricer-ca-azione è il rapporto, o il non rapporto, tra sapere scientificogeneralmente acquisito, debitamente controllato e validato, esapere profano (o indigeno, popolare), conforme al “buonsenso”, suggerito dall’esperienza. Da quando si è definitiva-mente affermato il pensiero scientifico moderno, esiste una for-te tradizione che tende a differenziare in modo netto queste

(6) Il termine “universale”sembra più appropriato di“generale”, che si riferisce,necessariamente, a una ca-tegoria di oggetto e non al-la totalità: l’idea generalerinvia ad un oggetto, an-ch’esso generale, astrattoed idealizzato il cui senso èlimitato alla utilità sociale.

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due forme di sapere. Al sapere profano, pratico, si riconosceuna validità empirica, limitata quindi a situazioni particolari:ciò che è vero per Tizio, non lo è necessariamente per Caio eviceversa. Il sapere scientifico ha invece una portata generalee riguarda leggi universali7. La linea di demarcazione tra sapere profano e sapere scientifi-co non riguarda soltanto il loro carattere intrinseco, generale inun caso, relativo nell’altro. Per coloro, come Bachelard, che in-sistono sulla rottura epistemologica introdotta dalla conoscen-za scientifica, il sapere profano non è soltanto relativo (adun’esperienza, ad una cultura specifica...) ma anche inganna-tore, perché fondato su percezioni tronche, su idee nascoste(“il senso comune”), su ciò che Bachelard stesso definisce conil termine di pre-conoscenze.La ricerca-azione, come si è visto, ricusa una tale rottura. Nonesiste una differenza fondamentale tra i due tipi di sapere, mapiuttosto differenti gradi di astrazione. Senza disconoscere ledifferenze di posizione, di finalità, di competenze tra i ricerca-tori e gli attori e di lavoro che spetta agli uni e agli altri, la ri-cerca-azione è fondata sull’ipotesi che saperi, di portata gene-rale, possano essere prodotti (e in certi casi lo possano esserein modo privilegiato) a partire dall’esperienza diretta degli at-tori e a diretto contatto con situazioni particolari. Non esiste-rebbe pertanto soluzione di continuità tra i due tipi di saperi, nédifferenze radicali tra gli attori e i ricercatori, che cooperanoper la loro produzione.Anche se si tratta di un problema troppo vasto per poter esse-re trattato in tutta la sua complessità in questa sede, vanno co-munque segnalati alcuni elementi di riflessione.

1. Una prima considerazione riguarda la distanza (psicologica,culturale, storica) tra il ricercatore ed il suo oggetto. Quantomaggiore è la distanza, quanto più il fenomeno studiato è lon-tano dalla propria esperienza, tanto maggiore è lo scarto trasapere scientifico e sapere profano e tanto minore è l’interesse- e il significato - di ricorrere alla ricerca-azione.Per esempio le ipotesi di Marcel Mauss sul dono e sullo scam-

(7) Cfr. la lingua materna,che ci appartiene, e che ci èstata trasmessa, anche se isaperi che essa contiene so-no associati a delle espe-rienze uniche. La trasposi-zione non implica, infatti, lariproducibilità, ma l’analo-gia.

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bio, come elemento costitutivo del legame sociale e come valo-re fondamentale della civiltà, non sono evidentemente diretta-mente collegati ai discorsi di coloro che vivono in queste comu-nità lontane, né ai loro stili di vita e di relazione. Il sistema di re-gole che è alla base dei rapporti sociali, i tre obblighi e i lorofondamenti individuati da Mauss a partire dall’analisi di osser-vazioni indirette, non erano conosciuti in modo consapevoledagli attori. Non sarebbero stati in grado di darne conto. Eranotuttavia presenti nel loro spirito (Mauss 1921), ma in modo “im-plicito” come doveri naturali, più che come vincoli sociali.Rispetto a questo tipo di sapere implicito Mauss ha realizzatoun salto qualitativo. Ha svelato una struttura sottogiacente, chesostiene i comportamenti individuali e collettivi, e che è rileva-bile in tutte le comunità, non solo nelle comunità in cui si èsvolta la ricerca. Il suo lavoro non è consistito soltanto nel met-tere in evidenza le regole (conosciute da tutti), ma soprattuttonel comprenderne le configurazioni di sistema complessivo enel metterle in relazione con le condizioni di funzionamentodella società nel suo insieme. E soltanto lui era in grado di fa-re questo lavoro: non perché gli attori ne fossero intellettual-mente incapaci, ma perché non nutrivano alcun interesse oforse ancor più, perché queste strutture, per essere attive, do-vevano restare occulte. Considerazioni analoghe possono es-sere fatte rispetto alle regole di parentela analizzate da Levy-Strauss. Le ragioni profonde del dover conformarvisi (rapportitra gruppi differenti, organizzati attraverso lo scambio piuttostoche attraverso la guerra, riproduzione intergenerazionale), era-no evidentemente del tutto ignorate dai membri di queste co-munità. Non avevano interesse a conoscerle, ma addirittura sipuò supporre, a torto o a ragione, che scoprirle sarebbe statopregiudizievole per la loro conservazione e per il mantenimen-to di quella società. Questi esempi scelti tra molti altri (le ricerche storiche peresempio) sottolineano la differenza di natura tra i due tipi di sa-pere e di rapporto con il sapere, e anche le differenze di posi-zione tra gli attori e i ricercatori, dal punto di vista del loro ri-spettivo interesse e anche da quello delle condizioni suscettibi-

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li di farle emergere. Segnalano che è possibile arrivare adidentificare delle strutture latenti, ignorate dagli attori, attraver-so osservazioni dall’esterno senza partecipare a dei cambia-menti e senza contribuire a produrli; in molti casi non esiste al-tro modo di procedere.Tali conclusioni, che sembrerebbero contraddire i principi del-la ricerca-azione, indicano che non sono principi universali, chesi applicano sempre e dappertutto: sarebbe fuorviante preten-dere che la prospettiva della ricerca-azione possa costituireun’alternativa globale per la ricerca nel campo delle scienzeumane.La ricerca-azione non si applica, e non si impone, che a certecondizioni e in particolare quando gli attori accettano di impe-gnarsi essi stessi in un lavoro di concettualizzazione e di astra-zione, che si traduce in possibili revisioni di convinzioni e sape-ri su cui fondano la loro azione: ciò è possibile solo là dove siaavvertita la necessità di riconsiderarli e reinterrogarli, distan-ziandosene, dove sia riconosciuto, in modo più o meno co-sciente, il bisogno di modificarli. Non era evidentemente que-sto il caso dei membri delle comunità studiate dai due etnolo-gi sopra ricordati.

2. Un secondo elemento di riflessione si riferisce alla naturadegli oggetti o dei fenomeni studiati. Nei due esempi evocati siparla di società stabili (“fredde”, secondo Levy-Strauss). La nonconsapevolezza, da parte dei soggetti sociali, delle regole sucui si fondano i loro comportamenti collettivi, assicura il rispet-to incondizionato e non pensato, e di conseguenza la stabilitàe la permanenza del sistema sociale di cui essi fanno parte.Da questo punto di vista, l’approccio di Freud appare effettiva-mente esemplare (anche se è ben anteriore all’invenzione delconcetto di ricerca-azione). Se è stato indotto ad adottare unprocedimento differente da quello delle scienze cosiddetteesatte o positive, è perché era nelle condizioni di poterlo fare,ma anche perché le situazioni che studiava erano soggette aforti tensioni interne, che si traducevano in fenomeni patologi-ci, che il suo lavoro di ricercatore e di clinico si proponeva di

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modificare. In fondo uno dei fattori determinanti dei processi dicambiamento era costituito dal mettere al lavoro il paziente suisignificati, che egli stesso, parlandone, attribuiva agli avveni-menti, di cui era soggetto, e sulle connessioni che il lavoro dielaborazione concettuale di Freud, riusciva ad articolare. Inmodo analogo, ma in direzione opposta, nelle società studiateda Mauss o Lévi-Strauss, la inconsapevolezza degli attori rap-presentava una condizione necessaria alla stabilità del sistema.La stessa considerazione potrebbe anche valere per le organiz-zazioni e le società contemporanee costantemente in tensionee in trasformazione, caratterizzate da una molteplicità di riferi-menti simbolici, anche contradditori, che si traducono in soffe-renze e angosce, collegate proprio al venir meno di certezze epunti di orientamento.In queste condizioni, e fin tanto che un atteggiamento apertoda parte dei ricercatori permette loro di andare incontro a do-mande o desideri di collaborazione, i percorsi di ricerca parte-cipativa hanno senso. Facilitando la scoperta dei processi co-gnitivi, affettivi e relazionali, che sono presenti nei comporta-menti e nelle strutture sociali, permettono agli attori coinvolti diprenderne coscienza per se stessi e in se stessi, e di accompa-gnare, o anche orientare, le evoluzioni in corso. In altre paro-le, le evoluzioni sociali, che le persone contemporaneamentesubiscono e attivano, impongono un lavoro su se stessi di con-tinuo apprendimento e di cambiamento.Se nelle società “fredde”, i soggetti possono (e devono) ignora-re le problematiche soggiacenti all’organizzazione sociale, oggiappare invece necessario che le assumano e vi prendano partee quindi che le possano comprendere, cercando di ridurre il piùpossibile la distanza tra sapere profano e sapere scientifico.

Limiti e condizioni di applicazione della ricerca-azioneIl problema di chi porta una domanda di ricerca-azione è di fat-to centrale. Nessun processo d’intervento o di ricerca (azione)può iniziare veramente senza fondarsi su una domanda, almenoimplicita o potenziale, da parte di coloro che sono interessati.Non esiste, però, una domanda in sé. La domanda esiste sol-

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tanto entro una relazione con colui o coloro ai quali è indiriz-zata e in forme variabili ed evolutive - domanda o comando,ordine o preghiera, richiesta o ingiunzione… -, che vengonocolte via via che la relazione si approfondisce. All’inizio rara-mente viene espressa una domanda di cambiamento (addirit-tura mai, se si tratta di gruppi e di collettività). Può semplice-mente essere manifestato un desiderio di entrare in relazione od’essere ascoltato, o anche di risolvere una situazione diventa-ta inestricabile. Da parte di un committente può arrivare unadomanda che rivela il desiderio di accrescere il proprio potere.Se cerca di approfondire, è perché tenta di preservare il pote-re e di agire più efficacemente, trascurando il fatto che il pro-cesso di ricerca, nella misura in cui si avvia liberamente, rischiadi andare contro questo desiderio. Infatti, non solamente, leconoscenze prodotte non sono necessariamente utilizzabili, mase si diffondono possono essere disfunzionali a strategie, che sibasano in gran parte sull’ignoranza di quelli a cui vengono ap-plicate. In queste condizioni, in quale misura colui che intervie-ne deve o può informare i portatori della domanda rispetto aciò che li attende, con il rischio di rendere la ricerca e l’inter-vento impossibili?Esiste sempre in linea di massima una parte di equivocità e diambiguità al momento della negoziazione del contratto8. E icommittenti ne possono essere in certa misura complici. Posso-no essere portatori di una domanda d’aiuto, anche se non loriconoscono apertamente, oppure, come l’esperienza insegna,una richiesta più diretta da parte loro può essere espressa suc-cessivamente: si può assistere a dei cambiamenti di posizionesorprendenti, quasi a delle riconversioni.La contrapposizione spesso sottolineata tra analisi e azione vapertanto decisamente attenuata. Essa non riconosce, infatti, lanecessità per ogni organizzazione reale di tollerare, e persinodi incoraggiare una critica permanente ai propri modi di fun-zionare, alle regole, alle rappresentazioni condivise tra i mem-bri. Il problema della domanda va infine collegato anche allaquestione della legittimità di un processo di ricerca, che vengaavviato per iniziativa di un solo ricercatore, al di fuori di ogni

(8) Qui non ci si riferisce adun contratto in senso giuri-dico (anche se accade che ilcontratto possa talvoltaprendere questa forma). Sivuole piuttosto sottolineareche ogni lavoro professio-nale presuppone vi sia stataprima una negoziazione(talvolta implicita) sulle con-dizioni e i vincoli entro cuisarà svolto – le regole, gliobblighi reciproci, lo speci-fico campo d’azione…D’al-tra parte questo vale perogni scambio, ogni comuni-cazione. Nel caso di una ri-cerca o di un intervento, ilcontratto può essere o nonessere formalizzato periscritto (talvolta anche conuna semplice lettera), puòessere un accordo verbale,con delle clausole più o me-no implicite.

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prospettiva d’intervento e di ogni domanda esplicita. In qualemisura i ricercatori debbono e possono assumere gli effetti delprocesso indotti dai dispositivi che attivano (per esempio delleinterviste che possono impegnare i soggetti in una direzioneinizialmente non prefigurata o svelare delle verità, che si prefe-riva fossero taciute)? D’altra parte si nota spesso che gli inter-venti condotti senza una prospettiva chiara di ricerca, rischianodi favorire in coloro che intervengono, un’identificazione congli attori, portandoli a subordinare l’attività di ricerca applica-ta agli obiettivi dei committenti.

La ricerca-azione come processo sociale globaleL’epistemologia (e l’etica) della ricerca-azione corrispondonoanche ad una particolare concezione dell’azione sociale: un’a-zione vista come continuamente e strettamente connessa ad unprocesso di elaborazione di conoscenze, un’azione che associaricercatori, attori, utilizzatori potenziali, collegati tra loro da re-lazioni suscettibili di scoprire nuove verità significative per loroe per altri. Elementi caratterizzanti sono:- un punto di vista olistico (che consiste nel considerare i sog-

getti individuali o sociali come un “tutto”, di rifiutare di di-viderli in funzioni separate ed autonome);

- la volontà di agire congiuntamente, più attori insieme, inrapporti di cooperazione tra ricercatori, che perseguonoobiettivi di conoscenza e di aiuto, ed attori, che si confron-tano con dei problemi del vivere e dell’operare (Dubo-st,1987);

- la considerazione del coinvolgimento dei ricercatori (in po-sizione di non estraneità) nell’oggetto del lavoro di ricercae nelle modalità con cui tentano di conoscerlo.

La ricerca-azione in termini più generali suppone un processo,in cui si combinano diversi tipi di attività interconnesse in suc-cessione nel tempo e tra loro interagenti, che implicano ognivolta diverse categorie di persone, ognuna delle quali ha sen-so in quanto è in rapporto con le altre. E’ in antinomia con laconcezione tradizionale della ricerca scientifica, vista comeuna serie di attività compiute, fondate su una divisione del la-

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voro prestabilita (tra ricercatori ed attori, ma anche all’internodi ogni categoria, secondo il livello gerarchico di ciascuno) erivolte a gestire una “dimostrazione”, per arrivare a dei “risul-tati” che saranno trasmessi secondo i canali ed i canoni formalidella “comunicazione scientifica”.Le ricerche condotte in una prospettiva di ricerca-azione nonnegano e non pretendono di annullare differenze di ruoli e diresponsabilità secondo le collocazioni, gli interessi o le differen-ti forme di impegno professionale, ma tentano di non reificarequeste differenze, e di non trattarle come se costituissero dellebarriere impermeabili, postulando e cercando di attivare strut-turalmente una connessione tra lavoro di ricerca e azione, at-traverso lo sviluppo di scambi reciproci tra gli ambiti di praticasociale, economica o politica e quelli di elaborazione teorica.Le differenziazioni di ruoli e posizioni si possono meglio com-prendere se si intende il processo di ricerca-azione come una se-quenza di momenti (Lèvy, 1997), che si susseguono nel tempo.Un primo momento è quello dell’atto clinico che mette in rela-zione, nel qui ed ora, i ricercatori-consulenti e le persone o igruppi portatori di una domanda d’aiuto o di comprensione. Inquesto primo momento, è difficile, se non impossibile, fare unariflessione sul senso dell’esperienza e sul ruolo che ciascuno siè giocato e si può giocare. Questo può avvenire soltanto in se-guito, in un secondo tempo, non solo per ragioni di ordine pra-tico, ma anche per l’esigenza di lasciare del tempo per la ram-memorazione e l’elaborazione sia teorica che psichica. Da quil’istituzione di luoghi e di momenti specifici, inseriti accanto al-le scansioni abituali del lavoro (per esempio,incontri di “rego-lazione”, riunioni di gruppi per l’analisi delle attività), che per-mettano di rappresentare, in presenza d’altri, ciò che è statovissuto sul campo e rendano possibile lavorare insieme sui pro-blemi che il lavoro clinico ha fatto emergere. I professionisti inrealtà hanno raramente tempo e modi per fare questa riflessio-ne al di là dei momenti, propriamente detti, di “regolazione”.La riflessione costituisce parte integrante del loro lavoro, ma ineffetti per lo più non è né retribuita né riconosciuta. E’ legittimoche i ricercatori professionisti siano i soli ad essere pagati per

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un lavoro di ricerca-azione? (Questo interrogativo però riman-da all’organizzazione della ricerca, alla logica dei contratti edei bandi di gara, alle istituzioni di ricerca, di cui si è già trat-tato a proposito delle condizioni istituzionali).Se è indispensabile una distinzione tra i luoghi ed i momentidell’azione e quelli dell’analisi, è necessario allora un terzomomento, perché la riflessione non resti confinata in un circui-to chiuso, riferita alla specifica azione che si sta svolgendo e aisoggetti direttamente coinvolti. E’ questo il momento della tra-smissione dei risultati dell’esperienza alla comunità dei ricerca-tori e dei consulenti, e anche ad altri, meno direttamente coin-volti. Con questa comunicazione si trasmettono non tanto i ri-sultati (dei contenuti che riguardano accrescimento di saperi inastratto), ma delle conoscenze, il cui significato resta legato al-le esperienze in cui sono maturate ed alla prassi che ne ha co-stituito il supporto. La forma di queste comunicazioni, scritte oorali, costituisce uno dei problemi più complessi della ricercasia per gli psicosociologi che per gli antropologi.Le forme linguistiche che vengono utilizzate hanno infattiun’importanza determinante (rappresentazioni di esperienze,monografie, aneddoti, resoconti dettagliati, riflessioni persona-li, ritorni sulla storia, tentativi di teorizzazione...): a confermache il linguaggio non è un semplice supporto, che serve a vei-colare delle informazioni, ma è un elemento centrale della co-municazione (“è ciò che permette di rendere il mondo comu-ne”, secondo l’espressione di Lévinas).Al precedente si aggiunge un quarto momento che implica unlavoro riflessivo e critico più generale. E’ importante infatti evi-tare una deriva, in cui purtroppo spesso si finisce contrappo-nendo in modo radicale il “sapere scientifico” e l’”esperienza”:si rischia di attribuire alla ricerca-azione un carattere quasi in-timista, a confinarla entro la sua impostazione e a trascurare laricerca e l’azione per interessarsi solamente al trattino che leunisce. La conoscenza è senz’altro un processo in fieri(knowing), che coinvolge dei soggetti in relazione con altri. E’tuttavia anche il supporto di significati simbolici (di concetti) su-scettibili di diventare riferimenti per il pensiero così come per

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l’azione9, perché possono permettere di sistematizzare o orga-nizzare il pensiero su questioni come il cambiamento, l’azione,l’organizzazione, il potere, l’immaginario sociale o collettivo,la creazione culturale, i destini comuni… e di metterli in rela-zione con altri campi della conoscenza. Sono acquisizioni nondefinitive, né conclusive, che consentono un rilancio del pro-cesso conoscitivo, indispensabile per rialimentarlo e coinvol-gervi altre persone.In questa prospettiva la ricerca azione non può essere conside-rata come un’alternativa complessiva a qualsiasi ricerca nellescienze umane. I suoi principi epistemologici, le sue visioni dicambiamento ed evoluzione - a livello psicologico e a livellodel sociale, a cui la ricerca-azione prende parte e che le dàsenso, - non si concepiscono e non si applicano, se non incondizioni particolari che sono già state segnalate, come laprossimità ai fenomeni che vengono studiati, il desiderio dicambiamento e di comprensione, che si traducono in una do-manda di coinvolgimento e di partecipazione da parte degli at-tori… La sua portata sul piano della conoscenza è, perciò, li-mitata. Non solo la ricerca-azione non svaluta in alcun modol’interesse per ricerche condotte secondo altre prospettive (noncliniche) e altri punti di vista, in particolare là dove non esisto-no le condizioni previste (studi etnologici e storici, lavori speri-mentali…), ma non può essere concepita se non in articolazio-ne con esse. Il suo apporto rimane, comunque, essenziale. Pro-cesso di “scambio generalizzato” che sostiene una dinamica dicomunicazione, di conoscenza e di interconoscenza tra diversiambiti della società (quelli del lavoro e dell’azione concreta,quelli della riflessione teorica e dell’analisi, quelli politici e de-cisionali), che coinvolge ciascuno (al di là del compito o dellaposizione sociale, qualunque sia il punto del suo percorso divita) nel pensare le condizioni della vita in comune, la realtàdel mondo in cui vive e il modo in cui lo vive, la ricerca-azionecostituisce un cammino attraverso il quale le nostre societàipercomplesse, minacciate dalla frammentazione o dall’implo-sione, possono ricostruirsi un senso.

(9) Allo stesso modo, anchese la psicanalisi si definisceessenzialmente come prassi,non è contestabile il fattoche essa sia anche un corpodi conoscenze suscettibili diessere insegnate, discusse,commentate, contestate ocriticate.

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