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1 n°2 - FEBBRAIO 2018 GIOVANI AGRICOLTORI: ANCORA INCENTIVI PER IL 2018 2 5 DIGITAL FUNDRAISER, L’ESPERTO WEB CHE LAVORA PER LE “GIUSTE CAUSE” 6 3 IL FUTURO DEL WELFARE NELL’ERA DELLA TRASFORMAZIONE DIGITALE? DIVENTARE 4.0 MANPOWER PORTA A DAVOS IL TEMA DELLA DIGITAL WORKFORCE TRASFORMATION Posti di lavoro, servizi di qualità, innovazione diffusa, miglio- ramento della qualità della vita, risparmi energetici e sosteni- bilità ambientale: ecco i benefici dei dati aperti OPEN DATA: MOTORE DELL’ECONOMIA UE Miglioramento delle prestazioni delle pub- bliche amministrazioni, crescita economica nel settore privato e, in generale, maggiori benefici per la società e i cittadini. Gli Open Data rappresentano una forza motrice per la crescita di tutti i paesi, indipendentemente dalla geografia e dal livello di sviluppo eco- nomico. Il loro potenziale diventa ancora più grande quando si combinano le informazio- ni del settore pubblico con i dati privati di interesse pubblico. Ma che tipo di benefici possono effettivamente essere realizzati nell’UE28? La Commissione europea distin- gue i benefici diretti e indiretti. I primi sono quelli monetizzati che si realizzano nelle transazioni di mercato sotto forma di entrate e valore aggiunto lordo (GVA), il numero di posti di lavoro coinvolti nella produzione di un servizio o prodotto e risparmi sui costi. I benefici economici indiretti sono, ad esem- pio, nuovi beni e servizi, risparmi di tempo per gli utenti che utilizzano gli Open Data, crescita dell’economia della conoscenza, maggiore efficienza nei servizi pubblici e sviluppo dei mercati correlati. Tra il 2016 e il 2020, le dimensioni del mer- cato dovrebbero aumentare del 36,9%, per un valore di 75,7 miliardi di euro nel 2020. Il riutilizzo dei dati creerà quasi 25mila di nuo- vi posti di lavoro. È possibile raggiungere una maggiore efficienza dei processi e della fornitura di servizi pubblici grazie alla condi- visione intersettoriale dei dati, che permette un accesso più veloce alle informazioni. Si stima che il totale dei costi risparmiati per l’UE28+ nel 2020 sarà 1,7 miliardi di euro. L’economia può trarre vantaggio da un più facile accesso a informazioni, contenuti e conoscenze, che a loro volta contribuisco- no allo sviluppo di servizi innovativi e alla creazione di nuovi modelli di business. Per esempio, i dati aperti potrebbero salvare 7mila vite l’anno, grazie a una rianimazione effettuata tempestivamente. Inoltre, l’appli- cazione dei dati aperti al traffico può fare risparmiare 629 milioni di ore di tempi di at- tesa inutili sulle strade dell’UE. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche So- ciali ha raccolto la sfida europea che richie- de alle pubbliche amministrazioni di pubbli- care i propri dati e le proprie informazioni in formato aperto e con licenze di riutilizzo. È stata creata una piattaforma tecnologica in grado di esporre contenuti rilevanti e di qua- lità, nel rispetto degli standard degli Open Data. La scelta di rendere disponibili cifre e infor- mazioni rientra nella logica di trasparenza e accessibilità che il Ministero sta mettendo in pratica, già da qualche anno, attraverso numerosi strumenti e modalità di comunica- zione.

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n°2 - FEBBRAIO 2018

Giovani aGricoltori: ancora incentivi per il 2018

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DiGital FunDraiser, l’esperto web che lavora per le “Giuste cause”

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il Futuro Del welFare nell’era Della trasFormazione DiGitale? Diventare 4.0

manpower porta a Davos il tema Della DiGital workForce trasFormation

posti di lavoro, servizi di qualità, innovazione diffusa, miglio-ramento della qualità della vita, risparmi energetici e sosteni-bilità ambientale: ecco i benefici dei dati aperti

open Data: motore Dell’economia ue

Miglioramento delle prestazioni delle pub-bliche amministrazioni, crescita economica nel settore privato e, in generale, maggiori benefici per la società e i cittadini. Gli Open Data rappresentano una forza motrice per la crescita di tutti i paesi, indipendentemente dalla geografia e dal livello di sviluppo eco-nomico. Il loro potenziale diventa ancora più grande quando si combinano le informazio-ni del settore pubblico con i dati privati di interesse pubblico. Ma che tipo di benefici possono effettivamente essere realizzati nell’UE28? La Commissione europea distin-gue i benefici diretti e indiretti. I primi sono quelli monetizzati che si realizzano nelle transazioni di mercato sotto forma di entrate e valore aggiunto lordo (GVA), il numero di posti di lavoro coinvolti nella produzione di un servizio o prodotto e risparmi sui costi. I benefici economici indiretti sono, ad esem-pio, nuovi beni e servizi, risparmi di tempo per gli utenti che utilizzano gli Open Data,

crescita dell’economia della conoscenza, maggiore efficienza nei servizi pubblici e sviluppo dei mercati correlati.Tra il 2016 e il 2020, le dimensioni del mer-cato dovrebbero aumentare del 36,9%, per un valore di 75,7 miliardi di euro nel 2020. Il riutilizzo dei dati creerà quasi 25mila di nuo-vi posti di lavoro. È possibile raggiungere una maggiore efficienza dei processi e della fornitura di servizi pubblici grazie alla condi-visione intersettoriale dei dati, che permette un accesso più veloce alle informazioni. Si stima che il totale dei costi risparmiati per l’UE28+ nel 2020 sarà 1,7 miliardi di euro.L’economia può trarre vantaggio da un più facile accesso a informazioni, contenuti e conoscenze, che a loro volta contribuisco-no allo sviluppo di servizi innovativi e alla creazione di nuovi modelli di business. Per esempio, i dati aperti potrebbero salvare 7mila vite l’anno, grazie a una rianimazione effettuata tempestivamente. Inoltre, l’appli-

cazione dei dati aperti al traffico può fare risparmiare 629 milioni di ore di tempi di at-tesa inutili sulle strade dell’UE.Il Ministero del Lavoro e delle Politiche So-ciali ha raccolto la sfida europea che richie-de alle pubbliche amministrazioni di pubbli-care i propri dati e le proprie informazioni in formato aperto e con licenze di riutilizzo. È stata creata una piattaforma tecnologica in grado di esporre contenuti rilevanti e di qua-lità, nel rispetto degli standard degli Open Data. La scelta di rendere disponibili cifre e infor-mazioni rientra nella logica di trasparenza e accessibilità che il Ministero sta mettendo in pratica, già da qualche anno, attraverso numerosi strumenti e modalità di comunica-zione.

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Giovani aGricoltori: ancora incentivi per il 2018 le misure dell’ultima legge di bilancio mirano a favorire il ricambio generazionale grazie agli sgravi contributivi e agli incentivi del contratto di affiancamento

L’Italia è ancora il primo paese in Euro-pa per prodotti agroalimentari di qualità, Dop, Igp e Stg, secondo il XV Rapporto ISMEA Qualivita. Merito certamente delle materie prime e degli imprenditori agricoli che continuano ad avere cura del territorio nonostante le difficoltà del settore. Proprio per far fronte a produzioni di altri paesi competitor, ai cambiamenti climatici globa-li che impattano anche sulle coltivazioni e sull’allevamento italiani, oltre che alle con-traffazioni agroalimentari; coltivatori diretti e imprenditori agricoli hanno imboccato la strada di una migliore efficienza e specia-lizzazione. Secondo la più recente indagine Istat (2017), dalle aziende agricole specializza-te proviene ormai l’83% della produzione. Ed è in virtù di questo scenario che la Leg-ge di Bilancio 2018 continua a supportare la creazione di nuove imprese agricole, promuovendo il ricambio generazionale. In che modo? Riconoscendo lo sgravio dei contributi agli

under 40 che si iscriveranno all’apposita gestione INPS nel corso del 2018. I gio-vani agricoltori avranno così una decontri-buzione al 100% per i primi tre anni, pas-sando al 66% per il quarto anno e al 50% per il quinto.Accanto alla decontribuzione, i giovani imprenditori agricoli potranno usufruire di uno strumento finalizzato a favorire il ricambio generazionale: il contratto di af-fiancamento, stipulabile tra chi ha un’età compresa tra i 18 e i 40 anni, da un lato, e gli imprenditori agricoli e coltivatori diretti ultra 65enni o in pensione. Il contratto con-sente un accesso prioritario ai mutui age-volati per gli investimenti ai giovani, sia in forma associata sia singoli, non titolari di proprietà agricole o di diritti reali di godi-mento sui terreni. I vantaggi – non solo economici - sono per ambo le parti. L’imprenditore o il coltivatore diretto si impegna a trasferire al giovane affiancato le proprie competenze. In cam-bio, l’under 40 contribuirà direttamente alla

gestione anche manuale dell’impresa, ap-portando innovazioni tecniche e gestionali utili a far crescere l’impresa. Il contratto di affiancamento dovrà essere allegato al piano aziendale e presentato all’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA).L’affiancamento può avere una durata non superiore ai tre anni e comporta in ogni caso la ripartizione degli utili di impresa tra il giovane e l’imprenditore agricolo, in percentuali comprese tra il 30% e il 50% a favore del giovane.Il contratto può inoltre stabilire il subentro del giovane imprenditore nella gestione aziendale e prevede forme di compen-sazione nei suoi confronti in caso di con-clusione anticipata del contratto. Al neo-imprenditore è garantito, in caso di vendita dell’azienda, per i sei mesi successivi alla conclusione del contratto con il titolare più anziano, un diritto di prelazione.Il ricambio generazionale supportato dal-la Legge di Bilancio mira quindi a poten-ziare il particolare dinamismo del settore che, secondo la Coldiretti, si caratterizza per un buon numero di aziende giovani: sono 53.475 quelle guidate da under 35 e che hanno fatto balzare l’Italia al verti-ce in Europa. La presenza della genera-zione millennials in agricoltura può infatti rivoluzionare il lavoro in campagna, dove il 70% delle giovani imprese opera nella trasformazione dei prodotti per la vendita diretta; nelle fattorie didattiche e agri-asilo, nelle attività ricreative, nell’agricoltura so-ciale per l’inserimento di disabili, detenuti e tossicodipendenti e nella produzione di energie rinnovabili.

la presenza della generazione millennials in agricoltura può rivoluzionare il lavoro in campagna, dove il 70% delle giovani imprese opera nella trasformazione dei prodotti per la vendita diretta

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Tre milioni e mezzo di contratti di lavo-ro stipulati, oltre un milione e mezzo di persone avviate a un’occupazione, più di 500mila persone formate. Sono questi i numeri di ManpowerGroup in Italia, frut-to di un lavoro che dura da due decenni. Un lavoro portato avanti per oltre 100mi-la aziende e sul quale, in occasione del 20° anniversario dall’arrivo in Italia, so-no state tirate le somme. A fare il punto

è Stefano Scabbio, Presidente dell’area Mediterraneo, Europa del Nord e dell’Est, ManpowerGroup.Negli ultimi vent’anni, Manpower in Italia ha anticipato i trend del mercato, ha assecondato i cambiamenti che si sono susseguiti e profondamente rin-novato il proprio modo di lavoro, ab-bracciando l’innovazione tecnologica.Molto è cambiato da quel 23 dicembre

1997, quando Manpower fu la prima azienda ad ottenere dal Ministero del La-voro l’autorizzazione a operare in quali-tà di agenzia di fornitura di lavoro tem-poraneo. Oggi in Italia abbiamo 230 uffici e circa 1800 dipendenti diretti. Il gruppo può contare su 13mila clienti l’anno, oltre 300mila contratti stipulati ogni anno e più di 45mila persone al lavoro ogni giorno. Siamo stati pionieri nell’affermazione del-la cultura della flessibilità del lavoro, sup-portando in questo aziende e lavoratori nella comprensione delle dinamiche e dei tecnicismi, favorendo la costruzione di un sistema di tutele e diritti per i lavoratori temporanei.Una crescita che ha accompagnato l’evo-luzione dei lavoratori e dei settori nell’ulti-mo ventennio. Se ieri il 62% dei lavoratori erano uomini e il 38% donne, oggi queste ultime hanno superato il 40%. Vent’anni fa il 43,6% dei lavoratori aveva meno di 25 anni, il 40,8% tra i 25 e i 35, l’11% tra i 35 e i 45 e appena il 3,8% aveva più di 45 anni. Oggi c’è molto più equilibrio tra le percentuali relative a ciascuna fascia d’e-tà. I settori tradizionali quali la metalmec-canica e la manifattura che occupavano le prime posizioni per numero di contratti stipulati, hanno lasciato il passo ai servizi e al commercio. E analizzando i dati, non stupisce che sia proprio il settore manifat-turiero ad aver risentito per primo dell’im-patto delle nuove tecnologie. Altri settori hanno subito dei profondi mu-tamenti in questi anni, come ad esem-pio il Legal, dove un numero crescente

manpower porta a Davos il tema Della DiGital workForce trasFormationscabbio: “siamo consapevoli che l’innovazione può dare impulso alle imprese e al mondo del lavoro guardando ai leader digitali del futuro”

siamo stati pionieri nell’affermazione della cultura della flessibilità del lavoro, supportando in questo aziende e lavoratori nella comprensione delle dinamiche e dei tecnicismi

Stefano Scabbio, Presidente dell’area Mediterraneo, Europa del Nord e dell’Est, ManpowerGroup

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presentata nel corso del world economic Forum la Digital room, una stanza digitale, creata attraverso strumenti di intelligenza artificiale, che analizza la propensione di un candidato alla leadership del futuro

di controversie legali vengono oramai ge-stite online e l’intelligenza artificiale viene utilizzata per generare report legali. Gli ef-fetti della digitalizzazione si vedono anche nel settore Finance, dove oltre il 54% dei vecchi lavori è a rischio, anche se assi-stiamo all’evoluzione dei ruoli impiegatizi verso profili che richiedono competenze diverse. Fanno i conti con l’automazione anche il settore Retail e quello amministrativo. Altri e più rivoluzionari cambiamenti aspettano il mondo del lavoro e avranno un forte im-patto soprattutto sui lavoratori poco quali-ficati, poco istruiti e sulle donne. Questo mentre nei Paesi OCSE, i posti che richie-dono livelli di competenze più elevati stan-no crescendo più velocemente.Le aziende devono puntare alla forma-zione continua per restare competitive e sviluppare nuove skills, perché in fu-turo ci saranno settori che non cono-sciamo.Di questo abbiamo ampiamente parlato a seguito della pubblicazione del report “Skills Revolution” che ManpowerGroup ha presentato nel corso del World Econo-mic Forum di quest’anno a Davos. La ricerca ha evidenziato come sia in atto una vera e propria rivoluzione delle com-petenze imposta proprio dalla crescente

digitalizzazione introdotta dalla quarta ri-voluzione industriale e che non necessa-riamente impatterà sull’occupazione nei prossimi anni. Anzi l’Italia è tra i Paesi più ottimisti su questo fronte, facendo parte dell’83% delle aziende convinte che la di-gitalizzazione aumenterà i posti di lavoro. D’altro canto la tecnologia sostituirà le at-tività di routine cognitive e quelle manuali. Creatività e flessibilità sono competenze invece irrinunciabili. E proprio nel corso del World Economic Forum di Davos, dopo un’attenta anali-si delle criticità connesse alla rivoluzio-ne tecnologica, il Gruppo si è focalizzato sul superamento delle problematiche nel-la consapevolezza che l’innovazione può dare impulso alle imprese e al mondo del lavoro guardando ai leader digitali del fu-turo. Da un recente sondaggio è infatti emerso come le aziende che introducono nuovi modelli di business abbiano perfor-mance migliori del 26% rispetto alle con-correnti tradizionali.La leadership nella digital transforma-tion. Come e cosa cambia?Nell’era digitale, i leader di oggi e di do-mani devono essere aperti al cambiamen-to e devono assumersi dei rischi calcolati. Questo non vuol dire sostituire la leader-ship tradizionale: la perseveranza e l’adat-

tabilità resteranno centrali. Tuttavia biso-gnerà lavorare per liberare il talento e per guidare le imprese con audacia, talvolta anche fallendo. E tutto questo con l’idea di accelerare le prestazioni. Il primo pas-so è formare i dipendenti e il management applicando il modello P3 (People, Purpo-se, Performance). Per noi è strategico inserire in azienda dei leader digitali. Persone di talento che devono possedere quattro caratteristiche fondamentali: adattabilità, capacità di ispi-rare, capacità di guidare e resistenza.Muove in questa direzione anche l’ulti-ma innovazione di ManpowerGroup, la Digital Room presentata a Davos.Si tratta di una “stanza digitale”, creata attraverso strumenti di intelligenza artifi-ciale, che analizza la propensione di un candidato alla leadership del futuro. Inter-facciandosi con l’avatar Zara, una perso-na viene valutata sulla base delle risposte date a una serie di domande sulla sua vi-sione del mondo. La particolarità della macchina è che non si limita a registrare le parole, è in grado di leggere il linguaggio del corpo e interpre-tare la mimica facciale. Combinando i dati raccolti la Digital Room fornisce così un risultato e lo confronta con i profili dei lea-der internazionali. Una profilazione che si affianca al DigiQuotient, l’altra innovazio-ne presentata in questi giorni dal Gruppo. Si tratta di un test in 34 domande da com-pilare online per conoscere i punti di forza o meno della propria leadership. Vogliamo aiutare le aziende a consolidare la loro ca-pacità di reazione ai cambiamenti dell’era digitale. Cambiamenti che arrivano anche in Italia dove la rivoluzione delle competenze, det-tata dall’economia digitale, marcia a una velocità mai vista e bisognerebbe lavorare tutti insieme, Governi, imprese e profes-sionisti per ridurre il tempo necessario a far acquisire alle persone le skills neces-sarie o per aggiornarle.

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tra le proposte c’è quella di introdurre standard minimi per garantire, a qualsiasi persona in cerca di lavoro, la possibilità di beneficiare di un sostegno economico, inclusi i lavoratori delle piattaforme digitali

il Futuro Del welFare nell’era Della trasFormazione DiGitale? Diventare 4.0nuovi contesti e nuove esigenze sono alla base della discussione europea che punta a disegnare il welfare del futuro nel segno della sostenibilità e dell’equità

Nell’era del lavoro 4.0 è possibile assicu-rare un adeguato sistema di welfare? A questa domanda ha cercato di rispondere il Comitato economico e sociale europeo (CESE) con il paper “Sistemi sostenibili di sicurezza e protezione sociale nell’era di-gitale”, che parte dall’analisi delle trasfor-mazioni in atto nel mondo del lavoro per arrivare a progettare un nuovo approccio, da parte degli Stati europei, sui temi delle pensioni e del sostegno al reddito.Partiamo dal contesto. I sistemi di si-curezza sociale sono stati basati, fino a oggi, su una contribuzione legata al con-tratto di lavoro subordinato stabile. In questo modo, finanziare le diverse pre-stazioni è stato possibile grazie a risorse costanti nel tempo provenienti dai lavo-ratori e dai datori di lavoro. Non si tratta solamente della previdenza e dei tratta-menti economici riservati ai disoccupa-ti. Gli Stati membri hanno spesso legato anche altri benefici di natura non contri-butiva - come ad esempio il congedo pa-rentale, gli assegni familiari e altri tipi di

indennità - allo status di lavoratore dipen-dente. La gig economy ha creato nuove forme di attività economica e di occupazione; in particolare, ha cambiato il modo in cui vengono strutturati i rapporti di lavoro, in un’ottica di flessibilità (lato positivo della medaglia) e frammentazione (lato nega-tivo). Tramite le piattaforme digitali vie-ne a crearsi un rapporto trilaterale tra il provider del sistema digitale, l’utente e il prestatore di servizi (rider, freelance, etc.). Questo comporta che chi svolge la propria attività non sia inquadrato come lavoratore subordinato a tutti gli effetti e non possa, quindi, accedere ai benefici dei sistemi di sicurezza sociale naziona-le. Nel lungo periodo, l’assenza di una contribuzione adeguata comporterà per i nuovi lavoratori atipici di essere mag-giormente esposti al rischio di povertà nell’immediato, non potendo usufruire di ammortizzatori sociali, e di percepire in prospettiva una pensione irrisoria.E per il futuro? I sistemi di sicurezza so-

ciale rischiano di andare incontro a due problemi: la mancanza di risorse a causa delle minori entrate contributive e la ridu-zione della platea dei contribuenti dovu-ta all’invecchiamento demografico della popolazione europea. Il CESE suggeri-sce una prima azione di tipo legislativo, quella di definire meglio le forme di lavoro subordinato e l’inquadramento previden-ziale di tutti i lavoratori anche quelli del-le piattaforme digitali. Per avere, inoltre, una percezione quantitativa del fenome-no, gli Stati membri potrebbero collegare i propri sistemi telematici legati alla previ-denza con quelli del fisco; in questo modo potrebbero essere individuati rapidamen-te coloro che, pur dichiarando redditi da lavoro, non sono assicurati nell’ambito della previdenza pubblica. Le proposte del Comitato abbracciano anche il versante della disoccupazione. Di fianco alla proposta già in itinere su un trattamento unico a livello comunitario, c’è quella di introdurre standard minimi per garantire a qualsiasi persona in cerca di lavoro la possibilità di beneficiare di un sostegno economico, inclusi i lavoratori delle piattaforme digitali. Per concludere, bisogna ricordare come questo scenario di trasformazione richie-da un dialogo con la società e i diversi stakeholder. Solo con una condivisione comune degli obiettivi, potrebbe essere percorribile una riallocazione delle risor-se, utilizzando i dividenti della digitalizza-zione, per garantire la sostenibilità del si-stema di sicurezza sociale e giungere a un welfare 4.0 il più inclusivo possibile.

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I dati parlano chiaro: gli italiani sono un popolo di donatori onli-ne. Lo dice la recente indagine “Donare 3.0” di PayPal e Rete del Dono, realizzata da Duepuntozero Doxa, la quale svela che l’83% degli utenti ha effettuato tramite il web nell’ultimo anno almeno una donazione finalizzata ad una causa di respiro so-lidale. E il protagonista dell’articolato mondo del fundraising oggi è il digital fundriser, figura professionale in ascesa che svolge un ruolo indispensabile per chi opera nel non profit. La sua attività è integrata in una strategia più ampia che va dalla comunicazione del progetto per cui avviare la raccolta fondi in Rete alla fide-lizzazione dei donatari nel tempo. Chi elargisce un contributo economico vuole, infatti, vederci chiaro sui destinatari finali e sulla qualità del progetto alla cui realizzazione sta contribuendo. E mai come oggi, grazie alla Rete, è possibile gestire e docu-mentare ogni fase della raccolta.Quello del digital fundraiser è un mestiere che richiede compe-tenze trasversali e accostabili a quelle di social media manager, digital PR e specialisti in Web Marketing e SEO.Per costruire un legame duraturo tra utenti e organizzazione è essenziale gestire in modo sapiente i canali online. Il primo è senza dubbio il sito web che deve essere funzionale, semplice e incentrato sulle azioni del “Dona ora”. Ma non solo. Fondamen-tali sono anche il blog e i social network, Facebook in primis: la pagina va monitorata e aggiornata con cura e creatività per stimolare le interazioni e le conversioni; da non sottovalutare

anche Twitter - purché venga usato con linguaggio chiaro e uno stile coinvolgente, che mobiliti e sensibilizzi senza cadere nel-la retorica - e le app di messaggistica istantanea Whatsapp e Telegram. Infine, i canali email ed SMS sono efficaci purché si disponga di un ricco e aggiornato database proprietario.Tra le hard skills più ricercate dalle aziende che assumono un di-gital fundraiser ci sono: forti capacità di scrittura, esperienza nel-la raccolta fondi, conoscenza del mondo non profit, dimestichez-za nell’uso dei principali strumenti digitali e dell’email marketing, profonda conoscenza dei social media, di tutti gli strumenti di promozione (marketing diretto, e-mailing, telemarketing, etc.) e dei portali di crowdfunding. Infine, una caratteristica che contri-buisce al successo di ogni campagna è che i professionisti che concorrono alla sua realizzazione credano fortemente nei valori della causa che puntano a promuovere: ecco perché l’ambito professionale in cui il digital fundraiser otterrà maggiori soddi-sfazioni è il non profit, ma non è escluso che possa trovare inte-ressanti sbocchi occupazionali anche nella pubblica amministra-zione, in ambito politico, nell’associazionismo e all’interno delle aziende che si interessano di responsabilità sociale.

le hard skills richieste dalle aziende: forti capacità di scrittura, esperienza nella raccolta fondi, conoscenza del mondo non profit, dimestichezza nell’uso dei principali strumenti digitali e dell’email marketing

DiGital FunDraiser, l’esperto web che lavora per le “Giuste cause”È una nuova figura professionale con competenze trasversali e accostabili a quelle di social media manager, digital pr e specialisti in web marketing e seo

colophonRedazione Cliclavoro

Direzione Generale dei sistemi informativi, innovazione tecnologica, monitoraggio dati e comunicazioneVia Fornovo, 8 - 00192 Roma

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n°2 - Febbraio 2018

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