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NARGHILÈ MAGGIO 2012 LICEO SCIENTIFICO E LINGUISTICO “A. VALLONE” | GALATINA one paper one school LICEO SCIENTIFICO E LINGUISTICO “A. VALLONE” | GALATINA

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NARGHILÈMAGGIO 2012

Liceo Scientifico e LinguiStico“A. VALLONE” | GALATINA

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Liceo Scientifico e LinguiStico“A. VALLONE” | GALATINA

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In bocca al lupo, ragazzi!

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A rolling stone gAthers no moss

Maggio 2012. Beh, ci siamo! Il lavoro è com-piuto. Con molta fatica. Stop al sonno, la casa ab-bandonata a se stessa, trascurata la famiglia. Insom-ma… tutti a dieta. Ma alla fine la soddisfazione di avercela fatta.

Ogni anno è una scommessa con se stessi. Solo chi fa un giornale può capire il lavoro che c’è die-tro. A differenza di ogni altro progetto, subisce il giudizio obiettivo, spesso spietato e impietoso, di centinaia di lettori. Ed è qualcosa che non lascia scampo. O il prodotto è valido, o è da cestinare. Non ci sono vie di mezzo.

L’anno scolastico appena trascorso non è stato facile. Uno Stato in recessione, giovani che vedono allontanarsi le prospettive di lavoro, un Sud sempre più lontano dai parametri europei di lavoro e di rispetto dei propri diritti.

A ciò si è aggiunto un terribile evento: l’uccisione di una studentessa in un Istituto Superiore di Brindi-si. Questa morte ingiusta ci ha colpito e ha suscitato orrore e pietà fra i nostri alunni. Ci siamo chiesti: perché colpire i giovani? Significa togliere una spe-ranza alla Nazione. Sono già di per sé vittime, non artefici del disastro in cui versa il mondo occidentale. È un duro colpo ai loro sogni di un mondo più giu-sto, dove il bene possa finalmente vincere sul male e sulle ingiustizie. E allora proprio in questi momenti difficili, come docenti che credono nel proprio la-voro, chiediamo a tutti i giovani di non arrendersi, di continuare a credere che il mondo possa essere migliore. Molto dipende proprio da loro.

Il Liceo ha puntato fortemente a valorizzare va-lori sani. Pensiamo ai valori di giustizia e legalità sui quali gli studenti del Vallone hanno riflettuto col progetto “Le(g)ali al Sud”. Gli stessi ideali che hanno visto i nostri studenti protagonisti a Roma, in occasione di REGOLIAMOCI, il concerto della Polizia di Stato, del 27 aprile scorso. La nostra scuo-la non solo si è piazzata al secondo posto su sessanta scuole d’Italia per la canzone “Lucky Dog”, scritta e musicata dai nostri studenti, ma soprattutto è stata applaudita per i valori veicolati di legalità e di ri-spetto delle regole della vita associata.

Narghilé, questo piccolo valore del Vallone si è sforzato di dare voce ai piccoli e grandi progetti della Scuola, ai sogni e alle aspettative, alla realtà del territorio in cui quotidianamente operiamo.

Ora che andiamo in stampa ripensiamo alla musica genuina di Raffaello Murrone, alla passione di testa e di cuore del maestro Luigi Fracasso, alla magia dei racconti in parole e suoni di Emanuele Coluccia, alla creatività di Francesca Romana, agli incontri culturali con Vittoria Coppola e Angela Beccari-si, alla strepitosa vittoria nazionale del torneo di scacchi per studenti, alle possibilità di sviluppo del territorio viste attraverso gli occhi di un capitano della nostra industria, alla creatività di uomini che sognano di far rivivere le macchine di Leonardo.

Sicuramente la nostra è una Scuola che vive un nuovo corso, senza muffe o muschi che la intral-ciano.

Consegniamo il nostro lavoro al vostro giudizio. Sappiamo che, come si dice, poteva essere fatto me-glio. Tutto si può migliorare. Noi ci crediamo. Ce l’abbiamo messa tutta affinché fosse all’altezza delle aspettative di tutti noi, ma in particolare, perché tutti gli studenti del Vallone possano ritrovare tra le prossime pagine un pezzetto del loro percorso, un ricordo, un sogno, un angolo di vita, un messaggio di fiducia.

Ad maiora.Mirella Guida,Valeria De Vitis

Narghilé

1maggio 2012

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notAZioni Di Fine Anno

Tante le considerazioni che vorrei fare a consun-tivo dell’anno scolastico appena terminato. La pri-ma notazione va riservata al cambio della Dirigente Scolastica, avvenuto nel mese di luglio 2011 con il pensionamento della prof.ssa Licia Ciliberti ed il successivo insediamento della prof.ssa Maria Rosa-ria Bottazzo; spontaneo e sincero il ringraziamento e la riconoscenza per la prof.ssa Ciliberti che, con abnegazione, competenza e dedizione assoluta, ha impegnato dieci anni della sua vita professiona-le elevando il nostro liceo a scuola di eccellenza; altrettanto spontaneo e gioioso il benvenuto alla nuova Dirigente, prof.ssa Bottazzo che ha saputo, fin dai primi giorni di attività, infondere in manie-ra decisa e propositiva, entusiasmo e fiducia a tutte le componenti scolastiche, motivandone il cambia-mento.

Ancora, i livelli di assoluta qualità in termini di preparazione culturale, nel solco di una più che mai ultradecennale tradizione del Liceo Scientifico e Linguistico “A. Vallone” di Galatina, raggiunta dal-la componente “docenti-ragazzi” come dimostrano i numerosi riconoscimenti e premi ottenuti nei vari concorsi a livello nazionale: il secondo posto con il video “Lucky Dog”, nel corso del Concerto per la legalità “Regoliamoci” realizzato in occasione della Festa Nazionale della Polizia di Stato; oppure il progetto “Siamo al verde?” con il quale una de-legazione del nostro Liceo ha partecipato il 24 e 25 maggio alla manifestazione conclusiva del con-corso “Dalle aule parlamentari alle aule di scuola. Lezioni di Costituzione” promosso dal Senato della Repubblica e dalla Camera dei Deputati; ed ancora il Primo Premio del Concorso Nazionale “Eustory”

bandito dalla “Fondazione per la scuola” della Compagnia di San Paolo (ed assegnato alla Classe IV C) per il video “Uomini e donne non è uno sporco reality”, grazie al quale una ingente somma di denaro verrà investita in attrezzature e materiale didattico; ed i lusin-ghieri piazzamenti dei nostri ragazzi nelle varie Olimpiadi nazionali di Matematica, Fi-sica, Scienze ed Informatica; oppure la vittoria nei Campio-nati Regionali Studenteschi di

Volley.Insieme a tanti risultati di eccellenza, va altresì

segnalata la costante opera di formazione di tutti i ragazzi ad opera della Dirigente, insieme ai Docen-ti ed alla componente dei Genitori impegnati negli Organi Collegiali.

Così ci piace pensare ad una Scuola, la nostra, attenta ai bisogni di tutti i ragazzi ed in particolare di quelli solo apparentemente più “deboli”, cioè di quei ragazzi per i quali si rende necessario un inter-vento più attento e diretto non solo nella didattica, ma anche a livello psico-sociale. A tale proposito vanno segnalati i temi trattati nel corso delle assem-blee di Istituto con il contributo anche di consulen-ti esterni: “il benessere psico-fisico del giovane”, “il disagio psichico”, “le dipendenze in età giovanile”, “la trasmissione delle malattie sessuali”, “l’infor-mazione sul corretto uso degli anticoncezionali”; l’attenta partecipazione di alunni e docenti, insie-me all’interesse ed alla curiosità che hanno destato, ha suggerito l’opportunità di organizzare “gruppi di lavoro” inter-istituzionali (tra Docenti Interni e Medici, Psicologi Specialisti del nostro Distretto Socio-Sanitario) che per il prossimo anno avranno il compito di pianificare in maniera sistematica ed organica gli interventi di carattere bio-psico-sociale.

Ancora penso ad una Scuola, la nostra, sempre più legata al territorio ed alla sua Storia, ai suoi costumi e tradizioni, capace di conservarne la memoria e di trasmetterne il senso alle generazioni successive; una Scuola in sintonia con i principi universali della pace, della giustizia, dei diritti civili, della democrazia.

Salvatore ColucciaPresidente del Consiglio di Istituto

Narghilé

2 maggio 2012

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oriZZonti PossiBiliEra ancora settembre e Gianpiero frequentava

la quinta G.Amava la vela Gianpiero.Ma anche la moto: quella moto che ce lo ha por-

tato via per consegnarlo all’eternità.E nei giorni seguenti solo sgomento, silenzio e

dolore: sentimenti che ci hanno cambiato lo sguar-do e i pensieri, per annidarsi stabilmente in ognuno di noi e non andare più via.

La scuola li ha custoditi nelle sue aule, nei suoi corridoi, negli uffici e… in ogni angolo, fino alla fine dell’anno scolastico.

Un anno che sembrava non voler cominciare, nonostante la campanella suonasse ogni mattina per costringerci a vivere.

È quello che ha fatto la scuola!Ha costretto i ragazzi a respirare di nuovo. Li

ha costretti a ricominciare. Li ha costretti a ridare un senso ai giorni, alle ore, ai libri, allo studio, al presente.

E al futuro.E questa “costrizione” è diventata il punto di

snodo di percorsi umani e culturali che, nel corso dei 203 giorni di questo anno scolastico, hanno ri-velato a me, che subentravo in questa scuola come nuova dirigente, l’universo straordinario e laborio-so che è il Liceo “A. Vallone” di Galatina.

Ho osservato, ascoltato, cercato, ricostruito. Ne ho conosciuto la storia. E con un sincero rispetto per il passato, ho cominciato a tratteggiare possibili prospettive future: la realizzazione di un logo da af-fidare ai ragazzi, la revisione del Piano dell’Offerta Formativa e una nuova veste da dare al sito web sono stati i segni appena accennati e appena visibili di un impegno che intende delineare un progetto di scuola capace di rinforzare il senso di apparte-nenza, irrobustire una comune identità e guardare a un sistema di valori condivisi.

All’interno di questo scenario si colloca la pro-gettualità ricca, articolata e stimolante della nostra scuola e, alla luce di esso, diventa possibile conferire ulteriore significato alle opportunità formative che vengono costantemente messe in campo in funzio-ne del recupero e potenziamento delle competenze, nonché del riconoscimento e valorizzazione delle eccellenze.

A tutti i livelli del sistema ci sono risorse profes-sionali e umane che guardano in questa direzione: dai collaboratori scolastici ai tecnici di laboratorio

e dallo staff di Segreteria ai do-centi.

E agli stessi studenti.

Diventa allora possibile tratteg-giare itinerari che diano traduzione operativa alla “necessità di co-struire, attraverso il dialogo tra le diverse disci-pline, un profilo coerente e unitario dei processi culturali”, così come ci viene richiesto dal disegno di riforma dei Licei (Cfr. Allegato A –D.P.R. 15 marzo 2010, n. 89).

Punto privilegiato di attenzione dell’intera co-munità scolastica diventa dunque il dialogo: tra discipline, tra istituzioni e tra persone che, nel rispetto di ruoli e funzioni, guardano nella stessa direzione e si spingono oltre l’ordinarietà per acce-dere all’eccellenza.

Solo così possiamo coniugare l’efficienza delle strutture con l’efficacia dei processi formativi, il rigore delle procedure con la densità valoriale e il rispetto delle prescrizioni con la significatività dei saperi.

Solo così diventa possibile dare un senso all’ap-pello lanciato da E. Morin nell’aprile del 2007 a Roma: “I ragazzi oggi sono chiamati ad affrontare un compito ancora più grande di quello che hanno avuto i nostri padri durante il nazismo, poiché non devono solo salvare le loro vite e i loro paesi, ma devono sal-vare il genere umano. Hanno una missione grande davanti a loro e dobbiamo educarli ad apprendere e a maturare una conoscenza adeguata ad assolvere que-sto compito cui sono chiamati”.

Si tratta di un messaggio forte, che diventa ogni giorno più attuale e che, di fronte alle nuo-ve emergenze sociali rappresentate dal fanatismo religioso, dalle discriminazioni razziali e dal dis-sesto ecologico, orienta verso il superamento della frammentarietà delle conoscenze e la costruzione di un nuovo umanesimo che sappia affrontare i temi della persona e del pianeta.

A me pare che nel nostro Liceo questo sia pos-sibile.

E che i nostri studenti possano assolvere il com-pito che la storia ha loro assegnato.

Maria Rosaria BottazzoDirigente scolastico Liceo Vallone

Narghilé

3maggio 2012

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A colloquio con un illustre salentino, il senatore giorgio De giuseppe

i VAlori Dei CittADini itAliAni nellA CostitUZione

Giovedì 12 aprile il nostro Liceo ha avuto il pia-cere di ospitare il Senatore Giorgio De Giuseppe, che ha tenuto un’interessante lezione sul tema: “La Costituzione: prospettive per il futuro”. Oltre alla Redazione del nostro giornale, hanno preso parte all’incontro anche i ragazzi dei progetti “Siamo al Verde”, “Partecipattivamente”, “Regoliamoci” e “Un giorno in Senato”.

Diverse sono state le prospettive da cui si è analizzata la Costituzione, ma sin dall’inizio è sta-to evidente l’orgoglio con cui il Senatore avrebbe

parlato della Legge fondamentale del nostro Stato, considerandola senza alcun dubbio fra le migliori e le più avanzate del mondo, nonostante siano tra-scorsi più di sessant’anni dalla sua promulgazione.

I temi trattati durante il suo discorso sono stati molteplici: si è parlato della scuola pubblica e del diritto all’istruzione, considerati capisaldi di ogni società moderna perché garantiscono il diritto all’uguaglianza delle posizioni di partenza di tutti i cittadini, e lasciano a ciascuno la responsabilità del proprio futuro.

Si è discusso quindi sui primi undici articoli del-la Costituzione, ossia sui Principi Fondamentali, e in particolare sul riconoscimento da parte della Re-pubblica Italiana sia dei diritti inalienabili dell’uo-mo, sia dell’uguaglianza giuridica e sociale di tutti gli individui.

Gli ultimi ma non meno importanti argomenti su cui il Senatore si è soffermato sono stati la tutela dell’ambiente e la necessità di uno sviluppo sosteni-bile, il rifiuto della guerra come strumento d’offesa e la salvaguardia della pace e infine la possibilità di adattare la Costituzione che, essendo stata creata da uomini per far fronte ai problemi del loro preciso momento storico, non può soddisfare le nuove esi-genze senza opportuni cambiamenti.

Alberto Mellone

CUltUrA in… ComUnel’occasione per intitolare una sala del Palazzo della Cultura a Donato moro

Cultura in…Comune è il titolo dell’incontro tenutosi il 20 aprile scorso, fortemente voluto dal commissario straordinario del nostro Comune, la dott.ssa Matilde Pirrera, in occasione della XIV set-timana della cultura promossa dal Ministero per i Beni e per le Attività Culturali.

Il convegno è stato organizzato all’interno del Palazzo della Cultura di Galatina ed è stato l’oc-casione per intitolare una nuova sala a Donato Moro.

Molti sono stati gli ospiti della serata che hanno

voluto dare il loro contributo: il Prefetto di Lecce Giuliana Perrotta, l’architetto Antonella Perrone, il prof. Alessandro Laporta, il professor Giancarlo Vallone, l’ing. Vincenti, fra’ Massimo, lo storico ga-latinese Vittorio Zacchino e la vicepresidente della Provincia di Lecce Simona Manca.

Nell’intermezzo l’intervento musicale di Maria Grazia Napolitano che, accompagnata alla chitarra dal fratello Francesco, ha interpretato alcune poesie di Donato Moro.

Letizia Greco, Giulia De Simone

Narghilé

4 maggio 2012

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si conclude il progetto “le(g)ali al sud”

legAlitÀ È risPetto Del territorio

A scuola, sui giornali, in televisione, sulla rete si sentono spesso notizie di cronaca che scuotono la nostra coscienza civica: bravate di ragazzi, atti di bullismo, fino a giungere a episodi ben più dram-matici di evidente implicazione mafiosa.

Fortunatamente, non è solo questo che caratte-rizza il nostro animo meridionale. La verità è che oggi spesso “fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce”. Si pone l’accento sulle ma-fie e si parla poco dell’impegno profuso da molti giovani nel sociale, della loro voglia di mettersi in gioco e di partecipare al bene comune.

Il corso “Le(g)ali al Sud”, in stretta collaborazio-ne con gli uffici della Provincia, ci ha mostrato un mondo completamente nuovo, in cui tecnici e inge-gneri si prodigano per valutare al meglio l’efficienza di un impianto e la sua risposta a determinati criteri. Legalità significa rispetto del nostro territorio, quin-di significa integrazione di un impianto con edifici e strutture architettoniche. Quest’esperienza ci ha reso consapevoli della ricchezza della nostra zona, molte volte terreno di conquista ad opera di imprenditori spietati, che assoggettano alla logica del denaro e del loro tornaconto territori ancora vergini.

Durante questo corso abbiamo avuto l’opportu-nità di confrontarci con due esperti di chiara fama nell’ambito della legalità e dell’ambiente: l’Onore-vole Alfredo Mantovano e la dottoressa Valeria Mi-gnone, magistrato esperto in reati ambientali.

I destinatari di questo corso sono stati 25 ragazzi delle classi quarte e 25 delle classi quinte. Il progetto, presentato dal nostro Liceo e dall’Ente Provincia di Lecce, si proponeva di creare un approccio nuovo e più ampio alle tematiche connesse alla legalità e alle conseguenze dell’inosservanza delle norme sul-la salute e sull’ambiente, nell’ambito di un processo continuo, e già in essere, di sviluppo sostenibile.

“Le(g)ali al Sud” è stato articolato in due mo-duli, riguardanti rispettivamente il ciclo dei rifiuti e le energie rinnovabili, per i quali hanno lavorato con impegno due gruppi di ragazzi guidati dai tu-tor interni, il prof. Giovanni Torsello e la prof.ssa Stefania Tundo.

La parte centrale del PON è stata articolata in due fasi di 20 ore ciascuna. La prima, presso gli Uffici del Servizio Ambiente della Provincia di Lecce, ci ha permesso di conoscere e approfondire l’iter tecnico-

amministrativo necessario per installare, controllare e monitorare un impianto di trattamento rifiuti o di produzione di energia (a seconda del modulo pre-scelto). Inoltre abbiamo avuto modo di visitare alcu-ni impianti e ditte in prima linea nella promozione di queste nuove tecnologie. Durante la seconda fase, abbiamo simulato un caso di studio di un impianto (di trattamento rifiuti o di produzione di energia, a seconda del modulo) affrontando diversi aspetti.

Successivamente abbiamo posto a confronto le diverse tipologie di impianto studiate in termini di ricaduta economico-ambientale sul territorio. La fase finale ci ha visti impegnati nella catalogazione di tutti gli impianti fotovoltaici presenti in provincia in un file multimediale utilizzabile dall’Ente Provincia di Lecce e nella realizzazione di posters e opuscoli di sensibilizzazione, riassuntivi del lavoro svolto.

La nostra proposta, fortemente sostenuta dai consigli del tecnico provinciale signor Podo e della professoressa Tundo, è stata quella di spendere le nostre ore di lavoro in un prodotto utile e fruibile da tutti, perché spesso la mancanza di informazio-ne porta noi cittadini a ignorare queste indiscutibili frontiere di progresso.

La legalità non deve essere qualcosa di cui si di-scute solamente in risposta ad eventi tragici, rapine o furti, ma deve essere un nostro dovere, qualcosa di cui ognuno di noi deve essere promotore e che ognuno di noi deve cercare di difendere attraverso il proprio agire quotidiano. Solo così facendo po-tremo sognare una società migliore, nella quale tut-ti godano effettivamente degli stessi diritti e dove non vi è nessuno che cerca di prevalere sull’altro attraverso imbrogli, “scorciatoie” e azioni illecite.

Emanuele Caputo, Luigi Congedo

Narghilé

5maggio 2012

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A colloquio con il Commissario Prefettizio che ha retto le sorti del nostro Comune fino alle elezioni di maggio

UnA DonnA All’AlteZZA Delle ProPrie resPonsABilitÀ

8 marzo 2012. Festa della Donna. Noi di Nar-ghilé siamo a colloquio con una donna speciale, la dott.ssa Matilde Pirrera, commissario prefettizio al Comune di Galatina. Alle ore 16.00 ci accoglie nel suo studio di Palazzo Orsini, un’ampia ed elegante sala arricchita da affreschi.

Dopo esserci presentati ed illustrato brevemente la storia del giornale del Liceo, abbiamo pregato la dott.ssa Pirrera di parlarci un po’ di sé.

R.R Mi chiamo Matilde Pirrera, vengo da Enna, in Sicilia; sono laureata in Scienze Politiche e, al momento, sono vice prefetto presso la Prefet-tura di Lecce, dove sono arrivata nel mese di set-tembre dell’anno scorso.

Prima di essere qui mi sono occupata di immi-grazione ad Agrigento e Lampedusa. In particolare di minori, di ragazzi come voi che attraversano il mare mettendo a rischio la propria vita per un fu-turo migliore. A questi ragazzi abbiamo cercato di dare una sistemazione dignitosa.

Nel 2009 abbiamo anche avuto il problema di dare sepoltura a tantissimi ragazzi morti nella tra-versata. Potrà sembrarvi strano ma per questa tra-gedia abbiamo dovuto affrontare anche una serie di problemi burocratici perché molti sindaci non volevano assegnare i loculi.

Una lacrima solca il volto dell’intervistata, ma la voce rotta dall’emozione, dopo alcuni minuti si tra-

muta in un’armonica e gioiosa sinfonia nel continuare a raccontare la sua vita.

Ha un figlio di 19 anni che, avendo iniziato l’uni-versità, è rimasto in Sicilia.

“Ritengo che l’università sia un momento di di-stacco dai genitori”, ci dice.

È venuta a Lecce con suo marito. Da dicembre è stata nominata, insieme a due colleghi, commissaria del nostro Comune.

“Ci troviamo qui per un piccolo incidente poli-tico, poiché la legislatura precedente non è riuscita ad arrivare a conclusione. Al momento delle elezio-ni, a maggio, ci sarà un nuovo Sindaco, una nuova Giunta e un nuovo Consiglio. A quel punto noi andremo via”.

R.D Oggi è la festa della donna, come la vive un commissario prefettizio donna? Ci crede ancora?

R.R Innanzitutto devo dire che non sopporto l’odore delle mimose e forse questo è un punto in contrasto con l’8 Marzo. A causa dell’ambiente cul-turale in cui sono vissuta, personalmente non ho mai percepito queste discriminazioni tra uomo e donna, quindi se dovessi parlare esclusivamente di me, la fe-sta dell’8 marzo acquista un aspetto secondario. Tut-tavia la festa c’è e quindi penso che questa ricorrenza vada bene utilizzata per riflettere su quella parità fra uomo e donna in realtà non ancora raggiunta. Ri-cordare che l’umanità è costituita da una parte ma-schile e una femminile e che dobbiamo camminare insieme è importante, perché la donna risente anco-ra della violenza. L’anno scorso abbiamo avuto più di 100 donne in Italia che sono morte per violenza. Per questo l’8 marzo un senso ancora ce l’ha, non perché siamo una minoranza da tutelare e difendere ma perché abbiamo una nostra autonomia.

R.D Negli ultimi anni il Comune di Galati-na ha visto l’alternanza di molti Commissari. C’è qualcosa che non va. Perché non dare in mano a persone più giovani la possibilità di governare?

R.R Devono farsi avanti. Io non farei mai politica perché è una grandissima responsabilità. Ritengo che nella gestione del Comune bisogna operare sempre con la massima trasparenza, senza fare sprechi. Noi non facciamo sprechi nella gestione delle nostre fa-

Narghilé

6 maggio 2012

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miglie. Perché quindi fare sprechi in Comune? La politica deve vedere quali sono gli obiettivi impor-tanti e tenere conto delle esigenze della società civile.

Riguardo al ruolo dei ragazzi, penso che pur non impegnandosi per-sonalmente in politica abbiano uno strumen-to molto forte nelle loro mani. Possono far sentire la loro voce. Quando ci sono gli incontri con i candidati bisogna andare ad ascoltare, per farsi una propria idea. Il voto deve essere libero, non pilotato. I giovani possono svol-gere un ruolo primario. Il futuro appartiene a loro.

La dott.ssa Pirrera è orgogliosa dell’Italia e del lavoro che sta svolgendo il presidente del Consiglio Mario Monti: “Ha fatto le cose giuste per il nostro Paese”, afferma.

R.D Le donne oggi sono sensibili e preparate. Perché così poche con ruoli di governo ?

R.R È vero, le donne hanno una marcia in più, sono capaci di fare più cose contemporaneamente, a differenza degli uomini. Ma l’umanità maschile e quella femminile si devono completare. È necessa-rio che ci siano sia l’una che l’altra parte.

In politica l’unica caratteristica necessaria è il merito, non il sesso.

R.D Alcuni di noi sono al quinto anno e de-vono scegliere un corso universitario. Perché lei ha scelto scienze politiche?

R.R Ero una secchiona e avrei potuto sceglie-re qualsiasi indirizzo, però ho scelto scienze poli-tiche perché mi è sempre piaciuta l’idea di poter entrare in politica. Quella facoltà mi ha permesso di avere gli strumenti per poter affrontare qualsi-asi cosa. Oggi il mondo del lavoro è molto com-plicato, quindi dovete scegliere qualcosa che vi piace, che amate, sia come studio che come la-voro. Il lavoro non è sacrificio ma deve essere un piacere. Qualsiasi cosa facciate, fatela bene e con passione.

R.D Ci sono affinità tra Enna e Galatina?R.R Enna è un capoluogo di provincia ma il

numero degli abitanti è simile a quello galatinese. È un po’ come Galatina, non è una città molto viva-ce. In sostanza sono due realtà molto simili.

R.D Cosa si potrebbe fare per far rivivere Ga-latina?

R.R Si possono fare tante cose, ma tutto passa dalla necessità di risorse, e questo, purtroppo, è un periodo piuttosto difficile. Però voi giovani potreste popolare il centro storico che è abbandonato. Se l’amministrazione avesse dei soldi li stanzierebbe per far rivivere il centro storico.

R.D Perché non utilizzarli per favorire il lavoro di tutti, creando ad esempio centri lavorativi per giovani?

R.R Purtroppo questo non è di nostra compe-tenza, bensì della regione. Mi rendo conto che sono cose importanti però dovete avere pazienza, è un momento molto difficile per tutti.

Il colloquio volge al termine. Siamo grati alla dott.ssa Pirrera per questo colloquio. Di lei ci colpisce la sicurezza nelle proprie capacità politiche, l’ autore-volezza, la serietà, l’eleganza e la femminilità. Gala-tina non poteva avere di meglio.

Francesca Notaro, Lorenzo Prete

Narghilé

7maggio 2012

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A leZione Di giornAlismo

nArghilÉ. BreVe storiA Di Un’AVVentUrA reDAZionAle

-Giò, che ore sono? – le chiedo distrattamente, come una che sa già la risposta ma fa finta di niente.

-È ancora presto- mi dice lei, e abbozza un sorri-so che è tutto tranne che rassicurante.

Un ultimo sguardo d’intesa, entrambe con la stessa domanda nella testa: “Ma che ci facciamo qui?”

Risposta scontata: tra le mie opzioni per un fu-turo c’è anche quella di fare la giornalista.

Dall’ingresso entrano solo facce. Facce nuove, facce viste di sfuggita nei corridoi, facce indecise e corrucciate davanti alla macchinetta. Sono passati già alcuni incontri e mi chiedo ancora se sia davve-ro questo il mio posto.

Io scrivo per me stessa, nascosta da una massa informe di capelli che mi ripara da quello che po-trebbe dire o pensare la gente. Devo ammetterlo, l’idea di espormi così tanto pubblicando i miei la-vori su un giornalino alla portata di tutti mi spa-venta a morte. Eppure spero tanto che prima o poi i miei libri brillino in bella vista sullo scaffale di qualche libreria, profumati d’inchiostro e paure che avrò vinto.

Scrivere è un po’ come urlare in silenzio, sbat-tere i propri pensieri su un foglio che non aspetta altro che ascoltarci. Una pagina di Word non può tradirti, non può criticarti, non può dirti che le tue frasi sono troppo brevi o che quello che hai dentro è grammaticalmente scorretto.

A volte preferirei restare a casa a fare matematica piuttosto che venire qua al patibolo... e ho detto tutto!

All’improvviso si girano tutti, guardano in dire-zione dell’ingresso.

Arriva un volto sorridente, uno di quelli che ba-sta un’occhiata e sai già che passerai un pomeriggio destinato a essere ricordato per molto. Il volto mi-sterioso ha un nome e un cognome: si chiama Lu-igi Spedicato, di professione docente di Sociologia della comunicazione all’Università del Salento che nel tempo libero fa il giornalista e insegna a vivere a ragazzi come noi.

Lo guardo con gli stessi occhi che ha una bam-bina per la bambola tanto desiderata. Mi sembra così strano trovare un adulto che riesca ad abbatte-re all’istante i mille muri che ci sono tra loro e gli adolescenti!

Sposto l’attenzione ed ecco spuntare sempre lui, il muro nomade pieno di colori e ricordi che come un compagno fedele ci segue in ogni spostamento.

Il nostro redattore insieme al menabò, che ac-coppiata perfetta!

Mi piace quest’uomo, decisamente. Senza mezzi termini ci dice che se vogliamo mandare in stampa qualcosa di valido, dal gruppo eterogeneo e scape-strato che siamo, dobbiamo diventare una vera e propria redazione, più corpi che avrebbero dovuto racchiudere un’unica anima.

Gessetto alla mano, subito abbozza un disegno alla lavagna.

“Ecco – ci dice – se voi siete una redazione o avete intenzione di diventarlo, siete un setaccio. Toglietevi dalla testa l’idea che il bello del giornalismo sia scrive-re o andare dietro ai fatti, i fatti arrivano qui”.

Ancora increduli cerchiamo consensi negli oc-chi dei compagni accanto.

Noi? Un setaccio? Ma è assurdo!Nonostante il nostro stupore, il professore non

demorde, anzi, coglie al volo la sfida di poterci cambiare in soli due incontri. È una macchina, spa-ra lezioni di vita così velocemente che quasi fatico a stargli dietro mentre prendo appunti. Ogni nuo-vo rigo del block notes che si colora di nero è una vittoria, è una goccia di collante che riuscirà a farci

Narghilé

8 maggio 2012

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diventare quasi come una grande famiglia.Per scrivere in una testata giornalistica ci sono

alcune tappe: organizzazione mentale, scaletta, comprensione delle regole implicite che valgono per quel tipo di giornale ed infine mettere tutto nero su bianco.

Il lavoro di un giornalista consiste prima di tut-to nel chiedersi: che cosa dei fatti vale la pena che diventi notizia? I fatti, ci spiega il nostro nuovo mentore, non sono gli equivalenti delle notizie.

Ecco quindi che entriamo in gioco noi, il setac-cio, adottando i cosiddetti criteri di rilevanza e di notiziabilità attraverso i quali dovremo descrivere il nostro mondo.

Le ore volano e i due pomeriggi passano senza neanche accorgercene. È stato capace di lasciarci l’amaro in bocca, e una sua frase mi lampeggia an-cora nella testa, nitida e chiara.

“Il giornale è un progetto di interpretazione del mondo”.

Stia tranquillo, professor Spedicato, io mi im-pegnerò a parlare del mio mondo. Spero solo che queste siano le persone giuste con cui farlo.

***Cristina dorme nel posto accanto al mio.Ispira pace, ispira casa, quiete dopo la tempesta.

La tempesta siamo noi, che non facciamo altro che ridere e ricordarci di quanto dopotutto non possia-mo stare un minuto senza l’altro.

Beh Cri, non c’è che dire! Il tempo vola e non ce ne rendiamo conto.

I dubbi delle prime lezioni sembrano essere sva-niti; ne sono certa, ora, su questo pullman cante-

rino, dove sembra di conoscerci da sempre. Basta guardarci!

È decisamente cambiato tutto, i volti scono-sciuti sono ormai diventati quasi la nostra famiglia. Occhiali, cuffie e cellulari volano da un sedile all’al-tro, i flash delle macchinette illuminano i nostri visi sorridenti e fiumi d’inchiostro hanno preso il posto della scritta “Regoliamoci” sulle nostre magliette.

L’anno scolastico è ormai in fine e il dubbio che più mi assilla è se quest’estate le nostre strade si in-croceranno o chi s’è visto, s’è visto! Ma tutto passa, ti svegli e gli angoli della tua bocca si arricciano all’insù. Le labbra si aprono in un sorriso confor-tante.

-Giò, tranquilla! – mi dici, rassicurandomi.Quest’esperienza ha reso l’anno migliore, il mi-

gliore finora forse…E così, quel simpatico signore che è venuto a

trovarci all’inizio dell’anno ci ha reso una redazio-ne vera, con pensieri e opinioni differenti, che nel dubbio si confronta. È merito suo, professor Spe-dicato!

Oltre a lui però sono da ringraziare tutti quelli che sono intervenuti nelle nostre lezioni o abbiamo intervistato, perché ognuno di loro ci ha lasciato qualcosa di impresso e incancellabile.

Dulcis in fundo, bisogna dire grazie a coloro che ci hanno seguito in ogni nostra pazzia e avventura, che ci hanno fatto ridere e sorridere e ci hanno sem-pre sostenuto e incoraggiato… le nostre amate prof! Proprio voi, piccole grandi donne. Senza la vostra presenza tutto ciò non si sarebbe potuto realizzare.

Semplicemente GRAZIE!Cristina Baldari, Giorgia Di Prizio

Narghilé

9maggio 2012

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PARTECIPATTIVAmENTEi giovani diventano protagonisti di cambiamenti nell’interazione umana e negli spazi urbani

Negli anni ‘80 un esperto americano di sociolo-gia, Harrison Owen, si rese conto che le persone che partecipavano ai convegni da lui organizzati apprez-zavano più di ogni altra cosa i coffee break e i mo-menti informali di dibattito e d’incontro. È infatti durante questi momenti non strutturati che nascono i pensieri più produttivi, proprio perché le persone possono muoversi liberamente per comunicare con gli altri, per il tempo che ritengono necessario e su-gli argomenti che interessano veramente. Nasce così l’Open Space Technology, un metodo basato sull’au-torganizzazione e sulle capacità propositive di colo-ro che partecipano all’incontro, proprio il metodo su cui si basa PartecipAttivaMente. Si chiama così l’iniziativa promossa dall’Assessorato alle Politiche Giovanili del Comune di Galatina, in collaborazio-ne con Galatina 2000 e Città Fertile, che nell’anno scolastico 2011/12 ha visto riuniti centinaia di ra-gazzi intorno ad un’unica domanda: “Come i giovani fanno funzionare gli spazi urbani?”

Un nome, tutto un programma quello del pro-getto che ha cercato di sollecitare gli studenti pro-

venienti da tutte le scuole di Galatina, e non solo, a pro-porre nuove idee per rende-re nostro ciò che da un po’ di tempo abbiamo abban-donato. Insomma cercare di eliminare quello stereotipo del giovane superficiale, in-dividualista e nichilista.

PartecipAttivaMente, che nella prima fase si è mobili-

tato per la formazione di cinque “angeli” per ogni istituto di Galatina, si è concluso nel migliore dei modi, con un OST finale dove tante emozioni ma soprattutto tante idee non sono mancate.

Concluso?! Beh, io non direi, visto che il pro-getto ha avuto la possibilità di svilupparsi anche all’interno del nostro Liceo Scientifico e Linguisti-co Antonio Vallone, con una nuova domanda però: “Come gli studenti possono utilizzare gli spazi all’in-terno della scuola?”. I ragazzi hanno messo in moto subito i neuroni e hanno trasferito quello stesso entusiasmo, che ha fatto rinascere l’ex mercato co-perto della città, all’interno della nostra scuola, con l’intento di rendere il nostro Liceo più bello e più accogliente di quanto non lo sia mai stato.

Gli studenti si sono così divisi in due gruppi: il gruppo fisico che ha avanzato numerose proposte circa la manutenzione e ristrutturazione dell’edifi-cio, e il gruppo metafisico che invece ha suggerito come questi spazi possano essere utilizzati.

Sono nati quattro progetti: due fisici e due me-tafisici: Valorizziamo i nostri “bisogni” e La città del Sole che riguardano la ristrutturazione rispettiva-mente dei bagni e dei corridoi; Barattiamoci le com-petenze e Neuroningioco, quest’ultimo sulla ricerca didattica da parte di un gruppo formato da docenti e studenti.

C’è chi ha definito le nostre proposte irrealiz-zabili, pazze, ma noi sogniamo, sogniamo che un giorno la nostra scuola sarà la migliore, quel luo-go in cui ai ragazzi piace vivere e condividere per imparare e diventare grandi. Noi puntiamo sempre alla Luna, male che vada avremo camminato fra le stelle.

Mauro Mandorino

Narghilé

10 maggio 2012

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incontro ravvicinato con le istituzioni della repubblica italiana

VinCitori Di Un giorno in senAto!Durante una semplice lezione di storia la nostra

prof. De Vitis ci propone un progetto: UN GIOR-NO IN SENATO. Di cosa tratta? Proporre un dise-gno di legge al Senato, una legge fatta da noi!

Come potevamo rinunciare ad una proposta così allettante? Se il nostro disegno di legge fosse stato scelto, avremmo fatto un viaggio a Roma (e a noi la voglia di viaggiare proprio non manca!), avremmo potuto dare una sbirciatina ai luoghi del potere e fare due chiacchiere con chi del buon governo del nostro Paese ne ha fatto una scelta di vita. Così, nonostante tutte le difficoltà possibili presentateci dalla prof. – forse per dissuaderci o per sondare la nostra motivazione – abbiamo deciso di accettare la sfida e, senza perdere tempo, siamo partiti in quarta alla scelta delle strategie organizzative.

Quale tema trattare? Le proposte sono state tan-te in quanto i problemi della nostra società sono un’infinità. E dopo accese discussioni e attente ri-flessioni, anche attraverso un gruppo costituito ad hoc su Facebook, ecco l’idea: proporre una soluzione a un problema molto sentito e non più rinviabile nel nostro paese, LA GESTIONE DEI RIFIUTI.

Iniziamo a documentarci e, inaspettatamente, ci imbattiamo in un mare magnum di contraddizioni. Se avete voglia di navigarlo questo mare, potete leg-gere la nostra relazione (è piuttosto tecnica e quindi un po’ noiosa, però vi assicuriamo che vi rivelerà

cose che neppure immaginate!). Ad oggi la gestione dei rifiuti si presenta, su tutto il territorio naziona-le, disorganica, contraddittoria, spesso improdutti-va, quando non pericolosa per i cittadini. L’ argo-mento sembra interessante, corposo e soprattutto inconfutabile.

Studiamo giorno e notte, come mai avevamo fatto finora. La nostra relazione di proposta di DdL è pronta per essere spedita al Senato. Incrociamo le dita e dopo due mesi l’esito: ce l’abbiamo fat-ta! A gennaio 2013 saremo a Roma con la nostra proposta di legge. Entusiasmo e preoccupazione ci pervadono: siamo orgogliosi di noi, del nostro lavoro insieme, ma abbiamo anche paura di non essere all’altezza della situazione. Ma questo non ci ferma perché abbiamo ancora tempo per lavorare sulla discussione del nostro DdL che ora deve es-sere più dettagliato e organizzato in un “copione” per la seduta ufficiale. Per questo possiamo contare anche sul sostegno e la supervisione della dott.ssa Laura Fatteschi che, sempre gentile, disponibile e preparatissima, dal suo ufficio in Senato, mantiene i contatti con noi telefonicamente e via email.

Questa esperienza ci ha fatto scoprire una verità fondamentale: se desideriamo fortemente qualcosa, abbiamo alte probabilità di ottenerla. Meditiamo gente, meditiamo.

La classe IV E

Narghilé

11maggio 2012

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Quando la cultura paga

se Volete Un FUtUro non ABBiAte PAUrA Di metterVi in gioCoCronaca di una informale chiacchierata con Angela Beccarisi, guida turistica e operatrice culturale della città

Il 23 febbraio 2012 noi ragazzi del gruppo di redazione di Narghilé abbiamo intervistato Angela Beccarisi. Volevamo capire cosa si muove nella città, quali le spinte dei giovani per la sua crescita culturale.

Per l’incontro è stato scelto un luogo decisa-mente informale, il centralissimo Bar delle Rose di Galatina.

Lei è una ex studentessa del Vallone. Al Liceo la legano molti ricordi della sua adolescenza. È come un fiume in piena quando ci racconta quegli anni. Soprattutto ci tiene a sottolineare l’impegno socia-le della sua vita da studentessa, come quando nel 1994, con lei a capo, tutti gli studenti della città manifestarono a favore delle scuole pubbliche con-tro la loro parificazione con quelle private.

Dopo il diploma Angela si è laureata nella Fa-coltà di Beni Culturali dell’Università del Salento. Grazie al Progetto Erasmus ha avuto la possibilità di studiare in Germania e di confrontarsi con un’al-tra grande cultura europea. Del suo curriculum pre-lavorativo ricorda con molta simpatia una me-ravigliosa esperienza in Turchia, ad Istambul, dove ha lavorato presso l’Istituto Italiano di Cultura.

Nel 2008 è tornata a Galatina e, dopo un corso di specializzazione, ha iniziato a lavorare autono-mamente come guida turistica. Essendo molto ap-prezzata per il suo operato, da circa tre anni lavora anche per la Provincia di Lecce.

Insieme ad un gruppo di amici ha fondato l’as-sociazione culturale “Agorà-percorsi inVersi”, che ha come fine quello di una partecipazione attiva degli iscritti alla vita culturale e civile della città, con una speciale attenzione rivolta ai giovani. Ci parla di un esempio di donna, Ipazia, una mate-matica, filosofa e astronoma pagana vissuta tra il quarto e il quinto secolo ad Alessandria d’Egitto. Su questa figura sono stati effettuati molti studi che hanno portato a far coincidere la sua figura con quella di Santa Caterina d’Alessandria.

Angela ci infonde speranza per il nostro avvenire. Ci parla delle possibilità di lavoro sempre più scarse nel nostro territorio, ma ci incoraggia a metterci in gioco proprio come ha fatto lei. Ci invita a riflettere sull’esperienza dei ragazzi dei Cantieri Teatrali Ko-reja che, da semplice gruppo di amici autofinanzia-ti con la passione per la recitazione, sono diventati un apprezzato gruppo di teatro all’avanguardia. Alla nostra domanda se è possibile vivere di sola arte e cultura, Angela risponde: “Perché no?”. Ci propone ad esempio il gruppo musicale dei Negramaro, che vive esclusivamente della propria arte. Tutto sta nel capire bene sia le proprie passioni che i propri limiti. Non dobbiamo fare qualcosa solo per guadagnare. Lo dobbiamo fare se anche ci piace.

Angela mette sempre a disposizione degli altri la sua passione, decidendo autonomamente le sue ta-riffe di guadagno. Dopo aver scoperto una cappella intitolata a Santa Caterina, questa è stata messa in vendita. Una parte del ricavato andrà a finanziare progetti culturali. Angela termina il suo discorso con una frase che ci sembra importante e che ab-biamo tenuto a mente: “Vendiamo cultura per dare cultura. La cultura paga. È come un circolo”

Grazia Chirivì, Giulia Virgilio

Narghilé

12 maggio 2012

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Un nuovo servizio del liceo a favore del personale e dell’utenza

CoUnseling Ben-essere Al VAllone

Quest’anno il nostro Istituto si è arricchito di un nuovo servizio per alunni, docenti, persona-le ATA e famiglie: si tratta del COUNSELING. L’idea che è alla base del Progetto si è afferma-ta negli ultimi anni in Italia in campi diversi: la consulenza alla persona, l’orientamento, la for-mazione, l’inserimento o il reinserimento lavora-tivo, l’accompagnamento ai processi di sviluppo e di carriera, la cura della persona etc.. Il counse-ling consente di motivare/rimotivare le persone e di avviare processi di autoconsapevolezza sugli obiettivi e le finalità personali e di apprendimen-to. In pratica è una “forma di rapporto interper-sonale in cui un individuo che ha un problema ma non possiede le conoscenze e la capacità per risolverlo, si rivolge ad un altro individuo, il con-sulente appunto che, grazie alla propria esperien-za e preparazione, è in grado di aiutarlo a trovare una soluzione. Perché un rapporto di consulenza possa instaurarsi occorre che il cliente percepisca una situazione di difficoltà e senta anche il de-siderio di uscirne e deve provare un sentimento di fiducia nei confronti del counselor che, a sua volta, dev’essere in possesso di capacità tecniche,

operative, ed emotive per aiutare il cliente ad aiu-tarsi.

Nel Liceo questo servizio ha affiancato quello psicologico già offerto negli anni passati e ha dato la possibilità agli alunni di poter essere ascoltati an-che e soprattutto in orario extrascolastico.

Sul campo è un’esperienza da cui cliente e counselor ne escono arricchiti. Al di là della prosse-mica, dello studio di situazione, del problema o dei problemi è il contesto che detta le regole e tutto ciò è possibile solo se si respira all’unisono. Il counselor deve essere in grado di provare le stesse sensazioni, di trovare un punto di contatto seguendo le moda-lità proprie di ogni cliente, di entrare nella stessa situazione, di respirare allo stesso modo, di gioire e soffrire con lui. Nel momento in cui si verifica que-sta empatia, avviene qualcosa di magico: due ani-me sono state sollecitate, si sono incontrate, hanno creato il contatto, si sono adagiate l’una sull’altra, si sono sostenute, hanno ripreso il viaggio portan-do con sé ognuna qualcosa dell’altra. L’augurio che posso fare è che tutti possano immergersi, almeno una volta nella vita, nell’autenticità dell’ “essere con”.

Manola Duma WELL

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Narghilé

13maggio 2012

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storia di un’esperienza che ci ha divertito

noi, mArAtoneti DellA lettUrA

Coordinati dalla nostra professoressa di italiano, Rosa Magarelli, dal mese di novembre 2011 siamo stati coinvolti in un appassionante progetto dal ti-tolo Maratona della lettura.

Tale progetto nasce dal desiderio di far avvici-nare noi giovani all’affascinante mondo che si cela tra le pagine di un libro, per farci comprendere che la lettura può essere anche un motivo di sva-go, nonché di apprendimento. Il libro scelto per noi, tra quattro proposti, è stato Bianca come il latte, rossa come il sangue di Alessandro D’Avenia, romanzo d’esordio dell’autore, edito da Monda-dori.

Il lavoro si è svolto in tre fasi. La prima ha vi-sto la lettura individuale del romanzo. Ognuno di noi, procuratosi il libro, ha letto la storia di Leo, un sedicenne come tanti innamorato di Beatrice, una ragazza dai capelli rossi. Leo adora la musica, i suoi amici e il calcetto, studia poco e non ha un dialogo molto aperto con i suoi genitori. Un ragazzo, quindi, che vive l’adolescenza come tutti i suoi coetanei, ma che affronta anche esperienze particolari, che lo rendono più maturo e lo fanno crescere in fretta.

Mentre noi ci appassionavamo e ci immedesi-mavamo in Leo e negli altri personaggi della storia, la prof.ssa ha creato un gruppo virtuale sul social

network Face-book, sul quale ognuno, libera-mente, ha potuto condividere con gli altri le impres-sioni e le emozio-ni suscitate dalla lettura del libro.

A conclusione della prima fase, agli inizi di gen-naio, abbiamo dato inizio alla seconda, la quale prevedeva cinque incontri pomeri-diani di due ore ciascuno. Duran-te questi incontri,

tenutisi a scuola, abbiamo redatto recensioni del libro, analizzato le personalità e i ruoli dei perso-naggi, abbiamo letto alcuni passi insieme ed anche proposto nuove letture sulla base di nostre prefe-renze e di precedenti letture.

Dopo un mese circa, a conclusione delle atti-vità, il 24 aprile ci siamo recati a Lecce presso le “Officine Cantelmo”, per vivere l’esperienza della Maratona della lettura di fronte ad un pubblico di ragazzi di scuola elementare, media e superiore. Ci siamo alternati sul palco per leggere alcuni passi si-gnificativi del romanzo e abbiamo vissuto insieme molte emozioni: dalla contentezza per l’esperienza “fuori porta”, all’ansia di dover leggere per la prima volta in pubblico.

Proprio con l’incontro a Lecce il progetto si è concluso, dopo averci fatto sognare e crescere con Leo.

Quest’esperienza ci ha coinvolti tutti e, per la prima volta, ci siamo sentiti davvero protagonisti; abbiamo imparato che sulle pagine di un libro, molto spesso, possiamo trovare una storia simile alla nostra, e proprio per questo ora siamo lettori attivi.

Il nostro ringraziamento va alla prof.ssa Maga-relli per l’esperienza che ci ha fatto vivere.

Paola Valentini e i ragazzi della III E

Narghilé

14 maggio 2012

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master Classes internazionali di Fisica delle Particelle – 1° marzo 2012

l’imPortAnZA Di FAre grUPPo trA sCienZiAtila ricerca della verità è più importante del suo possesso

Come lavorano attualmente gli scienziati di tut-to il mondo? Certamente non più come nel pas-sato, ma grazie alle nuove tecnologie è possibile che questi, pur trovandosi in luoghi differenti di uno stesso paese o addirittura in continenti diversi, riescano a lavorare in equipe con la possibilità di confrontare costantemente e in tempo reale i loro risultati. In questo modo si può dunque giungere più velocemente a nuove scoperte scientifiche e li-mitare gli errori nella ricerca.

È un po’ questa la situazione in cui ci siamo tro-vati noi, tre studenti di questo liceo, quando abbia-mo potuto partecipare alla Master Classes di Fisica delle Particelle presso l’Università del Salento.

Quest’esperienza, svoltasi il primo marzo, ha vi-sto coinvolte 15 scuole coordinate dall’Istituto Na-zionale di Fisica Nucleare in videoconferenza con altre università d’ Europa e ci ha permesso di riflet-tere sulla figura dello scienziato, sui pregiudizi che lo riguardano e sulla consueta etichetta di studioso solitario. Come sottolineava il nostro coordinatore, un uomo da solo non può giungere a conclusioni certe e a grandi risultati ignorando l’importanza del gruppo e della collaborazione tra scienziati.

Giunti presso l’Università del Salento, dopo aver familiarizzato con il resto dell’equipe e degli insegnan-ti presenti, utilizzando dei software all’avanguardia, abbiamo raccolto e classificato dati reali relativi ad esperimenti facenti parte del progetto ATLAS, uno dei quattro esperimenti internazionali che, al CERN

(Centro Europeo per la Ricerca Nucleare) di Gine-vra, raccolgono dati prodotti dall’acceleratore LHC (Large Hadron Collider).

Contemporaneamente, nelle Università di Bar-cellona (Spagna), Zilina (Slovacchia) e Grenoble (Francia), altri nostri coetanei o “colleghi”, racco-glievano e tabulavano i loro risultati, per poi con-frontarli in videoconferenza con due ricercatori del CERN. I risultati ottenuti dai gruppi di ricerca sono stati pressoché gli stessi, ma l’elemento più importante della giornata, al di là del sapere tecni-co, è stato il piacere della collaborazione e del con-dividere l’amore per la scienza, che valica i confini degli Stati. In particolare uno di noi, Emanuele, ha avuto modo di comunicare in lingua inglese con altri ragazzi i risultati statistici ottenuti e di esporre dubbi e incertezze ai due corrispondenti dalla Sviz-zera ricevendo esaustivi chiarimenti.

Come diceva Einstein un secolo fa, “la ricerca della verità è più importante del suo possesso”. Noi abbiamo avuto modo di sperimentarlo in tutta questa attività, finalizzata certamente non al con-seguimento di nuove scoperte o inafferrabili verità, ma a far comprendere a noi ragazzi quale sia l’im-portanza dell’equipe all’interno del mondo della scienza, i cui meccanismi per molto tempo sono stati rallentati, non di certo per colpa delle grandi menti del nostro passato, ma per la mancanza di mezzi di comunicazione e strumenti adeguati.

Emanuele Caputo, Luigi Congedo, Marco Onore

Narghilé

15maggio 2012

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intervista a Pino Aprile, giornalista e scrittore che del sud ha raccontato un’altra storia

il sUD, Per ViVere, hA Bisogno Dei sUoi gioVAni. lA nostrA generAZione CostrUirÀ Un sUD migliore

Il viaggio verso una nostra maggiore conoscen-za delle risorse territoriali e umane del Meridione d’Italia ha fatto passi da gigante, anche grazie ai li-bri di Pino Aprile, giornalista e scrittore italiano di fama mondiale.

Lo scorso 19 novembre abbiamo assistito ad una sua conferenza presso il quartiere fieristico di Galatina.

La Redazione di Narghilé, armata di registratori e di tanto interesse, ha intervistato lo scrittore di Terroni e Giù al Sud, che ci è apparso da subito pie-no di energie positive e di voglia interagire con noi.

E siamo partiti proprio dagli eventi storici de-scritti in Terroni per cercare di capire qualcosa di più riguardo l’unità d’Italia.

Nel 1861, come racconta Aprile, il Regno di Sar-degna non era in buone condizioni. Immaginiamo, ad esempio, un vignaiolo delle terre fra Torino e Milano. Per poter raccogliere i frutti del suo lavoro occorrevano circa cinque anni, ma non passavano cinque anni tra una guerra e l’altra. Le vigne e i cam-pi venivano continuamente devastati da migliaia di soldati e quei poveracci non li risarciva nessuno.

Mentre questi ultimi continuavano a morire di fame, un gruppetto di politici e affaristi faceva soldi a palate. Scendendo nei particolari, poi, veniamo a conoscenza dei patti di Cavour con Rattazzi per vendere i beni della Chiesa e dell’emissione di altri titoli di Stato da parte del Piemonte per pagare gli interessi sui debiti.

Resta una certezza: chi ha pagato per tutti è sta-to il Sud!

Leggendo i libri di Pino Aprile non si può fare a meno di chiedersi se lui sia consa-pevole di aver reso questo ar-gomento leggero grazie al suo abile taglio giornalistico e a quel giusto pizzico d’ironia. Glielo chiediamo e ci risponde che sì, è voluto, e che la voglia di parlare a tutti, di racconta-re, di urlare tramite le pagine di un libro questa vecchia fac-cenda nasce dalla delusione di non aver mai trovato un libro di storia in cui poter leggere

della vera Unità.Quando la nostra intervista sembrava giungere

al termine e ci preparavamo ad una domanda di commiato, Aprile ha aperto un altro coinvolgente tema, quello dell’Europa senza frontiere. Ecco le sue parole: “Quando nel ‘68 noi giovani di allora facevamo i nostri primi viaggi, sempre senza una lira, tornavamo da eroi. Io ho in testa tutte le frontiere d’Europa. Voi non avete nemmeno idea di cosa sia-no veramente queste barriere. Occorreva avere in una tasca dei marchi, in un’altra franchi, nell’altra anco-ra sterline. Voi siete i primi viaggiatori nella storia dell’Europa unita. Prendete un volo Ryanair e andate dove volete e questo vi sembra assolutamente normale. Per la mia generazione poteva essere il sogno di una vita! Voi siete una tribù a parte, siete una generazione che sta scoprendo con la globalizzazione il valore della vostra terra, perché avete visto il resto. Finché non vedi il resto, il resto è solo immaginato. E, si sa, quello che è immaginato è sempre migliore. Voi, al contrario, non lo immaginate, lo conoscete e, siccome lo conoscete, sa-pete che non è migliore della vostra terra. Questo vi spingerà a restare”.

Ci piace chiudere con le parole di Aprile questo nostro breve resoconto di una enusiasmante inter-vista.

Con la speranza, forse anche illusoria che noi giovani, “la nuova tribù”, potremo davvero rima-nere nel Sud ed operare per farlo migliore. Forse lo faremo davvero. I giovani non sono il futuro?

Dalila De Pirro, Giulia Calò

Narghilé

16 maggio 2012

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Primo posto per il romanzo Gli occhi di mia figlia nell’ annuale sondaggio promosso da “BillY”, la rubrica letteraria del tg1

VittoriA CoPPolA il Best seller 2011 hA i Colori Del sAlento

“La vita mette a dura prova il nostro cuore e le no-stre gambe. Le fa tremare a lungo, a volte le spezza, senza mezzi termini.Poi, improvvisamente, arriva l’amore”

Vittoria Coppola è una ragazza di 26 anni che confida nella bellezza dei sentimenti e perciò, quando qualcuno reputa banale il parlare d’amore, lei sorride e va avanti per la sua strada. La passione assoluta che muove le sue giornate è la scrittura, quella pura, che sa scavare nell’anima di una per-sona e rimanerci. Vittoria, che attualmente lavora come receptionist presso un albergo di Gallipoli, lo sa fare ed anche bene.

ProfR.ssa MR. Guida: Ciao Vittoria, Gli occhi di mia figlia (Lupo Editore) è il tuo secondo romanzo. Come è nato in te il desiderio di scrivere questa storia?

Vittoria Coppola: La storia è maturata nel tempo. L’idea di scrivere è stata, come sempre mi accade, un istinto. La storia non è autobiografica, dunque non ho avuto il “bisogno” di raccontarla. Ad un certo punto però, dalla mia testa è passa-ta alla tastiera del computer, quindi non si è più fermata.

Giulia Mazzarella: Per quali aspetti del suo ca-rattere ti sei ispirata a te stessa e, di contro, cosa ti sarebbe piaciuto avere della personalità di Dana?

Vittoria Coppola: Anch’io, come Dana, credo di aver avuto, a diciassette anni, l’inquietudine ti-pica dell’adolescenza. Ciò che mi piacerebbe avere di lei, è la fantasia. Ci sto lavorando...

Antonio Potenza: Rispetto al tuo primo roman-zo, come senti di essere cambiata, maturata nella veste di scrittrice, e quali difficoltà hai ancora riscon-trato nella stesura del testo e nella pubblicazione?

Vittoria Coppola: Con questo secondo lavoro, penso e spero di essere maturata rispetto al primo libro pubblicato. La qualità del testo è sicuramente migliore.

Lorenzo Prete: Tu sei molto attiva sul web, soprattutto sui social network. Come utilizzi gli strumenti della rete per la tua attività di autopro-mozione e in che modo la tua casa editrice ti sta supportando?

Vittoria Coppola: La Lupo Editore, mia casa editrice, mi supporta tantissimo. Si tratta di per-sone appassionate del loro lavoro, amanti dei libri, dei bei libri. Tutta la passione, sia mia, ma anche del mio Editore, emerge da ogni dettaglio del libro. Il web mi aiuta tantissimo, inutile negarlo. Credo che, se utilizzato intelligentemente, sia una risorsa infinita.

Giada Lattanzio: Dai l’impressione d’essere una ragazza molto estroversa. È realmente così?

Vittoria Coppola: Posso sembrare logorroica, ma il fatto è che sono molto timida e questo mi porta a parlare senza mai fermarmi.

Dopo aver scattato alcune foto, Vittoria ci sa-luta promettendoci che, nel caso in cui alcuni di noi, appassionati alla scrittura, avessero bisogno di qualcosa, lei sarebbe felice di sostenerci.

Giada Lattanzio

Narghilé

17maggio 2012

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Quando la scuola incontra la musica d’autore

FrAnCesCA romAnA PerrottAUn’ArtistA Che PArlA Con lA mUsiCA

“Piove, sulle mie guance rosse d’amorePiove, sulle mie paure e le tue parolePiove, mentre il tuo fumo consuma la stanzaPiove, sul tuo ineffabile nome”

E piove creatività e fantasia sull’auditorium del Liceo “Antonio Vallone” di Galatina.

Creatività che ispira tanti, ma che pochi riesco-no ad usare con abilità. Così Francesca Romana ha voluto insegnarcelo. Leccese DOC si laurea come Interprete e Traduttore all’Università di Bologna. Subito comincia ad insegnare a Cesena lingue e “scrittura creativa”. Il suo curriculum è veramente vasto, composto da esperienze importanti e premi significativi. Primo fra tutti il “Premio De Andrè” vinto nel 2009 per la miglior interpretazione. Con-corso anticipato da altri successi e soddisfazioni personali: vincitrice del Premio Musicultura di Re-canati, esordio discografico nel 2008 con Vermiglio, titolo dell’album distribuito dalla Warner Music e presentato su RADIO RAI UNO in anteprima nazionale. Vince ancora Musicultura Festival nel 2010 con Il tuo nome è veleno e sempre nel 2010 porta a casa il Premio Poggio Bustone intitolato alla memoria di Lucio Battisti col riconoscimento di “migliore personalità artistica”.

Maglietta nera, jeans, stivali e chitarra. Ha tratti tipicamente salentini: sguardo ferreo, ma voce dolce

e a tratti flebile con falsetti che incorniciano abil-mente i suoi testi. Così si presenta una musicista e insegnante di scrittura creativa, con semplicità. Un atteggiamento che mette subito a proprio agio l’au-ditorium che in silenzio ascolta la sua lezione.

Infatti, contrariamente a quanto viene fatto da numerosi cantanti i quali scelgono prima una te-matica e poi la sviluppano sotto forma di canzone, Francesca non pone limiti alla propria fantasia e immaginazione, decidendo il titolo delle sue can-zoni dopo averne scritto e musicato il testo. Pro-prio per questo, durante la sua lezione, e al fine di suscitare in noi la fantasia e la curiosità di poterlo “inventare”, sceglie di non dirci il titolo della can-zone che ci ha fatto ascoltare.

Un altro importante consiglio che Francesca ci ha dato è stato quello di lasciar libero spazio alla nostra fantasia, evitando di utilizzare frasi molto complesse che non renderebbero al meglio l’immediatezza della fantasia stessa. Proprio per questo ci è stato chiesto di formulare una frase senza utilizzare alcune parole (amore, cuore, innamoramento, sole, colpo di fulmi-ne) con la quale si potesse esprimere un nostro ipote-tico sentimento verso qualcuno. Sono venute fuori le più disparate affermazioni, e Francesca ha apprezzato l’immediatezza e la spontaneità con cui noi ragazzi abbiamo espresso la nostra fantasia. Continua con un esperimento: scrivere negli spazi vuoti di una strofa le parole giuste. Si prosegue con immagini scaturite dalle sue canzoni e con consigli su come esercitare la nostra creatività con originalità ed efficacia.

Francesca non ha mai partecipato a nessun gene-re di talent o programma musicale televisivo poiché non si pone il problema di piacere ad un pubbli-co precostituito, ma ama la musica come arte sog-gettiva. “Io suono per la musica”, sono le sue parole utilizzate per spiegarci questo suo punto di vista. Francesca continua a sottolinearci l’importanza del-la spontaneità, dell’immediatezza e ci incoraggia a non soffocare la nostra immaginazione, grazie alla quale potremmo raggiungere qualsiasi obiettivo.

Poi tra gli applausi dell’auditorium si congeda, ma solo dopo averci incantato ancora una volta con le note della sua chitarra e la chiarezza della sua voce.

Marianna Inguscio, Antonio Potenza

Narghilé

18 maggio 2012

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la solidarietà e il dialogo imparati sui banchi di scuola possono contribuire a creare un’etica globale

“DiArio interCUltUrAle”

In questo anno scolastico nella nostra scuola, i docenti Manola Duma, Laura Latino e Salvatore Moscara hanno avviato un Progetto che riguarda l’interculturalità e che ha visto la partecipazione di circa 40 ragazzi tra cui 1 marocchino, 1 cinese, 1 colombiana, 1 ucraina, 1 brasiliana, 1 rumena, 1 bulgara, 1 albanese. In questo Progetto si è richie-sto un prodotto finale, un “diario interculturale” ed ogni gruppo (4/5 ragazzi) che ha accolto l’alunno straniero, ha collaborato, in primis, con il ragazzo straniero della sua classe e, poi, con gli altri gruppi.

Ciò che i docenti hanno cercato di creare è stato:– La cultura della vicinanza all’altro-da-me, dove

“altro” sta ad indicare persona, idea, mondo.– Un contesto familiare non ansiogeno, basato

sulla curiosità e quindi motivazione a stare insie-me per le ore decise nel Progetto, in un contesto strutturale e umano accogliente; un contesto di questo tipo, già dopo tre appuntamenti, è risultato vincente perché i ragazzi extracomunitari ed i ra-gazzi italiani hanno interagito nell’ottica della sfida costruttiva e si è percepito chiaramente che hanno cominciato a sentirsi una squadra nei confronti de-gli altri ragazzi dell’Istituto.

– L’essere docenti e discenti, in contemporanea, dimostrarsi curiosi del loro modo di dire etc., ha

portato al coinvolgimento anche della loro sfera personale e affettiva.

– Naturalmente si è preso contatto con la lin-gua-altra, almeno per le parole che ricorrono più facilmente, e si è vissuto con l’altro in un atteggia-mento di com-prensione e di con-fronto che non ha lasciato posto alla tolleranza, processo in cui colui che tollera si pone in una posizione di supe-riorità.

Si è partiti con un intento: arrivare a compren-dere che si è tutti parti e colori di un unico calei-doscopio. Il prodotto realizzato, oltre ad essere un fiore all’occhiello per il nostro Liceo, ha ricordato ai ragazzi che siamo tutti “uguali nella differenza”, che non sarebbe così bello se non fossimo diversi e che, unendo i nostri “colori” si è potuto realizzare un pro-dotto che è piaciuto a tutti. La reciprocità, la cura, la responsabilità, la solidarietà, il dialogo e la giustizia imparati sui banchi di scuola possono e devono con-tribuire a creare un’etica globale. A guardare molto lontano si corre il rischio di non vedere ciò che è vicino, perciò noi abbiamo optato non di sognare grandi ideali ma di guardare ad essi iniziando dal no-stro “orto”, insomma l’interculturalità come filosofia di vita in cui l’altro-da-me è persona, idea, mondo.

Manola Duma SO

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Narghilé

19maggio 2012

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lA PAginA Di tABBY

teoremi1° TEOREMA DI TABBY (LEGGE DELLA DISTANZA)

Le probabilità di riuscire con un partner sono direttamente proporzio-nali alla distanza del partner dal proprio luogo di abitazione, secondo un rapporto di coefficienti personali di predisposizione sconosciuto.

2° TEOREMA DI TABBY (LEGGE DEGLI INCONVENIENTI)All’aumentare della distanza dei due partner, intesa come distanza tra i luoghi di abitazione degli stessi,

gli “inconvenienti relazionali” aumentano in maniera esponenziale e i “benefici relazionali” decrescono esponenzialmente, presa come x la distanza tra i partner.

3° TEOREMA DI TABBY (LEGGE DEI DUE GUSTI)Con una probabilità del 95% (Costante di Tabby), ordinando un cono gelato a due gusti, il gelataio

metterà sul cono per primo il secondo gusto scelto.

4° TEOREMA DI TABBY (LEGGE DELLO STUDIO)Quanto più studierai bene, tanto più le probabilità di essere interrogato diminuiranno.

Narghilé

20 maggio 2012

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THEO

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5° TEOREMA DI TABBY (LEGGE DELLE PROPORZIONI DIRETTAMENTE INVERSE)Data una particolare situazione è sempre possibile ricavare una proporzionalità diretta tra due caratte-

ristiche opposte.Da questo teorema è possibile ricavare alcuni esempi pratici:1- Quanto più ti serve un oggetto tanto più ti sarà impossibile trovarlo;2- Quanto più un/a ragazzo/a è bello/a tanto più il/la suo/a fidanzata/o sarà orripilante;3- Quanta più fretta hai tanti più ostacoli troverai durante il percorso.

6° TEOREMA DI TABBY (1a LEGGE DEL CAOS RELATIVO)Secondo le leggi dell’entropia una stanza in ordine tende al massimo disordine nel minor tempo pos-

sibile. In questo stato è possibile per il proprietario reperire e recuperare un qualsiasi oggetto in qualsiasi momento.

Se tale caos viene riportato all’ordine da una persona esterna, per il proprietario della stanza diventa impossibile persino orientarsi all’interno della stanza.

Tale situazione è definita caos relativo, in quanto la logica del completo disordine rende più semplice reperire ciò di cui si ha bisogno.

7° TEOREMA DI TABBY (2aLEGGE DEL CAOS RELATIVO)Quando hai una parte del corpo, indifferentemente da dove sia locata, che ti provoca dolore, le proba-

bilità di sbattere su spigoli, angoli, sporgenze e quant’altro aumenta esponenzialmente secondo un fattore di crescita variabile dipendente dall’area della zona interessata.

8° TEOREMA DI TABBY (LEGGE DEL FATTORE EPICO)Le probabilità di eseguire un’azione incredibilmente epica sono massime quando non ci sarà nessuno

in grado di poter testimoniare l’effettivo avvenimento, ciò porta a compiere gesta magistrali senza essere visti da nessuno.COROLLARIO: A causa dell’enfasi derivante dalla riuscita di tale azione si è portati a voler dimostrare a qualcuno le proprie capacità, ciò porta inevitabilmente al corollario di questo teorema:

“Il 50% degli incidenti inizia con la frase: -Guarda che so fare…-“

“Le mie orecchie vedono laddove gli altri occhi non possono sentire”Federico Tabella

Narghilé

21maggio 2012

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Un convegno per ricordare il grande gioacchino toma

A ProPosito Di RicoRdi di un oRfano

A centovent’anni della morte di Gioacchino Toma e a centocinquant’anni dall’Unità d’Italia, mercoledì 21 dicembre 2011, presso la Sala Congressi del quar-tiere fieristico di Galatina, si è svolto un convegno per celebrare il ricordo di questo nostro illustre concitta-dino, noto sia per la sua pittura che per il suo coinvol-gimento attivo nelle lotte anti borboniche.

Sono intervenuti il prof. Paolo Pellegrino, do-cente di estetica all’Università del Salento, curato-re della nuova edizione di “Ricordi di un orfano”, opera autobiografica di Toma, il prof. Antonio Lucio Giannone, ordinario di letteratura italiana contemporanea presso l’Università del Salento e il prof. Lucio Galante, Ordinario di Storia dell’Arte Moderna presso l’Università del Salento. L’intera manifestazione è stata coordinata dal dott. Antonio Liguori.

Gioacchino Toma, nacque a Galatina il 24 gen-naio 1836 e morì a Napoli il 12 gennaio 1891. Rimasto presto orfano e rifiutato dai parenti più prossimi, trascorse una giovinezza sfortunata, tra il Convento dei Cappuccini di Galatina e l’ospizio dei poveri di Giovinazzo. Nel 1854 si trasferì a Napoli. Nel 1857, casualmente coinvolto in una retata del-la polizia borbonica, fu imprigionato per due mesi, poi confinato per più di un anno a Piedimonte d’A-

life. Per vivere dipingeva ritratti, immagini sacre e nature morte di frutta. Durante la prigione il Toma entrò in contatto coi cospiratori antiborbonici e fu tra i primi ad impegnarsi nei moti del 1859. Nel 1860, ufficiale garibaldino, prese parte ai fatti d’ar-me nel Beneventano, nel Casertano e nel Molise. Toma non si impose perentoriamente sulla scena ar-tistica meridionale. Nel 1864, forse ispirato da altri artisti italiani, Toma incominciò una grande opera che lo manderà in crisi: Le signore napoletane in casa di Eleonora Pimentel. Molto auto-critico, riguar-do alla limitatezza della sua cultura, abbandonò la pittura deciso a studiare per colmare le sue lacune. Studiò molto e non espose fino al 1874, quando riprese l’idea di un quadro ispirato alla rivoluzione napoletana, tentato dieci anni prima. Espose la pri-ma versione di Luisa Sanfelice in carcere cui seguì, nel 1877, la seconda versione. Nel 1878 entrò in Accademia a Napoli come professore di disegno, esponendo poco, ma continuando in disparte a de-dicarsi alla pittura. Nel corso della sua vita scrisse l’opera autobiografica che ripropone la sua esperien-za umana e artistica, approfondendo aspetti dell’e-popea risorgimentale e del clima culturale artistico della seconda metà dell’800 napoletano.

Elisa Farì, Verdiana De Giovanni

Narghilé

22 maggio 2012

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PArigi DAl DiArio Di Un ViAggio“Un pretesto per tornare bisogna sempre seminarselo dietro, quando si parte” (Alessandro Baricco)

23 marzo 2012Parigi. La città eterna, la città dell’amore, la

nostra città. La tanto sognata Parigi adesso porta anche il nostro nome, conserva il nostro ricordo, le nostre risate, i nostri pensieri, i nostri sogni.

Ultima notte parigina. Parigina sì, è proprio l’aggettivo giusto.

Notte di risate, di scherzi, di amicizie, di legami.Notte parigina in un hotel fuori mano che è di-

ventato la nostra casa.Eh già, perché a diciotto anni è semplice legarsi

alle cose come alle persone, viene naturale.È semplice metterci tutta l’anima e tutto il cuo-

re. È facile abituarci a quel cambiamento che finisce sempre per piacerci, nonostante i vari lamenti. È facile non trovare più un motivo, un pretesto, una stupida motivazione per tornare indietro, per ri-tornare.

Un pretesto per tornare, uno solo, io non ce l’ho. Niente mi trattiene, niente di importante o fondamentale.

Ho bisogno di cambiare aria, di stare lontana da qui. Ho bisogno di guardare il sole schiacciando un altro suolo, di sorridere a gente nuova.

La gita del quinto anno. Chi l’avrebbe mai detto che ci saremmo arrivati anche noi? Non mi sembra vero, o forse, non voglio crederci. È difficile pensare che le persone che nel bene e nel male ti hanno accompagnato, ti sono state accanto, ti hanno fat-to arrabbiare, piangere e ridere non ci saranno più. Saranno lontane, dovrai raggiungerle con una chiamata o un sms. È strano, fa star male.

Io non so come sarà quando non ci sarete più accanto a me, ogni giorno, ogni ora, ma so come è adesso.

E mi ritrovo qui, a chiederne ancora un po’. A voler fermare il tempo. Il tempo insieme a voi, il tempo passato con noi.

La Tour Eiffel, le strade parigine, i monumenti, la grande e bella Reggia, i ristoranti, l’hotel, le not-ti insonni a ridere e scherzare rimarranno impresse a fuoco nella mia mente. Il vostro posto, invece, quello di ognuno di voi, sarà il cuore. Conserverò ogni gesto, ogni parola, ogni sorriso. Vi conserverò perché un ricordo bisogna sempre tenerselo stretto per non rischiare di sentirsi soli in una notte senza luna e con poche stelle. E vi ricorderò, ci ricorderò. E amerò sempre quella Parigi che ci ha ospitati per una settimana, ci ha accolto con i nostri sogni e le nostre follie. E vi auguro di conservare quel volto stupito che avevate a guardare giù dalla Tour Eiffel e vi auguro di realizzare tutti i desideri che vi hanno attraversato la mente in quegli istanti.

E ci rincontreremo, magari fuori da quel Caffè parigino che ci piaceva tanto. Ci rincontreremo lì a raccontarci dei sogni infranti e di quelli che, invece, contro tutto e tutti abbiamo realizzato. Ci rincon-treremo lì e niente sarà cambiato.

Sediamoci per terra, in cerchio, guardiamo ver-so l’alto e pensiamo al futuro poggiandoci forte sul presente.

Vi voglio bene già soltanto perché fate tutti par-te della mia vita.

Giulia Calò

Narghilé

23maggio 2012

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PArigi… nellA mente e nel CUoreLa nostra gita è iniziata venerdì 29 marzo. Con

tante aspettative finalmente siamo partiti. Percorso in lungo tutto lo stivale, l’hotel di Aosta, insieme con la cena e le camere, ci ha ridato, “stranamente”, tutte le forze per una notte di canti con la chitarra, di chiacchierate, scherzi e giochi sotto il cielo stella-to delle Alpi. Il traforo del Monte Bianco, le pianu-re e le autostrade francesi, i film alla TV, lo stereo, la musica si sono mescolati al sonno saporito sul pullman che riportava l’equilibrio alle ore notturne perse. Non vedevamo l’ora di giungere a Parigi.

Incantevole e magico il primo impatto con la città. Pendolando da un lato all’altro del pullman, cercavamo di immortalare quei monumenti che avevamo visto solo in foto. L’Arco di Trionfo, la Concordia, la Tour Eiffel, i Boulevards, i palazzi dell’aristocrazia, la Senna, il Louvre, Notre Dame: luoghi che profumavano di storia e di arte, di asso-lutismo e di rivoluzione, di Impressionismo, Fau-vismo, Cubismo. Ognuno di noi restava sbalordito dalla grandezza e dal fascino dei suoi monumenti. La nostra guida ci ha accompagnato nella visita alla maestosa Cattedrale gotica di Notre-Dame, ai giar-dini Luxembourg, agli Invalides, alla Sorbona, al Quartiere latino ed ai più importanti monumenti della città. L’intenso programma è stato realizzato anche oltre il previsto. Siamo riusciti a strappare

anche momenti di indipendenza e tempo libero che abbiamo dedicato ai magazzini La Fayette, a Montmartre, e poi sul Trocadero per le memorabili foto ricordo con la Tour. Pochi di noi conoscono il francese, ma sempre e dovunque ci siamo fatti sim-paticamente capire mediante un inglese “salentiniz-zato” e soprattutto con il “linguaggio universale dei giovani”, sia nei negozi, sia con i tantissimi turisti, moltissimi dei quali coetanei come noi in gita. La visita al Louvre, è stato uno dei momenti esaltanti del viaggio; stupende opere d’arte, soprattutto ita-liane, tra cui ognuno cercava quelle che aveva stu-diato sui libri, quasi in una caccia al tesoro.

Nel giro col bateau-mouches sulla Senna, nella coda per il Louvre e nella tanto attesa salita sulla Tour Eiffel, abbiamo portato, orgogliosamente, il nostro calore e simpatia mediterranea che spesso contrastavano con la freddezza nordica, tra una folla multietnica e poliglotta, soprattutto orienta-le, contagiata e divertita dal nostro entusiasmo di gruppo.

Un viaggio stupendo pieno di interessi culturali, ma anche di tanta amicizia, calore umano, risate, canti, giochi, contrattazioni con i venditori ambu-lanti, raduni notturni nelle camere, simpaticissime imitazioni senza risparmiare nessuno. Tra i ricordi indimenticabili, i versi da zoo con eco sotto i ponti

della Senna, le foto con turisti cinesi perfetti sco-nosciuti, la doccia caren-te di privacy per colpa di quella maledetta tendina in stanze-appartamento con tanto di elettrodo-mestici e piastra cottura per il caffè italiano con moka, e soprattutto, tanta voglia di vivere in-tensamente, di notte e di giorno, l’occasione della gita.

Per tutto questo la nostra settimana parigi-na resterà uno dei mo-menti più belli ed indi-menticabili della nostra vita.

Emanuele Caputo

Narghilé

24 maggio 2012

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PArigi FrA sogno e reAltÀSono stanca, ho già sonno...“Forza, una foto di classe davanti alla piramide

del Louvre… Prof. venga anche lei. Sorrideteee uno due tre… drinnnnnnn”.

Non è possibile, ieri ho dimenticato di fare lo zaino, ora mi devo alzare di fretta altrimenti il Prof. mi segnala il ritardo. Anche questa notte mi sono venute in sogno le giornate a Parigi. Non ho una notte di pace, ogni volta che chiudo gli occhi sono catapultata lì, tra corse per i corridoi in albergo e lanci di cibo a tavola. Questa notte sono in corriera ad ascoltare l’autista number one ‘Roccu’ che con la chitarra di un ragazzo accompagna il nostro coro, oppure sto correndo per le scale della Torre Eiffel sotto l’incitamento di M.: “Su, su ragazzi continua-te a correre, attento allo scalino dai che manca solo un piano della torre. Chi ce l’ha fatta fare?”. Ieri invece eravamo tutti sul mio letto, diciotto ragazzi più tre professoresse, nascosti da un muro, e al segnale di E. mentre la maniglia si abbassava delicatamente e la porta si apriva piano… “Sorpresa!! Tanti augu-ri F.!!!” Non è da tutti festeggiare il compleanno in una suite di Parigi con i compagni di classe, che forse non vedrai mai più nella tua vita È l’ultimo momento nel quale siamo veramente uniti. È pro-prio questo il problema... Ora sono in classe, ma sono troppo stanca... “Si chiama Tekila”. Mamma quanto è grande! Siamo tutti nella sala musicale del Foyer de Montagne, quattro classi, una sessantina di persone che cantano accompagnate alla pianola da R. e alle chitarre da F. e M., mi correggo, sono una sessantina di persone che urlano. Sono appena en-trati i ragazzi che erano usciti per fare una foto in ‘intimo’ sulla neve. Penso che stiamo facendo trop-po casino, sono le due di notte, la stanza è insono-rizzata eppure sembra che i vetri delle finestre tre-mino per quanto rumore provochiamo saltando tra un ballo e l’altro. “Cosa ti avevo detto? È arrivato il padrone con il cane da guardia”. “Si chiama Tekila.” Non so dire di quale razza è. Ma è alto quanto me! “Ragazzi devo chiudere la sala. Tornate nelle vostre stanze e non correte per i corridoi che ho altri ospiti. Forza uscite”... “Esci, esci G. esci!”

Caspita la prof. si è accorta che mi ero appiso-lata “Scusi non volevo”, “Esci dalla classe G.!” Mi chiedo perché non posso dormire tranquillamente senza avere questo spostamento immaginario, non capisco neppure di cosa sto parlando. Eppure una cosa l’ho capita, con questi sogni resto troppo at-

taccata al viaggio e non riesco più ad essere al passo con lo studio, e quest’anno ho la maturità. Come posso fare?... Siamo in ascensore e una ragazza si sta sentendo male, M. per distrarla parla del brutto abbigliamento di un ragazzo che è lì con noi, forse un francese, lui sta zitto e fa finta di niente, lei si è tranquillizzata ma il ‘francese’ è in realtà un italiano. Scoppia tutto in una risata ma improvvisamente ho mia madre davanti, “Perché stai ridendo?”, “Per-ché mi hai svegliato?”, “Perché stavi ridendo? Pensavo fossi sveglia, alzati che devi studiare”. Non ce la fac-cio, guardo e riguardo le foto scattate in gita. Per-ché non ho più voglia di studiare, proprio ora che sono arrivata alla fine! Guardo il portachiavi con la piccola tour Eiffel che ho comprato fuori Versailles. Magari è solo momentaneo, alla fine smetterò di sognarla.

Devo calmarmi, è stata un’esperienza ma ce ne saranno altre, devo pensare alla scuola ora, doma-ni ho compito a prima ora, poi il corso nel po-meriggio, devo preparare la tesina, ho la maturità quest’anno, con i compagni non saremo mai più uniti come lo siamo stati in gita!

Come faccio a occuparmi di tutto? Non mi va più di pensare al futuro. Sono molto stanca ora, gli occhi mi si stanno chiudendo, ho già sonno...

“Sveglia A. sveglia! Guarda si vede la punta della Torre Eiffel tra la foschia! Siamo entrati a Parigi da un po’! Com’è che hai dormito fino ad ora?”

“Non lo so ero un po’ stanca, ho fatto un brutto sogno. Eravamo tornati dalla gita ed eravamo impe-gnati tra compiti e maturità…”

“Non ci pensare A., la gita è appena iniziata e sarà un’esperienza che non dimenticheremo facilmente”. “Lo spero veramente tanto! Allora cosa mi sono persa mentre dormivo?”

Antonella Greco

Narghilé

25maggio 2012

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lontani dai rumori della città, nel Parco nazionale del Pollino

Un’UsCitA All’insegnA Dello sPort e Del DiVertimento All’AriA APertA

La gita sul monte Pollino, realizzata dalle classi terze e quarte del Liceo, è stata un’esperienza che per due giorni ci ha messo a diretto contatto con la natura. Ha coordinato l’iniziativa il prof. Bianco, con la collaborazione della prof.ssa Fedele.

Gli studenti impegnati nell’uscita didattica sono stati divisi in due gruppi. Il primo, formato da quattro classi, è partito da Galatina il 12 aprile e vi ha fatto ritorno il giorno successivo; il secondo, costituito da tre classi, è partito il 14 e rientrato il 15. Uguale il programma realizzato.

Abbiamo innanzitutto raggiunto le Grotte di Pertosa o dell’Angelo, in Campania. Esse risalgono a trentacinque milioni di anni fa. Il percorso turi-stico si snoda attraverso cunicoli, gallerie e grandi

sale, dove sono presenti innumerevoli stalattiti e stalagmiti. Le loro strane forme hanno sollecitato la nostra fantasia e la nostra immaginazione. Come non pensare all’Inferno dantesco? L’associazione viene subito spontanea già all’ingresso delle grotte. Infatti, per entrare nei tre percorsi turistici a piedi, prima abbiamo dovuto attraversare con un barcone un laghetto formatosi nel corso dei secoli. E chi lo traghettava se non un novello Caronte? Comun-que, suggestioni culturali a parte, l’interno delle grotte ci ha affascinato. Antri enormi si alternavano a cunicoli, coinvolgendoci e meravigliandoci per la loro bellezza.

Dopo la visita alle grotte è stata la volta della gara di orienteering a San Severino Lucano in Ba-silicata, nel cuore del Parco del Pollino La mani-festazione è iniziata alle 21,30 e ci ha coinvolto in un’entusiasmante competizione per le strade del piccolo paese, dove, muniti di torcia e carta topo-grafica, siamo andati alla ricerca di lampade abil-mente nascoste dalle guide.

Il pernottamento (… si fa per dire!!!) in hotel è stato, come in tutte le gite scolastiche, momento di allegria e di scherzi. Abbiamo comunque trovato anche il tempo per dormire.

Il giorno successivo direzione Parco Avventura dove, tra arrampicate, ponti tibetani e passaggi so-spesi in aria, abbiamo affrontato percorsi di diffe-renti livelli di difficoltà, ovviamente muniti di tutta

l’attrezzatura necessaria per svolgere le attività in completa sicurezza.

Intorno a noi uno scenario da favola: una foresta incantata, le ac-que cristalline del fiume Peschiera, lungo il quale si è svolta un’escur-sione guidata, e una grande varietà e quantità di erbe medicinali. Non è casuale che l’etimologia del nome si pensi derivi da Apollo, dio della salute.

Una gita sicuramente indimentica-bile. Le continue piogge hanno cercato di rovinarcela, ma non ci sono riuscite.

Paola Marra, Chiara Picerno

Narghilé

26 maggio 2012

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olimPiADi nAZionAli DellA lingUA itAliAnA. Che soDDisFAZione!

Larino, 20 apri-le 2012. Giornata conclusiva di un bel progetto nazionale al quale il nostro Liceo ha aderito dallo scorso anno: le Olimpiadi del-la Lingua Italiana. Dopo una prima selezione d’Istituto svoltasi il 1° feb-braio mediante una prova sostenuta dai ragazzi di 2° anno, dalla graduatoria scaturita si è forma-to il team agonistico d’Istituto costituito dai primi cinque alunni: Aloisi Vale-ria, Albanese Erika, Marchese Davide della 2ª C, De Simone Andrea della 2ª E e De Giovanni Luca della 2ª L. Sotto la guida del prof. Luigi Bianco, referente del progetto, abbiamo approfondito “in lungo e in largo” le nostre competenze grammati-cali e sintattiche, ed il 7 aprile abbiamo sostenuto la fase eliminatoria a livello nazionale. Tra più di 100 scuole partecipanti, ci siamo classificati al decimo posto in una graduatoria nazionale di 21 scuole se-mifinaliste.

Avevamo raggiunto in questo modo il nostro primo obiettivo: le semifinali a Larino (CB), dove con grande orgoglio avremmo rappresentato il no-stro Liceo Scientifico e Linguistico “A. Vallone”. Infatti, alle ore 8:13 del 20 aprile, dalla stazione di Lecce, finalmente il nostro gruppo parte. Il viaggio si è svolto nel migliore dei modi, ed a Larino ab-biamo trovato una splendida accoglienza da parte dell’Istituto ospitante. Un hotel bellissimo ci ha fornito tutto ciò di cui avevamo bisogno, compre-so il mezzo di trasporto. Nel pomeriggio, insieme con le altre 20 scuole semifinaliste, abbiamo svolto la prova. Si trattava di 78 quesiti molto “tosti”, da svolgere in un’ora, e che vertevano sulla gramma-tica, la sintassi, il lessico, la semantica e la logica. In contemporanea si svolgevano anche le olimpiadi

per la Scuola Media e la Scuola primaria. Comples-sivamente eravamo circa 600 persone provenien-ti da tutta Italia. Si respirava un’aria di tensione, come prima di un compito in classe, ma anche di soddisfazione per essere arrivati a quel traguardo. Dopo la prova, per superare tensione e stanchez-za, ci è stato offerto un ricco buffet e siamo stati accompagnati per una visita guidata ai siti archeo-logici del posto.

La mattina seguente eravamo ansiosi di cono-scere i risultati. Con grande gioia abbiamo saputo di esserci classificati all’ottavo posto su 21 Scuole Superiori semifinaliste. Tra riprese televisive e foto, ci è stato consegnato durante la cerimonia ufficiale un attestato per il nostro Liceo.

Questa esperienza ci ha arricchiti culturalmente e ci ha dato la possibilità di conoscere altre realtà; abbiamo conosciuto tanti ragazzi nostri coetanei provenienti da diverse parti d’Italia, ma in parti-colare durante il viaggio abbiamo stretto amicizia con un altro team di alunni del Liceo Classico di Corato con cui ci siamo confrontati sulle loro tra-dizioni ed il loro dialetto. Siamo tornati a casa un po’ stanchi, ma orgogliosi di aver tenuto alto l’ono-re del nostro Liceo.

Valeria Aloisi, Erika Albanese

Narghilé

27maggio 2012

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tU mi PiACi, il resto no“Sai qual è la verità? Che la gente combatte solo per sé. Eppure le guerre migliori sono quelle che si combattono per gli altri, perché c’è la forza di un ideale, puro, e non di un interesse. Per me non ha combattuto nessuno.” (Giulia Carcasi)

Sono stanca di questo mondo che gira sempre nello stesso, dannato senso. Stanca di girare al con-trario, di essere sempre contro. Stanca di chi pre-tende da me, di chi crede di sapere, di chi crede di conoscere, di conoscermi. Stanca della gente. Non mi piace. Stanca degli idioti che non vedono il nero, non vedono il rosso, non sanno individuare i colori.

Non mi piace la gente che vuole il grigio, a tutti i costi il grigio!

Ed inoltre sono stanca di questa gente sempre in forse. I giorni sono sì o sono no. Non c’è via di mezzo, non ci sono tinte incerte, non esiste il com-promesso del grigio.

La mia vita ha colori forti, anche nei giorni no. Non mi piacciono le sfumature. Non mi piace il chiaro-scuro.

Mi piaci tu. Che sei bello nei tuoi contorni pre-cisi, nei tuoi lineamenti decisi.

Ti hanno disegnato proprio bene. Ci hanno messo l’anima in te, in ogni particella di te.

Mi piaci tu. Mi piace ogni tratto del tuo corpo, ogni curva. Mi piacciono i tuoi colori. Il tuo rosso, il tuo giallo, persino il tuo nero.

Ma, ti prego, non darmi il grigio. Tu no, per favore!

Giulia Calò

SA

TY

RIC

ON

Narghilé

28 maggio 2012

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CO

MIC

STR

IPS

GReCO e le Sue bATTuTe

COMIC STRIPS

beRTINI e I SuOI “POTeRI”

GeRVASI e lA SuA FIDuCIA

Nel MIlAN

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Dove sonoi suoi sogni

e dov’èla sua allegria

Dove sonoi suoi sogni

e dov’èla sua allegria

Roma, 27 aprile - Festa della polizia di stato

premiato il liceo Vallone con Lucky dog

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la mano in tasca prende l’unica

sua amica..

la mano in tasca prende l’unica

sua amica..

Roma, 27 aprile - Festa della polizia di stato

premiato il liceo Vallone con Lucky dog

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Venerdì 9 marzola mattinata trascorre

tranquillamente, tra le solite verifiche, le solite lezioni, la solita sonnolenza. inaspetta-tamente qualcuno bussa alla porta, interrompendo la lezio-ne di latino, sono felice. la prof.ssa liliana tommasi com-pare sull’uscio. Mi rimangono impresse alcune parole, come “concorso musicale”, “Roma”, “Rai Uno”, “discografici”, “con-tratto”. sono così eccitato che vorrei avere con me la mia chi-tarra. si tratta di un concor-so musicale organizzato dalla polizia di stato, incentrato sul tema della legalità. io e il mio compagno, non solo di classe ma anche di musica, alias Ric-cardo santoro ci riflettiamo un po’ su, poi decidiamo di parte-cipare nonostante il periodo di grandi impegni che ci aspetta a breve. Ma a una condizione fondamentale: andiamo con lo scopo di vincere! Comincia il travaglio di una faticosa e ac-curata ricerca dei componenti del gruppo con l’onnipresente dilemma di ciò che abbiamo in mente di fare, e ciò che abbia-mo a disposizione. dopo qual-che giorno, il gruppo è final-mente al completo: alle voci/cori agostino acquaviva, leti-zia santoro, Federica panico, Francesco Villani; alla secon-da chitarra Marco polimeno; al basso antonio de Matteis; alle tastiere Riccardo santoro e Benedetta leway; alla bat-teria Carla palumbo. sorgono nuovi problemi: non abbiamo un posto per provare, ognuno di noi ha la sua idea, musical-

mente alcuni hanno influenze dall’Hard Rock americano, altri dal Funky, altri dai gene-ri più disparati come Blues, Jazz, Bossanova, Pop. i gior-ni passano ancora, mentre scopriamo che la scadenza del concorso è fissata per il 26 marzo. Non c’è molto tem-po, anzi, è già troppo poco, ma non molliamo senza nean-che aver provato! Con molta fretta riusciamo a ottenere il nulla osta dal nostro dirigente scolastico, prof.ssa M. Ro-saria Bottazzo, per utilizzare tutto ciò di cui la scuola dispo-ne; che non è molto, anzi, è lo stretto necessario (molto stretto). Grazie alla prof.ssa de Vitis, abbiamo anche la possibilità di incontrarci a scuola. Finalmente siamo da-vanti agli ultimi problemi rima-sti, che sono anche i più seri da affrontare, cioè comporre testo a tema e musica, incide-re il pezzo, realizzare un video-clip del brano. i dubbi su come organizzare la composizione del brano vengono risolti dal-la mia proposta di partire dal testo, di difficile realizzazione a causa del tema da affron-tare. dagli incontri successivi escono fuori un paio di idee, che tali restano, non c’è ispi-razione.

Sabato 17 marzoin data odierna sono previ-

ste le prove musicali a scuola a partire dalle 14,30. suona l’ultima ora, tutti vanno fretto-losamente via e mi ritrovo se-duto sulla cattedra assieme a Francesco Villani.

improvvisamente l’idea giusta per un testo originale e interessante, mi comincia a frullare in testa come una macedonia di frutta. insie-me a Francesco, comincia-mo a delineare i tratti di un personaggio fantastico, lo stereotipo del “mafiosetto di quartiere”, che più che esse-re “bravo” in quel che fa, è accompagnato dalla fortuna. odiato e criticato da tutti, un poveraccio a cui delinquere in fondo conviene, ma per questo è isolato dalla socie-tà: un “bastardo fortunato”. arrivano tutti gli altri, e mo-stro loro la mia idea. l’idea piace, ma passano tre ore che si tramutano in un nul-la di fatto. il tempo passa, mentre ancora stiamo ten-tando di diventare un gruppo di persone coeso, premessa fondamentale per un gruppo di musicisti. a fine giornata, il resto del gruppo decide di lasciarmi fare, purché velo-cemente.

Maggiormente motivato dalla fiducia ottenuta, il pome-riggio successivo mi rifugio in campagna, dove solitamente scrivo. Nella solitudine della mia auto, comincio a scrivere qualcosa, tra una sigaretta e un sorso di birra. “Birra”, penso. “Voglio che il testo inizi parlando di birra”, e così è. dopo l’inizio (che ritengo sia la parte più complessa) il te-sto viene fuori facilmente. Fi-nalmente, Lucky Dog è nato, almeno a parole. il giorno se-guente porto agli altri il testo, sono contenti, piace a tutti.

Breve storia della partecipazione del Liceo Vallone al concerto della Polizia di Stato, REGOLIAMOCI

A LUCKY SHOT

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Chiedo a Riccardo come in-tendiamo muoverci per la composizione della musica. lui legge il testo e mi dice di star tranquillo, che qualcosa di interessante lo aveva già provato e si addiceva al testo in maniera perfetta per origi-nalità.

Martedì 20 marzoManca veramente poco,

ma in due giorni, tra un’idea e l’altra, a partire dalla base offertaci da Riccardo, tutti assieme riusciamo a com-porre una melodia originale e orecchiabile, che spazia dal Jazz, al Blues, allo Swing, con una influente contamina-zione Rock.

il tempo a disposizione si è esaurito, siamo già oltre il limite massimo. “O la va, o la spacca”, basta così, il brano deve essere registrato, e bi-sogna fare un video. a pro-posito del video, ci affidiamo all’idea nata dal nulla a Riccar-do, che ha in mente già molto chiaramente che cosa fare. il tutto sarà unito alla mia suc-cessiva proposta per le scene finali del video.

Giovedì 22 marzoMancano quattro giorni

alla consegna, quando ci re-chiamo da Carmine tundo, in arte Romeus, per registrare il pezzo nel suo studio. Car-mine è un amico, e da poco ha conosciuto anche Riccar-do, con il quale ha già confi-denza. Ci sta dietro e ci as-siste passo dopo passo nella registrazione. a poco a poco anche gli altri dimenticano l’iniziale imbarazzo e si am-bientano. la registrazione durerà in totale tre giorni. (22-24-25).

Venerdì 23 Marzosiamo ospiti del Ristorante-

disco pub Pepenero di Galati-na, dove registriamo, grazie a stefano Barbarini, una buona parte delle scene del video-clip. il resto delle scene sarà girato nella sera per le strade di Galatina, dove occasionali passanti hanno gentilmente accettato di partecipare al videoclip in qualità di compar-se. il videoclip ha scene a suf-ficienza per essere montato al computer assieme al brano, che però non è affatto pronto.

Domenica 25 marzoÈ l’ultimo giorno a dispo-

sizione, c’è ancora molto da fare. alle due del pomeriggio in studio, dove Romeus mi aspetta per eseguire il mix del brano, che è l’aspetto fon-damentale di una buona riu-scita del brano e soprattutto dell’intera registrazione. parte un lavoro impegnativo quanto frettoloso di mixaggio, assem-blaggio e accordo di voci, mo-dulazioni di chitarra, mixaggio e montaggio di pianoforte e tastiere ecc., che si ultima finalmente intorno alle otto di sera. È buio, prendo l’auto e corro da Riccardo, mi aspet-ta per avere il cd contenente il brano. Consegno il cd ad un ansiosissimo tastierista in preda a un’isteria, a mio av-viso, impressionante. È tutto nelle mani di Riccardo. Non so quanto ci abbia messo, non so come lui e stefano Barbarini possano essere letteralmen-te impazziti davanti a quel pc; ma so che il giorno seguente, 26 marzo, quel dannato cd contenente brano, videoclip e testo era lì, proprio dove dove-va essere: nel computer della nostra preside perché lo visio-

nasse assieme alla prof.ssa de Vitis, entrambe commos-se e orgogliose di noi. era un buon inizio, pensai.

durante il nostro viaggio a parigi, veniamo avvisati che il nostro lavoro è il migliore di tutta la puglia, e finalmente al ritorno, la notizia più bella di tutte. Non avevamo vinto ma ci eravamo riusciti comunque: secondi a pari merito, e a livel-lo nazionale!

Venerdì 27 aprile, Roma, Gran Teatro Rai Saxa Rubra.

dopo quelle che erano or-mai divenute “le solite intervi-ste”, finalmente il premio. l’at-testato e la menzione speciale dedicataci.

al di là dei contenuti, l’espe-rienza musicale e del viaggio sono state decisamente oltre ogni aspettativa, tali da esse-re in grado di emozionarci, tutti quanti.

le persone delle quali mi sono circondato, si sono rivela-te di un’eccezionale professio-nalità e personalità (i poliziotti, le professoresse). i compagni di viaggio, la redazione di Nar-ghilè, assieme al gruppo mu-sicale, sono stati fantastici in ogni momento e situazione. la cosa che più ci compiace è no-tare che il brano abbia colpito un notevole numero di perso-ne, di tutte le fasce d’età e gu-sti musicali. Come dice agosti-no: “la musica è un collante”, e ha unito tante persone, tan-te situazioni, tante “cose” tra loro completamente differenti o opposte.

Lucky Dog è una canzone, sono io, è una piccola parte di ognuno di noi.

davvero un colpo fortunato.

Francesco Paturzo

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storia di un pezzo nato in gran fretta

“FIGURIAMOCI SE…”che su un testo così originale non poteva che adagiarsi una soffice melodia altrettanto ori-ginale, raffinata e ricercata. Con la benedizione di non so quale Musa, scrivo qualcosa di jazz con influenze swing, soul e naturalmente rock, o almeno quello è il mio intento. Nel giro di dieci minuti nasce Lucky Dog. Ne curiamo l’ar-rangiamento con Francesco e con tutti i musicisti e cantanti che, come noi, avevano scelto questa sfida. Ne esce fuori un compromesso musicale, un ibrido che mi soddisfa ancor più dell’idea originale. poi in gran fretta registriamo tutto, giriamo le scene per il video e lavoriamo giorno e notte con stefano Barbarini (grazie ste-fano!) al montaggio. Non c’era tempo, ma immaginavo già il prodotto finito e questo mi dava la forza e la voglia di im-mergermi totalmente, senza risparmiarmi.dopo un paio di settimane fi-nalmente il verdetto: secondo posto nazionale con menzione speciale della critica. i ragaz-zi del gruppo sono al settimo cielo, per molti di loro è la pri-ma esperienza del genere, la preside più entusiasta di noi, la prof de Vitis visibilmente commossa. Un’immagine che non dimenticherò mai. al di là del concorso, quella era sta-ta la vittoria più grande: aver emozionato. si era creato un clima di magia all’interno del gruppo, forse è stata quella la chiave del successo. per-sone completamente diver-

“Vi va di scrivere un pezzo sulla legalità e sul rispetto delle re-gole? legalità? Rispetto delle regole? ecco, ci risiamo. il soli-to concorso che ogni santissi-mo anno il Ministero dell’inter-no finanzia, nel vano tentativo di raccogliere qualche anima nera per riportarla sulla retta via della Redenzione. pensai esattamente questo, quando in un giorno anonimo di metà marzo, mi ritrovai a parlare con la professoressa Valeria de Vitis. inoltre, chi avesse eventualmente vinto, avrebbe avuto diritto ad un contratto con una casa discografica, la Warner Music. sì, figuriamo-ci se la casa discografica che produce Madonna e ligabue, ha tempo da perdere con i concorsi scolastici. sarà si-curamente un modo come un altro per incentivare la parte-cipazione, null’altro.lo scetticismo assoluto e la totale mancanza di tempo mi fecero pensare ad un proba-bile e quasi certo flop. Ma c’era di mezzo la musica. scri-vere canzoni era ed è la mia passione. e poi, in ogni caso, sarebbe stata una vetrina im-portante.Così decido di mettermi in gio-co. Francesco paturzo, com-pagno di classe, amico fidato e compagno di musica, abboz-za un testo, con cui dà un’in-terpretazione del tutto perso-nale del tema da affrontare: un criminale, un mafiosetto di quartiere che vive la sua delin-quenza in completa solitudine. Mi piace moltissimo e penso

se, catapultate in un conte-sto dominato dall’ansia, dalla fretta ma anche dall’esplosiva creatività, accomunate da una passione quasi soffocan-te per la musica.È così che il 26 aprile par-tiamo per Roma, ospiti del concerto che si sarebbe te-nuto il giorno successivo, organizzato dalla polizia di stato, che aveva patrocinato il concorso. interviste a ripe-tizione, giornalisti, televisioni regionali e nazionali vogliono parlare con noi. Ci stavamo prendendo quasi gusto. Quel 27 aprile, in mezzo a quella parata di stelle c’eravamo an-che noi. tutta italia ha dovuto ammirare il piccolo miracolo che dieci ragazzi di un liceo, di una piccola città dell’entro-terra salentino erano riusciti a compiere.il concerto si conclude nell’eu-foria generale degli oltre tre-mila studenti. sembra che tut-to sia finito, sembra. saliamo sul pullman per ritornare nella scuola di polizia che ci ospi-ta, quando si presenta ai no-stri occhi Monica sammati, il Commissario Capo della Que-stura di lecce, con un bigliet-to da visita in mano. Marcello Balestra, il direttore artistico della Warner aveva chiesto di noi, era rimasto ammaliato dal taglio professionale, origi-nale e raffinato che avevamo dato al progetto. lui, che lavo-ra da una vita in quel settore, ci aveva notato, aveva preferi-to noi ai vincitori. Non sentivo più le gambe. il mio scettici-smo aveva perso la partita: “Figuriamoci se la casa disco-grafica che produce Madon-na…”. e invece...

Riccardo Santoro

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4 maggio 2012 H 21:45

Salve dr. Marcello,sono Valeria De Vitis, la prof che ha accompagnato al concerto/spettacolo REGOLIAMOCI, il gruppo Caski Blues del Liceo “Antonio Vallone” di Galatina, in provincia di Lecce.Il gruppo è stato premiato, 2° ex equo con altre due scuole, per il video musicale “Lucky Dog”.Ma per i ragazzi il premio più bello è stato l’essere cercati in platea, l’aver ricevuto il suo biglietto da visita, sapere insomma che lei aveva particolarmente apprezzato la loro musica.Da brava accentratrice del potere, come solo noi insegnanti sappiamo fare, custodisco io, per ora, il famoso biglietto da visita che mi permette di scriverle.I ragazzi però fremono e nel mentre li sprono a studiare per l’ultimo tratto di strada prima delle vacanze per alcuni e degli esami di stato per altri, mi perseguitano perché vogliono mettersi in contatto con lei: temono che la sua disponibilità possa affievolirsi col passare del tempo.E io sarò anche la più perfida delle prof, ma questa volta forse i ragazzi hanno ragione.Lei è interessato al pezzo? Le frulla qualche idea da realizzare con loro o con qualcuno di loro?Spero tanto di poter essere il tramite di belle notizie per questi ragazzi che non sono mai stati a scuola per tanto tempo e con tanto gusto come per la realizzazione di Lucky Dog, ed io con loro (ma questo non lo diciamo a nessuno)

Buona fortuna

Valeria De Vitis

5 maggio 2012 H 00:01

Carissima Professoressa Valeria, grazie per la mail bella ed appassionata!Deve sapere che uno dei piaceri del mio lavoro è riconoscere non solo il talento, ma specialmente e più frequentemente il lavoro e l’impegno!Se i suoi ragazzi hanno partecipato all’iniziativa con così tanto entusiasmo e dedizione, il primo riconoscimento tangibile non può che rendergli giustizia. Quando ho visto il video per la prima volta, ho subito notato la grande attenzione data ai dettagli di ogni cosa e per questo faccio i com-plimenti a tutti voi anche vista l’età dei ragazzi.Relativamente all’interesse sul brano o su alcuni di loro, trovo corretto dirvi che è cosa utile appro-fondire maggiormente sulle capacità creative e comunicative degli artefici o del “collettivo”.Questo è l’altro motivo per il quale vi ho voluto lasciare il mio contatto.Sicuramente ci sarà occasione di sentirci telefo-nicamente, ma nel frattempo, se ci fossero altri brani già scritti dagli stessi autori, anche in forma semplicissima e inviabili via mail, potrei già valu-tarne il potenziale.Per ora la ringrazio ancora e se vuole girarmi un contatto telefonico, a breve proverò a contattarla, sperando di non disturbare.Ancora complimenti e buon tutto.A presto

Marcello

a Balestradi Warner Musicpiace Lucky Dog

c’è posta per i caski Blues

Lucky dogIl video della canzone, se vi vien voglia di cantarla, potete trovarlo all’indirizzoh t t p : / / w w w . y o u t u b e . c o m /watch?v=ucNh_mOcbpI

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I PRIMI DellA ClASSe!!!

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L FR

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eppure... ci avevi avvisato

!

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il monDo A testA in giÙDirezione AUstrAliA!

La partenza da Roma, ore 06:00 del 2 luglio 2011. La mia ansia e la paura dell’ignoto sono ben nascosti non solo dalle mille cose da fare (check-in, controllo dei documenti, pesare i bagagli) ma an-che dagli innumerevoli indumenti che ho addosso, che, ovviamente, non entrano in valigia!

In aereo conosco meglio gli altri 48 ragazzi ita-liani, viaggiatori curiosi come me, ed insieme cer-chiamo di far passare le 22 (interminabili!) ore di volo, fino a raggiungere Perth, in Australia. Qui, le nostre strade si separano per poi ritrovarsi alla fine del nostro percorso.

La vera avventura comincia quando incontro quella che sarà la mia nuova famiglia: Peter, Jenny,

Olivia, Natalie, Daniella ed Emily, persone che mi sembra di conoscere da sempre.

Poi inizio a vivere l’Australia, cercando di speri-mentare nuove cose ogni giorno, consapevole che due mesi sono comunque troppo pochi. Scopro paesaggi bellissimi, rimango affascinata dal contra-sto tra l’azzurro dell’oceano e le immense distese di deserto; mi ritrovo circondata da canguri; ad acca-rezzare i morbidissimi koala; con una sciarpa gialla e blu al collo faccio il tifo per la squadra di football del paese; frequento una scuola tipicamente austra-liana; partecipo al ballo scolastico; indosso l’unifor-me, e come gli altri studenti ho il mio armadietto personale.

Due mesi ricchi di emozio-ni fortissime e di momenti resi indimenticabili da ogni singo-la persona che ho conosciuto e dalla mia meravigliosa fami-glia australiana con la quale si è creato un legame splendido.

E a chi mi dice che sono stata una pazza ad andare così lontano da casa, lasciando gli amici, il sole estivo e il mare per andare incontro all’inver-no e a persone completamen-te sconosciute, rispondo che è stata un’esperienza che rifarei (stare vicino al camino a fer-ragosto può risultare anche di-vertente!). E poi la lontananza ha la capacità di rafforzare le “Amicizie” vere.

In fondo, “la bellezza del viaggio è proprio la discontinu-ità che lo caratterizza, è l’uscire dall’ordinato ripetersi dei giorni e dei luoghi”. L’Australia mi ha dato la possibilità di maturare, mettendomi di fronte a situa-zioni e “sfide” che non avrei mai pensato di affrontare. Ma in fondo, lo scopo del viaggio non è proprio questo? Cono-scere e conoscersi. Scoprire e scoprirsi.

Carla Palumbo

Narghilé

38 maggio 2012

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time flies when you are having fun

grAZie sAlentoDiario di un soggiorno indimenticabile

Aspettavo questo viaggio da moltissimo tempo. Lo avevo sognato mille volte sfogliando libri e rivi-ste sull’Italia o cercando su Internet luoghi che mi sarebbe piaciuto vedere.

Ora che il viaggio sta per concludersi ho già nostalgia per il tempo stupendo trascorso qui nel Salento, in mezzo a persone dolcissime e ospitali. C’è qualcosa di arcaico e di misterioso che affascina e conquista chi ci viene. Sicuramente la mia è stata un’esperienza che non si dimentica.

Il 29 Novembre sono arrivata alla stazione di Bari. Già dai finestrini del treno il mio sguardo cer-cava impaziente quello di Carla Palumbo, la mia “sorella” italiana. Lei era là ad attendermi con i suoi genitori. Da subito ho capito che mi sarei trova-ta bene con loro. Scesa dal treno ero felicissima di abbracciarla. I suoi genitori, “da buoni salentini”, sono stati subito aperti e cordiali con me.

Durante il mio soggiorno in Italia, la mia nuo-va famiglia ha fatto molto: con loro ho visitato Gallipoli, Lecce, Otranto e altre stupende locali-tà della provincia. Poi c’è stato un fatto per me bellissimo. Dopo poche settimane dal mio arrivo siamo andati a visitare Roma. È stata un’esperien-za incredibile. Luoghi visti solo in televisione o in cartolina erano davanti a me. Ho fatto un numero incredibile di foto per non perdere nemmeno un atti-mo di questo viaggio sup-plementare.

Avvertivo la potenza di Roma in quei monumenti carichi di storia e di bel-lezza. Avevo sempre visto questi famosi monumenti in televisione o nelle car-toline, ma non avrei mai immaginato di riuscire a fare una foto accanto a loro!

Siamo anche andati in Molise dove ho incontrato dei miei parenti che non conoscevo: che emozione!

Con la famiglia che mi ha ospitato ho vissuto tantissimi divertenti e piacevoli momenti. Li porte-rò con me, nel mio cuore, per il resto della mia vita. Li ringrazio veramente tanto per tutto!

Ringrazio anche la scuola e tutti i miei inse-gnanti. Se mi è permesso, in particolare la prof.ssa Pascali.

E poi, certamente, non dimenticherò mai la mia classe al Liceo Vallone e i miei compagni, che mi hanno accolta come una sorella. Sono stati parte del-la mia famiglia per questi due mesi e senza di loro la mia esperienza non sarebbe stata la stessa. L’ultima persona da ringraziare, ma forse la più importante, è Carla, una ragazza semplicemente eccezionale, senza la quale mi sarei sentita persa. Tutte le mie esperienze sono state preziose perché le ho condivise con lei.

In Australia si dice “Time flies when you are hav-ing fun!”

Per me questi due mesi sono passati molto ve-locemente e ora ho tanti ricordi grazie a tutte le persone con cui ho trascorso questa meravigliosa esperienza.Mi mancherete e non vi dimenticherò mai!!!

Daniella Palermo

Narghilé

39maggio 2012

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Programma annuale in Francia

Che sACriFiCio essere CittADini Del monDo!mA ne VAle lA PenABreve storia di una permanenza all’estero

“Vado per un anno all’estero”. Molti di coloro che me l’hanno sentito dire mi hanno presa per una pazza. Abbandonare tutto e tutti: amici, famiglia, città, scuola. Insomma sospendere la tua vita.

Poco più di un anno fa lasciavo la mia cara Ga-latina con destinazione Francia. Nelle valigie che portavo via con me c’era di tutto: abiti, mp3, foto-grafie e soprattutto tante tante emozioni. Immensa la voglia di scoprire un nuovo mondo. Con essa la paura di essere presa dalla nostalgia di casa.

Molte volte mi hanno chiesto perché sia partita e perché proprio in Francia. È una domanda che anche io mi sono posta diverse volte, come quando già dal primo giorno sono caduta rompendomi la caviglia, persa nelle piccole vie di campagna senza trovare la strada di casa. E poi ancora quando non capivo una minima cosa di quello che mi dicevano, o quando ho dovuto affrontare tutti i cambi di fa-miglia e di scuola o ancora quando ho veramente temuto di non riuscire più a farcela e di non avere la forza per terminare quest’esperienza.

La mia esperienza in Francia è iniziata il 3 set-tembre, quando l’aereo è atterrato e la mia vita è cambiata di colpo. Non c’erano più i miei punti di riferimento, né amici né genitori. Dovevo farcela da sola.

La prima impressione della mia host family è stata positiva. Sem-bravano simpatici, aperti, ma di tutto quello che mi dicevano non capivo una sola parola.

Il peggio è venuto il primo giorno di scuola. Mi sembrava complicatissimo trovare le classi, andare alla mensa, e capire quel fiume di parole che usciva dalla bocca di tutti. Fortunatamente mi è stato molto utile l’inglese, l’uni-co modo per comunicare un poco.

Dopo qualche settimana mi sono resa conto che c’era qualco-sa che non andava nel compor-tamento della famiglia ospitante: erano strani e distaccati. Quindi sono stata assegnata ad una nuova

famiglia in un piccolo paese di campagna di 120 abitanti.

Con loro ho passato 3 mesi fantastici: mi sentivo a casa. Anche a scuola ora andava tutto bene: i miei compagni di classe erano rigolò (molto simpatici).

Purtroppo, dopo 3 mesi e mezzo è giunto il mo-mento di abbandonare questa famiglia a causa di diversi interventi che doveva affrontare la madre. È stata dura perché mi ero affezionata tanto e man-tengo sempre ottimi contatti con tutti loro.

Mi sono quindi trasferita a Beyne, un minusco-lo villaggio di cinquanta abitanti nello Jura presso la famiglia Cieplik, effettuando il terzo cambio di scuola. Qualche tempo dopo il mio arrivo è giunta in casa una ragazza giapponese, anche lei in Francia con la mia stessa associazione.

Gli ultimi mesi in Francia sono stati ricchi di avvenimenti indimenticabili e importanti.

Ho imparato una lingua straniera, sono caduta in montagna, ho passeggiato per 20 km su sentieri quasi sconosciuti, ho cambiato aula ogni ora, ho riso, ho pianto per la nostalgia.

Ma la cosa più importante in assoluto è stata scoprire il mio lato vitale, impolverato dalla routine e un po’ seppellito dai libri di scuola.

Maria Rosaria De Carlo

Narghilé

40 maggio 2012

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DA PeChino A gAlAtinAQuesta è la prima volta che vengo in Italia. Ho

scelto di venire in Europa perché i Paesi hanno cultura e origine del linguaggio totalmente diverse da quella nostra. Ho scelto l’Italia per la ricchezza della sua storia e dei suoi monumenti, che la rendo-no famosa nel mondo. Ma anche per l’importanza del design italiano, conosciutissimo e apprezzato in tutto il mondo. Inoltre volevo imparare una lingua diversa dall’inglese che studio nella mia scuola in Cina. E poi volevo provare a vivere lontana da casa.

All’inizio non è stato facile per me vivere qui da voi. Soprattutto trovavo difficoltà nell’usare la vostra lingua che non avevo mai studiato prima. Vengo da una grande metropoli, Pechino, la capi-tale della Cina. Non ero proprio abituata a vivere in un paesino. Stavo male e mi mancava tanto la mia vita in Cina e la mia famiglia. Tutto mi sembrava molto piccolo: le strade, i negozi.

Ma non avevo fatto i conti con la vostra travol-gente simpatia. Ora mi trovo bene. Mi sembra una vita leggera, naturale e semplice. Mi piace molto.

Nella scuola italiana gli impegni di studio sono diversi. Non ci sono tante regole. Noi invece dob-biamo usare le divise, restiamo a scuola fino al po-meriggio, non facciamo gite scolastiche per più di

un giorno e in classe dobbiamo stare in assoluto silenzio.

Vi assicuro che non è per nulla semplice arrivare in un posto e non conoscere nessuno e non sape-re come comportarsi, mentre tutti gli altri ti guar-dano in modo strano. Io sono una ragazza molto riservata. Non ero abituata a fare amicizia subito, così come fanno i ragazzi italiani. Comunque ho incontrato compagni molto simpatici che mi aiu-tano sempre.

Alla fine di questa esperienza posso dire che ho dovuto cambiare molte cose di me per poter-mi adattare; mi sto abituando a vivere qui e inoltre (questo mi preoccupa un po’) il vostro modo di vi-vere comincia a piacermi molto.

Mi sono divertita e ho imparato un po’ di lingua italiana, un po’ di cultura di altri paesi europei. A luglio andrò via, ma mi piacerebbe ritornare e ho deciso che continuerò a studiare l’italiano. Voglio ringraziare la scuola, gli insegnanti e i compagni che mi hanno aiutato tanto, anche la famiglia che mi ospita. Un grazie anche a chi mi ha permesso di fare questa bella esperienza. Mi mancherà molto, già lo sento, l’Italia e la vita italiana.

Xu Zhang

NO

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Narghilé

41maggio 2012

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Uno scambio di classe con l’Austria

A sCUolA A rieD im innKreis

Era un mercoledì di novembre, un giorno come tanti altri. Dopo quattro ore trascorse in classe, non vedevamo l’ora che arrivasse anche l’ultima di quel-la faticosa giornata. Dopo il suono della campanel-la, entra in classe la prof.ssa Ucini con uno strano sorriso. Mentre nella nostra mente iniziavamo a ripetere la lezione riguardante Geoffrey Chaucer, ci viene data la lieta notizia: saremmo partiti in Au-stria per uno scambio di classe di una settimana! Non potevamo crederci! Subito, attraverso Facebo-ok, ci mettiamo in contatto con i ragazzi austriaci che avrebbero dovuto ospitarci. Partenza decisa: domenica 15 aprile, alle ore 4:30 del mattino. Il giorno stabilito eravamo tutti lì, ventisette ragazzi e ragazze spaventati, ma convinti di voler prendere parte a questa nuova ed emozionante esperienza. Ed eccoci, dopo venti ore di pullman, finalmente in Austria.

Il lunedì mattina a Ried Im Innkreis: la scuola era fantastica e molto tecnologica. Qui, abbiamo seguito alcune lezioni organizzate per noi, riguar-danti alcune tradizioni austriache. Nel pomeriggio abbiamo avuto l’onore di essere ricevuti dal borgo-mastro di Ried, che ci ha dato il benvenuto nella città. Successivamente, nonostante la pioggia, ab-biamo partecipato ad una visita guidata della città.

Poi, in una caf-fetteria nel centro del paese, abbia-mo gustato alcune bevande tipiche.

Mercoledì… non vedevamo l’ora che arrivas-se! Destinazione: Vienna! Divisi in gruppi e dopo aver fatto un po’ di shopping nella capitale, abbiamo potuto visitare Schönbrunn, il magico castel-lo della Prin-cipessa Sissi, e S t e p h a n s d o m , la monumentale

cattedrale viennese in stile gotico.Giovedì visita della Voestalpine di Linz, la più

grande acciaieria del Paese. Una guida ci ha illu-strato i vari processi che portano alla formazione dell’acciaio, fornendoci informazioni sui sistemi di sicurezza adottati nell’industria.

Dopo aver trascorso la mattinata di venerdì nel-la città di Salisburgo, ci siamo ritrovati in un risto-rante tipico per la cena. Eravamo tutti lì, insegnanti e studenti a brindare con un sorriso amaro in volto, poiché il tempo era già passato e nulla poteva farlo tornare indietro, anche se tutti noi avremmo voluto che così fosse. Finita la cena, noi ragazzi siamo an-dati in una discoteca nei pressi del ristorante dove, tutti insieme, ci siamo divertiti fino a tarda not-te, sapendo che il sabato mattina avremmo potuto riposare più a lungo, avendo la giornata libera da ogni impegno.

Il sabato ognuno di noi si è organizzato con i propri corrispondenti per passare l’ultimo giorno all’insegna del divertimento, nonostante fossimo consapevoli di essere arrivati ormai alla fine di questa magnifica esperienza che ci ha fatto crescere, cono-scere le abitudini di vita di un’altra cultura, stringere bellissime amicizie con ragazzi di un altro paese.

Giulia Virgilio, Grazia Chirivì

Narghilé

42 maggio 2012

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mCDonAlD, moViDA e... Colonne tortili

Quest’anno è stato possibile per noi alunni del quarto anno partecipare ad un corso sul Barocco Leccese, condotto dal prof. Luigi Bianco, docente di Lettere, ma appassionato conoscitore anche di Storia dell’Arte e del nostro Salento.

Un progetto P.O.F. di 25 ore, che ci ha permesso di riscoprire il nostro territorio, svoltosi con una serie di lezioni pomeridiane in aula e poi con delle uscite didattiche “sul campo” a Lecce in giornate di vacanza.

Siamo stati 32 alunni a seguire assiduamente e con interesse il corso, senza mai mancare alle lezio-ni ed alle uscite. Il corso ci ha aperto gli occhi su cosa ignoriamo quando passiamo per le strade dei nostri centri storici, distratti da mille inutili pen-sieri, avvolti nella superficialità ed indifferenza che spesso sono sinonimo di ignoranza.

Quante volte siamo andati a Lecce nella no-stra vita? Tante, per fare shopping, per mangiare al McDonald, per la movida, ma mai una volta per visitare veramente la città. Ci viene da pensare che solo Roma, Milano, Firenze siano degne di turi-smo. In realtà la nostra Lecce, Firenze del Sud e capitale del Barocco, ci offre davvero tanti tesori che noi abbiamo “assaggiato” durante le interessan-tissime uscite.

Quei monumenti che, sì, avevamo studiato in classe, dal vivo erano tutta un’altra cosa: imponen-ti, maestosi, scolpiti o decorati. Tutti quei nomi sulle fotocopie improvvisamente prendevano vita, e soprattutto forma, colore e parola.

Il nostro Barocco Leccese adempiva così alla sua funzione più importante, quella di stupire, di me-ravigliare, di mettere un ricciolo dove ci si sarebbe aspettato un tratto liscio, e per noi era uno stupore diverso, perché proveniente da qualcosa di già visto più e più volte, ma mai pienamente apprezzato.

E come dimenticare l’esperienza di ripararsi in una Chiesa ricca di colonne, capitelli, putti e foglie di acanto scolpite mentre fuori pioveva a dirotto? Così, mentre l’acqua picchiettava sui vetri istoriati delle finestre, ci si perdeva nel fascino di una colon-na tortile o si restava imbambolati ad ammirare un altare ricco di statue e di fregi e, per un attimo, si ringraziavano quegli artisti per il loro genio.

Abbiamo avuto la fortuna di scendere nei sotter-ranei segreti di un palazzo storico di Lecce per ve-dere lo scorrere verso l’Adriatico del fiume nascosto di Lecce, l’Idomeneo dalle acque limpide e fredde. Oppure la fortuna di entrare nella Chiesa barocca delle Monache Benedettine di clausura di Lecce, ferme lì da quasi mille anni, parlare con una di loro e visitare il parlatorio del Monastero con le sue gra-te di ferro che ci hanno richiamato il Medioevo e la monaca di Monza. Tutto questo a pochi metri dalle strade della movida e della frenesia del presente.

Un certo Blaise Pascal disse che esistono due di-mensioni del nostro essere: l’esprit de geometrie che riguarda la razionalità e l’esprit de finesse che rappre-senta la dimensione del cuore. Quest’ultimo io lo identifico con il corso sul Barocco, che ci ha fatto riscoprire il nostro territorio in funzione della di-mensione spirituale di ognuno di noi.

Davide Greco BEA

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Narghilé

43maggio 2012

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A proposito di Mala tempora currunt

C’È AnCorA tAnto Bisogno Di lAtinoUn successo nelle scuole medie del territorio

A quanti hanno commentato: “Mai titolo fu più nefasto!” abbiamo risposto: “No! Semmai semplice constatazione!” e, in cuor nostro: “Titolo ironico ed apotropaico per esorcizzare la rabbia e la delusione per la scelta ministeriale di ridimensionare il monte ore settimanale di latino (da 4/5 ore a 3)!”

Eh sì … perché chi di noi, formatosi sulla civiltà classica per anni, con dedizione ed entusiasmo crescen-ti, perfezionatosi fino all’incredibile, potrà mai suffra-gare con tacita rassegnazione tale provvedimento?

Mala tempora currunt, dunque, non per noi, ma per tutti coloro che, seguendo le tritae (e ritrite!) opiniones pensano che il latino sia una lingua or-mai sepolta, che il suo studio comporti la perdita di tempo prezioso, che distragga dall’oggi contem-poraneo catapultando l’ignaro discente in un imo

fondo di muffa e putredine conoscitiva. Mala tempora per questa caterva di su-perficialoni che vorrebbero la botte piena (il titolo di studio) e la moglie ubriaca (disimpegno).

Ma la vita non è una bel-la favola: è sacrificio, è ana-lisi (logica!) e sintesi, è saper leggere una tessera di realtà, interpretarla e assegnarle il posto che le compete nel puzzle dell’esistenza.

In una scuola delle com-petenze dovremmo formare

cittadini che sanno fare perché possono fare, perché anche il latino li ha indirizzati e disposti alla con-suetudine del vagliare tutto, del non farsi ingan-nare dalle apparenze (falsi amici!), del convogliare l’istinto delle tentazioni nel tracciato certo della ragione. Pensiamo ad uno studente che guardi le discipline in parallelo, a 360° e in contemporanea, in un cerchio virtuoso.

Siamo consapevoli che nessun allievo uscirà la-tinista dal Liceo Vallone ma che tutti ne usciran-no professionisti di successo, abili ad applicare le competenze logico-deduttive acquisite al marasma di questo mondo in crisi per una nuova strategia di rinascita.

Milena Prete, Tiziana Marangio, Laura Latino, Mirella Guida

Riportiamo alcuni detti tratti dalle slides presentate agli alunni della Scuola Media durante il Progetto “Mala teMPoRa”

AUDENTES FORTUNA IUVAT(Virgilio, Eneide, X, 284)LA FORTUNA AIUTA GLI AUDACISi usa questa espressione per esortare a non lasciarsi abbattere dai colpi avversi della fortuna, ma ad andare avanti con coraggio e con maggiore audacia.

MENS SANA IN CORPORE SANOMENTE SANA IN CORPO SANOSottolinea l’importanza di un equilibrio psicofisico per il benessere della persona. È spesso lo slogan di palestre, centri di benessere, club sportivi.

CUI PRODEST?A CHI GIOVA?Da una frase di Seneca, ci chiediamo chi può trarre vantaggio da una situazione.

CAVE CANEMATTENTI AL CANEÈ un’espressione molto popolare, usata anche in senso figurato per dire “fai attenzione ai pericoli”.

Narghilé

44 maggio 2012

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riceviamo dalla scuola media di soleto e pubblichiamo con piacere

AleA iACtA estliceo scientifico. il perché di una scelta in “Mala tempora currunt”

No non mi lascio sfuggire l’occasione. Carpe diem come ho imparato al progetto dove si eviden-ziava l’importanza del latino nella preparazione fu-tura, e utilizzo l’opportunità di scrivere sul giornale del Vallone per spiegare le ragioni della mia scelta, le incertezze sul domani e, forse, anche per sentirmi già, un po’ liceale.

La terza media, si sa, è una tappa importante che obbliga alla prima grande decisione della vita di adolescente: la scelta della scuola superiore.

Dopo le attività di orientamento svolte a scuola, ho sperimentato i vari open day che in verità più che chiarire le idee, mi hanno causato una sindrome da confusione cronica.

“Tieni presente cosa vuoi fare da grande” consi-gliano tutti per consolarmi e mi propinano idee come farfalle impazzite, ma nello stesso tempo mi mettono in guardia: “Attenta! …Oggi come oggi non puoi permetterti di sbagliare... La crisi... la disoccu-pazione... Comunque decidi tu... ecc. ecc.”, e cosi via con disarmante fallacia logica, ti elencano proble-mi come macigni che rotolano giù in caduta libera, rendendoti ancor più difficile il compito.

Ma bisognava pur decidere. E allora ho messo in fila, calandomi nelle opportunità che offrono le varie scuole:

Liceo Artistico. Seduta dietro i banchi del labo-ratorio con grembiule e capelli legati a modellar la creta o a ricopiar la Gioconda. No, non fa per me!

Istituto Alberghiero pentole e padelle, pomodo-ri, gamberetti e riso al forno. No, voglio qualcosa in più!

Istituti Professionali e Tecnici possono dare la-voro anche senza la laurea ma sono molto tecnici, aridi e poco pluridisciplinari. No, no per carità!

Alla fine restano i licei, ma quale sarà quello giu-sto? Per sciogliere il dilemma ho analizzato il mio interesse nello studio delle materie e ho pensato che non aveva senso andare in direzione opposta ad esso.

Sul podio, al primo posto ho messo il mio sogno di diventare astrofisica, a destra e a sinistra ho collo-cato l’amore per le scienze e la matematica e dopo aver elucubrato a fondo ho deciso: Liceo scientifico tradizionale.

Alea iacta est. Ho detto a me stessa.Nell’immediatezza della scelta ero molto sicura

della mia decisione e lo sono ancora, solo che ho paura del domani considerando le condizioni dei giovani compressi tra precariato, sfruttamento e di-soccupazione.

Per ritornare a me grande fan di Margherita Hack e al mio sogno di astrofisica, se per raggiun-gere i miei obiettivi dovrò emigrare come il nonno che andò in Germania nel ’50 con la valigia di car-tone, allora, anch’io prenderò il mio trolley rosso e il mio cagnolino e volgendomi indietro come Lucia nell’Addio ai monti (…che abbiamo appena studia-to) saluterò con nostalgia gli ulivi argentati, i mu-retti a secco, il sole caldo del Salento, i miei amici e la mia famiglia e turberò le ragioni del cuore in favore di una più certa e più grande: la realizzazione del mio sogno.

Isabella Rizzo III B – Scuola Media di Soleto

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IN DUBIO PRO REONEL DUBBIO SI È A FAVORE DEL COLPEVOLE

È un’espressione giuridica per indicare che in mancanza di prove certe non si

emette un verdetto di condanna.Nel linguaggio comune significa che non si prende una decisione drastica perché

non si è assolutamente certi.

Narghilé

45maggio 2012

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riceviamo dalla scuola media di soleto e pubblichiamo con piacere

il VerBo leggere non soPPortA l’imPerAtiVo La passione per la lettura a volte nasce per caso, per

curiosità verso qualche argomento o perché invogliati da un professore che invece di obbligarci a leggere, ci fa capire l’importanza e l’arricchimento personale che deriva da questa azione. Come afferma Gianni Rodari, “Il verbo leggere non sopporta l’imperativo”: si dovrebbe riuscire a trasmettere il piacere della lettura, che diven-ta un’opportunità di vita. Leggere sviluppa lo spirito di ognuno di noi, la coscienza del ruolo sociale delle istituzioni. La lettura non ci fa mai sentire soli, ma nel-lo stesso tempo ci permette di rimanere soli con noi stessi a riflettere. È un’azione attiva che richiede atten-zione, partecipazione e capacità critiche. Un buon libro è come un nuovo amico, straordinario e segreto, che ci tiene compagnia e piano piano diventa parte di noi. Ecco perché vale la pena leggere! Perché ogni volta che abbiamo un libro tra le mani è come se avessimo qual-cosa che ci dona emozione e ci aiuta a scoprire i nostri pensieri più nascosti e stuzzicandoci nei ricordi, ci fa ritornare in mente una frase, un episodio, un’avventura segreta, emozioni mai dimenticate. Educare i giovani alla lettura, in una società frenetica e altamente tec-nologica, è una sfida difficile. Una lettura intelligente porta l’uomo a elevarsi, leggere è scegliere, ci libera da pregiudizi e condizionamenti; è uno strumento che ci aiuta a interpretare noi stessi, la realtà, ci fornisce stru-menti culturali e sociali per comprendere la complessità della nostra società. I giovani oggi si interessano poco della cultura che i libri portano in sé e si accontentano di restare della loro “ignoranza”. La causa principale è la modernizzazione che rende apparentemente la vita più facile, ma più nevrotica. L’azione del leggere può sembrare un’inutile fatica, una perdita di tempo, ”fuori moda”. Molti ragazzi preferiscono guardare passiva-mente un film che, rispetto al libro, ci presenta immagi-

ni già confezionate, che scorrono velocemente davanti agli occhi, senza bisogno di sforzarsi per comprenderle. Nel nostro percorso scolastico siamo venuti a cono-scenza dei maggiori autori della letteratura italiana. Abbiamo letto le pagine più significative di ognuno di loro, riflettendo insieme agli insegnanti sul messaggio che l’autore ci ha trasmesso. È stato interessante scopri-re come i sentimenti, gli stati d’animo personaggi così lontani da noi, siano ancora gli stessi: la paura, i ricor-di e le emozioni provate da Giacomo Leopardi nella poesia L’Infinito sono simili a quelle che proviamo noi adolescenti di fronte a un paesaggio naturale, silenzioso e lontano dalla città, che diventa luogo di rifugio per sfuggire allo stress quotidiano, per raccogliere le pro-prie idee, concentrarsi sui propri pensieri, sentendosi in pace con noi stessi e con il mondo. Così il dolore di Lucia Mondella mentre abbandona il proprio paese ci coinvolge emotivamente perché anche noi ragazzi vivia-mo con l’incertezza per il nostro futuro; forse un giorno saremo costretti ad abbandonare i luoghi cari, gli affetti e le persone amate in cerca di lavoro, fortuna o stu-dio. Forse sentiremo lo stesso dolore di Lucia, descritto così poeticamente da Alessandro Manzoni. E quanto è ancora attuale la storia di Rosso Malpelo, un ragazzo rifiutato dalla società a causa di pregiudizi e costretto al lavoro minorile per sopravvivere. La sofferenza di que-sto giovane è la stessa di molti giovani extracomunitari e non, sfruttati nelle campagne, nella costruzione edile, costretti a vivere nel degrado. Come afferma Italo Cal-vino, “Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.” È una fonte di ricchezza, ci offre la possibilità di osservare la realtà che ci circonda da diversi punti di vista, ci permette di accrescere la nostra stessa curiosità verso il conoscere.

Lucrezia Palmisano III B – Scuola Media di Soleto

lA miA sCeltA: il liCeo VAlloneQuando è arrivato il momento di decidere quali

studi superiori intraprendere, nella mia mente si sono affollate tante prospettive. Ma, chiusa nel silenzio del-la mia camera, ho cercato di fare luce su quello che ero e su quello che volevo diventare. Mi sono soffermata a riflettere sulle materie verso cui mi sento più portata e nelle quali ho un maggior profitto. È stato così che sono arrivata alla scelta finale: il Liceo Scientifico.

È stato l’amore per la matematica a risolvere il dilemma che si affollava nella mia mente adolescen-

ziale, immatura, forse, a compiere una scelta tanto importante per la mia vita.

Soprattutto per me, “liceo” significa una scuola idonea a fornirmi una preparazione completa per l’università che vorrò frequentare per diventare ciò che ho sempre sognato. Non chiedetemi cos’è. Lo svelerò solo se riuscirò ad affrontare con coraggio e volontà questa scelta così ardua e difficile.

Sofia RolloIII B – Scuola Media di Soleto

Narghilé

46 maggio 2012

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emAnCiPAZione Femminile e PAri oPPortUnitÀLa parità di diritti e doveri tra uomini e donne è

quasi universalmente accettata a livello teorico, ma nella pratica essa è disattesa sia nei paesi sviluppati, sia soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Le donne sono ancora discriminate in base al loro genere ses-suale: a eccezione della speranza di vita, tutti gli in-dicatori socio-economici vedono favoriti gli uomini, sia nei paesi industrializzati sia in quelli in via di svi-luppo. La nascita di una bambina in molti paesi po-veri viene accolta come una disgrazia. Così piuttosto che avere figlie femmine si preferisce abortire. Ma oltre l’aborto, in India come in Cina è stato praticato ampiamente anche l’infanticidio contro le bambine. In molti paesi si è tentato di risolvere il problema della crescita demografica diffondendo o imponendo soluzioni drastiche come l’aborto o la sterilizzazione. Nel diritto di famiglia di alcuni Stati viene sanci-to esplicitamente il ruolo differente della donna ri-spetto all’uomo, nella famiglia e nella società. Quasi sempre la donna ripudiata perde ogni forma di so-stentamento. In certi paesi la procedura di divorzio per una donna diventa un problema insormontabile. In Iran, Iraq, Marocco, Siria e Giordania le donne non possono sposarsi con uomini che non siano mu-sulmani, mentre gli uomini sono più liberi. Un de-creto iracheno del 1990 ha dato agli uomini il potere di ergersi ai giudici delle proprie mogli sospettate di adulterio. Per motivi “d’onore”, essi potevano ucci-derle rimanendo impuniti. Tale decreto è stato poi annullato dopo due mesi. In Egitto gli uomini che uccidono le proprie mogli incorrono in una pena leggerissima o restano impuniti; viceversa, una don-na che uccide il marito adultero viene condannata alla pena di morte. Per i problemi specificamente femminili, in molti Paesi del mondo, non è previ-sta alcuna tutela. La legislazione tace, ad esempio, riguardo alle ragazze madri e ai loro figli, come se situazioni del genere non esistessero.

Vi sono numerosi altri esempi di disuguaglianza di diritti di fronte alla legge. Addirittura in alcuni paesi la libertà delle donne è talmente limitata che la legge interviene anche sul modo di abbigliarsi in pubblico. Una donna che si veste liberamente rischia di essere imprigionata e percossa. In alcuni paesi la tutela delle donne è praticamente inesistente, l’ob-bligo della prova è a carico della vittima: se quest’ul-tima non riesce a provare la violenza cui è stata sot-toposta, da accusatrice diventa accusata e quindi condannabile all’incarcerazione per aver avuto dei rapporti sessuali al di fuori del matrimonio.

Gabriele, Marco B., Marco C., Francesca, Giorgia, Arianna, Benedetta

Scuola Media di Sogliano Cavour

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HOMO HOMINI LUPUS(Plauto, Asinaria, II, 4, 88)

L’UOMO È UN LUPO PER L’UOMO

È una frase di Plauto ed indica la violenza e l’aggressività che spesso l’uomo usa verso i suoi simili.

Denota una considerazione amara della vita.

Narghilé

47maggio 2012

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UnA VitA sPArPAJAtAQuando l’arte incontra un’anima sensibile

Con molta spensieratezza ci ha aperto le porte di casa sua a Galatina una personalità che ama definir-si e ci piace definire “sparpajata” e soprattutto unica: Raffaello Murrone. Musicista e non solo. Un grande uomo che, attraverso la sua simpatia e la sua schiettez-za, ha saputo renderci partecipi della sua vita rispon-dendo senza inibizioni alle nostre domande.

ProfR.ssa Guida: Quando ti sei reso conto di essere diventato un musicista?

Credo che ognuno nasca con delle predisposi-zioni naturali. Io ho avuto la “sfortuna” di nascere musicista o comunque con uno spirito più creativo rispetto alla media. Nella mia famiglia tutti abbia-mo frequentato l’Istituto d’Arte. Credo sia stata una iniziazione.

ProfR.ssa Guida: Proprio a causa del tuo non essere ipocrita o “mascherato”, sappiamo che ti sei trovato in più di un’occasione a scontrarti con le IstituzioniR. Questo ha reso difficile la tua vita?

La vita non è facile per nessuno. Non sono un eroe o un diverso da nessun punto di vista. Forse uno con un po’ più di carattere, che per la maggior parte delle volte non aiuta a vivere meglio. In un mondo sparpajatu come il nostro, bisogna essere determinati e incisivi per raggiungere degli obiet-tivi, salvaguardando la propria sensibilità. La diver-sità che mi viene attribuita è solo coerenza con se stessi. Ho fatto tutti i lavori possibili per finanziare la mia musica e il mio progetto di vita.

ProfR.ssa Guida: Dopo gli studi superiori cosa hai fatto?

Basta. M’aggiu straccatu. Non ho frequentato scuole, ma non ho smes-so di studiare e credo non lo farò mai. Non ho voluto fare studi monotema-tici, ho sempre studiato cercando di allargare le competenze. Ho studiato musica ma, per scelta, non ho nessun diploma perché la didattica ufficiale impone delle cose impensabili dal mio punto di vista. Sono andato da loro per conoscere la musica che “poteva non interessarmi”, perché sono convinto che non ci si possa limitare.

ProfR.ssa Guida: Com’è stata vis-suta questa scelta dalla tua famiglia?

Per la nostra cultura ipocrita, un musicista è bel-lo finché sta sul palco, dopo la gente non si rende conto di cosa significa vivere una scelta del genere. Arrivare su un palco costa davvero tanto. La mia fa-miglia come tutti quelli che non hanno capito cos’è lo spettacolo, se “prescianu” quando sto sul palco, dopo preferirebbero che facessi altro. Ho vissuto una vita pagando i capelli lunghi e la barba, non capendo che peccato avessi fatto. Sono cose di cui non ti accorgi ma che paghi perché te lo fanno pe-sare. La famiglia ti vuole bene, ti appoggia a modo suo. E questo non sempre è di grande aiuto. Una persona che ha un minimo di sensibilità avrebbe bisogno più spesso di una pacca sulle spalle.

ProfR.ssa Guida: Come mai sei arrivato a Roma?

Volevo suonare e qui era impossibile. Fino a diciotto anni ho fatto quella che secondo me è la scuola più giusta: il palco. Senza nozioni ma con tante emozioni e sensazioni e con tanti insegna-menti pratici. Poi, dopo la maturità sofferta, sono andato a Roma e, per compromesso, mi sono iscrit-to all’Università.

ProfR.ssa Guida: A quale facoltà?Lettere moderne, corso di laurea in Storia del-

la Musica. Mi sono iscritto lì e ho frequentato per circa un anno. Il conservatorio era un ambiente peggiore perché dovevo, oltre ad avere una racco-mandazione, scegliere di suonare uno strumento diverso, perché la batteria non c’era. Avrei dovuto seguire un corso di percussioni classiche. Otto anni di frequenza obbligatoria. Se poi sapevano che suo-

Narghilé

48 maggio 2012

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navi la batteria trovavano un modo per mandarti via. Sembra incredibile ma è così. Ho frequentato solo un anno poi ho cambiato idea quando ho ca-pito che io ero in grado di suonare tranquillamente quello che i ragazzi alla fine degli otto anni suo-navano con qualche difficoltà, sia perché avevo del talento sia perché avevo più esperienza. Continuare sarebbe stato tempo sprecato. Ho scelto una strada precaria ma era quello che c’era.

ProfR.ssa Guida: Hai anche lavorato in Rai?Ho fatto dei lavori ma non come dipendente.

Ho fatto la colonna sonora e la comparsa nel film Marco e Laura venti anni dopo. Quando sono tor-nato qui a casa, mi definivano artista ma io non li consideravo nemmeno. La televisione crea distanze che non dovrebbero esserci. È un ambiente di lavo-ro serio per chi lo fa responsabilmente. Le persone più valide e più umili che ho conosciuto sono, se-condo me, le più famose perché non sfruttano il successo che ricevono dalla televisione.

ProfR.ssa Guida: Sei un ottimo esempio di estro-sità e creatività che va oltre l’apparenza e i titoliR.

Estroso e creativo è il lavoro che ho scelto, ma resta un lavoro fatto di sacrifici e studi, competen-ze maturate nel tempo che non sono riconosciute. Purtroppo è una malattia culturale che ci portiamo dietro quella delle etichette. Una persona come me, soffre e soffrirà per tutta la vita la sua condizione sociale. Non mi piace scendere a compromessi, una persona che fa il mio lavoro la scegli. Se la chia-mi per un lavoro reputandola brava, deve risultare questo e non il contrario. Quindi se vi sentite ar-tisti dentro: suonate, ballate, cantate ma non per gli altri, fatelo per voi. Crescete. Studiate. Sentitevi unici anche se potrebbe essere una strada precaria. Credo che ognuno di noi sia unico, che non abbia copie. Per questo sto preparando un progetto che si chiamerà Unico.

Alessandro: Qual è il più grande artista con cui hai lavorato e quale cultura ti affascina di più?

Le culture degli altri paesi mi hanno sempre af-fascinato. Ad esempio il Brasile mi piace tantissimo dal punto di vista musicale, però non ci vivrei mai. Le realtà di vita sono talmente dure che ho proprio paura. Se dovessi scegliere un paese dove vivere, sceglierei un paese africano il più povero possibile. Perché per i miei parametri di vita, lì ci sono i valori più giusti.

Per quanto riguarda gli artisti ho lavorato con tanta gente. A livello di bravura, talento, impres-sione positiva mi è piaciuto di più Alex Britti. È un chitarrista spaventoso, il più bravo per me. Ave-va diciotto anni quando suonammo insieme ed io

venti. Suonavamo al Big Mama un posto storico romano, e per il periodo era un’occasione unica poterci essere. Oggi ci sono ragazzi che hanno un curriculum assurdo, poi li senti suonare e non sono niente di eccezionale.

ProfR.ssa De Vitis: Perché hai scelto proprio la batteria?

Ermelinda, la sua compagna di vita: posso ri-spondere io: “Perché li ferve lu core!”

Raffaello: È la batteria che sceglie te, non il contrario. Per esprimere l’idea che hai, scegli lo strumento che può aiutarti. Nella scelta sono stato guidato dalla natura personale. A scuola facevo im-pazzire tutti perché, senza rendermene conto, stavo sempre a tamburellare sul banco e non ascoltavo. Anche adesso mi succede spesso.

Lorenzo: Com’è nata l’esigenza di fare jazz se nell’85 il jazz non si sentiva?

Io non ho mai detto di essere un jazzista ma di essere jazz, non sapendolo suonare. Nessuno in Ita-lia, in Europa, nessun bianco sa cos’è il jazz per-ché non ha intorno un contesto socio-economico-culturale di un certo tipo. Chi non conosce una gabbia non può capire che cos’è la libertà. Jazz vuol dire improvvisare ma non è improvvisarsi. Si è jazz quando c’è comunicazione che in musica si chiama inter play, e questo anche con gli strumenti. Per il musicista jazz il tema dato è conoscere determinati standard, specifici canoni di quella musica.

Francesca Gaballo: Come mai la scelta di usare in prevalenza i colori primari nell’arredamento?

Ho preso spunto da Mondrian che ha reso ce-lebre la teoria del colore. I suoi quadri sono carat-terizzati da colori primari. L’associazione di questi fa capire che ogni colore comunica qualcosa di di-verso. Oltre a questo motivo c’è anche un legame affettivo e un discorso decorativo. Il giallo è il co-lore più comunicativo, il più caldo ed è il colore preferito da mio padre.

ProfR.ssa Guida: Ci piacerebbe sentire qualcosaR.Raffaele non si tira indietro e ci porta nel suo stu-

dio. Dietro la porta c’è un altro mondo, diverso dal solito studio di registrazione. Oltre ai vari strumenti, alcuni del tutto innovativi, si respira un’aria differen-te. La gioia di Raffaello ha saputo coinvolgerci e ci siamo divertiti sul brano “Pampascione rap” scritto da lui stesso.

La nostra intervista finisce qui ma con qualche consapevolezza in più da parte nostra. È evidente che in questo mondo sparpajatu c’è ancora qualcuno che riesce a fare di una passione arte allo stato puro,

Antonella Greco, Barbara Scigliano, Francesco Gaballo A

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Narghilé

49maggio 2012

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Con qualche dritta di Raffaello Murrone, ci siamo cimentati nell’esecuzione canora di due suoi brani. A scuola i genitori ci aspettavano e noi dov’eravamo finiti? Alla corte dei melograni dove il tempo era passato troppo in fretta.

Signore e signoriRaf Murrone,e voi vi chiederetemo ci ete stu pampascione?Tranquilli per favore, non vi state a preoccupareDatemi attenzione e lo vado a spiegareIntanto insieme a me battete le maniE benvenuti alla corte dei melograniPosto bellissimo davvero idealeper chi vuol condividere un momento specialeNon sono uno speaker e nemmeno un deejayMa allora ci dici chi cacchio sei?Sono nato proprio qui, frutto del SalentoSarà forse un caso ma fa rima con talentoUn talento che da sempre io mi sento addossoE che voglio alimentare più che possoOgni forma d’arte, qualsiasi espressionesuscita in me interesse e passioneTanto da sentirlo come un vero dovereRelazionarsi e comunicareQuesto talento e questa passioneho voluto diventassero la mia professioneSon partito diciottenne pieno di energiecon la voglia di conoscere, esplorare nuove viePer più di vent’ anni sono stato esploratoreDi paesi diversi e diverse cultureOggi son tornato forza maggioreMa ho ancora carburante nel mio motoreE credo di aver tanto da dare e da diree spero abbiate voglia di stare a sentire

L’urtimu munduIu l’aggiu vistu puru se de sfuggital’urtimu mundu tutta naddra vitaSe stava settati de paru ‘nanzi casae ce custu dra friseddra piàta alla capasaPiàti de la penda dri quattru pummidoriCosa de nienti e puru ce saporiE puru li cristiani de naddru valorePochi turnisi però tantu coreTra osce e ieri nu ‘mbojiu paragoniMa venanu spuntanee tante osservazioniLu tiempu nu se ferma e tuttu ave cangiareMa quiddru ca è statu nia butu iutareSe considerato ni ha fa capireca i valori sianu buti mantenireMa la gente se scurnava percé avìa l’ignoranzaE ci tenia cultura se inchia la panzaPoi tutti laureati, tutti duttoriNo case, ma ville e chini de mutoriBeddru lu fiju miu ca diu lu benedicaMa mai sia signore se sporcu de faticaMusculu de fore chiali de soleL’urtimu de li fessi però pare n’attoreLu tiempu ca passandu ia dare sustanzaAve sulu alimentato e scusu l’ignoranza.

(NdR Ci perdonerai, Raffello, per la trascrizione sicuramente non fedele dei tuoi testi)

riceviamo e pubblichiamo con piacere un’email che raffaello murrone ci ha fatto avere dopo la visita degli studenti di narghilé alla sua casa-laboratorioCiao Mirella e Valeria!!!Scrivo a voi ma in realtà mi rivolgo a tutti coloro che ieri sono stati ospiti, veramente graditi, nella mia dimora!!!Sono stato molto bene insieme a tutti voi, mi sono sentito “con-siderato”, cosa che avviene spesso con le chiacchiere ma rara-mente in modo concreto!!!Come palesemente espresso, con un linguaggio fin troppo colo-rito ma spero mai volgare, non sono molto contento di come sia trattata oggi la comunicazione, in tutti i sensi!!!È paradossale, considerando la crescita esponenziale dei mezzi di comunicazione, relativa al progresso scientifico e tecnologico ma credo evidente che le cose non vadano affatto bene!!!Forse dovremmo puntare il dito sulle nostre responsabilità, quelle dell’essere umano in genere ma partendo soprattutto dalle nostre personali!!! Un po’ di sana autocritica come prelu-dio ad una decisa reazione, non guasterebbe!!!Ieri abbiamo detto tanto ma relativamente poco rispetto a tutto quello che mi sarebbe piaciuto dirvi!!!Sento il dovere di scusarmi con voi perché, a posteriori, mi rendo conto di non avervi dato la considerazione che avreste meritato!!!Ignoravo molte cose!!!Oggi ho dedicato un po’ di tempo a leggere il vostro giornalino ed ho avuto conferma dell’impressione che mi avete lasciato ieri!!!

I ragazzi, anche se timidamente, mi sono sembrati tutti svegli e “fortemente” comunicativi ed ho apprezzato mol-to la capacità di “gestione e moderazione” dell’incontro, avuta dalle due insegnanti!!!Non conoscevo il vostro “lavoro” e, in relazione a mie precedenti esperienze analoghe, non avevo immaginato di trovarmi davanti persone interessate veramente a quello che dicono di fare!!!Incontrarvi e leggere, anche se sommariamente, il vostro gior-nalino mi ha fatto ricredere, tanto da sentirmi in colpa per non aver dato il mio massimo!!!Ritengo sia stato comunque interessante e spero di avervi dato un’idea di chi io sia veramente, nella mia essenza umana, quella che, comunque, è la matrice di ciò che ognuno di noi riesce ad esprimere nell’ambito professionale scelto!!!Spero che questa esperienza abbia un seguito e sono pronto ad approfondire in modo adeguato le informazioni mancanti!!!Aspetto la convocazione per una performance dimostrativa, a costo zero, nel vostro istituto, se riuscirete ad organizzarla!!!Grazie ancora a tutti voi e ricordate che la porta di casa mia è sempre aperta, per chi ha voglia di passare qualche momento di piacevole e costruttivo confronto, magari davanti ad una frisella ed un buon bicchiere!!!Vi aspetto!!!

Raffaello

Narghilé

50 maggio 2012

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l’incanto del sax

emAnUele ColUCCiA “sUonA PArole” Per noi“… Allora, dov’era il fiu-

me? Ho preso un suo emis-sario!”… È intercalando al suono frasi del genere che Emanuele Coluccia, giova-ne sassofonista salentino, si è presentato a noi e ci ha coinvolto nel suo mondo. Siamo rimasti affascinati dalla sua musica, ma an-che dalle sue inaspettate lezioni di vita, raccontate con una forza narrativa che farebbe di lui anche un ot-timo scrittore. Chissà se da studente in questa nostra scuola –si è molto emozio-nato rientrandoci- era altrettanto loquace.

Emanuele inizia a studiare pianoforte da piccolo ma, crescendo, matura l’idea di voler esprimere il suo immenso amore per la musica attraverso uno strumento diverso, il sassofono. Si dedica al jazz perché sente in questo tipo di musica suoni spe-ciali, profondi e forti che riescono a coinvolgerlo totalmente.

Ai suoi genitori più che la musica, interessava che lui studiasse e finisse l’università. Ma Emanuele Coluccia non intende farsi condizionare: “Nei mo-menti difficili vi suggerisco di fermare il mondo per cinque minuti al giorno. Fermate tutto…, le cose bel-le, le cose brutte…, tutto. Fermatevi a riflettere. Ciò crea spazio nella vostra mente, nella vostra vita”… Lo guardiamo estasiati. È come se la sua anima abban-donasse per qualche minuto il suo corpo, lo guar-dasse da fuori. Intuiamo che è in quel momento che si riesce a capire i propri bisogni.

Dopo il servizio militare Emanuele decide di partire per gli Stati Uniti e si trasferisce nella città dei suoi sogni, nel centro del Jazz, New York. Ma ancora non è pronto a “decostruire” e a ricomin-ciare. Lì si sentiva come “una macchina da cinque marce, ma che resta in seconda e in terza. La vita non si muoveva, niente accelerava”.

In quel mondo nuovo che forse non poteva mai essere il suo, si chiedeva: “Dov’è il mio limite?”. Ancora una volta Emanuele si ferma a riflettere… ferma il suo mondo. Una cosa era certa, bisognava

andare avanti puntando solo sulle proprie forze.Il crollo delle Torri Gemelle a un anno dal suo

arrivo è stato come “lo strappo nel cielo di carta” per Pirandello. In quel momento “la sua anima è rien-trata nel suo corpo”. Così decide di incontrare altri popoli. Fa esperienze significative in Messico e in Spagna. Alla fine decide di ritornare qui in Puglia. È il momento di “svuotare quel fiume di conoscenza e di esperienza che adesso stava per straripare. Alla nostra domanda: “Quali sono i tuoi progetti per il futuro?”, lui risponde che il suo progetto lo realizza ogni giorno: essere in pace con se stesso.

Conclude poi il suo “infinito” racconto quasi con dispiacere, quasi avesse raccontato tutto trop-po in fretta.

A raccontare di sé, ha raccontato a se stesso. “La storia di ciascuno di noi è un filo continuo di cause e di effetti”, ci dice. “Io voglio che sia soddisfatto il mio diritto di essere sempre me stesso. Senza mai vergo-gnarmi della mia vita”.

L’articolo dovrebbe continuare con l’altra storia che ci ha raccontato il sax soprano di Emanuele. Purtroppo l’alfabeto e gli occhi non sono i mezzi della musica. Ma credeteci: è stato un fiume che ha inondato l’aula e i corridoi oltre la porta e chi era fuori e non capiva; oltre le finestre fino al mondo ancora più fuori. Ma noi sapevamo che ci stava rac-contando in un modo altro tutto quello che Ema-nuele aveva vissuto lontano da qui.

Giulia Mazzarella

Narghilé

51maggio 2012

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A lezione di musica con il prof. luigi Fracasso

lA mUsiCA È Un Ponte Che UnisCe l’UmAnitÀ

Musica classica… tutti conosciamo questa espressione che definisce un genere musicale di-stinto da canoni ben precisi; tutti ne abbiamo sentito parlare, ma pochi possono dire di saperla apprezzare, o anche solo di saperla distinguere. Molti ne parlano storcendo il naso ed è senz’altro considerato un genere di nicchia, che solo alcune categorie di persone ascoltano. Ma perché così po-chi l’apprezzano? Quanti realmente la conoscono e quanti la denigrano per partito preso? Queste sono solo alcune delle domande che la redazione di Narghilé ha posto al professore Luigi Fracasso durante un’intervista.

Con fare schietto e con pochi peli sulla lingua, con tono confidenziale, come se fossimo da sempre vecchi amici, il maestro racconta del rapporto con la sua musa, dell’esperienza di una vita trascorsa sui tasti del pianoforte, su come quei tasti bianchi e neri siano i suoi compagni più fidati e più stret-ti. La musica è sempre stata parte di sé: “Ad otto anni avevo un piccolo pianoforte ed una batteria”. Da bambino, Luigi sogna ad occhi aperti, attratto dal “rituale” del palcoscenico, durante un concer-to televisivo: ”Mi vedevo già sul palco, con il frac,

a suonare davanti ad un grande pubblico”. La sua carriera musicale quindi inizia per caso, alimentata in parte dal suo -come egli stesso lo definisce- “ego-centrismo”.

Da ragazzo non è ancora consapevole che il gio-co di prestigio, apparentemente così spontaneo e naturale, richiede anni di studio per il raggiungi-mento di una perfezione tecnica che renda di im-mediata efficacia la magia dell’arte. Difficile per un adolescente farsi comprendere dai coetanei che in parte lo considerano “complessato”, in parte “monta-to”. Comunque deciderà di intraprendere gli studi di Conservatorio parallelamente a quelli di Ragio-neria. Il prof. Fracasso non tralascia di raccontarci anche il presente, cioè la sua vita da concertista e padre di famiglia. Ovviamente tutto questo com-porta alcuni sacrifici come per esempio la compro-missione della normale vita familiare: “Non si può immaginare la vita di una famiglia che, giunta la domenica, si reca in chiesa con successiva passeggiata in villa o al mare. Ciò non è possibile, poiché aspet-to la domenica per mettermi comodo e studiare. Mia moglie e mia figlia si adattano a questo tipo di vita organizzandosi autonomamente”. Ma il pianista non avverte disagio più di tanto perché: “il musicista vive in un suo universo ed è un po’ come se il mondo esterno gli scivolasse addosso”. Ed è a questo punto che si entra nel vivo del discorso con le risposte alle domande più pregnanti.

DR. Il “caso” Allevi: cosa ne pensa?RR. Giovanni Allevi è una persona intelligente,

preparata e sensibile che però ha commesso un errore: quello di volersi considerare un artista di musica classica. Ciò che egli compone pur essendo bello, bellissimo, non è musica classica. Funziona dal punto di vista mediatico: ricordo un concerto, qui, da noi, dove la piazza era stracolma di bambi-ni, adulti e anziani. Insomma piace a tutti però, la sua, non si può definire musica classica. Allevi ha invaso un campo artistico che risente di una forte crisi di identità.

DR. Ci aiuti a capire meglio…RR. Spiego subito cosa intendo: se un grande

Narghilé

52 maggio 2012

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pianista impiega giorni e giorni per preparare il concerto, e una volta giunto sul palco, riesce a guadagnare 20.000 o 30.000 €, naturalmente mal sopporta qualcuno come Allevi che arriva, riem-pie la piazza ed è come se gli sottraesse spazio. Ha voluto prendersi il merito di avvicinare i ragazzi alla musica ma, io che li conosco, posso dire che non è vero, perché li illude. Quando Allevi suona, i giovani ricevono un input e vogliono imparare a suonare il pianoforte, ma non funziona così. Per intraprendere lo studio serio di uno strumento c’è tutta una gavetta che nel caso del pianoforte com-prende: le scale, Hanon, Bach e così via, cioè tut-ta la parte tecnica che si studia in conservatorio. Posso concludere dicendo che il “prodotto Allevi” funziona benissimo perché possiede i numeri e fa marketing, ma gli è stato dato un po’ troppo spa-zio.

DR. E allora cosa fa della musica classica la “Musica Classica”?

RR. Potrei fare un esempio: prendiamo una fra-se di un grande filosofo e una dei “baci Perugi-na”. La differenza è semplice: nella frase dei baci Perugina c’è un concetto, nella frase del grande filosofo ce ne sono un’infinità. Quindi, per tra-slato, se noi prendessimo un brano di Allevi, ci renderemmo conto di come sia costruito su un solo tema più o meno sviluppato; in un brano di Beethoven di quei temi ne troveremmo tan-

tissimi. Possiamo dire che con un solo brano di un grande compositore di musica classica si po-trebbe fare tutta la vita musicale di Allevi. Que-sto, ripeto, è solo un esempio per non entrare in inutili tecnicismi. Insomma, perché accontentar-si di un cioccolatino quando si può usufruire di un’intera pasticceria?

DR. È possibile allora per coloro che non la cono-scono, decodificare e ascoltare la musica classica?

RR. È fondamentale l’educazione, la sensibilizzazione. Infatti, in ambito scolastico, la musica è una disciplina di studio importantissi-ma ma studiata in maniera superficiale e sbagliata. Nella scuola secondaria inferiore poi, l’educazione musicale è “l’anti-musica” per eccellenza, anche se in qualche scuola ad indirizzo musicale si studia uno strumento. Questo non basta: una materia così importante che, al pari delle altre, forma la coscienza dell’ individuo, dovrebbe essere alla base di un buon ordine di studio perché chi la studia deve sviluppare adeguate qualità e abilità. La musica infrange le barriere del finito andando aldilà di ogni confine spazio-temporale: cattura un’emozione, un luogo, uno stato, il tempo stesso e li rende fruibili all’infinito. Più la si ascolta, più la si apprezza e più la si apprezza, più la si ama. Essa unisce tutta l’umanità come un ponte che cancella i confini.

Antongiacomo Polimeno

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Narghilé

53maggio 2012

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il treno della memoria

DAll’orrore PUÒ nAsCere lA BelleZZA

Bari, 11 febbraio ore 08:30. Oltre 600 giovani pugliesi selezionati tra le

comunità scolastiche superiori, universitarie e co-munali si ritrovano presso il teatro Petruzzelli per l’assemblea plenaria del Treno della Memoria 2012. Dopo la presentazione del progetto e il saluto da parte delle Istituzioni (intervento del sindaco del capoluogo pugliese, Michele Emiliano), un lungo corteo attraversa la città per raggiungere la stazione centrale.

Ore 12:15. Tutti in carrozza, il treno charter parte con direzione Cracovia, ripercorrendo sim-bolicamente i binari che portavano i prigionieri nei campi di lavoro o di sterminio.

12 febbraio ore 15:30. Arrivo a Krakow Plaszow station, da lì i ragazzi raggiungono in pullman gli ostelli che sono stati loro assegnati e provvedono alla sistemazione, stanchi e inconsapevoli di ciò che li aspetta, nonostante il lungo corso di formazione antecedente al viaggio.

13-14 febbraio. Il momento della verità: ac-compagnati da freddo tagliente e candida neve, i viaggianti intraprendono la visita al ghetto ebrai-co della città di Cracovia, il campo di Auschwitz (Oświęcim) e il campo di Birkenau.

Regna il silenzio, un piede segue l’altro rispetto-so e affonda nella neve lo sgomento, l’impotenza, la rabbia del momento; freddo fuori, freddo den-tro, anche le lacrime si fermano sulle guance rosse, tace anche il vento. Avanti per inerzia lungo quelle sterminate distese bianche, gli occhi increduli os-servano l’ineffabile razionalizzazione dello stermi-

nio e, persa quella sensibilità d’obbli-go, la mente rigetta l’immagine buia del cimitero e cede alla stanchezza. Varca-ti i cancelli, oltre la mole di mattoni rossi di un altro cre-matorio, oltre gli al-beri e il sole spento, lo sguardo cade su una rosa rosso in-tenso, punge più del filo spinato, e tutto ha un senso.

“Mai dimenticherò tutto ciò, anche fossi condan-nato a vivere quanto Dio stesso” (Elie Wiesel, La not-te), mai dimenticherò perché il regalo più grande da fare al nazismo a tanti anni dalla chiusura dei cancelli di Auschwitz, sarebbe dimenticare, perché dopo quel pugno nello stomaco il rischio più alto sarebbe tornare a casa uguali a prima, perché questa esperienza rappresenta il passaggio reale e concre-to dalla consapevolezza e dalla rabbia per ciò che è stato ad un serio e costante impegno quotidiano. Guardare i luoghi dove l’umanità ha raggiunto e vissuto il suo punto più basso, significa rendersi conto di cosa significa dimenticare il proprio essere cittadini, bloccare il progresso civile, dimenticare valori fondanti come l’uguaglianza e il rispetto del-la vita umana.

Attorno alla terribile vicenda della shoah si mi-sura un tema centrale per la vita dei giorni nostri, centrale non solo sul terreno del ricordo o della co-noscenza, ma anche e soprattutto su quello della partecipazione attiva.

Ecco il motivo per cui l’associazione Terra del fuoco ogni anno, con la profonda convinzione che la costruzione di una cittadinanza degna e consape-vole non possa prescindere dalla conoscenza della Storia e dalla Memoria, organizza questo viaggio. Il treno della memoria inizia, dunque, appena torna-ti, quando ognuno di noi si fa testimone del passa-to e costruttore di un buon futuro, un futuro dove c’è dignità, impegno e cultura, un futuro dove c’è memoria e la gente non muore.

Alessandro Arcadi

Narghilé

54 maggio 2012

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storia di una passione

giUsePPe mAnisCo e le mACChine Di leonArDoQuando un progetto secolare diventa inedita realtà

È venerdì 4 febbraio e noi della Redazione siamo diretti al castello d’Acaya dove c’è un’esposizione alquanto inconsueta: le macchine di Leonardo rea-lizzate da Giuseppe Manisco, nella vita caporeparto Enel delle province di Lecce, Brindisi e Taranto.

L’autore ci fa subito partecipi della sua immensa ammirazione per il grande genio da Vinci e della voglia di riprodurre le sue macchine. Una passione che ha portato lui e le sue opere in Canada e in Al-bania, dove ha suscitato grande interesse e apprez-zamento. Apprendiamo che Leonardo ha lasciato solo progetti e disegni, nessun manufatto. Ci dice che tutti coloro che si sono cimentati nella realiz-zazione delle sue grandi idee, hanno cercato di dare un particolare taglio alle loro riproduzioni. Mani-sco, al contrario, si è sforzato di rimanere quanto più fedele possibile ai progetti originali. Il risultato è la realizzazione di macchine che sembrano davve-ro autentiche “figlie” del ‘400.

Singolare l’origine della sua insolita e creativa passione. Risale a qualche anno fa, il 2004, quando con la moglie è testimone alle nozze di due amici. Questi, al ritorno dalla luna di miele, gli regalano un libro sulle macchine di Leonardo. Manisco dà una lettura veloce. Niente di più. Per molto tem-po il libro fa solo bella mostra di sé sul comodino. Poi, come per una folgorazione, riprende in mano il libro e lo legge senza sosta, per più giorni. De-cide di provare. Vuole misurarsi nella costruzione di una delle sue macchine, riprendendo gli stessi passaggi mentali operati da Leo-nardo, per percepire la sua “com-pagnia”.

La prima realizzazione è una catapulta, anzi una “lanciasassi”, una di quelle macchine piccole e leggere che Leonardo prediligeva. Manisco l’ha realizzata senza l’a-iuto di moderne tecnologie, con-tando solo su quelle disponibili al tempo del suo ideatore; così farà anche per tutte le altre. Pochi

giorni dopo il figlio la “collauderà”, rompendo il lampadario!

Giuseppe Manisco ha costruito 72 macchine, delle quali 40 conservate ancora in casa. Sono le “sue” creazioni. “Passare da una stanza all’altra, e ac-carezzare una macchina di Leonardo, per me è iniziare la giornata in un modo più bello e più giusto”, ci dice.

Alcune sono da guerra o da difesa, altre sono ap-plicazioni tecniche e scientifiche, altre ancora volte a semplificare la quotidianità.

I nemici cercano di scavalcare le mura? C’è il modo di buttar giù le loro scale. Sta per piovere? La bilancia di Leonardo può dircelo. Serve una mano in cucina? La semplice aria calda può azionare il gi-rarrosto di cui potremmo avere bisogno. Leonardo le ha pensate proprio tutte.

Siamo estremamente sorpresi anche dinanzi alla riproduzione in scala di un paracadute costruito con tela ricoperta d’amido, corda e assi di legno, con il quale Manisco ha intenzione di lanciarsi con l’arrivo della bella stagione, da un’altezza di 13 me-tri circa. Incrociamo le dita.

Tutte le costruzioni che ammiriamo, nate da riproduzioni fedeli e reali di progetti scritti, diven-gono preziose testimonianze della creatività di Leo-nardo e ci mostrano quanto l’umanità sia in debito verso questo grande genio del Quattrocento.

Eleonora Balena, Francesca NotaroR

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55maggio 2012

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in visita alle Fonderie De riccardis

Per VinCere BisognA Unirsi

Piove e la giornata non è delle migliori. Il cielo è grigio. Man mano che ci allontaniamo dal centro, in direzione della zona industriale, tutto assume quel-lo stesso colore cupo e triste. Parcheggiamo davanti all’industria De Riccardis e ci dirigiamo al cancello. Citofoniamo ed entriamo nell’edificio. Quello che troviamo appena varcata la soglia è semplicemente l’antitesi di quello che ci siamo lasciati alle spalle, chiudendo la porta d’entrata. Colori e calore, ci ac-colgono assieme ad Orazio De Riccardis, un ex alun-no del Vallone che ora lavora nell’azienda di famiglia. Il suo studio è, per così dire, “all’americana”, come osserva la prof. De Vitis.

Dopo una breve attesa, saliamo le scale ed entria-mo in un altro grande studio. La nostra attenzione è attratta da alcuni pannelli, poggiati tra muro e pa-vimento. “Cosa sarebbe degli Stati Uniti d’America, se fossero rimasti gli Stati Separati d’America?”, dice uno. O ancora “Se John, Paul, George e Ringo non si fossero uniti, sarebbero rimasti John, Paul, George e Ringo”. Insieme si fa sempre qualcosa di migliore. È questo il loro evidente messaggio. Di certo, l’azienda De Ric-cardis ha fatto propria questa filosofia, entrando in collaborazione anche con ricercatori, studenti uni-versitari impegnati in tesi di laurea, oltre che con i dipendenti veri e propri.

I nostri primi discorsi, tuttavia, non sono sull’a-zienda ma su ricordi del Liceo Vallone. Ci racconta di molti suoi compagni, che oggi svolgono lavori importanti: giornalisti, funzionari di banca, ricer-catori universitari. Un pensiero va anche al preside Maglio che, a detta di Orazio, ha insegnato loro a confrontarsi, anche se forse un po’ “troppo alla pari”. Orazio ci parla anche della sua esperien-

za post liceo. Ci racconta dell’università, dell’appartamento condiviso con gli amici di sempre a Bologna. Conclude dicendo che dovrebbe esistere una legge che “imponga” ai Galatinesi di viaggiare, non importa dove e per quanto, se seguendo scelte giuste o no, ma sicuramente di farlo, semplicemente per scoprire che “esiste qualcosa fuori”. A lui gli anni dell’università sono serviti a “crescere”.

Ma come nascono le Fonderie De Ric-cardis? Come viene l’idea di rifornire un mercato che non è del posto? “Per malattie mentali!”, risponde divertito Orazio, soffo-

cando una delle sue strane risate. Salvatore, il padre, non gli dà poi tutti i torti. La prima fonderia della famiglia De Riccardis aprì attorno al 1870, ad opera del fratello del bisnonno di Salvatore, ma chiuse dopo qualche tempo, quando i figli decisero di prendere strade diverse. Riaprì poi tra il 1945 e il 1950. Si trovava all’inizio in via Roma, nel centro di Galatina. Certamente, da allora, l’azienda è cre-sciuta molto, non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi. Le reti del suo commercio inter-secano oggi quelle americane, giapponesi e di altri paesi del mondo, oltre che italiane. Al suo interno lavorano attualmente un centinaio di persone: più di dieci sono laureate, tra ingegneri ed economi-sti, una ventina sono tecnici e amministrativi, af-fiancati dalla parte operaia che è certamente la più massiccia.

Alla nostra compagna Giada viene a questo punto una curiosità: “L’azienda è gestita esclusiva-mente da uomini?”. La risposta è che è stato così fino al 2009, quando è stata assunta la prima don-na che, nell’arco di un anno, è riuscita ad occupare meritatamente il posto di responsabile della qua-lità dell’azienda, rivestendo cioè una delle cariche più alte dell’amministrazione. “Sarà anche una -è il commento di Orazio- ma sicuramente buona”.

Passando attraverso un’esaltazione della lingua inglese, il nostro colloquio termina inevitabilmente sull’argomento preferito da noi italiani: la politica. Ah, il mal governo è diventato un’ossessione! Do-vremmo forse ascoltare la proposta di Salvatore De Riccardis e presentare, alle prossime elezioni, una lista del Liceo?

Francesca Notaro, Eleonora Balena

Narghilé

56 maggio 2012

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Concorso Colacem: premiati cinque alunni del Vallone

È imPortAnte PArteCiPAre mA…È Bello VinCere!

Da quest’anno ho seguito, come referente per il Liceo Scientifico, il concorso COLACEM- Circolo IL QUADRIFOGLIO, un’occasione significativa di interazione tra scuola e territorio che ha dato ai nostri alunni la possibilità di confrontarsi e misu-rarsi con gli studenti delle altre scuole superiori di Galatina.

È stata un’esperienza iniziata, francamente, in tono minore perché il pensiero andava sempre ad Assunta Lagna, la collega che fino all’anno scorso ha rappresentato la nostra scuola. Poi, come accade spesso e per fortuna, lavorare con i ragazzi e per i ragazzi dà energia sempre nuova.

Quindici alunni sono stati selezionati ed hanno svolto tutti con serietà ed impegno la prova, cimen-tandosi su tracce profonde ad attuali: la fama effi-mera e la fama eterna (quindi il senso della vita e la capacità di ognuno di progettarla), il giovani e la società (quindi il rapporto con la politica e la neces-sità di essere protagonisti attivi e cittadini respon-sabili), la violenza (quindi la necessità di trovare un’alternativa all’istinto di sopraffazione dell’altro per imporre se stessi).

I nostri ragazzi hanno raggiunto un risultato veramente brillante! Ben cinque di loro sono sta-ti premiati a diverso titolo. I complimenti vanno innanzitutto a Giulio Baffa della V D e a Maria Lucia Francone della V L che si sono classificati rispettivamente al primo e al terzo posto, vincen-

do, quindi, la borsa di studio. Ma vanno anche ad Emanuele Caputo della V C che si è distinto per la migliore media di voti, a Dalila De Pirro della V F e a Chiara Provenzano della V G che con i loro elaborati si sono guadagnate un diploma di merito.

Noi docenti non possiamo che essere conten-ti dei risultati che i nostri alunni raggiungono; penso che il segreto di questa professione tanto nobile quanto delicata stia in questo: credere sempre nella forza della parola e dell’esempio, scavare come “goccia nella roccia” con tenacia e dedizione, resistere alla disillusione e allo sco-raggiamento per spingere i nostri ragazzi a sfide sempre nuove.

Ai vincitori e a tutti i premiati un grosso “in bocca al lupo” per gli esami ormai vicini e per la vita.

Laura Latino

Per ragioni di spazio riportiamo solo il compito di Giulio Baffa, vincitore del Concorso Colacem 2012

Ed eccoci “nel mondo che, non ci vuole più”, ec-coci nel grande secolo delle illusioni, dell’effimera vo-lontà, degli arrampicatori sociali, delle grandi fru-strazioni, della frantumazione dell’”io” come essere pensante. Eccoci vivere o subire il mondo con una triste atarassia di idee e pensieri che ci rende dram-maticamente inetti a realizzarci e secondo i nostri ideali. Si vive per inerzia, calati in ruoli sociali che ci vengono affidati, in “maschere”, intuisce Pirandel-lo, che non sono altro che delle trappole sociali, che racchiudono l’uomo in una forma, rendendolo “fore-stiere” della sua stessa vita, un uomo che si guarda vivere ma non vive, cristallizzato in quella forma,

la famiglia, il lavoro che lo rendono “Uno, nessuno e centomila”, una monade impazzita senza idealità, racchiuso in un corpo anch’esso una “trappola”. Ecco l’ “io” che si frantuma, perde cioè la consapevolezza, forse l’unica davvero salda, di essere uno per se stesso e diventa così per gli altri “colui che si crede”, ecco l’uomo che improvvisa la sua grande “pupazzata” che è la vita. Dicono che non rimane che vivere il presen-te dell’esistenza, senza progetti, senza obiettivi, non rimane che farsi trasportare dalla “fiumana del pro-gresso” facendosi travolgere senza opporre resistenza. Sembra un riecheggio del “CARPE DIEM” Orazia-no, del “Cogli l’attimo”, non è così, non è proprio

Narghilé

57maggio 2012

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così! Orazio sentenzia tutt’altro, prendete in mano la vita, le vostre idee e innalzatele, credeteci e difen-dete la vostra integrità d’animo, abbiate la forza di riuscire a cogliere la bellezza dell’attimo, l’esperienza che questo ci offre per trarre gioia. È lo stesso papa Giovanni Paolo II che incita i giovani a “prende-re in mano la propria vita e forne un capolavoro” Ma dove?! Con quale Dio?! Con quali prospettive?! C’è chi ormai stanco vuole fermare il mondo perché vuole scendere, c’è inoltre chi vede nel suicidio la “li-bertas” Catoniana, lo scegliere cioè la libertà dalle trappole della vita. Ma in fondo forse vale la pena tentare. È una lotta impari sicuramente, una lotta in cui si esce sconfitti e vinti nel profondo ed è forse la consapevolezza di questo che si inchioda in un “immobilismo” di idee, pensieri ed azioni. La società non ci offre stimoli o obiettivi o idoli da inseguire, non ci offre un posto per noi poiché la corruzione dell’ipocrisia la logora nel profondo. Ma si lotta, si

lotta per la nostra intelligenza, per i nostri pensieri, per quello che ne è rimasto dei nostri ideali e perché in fondo ci meritiamo di sognare e vivere. Sì, sen-za progetti, vivere la vita senza progetti, una sola, spianare la strada della libertà e percorrerla con una forte integrità d’animo portandosi con sé il coraggio di puntare verso l’alto senza presunzione ma tanta umiltà intellettuale. Dunque amici, non si può per-dere il coraggio, io imperterrito continuerò a sognare un posto che sia per me, un posto per le mie idee e per i miei ideali, una realtà, la mia, che mi rappresenti e mi realizzi al meglio. Una chimera?! Forse. Ma scusate se: “Umana vita sogno! Ingannevole sogno, al qual noi pur diam si gran prezzo” (Ultime lettere di Jacopo Ortis, Ugo Foscolo). In fondo sogno una vita degna per l’uomo, umana insomma, degna della mia essenza di essere pensante. Non è presunzione, non è l’ideologia del super uomo. Ma voglia di farcela.

Giulio Baffa

Ancora una volta campionesse regionali

le rAgAZZe Del VAllone FAnno il BisLa squadra di pallavolo femminile del Liceo Val-

lone si riconferma, per il secondo anno consecutivo, campionessa regionale.

Le nostre ragazze hanno superato egregiamente le fasi provinciali ed interprovinciali senza concede-re neanche un set alle rivali.

Nella finale provinciale, le studentesse del Val-lone hanno conquistato il titolo senza mai lasciare speranza di vittoria alla compagine magliese, impo-nendosi con un netto 2-0.

Hanno così potuto accedere alla fase interpro-vinciale incontrando il Liceo Scientifico di Taran-to “G. Battaglini” e, dopo un’altra schiacciante vittoria, le ragazze sono state impegnate contro il Liceo Scientifico di Mesagne dove, nonostante l’assenza di una delle titolari, sono riuscite ugual-mente a farsi valere, vincendo anche questa par-tita per 2-0.

La finale regionale, disputata ad Alessano, con-tro il Liceo Scientifico di Bisceglie, ha portato ul-

teriori soddisfazioni alle atlete galatinesi che si sono confermate, ancora una volta, le più forti sul territorio pugliese.

Alla squadra, composta dalle atlete Benedetta Carachino, Paola Marra, Chiara Papadia, Giulia De Pasquale, Camilla Guido, Ilaria Palumbo, Azzurra Buia, Chiara Picerno, Clara D’Apoli, Martina De Pascalis, Marina De Donatis, Marta Carachino, Enrica Muci, l’augurio di tante altre vittorie… e non soltanto nello sport!

Paola Marra, Camilla Guido, Giulia De Pasquale,

Chiara Papadia

Narghilé

58 maggio 2012

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racconto breve di Antonio Potenza

CiAo FrAnCesCo, ti sCriVo Per Dirti….

-Dove sei?- Ciao Francesco,o almeno così mi ha detto la mamma che ti saresti dovuto chiamare. Lo sai che sei mio fratello? Me lo ha raccontato oggi la mamma. Dice che nel suo pancione ha avuto un altro bimbo come me e quel bimbo doveva chiamarsi Francesco. Ma perché non sei qui con me? Io l’ho chiesto alla mamma e ha ini-ziato a piangere. Mi dà fastidio vedere la mamma piangere. Non so cosa fare.

Tu sai rispondermi? Dove sei? Io ho tanti giochi e sono solo. Posso prestarti il mio guerriero prefe-rito, oppure possiamo giocare insieme con la palla bianca che ho in casa. Te li presto solamente però, la mamma li ha comprati per me.

Adesso che ci penso però tu potresti non avere niente. Vabbé sei mio fratello, te li regalo se vuoi.

Poi sono andato a chiedere anche a papà perché sono solo e tu non sei qui con me a farmi compa-gnia. Le prime volte non ho gridato abbastanza e non mi sentiva, poi ho gridato con tutta la voce, e si è girato. Ma non mi ha risposto.

Nessuno vuole dirmi nulla. Tranne la nonna. La nonna è buona.

Ho chiesto anche a lei che fine hai fatto e mi ha detto che la mamma ti ha fatto fare un lungo viaggio. Ma dove? Neanche lei sapeva.

Io comunque ho una macchinina rossa penso spesso di venire da te con quella macchinina ma non so dove ti trovi.

Se ti arriverà questa lettera, ti prego, rispondimi.Antonio

Ciao Antonio,sono Francesco. Ti ricordi di me vero? Sono tuo fratello. Sono quel fratello che non c’è stato. Mai.

Non sono fisicamente con te, ma se senti così forte la mia distanza è perché siamo legati dentro in qualche modo. E io che sono in una dimensione meno fisica della tua, te lo posso assicurare.

Era estate quando il mio cuore si cominciò a formare nella pancia della nostra mamma. Lei non lo sapeva. Ma io sì. Il mio cuore pulsava, ha sempre pulsato dal primo momento e lo ha fatto per lei. Per la persona che ogni giorno mi proteggeva col suo corpo, anche se io a volte facevo i capricci.

Proprio questi capricci le permisero di accorger-si di me. Mi proteggeva inconsapevolmente e in-consapevolmente veniva amata. Sentivo ogni parte di lei, sentivo quando si agitava, sentivo quando cantava con la sua voce bellissima, sentivo quan-do si preoccupava o quando riusciva finalmente a calmarsi.

Antonio, provai anche tutta la sua rabbia una volta. E sai cosa mi fa più male? Che quella rab-bia era per me. Era arrabbiata con me, ma io non capivo perché. La sentì sbattere i suoi pugni su di me, sulla sua pancia. Il mio cuore pulsava con dolore e i suoi colpi erano fortissimi. Stava per uccidermi.

Aveva saputo che aveva una vita in lei. Da quella sera terribile la sentii piangere più e più volte. Pian-geva nella sua stanza maledicendomi e io comincia-vo a fare sempre meno capricci. Stavo male anche io. Mi trasmetteva tutta la sua tristezza e tutta la sua rabbia.

Erano passati tre mesi e io cominciavo a cresce-re quando all’improvviso il nero che mi circondava mi inghiottì completamente.

Solo dopo capii cos’era successo. Mi aveva uc-ciso. Aveva abortito perché non ero frutto del suo amore, ma di un errore. Un errore di percorso, e non so se sia più doloroso l’essere stati uccisi o non essere stati amati dalla propria madre. Ma non ave-va la forza necessaria, e se lei è stata felice così, va bene.

Io sto bene Antonio, non preoccuparti. Mi di-spiace solamente di non esserti stato vicino. Vorrei esserti stato a fianco quando hai preso i colpi più brutti dalla vita, coccolarti da piccolo e giocare in-sieme. Avrei voluto che mi venissi a prendere con la tua automobilina rossa fiammante. Avrei voluto giocare a palla con te e magari prendere qualche pallonata per sbaglio.

Avrei voluto farti ridere, avrei voluto farti arrab-biare, avrei voluto crescere con te.

Ma non ci sono stato. Hai ragione. Non ci sono stato. Non ci sono. Scusami.

Vivo nella speranza che un giorno anche tu ver-rai qui da me.

Vivo nella speranza che verrai a giocare con me.Prima o poi.

Francesco A S

UR

PR

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G S

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Narghilé

59maggio 2012

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Pensieri per GianpieroOrmai non ha più senso chiedersi ‘perché?’. Ha senso

ricordare che hai dato molto, tanto ad ognuno di noi e rimarrai in noi.

ManuelaIl destino ha voluto che le nostre vite si siano incon-

trate proprio per ‘la vela’ e le sue scelte come sappiamo non sono mai fatte a caso, tutto ha un senso. Le parole da dire sarebbero tante, ma scelgo di non parlare perché ‘il silenzio è più assordante dei boati’. Ancora GRA-ZIE… sempre in mezzo a noi, ciao Gianpiero!

FrancescoMai vista tanta vita concentrata in un solo ragaz-

zo. Non stare mai fermo, avere sempre quella voglia di vivere, di rischiare. Tu eri vita! Ora sei il nostro mare, il nostro vento, le nostre vele. Sempre e comunque la nostra vita!

ChiaraQuando abbiamo iniziato il corso di vela, nei tuoi

occhi si intravedeva una gioia immensa. Quando era-vamo in mezzo al mare ogni tuo piccolo movimento era fatto con una grande passione. Eri un ragazzo molto saggio, educato e pieno di passione. Spero che troverai un mondo migliore, te lo auguro con tutto il cuore. Co-munque è proprio vero: se ne vanno sempre i migliori.

Oscar Wilde diceva: ‘Lo scopo della vita è lo svilup-po di noi stessi, la perfetta realizzazione della nostra natura: è per questo che noi esistiamo’. Tu hai realizzato la tua natura per quanto hai potuto.

IsabellaAmico mio, hai sempre vissuto al massimo ogni se-

condo della tua vita, con quel sorriso stupendo che ren-deva ogni giornata uno spettacolo, ma purtroppo ora non c’è più; te ne sei andato via con la tua amata e starai cavalcando con le nuvole da campione, quello che sei stato e per sempre sarai! Hai lasciato un vuoto incolmabile in tutti noi, resterai per sempre nei nostri cuori... CIAO PIERO!

Volevi condividere tutto ciò che avevi vissuto con gli altri, ricordo ancora i tuoi discorsi sulla vela e non solo quelli. Volerti bene è stato facile, ma dimenticarti sarà praticamente impossibile! Mi manchi, Piero!

GiuliaGianpiero Licignano era un ragazzo unico e un mo-

dello da seguire. Purtroppo non ho avuto l’occasione di conoscerlo a fondo. Perciò la mia descrizione potrebbe risultare superficiale o addirittura riduttiva; ma cerche-rò di rendergli omaggio come meglio potrò attraverso questo breve testo.

Io e Gianpiero abbiamo trascorso del tempo assieme solo durante le lezioni pratiche e teoriche del corso di vela che era tenuto a scuola; era sempre attento a tutto ciò che faceva ed era sempre pronto a dare il meglio di sé in ogni occasione. Aveva la determinazione e la volontà di spingersi oltre i suoi limiti e di migliorarsi e perfezio-narsi in tutto ciò che faceva.

Gianpiero è stato per me un vero amico, quasi come un maestro di vita, anche se per breve tempo. Avrei vo-luto conoscerlo meglio, ma questa possibilità mi è stata negata. Addio Gianpiero il tuo ricordo rimarrà sempre dentro di me.

Beh che dire... È difficile per me scrivere su un fo-glietto di carta cosa rappresentava per me Gianpiero. Io non conoscevo molto Piero, però ho avuto la fortuna di fare un corso di vela con lui, e anche se non ho intrapre-so mai importanti discorsi con lui, riuscivo a vedere in lui una grande persona, sempre pronta ad aiutare tutti, a mettersi in gioco, e ad affrontare la vita così com’è. Io vorrei rifarmi ad una espressione: “Giustamente ognu-no di noi in un campo di fiori raccoglie sempre i più belli”, e così ha voluto Dio prendendosi Piero.

E nell’aria ancora il tuo profumoDolce, caldo, morbidoCome questa seraMentre tuNon ci sei piùIo con Piero ho trascorso pochi momenti della mia

vita, ma tutti molto significativi. Ricordo ancora quan-do andavamo a fare giri in moto insieme vicino a casa sua, anche per perfezionare i piccoli errori di guida, perché eravamo ancora all’inizio. È stato un grande uomo, pieno di vita, sempre pronto ad affrontare i pro-blemi. Se ne vanno sempre i migliori da questo mondo. Un abbraccio da quaggiù. E salutaci Sil. Ciao Piero

Gianpiero, io e te ci siamo incontrati più di una volta, sempre per esperienze differenti.

La prima volta alle elementari, nella squadra giova-nile della Magic, forse l’unica cosa che non ti riusciva bene, la pallacanestro. Poi al corso di chitarra alle me-die, come “strimpellavi” con quella tua classica! E ho avuto anche il piacere di regatare con te, con una delle tue passioni la vela, in un giorno memorabile.

Mi piace ricordare la nostra ultima chiacche-rarta del 1° ottobre, proprio quella mattina ci tro-vammo nel corridoio e parlammo del più e del meno e ti invitai al palazzetto dello sport per vede-re la Magic e tu mi chiedesti se ancora giocassi. Ti ho lasciato così quella mattina con un arrivederci. Non è stato facile per me sentirti dire “ci vediamo” e poi… niente più. Solo Roxanne sull’asfalto senza te in sella.

Ti ricorderò sempre come un campione.Porteremo con noi i tuoi sorrisi e i tuoi consigli per

sempre, perché vogliamo ricordare com’eri, giovane amante della vela.

MattiaCome un angelo sei volato via da questo mondo, ma

siamo sicuri che ora stai solcando l’immenso mare delle nostre lacrime spinto dal vento dei nostri cuori.

Davide

Narghilé

60 maggio 2012

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Nel nostro cuore ci sarà sempre uno spazio dedicato a te”Credo che solo l’amore eterno sia in grado di non

dare delusioni, quindi sopportane qualcuna lieve e quando è troppo molla tutto e ricomincia diversa-mente. [...] Trova un compromesso ma non adattarti mai troppo, se una cosa va oltre ciò che vuoi, se qual-cosa va troppo male, allontanatene… E fai bene!”

Scrivevi così e non immagini, forse, quanto queste parole mi siano servite a staccare la spina da una vita che non stavo vivendo, ma che sem-plicemente mi scorreva davanti.

Una vita che mi hai insegnato a vivere con la tua morte. Anche se ammetterlo fa male, anche se non si dovrebbe dire, è così.

Non ti abbiamo mai dimenticato Gianpiero, lo sai. Non ti hanno mai dimenticato i tuoi com-pagni, i tuoi professori e non ti ha dimenticato chi, come me, ti conosceva solo di vista.

Ti chiederai perché sono qui a scriverti, a pen-sarti, proprio io che dovrei essere l’ultima a far-lo perché della tua vita non ho mai fatto parte. Beh... non lo so, mi andava di ringraziarti. No, non solo per quella frase, ma per avermi dato la possibilità di conoscerti.

Ti ringrazio per esserci stato quella settimana a Parigi, dove ogni gesto fatto dai tuoi compagni aveva un sapore diverso, uno scopo diverso.

Ti ringrazio per esserti mostrato a me attraver-so il sorriso, quello proprio fantastico, che solo N’zino sa fare; attraverso la certezza di poter sem-pre contare su Giulia, sul suo essere comunque presente. Ti ringrazio per i silenzi carichi di dol-cezza di Delo e per il senso di vergogna di Caty che proprio non riesce a rispondermi male.

Ti ringrazio perché in ogni loro piccolo gesto,

in ogni loro piccolo sorriso, in ogni loro pensiero, tu ci sei. Sei presente, sei forte, sei troppo.

Ti ringrazio perché grazie a quello che hai la-sciato in loro, guardarli trasmette gioia.

Questo è il nostro ultimo anno, tra qualche mese questa scuola sarà solo un ricordo, ma ades-so ci attendono gli esami. Quegli esami che fanno un po’ meno paura a pensare che, ancora una vol-ta, ad aiutarci ci sarai tu. E mi piace credere che quando il primo giorno saremo tutti lì seduti, in ansia, tu ci starai guardando sorridendo.

Un abbraccio forte, Giulia.P.S. Se puoi, fai capire a N’zino che il tema,

però, non glielo farai tu. Grazie ;)Giulia Calò

Ciao, Gianpiero… Sei nell’aria.

Sei nel ventoche piega le vele.Ti sentiamo…

… Sei in classecon noi.

Mirella Guida

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seguire il corso dei pensieri è seguire il corso della nostra anima

riPerCorro i miei giorni: Un PAsso FAlso, UnA risPostA sBAgliAtA e CrollA tUtto

…“Mi accarezzi l’anima”. Niente di più tenue, leggero. Non ho altri termini per descrivere la ma-gia che si crea con un accostamento di parole così semplici. Leggero. Devastante. Ossimoro di forza incontrollabile. Paradossale incontro di anime, in attesa di un incrocio di sguardi che le riempirà, che le farà traboccare di gioia, d’amore. Attesa. Il mon-do va di fretta, corre veloce oltre l’eterno. Ma poi si ferma. Si ferma in quell’attimo infinito che è il contatto tra due labbra. Ruota il mondo intorno a quegli sguardi. Sono in piedi, lui le tende le mani per tirarla a sé. Quasi percepibile è il calore che li lega. La realtà intorno a quelle due figure sbiadite scorre senza tempo. Tutto si muove, tutto ciò che li circonda ruota. Li osservo da lontano, cammino verso di loro, senza raggiungerli. Aumentano i miei passi, ma rimango distante. Attrazione magnetica dei loro corpi che si uniscono. Sono vicini, i loro cuori sono vicini, i loro cuori si sfiorano ripetuta-mente. Le loro voci s’intrecciano insieme alle loro mani. Sono vicini, ma non abbastanza per potersi toccare davvero. Perché non c’è congiunzione di menti, non c’è congiunzione delle loro realtà. No, non ancora. Osservo i loro occhi sorridere, noto i loro sorrisi spegnersi al suono di un addio, scorgo la luce fioca di un lampione riflessa sulla loro pelle.

Semi oscurità. Il buio nasconde le incertezze, ma-schera i loro dubbi, copre le loro insicurezze. Mi av-vicino, corro verso di loro, verso di lei. È di fronte a me, ma io sparisco dalla sua vista. La vedo. Non mi vede. Cerco di catturare i suoi occhi, per portar-la via, per allontanarla dall’Amore. Non può stare lì, non è il suo posto quello, le braccia dell’Amore le fanno del male. Le frasi dell’Amore non devono avvolgerla e stringerla e soffocarla. Perché perde il fiato, perde il respiro e la coscienza. La vedo. Non mi vede. Vedo il suo cuore, che è il mio cuore. Non vede la sua mente, che è la mia mente. La raggiun-go, il contorno dei suoi piedi coincide con quello dei miei. La sagoma del suo corpo combacia con il mio corpo. Io ho la ragione, lei ha la passione. Sovrappongo me stessa alla sua figura. Lei coincide con me. Lei sono io. La mia ragione e la mia passio-ne sono in equilibrio tra loro. La sagoma davanti a me non è più sbiadita. Si definisce sempre di più, si delinea sempre di più, diventa nitida e trasparente. Talmente trasparente che posso trarne l’essenza. E custodirla con me. Ne traggo l’essenza. Ne traggo l’anima. La racchiudo tra le mani, quasi fosse una farfalla. Le accarezzo l’anima. Mi accarezza l’anima. Mi accarezzi l’anima.

Valeria Epifani

17 febbraio 2012Non riconosco i lineamentima vedo i segni del male

che ti han divorata.E nell’autorità della morte

…la tua rinascita.Sento il dolore di chi rimane

e lo sperduto vuoto del suo colmare.“…Voglio ricordarti com’eripensare che ancora vivi”...

... sui banchi di scuolanella memoria dei tuoi allievi.

Daniela Scrimieri

Per AssuntaE così sei andata via

In una giornata di freddo soleChe rischiara le idee

Che illumina il doloreManolaDuma

Narghilé

62 maggio 2012

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CI HA CONVINTO CHE OGNUNO DI NOI È L’ARTISTA DI SE STESSO

Ogni persona che incontriamo sul quel percorso che noi chiamiamo “vita”, ha il potere di lasciarci un qualcosa. E noi, d’altra parte, non possiamo far altro che mantenere quelle tracce vive con il ricor-do, con un sorriso e una smorfia. Non possiamo far altro che “assorbire” il massimo che quella persona ha voluto trasmettere, e trasformare le sue parole, i suoi gesti in insegnamenti.

Cara Professoressa Marti, lei ha saputo puntare il suo insegnamento su obiettivi di vita più che su sterili nozioni, e l’ha saputo fare attraverso la magia dell’arte. Arte di vita, quell’arte che si ragiona e la si capisce solo addentrandosi nell’animo dell’artista, capendolo ed entrando in empatia.

Ha condiviso con noi (...ne siamo stati veramen-te fieri) gioie e dolori che caratterizzavano talvolta anche la sua sfera privata creando un ponte tra noi e lei di straordinaria importanza, distruggendo,

finalmente, quel limite in-superabile o quella distanza incolmabile che deve “per forza” caratterizzare il rap-porto alunni-docenti. Ci ha reso partecipi della sua vita, come noi della nostra, facendo a volte ricadere su di lei le nostre ansie e le no-stre paure, a lei che in fondo ha cercato sempre di venirci incontro in ogni modo e in ogni situazione. Ci ha sempre “salvato” nelle difficoltà stando spesso dalla nostra parte e lottando insieme a noi perché, più di noi, ha creduto nelle nostre potenzialità.

Beh.... ci mancherà!Grazie Prof.

Per la tua VDGiulio Baffa

FRO

M S

CH

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L TO

FA

MIL

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CARISSIMA PROfESSORESSA ATTANASI

È la II A che le dedica questo breve intervento su Nar-ghilé. È il nostro semplice modo per salutarla in occa-sione del suo pen-sionamento, e per ringraziarla.

Abbiamo cer-cato nei ricordi di

questi due anni trascorsi insieme e abbiamo pro-vato a ricostruire episodi, situazioni, piccole storie quotidiane; ce ne sono venuti in mente tanti, tutti con un comune denominatore: la vivacità dei nostri quindici anni e la sua infinita pazienza!

Come dimenticare la famose “note del venerdì”, quando, all’ultima ora di lezione, non avevamo nessuna voglia di cum narrativi e di ablativi assoluti e lei non poteva fare altro che riportare sul registro di classe la nostra esuberanza. O quei brevi inter-valli nella lezione, durante i quali lei ci raccontava piccoli aneddoti di vita quotidiana!

Lei ci ha trasmesso degli insegnamenti che non sono solo quelli di imperatori romani o di regole latine. Sono anche insegnamenti di vita che forse alla nostra età non comprendiamo appieno ma di cui riconosciamo il valore.

La ringraziamo di tutto, professoressa, e le augu-riamo ogni bene.

La classe II A

Dal 1° settembre tre cari docenti del liceo andranno in pensione. A loro gli auguri di lunga vita e rinnovate gioie da parte della redazione di narghilé.Dicono che sia l’età in cui si ritorna giovani. Approfittatene!

CARO LUIGI

Non dimenticheremo mai la tua professionalità e la tua discrezione. Ci mancheranno il sorriso e lo sguardo sempre sereno di fronte alla vita.

Ti auguriamo tanta salute e un futuro ricco di mille altre esperienze.

La Preside, i docenti e il personale A.T.A.

Narghilé

63maggio 2012

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il temPo PAssA mA… il VaLLonE restA!Nonostante tutto, nonostante le difficoltà, no-

nostante la fatica, nonostante le delusioni, le incer-tezze, le amarezze, il lavoro, devo dire che gli anni in questo liceo mi hanno formato. Ormai siamo quasi alla fine di quest’avventura. Tra pochi gior-ni quella campanella che in questi anni abbiamo odiato e amato suonerà, si spera, per l’ultima volta. E lascerà dentro di noi qualcosa di unico e diverso. Mi mancherà il Vallone. O forse mi mancherà l’at-mosfera che si respira, mi mancheranno la dolcezza di Mario e le urla di Mimina, mi mancheranno i miei prof che in questi anni sono stati un punto

di riferimento per molti di noi, e soprattutto mi mancheranno i miei amici, i miei compagni d’av-ventura.

Cinque anni fa ci siamo conosciuti tra quei ban-chi e INSIEME abbiamo superato non poche dif-ficoltà. Siamo cresciuti insieme: all’inizio piccoli e timorosi di scambiare anche solo un saluto, e piano piano tra qualche “piccola” barretta di cioccolata e una festa organizzata, abbiamo messo da parte la diffidenza e sono usciti fuori i nostri caratteri, non sempre perfetti e dolci. Poi sono arrivate le prime gite e niente ci ha più fermato. Siamo diventati

GRANDI. E da grandi ab-biamo affrontato la perdita di uno di noi. Ci siamo stati uno per l’altro. Anche questo ci ha aiutato ad andare avan-ti, a non arrenderci mai. Per nessun motivo.

Ed è per questo che il 20 giugno entreremo di nuovo in questa scuola forti e a testa alta. Confidando nelle nostre capacità e nell’unione. Sicu-ri del fatto che comunque vada, abbiamo affrontato la nostra piccola sfida. Grazie a tutti per aver fatto parte di quest’avventura.

IN BOCCA AL LUPO!Giulia De Simone

nUoVi riConosCimenti… mA sPAZio tirAnnoIl giornale va in stampa ma continuano a giungerci

notizie di riconoscimenti al lavoro degli studenti del Vallone. La “Fondazione S. Paolo” di Torino ha con-ferito il 1° premio del Concorso Eustory per il video ”Uomini e donne non è uno sporco reality”, realizza-to dalla classe IV C, coordinata dal prof. Sebastiano Zenobini. La Gazzetta del Mezzogiorno ha premiato il Gruppo Giornale del Liceo per l’edizione di “Nar-ghilé 2011”. Il progetto “Siamo al verde?” ha supe-rato le selezioni regionali e nazionali, concludendo il concorso “Dalle aule parlamentari alle aule di scuola – Lezioni di Costituzione” (promosso dal Senato della Repubblica e dalla Camera dei Deputati in collabora-zione con il Ministero dell’Istruzione). Per quest’ulti-mo lavoro una delegazione del Liceo, composta dalla Preside, dalla prof.ssa Maria Luce Cudazzo e dagli stu-

denti Erika Assisi e Pasquale Pica, ha partecipato nei giorni scorsi alla manifestazione finale di Roma.

Che dire? Non possiamo che essere orgogliosi di far parte del Vallone. Purtroppo di questi ultimi avvenimenti possiamo solo darvi notizia, riman-dandovi al sito del Liceo per informazioni più det-tagliate. La ragione è semplice. Come negli anni scorsi la Redazione ha dovuto lottare con uno spa-zio tiranno, tagliando e sacrificando articoli interes-santi e ben scritti. Ce ne duole. Ma non abbiamo potuto fare diversamente.

Sarebbe troppo lungo fare singolarmente le scu-se agli autori. Perciò le facciamo collettivamente. Come dice un nostro amico filosofo, “le cose più belle sono sempre quelle non pubblicate”.

Mirella Guida, Valeria De Vitis

Narghilé

64 maggio 2012

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Comitato di redazioneDirettore ResponsabileProf.ssa M. Rosaria BottazzoDirigente Scolastico

Docenti referentiProf.ssa Mirella GuidaProf.ssa Valeria De Vitis

StudentiAlessandro ArcadiCristina BaldariEleonora BalenaGrazia ChirivìVerdiana De GiovanniGiulia De SimoneGiorgia Di PrizioElisa FarìFrancesca GaballoAntonella GrecoLetizia GrecoMarianna InguscioGiada LattanzioGiulia MazzarellaFrancesca NotaroAntongiacomo PolimenoAntonio PotenzaLorenzo PreteBarbara SciglianoGiulia Virgilio

StampaTorgraf Galatina 0836.561417

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PIANO INTEGRATO D’ISTITUTO | ANNUALITÀ 2011/2013Nell’ambito della Programmazione dei Fondi Strutturali Europei 2007/2013 – Programmi Operativi Nazionali “Competenze per lo Sviluppo” FSE e Ambienti per l’apprendimento FESR, sono stati approvati e finanziati i seguenti progetti:

FSE IntErvEntI pEr lo SvIluppo dEllE compEtEnzE chIavEriferimenti Bando n. 4462–31/03/2011

Obiettivo Azione Titolo Progetto ORE DESTINATARI

C 1 Ecdl Advanced 3025 studenti, indirizzo Liceo Scientifico e Liceo Linguistico frequentanti le classi del triennio con priorità per coloro che sono già in possesso di certificazione FULL ECDL Core Level

C 1 Ecdl Core 3025 studenti, indirizzo Liceo Scientifico e Liceo Linguistico frequentanti le classi 1a, 2a e 3a con priorità per coloro il cui indirizzo di studio non prevede la disciplina informatica

C 1 Scienze Applicate–Advanced 30 25 studenti frequentanti le classi 1e indirizzo ordinario

C 1 Scienze Applicate–Basic 30 25 studenti di classe 2a con priorità per chi ha frequentato,

nell’a.s. 2010-11, il modulo “Competenze in scienze e tecnologia”

C 1 English horizons–Level B2 50 25 studenti di livello medio-alto (B2)

C 1 Le Francais pour nous–Niveau B1 50 25 studenti di livello medio-alto (B1)

C 1 Let’s speak English–Level B1 50 25 studenti di livello medio-alto (B1)

FSE IntErvEntI IndIvIdualIzzatI pEr promuovErE l’EccEllEnzariferimenti Bando n. 4462–31/03/2011

Obiettivo Azione Titolo Progetto ORE DESTINATARI

C 4 La matematica è un gioco da ragazzi 30

20 studenti del triennio selezionati in base alla valutazione conseguita in sede di scrutinio finale a.s. 2010/2011 con priorità per coloro che si sono classificati nelle prime posizioni nelle fasi provinciali e nazionali delle gare di matematica

FSE IntErvEntI FormatIvI rIvoltI aI docEntI E al pErSonalE dElla Scuola SullE nuovE tEcnologIE dElla comunIcazIonE

riferimenti Bando n. 4462–31/03/2011Obiettivo Azione Titolo Progetto ore Data Fine

D 1 Scuola digitale 30 Dirigente, docenti e ATA