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n ° 3 Rassegna di dottrina e giurisprudenza a cura dell’Ordine degli Avvocati di Roma ANNO LXV LUGLIO – SETTEMBRE 2017 ISSN 0495-0658

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n° 3 Rassegna di dottrina e giurisprudenzaa cura dell’Ordine degli Avvocati di Roma

Temi Romana

n°3

2017

ANNO LXVLUGLIO – SETTEMBRE 2017

ISSN 0495-0658

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2 INTERVISTE IMMAGINARIE: PilatoMario Scaffidi Abbate

4 SAGGI4 Il giudizio abbreviato non è un giudizio breve!

Luigi Scialla e Antonio Giuseppe Carta6 La maternità surrogata l’omogenitorialità e la trascrivibilità di atti stranieri. Cedevolezza o nuova

nozione del principio di ordine pubblico?Francesca Zignani

20 Sopravvenienze atipiche e rimedi - Parte IAntonina Zuccari

30 OSSERVATORIO LEGISLATIVO30 L’EMDR, uno strumento per l’elaborazione del trauma

Francesca Romana Ficorilli33 Tecnologia ed accertamento penale

Laura Valentina Mascioli

42 NOTE A SENTENZA42 Criminalità organizzata e misure di prevenzione: le linee guida per lo svolgimento dell’incarico di

Amministratore GiudiziarioMario Antinucci

54 Globalizzazione nel mondo del lavoro: adeguamento del regolamento aziendale e integrazione deldipendenteCarlotta Maria Manni

63 PASSEGGIATA IN LIBRERIA

n° 3 Rassegna di dottrina e giurisprudenzaa cura dell’Ordine degli Avvocati di Roma

Sommario

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Oggi a pranzo mia moglie mi ha detto:“L’estate si avvicina: che facciamo quest’anno,andiamo al mare o in montagna?”.

“Mi rimetto a te”, le ho risposto. E comunque ho aspetta-to un segno, un auspicio, come facevano gli antichi quan-do dovevano prendere una decisione importante. Ma nelcielo non c’era nemmeno un uccellino e non avevo visce-re di animali a portata di mano: solo una lisca di pesce,perché la carne la mangiamo una volta ogni quindici gior-ni. Non m’è nemmeno venuto uno starnuto, a cui purefaceva ricorso Socrate, che gli attribuiva il valore di un sì.

Alla fine mia moglie ha esclamato:“Insomma, ogni volta che devi prendere una decisione tene lavi le mani. Come Ponzio Pilato”.A sentire quel nome m’è venuta spontanea una doman-da: ‘Ma Pilato non è stato giudice nel processo a Gesù?Dunque rientra nella categoria dei giuristi. Ora lo chia-mo’. Così alla fine del pranzo mi sono recato nello stu-dio e sdraiatomi sulla poltrona reclinabile, socchiusi gliocchi, ho preso a recitare, mentalmente: ‘Pilato, Pilato,Pilato’… Come un mantra. C’è voluto poco perché ilcelebre governatore della Giudea mi si presentasse qualeappare nel famoso dipinto dell’Ecce Homo di AntonioCiseri.

“Ave, Pontius!”, ho esclamato. “Capita a proposito.Cercavo proprio un personaggio fra i giuristi e i magi-strati del passato e lei giustappunto è stato giudice nelprocesso a Gesù”.

“La mia funzione di prefetto mi portava spesso aintervenire nei processi, ma quello a Gesù è stato certa-mente il più importante. Senza quella causa molto pro-babilmente sarei rimasto un Carneade qualunque”.

“Ma lei sapeva di essere investito di un compito cosìalto, unico, direi?”.

“Per me allora Gesù era un uomo come gli altri, nonsapevo di essere uno strumento della Provvidenza in unodei più grandi episodi della Storia”.

“Perché s’è lavato le mani?”.“Mi sono detto: Se costui è davvero il figlio di Dio è

inutile ch’io mi sprema il cervello per trovare una soluzio-ne, la soluzione l’ha già trovata Dio. Fra l’altro non sipensa che il mio processo discendeva dal peccato origina-le di Adamo ed Eva, il quale non poteva non essere statoanch’esso, come tutte le cose, un’idea di Dio. Non sicoglie frutto che Dio non voglia. Io non so come ragioni-no gli uomini. Cristo doveva venire sulla terra per redime-re l’umanità e ciò poteva accadere solo attraverso il gestopiù sublime che si potesse compiere, il sacrificio di Dionella sua veste umana: Cristo doveva per forza morire, enon di vecchiaia, per malattia o per un incidente, era logi-co che le cose dovessero andare così, col tradimento diGiuda e tutto il resto. Senza quella morte il Cristianesimosarebbe stato privo di ogni contenuto. È inutile discutere.Dov’è dunque la mia colpa?”.

“Ma lei come risponde alle accuse che le sono statemosse per la morte di Cristo?”.

“Quali accuse? Nei quattro vangeli non c’è una solaparola contro di me, nessun giudizio negativo. Matteodice che quando chiesi al popolo chi dei due voleva cheliberassi, Barabba o Gesù, io sapevo che Gesù mi erastato consegnato solo per invidia, dunque io non ero maldisposto verso di lui. Tanto più che in quella circostanzamia moglie mi aveva mandato a dire: ‘Non t’impicciarenelle cose di quel giusto perché oggi in sogno ho soffer-to molto a motivo di lui”.

“E lei condivideva il giudizio di sua moglie”.“Certamente. È per questo che mi sono lavato le mani,

Interviste immaginarie a giuristi e legislatori:PilatoMario Scaffidi AbbateDocente di Letteratura italiana

“Ecco, io ve lo conduco fuori,perché sappiate che non trovoin lui nessuna colpa”

(Giovanni, 19, 4)

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Pilato: la storia

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perché riconoscevo che mia moglie aveva ragione. Delresto Barabba fu liberato non per iniziativa del popolo maperché i grandi sacerdoti e gli anziani lo avevano convin-to in quel senso. Io chiesi esplicitamente al popolo: ‘Mache ha fatto di male Gesù?’. Alla fine mi feci portare del-l’acqua e mi lavai le mani dicendo: ‘Io sono innocente delsangue di questo giusto’. Giusto, sì, perché tale io lo rite-nevo. Perché dunque continuare a darmi la croce per averlasciato che Gesù fosse mandato a morte quando ero con-vinto che non avesse commesso nulla di male?”.

“Poteva comunque liberarlo, a dispetto del popolo,dei sacerdoti e degli anziani”.

“Mi avrebbero linciato. E non era già tanto che io mifossi astenuto dal dare una sentenza di morte, dicendochiaro e tondo più volte che Gesù era un giusto, che nonc’era alcun motivo per condannarlo?”.

“E perché lo fece flagellare?”.“Perché così voleva la legge dopo un giudizio di con-

danna, sia pure emesso dal popolo”.“E lo sfregio dei suoi soldati a chi è imputabile se non

a lei che era il loro capo?”.“Mi si può accusare di debolezza, e forse anche di

viltà, ma non di altro. Benché io abbia cercato di salvar-lo in tutti i modi. In ogni caso Gesù era un rivoluziona-rio e ciò creava dei problemi, anche nel popolo. Silasciava andare ad atti e ad espressioni che non si conve-nivano ad un uomo saggio ed equilibrato”.

“Per esempio?”.“Diceva che era venuto a portare la guerra, non la pace,

a dividere, non ad unire: ‘Non crediate che io sia venuto aportare pace sulla terra; sono venuto a portare una spada,a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, chi amail pa dre o la madre più di me non è degno di me; chi amail figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi nonprende la sua croce e non mi segue, non è degno di me’.

Insomma, alzava spesso la voce, minacciava con toni apo-calittici, diceva ‘Guai a voi!’, ‘Razza di vipere’, facevabalenare immagini di devastazione, di tempeste. Nonbisogna dimenticare che, sia pure a ragione, aveva preso afrustate i mercanti nel tempio, rovesciando addirittura leloro bancarelle con tutte le merci e le sedie dei venditoridi colombe. Insomma, Gesù era buono ma sino ad uncerto punto. D’altra parte era un uomo, e se Dio fa nei sin-goli uomini le più diverse e impensabili ‘esperienze’,comprese quelle che a noi ripugna di attribuire a Lui, amaggior ragione le ha fatte in Cristo che è stato la sua piùdiretta e importante incarnazione, soffrendo gli oltraggi, itradimenti, i rinnegamenti, sino al calvario della croce, chefa Cristo uomo fin nel profondo, ma al tempo stesso l’in-nalza nel cielo avvolgendolo di una luce e di una gloriaineguagliabili e restituendogli, se possibile ancora piùgrande, la sua divinità”.

“Perché ha parlato di esperienze?”.“In realtà Dio attraverso gli uomini mette in atto ciò

che è già implicito in lui, e non può fare diversamente,non può sottrarsi a questa legge o modificarla, perché diogni persona quello e non altro è l’aspetto, quello e nonaltro il suo comportamento, con quanto c’è di bene e dimale, di nobile e di meschino, di ragguardevole e di insi-gnificante. Insomma, Dio è quello che è, come dice Eglistesso: ‘Io son colui che sono’. Dunque in un certo sensoè per così dire necessitato, come prigioniero di se stesso,non può essere diverso da quello che è. Non ha scelta. Equesto è un altro motivo per cui s’incarna nell’uomo.Bisogna uscire dal mondo per scoprire queste verità”.

A questo punto l’immagine e la voce di Pilato si sonodileguate, mentre nella mia mente riaffiorava la battutafinale di mia moglie, a cui devo questa mia ennesimaintervista.

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“In tutto il Nuovo Testamento vi è solo una solitaria figura che si è obbligati a rispettare: Pilato, il governatore roma-no. Egli non riesce a prendere sul serio un problema ebraico: un ebreo in più o in meno cosa importa?... Il nobiledisprezzo di un romano davanti a cui è stato fatto un uso sfacciato della parola ‘verità’ ha arricchito il NuovoTestamento con l'unica espressione che possiede valore, che è la sua critica, persino il suo annientamento: ‘Checos'è la verità?’”. (Nietzsche, L’Anticristo)

C’è chi sostiene che Gesù non rispose alla domanda di Pilato “Che cos’è la verità?” perché la risposta era implicitanella domanda stessa. Facendo infatti l'anagramma di Quid est veritas viene fuori la frase: est vir qui adest (è l'uo-mo qui davanti a te).

Pilato: la storia

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Gli artt. 438-443 c.p.p. disciplinano il giudizioabbreviato: rito speciale a natura premiale,deflativo del dibattimento. A fronte dello sconto

di un terzo della pena, applicabile in concreto, l’imputa-to può chiedere di essere giudicato nell’udienza prelimi-nare sulla base degli atti contenuti nel fascicolo delleindagini preliminari.Non vi è dubbio che il giudizio abbreviato possa esse-re un vantaggio per il giudicando che ovviamente èlibero di richiederlo. In alcuni casi, però, da parte dellostesso, vi è una necessità di ricorrervi, sia per la delica-ta posizione giuridica (ad es. giudizio direttissimo conmisura cautelare o giudizio immediato) sia per la gravi-tà delle accuse formulate, le cui conseguenze giuridi-che possono essere non evitate, ma almeno lenite dal-l’esistenza di un rito alternativo che riduca la pena.La stessa prova “evidente”, idonea a giustificare ilricorso al rito immediato, poi, in caso di conversione algiudizio abbreviato assurgerebbe a elemento determi-nante ai fini della decisione.Data la natura deflativa, il rito ex art. 438 c.p.p., esau-rendosi nella sola udienza preliminare comporta larinuncia alle garanzie processuali connesse alla celebra-zione del dibattimento, quali la completa, immediata econtestuale formazione della prova in contraddittoriotra le parti di fronte ad un giudice terzo e imparziale.Tale rito speciale, soprattutto nella sua ipotesi base, sicaratterizza difatti come procedimento “a prova con-tratta”, nel quale le parti accettano che la res iudicandasia decisa sulla base degli atti d’indagine già acquisiti,rinunciando a chiedere ulteriori mezzi di prova. In talmodo, consentendo di attribuire agli elementi raccoltinel corso delle indagini preliminari, quel valore proba-torio di cui essi sono di norma sprovvisti nel giudizioche si svolge nelle forme ordinarie. Perché come è notola prova si forma solo in dibattimento. La rinuncia aldiritto di formazione della prova nel pieno contraddit-torio tra le parti è totale allorché, in sede di indagini

preliminari o di udienza preliminare, non sia stato nep-pure celebrato l’incidente probatorio. Vero che, lalegge, consente all’imputato di condizionare l’adesioneal giudizio abbreviato, permettendogli di porre dellecondizioni per la effettiva integrazione della prova (c.d.giudizio abbreviato condizionato).Viceversa nel processo ordinario, l’imputato al pari delpubblico ministero è protagonista del contraddittorioprocessuale, al fine di arrivare alla migliore formazio-ne della prova. La contesa ad armi pari, che si svolgedinanzi al giudice, non può prescindere dalle due partinecessarie: accusa e difesa. In un processo accusato-rio – in cui vige la presunzione di innocenza – la figu-ra dell’imputato non deve essere quella di un soggettopassivo che subisce inerte l’imputazione mossa dall’ac-cusa, ma di parte necessaria, che attraverso il rapportodialettico sia posta in grado di tutelare a pieno i propridiritti fondamentali, primo fra tutti il diritto di difesa.A tal proposito appare fondamentale rimarcare che ilruolo del pubblico ministero non è quello di mero accu-satore, ma pur sempre di organo di giustizia obbligatoa ricercare tutti gli elementi di prova rilevanti per unagiusta decisione, ivi compresi gli elementi a favore del-l’imputato. Ma nella prassi, tuttavia, lo svolgimentodelle indagini preliminari sono orientate unilateralmen-te alla ricerca di elementi d’accusa e quasi mai essesono finalizzate alla ricerca di elementi a discarico afavore dell’imputato.Di conseguenza, si può ragionevolmente dedurre chenel rito abbreviato, la difficoltà difensiva non consistegià solo nella gravità dell’imputazione mossa dall’ac-cusa, ma nelle modalità di preparazione, inoltro ed uti-lizzo degli atti preparati dalla stessa e che vengonoacquisiti per effetto dell’abbreviato, direttamente ecompletamente quali validi fonti di prova. Diviene fon-damentale perché vi possa essere un valido giudizioabbreviato, che i suddetti atti preparatori di indaginesiano quando più possibile aderenti e completi sui rilie-

Il giudizio abbreviato non è un giudizio breve!Luigi Scialla* e Antonio Giuseppe Carta**

* Avvocato del Foro di Roma* * Praticante Avvocato

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vi del fatto o dei fatti. Siano le suddette fonti, realizza-te con massimo scrupolo e la miglior efficacia, tale daprodurre un risultato che sia il più giusto possibile nelrispetto delle regole del processo, perché realizzatomediante atti a loro volta ottenuti con lo scrupolosorispetto delle regole.Va da sé che il Giudice, alla luce di un materiale proba-torio redatto prevalentemente, quando non esclusiva-mente, dall’attività dall’accusa senza che l’imputatoabbia avuto modo di completarne o contestarne a pienoil contenuto, come invece accadrebbe in dibattimentoin un giudizio ordinario, abbia un compito più gravosoperché da affrontare con scrupolo maggiore, al fine didecidere con piena e genuina cognizione di causa circai fatti oggetto di giudizio.Emerge chiaramente la maggior dimensione che rag-giunge il giudice nel momento in cui amministra la giu-stizia su un giudizio abbreviato, cioè una maggioreponderazione degli elementi portati alla conoscenza,un’analisi critica portata all’estremo, in modo da per-mettere una base parimenti sufficiente, come sarebbe

del caso di un giudizio dibattimentale nella quale inse-rire le istanze e le argomentazioni portate dalla difesa. Lo stesso Giudice, per quanto appena detto, dovrà sen-tirsi investito di un dovere maggiormente scrupolosonella valutazione ed accettazione degli elementi di fattorilevanti.Alla luce dei motivi su esposti, si potrebbe concludereche il rito abbreviato per essere valido strumento diamministrazione della giustizia e per poter soddisfare irequisiti del giusto ed equo processo ex art. 111 Cost.,richieda una notevole attività di critica giuridica degli ele-menti di prova – come si vede in gran parte provati dal-l’accusa – con l’attività critica ponderata, come detto, giàscrupolosa e piena di significati. Considerando che si trat-ta comunque di un giudizio che ha una sua collocazionenell’ordinamento, ed è un giudizio abbreviato e non ungiudizio breve, come si potrebbe pensare cadendo inerrore ritenendo che il motivo della richiesta del giudi-zio abbreviato sia determinato dall’esclusivo obbietti-vo di ottenere la riduzione della pena e non, comesempre, dettato e animato da un desiderio di giustizia.

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In tema di filiazione, di notevole attualità e rilievoanche in ambito internalzionalprivatistico, sono ifenomeni della maternità surrogata e della omoge-

nitorialità. Le tematiche evidenziano profili di com-plessità e delicatezza – sono investititi etica, diritto,scienza, storia, antropologia, religione, semantica – chesollecitano un adeguato intervento regolamentare,anche ai fini della qualificazione ed individuazionedel perimetro giuridico entro cui ricondurre il concettodi maternità e di genitorialità. Così, ad esempio, inrelazione al primo dei due profili, spetterà al legislato-re stabilire se, e in quali ipotesi, tale qualità può attri-buirsi alla donna che partorisce, a quella che trasmetteil DNA o, infine, a quella che stipula l’accordo dimaternità surrogata. Ovvero se è possibile rinvenirsi ilconcorso di esse. Del pari, spetterà al legislatore stabi-lire una regolamentazione diretta a disciplinare l’omo-genitorialità, anche ai fini del riconoscimento dei dirit-ti e dei doveri dei soggetti coinvolti. I fenomeni sociali, anche ad effetti dirompenti, segna-no il percorso evolutivo del diritto (A. Watson,“Evoluzione sociale e mutamenti del diritto”,Giappichelli, 2006) ponendo in essere conflitti, frizio-ne e criticità con i principi fondamentali dell’ordina-mento. Primo fra tutti quello di ordine pubblico. E laevoluzione giurisprudenziale nazionale e sovrana-zionale circa la trascrivibilità degli atti stranieriinteressati dai fenomeni di maternità surrogata ed omo-genitorialità vale a dimostrare l’avvenuta cedevolezzadel principio. O, meglio, dovrebbe dirsi oramai inter-venuta la consapevolezza circa l’esistenza di unnuovo concetto di ordine pubblico, non più a conte-nuto statico, predeterminato e rigido bensì principioavente natura giuridica dinamica e cangiante, avente

contenuti suscettibili di variare sensibilmente al muta-mento della cultura sociale. Sullo sfondo, o meglio alla base di simile ricostruzio-ne, la consapevolezza che la nozione di vita familiaredebba essere ormai declinata in concreto, avutoriguardo ai rapporti che si instaurino nell’ambito dellacomunità familiare, e che meritano tutela, nell’equili-brio tra gli interessi coinvolti, con particolare riguardoa quello del minore. E tale nozione, come affermatosignificativamente dalla Corte di Cassazione oramaineppure presuppone necessariamente la discendenzabiologica dei figli, non più considerata quale requisitoessenziale della filiazione, come parimenti affermatodalla Corte costituzionale a partire dalla sentenza n.162/14, in tema di tecniche di p.m.a. eterologa.Piuttosto che ad elementi di carattere biologico, la radi-ce della meritevolezza di riconoscimento e tutela delvincolo familiare è dunque ricondotto – anche per lecoppie omogenitoriali – alla fondamentale e generalelibertà delle persone di autodeterminarsi e formareuna famiglia, a condizioni non discriminatorie.Si modifica, dunque, l’identità stessa della nozione diordine pubblico, questo non più concepito in terminidi compatibilità con l’ordinamento italiano ma nei ter-mini, più ampi, di compatibilità con le esigenze di tute-la dei diritti fondamentali come desumibili dallaCostituzione, dal diritto primario e dalla Carta dei dirit-ti fondamentali dell’Unione, nonché dalla Convenzioneeuropea dei diritti dell’uomo (c.d. ordine pubblicointernazionale).Come è noto, la fecondazione artificiale, definita omo-loga o eterologa a seconda che venga eseguita congameti appartenenti o estranei alla coppia, costituiscetematica delicata e attuale in materia di filiazione.

La maternità surrogata l’omogenitorialità e la trascrivibilità di atti stranieri. Cedevolezza o nuova nozione del principio di ordine pubblico?Francesca ZignaniAvvocato

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Trattasi di una tecnica utilizzata come rimedio ai casi disterilità o infertilità, ovvero da parte di coppie omos-sessuali, e realizzata attraverso inseminazione artificia-le oppure mediante fecondazione in vitro. La feconda-zione artificiale può costituire parte di contenuti con-trattuali nei casi in cui è oggetto di accordi maternitàsurrogata, in forza dei quali una donna acconsente acondurre la gravidanza per conto di una coppia conproblemi di infertilità, alla quale si impegna a conse-gnare il bambino alla nascita. In Italia la legge n. 40/2004 consente la procreazioneassistita da parte delle coppie sterili o infertili (art. 4,co. 1), ma vieta con sanzioni penali la commercializza-zione di gameti e/o embrioni e la surrogazione dimaternità (art. 12, comma 6). La Corte Costituzionalecon sentenza 5-6-15, n. 96 ha esteso l’accesso a taletecnica rimediale anche alle coppie fertili portatrici dimalattie genetiche trasmissibili. In origine, la leggevietava anche la fecondazione eterologa ma il divieto ècaduto per effetto dell’intervento della Consulta. Ineffetti, la Corte Costituzionale con sentenza del 9-4-14,n. 162 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degliartt. 4 (comma 3), art. 9 (commi 1, 3) e art. 12 (comma1) della legge n. 40/2004 concernenti al divieto difecondazione eterologa medicalmente assistita.Pur dopo tale apertura, la disciplina italiana rimanerestrittiva poiché ammette la fecondazione artificialesolo per risolvere problemi di sterilità o infertilità (art.4, comma 1) e vieta gli accordi di maternità surrogata(art. 12, comma 6). Nella sentenza succitata la Consultaha avuto occasione di precisare che la tecnica di pro-creazione medicalmente assistita di tipo eterologo va“tenuta distinta da ulteriori e diverse metodiche, qualila cosiddetta maternità surrogata, espressamente vitatadall’art. 12, comma 6, con prescrizione non censurata eche in nessun modo ed in nessun punto è incisa dallapresente pronuncia conservando quindi perdurantevalidità ed efficacia”.Francia e Germania vietano, del pari, gli accordi dimaternità surrogata. In Grecia e Regno Unito sonoammessi quando non vi è passaggio di denaro ovverosono inesistenti fini di lucro. Alcuni Paesi, fuoridall’Unione Europea, ammettono tali accordi con osenza corrispettivo. Così accade di frequente chenumerose coppie italiane si rivolgano a persone e strut-ture di Paesi che ammettono il ricorso alla fecondazio-

ne artificiale mediante gli accordi di maternità surroga-ta. Tra quelli più richiesti per gli accordi di maternitàsurrogata va annoverata l’Ucraina, dove i costi del-l’operazione, quali il pagamento della clinica e com-penso alla madre sotto forma di rimborso spese, sonotra i più contenuti. Il bambino, generato con il patrimo-nio generico di almeno un genitore, non acquista la cit-tadinanza ucraina, ma viene registrato, in base alla lexloci, come figlio della coppia committente e rimpatria-to all’Ambasciata italiana, mentre la madre biologicanon viene menzionata; la legge ucraina non permette,invece, la maternità surrogata con gameti completa-mente estranei alla coppia. Nel caso in cui questavenisse ugualmente eseguita in violazione di tale divie-to, il bambino non viene considerato figlio della coppiacommittente bensì messo in stato di adottabilità (Cass.11-11-14, n. 24001). In tali ipotesi, la giurisprudenzaesclude la sussistenza del reato di alterazione di statoex art. 567, co. 2, c.p. poiché, nel rispetto della lex loci,l’atto di nascita viene correttamente formato all’estero(Trib. Trieste, 4-10-13; Trib. Milano, 15-10-13; Trib.Milano, 13-1-14; Trib. Milano, 8-4-14). Il problema internazionalprivatistico viene in rilievo,invece, con il riconoscimento in Italia del rapporto difiliazione derivante da un accordo di maternità surroga-ta stipulato all’estero da una coppia italiana e, di solito,si pone già al momento della domanda di trascrizionein Italia dell’atto di nascita del bambino nato all’esteroai sensi dell’art. 28, comma 2, lett. b), del D.P.R. n.396/2000.In tale contesto, si pone preliminarmente il problemaconcernente la qualificazione del rapporto derivante daun accordo di maternità surrogata sub specie di filiazio-ne. Di regola, la qualificazione va compiuta in base aiprincipi del sistema cui appartiene la norma di d.i.p., nelcui ambito deve essere ricondotta la fattispecie da qua-lificare; in mancanza di una definizione contenuta infonti convenzionali o comunitarie la qualificazione sicompie secondo la lex fori. Nell’ipotesi considerata,però, la qualificazione non appare scontata tenuto contoche in base alla lex fori italiana il rapporto di filiazionesi costituisce con la donna che ha partorito (art. 269,comma 3, c.c.)., e non con quella che ha stipulato l’ac-cordo di maternità surrogata, che anzi è vietato. I corret-tivi alla teoria della lex fori in ordine alla qualificazionedi istituti sconosciuti, che per ragioni di sintesi non pos-

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sono essere qui esaminati, consentono tuttavia di supe-rare tali problematiche e di qualificare il rapporto chesorge da un accordo di maternità surrogata come rap-porto di filiazione. Dal Paese in cui è avvenuto l’accor-do di maternità e da cui discendono gli elementi per lac.d. qualificazione preliminare, infatti, si determina ilrapporto di filiazione del bambino con i genitori com-mittenti, non con la madre surrogata. Dopodiché è pos-sibile qualificare il rapporto come filiazione anche inbase alla lex fori mediante un’interpretazione elastica efunzionale che, in via esegetica e qualificatoria, privile-gi la finalità di garantire il miglior interesse del bambi-no. In tale contesto e con questa precipua funzione, l’at-tività interpretativa può giungere ad estendere il concet-to di filiazione sino ad attribuire la qualità di genitorinon solo a soggetti che non trasmettono il materialegenetico-biologico (già ammesso dalla Consulta nellasentenza sulla fecondazione eterologa), bensì pure alladonna che non partorisce il bambino.Il secondo problema, successivo a quello qualificato-rio, è costituito dall’accertamento volto ad acclarare seil rapporto che sorge da un accordo di maternità surro-gata possa costituire un rapporto di filiazione ai sensidell’art. 33 della legge 218/95. La giurisprudenza che siè occupata della questione ha esaminato, in particolare,il problema dell’ordine pubblico che la norma di cuiall’art. 18 del D.P.R. 396/00 individua come motivoostativo alla trascrizione degli atti di stato civile forma-ti all’estero. La giurisprudenza di merito ha valorizzatoil principio della responsabilità procreativa e si è con-centrata sul divieto (attualmente abolito per effetto del-l’intervento della Corte Costituzionale) della feconda-zione eterologa, evidenziando che neppure in passato ildivieto poteva considerarsi espressione del principiodell’ordine pubblico internazionale giacché all’internodell’UE solo l’Italia e la Lituania non prevedevano lapossibilità di ricorrere alla fecondazione artificiale ete-rologa, né con donazione degli ovociti né degli sperma-tozoi. Facendo applicazione delle suesposte coordinate inter-pretative, è stato affermato che l’atto di nascita di unbambino nato all’estero a seguito di un accordo dimaternità surrogata con ovodonazione può essere tra-scritto nei registri distato civile italiani in quanto non sipone in contrasto col principio dell’ordine pubblico(così Trib. Milano, 15-10-13, con riguardo ad un bam-

bino nato a seguito di un accordo di maternità surroga-ta in Ucraina; e Trib. Napoli, 1-7-11, in relazione ad unbambino nato a seguito di un accordo di maternità sur-rogata negli Stati Uniti). Peraltro, la Corte Europea deidiritti dell’uomo ha stabilito che nel caso in cui il padrecommittente è anche padre biologico le autorità nazio-nali devono trascrivere l’atto di nascita a seguito dimaternità surrogata, poiché l’eventuale rifiuto sarebbecontrario all’art. 8 CEDU, circa il divieto di ingerenzadello Stato nella vita privata e familiare (CEDU, 26-6-14, Mennesson c. Francia, e Labasse c. Francia). Sullascorta di tali principi, la giurisprudenza di meritonazionale ha ritenuto che la richiesta di trascrizione inItalia dell’atto di nascita dei figli nati all’estero, aseguito di un accordo di maternità surrogata, non inte-gra il reato di alterazione di stato e neppure quello difalsa attestazione o dichiarazione su qualità personali,di cui all’art. 495, comma 2, c.p., dato che la sussisten-za dell’interesse primario del minore a definire la pro-pria identità elide l’antigiuridicità della condotta (Trib.Varese, 8-10-14).Gli Stati membri, alla luce dei principi declinati nellasentenza CEDU sopracitata, godono di ampia discrezio-nalità qualora il nato da maternità surrogata non abbiaalcun legame genetico con la coppia committente. Intali circostanze, la Suprema Corte di Cassazione ha rite-nuto che la maternità surrogata avvenuta all’estero siaincompatibile col principio di ordine pubblico poichépotrebbe costituire strumento elusivo della disciplinadell’adozione internazionale (C. Benati, La maternità èdella donna che ha partorito: contrarietà all’ordinepubblico della surrogazione di maternità e conseguenteadottabilità del minore, Nuova Giur. Civ., 2015, 3,10235). E, d’altra parte, la maternità surrogata nonpotrebbe neppure ritenersi giustificata, in tale ipotesi,sulla base del prevalente interesse del minore atteso cheegli non avrebbe alcun legame indennitario con i com-mittenti italiani, in considerazione del fatto che lamaternità surrogata è avvenuta con materiale geneticocompletamente estraneo alla coppia (Cass., 11-11-14, n.24001). Quella sull’attribuzione della maternità è,secondo la Corte, una “valutazione operata a montedalla legge, la quale non attribuisce al giudice, su talepunto, alcuna discrezionalità da esercitare in relazioneal caso concreto”. Essa muove da una visione legislati-va rigida della maternità, che è inesorabilmente quella

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gestazionale o quella adottiva. Tertium non datur.Recentemente la giurisprudenza CEDU ha stabilito chese il minore, nato da un accordo di maternità surrogata,non ha legami genetici con i genitori ma ha trascorsoun periodo anche breve con la coppia committente siinstaura un legame familiare e affettivo di fatto che leautorità nazionali sono tenute a rispettare (CEDU, 27-6-15, Paradiso e Campanelli c. Italia). Nella fattispecieesaminata dalla Corte europea, l’allontanamento dallaresidenza familiare e la messa sotto tutela di un minorenato in Russia, a seguito di un accordo di maternità sur-rogata e senza legami biologici con la coppia commit-tente, integra violazione del citato art. 8 CEDU.Risulta evidente che l’orientamento giurisprudenzialenazionale, incline a ritenere non sussistente la violazio-ne di ordine pubblico per l’ipotesi di maternità surroga-ta avvenuta all’estero mediante utilizzo di materialegenetico da parte del padre italiano, ha il merito di tute-lare in via sostanziale il superiore interesse del minore;e tale posizione interpretativa risulta rafforzata dall’in-tervento della Consulta che, come visto, ha consideratoillegittimo il divieto di fecondazione eterologa. È auspicabile, tuttavia, per un triplice ordine di ragioni,un sollecito intervento legislativo.Innanzitutto, ai sensi dell’art. 33 legge 218/95 la leggeregolatrice della filiazione è la legge italiana in quantonell’atto di nascita il bambino risulta essere italiano (edè figlio biologico di padre italiano) e attualmente lalegge nazionale attribuisce la maternità alla donna cheha partorito, non a quella che ha stipulato un accordo dimaternità surrogata (art. 269, comma 3, c.c.). Conseguentemente la maternità risultante dall’atto dinascita straniero, stante l’attuale quadro normativo,sarebbe in contrasto con le previsioni della legge rego-latrice della filiazione. Sotto un secondo aspetto, occorre evidenziare che l’at-to di nascita straniero può presentare dubbi di compati-bilità con il principio di ordine pubblico non tanto sottoil profilo esaminato dalla giurisprudenza, relativo alsottostante accordo di maternità surrogata eterologa (ildivieto di fecondazione eterologa è caduto e quello dimaternità surrogata potrebbe essere contrario all’art. 8della CEDU, che garantisce contro l’ingerenza statale ildiritto al rispetto della vita privata e familiare), quantopiuttosto per il fatto che nella prassi l’accordo intervie-ne dietro pagamento di un corrispettivo (Trib. Milano,

15-10-13). La previsione di un corrispettivo che, comesopra evidenziato, è vietata dalla legge 40/2004 oltre aporsi in evidente contrasto con la disciplina citatarischia di favorire la mercificazione della procreazionedi bambini, sollecitando la diffusione del fenomenodefinito “turismo procreativo”, nonché di favorire losfruttamento di quelle donne che, economicamentesvantaggiate, vengono coinvolte per questo tipo di ope-razioni. Infine, non può neppure sottovalutarsi, sotto un diversoprofilo, la violazione del principio di eguaglianza deri-vante dall’ingiustificata disparità di trattamento inter-corrente tra le coppie che in Italia non possono ricorre-re alla maternità surrogata e quelle più facoltose dotatedi strumenti e di mezzi, che invece possono accedervi.E la trascrivibilità dell’atto di nascita del bambino natoall’estero, in forza di un accordo di maternità surrogataeterologa, finisce per legittimare una condotta che, sefosse posta in essere in Italia, configurerebbe un reato. Peraltro, la gestazione per altri vede la Corte EU per idiritti umani interessarsi dell’Italia (CEDU, 27-1-15, n.25358), la Corte europea dei diritti dell’uomo con lasentenza pubblicata il 27 gennaio 2015 nella causaParadiso e Campanelli c. Italia (sopra già menzionata)ha affermato che costituisce violazione dell’art. 8 dellaConvenzione (diritto al rispetto della vita privata efamiliare) la decisione delle autorità di uno Stato mem-bro di allontanare il minore nato all’estero ricorrendoalla maternità surrogata dalla coppia che è ricorsa a taletecnica per il concepimento, anche quando il minorenon abbia alcun legame genetico con il padre e lamadre committenti. La sentenza riguarda un caso nelquale le autorità italiane non solo hanno rifiutato di tra-scrivere l’atto di nascita del bambino nato in Russia damadre surrogata, ma hanno anche disposto il suo collo-camento presso i servizi sociali dopo che il neonatoaveva trascorso i primi sei mesi di vita con la coppia (T.Trinchera, Dir.Pen.Cont., 2015, La Corte EDU condan-na l’Italia in un caso di maternità surrogataall’Estero). La decisione è stata presa dalle autorità ita-liane perché il patrimonio genetico del minore noncoincideva né con quello della madre né con quello delpadre committenti (per una compiuta ricostruzionedella vicenda sulla quale è stata chiamata a pronunciar-si la Corte EDU, cfr. §§ 5-35). I ricorrenti, marito emoglie di nazionalità italiana, si sono rivolti alla Corte

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di Strasburgo lamentando la violazione da parte delloStato italiano del diritto al rispetto della loro vita priva-ta e familiare, in relazione – in particolare – al rifiuto diriconoscere valore legale al rapporto di filiazione vali-damente formatosi nel Paese estero e alla decisione disottrarre il minore alle loro cure. In relazione al rifiutoda parte dello Stato italiano di riconoscere valore giuri-dico al rapporto di parentela, validamente formatosi inRussia, tra i ricorrenti e il bambino nato dalla madresurrogata, la Corte EDU dichiara irricevibile il ricorsoper mancato esaurimento dei rimedi interni (§ 62). Lacoppia, infatti, non ha proposto ricorso per Cassazioneavverso la decisione della corte d’appello che avevarigettato la richiesta di trascrizione dell’atto di nascitanei registri dello stato civile italiano. Questione analoga era stata affrontata dalla Corte EDUcon le sentenze Mennesson c. Francia e Labassee c.Francia. In quei casi, la Corte aveva riconosciuto laviolazione dell’art. 8 della Convenzione perché le auto-rità francesi avevano negato di riconoscere valore lega-le alla relazione tra un padre e i suoi figli biologici natiall’estero facendo ricorso a surrogazione di maternità.Rispetto alla decisione di sottrarre il minore alle curedella coppia, invece, la Corte EDU dichiara a maggio-ranza che c’è stata violazione dell’art. 8 dellaConvenzione (hanno espresso opinione in parte dissen-ziente i giudici Raimondi e Spano). La Corte osservainnanzitutto che l’allontanamento del minore dallafamiglia costituisce indubbiamente un’ingerenza neldiritto dei ricorrenti al rispetto della vita familiare (§71). Ma si tratta di una misura che è prevista dalla legge(§ 72) e che persegue uno scopo legittimo (§ 73).Pertanto, possono dirsi soddisfatti il primo e il secondorequisito indicati dal paragrafo 2 dell’art. 8 dellaConvenzione per le limitazioni al diritto al rispettodella vita privata e familiare. La Corte passa, quindi, ad analizzare il terzo requisito,vale a dire se l’ingerenza possa considerarsi necessariain una società democratica, verificando in particolarese nel caso di specie vi è stato un giusto bilanciamentotra gli interessi perseguiti dallo Stato e gli interessi delminore direttamente coinvolto dalla misura (§§ 74 ess.). A questo proposito, il Giudice territoriale osservache la decisione di sottrarre il minore alle cure deiricorrenti è stata presa dalle autorità nazionali alloscopo di porre fine a una situazione di illegalità. I ricor-

renti, infatti, hanno violato la normativa italiana intema di procreazione medicalmente assistita e quella intema di adozione di minori. Tuttavia, la Corte affermache la necessità di porre rimedio a una situazione ille-gittima non è sufficiente a giustificare l’adozione diqualsiasi misura, in quanto lo Stato deve avere in ognicaso riguardo all’interesse superiore del minore. E lanecessità di tutelare l’interesse del minore prescindedalla natura del rapporto di parentela, se biologica o dialtra natura. La misura dell’allontanamento del minoredal contesto familiare – proseguono i giudici diStrasburgo – è una misura estrema che può essere giu-stificata soltanto in caso di pericolo immediato per ilbambino. Pur riconoscendo la delicatezza e la comples-sità della situazione che i giudici nazionali sono statichiamati ad affrontare, la Corte EDU conclude che nelcaso di specie non sussistevano le condizioni per l’ado-zione della misura dell’allontanamento del minoredalla sua famiglia (§§ 81-88). La tutela dei diritti fondamentali del minore è un prin-cipio oramai patrimonio acquisito dell’ordinamentogiuridico italiano. Lo dimostra la recente riforma deldiritto di famiglia e l’unificazione dello status di figlio,l’introduzione di garanzie processuali e il diritto delminore ad essere ascoltato. Lo evidenzia anche unagiurisprudenza attenta a tutelare i legami intessuti dalbambino con soggetti ulteriori rispetto a coloro chesono riconosciuti quali genitori (gli ascendenti, mapure il co-genitore sociale nel contesto delle famigliericomposte o dell’omogenitorialità. Tuttavia, non pareche il sistema si sia compiutamente appropriato delprincipio dell’interesse preminente del minore (A.Schuster, Gestazione per altri e CEDU: l’interesse delminore non deve mai esser un mezzo, ma sempre solo ilfine dl diritto, Nuova.Giur.Civ., 2015, 9, 10828). A dispetto del frequente richiamo al best interest of thechild, questo pare invero concepito come un interesseimportante, che può consentire un’interpretazioneestensiva di disposizioni che soffrono, causa inerzia dellegislatore, delle rigidità dei tempi passati. Non appare,invece, essere concepito come un interesse che deveprevalere in caso di conflitto, dotato di quella legittima“preminenza” di cui parla l’art. 3, comma 1, dellaConvenzione di New York. Complice l’anglofilia diffu-sa nella comunità giuridica nazionale, il giurista italia-no utilizza volentieri l’espressione inglese, laddove

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un’espressione italiana forse meglio veicolerebbe l’es-senza stessa del concetto.Uno sguardo al diritto comparato ci mostra comeanche altri giudici stiano si stiano orientando verso unpieno rispetto della preminenza dovuta al benessere deibambini. In Belgio è forte il contrasto della “gestazio-ne per altri” (in sigla GPA) con i principi fondamentalidell’ordinamento da un lato, e l’interesse del minoredall’altro, giungendo comunque a far prevalere que-st’ultimo e legittimando ex post, con strumenti qualil’adozione, il legame instaturatosi. Altri ordinamenti,come quello tedesco, svedese e austriaco hanno ormaiammesso, per via giurisprudenziale la trascrizione ericonoscibilità della genitorialità frutto di GPA, inclusala genitorialità della madre intenzionale. Altri hannoassunto una posizione in parte analoga a quella italiana.Il Tribunale Supremo spagnolo ha negato la possibilitàdi trascrivere un atto di nascita a seguito di GPA. Nelcontempo ha tenuto conto degli obblighi derivanti dalrispetto dell’interesse superiore del minore e della vitafamiliare realizzatasi, suggerendo le strade dell’adozio-ne o dell’affidamento per regolarizzare il legame, e ciòquand’anche il nesso biologico fosse assente (TribunaleSupremo, ric. 835/13, 6-2-14).Un’importantissima novità è costituita dall’ordina-mento portoghese. Dopo l’approvazione, il 31 luglio,del Decreto Regulamentar n. 6/2017 che dà applica-zione alla legge 25/2016 del 2016 sulla surrogazione dimaternità, in Portogallo si registra il primo caso diautorizzazione, da parte del Consiglio per laProcreazione Medicalmente Assistita (CPMA), di unagestazione per altri. Si tratta di una donna che “sostitui-rà” la figlia alla quale era stato asportato l’utero a causadi un’endometriosi. Il decreto attuativo apre quindi lapossibilità di iniziare l’iter di autorizzazione che condu-ce alla richiesta di maternità surrogata. Sulla base dellalegge 25/2016, possono avere accesso alla “gravidanzadi sostituzione” le donne che si trovino ad avere unasituazione clinica – debitamente comprovata – cheimpedisca la gravidanza (la legge fa esplicito riferimen-to a situazioni assolutamente eccezionali e a rigidirequisiti di ammissibilità). Il decreto è giunto ora adefinire l’iter di autorizzazione. Il ricorso alla materni-tà surrogata sarà possibile soltanto in situazioni ecce-zionali e a titolo gratuito, in casi quali l’avvenutaasportazione dell’utero o la presenza di lesioni o pato-

logie dell’utero o di altre situazioni cliniche che impe-discano “in maniera assoluta e definitiva” la gravidan-za. A fronte di una comprovata situazione di questogenere, il ricorso alla maternità surrogata deve esseresoggetto alla celebrazione di un apposito “contratto dimaternità surrogata”, la quale a sua volta dipende dauna preventiva autorizzazione da parte del ConsiglioNazionale per la Procreazione Medicalmente Assistita(CNPMA) e da un parere dell’Ordine dei Medici.Quest’ultimo, non vincolante, dovrà essere sottopostoal successivo (e definitivo) parere della CNPMA, alquale spetta quindi l’ultima parola. Sia il CNPMA, sial’Ordine dei Medici hanno, ciascuno, 60 giorni ditempo per emettere i rispettivi pareri. Spetta pertantoalle candidate alla surrogazione di maternità presentarela richiesta di autorizzazione per la celebrazione delcontratto. Tale richiesta dovrà essere accompagnata dalparere favorevole di uno psichiatra o di uno psicologoe da quello del direttore di un centro di procreazionemedicalmente assistita.Dando seguito a quanto disposto dalla legge 25/2016, ildecreto attuativo garantisce la priorità attribuita al lega-me tra la madre genetica e il bambino, a partire dal pro-cesso di maternità surrogata e in particolare per quantoconcerne la celebrazione e l’esecuzione del contratto.La legge e il decreto stabiliscono, infatti, che la relazio-ne tra la gestante surrogante e il bambino nato sia ridot-ta al minimo indispensabile, “tenuto conto dei poten-ziali rischi psicologici e affettivi che tale relazioneimplica”, fatto salvo, ovviamente, il caso in cui lagestante sia una familiare. In ogni caso, la legge stabi-lisce che debba essere garantito alla gestante, già nelcontratto di maternità surrogata, un adeguata assistenzapsicologica, prima e dopo il parto.In generale, comunque, il decreto conferma l’ispirazio-ne della legge, cioè il tentativo di garantire al processola massima sicurezza medica sanitaria e allo stessotempo il più ampio livello di protezione di tutte le particoinvolte, sottolineando come l’autorizzazione dellamaternità surrogata debba essere intesa come una deci-sione “basata sulla tutela di un interesse comune e, inparticolare, dell’interesse del bambino”.In dottrina si è avuto modo di osservare che la leggeportoghese rappresenta, più che “la liberalizzazionedell’utero in affitto” com’è stata talora indebitamentedefinita, un tentativo di regolamentare in maniera ben

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definita la cosiddetta forma “altruistica” della materni-tà surrogata (G. Damele, Primo caso di GPA inPortogallo dopo l’approvazione della legge,Articolo29, 2017).Il Gruppo di esperti sulla maternità surrogata istituitodalla Conferenza dell’Aja di diritto internazionale pri-vato recentemente aveva diffuso uno studio (8767f)sulle questioni legate alla legge applicabile, alla giuri-sdizione e al riconoscimento di atti emessi all’estero,ma ha preso atto che la complessità delle problematicheconnesse alla maternità surrogata e le diversità diapproccio nella regolamentazione da parte degli Statirichiedono un ulteriore approfondimento e una conti-nuazione dei lavori. Nel rapporto sono analizzate leregole di diritto internazionale privato nei diversi ordi-namenti (anche se in molti Paesi mancano norme adhoc) con particolare riguardo all’operatività del limitedell’ordine pubblico che determina incertezze sullostatus legale dei bambini e rischi di sfruttamento delledonne. L’approccio, come risulta anche dall’analisidella giurisprudenza di diversi Stati e da alcune novitàlegislative, è molto variabile con inevitabili conseguen-ze sul riconoscimento dei certificati di nascita e incer-tezze sullo status dei minori e dei genitori. Con effettisu larga scala non solo nell’ambito dei rapporti familia-ri ma anche in altri ambiti come quello dell’immigra-zione (M. Castellata, Maternità surrogata al a centrodei lavori della Conferenza dell’Aja, marinacastellane-ta.it, 4-3-16).Peraltro, il Parlamento europeo ha diramato, de iurecondendo, una nota esplicativa allo scopo di fornireindicazioni circa la soluzione dei problemi internazio-nalprivatistici che sorgono a causa della diversità dellelegislazioni nazionali in tema di maternità surrogata.Nello studio del Comitato Affari Giuridicidell’Europarlamento e condotto da Amalia Rigon eCélibe Chateau (ipol _br12016571368_en), ricostruitala divisione all’interno dei Paesi membri, con alcuniStati come Francia, Germania e Italia che vietano inmodo assoluto la maternità surrogata e altri, comeGrecia e Regno Unito, che l’ammettono nei casi in cuinon vi sia passaggio di denaro e sia attuata senza fini dilucro, mette in primo piano lo status quo e le possibilivie da seguire per disciplinare una realtà con diversiproblemi di diritto internazionale privato. Un interven-to, d’altra parte, appare necessario per tutelare la situa-

zione di status ormai acquisiti, nell’interesse superioredel minore. Partendo dai lavori della Conferenzadell’Aja di diritto internazionale privato e dalla giuri-sprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo neicasi Mennesson, nonché Paradiso e Campanelli, è evi-denziata l’utilità della conclusione di una convenzioneche risolva i problemi circa l’identificazione dei geni-tori e che limiti i casi di rimozione del minore dall’am-biente naturale, mettendo in primo piano l’interessesuperiore del minore. In pratica, si suggerisce di nonprendere una posizione a favore o contro la maternitàsurrogata ma di soffermarsi sulla soluzione delle que-stioni legati allo status già acquisito (M. Castellata,Maternità surrogata: come regolare gli accordi trasna-zionali?, marinacastellaneta.it, 23-9-16).In conclusione, l’Italia appare isolata nella radicalescelta di disconoscere ogni forma di tutela alla famigliafondata sulla GPA in assenza del legame geneticopaterno, giungendo sino all’allontanamento del minoree alla conseguente decretazione dello stato di adottabi-lità (Lenti, Paradiso e Campanelli c. Italia: interessedel minore idoneità a educare e violazione di legge, inQuad. Costit.li, 2015, 472). Assume così sempre piùimportanza la necessità di operare, anche su un pianonormativo, il bilanciamento fra ordine pubblico e inte-resse preminente del minore.Alcuni ordinamenti, come Canada e Stati Uniti consen-tono di ricorrere alla maternità surrogata anche allecoppie omossessuali, generalmente uomini, ma anchedonne che non possono o non intendono condurre lagravidanza. In tali casi, il riconoscimento del rapportodi filiazione tra il bambino e i committenti (che di rego-la si pone già al momento della richiesta di trascrizionein Italia dell’atto di nascita straniero) solleva un proble-ma di ordine pubblico ulteriore rispetto a quelli giàmenzionati; il protrarsi di un lungo dibattito parlamen-tare e la rinuncia ad inserire nel disegno di legge sulleunioni civili la stepchild adoption sono stati commen-tati, da autorevole dottrina (Barel-Armellini, DirittoInternazionale Privato, Giuffré, 2017), come espressi-vi di una coscienza e cultura nazionali non ancoramaturi in ordine alla possibilità di attribuire al bambinodue genitori dello stesso sesso. In senso contrario, la giurisprudenza di legittimità conuna sentenza di primaria rilevanza ha affermato, anco-ra una volta superando le incapacità e le disarmonie

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legislative, che è trascrivibile in Italia l’atto di nasci-ta formato all’estero, dal quale risulti che il minore èfiglio di due madri (Cass. n. 19599/16): nella fattispe-cie dedotta in giudizio, il minore era stato partorito dauna delle due donne, a seguito di ovodonazione daparte della moglie. In particolare, con una motivazionearticolata e ricca di suggestioni, la Suprema Corte haescluso la contrarietà dell’atto all’ordine pubblico,affrontando l’intero prisma delle questioni relative allacompatibilità dell’omogenitorialità con i principi fon-damentali del nostro ordinamento giuridico.Si tratta, per molti aspetti, di una pronuncia di impor-tanza a dir poco rivoluzionaria che chiarisce ulterior-mente – e favorisce – l’inquadramento sistematicodella genitorialità omosessuale nel nostro ordina-mento (A. Schillaci, Le vie dell’amore sono infinite. LaCorte di Cassazione e la trascrizione dell’atto di nasci-ta straniero con due genitori dello stesso sesso, inArticolo29, 2017), in armonia con i principi desumibi-li dalla Costituzione, dalle convenzioni internazionaliin materia di protezione dei minori e dal complessodelle disposizioni – di fonte nazionale e sovranaziona-le – alla luce delle quali deve essere assicurata, in Italia,la tutela dei diritti fondamentali dei minori nati, accol-ti o cresciuti in una famiglia. Il percorso argomentativo della Corte ruota, comeaccennato, attorno alla questione della lamentata con-trarietà dell’atto di nascita straniero all’ordine pubbli-co. Merita allora di essere richiamata, anzitutto, la rico-struzione del concetto stesso di ordine pubblico,assunta dalla Corte: un concetto ampio, aperto, inner-vato e qualificato dalle molteplici interazioni traordinamenti giuridici e livelli di tutela, che caratte-rizza l’articolazione degli strumenti di protezione deidiritti fondamentali. Una volta ripercorsa la distinzionetra ordine pubblico nazionale e ordine pubblico inter-nazionale – e riaffermata la necessità di fare riferimen-to a quest’ultimo – la Corte afferma infatti, significati-vamente, che l’evoluzione del concetto di ordine pub-blico internazionale mostra il suo progressivo affranca-mento da una funzione di tipo difensivo, e l’aperturaalla dimensione della relazione e dell’interazione traordinamento interno e comunità internazionale (e dun-que, ordinamenti stranieri, ordinamento internazionale,ordinamenti sovranazionali): in particolare, sostiene laCorte, “tale più aperta concezione si fonda su una mag-

giore partecipazione dei singoli Stati alla vita dellacomunità internazionale, la quale sempre meglio ècapace di esprimere principi generalmente condivisi enon necessariamente tradotti in norme interne, così dasottrarre la nozione di ordine pubblico internazionalesia ad un’eccessiva indeterminatezza sia ad un legametroppo rigido con i mutevoli contenuti delle legislazio-ni vigenti nei singoli ordinamenti nazionali”.Alla luce di tali considerazioni, il controllo di non con-trarietà dell’atto straniero all’ordine pubblico non puòevidentemente tradursi in un controllo sugli effetti del-l’atto, con riguardo alla loro conformità al diritto inter-no, ciò che rischierebbe di impedire del tutto l’applica-zione, ove necessario, delle norme di conflitto, vanifi-cando la funzione stessa del diritto internazionale priva-to. Piuttosto, il ricorso all’ordine pubblico internaziona-le deve intendersi – conformemente alla giurisprudenzadi legittimità – come riferimento al “complesso dei prin-cipi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento in undeterminato periodo storico, ma ispirati ad esigenze ditutela dei diritti fondamentali dell’uomo comuni aidiversi ordinamenti e collocati a un livello sovraordina-to rispetto alla legislazione ordinaria. Pertanto, l’ordine pubblico non deve essere inteso comestrumento di difesa dell’intero ordinamento, ma solo diquei principi fondamentali che, qualificandone il nucleoessenziale, resistono alla relazione, impedendo chenorme e atti formati all’estero possano venire in rilievoall’interno, in conseguenza dell’applicazione dellenorme di conflitto. “La progressiva riduzione della por-tata del principio di ordine pubblico”, prosegue la Corte,“è coerente con la storicità della nozione e trova unlimite soltanto nella potenziale aggressione dell’attogiuridico straniero ai valori essenziali dell’ordinamentointerno, da valutarsi in armonia con quelli della comu-nità internazionale”. Vale rilevare che, a sostegno di taleposizione, la Corte richiama – facendo uso significativodell’argomento comparativo – la decisione con la qualela Corte federale di giustizia tedesca ha riconosciuto latrascrivibilità nell’ordinamento interno dell’atto dinascita del minore nato a seguito del ricorso alla gesta-zione per altri, con indicazione di entrambi igenitori intenzionali (si trattava di due padri: BGH, 10-19 dicembre 2014, X. c. Land di Berlino, trad. it. di R.De Felice su www.personaedanno.it, 2015). In conseguenza, la Corte enuncia il seguente principio

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di diritto: “il giudice italiano, chiamato a valutare lacompatibilità con l’ordine pubblico” dell’atto di nasci-ta straniero, “deve verificare non già se l’atto stranie-ro applichi una disciplina della materia conforme odifforme rispetto ad una o più norme interne (sep-pure imperative o inderogabili), ma se esso contra-sti con le esigenze di tutela dei diritti fondamentalidell’uomo, desumibili dalla Carta costituzionale, daiTrattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentalidell’Unione europea, nonché dalla Convenzione euro-pea dei diritti dell’uomo”. Così delineati i termini (e iconfini) del proprio giudizio, la Corte entra nel merito,affrontando la questione della compatibilità dell’atto dinascita con la “tutela dell’interesse superiore del mino-re, anche sotto il profilo della sua identità personale esociale, e in generale del diritto delle persone di auto-determinarsi e formare una famiglia, valori già presen-ti nella Carta costituzionale (artt. 2, 3, 31 e 32 Cost.) ela cui tutela è rafforzata dalle fonti sovranazionali checoncorrono alla formazione dei principi di ordine pub-blico internazionale”.L’interesse del minore, ricostruito alla luce della nor-mativa interna e internazionale che lo disciplina, consi-ste nel caso di specie – secondo la Corte – nel “dirittoa conservare lo status di figlio” nei confronti dientrambe le madri, come riconosciuto dall’atto dinascita estero di cui si chiede la trascrizione. Tale dirit-to – prosegue la Corte – è strettamente connesso conquello alla vita privata e all’identità, non solo fisica,ma anche personale e sociale del minore, come ripe-tutamente sostenuto dalla Corte europea dei diritti del-l’uomo, la cui giurisprudenza è diffusamente richiama-ta; a ciò deve aggiungersi che il diniego di trascrizione,negando la continuità dello status di figlio rispetto allamadre di nazionalità italiana, precluderebbe al minorel’acquisto della cittadinanza italiana. Ne consegue che“il mancato riconoscimento in Italia del rapporto difiliazione, legalmente e pacificamente esistente inSpagna (tra il minore e la madre che non lo ha partori-to, ma ha donato l’ovulo poi fecondato e impiantatonell’utero della moglie), determinerebbe una «incertez-za giuridica» già stigmatizzata dalla Corte EDU – ilriferimento della Corte va al caso Mennesson c.Francia, del 26 giugno 2014 – ovvero una «situazionegiuridica claudicante» (Corte federale tedesca del2014, cit.), che influirebbe negativamente sulla defi-

nizione dell’identità personale del minore, in consi-derazione delle conseguenze pregiudizievoli concer-nenti la possibilità, non solo di acquisire la cittadinan-za italiana e i diritti ereditari, ma anche di circolare nelterritorio italiano e di essere rappresentato dal genitorenei rapporti con le istituzioni italiane, al pari degli altribambini e anche di coloro che, nati all’estero, abbianoottenuto il riconoscimento negato” nel caso di specie.Inoltre, negare al minore la continuità della relazio-ne giuridica con entrambe le madri radicherebbeuna violazione dell’art. 24, par. 3, della Carta deidiritti dell’UE (ivi), che sancisce il diritto a mantene-re rapporti significativi con entrambi i genitori,indipendentemente – all’evidenza – dal loro sesso oorientamento sessuale.A tale conclusione non è di ostacolo l’esistenza (invo-cata dai ricorrenti) di un margine di apprezzamento,riconosciuto agli Stati dalla Corte EDU ma in formaassai ristretta qualora si versi in ipotesi di tutela di dirit-ti legati alla sfera più intima della dignità dell’indivi-duo quale, in questo caso, il diritto all’identità persona-le e alla vita privata, su cui incide il riconoscimentodello status di figlio e della sua continuità interordina-mentale. Né può ostare il rilievo che la nascita delminore sia avvenuta a seguito del ricorso ad unapratica di procreazione medicalmente assistita nonconsentita dalla legge italiana. “Non si può ricorrerealla nozione di ordine pubblico” afferma la Corte, “pergiustificare discriminazioni nei confronti [del minore]a causa della scelta di coloro che lo hanno messo almondo mediante una pratica di procreazione assistitanon consentita in Italia. Vi sarebbe altrimenti una vio-lazione del principio di uguaglianza, intesa come paridignità sociale di tutti i cittadini e come divieto di dif-ferenziazioni legislative basate su condizioni personalie sociali”.Pertanto, la Corte può enunciare il secondo principio didiritto: “il riconoscimento dell’atto straniero nel qualerisulti la nascita di un figlio da due donne nell’ambitodi un progetto genitoriale realizzato dalla coppia noncontrasta con l’ordine pubblico per il solo fatto che illegislatore non preveda o vieti il verificarsi di una simi-le fattispecie nell’ordinamento italiano, dovendosiavere riguardo al principio, di rilevanza costituziona-le primaria, dell’interesse superiore del minore, chesi sostanzia nel suo diritto alla continuità dello sta?

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tus filiationis, validamente acquisito all’estero”.La Corte passa poi ad occuparsi del “bilanciamento”,invocato dai ricorrenti, tra l’interesse del minore edaltri princìpi – asseritamente di pari rango – ed indivi-duati (sempre secondo i ricorrenti): nei princìpi desu-mibili dai divieti e nelle norme inderogabili contenutenella legge n. 40/2004 in tema di procreazione medical-mente assistita; nel principio secondo cui è madre solocolei che partorisce (art. 269 c.c.) e nel principio chenella tutela riconoscibile alle coppie omosessuali nonrientrerebbe l’ambito della genitorialità.Sul primo profilo, ribadendo quanto già affermato intema di portata (e limiti) del giudizio di non contrarie-tà all’ordine pubblico, la Corte esclude che la discipli-na di cui alla legge n. 40/2004 possa rappresentare unutile parametro di valutazione ai fini di tale giudizio,non rientrando tra i valori costituzionali primari di cuideve essere assicurata la preminente applicazione,anche e soprattutto in virtù dell’ampia discrezionalitàdi cui il legislatore gode nella materia. Il principio didiritto è, pertanto, il seguente: “l’atto di nascita stra-niero (…) da cui risulti la nascita di un figlio da duemadri (…) non contrasta di per sé con l’ordine pub-blico per il fatto che la tecnica procreativa utilizza-ta non sia riconosciuta in Italia dalla legge n.40/2004, la quale rappresenta una delle possibili moda-lità di attuazione del potere regolatorio attribuito allegislatore su una materia, pur eticamente sensibile e dirilevanza costituzionale, sulla quale le scelte legislativenon sono costituzionalmente obbligate”.In tale quadro, la Corte esclude peraltro che la partico-lare tecnica procreativa cui hanno fatto ricorso le duedonne (ovodonazione a favore della moglie) rientrinella fattispecie della surrogazione di maternità, bensìpiuttosto in una ipotesi “intermedia”, che presenta ele-menti della fecondazione eterologa (con riguardo algamete maschile) e della fecondazione omologa, inquanto l’ovodonazione avviene all’interno della coppiae nell’ambito di un progetto di genitorialità condiviso.In ogni caso, prosegue la Corte, il fatto che il ricorsoa tale pratica sia vietato – in Italia – alle coppie dellostesso sesso “non esprime un valore costituzionalesuperiore ed inderogabile, idoneo ad assurgere aprincipio di ordine pubblico”.Né può essere assunto a principio inderogabile diordine pubblico quello secondo cui, nel nostro ordi-

namento, madre è colei che partorisce, enunciatoall’art. 269 c.c. Tale principio, lungi dal rappresentare,come preteso dai ricorrenti, un portato giusnaturalistico(così espressamente la Procura generale di Torino e ilMinistero dell’Interno, cfr. par. 11, p. 47), nasce da unaregola di esperienza, progressivamente integrata esuperata dall’evoluzione scientifico-tecnologica. Allaluce di essa, l’attribuzione della maternità può esse-re inquadrata in una cornice più ampia, aperta allarilevanza centrale della trasmissione del patrimoniogenetico ma anche, entro certi limiti, al rilievo delconcetto di “responsabilità genitoriale” specie quan-do, come nella specie, la non coincidenza tra parto etrasmissione del patrimonio genetico consegua ad unpeculiare progetto genitoriale nell’ambito di una cop-pia omosessuale.Biologia, genetica e intenzione sembrano così poteressere composte in armonia, ai fini del più correttoinquadramento delle dinamiche che conducono alla rea-lizzazione di un progetto di omogenitorialità, rilevan-te ai fini della attribuzione di effetti (sul piano dellacostituzione o del riconoscimento degli status di genito-re e figlio) a tali progetti secondo il diritto italiano (perla soluzione di conflitti interordinamentali, come nellaspecie, ma a ben vedere non soltanto in tali ipotesi). In considerazione di tutte le argomentazioni che prece-dono, la Corte enuncia un ulteriore e fondamentaleprincipio di diritto, “la regola secondo cui è madrecolei che ha partorito, a norma del terzo comma del-l’art. 269 c.c., non costituisce un principio fonda-mentale di rango costituzionale, sicché è riconosci-bile in Italia l’atto di nascita straniero dal qualerisulti che un bambino, nato da un progetto genito-riale di coppia è figlio di due madri (una che lo hapartorito, e l’altra che ha donato l’ovulo), non essendoopponibile un principio di ordine pubblico desumi-bile dalla suddetta regola” (par. 11.1, p. 52).Così affermata la trascrivibilità, la Corte può passare adaffrontare l’ultima obiezione, relativa all’orientamentosessuale della coppia nell’ambito della quale è statorealizzato il progetto genitoriale, di cui si chiede il rico-noscimento secondo le norme del diritto internazionaleprivato.Secondo i ricorrenti, infatti, la contrarietà dell’atto dinascita straniero all’ordine pubblico andrebbe infinededotta dalla preclusione – per le coppie dello stesso

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sesso – di accedere e realizzare progetti di genitoriali-tà, che restano non riconosciuti né, in ipotesi, ricono-scibili dall’ordinamento italiano. Sul punto, la Corteargomenta in modo molto chiaro, anche riprendendo lapropria giurisprudenza in materia. Tra le pieghe delgiudizio di non contrarietà all’ordine pubblico, èpossibile individuare un vero e proprio inquadra-mento sistematico dell’omogenitorialità nel nostroordinamento, capace di assumere rilevanza anche al dilà delle peculiarità del caso di specie.Anzitutto, ai fini del giudizio di non contrarietà all’or-dine pubblico – non è possibile sostenere l’esistenza diun principio costituzionale fondamentale idoneo adimpedire l’ingresso in Italia dell’atto di nascita inragione di una asserita preclusione ontologica per lecoppie formate da persone dello stesso sesso (unite dauno stabile legame affettivo) di accogliere, di allevaree anche di generare figli.Tale asserzione è fondata su quattro elementi fonda-mentali, puntualmente enunciati dalla Corte: a) l’ine-renza della scelta di diventare genitori e formare unafamiglia alla “fondamentale e generale libertà di auto-determinarsi”, come affermato dalla Corte costituzio-nale nella sentenza n. 162/14; b) l’indifferenza dellacornice giuridica del rapporto tra i genitori – dunque,del matrimonio – rispetto alle vicende relative allo sta-tus di figlio (C. Cost., n. 166/98), da cui consegue che“l’elemento di discrimine rappresentato dalla diversitàdi sesso tra i genitori – che è tipico dell’istituto matri-moniale – non può giustificare una condizione deterio-re per i figli né incidere negativamente sul loro status”(par. 12.1, pp. 54-55); c) il principio, confermato dallaCorte stessa a partire dalla sentenza n. 601/13, secondocui l’orientamento sessuale di una persona non incidesulla sua idoneità ad assumere la responsabilità genito-riale e, di conseguenza, “l’asserita dannosità” dell’inse-rimento del figlio “in una famiglia formata da una cop-pia omosessuale va dimostrata in concreto e non puòessere fondata sul mero pregiudizio” (par. 12.1, p. 55);d) la circostanza che, a partire da Cass., Sez. I Civ., n.12962/16, è consentito il ricorso all’adozione in casiparticolari, in coppie omosessuali, ai sensi dell’art. 44,comma 1, lett. d), della legge n. 184/1983: ciò confer-ma “che le coppie omosessuali ben possano adeguata-mente accogliere figli e accudirli”.La Corte compone così in armonia i diversi principi

affermati dalla giurisprudenza in tema di omogenitoria-lità, inserendoli nella cornice rappresentata dagli artt. 2e 3 della Costituzione e, dunque, nell’alveo della fon-damentale libertà di autodeterminarsi, in materia perso-nale, affettiva, familiare, in condizioni di pari dignitàsociale.Sullo sfondo, o meglio alla base di simile ricostruzio-ne, la consapevolezza che la nozione di vita familiaredebba essere ormai declinata in concreto, avutoriguardo ai rapporti che si instaurino nell’ambito dellacomunità familiare, e che meritano tutela, nell’equili-brio tra gli interessi coinvolti, con particolare riguardoa quello del minore. E tale nozione, afferma significa-tivamente la Corte, neppure suppone necessariamentela discendenza biologica dei figli, la quale non è piùconsiderata requisito essenziale della filiazione, comeaffermato dalla Corte costituzionale a partire dalla sen-tenza n. 162/14, in tema di tecniche di p.m.a. eterologa.La radice della meritevolezza di riconoscimento e tute-la del vincolo familiare son ricondotti (anche per lecoppie omogenitoriali), piuttosto che ad elementi dicarattere biologico, alla “fondamentale e generalelibertà delle persone di autodeterminarsi e formare unafamiglia, a condizioni non discriminatorie”.Sulla scia di quanto primariamente affermato dallaCorte di legittimità, il Tribunale di Napoli con decretodell’11 novembre 2016 (depositato in data 6 dicembre2016), ha ordinato all’Ufficiale dello stato civile diNapoli di trascrivere l’atto di nascita di un minore, for-mato in Spagna, con l’indicazione di entrambe lemadri, cittadine italiane coniugate tra loro e residenti inSpagna.La decisione interviene a pochi mesi dalla fondamenta-le pronuncia della Suprema Corte di cassazione, sez. I,n. 19599/2016, dettando una corposa serie di principi didiritto idonei a guidare gli orientamenti della giurispru-denza in tema di trascrizione degli atti di nascita forma-ti all’estero, recanti l’indicazione di due genitori dellostesso sesso.La decisione napoletana si pone nel solco del recentearresto della Corte di legittimità, specie sul punto delladeclinazione del concetto di ordine pubblico non in ter-mini di compatibilità con l’ordinamento italiano ma neitermini, più larghi, di compatibilità con le esigenze ditutela dei diritti fondamentali desumibili dallaCostituzione, dal diritto primario e dalla Carta dei dirit-

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ti fondamentali dell’Unione, nonché dalla Convenzioneeuropea dei diritti dell’uomo (cd. ordine pubblico inter-nazionale). Come avvenuto nel caso deciso dallaCassazione, peraltro, è proprio questa accezione delconcetto di ordine pubblico a consentire di ritenere nonostativi alla trascrizione tanto il principio di cui all’art.269, comma 3, c.c., secondo cui è madre colei che par-torisce, quanto la circostanza che l’ordinamento italia-no non contempli (per ora) che “persone dello stessosesso possano essere entrambe genitori dello stessofiglio”.Rispetto alla decisione della Corte di cassazione, lapronuncia napoletana presenta, tuttavia, taluni elemen-ti di particolare interesse.Anzitutto, in più di un passaggio della decisione, parti-colare rilievo è dato – ai fini della valutazione dellacompatibilità dell’atto di nascita straniero con l’ordinepubblico – all’avvenuta introduzione, nel nostro ordi-namento, dell’istituto dell’unione civile tra personedello stesso sesso. Detto istituto, seppur non coinciden-te con quello matrimoniale, è ad esso ritenuto “assimi-labile”, con la conseguenza di ritenere ormai piena-mente compatibile con l’ordine pubblico, anche in rela-zione a tale profilo, la tutela dei legami familiari sussi-stenti in famiglie omogenitoriali.In quest’ottica, afferma infatti il Tribunale, “l’accerta-mento della genitorialità fondato su maternità diversada quella biologica, ma ad essa riconducibile in forzadel rapporto esistente tra le due donne” è valore com-patibile con l’ordine pubblico, specie se si valuta che“anche nell’ordinamento nazionale italiano è statointrodotto un istituto, quello delle unioni civili, checerto somiglia alle iustae nuptiae dalle quali sono lega-te le due donne, e che il vincolo è di portata tale da con-sentire, nell’interesse del figlio, che si veicoli dall’unaall’altra donna, la capacità, già dimostrata nella convi-venza di fatto, di svolgere il compito di madre, pur sepriva della qualifica di partoriente”.La sussistenza di un legame stabile e giuridicamentericonosciuto tra le due donne – coniugate in Spagna –non è tuttavia l’unico presupposto che conduce ilTribunale ad affermare la trascrivibilità dell’atto dinascita straniero. Assume infatti particolare rilievo – come già nella deci-sione della Corte di cassazione, ma con accenti diver-samente affascinanti – l’esistenza di un progetto di

genitorialità condiviso tra le due donne che risulta,soprattutto, dalla prestazione del consenso, da partedella madre non biologica, al ricorso alla procreazionemedicalmente assistita di tipo eterologo. In questo pro-filo della decisione risiede un importante elemento dinovità, anche rispetto alla pronuncia della Corte diCassazione. Se infatti, nel caso all’esame della Corte dilegittimità, la nascita del minore era avvenuta a segui-to di una fecondazione eterologa dell’ovulo di una delledue madri, con successivo impianto dell’embrione nel-l’utero dell’altra (assumendo dunque le due madri,rispettivamente, lo status di madre genetica e biologi-ca), in questo caso si era fatto ricorso unicamente allafecondazione eterologa. Pertanto, la relazione dellamadre non biologica con il minore riposa e si fonda – oltre che, come si è visto, sulla sussistenza di un rap-porto stabile con la madre biologica (dapprima convi-venza di fatto, poi coniugio) – sul consenso a suotempo prestato al ricorso alla fecondazione eterologa. Si tratta di un aspetto assai rilevante, che la decisionesottolinea con forza. Il diniego di trascrivere l’atto dinascita rappresenterebbe infatti una violazione dell’in-teresse del minore – ed anzi, come afferma significati-vamente il Tribunale, della stessa “personalità delfiglio” (p. 7) – il cui carattere sproporzionato divieneparticolarmente evidente “in presenza di un modellofamiliare che può ricevere legittimazione a sufficienzadal raccordo tra il dato materiale, il parto, e il dato spi-rituale, l’atto di assunzione della responsabilità dimadre” da parte della moglie della madre biologica (p.7). Da tutti questi rilievi consegue che l’ordine pubbli-co non può essere ritenuto ostativo alla trascrizione del-l’atto di nascita del minore “nato nell’ambito di unastabile relazione affettiva tra due persone dello stessosesso condividenti un progetto di genitorialità”, che sirealizza attraverso la feconda integrazione tra biologiae intenzione.Si tratta, peraltro, di un principio non estraneo all’ordi-namento italiano, se solo si considera che la stessalegge n. 40/2004 vieta, all’art. 9, il disconoscimentodella paternità (o l’anonimato della madre) al coniuge eal convivente che abbia prestato il consenso al ricorsoa tecniche di p.m.a. di tipo eterologo, ormai consentitenel nostro ordinamento dopo l’intervento della senten-za n. 162/14 della Corte costituzionale.I figli venuti al mondo grazie a tecniche di p.m.a. ete-

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rologa devono poter mantenere intatto il proprio dirittoa veder riconosciuta dall’ordinamento giuridico la pro-pria relazione con entrambi i genitori e, come affermasignificativamente il Tribunale, a “non essere sradicatidal nucleo sociale” creato in forza del progetto di vitafamiliare e genitorialità condiviso da due madri (o dadue padri) e dunque indipendentemente dall’orienta-mento sessuale della coppia che a tale progetto abbiadato vita (A. Schillaci, Il Tribunale di Napoli ordina latrascrizione di un atto di nascita straniero con duemadri, in Articolo29, 2017).La decisione conferma, pertanto, che nella costituzionedegli status familiari ed, in particolare, dello status digenitore, l’elemento materiale e quello spirituale benpossono intrecciarsi, dando così corpo, riconoscimentoe protezione ai diversi percorsi esistenziali e alle diver-se esperienze, in materia personale e familiare, cuidà vita l’autodeterminazione del singolo.Recentissimamente, la Corte d’Appello di Trento, indata 23 febbraio 2017, ha disposto il riconoscimento diefficacia giuridica al provvedimento straniero che sta-biliva la sussistenza di un legame genitoriale tra dueminori nati grazie alla gestazione per altri – nel quadrodi un progetto di genitorialità in coppia omosessuale –ed il loro padre non genetico.La pronuncia è di assoluta rilevanza, in quanto per laprima volta un giudice di merito applica, in una coppiadi due padri, i principi enunciati dalla Corte diCassazione, con la sentenza n. 19599/2016, in tema ditrascrizione dell’atto di nascita straniero recante l’indi-cazione di due genitori dello stesso sesso.L’ordinanza richiama alcuni capisaldi della decisionedella Suprema Corte, ed in particolare: a) in merito algiudizio di compatibilità tra il provvedimento stranieroe l’ordine pubblico, la necessità di far riferimento ad unconcetto di ordine pubblico dai contorni larghi, al finedi valutare non già se il provvedimento straniero appli-chi una disciplina della materia corrispondente a quel-la italiana, bensì piuttosto se esso appaia conforme alleesigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo (inquesto caso, del minore) come garantiti dallaCostituzione italiana e dai principali documenti inter-nazionali in materia; b) l’esigenza di salvaguardare ildiritto del minore alla continuità dello status filiationisnei confronti di entrambi i genitori, il cui mancato rico-noscimento non solo determinerebbe un grave pregiu-

dizio per i minori, ma li priverebbe di un fondamentaleelemento della loro identità familiare, così come acqui-sita e riconosciuta nello stato estero in cui l’atto dinascita è stato formato; c) l’assoluta indifferenza delletecniche di procreazione cui si sia fatto ricorso all’este-ro, rispetto al diritto del minore al riconoscimento dellostatus filiationis nei confronti di entrambi i genitori chelo abbiano portato al mondo, nell’ambito di un proget-to di genitorialità condivisa.A tale ultimo riguardo, sempre limitandosi a sinteti-che notazioni a prima lettura, merita di essere sottoli-neato un passaggio, nel quale la Corte d’Appello diTrento fa giustizia della pretesa esclusività del para-digma genetico/biologico nella costituzione dellostato giuridico di figlio e, correlativamente, di genito-re (A. Schillaci, Due padri, i loro figli: la Corte diAppello di Trento riconosce per la prima volta il lega-me tra i figli e il padre non genetico, in Articolo29,2017). Secondo la Corte, infatti, l’insussistenza di unlegame genetico tra i minori e il padre non è di osta-colo al riconoscimento di efficacia giuridica al prov-vedimento straniero: si deve infatti escludere “che nelnostro ordinamento vi sia un modello di genitorialitàesclusivamente fondato sul legame biologico fra ilgenitore e il nato; all’opposto deve essere consideratal’importanza assunta a livello normativo dal concettodi responsabilità genitoriale che si manifesta nellaconsapevole decisione di allevare ed accudire il nato;la favorevole considerazione da parte dell’ordinamen-to al progetto di formazione di una famiglia caratteriz-zata dalla presenza di figli anche indipendentementedal dato genetico, con la regolamentazione dell’istitu-to dell’adozione; la possibile assenza di relazione bio-logica con uno dei genitori (nella specie il padre) peri figli nati da tecniche di fecondazione eterologa con-sentite” (pp. 17-18).In questo senso, molto interessante anche l’esame con-dotto dalla Corte territoriale in ordine alla recente sen-tenza Paradiso e Campanelli c. Italia della Corte euro-pea dei diritti dell’uomo, del 24.1.2017: in particolare,la Corte d’Appello mette in luce l’assoluta peculiaritàdel caso deciso dalla Corte di Strasburgo, specie sottoil profilo della pluralità di elementi che avevano con-dotto la Corte alla pronuncia negativa (e dunque, nonsolo l’assenza di legame biologico, ma anche e soprat-tutto la breve durata della relazione familiare di fatto in

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quel caso stabilitasi tra il bambino e i genitori intenzio-nali nonché la precarietà dei legami dal punto di vistagiuridico), così escludendo che il decisum diStrasburgo possa rappresentare un ostacolo al ricono-scimento del legame tra i minori ed il loro padre nongenetico.Dalla Corte d’Appello di Trento giunge così una signi-ficativa conferma – per la prima volta a proposito diuna famiglia omogenitoriale con due padri, e sempremettendo al centro la salvaguardia dell’interesse delminore – che madri e padri si diventa non soltanto gra-zie al corpo, o ai geni, ma anche e soprattutto grazieall’intenzione, dunque alla volontà che sappia tradursiin consapevole assunzione di responsabilità.Al di là della problematica di ordine pubblico, se lalegge dello Stato dove si è svolta la maternità surroga-ta attribuisce la paternità solo ad un membro della cop-pia omosessuale committente (ad es. la padre biologi-co), l’altro potrà esperire il tentativo di adottare il bam-bino con le modalità dell’adozione prevista in casi par-ticolari, di cui all’art. 44, comma 1, lett. d), L.184/1983 (Trib. Min. Roma, 30-7-14; Trib. Min. Roma,23-12-15; Trib. Min. Roma, 30-12-15), rispetto ai qualioccorre tener conto delle problemi significativi connes-si all’ammissibilità di tale fattispecie e non esaminabi-li in tale sedes materiae.Infine, merita menzione la recentissima sentenza n.272/2017 (18 dicembre 2017) con la quale la CorteCostituzionale, investita della questione di legittimitàcostituzionale dell’art. 263 c.c. sollevata dalla Corte diAppello di Milano, ha precisato che per lo status delnato da maternità surrogata è sempre necessario valuta-re l’interesse del minore. La Consulta nel ritenere nonfondata la questione di legittimità ha stabilito che ilgiudice chiamato a pronunciarsi sull’impugnazione delriconoscimento del figlio naturale concepito mediantesurrogazione di maternità è sempre tenuto a valutarecomparativamente l’interesse alla verità e l’interes-se del minore. E ciò anche nell’azione prevista dall’ar-ticolo 263. Vi sono casi in cui tale valutazione è fattadirettamente dalla legge (così è, ad esempio, per ildisconoscimento del figlio concepito da fecondazioneeterologa); ve ne sono altri in cui il legislatore impone,

all’opposto, l’imprescindibile presa d’atto della verità,con divieti come quello della maternità surrogata. Mal’interesse del minore non è per questo cancellato. Lavalutazione del giudice è presente, del resto, nello stes-so procedimento previsto dall’art. 264 cod. civ., voltoalla nomina del curatore speciale del figlio minore, lad-dove l’azione di contestazione dello status sia esercita-ta nel suo interesse. È anche in questa sede, infatti, cheil legislatore – sia pure con i limiti derivanti dalla natu-ra camerale del procedimento – ha affidato al giudicespecializzato il compito di valutare, ancor prima del-l’instaurazione dell’azione, l’interesse del minoreall’assunzione di tale iniziativa giudiziale.Se, dunque, non è costituzionalmente ammissibile chel’esigenza di verità della filiazione si imponga in modoautomatico sull’interesse del minore, va parimentiescluso che bilanciare quell’esigenza con tale interessecomporti l’automatica cancellazione dell’una in nomedell’altro.Tale bilanciamento comporta, viceversa, un giudiziocomparativo tra gli interessi sottesi all’accertamentodella verità dello status e le conseguenze che da taleaccertamento possano derivare sulla posizione giuridi-ca del minore.Nel silenzio della legge, la valutazione è, dunque, piùcomplessa della sola alternativa vero/falso. Tra levariabili di cui tener conto, “oltre alla durata del rap-porto con il minore e, quindi, alla condizione identita-ria già acquisita, oggi assumono particolare rilevanza lemodalità del concepimento e della gestazione” e la pos-sibilità per il genitore sociale di stabilire, mediantel’adozione in casi particolari, un legame giuridico chegarantisca al minore un’adeguata tutela. Nella valutazione comparativa rimessa al giudice rientraanche la considerazione dell’elevato grado di disvaloreche il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione dimaternità, che “offende in modo intollerabile la dignitàdella donna e mina nel profondo le relazioni umane”. Sitratta, dunque, di una valutazione comparativa dellaquale, nel silenzio della legge, fa parte necessariamentela considerazione dell’elevato grado di disvalore che ilnostro ordinamento riconnette alla surrogazione dimaternità, vietata da apposita disposizione penale.

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1. Nozione e profili generaliLa definizione di ente pubblico, come soggetto distintoda quello di diritto privato, è sempre stata oggetto di unvivace dibattito dottrinale a causa di una serie di fattoriche hanno contribuito a rendere complessa la classifica-zione di queste articolazioni dell’organizzazione pubbli-ca1. Il suddetto modello organizzativo si presenta, infatti,come estremamente complesso ed eterogeneo, in quantonelle varie fasi storiche che hanno attraversato il nostroordinamento giuridico se ne sono rinvenute diverse tipo-logie2. In linea generale, può dirsi che, convenzionalmente, siindica come ente pubblico “una persona giuridica pub-blica che persegue fini rilevanti per l’ordinamento giuri-dico statale sulla base di una missione affidata diretta-

mente dalla legge ed eventualmente concretizzata consuccessivi atti amministrativi”3.Da tale definizione emer-ge che, di massima, è la stessa legge a disporre l’istituzio-ne dell’ente pubblico e ad esplicitare quando tale sogget-to assume personalità giuridica. In tutti gli altri casi, èstato determinante il contributo di giurisprudenza e dot-trina, al fine di consentire una chiara qualificazione di talisoggetti.La locuzione “ente pubblico”, in definitiva, ha rappresen-tato nel linguaggio dottrinale, ma anche in quello legisla-tivo, una delle categorie in cui si suddivide l’organizza-zione pubblica considerata nel suo complesso. Il termine“pubblico” quindi designa quegli enti che l’ordinamentopositivo qualifica come tali secondo un’accezione forma-le che molte tesi dottrinali hanno manifestato la tendenza

Sopravvenienze atipiche e rimediParte I

Antonina ZuccariFunzionario pubblico

Il dibattito circa l’efficacia dell’attuale sistema di controlli nella pubblica amministrazione ha rivestito un ruolocentrale nella fase di elaborazione di tutti i progetti di riforma organizzativa e strutturale dell’Amministrazione,soprattutto a partire dagli anni Novanta del secolo scorso. Ciò in quanto l’evoluzione della struttura dei controlli risulta strettamente collegata alle trasformazioni dell’or-ganizzazione amministrativa e dello stesso concetto di funzione pubblica, nonché ai rapporti tra le varie compo-nenti soggettive dell’amministrazione, di modo che le riforme in tali settori incidono in maniera più o meno diret-ta sul sistema dei controlli che risulta in continuo divenire. Pertanto, nel presente contributo, dopo un inquadramento di carattere generale in ordine alle peculiarità dell’en-te pubblico, ed in particolare di quello previdenziale, sarà effettuata un’analisi dell’evoluzione normativa relati-va al sistema dei controlli amministrativi e delle tipologie di controllo previste per gli enti previdenziali.Successivamente, la presente disamina si appunterà sull’impatto che tale sistema dei controlli ha avuto sull’atti-vità istituzionale dei predetti enti e sull’efficacia della correlata azione amministrativa.Infine, nelle considerazioni conclusive verrà dato ampio spazio ai profili di criticità connessi allo svolgimentodelle differenti forme di controllo ed alle proposte di riforma prospettate nelle varie sedi istituzionali.

SOMMARIO: 1. Nozione e profili generali – 2. Inquadramento storico e evoluzione del fenomeno – 3. Riflessioni sull’at-tualità della nozione di ente pubblico – 4. Caratteri generali dei controlli negli enti pubblici e rapporti con la loro auto-nomia organizzativa e contabile – 5. La vigente normativa degli enti previdenziali in tema di governance e controlli –6. Evoluzione della disciplina dei controlli interni. Controllo di gestione e controllo strategico – 7. Il nuovo sistema deicontrolli interni delineato dal D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150. Il Ciclo di gestione della performance – Segue...

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a negare perché incentrate su una visione di carattere fun-zionale tendente a porre in evidenza la presenza, nell’am-bito della stessa tipologia, di enti caratterizzati da compi-ti spesso del tutto disomogenei4.Sul punto, rimanendo nell’ambito di una prospettiva ditipo formale, può dirsi che gli enti pubblici nascono aseguito di due ordini di fenomeni. Nel primo caso l’enteviene costituito a seguito di un atto di organizzazionedello Stato che per far fronte a nuove esigenze ammini-strative, anziché potenziare i propri uffici o creare ulterio-ri articolazioni organizzative al proprio interno, crea unente nuovo con propria personalità giuridica, cui affida lacura di determinati interessi qualificabili di pubblico inte-resse. Una seconda e diversa ipotesi si realizza quando lo Statonon crea ex novo un ente ma provvede a riconoscerecome pubbliche precedenti organizzazioni di natura pri-vatistica alle quali hanno fatto capo interessi fino a quelmomento ascrivibili, appunto, all’autonomia privata5.La categoria di enti pubblici non economici forse più rile-vante è costituita dagli enti adibiti all’erogazione di servi-zi “aventi regimi giuridici particolari, nel senso che pre-sentano delle commistioni di tratti di diritto pubblico etratti di diritto privato”6. Gli enti previdenziali e assisten-ziali rientrano nella suddetta tipologia in quanto hanno“come finalità istituzionale quella di produrre servizi diprevidenza e assistenza che costituiscono beni immate-riali e intangibili che hanno la caratteristica di essereconsumati al momento della loro erogazione”7. La quali-ficazione di detti come “non economici”, non implica cheessi non svolgano attività tipicamente economiche qualil’acquisizione di risorse, l’avvio di processi produttivi el’erogazione di servizi a determinate categorie di utenti.

2. Inquadramento storico e evoluzione del fenomenoPremessi i necessari aspetti definitori, occorre chiarireche l’inquadramento storico delle differenti manifestazio-ni che il fenomeno ha assunto nel tempo può consentireuna migliore comprensione dello stesso, anche alla lucedella circostanza che la tipologia di enti affermatasi nelnostro ordinamento è stata di volta in volta strumentalealla tutela di interessi riconosciuti di preminente rilievopubblico nel periodo considerato.In particolare, la dottrina ha individuato tre diversiperiodi di sviluppo di questa forma di amministrazioneindiretta8.

Gli esordi possono farsi risalire alle leggi crispine (1888-90) con le quali si riconoscono come pubbliche le funzio-ni svolte dalle Casse di risparmio, dai monti di credito supegno e dalle IPAB. Questa fase, che vede l’interventodello Stato in settori del tutto nuovi, ha dato vita in quel-lo che Sabino Cassese avrebbe definito “un ulterioreapparato amministrativo, un sistema amministrativocompletamente diverso”9. Ciò in quanto la dilatazionedello Stato-apparato, che si colloca nei primi decennidello Stato pre-unitario, era caratterizzato dalla creazionedi strutture interne e non da nuove entità giuridiche comerisultano essere quelle in esame.Ed è in questa fase, in particolare, che si fa risalire l’isti-tuzione dei primi enti di previdenza e assistenza, con lanascita prima dell’INAIL (1889) e poi dell’INPS (1898). In un periodo successivo, che si può orientativamentecollocare tra il 1915 e il 1943, comprendendo, pertanto,anche il trentennio fascista, si assiste ad un ampliamentodel sistema ed ad una vera pubblicizzazione di numerosisoggetti privati come i consorzi agricoli, gli istituti di cre-dito e le associazioni sindacali. Ed, in effetti, la maggior crescita di tali enti si registraproprio nel periodo fascista ed è imputabile all’esigenzaavvertita dal regime di avvalersi di corpi professionaliappositamente selezionati e non della classe dirigente for-matasi durante lo Stato liberale. Inoltre, lo sviluppo diquesta sorta di amministrazione parallela ha consentito didisporre liberamente dei flussi finanziari al di fuori dellerigide regole della contabilità dello Stato. In questo perio-do, quindi, vengono istituiti una sessantina di nuovi entiche operano in settori precedentemente esclusi dall’inter-vento dello Stato, la cui cura era affidata a singoli entitàdi stampo privatistico. Molti di questi rappresentano lostrumento con il quale lo Stato estende il suo interventonell’economia, ma si connotano per essere enti con capa-cità di diritto privato non dotati di poteri d’imperio comegli altri enti pubblici afferenti alla categoria degli enti c.d.non economici.Altre ragioni vanno ricercate nel tentativo di progressivoaffrancamento da parte della dirigenza dalle intromissio-ni della classe politica, nell’irrigidimento dell’apparatoburocratico statale al quale la classe politica rispondeassegnando i nuovi compiti di cui lo Stato si fa carico adentità formalmente separate ma sottoposte ad un pervasi-vo controllo statuale. In definitiva, si individua nello stru-mento ente pubblico la modalità per sfuggire alle strette

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maglie organizzative e burocratiche dei ministeri, nonchéai vincoli delle leggi di contabilità, per cui la storia del-l’ente pubblico, come sostenne Barettoni Arleri “è alme-no in parte la storia della sottrazione dei centri di spesaall’organizzazione centrale ministeriale e alle norme dicontabilità a queste relative”10. Nell’immediato secondo dopo guerra e fino alla finedegli anni ’60 si registra una nuova fase di diffusione delfenomeno che in questo caso appare maggiormente lega-ta alla necessità di garantire autonome provviste finanzia-rie per le politiche di sviluppo; emblematica sotto taleprofilo è stata l’istituzione della Cassa per ilMezzogiorno. Si procedette inoltre ad imponenti misuredi nazionalizzazione che diedero origine all’Ente nazio-nale idrocarburi (ENI) e all’Ente nazionale per l’energiaelettrica (ENEL). Pertanto, non si interrompe il processodi fuga dall’Amministrazione centrale, ma al contrariovenne rafforzato quello che sarebbe stato definito il c.d.“parastato” per cui all’Amministrazione centrale e aglienti territoriali si affiancarono in misura sempre più con-sistente gli enti strumentali e le imprese pubbliche. I primi anni settanta sono stati caratterizzati dall’avvio diun intenso dibattito sull’utilità del modello organizzativo,per cui prima con la legge 20 marzo 1975, n. 70, la c.d.“legge sul parastato” e poi con una serie di ulteriorinorme ad essa collegate (si cita a titolo esemplificativo lalegge n. 23 dicembre 1978, n. 833 di riforma del settoresanitario nazionale e il D.P.R. 24 luglio 1976, n. 616 sultrasferimento delle funzioni statali alle regioni) si opera-rono massicci interventi finalizzati a dare una disciplinadettagliata ed omogenea ad un settore caratterizzato dacomplessità ed eterogeneità. Il disegno di razionalizzazione degli enti pubblici noneconomici attuato con la legge 20 marzo 1975, n. 70trova le sue radici nella pressione esercitata da più partiper ridurre l’autonomia regolamentare e funzionale e lastessa discrezionalità amministrativa nell’area degli entipubblici non economici. In particolare tali pressioni veni-vano dalla Corte dei conti, tenace assertrice della genera-le sottoponibilità di tutti gli enti sovvenzionati dallo Statoalla stessa disciplina della contabilità e dei controlli degliuffici ministeriali, dal Ministero del tesoro, preoccupatodi riportare sotto il controllo finanziario della tesoreriatutta la finanza pubblica. Si assiste, così, all’uniformizza-zione dei controlli, delle modalità di nomina degli ammi-nistratori, del rapporto d’impiego nei confronti degli enti

inseriti nelle tabelle allegate alla legge n. 70/1975; all’in-troduzione, con la legge 24 gennaio 1978, n. 14 del con-trollo parlamentare sulla nomina degli amministratori; aitentativi, di riordinare ed omogeneizzare la contabilitàdegli enti pubblici, portati avanti soprattutto con la legge5 agosto 1978, n. 468 e col D.P.R. 21 dicembre 1979, n.696; all’istituzione della cosiddetta “tesoreria unica” conla legge 29 ottobre 1984, n. 720; fino all’emanazionedella legge-quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983,n. 93. Pertanto, “viene messo in atto un tentativo, da partedelle forze politiche, di ricondurre il sistema degli entipubblici non economici, da uno stile di amministrazionetendenzialmente tecnocratico a una sorta di secondaamministrazione ministeriale, più strettamente e quoti-dianamente retta dagli ordini puntuali (e non solo dagliatti d’indirizzo) del potere governativo”11.Negli anni Ottanta da una parte sono stati costituiti altrienti tra i quali l’Ente Ferrovie dello Stato, dall’altra si èproceduto ad avviare importanti processi di riforma di entigià esistenti12 tra i quali quello che ha visto la riorganizza-zione dell’INPS ad opera della legge 9 marzo 1989, n. 88. Dagli anni Novanta del secolo scorso ad oggi si assiste adun ampio processo di “alleggerimento” dell’imponenteapparato burocratico pubblico con una massiccio interven-to di riordino avvenuto con diverse modalità, quali priva-tizzazioni, esternalizzazioni e razionalizzazioni. In tale fasel’obiettivo dei Governi, anche sulla spinta del rispetto deivincoli di bilancio fissati a livello europeo, è la necessità ditenere sotto controllo il sistema di spesa del settore pubbli-co. Tale processo continua anche nel primo decennio deglianni duemila in riferimento al quale si cita a titolo esempli-ficativo il complesso processo di riordino, attuato semprecon finalità di contenimento della spesa pubblica, nei con-fronti di numerosi enti previdenziali e assistenziali pubbli-ci che vengono soppressi e fatti confluire, a seconda dellatipologia di attività svolta, nell’INPS e nell’INAIL dandoluogo alla concentrazione delle funzioni in argomento nel-l’ambito di due soli poli, rispettivamente, quello previden-ziale e quello assicurativo.

3. Riflessioni sull’attualità della nozione di ente pub-blicoAlle tradizionali difficoltà definitorie, connesse all’estre-ma atipicità degli enti pubblici, se ne aggiunge un’altra,che si è accentuata di recente, ossia la sempre meno nettadistinzione tra pubblico e privato.

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La situazione si è complicata in considerazione di duefenomeni, che hanno condotto ad un ridimensionamentodella rilevanza “soggettiva” della nozione di pubblico, afavore di una sua rilevanza “oggettiva”. Da un lato, i sog-getti pubblici utilizzano sempre di più gli strumenti didiritto privato, e i soggetti privati diventano sempre piùpubblici, dall’altro si assiste alla diffusione di forme orga-nizzative di diritto privato attraverso la trasformazione dienti pubblici economici in società per azioni e la trasfor-mazione di enti pubblici non economici in associazioni efondazioni.Al riguardo, si pensi all’imponente processo di privatiz-zazione di molti enti pubblici non economici, come la pri-vatizzazione delle casse di previdenza dei liberi profes-sionisti ad opera del D.Lgs. n. 509/1994, normativa che,al pari di quella relativa a privatizzazioni in altri settori,presenta numerose ambiguità che comprovano la diffi-coltà di disciplinare secondo moduli organizzativi civili-stici organizzazioni che esercitano attività di natura pub-blicistica. In tali decreti, infatti, nonostante il rinvio tra ledisposizioni finali alla disciplina del codice civile, ci siimbatte in una disciplina, soprattutto in materia di scopi edi controlli, che è sintomo di una pubblicità sostanziale.Inoltre, la costituzione ex lege di tali fondazioni e associa-zioni e non a seguito di un atto di autonomia privata costi-tuirebbe la conferma del carattere necessario dell’ente,necessarietà che ancora una volta richiama la natura del-l’ente pubblico13.In secondo luogo, è sempre più in espansione il fenome-no di far svolgere a soggetti privati attività dirette allacura di interessi pubblici: in questa direzione va l’accogli-mento della nozione oggettiva di servizio pubblico, maanche la costituzionalizzazione del principio di sussidia-rietà orizzontale richiamato dall’art. 118, u.c., Cost.. Anche alla luce dei cambiamenti intervenuti nell’ordina-mento anche sulla spinta del diritto dell’UnioneEuropea – che utilizza un criterio funzionale che ha datoluogo ad una nozione di pubblica amministrazione c.d. “ageometria variabile”, che si restringe o si allarga a secon-da dello scopo che la specifica disciplina persegue (sipensi, ad esempio, alla nozione di organismo di dirittopubblico)14 – ci si chiede se abbia senso parlare ancora didicotomia pubblico-privato o se non sia più opportunoprendere atto che ormai le due branche del diritto si avvi-cinano sempre più. Una conferma in questo senso giungedall’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modi-

ficato dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15 che conferma latendenza, già da tempo emersa in dottrina, a svalutarel’elemento soggettivo a favore di quello oggettivo. Ciò fasì che da una parte la pubblica amministrazione, perquanto non espressamente previsto dalla legge, applica ildiritto privato, mentre il soggetto privato che esercita atti-vità amministrativa, pur non essendo tenuto ad applicareil diritto amministrativo, deve rispettarne i principi gene-rali quali l’economicità, l’efficacia, la pubblicità e la tra-sparenza15..4. Caratteri generali dei controlli negli enti pubblici erapporti con la loro autonomia organizzativa e conta-bileLe norme istitutive degli enti pubblici non economici pre-vedevano il riconoscimento a favore degli stessi di unaspeciale autonomia, ossia una capacità di gestione inqualche modo differente ed autonoma da quella delloStato. Ciò comportava che le modalità di gestione fosse-ro libere e non dovessero seguire modelli e procedure uti-lizzati in precedenza. In definitiva può dirsi che la quali-ficazione di ente distinto dallo Stato loro attribuita e ilriconoscimento della personalità giuridica erano un tut-t’uno con l’autonomia riconosciuta a tali soggetti nellascelta delle modalità di perseguimento del fine indicatodalla legge16.Quando nel 1909 venne istituito l’INA (Istituto Nazionaledelle Assicurazioni) Nitti, durante la discussione parla-mentare, precisava che l’obiettivo della costituzionedell’Ente era che nessun ostacolo doveva opporsi alla suaautonomia. Ciò induceva a ritenere che tale autonomia,sebbene non meglio qualificata in senso tecnico si esten-desse ad ogni ambito dell’attività dell’ente da quelloamministrativo a quello contabile. La questione dell’au-tonomia degli enti era significativa soprattutto in relazio-ne alle tipologie di controllo che su tali enti dovevanoessere esercitate17.Le prime forme di controllo non consistevano in un con-trollo sugli atti ma sull’attività nel suo complesso o sullarispondenza della composizione degli organi alle normestatutarie. Tuttavia, tale attività di controllo, che può qua-lificarsi in termini di vigilanza, era assai contenuta, inquanto l’autonomia degli enti doveva essere garantitadallo Stato al momento dell’istituzione attraverso l’attri-buzione di entrate adeguate allo svolgimento dell’attivitàistituzionale. Successivamente, lo Stato non doveva più

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ingerirsi nell’attività dell’ente, essendo lo stesso soloobbligato ad agire nel rispetto delle norme primarie diriferimento e di quelle statutarie18. L’autonomia di cuigodeva l’ente, in definitiva, aveva due connotazionidiverse, da un lato riguardava i rapporti con lo Stato, iquali erano caratterizzati da una scarsa ingerenza di que-st’ultimo sull’attività del primo, dall’altro, indicava laposizione derogatoria rispetto alla disciplina contabilevigente a livello di Amministrazioni centrali. Per quanto riguarda, nello specifico, i controlli ammini-strativi dei Ministeri vigilanti svolti sugli enti di previden-za e assistenza negli anni Quaranta e Cinquanta del seco-lo scorso, l’allora Ministro del Lavoro e della PrevidenzaSociale annoverava nei suoi compiti istituzionali il poteredi controllo sull’attività degli enti che gestivano forme diprevidenza sociale e degli enti ed Istituti di assistenza afavore dei lavoratori. In particolare per gli allora maggio-ri tre enti pubblici previdenziali, cioè per l’INAIL perl’INAM e per l’INPS, detto controllo esercitato di concer-to con i Ministri del Tesoro e della Sanità dell’epoca pote-va spingersi fino al potere di ordinare ispezioni ed indagi-ni sul funzionamento dell’ente controllato19. In ragionedel concorso a carico dello Stato del finanziamento del-l’allora Cassa Nazionale dell’Assicurazione Sociale, già ladisciplina pre-costituzionale di cui all’art. 15 legge n.129/1939 che sanciva il controllo in generale delParlamento sui bilanci di tutti gli “enti pubblici ammini-strativi di qualsiasi natura, di importanza nazionale, sov-venzionati direttamente o indirettamente dal bilanciodello Stato”, era applicabile anche alla Cassa Nazionale.Ciò sia in considerazione del suo carattere non territoria-le, sia anche per l’apporto statale alle voci “pensioni econtribuzione figurativa” del bilancio della predetta Cassaprevidenziale. Erano previsti, inoltre, Collegi sindacali incui sedeva tra l’altro anche un magistrato della Corte deiconti anche se ancora non con i poteri di cui all’art.2403che avrebbero avuto successivamente. In sostanza,può affermarsi che, quando con l’avvento della nuovaCarta costituzionale si istituì uno speciale controllo suc-cessivo della Corte dei conti sulla gestione degli enti sov-venzionati dallo Stato (art. 100, co. 2°, Cost.), limitata-mente agli enti previdenziali ed assistenziali il nuovo isti-tuto non sconvolse il sistema della vigilanza praticata edanzi si inseriva nell’assetto esistente di una pluralità dicontrolli statali, in ragione dei quali pare non del tutto cal-zante la doglianza, manifestata durante la costituente da

Ruini nella seduta del 30 gennaio 1947, di “un pullularedi enti parastatali i quali sfuggono a qualsiasi controlloda parte dello Stato”20.Il periodo che va dalla fine degli anni Cinquanta agli anniSettanta è denso di eventi sul piano del rapporto tra auto-nomia e controlli. Gli enti sono privi di una disciplinafinanziaria e, anche ove taluni statuti la prevedano, essa èappena abbozzata per cui manca anche una disciplinasanzionatoria per gli enti che non vi si adeguino. Tuttavia,gli enti pubblici dopo l’emanazione della Costituzionefanno parte della pubblica amministrazione e, pertanto,all’attività degli stessi devono essere estesi i principi dilegalità, imparzialità e trasparenza propri di uno stato didiritto. Un ruolo importante in questi anni venne rivestitodalla Corte dei conti che affermerà più volte che, anchese la normativa non lo prevede, il Ministero vigilantedeve poter controllare i bilanci degli enti perché tale con-trollo non può che essere connesso ai poteri di vigilanzadi cui i ministri interessati sono investiti. Nello stessoperiodo si afferma il principio per cui nel silenzio dellalegge e degli statuti debba applicarsi agli organi collegia-li di controllo degli enti l’art. 2403 del c.c. in materia dipoteri di controllo del collegio sindacale delle società. Ilrichiamo a tale disciplina codicistica comporta, da partedei collegi dei sindaci pubblici, l’esercizio del controllodi legittimità sull’osservanza della legge, l’accertamentodella regolare tenuta della contabilità, la corrispondenzadel bilancio alle scritture contabili, l’accertamento trime-strale della verifica di cassa21.

5. La vigente normativa degli enti previdenziali intema di governance e controlliIn tema di disciplina più recente degli enti previdenzialirileva, innanzitutto, la legge 9 marzo 1989, n. 88, recante“Ristrutturazione dell’Istituto nazionale della previdenzasociale e dell’Istituto nazionale per l’assicurazione con-tro gli infortuni sul lavoro” che all’art. 55 ha previsto lasottoposizione dell’INPS e INAIL alle medesime formedi vigilanza ministeriale. Analoga era per i due enti laconfigurazione della governance, la quale prevedevaun’articolazione dei poteri avente al vertice un Consigliodi amministrazione (C.d.A.), composto in maggioranzada rappresentanti dei lavoratori dipendenti. Il Presidenteaveva la rappresentanza legale dell’Istituto e il Direttoregenerale assumeva la responsabilità dell’organizzazioneburocratica, nonché si configurava quale esecutore delle

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linee strategiche deliberate dal Consiglio.Un primo importante impulso al mutamento del sistemadi governance degli enti previdenziali pubblici può ricon-dursi all’approvazione del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29che sancisce una netta separazione, per tutte le ammini-strazioni pubbliche, fra attività di indirizzo e controllo dauna parte e attuazione e gestione dall’altra (art. 3, c. 4). Inparticolare, la responsabilità nell’esercizio della funzionedi indirizzo politico amministrativo, viene assegnata agliorgani di governo e deve realizzarsi attraverso l’adozionedegli atti di indirizzo politico e definizione di obiettivi,priorità, piani, programmi e direttive generali per l’azio-ne amministrativa.Sulla scia delle menzionate innovazioni il legislatoreinterviene nuovamente nell’organizzazione degli enti conil D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 479 – nel quale si sottopon-gono gli enti di previdenza pubblici e assistenza pubbli-ci esistenti ad una disciplina che, pertanto, diventa unicaper tutti gli enti del settore – per affermare in modo deci-so la distinzione tra una funzione di alto indirizzo strate-gico e vigilanza, assegnata alle parti sociali, e le respon-sabilità di amministrazione e gestione dalle quali le stes-se venivano escluse. Questa distinzione diede origine al cosiddetto sistemaduale di governance dell’INPS e degli altri enti previden-ziali pubblici22. Tale sistema prevedeva la presenza di dueorgani collegiali di governo: il Consiglio di Indirizzo eVigilanza con funzioni di indirizzo generale (o strategico)dell’Ente e il Consiglio di Amministrazione con funzionidi indirizzo politico amministrativo dell’Ente.La struttura della governance rimase immutata fino al2010 quando con l’articolo 7, comma 7, del decreto leggen. 78 del 2010, è stata, poi, parzialmente modificata l’ar-chitettura istituzionale degli enti vigilati, originariamentedelineata dal D.Lgs. 479/1994.Tratto saliente della riforma è la soppressione delConsiglio di amministrazione e la contestuale attribuzio-ne delle relative funzioni in capo al Presidente. In taleprocesso di semplificazione, viene, comunque, ribadito ilmodello duale di governo introdotto dal citato D.Lgs. n.479 del 1994, che separa le funzioni di indirizzo strategi-co, riservate al Consiglio di indirizzo e vigilanza (CIV),da quelle amministrativo-gestionali, attribuite alPresidente, organo di indirizzo politico-amministrativo, eal Direttore generale, vertice dell’apparato burocratico eresponsabile della gestione amministrativa.

6. Evoluzione della disciplina dei controlli interni.Controllo di gestione e controllo strategicoUn grande contributo in tema di affermazione del ruolodei controlli interni venne nel 1979 con la presentazionealle Camere da parte del Ministro Massimo SeveroGiannini del già citato (vedi Supra, § 3.1) “Rapporto suiprincipali problemi dell’Amministrazione dello Stato”,che costituì il portato migliore di quel riformismo ammi-nistrativo che aveva proposto sin dal dopoguerra un’alter-nativa al modello burocratico dominante. Tale rapporto,sulla scorta della scienza dell’amministrazione di matriceanglosassone, incentrava il fulcro delle riforme su temiquali i tempi di lavoro, la produttività, il calcolo dei costi.Nello specifico, proponeva di istituire in ciascuna ammi-nistrazione uffici speciali con funzione “conoscitivo-dia-gnostica” e di adottare standard di produttività misurabili. Tuttavia, la materia dei controlli e, più esattamente deicontrolli interni nella pubblica amministrazione, si èsviluppata solo a partire dagli anni novanta del secoloscorso23.I controlli gestionali, sono stati previsti a livello di ammi-nistrazioni pubbliche centrali dal D.Lgs. 3 febbraio 1993,n. 29 che sancisce, come noto, la separazione tra indiriz-zo da una parte e attività di gestione dall’altra, disponen-do che “gli organi di direzione politica definiscono gliobiettivi ed i programmi da attuare e verificano la rispon-denza dei risultati della gestione amministrativa alledirettive impartite” (art. 3). A tal fine viene prevista l’istituzione di nuclei di valuta-zione o servizi di controllo interno con il compito di veri-ficare, attraverso l’analisi comparativa tra costi e rendi-menti, la realizzazione degli obiettivi, la corretta ed eco-nomica gestione delle risorse pubbliche, l’imparzialità eil buon andamento dell’azione amministrativa (art. 20). L’assetto dei controlli sin qui delineato, mutò radicalmen-te con l’adozione del decreto legislativo 30 luglio 1999,n. 286, recante “Riordino e potenziamento dei meccani-smi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi,dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalleamministrazioni pubbliche, a norma dell’articolo 11 dellaLegge 15 marzo1997, n. 59”. All’intera materia vienecosì data una maggiore stabilità attraverso la ridefinizio-ne di un sistema strutturato ed organico dei controlliinterni nelle Pubbliche Amministrazioni. Il nuovo assettoprevede quattro distinte tipologie di controllo interno,tutte essenzialmente di carattere collaborativo, tese da un

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lato a valutare la legittimità, la regolarità e la correttezzadell’attività amministrativa (controllo interno di regolari-tà amministrativa e contabile di cui all’art. 2), dall’altroad assicurare la razionalità economica e l’attuazione deirisultati e degli obiettivi indicati dagli organi di verticedell’apparato esecutivo (controllo di gestione, valutazio-ne del personale con incarico dirigenziale, valutazione econtrollo strategico, rispettivamente disciplinate agli artt.4, 5 e 6 del decreto in parola)24.La novità rispetto al passato è da ravvisare nell’articola-zione del controllo interno in due sottosistemi diversi, main qualche modo complementari fra loro. Mentre, infatti,la verifica di regolarità amministrativa e contabile è strut-turata in funzione della trasparenza, ha i suoi parametri diriferimento nelle norme di legge che regolano le singolefattispecie ed è verifica sui singoli atti, l’assetto dei con-trolli di gestione, di valutazione e strategico si pone inve-ce come strumento di miglioramento dell’azione pubbli-ca a garanzia di un buon andamento della medesima etrae i propri criteri di giudizio da elementi elaborati dallascienza dell’amministrazione25.In particolare, l’obiettivo del controllo di gestione è lamaggiore efficacia ed efficienza della pubblica ammini-strazione in termini di innalzamento della qualità dell’at-tività e della produttività della stessa, e va dall’individua-zione delle unità responsabili della progettazione dellagestione, all’individuazione delle unità sottoposte al con-trollo, alla definizione delle procedure per la determina-zione degli obiettivi e dell’organizzazione interna per ilraggiungimento degli stessi. Si tratta di un’attività di veri-fica, affidata ad appositi nuclei di valutazione interni allastruttura, finalizzata a gestire in maniera corretta ed eco-nomica le risorse pubbliche, e a valutare, in modo traspa-rente ed imparziale, il livello di raggiungimento degliobiettivi prefissati. Pertanto il controllo di gestione consi-ste proprio nella verifica che l’organizzazione dell’entesia in grado di raggiungere tali risultati in relazione aicosti da sostenere e le utilità che ne derivano26.Quanto al controllo strategico, va osservato che ogni enteha una “mission” da perseguire e tale strumento di con-trollo rappresenta la modalità con la quale gli organi diindirizzo politico dell’ente monitorano costantemente lacongruità delle scelte effettuate in relazione al fine istitu-zionale. Del controllo strategico fa menzione l’art. 6 delD.Lgs. n. 286/99 che lo definisce come “l’analisi dellacongruenza e/o degli eventuali scostamenti tra le missio-

ni affidate dalla norma, gli obiettivi operativi prescelti, lescelte operative effettuate e le risorse umane finanziariee materiali assegnate”. Esso costituisce la modalità diraccordo tra indirizzo politico e azione amministrativa, èsvolto da organi di staff che rispondono direttamente agliorgani di indirizzo e attiene alla coerenza tra le sceltepolitiche e l’azione amministrativa volta alla realizzazio-ne di quegli obiettivi. Tali organi esercitano un’attivitàvolta a verificare la congruenza dell’azione amministrati-va rispetto alle scelte politiche, la congruità delle risorseumane e finanziarie disponibili, i vincoli sussistenti ointervenuti e le possibili soluzioni alternative, nonchésupportano lo stesso organo di indirizzo politico nellavalutazione dei dirigenti apicali27.Nell’ente pubblico previdenziale il controllo strategico èassegnato ad un’unità organizzativa dedicata e rappresen-ta lo strumento con il quale Presidente e CIV monitoranola coerenza tra gli obiettivi definiti negli atti di indirizzoe le azioni predisposte per darne attuazione. Quanto al controllo di gestione, nell’ente previdenziale inconsiderazione della mole e della complessità dell’attivi-tà svolta – che si articola in due livelli di intervento, quel-lo legato alla gestione e quello legato alla produzione– èstato indispensabile, poi, strutturare due tipologie direport, uno strumentale al monitoraggio dei piani di azio-ne, l’altro necessario al monitoraggio dei piani di produ-zione. Tali report – che mostrano lo stato di avanzamen-to delle attività svolte dall’unità organizzativa per il rag-giungimento dell’obiettivo operativo sulla base di indica-tori individuati nella fase della programmazione – sonofinalizzati a fornire informazioni tempestive ai centri diresponsabilità, in modo tale che si possa procedere adinterventi correttivi nel corso della gestione28.

7. Il nuovo sistema dei controlli interni delineato dalD.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150. Il Ciclo di gestionedella performanceLa predetta normativa sui controlli è stata significativa-mente modificata dal D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 intema di produttività del lavoro pubblico, efficienza e tra-sparenza delle amministrazioni pubbliche, che intervienesulla valutazione della dirigenza e in generale di tutto ilpersonale pubblico. Il decreto ridisegna il sistema dei con-trolli gestionali abrogando alcune disposizioni del D.Lgs.n. 286/1999. In particolare, viene abbandonata, almenosulla carta, la tradizionale quadripartizione dei controlli e

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si introduce il concetto di performance. Più precisamente,il sistema dei controlli interni ridisegnato dal D.Lgs. n.150/2009 riunisce le attività nell’ambito di un solo mecca-nismo – c.d. “ciclo di gestione delle performance” –, cheinclude il controllo di gestione, la valutazione dirigenzia-le (a cui si aggiunge quella del personale), il controllo stra-tegico (al quale fa poi specifico riferimento l’art. 14 delD.Lgs. n. 150/2009 in materia di OIV). Rimane fuori dalcircuito il controllo di regolarità amministrativo-contabile,segnando in questo modo una netta demarcazione tra con-trolli gestionali e controlli di conformità29. Il fine del prov-vedimento consiste nel raggiungimento di elevati standardqualitativi ed economici dei servizi resi e si fonda sudiversi aspetti di novità. Si introduce il c.d. “ciclo digestione della performance” basato su adempimenti deltutto nuovi per le amministrazioni. La performance viene valutata su tre livelli, a livello diorganizzazione complessiva, a livello di centri di respon-sabilità e a livello individuale con un meccanismo chelega la valutazione individuale ai risultati dell’interaorganizzazione. La valutazione della dirigenza è effettua-ta in base alla performance realizzata rispetto agli obiet-tivi prefissati sulla base di criteri di selettività e merito. Una delle novità più rilevanti, è tuttavia, l’introduzione delconcetto di indipendenza (dai vertici politici) delle funzio-ni di controllo con l’affidamento delle stesseall’Organismo Indipendente di Valutazione (OIV) chesvolge un controllo di secondo grado sulla regolarità eattendibilità dei controlli svolti dalle amministrazionimediante verifiche intermedie e la validazione della rela-zione sulla performance mentre in primo grado le valuta-zioni del personale non dirigenziale e dirigenziale sonosvolte nell’ente pubblico dai dirigenti, dai direttori centralie dal direttore generale secondo un meccanismo a cascataper cui ciascuno è valutato dal suo superiore gerarchico30.Nell’ente previdenziale il richiamato ciclo di gestionedella performance si fonda su un sistema che parte dagliobiettivi e dai relativi indicatori definiti con i bilanciannuale e pluriennale di previsione. Con un meccanismodi tipo circolare, su base triennale, poi, dagli obiettivi c.d.di programma – ossia quelli individuati dagli organi diindirizzo politico-strategico (nel caso degli enti in paroladal CIV) – sono tratti e assegnati gli obiettivi operativiossia gli obiettivi analitici annuali; è valutata l’adeguatez-

za delle risorse allocate e viene effettuato il monitoraggioperiodico che consente di valutare il livello parziale direalizzazione dell’obiettivo, la corretta allocazione dellerisorse e di attivare eventuali correttivi; sono valutate laperformance organizzativa e individuale; è reso il conto(l’accountability) agli organi di indirizzo, ai cittadini, atutti i portatori di interessi (stakeholder). Si ricorda, alriguardo che, secondo quanto previsto dal D.Lgs. 150/09,costituiscono aspetti qualificanti della performance orga-nizzativa: l’impatto delle politiche (outcome), l’effettivaattuazione di piani e programmi, i livelli di efficienzaconseguiti, gli standard qualitativi dei servizi erogati, ilgrado di soddisfazione degli utenti, il miglioramentodegli assetti organizzativi, dei sistemi di gestione e delletecnologie, lo sviluppo delle relazioni con gli stakeholder,il perseguimento di obiettivi di promozione delle pariopportunità.In tale direzione, la reportistica prodotta dal sistema deicontrolli degli enti deve rispettare i principi, universal-mente riconosciuti di: veridicità, accuratezza e comple-tezza, tempestività, coerenza e comprensibilità, traspa-renza. È inoltre, importante, data la natura e le caratteri-stiche delle attività degli istituti in oggetto, la regolamen-tazione dei flussi informativi interni e l’accesso più gene-rale alle informazioni, ovvero la definizione analitica deicontenuti fondamentali delle informazioni relative aiprincipali procedimenti, delle modalità di accesso ai pro-cedimenti, banche dati e altre fonti informative, dei siste-mi attivati al fine di garantire la qualità e l’attendibilitàdelle informazioni. È fondamentale che il sistema deicontrolli e di valutazione assicurino all’organo di indiriz-zo, all’organo di amministrazione ed al vertice gestiona-le degli istituti una completa e tempestiva conoscenza deifatti rilevanti31.L’attività di monitoraggio è svolta dagli organi di indiriz-zo politico-amministrativo con il supporto dei dirigentisulla base delle risultanze dei sistemi di controllo digestione. La funzione di misurazione e valutazione dellaperformance organizzativa e la valutazione annuale deidirigenti apicali è svolta dall’Organismo indipendente divalutazione (OIV). A tali fini, gli enti redigono il Pianotriennale della performance e una Relazione sulla perfor-mance annuale e consuntiva32.

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1 G. ARENA, Enti pubblici in NovissimoDigesto Italiano, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1982, p. 401.

2 G. GUARINO, Enti pubblici strumentali,sistema delle partecipazioni statali, entiregionali (Scritti di diritto pubblico dellepartecipazioni statali, enti regionali (scrittidi diritto pubblico dell’economia e di dirittodell’energia, Milano 1962, p. 35). In parti-colare l’Autore evidenzia che “le varie defi-nizioni dell’ente pubblico, successivamenteproposte dalla dottrina…sono il frutto dellagraduale apparizione negli ordinamenticontemporanei evoluti, di enti di tipo nuovoai quali non più si adattavano le nozioniprecedentemente accolte”.

3 Così G. NAPOLITANO, Enti pubblici, inDizionario di diritto pubblico diretto da S.CASSESE, A Giuffrè Editore, 2006, Vol. III,p. 2223.

4 Così V. CERULLI IRELLI, Ente pubblico edenti pubblici, a cura di V. CERULLI IRELLI EG. MORBIDELLI, Giappichelli, Torino, 1994,pp. 84 ss.. In particolare, l’Autore evidenziache l’organizzazione pubblica complessiva-mente intesa è composta da una congerie diamministrazioni con caratteristiche moltodiverse che non solo i soggetti considerati letipiche organizzazioni pubbliche tra le qualilo Stato e gli enti territoriali, ossia gli entiesponenziali di una comunità che insiste suun determinato territorio ma anche altre for-malmente distinte da queste perché dotate dipropria personalità giuridica per le qualiperò a differenza delle altre si pone “un’esi-genza di ricerca di pubblicità” perché essa“è dubbia in principio (può essere dubbia espesso lo è)”.

5 V. CERULLI IRELLI, cit., p. 87. L’Autore alriguardo precisa come l’appartenenzaall’una o all’altra categoria di ente non siaininfluente ai fini classificatori, poiché glienti costituiti dallo Stato “restano nelladisponibilità piena dello Stato stesso” ossiaenti ad esso strumentali, mente l’ente rico-nosciuto dallo Stato attraverso l’attribuzionedi funzioni sue proprie in qualche modoconserva “una sua connotazione organizza-tiva in qualche misura autonoma” e, pertan-to tali enti possono essere definititi “mera-mente rilevanti, ovvero strumentali sotto ilprofilo meramente funzionale”.

6 M. S. GIANNINI, Il problema dell’assetto edella tipizzazione degli enti pubblici nell’at-

tuale momento, Riordinamento degli entipubblici e funzioni delle loro avvocature,Unione nazionale avvocati degli enti pubbli-ci. Atti del primo convegno di studi. Napoli20-21 ottobre 1973, Jovene editore, 1974,pp. 33 ss.

7 M. VIRGINILLO, L’ente pubblico previden-ziale ed assistenziale: caratteristiche e spe-cificità, in L. D’ALESSIO, Le aziende pubbli-che. Management, programmazione, con-trollo. Volume I, Stato, Regioni, Enti Locali,Enti Previdenziali, Napoli, 2008, pp. 431 ss.

8 G. ARENA, cit., pp. 401 e ss.

9 S. CASSESE, La formazione dello Statoamministrativo, A. Giuffrè, 1974, p. 19.

10 A. BARETTONI ARLERI, Enti, impresa econtabilità pubblica, Impresa e Ambiente,1977, I, p. 328.

11 D. COSI, Enti pubblici, Organismi pub-blici in forma privata, enti privati di rilievopubblico, Aracne editrice, 2009, pp. 23 ss.

12 C. FRANCHINI, L’organizzazione in S.CASSESE (a cura di), Trattato di dirittoamministrativo, Milano, 2003. Sul punto,l’Autore precisa che un primo pacchetto diiniziative riguarda l’intervento su enti chesvolgono attività imprenditoriali che vengo-no trasformati in società per azioni. Sulfronte degli enti pubblici non economici siinterviene in modo differente operando tra-sformazioni in associazioni e fondazioni edin quest’ambito i provvedimenti più impor-tanti riguardano la privatizzazioni degli entidi previdenza dei liberi professionisti adopera del D.Lgs. 30 giugno1994, n. 509.

13 S. DEL GATTO, La privatizzazione deglienti pubblici non economici e il mutato rap-porto pubblico-privato anche alla luce dellariforma dell’art. 1 della Legge n. 241 del1990, Servizi pubblici e appalti, anno IV, 1,2006, pp. 35 ss.

14 S. CIMINI, L’attualità della nozione diente pubblico, in www.federalismi.it, 2015,p. 6.

15 S. DEL GATTO, cit., pp. 62 ss.

16 M. S. GIANNINI, Il problema dell’assettoe ella tipizzazione degli enti pubblici nell’at-tuale momento, convegno di studi“Riordinamento degli enti pubblici e funzio-ni delle loro avvocature”, Napoli, 21-22ottobre 1973. L’Autore al riguardo rilevache su questo fronte la differenza con l’ente

territoriale è sostanziale perché quest’ultimogestiva una parte del potere trasferitoglidallo stato, mentre i nuovi enti costituiti perlegge assumevano compiti ad essi affidatidirettamente da una previsione normativa.Ciò consentiva agevolmente di ritenere chel’attività svolta dagli stessi dovesse esseresottratta al regime giuridico che regolaval’attività dello Stato.

17 Osservazioni svolte da R. PEREZ, Ladisciplina finanziaria e contabile degli entipubblici dal secondo dopoguerra agli anninovanta, in La disciplina La disciplinafinanziaria e contabile degli enti pubblici (acura di RITA PEREZ), Il Mulino, 1991, pp. 19ss.. Al riguardo l’Autrice evidenzia che leopinioni erano discordanti, poiché se da unaparte si riteneva che non vi fossero distin-zioni tra persona pubblica e privata sulpiano dei controlli perché anche enti privatipotevano essere sottoposti a controllo pub-blico e enti pubblici al contrario sottratti aquesto controllo, altri osservano al contrarioche le forme di controllo sono insite nel con-cetto di persona pubblica.

18 Considerazioni svolte da R. PEREZ, op.ult. cit., pp. 19 ss.. L’Autrice rileva comel’ente godesse di ampi poteri discrezionalisenza che fossero ammesse interferenze sul-l’attività amministrativa e sulla gestionefinanziaria. L’amministrazione vigilanteesercitava di massima un’attività di verificasull’osservanza dello statuto, sul bilancioannuale, sulle assunzioni di personale, mamai sui singoli atti e, pertanto, il controllonon si estrinsecava mai in autorizzazioni oapprovazioni.

19 Così C. SILVESTRO, Prime riflessioni intema di controlli sugli enti pubblici previ-denziali e assistenziali, in Informazione pre-videnziale 2007, 1, pp. 45 ss.

20 Le considerazioni che precedono sonostate svolte da C. SILVESTRO, cit., 1, pp. 45 ss.

21 Così C. SILVESTRO, cit. pp. 45 ss.

22 M. VIRGINILLO cit., pp. 43 ss.

23 E. D’ALTERIO, I controlli interni gestio-nali, in Lo stato dei controlli delle pubblicheamministrazioni, a cura di E. D’ALTERIO,Indagine Sna e Irpa, 2013, p. 5. Al riguardo,l’Autrice riporta la significativa citazionetratta da L. TORCHIA (a cura di), Il sistemaamministrativo italiano, Bologna, IlMulino, 2009, p. 363, secondo la quale

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“sino a circa due decenni fa […] i controlliamministrativi erano costituiti in modomonolitico ed omogeneo per tutte le ammi-nistrazioni pubbliche, erano svincolati daqualsiasi logica aziendale ed economica e silimitavano ad inefficaci verifiche preventivedi regolarità formale sui singoli atti”.

24 A. PAVAN-E. REGINATO, cit., pp. 441 ss.

25 L. CONDEMI, cit. pp. 208 ss.

26 Le osservazioni riportate sono tratte daL. CONDEMI, cit., pp. 208 ss.

27 Le suesposte considerazioni sono statesvolte da A PAVAN-E. REGINATO, cit., pp. 443ss.

28 Quanto sopra esposto in ordine allo svol-gimento del controllo strategico e del con-trollo di gestione nell’ente previdenziale e

assistenziale è tratto da C. GRASSI e M.VIRGINILLO, La funzione del controllo nel-l’ente pubblico previdenziale ed assistenzia-le, in L. D’ALESSIO, Le Aziende pubblicheManagement, Programmazione, Controllo,vol. I, Stato, Regioni, Enti locali, Enti previ-denziali, pp. 472 ss.

29 E. D’ALTERIO, op. ult. cit., pp. 168 ss.

30 E. D’ALTERIO, op. ult. cit., pp. 168 ss.

31 Le considerazioni svolte sono tratte da E.D’ALTERIO, I controlli interni gestionali,cit., p. 12. Sul punto, l’Autrice soggiungeche volendo tracciare un distinguo tra isistemi di controllo di cui al D.Lgs. n.286/1999 e quello tracciato dal D.Lgs.150/2009 sul piano dell’efficienza della“rendicontazione” del controllo può dirsiche il D.Lgs. 286/1999 ha riconosciuto una

particolare attenzione alla promozionedell’accountability interna nei rapporti traorgano di vertice politico e alta amministra-zione, mentre è molto sacrificata l’accoun-tability esterna con riferimento ai rapportitra amministrazione e cittadini (tanto chenon si fa alcun riferimento alla materia dellatrasparenza, ma si utilizzano, al contrario,espressioni come “riservatezza” relativa-mente alla gestione dei dati sui controlli);diversamente, nel D.Lgs. n.150/2009 l’inte-resse è orientato soprattutto alle relazioni trapubbliche amministrazioni e stakeholder, dicui è richiesto il coinvolgimento persinonella fase della programmazione strategica eoperativa e promosso il ruolo attraverso laprevisione della “accessibilità totale”.

32 A. PAVAN-E. REGINATO, cit., pp. 444 ss.

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L’EMDR è un approccio psicoterapeutico, idea-to dalla ricercatrice americana FrancineShapiro nel 1987, utilizzato per il trattamento

dello stress e dei sintomi associati ai ricordi traumatici.È l’acronimo di Eye Movement Desensitization andReprocessing (Desensibilizzazione e Rielaborazioneattraverso i Movimenti Oculari). Durante le sedute diEMDR, infatti, si utilizza un’attenzione focalizzata suimovimenti oculari guidati per procedere alla desensibi-lizzazione del ricordo dell’evento traumatico e alla suarielaborazione su un piano emotivo, cognitivo e soma-tico. Si è osservato, tuttavia, che effetti simili di elabo-razione si possono ottenere anche dall’uso di stimolidiversi da quelli dei movimenti oculari, ad esempio uti-lizzando tamburellamenti ritmici sulle mani, luci e sti-moli uditivi (Shapiro, 1993)1. Da una serie di indagini, sembrerebbe che i movimentioculari possiedano una capacità unica di stimolo, che èanche una manifestazione fisiologica osservabile inalcuni tipi di elaborazione cognitiva. Per esempio esi-stono movimenti oculari ritmici involontari, noti comenistagmo, che sono stati notati in pazienti durante lapsicoterapia, in momenti di concentrazione(Teitelbaum, 1954). È stata inoltre riferita una correla-zione tra i movimenti oculari e la risoluzione dei pro-blemi (Amadeo e Shagass, 1963; Antrobus e Singer,1964). Una delle prime idee consistette nel supporre che imovimenti oculari guidati potessero stimolare lo stessoprocesso innescato nella fase di sonno REM. Studi discienze neurologiche suggeriscono una funzione dellostato REM nell’elaborazione e nell’immagazzinamentonella memoria di informazioni (Fishbein e Gutwein,1977; Gabel, 1987; Sutton, Mamelak e Hobson, 1992;Winson, 1993). L’EMDR può essere utilizzato all’in-terno del percorso terapeutico a prescindere da qualesia l’orientamento teorico del clinico.

L’esposizione ad eventi stressanti riveste un ruoloimportante nell’esordio di numerose patologie, soprat-tutto se sono presenti fattori psicosociali e di vulnerabi-lità genetica, come sostiene la teoria dell’origine multi-fattoriale dei disturbi mentali.In accordo con le linee guida di recente pubblicazionedella World Health Organization (WHO) (2013),l’EMDR è considerato, insieme alla terapia cognitivo-comportamentale focalizzata sul trauma (CBT), il trat-tamento elettivo per il Disturbo Post-Traumatico daStress (PTSD) in bambini, adolescenti e adulti, ma si èdimostrato molto efficace anche nel trattamento dinumerosi disturbi psicologici, come depressione, fobie,disturbi d’ansia, dipendenze, problemi di autostima,traumi dello sviluppo e molto altro. Ha dato prova di essere un approccio alla patologiaefficiente e strutturato, che sfrutta il naturale sistema dielaborazione adattiva dell’informazione. La focalizza-zione dell’EMDR è sul ricordo dell’esperienza trauma-tica che ha contribuito a sviluppare la patologia o ildisagio che presenta il paziente. Attraverso la stimola-zione alternata dei due emisferi cerebrali e una doppiafocalizzazione del paziente sul passato e sul presente,viene riattivata l’elaborazione del ricordo disturbanteche era rimasta bloccata nella memoria implicita, inuna rete neurale a se stante, con le stesse emozioni,convinzioni e sensazioni fisiche che esistevano almomento dell’evento. Il cambiamento terapeuticosarebbe il risultato dell’elaborazione di questi ricordinell’ambito di reti adattive più ampie.Nel 1994, Nicosia notò, attraverso l’analisi qualitativadell’elettroencefalografia (QEEG), che l’esame dipazienti trattati con EMDR mostrava una normalizza-zione dell’attività delle onde cerebrali lente nei dueemisferi corticali. Egli ritenne che l’EMDR risincroniz-za l’attività dei due emisferi attraverso la stimolazionealternata ripetitiva. I ricordi affrontati con l’EMDR si

L’EMDR, uno strumento per l’elaborazionedel traumaFrancesca Romana FicorilliPsicologa, Formatrice per corsi di sostegno alla genitorialità

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evolvono durante l’elaborazione e sono immagazzinatisuccessivamente, attraverso un processo di ri-consoli-damento.La desensibilizzazione e il cambiamento di prospettivain ambito cognitivo che si osservano durante una sedu-ta di EMDR, riflettono l’elaborazione del ricordo del-l’esperienza traumatica, quindi si nota un distanzia-mento del paziente dal ricordo e una modificazionedelle valutazioni cognitive su di sé, in cui s’incorpora-no emozioni adeguate alla situazione e si eliminano lesensazioni fisiche disturbanti. In sostanza, i pazientiricordano ancora l’esperienza o l’evento traumatico,ma ne viene ridotta la vividezza e carica emotiva scon-certante, sentendo che finalmente fa parte del passato,fino a raggiungere una visione più matura e funzionalee l’evento è integrato nella memoria dichiarativa.È importante sottolineare che, nelle sedute EMDR, ilcollegamento tra ricordi avviene in modo spontaneo,con una quasi totale mancanza di input da parte delterapeuta, in modo da non interferire con l’elaborazio-ne che fa il paziente durante la stimolazione bilaterale,ma deve fungere da “facilitatore dell’elaborazione”. I ricercatori hanno trovato che i movimenti oculari gui-dati portano a ridurre il ritmo cardiaco e ad un aumen-to della temperatura corporea. Questi dati suggerisconoche la stimolazione dell’EMDR rinforza l’attività delsistema nervoso parasimpatico. Risulta, inoltre, unsignificativo aumento e normalizzazione dei livellibasali di cortisolo, dopo il trattamento con EMDR(Heber, Kellner e Yehuda, 2002)2. Utilizzando la riso-nanza magnetica ad alta risoluzione su un singolopaziente con PTSD cronico, uno studio ha evidenziatola presenza di cambiamenti volumetrici dell’ippocam-po, in seguito al trattamento con EMDR. Solitamente èuna struttura cerebrale che presenta un volume ridottonei pazienti con PTSD, la cui rigenerazione nel volu-me, finora, sembrava avvenire solo grazie agli psico-farmaci. Questo studio ha mostrato che dopo otto settimane ditrattamento EMDR che ha portato ad una notevoleriduzione della sintomatologia del PTSD, il volumedell’ippocampo era aumentato bilateralmente in modosignificativo. Sebbene sia uno studio su pochi casi, irisultati lasciano intravedere l’enorme potere trasfor-mativo della psicoterapia di indurre cambiamenti strut-turali nel cervello (Bossini et al., 2007)3.

Il protocollo EMDR include un approccio a tre livelliche comprende la rielaborazione degli eventi traumati-ci primari, degli stimoli attuali e delle reazioni negati-ve ai comportamenti proiettati nel futuro. Utilizza ottofasi e solo in alcune di queste è prevista la stimolazio-ne bilaterale alternata.Nella prima fase avviene la raccolta anamnestica,durante la quale si esplora la storia del paziente peridentificare gli eventi passati responsabili della sinto-matologia e pianificare la terapia. Nella seconda fase ilpaziente viene preparato al trattamento; gli si insegna-no una serie di tecniche di autocontrollo per imparare agestire lo stress derivante da una riattivazione dei ricor-di disturbanti e si rinforzano le sue risorse. Nella fasedi assessment, la terza, il terapeuta identifica il ricordoda trattare, guidando il paziente a rievocare la partepeggiore dell’evento, le cognizioni negative su di sé, leemozioni e le sensazioni che si attivano al momentodella focalizzazione sul ricordo. In seguito a questo, ilpaziente indicherà una cognizione positiva da sostitui-re a quella negativa durante la fase di installazione. La quarta fase è quella della desensibilizzazione, in cuiil paziente deve focalizzarsi su tutti gli elementi delricordo che è stato individuato da trattare. In questafase si inizia la stimolazione bilaterale attraverso unaserie di set, fino ad arrivare alla completa desensibiliz-zazione, cioè finché il paziente, pensando all’eventotraumatico, non prova più emozioni disturbanti oppuresi avvicina ad emozioni “ecologicamente valide”. Nella quinta fase, chiamata di installazione, emerge laforza dell’elaborazione, durante la quale il pazientesperimenta un cambiamento di prospettiva rispettoall’evento, concentrandosi su una cognizione positivarispetto a sé, in sostituzione di quella negativa origina-ria. Durante la sesta fase si chiede al paziente di effet-tuare una scansione corporea, esplorando mentalmenteil proprio corpo, al fine di individuare eventuali tensio-ni residue da trattare con altri set di movimenti oculari.Nella settima fase, che è quella della chiusura, ilpaziente viene istruito a tenere un diario su cui annota-re particolari che possono insorgere successivamentead ogni seduta e ricondotto in uno stato di equilibrioemotivo.L’ottava fase del trattamento, chiamata rivalutazione,dovrebbe avere luogo all’inizio di ogni seduta succes-siva, per verificare i risultati raggiunti la volta prece-

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dente, ed eventualmente riprenderli in esame per com-pletarli o confermarli.Man mano che l’elaborazione procede nelle varie ses-sioni terapeutiche, l’integrazione dell’informazione in

schemi più coerenti determina non solo la scomparsa ol’attenuazione dei sintomi, ma si evidenzia agli occhistessi del paziente sotto forma di nuovi comportamentipiù adattivi e funzionali alla sua esistenza nel qui e ora.

1 Cfr. F. SHAPIRO, EMDR Desensibilizza-zione e rielaborazione attraverso movimen-ti oculari, Milano, McGraw-Hill, 1995, p. 25.

2 Cfr. gli autori in: M. BALBO (a cura di),EMDR e disturbi dell’alimentazione: TraPassato, Presente e Futuro, Milano, GiuntiEditore, 2015.

3 Cfr. gli autori in: M. P. SAFIR-H. S.WALLACH-A. RIZZO SPRINGER (a cura di),Future Directions in Post-Traumatic StressDisorder, New York, Springer, 2015.

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30-32 osser Ficorilli L'EMDR, uno strumento per l'elaborazione del trauma (1)_Layout 1 04/03/18 18.17 Pagina 32

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1. L’indagine balisticaL’indagine balistica costituisce storicamente uno dei prin-cipali metodi di approfondimento della scena del crimineladdove ovviamente siano state utilizzate delle armi dafuoco. L’esame balistico consiste, infatti, in diverse metodologiedi accertamento effettuate sulle armi, sui proiettili, suibossoli e sulle munizioni rinvenute a seguito ed in conse-guenza dei fatti delittuosi.Un grande passo in avanti nel campo della balistica siebbe nel 1925 con la pubblicazione del Manuale diMedicina Legale del medico neozelandese A. Smith, ilquale sperimentò e dimostrò la circostanza che sparandocontro dei fogli di carta l’intensità dell’annerimento eraproporzionale alla distanza dell’arma: più nero era l’alo-ne, più l’arma aveva sparato da vicino.Si accertò allora che depositi di fuliggine intorno alla feri-ta deponevano per una distanza di 1,7 cm tra l’arma e lavittima, mentre una ferita priva di fuliggine veniva provo-cata da un’arma da non meno di un metro di distanza. Per di più, il medico de quo accertò che, nell’ipotesi dicolpi sparati “a bruciapelo”, la ferita conteneva non sol-tanto fuliggine, ma anche particelle di polvere incombu-sta, oltre a piccoli segni di ustione provocata dai gasesplosivi espulsi dalla bocca dell’arma a immediato con-tatto con la pelle1. Il significato dell’applicazione di dette pregnanti scoperteall’indagine sul crimine fu evidente. Presto però interven-ne una nuova circostanza da valutarsi ovvero si cominciòad usare polvere da sparo che non produceva fumo e ciòrese molto più difficile reperire tracce di polvere. Anche questa volta la scienza fu in breve tempo in gradodi affrontare e risolvere il problema, mettendo in pistanuovi dispositivi di rilevamento e metodi chimici semprepiù sensibili, in grado di evidenziare e analizzare compo-

nenti chimiche, come piombo e antimonio presenti anchein tracce infinitesimali.Altro fondamentale progresso scientifico fu compiutograzie agli studi di Alexandre Lacassagne, patologo emedico legale dell’Università di Lione, che nel 1889 evi-denziò quanto anche il minuzioso esame del proiettilepotesse risultare prezioso ai fini dell’indagine.Lacassagne accertò che la canna di armi diverse, nonchédi diversa fabbricazione, possedeva scanalature sue pro-prie, specifiche, differenti per numero ed entità, a caricodei solchi e del volute. Lo studioso constatò poi che nonsolo esistevano differenze tra armi di fabbricazione diver-sa, ma anche tra armi dello stesso tipo prodotte dallamedesima fabbrica: si trattava di varianti minime, mapeculiari, distintive, dovute a minuscole differenze del-l’intaglio.In base all’esame di questi nuovi elementi pertinenti ilproiettile, fu quindi possibile risalire con maggioreapprossimazione all’arma che ebbe ad esplodere il colpo.L’analisi che si svolge oggi non è cambiata più di tanto daallora, salvo ovviamente l’utilizzo di macchinari e tecni-che molto più evoluti. All’attualità, nel contesto delle attività di indagine aseguito di un crimine violento commesso con l’uso dellearmi da fuoco, l’esperto balistico forense riveste un ruolofondamentale. Esso, in vero, si occupa dell’analisi e caratterizzazionedi quelle evidenze che sono tipiche dell’utilizzo diarmi da fuoco, costituite essenzialmente dall’arma-mento stesso, dai residui del munizionamento impie-gato e anche dagli effetti dello sparo.In particolare, quando avviene un crimine violento perpe-trato con l’utilizzo di armi da fuoco, gli elementi che sipossono ricercare sulla scena del crimine sono principal-mente:

Tecnologia ed accertamento penale Laura Valentina MascioliAvvocato del Foro di Tivoli, Docente in Criminologia e Cyber Security presso la “Fondazione Universitaria Inuit Tor Vergata” MasterExecutive di 2° livello

SoMMARIo: 1. L’indagine balistica – 2. Rilievo fotografico e ricostruzione tridimensionale e dinamica della scenadel crimine – 3. Analisi grafologica – 4. Indagine fonetica

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1) i residui del munizionamento impiegato (bossoli, pro-iettili e altri effetti del munizionamento);

2) le stesse armi;3) nonché le tracce e gli effetti balistici prodotti durante

lo sparo (lesioni, crateri, scalfiture, bruciature, residuidello sparo).

Gli operatori che procedono al sopralluogo sulla scenadel crimine devono mettere in opera tutti i protocolli ope-rativi e le conoscenze tecniche del settore per una più pro-ficua raccolta e conservazione degli elementi utili perl’individuazione dell’autore del reato e della dinamicacon la quale esso è stato consumato. È necessario ricordare che una buona indagine balisticanon può prescindere poi da una accurata valutazionedegli elementi ricavati finanche dagli esami medico lega-li. Da essi si possono infatti ricavare importanti informa-zioni inerenti alla distanza di tiro e all’orientamento delletraiettorie intracorporee dei colpi di arma da fuoco, utiliad individuare la posizione e la postura assunta dal tirato-re e dalla vittima al momento dello sparo2.Terminate le attività di sopralluogo e documentazionedelle tracce sulla scena del crimine, gli esami di laborato-rio sui reperti di natura balistica si concretizzano nel-l’’ispezione preliminare e nell’esame merceologico emicro-comparativo per poi procedere, se possibile,all’identificazione dell’arma del delitto. Ma prima di analizzare i c.d. gun shot residues e le ulte-riori pratiche da effettuarsi in rapporto alla scena del cri-mine, per comprendere appieno la natura e la finalitàdegli accertamenti balistici da svolgersi occorre effettua-re alcune fugaci osservazioni preliminari sul funziona-mento delle armi da fuoco.Innanzitutto, nelle moderne armi da fuoco la cartucciacontiene al suo interno:1. la polvere di innesco (solitamente all’attualità azotidra-

to di piombo, stifnato di piombo, solfuro di antimonio,nitrato di bario);

2. la polvere di lancio (un tempo la polvere nera, oggi fre-quentemente nitrato di cellulosa);

3. il proiettile.

Premuto il grilletto, il c.d. cane colpisce mediante il per-cussore, la capsula contenente la polvere di innesco ed ilproiettile viene quindi espulso dall’arma. Quando si verifica questa operazione, il compimento

della stessa lascia delle tracce. Tracce sull’arma, traccesul proiettile, tracce sulle cose e sui soggetti.L’accertamento sulla scena è volto proprio a reperire ed avalutare tali tracce, nonché a comprendere la provenien-za dell’arma stessa. Si può trattare di accertamenti di natura descrittiva edesami merceologici per accertare marca, modello, calibro,data o epoca di fabbricazione di un’arma da fuoco e prov-vedere a fornire la sua classificazione normativa, ossia sesi tratti di arma comune da sparo consentita o clandestina,da guerra o antica; accertare il calibro, la marca e il tipodel munizionamento e se lo stesso è di origine commercia-le, militare oppure assemblato/ricaricato con attrezzaturadomestica; verificare lo stato di conservazione, manuten-zione e funzionalità delle armi e munizioni3. Tale accertamento può essere volto inoltre a valutare se learmi stesse abbiano subito interventi di modifica, di sosti-tuzione delle singole parti e componenti, ovvero se qual-cuna di queste sia stata obliterata al fine di rendere piùdifficoltosa o impossibile l’indagine balistico comparati-va (ed abrasione della matricola).Sui reperti tratti dalla scena inoltre può svolgersi unesame balistico-comparativo ovvero un accertamentosugli effetti del munizionamento, sui residui delle cartuc-ce impiegate nell’evento criminoso, possono essere ana-lizzati al fine di identificare l’arma.Per quanto riguarda detto aspetto giova evidenziare comeogni arma, come detto, nelle fasi di passaggio (carica-mento ed espulsione) e sparo delle cartucce imprima sudi esse dei segni caratteristici. La formazione di questi segni è determinata in particola-re dalle pressioni generate dallo sparo e dal conseguentemovimento degli organi meccanici dell’arma.Il proiettile, ad esempio, sempre per effetto delle pressioni,viene forzato all’interno della canna e prima di essere espul-so, nel suo moto all’interno della canna, viene lateralmentesolcato da una serie di striature, dette impronte di rigatura4.Tutte queste striature sono da considerarsi una sorta dipatrimonio genetico dell’arma in quanto possono essereconsiderate uniche e caratteristiche di ogni singolo esem-plare di arma. Ai fini investigativi il risultato che ne può derivare è lapossibilità di utilizzare bossoli e proiettili repertati aseguito di un delitto per stabilire il numero e la tipologiadi armi impiegate e, in particolare, accertare se essi pro-vengano da un’arma in particolare.

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L’esame balistico-comparativo va necessariamente effet-tuato tra elementi omogenei (bossolo con bossolo, proiet-tile con proiettile). Nel caso si voglia verificare se dei reperti balistici pro-vengano da un’arma in particolare è necessario effettuarecon questa delle prove a fuoco per ottenere sperimental-mente bossoli e proiettili, i cosiddetti elementi test o spe-rimentali, da impiegare per il confronto balistico. Un esame comparativo è positivo se si dimostra che leimpronte rilevate ed esaminate in comparazione, sono stateprodotte dagli organi appartenenti alla medesima arma5.Quando le armi da esaminare risultano in pessimo statodi conservazione, presentano difetti di funzionamento,rotture, ovvero sono fortemente deteriorate dalla combu-stione, il tecnico può effettuare delle procedure per ripri-stinare il funzionamento. Il ripristino di un’arma deteriorata è un’attività che deveessere effettuata con molta cautela in quanto trattamentierrati potrebbero rovinare ulteriormente il reperto e infi-ciare eventuali analisi successive rilevanti ai fini dell’ac-certamento penale.Ma per tornare all’analisi dei residui da sparo sulla scenadel crimine ciò che è di particolare pregnanza valutare ese essi siano rinvenibili sulla scena o sui soggetti venutiin contatto con essa. Durante lo “sparo” di un’arma da fuoco, la notevole pres-sione e temperatura dei gas di combustione all’internodella canna da un lato produce la fuoriuscita del proietti-le e dall’altro provoca reazioni chimico-fisiche su picco-lissime particelle di polvere da sparo. Queste ultime vengono proiettate fuori dall’arma ed inve-stono le superfici circostanti.Si tratta dei cosiddetti “residui dello sparo”: particellepiccolissime, non visibili ad occhio nudo ma sempre pre-senti sul luogo di una sparatoria o sulle mani di chi haappena usato una pistola. Rintracciare questi residui, come detto, nel caso di unreato commesso utilizzando un’arma da fuoco, può esse-re molto importante per identificare l’autore o per vaglia-re gli spostamenti fatti da chi ha utilizzato una pistola oun fucile; in sostanza per trovare elementi utili alle inve-stigazioni.Ma l’operazione da compiersi non è semplice anche per-ché molti elementi presenti nell’aria o nell’ambientepotrebbero, se analizzati, confondersi con altri elemntipresenti nell’ambiente esterno.

In generale, rinvenire delle particelle attribuibili ai residuidello sparo su una superficie può indicare: che quellasuperficie sia stata a diretto contatto con un’arma almomento dello sparo; che sia stata presente a brevedistanza da un’arma al momento dello sparo; che siaentrata in contatto diretto o indiretto con un’altra superfi-cie che aveva su di sé residui di sparo.In sintesi, quindi, anche la presenza di residui dello sparonon è un dato che può essere valutato alla stregua di cer-tezza assoluta; bisogna, come d’abitudine, contestualiz-zare il dato ed analizzare il caso nella sua specificità,tenendo conto di tutte le possibili variabili.A volte, infatti, la presenza di polvere di innesco o di lan-cio su una superficie può essere semplicemente il fruttodi un “inquinamento” secondario.Come è noto un metodo classico di indagine di tali resi-dui da sparo è il test di Gonzales più noto come guanto diparaffina. Il test de quo viene eseguito applicando paraf-fina fusa purissima a 50-52 gradi nelle zone dove si ritie-ne si siamo depositati i residui di sparo ed essi se sussi-stenti vengono inglobati nella paraffina stessa che pene-tra nell’epidermide asportando i residui. Detto test è stato, tuttavia, via via abbandonato e sostitui-to dal più moderno sem-edx. Tale metodo consta di duefasi. La prima fase consiste nel prelievo mediante un tam-pone adesivo chiuso da due tappi, uno per la mano destrae l’altro per la sinistra (STUB). La seconda fase è costi-tuita dalla analisi al microscopio.Il metodo de quo – più accreditato in termini di affidabi-lità rispetto al guanto di paraffina – permette una valuta-zione accreditata dalla comunità scientifica.Ma giova ricordare come la certezza di essere di frontea residui da sparo si abbia attualmente solo se da dettotest risulti la concomitante presenza di particelle com-poste da piombo, antimonio e bario dacché non si cono-scono in natura attività umane diverse dallo sparareche producano tutti e tre questi elementi fusi insieme.Due problemi che affliggono detta analisi comunque nonpossono sottacersi sia in termini di lungaggine dell’accer-tamento sia in termini di necessaria celerità delle primerilevazioni, alla stregua di quanto si dirà nel prosieguo.Si pensi, in particolare, al caso della strage di Duisburgladdove nel corso delle investigazioni svolte in Germaniavennero effettuati vari accertamenti balistici presso laautovettura che si riteneva avesse condotto GiovanniStrangio sulla scena del crimine.

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Si posero nel caso di specie due ordini di problemi: in pri-mis, l’accertamento fu effettuato molti giorni dopo la rea-lizzazione del fatto omicidiario e, in secondo luogo,all’interno di detta autovettura vennero rinvenute soloparticelle di piombo ed antimonio ma non di bario. Ciò, come detto in precedenza, poteva porre, come haposto, problematiche di compatibilità alternativa conaltre ipotetiche provenienze delle particelle de quibus (es:saponi, materiali utilizzati in ambito agricolo).Dopo aver eseguito i rilievi de quibus e gli accertamentidi natura descrittiva e merceologica sui reperti ed aver,altresì, eseguito le necessarie comparazioni balistiche, sipuò procedere ad una attività di valutazione onde rico-struire la dinamica di svolgimento dell’azione.Bisogna, poi, tenere finanche in considerazione la ricostru-zione delle traiettorie che è un esame finalizzato ad indivi-duare la direzione assunta da un proiettile da quando vieneespulso dall’arma fino al suo ultimo punto di impatto. Per tracciare adeguatamente una traiettoria è necessariodisporre di almeno due punti nello spazio dove si ha lacertezza che il proiettile sia transitato.I due punti de quibus sono di solito dei fori, uno di ingres-so e uno di uscita, o delle lesioni di impatto prodotte dalproiettile. Tracciando una retta passante per i due punti diriferimento si ha in prima approssimazione la traiettoriadel proiettile.La traiettoria individuata potrà essere prolungata, a ritro-so, per individuare l’epicentro di fuoco, ovvero prosegui-ta per cercare un eventuale punto successivo d’impatto. Le traiettorie de quibus, dopo essere state ricostruite, pos-sono essere, poi, comparate con i tramiti intracorporeirilevati dal medico legale sulle vittime. In questo modo potranno essere correttamente individua-te le posizioni dei soggetti presenti sulla scena del crimi-ne nonché la compatibilità delle lesioni riportate dalle vit-time con le traiettorie individuate, le distanze di sparo eulteriori informazioni utili alla ricostruzione del caso giu-diziario.Un’ultima questione va posta in rilievo in merito allaripetibilità degli accertamenti in parola ed alla naturadegli stessi. Se, infatti, per ciò che attiene allo svolgimento delle inda-gini merceologiche, alle indagini comparative, alle elabo-razioni delle traiettorie da sparo, il problema della ripetibi-lità dell’accertamento non si pone affatto, trattandosi diaccertamenti – questi – per loro stessa natura, tutti ripetibi-

li, il problema di contro si pone con ogni evidenza, conriferimento alle analisi propriamente riguardanti i residuida sparo.In particolare per la effettuazione del guanto di paraffinae per lo stub. Difatti, il guanto di paraffina pone degli evidenti proble-mi di irripetibililità allorquando all’interno del calcoviene spruzzata una sostanza commista utilizzata comeimmmediato reagente. Per quanto, invece, attiene la metodica del sem edx essanon altera la struttura chimica del campione consentendola ripetizione dell’accertamento. Ma nonostante ciò il problema tecnico-giuridico perma-ne, dato che sotto il profilo pratico l’utile ripetizione del-l’accertamento de quo si scontra quantomeno con dueemergenze: da una parte, con il fatto che lo stub vadaeffettuato nel tempo più celere possibile e, quindi, ripeter-lo a distanza di giorni o peggio di mesi comporterà unaflessione in termini di affidabilità del risultato; dall’altra,le lungaggini dell’accertamento confliggono anch’essecon la validità della diagnosi ripetuta dacché più passa iltempo (l’analisi in laboratorio è assai lunga) più c’è ilrischio di contaminazioni e dispersioni. La giurisprudenza di settore ha sempre ritenuto che dettaattività, da qualificarsi alla stregua di mero rilievo, potessesvolgersi sotto la veste procedimentale di cui agli articoli354 commi 2 e 3 c.p.p. e/o 359 c.p.p. ma tali conclusionidestano alcune perplessità, dacché come detto – ferma lanon compromissione del reperto tramite l’analisi – la stessarealizzazione e riproduzione dell’accertamento può porre ilreperto a rischio di contaminazione, creando negativi con-dizionamenti in tema di affidabilità del dato raccolto.

2. Rilievo fotografico e ricostruzione tridimensionale edinamica della scena del crimineCome è noto, le fotografie, le riprese ed ogni attività disimil genere svolta sulla scena del crimine, rientranosempre nell’attività di inspicere e di rilevazione tipicadella polizia giudiziaria. Sino ad una ventina di anni fa in Italia ai verbali di sopral-luogo venivano allegate delle fotografie, degli schizzidella scena del crimine ed al massimo delle planimetriedei luoghi che ne consentissero un accertamento per cosìdire topografico. oggi, di contro, le cose sono profondamente cambiateovvero giuridicamente il verbale resta sempre lo strumen-

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to che consente di veicolare dette attività nel processo, magli allegati ad esso si formano frequentemente attraversol’utilizzo e la conoscenza di delicatissimi strumenti. Alcuni di detti strumenti – è bene da subito dire – nonpongono problemi in termini di utilizzo ed elaborazionedel dato; altri forse sì. Questa è una delle più pregnanti ed evidenti conseguen-ze del processo scientifico e della sua evoluzione.Va, in primis, evidenziato che all’attualità esistono unavaria tipilogia di software che dopo avere immagazzinato idati, tratti dalla scena del crimine, sono in grado di elabo-rarli e restituirli all’investigatore in forma bi o tri dimensio-nale con tanto di realizzazione di piani, piante e sezioni.Ciò, in vero, non pone particolari problemi, in terminitecnici giuridici, dato che si tratta di mera elaborazionetecnica di dati. Ma non ci si è arrestati qui ed all’attualitàvi sono state ulteriori evoluzioni addirittura volte allaricostruzione e valutazione tridimensionale e dinamicadella scena stessa; per esemplificare, alla stregua di unritratto in movimento della scena del delitto, corredato diimportanti profili valutativi in termini di ricostruzionedinamica della stessa.Ma prima di entrare nel merito, analizzando tale aspetto,è certamente opportuno svolgere alcune fugaci conside-razioni sulle moderne tecnologie utili ad effettuare – inpratica – tali proiezioni dinamiche. In particolare, ci si intende riferire al laser scanner ed aisoftware jee 3 d. Prendiamo le mosse dal laser scanner. Esso è uno stru-mento che emette un segnale, generalmente laser, che puòsubire disturbi a cagione di altre sorgenti luminose artifi-ciali o naturali. Esistono varie tipologie di scanner (came-ra scanner, panorama scanner, eccetera). Spesso a tali stru-menti vengono anche applicate delle telecamere digitali.Detto strumento rectius il laser scanner ha enormi poten-zialità; innanzitutto esso è facilmente trasportabile e per-mette di acquisire una grande quantità di coordinate spa-ziali in breve tempo. Attraverso l’utilizzo dello stesso èpossibile rilevare con precisione le geometrie di unoggetto o di uno spazio ma bisogna prestare accortezzaad alcune circostanze, in particolare ben stabilire l’ango-lo di acquisizione, effettuare buona sovrapposizione, evi-tare ombre e occlusioni, eccetera.I dati acquisiti (scansioni laser, immagini fotografiche,coordinate target, eccetera) devono essere poi elaboratiattraverso un percorso che può essere così sintetizzato:

1. fase di importazione dati su software;2. fase preprocessamento laddove vengono effettuati i

calcoli dei parametri fondamentali (es: estrazione lineeoggetto);

3. fase di allineamento manuale dove si individuano trepunti in comune a due scansioni che consente di avvi-cinare le stesse;

4. fase di triangolazione (rectius: Meshing) tale passag-gio trasforma l’insieme di punti 3D in una superficie ditriangoli che connettono tra loro i vari punti. Secondoparametri modificabili dall’operatore;

5. poi v’e la fase di mappatura delle foto;6. infine, viene ottenuto un modello che contiene tutte le

informazioni.

Detta elaborazione, di cui diremo qualche altra parola nelprosieguo in rapporto agli utilizzi sulla scena del crimine,avvviene attraverso dei software.Particolarmente usato in ambito forense il jrc3d reco-structor che consente di effettuare ricostruzioni a livellotridimensionale di angoli, volumi, traiettorie da sparo,simulazioni di punti di vista e relative verifiche di valida-zione. Tali laser scanner con relativi software elaborativi posso-no infatti consentire di effettuare ricostruzioni tridimen-sionali di imbrattamenti ematici (con relativi calcoli diprovenienza dell’imbrattamento stesso) in ambiti medicolegali e balistici. Ad esempio, alcuni scanner di ultima generazione sonodotati finanche dell’aggiunto kit balistico (sfere, aste divario diametro) per effettuare le rilevazioni da trasferirepoi al software per il tramite del laser scanner.Per avere una visione pratica dell’utilizzo del laser scan-ner e del succitato software in ambito sia balistico che dianalisi tridimensionale della scena del crimine, basti pen-sare ad un procedimento per omicidio di cui si interessòanni orsono, in ambito di investigazione e di indagine, laPolizia Scientifica di Roma.Si trattava di un caso giudiziario laddove due rapinatoriebbero a forzare un posto di blocco stradale ed uno deidue agenti, dopo avere ripetutamente intimato l’alt,esplose un colpo indirizzato alle ruote dell’autovettura dequa trasportante i rapinatori.Detto colpo di pistola colpiva al cranio uno dei due rapi-natori provocandone la morte. La Polizia Scientifica come detto, nel corso delle proprie

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attività di investigazione, fece utilizzo del laser scanner edel relativo software in primis per ricostruire la scena delcrimine (nel caso di specie la superstrada dove si verifi-carono i fatti), la traiettoria dei colpi e gli imbrattamentiematici all’interno della autovettura.Lo scanner venne posizionato in vari punti della strada; levarie scansioni furono collegate tra loro mediante softwa-re ebbero ad essere arricchite di fotografie della scena delcrimine. L’unione delle scansioni effettuate permise di ricostruirela scena in modo tridimensionale, anche attraverso l’au-silio delle sit ovvero delle deposizioni degli altri soggettipresenti (es.: il collega di colui che esplose il colpo). I dati de quibus vennero quindi ad essere traghettati ericreati nel software. I riferimenti spaziali complessivi, calcolati tramite algo-ritmi, gli angoli visuali dei soggetti, le possibili posizioniassunte dai soggetti stessi, i segni sull’asfalto vennerofatti oggetti di una valutazione complessa e totalizzante e,infine, si stabilì che il colpo che attinse il rapinatore nellaautovettura proveniva da un rimbalzo a terra realizzatosisull’asfalto all’interno della carreggiata. A fronte di tale pregnante indagine l’agente imputatovenne assolto dalla accusa di omicidio. Ciò certamente dimostra le enormi potenzialità di questatipologia di indagine ma la realizzazione della stessa, nellasua complessità, fa anche comprendere, con immediatezzadi percezione, come la realizzazione tridimensionale e dina-mica della stessa esorbiti di molto la attività di mera rileva-zione, tipica della polizia giudiziaria. Si tratta, in vero, diaccertamenti articolati, costituiti di vari tasselli, alcuni deiquali fortemente versanti in ambito di valutazione. Si pensi alla scelta dei luoghi dove collocare virtualmen-te i soggetti, nella ricreazione virtuale della scena; è veroche molto del lavoro sarà svolto dalla macchina ma alcu-ni elementi saranno frutto della decisione e quindi delladiscrezionalità umana. Valutazione e accertamento inquesta particolare branca della investigazione, proprioper la sua elevatissima caratura, non possono considerar-si sovrapponibili è ciò impone – processualmente parlan-do – che tale analisi tridimensionale e dinamica vengaeffettuata sotto la veste della consulenza o della perizia.

3. Analisi grafologicaCi si potrebbe ab initio domandare a cosa serva la grafo-logia e che apporto essa dia in relazione agli approfondi-

menti investigativi sulla scena del crimine.In realtà, la risposta che sembrerebbe essere negativa inrealtà è estremamente positiva in quanto mille possonoessere gli utilizzi di detta scienza per adeguatamente ana-lizzare un caso giudiziario sin dalla sua origine. Si pensi ad esempio, in caso di sequestri di persona ai finidi estorsione, ai biglietti che spesso vengono fatti scrive-re alla vittima ed inviati ai familiari. Si pensi, altresì, ai«pizzini» non infrequentemente inviati da appartenentiad associazioni mafiose per fare avere precisi messaggialle famiglie. Si pensi, ancora, ai documenti che possonoessere rinvenuti sulla scena del crimine, spesso utilissimiper trarre indizi circa i soggetti che ebbero ad interagirecon la vittima, ai tempi di commissione del reato, eccete-ra. Si pensi, poi, nell’ambito dei reati per abuso sessualesu minore agli utilizzi della grafologia applicata all’anali-si delle raffigurazioni grafiche dei minori. In realtà, indetto ambito, la grafologia per così dire classica si mesco-la fortemente con la psicologia giuridica. Si pensi, adesempio, a tutti i test grafici che vengono somministratiai minori: Albero di Cook, la Famiglia Reale, eccetera.Quando viene effettuata la lettura di questi test, non sianalizza solo il contenuto dei disegni ma anche il trattoutilizzato, i colori, le linee, eccetera. Tutto ciò consentenon solo di cogliere la simbologia ed il valore semanticodelle rappresentazioni testologiche ma anche le proble-matiche psicologiche che affliggono il minore.Ulteriore enorme contributo della grafologia è quelloafferente all’analisi dei falsi.Ma occorre prendere le mosse con il dire che l’accertamen-to della scrittura nel procedimento penale afferisce all’ana-lisi di segni grafici vergati a mano su una base materiale (siveda, al rigurdo, Sofia Cavini, «La perizia su scritture nelprocesso penale» in Scienza e processo penale).Si può trattare della analisi di una firma, di una sigla, diqualche lettera, di numeri, oppure di un intero testo.

Diversi sono i metodi di accertamento e analisi dellascrittura stessa:1. metodo calligrafico che si basa sul confronto analitico

formale della scrittura (i parametri sono molteplici: lamorfologia della linea, posizione della lettera rispettoal rigo di scrittura, ascendenza o discendenza della let-tera, anellature e aste, eccetera). Si tratta di un metodoprofondamente formale che non tiene in particolareconsiderazione il dinamismo della scrittura;

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2. Metodo grafometrico, basato sull’analisi delle misureche compongono la scrittura stessa (es.: lunghezza fra-zioni, gradi degli angoli, eccetera) in sostanza, dettometodo si basa su criteri goniometrici;

3. Metodo grafonomico, fondato primariamente sulla appli-cazione nella valutazione della grafia delle regole dellafisica. Ma anche tale metodologia sconta di alcuni limitibasandosi su un’analisi per così dire dell’oggetto scrittu-ra senza adeguatamente tenerla in considerazione nel suodivinire;

4. Metodo grafologico, che è quello normalmente ad oggiutilizzato per la analisi di scritture in ambito giudiziario.Esso si fonda sulla accurata analisi di tutti gli aspettitipici di ogni individuo: ad esempio sugli aspetti delsistema nervoso e muscolare incidenti sulla scrittura.Detto metodo – oltre a quanto appena detto – mostraattenzione anche ad ulteriori elementi ovvero al mezzocon cui la scrittura è stata tracciata (mani, bocca, piedi,eccetera), alla circostanza che il soggetto scrivente siadestrorso o mancino, al ceppo linguistico di riferimen-to ed ancora ad altre varianti come ad esempio il tenta-tivo di depistaggio grafico. Ma la principale differenzacon gli altri metodi sta soprattutto nel fatto che al di làdelle valutazioni che il grafologo opererà sulle misuredelle lettere e sulla ripetizione degli angoli, effettueràanche una valutazione implicitamente legata allainfluenza psichica. Ad esempio la pressione esercitata,la dirittezza, l’aumento del calibro e l’ascendenza, lagrandezza delle lettere stesse, gli sbalzi di pressione edi blocchi. Tutto ciò può derivare dal sistema nervoso, inparticolare da euforie, disforie e stati depressivi.

Molti di questi aspetti appena elencati hanno, per l’ap-punto, derivazioni emotive e sono passeggeri. Altri sonoperpetui ma possono subire comunque modificazioni, nelcorso della esistenza umana, ad esempio determinati dal-l’era avanzata o da patologie neurologiche in atto.In ogni caso, ciò che deve essere oggetto di attenta consi-derazione è che tale modello di analisi risponde ad unalogica dinamica ed omnicomprensiva che spazia dallavalutazione dei tratti sotto il profilo formale, passandoper le misurazioni e per la osservazione degli spazi, giun-gendo alla analisi degli aspetti derivanti dalla psiche edalla muscolatura, con la rendicondazione, altresì, di tuttele ipotetiche varianti. Certamente avere la possibilità dianalizzare vari scritti (scritti comparativi) del medesimo

soggetto consente di svolgere una analisi ancora piùaccurata. Poi può essere anche analizzata la scrittura meccanica,ovvero quella realizzata tramite computer, macchine dascrivere, bricolage di lettere di giornale, eccetera. Ad esempio determinati caratteri, tra cui il colibrì, sonostati introdotti a partire da un certo momento storico;quindi se un documento è stato scritto con tale carattere èpossibile attribuirgli una prima collocazione temporale.L’accertamento grafologico può andare in diverse dire-zioni e svilupparsi in vari modi a seconda delle condizio-ni e necessità che lo caratterizzino.Può svolgersi come accertamento di Pg, come consulen-za della difesa o del Pm o finanche come perizia. Si tratta di accertamento in astratto certamente ripetibile,dato che l’analisi della scrittura non ha alcuna efficaciadistruttiva. Ma il problema della irreperibilità potrebbedipendere da altre problematiche afferenti l’accertamentostesso. Ad esempio qualora sia particolarmente difficilereperire la fonte che deve rilasciare il saggio grafico,oppure lo stesso è sottoposto a minaccia e quindi c’e inforte rischio di futura dispersione della fonte.In sostanza, se disporre l’accertamento con i caratteridella irreperibilità non pregiudichi la segretezza delleindagini, sarebbe più opportuno che il Pm lo disponga intal modo.Il problema giuridico più significativo in materia non èperò tanto e solo quello della irripetibilità o ripetibilità del-l’accertamento, ma dell’acquisizione del saggio grafico daparte dell’indagato. Come è noto, il diritto di difesa hacome genetico corollario il principio nemo tenetur se dete-gere, proprio perché non può richiedere ad alcun soggettodi auto danneggiarsi nel corso del procedimento penale. obbligare un indagato o un imputato a rendere un saggiografico che potrebbe equivalere per determinate tipologiedi reati ad autoaccusarsi, non può essere richiesto.Il problema sta, purtroppo come spesso accade, nelleprassi; spesso infatti l’acquisizione del saggio grafico sisvolge nelle forme dell’accertamento tecnico ripetibile ele garanzie del contraddittorio si vanno a fare benedire.Il problema, ciò accaduto, sta nel comprendere qualisiano le conseguenze a livello giuridico di tale tipo diaccertamento. Esso sarà utilizzabile nel processo qualoral’indagato si rifiuti di rilasciare un nuovo saggio? Si tra-muterà quindi in elemento probatorio? oppure sarà unelemento destinato ad essere disperso?

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Ciò che è certo è che acquisire il dato in modo da non ren-dere pienamente consapevole il soggetto indiziato o inda-gato dei suoi diritti significa, quantomeno, porsi in rottadi collisione con i precetti costituzionali fondanti il giustoprocesso e il diritto di difesa. La via più opportuna da seguire è quindi certamente quel-la della scelta consapevole da parte dell’indagato di ren-dere o meno il saggio grafico, dell’imprescindibile assi-stenza di un difensore e del contraddittorio nella acquisi-zione del dato; condizioni queste che si potranno averesolo laddove venga effettuato un accertamento irripetibi-le, una acquisizione in incidente probatorio o una periziadibattimentale.Va finanche sottolineata una ulteriore problematicariguardante lo svolgimento della consulenza o perizia psi-cografologica. Sino ad ora, invero, abbiamo primariamente discusso diaccertamenti volti a stabilire la paternità ovvero la com-patibilità di una scrittura ma, salvo l’aver sottolineatocome l’apparato nervoso incida sul tratto di scrittura, nonabbiamo analizzato la valenza psichica della scritturastessa.In vero, l’analisi della grafia non consente solo di stabili-re chi abbia scritto ma anche quali siano le condizioni psi-cologiche in cui versi lo scrittore stesso. Il problema, di fondo, è certamente di utilizzabilità deldato. Un accertamento di questo tipo sarebbe non pratica-bile o meglio non utilizzabile per un imputato nel proces-so. Ma, ad esempio, esso potrebbe svolgersi, anche nelcorso del processo, per un testimone o per una personaoffesa.Si pensi alla consulenza grafologica che, non infrequen-temente, viene svolta sulle rappresentazioni grafiche deiminori in età prescolare. Dal tratto dei piccoli testimoni, dai colori utilizzati, dalleimmagini vergate è possibile stabilire se essi versino inuna condizione di stress e anche le scaturigini di tale alte-razione emotiva. Addirittura, è possibile utilizzare tale branca della grafo-logia per ancor meglio sondare la psiche del minore,soprattutto se in età prescolare, in rapporto alla analisi dicapacità a rendere testimonio e di credibilità clinica. Molto spesso, in vero, minori sottoposti ad abuso sessua-le mutano, dopo essere incorsi nell’episodio delittuoso, ilproprio modo di esprimersi graficamente, soprattutto neidisegni.

Le mani dei personaggi rappresentati vengono effettuatespesso come grandi ed uncinate; le bocche grandi e pienedi denti; se vengono disegnati alberi spesso essi vengonoeffettuati con fori al loro interno; i colori prevalentemen-te utilizzati sono il rosso, il nero ed il viola, eccetera. In sostanza, quindi, anche l’analisi grafologica contienein se due aspetti e volge verso due finalità: da una partel’analisi prettamente legata al riconoscimento del tratto inparticolare riguardante l’accertamento della individualitàdello scrivente e dall’altra l’indagine psicologica, menopraticata, alle volte financo preclusa ma comunque carat-terizzata da interessanti spunti di riflessione volta ad indi-care le problematiche e le attitudini psicologiche del sog-getto interessato dall’accertamento.

4. Indagine foneticaLa voce di un individuo dipende da vari fattori; primaria-mente dalla configurazione anatomica e dalle abitudiniarticolatorie ma anche altri elementi possono incideresulla caratura della stessa, ad esempio, lo stato d’animo,la salute e l’età del soggetto. La fonetica forense è lo stu-dio che applica l’analisi della voce ai riconoscimentidegli individui nell’ambito del procedimento penale (siveda sul punto Serena Chimici, Profili giuridici del rico-noscimento del parlante, in Scienza e processo penale).

Diverse sono le metodologie attraverso le quali si puòpervenire ad un riconoscimento vocale: 1. Metodo uditivo; basato su una valutazione soggettiva e

su un processo esperienzale interiore privo di specificiagganci scientifici;

2. Metodo semiautomatico; in cui non si realizza solo unaoperazione meccanica ma essa sarà congiunta al lavo-ro dell’operatore, il quale selezionerà il materiale, loprenderà in esame e lo epurerà da eventuali disturbi difondo;

3. Metodo automatico; laddove l’intero accertamento saràaffidato ad un software.

Le varie tecnologie utilizzate per processare e immagaz-zinare le impronte vocali includono, poi, la stima dellafrequenza, i modelli di Markov nascosti (HMM), imodelli di misure gaussiane (GMM), gli algoritmi di pat-tern matching, le reti neurali, le matrici di rappresentazio-ne, la quantizzazione vettoriale, e gli alberi di decisione.Il quantitativo dei rumori nell’ambiente può essere tale da

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impedire la registrazione dei campioni sia nella primafase di raccolta del materiale che in quella di verifica. Algoritmi di riduzione del rumore possono essere utiliz-zati per migliorare l’accuratezza del suono, ma l’applica-zione scorretta di tali algoritmi, non infrequentemente,può avere l’effetto contrario. La qualità dei risultati è influenzata, poi, dalle condizionidi registrazione e generalmente degrada quando le condi-zioni nella fase di verifica non coincidono con quelledella fase di raccolta. In questo contesto le condizioni da valutare includonoquelle ambientali (ex plurimis: rumore, musica in sotto-fondo), il comportamento dell’utente (differente cadenza,stato d’animo, movimenti, eccetera), ma anche le condi-zioni del canale trasmissivo (ad esempio: cambio delmicrofono utilizzato).Anche il normale cambiamento della voce dovuto all’età,come detto in precedenza, può inficiare il buon funziona-mento del sistema, pertanto alcuni sistemi aggiornano imodelli dei parlatori dopo ogni verifica completata consuccesso.Nella valutazione da effettuarsi andrà infatti tenuto ade-guatamente conto delle condizioni qualitative e quantita-tive del materiale sottoposto ad accertamento, dei rumoridi fondo, dei disturbi delle linee telefoniche, della limita-tezza o meno delle bande utilizzate, della lontananza omeno dei microfoni dal parlante, eccetera. Tenendo presente questi elementi rectius variabili ciò cheva evidenziato è che, all’attualità, in subiecta materia,non può comunque parlarsi di diagnosi di certezze valu-tative. Le variabili, infatti, sono molteplici e le difficoltà nelriconoscimento troppo elevate; molto dipende dal nume-ro di conversazioni da valutare, dai possibili elementi dicomparazione e dalla bontà dell’ascolto stesso.Nella materia che se ne occupa, in vero, non sussiste una

soglia di valori limite da superare per poter discutere didiagnosi di certezza o alta probabilità; la valutazione daeffettuarsi è unicamente quella di verosimiglianza cd«likelihood ratio» e non più di questo (si veda F. AlbanoLeoni e P. Maturi, Fonetica sperimentale e fonetica giu-diziaria, in Giustizia Penale, 1991).Detto accertamento fonetico nel corso del procedi-mento penale normalmente viene compiuto o attra-verso il riconoscimento effettuato dall’agente di poli-zia giudiziaria che ha effettuato l’ascolto o più corret-tamente attraverso la mise en ouvre di una consulen-za e/o di una perizia. Queste ultime due sono certamente da ritenersi le vestigiudiziarie più idonee. Non può, infatti, non vedersi come tale accertamentosulla c.d. impronta vocale debba comunque essere il frut-to di un giudizio qualificato, basato su regole di deriva-zione scientifica. Se, infatti, come è vero che il testimone viene ascolta-to sui temi di prova nell’ambito del procedimentopenale ovvero sulla veridicità dei fatti, passante perl’attento scandaglio del capo di imputazione e di tuttele circostanze che lo compongono (quindi anche, conogni evidenza, il riconoscimento dei soggetti agenti), èaltrettanto vero che la testimonianza è pur sempredeposizione sui fatti e non valutazione tecnica sui temidi prova. È vero che il Legislatore non ha inteso imporre un limitein tale senso all’oggetto ed al contenuto della testimo-nianza ma il problema permane non potendosi di certocompletamente parificare il contenuto di una testimo-nianza qualificata ad una consulenza tecnica o ad unaperizia. È la stessa difficile interpretazione che dominal’accertamento in questione che allontana l’interpretedalla logica del mero accertamento di polizia giudiziariae lo avvicina alla logica della perizia.

1 L. STERPELLoNE-D. ZAMPERINI, Camici ingiallo. Medici sulla scena del crimine, SEI,2009.

2 G. ARCUDI, Medicina legale, Universitalia,2008.

3 La Direttiva 91/477/CEE del Consiglio, del18 giugno 1991, relativa al controllo dell’ac-quisizione e della detenzione di armi stabili-sce una serie di condizioni minime per la cir-colazione di armi da fuoco per uso civileall’interno dell’Unione europea.

4 E. PANIZ-M. DoNGHI-M. PICoZZI-A. INTINI,Scienze forensi: teoria e prassi dell’investi-gazione scientifica, UTET Giuridica, 2009.

5R. CANTAGALLI-T. BAGLIoNE-A. SCARCELLA,Le armi e gli esplosivi nella legislazionevigente, Laurus Robuffo, 2002, Roma.

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La Grande Camera della Corte europea dei dirittidell’uomo con la sentenza di parziale condannaall’Italia (De Tommaso c. Italia)1 ha stabilito

che: “Le misure di prevenzione possono essere applica-te, ma a patto che la legge fissi in modo chiaro le con-dizioni, per garantirne la prevedibilità e per limitareun’eccessiva discrezionalità nell’attuazione”.La pronuncia destinata a suscitare ragionate valutazio-ni a valle delle prime osservazioni “a caldo”2 ci ricordala difficoltà di trovare un punto di equilibrio tra legisla-zione nazionale e diritti dell’uomo, così come filtratidall’elaborazione giurisprudenziale europea; sotto lalente di ingrandimento uno dei settori ove si avvertemaggiormente la “distanza” tra il diritto interno e quel-lo sovranazionale, vale a dire quello delle misure diprevenzione.Nonostante le forti critiche, mosse soprattutto dall’av-vocatura penalista3, il legislatore, anche al cospettodello stato di collasso in cui si trovano i dibattimenti,ha progressivamente esteso la portata delle misure diprevenzione che, da strumento di controllo dei sogget-ti disagiati è divenuto metodo di contrasto alla crimina-lità organizzata, fino ad abbracciare mutevoli forme dipericolosità generica.Si veda in chiave di sistema sulla giustizia penale diprevenzione la recente pronuncia della Corte costitu-zionale, che con sentenza 6 dicembre 2017 n. 253,intervenuta sulla vexata quaestio della tutela del terzoestraneo nel sequestro finalizzato alla confisca, pro-muovendo l’interpretazione recentemente avallatadalle Sezioni Unite penali4, che nel comporre il contra-sto giurisprudenziale, hanno affermato il principio didiritto secondo cui il terzo, prima che la sentenza sia

divenuta irrevocabile, può chiedere al giudice dellacognizione la restituzione del bene sequestrato e, incaso di diniego, proporre appello dinanzi al tribunaledel riesame, ai sensi dell’art. 322 bis c.p.p.5.La Corte ha dato atto che, nelle more del giudizio, èsopraggiunto l’art. 31 della legge 17 ottobre 2017, n.161 (c.d. Riforma del Codice Antimafia), il quale haintrodotto il comma 4 quinquies nel corpo dell’art. 12sexies D.L. n. 306 del 1992. In particolare, la nuovanorma stabilisce che nel processo di cognizione ovepuò disporsi la confisca «devono essere citati i terzititolari di diritti reali o personali di godimento sui beniin stato di sequestro, di cui l’imputato risulti avere ladisponibilità a qualsiasi titolo». Il legislatore, ha osser-vato la Consulta, “ha così introdotto una regola che,superando gli stessi limiti entro cui sono state formula-te le odierne questioni di legittimità costituzionale,garantisce il diritto del terzo di partecipare fin dal giu-dizio di primo grado, al fine di permettergli l’eserciziodella difesa e, correlativamente, di rendergli piena-mente opponibile l’eventuale confisca”.In chiave operativa, ad esempio, l’istituto della confi-sca post mortem nei confronti dei successori consentedi assoggettare alla misura di prevenzione beni illegit-timamente acquisiti dal de cuius e successivamentetransitati nel patrimonio del successore, non anche ibeni del successore, che, come tale, è terzo incolpevo-le rispetto al procedimento di prevenzione e alla conse-guente adozione della misura ablativa.Al riguardo la Suprema Corte di cassazione6 ha direcente pronunciato il seguente principio di diritto: “Intema di misure di prevenzione patrimoniale, le nozionidi erede e di successore a titolo universale o particola-

Criminalità organizzata e misure di prevenzione:le linee guida per lo svolgimento dell’incaricodi Amministratore GiudiziarioMario AntinucciAvvocato del Foro di Roma, Docente di Procedura penale presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell’UniversitàSapienza di Roma

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re di cui all’art. 18, co. 2 e 3, d.lgs. n. 159 del 20117,sono quelle proprie del codice civile. Nell’ipotesi in cui l’azione di prevenzione patrimonia-le prosegua ovvero sia esercitata dopo la morte delsoggetto socialmente pericoloso, la confisca può averead oggetto non solo i beni pervenuti a titolo di succes-sione ereditaria, ma anche i beni che, al momento deldecesso, erano comunque nella disponibilità del decuius, per essere stati fittiziamente intestati o trasferitia terzi. Nell’ipotesi in cui il giudice accerti la fittizietà dell’in-testazione o del trasferimento dei beni a terzi, la decla-ratoria di nullità prevista dall’art. 26, co. 1, D.Lgs. n.159 del 2011 non è pregiudiziale ai fini della validitàdella confisca, ma costituisce un obbligo conseguen-ziale all’accertamento della fittizietà, la cui inosser-vanza da parte del giudice non integra vizi rilevanti aisensi dell’art. 177 c.p.p., bensì un omissione rimedia-bile, anche d’ufficio, con la procedura ex art. 130c.p.p. Le presunzioni di fittizietà previste dall’art. 26, co. 2,D.Lgs. n. 159 del 2011, si riferiscono esclusivamenteagli atti realizzati dal soggetto portatore di pericolosi-tà e non riguardano anche gli atti del suoi successori”.

La questione, nei termini in cui è stata posta al vagliodelle Sezioni Unite, si articolava in due distinti quesiti,riguardanti: l’uno, la possibilità di estendere l’oggettodell’azione di prevenzione patrimoniale, esercitatadopo la morte del soggetto socialmente pericoloso, aibeni fittiziamente trasferiti o intestati in vita dal decuius e, quindi, nella disponibilità indiretta di quest’ul-timo fino al momento del decesso; l’altro, la necessitào meno che la confisca del bene del terzo sia accompa-gnata dalla declaratoria di nullità dei relativi atti didisposizione negoziale.Il nuovo regime normativo introdotto dal D.Lgs. 6 set-tembre 2011, n. 159, consente l’adozione di misurepatrimoniali sia quando il soggetto destinatario dellaloro applicazione muoia nel corso del procedimento diprevenzione, sia nell’ipotesi in cui ciò avvenga primadella sua instaurazione. Nell’un caso, il procedimento già avviato nei confrontidel proposto prosegue, alla sua morte, nei confrontidegli eredi o comunque degli aventi causa (art. 18, 2°co.); nell’altro caso, invece, la proposta di confisca può

essere avanzata nei riguardi dei successori a titolo uni-versale o particolare del soggetto nei confronti delquale poteva essere disposta, purché entro il termine dicinque anni dal suo decesso (3° co.). Il disposto dell’articolo 18, 3° co.8, è sostanzialmentesovrapponibile, sia pure con lievi variazioni lessicali, aquella dell’art. 2 ter della legge 31 maggio 1965, n.575, a seguito della modifica introdotta dall’art. 10, 1°co., lett. d), n. 4, D.L. 23 maggio 2008, n. 92, converti-to dalla legge 24 luglio 2008, n. 125.La novità della riforma9 comporta che la cessazionedella pericolosità del soggetto (qualunque sia la ragio-ne che non consenta di applicare la misura di preven-zione, e quindi anche la sua morte) non può avere l’ef-fetto di impedire l’aggressione del bene di colui che loha illecitamente acquisito quando era pericoloso; anchea seguito della morte della persona, quel bene risultaaggredibile, prevalendo le esigenze della sua ablazionesulla terzietà degli aventi causa che ricevono un cespi-te acquisito illecitamente dal de cuius.Lo scopo perseguito dal legislatore è stato individuatonell’intento di eliminare dal circuito economico, colle-gato ad attività e soggetti criminosi, beni dei quali nonvenga fornita una dimostrazione di lecita acquisizio-ne10, scopo che la Corte costituzionale ha ritenuto inlinea con il quadro dei principi delineato dallaCostituzione, con le sentenza n. 21 e n. 216 del 2012. In particolare, la Corte ha escluso ogni validità dell’as-sunto secondo cui gli eredi non possono difendersidimostrando che il bene non è nella disponibilità indi-retta del proposto, «in quanto non sussiste alcuna ragio-ne giuridica per escludere che, allo scopo di impedire laconfisca, i successori possano far valere i propri dirittilegittimamente acquisiti e, dunque, il fatto che i beni daconfiscare neanche indirettamente appartenevano al decuius»; la qualità di successore, infatti, non preclude lapossibilità di far valere il proprio autonomo diritto sulbene oggetto della proposta di confisca, così escluden-dosi ogni pericolo di vulnus al diritto di difesa e al prin-cipio del contraddittorio che deriverebbe da un giudizioformulato con riferimento ad una persona che non puòparteciparvi.Ferme queste premesse, il Supremo Collegio ha chiari-to che l’azione patrimoniale deve essere rapportata, inarmonia con le connotazioni assunte dal nuovo regimedella prevenzione, ai beni individuabili nella disponibi-

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lità, anche di fatto, del de cuius al momento del deces-so, a chiunque formalmente intestati, con l’ovvianecessità, lì dove si tratti di soggetti “terzi” rispetto aisuccessori, di disporre una integrazione del contraddit-torio nelle forme indicate dall’art. 23 D.Lgs. n. 159 del2011 per le «altre persone interessate». L’azione patrimoniale, pertanto, può essere orientatasui beni frutto di attività illecite o che ne costituisca-no il reimpiego – secondo la generale disposizione dichiusura contenuta nell’art. 18, comma 4, che consen-te l’inizio o la prosecuzione del procedimento finan-che nelle ipotesi di assenza, residenza o dimoraall’estero del soggetto proponibile per la misura – achiunque pervenuti o formalmente intestati dal decuius (successori universali e particolari o terzi inte-statari), coinvolgendoli nel procedimento applicativoa norma degli artt. 18, commi 2 e 3; 20, comma 1; 22,comma 2; 23, commi 2 e 4; 24, comma 1; 25 e 26,comma 1: disposizioni volte a colpire, all’esito di unaccertamento svolto nel rispetto del contraddittoriocon tutti i soggetti interessati, l’illecita accumulazio-ne patrimoniale fittiziamente intestata o trasferita achiunque, ovvero a rimediarvi per l’equivalente quan-do ciò non sia possibile11.In chiave di sistema, osserva la Suprema Corte, occor-re prendere le mosse non solo dall’ampia nozione didisponibilità «a qualsiasi titolo» del bene, sia in formadiretta che indiretta, rispettivamente impiegata negliartt. 24, comma 1, e 20, comma 1, D.Lgs. n. 159/ 2011,ma anche dal presupposto, chiaramente messo in rilie-vo nella più recente elaborazione giurisprudenziale dilegittimità12, della generale confiscabilità dei beni chesi trovino nella disponibilità del soggetto pericoloso almomento del decesso, e che, in quanto tali, presentanouno stigma tendenzialmente indissolubile e indipen-dente dalla persistenza in vita del soggetto potenzialedestinatario della misura patrimoniale.In tale contesto ermeneutico alla disposizione dell’art.26 cit.13 – al di là del problematico inquadramento teo-rico – è attribuibile una valenza meramente esplicativa,ossia di formale ricognizione “esterna”, dell’effetto diacquisizione al patrimonio dello Stato che la confisca,ove disposta nel rispetto del contraddittorio con i terziinteressati, è per sé stessa in grado di produrre. Ciò comporta, in definitiva, che, lì dove ai terzi siagarantito il contraddittorio, la nullità degli atti di dispo-

sizione, anche se non espressamente dichiarata dal giu-dice, deve comunque intendersi come un effetto tipicodel provvedimento ablativo; in assenza del contraddit-torio, invece, la relativa declaratoria, quand’anche siastata formalmente pronunziata ai sensi dell’art. 26D.Lgs. cit., risulterebbe inutiliter data, priva di sanzio-ni processuali e non produce vizi rilevanti ai sensi degliartt. 177 ss. codice procedura penale.Con riguardo all’istituto della c.d. confisca post mor-tem, l’art. 26, 2° co., D.Lgs. 159/2011, stabilisce, inassonanza con il meccanismo proprio dell’istituto dellarevocatoria fallimentare, che, ai fini di cui al comma 1,si presumono fittizi, fino a prova contraria:a) i trasferimenti e le intestazioni, anche a titolo onero-

so, effettuati nei due anni antecedenti la propostadella misura di prevenzione nei confronti dell’ascen-dente, del discendente, del coniuge o della personastabilmente convivente, nonché dei parenti entro ilsesto grado e degli affini entro il quarto grado;

b) i trasferimenti e le intestazioni, a titolo gratuito ofiduciario, effettuati nei due anni antecedenti la pro-posta della misura di prevenzione.

L’art. 26, 2° co., lett. a), in particolare, introduce nelsistema un’ulteriore presunzione, dotata di propriaautonomia, che se, da un lato, non fa venire meno quel-la prevista dall’art. 19, 3° co., D.Lgs. 159/2011 – rela-tiva a determinate figure soggettive (coniuge, figli ecoloro che, nell’ultimo quinquennio, hanno convissutocon il proposto) per le quali continua ad essere previstol’obbligo delle indagini patrimoniali –, dall’altro lato,si estende su una più ampia platea di soggetti (l’ascen-dente, i parenti entro il sesto grado e gli affini entro ilquarto), per i quali sono presunte iuris tantum le opera-zioni intervenute a qualunque titolo, gratuito ovverooneroso, entro un arco temporale definito nei due anniantecedenti la presentazione della proposta.Tra le modifiche di maggior rilievo contenute nella legge161/2017 di modifica al Codice Antimafia (D.Lgs. n.159/2011) risulta la nuova disciplina dell’articolo41 rubricato “gestione delle aziende sequestrate”. Il legi-slatore della riforma ha operato, in materia di compendiaziendali sequestrati, una duplice nella tecnica di abla-zione dei compendi aziendali e nella sostituzione del-l’amministratore civilistico. Quanto alla prima, il legisla-tore della riforma ha superato la nota tripartizione dottri-

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nale (sequestro minoritario o maggioritario di partecipa-zioni societarie e sequestro tombale), segnatamente pre-vedendo (art. 20, comma 1°) l’estensione di diritto alcomplesso aziendale allorché il sequestro abbia adoggetto partecipazioni sociali totalitarie. In tal modo conla nuova disciplina “bipartita”, l’amministratore giudi-ziario sarà chiamato a gestire: a) quote di partecipazione societaria di minoranza

(c.d. sequestro minoritario) attenendosi alle “opportunedirettive” impartite dal tribunale ai sensi del nuovo art.41, comma 1 septies;

b) partecipazioni societarie di maggioranza e comples-so aziendale (c.d. sequestro tombale) in conformità aquanto previsto, tra l’altro, dal nuovo art. 41 e dallenorme del codice civile applicabili “ove non espres-samente altrimenti disposto” (art. 41, comma 4°)14.

La riscrittura è profonda e tocca l’intero assetto del c.d.Codice antimafia15. Ben oltre le polemiche sull’esten-sione delle misure di prevenzione all’associazione perdelinquere finalizzata alla corruzione, la legge segna unpunto di svolta importante nelle politiche di contrastoalla pericolosità sociale ed all’accumulazione illecita dipatrimoni. L’opzione risultata prevalente ha assegnatoai giudici un ruolo centrale nell’intero procedimento diprevenzione, inclusa la controversa fase dell’ammini-strazione e destinazione dei beni e ciò è avvenuto conla pressoché totale espulsione dell’Agenzia nazionaledei beni di mafia (ANBSC) dal circuito processuale,relegata ad un ruolo puramente secondario e confinatanelle sue principali attribuzione alla sola fase dell’asse-gnazione dei patrimoni confiscati.A pochi giorni dall’entrata in vigore della Legge n.161/2017, il TAR Lazio è intervenuto con tre distintepronunzie16 nella delicata materia dei compensi degliamministratori giudiziari disciplinata dal D.P.R. n.177/2015.Secondo il Collegio “l’assimilazione tra la figura del-l’amministratore giudiziario e quella del curatore falli-mentare, compiuta dal D.P.R. n. 177/2015 ai fini di unriferimento per la determinazione dei criteri di liquida-zione del compenso, va riportata ad una valutazione dimerito, che è lasciata alla discrezionalità dell’ammini-strazione e di cui è frutto la norma regolamentare e,come tale, non è direttamente sindacabile in sede digiudizio di legittimità dell’atto, se non limitatamente aivizi relativi a manifesta contraddittorietà, incongruen-

za ed illogicità – che nel provvedimento impugnatosembrano comunque non sussistere – e tanto, al fine dievitare l’inammissibile effetto di consentire a questogiudice di sostituire la propria valutazione in ordineall’opzione di intervento ritenuta più opportuna,rispetto a quella effettuata dall’autorità titolare delpotere regolativo”.Al di là dei rilievi e motivazioni che potranno essereopposte alle recenti sentenze, anche in sede di impu-gnativa innanzi al Consiglio di Stato, è opportuno evi-denziare alcuni passaggi che potranno essere utilizzatiper una corretta applicazione del D.P.R. n. 177/2015 eda favore dei professionisti nominati, da coordinareanche con il nuovo testo del codice antimafia per comenovellato dalla legge n. 161/2017.Prima della riforma il Tribunale di Palermo (SezioneMisure di Prevenzione) aveva già pubblicato in data 17gennaio 2017 le “Direttive per lo svolgimento dell’in-carico di Amministratore Giudiziario”, che trovanoapplicazione per la gestione dei beni sequestrati ai sensidel D.Lgs. n. 159/2011, nonché negli altri casi previstiper legge, ove è necessaria la nomina di un amministra-tore giudiziario. Sembra inequivocabile la circostanzaricavabile dalla lettura delle stesse direttive che il man-cato rispetto delle disposizioni contenute nella circola-re potrà essere considerato dal Tribunale indice di inca-pacità ai fini della revoca dell’amministratore.Le direttive suddivise in 10 capitoli riprendono le rego-le generali contenute nel codice antimafia (D.Lgs. n.159/2011): 1) Nomina ed operazioni di immissione nel possesso;2) Relazioni, istanze e note riservate; 3) Rapporti con il Giudice Delegato; 4) Coadiutori, collaboratori e relativo compenso; 5) Indicazioni generali sull’impiego dei beni. Adempimenti

fiscali; 6) Rapporti con il F.U.G.; 7) Le spese anticipate dell’art. 42, 1° co. e 2° co., D.Lgs.

159/2011; 8) Il rendiconto; 9) La liquidazione del compenso finale e degli acconti

degli Amministratori Giudiziari e Coadiutori; 10) Disposizioni finali.Il Tribunale ha determinato in modo chiaro la figura del“coadiutore” dell’amministratore giudiziario, che deveessere tenuta distinta da quella degli altri “collaboratori”

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Tribunale di PalermoSezione i Penale

miSure di Prevenzioneil Presidente,

dott. Giacomo montalbano,dispone comunicarsi agli amministratoriGiudiziari, le seguenti:

direTTivedella Sezione miSure

di Prevenzione del Tribunale di Palermo Per lo SvolGimenTo

dell’inCariCo di a.G.approvate dalla Sezione nelle riunioni 10e 12 gennaio 2017 1. NOMINA ED OPERAZIONI DI IMMIS-SIONE NEL POSSESSO 1.1. all’atto della nomina e, comunque,terminate le operazioni dì immissione nelpossesso, l’a.G. produrrà una dichiara-zione in cui attesta l’inesistenza e siimpegna: a) ad eviTare QualunQue SiTua-

zione di inComPaTibiliTÀ/Con-FliTTo di inTereSSe aTTuale oPoTenziale, Per ConTo Pro-Prio o di Terzi, di naTura Per-Sonale e/o PaTrimoniale Conl’uFFiCio ConFeriTo;

b) a non aSSumere alTri inCariCHiCHe Siano in ConFliTTo d’inTe-

reSSe o non CoerenTi SoTTo ilProFilo deonToloGiCo riSPeT-To all’uFFiCio ConFeriTo;

c) ad oSServare il CodiCe diComPorTamenTo dei diPenden-Ti PubbliCi di Cui al d.P.r. 16aPrile 2013, n. 62;

d) a dimeTTerSi da oGni inCariCoaSSunTo nell’ambiTo dei beniin amminiSTrazione in CaSo diSua SoSTiTuzione Per QualSia-Si CauSa.

1.2. l’a.G. trasmetterà copia della rela-zione in possesso all’a.n.b.S.C. ai fini diquanto previsto dall’art. 38, co. 1, primoalinea, d.lgs. n. 159/2011 e succ.mod. egli atti di straordinaria amministrazioneautorizzati dal G.d.; 1.3.in caso di beni aziendali e di rapportipendenti, se dalla sospensione dei con-tratti può derivare un danno graveall’azienda o al patrimonio, l’a.G. deveavanzare al G.d. – entro 30 gg dall’ese-cuzione del sequestro – istanza di auto-rizzazione alla provvisoria esecuzionedei rapporti pendenti, salva la necessitàdi sciogliere nel più breve tempo possibi-le (e comunque entro il termine eventual-mente assegnato a seguito di messa inmora) la riserva in merito allo scioglimen-to o al subentro (ex art. 56 c. 3 d.lgs. n.

159/2011 e succ.mod.). 1.4. nel caso di sequestro totalitario (o dimaggioranza) di quote sociali, “a.G. pro-cederà, con la massima sollecitudine,alla convocazione delle assemblee per larinnovazione delle cariche sociali (e dellegale rappresentante della società). 1.5. Gli organi esecutivi, di controllo e dicollaborazione delle società sono collabo-ratori ai fini di quanto previsto al punto 4. 2. RELAZIONI, ISTANZE, NOTE RISER-VATE 2.1. l’a.G. deve indicare con una nume-razione progressiva (preferibilmente 1, 2,...) in ordine cronologico tutte le note pre-sentate. la relazione o istanza a chiari-mento manterrà lo stesso numero diquella cui inerisce seguita dall’indicazio-ne bis, ter, etc. 2.2. l’aG deve indicare in modo chiaronell’intestazione del documento se lostesso sia: • una “relazione”: nota che non richie-

de alcun provvedimento da partedell’ufficio;

• una “iSTanza”: nota che richiede unprovvedimento da parte dell’ufficio;

• una “noTa riServaTa”: nota che con-tiene notizie che possono essereoggetto di approfondimenti investigativi,di estensione del sequestro o di tra-

dell’azienda sequestrata scelti sempre dall’amministrato-re giudiziario. I primi (i coadiutori) sono necessari ai finidel sequestro di prevenzione e per questo a caricodell’Erario (compenso determinato dal Tribunale), glialtri (i collaboratori) sono soggetti necessari per la gestio-ne dei beni a prescindere dal sequestro (commercialisti,consulenti del lavoro, legali, ingegneri, eccetera) ed illoro costo è a carico del conto di gestione, salvo la possi-bilità di anticipazione dell’Erario per carenza di liquidità(costo determinato dal giudice delegato). Entrambi ope-rano sotto il controllo e la responsabilità dell’amministra-tore giudiziario, che è l’unico soggetto legittimato adavere rapporti con il giudice delegato ed il Tribunale.Al fine di favorire la rotazione degli incarichi per i

legali nominati viene previsto un limite annuale aicompensi di € 20.000, superato il quale non possonoessere più nominati.Sotto un profilo pratico ed operativo, è stato opportuna-mente osservato17, sarà necessario attendere l’applica-zione in concreto della direttiva, che, certamente, potràessere migliorata ed uniformata a livello nazionale, cer-cando di contemperare da un lato le esigenze di celeri-tà e speditezza nella gestione ed amministrazione dibeni sequestrati (soprattutto le aziende) e dall’altro digarantire un adeguato livello di trasparenza, chiarezzae controllo da parte dell’Autorità Giudiziaria, evitandocosì gli abusi, purtroppo, troppo frequentemente verifi-catisi e non solo a Palermo.

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smissione atti alla Procura avendo curadi non inserire tali informazioni nellerelazioni e nelle istanze.

2.3. la relazione di immissione nel pos-sesso deve essere redatta nel termineprevisto dalla legge nel modo più sinte-tico possibile, in modo da evidenziare alG.d. tutti i contenuti di cui all’art 36d.lgs. n. 159/2.011 e succ.mod. ed inparticolare: a) la corrispondenza (o meno) fra quanto

sequestrato e quanto effettivamenterinvenuto;

b) l’esistenza di diritti di terzi in vista dellaloro citazione nel procedimento;

c) l’impiego da dare ai beni effettivamen-te rinvenuti in vista dei provvedimentiprevisti dagli arti. 40 e 41 d.lgs. n.159/2011 e succ.mod..

2.4. la relazione di immissione nel pos-sesso deve essere organizzata per com-pendi riferiti a ciascun proposto. Si ConSiGlia di uTilizzare ilSeGuenTe SCHema: i. breve inTroduzione Sulle

oPerazioni di immlSSione inPoSSeSSo, Con indiCazionedella daTa di inizio e Fine delleoPerazioni, del numero di Coa-diuTori uTilizzaTi e della daTadi ComuniCazione dell’immiS-Sione all’a.n.b.S.C.

ii. analiSi del ComPendio delProPoSTo (Se i ProPoSTi SonoPiÙ di uno, analizzare CiaSCunComPendio SeParaTamenTe),SeGuendo loSTeSSo SCHema enumerazione del deCreTo diSeQueSTro.

va eviTaTo • di orGanizzare la relazione

Per FaSi (immiSSione nel PoS-SeSSo, deSCrizione dei beni,ProPoSTe Per l’imPieGo deibeni), ma di ConCenTrare leinFormazioni neCeSSarie Per iProvvedimenTi del G.d. e delTiubunale nell’analiSi del Sin-Golo bene.

• di riPorTare Per inTero le

inFormazioni GiÀ ConTenuTenei verbali di immiSSione nelPoSSeSSo, nelle relazioni diSTima, nei bilanCi, CHe SarannoalleGaTi alla relazione, ma alPiÙ i PaSSi SiGniFiCaTivi in rela-zione ai ProvvedimenTi CHedeve aSSumere l’uFFiCio aiSenSi deGli arTT. 40 e 41 d.lGS.n.159/2011 e SuCC.mod.

2.5. l’a.G. deve fornire le seguenti infor-mazioni in relazione a ciascun compen-dio: a) TiPoloGia del bene: azienda,

immobile, veicolo, valore mobiliare,altro tipo dì bene mobile. nel caso divalori mobiliari vanno indicati in modosinottico gli estremi del valore prima edopo della trasmissione al FuG e,comunque, l’eventuale mutamento delcodice identificativo del valore a segui-to del sequestro;

b) TiTolare: persona fisica, nome dellaimpresa individuale, società di perso-ne, società di capitali;

c) valore del bene: va indicata lastima sommaria del valore di mercatodei beni sequestrati, che può in questafase essere operata dall’a.G., salvicasi eccezionali in cui potrà esserefatta motivata richiesta di nomina di unausiliario. nel caso di beni immobili sipossono usare gli indici omi. nel caso di aziende si indicherannoanche i ricavi lordi, gli utili netti ed ilnumero di addetti. Per determinare il valore dell’aziendasi utilizzerà un metodo che tengaconto anche delle passività.

d) aTTuale uTilizzo del bene:occupato, libero, locato; per le azien-de: attiva, inattiva, fallita, affittata.

e) ProPoSTa di imPieGo del bene:uso del titolare, uso delle Forzedell’ordine, locazione, etc. in questoparagrafo verrà anche suggeritol’eventuale dissequestro in caso dibeni che si suppone non essere piùriconducibili al proposto o di beni divalore scarso o, addirittura, negativo.

f) SeQueSTro di beni aziendali: larelazione deve indicare se l’impresadebba proseguire in gestione diretta,affitto o se vada liquidata. in ogni casoil programma fornirà tutti i dettagli delcaso (la necessità di nominare collabo-ratori, organi esecutivi ed i relativicosti; le prospettive di economicitàdella gestione), onde consentire alTribunale ogni valutazione ex art. 41d.lgs. n. 159/2011 ed al G.d. la possi-bilità di assumere i provvedimenti di cuiall’ art. 40 e 42 d.lgs. n. 159/2011. va scrupolosamente rispettato il dispo-sto dell’art. 54, co. 2, secondo alinea,d.lgs. n. 159/2011, che impone dì fattouna gestione in pareggio di bilancio deicrediti prededucibili;

g) evenTuali diriTTi di GodimenTodi Terzi: uso, abitazione, usufrutto,altro diritto reale di godimento, locazio-ne, affitto, trust, fondo patrimoniale, etc. in questo paragrafo si darà notizia: • dell’esistenza di comproprietari o

soci, anche se le loro quote nonsiano state oggetto di sequestro;

• dei preliminari di compravendita dicui all’art. 54 d.lgs. n. 159/2011;

• delle azioni di cui all’art. 55, co. 3,d.lgs. n. 159/2011, avendo cura diprecisare se tali soggetti. siano giàstati per citati intervenire nel proce-dimento ove previsto dal d.lgs. n.159/2011;

• di pignoramenti o sentenze di falli-mento onde avanzare al Giudicedell’esecuzione e al Giudicedelegato istanza di improseguibilitàex art. 55 d.lgs. n. 159/2011 o diassunzione degli ulteriori provvedi-menti previsti dall’art. 64 d.lgs. n.159/2011;

• resistenza dì eventuali contratti incorso onde valutare il subentro o larisoluzione ai sensi di quanto previ-sto dall’art. 56 d.lgs. n. 159/2011 (v.anche 5.5.).

2.6. l’a.G. segnalerà: a) con apposita iSTanza e non appena

se ne renda conto [per la tempestiva

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integrazione del contraddittorio] l’esi-stenza dì diritti di terzi non individuatiquali intervenienti necessari;

b) con atto diverso dalla relazione diimmissione nel possesso l’eventualenecessità di autorizzazioni.

c) con noTa riServaTa, di cui si faespresso divieto di inserimento nellarelazione di immissione nel possesso,l’eventuale esistenza di ulteriori benida sequestrare o di possibili notizie direato.

2.7. le successive relazioni verrannoredatte almeno ogni anno, seguendo glistessi criteri, indicando solo le novitàintervenute nel periodo di riferimento. 2.8. nelle relazioni periodiche si daràconto delle attività gestorie e di ordinariaamministrazione (ovvero tutte quelle nonpreviste dagli arti. 40, co. 3 d.lgs. n.159/2011; 374 e 375 c.c.) e verrà allega-to il rendiconto dell’anno. 2.9. le istanze che prevedono assunzio-ni di impegni di spesa devono specifica-re i criteri con i quali viene proposta unascelta (raffronto fra preventivi con indica-zione del migliore in relazione al costoed all’ efficienza). analogamente si pro-cederà ad illustrare le istanze in cui sipropone la vendita di un bene. Si invita avalutare la possibilità di ricorrere ad astee/o vendite on line, senza oneri per laprocedura. 2.10. l’a.G. osserverà il disposto dell’art.37 d.lgs. n. 159/2011, in materia di con-tabilità separata e tenuta del registrodelle operazioni.

3. RAPPORTI CON IL G.D. 3.1. l’a.G. deve osservare rigorosamen-te la vigente normativa concernente leautorizzazioni del G.d. relative agli atti distraordinaria amministrazione, i soli per iquali le stesse autorizzazioni debbanoessere previamente acquisite. le richieste di autorizzazione presentate aldi fuori dei casi previsti dalla vigente nor-mativa potranno essere considerate indicedi incapacità ai fini della eventuale applica-zione dell’art. 35 d.lgs. n. 159/2011.

3.2. Ciascun magistrato della Sezionecomunicherà, nei modi più opportunitempi e modalità di ricevimento degliaa.GG.

4. COADIUTORI, COLLABORATORI ERELATIVO COMPENSO 4.1. l’a.G. può avvalersi di coadiutori ecollaboratori solo se strettamente neces-sari all’espletamento dell’incarico e dovràselezionarli esclusivamente in base allacompetenza ed alla affidabilità. in sede diliquidazione del compenso dell’a.G. siterrà conto dell’incidenza dei costi deicoadiutori e collaboratori. 4.2. in ogni caso il coadiutore opera sottola diretta responsabilità dell’a.G. e sirelaziona con l’ufficio solo attraversol’a.G. 4.3. il punto 1.1. si applica anche ai coa-diutori e collaboratori, che consegneran-no l’attestazione all’a.G. di cui copiaverrà allegata alla relazione di immissio-ne in possesso o alle successive relazio-ni periodiche. 4.4. Prima di presentare la richiesta diautorizzazione alla nomina di coadiutori,collaboratori, esperti e comunque diqualsivoglia figura professionale dì ausi-lio (ad es.: consulenti tecnici, contabili,fiscali, stimatori, procuratori (per agire oresistere in giudizio nell’interessedell’amministrazione o delle società lecui quote siano state sequestrate) ecc.],l’a.C. provvederà ad acquisire (dal pro-fessionista nominando) dichiarazionescritta con cui lo stesso attesti: a) di non verSare nelle Condi-

zioni di inComPaTibiliTÀ di Cuiall’arT. 35 C. 3 d.lGS. 159/11(dovendoSi le STeSSe eSTen-dere a TuTTi SoGGeTTi nei CuiConFronTi il SeQueSTro SiaSTaTo diSPoSTo – dunQue Pro-PoSTo ed inTervenienTi – eComunQue anCHe ai raPPorTodi abiTuale CommenSauTÀ eFreQuenTazione);

b) di non avere raPPorTi diConiuGio, ParenTela/aFFiniTÀ

(Fino al Terzo Grado), abiTua-le CommenSauTÀ e FreQuenTa-zione Con l’a.G. ad eCCezionedei ComPonenTi uFFiCiali del-l’orCanizzazione ProFeSSio-nale dell’a.G., Con i GludiCi edil PerSonale di CanCelleriadella Sezione;

c) di non aver riCevuTo – neGliulTimi 12 meSi – PiÙ di 20 inCari-CHi da ParTe dei GiudiCi del Tri-bunale di Palermo e/o dai loroauSiliari (ComPreSi, dunQue,amminiSTraTori, CuSTodi, Cura-Tori, eCC... a loro volTa nomi-naTi dall’auToriTÀ Giudiziaria);

d) di non aver riCevuTo, neGliulTimi 12 meSi, PiÙ di 10 inCari-CHi di CoadiuTore, e Comun-Que di non avere, in CorSo,PiÙ di 20 inCariCHi della STeS-Sa TiPoloGla;

e) di non aver riCevuTo inCari-CHi Quale leGale dell’a.G. (odelle SoCieTÀ le Cui QuoTemaGGioriTarie Siano in ammini-STrazione Giudiziaria), da CuiSia derivaTa, neGli ulTimi 12meSi, la liQuidazione di Com-PenSi ComPleSSivi SuPeriori a€ 20.000,00.

4.5. l’istanza per la nomina di uno deisoggetti di cui al punto precedente preci-serà: a) se la nomina valga anche quale di

autorizzazione al compimento di atto distraordinaria amministrazione, da auto-rizzarsi in modo espresso ovvero se siasufficiente prendere atto e valutarefavorevolmente la nomina. in ogni caso l’a.G. avrà cura di motiva-re le ragioni che rendano necessaria oconveniente per l’amministrazione lanomina e, se del caso, l’atto di straordi-naria amministrazione al quale tende;

b) se si richiede che la spesa vada posta: 1. a carico dell’attivo di gestione, ove

capiente, con diritto al rimborso infavore dell’avente diritto in caso direstituzione del bene;

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2. a carico dell’erario, ove l’attivo digestione sia in tutto o in parte noncapiente, senza diritto al recupero;

3. provvisoriamente a carico dell’erario,con diritto al recupero nei confrontidell’avente diritto in caso di restituzio-ne del bene, previa dichiarazione del-l’a.g. della incapienza dell’attivo digestione;

4. a carico dell’attivo di gestione,avendo cura di rispettare quantodisposto dall’art. 54, co. 2, d.lgs.n. 159/2011, trattandosi di rapportocon un’azienda.

al Fine di aGevolare la ComPren-Sione della CenTraliTÀ delladiSTinzione Fra “CoadiuTori” e“CollaboraTori” Si PreCiSa CHe il“CoadiuTore” È Solo Colui CHeSvolGa, SoTTo la reSPonSabiliTÀdell’a.G. TuTTe le aTTiviTÀ ConSe-GuenTi all’imPoSizione del vinCo-lo e Funzionali allo SvolGimen-To, da ParTe dell’a.G., di QuelleaTTiviTÀ – “eCCezionali” riSPeTToall’ordinaria GeSTione di unbene da ParTe di un PrivaTo – laCui eSeCuzione Si PaleSa neCeS-Saria “a CauSa” del SeQueSTro diPrevenzione (CioÈ CHe, Senza dieSSo, non Sarebbero STaTeSvolTe dal TiTolare del bene,SeCondo un CriTerio di ordina-ria diliGenza). diverSa È la PoSizione di QualSi-voGlia SoGGeTTo della CuioPera e dei Cui Servizi Sia neCeS-Sario ServirSi Per la CuSTodia,GeSTione e amminiSTrazione(ordinaria e STraordlnaria) delbene in SeQueSTro, e la Cui indi-viduazione l’a.G. SoTToPoneall’auTorizzazione del G.d. SoloPer il doveroSo Coordinamen-To delle aTTiviTÀ SoTTo la dire-zione dell’auToriTÀ Giudiziaria,ma CHe – ove il bene non FoSSeSTaTo SeQueSTraTo – il TiTolareavrebbe liberamenTe SCelToSul merCaTo. nÉ il ParTiColare

ProFilo ProFeSSionale del-l’oPera (ad eS. un leGale, o unConSulenTe del lavoro o FiSCa-le) o la rilevanza “STraTeGiCa”dell’inCariCo (ad eS. l’ammini-STraTore uniCo di una SoCieTÀ)auTorizza l’adozione dJ un Cri-Terio diverSo. SoTTo un ProFilo eConomiCo, laCiTaTa diSTinzione aSSume ulTe-riore rilevanza, invero menTrel’onere eConomiCo riFeribileall’aTTiviTÀ del CoadiuToreGrava – in via Finale – SemPreSullo STaTo (CHe, in CaSo direSTiTuzione dei beni, non PoTrÀreCuPerare il menzionaToeSborSo), nel CaSo di “SPeSeneCeSSarie o uTili Per la Con-Servazione e l’amminlSTrazionedei beni” le STeSSe Gravano Sem-Pre (QuanTomeno dal PunTo diviSTa riCoSTruTiivo) Sulla C.d.GeSTione (CioÈ Sull’evenTualeaiTivo derivanTe dal bene CuiaFFeriSCono, eSSendo oneriFunzionali alla Sua manuTenzio-ne, o all’aumenTo della SuareddiTiviTÀ) e, ove anTiCiPaTe dal-l’erario (ad eS. Per una momenTa-nea Carenza di liQuidiTÀ), deTer-minano – nel CaSo di reSTiTiJzio-ne del bene – un diriTTo delloSTaTo al loro reCuPero (aPPun-To PerCHÉ lo STaTo, anTiCiPando-ne il CoSTo, Si È ProvviSoriamen-Te SobbarCaTo un onere CHeComunQue Sarebbe SPeTTaTo alTiTolare del bene). la Sezione riTiene, inolTre, CHela diFFerenza Si maniFeSTi anCHeSoTTo il ProFilo ProCedimenTa-le, in QuanTo la deTerminazionedel ComPenSo ai CoadiuTori(PeralTro da liQuidarSi SoTToForma di SPeSe CHe GravanoSull’a.G., CFr. ora l’arT. 42, Co. 3,d.lGS. n. 159/2011 in QueSTa ParTeuGuale al PreviGenTe arT. 2oCTieS, Co. 3, l. n. 575/1965) È di

ComPeTenza del Tribunale aSeGuiTo di iSTanza FreSenTaTa invia TelemaTiCa, menTre l’even-Tuale auTorizzazione al ComPi-menTo di SPeSe neCeSSarie ouTili Per la GeSTione È di ComPe-Tenza del G.d., eSSendo neCeS-Saria la PreSenTazione del-l’iSTanza in via TelemaTiCa SoloQuando Siano da PorSi a CariCodell’erario Per Carenza ToTaleo Parziale dei Fondi di GeSTione(e Gravando in oGni CaSo Su TaliFondi). in oGni CaSo È SemPre e Solol’a.G. ad a vere raPPorTi Con ilTribunale, PoiCHÉ oGni SoGGeT-To CHe Collabora, a QualSiaSiTiTolo, nella GeSTione dei beniSeQueSTraTi Ha Come PunTo diriFerimenTo o l’a.G. o il raPPre-SenTanTe leGale della PerSonaGiuridiCa nel Cui Favore È Svol-Ta la PreSTazione. 4.6. il compenso dei soggetti di cui alpunto 1.5. è proposto dall’ a.G. e deter-minato dal G.d. all’atto della nomina.esso deve tenere conto della sostenibili-tà economica da parte dell’impresa edeve essere congruo all’impegno profu-so, al risultato raggiunto anno per anno,e comunque anche prima in caso di rile-vanti sopravvenienze negative. di tali compensi si terrà conto nella liqui-dazione del compenso all’a.G. e verrannosempre indicati nelle relazioni periodiche– alla quale verrà allegata l’istanza con laquale si propone il compenso per l’annosuccessivo – e nel rendiconto finale. nel formulare la sua proposta, l’a.G. indi-cherà al lordo fatturato, attivo, numero dìdipendenti, importo previsto dal contrattocollettivo dirigenti del settore merceologi-co, compenso del predecessore, tariffe dicui al d.m. 140/2012. 4.7. la liquidazione dei coadiutori vieneeffettuata dal Tribunale su propostadell’a.G., al riguardo va detto: dalla relazione GovernaTiva diaCComPaGnamenTo al d.P.r. n.

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177/15 e dal Parere n. 842/15 delConSiGlio di STaTo Sezione Con-SulTiva Per Gli aTTi normaTivi,ad. del 21 maGGio 2015, emerGeCHiaramenTe Come il CriTerio diliQuidazione dei ComPenSi deiCoadiuTori Sia Quello del rim-borSo delle SPeSe eFFeTTiva-menTe SoSTenuTe a Tale TiTolodall’a.G. la Sezione riTiene CHe la SPeSavenGa PreviamenTe liQuidaTadal Tiubunale Per le SeGuenTiraGioni: l’arT. 42, Co. 4, d.lGS. n. 159/2011Prevede SolamenTe CHe “il rim-borSo delle SPeSe SoSTenuTePer i CoadiuTori” Sia diSPoSTodal Tribunale Con deCreTomoTlvaTo, SenTiTo il G.d. l’arT. 3, Co. 8, SeCondo alinea,d.P.r. n. 177/2015 non PrevedeaPParenTemenTe alCun SindaCa-To dell’auToriTÀ Giudiziaria inordine alla ConGruiTÀ delleSPeSe SoSTenuTe Per i Coadiu-Tori, limiTandoSi a riCHiedereCHe Siano “doCumenTaTe”. deve, PerÒ, riTenerSi CHe, ComeTuTTe le SPeSe in QualCHe modoColleGaTe ad un ProCedimenToGiudiziario, Sia neCeSSario unProvvedimenTo dell’auToriTÀGiudiziaria CHe veriFiCHi: a) Se SuSSiSTa l’auTorizzazione

Previa da ParTe del maGiSTra-To, ove PreviSTa (ed È QueSToil CaSo del riCorSo all’oPeradi CoadiuTori, CFr. arT. 35, Co.4, d.lGS. n. 159/2011);

b) Se Siano STaTi CorreTiamenTeaPPliCaTi i CriTeri Per il riCono-SCimenTo della SPeSa SoSTenu-Ta (in QueSTo CaSo l’aPPliCazio-ne di TariFFe STabiliTe PerleGGe Per i ProFeSSioniTi ovve-ro, in manCanza, dei CriTerideTTaTi dallo STeSSo d.P.r. n.177/2015 Per l’amminiSTraToreGiudiziario, Sul PunTo v. olTre);

c) Se le SPeSe SoSTenuTe SianoConGrue nell’an e nel Quan-Tum (in QueSTo CaSo nei limiTidella diSCrezionaliTÀ CHe Sideve riConoSCere all’a.G.,TenuTo ConTo delle direTTiveCHe Gli Sono STaTe imParTire).

QuanTo alla naTura GiuridiCadell’iSTanza di rimborSo Previ-STa dalla normaTiva di SeTTore,deve riTenerSi CHe Si TraTTi diun’iSTanza di auTorizzazione alPaGamenTo della Somma CHe,SeCondo il Tribunale, È Con-Grua riSPeTTo al lavoro SvolTodai CoadiuTori e CHe CoSTiTui-SCe TiTolo Per l’anTiCiPazione aCariCo dell’erario. l’a.G. PoTrÀ, ovviamenTe Corri-SPondere ai CoadiuTori (da Con-SiderarSi a TuTTi Gli eFFeTTi SuoiCollaboraTori) la Somma CHeriTiene CorreTTa, ma il Tribuna-le PoTrÀ auTorizzarne il rim-borSo a CariCo dell’erarioSolo ove la nomina del Coadiu-Tore Sia STaTa auTorizzaTa (oraTiFiCaTa) dal G.d. e nei limiTi diConGruiTÀ Come di SeGuiTo SPe-CiFiCaTi. la Sezione riTiene CHe le SPeSeSoSTenuTe Per i CoadiuTori deb-bano eSSere liQuidaTe SeCondo iCriTeri del d.m. 30.5.02 di aTTuazio-ne del d.P.r. n. 115/2002 o, inSubordine, del d.m. n. 140/2012 (eSuCCeSSivi aGGiornamenTi); inulTeriore Subordine verrÀliQuidaTo un ComPenSo nonSuPeriore al rimborSo ForFeT-Tario SPeTTanTe SeCondo il Cri-Terio del d.P.r., ove non SianoaPPliCabili i CriTeri PredeTTi. diTali SPeSe PoTrÀ TenerSi ConTo,anCHe ai Fini dell’evenTuale ridu-zione del ComPenSo Per l’a.G.riSulTanTe dall’aPPliCazione deld.P.r., Come PreviSTo dall’ arT. 4,Co. 1, leTT. b), d.P.r. n. 177/2015. analoGamenTe va deTTo anCHe

Se la liQuidazione PrevenTivariGuardi le SPeSe di Cui all’ arT.2 oCTieS, Co. 2, l.CiT., FaTTa Salval’eSCluSiva ComPeTenza del G.d.e, ovviamenTe, la CirCoSTanzaCHe la SPeSa Sia Solo ProvviSo-riamenTe anTiCiPaTa dall’erario.

5. INDICAZIONI GENERALI SULL’IM-PIEGO DEI BENI. ADEMPIMENTIFISCALI

A) AZIENDE5.1. vds. punti 1.3. e 1.4. per gli adempi-menti urgenti. 5.2. vds. punto 2.5. per i criteri fonda-mentali di gestione, in primis quello delpareggio di bilancio della gestione del-l’amministrazione. 5.3. nel caso di sequestro di attivitàimprenditoriale, si evidenzia l’impossibilità– ex art. 35, co. 3, d.lgs. n. 159/2011 – diavvalersi della collaborazione lavorativadel proposto e degli intervenienti (ecomunque degli altri soggetti indicati nel-l’articolo, salvo che peculiarità connessealle dimensioni aziendali. al numero deidipendenti, all’organizzazione dell’attivi-tà, alle mansioni del soggetto inducano aritenere inesistente il rischio di condizio-namento o in genere di pregiudizio perl’amministrazione giudiziaria), occorren-do pertanto che l’a.G. individui una figu-ra di propria fiducia idonea, procedendopure ai licenziamenti necessari (valoriz-zando il venir meno del rapporto fiducia-rio alla luce della funzione del sequestro,degli obiettivi dell’amministrazione edella citata normativa). 5.4. nel caso si ravvisi l’opportunità di unaffitto del ramo d’azienda, il contrattoandrà stipulato a condizione che il con-duttore non risulti oggetto di comunicazio-ni o informazioni antimafia anche atipicherese dalla competente Prefettura ai sensidegli artt. 84 ss. d.lgs. n. 159/2011 e,comunque, non risulti soggetto riconduci-bile al proposto e agli intervenienti. È,pertanto, necessario sollecitare il G.d. arichiedere alla P.G. un accertamento sutale punto.

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Note a sentenza

B) IMMOBILI5.5. l’a.G. deve regolarizzare ogni occu-pazione dell’immobile, sgomberareall’esito gli immobili che risultino occupa-ti abusivamente, cercare di mettere afrutto ogni immobile. 5.6. l’a.G. determinerà, in caso di richie-sta del proposto di autorizzazione ad abi-tare l’immobile sequestrato, un’equaindennità di occupazione (commisurata,oltre che al valore locatizio dell’immobile ealla natura transitoria del rapporto – atte-so che detta autorizzazione si intenderàaccordata fino al provvedimento di confi-sca di primo grado, salvo ulteriori determi-nazioni dell’ANBSC – anche alle capacitàeconomiche del richiedente), avvertendogli occupanti che, in caso di mancatopagamento, si procederà allo sgomberoex art. 21 d.lgs. 159/11. 5.7. Per gli immobili già locati l’a.G. deveesercitare il diritto previsto dall’art. 56d.lgs. n. 159/2011. in caso di subentronel contratto, alla scadenza naturaledello stesso, l’a.G. dovrà negoziare unnuovo contratto che contenga la clausoladi cui al punto che segue. 5.8. la locazione del bene preceduta dalrilascio di aPe – per gli immobili per cuisia richiesto a pena di nullità del contrat-to – da ottenere da parte del tecnico difiducia che presenti il preventivo più con-veniente (fra almeno 3 offerte) è sogget-ta al termine individuato nella fine delprocedimento di primo grado e va previ-sta una clausola risolutiva espressa delseguente tenore (o altra analoga): • aTTeSo CHe l’uniTÀ immobiliare

oGGeTTo del PreSenTe ConTToÈ SoTToPoSTa a SeQueSTro diPrevenzione ai SenSi del d.lGS.159/2011, il ConTraiTo SiriSolverÀ nell’iPoTeSi in Cui:

• il ConduTTore doveSSe riSul-Tare, GiuSTa SenTenza irrevo-Cabile, aPParTenenTe ad unSodalizio maFioSo o ad alTraaSSoCiazione Criminale;

• il ConduTTore o i SoGGeTTi diCui aGli arTT. 84 e 91 d.lGS.

159/2011 doveSSero riSulTareoCGeTTo di ComuniCazioni oinFormazioni anTimaFia anCHeaTiPiCHe reSe dalla ComPeTen-Te PreFeTTura ai SenSi deGliarTT. 84 ss. d.lGS. 159/2011.

5.9. Qualora non sia stato possibile mette-re a frutto l’immobile, si dovrà valutare conil G.d. la possibilità di affidarlo in comoda-to con onere di provvedere al pagamentodegli oneri ordinari e straordinari ad asso-ciazioni, che potrebbero essere assegna-tarie del bene in caso di confisca.

C) MOBILI (VEICOLI)5.10. i veicoli sostanzialmente privi divalore commerciale va proposti per il dis-sequestro. 5.11. Salvo l’impiego per l’esercizio del-l’attività di impresa l’a.G. verificherà se isoggetti di cui all’art. 40 co. 5 bis d.vo.159/2011 siano interessati a chiedere alTribunale l’affidamento.

D) PRODOTTI FINANZIARI5.12. Tutti i prodotti finanziari possonoessere trasmessi al FuG e vanno tra-smessi, se non effettivamente indispen-sabili per la gestione dell’amministrazio-ne. in questo caso l’a.G. deve presenta-re una richiesta motivata.

E) ADEMPIMENTI FISCALI5.13. si raccomanda la puntuale osser-vanza degli adempimenti di cui all’art. 51d.lgs. n. 159/2011.

6. RAPPORTI CON IL F.U.G. 6.1. Si richiama il rispetto della legge isti-tutiva e succ. mod. e delle circolari mini-steriali in materia (m_dg.daG.29/12/2008.0168934.u e m_dg.daG.30.07/2009.099827.u), ivi compreso l’utilizzodella modulistica predisposta dalministero per le comunicazioni con ilFuG.

7. LE SPESE ANTICIPATE DELL’ART.42, CO. 1 E 2, D.Lgs. N.159/2011 7.1. le spese che devono essere antici-

pate dall’erario vanno previamente auto-rizzate dal G.d., anche se si tratta dispese che, per la loro natura giuridica,non rientrano fra quelle dell’art. 40, co. 2,d.lsg. n. 159/2011. la somma deve essere richiesta tramiteSiamm, qualora non sia quantificabile almomento dell’autorizzazione, la succes-siva quantificazione deve essere autoriz-zata dal G.d. 7.2. nel caso dì sopravvenienza di fondidi gestione onde non attivare il procedi-mento di riscossione esattoriale, lesomme anticipate dall’erario ai sensi del-l’art. 42, co. 2, d.lgs. n. 159/2011, saran-no restituite in favore dell’erario.

8. IL RENDICONTO 8.1. il provvedimento conclusivo del pro-cedimento di primo grado verrà trasmes-so a cura della cancelleria anche all’ a.G.che provvederà al deposito: • del conto della gestione di cui al punto8.2 (salva la sospensiva disposta dallaCorte di appello); • (in caso di confisca) dell’elenco nomi-nativo dei creditori con l’indicazione deicrediti e delle rispettive scadenze el’elenco nominativo di coloro che vantanodiritti reali o personali sui beni, con l’indi-cazione delle cose stesse e del titolo dacui sorge il diritto, anche ove già indicatein precedenti relazioni. 8.2. l’a.G. è tenuto a presentare il rendi-conto nel termine di giorni 90, prorogabi-le su richiesta motivata e decorrenti dallacomunicazione del provvedimento defini-torio di primo grado. 8.3. Per la relazione di accompagnamen-to al rendiconto vero e proprio (saldo ini-ziale/finale; entrate/uscite) si farà riferi-mento allo stesso schema seguito per larelazione di immissione nel possesso. 8.4. Per il rendiconto di beni aziendalisarà sufficiente fare riferimento alla con-tabilità, avendo cura di menzionare i datisalienti per la liquidazione del compenso(valori dell’azienda, compensi corrispostiall’amministratore). 8.5. Per il rendiconto degli altri beni si

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deve istituire il registro delle operazionianche quando si è scelto di canalizzaretutte le operazioni su apposito conto cor-rente. 8.6. le spese devono essere documen-tate o con riferimento alla relazione in cuisi è dato atto della loro effettuazione (sesi tratta di spese che non devono essereautorizzate), ovvero mediante produzio-ne dei provvedimenti di autorizzazione/liquidazione del G.d. e relativa previaistanza dell’a.G. 8.7. nel rendiconto vanno separatamente echiaramente indicate le somme anticipatedall’erario ai sensi dell’art. 421 co. 2, d.lgs.n. 159/2011, affinché si possa procederecon solerzia al recupero di tali spese. le stesse saranno imputate ai sopravve-nuti fondi dell’attivo di gestione, senzache sia necessario attivare il procedi-mento di riscossione esattoriale. 8.8. nel rendiconto l’a.G. indicherà gliacconti ricevuti e/o le spese per i coadiu-

tori già liquidati, anche se le somme sonostate poste a carico dell’erario, nonchétutti i compensi percepiti a qualunquetitolo da lui e/o da soggetti da lui nomina-ti, anche se rientranti nella contabilitàaziendale.

9. LA LIQUIDAZIONE DEL COMPENSOFINALE E DEGLI ACCONTI DI A.G. ECOADIUTORI 9.1. l’istanza di liquidazione del com-penso finale proprio e di quello dei coa-diutori deve contenere l’attestazione,sotto la propria responsabilità, di tutti icompensi ricevuti a qualsiasi titolo edeve essere sempre corredata da tuttala documentazione di riferimento, preci-sando se prelevati dall’attivo di gestioneo erogati dall’erario. 9.2. l’istanza di liquidazione del compen-so dell’a.C. deve essere formulatatenendo conto dei criteri fissati dal d.P.r.n. 177/2015.

9.3. la eventuale richiesta dì acconto dapresentarsi con i medesimi modalità econtenuti sopra indicati dovrà essereparametrato al presumibile compensofinale. 9.4. non verranno liquidati accontiall’a.G. che riceva già dei compensi qualeamministratore di società in sequestro.

10. DISPOSIZIONI FINALI 10.1. le direttive sostituiscono quelle pre-cedenti e si applicano, ove compatibilicon la disciplina previgente, anche alleprocedure non soggette alla disciplinadel d.lgs. n. 159/2011. 10.2. il mancato rispetto delle direttivepotrà essere considerato indice di inca-pacità ai fini della applicazione dell’art.35 d.lgs. n. 159/2011.

Palermo martedì 17 gennaio 2017 il Presidente della Sezione dott. Giacomo montalbano

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Note a sentenza

1 CEDU 23 febbraio 2017, De Tommaso c.Italia, in www.archiviopenale.it

2 DELLo RUSSo, La Corte EDU sulle misu-re di prevenzione. Altro caso di conflittoistituzionale?, in www.archiviopenale.it

3 GAITo, I principi europei del processopenale, Roma, 2016.

4 Cass. Pen. Sez. Un., 20-07-2017, n.48126, in C.E.D. 270938.

5 In forza dell’orientamento condiviso inchiave nomofilattica (rappresentato da Sez.III, n. 39715 del 06/10/2010, Pignatelli, Rv.248624; Sez. III, n. 42362 del 18/09/2013,Ariano, Rv. 256976; Sez. I, n. 12769 del12/02/2016, Verde, Rv. 266691), in base alquale, facendo leva proprio sul non interve-nuto passaggio in giudicato della sentenzache ha disposto la confisca (e dunque sullanon irrevocabilità della stessa), si rileva che

la pronunzia di primo grado, proprio per lasua non definitività, non ha affatto mutato iltitolo giuridico dell’ablazione, che continuaad essere rappresentato dall’originarioprovvedimento di sequestro. Il bene,insomma, finchè la sentenza non divieneirrevocabile, è indisponibile, non perchèconfiscato, ma perchè sequestrato. È infattisulla base di tale provvedimento cautelareche il terzo è stato spossessato (e continuaad essere privato) della disponibilità delbene. La pronunzia che ne dispone (rectius:ne potrebbe disporre) il trasferimento diproprietà allo Stato (scil. la confisca) è, percosì dire, sub condicione: essa in tantoassumerà giuridica esistenza e pratica effi-cacia in quanto (e solo se) la sentenzadivenga irrevocabile (e, si intende, se la sta-tuizione di confisca venga confermata).Dunque, si sostiene, il terzo, rimasto estra-neo al giudizio di cognizione ben può far

valere il proprio diritto alla restituzione deibeni che gli sono stati (cautelativamente)sottratti. Ma ciò non potrà fare avvalendosidel dettato di cui all’art. 579 c.p.p., comma3, sia perchè non è parte, sia perchè ciò cheegli può impugnare non è la confisca (even-tuale) del bene, ma il diniego alla restituzio-ne dello stesso che, allo stato, è vincolato inbase al provvedimento di sequestro. Per ilterzo insomma l’appello cautelare costitui-sce l’unico rimedio attivabile per contestareil vincolo gravante sui beni fino al passag-gio in giudicato della confisca, posto chesolo in quel momento egli sarebbe legitti-mato a contestare il merito del provvedi-mento ablativo mediante la proposizione diapposito incidente di esecuzione nelleforme dell’art. 676 del codice di rito. Incapo al terzo intestatario del bene sussistesenza dubbio l’interesse a contestare il per-manere delle condizioni giustificative del

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Note a sentenza

vincolo (egli è estraneo al processo, noncerto al sequestro); e ciò anche quando siaintervenuta sentenza – non irrevocabile –che abbia disposto la confisca. E dunque: ilfatto che sia intervenuta tale sentenza (evi-dentemente di condanna), con la quale, fral’altro, è stata ordinata la confisca della resdi proprietà del terzo, non muta il titolo giu-ridico in base al quale il bene è – in quelmomento – sottoposto a vincolo reale; tito-lo costituito (fino al passaggio in giudicatodella sentenza) dal sequestro preventivo.D’altronde, come è stato osservato (cfr.sentenza Pignatelli, cit.), l’appello al tribu-nale del riesame è rimedio di caratteregenerale per tutti i provvedimenti diversi daquello impositivo della misura.

6 Cass., Sez. Un., 16 marzo 2017 (c.c. 22dicembre 2016), De Angelis ed altri, inwww.archiviopenale.it

7 D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, c.d.Codice delle leggi antimafia e delle misuredi prevenzione.

8 Cfr. infra pag. 6, Cass., Sez. Un., 16marzo 2017 (c.c. 22 dicembre 2016), DeAngelis ed altri: «Il procedimento di pre-venzione patrimoniale può essere iniziatoanche in caso di morte del soggetto nei con-fronti del quale potrebbe essere disposta laconfisca; in tal caso la richiesta di applica-zione della misura di prevenzione può esse-re proposta nei riguardi dei successori a

titolo universale o particolare entro il termi-ne di cinque anni dal decesso»

9 Cfr. art. 18, 1° co., D.Lgs. n. 159 del 2011.

10 Cass., Sez. Un., 26 giugno 2014,Spinelli, in C.E.D. Rv. 262604.

11 Cfr. infra pag. 8 Cass., Sez. Un., 16marzo 2017 (c.c. 22 dicembre 2016), DeAngelis ed altri: «Forme di tutela, dunque,particolarmente incisive, quelle predispostedal legislatore per colpire l’intento elusivodella esecuzione di un provvedimento,anche solo potenziale, in materia di preven-zione patrimoniale. Esse, peraltro, sono raf-forzate, per un verso, dalla possibilità difare ricorso alla particolare ipotesi di confi-sca di cui all’art. 12-sexies d.l. 8 giugno1992, n. 306, convertito dalla legge 7 ago-sto 1992, n. 356, e, per altro verso, dallaeventuale applicazione della specificadisciplina del sequestro o confisca per equi-valente di cui all’art. 25 d.lgs. n. 159 del2011, in quanto finalizzata, senza alcunadelimitazione temporale e nei confronti diqualsiasi persona venga fatta oggetto di unaproposta di misura (ivi compresi gli eredi),a colpire le condotte elusive delle misure diprevenzione patrimoniale per un valore cor-rispondente a quello dei beni ad esse assog-gettabili, finanche nelle ipotesi di legittimotrasferimento a terzi in buona fede».

12 Cass., Sez. Un., 26 giugno 2014,

Spinelli, Rv. 262604

13 L’art. 26, comma 1, nel recepire il teno-re letterale dell’abrogata disposizione di cuiall’art. 2 ter della legge n. 575 del 1965, pereffetto delle modifiche apportate dal D.L.23 maggio 2008 n. 92, convertito dallalegge 24 luglio 2008, n. 125, stabilisce, conuna formulazione “aperta”, comprensiva diogni atto che realizzi il concreto risultato diuna volontaria attribuzione del bene al finedi eluderne l’apprensione statale, che«quando accerta che taluni beni sono statifittiziamente intestati o trasferiti a terzi, conil decreto che dispone la confisca il giudicedichiara la nullità dei relativi atti di disposi-zione».

14 FLoRIo-D’AMoRE, Riforma CodiceAntimafia: cambia la relazione per la gestio-ne delle imprese sequestrate, in Quot. Giur.,2017.

15 Cisterna, Pubblicate in gazzetta le modi-fiche al codice delle leggi antimafia e dellemisure di prevenzione, 2017, in Quot. Giur.

16 Cfr. Tar Lazio, Sez. I., Sent. 21 novem-bre 2017, 11523; Id. Sent. 21 novembre2017, n. 11516; Id. Sent. 21 novembre2017.

17 FLoRIo-D’AMoRE, A Palermo regole pre-cise per gli Amministratori giudiziari, in IlQuotidiano Giuridico, 28.02.17, p. 9.

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Il fenomeno della globalizzazione, visto in connes-sione con l’altro fenomeno, vale a dire quello dellacircolazione dei lavoratori rappresenta spesso una

opportunità per aziende e lavoratori di entrare in con-tatto tra loro. Da un lato le aziende delocalizzano leproprie sedi per ridurre i costi di produzione e gli onerifiscali per costruire strutture a più livelli, da ultimo,anche quello multiculturale. Per altra via occorre tenerpresente che i lavoratori svolgono attività lavorativecompatibili con la loro formazione, oltre a beneficiarein concreto di retribuzioni maggiori rispetto a quelleche diversamente percepirebbero nel proprio paese1. A ciò si aggiungono i vantaggi ad essi assicurati di ope-rare in un ambiente multiculturale che può aprire e svi-luppare le competenze interpersonali.Questo è lo scenario di fondo che è dato cogliere da unaprima lettura della sentenza di cui ci occupiamo.Tuttavia la fattispecie ha posto non poche problemati-che sotto il profilo politico ed economico. Una societàaperta alle diversità e che vuole essere pluralista deveadoperarsi per un adeguamento della disciplina giusla-voristica rispetto alle esigenze pratiche del lavoratorestraniero, e viceversa.Il problema che qui esaminiamo è l’incompatibilità, in

alcuni casi emergente, tra la normativa aziendale e ilcredo religioso.Siffatta incompatibilità assume carattere certamentenon marginale; sono frequenti i casi in cui l’azienda hadovuto operare un adeguamento del funzionamentodella struttura interna alle convinzioni religiose delproprio dipendente. Talora invece è richiesto al dipen-dente stesso di rinunciare a determinate pratiche reli-giose perseguendo gli interessi dell’azienda.Si tratta di una linea di confine che divide due posizio-ni contrapposte, dove talora l’intervento a favore del-l’una implica il sacrificio dell’altra. Operare un bilan-ciamento appare non facile, ma si tratta di comprende-re quando debba prevalere la libertà di religione equando, invece, la libertà di impresa2.Sulla base di tali premesse ci si domanda se il divietodi indossare segni visibili del proprio convincimentoreligioso durante le ore lavorative sia legittimo, inquanto espressione di una esigenza organizzativa del-l’azienda meritevole di tutela o, viceversa, illegittimopoiché espressione di una discriminazione, sia essadiretta o indiretta. Nel caso specifico l’azienda – convenuta in giudizio –aveva vietato alla lavoratrice l’uso del velo islamico in

Globalizzazione nel mondo del lavoro:adeguamento del regolamento aziendalee integrazione del dipendenteCarlotta Maria ManniPraticante Avvocato

CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA – Sentenza 14 marzo 2017 nella causa C-157/15

[…] Il divieto di indossare un velo islamico, derivante da una norma interna di un’impresa privata che vieta diindossare in modo visibile qualsiasi segno politico, filosofico o religioso sul luogo di lavoro, non costituisce unadiscriminazione diretta fondata sulla religione o sulle convinzioni personali […]. Può invece costituire una discri-minazione indiretta […] qualora venga dimostrato che l’obbligo apparentemente neutro comporta uno svantag-gio per le persone che aderiscono ad una determinata religione o ideologia, a meno che esso sia giustificato dauna finalità legittima, come il perseguimento, da parte del datore di lavoro, di una politica di neutralità politica,filosofica e religiosa nei rapporti con i clienti, e che i mezzi impiegati per il conseguimento di tale finalità sianoappropriati e necessari, circostanza, questa, che spetta al giudice del rinvio verificare.

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Note a sentenza

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forza di una prassi aziendale poi consolidatasi in unvero e proprio regolamento. In mancanza di un adegua-mento alla norma interna, l’azienda aveva dato seguitocomminando il licenziamento alla dipendente. L’esame della questione presuppone l’approfondimen-to – pur se brevemente contenuto nelle presenti note –di alcuni aspetti per i quali si rende necessario il richia-mo alla Direttiva 78/2000/CE.Tale Direttiva mira a stabilire un quadro generale orien-tato alla lotta verso ogni forma di discriminazione fonda-ta sulla religione, sulle convinzioni personali, sull’handi-cap, sull’età e sulle tendenze sessuali nell’ambito lavora-tivo. Tale lotta, quindi, ha ad oggetto sia le discrimina-zioni dirette che quelle indirette. Le prime intuibilmente si configurano laddove il sog-getto sia destinatario di un trattamento meno favorevo-le rispetto a quello riservato ad altra persona che sitrovi in una situazione analoga. Le discriminazioniindirette, invece, si verificano ogni qual volta vi sia unadisposizione, un criterio o una prassi apparentementeneutri che possano mettere in una posizione di partico-lare svantaggio le persone che professano una determi-nata religione o ideologia di altra natura, le personeportatrici di un particolare handicap, le persone di unaparticolare età o di una particolare tendenza sessuale,rispetto ad altre3. Sono fatte salve dalla configurabilitàdella discriminazione indiretta tutte quelle ipotesi incui la disposizione apparentemente neutra sia oggetti-vamente giustificata da una finalità legittima e i mezziimpiegati per il suo conseguimento siano appropriati enecessari.In forza di tale distinguo, la verifica della legittimitàdel divieto in esame deve necessariamente essere con-dotto tenuto conto delle due situazioni in cui si sostan-zia la discriminazione.Ebbene, in primo luogo la Corte, con la sentenza inesame, ha escluso in maniera ferma che nel fatto esami-nato si possa configurare una discriminazione diretta.Ciò in quanto il divieto posto dal datore di lavoro hacarattere generale, giacché esso vieta a tutti i lavorato-ri di indossare sul luogo di lavoro segni esteriori di con-vinzioni politiche, filosofiche e religiose. Ciò si deduce dal fatto per cui il provvedimento dato-riale imponeva a tutti i dipendenti in maniera generalee indiscriminata una neutralità religiosa, senza alcunriferimento specifico al singolo lavoratore o al singolo

credo religioso.Per quanto concerne la discriminazione indiretta, laCorte adita ha precisato che essa non si configura solose la disposizione apparentemente neutra sia oggettiva-mente giustificata da una finalità legittima e i mezziimpiegati per il suo conseguimento siano appropriati enecessari4. Se ne può dedurre che il requisito dell’esistenza di unafinalità legittima potrebbe essere soddisfatto dallavolontà del datore di lavoro di mostrare nei rapporticon i clienti una politica di neutralità religiosa. Siffattavolontà incontra la propria ragion d’essere nella libertàdi impresa riconosciuta nell’art. 16 della Carta dei dirit-ti fondamentali dell’Unione Europea5, sicché il datorepotrebbe vietare l’uso del velo islamico nella misura incui egli coinvolga i soli dipendenti che entrano in con-tatto con i clienti della propria azienda. Ciò per consen-tire che detta limitazione sia circoscritta allo strettonecessario per garantire il conseguimento della finalitàconsiderata legittima6.Tuttavia, a nostro avviso, la Corte non ha precisato senel caso specifico la norma interna in esame istituiscao meno una disparità indiretta di trattamento fondatasulla religione, rinviando al giudice nazionale il com-pito di verificare se il divieto ivi contenuto perseguao meno una “finalità legittima” e se “i mezzi impie-gati per il suo conseguimento siano appropriati enecessari”7.Alla luce delle argomentazioni della Corte, appare con-divisibile l’esclusione della discriminazione diretta perle motivazioni così come argomentate in sentenza.Meno chiara è, invece, la parte in cui indica i criteri diconfigurabilità della discriminazione indiretta. Daquanto sopra è possibile apprezzare che, la normaapparentemente neutra non è discriminatoria ove ricor-rano due requisiti: presenza di una finalità legittima eutilizzo di mezzi appropriati e necessari per il suo con-seguimento.Ebbene questi criteri sono formulati esattamente comeindicati nella lettera della Direttiva comunitaria78/2000.Si potrebbe pensare che il Giudice abbia inteso – ecomunque intenda – fornire una lettura interpretativapiù favorevole al dipendente destinatario di condottepotenzialmente discriminatorie laddove, indicando imezzi per il conseguimento della finalità legittima,

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aggiunge l’avverbio “strettamente (necessario)”.Tuttavia permangono perplessità in ordine alla formu-lazione degli elementi giustificativi della norma appa-rentemente neutra; essa si presta facilmente a interpre-tazioni che, nel tentativo di conciliare un contrasto trainteresse economico e interesse soggettivo, finisconocol far prevalere il primo a danno del secondo.In forza di un simile ragionamento, sarebbe dunquelegittimo il divieto dell’uso di segni evidenti di appar-tenenza religiosa in forza di una policy aziendale cheintende manifestare neutralità religiosa nei contatti coni clienti soggetti terzi.La riflessione sulla pronuncia ci induce a domandare seciò sia realmente giusto, non solo da un punto di vistaetico, ma prima ancora giuridico. Se cioè sia ammissi-bile una simile ingerenza da parte del datore nella vitaprivata del lavoratore e se il lavoratore possa esserecostretto a subire siffatta ingerenza nel timore di uneventuale recesso datoriale.Dunque si discute sulla adeguatezza e necessarietà deimezzi adottati.Appare evidente che il divieto non è né adeguato nénecessario. Infatti il datore per realizzare una policyneutrale ben può operare nel senso contrario, consen-tendo a tutti i dipendenti di diversa cultura e religionedi manifestare il proprio convincimento religioso con isegni propri del credo8. In tal modo si sarebbe afferma-ta una neutralità dell’azienda in senso positivo: la co-presenza di convincimenti religiosi e agnostici.Ma se anche inverosimilmente si dimostrasse che ildivieto fosse appropriato, certo non può ritenersi stret-tamente necessario. Affinché si configuri tale requisito,questo avrebbe dovuto essere circoscritto ai soli dipen-denti a diretto contatto con la clientela.In questa prospettiva, evidentemente assai complessa,– in attesa di conoscere la sentenza del giudice nazio-nale – riteniamo che nel caso di specie si possa ravvi-sare una palese discriminazione indiretta, poiché – seb-bene la finalità aziendale possa apparire legittima – dicerto i mezzi impiegati per il suo conseguimento nonsono necessari.

Dal momento in cui la policy è orientata verso un’im-magine esterna di neutralità, la dipendente ben avrebbepotuto essere destinata a mansioni equivalenti o infe-riori – ove esistenti – che non avessero imposto un con-tatto diretto con l’utenza.In tal modo si sarebbe realizzata la finalità dell’aziendasenza comprimere la sfera soggettiva della lavoratrice. Sul punto si è espresso l’Avvocato Generale della Cortedi Giustizia Europea spiegando che “la ricerca concre-ta di possibilità di utilizzazione alternative per ciascu-na singola dipendente grava il datore di lavoro di unonere organizzativo supplementare considerevole”.Precisa inoltre che il legislatore dell’Unione Europeaprescrive di regola un dovere a carico del datore perricercare soluzioni ragionevoli alternative solo a favoredi lavoratori disabili, in funzione del rispetto del prin-cipio della parità di trattamento9. Ma detto questo, non sembra invece condivisibilequanto affermato dall’Avvocato Generale. Anzi ritenia-mo che proprio in presenza di detto vulnus normativo sidebba ampliare il principio di ricollocamento anche nelcaso di specie. L’impedimento che si frappone tra lalavoratrice e il datore costituisce una incompatibilitàoggettiva che di fatto ostacola lo svolgimento dell’atti-vità lavorativa.Sicché il datore non può astenersi dal cercare soluzioniin ragione di situazioni di fatto attinenti la sfera del sin-golo lavoratore. Definire questo impegno come “unosforzo organizzativo particolarmente elevato10” sembraimproprio, considerato che tra i compiti del datore rien-trano anche quelli organizzativi. Ci sembra di poter concludere nel senso che la neutra-lità aziendale, sebbene possa rappresentare una finalitàlegittima da perseguire, di fatto nel caso di specie nonviene perseguita con mezzi necessari e appropriati.Numerose sono le alternative alle modalità concrete direalizzazione della finalità medesima. Ne consegue che il divieto di indossare segni di apparte-nenza religiosa – nel caso specifico il velo – è indiretta-mente discriminatorio. Per l’effetto anche il provvedimen-to risolutivo datoriale è discriminatorio e quindi nullo.

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Sentenza Corte Giustizia U.E.

(Grande Sezione)14 marzo 2017, n. 157/15

“Rinvio pregiudiziale - Politica sociale- Direttiva 2000/78/CE - Parità di tratta-mento - Discriminazione basata sulla reli-gione o sulle convinzioni personali -Regolamento interno di un’impresa chevieta ai dipendenti di indossare sul luogodi lavoro segni visibili di natura politica,filosofica o religiosa - Discriminazionediretta - Insussistenza - Discriminazioneindiretta - Divieto posto ad una dipenden-te di indossare il velo islamico”.

Nella causa C-157/15, avente ad oggettola domanda di pronuncia pregiudizialeproposta alla Corte, ai sensi dell’articolo267 TFUE, dallo Hof van Cassatie (Cortedi cassazione, Belgio), con decisione del9 marzo 2015, pervenuta in cancelleria il3 aprile 2015, nel procedimento SamiraAchbita, Centrum voor gelijkheid van kan-sen en voor racismebestrijding controG4S Secure Solutions NV,

LA CORTE (Grande Sezione),composta da K. Lenaerts, presidente, A.Tizzano, vicepresidente, R. Silva deLapuerta, M. Ileši�, L. Bay Larsen, M.Berger, M. Vilaras e E. Regan, presidentidi sezione, A. Rosas, A. Borg Barthet, J.Malenovský, E. Levits, F. Biltgen (relato-re), K. Jürimäe e C. Lycourgos, giudici,avvocato generale: J. Kokottcancelliere: M. Ferreira, amministratoreprincipalevista la fase scritta del procedimento e inseguito all’udienza del 15 marzo 2016,considerate le osservazioni presentate:- per il Centrum voor gelijkheid van kan-sen en voor racismebestrijding, da C.Bayart e I. Bosmans, advocaten;- per la G4S Secure Solutions NV, da S.Raets e I. Verhelst, advocaten;- per il governo belga, da L. Van denBroeck e M. Jacobs, in qualità di agenti;

- per il governo francese, da G. deBergues, D. Colas e R. Coesme, in quali-tà di agenti;- per il governo del Regno Unito, da J.Kraehling, S. Simmons e C.R. Brodie, inqualità di agenti, assistite da A. Bates,barrister;- per la Commissione Europea, da G.Wils e D. Martin, in qualità di agenti,sentite le conclusioni dell’avvocato gene-rale, presentate all’udienza del 31 maggio2016,ha pronunciato la seguente

Sentenza

Svolgimento del processo - Motividella decisione

1. La domanda di pronuncia pregiudizialeverte sull’interpretazione dell’articolo 2,paragrafo 2, lettera a), della direttiva2000/78/CE del Consiglio, del 27 novem-bre 2000, che stabilisce un quadro gene-rale per la parità di trattamento in materiadi occupazione e di condizioni di lavoro(GU 2000, L. 303, pag. 16).2. Tale domanda è stata presentata nel-l’ambito di una controversia tra, da unlato, la sig.ra Samira Achbita ed ilCentrum voor gelijkheid van kansen envoor racismebestrijding (Centro per lepari opportunità e la lotta al razzismo; inprosieguo: il “Centrum”) e, dall’altro, laG4S Secure Solutions NV (in prosieguo:la “G4S”), un società con sede in Belgio,in merito al divieto posto dalla G4S ai pro-pri dipendenti di indossare sul luogo dilavoro segni visibili delle loro convinzionipolitiche, filosofiche o religiose e di com-piere qualsiasi rituale che derivi da taliconvinzioni.Contesto normativoDirettiva 2000/783. I considerando 1 e 4 della direttiva2000/78 prevedono che:“(1) Conformemente all’articolo 6 del trat-tato sull’Unione Europea, l’UnioneEuropea si fonda sui principi di libertà,democrazia, rispetto dei diritti umani e

delle libertà fondamentali e dello Stato didiritto, principi che sono comuni a tutti gliStati membri e rispetta i diritti fondamen-tali quali sono garantiti dalla ConvenzioneEuropea per la salvaguardia dei diritti del-l’uomo e delle libertà fondamentali e qualirisultano dalle tradizioni costituzionalicomuni degli Stati membri, in quanto prin-cipi generali del diritto comunitario.(...)(4) Il diritto di tutti all’uguaglianza dinanzialla legge e alla protezione contro lediscriminazioni costituisce un diritto uni-versale riconosciuto dalla Dichiarazioneuniversale dei diritti dell’uomo, dalla con-venzione delle Nazioni Unite sull’elimina-zione di ogni forma di discriminazione neiconfronti della donna, dai patti delleNazioni Unite relativi rispettivamente aidiritti civili e politici e ai diritti economici,sociali e culturali e dalla ConvenzioneEuropea per la salvaguardia dei diritti del-l’uomo e delle libertà fondamentali di cuitutti gli Stati membri sono firmatari. LaConvenzione n. 111 dell’Organizzazioneinternazionale del lavoro proibisce ladiscriminazione in materia di occupazio-ne e condizioni di lavoro”.4. L’articolo 1 della direttiva 2000/78dispone quanto segue:“La presente direttiva mira a stabilire unquadro generale per la lotta alle discrimi-nazioni fondate sulla religione o le convin-zioni personali, gli handicap, l’età o le ten-denze sessuali, per quanto concerne l’oc-cupazione e le condizioni di lavoro al finedi rendere effettivo negli Stati membri ilprincipio della parità di trattamento”.5. L’articolo 2 di detta direttiva così preve-de:“1. Ai fini della presente direttiva, per“principio della parità di trattamento” siintende l’assenza di qualsiasi discrimina-zione diretta o indiretta basata su uno deimotivi di cui all’articolo 1.2. Ai fini del paragrafo 1:a) sussiste discriminazione diretta quan-do, sulla base di uno qualsiasi dei motividi cui all’articolo 1, una persona è trattata

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meno favorevolmente di quanto sia, siastata o sarebbe trattata un’altra in unasituazione analoga;b) sussiste discriminazione indirettaquando una disposizione, un criterio ouna prassi apparentemente neutri posso-no mettere in una posizione di particolaresvantaggio le persone che professanouna determinata religione o ideologia dialtra natura, le persone portatrici di unparticolare handicap, le persone di unaparticolare età o di una particolare ten-denza sessuale, rispetto ad altre perso-ne, a meno che:i) tale disposizione, tale criterio o taleprassi siano oggettivamente giustificatida una finalità legittima e i mezzi impiega-ti per il suo conseguimento siano appro-priati e necessari; (...)(...)5. La presente direttiva lascia impregiudi-cate le misure previste dalla legislazionenazionale che, in una società democrati-ca, sono necessarie alla sicurezza pubbli-ca, alla tutela dell’ordine pubblico, allaprevenzione dei reati e alla tutela dellasalute e dei diritti e delle libertà altrui”.6. L’articolo 3, paragrafo 1, della medesi-ma direttiva dispone quanto segue:“Nei limiti dei poteri conferiti allaComunità, la presente direttiva, si applicaa tutte le persone, sia del settore pubbli-co che del settore privato, compresi gliorganismi di diritto pubblico, per quantoattiene:(...)c) all’occupazione e alle condizioni dilavoro, comprese le condizioni di licenzia-mento e la retribuzione;(...)”.Diritto belga7. La wet ter bestrijding van discriminatieen tot wijziging van de wet van 15 februa-ri 1993 tot oprichting van een Centrumvoor gelijkheid van kansen en voor raci-smebestrijding (legge volta alla lotta con-tro la discriminazione e che modifica lalegge del 15 febbraio 1993 che istituisceil Centro per le pari opportunità e la lotta

al razzismo), del 25 febbraio 2003(Belgisch Staatsblad, del 17 marzo 2003,pag. 12844), mira, in particolare, a rece-pire le disposizioni della direttiva 2000/78.8. L’articolo 2, paragrafo 1, di detta leggeenuncia quanto segue:“Sussiste discriminazione diretta quandouna disparità di trattamento, la qualedifetti di una giustificazione oggettiva eragionevole, sia fondata direttamente sulsesso, su una cosiddetta razza, sul colo-re della pelle, sull’origine, sulla discen-denza nazionale o etnica, sull’orienta-mento sessuale, sullo stato civile, sullanascita, sul patrimonio, sull’età, sulla reli-gione o le convinzioni personali, sullostato di salute attuale o futuro, su un han-dicap o su una caratteristica fisica”.9. L’articolo 2, paragrafo 2, della medesi-ma legge dispone quanto segue:“Sussiste discriminazione indiretta quan-do una disposizione, un criterio o unaprassi apparentemente neutri abbiano, inquanto tali, un effetto pregiudizievole neiconfronti di persone alle quali si applicauno dei motivi di discriminazione elencatial paragrafo 1, a meno che tale disposi-zione, tale criterio o tale prassi siano fon-dati su una giustificazione oggettiva eragionevole”.Procedimento principale e questione pre-giudiziale.10. La G4S è un’impresa privata che for-nisce, in particolare, servizi di ricevimentoe accoglienza a clienti sia del settore pub-blico che del settore privato.11. Il 12 febbraio 2003, la sig.ra Achbita,di fede musulmana, ha iniziato a lavorareper conto della G4S in qualità di receptio-nist. Ella era impiegata presso quest’ulti-ma in forza di un contratto di lavoro atempo indeterminato. All’epoca, presso laG4S, veniva applicata una regola nonscritta in virtù della quale i dipendenti nonpotevano indossare sul luogo di lavorosegni visibili delle loro convinzioni politi-che, filosofiche o religiose.12. Nell’aprile 2006, la sig.ra Achbita hacomunicato ai propri superiori gerarchici

che intendeva in futuro indossare il veloislamico durante l’orario di lavoro.13. In risposta, la direzione della G4S hacomunicato alla sig.ra Achbita che il fattodi indossare un velo non sarebbe statotollerato in quanto indossare in modo visi-bile segni politici, filosofici o religiosi eracontrario alla neutralità cui si atteneval’impresa.14. Il 12 maggio 2006, dopo un periodo diassenza dal lavoro per malattia, la sig.raAchbita ha comunicato al proprio datoredi lavoro che avrebbe ripreso l’attivitàlavorativa il 15 maggio e che avrebbeindossato il velo islamico.15. Il 29 maggio 2006, il comitato azien-dale della G4S ha approvato una modifi-ca del regolamento interno, entrata invigore il 13 giugno 2006, in forza dellaquale “è fatto divieto ai dipendenti diindossare sul luogo di lavoro segni visibi-li delle loro convinzioni politiche, filosofi-che o religiose e/o manifestare qualsiasirituale che ne derivi”.16. Il 12 giugno 2006, a causa del perdu-rare della volontà manifestata dalla sig.raAchbita di indossare, in quanto musulma-na, il velo islamico sul suo luogo di lavo-ro, la medesima è stata licenziata. Ella haricevuto il pagamento di una indennità dilicenziamento pari a tre mensilità di sti-pendio e dei vantaggi acquisiti in forza delcontratto di lavoro.17. In seguito al rigetto del ricorso propo-sto dalla sig.ra Achbita avverso tale licen-ziamento dinanzi all’arbeidsrechtbank teAntwerpen (Tribunale del lavoro diAnversa, Belgio), la medesima ha impu-gnato tale decisione dinanzi all’arbeid-shof te Antwerpen (Corte d’appello dellavoro di Anversa, Belgio). Tale appello èstato respinto, segnatamente, per il moti-vo che il licenziamento non poteva esse-re considerato ingiustificato in quanto ildivieto generale di indossare sul luogo dilavoro segni visibili di convinzioni politi-che, filosofiche o religiose non comporta-va una discriminazione diretta e non risul-tava evidente alcuna discriminazione

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indiretta o violazione della libertà indivi-duale o della libertà di religione.18. Per quanto riguarda la mancanza didiscriminazione diretta, tale ultimo giudiceha più precisamente rilevato che risultapacifico che la sig.ra Achbita non è statalicenziata per la sua fede musulmana, maper il fatto che essa seguitava a volerlamanifestare, in maniera visibile, durantel’orario di lavoro, indossando il velo isla-mico. La disposizione del regolamentointerno, violata dalla sig.ra Achbita,avrebbe portata generale in quanto vietaa tutti i dipendenti di indossare sul luogodi lavoro segni visibili di convinzioni politi-che, filosofiche o religiose. Nessun fattoconsentirebbe di presumere che la G4Sabbia adottato una condotta più concilian-te nei confronti di un altro dipendente tro-vatosi in una situazione analoga, in parti-colare nei confronti di un lavoratore dialtre convinzioni religiose o filosoficheche si fosse durevolmente rifiutato dirispettare tale divieto.19. L’arbeidshof te Antwerpen (Corted’appello del lavoro di Anversa) harespinto l’argomento secondo il quale ildivieto, adottato all’interno della G4S, diindossare segni visibili di convinzioni reli-giose o filosofiche costituirebbe di per séuna discriminazione diretta della sig.raAchbita quale credente, ritenendo chetale divieto non riguardasse soltanto ilfatto di indossare segni legati a convinzio-ni religiose, ma anche il fatto di indossaresegni legati a convinzioni filosofiche, conciò rispettando il criterio di protezionecontemplato dalla direttiva 2000/78, cheparla di “religione o [di] convinzioni”.20. A sostegno del suo ricorso per cassa-zione, la sig.ra Achbita sostiene, in parti-colare, che, nel ritenere che la convinzio-ne religiosa su cui si fonda il divieto adot-tato dalla G4S costituisca un criterio neu-tro e nel non affermare che tale divietocostituisce una disparità di trattamento trai lavoratori che indossano un velo islami-co e quelli che non lo indossano, per ilmotivo che detto divieto non riguarda una

convinzione religiosa determinata e chesi rivolge a tutti i lavoratori, l’arbeidshof teAntwerpen (Corte d’appello del lavoro diAnversa) ha travisato le nozioni di “discri-minazione diretta” e di “discriminazioneindiretta” ai sensi dell’articolo 2, paragra-fo 2, della direttiva 2000/78.21. In tali condizioni, lo Hof van Cassatie(Corte di cassazione, Belgio) ha deciso disospendere il procedimento e di proporrealla Corte la seguente questione pregiudi-ziale:“Se l’articolo 2, paragrafo 2, lettera a),della direttiva 2000/78 debba essereinterpretato nel senso che il divieto peruna donna musulmana di indossare unvelo islamico sul luogo di lavoro non con-figura una discriminazione diretta qualorala regola vigente presso il datore di lavo-ro vieti a tutti i dipendenti di indossare sulluogo di lavoro segni esteriori di convin-zioni politiche, filosofiche e religiose”.Sulla questione pregiudiziale22. Con la sua questione, il giudice delrinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 2,paragrafo 2, lettera a), della direttiva2000/78 debba essere interpretato nelsenso che il divieto di indossare un veloislamico, derivante da una norma internadi un’impresa privata che vieta in viagenerale di indossare in modo visibilequalsiasi segno politico, filosofico o reli-gioso sul luogo di lavoro, costituisce unadiscriminazione diretta vietata da taledirettiva.23. In primo luogo, conformemente all’ar-ticolo 1 della direttiva 2000/78, quest’ulti-ma mira a stabilire un quadro generaleper la lotta alle discriminazioni fondate sureligione o convinzioni personali, handi-cap, età o tendenze sessuali, per quantoconcerne l’occupazione e le condizioni dilavoro al fine di rendere effettivo negliStati membri il principio della parità di trat-tamento.24. Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1,della direttiva 2000/78, per “principio dellaparità di trattamento” si intende l’assenzadi qualsiasi discriminazione diretta o indi-

retta basata su uno dei motivi di cui all’ar-ticolo 1” della medesima direttiva.L’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), didetta direttiva precisa che, ai fini dell’ap-plicazione del suo paragrafo 1, sussistediscriminazione diretta quando una per-sona è trattata in modo meno favorevoledi un’altra che si trova in una situazioneanaloga, sulla base di uno qualsiasi deimotivi, tra i quali la religione, previstiall’articolo 1 della direttiva in parola.25. Per quanto riguarda la nozione di“religione”, di cui all’articolo 1 della diretti-va 2000/78, occorre rilevare che taledirettiva non contiene alcuna definizionedi detta nozione.26. Tuttavia, il legislatore dell’Unione hafatto riferimento, al considerando 1 delladirettiva 2000/78, ai diritti fondamentaliquali garantiti dalla convenzione Europeaper la salvaguardia dei diritti dell’uomo edelle libertà fondamentali, firmata a Romail 4 novembre 1950 (in prosieguo: la“CEDU”), che prevede, al suo articolo 9,che ogni persona ha diritto alla libertà dipensiero, di coscienza e di religione, eche tale diritto include, in particolare, lalibertà di manifestare la propria religioneo il proprio credo individualmente o collet-tivamente, in pubblico o in privato,mediante il culto, l’insegnamento, le prati-che e l’osservanza dei riti.27. Al medesimo considerando, il legi-slatore dell’Unione ha inoltre fatto riferi-mento alle tradizioni costituzionalicomuni degli Stati membri, in quantoprincipi generali del diritto dell’Unione.Ebbene, tra i diritti risultanti da tali tradi-zioni comuni e che sono stati riaffermatinella Carta dei diritti fondamentalidell’Unione Europea (in prosieguo: la“Carta”), vi è il diritto alla libertà dicoscienza e di religione sancito all’arti-colo 10, paragrafo 1, della Carta.Conformemente a tale disposizione, talediritto include la libertà di cambiare reli-gione o convinzione, così come la liber-tà di manifestare la propria religione o lapropria convinzione individualmente o

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collettivamente, in pubblico o in privato,mediante il culto, l’insegnamento, lepratiche e l’osservanza dei riti. Comeemerge dalle spiegazioni relative allaCarta dei diritti fondamentali (GU 2007,C 303, pag. 17), il diritto garantito dal-l’articolo 10, paragrafo 1, di quest’ultimacorrisponde a quello garantito dall’arti-colo 9 della CEDU e, ai sensi dell’artico-lo 52, paragrafo 3, della Carta, ha signi-ficato e portata identici a detto articolo.28. Dato che la CEDU e, successivamen-te, la Carta attribuiscono alla nozione di“religione” un’accezione ampia, poichéincludono in tale nozione la libertà per lepersone di manifestare la propria religio-ne, si deve ritenere che il legislatoredell’Unione abbia inteso mantenere lostesso approccio nell’adottare la direttiva2000/78, cosicché occorre interpretare lanozione di “religione” di cui all’articolo 1 ditale direttiva nel senso che essa com-prende sia il forum internum, ossia il fattodi avere convinzioni, sia il forum exter-num, ossia la manifestazione pubblicadella fede religiosa.29. In secondo luogo, occorre determina-re se dalla norma interna di cui al proce-dimento principale emerge una disparitàdi trattamento tra lavoratori a secondadella loro religione o delle loro convinzio-ni e, in caso affermativo, se tale disparitàdi trattamento costituisca una discrimina-zione diretta ai sensi dell’articolo 2, para-grafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78.30. Nel caso di specie, la norma interna dicui trattasi nel procedimento principale siriferisce al fatto di indossare segni visibilidi convinzioni politiche, filosofiche o reli-giose e riguarda quindi qualsiasi manife-stazione di tali convinzioni, senza distin-zione alcuna. Si deve pertanto considera-re che detta norma tratta in maniera iden-tica tutti i dipendenti dell’impresa, impo-nendo loro, in maniera generale ed indi-scriminata, segnatamente una neutralitàdi abbigliamento che osta al fatto diindossare tali segni.31. A tale riguardo, dagli elementi del

fascicolo di cui dispone la Corte non risul-ta che l’applicazione della norma internadi cui al procedimento principale nei con-fronti della sig.ra Achbita sia stata diversadall’applicazione della medesima normaa qualsiasi altro dipendente.32. Si deve pertanto concludere che unanorma interna come quella di cui trattasinel procedimento principale non istituisceuna disparità di trattamento direttamentefondata sulla religione o sulle convinzionipersonali, ai sensi dell’articolo 2, paragra-fo 2, lettera a), della direttiva 2000/78.33. Ciò posto, secondo una costante giu-risprudenza, la circostanza che il giudicedel rinvio abbia formulato una questionepregiudiziale facendo riferimento soltantoa talune disposizioni del dirittodell’Unione non osta a che la Corte forni-sca a detto giudice tutti gli elementi diinterpretazione che possano essere utilialla decisione della causa di cui è investi-to, indipendentemente dal fatto che essovi abbia fatto riferimento o meno nella for-mulazione delle sue questioni. A tale pro-posito, spetta alla Corte trarre da tutti glielementi forniti dal giudice nazionale e, inparticolare, dalla motivazione della deci-sione di rinvio, gli elementi del dirittodell’Unione che richiedono un’interpreta-zione, tenuto conto dell’oggetto della con-troversia (v., in particolare, sentenza del12 febbraio 2015, Oil Trading Poland, C-349/13, EU:C:2015:84, punto 45 e giuri-sprudenza ivi citata).34. Nel caso di specie, non è escluso cheil giudice del rinvio possa arrivare allaconclusione che la norma interna di cui alprocedimento principale istituisce unadisparità di trattamento indirettamentefondata sulla religione o sulle convinzionipersonali, ai sensi dell’articolo 2, paragra-fo 2, lettera b), della direttiva 2000/78,qualora venga dimostrato, il che spetta atale giudice verificare, che l’obbligo appa-rentemente neutro in essa contenutocomporti, di fatto, un particolare svantag-gio per le persone che aderiscono ad unadeterminata religione o ideologia.

35. Conformemente all’articolo 2, para-grafo 2, lettera b), i), della direttiva2000/78, siffatta disparità di trattamentonon costituirebbe tuttavia una discrimina-zione indiretta, ai sensi dell’articolo 2,paragrafo 2, lettera b), di detta direttiva,qualora fosse oggettivamente giustificatada una finalità legittima e i mezzi impiega-ti per il suo conseguimento fosseroappropriati e necessari.36. A tale riguardo, occorre rilevare chese è vero che spetta in ultima analisi algiudice nazionale, che è l’unico compe-tente a valutare i fatti, stabilire se e inquale misura la norma interna di cui alprocedimento principale sia conforme atali requisiti, la Corte, chiamata a fornirerisposte utili al giudice nazionale, è com-petente a dare indicazioni, ricavate dalfascicolo del procedimento principalenonché dalle osservazioni scritte e oraliad essa sottoposte, che consentano almedesimo giudice di pronunciarsi sullaconcreta controversia di cui è stato inve-stito.37. Per quanto riguarda, in primo luogo, ilrequisito dell’esistenza di una finalitàlegittima, occorre rilevare che la volontàdi mostrare, nei rapporti con i clienti siapubblici che privati, una politica di neutra-lità politica, filosofica o religiosa, deveessere considerata legittima.38. Infatti, la volontà di un datore di lavo-ro di dare ai clienti un’immagine di neutra-lità rientra nella libertà d’impresa, ricono-sciuta dall’articolo 16 della Carta, ed ha,in linea di principio, carattere legittimo, inparticolare qualora il datore di lavorocoinvolga nel perseguimento di tale obiet-tivo soltanto i dipendenti che si supponeentrino in contatto con i clienti del mede-simo.39. L’interpretazione secondo la quale ilperseguimento di tale finalità consente,entro certi limiti, di apportare una restri-zione alla libertà di religione è del restosuffragata dalla giurisprudenza dellaCorte Europea dei diritti dell’uomo relati-va all’articolo 9 della CEDU (sentenza

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della Corte EDU del 15 gennaio 2013,Eweida e altri c. Regno Unito,CE:ECHR:2013:0115JUD004842010,punto 94).40. Per quanto riguarda, in secondo luogo,il carattere appropriato di una norma inter-na come quella di cui al procedimento prin-cipale, occorre constatare che il fatto divietare ai lavoratori di indossare in modovisibile segni di convinzioni politiche, filo-sofiche o religiose è idoneo ad assicurarela corretta applicazione di una politica dineutralità, a condizione che tale politica siarealmente perseguita in modo coerente esistematico (v., in tal senso, sentenze del10 marzo 2009, Hartlauer, C-169/07,EU:C:2009:141, punto 55, e del 12 genna-io 2010, Petersen, C-341/08,EU:C:2010:4, punto 53).41. A tale riguardo, spetta al giudice delrinvio verificare se la G4S avesse stabili-to, prima del licenziamento della sig.raAchbita, una politica generale ed indiffe-renziata che vietava di indossare in modovisibile segni di convinzioni politiche, filo-sofiche o religiose nei confronti del perso-nale in contatto con i suoi clienti.42. Per quanto riguarda, in terzo luogo, ilcarattere necessario del divieto di cui alprocedimento principale, occorre verifica-re se tale divieto si limiti allo strettonecessario. Nel caso di specie, occorreverificare se il divieto di indossare inmodo visibile qualsiasi segno o indumen-to che possa essere associato ad uncredo religioso oppure ad una convinzio-ne politica o filosofica interessi unicamen-te i dipendenti della G4S che hanno rap-porti con i clienti. In caso affermativo,detto divieto deve essere consideratostrettamente necessario per il consegui-mento della finalità perseguita.43. Nel caso di specie, per quanto riguar-da il rifiuto da parte di una lavoratrice,quale la sig.ra Achbita, di rinunciare adindossare il velo islamico nello svolgi-mento delle proprie attività professionali a

contatto con i clienti della G4S, spetta algiudice del rinvio verificare se, tenendoconto dei vincoli inerenti all’impresa, esenza che quest’ultima dovesse sostene-re un onere aggiuntivo, sarebbe statopossibile per la G4S, di fronte a siffattorifiuto, proporle un posto di lavoro chenon comportasse un contatto visivo contali clienti, invece di procedere al suolicenziamento. Spetta al giudice del rin-vio, alla luce di tutti gli elementi del fasci-colo, tenere conto degli interessi in giocoe limitare allo stretto necessario le restri-zioni alle libertà in questione.44. Alla luce di tutte le considerazioni cheprecedono, occorre rispondere alla que-stione sollevata dal giudice del rinviodichiarando quanto segue:- L’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), delladirettiva 2000/78 deve essere interpretatonel senso che il divieto di indossare unvelo islamico, derivante da una normainterna di un’impresa privata che vieta diindossare in modo visibile qualsiasisegno politico, filosofico o religioso sulluogo di lavoro, non costituisce una discri-minazione diretta fondata sulla religione osulle convinzioni personali ai sensi di taledirettiva.- Siffatta norma interna di un’impresa pri-vata può invece costituire una discrimi-nazione indiretta ai sensi dell’articolo 2,paragrafo 2, lettera b), della direttiva2000/78, qualora venga dimostrato chel’obbligo apparentemente neutro da essaprevisto comporta, di fatto, un particolaresvantaggio per le persone che aderisco-no ad una determinata religione o ideolo-gia, a meno che esso sia oggettivamentegiustificato da una finalità legittima, comeil perseguimento, da parte del datore dilavoro, di una politica di neutralità politi-ca, filosofica e religiosa nei rapporti con iclienti, e che i mezzi impiegati per il con-seguimento di tale finalità siano appro-priati e necessari, circostanza, questa,che spetta al giudice del rinvio verificare.

Sulle spese45. Nei confronti delle parti nel procedi-mento principale la presente causa costi-tuisce un incidente sollevato dinanzi algiudice nazionale, cui spetta quindi statui-re sulle spese. Le spese sostenute daaltri soggetti per presentare osservazionialla Corte non possono dar luogo a rifu-sione.

P.Q.M.

Per questi motivi, la Corte (GrandeSezione) dichiara:L’articolo 2, paragrafo 2, lettera a),della direttiva 2000/78/CE del Consiglio,del 27 novembre 2000, che stabilisce unquadro generale per la parità di trattamen-to in materia di occupazione e di condizio-ni di lavoro, deve essere interpretato nelsenso che il divieto di indossare un veloislamico, derivante da una norma internadi un’impresa privata che vieta di indossa-re in modo visibile qualsiasi segno politico,filosofico o religioso sul luogo di lavoro,non costituisce una discriminazione diret-ta fondata sulla religione o sulle convinzio-ni personali ai sensi di tale direttiva.Siffatta norma interna di un’impresa pri-vata può invece costituire una discrimi-nazione indiretta ai sensi dell’articolo 2,paragrafo 2, lettera b), della direttiva2000/78, qualora venga dimostrato chel’obbligo apparentemente neutro daessa previsto comporta, di fatto, un par-ticolare svantaggio per le persone cheaderiscono ad una determinata religioneo ideologia, a meno che esso sia ogget-tivamente giustificato da una finalitàlegittima, come il perseguimento, daparte del datore di lavoro, di una politicadi neutralità politica, filosofica e religiosanei rapporti con i clienti, e che i mezziimpiegati per il conseguimento di talefinalità siano appropriati e necessari, cir-costanza, questa, che spetta al giudicedel rinvio verificare.

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1 Ciò in quanto è ragionevole ritenere chespesso gli spostamenti dei lavoratori si regi-strano dai paesi più poveri verso paesi piùricchi.

2 In molte occasioni la questione è stata sol-levata innanzi alla CGE la quale si è pro-nunciata nei singoli casi adottando orienta-menti talora a vantaggio dell’uno o dell’al-tro interesse. Si pensi a solo titolo di esem-pio al riposo settimanale aziendale solita-mente coincidente con la giornata di dome-nica non riconosciuto in quanto tale da chi– professando il proprio credo – ritiene ilsabato giorno festivo. In questa ipotesi èevidente il contrasto tra l’esercizio dell’atti-vità lavorativa e lo svolgimento di pratichereligiose che possono rappresentare unostacolo al primo.

3 Si veda art. 2, par. 2, lett. a) e b) dellaDirettiva.

4 Ciò in forza dell’art. 2, co. 2, lett. i) della

Direttiva 78/2000 che introduce tale deroga.

5 L’articolo citato dispone che: “È ricono-sciuta la libertà d’impresa, conformementeal diritto comunitario e alle legislazioni eprassi nazionali”.

6 La Corte aveva già in passato espresso unsimile orientamento. La fattispecie riguar-dava la decisione di un ospedale pubblico dinon rinnovare il contratto di lavoro adun’assistente sociale a causa del suo rifiutodi togliere il velo islamico. Tuttavia il con-testo era diverso, si trattava di un ente pub-blico. All’interno del quale in ossequio alprincipio di laicità dello stato, vi è l’esigen-za di neutralità che deve contraddistinguerei pubblici ufficiali nell’esercizio delle lorofunzioni. Ora, sebbene il contesto in cuiopera il lavoratore sia diverso – il primo èun’azienda privata, mentre il secondo è unente pubblico – la Corte applica il medesi-mo principio dichiarando legittimo il divie-

to del velo islamico. Nel primo caso taleprincipio trova conforto nella libertà diimpresa e quindi nella libera scelta dell’im-prenditore di affermare all’esterno la neu-tralità religiosa della propria azienda; nelsecondo caso vige il principio della laicitàdello Stato, sicché il pubblico ufficiale ol’addetto a pubblico servizio è tenuto arispettare il principio di laicità. Corte euro-pea diritti dell’uomo, Sez. V, 26/11/2015, n.64846/11.

7 Art. citato.

8 Consentendo dunque il velo alle donne direligione islamica, il crocifisso ai dipenden-ti cristiani, eccetera.

9 Si veda il punto 110 delle Conclusionidell’Avvocato Generale Juliane Kokott del31 maggio 2016.

10 Il virgolettato riporta esattamente leparole dell’Avvocato Generale.

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Passeggiata in libreria

Presentazione del Volume“COMMENTARIO ALLA LEGGE FALLIMENTARE”

a cura di Antonio Caiafa, Dike giuridica, 2017

Il volume curato da Antonio Caiafa rispecchia la poliedricità del suo curatore,sia per la scelta della platea dei commentatori, sia per il taglio deciso e “puli-to” che si è scelto di dare all’opera. È un “Commentario”, aggiornatissimo (alla L. 11 dicembre 2016, n. 232, di modi-fica dell’art. 182 ter, legge fallimentare) che può servire sia a chi, accingendosiallo studio di un istituto dell’ordinamento della crisi d’impresa, voglia partire daun’informazione basilare sullo “stato dell’arte” di una o più norme, sia a chi debbaaffrontare una questione professionale, trovando in questo Commentario la tracciasulla quale sviluppare l’iter argomentativo di una memoria o di un parere.Per ottenere un’Opera funzionale sia allo studio che alla professione occorreva

chiamare a raccolta esponenti della dottrina, della giurisprudenza e del mondo delle professioni. Antonio Caiafa ha, così, radunato magistrati, avvocati, dottori commercialisti e cultori della materia per affidareloro la stesura di un commentario della legge fallimentare che in primo luogo fosse strumento per il professioni-sta nel lavoro quotidiano, nel confronto costante con una materia in costante mutamento, qual’è, da sempre e conparticolare assiduità negli ultimi anni, la legge fallimentare.Il risultato è una lettura ragionata delle diverse disposizioni normative con un’attenzione particolare alle pronun-ce più recenti della Corte Costituzionale, dei Giudici di Legittimità e della Corte di Giustizia.È un compito non facile la redazione di un commentario che non rischi di risultare didascalico o anche troppocriptico, perdendosi in logiche affascinanti dal punto di vista scientifico ma non fondamentali per il professioni-sta che cerchi risposte immediate ad un problema contingente, è una scelta che comporta un severo controllo deisingoli commenti. Questa scelta si ritrova in ogni articolo del commentario, anche e soprattutto nei passaggi col-piti più volte dalla riforma e sui quali era, quindi, importante maggiore attenzione e sensibilità.Il team che ha lavorato all’Opera è composito e non soltanto per le diverse professionalità che vi partecipano:accanto a firme autorevoli, punto di riferimento nello studio della materia, si sono cimentati giovani brillanti.Antonio Caiafa ha saputo coordinare sapientemente in modo da offrire sia commenti approfonditi e stimolantisulle norme più attuali – in particolare in mareia di concordato preventivo – sia agili, ma non meno utili, presen-tazioni delle norme da tempo scavate dalla penna sia del giudice che della dottrina. Per questo motivo la scelta di un gruppo di lavoro anche giovane, con la passione per la materia e con l’esperien-za necessaria unita alla giusta dose di entusiasmo ha dato un taglio essenziale e pratico all’opera.La struttura ripercorre il testo della legge con un dinamismo estremo: ogni articolo è commentato con mirati rife-rimenti bibliografici prediligendo volutamente le pronunce di merito e legittimità per consentire all’utente di averein mano uno strumento diretto per la costruzione dei propri scritti. Anche la scelta, voluta, di alleggerire i commenti dall’uso delle note, riportando sempre all’interno del commen-to eventuali riferimenti bibliografici permette una lettura veloce senza evitare salti logici anche importanti, comesarebbe accaduto se gli sviluppi del ragionamento fossero stati destinati alla nota.Ogni articolo, dopo il testo della norma (evidenziando maggiormente le parti colpite dalla riforma), si dispiegaall’interno di un semplice ma completo sommario che attraversa i passi salienti della legge, soffermandosi sulledifficoltà che il professionista poi potrebbe incontrare nel quotidiano richiamo a tale normativa.Particolare attenzione – come era doveroso, considerando la stratificazione degli interventi normativi e le critici-tà che il professionista e lo studioso incontrano nell’approcciarsi a questo strumento – è stata rivolta alla discipli-na del concordato preventivo. La procedura, norma dopo norma, è stata oggetto di minuzioso commento. Gli auto-ri non si sono sottratti neppure dal tracciare percorsi e soluzioni delle norme più nuove e scottanti.

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Passeggiata in libreria

Mi riferisco in particolare alla disciplina delle offerte e proposte concorrenti, che ha ridisegnato gli scenari delconcordato preventivo introducendo un dinamismo che sta veramente lasciando il segno nella pratica quotidiana.Ma non solo: pensiamo all’accordo di ristrutturazione di cui all’arrticolo 182 septies, forse una delle chiavi divolta che il legislatore ha costruito per riscrivere e riequilibrare i rapporti con il ceto creditizio. Anche di questostrumento, per vero fino ad oggi scarsamente utilizzato, i commenti sono stati cionondimeno diffusi.

Stefania PacchiDocente di Diritto Commerciale Università di Siena

AVVOCATE. SVILUPPO E AFFERMAZIONE DI UNA PROFESSIONEIlaria Li Vigni, FrancoAngeli

Il titolo del testo prende spunto da un’attenta analisi dell’Accademia dellaCrusca, garante della correttezza della lingua italiana, che, nel 1994, aderendoalla campagna per le pari opportunità tra uomo e donna, ha identificato nelsostantivo “avvocata” il corretto e specifico femminile della professionista,conferendo al termine una peculiarità anche semantica. Il saggio si snoda lungoi binari intricati della questione di genere nel mondo dell’avvocatura italiana incui le avvocate hanno raggiunto la parità numerica ma non ancora quellaeffettiva. Molti ancora sono i punti spinosi: da un’innegabile problematica diruolo – spesso le avvocate si occupano di materie “tipicamente femminili” qualiil diritto di famiglia o quello minorile – ad un’evidente scarsità di

rappresentanza nelle istituzioni forensi: solo 15 sono le Presidenti su 165 Ordini Forensi in Italia e solo 2 sono leconsigliere al Consiglio Nazionale Forense. Partendo da queste premesse l’autrice desidera proporre ai lettorisoluzioni concrete, mantenendo una visuale positiva e suggerendo, a tal proposito, l’importanza di incentivare invari modi l’avvocatura femminile, puntando, in particolare, sulla consapevolezza delle avvocate di avere lepeculiari ed insostituibili qualità della capacità di ascolto e della mediazione.

AVVOCA’, PER ORA GRAZIE. PICCOLE STORIE DI UN BEL MESTIEREGiuseppe Caravita di Toritto, Primiceri Editore

Le cinquanta storie che Giuseppe Caravita racconta in questo volume sonopiccole e veloci, nate per un ambiente comunicativo rapido, il social

network. Sono storie che in poche pagine, e a volte in poche righe, centrano un argomento,prendono direttamente per la semplicità del linguaggio e lo stile asciutto. Storie di avvocati che potrebbero essere le storie di tutti gli avvocati, che tuttigli avvocati potrebbero aver vissuto. Sono come una piccola telecamera nascosta che riprende scene di tutti i giorni. Le ‘short stories’ di Caravita sono ambientate nei tribunali e negli studi o

raccontano fatti di una avvocatura che sembra non esserci più, travolta dall’ansia di una giustizia sempre più indifficoltà. Eppure molti avvocati anche oggi possono riconoscersi in questi piccoli, veloci ritratti. Lo stile di Caravitaè rapido, veloce, diretto, quasi una sceneggiatura, riuscendo a essere sia commovente che ironico e divertente.

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