Opera Prima 2012 - Manuel Micaletto

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Manuel Micaletto Il piombo a specchio Opera Prima

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Manuel Micaletto

Il piombo a specchio

Opera Prima

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Autore: Manuel Micaletto

Titolo: Il piombo a specchio

Anno: 2012

A cura di: Luigi Bosco

Copertina: adattamento di una scultura di Roberto Almagno

Questo e-book rappresenta una delle tre raccolte poetiche selezionate per la collana editoriale Opera Prima, ideata da Ida Travi e diretta da Flavio Ermini. La selezione è stata operata da un comitato critico di "Poesia 2.0" composto da Giorgio Bonacini, Giacomo Cerrai, Stefano Guglielmin, Gilberto Isella, Rosa Pierno. Il consiglio editoriale della collana sceglierà il lavoro che verrà pubblicato in volume nel corso del 2012. Il presente documento è da intendersi a scopo illustrativo e senza fini di lucro. Tutti i diritti riservati all’autore. 2012 Poesia 2.0

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Manuel Micaletto

Il piombo a specchio

Opera Prima

Poesia 2.0, 2012

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Nota dell’autore Poesia è archeologia. Svelare qualcosa di antico. Un rinvenimento - più estesamente, *rinvenire*. Maneggiare fossili, cocci: il corpo dell'estinzione. (Per questo leggere-scrivere: non divertissement ma, realmente, questione di *principio*). Questo è Rilke che spolvera il suo pianoforte: "ed il suo bel nero profondo diventava sempre più bello. Che cosa non si è conosciuto, se non si è vissuto questo! [...] mentre tutto diventava chiaro intorno a me e l'immensa superficie nera [...] acquistava, in qualche modo, una nuova coscienza del volume della stanza, riflettendola sempre meglio (grigio chiaro, quasi cubico)". (Poesia come faccenda domestica). La casa, inevitabilmente, è il témenos. Il luogo (e non lo spazio) spinoziano dove collidono istanza etica e geometrica. (Diciamo, per economia: il luogo *geometico*). Dove l'azione è prosciolta dalla volontà, scagionata, tradotta in gesto gestazione. Dove la polvere sprigiona gli oggetti => stando a Brodskij, "privatizzano l'infinito". L'infinito è proprio un esito della pressione, dello schiacciamento: davvero la parola è "flatus vocis". S-fiatare.

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Perciò la casa non è la "somma di tutte le perfezioni", non l'addizione, ma la dizione. Scandire l'evento. Anche nel senso per cui Bachelard dice degli armadi che sono il "luogo del candore". L'impasse heideggeriana dello svelamento (a-letheia) si risolve nel prendersi-cura-del-mondo, accudire gli oggetti, sollevare la polvere fino al momento della luce, alla radura improvvisa (il mot(t)o eracliteo del fulmine che taglia il buio). Forse è questa la lezione di Cartesio, del Cartesio ottico, del Cartesio di Grünbein, "sulla neve": le parole sono "lente" (prima ancora che lette e dette - diottria\dottrina e latenza). Frenano l'evento fino alla pacificazione del perimetro. Ingrandiscono, adulterano, falsificano, soffondono, mettono a fuoco l'evento ("feu la cendre"). Lo destrutturano fino a rimuoverne il significato cinetico. La casa è il singolo "frame" - la cornea, la cornice (battuta gratuita: cornietzsche). Vedere la casa significa non vedere niente. Muoversi geometricamente, automaticamente, un orientamento dianoetico. Casa è l'altro nome della cecità. La neve è un continuamento della casa, l'applicazione dell'uniformità del luogo allo spazio. (Derrida *osserva*, a proposito di Tobit: *vedere* l'origine. Archeologia). =>: dare alla luce: convocare la superficie, lo "smalto sul nulla". Riesumare un volume pregresso. E allora, più precisamente, riportare (dall'ordine) alla luce: rendere conto alla luce di -, riferire alla luce. Un catasto (dolente). "Io sono morto e resuscitato con la chiave ingemmata della mia ultima cas(s)etta spirituale" (Mallarmé).

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La casa-scatola. Meglio ancora, la casa-scrigno. Una stagione all'interno. Una sintassi china su se stessa, ricurva, come la verità nietzschiana. Dunque cas(s)a di risonanza, a vantaggio della parola. Per questo la poesia deve essere vuota: per essere abitabile. - (Non non non (non) "rovinare le rovine". Piuttosto, rovinare. Mimeticamente, fino alla spina dell'identità, il ricovero. Il romanzo, la tragedia del fenotipo. Non a caso Bachelard parlava (insistentemente) di "retentissement").

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Benedizione del legamento Ricordo la passeggiata di Hobbes, le strade premute come cefalopodi – soprattutto

[di ogni passo l'origine, la gabbia intercostale. Poiché la secchezza delle fauci

vale come carestia per queste vie brachiali, percorse ora a un fianco ora in mezzo al torace, dove il sangue è reciproco e la sintassi dispari – il “più bel legame”, il vertice che attira gli insetti. Un viale alberato è un cordone sanitario dove il centro sta per miracolo, mentre i lati toccano alle epidemie. Per comodità, separo la predicazione dal contagio - ma decisiva è l'inclusione, la corsa ai linfonodi. (Le cose più piccole, per esistere devono eccedere in numero, sfasare il tetto, tramutare la cifra in effetto). Ma come gestire le gambe, tutto – se il corpo contiene

vuoti ricorrenti ricavati tra le spugne – come, se accoglie ogni schiacciamento e teste enormi. La peste è un'unità piramidale, installata dove tutto è più molle - è una camera sottoscapolare, un tessuto poroso. E raggiunta la sua sede, trema: esattamente un budino.

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Retentissement Anche questo sonno mescola le ossa, sceglie il centimetro, la

[statura dell'amnesia. Tutto è esposto alla trazione invisibile, il fiato corto degli dei che inalano il soffitto. A nulla vale l'agilità del telaio, la parola al carbonio, l'acqua senza mediazioni, nel prodigio. (Qui la fine è una funzione del tessuto, procede dall'amido). Dunque molte cose sono un'esplosione, più le altre che arrivano in barella nello spazio di un taglio. Perciò della tosse credo più della scossa: invece concentra il buio, la sillaba dell'infortunio. Svegliarsi allora è medicare la stanza, sbucare nel secolo. Più alto l'incarico: tutto accade così fuori – tutto, intendo, rasoterra

in perfetta aderenza, la frizione anatomica - non possiamo che ricevere i feriti dove avviene l'origine e tende a non scomparire, ma anzi a precisare la cura questa casa ha un decorso, una condotta clinica.

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Ri-capitolazione Non si interroga un oggetto ma si collauda il vuoto non si torna vivi tra i vivi per raccontare come l'occhio si conclude dove comincia la pista degli atomi e più o meno tutto si arrampica per mai più tornare, più o meno tutto stravolto, con le zampe

che tentano un recupero, un insetto in quella frenesia che risucchia l'aria - e la crosta pure intatta, dietro, fa a gara col mondo, disegna una ruota, una trottola nel cuore della corsa, un giocattolo della fine. L'infanzia è un ronzio di aerosol: un boccaglio spray attrae la percentuale, la frazione curativa, il settore che ripristina il sangue, l'acqua derivativa ai minimi termini.

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Layout Il tempo a barre dei display strattona il sangue nella mischia, contende la mosca al suo dominio di centinaia e centinaia di occhi, e centinaia ancora, la folla si rovescia e reclama il vuoto innocente e preme e divarica la stanza, curva a strapiombo, rintraccia nel letto quella norma

che detiene l'origine. Non è facile rinvenire un altrove del centro, spiazzati in testa al buio compatto che si fa strada e lascia il mondo al palo. Così poveri di mondo, allora, staccare il testo dalla pagina e

[questo enunciato che prende una strana piega, si sbilancia, cade a specchio,

[obbedisce al suo stesso piombo.

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Rodaggio Non c'è intelligenza nei passi ma la molla asciugata di scatto, la retorica del corpo, la circolazione. (Se osservi un millepiedi muoversi hai veramente l'impressione di vedere un'onda che sfila lungo i suoi fianchi) A volte quando dormi un braccio dorme più forte, ti sveglia. ora è sordo, chiama il mondo a raccolta. così una parentesi si allarga a forbice dall'unghia alla spalla - così una periferia del discorso, una subordinata costruisce il consenso. Anche il sonno è una disciplina, gli occhi a pieno regime. sarà materia di studio, elenco puntato, indice, dottrina. Lo stesso azzurro del cuscino

ci sarà da lezione. un confine semplice. Intanto quel braccio prosegue, realizza un distinguo, scioglie gli indugi, fa come niente fosse, esprime un peso. tutto un mondo, ora, passa la mano, scivola nel linguaggio, commette un'intesa. - da che ho invertito osservanza e osservazione (Verremo poi interrogati, valutati, daremo conto del sangue)

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Norme viventi La sepoltura dei morti è un modo di contare l'ombra che risale alla piena dei passi, dimezzare la parola contro il varco o come distribuire il dolore in parti eguali e tutti rendere grazie al suo unico principio di conversazione - mentre qualcosa resiste alla vita come a un'inondazione, una scorreria di cellule tutto procede senza interruzioni finché l'evento non chiede asilo al regno degli invertebrati e in osservanza alle leggi più abissali assume una densità altra, sconfessa quella severità dello scheletro per resistere al fischio della pressione che confeziona la silhouette in vista dello scoppio e l'interezza dei pesci e degli dei mirabilmente assistono la concorrenza di niente in vari e pratici formati (l'idea è che le cose, nella discesa sostituiscano al peso un dispositivo di sicura efficacia) e l'evento di cui prima semplicemente non può esistere e plana uno strato più in basso, perviene al tappeto del discorso, si deposita nel vuoto

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è dunque prassi che la stazza dei morti sia incrementata per ragioni di compatibilità strutturale, in adeguazione alla morte e alle recenti norme (la prima non conosce scomparti

ma scomparsi e potete facilmente riconoscerla, enorme e si presenta sempre tutta dunque ciascuna morte si configura come una strage, una frana integrale) perciò un cadavere non conosce pace da che inizia ad ingrandìrsi fino a quando non spicca il volo e certamente occorre indagare

riguardo questa sproporzione tra estensione e vita, ed è difficile in tutto questo rinunciare a un distretto immacolato, fare a meno del vuoto

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Un primo niente Cose durissime si opposero all'anello terrestre, al metamero irrigato. Nella boccia avvenne l'insperato, la corolla d'aria: non una foglia tremò più del devoto. Per mezzo di grandi anfore e di significati ancora maggiori approntiamo il travaso di umori, il medaglione di creta. "Due infelici tendono in principio ad amarsi poi a farsi dispari" Un bilanciamento più esatto si esprime oggi nel lingotto di pane che tappa la casa, imbocca il milione. In concomitanza di niente si avverano pietre

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Un secondo - Dicevi dei gesti che non hanno mai conseguenze - ma gestazioni, placente, vuoti materni. Temo l'entusiasmo degli uomini. Qualsiasi pioggia ci trova sbilanciati, conosce l'abito fino alla carne scoperta, al segno dell'elastico. "Diffida dei viventi ed ama gli abitanti poiché lo spirito di dio aleggia in principio sulle acque, poi sulle case. In maniera non difforme ogni azione è feroce e solo un'idra prepara gli esami" "Non impareremo mai a legare che sia la scuola, o le scarpe" "Ti attribuisco i morti e un cappotto analogo alle mosche" Uno stagno bastò a scoperchiare il nome esatto delle tartarughe. Da cui tutte le cose docilmente discendono - con il carapace e il liquore inattingibile.

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Che possa questa giaculatoria esorcizzare l'inevitabile, la pozza in pieno viso.

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Trattativa Per un tempo che ci parve a strisce, a loacker hai chiesto un pennarello. Se soffi (all'indietro) si attacca alla lingua. Indispensabile è soffiare a ritroso. Con un po' di pratica. In quel punto diventa bianca. La sveglia ha un'apertura alare di 12 metri per sorvolare gli stagni e il sonno e cibarsi di - tutto fa presumere – pesci. Per scuotere a dovere le campane. Il letto è perpendicolare al discorso: i due angoli che si vengono a creare sono uguali. Questo corpo sotto dettatura non oppone resistenza, smette a tentoni, versa l'intera somma, sull'unghia, il bottino di sangue. Una tratta di zero farà saltare il banco, metterà fine.

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Mi piacciono i labirinti sospesi come in KULA WORLD, sapere un cielo di laser, ustioni una semplificazione delle sfere dall'Empireo ai palloni, dai pianeti ai cinema. Similmente non ci è dato percorrere una città, ma colpire a valanga, travolgere le ante. Tutte le case sono una, l'economia domestica. E ciascuna custodisce il mistero delle cose svelate, e un altro più uniforme che dispone la presenza, la materia compres(s)a. Diciamo indifferentemente quanto sopra e memoria, nulla si crea nulla si ricrea, tutto viene a noia prima di svanire in corner, a febbraio. Un insieme è la bolla più insperata: stabiliamo una tattica di interruttori, la slavina di merito che piomba sul muso della stanza, sulla plafoniera. "Questo quadro potrebbe far perdere la fede" "Nessun quadro è bonus. Perderai 30 vite. A ciascuna opporrai la torsione stabilita, il click. Resusciterai all'inizio del mondo, nel midollo di luce dove apprenderai Cristo, la croce direzionale".

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Porgi l'altra guancia offri il cotone, la borraccia salvami dalla menta, dal flacone che impazza e lascia il vetro inalterato, dalla chimica che formicola fin dentro il letto. In cambio vorrò parlarti, offrirti una bibita la cannuccia dell'infanzia. "Perdonami o padre, perché molto ho dormito, perché tutto è pieno d'aria tranne gli insetti - che danno l'idea di non respirare" Noi vivi ospitiamo il quadrante la flessione dell'ombra, il catrame. Abbiamo la fronte tenera, friabile, siamo disposti agli squarci. La popolazione dei morti occupa un'estremità del pianeta dove il sangue non supera gli uomini ma anzi li accompagna, li vede a tavola. Deponiamo i libri perché qualcosa potrebbe esserci, infine mentre dai macigni ci chiamano, imbevono gli stracci

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A.W. È un coccio di cisterna la cavità trattiene il vuoto, un'ultima volta: così incubiamo le munizioni, concepiamo le analogie a pelo d'acqua, affilate. Con

[generose fiale di ossigeno - Abbiamo avuto ventose, in tempi diversi abbiamo fatto dell'aria una cupola, una biglia lucente. In un pomeriggio ho violato il tuo piano bloccando ogni cosa al suo porto il fuoco compatto delle navi. Fu per sempre - quella costola investita di una coerenza improvvisa. Hai spento il DS, hai abbottonato lo sbarco. Hai preso la catastrofe in tempo, prima che divenisse finestra nelle opzioni, inalterabile culla statistica. Mi hai mostrato la nascita fatta com'è di mari del nord, montacarichi, bocche arrese ai quintali. Purtroppo mangiano le persone in treno.

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Il taglio è sempre a spirale, è un temperino un tentativo avvitato. Non sei bravo non sei bravo. Ci succede un trionfo, un bambino scemo. Come possiamo sperare ancora le alabarde, il pattern, la configurazione dei comandi, dal momento che noi non ci siamo mai stati, e l'inverno sì, cento volte, cento mille, ciao. Per questo ti chiamo fratello, ti compro un ghiacciolo.

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Un niente ancora precedente L'analogia del piombo così vicina agli scatti, alla pressione immersa nei quattro circoli del latte nella tazza che inquadra piccolissimi naufragi dove qualcosa ancora annaspa Mentre il cucchiaio percorre vortici in ordine sparso registro questa mania di capovolgermi (come una vocazione alle ruote di tortura) e il cuoio flessibile dei demoni, già di ritorno - qui sono tutti sconosciuti, fermiamoci Non vedere i sigilli lucidi, i binari inarcati, sollevati dall'incarico – è solo per rigenerarsi a più riprese ci mostrano come il mistero sia una genìa lenta, una specie di ritardo (i sacchi del sacro li hanno già ammassati, uccisi sulla via di Damasco) Non c'è niente di umano - vi prego - in quel gonfiore nel profilo gravido riempito di morte, scoppiato sprofondato, infine, per abitudine, solidarietà, per pietà delle rette

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Lettera sull'estinzione dei dinosauri Il led del videoregistratore, questa notte, mi è sembrato un fantasma. Ora dinosauri a fascicoli e miniature della X Fretensis – mai dipinte, nonostante i buoni propositi – sono un invito transitorio per le anime dei salvati. Ed è un miracolo che le coperte fino al mento separino i vivi e i morti - dove altrimenti le mani i piedi nudi crescerebbero in numero – poi non basterebbe la stanza. Tutti abbiamo un materasso, e temiamo si perda - tra colossi di scaglie e amianto - nell'epopea scalza delle orme - temiamo soprattutto il freddo - come tutte le cose nella clemenza del rifugio. Vi dirò del sonno che è una resina mesozoica e la resa dei mobili, squamata - poi altro – un canale della trachea, o una varietà dell'estinzione. Probabilmente, la fine di un'era geologica - la processione di bestie enormi e tristi e lente – i nostri unici amici – retrivi e senza più un artiglio. Dei dinosauri ricordiamo i volti di gorgone, le corazze intatte - le mandrie curve nel passaggio della fine. Da allora sono racchiusi, tutti, in gemme d'ambra - e capita tornino, soli tra i giganti per far vacillare gli assi, e la terra.

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(Un dinosauro è sempre il rovescio di una testuggine, il terrore straordinario che accresce i mansueti) Le loro code di iguana frustavano l'aria - ma così immense - perchè la morte potesse, un giorno trovarli ovunque. Così il mercurio nel suo grado - le placche blindate - e il giorno avanza tra le pietre e la sabbia e la mistica manichea, anche - negli spazi liberi dove i nomi cedono per un pasto e un passo di rettile sfonda il torace delle ore.

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Anche io ho i miei bravi battesimi strangolati nella notte, livellati nelle vasche del sonno – e la stanchezza a grumi, a legioni sui quartieri del crollo Dalle rughe secche del letto le condense dei pochi, pochissimi ancora in piedi, magnetici sopravvissuti alle ore Quando ad una certa quota le lancette permettono il mondo, quando un po' ovunque sbucano vapori schedati, risme funebri Allora - non me ne voglia Raskolnikov - prego che il castigo sia una ricompensa, un catalogo crociato e che qualcuno, imbottito di panico (piombato dagli spigoli) sappia dirmi dell'ora in cui tremiamo di tenerezza

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Ora posso dirlo – dopo i coltelli, le corse la certezza di vedere qualcosa, prima o poi entrare dalla finestra - e l'islandese (vicinissimo): la persecuzione è una nube di insetti, nei secoli dei secoli negli angoli degli angoli – negli acquari - se ne avanzano – nelle acque ad ostacoli c'è un'ora meccanica uno slancio di leve – e di notte questa stanza esplosa in alto - una cattedrale e tutti i superstiti nelle loro nicchie, riparati - dal basso – altri- allentano i cavi una volta a letto – o nel sonno, o altrove ma comunque qualcosa - poiché ha le sue leggi, come gli altari e come sugli altari steso, un sacrificio a tutti i mostri, ai labirinti

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Questo buio è un difetto del corpo, si consegna alla sbarra. Dove finisce il contatto comincia un osso, la sporgenza esatta delle basi. Così fino al rintocco dei polsi la trasparenza rileva un calo eidetico, l'onda che ribalta il sangue, la polarità dei flussi. L'ago testimonia il peso controluce, percorre il binario della frattura: qui si avvita l'aria inclusa fino al centro, alla spina della voce. Niente sopravvive al vetro, al varco stretto del fuoco. Perciò un calore uniforme prova l'autenticità del distacco, la filigrana invalicabile. Non sentiamo la pioggia, ma un'acqua minore, una detrazione sintattica, quanto della linea inaugura il tratto. Non altrove si avvera il crampo, l'accento del muscolo. Lo stesso niente ora vibra, impatta il tronco, il palato della pagina.

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Manuel Micaletto nasce in bold il 4 agosto 1990, a Sanremo, e si chiama Manuel Micaletto. E ha 20 anni (di cui almeno 16 consecutivi). Sanremo. Non riesce a farsi una ragione dell'acqua. Ama i letti, soprattutto se sono libri. I suoi morti preferiti sono, in ordine sparso: Cioran, Schopenhauer, Kierkegaard, Borges, Leopardi, Benn, Bene, Unamuno, Landolfi, Blanchot. Ma i morti gli piacciono un po' tutti, e fantastica un giorno di adottarne moltissimi e giocare con loro e vederli crescere e iscriverli al college. Questo vale per tutti i morti, tranne che per Wallace. Si occupa principalmente di poesia. Più corretto sarebbe dire che si preoccupa. Apprezza molto, tra gli altri, Valerio Magrelli, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Andrea Zanzotto, Elio Pagliarani, Biagio Cepollaro, Marco Giovenale. E' felicemente spossato, è magro e anche carino, 3403456789. Ha conseguito la maturità classica e frequenta la facoltà di Lettere Moderne all'università Statale di Milano. Però non è vero, non frequenta. E' astemio, non si diverte, e nemmeno voi dovreste, a pensarci bene. Giura, inoltre, che non è solito parlare di sé in terza persona. Continua a non capacitarsi dell'acqua. Si ostina (il nostro eroe, Manuel Micaletto) a intendere la poesia come quell'atto (se ne esiste uno) contrario alle cene di classe, alle gite, all'ERASMUS e più estesamente alla vita. Un crampo del discorso, un rafforzativo dell'organismo-linguaggio, un accento del muscolo (e così via): contr-azione, non tanto nel senso di "azione contraria a", ma in quello di spasmo e di azione allo specchio, rovesciamento dell'azione.

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