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Organo ufficiale dell’Associazione Nuova Famiglia – Addis Beteseb – ONLUS Anno 20 – numero 3 (77) Settembre 2017 - Trimestrale POSTE ITALIANE s.p.a. Sped. in abb. postale D.L. 353/2003 (conv. L.27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB PD

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Organo ufficialedell’Associazione Nuova Famiglia

– Addis Beteseb – ONLUS

Anno 20 – numero 3 (77) Settembre 2017 - Trimestrale

POSTE ITALIANE s.p.a. Sped. in abb. postale D.L. 353/2003 (conv. L.27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB PD

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RIEPILOGO DEL PROGETTO “SCUOLA CIRANDA CIRANDINHA DI MUCUNÀ”

La scuola materna Ciranda Cirandinha di Mucunà (a Fortaleza, in Brasile) è stata realizzata nel 2005 da Nuova Famiglia e oggi ospita 160 bambini tra i 3 e i 6 anni di età. Grazie al vostro aiuto possiamo fornire ad ogni bambino materiale didattico, alimentazione, controllo sanitario, educazione ambientale, supporto per lo sviluppo delle attitudini personali e insegnanti qualificati. Al termine del ciclo della scuola materna i bambini di sei anni sanno leggere, scrivere e sono stati introdotti all’uso del personal computer.

Negli ultimi anni la mole di lavoro, la carenza di personale e i necessari lavori di ampliamento ed adeguamento della struttura ci hanno reso difficile, se non impossibile, fornire ai benefattori informazioni aggiornate con relazioni e foto sui singoli bambini, e quindi gestire al meglio le adozioni a distanza. Pertanto abbiamo pensato, pur mantenendo attive le adozioni a distanza per singoli bambini, di creare il “Progetto Scuola Ciranda Cirandinha di Mucunà” con l’obiettivo di sostenere un’intera classe di bambini.

La tua donazione, scelta liberamente secondo le tue disponibilità, potrà preziosamente contribuire alla crescita della scuola e delle sue attività, su cui verrai periodicamente aggiornato. Ricordati di indicare nella causale: “Sostegno scuola Mucunà”. Grazie!

Anno 20 – numero 3 (77) – Settembre 2017 – TrimestraleOrgano ufficiale dell’Associazione Nuova Famiglia - Addis Beteseb - ONLUS

in copertina foto di Benedetta ConteCodice Fiscale 00211260286

QUOTA ASSOCIATIVA ANNUA: socio ordinario € 55,00CONTRIBUTI A PROGETTI: specificare sempre la causale (il nome del progetto da sostenere)PARLIAMO AFRICA: abbonamento annuale (4 numeri) € 15,00 ADOZIONI A DISTANZA: Aiuto ad un minore: € 150,00/anno (per Brasile: € 250,00/anno)Aiuto ad una famiglia: € 250,00/anno Per il pagamento SPECIFICARE SEMPRE LA CAUSALE O IL NUMERO DI ADOZIONE

Pagamenti con bonifico: bonifico su c.c.b. con coordinate: IT - 84 - P - 08728 - 62890 - 000000453689 presso Banca Patavina - Credito Cooperativo di Sant'Elena e Piove di Sacco, agenzia di Selvazzano Dentro (PD), intestato a: Nuova Famiglia Addis Beteseb (ONLUS) vicolo Ceresina 6, 35030 Caselle di Selvazzano Dentro (PD)

Pagamenti con bollettino postale: c.c.p. n. 13772355 intestato a: “Associazione Nuova Famiglia - Addis Beteseb - ONLUS".

L E N O S T R E C O O R D I N A T E

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S O M M A R I Os o m m a r i o

S E T T E M B R E 2 0 1 7

EDITORIALEdi Michele Luise

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LA TERRA SACRIFICATAdi Mattia Marchiori

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RITORNO IN ETIOPIA. INSIEME A MIO FIGLIO. di Rosa Martinelli

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ROCK SOLIDALE 7.1di Riccardo Boesso

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RICORDIdi Beatrice Bono

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PROGETTO ALÌ SUPERMERCATIa cura della redazione

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…IO VI BATTEZZO COME TOGNA E MAZENGO di Alessia De Rocco e Mattia Meloni

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ALLA SCOPERTA DELLA MIA TERRAa cura di Luigi Facchin

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MITI E LEGGENDE D’AFRICAa cura di Sonia Ferrara

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DATI PREZIOSI, PER RIFLETTEREa cura di Alessandra Ometto

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MANDA-TANZANIA: UNA MISSIONE D’ALTRI TEMPI

di Lucio De Rocco

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LA RAGAZZA ETIOPE CHE ALLEVA CAPRE FELICI IN TRENTINO

di Annalisa Camilli

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CI SCRIVONO…a cura della redazione

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UN PONTE DI SOLIDARIETÀ CON LA TANZANIAa cura della redazione

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INSIEME È BELLO!a cura della redazione

15I MIEI PARADOSSI…di Marcello Massaro

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ESPERIENZA AD ATTATdi Francesca Motta

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Festa di Nuova Famiglia - 24 Settembre 2017 - AFRICASSOCIAMOCIIl forum di Associazioni italiane che operano in Guraghe (Etiopia)

All’interno dell’annuale Festa di Nuova Famiglia, svoltasi domenica 24 Settembre, abbiamo fatto incontrare alcune Associazioni che da anni lavorano nella Regione del Guraghe e che sono legate alla Diocesi di Emdibir: un incontro per condividere le nostre esperienze vissute in terra d’Etiopia.Negli anni abbiamo maturato la convinzione dell'importanza di sviluppare la collaborazione con altre Associazioni presenti nella Regione, nell'ottica di creare una rete fatta di sinergie, sia per ottimizzare gli interventi in campo che vengono realizzati a vario titolo, sia per facilitare lo scambio di conoscenze qui in Italia, ognuno con l’esperienza maturata nel proprio ambito.A sugellare questo incontro, un ospite speciale: il Vescovo della Diocesi di Emdibir Abuna Musié Ghebreghiorghis, con il quale si è potuto meglio analizzare il nostro impegno ed i nostri obiettivi.Sul palco erano presenti queste Associazioni: MISSION ONLUS (Udine), INGERA (Firenze), CCWW Italia, VOLONTARI GIGHESSA (Mantova), L'ORTO DI MARCO (Padova) e noi di NUOVA FAMIGLIA.L’intervento di ogni rappresentante è stato ricchissimo di informazioni e di spunti di riflessione; abbiamo conosciuto da vicino quanto ciascuna Associazione ha fatto e sta facendo in campo sanitario, scolastico, nelle strutture e con interventi sulla persona.Molti sono stati gli argomenti trattati ed i punti d’incontro sull’operato di ciascuno in terra Etiope. Per quanto riguarda la nostra Onlus, nei prossimi anni ci dedicheremo, oltre che a completare le opere già iniziate, a realizzare interventi in collaborazione con le altre Associazioni per rendere più facile e veloce la raccolta fondi, finalizzata alla realizzazione di opere totalmente finanziate quasi da subito.Si dovrà iniziare a ristrutturare per meglio conservare i fabbricati esistenti, datati, in stato di degrado a causa della mancanza di interventi di manutenzione e normalmente necessari per qualunque opera civile. E’ fondamentale fare questo per mantenere in buono stato strutture (scuole e cliniche, a volte proprio realizzate dalle nostre Associazioni) che, vista la tipologia costruttiva e l’utilizzo di materiali piuttosto semplici, risentono di un facile e veloce deterioramento. Altro punto

importante di valutazione è legato ai nuovi progetti che, non dobbiamo mai dimenticare, devono nascere da esigenze, richieste e bisogni che la gente Etiope lancia come segnale di aiuto e non più da valutazioni individuali, fatte spesso con ottica e mentalità “europea”, finendo col donare fantastici progetti di opere poco utili e funzionali, per il semplice gusto di sentirci dei benefattori.E’ fondamentale ascoltare, condividere e poi agire, per realizzare ogni opera con il massimo beneficio per i destinatari, pensando sin dall’inizio chi dovrà e potrà far funzionare la struttura, chi ne sosterrà le spese di gestione e del personale (almeno per i primi anni), così da garantire una fase di avvio più sicura per poi arrivare ad una piena autonomia economica e gestionale: diversamente si donano solo “nuovi costi” e strutture destinate all’abbandono dopo poco tempo.Sono convinto che conoscendoci meglio, sapremo sfruttare maggiormente le potenzialità di ciascuna Associazione, nella massima collaborazione, ottenendo vera sinergia e

maggiori risultati in un’epoca in cui è sempre più difficile raccogliere fondi.Altra importante tematica trattata è quella relativa alle adozioni a distanza, che per noi hanno un significato vitale:

ADOZIONI A DISTANZA = SCUOLA = ISTRUZIONE = FUTURO PER UN POPOLOSono profondamente convinto di questo e Nuova Famiglia negli ultimi anni ha investito molto anche i termini economici per far funzionare al meglio questo sistema di aiuto.Ci siamo ri-organizzati, creando un ottimo ed instancabile gruppo di lavoro, ci siamo dotati di

di Michele Luise

E DI TOR I A L E

LE NOSTRE NUOVE MAGLIETTE DA INDOSSARE IN OGNI OCCASIONE: VIAGGI, CAMPI, MERCATINI,

FIERE, EVENTI, PRANZI, SCUOLE…

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strumenti nuovi e veloci (“SG@D” nuovo software gestionale dedicato) per gestire sempre meglio circa 1.000 bambini, ma soprattutto per dare agli sponsor un puntuale e piacevole riscontro alla loro donazione.Negli ultimi anni le scuole in Etiopia hanno subito un aumento vertiginoso dei costi, soprattutto del personale. Se, prima, bastavano poche decine di quote di “bimbi adottati a distanza” per far funzionare un’intera scuola, ora i bimbi “adottati a distanza” devono essere la maggioranza dei frequentanti. Solo così si riesce a sostenere economicamente e a far funzionare le scuole della diocesi di Emdibir e delle varie missioni con cui collaboriamo.Sono convinto che se vogliamo dare un futuro a

questa Africa dobbiamo aiutarla a crescere nell’istruzione delle sue nuove generazioni. Solo così, come ha ribadito nel suo discorso il Vescovo Abuna Musiè, si può pensare di far crescere la mentalità e la cultura di un popolo che trovi dalla sua gente e dai suoi uomini l'energia ed il motore per cambiare le sorti di una nazione: costruiamo uomini e donne nuovi!A conclusione dell’incontro ci siamo lasciati con l’auspicio di ripetere questo momento di scambio almeno una volta all’anno, perché possa diventare una valida occasione per fare gruppo, per condividere, per crescere insieme e per far collaborare le nostre Associazioni.

LE NOSTRE NUOVE MAGLIETTE DA INDOSSARE IN OGNI OCCASIONE: VIAGGI, CAMPI, MERCATINI,

FIERE, EVENTI, PRANZI, SCUOLE…

E’ NATA UNA NUOVA FAMIGLIAI nostri migliori auguri a Giuseppe e Maria Chiarache lo scorso 9 settembre si sono uniti in matrimonio!Giuseppe Perin è il bravissimo grafico e impaginatore di Parliamo Africa che da anni collabora con Nuova Famiglia per valorizzare la nostra rivista, mettendo volontariamente a disposizione la sua professionalità ed esperienza.

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ROCK SOLIDALE 7.1di Riccardo Boesso

Quando ci troviamo a gustare, da spettatori, un evento (un concerto, una rappresentazione teatrale, uno spettacolo di qualsiasi genere), ci poniamo mai la domanda di cosa ci sia “dietro le quinte”? Non intendo tanto ciò che in quel momento si trova oltre il palco: costumi dismessi, custodie usurate o cassapanche malmesse, accatastate alla rinfusa nella concitazione degli ultimi minuti prima dell’evento, sopra qualche tappeto impolverato o magari dentro un furgone sgangherato, nascosto al pubblico.Con il “dietro le quinte” intendo: le ore, i giorni, talvolta i mesi di vita spesi dagli attori, dai musicisti e da chiunque

sia coinvolto nell’organizzazione di quell’evento per riuscire a portarlo in scena, e dargli vita.Io, che ho sempre goduto degli spettacoli altrui senza complicarmi la vita con troppa “dietrologia”, ho cominciato a pormi seriamente tale domanda in data 19 maggio 2017, precisamente dalle ore 8:32 del mattino.Alle ore 8:32 del 19 maggio 2017 ho infatti acceso il computer ed ho guardato le previsioni del tempo per il pomeriggio e la serata. Tutti i siti meteo consultati, anche i più “altolocati, altisonanti ed altamente attendibili” erano unanimi nel

battere il pugno sul tavolo sostenendo, con antipatica fermezza, che fin dalle prime ore del pomeriggio, Thor, il dio delle tempeste, avrebbe fatto visita al territorio di Selvazzano, omaggiandolo senza misura con copiosa pioggia ed effetti pirotecnici annessi. Tuoni e fulmini. Se ne sarebbe andato solo a tarda notte. Già dal mattino, peraltro, il cielo oltre le finestre non lasciava presagire smentite.Poco male. Se non fosse che il 19 maggio 2017, dalle ore 20:34 alle ore 23.03, era prevista l’attesissima settima edizione di Rock Solidale, il concerto-concorso promosso da Nuova Famiglia che ormai tutti conoscerete, che sarebbe stato - come da tradizione - ospite della prima serata della sagra parrocchiale di Caselle di Selvazzano.Il ricavato della manifestazione sarebbe stato destinato al progetto “Casa Asnakesh”, una casa-famiglia che accoglie ragazzi di svariate età particolarmente bisognosi e li aiuta a frequentare regolarmente la scuola nella città di Awassa, in Etiopia. I giovani per i giovani, la musica e la festa per l’accoglienza e l’istruzione.Impegno, idee, discussioni, incontri e scontri, sogni e progetti mescolati con melodie di voci, chitarre, violini e con la creatività di ragazzi del territorio con l’obiettivo di instaurare nuove relazioni e raccogliere un sorso di concretezza in grado di andare oltre la retorica delle parole: questo è il nostro “dietro le quinte”, spazzato via, quel giorno, dall’imminente arrivo del dio nordico e del suo poderoso martello.Almeno questo sostenevano le previsioni meteo.Ma solo dopo aver annullato l’evento con grande rammarico di tutti…il broncio del cielo è stato preso a spallate da un vento beffardo che, infine, ha regalato ad un palco vuoto e triste un magnifico tramonto ed un inaudito cielo stellato.L’annosa questione del danno e della relativa beffa…Ma, come si suol dire, se si chiude una porta, si apre un…cancello: nella fattispecie quello del campo sportivo della Parrocchia di Creola, frazione del comune di Saccolongo: contattati gli amici organizzatori di “Creola in Festa” risultò, fatalità, che la serata conclusiva della festa parrocchiale era sguarnita. E che Rock Solidale e Nuova Famiglia erano i benvenuti.La famosa questione della Provvidenza…E fu così che lo scorso 2 luglio 2017 Rock Solidale ha inaugurato la sua prima data “all’estero”.E fu così che De Esperanza, Heima, Horror Vacui e Due Anime Acustiche Project (questi ultimi vincitori del concorso) si sono finalmente esibiti sul palco durante una fresca e piacevole serata estiva, regalando ai numerosissimi spettatori e ad un angolo di Etiopia la loro arte e la loro passione.Ciliegina sulla torta, l’ospite Chiara Luppi che ha concluso l’evento donando generosamente a tutti i presenti la sua incredibile voce.Un doveroso Grazie va, quindi, a tutti gli amici di Nuova Famiglia che hanno dato il proprio contributo per Rock Solidale 7 (poi diventato 7.1, visto lo spostamento), credendoci fino in fondo; ai quattro gruppi che hanno animato la serata con il proprio talento ed ai giurati che li hanno attentamente

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LA TERRA SACRIFICATAdi Mattia Marchiori

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Sfogliando le pagine di un quotidiano, mi soffermo su un articolo che inizia così: "Prima sono stati gli occidentali, più recentemente i cinesi, adesso ci si mettono anche i principi arabi a distruggere, in nome del business, quel che resta dell'Africa Nera''. Chi scrive si riferisce ad un antichissimo popolo di pastori, cacciatori e guerrieri, dalla pelle ambrata e di straordinaria bellezza, che vive al confine tra Kenya e Tanzania, precisamente a Loliondo. Un popolo che sta per essere cacciato dalle terre che abita da sempre. Il governo di Dar Es Salaam sta per concedere i diritti di sfruttamento di quel territorio, che si estende per circa 150 chilomentri quadrati, ad un'agenzia turistica di Dubai specializzata nell'organizzare safari di lusso. Ne vuole fare una riserva di caccia per gli sfizi venatori dei suoi ricchi ospiti europei e americani. I Masai che vivono in quel territorio, all'incirca 80 mila, devono quindi sloggiare. E, in contropartita dello sfratto, riceveranno una somma di denaro pari a 500.000,00 euro! Ma quel che conta non è tanto la cifra ridicola, quanto il fatto che si andrebbe a distruggere una comunità e si cancellerebbe una cultura, una tradizione, una storia. ''La nostra terra non ha prezzo – ha detto un Masai – i nostri avi, le nostre madri e le nostre nonne sono sepolti qui''. Pensandoci bene, anche se il compenso fosse adeguato, che se ne farebbero i Masai di quei soldi? Se ne andrebbero a vivere in città, o a Dubai, o magari a Miami con le camicie a fiori? E' bene ricordare che tale popolo vive sostanzialmente di pastorizia e di allevamento del bestiame, le sue donne e i suoi uomini sono nati e cresciuti in un contesto incontaminato, indossando semplicemente un minuscolo perizoma e zagaglie come “armi”. La storia di Loliondo è solo il triste finale a cui sono destinate tutte le comunità tradizionali, anche le poche rimaste integre. La vita di quei Masai ha senso solo là dove sono sempre vissuti, per secoli e millenni: in ogni altro luogo lo perderebbe.

valutati; alla vocalist Chiara Luppi per la sua non comune sensibilità, agli amici di Creola in Festa senza i quali non starei scrivendo queste righe, ed ai numerosi sponsor che hanno contribuito economicamente alla raccolta di fondi (al netto delle spese, circa 2.000,00 euro!) da destinare al progetto “Casa Asnakesh”. Un progetto a cui teniamo particolarmente perché, come diceva Gandhi, “l’istruzione è l’arma più potente per cambiare il mondo”.

L’Associazione ringrazia FORTEMENTE tutti coloro che hanno permesso la realizzazione dell’evento Rock Solidale 7.1, nonché la generosa raccolta fondi donata a sostegno del progetto “Casa Famiglia Asnakesch” in Etiopia. Un grazie particolare a Chiggiato Trasporti Srl di Piombino Dese, Cazzaro Costruzioni Edili Srl di Trebaseleghe, Epiù Srl e Protecno Srl di Limena, Metalco Srl di Resana, Piazzo Strumenti Musicali di Mestrino ed Alì Spa di Padova. Imprese di successo fatte di persone dalle grandi capacità professionali ed imprenditoriali, dotate di una non comune e naturale sensibilità. GRAZIE.

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RITORNO IN ETIOPIA. INSIEME A MIO FIGLIOdi Rosa Martinelli

Siamo atterrati all’aeroporto di Addis Abeba nel cuore della notte. C’era buio, faceva freddo, ero molto stanca, ma felicissima di trovarmi lì. Non avrei voluto essere in nessun altro luogo.Dall’Etiopia è arrivato mio figlio maggiore circa vent’anni fa e con questo viaggio ci è voluto ritornare, alla ricerca di risposte che soltanto questa Terra avrebbe potuto dargli.Sapevo quindi che lui ed io avremmo vissuto un’esperienza forte e indimenticabile. Insieme.In realtà questo viaggio io non l’ho iniziato il 28 luglio, giorno della partenza effettiva, ma a gennaio, quando hanno preso il via gli incontri di preparazione organizzati dall’Associazione: parteciparvi è stato un po’ come avvicinarsi all’Etiopia un passo alla volta, in punta di piedi, con il massimo rispetto per le persone e i luoghi che avremmo conosciuto. Tali persone (ne cito alcune: Abba Teshome, le Sisters Francesca, Rita, Luciana) e tali luoghi sono poi diventati reali; di essi ora ne custodisco gelosamente il ricordo. Abbiamo visitato cliniche, scuole, un ospedale e conosciuto religiosi eccezionali, che si impegnano con determinazione nell’aiutare e rendere migliore la vita della popolazione. Ognuno di loro, seppure molto impegnato, ha fatto in modo di dedicare a noi del tempo per mostrarci come funziona la struttura che gli è affidata e per indicarci gli innumerevoli bisogni a cui può far fronte soltanto grazie agli aiuti che riceve da Associazioni come “Nuova Famiglia”. Basta guardare negli occhi una giovane donna che ha appena partorito in una di queste strutture o che lì sta assistendo il figlio ustionato, per leggervi riconoscenza, gratitudine e fiducia e capire quanto sia fondamentale la presenza di chi si prende cura di loro. Se la mano che aiuta viene tesa con spirito di gratuità e vicinanza, diventa educante. Noi lo abbiamo sperimentato, ad esempio, il giorno in cui sulle pareti di un’aula stavamo dipingendo disegni. Tre ragazze etiopi osservavano con ammirazione ciò che stavamo facendo, così le ho invitate ad aiutarci. Noi del gruppo sapevamo che il rischio sarebbe stato quello di ricevere un sì condizionato al ricevimento di una ricompensa, invece loro hanno svolto il lavoro cooperando con noi con passione, con la voglia di fare bene e con il nostro stesso intento: l’impegno prestato sarebbe servito ad altri. E cosa dire dei bambini del Guraghe? Volti sorridenti, sguardi curiosi, mani tese che chiedono. Sembrano spuntare dal nulla: un attimo prima se ne avvicinano due e, un attimo dopo, ce ne sono una decina che vogliono camminarti vicino …. vogliono esserci ai tuoi occhi. Giocano per strada con

ciò che trovano, ma non per questo non si divertono, anzi! Altro che tablet, poltrona, solitudine come alcuni bimbi che conosciamo! Aria, natura, compagnia di fratellini e di tanti amici.Osservando la fierezza e la dignità con cui questo popolo affronta la propria difficile condizione di vita, mi sono ritrovata a considerarlo fortunato: ha poco o niente, ma coltiva i valori veri della vita. Quando il viaggio finisce e si ritorna a casa, si vede il proprio mondo con occhi nuovi: abbiamo tanto, ma quel tanto forse ci fa perdere di vista quello che conta davvero.Come mamma adottiva devo molto all’Etiopia che, ancora una volta, è stata a fianco della mia famiglia: ha fatto in modo che mio figlio trovasse ciò per cui era partito. Di questo le sarò grata per sempre.

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RICORDIdi Beatrice Bono

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È un pomeriggio piovoso. Mi preparo del tè, ma stavolta decido di aggiungerci qualcosa di diverso: cannella, cardamomo e dei chiodi di garofano. L’odore speziato che sale fumoso dalla tazza mi riporta indietro nel tempo. Era l’agosto del 2015 e mi trovavo a Endibir con Nuova Famiglia grazie ai loro campi di conoscenza. Stesso pomeriggio umido e nuvoloso, stesso tè speziato. Solo la situazione era molto diversa. Era la prima volta che decidevo di fare una cosa simile. Prima della partenza mi sentivo spesso dire: “Ma come, vai in Africa? Devi essere pazza...vai al mare a divertirti con gli amici!”. E invece, nonostante alcuni dubbi e paure, sentivo che era qualcosa che dovevo e volevo fare. Tre settimane a contatto con un popolo mai incontrato prima, conoscendo a malapena i miei compagni di viaggio. Una volta tornata a casa in Italia, il mio primo pensiero è stato che non avrei potuto fare scelta migliore…quelle erano state le tre settimane più intense della mia vita!In un mondo come il nostro in continuo cambiamento, e dove ci si sposta così velocemente, ritengo fondamentale cercare di uscire dalla nostra “comfort zone” e spingerci oltre i nostri schemi mentali. O, almeno, sforzarsi di farlo. È un atto coraggioso, non da tutti lo ammetto. Eppure ti segna dentro, nel profondo. Non avevo mai visto la povertà, la malattia, la fame o la solitudine così da vicino. L’impotenza davanti a tanti dolori mi lacerava l’anima. Come possono tante persone avere così tanto e non rendersene conto? Come possiamo vivere serenamente le nostre vite sapendo che in ogni parte del mondo ci sono nostri fratelli che soffrono? Ora che li ho visti posso dare loro un volto, e così rimangono sempre nei miei pensieri, li porto sempre con me. Quell’anziana resa cieca dalla cataratta, quel bambino storpio, quel ragazzo con sindrome di down che tutti isolano, quella bambina che porta l’acqua alla famiglia camminando chilometri in mezzo al fango. Qui in Etiopia ti rendi davvero conto dell’importanza che ha ogni piccolo aiuto, del lavoro instancabile di religiosi e volontari e del sostegno che arriva anche da associazioni più piccole come Nuova Famiglia. Permettere a una scuola di fornire istruzione e un pasto al giorno a tanti bambini può davvero fare la differenza nelle loro vite e in quelle delle loro famiglie. Una clinica o un acquedotto in un’area isolata può significare vita invece di morte. Il campo di conoscenza ti apre il cuore oltre che la mente. Ti mette di fronte a realtà difficili e pesanti da affrontare. Ma sa anche mostrarti quanto buona e altruista può essere l’umanità. La vita non è mai semplice. Vivere un esperienza simile ti cambia dentro, ti permette di conoscere meglio te stesso e di incontrare persone meravigliose, altrettanto desiderose di scoprire e scoprirsi, conoscere e donare. Per questo vorrei parlare direttamente a chi legge questo giornale e sente il desiderio di partecipare al prossimo campo di conoscenza, ma è frenato da dubbi e paure: lasciatele dietro a voi e partite!Domenica 24 settembre, alla festa annuale di Nuova Famiglia, ho incontrato tutti gli amici del campo 2015 ed è stato come se fosse passato solo qualche mese da quelle splendide settimane d’agosto di due anni fa.

Ci sarebbero milioni di cose da dire e sensazioni da descrivere...ma quello che più sento di dover esprimere ora è la mia profonda gratitudine per quello che mi è stato concesso di vivere. Grazie a Nuova Famiglia, ad Abba Teshome, a Gigi, ai miei compagni di viaggio e a Daniela e Ivo.

Ameseghenallo Etiopia, spero di rivederti un giorno!

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La mia prima esperienza in Etiopia risale al 2013 quando, durante l’estate tra la maturità e l’inizio dell’università, feci il campo di conoscenza con Nuova Famiglia. Dopo quel viaggio ho “goduto” della compagnia del famoso Mal d’Africa per moltissimi mesi ed il desiderio/bisogno di ritornare in Etiopia pulsava con forza dentro me. Tuttavia, ero alla ricerca di un’esperienza nuova, in particolare di un’esperienza che conciliasse la mia passione per la Medicina con l’interesse per l’Africa. Ecco dunque che, a Gennaio 2017, chiesi ad Ivo e Daniela se ci fosse la possibilità di realizzare un simile sogno; loro mi passarono il contatto di Sister Rita, medico di Attat, e nel giro di poche settimane ciò che non credevo possibile prese forma. Mi inserii nel gruppo che avrebbe vissuto il campo di conoscenza 2017, partecipai agli incontri di formazione e poi, via…si vola!

Sono arrivata ad Attat la domenica sera del 30 Luglio e solo allora ho realizzato quello che mi avrebbe aspettato: tre settimane da trascorrere all’interno dell’ospedale del posto con una conoscenza della lingua inglese tutt’altro che buona e competenze pratiche in campo medico piuttosto scarseggianti. Confesso che quella sera sono stata presa da sconforto e paura. Fortunatamente però, fin dai primi giorni sono stata rincuorata dall’infinita pazienza ed abbondante gentilezza del personale locale che mi ha fatta sentire accolta; inoltre, non ero da sola come avevo immaginato, ma c’erano altre due studentesse europee che condividevano la mia medesima avventura. E che avventura!

A differenza di quanto accade in Italia, in Etiopia gli studenti sono parte attiva dell’ospedale, quindi ho avuto modo di fare pratica, di assistere ad interventi, di medicare pazienti. E

questi ultimi mi hanno colpita assai perché sono letteralmente pazienti. Ho trascorso parecchie ore in sala parto e durante il travaglio raramente ho sentito le donne urlare, ho visto medicazioni di ferite gravi e profonde senza che venisse versata una lacrima o lanciata un’imprecazione, ho notato una soglia del dolore altissima che non ha paragoni con la nostra.

Mi hanno stupito pure i ritmi dell’ospedale. Infatti, lì la giornata comincia alle 8:00 e già alle 17:30 la sala d’attesa è vuota, gli ambulatori chiudono, rimangono attive solo la delivery room (sala parto) ed emergency room (pronto soccorso) così come avviene nel weekend. Conseguentemente medici ed infermieri mi sono sembrati esenti da stress e molto più sereni e disponibili rispetto ad alcuni colleghi italiani.

Nel complesso è stata un’esperienza che mi ha decisamente messa in gioco; ci sono stati momenti difficili che mi hanno spronata a tirar fuori grinta e coraggio, altri momenti mi hanno donato grandi soddisfazioni. Ad esempio, come dimenticare le ore passate al fianco della mamma in prossimità del parto controllando contrazioni e battito fetale, l’essere presente nell’attimo in cui una nuova vita viene al mondo ed infine l’occuparsi di questa piccola meravigliosa creatura. Comunque non solo la “Francesca studentessa di Medicina” ha beneficiato di queste tre settimane, ma pure la Francesca in quanto tale ha potuto arricchirsi e vivere un’occasione di crescita personale.

Ringrazio l’associazione Nuova Famiglia che mi ha permesso di concretizzare un piccolo progetto e coloro che mi hanno sostenuta e accompagnata nel corso del viaggio. Concludo invitando voi tutti lettori a credere intensamente nei vostri sogni ed a lanciarvi verso nuove avventure senza lasciarvi frenare dalla paura, perché è proprio così che emergono le potenzialità nascoste e si cresce. interiormente. Un abbraccio.

ESPERIENZA AD ATTATdi Francesca Motta

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La dottoressa Alessandra Ometto, che sicuramente ricorderete quale autrice di diversi articoli di Parliamo Africa, ha condiviso con noi delle informazioni molto preziose pubblicate su "Salute e Sviluppo" n.75 di giugno 2017, la rivista di "Medici con L'Africa Cuamm", in cui si parla di Etiopia e Tanzania, di problemi di salute e assistenza...e di tanti altri argomenti che certamente riguardano molto da vicino la nostra Associazione.

ETIOPIAPopolazione: 99.4 milioniNumero di medici: 0,25 su 10.000 abitantiMortalità neonatale: 41,1 su 1.000 nati viviMortalità materna: 676 su 100.000 nati viviOspedale di Wolisso: Distretti di Wolisso città, Wolisso rurale, Wonchi e Goro

TANZANIAPopolazione: 53.3 milioniNumero di medici: 0,3 su 10.000 abitantiMortalità neonatale: 35,2 su 1.000 nati viviMortalità materna: 676 su 100.000 nati viviOspedale di Tosamaganga Distretto di Iringa D.C.

GLI OSTACOLI AL PARTOdi Chiara Di Benedetto ed Elisa Bonino

L’Etiopia ha un tasso di mortalità materna tra i più elevati al mondo (676/100.000), posizionandosi tra i 10 paesi che contribuiscono complessivamente al 58% delle morti materne globali. Due ricerche operative di Medici con l’Africa Cuamm hanno indagato quali siano i fattori che determinano la fruizione o meno del parto assistito da parte delle donne etiopi. Capire le ragioni culturali, sociali, economiche alle spalle di tale scelta è il primo passo per comprendere e avvicinare una cultura “altra” e poter poi colmare quel gap con l’intervento sul campo. Uno studio ha coinvolto 500 donne tra i 15 e i 49 anni di età1, il secondo 999 donne suddivise in 3 gruppi (pre, durante e post intervento del Cuamm)2. Ciò che è emerso complessivamente sono barriere di diverso tipo: culturali, quali l’attitudine positiva o meno verso la maternità, una gravidanza precoce o al di fuori del matrimonio, conoscitive come l’essere a conoscenza o meno dei benefici che comporta un’assistenza sanitaria e in cosa consista tale assistenza (numero di visite consigliato, servizi di base, visita ostetrica post-parto), economiche per lo status socioeconomico (le donne più povere non possono permettersi di pagare il trasporto) e fisiche dal momento che l’abitazione di circa il 45% delle intervistate dista più di un’ora di cammino dal centro sanitario più vicino. Sulla base di questi fattori, risulta necessario attuare strategie che mirino ad alleviare le iniquità, migliorare le infrastrutture, sensibilizzare sulle cure materne. Quest’ultimo risulta essere il punto cardine: sensibilizzazione che non deve essere circoscritta alle sole donne, ma, specialmente in una cultura patriarcale come quella etiope, anche a mariti e famiglie che spesso detengono il potere decisionale.

La conoscenza è l’elemento che maggiormente può contribuire a incrementare il numero di donne che fruiscono di tali servizi e diminuire il tasso di mortalità materna.

I CENTRI SANITARI PERIFERICI: OSPEDALI IN MINIATURAdi Manuela Straneo

I sistemi sanitari dei paesi africani hanno una forma piramidale, costituita alla base da strutture cheoffrono cure primarie alla popolazione. Tra queste troviamo i centri di salute periferici, piccoli centri in grado di fornire assistenza al parto normale e offrire servizi essenziali preventivi, come vaccinazioni, visite prenatali e servizi curativi per HIV e per le malattie più comuni.

1 Wilunda C. et al., Determinants of utilisation of antenatal care and skilled birth attendant at delivery in South West Shoa Zone, Ethiopia: a cross sectional study, in Reproductive Health Journal, 2015.

2 Wilunda C. et al., Evaluation of a maternal health care project in SouthWest Shoa Zone, Ethiopia: before-and-after comparison, in Reproductive Health Journal, 2016.

DATI PREZIOSI, PER RIFLETTEREdi Alessandra Ometto

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3Demographic and Health Survey, 2015-2016.

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STRUTTURA DELLA PRIMARY HEALTH CAREGli ospedali non sono le uniche strutture dove le donne possono partorire. I sistemi sanitari nei paesi africani hanno una forma piramidale, la cui base è formata dalle strutture che offrono cure primarie (primary health care). Gli ospedali distrettuali, come l’ospedale di Tosamaganga in Tanzania, costituiscono il secondo gradino e sopra di questi sono posizionati gli ospedali regionali e universitari. Tra le strutture di primary health care vi sono i centri di salute. In pratica un centro di salute è un ospedale in miniatura: è in grado di offrire servizi preventivi, come le vaccinazioni, le visite prenatali e i servizi curativi, quali la terapia per l’HIV e per le malattie più comuni. Vi sono di solito circa 25 letti di degenza, più i servizi ambulatoriali. L’assistenza al parto è una

componente essenziale. Non vi è in genere praticata la chirurgia, dunque il taglio cesareo non è disponibile e le complicazioni del parto devono essere trasferite al livello superiore. I centri di salute sul territorio sono comunque essenziali per fornire assistenza di base alla popolazione rurale.La Tanzania è stato un paese pioniere per la primary health care tramite lo sviluppo della rete capillare di dispensari e centri di salute subito dopo la decolonizzazione. In un paese grande circa tre volte l’Italia, con una popolazione di soli 53 milioni di abitanti, la distribuzione della rete di strutture sanitarie di base permette a quasi 9 abitanti su 10 di trovarsi entro un’ora di cammino da una struttura sanitaria. L’importanza delle strutture sanitarie periferiche nell’assistenza al parto in Tanzania è testimoniata dai numeri. Nell’ultima raccolta dati nazionale3, oltre la metà dei parti assistiti nelle strutture sanitarie avviene appunto nelle strutture di primary health care. Ma non solo. Il gradino più basso del sistema sanitario è quello a cui si rivolgono per l’assistenza al parto gli strati di popolazione più poveri nelle aree rurali del paese. Centri di salute e dispensari, sparsi nel territorio, possono essere facilmente raggiunti dai villaggi da chi non ha altri mezzi di trasporto che non i propri piedi, né soldi per sostenere i costi legati al trasporto con veicoli pubblici o privati. Proprio per raggiungere le donne più svantaggiate, il programma “Prima le mamme e i bambini” ha supportato a Iringa, in Tanzania, i sei principali centri di salute del Distretto offrendo assistenza anche nelle aree più remote. Secondo le linee guida della politica sanitaria della Tanzania, i centri di salute devono essere in grado di fornire tutte le funzioni dell’assistenza ostetrica di base (BasicEmergency Obstetric and Neonatal Care, B-EmONC). Le funzioni essenziali sono 7:

• Somministrare antibiotici endovena e intramuscolo.• Somministrare ossitocina• Somministrare anticonvulsivanti endovena/intramuscolo• Rimozione manuale di placenta• Evacuare prodotti intrauterini(aborto ritenuto)• Eseguire parto assistito (ad es. con ventosa)• Rianimazione neonatale di base con ambu

Il secondo gradino del sistema sanitario è rappresentato dagli ospedali distrettuali ed è in grado di offrire in generale assistenza ostetrica e neonatale più avanzata (Comprehensive Emergency Obstetric and Neonatal Care, CEmONC), che comprende anche il taglio cesareo e le trasfusioni di sangue.

GARANTIRE UNA VALIDA ASSISTENZAIl programma “Prima le mamme e i bambini” nei centri di salute periferici si è avvalso di componenti diverse. Una riguarda la formazione continua del personale sanitario, associata alla regolare supervisione dei centri di salute. Un’ulteriore componente ha riguardato la fornitura di farmaci e altri materiali di consumo, per garantire la disponibilità senza interruzione di tutto il necessario per affrontare emergenze ostetriche e neonatali. Vi è stato inoltre un supporto al sistema di riferimento dai centri di salute all’ospedale, per mezzo di supervisioni e protocolli condivisi e tramite l’utilizzo delle ambulanze. Ultimo pilastro di questo programma è la costruzione di Case d’attesa (Maternity Waiting Homes) in due centri di salute strategici (Kiponzero e Kimande). Si tratta di ostelli, dove le donne nelle ultime settimane di gravidanza possono vivere, in attesa che sopraggiunga il parto. Quando il travaglio inizia, la donna è già vicina all’ospedale; gli ostelli contribuiscono infatti a ridurre la distanza dai villaggi alle strutture dove partorire. Queste strutture, che forniscono letti e bagni puliti, sono molto apprezzati dalle donne delle aree rurali.

VALUTARE IL LAVORO SVOLTOMedici con l’Africa Cuamm ha valutato negli anni il lavoro svolto nei centri di salute del paese; tramite una survey condotta insieme alle autorità del distretto di Iringa, è stato analizzato come è cambiato il servizio ostetrico e neonatale dopo l’intervento del programma “Prima le mamme e i bambini” nei 6 centri di salute. La valutazione delle funzioni B-EmONC ha rilevato una maggior disponibilità di servizi sanitari in seguito all’intervento Cuamm in alcune di queste strutture: la funzione parto vaginale assistito, non disponibile prima dell’intervento, è stata rilevata in oltre un terzo delle strutture sanitarie; così anche la funzione somministrazione anticonvulsivanti parenterali è stata rilevata nel 67% delle strutture, rispetto al 37% pre-intervento. Tra le conclusioni della

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survey, troviamo che la formazione regolare del personale e la costante disponibilità di farmaci e materiali di consumo abbiano reso le funzioni B-EmONC potenzialmente disponibili in tutti i centri di salute coinvolti. Tuttavia un volume di parti abbastanza limitato (parti all’anno compresi tra 101-306) non consente alle strutture di effettuare le funzioni B-EmONC nel periodo di 3 mesi specificato nelle linee-guida. Tra gli altri risultati positivi in relazione all’assistenza al parto, la survey ha rilevato l’uso regolare del partogramma, strumento essenziale per seguire l’andamento del parto, e una regolare disponibilità di farmaci uterotonici, entrambi carenti prima dell’intervento.

IL TREND DEI PARTI NEI CENTRI DI SALUTEdi Fabio Manenti e Mario Zangrando

Il decentramento dei parti normali non complicati presso le strutture sanitarie periferiche è uno degli obiettivi previsti e desiderati del programma “Prima le mamme e i bambini”. Questa tendenza “centrifuga” ha avuto come effetto di sgravare gli ospedali dai casi ostetrici più semplici che potevano essere seguiti efficacemente presso le strutture sanitarie periferiche già presenti, messe nelle condizioni di poter svolgere in modo effettivo il proprio ruolo di centri BEmONC - Basic Emergency Obstetric and Newborn Care. In questo modo si è contribuito al miglioramento della qualità delle prestazioni in caso di urgenze e complicanze ostetriche offerte presso le strutture CEmONC - Comprehensive Emergency Obstetric and Newborn Care. Nel 2012 il numero totale di parti assistiti era pari a 20.237, di questi quelli assistiti presso le strutture periferiche si attestavanoal 65% (13.165). Con la messa a punto continua delle strutture sanitarie periferiche il trend dei parti eseguiti nei centri di salute è andato aumentando fino a raggiungere il 72% dei parti assistiti totali.Lo stesso trend si è registrato anche per le visite prenatali: nel 2012, a fronte di un totale di 40.343 visite prenatali (ANC-Antenatal Clinic) eseguite, il 79% sono state realizzate presso i centri periferici. Nel 2016, con un totale di 71.441 ANC realizzate, quelle nei centri di salute sono salite all’85%. Le attività prenatali e postnatali dei centri di salute hanno di certo risentito positivamente del numero di ostetriche qualificate presenti nelle strutture, che dal 2012 al 2016 sono più che raddoppiate da 123 a 255, a dimostrazione dell’impegno delle autorità pubbliche a sostenere l’offerta e la qualità dei servizi sanitari . A questo fa eccezione l’Angola che aveva e ha tuttora uno scarso numero di personale qualificato per l’assistenza al parto.È sicuramente da notare la diminuzione del numero di visite prenatali nell’ultimo anno in tutti e quattro i paesi di intervento, a cui è ancora difficile dare una spiegazione.

IL TRASPORTO IN AMBULANZA NELL’ASSISTENZA AL PARTOL’ultima parte della gravidanza e il parto espongono le donne a rischi improvvisi, talora gravissimi e spesso imprevedibili. Per affrontare questa problematica, Medici con l’Africa Cuamm ha implementato un servizio di ambulanza attivo 24 ore al giorno, dedicato all’assistenza ostetrica. Può sembrare a prima vista sproporzionato equipaggiare aree rurali con un servizio così specifico, ma non è così. Le cure ostetriche sono rivolte a donne sane che, se ben curate, possono tornare nella società senza conseguenze e continuare a dare il loro apporto, primo fra tutti la cura dei figli. Gli interventi salva-vita in ostetricia hanno quindi un ottimo rapporto costo-efficacia. Il Cuamm ha svolto due studi al riguardo in Uganda e in Etiopia; in entrambi i casi il servizio è risultato altamente costo-efficace (14 e 25 dollari per anno di vita guadagnato, ben sotto il limite ottimale di 30 dollari posto dall’OMS - Organizzazione Mondiale della Sanità). Fondamentale è anche la gestione del sistema di riferimento: non ci si è affidati a un modello rigido ma si è cercato di adattare il servizio alle realtà locali. Sono stati impiegati tre diversi modelli: chiamata dell’ambulanza solo dai centri di salute (Oyam, Uganda), modello che consente un buono screening delle chiamate ma che è possibile solo nei contesti in cui i centri di salute funzionano decorosamente; chiamata diretta dai pazienti (Yirol, Sud Sudan), modello maggiormente esposto al rischio di abusi ma necessario dove non esistono centri di salute affidabili; modello misto, in cui possono chiamare sia i pazienti che i centri di salute e in cui i pazienti non sono sempre portati in ospedale ma in prima istanza al centro di salute periferico (Wolisso, Etiopia). È il modello più evoluto ma richiede un’organizzazione territoriale ottimale. È ancora difficile confrontare i dati dei diversi paesi, ma il servizio offerto sembra ottenere risultati positivi. Per poter condividere questa esperienza con la comunità internazionale e permettere ad altri di implementare servizi simili, sono stati pubblicati quattro lavori scientifici su riviste internazionali.

BIBLIOGRAFIA1. Somigliana et al., Ambulance service within a comprehensive intervention for reproductive health

in remote settings: a cost-effective intervention, in Tropical Medicine & International Health, 2011.2. Groppi et al., A hospital-centered approach to improve emergency obstetric care in South Sudan, in

International Journal of Gynaecology and Obstetrics, 2015.3. Tsegaye et al., Ambulance referral for emergency obstetric care in remote settings, in International

Journal of Gynecology and Obstetrics, 2016.4. Accorsi S. et al., Gender Inequalities in Remote Settings: Analysis of 105,025 Medical Records of a

Rural Hospital in Ethiopia (2005-2015), in Journal of Community Health, 2017.

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I MIEI PARADOSSI...... E NOTIZIE, PIÙ O MENO RECENTI, CHE SI COMMENTANO DA SOLE (O QUASI).

di Marcello MassaroUN CUORE CHE BATTE ANCORA

Bill Conner, un padre statunitense, nel giugno scorso perde tragicamente la figlia Abbey, annegata in una piscina durante una vacanza in Messico. Per promuovere la donazione di organi, di cui tutta la famiglia Conner è convinta sostenitrice, Bill attraverserà l’America in bicicletta (oltre 4.000 km), incontrando a Baton Rouge (Louisiana) Jack Loumonth, il giovane afroamericano che ha ricevuto il cuore della figlia. Con uno stetoscopio Bill ha potuto sentire il cuore di Abbey battere ancora nel petto di Jack. Il filmato dell’incontro tra i due uomini ha avuto larghissima diffusione mediatica. Rendeva in pieno il significato più profondo del verbo donare. Commovente.

DIRITTI UMANI

Italia nuovamente condannata (nel 2017) dalla Corte europea dei diritti umani per gli atti di tortura messi in atto dalle forze dell’ordine nella scuola Diaz di Genova durante il G8 (nel 2001). E per non aver punito adeguatamente i responsabili. La legge contro la tortura, in Italia, mai rientrata nelle priorità dei governi che nel tempo si sono succeduti alla guida del paese, è stata approvata nello scorso luglio, dopo oltre tre anni dall’inizio dell’iter parlamentare. Deprimente.

NUOVO RECORD MONDIALE

Un cecchino delle forze speciali canadesi ha ucciso, lo scorso giugno in Iraq, un terrorista dell’Isis da una distanza di oltre tre chilometri e mezzo (3.540 metri per l’esattezza), con un fucile di pre-cisione. La notizia, riportata dal Times e confermata dall’esercito canadese, ha valso per il soldato nordamericano un vero e proprio record del mondo per il colpo mortale dalla distanza più lunga (in precedenza detenuto da un soldato britannico). La notizia è stata data proprio così, asciutta e cru-da, come la cronaca concisa di un record sportivo. Immagino che esista una classifica ufficiale per le migliori prestazioni di questa “specialità”. E ci sarà anche chi si allena duramente per migliorare le proprie performance. Agghiacciante.

TUTTI IN CLASSE (DON’T SHOOT THE TEACHER)

Dallo scorso luglio, grazie alla solerzia del governatore Nathan Deal, nelle università dello stato Americano della Georgia si potrà girare armati. Il provvedimento di legge autorizza infatti l’ingres-so nei campus con pistole ed altre armi da fuoco, purché siano tenute nascoste (!) Immagino gli studenti che, durante le lezioni, anziché armeggiare (è il caso di dirlo) sotto il banco con il telefono cellulare, si trastulleranno con una Colt 45 o magari un Ak47; o il professore che, esasperato per la confusione, requisirà tutte le armi depositando così un vero e proprio arsenale sopra la cattedra. Allucinante.

IL MURO DEL PARADOSSO

Sappiamo tutti molto bene come Donald Trump, appena dopo essere stato eletto Presidente degli Stati Uniti d’America, abbia mantenuto la promessa di costruire altri 1.700 km di muro lungo il confine con il Messico, allo scopo di bloccare il flusso migratorio dal paese centramericano. Costo della costruzione: circa 10 miliardi di dollari. Meno noto invece che a capo dell’ente preposto alla sorveglianza del confine (United States Border Patrol), per tutelare la grandezza, la purezza e la rettitudine degli States, vi sia un certo Ronald Donato Vitiello. Dunque questo straordinario paese, pieno di contraddizioni, ha potuto diventare grande anche perché, quando dall’Italia vi arrivò il non-no di Vitiello, immagino non abbia trovato alcun muro a sbarrargli la strada. Edificante...

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INSIEME È BELLO!a cura della redazione

PROGETTO ALI' SUPERMERCATIa cura della redazione

Lo scorso 17 giugno a Caselle di Selvazzano si è tenuta la tradizionale cena benefica organizzata dal “Gruppo Maranteghe” di Nuova Famiglia, ed è stata una serata meravigliosa! Con la vostra partecipazione abbiamo raccolto oltre 2.000,00 € che sono stati tripartiti per sostenere un progetto in Guinea Bissau e due progetti in Brasile.

Vogliamo ringraziarvi così: con una galleria di foto del “dietro le quinte” delle cene solidali organizzate da questo gruppo di donne laboriose e instancabili ... per dimostrarvi che sì, c’è molto lavoro, ma altrettanto divertimento, amicizia, condivisione ... alla prossima!!!

Ci sono persone che non finiscono mai di volersi bene,

semplicemente perché ciò che le lega è più forte di ciò che le divide

Un ringraziamento speciale ad Alì Supermercati che per 3 mesi ha sponsorizzato il nostro progetto "Casa Asnakech" nel suo supermercato di Tencarola di Selvazzano (PD) e un grazie di cuore a tutti coloro che hanno inserito il proprio gettone-spesa nella nostra cassetta. Attraverso questa bellissima iniziativa la nostra Associazione ha ricevuto un prezioso contributo per sostenere lo studio di 15 ragazzi di Awassa, Etiopia. W la solidarietà!

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E’ il 4 agosto 2017.Si parte per andare in missione. I bagagli contengono quasi 2 quintali di materiale: biancheria intima per donne e adolescenti, calzature, medicinali e sanitari, colori e materiale didattico per le scuole, stoffe per vestiti, 2 computer portatili. Infine alcuni palloni da calcio. Un ben di Dio che tanti benefattori hanno donato. Per me è un ritorno dopo 38 anni. Infatti nel lontano 1979 ho fatto la mia prima esperienza a Kipengere nella diocesi di Jombe, fondata da Padre Antonio Zanette. L’entusiasmo è alle stelle.

La missione di Manda è forse l’ ultimo esempio di missione d’altri tempi. Padre Antonio è partito con un piccolo edificio 13 anni fa convinto di portare una speranza alla popolazione dei Wagogo e Wasukuma che all'epoca vennero portati lì da altri territori lontani perché gli stessi dovevano essere adibiti a riserva e poi parco nazionale. In quei 40km quadrati di foresta arida, i deportati si sono inventati la sopravvivenza coltivando il poco terreno fertile a disposizione e pascolando qualche misera mandria di vacche che, non avendo da mangiare, fornisce la bellezza di mezzo litro di latte al giorno. Sentendo storie come questa non si può non entrare nel cuore della missione, del missionario e delle suore missionarie. E ti chiedi dove trovano l’energia, la motivazione, l’ illuminazione per progettare un futuro in un territorio dove la sfida potrebbe essere persa in partenza. Come fai a promuovere l’evangelizzazione di un popolo lento, che spesso pare vivere di inedia, radicato con costumi e credenze inamovibili, con un tasso di scolarità che non arriva al 15%? Come fai a conciliare l’evangelizzazione con la costruzione di infrastrutture che cercano di sollevare situazioni di vita incredibili senza essere invasivi ma rispettosi delle tradizioni e dei pochi desideri che animano la vita di questa gente? La risposta la trovi nelle tante ore di conversazione che i missionari ti regalano e che mostrano la loro felicità nel convertire al cristianesimo, convinti di dare luce, speranza ed educazione attraverso i valori della fede cristiana che può trovare posto in modo più autentico nel cuore di persone semplici, che non possiedono nulla ma che sono solidali tra loro nel disagio e nella povertà.

Così, nei 14 villaggi gestiti da Padre Antonio sono nate delle piccole chiese, le strutture parrocchiali, 3 asili (a Manda, Makomba e Ilangali) dove, grazie alle adozioni dei nostri benefattori, quasi 200 bambini vengono istruiti e nutriti con un pasto al giorno: cereali, verdure, fagioli e un po' di zucchero consentono a tanti di essi di poter fruire di un pranzo ricco di sostanza che in molti casi è anche l'unico. Siamo entrati in tutte le scuole per censire i casi di bambini le cui famiglie sono indigenti e monitorare i bambini che vengono assistiti dalle adozioni a distanza. Insegnare loro a colorare, farli giocare, tenerli per mano è stato emozionante ed edificante. Abbiamo visto i 7 pozzi di acqua piantati in 10 anni da Padre Antonio a metà strada tra un villaggio e l'altro per consentire alla popolazione di bere acqua sana e accorciare le distanze chilometriche che vengono compiute a piedi, quotidianamente, con un secchio in testa o taniche di plastica.

Abbiamo assistito allo svolgimento della nuova attività: la produzione di olio di girasole. La popolazione infatti ha da poco tempo introdotto tale coltivazione. Tuttavia i semi prodotti venivano pagati molto poco dagli arditi commercianti che si avventurano in questi luoghi confinati. Padre Antonio, per concorrere alle esigenze, ha costruito un frantoio da cui viene ricavato l'olio di semi così che una parte viene consumata dalla famiglia e una parte venduta con un maggior ricavato. Sì, perché anche l'olio di semi è un elemento nutrizionale importante aggiunto ai cereali, alle verdure e patate che compongono il cibo quotidiano. Non da ultimo abbiamo visitato e lavorato in clinica (l’ultimo progetto compiuto e quasi terminato). In questo caso parlare di miracolo è corretto se si pensa che solo 3 anni fa era un sogno di Padre Antonio e della comunità di suore. Allora il nostro missionario partì confidando nella provvidenza perché i mezzi non c’ erano. Vi sarebbe ancora molto da scrivere ma, non potendo dilungarmi, concludo pensando a cosa resta dentro dopo un'esperienza cosi.

MANDA - TANZANIA: UNA MISSIONE D'ALTRI TEMPIdi Lucio De Rocco

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... IO VI BATTEZZO COME TOGNA E MAZENGOTratto da una storia vera.

di Alessia De Rocco e Mattia Meloni

Penso alla nostra civiltà dei consumi e penso ai tanti sprechi a cui siamo abituati. Mi mortifica il fatto di aver visto con quale parsimonia si utilizzano i materiali, una vite, un chiodo perché le città dove acquistarli sono lontane e i mezzi economici non sempre sono disponibili. Mi sono commosso vedendo i bimbi delle materne intingere le dita nelle scodelle per succhiare anche l'ultima goccia di minestra seduti per terra. Penso alla nostra civiltà che vive di nevrosi. Bisognerebbe fare tesoro dell’accontentarsi e non riempire il contenitore del tempo sempre con cose nuove che tolgono tempo e serenità.Bisognerebbe ritornare a socializzare di più, come si faceva un tempo, valore che abbiamo perso perché l'individualismo toglie serenità alla vita e allontana la solidarietà.

Penso all’utilità dei laici che lì rappresentano un essenziale punto di riferimento per i missionari e per l’evangelizzazione. Gli stessi si prendono cura anche dei disagi della popolazione. E penso a quanto ci si lamenta quando per carenza di preti, i nostri paesi vengono privati della loro presenza continua. Dopo 38 anni ho trovato una civiltà ferma, quasi immobile, solo sfiorata dal progresso.Non immaginavo che tutto fosse come allora. Le strade, le case, la vita nelle profonde periferie delle città e nelle sconfinate savane. Basterebbe poco per raggiungere un livello di qualità di vita migliore nelle cose più importanti quali alimentazione, istruzione e sanità. La missione di Manda ti resta nel cuore e quando si parte il distacco ti commuove.Ma dopo un'esperienza così si ritorna più forti, si ritorna Missionari perché si sente nel cuore un continuo richiamo alla solidarietà per quei popoli e per il grande lavoro di Padre Antonio e delle Suore.

Succedeva a Mokomba, villaggio Tanzaniano facente parte della parrocchia di Manda, lo scorso agosto. Durante la nostra visita all’asilo del villaggio e terminate le nostre attività di aggiornamento delle schede per le adozioni a distanza, ci troviamo inaspettatamente invitati dal capo villaggio a partecipare alla festa del “nane nane”, ossia la festa dell’agricoltura. Quale grande onore per noi bianchi poter essere presenti alla festa del ringraziamento per i doni che la terra riesce a dare ai nostri amici.Accettiamo l’invito, dunque ci viene chiesto di prendere posto attorno ad un tavolo addobbato a festa con le coloratissime stoffe africane. Di fronte a noi tutto il villaggio schierato: donne, uomini, vecchi e bambini. I piccoli dell’asilo intonano un canto di benvenuto e le donne del villaggio li accompagnano battendo le mani e suonando i tamburi.

Ad un certo punto il silenzio. Il capo villaggio prende la parola e comunica la sua riconoscenza per quello che il nostro gruppo sta facendo per loro (per coloro che non avessero seguito le varie vicissitudini, la nostra Associazione si è presa l’impegno di sostenere la scuola nel suo avviamento partecipando ai costi di sostentamento del primo anno, ndr). Grati delle sue parole rimaniamo a bocca aperta quando, lo stesso capo villaggio, mi si avvicina e mi prende per mano, invitandomi a sedere al centro, di fronte alla popolazione. Cosa starà succedendo?Continua a cerimoniare con il consenso del popolo e mi avvolge in un grande telo. Invita, poi, un uomo ad unirsi a lui. Questo si avvicina con un’autentica lancia da caccia e la impianta davanti ai miei occhi. In quel momento ha avuto inizio la cerimonia di investitura. Io, Alessia, stavo per diventare una donna del villaggio.In seguito a ciò è stato chiesto anche a Mattia di partecipare alla cerimonia in qualità di mio marito.“Alessia, a te do il nome di Togna. E a Mattia quello di Mazengo. Vi consegno 3 acri di terra per coltivare e per costruire la vostra casa. Togna e Mazengo, vi do la cittadinanza del villaggio di Makomba”.A Mazengo è stata affidata la lancia per cacciare per il mio sostentamento di Togna e dei figli che verranno. Alla nostra coppia, inoltre, è stato regalato uno sgabello per la nuova casa e gli strumenti utili a cucinare il piatto tipico, ossia la Mlenda.A conclusione della cerimonia, e per onorare la festa nazionale in corso, siamo stati invitati a pranzare con loro e a festeggiare con il Pombe (birra locale, ndr).

Non è un film. Sono emozioni che abbiamo vissuto e che ci porteremo per sempre nel nostro cuore.

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LA RAGAZZA ETIOPE CHE ALLEVA CAPRE FELICI IN TRENTINOdi Annalisa Camilli

L’articolo è tratto dalla rivista Internazionale di Marzo 2017

La sua giornata comincia molto presto, alle 4.30 di mattina. “La mungitura è intorno alle 5, poi c’è da portare le capre al pascolo, per poi tornare a fare il formaggio nel caseificio”, spiega Agitu Idea Gudeta, 37 anni, occhi di un marrone brillante, sorriso smagliante e contagioso. “Le capre hanno il nome delle mie amiche e delle mie clienti, ognuna ha il suo carattere: Marta, Melissa, Rachele, Francesca, Ribes, Trilli”. Agitu Idea Gudeta è nata ad Addis Abeba, in Etiopia.

Quando aveva 18 anni è venuta in Italia per studiare sociologia all’università di Trento. Poi è tornata nel suo paese, da dove nel 2010 è stata costretta a scappare perché aveva ricevuto minacce da parte del governo guidato dal Fronte di liberazione del Tigrè (Tplf), al potere dal 1991. In Trentino, nella valle dei Mocheni, gestisce da cinque anni un allevamento di capre e un

caseificio: undici ettari di pascoli e ottanta capre da latte. “L’idea era recuperare le razze caprine autoctone e valorizzare i terreni del demanio, abbandonati dagli allevatori locali nel corso degli ultimi decenni”, racconta.

Agitu ci tiene a raccontare la sua storia, che è simile a quella di tanti ragazzi costretti ancora oggi a lasciare l’Etiopia a causa della repressione del governo contro contadini e dissidenti. “Ero impegnata con un gruppo di studenti contro il land grabbing, denunciavamo l’illegalità degli espropri forzati dei terreni agricoli, voluti dal governo a spese dei contadini locali per favorire le multinazionali che li usano per coltivare cereali e monocolture destinate all’esportazione”, racconta. “L’Etiopia è un paese ancora agricolo e queste politiche del governo riducono alla fame i contadini che sono costretti a lavorare per le multinazionali per 85 centesimi di dollari al giorno”.

Agitu aveva partecipato ad alcune manifestazioni pacifiche con un gruppo di studenti universitari di Addis Abeba: denunciavano le condizioni di sfruttamento nell’Oromia, una regione centromeridionale dell’Etiopia dove vive un terzo della popolazione di etnia oromo. Le prime manifestazioni sono cominciate nel 2005, e la reazione del governo non ha tardato ad arrivare.

“Alcuni miei compagni sono stati arrestati, altri sono spariti e di loro non se ne sa ancora niente. A un certo punto ho capito che per me era venuto il momento di andarmene”, racconta Agitu in un perfetto italiano. La sua famiglia aveva già lasciato il paese nel 2000 per andare negli Stati Uniti. “Mio padre era un professore all’università e aveva capito che anche per lui era pericoloso rimanere nel paese”, racconta.

Nel giugno del 2016, l’ong Human rights watch ha denunciato la repressione “senza precedenti” nei confronti degli oromo e il silenzio degli alleati stranieri di Addis Abeba, a cominciare dall’Unione europea, che finora si è limitata a semplici dichiarazioni. Nell’ottobre del 2016 in Etiopia è stato dichiarato lo stato di emergenza, i militari sono scesi in strada e hanno represso duramente le manifestazioni contro il governo.

Secondo il rapporto di Human rights watch (Hrw), più di 500 persone sono state uccise nelle proteste dell’ultimo anno, ma il governo non ha confermato queste cifre. In due giorni, il 6 e 7 agosto 2016, nelle manifestazioni scoppiate nella regione di Oromia e di Amhara sono state uccise un centinaio di persone. Internet è stato bloccato per due giorni. “Molti sono in prigione, tanti attivisti sono stati uccisi, altri continuano a scappare”, racconta Agitu. Ma la comunità internazionale guarda in silenzio quello che succede in Etiopia. “L’importanza dell’Etiopia è strategica, con tutti i campi profughi che ci sono nessuno vuole rischiare di perdere il controllo del paese”, spiega Agitu, che nel frattempo ha scelto il Trentino per cominciare la sua seconda vita.

“In Italia avevo degli amici che avrebbero potuto aiutarmi e sapevo la lingua, così non ho avuto dubbi”, racconta. “Quando sono arrivata a Trento, avevo duecento euro in tasca, niente di più. Ho trovato lavoro in un bar, per mantenermi, ma nel frattempo ho cominciato a pensare all’allevamento delle capre. In Etiopia avevo lavorato in alcuni progetti con i pastori nomadi del deserto e avevo imparato ad allevare le capre. Ho pensato che con tutti questi pascoli non sarebbe stato difficile fare del buon latte, visto che sappiamo produrlo nel deserto”, dice Agitu, con una risata fragorosa e spontanea.

“L’idea è stata quella di recuperare alcune razze autoctone che hanno bisogno di mangiare poco per produrre molto latte, senza doverle nutrire con dei mangimi. Delle capre molto resistenti che non hanno bisogno di nulla, come la razza Mochena. Volevo un progetto che fosse sostenibile”, racconta. E così è cominciata l’avventura: è nata l’azienda biologica che produce formaggi e yogurt La capra felice. “All’inizio continuavo a lavorare al bar, ma poi pian piano sono diventata autonoma e adesso molti ragazzi trentini salgono al pascolo, vogliono imparare a curare e ad allevare le capre”, racconta.

Poi sono arrivati anche i riconoscimenti come quello per la Resistenza casearia di Slow Food e il Miglior prodotto per il Trentino. Nel 2015 Agitu e i suoi formaggi hanno rappresentato la regione all’Expo di Milano. “La soddisfazione più grande è quando le persone mi dicono che amano i miei formaggi perché sono buoni e hanno un sapore diverso. Mi ripaga di tutta la fatica e di tutti i pregiudizi che ho dovuto superare per farmi accettare come donna e come immigrata”.

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ALLA SCOPERTA DELLA MIA TERRA diario di viaggio di Bulbule 1

a cura di Luigi Facchin

Il nostro Gigi ci invia dall'Etiopia un racconto davvero speciale...quello di Bulbule, la "sua bambina in affido". Abbiamo scelto di pubblicarlo proprio così, come è stato scritto, per mantenerlo fedele alla dolcezza e all'impegno di questa piccola africana.

Giovedi 2 matina andata ascuola, tornata a casa mangiato pranzo, dopo preparato borsa, andati con machina di aba Teshome, fermati a Sodo, bevuto te e caffe, andati Arba Minch 3, mangiato e dormiti da aba 4 Klimpe. (Venerdì) matina fato colazione, malato 5 machina, giocato tenisi 6. Con minibas andati ristorante, mangiato pranzo, visato 7 coniglio bianco e dikdik 8 grigio-marrone. Siamo andati sul lago Chamo in barca abiamo fato foto a visto 9 coccodrillo e ippopotami sono tornta 10 e siamo andati al Bekele Molla lodge, bevuto gus 11 andati a piedi a casa di abba, mangiato dormito. Sabato matina mangiato colazione a Konso 12, andati a Dimeca 13, la ce sono Hamer, c'è capelli treccine a gosha colore roso, loro c'è colana c'è braccialetto di perline 14. C'è mercato comprato braccialetto e colana, mangiato ristorante, andati a Jinka 15 mangiato Jinka dormito Jinka. (Domenica) no fati colazione (andati) Mursi 16. Ho visto ragazzi istrani, le done ano 17 disco labiale e si fanno cicatrici, fato foto 5 birr 18. Dopo tornati a Jinka, fato doccia andati ristorante andat dormire. (Lunedì) partiti da Jinka (verso) mercato Konso comprato uno gaka 19, (..gli altri) comprato tlfono pantlone iscarpe 20. Colazione no fato mangiato pranzo Konso, visto Gesergio 21 io (pinnacoli di) tera, a visto casa sasso visto lungo (palo). Dopo andati Arba Minch, dopo fato doccia, fato giro dopo mangiato chena 22 dopo dormito tuti da aba.

NOTE DI GIGI

1 – il diario è stato scritto da Bulbule, bimba etiope di dieci anni, dopo un viaggio al sud dell’ Etiopia… Il testo rispecchia quanto da lei realmente scritto, con ovvi errori di ortografia e grammatica. Le parole tra parentesi e la punteggiatura li ho aggiunti per una migliore comprensione, le parole in corsivo le ho suggerite;2 – non conosce ovviamente l’accento;3 – Arba Minch, città a circa trecento chilometri da Emdibir, quattrocentoottanta da Addis Abeba. Il nome significa quaranta (arba) sorgenti, è divisa in due quartieri sulle sponde dei laghi Abaya e Chamo, circondata da monti verdeggianti, famosa per l'allevamento dei coccodrilli oltre che per la rigogliosa vegetazione e fiorente agricoltura;4 – in amarico non esistono le “doppie”, qualche volta si usa qualche rafforzativo che può essere traslitterato come “doppia”, nel caso di “aba” la traslitterazione di a-ba- t =padre prete, noi traslitteriamo in “abba”;5 - … malato machina = il bus era rotto;6 - … ping pong;7 - … visto;8 – il dikdik e una piccola gazzella alta una quarantina di centimetri;9 – ...ho visto;10 - ...tornata11 - … traduzione dall'inglese juice, pronuncia gius, che lei scrive “gus” perché la “g” la legge “gi” come in Gigi;12 – Konso, cittadina abitata dalla omonima popolazione, caratteristica per i campi terrazzati e le case in pietra divise da stretti viottoli che la rendono unica tanto che il panorama culturale e stato dichiarato patrimonio dell'umanità;13 – Dimeka e la cittadina più grande del territorio degli Hamer;14 – Hamer, popolazione famosa per le acconciature, fatte di treccine colorate con ocra, acqua e resina, chiamate goscha, e per le collane e i braccialetti di perline che stringono l’avambraccio e le caviglie;15 – Jinka, cittadina in crescita ma, a parte il museo sulla cultura della valle dell’Omo, non ha molto da offrire;16 – Mursi tradizionalmente noti soprattutto per i dischi labiali, dischi di argilla che vengono inseriti all’interno di una incisione praticata nel labbro inferiore gradualmente tenuto in tensione per allungare il labbro….;17- … le donne hanno;18 – oltre al disco labiale, sia uomini che donne, si fanno delle ferite che cicatrizzandosi “abbelliscono” il loro aspetto; hanno imparato, naturalmente per colpa dei turisti, a chiedere soldi per farsi fotografare, cinque birr a foto a persona, e guai a non darli!19 – gaka = giacca, anche qui la “g” da leggersi “gi” e la “k” come “cc” forte;20 – lei si è comperata una felpa, mentre gli altri del gruppo hanno comperato telefoni, pantaloni, scarpe.. La vicinanza con il confine keniota rende facile il contrabbando;21 – Gesergio, villaggio ad una quindicina di chilometri da Konso, da vedere per il paesaggio la cui curiosa erosione ha formato delle guglie altissime, tanto che è stata soprannominata New York;22 - “chena” sta per cena, curioso e notare, che forse unici al mondo, in Italia la “che” la pronunciamo come in “perché”, mentre in Etiopia, ma anche gli inglesi la pronunciano “ce”, come appunto in “cena”!

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CI SCRIVONO...a cura della redazione

Dopo il viaggio in Tanzania di fine maggio/inizio giugno di Alessandra, Cristina, Luca, Enrica e Daniela, la Dott.ssa Ometto ha scritto a nome del gruppo e di Nuova Famiglia questa lettera a Baba Godfrey Msumange, Superiore Regionale dei Missionari della Consolata in Tanzania che, nel frattempo, è entrato a far parte della Direzione Generale come Consigliere Generale.

Carissimo Baba Godfrey, mi permetto di rivolgermi così a Te perché lo abbiamo imparato da Daniela che tanto ci ha parlato di Te, di Baba Salutaris e della Vostra Congregazione. Ti voglio ringraziare a nome di tutti i partecipanti al viaggio di tanta premura, delicatezza e dedizione con cui ci hai accompagnato attraverso i tuoi Fratelli della Consolata.Abbiamo viaggiato in condizioni straordinarie, con la macchina confortevole che ci hai messo a disposizione, accompagnati dai tuoi confratelli che ci hanno fatto non solo da guida preziosa e competente ma anche da protettori, consiglieri e amici. Questo ci ha permesso di visitare e conoscere un angolo di Tanzania cogliendone gli aspetti di vita quotidiana, di cultura e di tradizioni che altrimenti avremmo ignorato e perso.

Gli incontri in Missione sono stati per noi fondamentali e densi di significato.Padre Antonio Zanette, uomo schivo, sensibile, delicato non solo con noi ma con tutti i suoi parrocchiani. Uomo “visionario” e di grande apertura, capace di progettare il nuovo dispensario in modo funzionale, logico, aperto all’esterno e allo stesso tempo ricco di spazi “riservati”, alle donne partorienti, ai bambini, agli adulti bisognosi di riposare qualche ora prima di riprendere il lungo cammino verso la propria capanna.Abbiamo potuto visitare i bambini della Scuola Materna di Manda per poterne individuare i malnutriti da supportare, gli asmatici o semplicemente quelli affetti da parassiti intestinali (i più) e abbiamo ottenuto in pochi scambi di opinioni tra noi pediatre, lui e la responsabile del Dispensario Sister Kathrine, che i bambini di tutte le scuole sparse nei villaggi della diocesi (questo ha voluto Padre Antonio) intraprendano da subito una terapia preventiva con antiparassitario e vitamina “A”.Abbiamo potuto individuare e fotografare nelle scuole di Manda, Ilangali e Makomba, i bambini per i quali intraprendere l’Aiuto a distanza, siamo stati accompagnati a Sanza, per visitare la precedente Missione di Padre Antonio ed incontrare Padre Isaac Mbuba, tutto con una disponibilità così immediata e offerta con semplicità da rendere “naturale” ciò che invece richiede organizzazione degli spostamenti, autista, ecc.Abbiamo incontrato anche i capi villaggio e alcuni catechisti, per parlare di igiene, dell’acqua, della Scuola e dei loro bambini; un momento questo importante di scambio, condivisione, accettazione ci è sembrato, dei pochi chiari consigli che abbiamo potuto offrire.Infine poter vivere con Padre Antonio il momento forte della sua comunità la Domenica di Pentecoste, i canti a “cappella” complessi, fantastici, il suo discorso alla fine della celebrazione con la presentazione di noi di Nuova Famiglia, presentazione che, abbiamo intuito, essere stata calorosa, riconoscente, per noi commovente. Nessuno di noi potrà dimenticare le sere a Manda seduti appena fuori dall’uscio di casa, in conversazione con padre Antonio, il naso all’insù a guardare il “tetto di stelle” sopra di noi.Poi viaggio di trasferimento a Iringa, l’accoglienza dei Tuoi Confratelli, la loro allegria, Padre Josè designato a passare con noi i primi due giorni, uomo arguto, ironico, colto, profondo, totalmente e gioiosamente dedicato. La visita all’Ospedale di Tosamaganga, come avevamo chiesto noi Pediatre, la visita alla tomba di Padre Salutaris che in questo viaggio abbiamo imparato a conoscere e amare.L’incontro con Tiago, dal sorriso travolgente, Padre Sandro, giustamente orgoglioso della Farmacia appena inaugurata, progetto che ci ha profondamente colpiti per la sua “proiezione “nel futuro.Padre Remo e la sua Fattoria, grande impresa progettata e vissuta con entusiasmo e tanta, tanta speranza, accoglienza genuina, anch’essa prerogativa, ci è parso, dei Padri della Consolata.Padre Franco con i suoi bambini sfortunati, abbandonati, violati, tutti degni della sua attenzione e dei suoi abbracci. Padre Dawit dal sorriso dolce, aperto che ha guidato ininterrottamente da Iringa a Dar es Salam, sempre disponibile a fermarsi anche per una solo fotografia.Questo viaggio ci ha aperto gli occhi su un mondo, quello dei Missionari della Consolata, a noi Pediatre sconosciuto, complesso, articolato, ricco dove la Fede in Gesù, primo consolatore, è il motore del Vostro agire, pensare, progettare, vivere. La forza è in Gesù che tra le braccia della Madonna, La consola, questo è il carisma di voi missionari ci ha spiegato Padre Josè, questa la “Vision” che vi distingue, che vi spinge “oltre” l’agire umano.Queste parole per ringraziarTi delle tante opportunità che ci hai offerto in questo viaggio, suggestioni, riflessioni, idee. Grazie e ancora grazie per averci accompagnati in questo cammino che ha seminato nei nostri cuori germi di speranza. Torneremo e faremo del nostro meglio, lavorando anche su noi stessi, per trovare in fondo ai nostri cuori quel “Gesù” che anima la vostra missionarietà.

Enrica, Luca, Cristina, Sandra e Daniela, Nuova Famiglia

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ASPETTA CHE LA TUA ANIMA TI RAGGIUNGA

racconto tratto da: lamenteemeravigliosa.it

Talvolta un racconto riesce a toccare la nostra anima molto più a fondo di qualsiasi altra forma di riflessione. Oggi vi proponiamo un antico racconto africano che parla di quando, nella vita, le azioni sembrano andare da un lato e il cuore dall’altro, incapaci di incontrarsi. Il racconto inizia così:Si narra di un uomo che decise di avventurarsi negli inospitali territori dell’Africa, accompagnato soltanto dai suoi portatori. Ciascuno di loro impugnava un machete con cui si aprivano la strada tra la folta vegetazione. Il loro obiettivo era avanzare a tutti i costi.

“Uno dei grandi svantaggi della fretta è che porta via tanto tempo” Gilbert Keith Chesterton

In presenza di un fiume, lo guadavano nel minor tempo possibile. Se spuntava una collina, affrettavano il passo per non perdere neppure un minuto. D’un tratto, dopo solo qualche ora scarsa di marcia, i portatori si fermarono, lasciando interdetto l’avventuriero. Egli chiese: “Perché vi siete fermati? Siete già stanchi dopo poche ore di cammino?”. Allora uno dei portatori lo guardò e rispose: “No signore, non siamo stanchi. Ma abbiamo avanzato talmente velocemente da lasciare indietro le nostre anime. Adesso dobbiamo aspettare finché non ci raggiungano”.Un racconto che spinge a riconnettersi con se stessi.È sicuramente capitato a tutti di sentirsi disconnessi da se stessi. Come se colui che si alza dal letto, colui che va a lavorare, che parla, non fosse quello di sempre, ma un estraneo. È una sensazione che si presenta spesso quando si è immersi in una routine esigente che ci impedisce di trovare vie di fuga. Il segreto è ritrovare il nostro centro. Come spiega il racconto, aspettare che la “nostra anima” torni al suo posto. Alle volte è sufficiente soffermarsi a riflettere sulla situazione, ma talvolta serve di più. Quando abbiamo perso la sensazione di connessione e di controllo sulla nostra vita, è facile che compaia la demotivazione. Questa può facilmente trasformarsi in tristezza o in ansia. A quel punto, diventa tutto più complicato. Tuttavia, esiste un semplice metodo per uscire da questo stadio, e porta via solo qualche minuto al giorno. Ecco di che si tratta.Sedersi un momento lungo il cammino.Proprio come fanno i portatori del racconto africano, quando ci si sente disconnessi da se stessi, la cosa migliore è fare una pausa. Molto probabilmente avete percorso il cammino con eccessiva premura. Questo vi ha impedito di godervi il paesaggio, ma soprattutto di interconnettere la vostra anima con il sentiero. La cosa migliore è individuare un momento tranquillo, meglio se durante le ultime ore della giornata. Sarà il vostro momento di intimità con voi stessi e ve lo meritate. Rilassatevi e domandatevi semplicemente: come è andata la giornata? Dopodiché, non vi resterà che ripassare i fatti vissuti durante la giornata. Non pensate solo alle azioni che avete realizzato, soffermatevi anche sui pensieri e sui sentimenti che hanno toccato la vostra mente. Qual è stato il primo pensiero che vi è venuto in mente appena svegli? Come vi siete sentiti quando avete affrontato le altre persone, le varie situazioni e voi stessi? Dedicate almeno cinque minuti a questo ripasso mentale.Decantare la riflessione e attendere la propria anima.Probabilmente all’inizio vedrete solo una successione di attività e sentimenti meccanici. Tuttavia, poco a poco, proprio come indica il racconto africano, la vostra anima vi raggiungerà. Quei cinque minuti rappresentano una formula base per riavvicinarvi a voi, ma sono solo l’inizio, la guida ai primi passi. Non occorre stilare una lista dettagliata di tutto quello che avete fatto. Lasciate semplicemente fluire qualunque cosa sfiori la vostra mente, anche se in modo un po’ disordinato o caotico. Prima di quanto pensiate, vedrete affiorare le tracce di moltissime esperienze che avevate inconsapevolmente tralasciato. Così come apparirà l’eco di quelle emozioni che avete ignorato e di

quei timori sui quali avevate sorvolato.Così facendo, la vostra anima riuscirà a raggiungervi. Così facendo, pian piano, riuscirete a ritrovare il vostro punto di equilibrio. La ricompensa per questo piccolo sforzo giornaliero è una sensazione di maggiore tranquillità e sicurezza. Imparerete a trarre ricchezza da ogni esperienza vissuta e aumenterete la conoscenza di voi stessi. Ancora più importante, scoprirete se state vivendo davvero la vita che desiderate o se è arrivato il momento di cambiare qualcosa.

FA...VOLARE L'AFRICAa cura di Sonia Ferrara

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UN PONTE DI SOLIDARIETÀ CON LA TANZANIAa cura della redazione

Venerdì 12 maggio 2017, noi alunni delle classi prime della Scuola secondaria di I grado “G.Zanella” di Bolzano Vicentino, abbiamo incontrato Mauro e Mi-chele, due volontari dell'Associazione "Nuova Famiglia” che ci hanno presen-tato la situazione in cui si trova il villaggio di Makomba, in Tanzania, dove noi alunni di tutte le classi, con un'adozione a distanza, sosteniamo una bambina di nome Neema, offrendole la possibilità di avere un pasto al giorno e di an-dare a scuola, invece di rimanere a casa e lavorare con i genitori. Makomba è un piccolo villaggio circondato dalla savana, con pochi alberi, fastidiosi insetti, grandi carestie e animali feroci che talvolta si avvicinano al villaggio. Le per-sone si nutrono di frutta E cereali e mangiano carne solo in occasione delle feste. L'acqua è un bene prezioso che non va sprecato. Le donne percorrono chilometri a piedi per prendere l'acqua che trasportano in contenitori posti sulla testa.In questo piccolo villaggio le case e la scuola sono costruite con il legno e vengono facilmente spazzate via dalle violente piogge e dal forte vento. Solo le persone più ricche possono permettersi abitazioni di mattoni, realizzati

con l'argilla ed essiccati al sole. Anche l'ospedale è una struttura fatta di mattoni, con poche stanze. Vicino alla scuola c'è una chiesa dove si celebra la messa e si va a pregare. Le religioni praticate, oltre al cristianesimo, sono l'induismo e l'islam.Michele e Mauro ci hanno raccontato che hanno iniziato a costruire una nuova scuola,di mattoni, più grande. La scuola attuale ospita circa 50-60 bambini di età compresa tra i 5 e i 12 anni curiosi di imparare a leggere, a scri-vere e conoscere il mondo al di fuori del villaggio. Studiano la lingua swahili e come materiale hanno una matita e un quaderno. Una suora colombiana e un maestro del luogo insegnano le materie scolastiche. I volontari, per parlare con i bambini chiedono aiuto ai missionari del posto che comprendono la loro e la nostra lingua.

Abbiamo posto a Mauro e Michele molte domande e ci hanno risposto cose che non avremmo mai pensato o immaginato:• I bambini vivono in semplicità, con poche risorse a disposizione e, pur avendo poco, sono felici.• Sono uniti, sempre vivaci, a scuola ballano e cantano con entusiasmo.• Sono contenti di andare a scuola perché hanno sogni da realizzare.• Non hanno niente e trascorrono il loro tempo a giocare all'aperto, con i loro amici, inventando giochi semplici.Donare un euro sembra poca cosa, ma in questo modo noi giovani studenti, grazie ai tre appuntamenti della Merenda solidale che organizziamo ogni anno insieme ai nostri insegnanti, contribuiamo all'istruzione di questi bambini e diamo loro la possibilità di vivere meglio. Gli alunni delle classi prime

della scuola secondaria di I grado di Bolzano Vicentino

In questo posto chiamato Tanzania si sta sempre in compagnia. In questo arido paesaggio si trova un bel villaggio. In un asilo piccolino ci va quasi ogni bambino. In questo piccolo posto di gioia non si trova mai la noia. Con un soldino aiutiamo ogni bambino. C'è una bambina particolare, si chiama Neema ed è speciale. Di niente devono aver paura perché di loro ci prendiamo cura. Mauro e Michele sono venuti qui, per spiegarci cosa accade lì. L'asilo noi salutiamo e a tutti gioia auguriamo.

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Direttrice:Giulia Consonni

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Hanno collaborato:Riccardo BoessoBeatrice BonoAnnalisa CamilliLuigi FacchinLucio De RoccoMichele LuiseRosa MartinelliFrancesca MottaAlessandra OmettoMichele Luise

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La Nuova Famiglia è un’associazione nata il 2 maggio 1994. E’ composta da persone diverse per idee politiche e religiose. Ci accomuna il desiderio di fare interventi, piccoli ma concreti, a favore delle popolazioni, e soprattutto dei bambini, dei paesi più poveri del mondo. I filoni principali del nostro lavoro sono:

• SOSTEGNO E SPONSORIZZAZIONI (adozioni a distanza)

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• AIUTI E SOLIDARIETA’

• INIZIATIVE CULTURALI

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