Opera Prima 2012 - Pinto

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Veronica Sara Pinto Poesie 2010-2011 Opera Prima

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Veronica Sara Pinto

Poesie 2010-2011

Opera Prima

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Autore: Veronica Sara Pinto

Titolo: Poesie 2010-2011

Anno: 2012

A cura di: Luigi Bosco

Copertina: adattamento di una scultura di Roberto Almagno

Questo e-book rappresenta una delle tre raccolte poetiche selezionate per la collana editoriale Opera Prima, ideata da Ida Travi e diretta da Flavio Ermini. La selezione è stata operata da un comitato critico di "Poesia 2.0" composto da Giorgio Bonacini, Giacomo Cerrai, Stefano Guglielmin, Gilberto Isella, Rosa Pierno. Il consiglio editoriale della collana sceglierà il lavoro che verrà pubblicato in volume nel corso del 2012. Il presente documento è da intendersi a scopo illustrativo e senza fini di lucro. Tutti i diritti riservati all’autore. 2012 Poesia 2.0

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Poesie 2010-2011

Opera Prima

Poesia 2.0, 2012

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Nota dell’autore Immagini lanciate a caso furono la mia prima poesia. Le parole erano altisonanti, barocche. Facevano tenerezza, o ridere. A volte usciva qualche sentimento, sparato fuori come a dire: chi ha tempo da perdere, gli corresse dietro. Alcuni filosofi contemporanei suggeriscono che non vi sia significato prima del dire, nessun pensiero precedente. Le parole si organizzano in modi casuali e solo pronunciandole ci confermano l’intenzione, ci illudono dell’intenzione di dirle. Così nei primi tempi spargevo frasi, lasciando che acquisissero senso, forse magicamente si sarebbero ricomposte –credevo-, mi avrebbero raccontato il mondo. Da qualche tempo la mia poesia è diversa. Non è per necessità di farsi comprendere dagli altri che s’è messa giù chiara, e neanche per l’amata semplicità di cui tanto si parla, è che per quanto sia affascinante questa teoria del caso, la pratica è diversa: insomma, ho qualcosa che devo dire, anche piano ma ne ho tutta l’intenzione. Per quanto ami le parole non le posso lasciar strafare, ho dei pensieri da difendere.

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Ah non sono più triste non mi abbatte come prima la malinconia. L’alberello storto mi fa voglia di addobbarlo e questo vento che rinfreschi o geli non mi disturba neanche un po’. Che accarezzi o schiaffeggi pare faccia quello che deve. Eppure tempo fa affogavo anch’io alla sola vista delle nuvole basse tra le montagne e un certo paesaggio come a Brecht il fratello “le lacrime -sempre- mi faceva spuntare”. Dov’è adesso quel tormento? Che fine hanno fatto quei bei sospiri? Erano i miei occhi o proprio le cose che in quel momento chiunque avrebbero pietrificato? Vieni da me praticello -Chi ti ha lasciato senz’acqua così a lungo sotto il sole?- mare agitato picchiato dalle onde nebbiolina sopraffatta da luce tetra… venite qua tristi cose basta con le lagne. Vi stringerò forte vi terrò strette dolcissime e acquietate

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Così lontana troppo lontana. Di che colore è il tuo sole si vola lì, mangi mai? Così lontana. Se prima ti sentivo nelle ossa ora non abiti più questo mondo che invento. Troppo lontana. Eppure insistono dicono che ci sei. Non riesco a crederci mi vivevi così vicina sulla pelle che se ci fossi anche se distante ti sentirei. Perciò ti chiedo: quante lune ha il tuo cielo esistono le stagioni adesso in quale sei?

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Finalmente -si dice- tutto non è qualcosa d’altro: né il suo contrario né una trasformazione. La signora ha detto buonasera e nevica, nevica e basta. Che pace. Eppure le stelle sdraiate sul mare al tramonto riprendono il loro viaggio e la bambina si domanda chi tra i due sia il vero cielo da che parte sia meglio lanciare i sassi i desideri. Per chi ancora volesse vederlo l’uomo nel tronco negli anni forse ha perso i baffi, non l’umanità

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Che alle persone rimangano sorrisi spostati a segnare la traccia della rotta che il corpo ha dovuto seguire dopo il crollo per trovare un altro centro per ricostruirsi a partire da un nuovo punto dà l’idea della forza più di un sorriso tutto dritto.

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Egregio poeta Si copra le metafore che le son venute dure.

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Avvelenata Ho cambiato faccia ai miei morti li ho fatti tutti baffuti ho messo loro ridicoli cappelli gli ho dipinto in faccia due sputi. Al posto delle guance una stella disegnata col gesso dov’era il cuore sempre un cuore ma rosso fuoco e spezzato. Ho smaltato di rosa e fucsia le loro mani impietose. E voi tutti che mi avete lasciato troppo sola in questa sala -ma che avete tanto da fare in giro?- mi è toccato appendere anche ai vostri arbre magique su ogni piede. Ora del decesso: mela verde. Ho passato anni a sentire le loro assurde scuse si sono pentiti tutti, che potere! E pensare che li ho solo truccati. Lo so, non è rispettoso ma sono stata l’unica viva in questa sala, per troppo tempo e avevo tutto nella mia sacca stelle filanti comprese. Loro erano fermi buoni buoni per niente loro. Tutto fu molto più di un invito. Lo so, dite voi quando tornate (una volta all’anno, il giorno esatto) a che serve la vendetta? Nel tuo cuore alberghi la pace respira profondamente.

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Meglio dipinti che umani vi rispondo. Credete a me meglio derisi che veri. La memoria è un luogo come un altro che mi passeggino pure dentro ma così come li ho conciati. E’ ora che metta al nonno una bella gonnellina. Chi è ora questa brutta bambina?

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Milioni di umani mi popolano gli occhi devono starsene nascosti da qualche parte lì dentro per poi saltarmi fuori quando guardo la screpolatura del muro il parquet l’asfalto… Ecco quei due lì, per esempio dentro al riflesso nella finestra lui il naso a punta lei uno sguardo mesto dei lunghi ricci le cadono sul seno li tiene tra le dita mentre lui le bacia il mento. No, mai una giraffa un gelsomino mai: milioni di umani mi abitano gli occhi e saltano fuori per amarsi di solito, ma non è detto.

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Prestami la tua anima una di quelle che insieme ai discorsi mi hai rovesciato addosso tante sere. Decidi tu, non importa quale un’anima delle tue anche mediocre ma che senta che mi tolga il tempo e la voglia di essere senza pace addormentata non mi dia tregua e mi lasci affondare questo sorriso che non ha paura di niente che si preoccupa tanto ma per poco. Prestami le tue lacrime notturne i tuoi bisbigli nel sonno il tempo che passi a consolarti. Forse posso imparare a non mortificarmi con parole dure per meravigliarmi di come, dopotutto, non riescano a ferirmi. Ho deciso, sono pronta, posso imparare. Quando ti guardo dormire sento qualcosa come un tepore che arrossisce nello stomaco e mi si apre un vuoto, una fame sconsolata. Vorrei prenderti e scavarmi un posto fra il tuo seno e la tua pancia vorrei prenderti piena di mani e ridere di te che mi fai tanto spazio, senza sapere. Vorrei morderti fino a farti piangere e urlare di andare via, di lasciarti. Invece non faccio che abbracciarti quando ti vedo dormire annusarti i capelli, il collo, asciugarti il sudore.

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Qui, l’indifesa che con te non sono mai stata inerme, ora in una via buia della memoria. Qui sul via, i muscoli tesi, pronta a lasciarmi avanti chi corre a rabbrividire di fremere adesso! per il tuo passato bacio. Docile come non sono mai stata ribelle alla me ribelle che ostentava il non adorarti. Oggi l’immaginazione si diverte. Anni fa, seduta sulla tua testa arricciandoti i capelli con la forchetta del tuo amore, ne ho fatto un boccone. Guardami ora: sporca, insanguinata dentro e fuori trafitta da ogni resistenza -Io so che lei non dorme, è morta, l’ho vinta- Guarda come faccio ritorno a casa nostra. E appoggio l’orecchio sul tuo ginocchio tondo una conchiglia. Sento il rombo delle ore voltarsi indietro il fruscio del presente farsi lieve incomprensibile. E non c’è modo di uscire da questa veglia.

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Si è alzata la marea ti ho visto nuotare. Una misteriosa immagine: eri tutto dentro ma ancora lontano che sembrava fuori. Ho controllato anche di notte non affogassi ti ho mandato cibo ogni sei ore e da atea mi sono sentita pregare, scongiurare il dio del mare

di lasciarti in pace che ti facesse approdare salvo sulla mia riva. Ho cantato per indicarti la strada una canzone degli alpini che ti incitasse a uscire, a salpare quelle montagne. Eri così potente lì da solo io tanto decisa ad aspettare una mano tra i flutti mezzo occhio una gamba in volo. Impauriti e invincibili da terra a mare lo svolgersi a spirale di ogni contraddizione. Poi una mattina sei arrivato. Un freddo pungente mi ha gelato le gambe il sesso aperto di scatto gli occhi. Il cielo verde le nuvole mascherine una luce impossibile: bianca. Tu blu e appeso a testa in giù io rossa sdraiata a gambe aperte. Una chiara immagine: sei venuto fuori al mondo, dentro. Dopo di te non so separare niente.

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Perdonami se a volte durante la salita mi stanco, non so raggiungerti. Perdonami ma non sorridermi così. Da te, non mi salvare.

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Una grassa pietà C’è la piccola Ruth in televisione, dice: “Lavoro nelle saline guadagno mezzo dollaro al giorno gli occhi mi bruciano la sera gli occhi mi fanno male.” Povera piccola Ruth, povero amore vieni a vedere, guarda che piedi che ha. Ma che cos’è? E’ il sale! Il mondo fa schifo si vive male poi si muore. C’è la piccola Ruth in televisione e dice: “Lavoro là nelle saline tutto il giorno anche di notte se serve. Ho dovuto vendere il generatore per l’elettricità il mio bracciale d’argento. Ho dovuto dare via tutto non ho più niente. E gli occhi mi bruciano la sera gli occhi mi fanno male.” Povera piccola Ruth, povero amore oddio scusa non mi posso trattenere di sicuro però quello che ti manca non è il sale! Pe’ du spaghetti… su, facce ride sai quante piccole Ruth abbiamo visto sai quante ce ne dovremo ancora sorbire! Stasera non c’è proprio niente c’è solo la piccola Ruth in televisione, dice: “Lavoro nelle saline tutto il corpo mi fa male.

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Il padrone ci dà mezzo dollaro al giorno. Nella mia famiglia solo io posso lavorare. Gli occhi mi bruciano la sera gli occhi mi fanno un male cane.” Oh cristo piccola Ruth ce l’hai detto quante volte lo devi dire? Abbiamo tutti un certificato C1 d’inglese il concetto è chiaro: lavori nelle saline, ti pagano una miseria ti fanno male gli occhi. Lo capirebbe anche un livello B2. Oh piccola Ruth che pensi, che noi stiamo messi tanto bene? Ha rotto il cazzo questa piccola Ruth cambia canale.

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Avrei solo bisogno di una boccata d’aria non già respirata né da me né da nessuno qualche minuto, poi ritorno, giuro. Prometto che di là non faccio danni, un’oretta solo e poi continuo a fare quello che devo fare finchè morte non mi separi molto più a lungo.

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All’inizio era solo un viso questa Penelope che non sei tu. Mi bastava per lanciarle delle occhiate Tirarle indietro i capelli, baciarla a naso in su. Era un po’ macabra ma sui treni di notte, sulla metro viaggiava con me aveva sempre dei gran sorrisi. Non potevo darle la mano, vero ma non ho mai dimenticato di arricciarle i capelli come fai sempre, come fai tu. In due anni la mia Penelope s’è fatta grande, s’è fatta intera è diventata signorina poi signora, le sono spuntati collo e piedi alle mani ha addirittura delle unghie. Di ogni cosa vicina a me si è impossessata: pensieri, altri corpi, cari oggetti. Ma ora che rido dei miei vecchi tentativi d’assaltare questa realtà ora che vorrei solo pensarti anche se disturbata dalla vita del frigorifero della gatta in calore dell’uomo disperato alla finestra che strilla in giù mi accorgo che accarezzo ancora la tenda quella più sottile di cotone bianca per ritrovare la tua pelle nel repertorio delle immagini facili: vederti salire le scale di casa mia abbracciarti a letto come nel film dove lei recita quella poesia trovarti nella folla tra le due chiese uguali e speculari tanto è scarna la mia fantasia. Ora, mi accorgo che la mia Penelope di vento è vecchia e triste:

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è così lenta ad arrivare se la chiamo, è così bianca e opaca, fredda, di cotone che sono sicura mi stia per lasciare. Mi guarda severa, nei sogni mi rimprovera che non la bacio più. Ritornerà solo un viso lo sento come quando ho cominciato a immaginarla. Sarà un viso stanco però i suoi occhi mi terranno a distanza poi se ne andrà. Come farò a non rimpiangere i vecchi tempi quando l’immaginazione mi amava e aveva pensieri solo per me? Devo vederti per pensarti per ridare vita a quella Penelope anche se non sei tu.

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Ancora non ho capito niente Se morissi ora morirei terrorizzata non mi basterebbe la consapevolezza dell’ateismo la fede nella ciclicità la speranza del non sapere. Me ne fregherei che “siamo ombre e che si passa”. Se morissi oggi sbatterei i piedi sul letto mi aggrapperei all’ultimo respiro spalancherei gli occhi ancora un po’ ancora un po’. Non sorriderei pacificata non vi lascerei mai le dita farei un piagnisteo senza fine. Se morissi proprio oggi che non mi ricordo quelle belle frasi cinesi e anche a ripeterla migliaia di volte non mi è mai entrata in testa la morale della storia se succedesse oggi che sono così stanca ma appassionata non ce la farei a dirle: vai pure vita! Le strapperei ogni filo d’erba la minaccerei di visite eterne la tirerei forte a me per morirle tra le braccia egoista e spaventata.

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Per Nina Guarda questo fiore è là da ieri, l’hanno portato ieri e se ne sono andati. Lui invece, di spostarsi non ha nessuna intenzione: guarda come fiorisce nella sua bottiglia blu pare ci faccia dispetto! Qui è tutto in movimento dalla ginestra alla sedia sembra che tutto voglia vivere e noi che dobbiamo stare fermi rimaniamo e guardiamo sì: che la sedia cada giù da sola che il fiore fiorisca e appassisca che arrivi il ragazzone alto ad aprire e chiudere la finestra. Inspirare espirare in un secondo sono passate ore. Qualcuno lo prendono e lo portano via. Il sole sorge e tramonta ripetutamente insieme alle tapparelle. Vanno su e giù. Ogni tanto piove e si è felici è la minestra che esplode da una bocca che ride. Solo, mi dico perché farci vivere la vita come se l’avessimo già persa? Perché ogni giorno questo fiore?

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Che qualcuno parli dei risorti racconti favole sulla verità ci chieda come si fa quando si fa a trovare il coraggio di lasciare andare le persone, le abitudini, la vita. Che qualcuno domandi pure qualsiasi cosa! Coraggio. Parliamoci e stringiamoci le mani finchè sono calde, per i fiori, la miseria, c’è tempo dopo

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Gelosia Amore che vai con lo sguardo altrove e poi ritorni a cercare la mia rabbia se te la tolgo -come mi chiedi- che me ne farò di questa libertà così piccola che ti prendi? Che me faccio poi: potrò guardarci un culo a caso senza che t’offendi? Però se vuoi va bene giochiamo cerco qualcosa e t’incateno. Ti lego gli occhi i pensieri le mani. Come se ce ne fosse bisogno per adesso come se fosse mai servito a qualcosa per il futuro.

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Cari tutti i miei amici mi hanno detto che devo dirvi che mi piace. E io ve lo voglio dire pubblicamente mi piace molto, mi piace! Vi risparmio chi e cosa anche il perchè l’importante è che vi arrivi il succo dell’informazione. Amici miei tutti oggi un dittatore è in fuga un altro non ci vuole lasciare. Cosa ne penso? Ve lo segnalerò? Avevo giusto ieri qui da qualche parte due righe d’opinione. Il pollice in basso in basso fa il suo lavoro si oppone basta cliccare. Sarà che è notte ed è feriale sarà mattina presto forse festiva sarà la pausa pranzo sempre più corta l’uscio aperto per prendere l’ultima metro prima dello sciopero ogni volta più stretto ma nelle strade romane c’è un silenzio surreale. Perfino se ti si pesta il piede trovi chi alza le mani pollice in vista, per chiedere scusa senza parole.

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Succederà ancora così: cominceranno i soliti silenzi a riguardare l’argomento. Le tende rosse saranno al loro posto. Per atei buddisti musulmani e tutti gli altri le vecchie cantanti di ampie vedute non fanno differenza: saranno uguali i borbottii dell’ave maria. Tale Antonia si getterà sulla tomba batterà i pugni, griderà che vuole entrare anche lei. Niente paura, in qualche modo si riesce sempre a fermarla. Chi ricorderà male gli eventi sembrerà soffrire di più di chi ricorda i dettagli. Dalla gente sarà sicuramente incoraggiato verranno fatte a lui tutte le domande del caso. Come se fossimo appena stati d’estate nel deserto gireranno dei grandi bicchieroni d’acqua al primo sussulto ne avremo in mano uno pronto bello ghiacciato. Ai bambini mentiremo, questo si sa, come potremmo essere così crudeli da togliergli il gusto di scoprirla da loro, la verità? Daremo il via alle danze degli angeli dei cieli, del dove sta? Nel tuo cuore, in cielo, vicino a te, insieme alla nonna, ti guarda da là, qui o qua. Non sarà facile ma riusciremo a depistarli. Capiterà di piangere per chi si trova in un’altra bara per un ricordo improvviso, un déjà vu potremmo estrarre dalla tasca la fotografia sbagliata. L’essere confusi in certi casi

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porta una grande benevolenza se qualcuno se ne accorgesse non ci biasimerà. Se saremo fortunati avremo denti abbastanza robusti da stringere, altrimenti amen! Avremo facce da tartarughe sapremo fare tutto, altrettanto bene, con le gengive. Finita l’ora rimetteremo dentro tutte le lacrime poco alla volta. E che voglia di succo alla pera che voglia di gingerino… E poi sarà il peggio, sarà passato. Ma non temiamo più nulla già lo sappiamo un paio d’anni e si ricomincerà.

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La certezza di non avere quella ragione che mi dai tu. Sicura di non sbagliarmi. Se sapessi che nel buio della mia testina -adorabile certo- Me ne vado nuda ad insegnare a volare alle rondini sui tetti Conquisto città cavalcando ippopotami feroci Progetto trappole mortali per gli umani noiosi Do fuoco alle ville dei miei parenti Ho sempre dietro un cane che non è il mio a guardarmi avanti

-e li vedo attaccati i manifesti- saresti sorpreso, ti arrabbieresti. La mia testina, che sia tutta adorabile, è questo che ti aspetti.

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Veronica Sara Pinto nasce a Roma nel 1980. Inizia gli studi teatrali nel 1995 proseguendoli fino al 2004, anno in cui nasce suo figlio. Da quell’anno abbandona il teatro e continua a scrivere poesia. Diplomata in lingua dei segni nel 2008 è oggi laureanda in Linguistica presso l’Università degli Studi Roma Tre. Dal 1999 al 2011 lavora come barista e cameriera.

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