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edizione light COLLANA TIMONE 266/1 EDIZIONI GIURIDICHE E IMON S Gruppo Editoriale Esselibri - Simone ® Evoluzione normativa Struttura e autonomia Ordinamento contabile e attività contrattuale Controlli Forme associative e partecipative Pubblici servizi locali ORDINAMENTO DEGLI ENTI LOCALI II Edizione edizione light ESAMI e CONCORSI

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edizione light COLLANA TIMONE 266/1

EDIZIONI GIURIDICHEEIMONSGruppo Editoriale Esselibri - Simone

®

Evoluzione normativaStruttura e autonomiaOrdinamento contabile e attività contrattualeControlliForme associative e partecipativePubblici servizi locali

ORDINAMENTODEGLI ENTILOCALIII Edizione

edizione lightESAMI e CONCORSI

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TuTTi i diriTTi riservaTi

Vietata la riproduzione anche parziale

Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla esselibri s.p.a.(art. 64, d.Lgs. 10-2-2005, n. 30)

Vol. E10 • TEsTo Unico EnTi localicommentato articolo per articolo

2011 • Viii edizione • pagg. 592 • e 27,00i codici esplicati mediano tra la trattazione manualistica (di taglio teorico ed avulso dal contesto normativo) e l’arida sequenza codicistica non sempre di immediata comprensione.Tali codici presentano per ciascun articolo:• un glossario che spiega i termini tecnici (evidenziati in

neretto nel corpo dell’articolo) nonché quelli di uso comune di particolare rilevanza;

• note esplicative che completano la disposizione normativa chiarendo quanto non si desume direttamente da una prima e non meditata lettura del testo di legge;

• un riquadro riassuntivo (evidenziato su fondo grigio) che spiega la funzione e l’essenza degli articoli più importanti e significativi;

• essenziali collegamenti con altri articoli attraverso opportuni rinvii che consentono una «lettura sistematica» della norma.

Il Catalogo aggiornato è consultabile sul sito Internet: www.simone.itove è anche possibile scaricare alcune pagine saggio dei testi pubblicati

Il volume è a cura dei dott.ri Ilaria Sangiuliano e Giuseppe Milano

Finito di stampare nel mese di aprile 2011dalla «Officina Grafica iride» - via Prov.le arzano-Casandrino, vii Trav., 24 - arzano (Na)

per conto della esseLibri s.p.a. - via F. russo, 33/d - 80123 - Napoli

Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno

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Premessa

Il testo, aggiornato ai più recenti provvedimenti legislativi, illustra l’or-dinamento degli enti locali, materia in continua evoluzione e sempre più spesso richiesta nelle prove concorsuali.

Grazie ad un’agevole tecnica espositiva vengono illustrati, in un nume-ro contenuto di pagine, tutti gli aspetti di questa disciplina, ovvero: le prin-cipali tappe normative che hanno segnato l’evoluzione degli enti locali in Italia; la struttura e l’autonomia di cui godono gli stessi a seguito della L. cost. 3/2001; l’ordinamento contabile nell’ottica del «federalismo fiscale» cui si sta progressivamente dando luogo mediante provvedimenti quali il D.Lgs. 85/2010 («federalismo demaniale») e il D.Lgs. 23/2011 («federalismo municipale»); i nuovi enti locali (come le «Città metropolitane» e «roma Capitale») che il legislatore tende a delineare al fine di adattarsi alle più diverse specificità; la gestione dei servizi pubblici locali ed i servizi gestiti dai Comuni per conto dello Stato.

La struttura del volume è vivacizzata dalla presenza di interessanti box di approfondimento, nonché di piccoli glossari che stimolano il percorso di apprendimento senza compromettere un’opportuna sollecitudine nella pre-parazione.

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Vol. 266/3 - Il pubblico impiego nell’ente localepp. 128 • e 9,00

Il volume analizza la normativa sul personale degli enti locali partendo dall’esame dei profili generali caratterizzanti il pubblico impiego e della sua evoluzione normativa (privatiz-zazione ex D.Lgs. 29/1993, riordino con il D.Lgs. 165/2001, riforma Brunetta attraverso la L. 15/2009 e il D.Lgs. 150/2009).

La trattazione della materia prosegue con l’analisi delle norme sull’accesso al lavoro negli enti locali e sull’organizzazione del personale (uffici di staff, dotazioni organiche, ordi-namento generale degli uffici e dei servizi) nonché dei profili attuativi, modificativi ed estinti-vi del rapporto di lavoro.

In particolare, questi ultimi aspetti, ricollegabili ai diritti patrimoniali e non patrimoniali (retribuzione, diritto allo svolgimento delle mansioni, diritti sindacali etc.) all’orario di lavoro, alle ferie, alle festività, ai permessi, alle assenze, all’aspettativa etc., sono esaminati in rela-zione alla contrattazione collettiva (Comparto Regioni e Autonomie locali) e alla disciplina generale sulla quale è, da ultimo, intervenuto il cd. Collegato lavoro (L. 183/2010).

Autonomo rilievo, all’interno del volume, è stato dato alla disciplina delle figure di verti-ce negli enti locali (dirigenza, segretario comunale e provinciale, Direttore generale) e agli obblighi e responsabilità dei dipendenti.

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ParTe PrimalinEamEnTi gEnErali

dEll’ordinamEnTo dEgli EnTi locali

CaPiTOLO PrimO

EVolUzionE sTorico-lEgislaTiVa

sommario: 1. autonomia e decentramento nella Costituzione repubblicana. - 2. La L. 8 giugno 1990, n. 142 e le leggi bassanini. - 3. La L. 3 agosto 1999, n. 265 (cd. legge Napolitano-vigneri). - 4. il d.Lgs. 267/2000 (Testo unico degli enti locali). - 5. La L. cost. 3/2001 di riforma del Titolo v, Parte ii della Costituzione. - 6. L’adeguamento dell’ordinamento della repubblica alla riforma costituzionale: la legge La Loggia. - 7. L’attuazione dell’art. 119 Cost.: il federalismo fiscale.

1. aUTonomia E dEcEnTramEnTo nElla cosTiTUzionE rEpUbblicana

La Costituzione repubblicana, all’art. 5, afferma, in subordine all’intan-gibile principio dell’unità e indivisibilità della repubblica, il principio del decentramento dei poteri cui consegue la promozione ed il riconoscimen-to delle autonomie locali quali criteri guida per il legislatore ordinario.

in virtù di tali principi, gli ordinamenti delle comunità locali — sia quelli preesistenti all’avvento dello stato repubblicano, sia quelli di cre-azione successiva — si inseriscono nel più generale ordinamento statale come sue articolazioni. Questi enti hanno con il territorio che li delimita il medesimo rapporto che lo stato ha con il proprio: essi sono politica-mente rappresentativi e operano come enti esponenziali delle comu-nità stanziate su quel territorio, ovvero nel generale interesse di queste ultime.

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Parte Prima: Lineamenti generali dell’ordinamento degli enti locali6

il decentramento cui si riferisce il Costituente all’art. 5 è da intendersi come la «formula di organizzazione dei poteri pubblici» in virtù della qua-le un complesso di compiti e poteri di spettanza degli organi centrali dello stato viene trasferito nella sfera di competenza di organi periferici dello stesso apparato statale ovvero di altre soggettività giuridiche.

La natura dei poteri oggetto di decentramento definisce in maniera più specifica il feno-meno.

si parla, così, di decentramento politico o costituzionale nell’ipotesi di trasferimento di funzioni pubbliche, di natura prevalentemente politica (sTaderiNi parla di poteri di indiriz-zo politico-amministrativo), in capo agli organi locali più largamente rappresentativi quali i Consigli regionali, provinciali e comunali, allo scopo di realizzare una più ampia partecipa-zione democratica alla vita pubblica.

ricorre, invece, il decentramento amministrativo nel caso di «potere amministrativo diffuso» (PizzeTTi), ovvero quando lo stato organizza la propria amministrazione secondo un «sistema binario» che individua accanto agli organi centrali altri centri di azione o appa-rati di potere.

2. la l. 8 giUgno 1990, n. 142 E lE lEggi bassanini

La l. 8-6-1990, n. 142 è stata la prima legge generale che, recependo in larga misura il disegno tracciato in sede europea, ha provveduto a dettare i principi informatori dell’ordinamento delle autonomie locali, abrogan-do per grossa parte il r.d. 383/1934 (cd. legge comunale e provinciale).

La disciplina recata dalla legge del ’90 ha attribuito una nuova fisionomia al modo di essere dei Comuni e delle Province improntando su nuove basi il rapporto con lo stato, con le regioni e con le comunità locali.

Tra le più significative innovazioni apportate dalla legge di riforma del 1990 si evidenzia: il riconoscimento dell’autonomia statutaria e regolamen-tare degli enti locali, la valorizzazione degli istituti di partecipazione po-polare, l’incentivazione dei processi di fusione tra piccoli Comuni, l’indi-viduazione delle aree metropolitane, l’ampliamento delle forme di gestio-ne dei servizi pubblici locali, lo sviluppo delle forme di associazione e collaborazione tra Comuni.

su tale tessuto normativo è intervenuta la l. 25 marzo 1993, n. 81 (success. modif. dalla L. 120/1999) di riforma dei sistemi elettorali negli enti locali che, oltre ad introdurre nell’ordinamento l’elezione diretta del sindaco e del Presidente della Provincia, unitamente a quella dei rispettivi Consigli, ha significativamente modificato il sistema elettorale, la durata e la composizione degli organi politici dell’ente.

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7Capitolo Primo: evoluzione storico-legislativa

La successiva l. 15-3-1997, n. 59 (nota come legge bassanini) ha inte-so realizzare un progetto ancor più ambizioso: un ampio decentramento di funzioni a regioni ed enti locali senza modificare in senso federalista la Costituzione.

La vera novità, di portata quasi rivoluzionaria della legge bassanini è rappresentata piut-tosto dalla quantità di funzioni e competenze trasferite (attraverso il meccanismo del confe-rimento) a regioni ed enti locali.

Per converso, restano allo stato le funzioni relative alla cura degli interessi nazionali e quelle non localizzabili in aree definite del territorio nazionale.

successivamente la l. 15-5-1997, n. 127 (cd. bassanini bis) ha perse-guito il fine ultimo di adeguare la struttura degli enti locali alle nuove competenze già ad essi attribuite ed a quelle che lo stato avrebbe di lì a poco trasferito agli enti locali con il d.Lgs. 31-3-1998, n. 112, nonché di perse-guire la semplificazione dell’attività amministrativa svolta dagli enti locali e la loro autonoma determinazione nell’organizzazione della stessa.

sull’assetto organizzativo dell’amministrazione così come delineato dalla L. 127/1997 sono poi intervenuti due ulteriori provvedimenti legisla-tivi: la L. 191/1998 (cd. bassanini ter) e la L. 50/1999 (cd. bassanini quater).

in particolare la prima legge tra l’altro ha ampliato i criteri di trasferimento di funzioni e compiti agli enti locali; la seconda legge ha dato un ulteriore impulso al processo di semplifi-cazione delle procedure amministrative.

3. la l. 3 agosTo 1999, n. 265 (cd. lEggE napoliTano-Vi-gnEri)

a nove anni dalla sua entrata in vigore, la L. 142/1990 è stata incisiva-mente modificata dalla L. 3-8-1999, n. 265, cd. legge napolitano-Vigneri. Tale legge, tuttavia, non si è limitata soltanto a riformare la legge del ’90 (già ritoccata da altre disposizioni normative), ma ha introdotto anche nuo-ve disposizioni.Punti salienti della L. 265/1999 sono:— il riconoscimento di una più ampia autonomia degli enti locali, all’interno della quale

assumono rilievo centrale l’autonomia statutaria e regolamentare;— l’allargamento degli spazi e degli istituti di partecipazione all’attività e alle decisioni

delle amministrazioni locali;— l’atteggiamento di favore verso la gestione sovracomunale di funzioni di competenza

di più enti locali, concretizzantesi nell’incentivazione delle fusioni e delle unioni di Co-muni, nella previsione di uffici comuni, operanti con personale distaccato dai Comuni

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Parte Prima: Lineamenti generali dell’ordinamento degli enti locali8

partecipanti alla convenzione, nella introduzione di una apposita disciplina per l’esercizio associato delle funzioni;

— una nuova disciplina delle comunità montane e delle aree metropolitane;— il rafforzamento del decentramento locale;— l’introduzione di norme più incisive sul funzionamento dei consigli e delle giunte de-

gli enti locali;— una compiuta disciplina dello status degli amministratori locali.

4. il d.lgs. 267/2000 (TEsTo Unico dEgli EnTi locali)

il momento simbolicamente conclusivo del decennio di riforme che ha coinvolto gli enti locali è dato dall’emanazione del d.lgs. 18-8-2000, n. 267, T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (TueL).in particolare le novità ivi introdotte possono così enuclearsi:— la competenza della fonte statutaria nella disciplina dei modi di esercizio

della rappresentanza legale dell’ente (art. 6, comma 2);— il potenziamento delle competenze dirigenziali estese a tutti gli atti di gestio-

ne (salvo poche eccezioni) e a quelli di carattere amministrativo (art. 107);— la riconduzione funzionale agli organi di governo dei soli atti «ricom-

presi espressamente dalla legge o dallo statuto fra le funzioni di indiriz-zo e di controllo politico amministrativo», rimarcando il principio di separazione fra la sfera politica e quella gestionale (art.107);

— il riconoscimento agli enti locali di una più ampia autonomia in merito alla regolamentazione delle selezioni del personale (art. 89);

— l’esclusione dai controlli del CO.re.CO. delle delibere approvate dalle Giun-te in via d’urgenza concernenti le variazioni di bilancio e ratificate dal Consi-glio nei sessanta giorni successivi, a pena di decadenza (art. 42, comma 4);

— la possibilità riconosciuta alle Giunte comunali e provinciali di svolge-re controlli di fatto sulla legittimità delle deliberazioni adottate dagli organi consiliari, sottoponendole ai CO.re.CO. (art. 127, comma 3). Ciò si evince dalla previsione testuale secondo cui al controllo del CO.re.CO. la Giunta può sottoporre «ogni altra deliberazione dell’ente»;

— l’estensione agli eredi della responsabilità amministrativa dei dipenden-ti e degli amministratori degli enti locali nei casi di illecito arricchimen-to (art. 93, comma 4);

— l’estensione dell’istituto della partecipazione popolare anche ai cittadini appartenenti all’ unione europea e agli stranieri regolarmente soggior-nanti (art. 8, comma 5);

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9Capitolo Primo: evoluzione storico-legislativa

— la codificazione nell’ordinamento degli enti locali della società per azioni a partecipazione pubblica minoritaria come forma specifica di gestione dei servizi pubblici locali (art. 113, lett. f nella dizione ante L. 448/2001);

— l’obbligo della presenza delle minoranze nelle Comunità montane (art. 27, comma 2).

5. la l. cosT. 3/2001 di riforma dEl TiTolo V, parTE ii dElla cosTiTUzionE

il riconoscimento della piena autonomia agli enti locali e la conseguen-te attribuzione ad essi di funzioni originariamente appartenenti solo allo stato ha comportato la necessità di rivedere quanto affermato in materia delle disposizioni costituzionali. invero, la l. cost. 18-10-2001, n. 3 ha provveduto a modificare pressoché integralmente il Titolo v, Parte ii della Costituzione dedicato appunto a regioni, Province e Comuni.Gli aspetti salienti della riforma sono i seguenti:— l’art. 114 Cost., che, nella sua formulazione originaria, prevedeva la

ripartizione della repubblica in regioni, Province e Comuni, vede ri-baltata l’elencazione degli enti territoriali evidenziando la profonda radice territoriale del comune, l’ente locale più vicino ai cittadini. dopo i comuni, risalendo, sono elencate le province, le città metro-politane, le regioni e lo stato;

— l’autonomia goduta dagli enti elencati nel nuovo art. 114 è piena, nel senso che trova un limite invalicabile nei principi fissati dalla Costituzione;

— viene costituzionalizzato lo status di capitale d’italia della città di roma;

— non solo le regioni speciali godono di «forme e condizioni particolari di autonomia», ma anche le regioni a statuto ordinario possono benefi-ciarne, su iniziativa della regione interessata e con legge dello stato;

— la suddivisione della potestà legislativa tra lo stato e le regioni è definita dall’art. 117 Cost. secondo un’impostazione completamente diversa. il nuovo testo, infatti, individua:a) i settori in cui lo Stato legifera in modo esclusivo, riservando a sé

ben 17 materie (dalla difesa alla giustizia, dalla politica monetaria e fiscale alla previdenza etc.);

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Parte Prima: Lineamenti generali dell’ordinamento degli enti locali10

b) i settori in cui vi è una potestà legislativa concorrente, vale a dire in cui le regioni sono tenute a legiferare nel rispetto dei principi fon-damentali definiti dalla legislazione statale;

c) i settori in cui esiste una potestà legislativa esclusiva delle Regioni, senza interferenze da parte delle autorità statali. si tratta di materie che devono essere ricavate per esclusione e individuate tra quelle non esplicitamente incluse nei primi due elenchi (potestà legislativa esclusiva dello stato e potestà legislativa concorrente);

— viene riconosciuta alle regioni la conduzione di una politica estera sia pur nel rispetto di alcuni vincoli;

— l’attribuzione delle funzioni amministrative di pertinenza statale agli enti locali avviene in ossequio al principio di sussidiarietà;

— il principio di sussidiarietà si affianca al principio di differenziazione e di adeguatezza che ne costituiscono delle variabili;

— il federalismo fiscale viene costituzionalizzato con il nuovo testo dell’art. 119 (vedi sul punto § 7);

— è prevista una forma di intervento sostitutivo dello stato nei confronti delle regioni e degli enti locali a fronte di gravi inadempienze;

— sono abrogati gli articoli 115, 124, 125, comma 1, 128, 129 e 130 della Costituzione con conseguente eliminazione del sistema dei controlli;

— è istituito il consiglio delle autonomie locali, quale organo di consul-tazione fra la regione e gli enti locali.

6. l’adEgUamEnTo dEll’ordinamEnTo dElla rEpUb-blica alla riforma cosTiTUzionalE: la lEggE la loggia

il primo passo normativo compiuto al fine di conformare il sistema le-gislativo vigente alla riforma del Titolo v della Parte ii della Costituzione è dato dalla l. 5-6-2003, n. 131 (cd. legge La Loggia) recante «disposizio-ni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla L. cost. 3/2001».si riportano di seguito, in sintesi, i lineamenti della riforma:— l’art. 1 (recante l’attuazione dell’art. 117, commi 1 e 3 della Cost.) con

il quale vengono fissati i limiti da rispettare in materia di legislazione regionale;

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11Capitolo Primo: evoluzione storico-legislativa

— l’art. 4 (recante l’attuazione degli artt. 114, comma 2, e 117, comma 6 Cost.) con il quale viene ribadita la potestà normativa di Comuni, Province, Città metropolitane, nonché unioni di Comuni e Comunità montane ed isolane, esplicantesi in potestà statutaria e regolamen-tare;

— l’art. 5 (recante l’attuazione dell’art. 117, comma 5 della Costituzione) con il quale si disciplina la partecipazione delle regioni in materia comunitaria;

— l’art. 6 (recante l’attuazione dell’art. 117, commi 5 e 9 della Costituzio-ne) relativo all’attività internazionale delle regioni;

— l’art. 7 (che attua l’art. 118 Cost.) che riconferma e specifica, in tema di suddivisione delle funzioni amministrative, i principi di sussidiarie-tà, adeguatezza e differenziazione affermando che tutte le funzioni spettano ai Comuni ad eccezione di quelle per le quali occorra assicura-re un esercizio unitario che, invece, vengono spartite fra stato, regioni, Province e Città metropolitane;

— l’art. 8 (di attuazione dell’art. 120 Cost.) che detta le procedure con le quali può darsi luogo al potere sostitutivo del governo nei confronti degli organi degli enti locali al verificarsi di una delle tre ipotesi indivi-duate dallo stesso art. 120 Cost.;

— l’art. 9 (di attuazione degli artt. 123, comma 2 e 127 Cost.) che in tema di ricorso alla Corte costituzionale per illegittimità di statuti regionali e di leggi o atti aventi forza di legge dello stato, attribuisce un potere propositivo rispettivamente alla Conferenza stato-Città e autonomie locali ed al Consiglio delle autonomie locali.

7. l’aTTUazionE dEll’arT. 119 cosT.: il fEdEralismo fiscalE

L’art. 119 Cost., come novellato dalla L. cost. 3/2001, garantisce a tutti i livelli di governo autonomia finanziaria di entrata e di spesa e risorse economiche autonome. in questo modo si è inteso istituire una forma di federalismo cooperativo e solidale volto, da un lato a promuove la maggio-re autonomia di regioni ed enti locali e, dall’altro lato a sostenere le aree più deboli consentendo a tutte le comunità locali di usufruire di un standard di servizi uniforme su tutto il territorio nazionale, pur con le dovute diffe-renze e nel rispetto delle autonomie riconosciute.

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Parte Prima: Lineamenti generali dell’ordinamento degli enti locali12

al fine di garantire la piena attuazione dei principi contenuti nell’art. 119 Cost. è stata emanata la l. 5 maggio 2009, n. 42 con la quale il Go-verno è stato delegato ad attuare il cd. federalismo fiscale.

detta legge reca disposizioni volte a stabilire i princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, disciplina l’istituzione ed il funzionamento del fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante e predispone l’utilizzazione delle risor-se aggiuntive per lo sviluppo delle aree sottoutilizzate nella prospettiva del superamento del dualismo economico del Paese.

in attuazione della L. 42/2009 in questione, il Governo ha poi emanato il d.lgs. 23 maggio 2010, n. 85 relativo al cd. federalismo demaniale, il d.lgs. 17 settembre 2010, n. 156 sull’ordinamento di Roma Capitale e il d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23 sul federalismo municipale.

Glossarioadeguatezza [principio di]: è uno dei principi, ex art. 118 Cost. (comma 1 così come no-vellato dalla L. cost. 3/2001), la cui attuazione è disciplinata dall’art. 7 L. 131/2003, in base al quale deve avvenire il conferimento di compiti e funzioni amministrative a: Comuni, Province, Città metropolitane, regioni e stato.in virtù di tale principio l’amministrazione ricevente la funzione o il compito amministra-tivo deve possedere una struttura organizzativa idonea a garantire, anche in forma associa-ta con altri enti, l’esercizio delle funzioni.differenziazione [principio di]: principio richiamato dall’art. 118 Cost. (così come novel-lato dalla L. cost. 3/2001) relativo alla allocazione delle funzioni amministrative nel rap-porto stato-regioni ed enti locali.Più precisamente esso sta ad indicare che nel riparto delle funzioni amministrative (in primis attribuite ai Comuni) si deve tenere opportunamente conto delle diverse caratteri-stiche (strutturali, organizzative, demografiche, associative) dei vari livelli di Governo.sussidiarietà [principio di]: tale principio postula che la generalità dei compiti e delle funzioni «cedute» dallo stato sia conferita agli enti più vicini ai cittadini, quindi ai Comu-ni e, in seconda battuta, agli altri enti territoriali compatibilmente con le loro possibilità operative.Questo principio è stato accolto nel nostro ordinamento, dapprima a livello di legislazione ordinaria (L. 59/1997), poi costituzionale (L. cost. 3/2001 di modifica al Titolo v, Parte ii della Costituzione).

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CaPiTOLO seCONdO

rapporTi fra sTaTo, rEgioni Ed EnTi locali

sommario: 1. il rappresentante dello stato per i rapporti con le autonomie. - 2. La Conferenza stato-città ed autonomie locali. - 3. Le Prefetture - uffici territoriali del Governo. - 4. il sistema regionale delle autonomie locali. - 5. il Consiglio delle auto-nomie locali.

1. il rapprEsEnTanTE dEllo sTaTo pEr i rapporTi con lE aUTonomiE

L’art. 10 della L. 131/2003 (legge La Loggia) istituisce il rappresen-tante dello stato per i rapporti con le autonomie: in ogni regione a statuto ordinario questo ruolo è svolto dal prefetto preposto all’ufficio territoriale (vedi § 3) del Governo avente sede nel capoluogo della regio-ne.in particolare il rappresentante dello stato cura in sede regionale:— le attività dirette a rendere più agevole il rapporto con il sistema delle

autonomie;— la promozione delle misure di coordinamento tra Stato e autonomie

locali, di cui all’art. 9, comma 5 del d.Lgs. 281/1997. Tale comma si riferisce alle funzioni della Conferenza stato-città ed autonomie locali;

— l’esecuzione di provvedimenti del Consiglio dei ministri costituenti esercizio del potere sostitutivo di cui all’art. 120, secondo comma, del-la Costituzione. Per tale compito il rappresentante del Governo si av-vale degli uffici territoriali del Governo e degli altri uffici statali aventi sede nel territorio regionale;

— la verifica dell’interscambio di dati e informazioni rilevanti sull’attività statale, regionale e degli enti locali di cui all’art. 6 del d.Lgs. 112/1998. Nell’esercizio delle funzioni di cui sopra il rappresentante dello stato

si avvale delle strutture e del personale dell’ufficio territoriale del Governo.

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Parte Prima: Lineamenti generali dell’ordinamento degli enti locali14

2. la confErEnza sTaTo-ciTTà Ed aUTonomiE locali

La conferenza stato-città ed autonomie locali è stata istituita, con d.P.C.m. 2 luglio 1996, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, con compiti di coordinamento, studio, informazione e confronto sulle proble-matiche connesse agli indirizzi di politica generale che possono incidere sulle funzioni proprie dei Comuni (e delle Province) e su quelle delegate ai medesimi enti da leggi dello stato.

Con il d.Lgs. 281/1997 è stata organizzata in modo compiuto dal legi-slatore, con contestuale attribuzione di funzioni maggiormente qualificanti.La Conferenza in particolare è sede di discussione e di esame:— dei problemi relativi all’ordinamento e al funzionamento degli enti locali, ivi compresi gli

aspetti concernenti le politiche finanziarie e di bilancio e le risorse umane e strumentali, nonché delle iniziative legislative e degli atti generali del Governo a ciò attinenti;

— dei problemi relativi alle attività di gestione e di erogazione dei servizi pubblici;— di ogni altro problema connesso con gli scopi di cui sopra che venga sottoposto al parere

della Conferenza dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Presidente delegato.

La Conferenza svolge altresì il compito di favorire l’informazione e le iniziative per il miglioramento del livello di efficienza dei servizi pubblici locali e le attività relative alla organizzazione di manifestazioni che coin-volgono più Comuni da celebrare in ambito nazionale.

L’art. 9 della l. 5-6-2003, n. 131 (cd. legge La Loggia), modificando la L. 87/1953 (recante norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), attribuisce, inoltre, alla Conferenza in esame un po-tere di iniziativa per quanto concerne i ricorsi alla Corte costituzionale aventi ad oggetto la legittimità di statuti regionali. ai sensi del novellato art. 31 della legge del ‘53, infatti, tale ricorso può essere sollevato dal Pre-sidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio stesso, anche su proposta della Conferenza stato-città ed autonomie locali.

Non bisogna dimenticare, infine, che la Conferenza stato-città ed autonomie locali è chiamata a svolgere un ruolo di primaria importanza per quanto concerne la partecipazione degli enti locali alla formazione degli atti normativi comunitari.

Nello specifico, la l. 4-2-2005, n. 11 all’art. 6 stabilisce che qualora i progetti di atti comunitari e dell’ue, nonché gli atti ad essi preordinati e le loro modificazioni riguardino questioni di particolare rilevanza per gli enti locali, la Presidenza del Consiglio dei ministri-dipartimento per le politiche comunitarie è tenuta a trasmetterli alla Conferenza in esame ed a cura di quest’ultima devono essere trasmessi alle associazioni rappresentative degli enti locali.

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15Capitolo secondo: rapporti fra stato, regioni ed enti locali

Per il tramite della Conferenza, tali associazioni possono trasmettere osservazioni al Presidente del Consiglio dei ministri o al ministro delle Politiche comunitarie, ovvero posso-no richiedere che i progetti in questione siano sottoposti all’esame della Conferenza stessa.

Cos’è la Conferenza unificata?i membri della Conferenza stato-città, assieme a quelli della Conferenza stato-regioni, costi-tuiscono la conferenza unificata istituita dal d.Lgs. 281/1997 su specifica indicazione della legge bassanini. essa è competente nelle materie di interesse comune alle regioni ed agli enti locali nel cui ambito assume deliberazioni, promuove e sancisce intese ed accordi, esprime pareri, designa rappresentanti.È altresì competente in tutti i casi in cui le due Conferenze summenzionate debbano esprimersi su un medesimo oggetto.essa esprime, inoltre, il proprio parere in merito al disegno di legge finanziaria, agli schemi di decreto legislativo di conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed agli enti locali. Promuove e sancisce anche intese fra Governo, regioni ed enti locali al fine di coordinare l’esercizio delle rispettive competenze e svolgere, in collaborazione, attività di interesse comune.

3. lE prEfETTUrE - Uffici TErriToriali dEl goVErno

Presso la Provincia opera un importante organo periferico dell’ammini-strazione statale: il prefetto.

Lo stato, infatti, per esercitare i propri compiti deve poter contare su strutture presenti su tutto il territorio, che danno esecuzione alle decisioni assunte a livello centrale.

esso è dotato di una competenza generale e svolge funzioni di rappre-sentanza governativa a livello provinciale, nonché funzioni amministrative attinenti a tutti i settori dell’amministrazione statale.

il Prefetto dipende burocraticamente dal ministero dell’interno, ma funzionalmente è legato all’intero Governo e, di volta in volta, ai ministri dei dicasteri che rappresenta localmente. viene nominato con un d.P.r. su proposta del ministro dell’interno e deliberazione del Consiglio dei ministri.

dal momento che il Prefetto rappresenta il Governo, è tenuto ad unifor-marsi alle direttive governative e deve godere della fiducia dell’esecutivo: ove venga meno tale rapporto di fiducia, il Governo può discrezionalmente rimuoverlo.

ai sensi dell’art. 11 del d.Lgs. 300/1999 recante Riforma dell’organiz-zazione del Governo (interamente riscritto ad opera del d.lgs. 21-1-2004, n. 29) i Prefetti sono a capo delle prefetture-Uffici territoriali del gover-no (UTg) chiamate ad assicurare l’esercizio coordinato dell’attività ammi-

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Parte Prima: Lineamenti generali dell’ordinamento degli enti locali16

nistrativa degli uffici periferici dello stato ed a garantire la leale collabora-zione di detti uffici con gli enti locali.

al citato articolo 11 è stata data attuazione con il d.p.r. 3-4-2006, n. 180 (sostituitosi al d.P.r. 284/2001 del quale ha disposto l’abrogazione integrale), il cui art. 2 indica espressa-mente fra i compiti del Prefetto, quale rappresentante del Governo, quelli direttamente funzio-nali alla potestà di impulso, di indirizzo e di coordinamento del Presidente del Consiglio dei ministri, alla semplificazione delle procedure in vista di una migliore efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa in periferia, all’attuazione delle misure di coordinamento nei rap-porti tra lo stato e le autonomie locali definite dalla Conferenza stato-città e autonomie loca-li, all’implementazione nel sistema amministrativo delle leggi generali sul procedimento e alla promozione della cooperazione fra le pubbliche amministrazioni.

al ruolo di rappresentanza generale del Governo attribuito al Prefetto vanno altresì ricon-dotte, da un lato, la potestà di promuovere e stipulare le convenzioni volte a regolare, in con-formità agli schemi approvati dalla Conferenza stato-regioni, le modalità di utilizzazione da parte dello stato o della regione di uffici appartenenti all’uno o all’altro ente, e, dall’altro, la potestà di indire la Conferenza di servizi per la cura di interessi statali o, in caso di procedi-menti amministrativi connessi, quando vi sia la richiesta dei rappresentanti della regione o degli enti locali coinvolti.

il Prefetto titolare dell’uTG promuove infine tutte le possibili forme di collaborazione interistituzionale fra lo stato e le autonomie territoriali, nel rispetto dei principi delineati dalla L. cost. 3/2001.

ai Prefetti, titolari delle Prefetture - uTG aventi sede nel capoluogo della regione, sono state attribuite dall’art. 10 della L. 131/2003, anche i compiti di rappresentante dello stato per i rapporti con il sistema delle autonomie (vedi § 1).

4. il sisTEma rEgionalE dEllE aUTonomiE locali

il d.Lgs. 267/2000, all’art. 4, nel delineare il sistema regionale delle autonomie locali e nel ridefinire il problematico rapporto tra regioni ed enti locali ha ribadito la collocazione istituzionale della regione quale «centro propulsore e di coordinamento dell’intero sistema delle autonomie locali» (Corte cost., sent. 343/1991), configurando così il rapporto fra lo stato e gli enti locali come un rapporto prevalentemente mediato dal ruolo di go-verno attribuito all’ente regionale.secondo le indicazioni fornite dal d.Lgs. 267/2000 (TueL), le leggi regionali:— indicano i principi della cooperazione dei Comuni e delle Province tra loro e con la re-

gione, al fine di realizzare un efficiente sistema delle autonomie locali al servizio dello sviluppo economico, sociale e civile (art. 4, comma 4);

— stabiliscono i modi e le forme della partecipazione degli enti locali alla formazione dei piani e dei programmi regionali e degli altri provvedimenti della regione (art. 5, com-ma 3);

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17Capitolo secondo: rapporti fra stato, regioni ed enti locali

— indicano i criteri e fissano le procedure per gli atti e gli strumenti della programmazione socio-economica e della pianificazione territoriale dei Comuni e delle Province, rilevanti ai fini dell’attuazione dei programmi regionali (art. 5, comma 4);

— disciplinano modi e procedimenti per la verifica della compatibilità fra gli strumenti della programmazione socio-economica e della pianificazione territoriale con i programmi re-gionali, ove esistenti (art. 5, comma 5);

— prevedono strumenti e procedure di raccordo e concertazione, anche permanenti, che diano luogo a forme di cooperazione strutturali e funzionali, per consentire la collabora-zione e l’azione sinergica e coordinata fra regione ed enti locali nell’ambito delle rispet-tive competenze (art. 4, comma 5).

in particolare, le regioni sono chiamate essenzialmente a disciplinare l’organizzazione dell’esercizio delle funzioni amministrative a livello loca-le attraverso i Comuni (e le Province).

Non bisogna scordare, infine, il ruolo di programmazione svolto dalle regioni che rappresenta uno strumento indispensabile per la realizzazione di un compiuto ed integrato sistema delle autonomie locali.

La programmazione regionale viene imposta autoritativamente agli enti locali?La regione non può elaborare dall’alto un programma e poi autoritativamente imporlo agli enti locali; occorre richiedere, nel processo di formazione della legge-programma, la parteci-pazione di questi ultimi.in questo senso, appare incisivo l’art. 5 d.Lgs. 267/2000 laddove sostiene che «Comuni e Province concorrono alla determinazione degli obiettivi contenuti nei piani e nei programmi dello stato e delle regioni, e provvedono per quanto di propria competenza alla loro specifi-cazione ed attuazione».

5. il consiglio dEllE aUTonomiE locali

il dispositivo dell’ultimo comma dell’art. 123 Cost., aggiunto dalla legge di revisione costituzionale del 2001 (L. cost. 3/2001), istituisce il Consiglio delle autonomie locali quale organo di consultazione fra regio-ni ed enti locali.

il revisore costituzionale demanda allo statuto regionale la disciplina di tale organo collegiale, attribuendo al legislatore regionale un ampio margi-ne di discrezionalità riguardo alla composizione e al funzionamento dello stesso.

in altre parole, gli enti chiamati a partecipare e a sedere nel Consiglio delle autonomie locali non sono solo le Province, i Comuni e le Città me-

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Parte Prima: Lineamenti generali dell’ordinamento degli enti locali18

tropolitane ma anche, in subordine, le comunità intercomunali, come le Comunità montane e isolane (che pure l’art. 2 TueL definisce enti locali), le forme associative fra enti locali, come le unioni di Comuni, nonché «altri organismi che devono essere considerati come articolazioni di decen-tramento di enti locali maggiori» (di FaziO) quali municipi, circoscrizio-ni e circondari.

si noti, inoltre, che ai sensi dell’art. 32 della menzionata L. 87/1953, novellato dall’art. 9 della l. 131/2003, il Consiglio delle autonomie locali può proporre alla Giunta regionale il ricorso alla Corte costituzionale av-verso leggi o atti aventi valore di legge dello stato. il ricorso viene poi promosso dal Presidente della Giunta previa delibera della stessa.

sempre la legge La Loggia prevede all’art. 7, comma 8, che il Consiglio in questione funga da tramite per Comuni, Province e Città metropolitane che intendano richiedere alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti ulteriori forme di collaborazione ai fini della regolare gestione finan-ziaria, dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione amministrativa, nonché pareri in materia di contabilità pubblica, analogamente a quanto possono fare le regioni pur senza detto tramite.

il successivo comma 8bis del citato art. 7, aggiunto dalla l. 4 marzo 2009, n. 15 recante, tra l’altro, disposizioni integrative delle funzioni attri-buite alla Corte dei conti, stabilisce, infine, che le sezioni regionali di con-trollo della Corte dei conti possono essere integrate da due componenti designati, salva diversa previsione dello statuto della regione, rispettiva-mente dal Consiglio regionale e dal Consiglio delle autonomie locali o, in mancanza di tale organo, dal Presidente del Consiglio regionale su indica-zione delle associazioni rappresentative dei Comuni e delle Province a li-vello regionale e nominati con decreto del Presidente della repubblica.

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ParTe seCONdasTrUTTUra E aUTonomia

dEgli EnTi locali

CaPiTOLO PrimO

caraTTEri E fUnzioni di comUnE, proVincia E ciTTà mETropoliTana

sommario: 1. il Comune. - 2. demanio e patrimonio comunale. - 3. il decentramento comunale. - 4. Funzioni del Comune. - 5. La Provincia - 6. Funzioni della Provincia. - 7. Compiti di programmazione. - 8. La Città metropolitana. - 9. Funzioni della Città me-tropolitana. - 10. Lo status di «roma Capitale».

1. il comUnE

a) nozioneL’art. 114 Cost., come modificato dalla l. cost. 18-10-2001, n. 3, ricono-

sce i Comuni come enti autonomi, dotati di propri statuti, poteri e funzioni, esercitabili nel rispetto dei principi fondamentali ricavabili dalla stessa Carta costituzionale, che concorre — assieme alle Province, alle Città metropolita-ne, alle regioni e, ovviamente allo stato — a formare la repubblica.

al dettato costituzionale si aggiunge quanto stabilito dall’art. 3, comma 2, del d.lgs. 18-8-2000, n. 267 (cd. T.u. degli enti locali) ai sensi del qua-le, il Comune è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo.

b) Elementi costitutiviGli elementi costitutivi del Comune sono:a) il territorio, ovvero quella parte ben definita del territorio nazionale in

cui il Comune esplica le sue potestà (cd. elemento materiale);

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Parte seconda: struttura e autonomia degli enti locali20

b) la popolazione, costituita da tutte le persone fisiche che hanno la dimo-ra abituale (residenza) nel territorio comunale e che perciò possono denominarsi «cittadini comunali» (cd. elemento personale);

c) il patrimonio, rappresentato dal complesso delle attività economiche del Comune, e cioè dai beni e dai diritti che possiede allo stesso titolo dei privati.il Comune ha, inoltre, personalità giuridica di diritto pubblico; attributi essenziali della

personalità sono:— il nome, oggetto di diritto soggettivo e perciò tutelabile contro qualsiasi usurpazione o

uso arbitrario da parte di terzi dinanzi al giudice ordinario;— lo stemma, emblema identificativo del Comune, la cui determinazione è disciplinata dal-

lo statuto ai sensi dell’art. 6, comma 2, del T.u.;— il gonfalone, drappo che riproduce lo stemma, la cui determinazione rientra nell’autono-

mia statutaria ex art. 6, comma 2 del T.u.infine si ricordi che ai sensi dell’art. 18 del T.u., ai Comuni insigni per ricordi, monumen-

ti storici e per l’attuale importanza può essere concesso con decreto del Presidente della re-pubblica, su proposta del ministero dell’interno, il titolo di città.

c) il territorioil territorio rileva, in primo luogo, come ambito di competenza entro cui sono

validamente efficaci gli atti del Comune e, di converso, oltre il quale essi cessa-no di avere efficacia; in secondo luogo come oggetto di un diritto soggettivo del Comune, che può opporsi all’esercizio degli stessi poteri da parte di altri sogget-ti ed impedire l’usurpazione di territorio da parte dei Comuni confinanti.

Quali sono le articolazioni del territorio?il territorio comunale può presentare al suo interno diverse articolazioni, per cui è possibile distinguere tra:— capoluogo, che è generalmente costituito dal più importante agglomerato urbano, in cui

hanno sede gli uffici comunali e che dà il nome all’intero Comune;— sobborgo, vale a dire un agglomerato urbano meno popolato rispetto a quello principale

che normalmente si estende in zone limitrofe;— frazione, cioè un agglomerato di piccole dimensioni nettamente distaccato urbanisticamente

dal capoluogo;— quartiere, ovvero ripartizione urbanistica dei centri urbani di maggiore dimensione;— casale, costituito da piccoli centri abitati sparsi soprattutto sul territorio dei Comuni montani.

La denominazione delle frazioni e delle borgate è attribuita (ex art. 15, comma 4 del d.Lgs. 267/2000) ai Comuni stessi. ed ancora (ex art. 54, c.

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21Capitolo Primo: Caratteri e funzioni di Comune, Provincia e Città metropolitana

10 del T.u.), laddove non siano costituiti gli organi di decentramento comu-nale, il territorio delle frazioni e dei quartieri rileva ai fini dell’esercizio della delega da parte del sindaco di alcune funzioni spettantigli in veste di Ufficiale di governo.

d) modifiche territoriali, fusione ed istituzioni di nuovi comuniL’art. 133, comma 2, Cost. in materia di istituzione di nuovi comuni

e modificazione delle loro circoscrizioni e denominazioni, prevede in primo luogo una riserva di legge regionale, ed in secondo luogo un obbli-go di consultazione delle popolazioni interessate, volto ad evitare che le modifiche territoriali possano essere imposte autoritativamente.

Come si articola il procedimento volto all’attuazione delle modifiche ter-ritoriali?

il procedimento volto all’attuazione di modifiche territoriali deve essere disciplinato con legge regionale, ad ogni modo è quasi del tutto simile per ogni regione articolandosi fonda-mentalmente nelle seguenti fasi:— iniziativa da parte della regione, dei Comuni o delle popolazioni residenti;— acquisizione da parte della regione del parere non vincolante dei Consigli comunali in-

teressati;— consultazione delle popolazioni interessate (generalmente mediante referendum);— approvazione della legge regionale recante la nuova delimitazione territoriale nonché la

nuova definizione dei rapporti patrimoniali e finanziari.

il d.Lgs. 267/2000 disciplina due diverse ipotesi di istituzione di nuovi Comuni cui si può procedere:— attraverso la fusione di due o più Comuni contigui;— ex novo, tenendo però conto della soglia minima necessaria di 10.000

abitanti.in relazione al processo di fusione, l’art. 15 del T.u. prevede:— incentivi statali, erogati per dieci anni successivi alla fusione stessa;— contributi regionali, concessi per mezzo di apposite leggi regionali;— garanzia per le comunità di origine, o alcune di esse, di adeguate forme

di partecipazione e di decentramento dei servizi.Quanto all’ipotesi di distacco di un comune dalla regione di appar-

tenenza, vale il disposto dell’art. 132, comma 2 Cost., il quale novellato dalla l. cost. 3/2001, dispone che si può consentire che i Comuni, che ne

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Parte seconda: struttura e autonomia degli enti locali22

facciano richiesta, siano staccati da una regione ed aggregati ad un’altra, con approvazione della maggioranza delle popolazioni e con legge della repubblica, sentiti i Consigli regionali.

in argomento, si segnala la sentenza della Corte costituzionale 10-11-2004, n. 334 con la quale è stata dichiarata, per incompatibilità con l’art. 132 Cost., l’incostituzionalità dell’art. 42 della L. 352/1970 nella parte in cui legittima alla promozione del referendum in questione anche enti esponenziali di altre popolazioni oltre a quelle coinvolte direttamente nel distacco-aggregazione.

2. dEmanio E paTrimonio comUnalE

a seguito della riforma attuata dalla L. cost. 3/2001, è la stessa Costitu-zione (all’art. 119, comma 6) a riconoscere in capo ai Comuni (nonché alle Province ed alle Città metropolitane) la titolarità di un proprio patrimonio attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello stato, lo stesso articolo, nella sua originaria formulazione, dotava di patrimonio proprio esclusivamente le regioni.

a norma dell’art. 824 c.c. i beni elencati al comma 2 dell’art. 822 c.c., se appartengono ai Comuni o alle Provincie, ne costituiscono il demanio. Tali beni sono:— le strade, le autostrade e le strade ferrate;— gli aerodromi;— gli acquedotti;— gli immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi

in materia;— le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi e delle biblioteche;— in generale, tutti i beni assoggettati dalla legge al regime proprio del demanio pubblico.

un discorso a parte va fatto per i mercati ed i cimiteri che sono considerati demaniali e, dunque, soggetti alla relativa disciplina, solo se appartenenti ai Comuni (cd. demanio comunale specifico).

rientrano, altresì, nel demanio comunale le cd. «servitù prediali pubbli-che», ovvero i diritti reali su beni altrui costituiti per l’utilità o per il conse-guimento di fini di pubblico interesse.

Tutti i beni non rientranti nell’elenco dei beni demaniali costituiscono il patrimonio dell’ente locale. i beni patrimoniali, a loro volta, possono es-sere disponibili o indisponibili.

i beni degli enti locali fanno di solito parte del loro patrimonio indisponi-bile perché di norma sono destinati a perseguire i fini propri degli enti stessi.

Tali, in particolare, sono gli edifici destinati a sede di pubblici uffici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico servizio.

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23Capitolo Primo: Caratteri e funzioni di Comune, Provincia e Città metropolitana

Tra i beni indisponibili destinati a pubblici servizi sono da ricordare anche gli impianti, i materiali, i magazzini ed ogni altro bene immobile occorrente per il funzionamento dei servi-zi quali, la nettezza urbana, l’illuminazione pubblica etc., nonché i beni che fanno parte dei pubblici servizi municipalizzati (es. trasporti urbani).

Tutti gli altri beni comunali sono beni disponibili e su di essi l’ente può esercitare tutti i diritti e le facoltà connesse al regime privatistico che rego-la la proprietà di questi beni.

si tenga presente, tra l’altro, che l’art. 58 del d.l. 25-6-2008, n. 112, conv. con modif. in l. 6-8-2008, n. 133 (cd. manovra finanziaria d’estate) contiene disposizioni finalizzate al riordino, alla gestione e alla valorizza-zione del patrimonio immobiliare di Regioni ed enti locali. Passaggio fon-damentale di questa procedura è la ricognizione dei beni immobili di pro-prietà degli enti che non siano strumentali all’esercizio delle funzioni isti-tuzionali e che, pertanto, siano suscettibili di dismissione.

La l. 5-5-2009, n. 42 (cd. legge sul federalismo fiscale per la quale vedi Parte i, Cap. i, § 7 e Parte ii, Cap. 4, § 1 lett. b), inoltre, all’art. 19 richiede che i regolamenti adottati dal Governo al fine di coordinare la finanza pubbli-ca e il sistema tributario all’autonomia finanziaria di cui godono le regioni e gli enti locali ai sensi dell’art. 119 Cost., devono, tra le altre cose, anche sta-bilire i principi generali per l’attribuzione di un proprio patrimonio a Comu-ni, Province, Città metropolitane e regioni.

in attuazione del citato art. 19 è stato emanato il d.lgs. 28 maggio 2010, n. 85, sul cd. federalismo demaniale.

Tale decreto prevede che lo stato, previa intesa in sede di Conferenza unifica-ta, individui i beni facenti parte del proprio demanio da attribuire a ti-tolo non oneroso agli enti pubblici territoriali che ne facciano richiesta, affinché questi ultimi possano garantirne la massima valorizzazione. Le tipologie di beni attribuibili sono indicate in dettaglio dall’art. 5:a) beni appartenenti al demanio marittimo e relative pertinenze, ad esclusione di quelli

direttamente utilizzati dalle amministrazioni statali;b) beni appartenenti al demanio idrico e relative pertinenze, nonché le opere idrauliche e

di bonifica di competenza statale, ad esclusione dei fiumi di ambito sovraregionale e dei laghi di ambito sovraregionale (in quest’ultimo caso, tuttavia, l’attribuzione è possibile se viene raggiunta un’intesa tra le regioni interessate);

c) gli aeroporti di interesse regionale o locale appartenenti al demanio aeronautico ci-vile statale, ad eccezione di quelli di interesse nazionale;

d) le miniere e le relative pertinenze ubicate su terraferma;e) gli altri beni immobili dello stato, ad eccezione di quelli per i quali l’attribuzione è

esplicitamente esclusa.

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Parte seconda: struttura e autonomia degli enti locali24

in linea generale, i beni indicati dall’art. 5 sono attribuiti ai Comuni, a meno che esigenze di carattere unitario legate alla particolare tipologia del bene non rendano necessaria la loro attribuzione a Province, Città metropolitane o regioni, cioè a livelli di governo più idonei a garantire la tutela, la gestione e la valorizzazione dei beni stessi (art. 2, comma 5).

L’elencazione dei singoli beni potenzialmente attribuibili agli enti territoriali dovrà essere effettuata attraverso uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri da adottarsi entro 180 giorni dall’entrata in vigore del decreto.

3. il dEcEnTramEnTo comUnalE

a) i municipii municipi non sono enti locali, ma semplici forme di decentramento

comunale, come tali sprovvisti di personalità giuridica.essi sono presi in considerazione dal d.Lgs. 267/2000 all’art. 16, lad-

dove si afferma che nei Comuni sorti da una fusione lo statuto può istituire dei municipi nei territori delle comunità d’origine o di alcune di esse.

Lo stesso statuto, insieme con il regolamento disciplinano poi l’organiz-zazione e le funzioni dei municipi, prevedendo eventualmente anche la presenza di organi eletti a suffragio universale e diretto.

agli amministratori dei municipi è espressamente estesa la disciplina prevista per gli amministratori dei Comuni con pari popolazione.

Trovano, dunque, applicazione quelle norme concernenti lo status degli amministratori locali vigenti per i Comuni con pari popolazione, determi-nando così l’ipotesi di una regolamentazione che può essere diversificata da municipio a municipio.

b) le circoscrizioni di decentramentoLe circoscrizioni di decentramento sono ripartizioni del territorio

comunale definibili come articolazioni interne del comune stesso, aven-ti una propria individualità per le caratteristiche topografiche, sociali ed economiche che le distinguono.

esse non sono dotate di personalità giuridica, non sono enti territoriali né organi del Comune. sono quindi organizzazioni comunali sui generis con una propria soggettività giuridica, sia pure a carattere limitato, non mera-mente interna, bensì con riflessi anche esterni: gli atti deliberativi dei loro organi rappresentativi sono, infatti, dotati di rilevanza esterna.

Ciò detto non possiamo non menzionare che la l. 23-12-2009, n. 191 (Fi-nanziaria per il 2010), all’art. 2, comma 186, come modificato dal d.l. 25-1-