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    PIERO BORDIGNON

    ONTOLOGIA

    TREVISO 2008

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    INDICE

    INTRODUZIONE 2 ONTOLOGIA E INTERPRETAZIONE 9

    ONTOLOGIA ARCAICA 11

    LA PHYSIS 12

    ERACLITO 14

    PARMENIDE 15 ESSERE PARMENIDEO, PRINCIPIO DI NON CONTRADDIZIONE E LOGICA ASTRAENTE 20 ERACLITO / PARMENIDE 22

    GORGIA 26

    PLATONE 27 L A FONDAZIONE DELLA METAFISICA 27 L A CONOSCENZA 35

    ARISTOTELE L A METAFISICA O FILOSOFIA PRIMA. 41 L A FISICA E LA MATEMATICA 48

    PIRRONE DI ELIDE 51

    PLOTINO 54

    CRISTIANESIMO 59

    AGOSTINO

    UNIVERSALI 64

    AVICENNA

    s. TOMMASO 66 R APPORTO TRA RAGIONE E FEDE 66 L A METAFISICA 68

    S. BONAVENTURA 71

    PAREYSON: ONTOLOGIA DELLA LIBERT 7

    BIBLIOGRAFIA 77

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    INTRODUZIONE1) Luomo e lessere: Heidegger,

    a) nelloperaSein und Zeit (1927) afferma chei) luomo (l Esserci) si configura come lunico ente che ha un legame costitutivo con lessere,

    che si pone il problema dellessere, che si interroga su questo e che in qualche modo lo com-prende. La peculiarit ontica dellEsserci, pertanto, sta nel suo essere ontologico.

    ii) LEsser-ci mostra innanzitutto(1) una costituzionale apertura e mostra di essere sempre situato, gettato in una situazione (il

    ci dellEsserci,Da-Sein ).(2) Ma il suo carattere, la sua natura essenziale il poter essere, la possibilit, il progetto

    LEsserci sempre la sua possibilitnel senso che questo ente pu , nel suo essere, o scegliersi, conquistarsi, oppure perdersi e non conquistarsi affatto o conquistarsi solo ap-parentemente.

    (3) Oltre che come insiemi di strumenti, il mondo incontrato dallEsserci comeessere-con ,semplicemente perch la manipolazione delle cose avviene sempre insieme agli altri, secon-do lopinione comune. L essere-con rappresenta lorizzonte anonimo del si , dellesistenzaimpersonale. La dimensione del si dice, del si fa, dove domina la chiacchiera, per Hei-degger la cosiddetta esistenza inautentica, che sostanziale deiezione dellEsserci. Questadimensione inautentica dellesistenza prevalente perch il fatto che luomo comprenda sestesso a partire dal mondo dellutilizzabile e del meramente presente fatalmente va ad oscu-rare la luce dellessere, la sua struttura pi intima e peculiare.

    (4) LEsserci, invece, autentico quando si libera dalla comprensione delSi per elevarsi, aprirsialla piena comprensione delle cose, svelando la genuina struttura dellesistenza. Ma lEsserci caratterizzato dalla finitezza, dalla temporalit, dallessere-per-la-morte. Per cui, lEssercicozza contro il limite del possibile: la morte, che genera angoscia, situazione emotiva pi au-tentica dellEsserci, che appunto un sentimento che ci riporta alla condizione originaria che essenzialmente segnata dal nulla.

    b) Nell Introduzione alla metafisica (1953), Heidegger,i) da una parte, sostiene che sia imputabile alla metafisica occidentale il progressivo oblio

    dellessere. Tanto vero che lessere per noi una parola evanescente.

    ii) Per un altro verso, invece, proprio della struttura dellessere la tendenzaallautonascondimento e alla latenza. Per cui, lessere permane incline a ritornarvi, sia nel grandeoccultamento e silenzio, sia nella pi superficiale finzione e dissimulazione. In sintesi, la parven-za, lillusione, linganno e loblio si configurano sia come conseguenti allapparire e al manifestar-si dellessere per prospettive, al suo costitutivo tendere allautonascondimento, alloccultamentoe alla latenza, sia come propri e costitutivi della nostra comprensione dellessere. Lalternarsi dischiudersi e di svanire, secondo Heidegger, lapparire, lessere stesso.

    c) Successivamente, Heidegger interpreta lo oblio dellessere come proprio dellessere e non comeuna carenza dellapertura umana allessere. E per noi un destino, cio a prescindere dalle nostreattivit pratiche nonch teoretiche, lalterno divenire dellessere, che, in quanto tale, secondo la suadinamica di disvelamento-occultamento, si appalesa come evento (Ereignis ).

    d) Heidegger, nel testo filosofico del 1954,Otrepassamento della metafisica , sostiene che il concetto

    metafisico dellessere come stabilit, che la tradizione filosofica occidentale ha tramandato, va sosti-tuito dal concetto di essere come evento. Per cui, dallusuale linguaggio rigoroso e razionale, ogget-tivante e fondante, nonch informativo, bisogna passare ad un linguaggio pi mobile, poetico, evo-cativo. Come aveva gi prefigurato inHlderlin e lessenza della poesia (1937), il linguaggio poeti-co quello in cui lessere si rivela.

    2) Lessere.a) Il termine essere presenta una plurivocit di significati. Si pu distinguere il termine essere inteso

    come verbo (enai, esse ) ed essere inteso come sostantivo.i) Nel primo caso, la voce pu significare esiste (significato esistenziale) o qualcosa (signi-

    ficato copulativo). Nel senso copulativo il verboesse collega il soggetto e il predicato e pu e-sprimere identit oppure appartenenza, inclusione, sussunzione, inerenza.

    ii) Usato come sostantivo, l essere pu indicare un essere, ovvero un essente, un ente (to n ,ens ), oppure lesistenza, l existere e cos via.

    b) A mo di orientamento, utile ricordare che S. Tommaso dAquino, nel primo articolo dellaQuaestio disputata de veritate , afferma che illud [] quod primo intellectus concipit quasi notissimum, et in

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    quod omnes conceptiones resolvit est ens; in questo modo lessere, considerato come il concettoprimo ed anche il pi astratto, diventa il presupposto di ogni forma di esperienza e di conoscenza.Inoltre, non va dimenticato lessere inteso come ragion dessere, comecausa essendi di ci che contingente: in tutti e due i casi, di fatto, porre il problema dellessere significa porre anche quellodelluomo come ente finito e del senso della sua presenza nel mondo.

    c) Kant, pur limitando le tre idee della ragione (anima, mondo e Dio) ad un uso e valore esclusivamen-te regolativi di conoscenza e, quindi, escludendo un uso costitutivo di esse, configura lideadellEssere come una sorta di sfondo necessario grazie al quale concepiamo le cose. Tuttavia,lEssere inteso come Ideale trascendentale della ragione va considerato come un fondamento e, inquanto tale, unens originarium , un ens summum , un Essere degli esseri. Tale Essere pu essereposto in relazione con lidea di un essere unico, semplice, onnipotente, eterno, incondizionato nellasua assoluta perfezione, che costituisce il fulcro della teologia razionale. Lidea di un Essere supre-mo, pensata in vista dellesperienza, per Kant, non solo naturale, ma addirittura unipotesi ne-cessaria. Tale idea concepita come una totalit dei predicati possibili prelude ad unaltra aspirazionedella ragione, la quale pu trovare la sua quiete nel regresso dal condizionato verso

    lincondizionato nella dimensione del sentimento, dellagire morale e dellesperienza religiosa.d) Fichte respinta la cosa in s come residuo dogmatico ritiene che sia precisamente il pensiero che

    pone lessere. LAssoluto viene pensato o come essere quiescente o come divenire assoluto o li-

    bert. Tuttavia, lazione del sapere deve fondere quella duplicit in unit, in quanto lAssoluto non n luno n laltro: entrambi come semplicemente uno.e) Nella visione hegeliana lEssere assoluto viene concepito come coscienza, come soggetto e, di con-

    seguenza, come processo, sviluppo, movimento. Il pensiero, dunque, pu essere compreso solo nelsuo stesso compiersi, in un processo in cui necessit e intelligibilit coincidono. Hegel, pur partendodalle istanze parmenidee di un essere coincidente con il pensare, aventi le caratteristiche propriedellessere intero, perfetto, necessario e immutabile, accoglie, tuttavia, il principio eracliteo del panta rei come la verit dellessere. Per cui il puro Essere e il puro Nulla sono la stessa cosa: tale coinci-denza mediata dal vuoto, l dove luno svanisce nellaltro. Se in Parmenide lessere e il nulla non, in Hegel, invece, lessere coincide col vuoto, e quindi col nulla: lessere tanto poco quanto ilnulla, o anche: Tutto scorre, cio tutto divenire, come appunto lo stesso Hegel afferma nellaScienza della logica . Dunque, il motore della realt e della storia il movimento, la contraddizione, ladialettica. In essa si realizza una prima sintesi di essere e nulla, ed essa assume quindi un carattereoriginario, fondativo, assurge a modalit primaria e fondamentale di ci che alla base e alloriginedel mondo.

    3) In filosofia, l'ontologia, branca fondamentale della metafisica, lo studio dell'essere in quanto tale, non-ch delle sue categorie fondamentali. Il termine deriva dal greco , , "ntos" (genitivo singolaredel participio presente di , "inai", il verbo essere) pi , "lgos". Significa letteralmente "di-scorso sull'"essere".a) L'ontologia ha legami con la teologia, in particolare per quanto riguarda alcune questioni fondamen-

    tali relative a Dio (ad esempio, "Dio esiste?"), alcune delle quali sembravano applicabili pi in gene-rale ad altri tipi di esseri.

    b) Il termine ontologia fu coniato soltanto agli inizi del XVII secolo da Rudolf Gckel per il suo Lessicofilosofico e, autonomamente, da Jacob Lorhard

    c) L'ontologia lo studio dell'essere, ovvero di ci che , esiste, pensabile. anche lo studio di cosal'essere sia effettivamente al di l delle apparenze e dei fenomeni attraverso i quali ci si manifesta:in pratica qualcosa di simile alla ricerca della cosa in s. L'ontologia in effetti l'ultimo mattone delcastello di domande che ci possiamo porre. Essa riassume in un senso profondamente teoretico, ladomanda intorno al senso profondo d'ogni cosa.

    4) lo studio di ci che esiste, di perch e come esiste, se esiste, se pensabile, e dunque di ogni doman-da circa il senso della vita, dal momento che l'esistenza proprio ci che contraddistingue ogni cosasenza distinzioni. Nella prassi filosofica il problema assume toni profondamente astratti, spesso staccan-dosi dall'origine del problema stesso, e di sicuro allontanandosi dall'interesse del pubblico. In ogni casol'ontologia in un certo qual modo la filosofia stessa. Ogni domanda intorno al "soggetto" alla "relazio-ne" e all'"oggetto", una domanda di ordine ontologico. Ne consegue che la domanda sull'essere, ciosull'insieme complessivo e dunque massimamente astratto, di tutto ci che , ovvero che esiste, il nu-cleo dell'ontologia. Corpo, opportunit, ambiente

    5) Il verbo essere ha molti significati diversi e pu quindi essere piuttosto ambiguo. Poich "essere" ha tantisignificati diversi, ci sono, di conseguenza, molti diversi modi di essere.6) Alcune questioni fondamentali

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    a) L'ontologia si interessa di determinare quali sono le categorie dell'essere fondamentali, e si chiedese, ed in che senso, si pu dire che gli elementi di queste categorie "esistono". Diversi filosofi compi-lano liste differenti delle categorie fondamentali dell'essere; una delle questioni fondamentali dell'on-tologia : "Quali sono le categorie fondamentali dell'essere?". Ci mette in rilievo uno dei problemidell'approccio filosofico: esso dipende dalla continua ricerca di categorie, e non ha un modo evidenteper concludere tale ricerca.

    b) Invece nella teologia, nella classificazione bibliotecaria e nell'intelligenza artificiale, si adotta tipica-mente un'ontologia fondamentale relativamente stabile. Ci riflette una cosmologia pi ampia, eprobabilmente delle morali, esempi estetici o storie, mediante le quali sono state stabilite delle priori-t fondamentali. Nella teologia ci deriva da una religione e dalle sue dottrine stabili.

    c) Ecco qualche altro esempio di questioni ontologiche: Cos' l'esistenza? Cosa sono gli oggetti fisici? possibile spiegare cosa significa dire che un oggetto fisico esiste? Cosa sono le propriet o relazionidi un oggetto, e come sono correlate all'oggetto stesso? L'esistenza una propriet? Quando si pudire che un oggetto cessa di esistere, invece di cambiare semplicemente?

    d) Esempi di questioni ontologiche1:Il vaso e la creta di cui costituito sono una cosa sola o due entit distinte? Il buon senso suggeri-sce la prima risposta. Ma c chi osserver che la creta esisteva anche prima del vaso (e continue-rebbe a esistere anche se il vaso andasse in frantumi) e che quindi le due cose vanno tenute distin-

    te. Se tuttavia distinguiamo il vaso dalla creta, distingueremo anche il vaso dalla somma delle sueparti? (Il vaso, non la somma, sopravviverebbe alla perdita di un piccolo frammento.) Distingueremola somma delle parti dalla somma dei pezzi di creta? (Certe parti avrebbero potuto essere di materia-le diverso.) Per questa strada corriamo il rischio di ritrovarci con uninfinit di cose, tutte distinte etuttavia perfettamente coincidenti nello spazio. facile pensare che si tratti di problemi astrusi e inconclusivi, e forse proprio questa apparenza diastrusit e inconclusivit che spiega la scarsa considerazione di cui gode la metafisica nella culturaodierna.Per la verit, chiedersi se il vaso e la creta siano la medesima entit (per esempio) significa porrequestioni filosofiche molto profonde concernenti la natura delle cose, la loro condizioni di identit epersistenza nel tempo, le loro relazioni di dipendenza, in generale le precondizioni del nostro parlaredel mondo. In questo senso la metafisica tuttaltro che marginale, e anche la sua emarginazione relativa.I primi ad accorgersi dellimportanza dellontologia erano stati qualche anno fa i ricercatori di roboti-ca e intelligenza artificiale. perch un sistema sia in grado di operare efficacemente nel mondo reale(piuttosto che nei mondi- giocattolo dei laboratori di ricerca) occorre dotarlo non solo di certe basilaricapacit di ragionamento, ma anche e soprattutto della capacit di rappresentare il mondo. Occorrecio porre il sistema nelle condizioni di effettuare le giuste scansioni della realt, dotarlo delle fon-damentali nozioni di oggetto, evento, propriet, cambiamento a partire dalle quali esso possa dareun fondamento alle proprie azioni. Occorre, in breve, dotarlo di unontologia. E sebbene questa no-zione di ontologia non coincida esattamente con quella della tradizione filosofica, non c da sor-prendersi se su questo tema si sia verificata una progressiva convergenza di interessi tra ingegneri emetafisici.Queste stesse considerazioni valgono oggi in vari altri settori in cui venuta maturando la convinzio-ne che molte questioni fondamentali abbiano una comune radice ontologica. Prendiamo il mondogeopolitico. Tracciamo delle linee sulla mappa ed ecco che nasce una nuova provincia, muore unaregione, una nazione si divide in due. Che cosa succede esattamente in questi casi? Di che entitstiamo parlando? Che rapporto intercorre tra ununit geografica e il suo territorio? Ecco che ci ritro-viamo col problema del vaso e della creta. Il Liechtenstein esiste dal 1719, il territorio cera anche unmilione di anni fa. Abbiamo a che fare con due entit distinte, oppure si tratta della stessa entit chenel corso del tempo ha acquisito propriet diverse? E se distinguiamo tra unit geografica e territo-rio, come definiamo il loro rapporto? E il loro rapporto con la popolazione? Cosa succederebbe setutti gli abitanti del Liechtenstein si trasferissero a Malta e i Maltesi andassero nel Liechtenstein?Oppure prendiamo il caso di Bianchi che spara a Rossi uccidendolo. C uno sparo, c unuccisione.Si tratta dello stesso evento o di due eventi diversi? Qualcuno insister che luccisione non avrebbeavuto luogo se Bianchi avesse sbagliato mira, e che quindi lo sparo e luccisione hanno propriet di-verse e vanno tenuti distinti. Daltro canto il buon senso sembra suggerire la risposta opposta: Bian-

    chi ha commesso una sola azione, lo sparo, e quello sparo si rivelato unuccisione. Come si com-porter il giudice? Quanti reati ha commesso Bianchi? Di quante azioni responsabile?

    1 Achille C. Varzi Il Sole 24 Ore (Domenicale), 24 maggio 1998

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    Si impone il problema della selezione e classificazione dei tipi di entit ai quali vogliamo concedereun posto nel nostro inventario ontologico. Su certe categorie c poco da discutere: un vaso, unapietra, un satellite sono oggetti fisici; luccisione di Rossi e il rigore fallito da Del Piero sono eventi.

    Accanto a questi casi chiari vi per una variet di entit la cui caratterizzazione ontologica tuttaltro che ovvia. Che cos il denaro? Un programma software? una propriet immobiliare? Cosun confine nazionale? E che cosa sono le smorfie, le delusioni, le pettinature, le opere darte? Chegenere di cose sono queste e in che relazione stanno le une con le altre?I quesiti su cui si interroga lontologia riguardano il mondo di tutti i giorni: la natura delle nostre a-zioni, il legame tra pensiero e realt, lesistenza degli oggetti del senso comune. Non c da meravi-gliarsi se ualcuno comincia a vederci qualcosa di interessante, e forse anche qualcosa di utile.

    e) Accanto a questi problemi esistono quelli pi tradizionali: il problema degli universali, il problemadella essenza o della sostanza

    f) Cenni storicii) Parmenide . Padre e fondatore dell'ontologia, Parmenide, 505-504 ac, appartenente ai preso-

    cratici. Parmenide fu il primo a porsi la questione dell'essere nella sua totalit, dunque a porsi ilproblema, ancora alla sua genesi, dell'ambiguit tra i piani logico, ontologico, linguistico.

    ii) Platone, Aristotele , e, a seguire, tutta lafilosofia greca , elaborarono progressivamente que-sto ed altri temi, lasciando in eredit alla filosofia quello che considerato il problema "par exel-

    lence": il problema dell'esistenza nella massima estensione del suo concetto. In particolare Ari-stotele descrisse l'ontologia (pur senza usare questo termine) come "la scienza dell'essere inquanto essere". La parola in quanto vuol dire 'riguardo all'aspetto di'. Secondo questa teoria,quindi, l'ontologia la scienza dell'essere riguardo all'aspetto dell'essere, o lo studio degli esserinella misura in cui questi esistono.

    iii) Cartesio : la riflessione di Cartesio ripropose il problema in una nuova chiave, fu il primo (seb-bene alcuni non lo ritengano) a dimostrare l'indubitabilit (performativit) dell'asserzione fonda-mentale: "cogito ergo sum". Egli ripropose dunque il tema ontologico nella sua chiave esistenzia-le, precipitando nel profondamente criticato solipsismo.

    iv) Kant. Il problema ontologico venne in seguito ripreso ed elaborato da Kant. La sua elaboratateoria, sempre sottoposta al continuo vaglio degli studiosi, incentrata su diversi punti, da unaparte la famosa differenza tra "avere 100 talleri e pensare di averli", vuole indicare la dimensio-ne puramente empirica dell'esistenza, dall'altro l'ideale della ragion pura si configura come lastruttura ultima della ragione, la quale pensa l'essere come "l'insieme di ogni possibilit per ladeterminazione completa d'ogni cosa" ma appunto solamente come un "idea".

    v) Hegel. In seguito fu l'idealismo tedesco ad elaborare tale tema. Con Hegel il problema ontologi-co, nelle sue possibili ramificazioni, divenne ad essere il nodo centrale di molte filosofie che a luiseguirono. Con l'asserto "tutto il reale razionale, tutto il razionale reale", e con la sua dialet-tica triadica, Hegel sostenne la possibilit del sapere assoluto, essendo lo "spirito" (l'essere) logi-camente comprensibile.

    vi) Dopo di lui in molti riproposero il problema, che in verit trattato in modo pi o meno indirettoin ogni filosofia.(1) Una sostanziale indifferenza ad ogni prospettiva di tipo realistico e unautentica avversione

    per il principio dell analogia entis sono i tratti pi caratteristici della discussione che si svilup-pa nei primi decenni del secolo presso i teologi protestanti, e della quale protagonista indi-scusso Karl Barth . Il documento pi noto della riflessione di Barth costituito dal lungocommento alla pi celebre delle epistole di san Paolo:Lepistola ai Romani . La teologia dellacrisi di Barth si ispira al pensiero di Kierkegaard nel sostenere che tra uomo e Dio esisteuna infinita differenza qualitativa, unassoluta e sostanziale alterit, una distanza non elimi-nabile. Partendo dallessere delle creature e dalla conoscenza umana non si pu dire alcun-ch di Dio, del suo essere, della sua esistenza e dei suoi attributi. Dio, anzi, deve essereconcepito come la radicale negazione dellumano, come la sua sostanziale messa in crisiLa

    linea della morte resta invalicabile, segnando senza possibilit di recupero la dimensione incui vive lessere di Dio e quella in cui si muove la storia delluomo, inevitabilmente assogget-tata alla temporalit, alla stoltezza, allambiguit. Barth rifiuta la divinizzazione delluomo elumanizzazione di Dio, tipiche della teologia liberale, abbandona lidea dell analogia entis ,cio la via che va dal basso verso lalto, perch una forma dellorgoglio umano, e afferma

    la necessit dell analogia fidei , nella quale la ragione umana abdica, permettendo a Dio diaprirsi a noi: sia la nostra salvezza sia la nostra conoscenza di Dio sono interamente ed e-sclusivamente affidate alla rivelazione e allintervento verticale di Dio.

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    (2) Heidegger. S icuramente degno di nota Heidegger, che dell'essere fece la sua filosofia.Nel suo testo pi famoso, "Essere e tempo" compie la radicale distinzione tra ontico e onto-logico, ovvero tra esistenza come semplice "presenza" (ente), e l'essere in quanto essere.Scopo del suo pensiero fu compiere una "ontologia fondamentale". Questa ontologia si radi-ca sulla differenza ontologica tra essere ed ente, in cui si mostra appunto l'irriducibilit del-l'essere a semplice essente. L'essere viene qui inteso come l'altro dell'ente, ossia ci cherende possibile l'apparire dell'essente, ma che nel contempo si vela in questa apertura. L'on-tologia fondamentale dunque per Heidegger pensare l'essere come "l'altro" dell'essente.Heidegger in tal senso usa la parola Lichtung, la quale significa propriamente "radura", edinfatti l'essere la radura dell'essente, ma essendo questa radura la sua essenza sta nel suostesso "diradarsi". Se l'essente ci che presente, allora l'essere non altro che la pre-senza stessa, la quale appunto non appare, ma rende possibile l'apparire solo nel suo fon-damentale diradarsi.

    (3) G. Marcel intre et avoir (1935) e inLe mystre de ltre si confronta col problemadellessere. Gi nel primo testo Marcel stabilisce una sostanziale coincidenza tra mistero eontologia; lessere appartiene alla sfera del mistero, per cui non un problema, ma un me-taproblema, nel senso che la sua indagine coinvolge nel profondo anche il soggetto che sitrova a condurla. Componente fondamentale del pensiero di Marcel, convertitosi

    dallebraismo al cattolicesimo nel 1929, la riflessione condotta ancora intre et avoir sul tema dellindeterminatezza dellessere. Pur accettando il principio aristotelico-tomisticoper cui in ogni conoscenza particolare implicita, presupposta una conoscenza dell esserein generale, Marcel sottolinea come lindeterminatezza dellessere si scontra immediatamen-te col principio di identit, principio per il quale ogni ente pensabile ed quello che inquanto determinato, se stesso e non un altro (indivisum in se et divisum a quolibet alio ,nella formulazione tomistica e scolastica). Alla luce di questo principio, si deve concludereche anche la nozione di essere utilizzabile esclusivamente nellambito del determinato,dellesperienza, dellesistenza.

    LESSERE. Un problema: realt o pensiero?

    t gr aut noein estin te ka einai.Pensare ed essere sono la stessa cosa.Parmenide (Clem. Alex. Strom.VI 23=Plotino V,1,8).E necessario che il dire e pensare sia lessere.

    Parmenide (Simpl. Phys. 117,2).esti gr einai, medn douk estin.

    Lessere , il nulla non .Ibidem.

    Il principio della retta filosofia conoscere lessere; lo studio dellessere si chiama, tradizionalmente,ONTO-LOGIA. Nella nostra cultura occidentale, come la chiamano, si trovano diverse concezioni sullessere.1) Nella prima concezione, oggi parecchio diffusa, lessere qualcosa di eterogeneo al pensiero, sta in uno

    spazio inteso come extramentale ed una serie di cose inintelligenti, senza coscienza, che non si pensa-no da s, n sono pensate da nessuno; dunque, in questa visuale, lessere non si causa da s, ma fat-to di materia. Ma, di nuovo, la materia viene intesa come eterogenea al pensiero, inerte, estesa e gra-ve, priva di coscienza. La realt sarebbe, dunque, qualcosa di oggettivo, il che significa che le cose, peressere reali, debbono stare fuori da un soggetto; sicch, nel linguaggio di chi aderisce a questa conce-zione, soggettivo sarebbe sinonimo di non reale. Incoerentemente, per, costoro definiscono la real-t ci che cade sotto ai sensi, senza rendersi conto che le percezioni sensibili sono, per definizione,soggettive. Come potrebbe esserci una percezione senza un soggetto che la percepisce? Ma secondo co-storo le percezioni dei sensi sarebbero rappresentazioni causate da queste cose che esistono per sfuori dal pensiero e fuori dai soggetti che le percepiscono. Nellaccezione pi moderna la materia di cuisono fatte le cose viene rappresentata come energia, ma sempre intesa come qualcosa di eterogeneo alpensiero ed extramentale. Di contro, la coscienza e i suoi contenuti non sarebbero niente di reale, matutto ci che viene dal pensiero considerato, in questo tipo di visuale, soggettivo (il che come direnon esistente), qualcosa di fantasmagorico e immaginario, cio irreale.

    a) Quindi, secondo questi, che chiameremo materialisti, perch pongono la materia alla basedellesistenza delle cose, la conoscenza sarebbe valida solo quando possibile dimostrare che essaricalca, ripetendone nella nostra mente la forma, le cose esterne. Lunico tipo di conoscenza che vie-ne considerata scientifica da costoro quella a posteriori, che si basa sullesperienza organizzandola

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    in teorie mediante metodo sperimentale, altrimenti detto ipotetico-deduttivo, la cui introduzione siattribuisce a Galileo Galilei. Notiamo come la pretesa di chiamare oggettiva una conoscenza basa-ta sulle immagini dei sensi sia incoerente e contraddittoria, perch, come gi detto, le percezionisensibili sono tutte soggettive. Per definizione, lesperienza non mai oggettiva, perch c espe-rienza solo in un soggetto che esperisce, fuori no. Il presunto sapere fondato sullesperienza un e-dificio fondato sulla sabbia.

    b) Pi in generale, la pretesa che esista una conoscenza oggettiva un problema serio sul nostrocammino. Infatti, se la conoscenza diversa dallessere, non si arriver mai a conoscere lessere: selessere una cosa fuori dalla mente, non si arriver mai a dimostrare che la rappresentazione diquella cosa, che sta dentro alla nostra mente, corrisponda davvero a quella cosa. Nei nostri sensivediamo immagini e non cose, e le immagini dei sensi sono tutte soggettive, stanno tutte dentro aun soggetto (la sensazione esiste se un soggetto la sente, altrimenti dove sta?) e non sono oggettivecome pretendono i materialisti. La pretesa di trovare un sapere oggettivo irrealizzabile. Noi vedia-mo la materia estesa, ma lestensione unimmagine: estensione e immagine estesa sono espres-sioni equivalenti; se le cose sono altro dallimmagine, come potrebbero essere estese? Le cose chenoi vediamo hanno forma. Ma le forme che noi vediamo sono rappresentazioni, sono pensieri; se lecose non sono pensieri, come avrebbero forma? Un essere fuori dal pensiero non potrebbe esserenemmeno pensato, sarebbe inconoscibile.

    c) Quando i materialisti si accorgono che la rappresentazione oggettiva non esiste, che una contrad-dizione in termini, perch le rappresentazioni sono immagini e dunque stanno tutte dentro a un sog-getto che le pensa, vanno a cercare loggettivit nella misurabilit, introducendo la convinzione as-surda che sia reale (continuando a identificare il reale con loggettivo) solo ci che misurabile. Manon si rendono conto che anche le misure sono pensieri e rappresentazioni in un soggetto. Il nume-ro un concetto e dunque prodotto dal pensiero, la linea mediante cui misuriamo la lunghezza unimmagine nella nostra coscienza e lunit di misura mediante cui misuriamo una convenzione,cio un prodotto del pensiero. E il calcolo del rapporto tra la grandezza da misurare e lunit di misu-ra che ci che noi chiamiamo misurare- unoperazione mentale. Quando io misurounestensione, un volume o qualsiasi altra grandezza, tutta questa operazione rimane completamen-te sul piano dellimmagine soggettiva, poich lestensione, il volume, etc. sono immagini, e le unitdi misura mediante cui compio loperazione anchesse sono immagini, e il calcolo che ne ricavo prodotto dal mio pensiero, poich se nessuno pensa il numero, il numero da s non esiste. Sicch, larappresentazione di una cosa misurata non pi oggettiva di una non misurata: solo pi dettaglia-ta e precisa, ma sempre soggettiva. Se la realt delle cose dipendesse dalla nostra capacit di mi-surarle, significherebbe che, appena inventato qualche strumento utile a misurare qualcosa, questacosa diventerebbe reale di colpo, da irreale che era. Forse che il peso non esisteva prima che noi in-ventassimo le bilance? Ma certo che cera: il peso reale quando una coscienza lo percepisce.

    d) Un altro problema in cui si imbrogliano i materialisti che, nella loro ottica, bisognerebbe distingueretra le rappresentazioni di cose reali e rappresentazioni che non corrispondono a nulla di extramenta-le, che vengono considerate sogni o allucinazioni. E sempre il problema delloggettivit, ma posto inaltri termini: dato che la loro scienza deve fondarsi sullesperienza, e dato che considerano scienzasolo un sapere oggettivo, sorge in loro il problema di quale esperienza oggettiva e quale no. Noiabbiamo gi risposto che nessuna esperienza oggettiva, poich non vi esperienza senza un sog-getto che esperisce. Ma essi, usando malamente il linguaggio, considerano oggettiva lesperienzaquando intersoggettiva: infatti considerano sensazioni oggettive quelle condivise da tanti sogget-ti e chiamano invece sogni o allucinazioni quelle che stanno in un soggetto solo. Ma perch le rap-presentazioni collettive dovrebbero essere pi reali di quelle individuali? La collettivit costituita dasingoli individui, quindi se non ha valore di realt la rappresentazione del singolo individuo, non havalore nemmeno quella della collettivit. Le percezioni intersoggettive non sono oggettive, sono col-lettive, ma sempre soggettive. Dunque se non hanno valore di realt le percezioni soggettive, nem-meno le percezioni collettive hanno valore di realt. Inoltre, come potr dimostrare che gli altri chevedono il mio stesso mondo non siano allucinazioni nella mia mente? Quando vedo le altre persone,ho sempre comunque delle immagini, delle rappresentazioni soggettive di loro; come faccio a sapereche corrispondono a qualcosa di extramentale? Anche questa idea che sia oggettivo ci che inter-soggettivo, dunque, assurda.

    e) Lunico modo di uscirne dare valore a tutte le percezioni, senza distinguere quelle reali da quelle

    allucinatorie: chiamiamo reale ci che il soggetto vede, sente, percepisce, prova dentro di s senzapretendere che questo sia condiviso e che corrisponda a qualcosa di esterno, e cos usciremo damolti intrichi. Insomma, accettiamo tutti i contenuti della nostra coscienza: poi ci rester solo da

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    classificarli a seconda di quello che significano. Laltra via, quella della ricerca di un sapere oggettivo, quella sbagliata: non ci porter mai allessere, perch lessere non una serie di oggetti.

    2) Il giusto concetto di essere quello che o afferma una stretta relazione tra pensiero ed essere o identifi-ca lessere con il pensiero.a) La prima posizione tipica della filosofia classica; il limite che questa filosofia, di fatto, a partire da

    Parmenide d per scontata questa stretta relazione essere e pensiero, questa capacit del pensierodi riflettere lessere, e, nonostante le obiezioni (per es. di Gorgia) non si preoccupa di dimostrarla.Potrebbe essere una giustificazione di questa stretta relazione, il fatto che il pensiero (anche fosseun pensiero scorretto pure qualcosa) partecipa strettamente dellessere (anche il pensiero esse-re) e per questa sua partecipazione in grado di cogliere lessere stesso. In questa concezionelessere, pur avendo una sua autonomia, viene colto dal pensiero a partire dallesperienza concreta.Solo che lesperienza concreta non risolve tutto lessere proprio perch il pensiero, per giustificarequesto essere sensibile deve trovare un fondamento che sar non sensibile. Viene quindi affermatauna dimensione sensibile e una soprasensibile, ma coglibile dallintelletto, dellessere.

    b) La seconda posizione quella sostenuta dalla filosofia moderna (anche se potrebbe trovare una par-ziale giustificazione in una filosofia antica non proprio correttamente interpretata. Essere e pensierosono due parole, due segni diversi, ma che evocano entrambi un unico significato: lessere. Pensare,essere, coscienza, anima, spirito, io, etc. sono tutte espressioni sinonime, tante parole ma un signifi-

    cato solo. Chiamiamo dunque essere il pensiero e pensiero lessere, e consideriamo questa identitcome nostro punto di partenza e fondamento. Questa concezione sembrerebbe, a chi sostiene que-sta posizione, affacciata per la prima volta nella nostra cultura occidentale nella scuola eleatica,fondata daParmenide di Elea nella seconda met del VI secolo a.C. e avrebbe trovato in Platone ilsuo massimo maestro. Questa concezione dellessere, sarebbe frutto di quello che Platone (Repub-blica 515c) chiama periagein,convertire locchio spirituale, lintelletto, rivolgendolo dalla parte giusta,non pi verso le immagini dei sensi ma verso lessere, cio verso se stesso. Ci che visibile e sen-sibile, individuale, in divenire temporale non vera realt, ma solo immagine e il mondo delle im-magini sensibili pu da noi essere chiamato, come nella tradizione platonica, divenire. Il rapportotra essere e divenire quello tra realt e immagine. La vera realt coscienza e conoscenza di s,cio pensiero e idee. Le idee sono rappresentazioni che il pensiero ha di s; e nel pensiero troviamoanche affetti, che possono essere desideri o paure, ovvero sentimenti di piacere e di doloreNellessere vi un nucleo immobile, eterno, e una rappresentazione in movimento, temporale. Ledue cose non sono in contraddizione, perch lessere non una cosa, ma pensiero; e il pensiero potenzialit infinita che pu produrre tutto diventando tutto.Quando il pensiero conosce s stesso, vede il nucleo eterno dellessere, quello cheParmenide hachiamatoil cuore immobile della verit ben rotonda (framm. B1,29). Questo consiste in una serie dienunciati necessariamente veri, frutto dellapplicazione del principio di non contraddizione. E neces-sariamente vero ci il cui contraddittorio reca contraddizione e dunque sempre falso. E il principiologico che genera il metodo assiomatico-deduttivo di cui si serve la geometria per enunciare i suoiteoremi.Il primo enunciato necessariamente vero, e dunque eternamente vero, quello che dice: lessere ,il nulla non . Ecco come lo enuncia Parmenide (framm. B2,3):il primo metodo -quello corretto- di- ce che lessere e che il non essere non ; e ancora (B6,1-2): lessere, il nulla non . Il pensieroche si pensa come essere, dunque, si trova, in primo luogo, necessariamente esistente.Il pensiero che conosca la retta idea di essere, dunque, vede in s stesso la verit necessaria, com-pie eternamente latto di pensarla, si fa immobile ed eterno fissando la verit che non muta mai,perch la sua negazione non pu avverarsi, essendo contraddittoria. Esso akineton megalon en

    peirasi desmon (immobile nel limite di possenti legami ), come dice Parmenide (B8,26) ed i legamisono, appunto, le leggi logiche del pensiero; e con estrema chiarezza Permenide ci spiega che esse-re pensiero:tautn dest noein te ka houneken esti noema. ou gr haneu tou eontos, en oi pe-

    phatismenon esti, eureseis t noein. E la stessa cosa pensare e che il pensiero ; infatti senza lessere non troverai il pensare, in esso si esprime (B8,34-36). Il pensiero, quando pensa, sa di es-sere; e sa di essere espressione dellessere

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    Ontologia e interpretazione 2

    1) La filosofia nasce da una domanda che se non presente da subito in tutta la sua evidenza, per di fat-to la accompagna sempre, e accompagna non solo la filosofia. La formulazione rigorosamente filosoficadi questa domanda data da Leibniz: ratio cur aliquid potius existat quam nihil, Pourquoy il y a plu-tt quelche chose que rien. Questa domanda evidenziaa) da un lato l'inevitabilit del contrasto tra la riflessione e l'iniziale stupore di fronte all'essere e,b) dall'altro, la portata filosofica propria della delucidazione della domanda stessa come tentativo di di-

    re, in fondo, l'originario. In essa ne va tanto dell'interrogante quanto dell'interrogato.2) Essa indice del desiderio di verit che appartiene alla natura stessa dell'uomo, una disposizione nel

    domandare inevitabile e incessante che interroga s e la natura delle cose. E come ogni domandare im-plica necessariamente un domandante e un domandato, allo stesso modo l'interpretazione, possibile ten-tativo di accedere alla verit, si modula in un interpretante e un interpretato. Nella prospettiva dell'er-meneutica contemporanea l'interpretazione la risposta alla domanda originaria, la quale, essendo unarichiesta di senso che rimane identica a se stessa pur nella molteplicit delle diverse dizioni e delle diver-se risposte che compongono il simposio filosofico, si svela incessante.

    3) La stessa possibilit della molteplicit delle interpretazioni data dalla inesauribilit dell'interpretato. Ta-le inesauribilit sospende la classica scissione gnoseologica tra un soggetto che conosce e un oggettoche viene conosciuto, che risulterebbero fuorvianti e inadeguati per elucidare il nesso tra il domandantee il domantato.a) La domanda un appello all'essere e alla verit e il rapporto tra l'interrogante e l'interrogato si con-

    figura come il rapporto tra uomo e verit.b) E la possibile risposta filosofica, ossia l'interpretazione, il nesso che tiene unita la persona all'esse-

    re. Se soggetto e oggetto non sono pi adatti a esprimere la relazione che intercorre tra l'interpre-tante e l'interpretato perch la verit non pu essere oggetto della filosofia e quindi del pensiero, ilche fa cadere anche l'altro polo di riferimento. Infatti, essendo la verit sempre ulteriore, essa risie-de nella sua formulazione pi come origine che come oggetto del discorso.

    c) La verit quindi viene ad essere origine del pensiero e fonte del discorso, e pu essere possedutasolo personalmente. L'interpretazione sempre personale; il che significa che essa il risultato d'un

    concreto esercizio di libert mediante il quale noi scegliamo se ribadire il vincolo originario che ci so-stiene o rinnegarlo.4) L'interpretazione l'unica forma di conoscenza capace di possedere un infinito perch disposta ad acco-

    gliere una presenza che vi risiede sempre come ulteriore. La verit infatti non si esaurisce nella sua for-mulazione ma ne suscita sempre di nuove. L'ontologia viene quindi a configurarsi come una ontologiadell'inesauribile che non consente l'esplicitazione completa ed esaustiva della verit, ch, qualora que-sta ci fosse, sarebbe un sovrapporsi, un sostituirsi dell'interpretazione alla verit, ne diverrebbe un sur-rogato, ne prenderebbe il posto. Tra la formulazione e la verit deve mantenersi uno scarto affinchquesta venga garantita nella sua essenza e rispettata come inesauribile e inoggettivabile, in modo danon essere posta dinanzi all'interpretante come oggetto, e non essere esaurita da una definizione o dauna serie di definizioni disposte a costruire un sistema nel quale imprigionarla.

    5) La verit non si esaurisce perci nella sua formulazione, ma neppure le totalmente eterogenea, poich sostenuta dalla solidariet originaria che stabilisce un vincolo fortissimo tra la persona e la verit. Nesegue che sia il mito razionalistico dell'enunciazione definitiva della verit, sia l'irrazionalismo dell'ineffa-bilit assoluta sono inconciliabili con una ontologia dell'inesauribile, poich,a) da un lato, la verit si lascia cogliere solo quando pu stimolare una rivelazione interminabile, e non

    gi quando la formulazione pretende di rendersi definitiva ed esaustiva (cfr. Hegel che fa del propriometodo la verit senza che vi sia alcun residuo, alcuno scarto: la dialettica hegeliana il dispiega-mento dello Spirito assoluto che ingloba tutto, tiene fermo tutto senza lasciare irrisolta alcuna cosa.Questa la completa adeguazione tra la verit e la sua formulazione, la coincidenza di metodo e ve-rit, quando il dispiegamento compiuto e la meta raggiunta. Solo che ci il falso, la monopoliz-zazione della verit, poich l'interpretazione che pretende di esaurire la verit la tradisce invece nellasua essenza e nella sua realt, quella di essere infinita, inoggettivabile e inesauribile.).

    b) Dall'altro, l'inesauribilit della verit non attesta neppure che ogni formulazione risulta inefficace,come invece promuove l'ontologia negativa, la quale stabilisce l'inadeguatezza di ogni discorso (cfr.Heidegger che finisce per sostenere l'ineffabilit e l'inafferrabilit dell'essere. Ci troviamo di fronte al-

    2 Maria Cristina Di Nino, Verit, interpretazione, inesauribilit e approfondimento. La domanda originaria in Luigi Pareyson, inhttp://mondodomani.org/dialegesthai/cdn01.htm#par1#par1

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    l'impossibilit del discorso di farsi sede della verit e, quindi, abbiamo l'approdo nel silenzio. L'esattocontrario della corrispondenza hegeliana del concetto all'oggetto e dell'oggetto al concetto appuntol'incapacit di qualsiasi concetto di adeguarsi alla e di esprimere la verit.).

    c) Contro Hegel. Nellermeneutica lidentit di interpretazione e verit, esclude la confusione tra la veri-t e la sua formulazione, nella quale questa risiede sempre come ulteriore; viene quindi mantenutouno scarto indicativo della impossibilit di esaurire una verit infinita.i) Il filosofo non pu assolutamente assurgere a un punto di vista assoluto che ci consenta di co-gliere l'infinito direttamente come un oggetto da collocare in un sistema.ii) La formulazione della verit pu essere data solo personalmente, poich solo la persona pu es-

    sere via d'accesso alla verit in virt del suo stretto legame con essa. Di conseguenza, dalla con-cretezza della persona non si pu prescindere. L'uomo interpretazione della verit ma questainterpretazione ben lontana dal configurarsi come esaustiva ed esauriente, essa una prospet-tiva e come tale coglie la verit nell'unico modo in cui pu possederla: personalmente e comecostante e incessante ricerca. La vita infatti, e anche la filosofia, fatta di scelte. Non si putrattenere tutto, bisogna scegliere e scegliendo sappiamo anche che qualcosa andr irrimedia-bilmente perduto. Ma questo costitutivo dell'uomo che inizia sempre dalla scelta, decide di u-n'alternativa, e molto spesso i termini di questa alternativa non possono essere mediati e con-servati perch la scelta determina la direzione di tutto il percorso filosofico ed esistenziale. Noi

    siamo compromessi nelle nostre interpretazioni e il compromesso conseguenza delle nostredecisioni e delle nostre scelte; siamo posti di fronte a un'alternativa in cui ne va della nostra esi-stenza: dobbiamo scegliere se essere fedeli all'essere o rinnegarlo. Dipende da questa scelta ori-ginaria la possibilit di divenire prospettiva sulla verit. Non bisogna dimenticare che la filosofianon esiste indipendentemente dal filosofo: la persona e la sua esperienza precedono sempre lariflessione. La riflessione sempre su qualcosa, in questo caso sull'esistenza. L'esistenza attestail nostro legame con la verit, essa ci che ci consente di avere un'interpretazione della verit, la nostra via d'accesso all'essere. per questo che filosofando noi ci compromettiamo, met-tiamo in gioco noi stessi.

    d) Contro Heidegger. Se la verit ulteriore rispetto alle sue formulazioni ci non da imputare all'ina-deguatezza della formulazione o all'inafferrabilit della verit, ma alla sua inesauribilit che esige unapluralit di formulazioni che non per questo possono essere considerate parziali o unilaterali, poichognuna di esse possiede la verit nell'unico modo in cui si lascia possedere: personalmente e infini-tamente.

    6) Occorre abbandonare questo schema inadeguato e ricorrere nuovamente all'interpretazione come unaforma che possa essere possesso di un infinito, infatti essa rappresenta il tentativo di trovare un acces-so al dire la verit che non si arresti all'alternativa, ugualmente paralizzante, di doverla contenere tutta odi incontrarla solo come assente, di esaurirla o di non poterla dire perch ineffabile3. La completa lumi-nosit come l'oscurit pi impenetrabile non lasciano vedere. Il vedere consentito proprio grazie a unaopacit che ci connaturale, che pu divenire un limite ma anche svelarsi una possibilit. L'interpreta-zione, presuppone un'inseparabilit di manifestazione e latenza. Tanto la completa presenza della veritquanto la sua completa oscurit, o assenza, non consentirebbero l'interpretazione, processo che prendele mosse dal rapporto ontologico della persona con la verit e che suppone appunto un'inseparabilit dimanifestazione e latenza, vicinanza e distanza. L'opacit chiarisce perfettamente quella che secondoRicur la nostra posizione di mediet, che non una connotazione spaziale, bens una condizione esi-stenziale, conseguenza dell'antropologia della sproporzione per la quale l'uomo non n totalmente fini-to n infinito, ma un essere mediatore4.

    Non un culto razionalistico dell'esplicito, n un'ontologia negativa -- non si vuole arrivare n all'identit di es-sere e pensiero, reale e razionale, n alla cessazione del discorso, all'arresto nel silenzio -- ma una ontologia

    3 Ugo Perone, Modernit e memoria, SEI, Torino, 1987, 27

    4 Paul Ricur, a riguardo della sproporzione dell'uomo, affronta il discorso prendendo le mosse da Platone e da Pascal. Il mito di Erosdel Simposio e la meditazione sulla grandezza e la miseria dell'uomo pascaliano forniscono a Ricur il materiale per una riflessione sullaposizione intermedia dell'uomo. L'immediatezza della figura mitica di Eros mostra nella sua discendenza da Poros e Penia la sproporzio-ne dell'uomo: Ecco dunque il principio di opacit, per render ragione dell'aspirazione dell'essere occorre una radice di indigenza, di po-

    vert ontica. Eros, l'anima filosofante, quindi l'ibrido per eccellenza, l'ibrido di Ricchezza e Povert (Paul Ricur, Finitudine e colpa, acura di V. Melchiorre, Il Mulino, Bologna 1960, p. 79). Lo stesso tema affrontato da Pascal nei suoi Pensieri: Che cos' l'uomo nellanatura? Un nulla in confronto con l'infinito, un tutto in confronto al nulla, qualcosa di mezzo tra il tutto e il nulla. [...] Limitati in ognicampo, questa condizione, che occupa una posizione intermedia tra i due estremi, si ritrova in tutte le nostre facolt (Blaise Pascal,Pensieri, Brunschvicg n. 72).

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    dell'inesauribile che trova conferma nell'autorevolezza della speculazione schellinghiana5. Negli scritti delleConferenze di Erlangen Schelling, parlando dell'indefinibile, afferma che si pu definire solo ci che per natu-ra rinchiuso in limiti determinati. Ma l'indefinibile che il veramente infinito non pu essere rinchiuso innessuna forma, anche se esso, come dice Schelling stesso, non cos indefinibile da non poter diventareanche un definibile, non cos infinito da non poter diventare anche finito, non cos inafferrabile da non poterdiventare afferrabile. E se voi tenete ben fermo ci ecco che voi avete il concetto positivo. Infatti, per potersirinchiudere in una forma deve essere certamente al di fuori di ogni forma, ma non questo, l'essere al di fuoridi ogni forma, l'essere inafferrabile, in lui il positivo, bens il fatto che pu rinchiudersi in una forma chepu farsi afferrabile, il fatto dunque che libero di rinchiudersi e di non rinchiudersi in una forma. D'altraparte, fin dall'inizio si afferm non gi che esso sia semplicemente ci che privo di forma e di figura, masoltanto che non permane in nessuna figura, non si lascia avvincere da nessuna figura. Noi presupponemmoquindi espressamente che esso assuma forma, giacch solo in quanto assume forma, ma da ciascuna tornaa uscire vittoriosamente, esso si palesa come ci che in s inafferrabile, infinito. Non sarebbe pi libero diuscire da ogni forma, se fin dall'inizio non fosse stato libero di assumere e di non assumere forma. Io dico:fin dall'inizio giacch una volta che ha assunto forma, forse non capace di emergere immediatamente nellasua libert, ma solo in quanto passa attraverso tutte le forme. Ma tuttavia originariamente libero di rin-chiudersi e di non rinchiudersi in una forma. Non vorrei per esprimerlo in questo modo: esso ci che li-bero di assumere forma. Infatti, in tal modo, questa libert apparirebbe come una propriet che presuppone

    un soggetto distinto e indipendente da essa; mentre invece la libert l'essenza del soggetto, ossia essostesso non altro che l'eterna libert6.

    ONTOLOGIA ARCAICALa nascita della filosofia crediamo possa essere intesa come il momento di sedimentazione di procedure logi-co-cognitive la cui genesi da rintracciare in epoche precedenti e delle quali si esemplarmente interessatoMircea Eliade.Nel suoIl mito delleterno ritorno 7 , Eliade puntualizza alcuni aspetti rilevanti della mentalit arcaica, tutti ruo-tanti attorno ad un modello di temporalit ciclica. La realt terrena si sarebbe originata attraverso un proces-so di creazione o emanazione attuato da divinit che continuerebbero ad albergare e regolarelorganizzazione del cosmo stesso. E in altri termini un fattore, una forza superiore alla natura stessa ma

    allo stesso tempo ad essa immanente a governare, a dare ordine e senso alla realt degli uomini. Questointervento costante di regolazione e ordinamento del cosmo intuibile, per la mentalit arcaica, nella tempo-ralit ciclica che presiede il disporsi di ogni evento naturale: ogni civilt rurale tenderebbe, in tal senso, a in-scrivere la natura in un ordine fissato, stabilito e scandito nel sempiterno ripetersi dei ritmi naturali. Il perpe-tuarsi dellordine ripetitivo degli elementi naturali, detto altrimenti, avrebbe offerto uno schema di inquadra-mento degli accadimenti attorno al quale sarebbe emersa quella che lo stesso Eliade ha chiamatoontologia arcaica .Questa ontologia evidentemente non formulata in un linguaggio teorico ma attraverso simboli, miti e riti tenderebbe a trasporre la temporalit concreta, lineare, della quotidianit, in un piano temporale diverso:quello appunto della ripetizione, delleterno ritorno delluguale. Dire eterno ritorno delluguale significa pen-sare agli accadimenti della vita umana non come ad eventi unici ed irripetibili, bens come costante riproporsidi casi che hanno la loro origine e il loro senso in episodi mitici occorsi in un Tempo originario (ossia in

    un extra-tempo) e ai quali occorre rinviarli per dare loro una logica: Nel particolare suo comportamento co-sciente il primitivo, luomo arcaico, non conosce atto che non sia stato posto e vissuto anteriormente da unaltro,da un altro che non era un uomo . Ci che egli fa, gi stato fatto ; la sua vita la ripetizione ininter-rotta di gesti inaugurati da altri8. Di conseguenza, () un oggetto o un atto diventa reale soltanto nellamisura in cuiimita o ripete un archetipo. Cos, larealt si acquista esclusivamente in virt diripetizione e

    partecipazione ; tutto quello che non ha un modello esemplare privo di senso, cio manca di realt9. La

    5 In Schelling infatti coesistono la pi lucida e critica speculazione con la mistica pi schietta e incontaminata, in modo che n la misti-ca annulla la chiarezza della riflessione n la filosofia dissolve in s la profondit della mistica, ma l'una e l'altra, connesse ma non giu-stapposte, si colorano e si esaltano a vicenda, mutuandosi reciprocamente il significato profondo e il tono generale del pensiero (LuigiPareyson, Introduzione, in: F.W.J. Schelling, Scritti sulla filosofia, la religione, la libert, Mursia, Milano 1974, p. 29)

    6 F.W.J. Schelling, Scritti sulla filosofia..., ed. cit., p. 205

    7M. ELIADE,Il mito delleterno ritorno , tr. it. Rusconi, Milano 1975

    8 Ivi , p.15

    9 Ivi , p. 41. In luogo di accadimenti, oggetti o persone concrete si istituirebbero cos categorie, forme, simboli.

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    evocato dallimmagine del dio di Delfi, e, possiamo aggiungere noi, il dio dei poeti, che non dice n na-sconde, ma indica 26, vale a dire, accenna a qualcosa ambiguamente, per essere inteso solo da coloro chesanno comprendere i semplici cenni. E del resto Occhi ed orecchie sono cattivi testimoni per gli uominiche hanno anime barbare27, cio, come spiega la pensatrice, se essi non posseggonologos per i Grecinon semplicemente il discorso, ma il dono dellargomentazione razionale che li distingueva dai barbari. In-somma, lo stupore ha condotto a pensare in parole; dellesperienza dello stupore dinanzi allinvisibile manife-sto nelle apparenze si appropriata la parola, che nello stesso tempo abbastanza forte per fugare gli errorie le illusioni cui sono soggetti i nostri organi volti al visibile, occhi ed orecchie, a meno che il pensiero nonvenga loro in soccorso. E continua: Da ci dovrebbe risultare palese come lo stupore in cui cade il filosofonon possa mai concernere qualcosa di particolare, ma sia sempre suscitato da una totalit che diversamentedalla somma totale degli enti, non mai manifesta. Il riferimento certamente a quella physis del fr. 123DK prima citato, cio il processo attraverso il quale tutte le cose vengono ad essere. E ancora: Larmonia diEraclito si produce attraverso il con-sonare dei contrari un effetto che non pu essere propriet di un sin-golo suono particolare. Tale armonia in un certo senso separata dai suoni che la producono, proprio comeilsophon , che pu e non pu essere chiamato col nome di Zeus 28, separato da tutte le altre cose29.

    Il richiamo agli ultimi due frammenti consente pertanto alla pensatrice di portare ulteriori elementiallassunto di fondo, cio che a guidare la ricerca dei primi filosofi sia stata la necessit di superare langoscia

    di morte, individuando nelleffimero mondo degli enti qualcosa che potesse essere ricondotta allesperienzadel divino, anche se certamente non nominabile col nome di nessuna delle divinit tradizionali. Ancora piesplicito in questo senso il fr. 30 DK, citato a questo riguardo: l Essere , che non conosce nascita n morte,si sostitu per i filosofi alla semplice nonmortalit degli dei olimpici; lEssere divent la vera divinit della filo-sofia poich, secondo il celebre detto di Eraclito, non lo fece alcuno tra gli dei o tra gli uomini, ma sempreera e sar: fuoco sempre vivente, che si accende e si spegne secondo giusta misura30; e poco dopo ri-conosce che nel frammento citato questa nuova, sempiterna divinit si chiama ancorakosmos , (non ilmondo o luniverso, ma il loro ordine e la loro armonia).Nel saggioIl concetto di storia scritto molti anni prima, proprio questo frammento eracliteo viene ricordatocome esempio mirabile che esprime lidea che i Greci avevano dellordine cosmico e della natura, in quantoinsieme di cose che nascono da s, appunto senza alcun intervento umano o divino31: in tal modo ilkosmos del fr. 30 viene a coincidere con la physis del fr. 123. A questa natura armoniosa, increata ed immortale, e-ternamente presente nelle tre dimensioni del tempo, si oppone ancora una volta la vita umana, limitata nelsuo corso rettilineo tra la nascita e la morte, schiacciata quasi dal moto circolare dei processi biologici sem-pre rinnovantesi, perch questo lessere mortale: muoversi in linea retta in un universo dove tutto ci chesi muove segue, semmai, un moto ciclico32. Proprio questa labilit dellesistenza umana ha determinato nelmondo greco la concezione dellufficio proprio della storia, cio salvare ci che accade alluomo dalloblio,come chiaramente indica gi il proemio delleStorie di Erodoto.

    ERACLITONel frammento n. 52 [Diels] Eraclito afferma che"La vita un fanciullo che gioca, che sposta i pezzi sulla scacchiera: reggimento di un fanciullo" in questo consiste il significato dell'espressione di matrice eraclitea di"Innocenza del divenire". La metafora del gioco cosmico usata da Eraclito, che la prendeva a prestito dalla

    mitologia greca in cui una delle figure del dio Zeus proprio quella del bambino che gioca, alla base dimolte ontologie, non ultima quella di Friedrich Nietzsche.

    1) Il divenire , panta rhei: Fr A 6 (Platone,Cratilo , 402 a): Afferma Eraclito in qualche luogo che tutto scorre (pnta chore) e nulla permane (oudn mnei); Negli stessi fiumi scendiamo e non scendiamo,

    26 Fr. 22B 93 DK.27 Fr. 22B 107 DK.28 Fr. 22B 32 DK 29 Fr. 22B 108 DK 30 Fr. 22B 30 DK

    31 Il concetto di storia , in Tra passato e futuro , trad. it. Milano 1991, pp. 70-129, in part. pp. 70-71, e p. 295, n. 2.

    32 Ibid.p. 71. Lo stesso concetto espresso inVita activa. La condizione umana , trad. it. Milano 1964 (Chicago 1958), p. 15: Questavita individuale si distingue da tutte le altre cose per il corso rettilineo del suo movimento, che, per cos dire, taglia quello circolare della

    vita biologica. La mortalit questo: muoversi lungo una linea retta in un universo dove ogni cosa dotata di movimento si muove in unordine ciclico.

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    siamo e non siamo; (DK 22 B 49a); Acque sempre diverse scorrono per coloro che s'immergono negli stessi fiumi.(DK 22 B 12)

    2) La guerra dei contrari : Fr. B 126:Le cose fredde si riscaldano, il caldo si raffredda, lumido si dissec- ca, il riarso si inumidisce; Plemos (la guerra) padre di tutte le cose, di tutte re. (DK 22 B 53); Bisogna

    per sapere che la guerra comune a tutte le cose, che la giustizia contesa e che tutto accade secon- do contesa e necessita. (DK 22 B 80) . In questa guerra i contrari si danno reciproca comprensibilit (dol-ce amaro, sano, malato) a) guerra che pace e armonia ; i contrari si danno senso a vicenda:

    L'opposto concorde e dai discordi bellissima armonia. (DK 22 B 8) Non comprendono come, pur discordando in se stesso, concorde: armonia contrastante, come quella dell'arco e della lira; (DK 22 B 51) L'armonia nascosta vale pi di quella che appare. (DK 22 B 54)

    b) coincidenza dei contrari : Non dando ascolto a me, ma al Logos, saggio convenire che tutto uno (DK, FR 50). FR 39:il nome dellarco vita, ma la sua opera morte . FR 16:Nello stesso fiume entriamo e non entriamo, siamo e non siamo ; Fr. B 60La strada allin su e allin gi una so- la e la medesima

    3) Il fuoco: logos ;a) Logos, ragione, che verit e leggeb) tutto Uno33, DIO, che quindi armonia e unit degli opposti:: (Il dio) giorno notte, inverno e-

    state, guerra pace, saziet fame, e muta come il fuoco; (DK 22 B 67);i) Quest'ordine universale, che lo stesso per tutti, non lo fece alcuno tra gli di o tra gli uomini,

    ma sempre era e sar fuoco sempre vivente, che si accende e si spegne secondo giusta misu- ra; (DK 22 B 30)

    ii) Fr. B 1 Di questo lgos che sempre gli uomini non hanno intelligenza, sia prima di averlo a-scoltato sia subito dopo averlo ascoltato; bench infatti tutte le cose accadano secondo questolgos, essi assomigliano a persone inesperte, pur provandosi in parole e in opere tali quali sonoquelle che io spiego, distinguendo secondo natura ciascuna cosa e dicendo com. Ma agli altriuomini rimane celato ci che fanno da svegli, allo stesso modo che non sono coscienti di ci chefanno dormendo.

    4) Insufficienza della doxa: desti e dormienti34;a) necessit della ricerca anche perch la natura ama nascondersib) il punto di partenza della ricerca deve essere la propria interiorit: Io ho indagato me stesso

    5) Lirraggiungibilit dei confini dell'anima:Confini (peirata) all'anima peregrinando non troverai pur se tenti ogni via a tal punto profondo il suo logos

    PARMENIDE Anche Parmenide, come Eraclito, riflette esplicitamente sull'opposizione, ma egli si rivolge all'opposizionesuprema, quella dove i due opposti non hanno alcunch in comune, e cio quella dove uno dei due opposti -il niente - non "qualcosa" che possa venire conosciuto e intorno a cui si possa parlare, ma l'assolutamen-

    te niente, l'assoluto non-essere che non trova luogo all'interno dei confini del tutto 35

    .1) I Greci portano per la prima volta alla luce il senso dell'essere e del niente.a) I Greci evocano questo significato terribile e radicale - il significato del niente - nella sua contrappo-

    sizione infinita all'essere, come l'assoluta negativit che non ha alcunch dell'essere. In questo modoil processo del mondo acquista un carattere estremamente angosciante, proprio perch il pensierogreco e questa cosa apparentemente astratta che l'ontologia - la riflessione sull'opposizione infinitatra l'essere e il niente - evoca la minaccia estrema, quella dell'esistenza portata innanzi dall'annien-tamento delle cose. Ma il Greco evocatore della minaccia estrema insieme il Greco che va alla ri-cerca del rimedio contro la minaccia estrema.

    33 B 50: Ascoltando non me, ma il logos, saggio convenire che tutto uno

    34 La maggior parte degli uomini non intendono tali cose, quanti in esse si imbattono, e neppure apprendendole le conoscono, pur se ad

    essi sembra; (DK 22 B 17)Qual infatti la loro mente e la loro intelligenza? danno retta agli aedi popolari e si valgono della folla come maestra, senza sapere che imolti non valgono nulla e solo i pochi sono buoni; (DK 22 B 104)

    35 SEVERINO, La filosofia antica

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    b) Parmenide evoca l'estrema minaccia, la contrapposizione infinita tra l'essere e il niente, ma insiemeevoca il modo singolare di costruire un rimedio contro questa minaccia: il rimedio dato dalla meta-fisica e l'ontologia.

    2) In generale la prima grande soluzione, la prima grande forma di rimedio al dolore la filosofia: se noidovessimo fare rapidamente l'elenco delle forme di rimedio dell'Occidente dovremmo dire chea) la prima la filosofia, cio il fatto di sapere in modo incontrovertibile il senso del mondo, il senso u-

    nitario del mondo.b) Poi la grande forma di rimedio - quando l'esperienza antica del pensiero filosofico andata al tra-monto - il Cristianesimo

    c) e poi la scienza.3) Che cosa ci angoscia quando noi abbiamo a che fare con il dolore? Non il dolore che noi attualmente pa-

    tiamo, perch ci che patisco in questo momento - poniamo - ormai accettato, l e non c' nulla dafare, perch ormai recepito. Angoscia, invece, il fatto che il dolore abbia a continuare, facendoci chie-dere: "che ne sar di me tra un momento, domani, tra un anno? Continuer questo dolore?" L'angoscia,allora, si riferisce all'imprevedibilit del futuro, e in questo caso il rimedio non pu essere altro che laprevisione del senso del tutto; ecco perch prima abbiamo parlato anche di scienze, perch la previsionescientifica sar in un certo senso l'erede della previsione filosofica. Previsione filosofica vuol dire epist-me, questa grande parola greca che significa, alla lettera, la capacit di stare; "steme" deriva infatti dal

    verbo hstasthai, la capacit di stare, mentre ep vuol dire sopra: dunque si tratta di "stare sopra tuttoci che intende negare ci che sta". Ci che sta l'apertura di senso, l'apertura del senso del tutto cheintende stare e che si ritiene capace di imporsi su ci che presume negarla, e insieme su tutti gli eventiche sopraggiungono e che costituiscono quello che oggi noi moderni chiameremmo la novit della storia.L'epistme al di sopra di ogni innovazione storica: questo stato il grande sogno della filosofia daParmenide ad Hegel. Se si conosce incontrovertibilmente, stando sopra ogni negazione e ogni eventosopraggiungente, il senso del tutto, allora si in grado di prevederlo e la previsione rende spiegabile ildolore. "Perch il dolore, dice Eschilo, getta nella follia?" Proprio perch non ha senso fintantoch non sivede il senso del tutto.a) Ebbene la soluzione di Parmenide singolare, perch successivamente l'Occidente intender costrui-

    re un sapere che sta sopra la minaccia del divenire controllandola, guidandola e quindi costruendo aldi sopra di esso quella serie di strutture immutabili che vanno dal Dio teologico al Dio cristiano, allestrutture necessarie secondo le quali si sviluppa la storia.

    b) Parmenide adotta un'altra strada che non sar percorsa dall'Occidente - era la strada pi vicina all'O-riente. Di fronte al divenire l'Occidente dice: "Tu non mi minacci pi perch io ti prevedo e quindiprevedo il senso di ci che tu, divenire, fai irrompere su di me". Prevedendo il senso di ogni irruzio-ne, l'irruzione non pi l'imprevedibile angosciante e il dolore acquista senso: lo stesso annienta-mento si inscrive in un ordine. Questa la voce della filosofia dell'Occidente dopo Parmenide. La suavoce invece diversa e singolarmente vicina all'Oriente perch Parmenide dice al divenire: "Tu nonesisti". Questo molto singolare, perch tutto il pensiero, non solo filosofico, dopo Parmenide dice aldivenire: "Tu esisti ma io ti domino"; e chi parla appunto il rimedio, cio il sapere epistemico.

    c) Mentre nella soluzione post-parmenidea il dolore vinto perch c' un padrone che domina il diveni-re, la soluzione radicale di Parmenide questa: il divenire non minaccia pi, non pu essere nocivoperch non esiste. Con questa cancellazione del divenire entriamo nel grande paradosso del pensie-ro di Parmenide, che la cancellazione del mondo, con cui tutto l'angosciante, tutto il terribile, tuttol'orrendo del mondo illusione; questo il senso della doxa di Parmenide. Ebbene questa anche lastrada percorsa dall'Oriente: i Veda, le Upanishad, la ripresa buddista del bramanesimo sono tuttigrandi motivi che convergono su questo punto: l'uomo infelice perch non sa di essere felice, per-ch non sa che il dolore al di fuori di lui, e che lui un puro sguardo che non contaminato daldolore che gli passa innanzi, cos come lo specchio non contaminato dall'immagine che si riflette inesso.

    D - K B2:Bisogna che tutto tu sappia e il cuore che non trema della ben rotonda verit, e le opinioni dei mortali in cui non c' vera certezza. Orbene io ti dico, e tu dopo averlo ascoltato prendi cura del mio discor- so, quali sole vie di ricerca siano pensabili. Quella che dice che l'essere e che non possibile che non sia, e questo il cammino della persuasione che si accompagna alla Verit; e quella che dice che non e che necessario che non sia, e questo io ti dico che un sentiero inscrutabile, n infatti potresti conoscere ci che

    non - non infatti possibile - n dirlo. Lo stesso infatti pensare ed essere.

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    1) Il logos.a) Per Parmenide, come in Eraclito, tra la realt, la ragione umana e il linguaggio esiste una sostanziale

    identit; dall'ordine del mondo provengono l'ordine della mente che lo pensa e della lingua che lodescrive. Molti ragionamenti di Parmenide si basano su questa identit.

    b) Il rapporto essere - pensiero non solo un'implicazione, anche una replicazione (si tratta cio diuna equivalenza), in quanto secondo Parmenide non solo tutto ci che pensiamo , ma anche tuttoci che pu essere pensato. Non esiste secondo Parmenide un essere inaccessibile al pensiero. C'una equivalenza fra essere e pensabilit: ci che , pensabile, e ci che pensabile, .

    c) In pi, approfondendo una distinzione implicita nei pitagorici e in Eraclito, opera una differenza trapensiero e sensi: il primo in grado di conoscere la realt universale, il logos, i secondi non possonoche fermarsi alle apparenze, le doxai. Solo il logos pu condurre all'aletheia, la verit.

    2) Essere o non essere? Il nodo centrale della filosofia di Parmenide l'essere.a) Nel frammento 2, la dea gli indica le vie, i metodi di ragionamento "che sono le sole pensabili: / l'u-

    na [che dice] che e che non possibile che non sia / il sentiero della Persuasione (giacch que-sta tien dietro alla verit; / l'altra [che dice] che non e che necessario che non sia". Si riferiscealla via dell'essere e alla via del non essere.

    b) Ma che vuol dire "via dell'essere"? Consideriamo un qualsiasi oggetto. Tra le sue caratteristiche, la

    pi importante quanto lapalissiana quella di "essere", di "esistere". E invece, non possiamo pren-dere una cosa che non esiste proprio per il fatto che non esiste. In pi, dato che "lo stesso il pen-sare e l'essere" (frammento 3), non si pu nemmeno pensare a una cosa che "non ", perch bastail pensiero a renderla esistente. Questo intende Parmenide: la via che ammette che le cose sono eche necessario che siano (non possiamo dire che una cosa che esiste non esiste: sarebbe una con-traddizione) e la via che ammette che esistono cose che non sono (e quindi la via dell'errore). In fi-nale l'essere (le cose che esistono esistono) e il non essere non (le cose che non esistono nonesistono): una magistrale (e forse la prima) applicazione del principio d'identit (un ovvio principio dilogica: una cosa uguale a se stessa e diversa dal suo contrario).

    c) La nascita dell'ontologia. Mentre il linguaggio corrente e il pensiero dei primi filosofi non badanoal fatto che le cose a cui pensano "siano", Parmenide esamina questo, e in questo sta la sua origina-lit. Ogni cosa diversa da un'altra: questo insegnano il senso comune, i fisiologi e soprattutto Era-clito, il filosofo della molteplicit e del divenire. Ma, per quanto differenti, avranno almeno una cosain comune: esistono entrambi. Sono "enti". "Enti" il termine tecnico che traduce il ta onta greco,ovvero "le cose che sono". Ed logico dimostrare che "le cose che sono" sono. questa l'ontolo-gia, ovvero il discorso sull'essere in quanto tale.

    3) Essere, pensiero e linguaggio. Data l'identit tra verit, parola e pensiero, tre sono gli aspetti fon-damentali della filosofia di Parmenide: a) l'ontologia: e gi ne abbiamo parlato;b) la gnoseologia: solo ci che pensabile;c) il linguaggio: le cose che esistono trovano espressione adeguata all'interno del discorso.

    4) Gli attributi dell'essere . "Essere" perde la sua radice verbale e diventa un participio sostantivato, "toon" ("ci che "), e come tale gli si possono dare degli attributi. Questo passaggio avviene per differen-ziare ulteriormente l'essere dal non essere e impedire quindi di intraprendere la via dell'errore. Allo stes-so modo "non essere" diventa "il non essere", quindi "ci che non ": to me on. Quali le caratteristichedellessere?36

    36 [...] Non resta ormai che pronunciarsi sulla viache dice che . Lungo questa vi sono indiziin gran numero. [Lessere] essendo ingenerato anche imperituro,tuttintero, unico, immobile e senza un termine a cui tenda.Non mai era ne sar, perch ora tuttinsieme,[10] uno, continuo. Difatti quale origine gli vuoi cercare?Come e donde il suo nascere? Dal non essere non ti permetter ndi dirlo n di pensarlo. Infatti non si pu n dire n pensareci che non . E quandanche, quale necessit pu averlo spintoLui, che comincia dal nulla, a nascere dopo o prima?

    [15] Di modo che necessario o che sia del tutto o che non sia per nulla.Giammai poi la forza della convinzione verace conceder che dallesserealcunch altro da lui nasca. Perci n nasceren perire gli ha permesso la giustizia disciogliendo i legami,ma lo tiene fermo. [...]

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    a) ingenerato e imperituro: "Difatti quale origine gli vuoi cercare? / Come e donde il suo nascere? Dalnon essere non ti permetter n / di dirlo n di pensarlo". Se nato, prima non era. Ma non potevaesistere una cosa che non era, quindi l'essere ingenerato. Analogamente non avr fine.

    b) non ha passato n futuro: se "era", ora non "" pi. Se "sar", ancora non "". Dato che l'essere diverso dal non essere, si trova in una condizione di presente atemporale: "" e basta.

    c) senza fine: se ha una fine, al di l di quella fine non pi, il che assurdo.d) intero, continuo e indivisibile: "Neppure divisibile, perch tutto quanto uguale. / N vi in alcunaparte un di pi di essere che possa impedirne la contiguit, / n un di meno, ma tutto pieno di es-

    sere". Se non fosse continuo, cosa si frapporrebbe tra le parti se non il non essere che non esiste?N ugualmente ha senso che una cosa " pi di un'altra".

    e) unico: se ve ne fossero pi di uno, dovrebbero essere diversi. Ma se uno , l'altro, poich diverso,non , il che impossibile. Smonta cos la molteplicit della natura caratteristica dei fisiologi prima edi Eraclito poi.

    f) immobile: se si sposta, nel posto dove si trovava prima c' qualcosa di diverso, quindi il non essere;questo non esiste, quindi l'essere immobile e il pantha rei di Eraclito un palese errore.

    g) definito da tutti i lati e simile a una sfera: per Parmenide, che risente del pensiero pitagorico, l'infini-to una mancanza e una imperfezione, a differenza del pensiero comune moderno. Inoltre l'esserenon dovrebbe avere lati diversi perch presupporrebbero discontinuit (pensiamo allo spigolo di un

    qualsiasi poliedro). Pertanto l'intuizione associa la finitezza all'assenza di discontinuit alla perfezionesolo nella forma geometrica della sfera.

    5) Le tre vie . Ora che abbiamo chiarito "cosa sia" l'essere, torniamo al discorso delle vie, dei metodi di ra-gionamento per descrivere la realt.a) Uno, quello dell'essere, attraverso il puro ragionamento e il logos conduce all'aletheia.b) Il secondo, quello del non essere, conduce immancabilmente all'errore.

    i) Dire che la luce, i colori, le cose, le case, gli uomini "sono", significa ammettere che il niente "".Le differenze del mondo hanno un significato che non coincide con il significato dell'essere; que-sta non coincidenza vuol dire la loro diversit dall'essere, e cio che sono "non essere". Se alloral'amante o amico del mondo vuol dire: "il mondo ", egli deve anche dire: "Il niente ". La ra-gione dell'Occidente nasce qui, dall'esigenza di tener ferme le determinazioni - potremmo direl'esigenza di non contraddirsi. Se si afferma che il mondo molteplice , si afferma che il niente .

    ii) Allora abbiamo questa conclusione straordinaria: Parmenide, proprio per evitare che il niente sia,proprio per evitare di identificare l'essere al niente, afferma che le cose sono niente, che le diffe-renze sono niente; se si afferma il mondo, se si amici del mondo si sta nella pazzia che identi-fica l'essere e il niente.

    iii) Dato che la frase alla base di questo metodo "il non essere ", questo non pu essere un me-todo logico (si contraddice), pertanto non si pu pensare, quindi non si pu dire, ma se non si

    [23] E come potrebbe lessere esistere in futuro? E come potrebbe essere stato in passato?Poich se fu non , e cosi non se dovr essere in futuro.[25] In tal modo il nascere spento e non c traccia del perire.Neppure divisibile, perch tutto quanto uguale.N vi in alcuna parte un di pi di essere che possa impedirne la contiguit,n un di meno, ma tutto pieno di essere.Per questo tutto continuo: difatti lessere a contatto con lessere.[30] Ma immobile nel limite di possenti legamista senza conoscere n principio n fine, dal momento che nascere e periresono stati risospinti ben lungi e li ha scacciati la convinzione verace.E rimanendo identico nellidentico stato, sta in se stessoe cosi rimane l immobile; infatti la dominatrice Necessit[35] lo costringe nelle catene del limite che intorno lo avvolge;perch bisogna che lessere non sia incompiuto: infatti non manchevole: se lo fosse mancherebbe di tutto.[...][46] Ma poich vi un limite estremo, compiutoda ogni lato, simile alla massa di ben rotonda sferadi ugual forza dal centro in tutte le direzioni;

    che egli infatti non sia n un po pi grande n un po pi debole qui o l necessario.[50] N infatti possibile un non essere che gli impedisca di congiungersial suo simile, n c la possibilit che lessere sia dellesserequi pi l meno, perch del tutto inviolabile.Dal momento che per ogni lato uguale, preme ugualmente nei suoi confini. [DK 28 B 8, vv 5-19, 23-37, 46-53]

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    pu pensare n dire allora non , quindi questo metodo non esiste. Allora perch l'ha tirato fuo-ri? Forse per amore di completezza, o chiss. la via che percorrono normalmente gli uomini

    c) C' un'altra via. Quella che viene da questa frase: "L'essere e il non essere ". la via delle opi-nioni plausibili

    6) Bicefali . "Da questa prima via di ricerca [quella del non essere] infatti ti allontano, / eppoi inoltre daquella per la quale mortali che nulla sanno / vanno errando, gente dalla doppia testa" (frammento 6). Laseconda via presuppone sia che si segua l'essere sia il non essere, quindi l'uomo che la segue ragionacontemporaneamente in due modi contraddittori l'uno con l'altro, e per questo ha due teste. "Perch l'incapacit [di decidere] che nel loro / petto dirige l'errante mente; ed essi vengono trascinati / insiemesordi e ciechi, istupiditi, gente che non sa decidersi, / da cui l'essere e il non essere sono ritenuti identici

    / e non identici". L'incapacit di decidere tra l'essere e il non essere impedisce loro di giungere alla veri-t, e pertanto si devono limitare alle doxai.In sostanza Parmenide si colloca agli antipodi di Eraclto, per il quale il "divenire" il modo di essere del-l'essere della realt e si pone altres agli antipodi di un qualsiasi tentativo di osservare e studiare la realtpartendo da aspetti materiali di essa.

    7) Una lettura contemporanea di Parmenide 37 (sulle orme di Severino). Rifacendosi a suggestioni hei-

    deggeriane (l'Essere comeLogos , raccoglimento originario), Sangiacomo afferma chea) l'Essere relazione : l'Essere si lega all'Essere e, contemporaneamente, l'Essere legato all'Essere(p. 44). Due sono le conseguenze: una che solo il non-essere, quale negazione dell'Essere, ne-gazione di ogni relazione e rifiuta per definizione ogni legame (p. 43); l'altra, strettamente corre-lata alla prima, che si deve ammettere nell'Essere una molteplicit di differenze.

    b) Il parricidio, l'inclusione platonica della molteplicit nell'Essere, cos giustificato sulla base dellastessa definizione dell'Essere: dire che 'l'Essere 'implica vedere a un tempo nell'Essere quell'ele-mento agente che tiene unito il molteplice, sia la molteplicit passiva delle differenze che si lascianoraccogliere dall'Uno in un tutto (p. 46). Si pu sostenere, dunque, in termini quasi spinoziani, chenessuna cosa esiste di per s, sostanziata come unsinolo , ma tutte esistono soltanto in relazionecon le altre: ledifferenze non sono un insieme di realt di per s sostanziali o ontologicamente in-dividuali, quanto piuttosto un complessoolistico in cui ciascuna trova il suo esserciesclusivamente nel suo esseredifferente da tutte le altre (p. 45). Dire che l'Essere , equivale a dire che oltre al-l'Essere non c' nulla: tutto ci che , nell'Essere, quindi l'Essere, la totalit del positivo, Assolu-to, legato solo a se stesso. Questa assolutezza impone [...] che l'Essere stesso sia limitato solo daniente e che questo stesso limite sia un limitenullo , sicch l'Essere non pu che risultare un che diil-limitato cio di infinito (p. 49). Proprio perch in-finito, l'Essere risultaaperto , mai tutto dato, di-veniente: l'essenza dell'infinito proprio nella tensione al compimento e nel travalicare i limiti an-gusti che vorrebbero confinarlo nell'istante finito del dato, di ci che sta e che stato: L'Essere nonsta, l'Essere di-viene, nel senso che non mai giunto tutto, questo eterno continuare a darsi (p.175). L'Essere un orizzonte perennemente aperto, eterna fioritura che non cessa mai di sbocciare.

    c) La conseguenza chel'Essere divenire : dato che l'Essere non ammette nulla fuori di s, il divenirenon pu essere negazione dell'Essere, ma la sua stessa manifestazione: poich nessun infinito puessere in qualche modo dato e compiuto, [...] il divenire la dimensione dell'infinit dell'Essere [...]o, ancora, l'eterno differenziarsi delle differenze (p. 50). Per non pensare contraddittoriamente ildivenire come passaggio dall'Essere al nulla, occorre emendare anche il concetto di tempo: l'Essere movimento infinito e l'i-stante finito non che un'astrazione: Nascita e morte non sono i confinidella nostra esistenza, ma la dimostrazione ontologica che noi gi da sempre siamo di pi di qualco-sa che nasce e muore e che il nostro essere pi diquesto essere finito che si vuole comprimere traqueste due barriere (p. 180). Il questo l'isolamento dell'ente in un attimo immobile e, visto chel'Essere relazione, tale isolamento coincide con la sua nientificazione: essere sempre relazionarsiad altro, tanto pi l'ente assolutizzato nella sua finitudine, pi assimilato a un niente (p. 174)

    d) Conseguenze eticheLuomo qualcosa che in quanto, al pari di tutto il resto, appartiene allIntero delle molteplicidifferenze che animano lEssere. Se il suo esserci consiste nel suo essere in quanto differenza, ovve-ro solo per altro e non in se stesso, allora egli, dal punto di vista ontologico, non soltanto non puporsi come un soggetto che distingue innanzi a s il mondo degli oggetti pronti a farsi da lui domina-

    re, ma lesistenza dellaltro agisce sulla sua medesima esistenza e la condiziona in modo essenziale:io sar in funzione di questaltro da cui differisco e da cui mi distinguo, tanto che, ogni modificazione

    37 A. SANGIACOMO,La sfida di Parmenide. Verso la Rinascenza , Il Prato, Padova, 2007

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    che subisce lalterit si riflette su ci che io sono. Ovvero: per ogni modifica che luomo tenta di ap-portare a ci che lo circonda, egli deve essere consapevole che, nella stessa misura e nella stessamaniera, modificher inevitabilmente se stesso.Quando dunque luomo tenta di agire sulla realt, plasmandola secondo i suoi fini, egli agisce, conte-stualmente, su s medesimo, modificandosi in modo proporzionale e corrispondente. Non si d mai,cio, la possibilit di un agire unilaterale, in cui loggetto dellazione subisca passivamente. Al contra-rio, poich nessuna cosa esiste in s, ma solo per altro, ogni alterazione o modifica riguarda sempretutti i termini, in modo pi o meno marcato, pi o meno diretto, certamente, ma comunque senzaesclusioni, giacch tutti esistono in quanto raccolti insieme, resi un Tutto, e quindi reciprocamenteconnessi tanto che ogni alterazione non mai solo lalterazione di una certa parte limitatadellinsieme, ma riguarda sempre la totalit e quindi si riflette necessariamente su chi la opera.Ebbene, incamminarsi su simili considerazioni porta inevitabilmente a rinunciare a qualsiasi pretesadi dominio, di possesso o di potere sulla realt che ci circonda: luomo non solo non ha il diritto, manon ha nemmeno la possibilit ontologica di dominare imponendosi sullaltro, giacch dominio, si-gnoria, possesso, implicando la distinzione tra il dominatore e il dominato, e il potere unilaterale cheil primo esercita sul secondo, sono categorie estranee allEssere, dunque chi vi presta fede finiscesemplicemente con lilludersi che sia ci che non .Quindi io riconosco tutta la dignit che spetta a ci che altro da me, rinunciando ad annullarla nel

    tentativo di ridurla a mia immagine e somiglianza, giacch questo sarebbe nientaltro che un modoper annullare la differenza su cui si regge lesserci di entrambi. Rinuncio pure a ogni contrasto conlaltro, o ogni opposizione ad esso, rinuncio ad ogni lotta e ad ogni tentativo di supremazia, cessandodi considerare come nemico ci che mi diverso, si tratti di uomini o di forze della natura, giacchriconosco pure che su questa medesima diversit che io posso fondare il mio essere me stesso, mapure cessando di ritenere che sia necessario difendere la mia diversit dallaltro, poich essa taleproprio per laltro.

    Essere parmenideo, principio di non contraddizione e logica astraente La dottrina dellessere quale ricostruibile dai frammenti pervenutici fornisce delle precise regole di for-malizzazione di ogni discorso futuro, che voglia assurgere al carattere di discorso vero, tale in quanto fonda-

    to.Pensare pensare lessere: su questa evidenza si dipana largomentazione parmenidea. Il dire il direlessere nella forma del pensiero, poich () infatti lo stesso pensare ed essere (28 B 3 DK).Partendo dalloggetto del proprio discorso lessere Parmenide giunge a caratterizzare il modello del pro-prio argomentare: essere e pensiero sonoomologhi e il disvelamento dei caratteri delluno coincide con ilfondamento dei caratteri dellaltro.I termini con i quali Parmenide tratteggia lEssere sono oramai universalmente noti, ma su di un frammentoin particolare crediamo sia doveroso soffermarsi nuovamente. Il frammento 28 B 2 DK 38 afferma, infatti,()luno che e che non possibile che non sia,()laltra chenon e che necessario che non sia()39 Normalmente il passo viene interpretato come la prima formulazione del principio di non contraddizione , chefonda la necessit del discorso logico, differenziandolo da ogni argomentazione di tipo non razionale, ovveropre-logico,mitico .Di fatto, per, Nel famosoProemio 40 , delle cavalle conducono Parmenide dinnanzi alla Dea che gliriveler lavia dellaverit : una precipuasanzione divina a garantire la tenuta del discorso parmenideo sullessere e a

    38 Ors, io ti dir e tu porgi lorecchio alle parole che odi quali sono le vie di ricerca che sole son da pensare:luna che e non possibile che non sia,e questa la via della Persuasione (giacch segue la verit),[5] Laltra che non e che necessario che non sia,e questo, ti dico, un sentiero inaccessibile ad ogni ricerca,Perch il non-essere non puoi conoscerlo

    (infatti impossibile), n esprimerlo. [DK 28 B 2]39 Sono rispettivamente i versi 3 e 5 del frammento

    40 Le cavalle che mi portano, fin dove vuole il mio cuore,

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    sottrarlo ad ogni dialettica. Il soggetto muto di fronte a tale trascendenza, indicante il metodo (appuntocomemeta-hodos ) mediante il quale rendere intelligibile il senso del reale: lessere e la via della sua com-prensioneappartengono alla divinit. Questo cammino, che conduce alla Dea, e quindi alla verit, infatti() fuori dalla via battuta dagli uomini () (28 B 1 DK)41.Non vi pertanto rottura netta tramythos e logos : il pensiero di Parmenide abita il mito; illogos tentasemmai di costruire una pratica discorsiva a partire dalle medesime regole di formazione dellordine veritati-vo del mito, connotando queste ultime di maggiore precisione e dotandosi di un fondamento, apparente-mente autoevidente e autoreferenziale, sul cui parametro commisurare la tenuta del proprio argomentare edelle conseguenze che ne derivano. La via diventa appuntomethodos , metodo e il sapere, da questo presen-tato, scientifico.In questo senso, lelemento originale e caratteristico dellordine di discorso parmenideo risiede nel fatto che la strutturazione e la caratterizzazione delloggetto stesso del discorso lessere - a rendere disponibile glielementi sui quali istituire appunto lordine del discorso, attraverso in primis la formulazione del sopran-nominato principio di non contraddizione. Ma attenzione. Se, come detto, pensiero ed essere coincidono, ese lessere svela i propri caratteri costitutivi attraverso una mediazione di ordine trascendente, venendosi apresentare come undato (nel significato letterale del termine) divino, lo stesso principio di non contraddizio-ne verr da Parmenide ad essere posto come fondamento della logica come undato .Il principio di non contraddizione appare dotato di una necessit intrinseca, autoevidente, che determina,

    come propria conseguenza operativa, lesclusione dalla pratica discorsiva di quelle enunciazioni e di queiconcetti che risultano incompatibili con le premesse: detto altrimenti, ogni discorso non pu accogliere in selementi che lo rendano contraddittorio. Ma questo atto di esclusione, che in questa veste appare comemomento secondario e consequenziale, instaurato cio in una temporalit successiva dalloriginario principiologico di non contraddizione, anteriore rispetto a questultimo. E una pratica discorsiva che procede allacostituzione del suo statuto sulla scorta della rimozione della di