Oltrepo partigiano - ANPIlombardia.anpi.it/voghera/matres/materresist2000.pdf · ANPI -...

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materiale resistente 55º liberazione ANPI - Associazione Nazionale Partigiani d’Italia - Sez. di Voghera - Aprile 2000 Oltrepo partigiano I l 28 aprile 1945, con la fucilazione di Mussolini e dei gerarchi fascisti sulle rive del lago di Como, era toccato proprio ai parti- giani dell’Oltrepo Pavese chiudere un conto che si era aperto 23 anni prima, allor- quando, a Milano, le squadre lomelline di Cesare Forni avevano preso possesso con la forza di Palazzo Marino, spianando al fascismo la via della definitiva conquista del potere. Così come la Lomellina era, appun- to, stata, anni addietro, una regione di punta nella geografia del fasci- smo lombardo e nazionale, era, ora, un altro territorio pavese a sancire, con un atto di intrinseca drammati- cità, ma di alto valore simbolico, il proprio ruolo di protagonista nella storia d’Italia. Quello dell’Oltrepo Pavese è un ter- ritorio che si propone all’osservato- re come un area cerniera tra regioni, culture, tradizioni assai differenzia- te tra di loro. Proprio per le sue caratteristiche geografiche e stori- che la zona è inserita, senza solu- zione di continuità, in un compren- sorio ben più vasto che si sviluppa ed estende intorno al sistema mon- tuoso dell’Appennino ligure-ales- sandrino. Dalla localizzazione dei primi grup- pi (almeno fino alla tarda primavera del ’44) emerge prima di tutto un elemento di grande interesse. Nel quadro della primitiva organiz- zazione e delle prime azioni parti- giane, è fuor di dubbio la priorità del Piacentino e delle aree liguri e alessandrine sull’Oltrepo. Non solo i gruppi più numerosi e di maggior peso si van formando ai margini di quelli che sono i suoi confini amministrativi, ma sono proprio loro i protagonisti delle prime, più clamorose azioni e incur- sioni in territorio pavese. Ciò non esclude, ovviamen- te, la presenza di piccoli nuclei più direttamente lega- ti al territorio - Primula Rossa (Angelo Ansaldi), Tundra (Tiziano Marchesi), Fusco (Cesare Pozzi) - o costituiti intorno a sbandati o prigionieri di guerra di ogni nazionalità che avevan tro- vato rifugio in Oltrepo. Né si vuole sottovalutare la pre- senza, subito dopo l’8 set- tembre, di una rete clandesti- na di appoggio e di smista- mento per i renitenti, sbandati e sfollati lungo i paesi di pianura e della prima fascia collinare. Quel che, però, è certo, è che tarda- no a farsi strada, nel territorio, i primi esempi di gruppi armati con alle spalle precisi referenti politici e/o organizzativi. Chi si rifugia in montagna ha un unico denominato- re comune: il rifiuto della guerra e la volontà di sopravvivenza. Chi, invece, ha obiettivi più ambiziosi in genere viene dal versante ligure e guarda, come riferimento, soprattut- to a Genova né è sicuramente un caso, che, nel ’44, l’Oltrepo parti- giano graviti in buona parte sulla VI zona ligure. Al crocevia di quattro regioni, aspetti della Resistenza nell’Oltrepo pavese Pierangelo Lombardi “Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società”. P. Paolo Pasolini - “Le belle bandiere” - settembre 1962 All’interno: La fucilazione di Mussolini Ti ricordi quel 25 aprile? Revisionismo sulle stragi Per conoscere e approfondire Partigiani della brigata “Crespi” a Pavia

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  • materialeresistente

    55ºliberazione

    ANPI - Associazione Nazionale Partigiani d’Italia - Sez. di Voghera - Aprile 2000

    Oltrepo partigiano

    Il 28 aprile 1945, con lafucilazione di Mussolinie dei gerarchi fascisti

    sulle rive del lago di Como,era toccato proprio ai parti-giani dell’Oltrepo Pavesechiudere un conto che si eraaperto 23 anni prima, allor-quando, a Milano, le squadrelomelline di Cesare Forniavevano preso possesso conla forza di Palazzo Marino,spianando al fascismo la viadella definitiva conquista delpotere.Così come la Lomellina era, appun-to, stata, anni addietro, una regionedi punta nella geografia del fasci-smo lombardo e nazionale, era, ora,un altro territorio pavese a sancire,con un atto di intrinseca drammati-cità, ma di alto valore simbolico, ilproprio ruolo di protagonista nellastoria d’Italia.Quello dell’Oltrepo Pavese è un ter-

    ritorio che si propone all’osservato-re come un area cerniera tra regioni,culture, tradizioni assai differenzia-te tra di loro. Proprio per le suecaratteristiche geografiche e stori-che la zona è inserita, senza solu-zione di continuità, in un compren-sorio ben più vasto che si sviluppaed estende intorno al sistema mon-tuoso dell’Appennino ligure-ales-sandrino.Dalla localizzazione dei primi grup-pi (almeno fino alla tarda primaveradel ’44) emerge prima di tutto unelemento di grande interesse.Nel quadro della primitiva organiz-zazione e delle prime azioni parti-giane, è fuor di dubbio la prioritàdel Piacentino e delle aree liguri ealessandrine sull’Oltrepo.Non solo i gruppi più numerosi e dimaggior peso si van formando aimargini di quelli che sono i suoiconfini amministrativi, ma sonoproprio loro i protagonisti delleprime, più clamorose azioni e incur-sioni in territorio pavese.

    Ciò non esclude, ovviamen-te, la presenza di piccolinuclei più direttamente lega-ti al territorio - PrimulaRossa (Angelo Ansaldi),Tundra (Tiziano Marchesi),Fusco (Cesare Pozzi) - ocostituiti intorno a sbandati oprigionieri di guerra di ogninazionalità che avevan tro-vato rifugio in Oltrepo. Né sivuole sottovalutare la pre-senza, subito dopo l’8 set-tembre, di una rete clandesti-na di appoggio e di smista-

    mento per i renitenti, sbandati esfollati lungo i paesi di pianura edella prima fascia collinare.Quel che, però, è certo, è che tarda-no a farsi strada, nel territorio, iprimi esempi di gruppi armati conalle spalle precisi referenti politicie/o organizzativi. Chi si rifugia inmontagna ha un unico denominato-re comune: il rifiuto della guerra ela volontà di sopravvivenza. Chi,invece, ha obiettivi più ambiziosi ingenere viene dal versante ligure eguarda, come riferimento, soprattut-to a Genova né è sicuramente uncaso, che, nel ’44, l’Oltrepo parti-giano graviti in buona parte sulla VIzona ligure.

    Al crocevia di quattro regioni, aspetti della Resistenza nell’Oltrepo pavese

    � Pierangelo Lombardi

    “Non occorre essere forti per

    affrontare il fascismo nelle sue

    forme pazzesche e ridicole:

    occorre essere fortissimi per

    affrontare il fascismo come

    normalità, come codificazione,

    direi allegra, mondana,

    socialmente eletta, del fondo

    brutalmente egoista

    di una società”.

    P. Paolo Pasolini - “Le belle

    bandiere” - settembre 1962

    All’interno:

    � La fucilazione di Mussolini

    � Ti ricordi quel 25 aprile?

    � Revisionismo sulle stragi

    � Per conoscere e approfondire

    Partigiani della brigata “Crespi” a Pavia

  • La prima fase è, dunque, segnata daun ribellismo immediato e da unadisobbedienza istintiva. Talvoltaquesti atteggiamenti si esprimonocon l’incontro tra i piccoli nucleicostituiti e i giovani sbandati e/orenitenti del luogo; talaltra, si veri-fica il caso del capo, solo, che cercauna banda (l’incontro del “Greco” -Andrea Spanojannis - ad esempio,con i giovani di Costalta e diPecorara). In qualche caso neppureè possibile una distinzione netta trale bande, tanto frequenti sonosmembramenti, assorbimenti efusioni.I caratteri tipici di questa fase sonouna forte disorganizzazione, unospiccato senso giovanile dell’av-ventura, il giudizio sommario esemplificato intorno a tutto ciò che,in qualche modo, poteva evocare ilfascismo (e che legittimava anchepericolose scorciatoie).

    Non è senza significato che propriointorno alla banda del “Greco” (conil suo disarmo, in luglio, e il pas-saggio dei suoi uomini in parte alla“Crespi”, in parte alle GL) si consu-mi un episodio decisivo ai fini delpassaggio dalla fase delle “bande”spontanee a quella delle formazioniorganizzate.Dopo la liberazione di Roma, ingiugno, è ormai diffusa la convin-zione che si sia davvero alla resadei conti. La situazione è in rapidaevoluzione; la durezza dello scontroimpone scelte di campo. La com-parsa “ufficiale” dei partigiani nellamontagna varzese, alla fine di mag-gio, la presenza crescente di gruppi,più o meno organizzati, e il rifiutodei bandi di chiamata alle armi

    porta man mano alsuperamento del-l’atavica diffidenzacontadina.Il processo diespansione parti-giano va dal Bralloverso Nord, con ilprogressivo assor-bimento dei varigruppi locali. Sicostituiscono la 51°“Capettini” e la 87°“Crespi” (garibal-dine). Ancora più anord, si colloca la “Matteotti” chedefinisce il suo raggio d’azione trala valle Scuropasso e l’alta ValVersa. A est, in collegamento direttocon il Piacentino, le formazioni diGiustizia e Libertà.È, questa, una fase complessa ecaratterizzata da forti tensioni,sospetti, azioni di disarmo e colpi dimano tra le formazioni che control-lano i due versanti, pavese e piacen-tino. Finalmente, l’11 agosto, laconferenza di Romagnese delineaun assetto, lungo la linea spartiac-que Penice-Romagnese, che nonsubirà modifiche sostanziali finoalla Liberazione.Il progressivo disarmo dei presidifascisti e l’espansione verso lamedia collina allontanano la minac-cia fascista diretta, limitandosi, lastessa, ad occasionali - ma non perquesto, meno pericolose - puntatebrigatiste.Dopo la battaglia dell’Aronchio, il25 luglio - dove i contadini combat-tono a fianco dei partigiani conarmi di fortuna - e la conquista delcastello di Pietragavina, a metà ago-sto, tutta la montagna e l’alta colli-

    na sono sotto ilcontrollo partigia-no. Ne resta esclu-sa, al fondovalle,solo Varzi, nei con-fronti della qualeva maturando unsentimento di rivin-cita e di resa deiconti da parte deipaesi della monta-gna.Proprio da Varzi, il26 agosto oltre un

    migliaio tra tedeschi e fascisti attac-cano le posizioni partigiane e pun-tano su Bobbio, lungo la direttricePenice-Brallo, nel quadro di unavasta operazione di rastrellamentoche, investendo anchel’Alessandrino e un ampia porzionedell’Appennino ligure-emiliano, halo scopo di ristabilire le comunica-zioni tra la Liguria e la valle del Po.Il rastrellamento investe la monta-gna. Allo scontro frontale non siregge e la difesa rigida delle posi-zioni si rivela perdente (più accortosi rivelerà l’atteggiamento dei gari-baldini liguri). Le antiche polemi-che tra le formazioni trovano nuovoalimento dal cedimento giellista sulPenice.Lo scoramento e il disorientamentodurano, però, solo pochi giorni. Trala fine di agosto e i primi di settem-bre la maggior parte dei repartitedeschi e fascisti abbandonano ilterritorio conquistato. Il rastrella-mento - il primo, in grande stile - hafatto emergere molti problemi (fratutti, la fragilità dell’organizzazionee l’azione frammentaria e isolata),ma ha suggerito anche preziosiinsegnamenti. Il successo fascista sirivela più apparente che reale e nonè in grado di impedire, di li a pochesettimane, la ripresa partigiana.Sul piano militare si assiste a unapiù vasta espansione e riorganizza-zione delle formazioni. I contrasti egli strascichi polemici paiono defi-nitivamente superati. Il 2 settembreviene firmato un accordo di colla-borazione militare tra GL e garibal-dini. I problemi organizzativi e diinquadramento delle formazionitrovano nuova soluzione.

    materiale resistente aprile 20002

    “IL PRIMO SIGNIFICATO DI LIBERTÁ CHEASSUME LA SCELTA RESISTENZIALE ÈIMPLICITO NEL SUO ESSERE UN ATTO DIDISOBBEDIENZA... PER LA PRIMA VOLTANELLA STORIA DELL'ITALIA UNITA GLI ITA-LIANI VISSERO IN FORME VARIE UN'ESPE-RIENZA DI DISOBBEDIENZA DI MASSA.”

    Claudio Pavone“Una guerra civile. Saggio storico

    sulla moralità della Resistenza”

    “FURONO ANNI IN CUI MOLTI DIVENTARONODIVERSI DA CIÒ CHE ERANO STATI PRIMA...DIVERSI E MIGLIORI OGNUNO SENTIVA DIDOVER DARE IL MEGLIO DI SÉ. QUESTOSPANDEVA INTORNO UNO STRAORDINARIOBENESSERE, E QUANDO RICORDIAMOQUEGLI ANNI, RICORDIAMO IL BENESSEREINSIEME AI DISAGI, AL FREDDO,ALLA FAME E ALLA PAURA, CHE IN QUELLEGIORNATE NON CI LASCIAVANO MAI”.

    Natalia Ginzburg

  • materiale resistenteaprile 2000 3

    Mentre le forze partigiane si riorga-nizzano ed accrescono la loro effi-cacia operativa, alla fine di ottobreun vasto territorio liberato e con-trollato dalle formazioni si spingefino alle propaggini della bassa col-lina. Rispetto a luglio-agosto esso èaccresciuto con la conquista diVarzi e di tutta la media/bassa ValleStaffora, fino a Godiasco.Con la presa di Varzi, l’OltrepoPavese acquista una dimensione eun respiro tali da affiancarsi allealtre tre zone libere (piacentina,ligure e alessandrina).Si viene così a creare una curiosacommistione tra la forma della zonalibera e la repub-blica partigianavera e propria,laddove la situa-zione di stabilitàraggiunta davaorigine all’orga-nizzazione di unautentico gover-no sul territorio.Su questa vastis-sima ‘zona libe-ra’ si scatena, afine novembre, lafuria nazifascista.Il contesto gene-rale, caratterizza-to dal proclamaAlexander e dal-l’arresto delleoperazioni sulla“linea gotica” , èfin troppo noto.Un “inverno di sangue” promette-vano i volantini lanciati dalle ‘cico-gne’ naziste sui territori partigiani.Questa volta lo scopo dei nazifasci-sti era quello di condurre un attaccodefinitivo, annientando le formazio-ni e impartendo una dura lezionealle popolazioni di quelle valli checollaboravano con i ‘ribelli’.Il rastrellamento, che parte proprioa nord-est dello schieramento parti-giano (dal Pavese e dal Piacentino)è una vicenda militare assai com-plessa, un mosaico di fatti d’armegrandi e piccoli, una lunga serie diepisodi, di violenze, di lutti. Ilpiano tedesco era quello di spingeresulle cime dei monti tutte le forma-zioni con una grande manovra di

    accerchiamento.Il 23 novembre i rastrellatori si muo-vono lungo le direttrici della ValleScuropasso e della Ghiaia dei Risiverso lo spartiacque di CostaCavalieri/Torre degli Alberi. Di quial Carmine e a Ruino. DaZavattarello si scende a Pietragavina,da una parte; a Romagnese e alPenice, dall’altra. La zona è sconvol-ta e messa a ferro e a fuoco. Perl’Oltrepo son giornate di vera tre-genda: e tanto più feroce è il com-portamento verso le popolazioniladdove i partigiani tentano di resi-stere.Con la riconquista di Varzi, abban-

    donata dai garibaldini ai primi didicembre, le forze partigiane si atte-stano sulle alture alla sinistra dellaStaffora, mentre a Peli e a Coli lebrigate GL sono impegnate in furio-si combattimenti.L’attacco e lo sfondamento avven-gono il 12 dicembre, nella nebbia enella neve. L’affondo è diretto versol’alta Valle Staffora. I tedeschiattuano l’ampia manovra avvolgen-te che dalla valle, dal Tortonese edalle valli Liguri converge sui cri-nali dell’Antola. È il momento delmassimo ripiegamento: Giovà,Capannette, Monte Ebro, ValBorbera, Capanne di Carrega (dovesi installa un’infermeria), CantalupoLigure sono i luoghi della ritirata.

    Tanto drammatica è ormai la situa-zione che a S. Sebastiano Curone iresponsabili politici e militari deci-dono di procedere al momentaneoscioglimento delle formazioni.L’ultima, non meno drammaticafase è caratterizzata dall’epurazio-ne, dallo sfoltimento degli organicie dall’occultamento, come condi-zione essenziale per la sopravviven-za del movimento partigiano. Si dàcorso all’operazione di ritorno apiccoli gruppi alle posizioni di par-tenza attraverso le maglie delloschieramento nemico. Non che ilnemico dia tregua alle formazioni oal gruppo tornato ai luoghi di origi-

    ne. Si tratta di con-trapporre, semmai,con quell’opera-zione, ad una tatti-ca mobilissimauna tattica altret-tanto mobile. Tradicembre e feb-braio la lotta siviene frantumandoin una serie di epi-sodi nei quali sidistingue la ferociadella SichereitsAbteilung e il cuiminimo denomina-tore è una cacciaall’uomo, che silascia alle spalleuna scia di violen-za e di voglia divendetta.È l’inverno delle

    ‘buche’, scavate nella neve. Non sispara se non si è attaccati, non soloper la disparità delle forze incampo, ma anche per salvare lapopolazione, provatissima, da sicu-re rappresaglie.La ripresa è, però, evidente fin daiprimi di febbraio, quando il grossodelle forze che ha operato il rastrel-lamento abbandona la zona e ilfronte torna ad avanzare versoNord. Restano i presidi, per lo piùfascisti, di varia entità.Anche in Oltrepo si assiste a unacauta e lenta riorganizzazione. Il 18febbraio il Comando Divisione dell’“Aliotta” si ricostituisce a Ca’d’Agosto, presso Torre degli Alberi;poi torna a Zavattarello. Quattro

    Capannette di Pei - “Americano” con alcuni responsabili di distaccamento della “Aliotta” - Estate 1944

  • materiale resistente aprile 20004

    giorni prima la primavera era arri-vata in anticipo con lo scontro, con-dotto in campo aperto, delle Ceneri.Ai primi di marzo, con la difesa diZavattarello e la battaglia diCostapelata è definitivamenterespinto l’estremo attacco concentri-co dalle valli Scuropasso eArdivestra, che mirava a scardinareil sistema difensivo faticosamentericostruito e imperniato suZavattarello. A metà marzo Varzi,abbandonata dai nazifascisti, è ripre-sa. Tra la fine di febbraio e i primi diaprile si riorganizzano le formazioni.Il 27 febbraio a Casa Marchese ècostituito il Comando operativo“Settore Oltrepo pavese”, ancorasubordinato alle direttive delComando VI Zona. L’accordo, riba-dito e perfezionato il 9 aprile sanci-sce l’assetto finale delle formazioni

    dipendenti dal Settore OperativoOltrepo Pavese.All’ordine del giorno si pone, ormai,la discesa in pianura, che ha comeobiettivi i centri maggiori postilungo la via Emilia.L’”Aliotta” discende la ValleStaffora, puntando su Voghera; la“Gramsci” si dirige su Casteggio; la“Masia” su Broni; la “Matteotti” suStradella.L’insurrezione dura in provincia diPavia poco più di quattro giorni.Attraversato il Po e occupato ilcapoluogo fin dal pomeriggio, le for-mazioni dell’Oltrepo Pavese sono leprime ad entrare in Milano la serastessa del 26 aprile, due giorni primadi quelle dell’Ossola e cinque giorniprima degli americani della VArmata. E proprio tra quei partigianidell’Oltrepo Pavese sono scelti gliuomini per la missione di Dongo.

    Partigiana dell’Aliotta a Pavia

    26 aprile 1945

    “Anche l’Italia ha vinto” è un CDRom prodotto e realizzatodall’Istituto di Storia dellaResistenza e dell’EtàContemporanea della Provincia diPavia (ISREC), con la collabora-zione del comune di Stradella,dell’Associazione NazionalePartigiani d’Italia provinciale edelle sezioni ANPI di Stradella eVoghera.L’iniziativa, inserita nel progetto“Archivi del ’900”, intende ren-dere disponibile, per uso didatti-co, una parte della documentazio-ne presente presso l’ISREC, apartire dalle origini del fascismofino al secondo dopoguerra,offrendo occasioni di stimolo ingrado di coinvolgere gli studentinell’uso appropriato di materialedocumentario.Le indicazioni contenute nel CDsono una traccia per orientare l’in-segnante nell’utilizzo di strumentie materiali necessari ad un propriopercorso di ricerca. Una sorta digrande magazzino a cui attingereper affrontare diversi temi di lavo-

    ro: testi, immagini e suoni - pre-senti e conservati in originale -oppure documenti scritti, testimo-nianze, o la cartella delle idee conle varie ipotesi storiografiche oquella di lavoro con modelli persimulare il lavoro dello storico.Non si tratta di cestinare i manualidi storia ma di avvicinare i ragazziai valori etico-civili che furonoalla base di alcuni momenti fonda-mentali - l’antifascismo e la resi-stenza in particolare -della nostrastoria recente. La presentazione èprevista a breve.

    Per informazioni: ISREC tel. 0382 - 32263

    ***

    CD-ROM

    “La Resistenza 1943-1945. L’italiadal fascismo alla repubblica”.Laterza Multimedia

    DA LEGGERE…

    Tre volumi di base:

    • Storia della Resistenza italiana”-R. Battaglia. Einaudi, 1964

    •” Resistenza e storia d’Italia”- G.Quazza. Feltrinelli, 1976

    • “Una guerra civile” - C. Pavone. Bollati Boringhieri, 1991

    …SULL’OLTREPO

    • “Storia della Resistenza in provin-cia di Pavia” - A. Barioli, A. Casati,M. Cassinelli. Pavia, 1959

    • “Oltrepo partigiano” (Documenti della Resistenza armatanell’Oltrepo pavese - marzo ’44 -aprile ’45). Pavia, 1973

    • “Il coraggio del no” - a cura di U.Alfassio Grimaldi. Pavia 1976

    • “La resistenza e i suoi caduti tra ilLesima e il Po” - U. Scagni.Varzi, 1995

    • Il comandante “Americano” - U.Scagni. Varzi, 1998

    Per conoscere e approfondire

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    La lettura di un saggio inte-ressante, Il corpo del ducedi Sergio Luzzatto (1) e il

    riaffiorare di particolari falsi o pocoverosimili sulla fine di Mussolini,mi inducono a riordinare i ricordi ea darne testimonianza in modoorganico e non occasionale come hogià fatto in passato (2).Non ero a Dongo il 28 aprile 1945,ma ho partecipato ai fatti che hannopreceduto la partenza della spedi-zione di Aldo Lampredi (Guido) eWalter Audisio e sono stato un testi-mone molto mattutino dell’epilogodi Piazzale Loreto.Facevo parte delle formazioni parti-giane dell’Oltrepo pavese entrateper prime nella Milano insorta.L’Oltrepo comprendeva garibaldini- in netta maggioranza - giellisti ematteottini. Il comandante era ItaloPietra (Edoardo il nome di batta-glia), il commissario Mario AlbertoCavallotti (Albero). Io ero il capo diStato maggiore.Era il 27 aprile, un venerdì.All’alba, da Voghera, Casteggio,Broni e Stradella avevamo preso lestrade che portano a Pavia. In pochisu automezzi e motociclette; quasitutti a piedi.Da tempo il Comando generale delCorpo volontari della libertà (Cvl)aveva disposto che anche i partigia-ni dell’Oltrepo pavese dovesseroconvergere su Milano nel momentodell’insurrezione. Ma gli Alleati -attraverso il capo della missione para-cadutata nel cuore dell’Appenninoligure, piemontese e lombardo - ciavevano ordinato di non superare ilPo. Non dovevamo andare neppurea Pavia. Figuriamoci a Milano.Così la sera del 26 avevamo cercatodi nascondere al capitano ingleseBill (Basil Irwin) la nostra decisio-ne. Andare a Milano era una que-stione di principio per affermare lapresenza italiana nella guerra diliberazione. Capii più tardi che le

    nostre astuzie erano state superflueperché gli inglesi e gli americanidelle missioni la pensavano un po’diversamente dai loro generali.Avevano simpatia per i partigiani.In molti passammo il Po su unapasserella rimasta intatta davantiall’abitato di Mezzana Corti. Quantieravamo in cammino? Più di cin-quecento. Un terzo, almeno, dell’in-tero Oltrepo degli ultimi mesi diguerra. C’erano le brigate garibaldi-ne “Crespi” e “Casotti” al completoe rappresentanti di altre brigate edelle formazioni GL e “Matteotti”.Anche se tedeschi e fascisti eranoormai in fuga, pochi partigiani can-tavano. A Voghera e negli altri cen-tri liberati il 26 avevamo perdutoalcuni compagni.A Pavia, il ponte moderno sulTicino era stato salvato dalla distru-zione. Imboccammo Strada Nuovain colonna. Facevamo bella figuraperché quasi tutti vestivamo giacco-ni, giubbotti, camicie, pantaloni escarpe dell’esercito americano checi aveva lanciato nelle ultime setti-

    mane. In testa alle formazioni i tri-colori con una stella al posto dellostemma sabaudo. Non mancavano ifazzoletti rossi.Arrivammo al Castello. Il cortileera pieno di camion gialli abbando-nati. C’erano anche alcune automo-bili e qualche motocicletta col side-car. Così i tedeschi in fuga motoriz-zarono l’Oltrepo.Nel primo pomeriggio imboccam-mo di nuovo la statale 35. Beltempo, cielo azzurro. In testa allacolonna la moto di “Ciro” e di“Gim” della brigata “Crespi” e laVolkswagen scoperta del Comandodi zona. Guidava il “Moro”, con afianco Alfredo Mordini (Riccardo,ispettore delle brigate Garibaldi);dietro “Edoardo”, “Albero” e io inmezzo.Il comandante della divisioneGramsci, Luchino Dal Verme, detto“Maino”, era in una Citroen neracon Beppe Mangiarotti (Alfredo,medico e combattente) e LuigiFrattini (detto “Celere”). Guidava laCitroen il mago Cignoli, il meccani-

    Testimonianza di uno dei protagonisti

    � Paolo Murialdi

    Prima e dopo la fucilazione di Mussolini

    Paolo Murialdi (secondo da sinistra con il braccio alzato) con “Riccardo”

    (Alfredo Mordini) leggendario ispettore delle Brigate Garibaldi a Pavia

  • materiale resistente aprile 20006

    co che aveva saputo far mar-ciare le auto predate con l’al-cool.Nella colonna di camion cen’era anche uno piccolo escoperto che comparirà nellaspedizione di Dongo. Nonera militare; apparteneva allasocietà elettrica Ovesticino.Lungo la strada non incon-trammo né tedeschi né fasci-sti. Scappavano verso nordper vie secondarie e sentieritra i pioppi. Prima di Binascofummo presi di mira da unaaereo alleato che evidente-mente ci considerò tedeschi. Lasventagliata uccise un partigiano ene ferì tre.Verso le 16 arrivammo al dazio diConca Fallata. In fondo al rettilineoluccicava nel sole la Madonnina. Cifermammo inquieti. Non sapevamoche cosa stesse avvenendo aMilano, da che parte entrare e dovedirigerci. Dalla grande incertezza citolsero Riccardo e il telefono delbar-trattoria sull’angolo dello slargodel dazio. Da una base clandestinadelle Garibaldi risposero che cisarebbero venuti incontro di corsa.Si capì che non ci aspettavano.Dopo una mezz’ora, da unaTopolino un po’ ansimante sceseGeo Agliani, cioè l’ispettore“Giorgio” che era salito alcunevolte nell’Oltrepo. Ci guidò verso ilcentro attraverso le consuete stradeper chi arrivava da Genova. Più

    tardi vidi i nomi: via Conchetta,corso San Gottardo. Fu un tragittoindimenticabile perché tra le casesemidiroccate, incontrammo il tri-pudio della gente. Applausi, evvivae i welcome di chi ci prendeva peramericani o inglesi. “Edoardo” e“Albero” ebbero persino dei bacisulle gote perché la colonna proce-deva lentamente e l’auto era scoper-ta. A me, che sedevo in mezzo, nontoccò nessun bacio.Eravamo emozionati, frastornati,quasi increduli che il destino ciavesse portato per primi a Milano,dove Mussolini aveva raccoltoancora molti applausi nella sua ulti-ma comparsa tra la folla. A PortaTicinese “Giorgio” ci fece svoltarea destra per i vialoni. Procedemmopiù in fretta. Ci arrestammo unavolta sola perché Alberto avevavisto suo padre in mezzo alla genteche ci salutava.

    Ci portammo apiazzale Loretodove c’era folla.Sapevamo che erala piazza in cui itedeschi avevanofatto fucilare quin-dici antifascistilasciandone a lungoi cadaveri per terra.Sul tetto di uncamion salirono ilcomandante delle bri-gate Garibaldi dellaLombardia “Fabio”(Pietro Vergani) ed“Edoardo”. Il loroimprovvisato salutoalla libertà fu breveperché dal tetto di

    una casa partirono alcunicolpi di fucile. I nostri rispo-sero all’impazzata.Poi ci guidarono in vialeRomagna, al grande edificiodelle scuole, vicino a piazzaleSusa, che è ancora come allo-ra. Passando davanti allaCasa dello studente altri sparicontro di noi. Dissero che ciavevano preso per fascisti.Comunque, quelli della“Casotti” spararono qualchecolpo di bazooka e tutto sicalmò.Nelle scuole non c’era nulla,

    all’infuori dei banchi, degli attacca-panni e dei gabinetti. Avevamofame e sonno. Alla fame provviderocon slancio commovente gli abitantidelle case popolari di via BeatoAngelico che portarono nei cortilitutto quello avevano. Per il sonnoarrivarono balle di paglia.La stanza del portiere della scuoladiventò la sede del Comando dizona. C’era una branda e c’era untelefono che funzionava. Il secondodi questa irripetibile giornata.Da quel telefono, la sera, arrivò lachiamata di “Edoardo” e di“Maino” da parte del generaleCadorna. Cominciò così il legamedell’Oltrepo con Dongo e con lafine di Mussolini, di ClarettaPetacci e dei gerarchi di Salò.Andarono in via del Carmine, alpalazzo del Comando militare, doveerano insediati da poche ore icomandanti del Cvl. Dopo un’oraall’incirca il telefono della scuolasquillò di nuovo. Era “Edoardo”.Mi disse che bisognava preparareun drappello di partigiani per unaimpresa importante e delicata.Cominciassi a scegliere una dozzinadi uomini assieme a “Ciro”, coman-dante della brigata “Crespi”. Li sce-gliessimo di montagna perché menoemotivi. Il resto me lo avrebbedetto al suo ritorno.Quando rientrò in viale Romagnami rivelò che il drappello dovevaeseguire la condanna a morte diMussolini e dei gerarchi catturatisul lago di Como. Aggiunse che lamissione era affidata al colonnello“Valerio” del Comando Cvl. A capodei nostri - disse - doveva esserci

    Partigiani della brigata “Crespi” a Pavia

    “AVEVO VENTIQUATTRO ANNI, POCO

    SENNO, NESSUNA ESPERIENZA E UNA

    DECISA PROPENSIONE, FAVORITA DAL

    REGIME DI SEGREGAZIONE A CUI DA QUAT-

    TRO ANNI LE LEGGI RAZZIALI MI

    AVEVANO RIDOTTO, A VIVERE IN UN MIO

    MONDO SCARSAMENTE REALE, POPOLATO

    DA CIVILI FANTASMI CARTESIANI,

    DA SINCERE AMICIZIE FEMMINILI ESANGUI.

    COLTIVAVO UN MODERATO E ASTRATTO

    SENSO DI RIBELLIONE. NON MI ERA STATO

    FACILE SCEGLIERE LA VIA

    DELLA MONTAGNA...”

    Primo Levi”Se questo è un uomo”

  • materiale resistenteaprile 2000 7

    “Riccardo”, vecchio combattentedi Spagna e del maquis. Completammo la scelta dei 12 par-tigiani. Con “Riccardo” e con lorosarebbero andati anche il responsa-bile del Sip (Servizio informazionie polizia), che era Orfeo Landinidetto “Piero”. Come mezzo di tra-sporto scelsi il camion scopertodella Ovesticino. Gli uomini ci sta-vano stretti, ma era l’automezzo piùveloce tra quelli che avevamo tro-vato sulla nostra strada.A questo punto - saranno state le cin-que e mezzo del 28 - accadde ungrave malinteso, frutto della confu-sione che regnava sia al Comandodel Cvl sia nell’atrio delle scuole diviale Romagna. Io avevo mandatogli uomini in via del Carmine, men-tre “Valerio” veniva a incontrarli allescuole. Arrivò su una Millecentonera con i parafanghi imbiancati.Con lui, oltre all’autista, c’era unuomo che indossava un impermea-bile bianco. “Valerio”, invece,aveva una giacca a vento grigia -certamente preda bellica - sullaquale spiccavano i gradi (un rettan-golo rosso con due stelle dorate) eimbracciava un mitra.Il contrattempo fece andare inbestia “Valerio”. Non riuscimmo achiarirlo perché “Edoardo” era

    andato con Fabio ad aspettareMoscatelli e i garibaldini della vald’Ossola che arrivarono a Milanonella notte del 28 aprile.Nel frattempo, il drappello tornò inviale Romagna. Quando vide ilcamion “Valerio” mi investì confoga dicendo che era piccolo. Glirisposi con altrettanta decisione chebastava ed era veloce. A questopunto l’uomo dell’impermeabilebianco lo sollecitò a partire. Per ilcompito che dovevano affrontare eper le prevedibili difficoltà del tra-gitto attraverso contrade dove lesparatorie si sprecavano, era pro-prio il caso che si muovessero.Partirono. Saranno state le sette opoco prima. A Milano il tempo eraancora al bello.Per tutta la giornata e la sera del 28fummo privi di notizie. “Edoardo“mi confidò alcuni particolari del-l’incontro con Cadorna. Disse diaver dato un calcio in uno stinco a“Maino” perché temeva che rispon-desse a Cadorna che sarebbe andatolui stesso a Dongo. Non era proprioil caso perché l’uomo destinato aguidare la missione era uno delComando generale ed era lì a dispo-sizione di Cadorna e di LuigiLongo. Un altro particolare che micolpì fu l’importanza del telefono

    nella vicenda. La notizia della cat-tura di Mussolini e dei gerarchi eraarrivata a Milano per telefono, siadalla casermetta della Guardia diFinanza di Germasino sia più tardida una centrale elettrica. Era natura-le chiedersi che cosa sarebbe suc-cesso se la notizia non fosse arriva-ta subito. Si sapeva che gli Alleati,in particolare gli inglesi, volevanoMussolini vivo.Capimmo, inoltre, chi era l’uomoche accompagnava “Valerio”. Era ilvice di Longo al Comando genera-le. Ne avemmo conferma il 6 mag-gio, alla sfilata dei partigiani nellevie centrali di Milano. Era in secon-da fila alle spalle di Longo. Avevacombattuto in Spagna e poi nelmaquis nella zona di Marsiglia.Contava più lui del colonnello“Valerio”.Vivemmo in grande ansia una gior-nata frenetica e una notte incerta.La prima notizia la ricevemmoall’alba del 29 aprile, domenica. Efu una bomba. Per telefono uno deinostri mi disse con voce rotta cheerano in piazzale Loreto con i cada-veri dei fucilati.“Edoardo”, io e il “Moro” saltam-mo nell’auto gialla e riuscimmo atrovare rapidamente la piazza doveavevamo sostato il giorno del

    Foto di gruppo di garibaldini a Pavia

  • materiale resistente aprile 20008

    nostro arrivo. C’era gia parecchiagente, altra ne arrivava dalle grandistrade, ma il “Moro” riuscì a tocca-re con le ruote anteriori la cordona-tura del marciapiede, proprio difronte al punto in cui giacevano icorpi di Mussolini e di ClarettaPetacci.Bastò alzarci in piedi per vederetutto intero lo sconvolgente spettaco-lo: il dittatore, la sua favorita e igerarchi nella polvere. Sul marcia-piede in lieve curva, dove i tedeschiavevano lasciato per ore i corpi degliantifascisti fucilati, Mussolini e laPetacci erano al centro; a destra e asinistra i gerarchi e i loro seguaci.Le immagini fotografiche e filmi-che sono conosciute e la scena èstata descritta molte volte. I signifi-cati che ha avuto quella giornata apiazzale Loreto sono stati analizzatida alcuni studiosi, al di la delleinterpretazioni ideologiche e politi-che di parte (3). Per questo cito sol-tanto alcuni particolari che mi col-pirono. Mussolini aveva gli occhisemiaperti, come se guardasse lon-tano. L’asta che era stata infilatanella sua mano era lucente e termi-nava con l’insegna dorata del fasci-smo di Salò. La folla non era ancorastraripante ma cresceva di momentoin momento. Sui corpi collocati suquel marciapiede che oggi non c’èpiù, si vedevano i segni dell’ira edegli oltraggi - i calci, gli sputi e icolpi di rivoltella - che di lì a pocoriprenderanno gli operatori ameri-cani di Combat Film.“Edoardo” ordinò ai nostri di spara-re in aria; poi arrivarono dei vigilidel fuoco con l’autopompa, ma négli spari né il getto d’acqua bastaro-no a tenere la gente a distanza.I ragazzi dell’Oltrepo apparivanostralunati, inebetiti per le emozionie le paure vissute durante il ritornoa Milano - come sapemmo più tardi- e per la stanchezza.Ritirammo i nostri. Ne prese ilposto un reparto di Moscatelli; per-ciò non seppi chi decise di appende-re i corpi di Mussolini, della Petaccie di altri due fucilati al traliccio deldistributore di benzina. Si disse cheera stato fatto per mostrarli allafolla; ma il risultato fu più racca-pricciante.

    Dai nostri raccolsi notizie su quel-l’evento tragico e ineluttabile; masoltanto su come si erano svolti ifatti prima di Como, col cambio delcamion, e poi a Dongo. Era statauna corsa drammatica per timoreche arrivassero americani e inglesi.Il cambio del camion era avvenutoa Como e ora quello del trasportodei cadaveri era ben visibile a piaz-zale Loreto. Era un vecchio Fiat datraslochi, ma senza scritte. Sulledue pareti erano state aperte delleferitoie orizzontali. Doveva esserestato trasformato così dalle Brigatenere per i rastrellamenti.I nostri partigiani sapevano poco onulla della fucilazione di Mussolinie della Petacci. Il plotone e“Riccardo” erano rimasti sempre aDongo. Sulle colline dove si trova-no Bonzanigio e Giulino diMezzegra, dei nostri forse era salito“Piero”, ma né lui né altri lo disseroallora. E il suo nome di battaglianon figura nella relazione che AldoLampredi si decise a scrivere nel1972 correggendo vari particolaridel racconto del colonnello Valerio.La relazione è stata pubblicata il 23gennaio 1996 (4). Se dagli archividel Pci non usciranno altri docu-menti penso che la relazione diLampredi sia quella attendibilesulla morte di Mussolini e dellaPetacci.Drammatico fu il racconto del ritor-no a Milano nella notte tra il 28 e29 aprile, racconto che venne fattoanche dai nostri. Cominciò con lasosta del camion ad Azzano percaricare i cadaveri di Mussolini e diClaretta e si concluse con il bloccoavvenuto allo stabilimento dellaPirelli, gia in città, da parte di parti-giani che credettero di trovarsi difronte dei fascisti che trafugavano ilcorpo del dittatore. Su questi fatti levarie versioni concordano.Sulla base della conoscenza direttadi questi e di altri particolari colle-gati ai fatti di Dongo e di piazzaleLoreto e dalle notizie che mi diede-ro “Edoardo” e “Maino” sul collo-quio con Cadorna, e “Riccardo”sulla spedizione nell’Alto lago,trassi alcune conclusioni che riten-go valide e alcune deduzioni affida-bili. La frequente comparsa di ver-

    sioni diverse sulla fine diMussolini, comparsa che si ripeteràancora nonostante siano passatiquasi 55 anni, non ha modificato lasostanza delle mie conclusioni edelle mie deduzioni. Eccole: 1. Chiedendo che l’Oltrepo mettes-se a disposizione del Comandogenerale (del quale “Valerio” facevaparte) il plotone per eseguire le con-danne a morte, Cadorna non parlòdel trasporto dei fucilati a Milanoné citò la presenza della Petacciaccanto a Mussolini. Presenza chele costò la vita.2. Chi fece la scelta di esporre icadaveri a piazzale Loreto nellostesso posto dove erano stati fucilatiquindici antifascisti? Secondo unadichiarazione di “Albero”,Commissario dell’Oltrepo pavese, erastato Luigi Longo (5). SecondoLampredi - e lo ha scritto nella suarelazione gia ricordata - la scelta dipiazzale Loreto la fecero lui e ilcolonnello “Valerio” quando eranogia arrivati a Milano in piena notte.Lampredi aggiunge che Longo nonapprovò questa scelta. La mia con-vinzione è che la decisione di porta-re i cadaveri a Milano era già statapresa da Longo e da Pietro Secchia.Lo prova l’alterco fra “Valerio” e ilsottoscritto - il camion è piccolo;no, il camion basta - e l’affannosaricerca a Como di un camion gran-de e coperto. Restava l’incognitasulle possibilità di farlo contro ilvolere degli americani e degli ingle-si che avevano ordinato al governoitaliano di consegnare a loro il ditta-tore per processarlo e che, nellagiornata del 28 aprile arrivarono,con robuste avanguardie, a Como.3. A proposito di Luigi Longo,ritengo infondata la tesi, sostenutadagli autori di due libri sulla fine diMussolini, che sarebbe andato luiad eseguire la condanna a morte deldittatore. Per la semplice ragioneche il viaggio Milano - Dongo eritorno richiedeva, in quel momentomolte ore e presentava rischi che ilcomandante generale del Corpovolontari della libertà e numero unodel Partito comunista nel nord, nonpoteva correre.4. Concludo citando una voce che èstata nuovamente diffusa di recente,

  • materiale resistenteaprile 2000 9

    Al volante della macchinarichiamata da Murialdi,nelle pagine precedenti,

    c’era Moro, nome di battaglia diPiero Merlini, presidente dell’ANPIdi Voghera, che ha ricordato con noialcuni episodi della sua esperienzapartigiana.Come inizia la tua esperienza partigiana?A piazzale Loreto come c’eri arrivato? Dopo l’8 settembre lascio l’esercito -ero sottufficiale autocentro a Zara, inJugoslavia - e ritorno a casa, nascon-dendomi con altri giovani. Dal 1941sono iscritto al Pci e tutta la mia fami-glia ha una lunga tradizione antifasci-sta. Abitavo in frazione Sgarbina diMontebello e con una serie di compa-gni - Ciro (Carlo Marchesi), Losa,Marchetti, Rinaldi e altri si discutevaanimatamente sul “che fare”. Dopoalcuni incontri ai quali ricordo inter-venne anche Beniamino Zucchella(combattente in Spagna e nel maquisfrancese, esponente di spicco del Pciclandestino) la svolta è nelmarzo/aprile 1944 quando conDomenico Mezzadra (Americano),Carlo Lombardi (Remo), CarloAllegra (Tom) si decide di avviare lacostituzione di gruppi partigianiUna scelta non scontata...Certo, perché il CLN di Voghera rite-neva non ci fossero le condizioni perla nascita della guerriglia in Oltrepo.Nonostante questo, Americano, Remoe Tom fanno una prima puntata esplo-rativa verso Capanne di Cosola. Alloro rientro la decisione è presa eparte un gruppo di cinque persone. Iosono salito dopo una ventina di gior-ni, a fine maggio, e ricordo ancora ildialogo con Americano che mi parla-va di una organizzazione perfetta, didecine di uomini... invece a Capannedi Cosola non c’era nessuno ed aPian dell’Armà ci accampiamo sottouna tenda di rami e paglia! IntantoRemo saggiava il terreno,contattava icontadini, anche con piccoli comizivolanti, ed otteneva lentamente lafiducia di quella gente, oltre a pane,

    lardo, quel poco che c’era... ho anco-ra in mente quel minestrone di erbeche non finiva mai. Ma poi il grupposi allarga ed arriva anche PrimulaRossa (Angelo Ansaldi) con una doz-zina di ragazzi varzesi e si forma la“Capettini”, con circa 150 uomini, instragrande maggioranza del posto. Laguiderà Americano, passando poi alvice Primula Rossa il comando.Questa la situazione fino al rastrella-mento dell’agosto 44.E le armi, ad esempio, come arri-vavano?All’inizio non c’erano quasi: unmitra, qualche moschetto… ma poicominciano i colpi lungo la viaEmilia, anche se prima c’erano statigli attacchi alle sedi del Fascio.Scendevamo in macchina, una 1100nera di un noleggiatore di Broni,tenuta a Pianostano, passavamo perNegruzzo e attraversavamo loStaffora. La benzina era fornita daPiazzardi. Ricordo a Broni, nell’estate

    nonostante le smentite dell’interes-sato (6). Dice che il comandante“Maino” (Luchino dal Verme) abbiatentato di inseguire la spedizione di“Valerio” e Lampredi per evitare lafucilazione di Mussolini e portarlo,invece, prigioniero a Milano conse-gnandolo al generale Cadorna. Perscrupolo ho interpellato nuovamen-te Luchino dal Verme il quale mi harisposto, il 12 gennaio 1999, conqueste parole: “Non è la prima voltache viene fuori questa storia.Inventata di sana pianta, non sopensare da chi e a che scopo”.Temo sia il frutto di un settari-smo politico-ideologico duro ascomparire.

    Bibliografia

    (1) Sergio Luzzatto “Il corpo del duce.

    Un cadavere tra immaginazione, storia

    e memoria” Torino, Einaudi 1998

    (2) Cfr. Richard Collier “Duce! Duce!

    Ascesa e caduta di Benito Mussolini”

    Milano, Mursia 1983 (la ediz. 1971):

    Paolo Murialdi “Così incontrai il par-

    tigiano rimasto in ombra” l’Unità

    26/1/1996

    (3) Si vedano S. Luzzatto “Il corpo del

    duce” cit. e Mirco Dondi “Piazzale

    Loreto 29 aprile: aspetti di una pubbli-

    ca esposizione” Rivista di storia con-

    temporanea 1990 n. 2

    (4) Aldo Lampredi “Ci disse: mirate al

    cuore” L‘Unità 26/1/1996. Una docu-

    mentazione interessante si trova nei

    verbali della Guardia di finanza, pub-

    blicati a cura e con una introduzione di

    Marino Viganò “Arresto ed esecuzione

    di Mussolini nei rapporti della Guardia

    di finanza” Italia contemporanea 1996

    pp. 113-138

    (5) Giulio Guderzo “Missione Dongo”

    Annali di storia pavese 8-9 1993 pp.

    177-184

    (6) Cfr. F. Bernini “Così uccidemmo il

    Duce. Da Varzi a Dongo con i fucila-

    tori dell’Oltrepo” sl. Cdl ed. 1998 p.

    73

    Tratto da “Italia contemporanea”n.215 - giugno 1999 - Carocci edi-tore - Roma

    Si ringrazia la redazione di “Italiacontemporanea” e la Carocci edi-tore per aver consentito la pubbli-cazione del documento

    Ti ricordi quel 25 aprile?

    Moro con un partigiano a Voghera

  • materiale resistente aprile 200010

    del ’44, con noi sulla macchina sco-perta a sparare in aria per aprirci lastrada e la gente che scappava daitavolini dei bar, ad Arena Po, dovec’è un cruento scontro a fuoco con ifascisti. Un episodio particolare èquello accaduto rientrando dall’attac-co a Broni. Blocchiamo un camionci-no dei repubblichini e scopriamo chetrasporta ben 120 paia di scarponcinigialli diretti da Piacenza a Genova. Lisequestrammo insieme ai due militi discorta. Uno, malato, rimarrà con noimentre l’altro lo lasciamo andare.Tu rimani con Americano, sei in prati-ca il suo uomo di fiducia, anche nellefasi successive al rastrellamento del-l’estate 1944...Si, anche dopo la nascita della Crespicon Ciro al comando, resto con Tom eAmericano fino alla liberazione diVoghera, poi proseguo per Pavia eMilano... ci sarebbe molto da raccon-tare sulle fasi successive ed anche suirapporti tra le diverse formazioni par-tigiane. Ma torniamo ai giorni del 25aprile. A Rivanazzano, nella nostradiscesa verso Voghera, incappiamo inun battaglione di Alpenjager tedeschiasserragliati nella Villa Mezzacane.Oltre un centinalo di uomini benarmati, ma ormai privi di collegamen-to e informazioni con il loro comando.Chiediamo di trattare e l’incontroavviene in una trattoria chiamata“Americana“.Si presentano un colonnello e duecapitani con altri uomini. Vogliono

    passare, con armi e mezzi, in attesa diarrendersi agli alleati. Americanosorride e il invita ad arrendersi,saranno nostri prigionieri fino all’ar-rivo degli alleati, l’onore delle armisolo agli ufficiali. C’è uno scontroverbale violento tra il colonnello edun capitano che vuole ancora com-battere, lo stesso che tenterà anche ilsuicidio, bloccato però da un parti-giano. Poi la resa. Quello che mi col-pisce è il senso di stanchezza e rasse-gnazione dei soldati, pochi lasciano learmi con dispiacere, quasi tutti le get-tano con sollievo, molti calpestando i

    fucili, prima di incolonnarsi verso laprigionia a Varzi.Quindi l’arrivo a Milano...Dopo Voghera è la volta di Pavia conil raduno al Castello, dove la Crespidi Ciro riceve l’ordine di avanzare suMilano con 7/8 camion, autoblindo,macchine e moto, credo circa 300/350uomini. Io sono al volante della mac-china richiamata da Murialdi e ricor-do l’ingresso a Milano, l’arrivo inviale Romagna con i cecchini fascistiche ancora ci sparavano contro. Ilgiorno seguente veniamo chiamati apiazzale Loreto. La scritta “Comandozona Oltrepo” sulla fiancata ci con-sentiva di avanzare tra la folla cheapplaudiva, urlava e nella quale c’e-rano anche strani personaggi carichidi stelle, gradi e nastrini che si atteg-giavano a partigiani, con grandi risa-te da parte dei nostri compagni. Lascena di piazzale Loreto era dramma-tica, troppa gente cercava di avvici-narsi per infierire sui cadaveri, furonomomenti di grande tensione.Di certo, però, quello che rimanenella memoria di quei giorni è ungrande senso di “liberazione”: uomi-ni e donne che inneggiavano allalibertà, ti salutavano, volevano cono-scerti e sapere, offrivano quello cheavevano.Momenti indimenticabili che ancoraoggi, nonostante le amarezze perquello che è successo dopo, mi riem-piono di orgoglio per quello cheabbiamo fatto.

    Contro l’Austria chedimentica e rivaluta il

    fascismo ricordiamo lemigliaia di antifascistiaustriaci deportati, torturati,nelle carceri e nei lager,caduti vittime del terrorehitleriano: “… non ho com-messo alcun delitto controlo Stato. E non sono nem-meno un eroe, un martire,sono soltanto ciò che sonosempre stato, un uomo sem-plice, semplicissimo, cheha dovuto morire perché

    non era adatto per questitempi terribili, come molte,molte migliaia prima e dopodi me. Ho dovuto morireperché la solidarietà umanami era filtrata nel sangue,perché stimavo superiorealla mia salvezza personaleil rispetto verso il mio pros-simo, verso i miei compagnidi lavoro. Provengo daun’epoca in cui la solida-rietà aveva un significato,era una questione d’onoreper ogni lavoratore che si

    rispetti, e costituiva ilprimo, il più importantepresupposto della lotta edella vittoria per un mondomigliore, più felice. Speroche questa solidarietà, que-sto amore per il prossimo,non importa con qualenome si voglia chiamarequesto unico, meravigliososentimento, divenga profi-cuo anche per voi e possiateprogredire nel grembo dellafamiglia e della più vastacomunità…”.

    (Franz Mager, 47 anni,

    falegname, militante di

    sinistra, sindacalista, atti-

    vista clandestino, arresta-

    to nel 1935 e poi nel 1941,

    processato nel 1942 e tra-

    dotto nel Landersgericht

    di Vienna dove viene ucci-

    so il 26 febbraio 1943.

    “Lettere di condannati a

    morte della Resistenza

    europea” - a cura di P.

    Malvezzi e G. Pirelli).

    WIDERSTAND - RESISTENZA

    L’Austr ia che dimentica…

    SIAMO STATI INSIEME

    Siamo stati insieme diventando insieme uomini:se il mondo era diviso erano uniti i nostri cuori aperte le nostre porte.

    Brillava su tutti i visi una speranza comune una raggiunta esistenza giovane in mezzo ai dolori:ci siamo riconosciuti.

    Un popolo nuovo, immune dai limiti ripetuti nasceva con nuovi nomi sicuro dalla morte.

    Era la Resistenza Carlo Levi

  • materiale resistenteaprile 2000 11

    La recente sentenza pronun-ciata per la strage allaQuestura di Milano del 12

    maggio del 1973, che attribuisce auna complessa rete tra neofascisti,servizi segreti italiani e apparatimilitari e di controllo atlantici laresponsabilità su quell’evento, siproietta positivamente anche sulprocesso in corso per la bomba diPiazza Fontana del 1969. Quelleche sono state per anni le prese diposizione di una parte consistentedella società civile, possono diven-tare oggi delle realtà processuali,affermate da sentenze e condanneche peseranno certo più sul pianostorico che su quello strettamentegiudiziario.Eppure, malgrado la verità sullaStrategia della Tensione affiori pianpiano dopo tanti anni, presso ladestra radicale, il cui ambiente èstato più volte coinvolto anche inpassato nelle indagini sullo stragi-smo, la realtà storica continua aessere negata. Al punto che versoquesto fenomeno si potrebbe parla-re a destra di un vero e proprio ten-tativo di “revisionismo storico” che,anche quando arriva ad ammettereil ruolo avuto dai neofascisti nellestragi, finisce però per stravolgere ilquadro storico in cui i fatti sonoaccaduti.Così, una delle principali novitàemerse negli ultimi anni negliambienti della destra estremariguarda l’ammissione che i neo-fascisti presero effettivamenteparte a quella strategia, ma questoin un contesto che attribuisce adaltri le vere responsabilità. È delmarzo del 1997 ad esempio lacelebre intervista al Corriere dellaSera in cui Gianfranco Finidichiarava: “Che quel terrorismostragista abbia usato anche unamanovalanza arruolata nell’estre-ma destra è vero. Ma resta il gran-de mistero su chi erano gli arruo-latori”. Il leader di An precisavacosì la sua dichiarazione: “l’ever-sione neofascista cos’era?

    Spontaneismo armato, reazione,nichilismo ideologico frutto di allu-cinazione culturale. Non c’era unprogetto”.Se la destra radicale non avessecontemplato, dall’immediato dopo-guerra fino alla fine degli anni set-tanta, tra le sue opzioni politichequelle del colpo di mano militarepiuttosto che dell’atto violento taleda suscitare una reazione d’ordine,è chiaro che il ragionamento di Finiavrebbe senso. A smentirlo ci sono però qualcosacome trenta anni di cultura e propa-ganda missina e di tutto il neofasci-smo. Senza contare le centinaia diprocessi che hanno indicato neineofascisti non solo gli esecutori,ma anche i sostenitori del progettosociale che con le bombe si volevacostruire.Non è un caso che uno dei maggioristudiosi dello stragismo, FrancoFerraresi, abbia parlato di un “climaomogeneo di opinione e di intenti”a proposito della genesi della strate-gia degli attentati indiscriminatinelle piazze e sui treni.Ma a destra sembra si voglia rimuo-vere completamente questa realtà,facendo ricorso a qualunque altrainterpretazione della storia.Salvatore Francia, un militante di

    “Ordine Nuovo” di Torino più volteindagato dalla magistratura neglianni settanta, rilegge quelle vicenderigettando qualunque ruolo dei neo-fascisti organizzati nelle stragi. Nelsuo libro “Radici storiche e ragionidella Strategia della Tensione”,pubblicato nel 1996 dalla SocietàEditrice Barbarossa di estremadestra, Francia ripercorre le vicendeitaliane alla luce di un esclusivoscontro tra est e ovest, senza coin-volgimento alcuno da parte deigruppi della destra estrema, chesarebbero state piuttosto le vittimedi una sorta di caccia alle streghe.Del resto tra le premesse del suolibro c’è una frase che non potrebbeessere più chiara quanto alle inten-zioni dell’autore: “La legittimazio-ne forzata del terrorismo praticatodalla Resistenza europea ha creatogravi precedenti, poiché in essapossono trovare a loro volta legitti-mazione tutte le forme di terrorismoche nel secondo dopoguerra abbia-mo conosciuto, come tutte le formedi terrorismo che verranno”.Ma il punto più alto di questo “revi-sionismo” applicato alla storia dellestragi italiane lo si è toccato direcente sulle pagine del mensile diAlleanza Nazionale, Area. In un lungo dossier dedicato al

    “ritorno delle piste nere”, pubbli-cato in concomitanza con la ripre-sa del processo per PiazzaFontana, si poteva leggere cometutte le inchieste sulle stragi sipossano riassumere in un’unicagrande “strategia della mistifica-zione” contro la destra.“Che cosa accadrebbe infatti, ci sichiedeva in quel numero di Area,se si finisse per ammettere che ifascisti sono stati accusati ingiu-stamente di tutte le stragi?”. I veri responsabili, suggerisce larivista di An, dovrebbero esserecercati altrove: magari tra glianarchici. Peccato che agli uominidi Fini sfugga che questa pistaqualcuno la aveva già indicatadavvero, oltre trenta anni fa.

    25 APRILE

    La chiusa angoscia delle notti, il pianto delle mamme annerite sulla neve accanto ai figli uccisi, l'ululato nel vento, nelle tenebre, dei lupi assediati con la propria strage, la speranza che dentro ci svegliava oltre l'orrore le parole udite dalla bocca fermissima dei morti "liberate l'Italia, Curiel vuole essere avvolto nella sua bandiera":tutto quel giorno ruppe nella vita con la piena del sangue, nell'azzurro il rosso palpitò come una gola. E fummo vivi, insorti con il taglio ridente della bocca, pieni gli occhi piena la mano nel suo pugno: il cuored'improvviso ci apparve in mezzo al petto.

    Alfonso Gatto

    Per non cancellare la lunga rete di complicità tra neofascisti, apparati dello Stato e organismi atlantici

    � Guido Caldiron

    Revisionismo sulle stragi

  • “Vedi - dice Kim - a quest’orai distaccamenti cominciano asalire verso le postazioni, in

    silenzio. Domani ci saranno deimorti, dei feriti. Loro lo sanno.Cosa li spinge a questa vita, cosa lispinge a combattere, dimmi? Vedi,ci sono i contadini, gli abitanti diqueste montagne, per loro e già piùfacile. I tedeschi bruciano i paesi,portano via le mucche. È la primaguerra umana la loro, la difesa dellapatria, i contadini hanno una patria,cosi li vedi con noialtri, vecchi egiovani, con i loro fucilacci e lecacciatore di fustagno, paesi interiprendono le armi; noi difendiamola loro patria, loro sono con noi.E la patria diventa un ideale sulserio per loro, li trascende, diventala stessa cosa della lotta: loro sacri-ficano anche le case, anche le muc-che pur di continuare a combattere.Per altri contadini invece la patriarimane una cosa egoistica: casa,mucche, raccolto: e per conservaretutto diventano spie, fascisti, interipaesi nostri nemici (...).E basta un nulla, un passo falso, unimpennamento dell’anima e ci sitrova dall’altra parte, come Pelle,

    dalla brigata nera, a sparare con lostesso furore, con lo stesso odio,contro gli uni o contro gli altri, falo stesso.Ferriera mugola nella barba: -Quindi, lo spirito dei nostri… equello della brigata nera… la stessacosa?- La stessa cosa, intendi cosa vogliodire, la stessa cosa… - Kim s’è fer-mato e indica con un dito come setenesse il segno leggendo; - La

    stessa cosa ma tutto il contrario:perché qui si e nel giusto, la nellosbagliato. Qua si risolve qualcosa,là ci si ribadisce la catena.Quel peso di male che grava sugliuomini del Dritto, quel peso chegrava su tutti noi, su me, su te, quelfurore antico che è in tutti noi, eche si sfoga in spari, in nemiciuccisi, e lo stesso che fa sparare ifascisti, che li porta a uccidere conla stessa speranza di purificazione,di riscatto. Ma allora c’è la storia.C’è che in noi, nella storia, siamodalla parte del riscatto, loro dall’al-tra. Da noi, niente va perduto, nes-sun gesto, nessun sparo, pur ugualeal loro, m’intendi? Tutto servirà senon a liberare noi a liberare i nostrifigli, a costruire un’umanità senzapiù rabbia, serena, in cui si possanon essere cattivi.L’altra e la parte dei gesti perduti,degli inutili furori, perduti e inutilianche se vincessero, perché nonfanno storia, non servono a liberarema a ripetere e perpetuare quelfurore e quell’odio, finche dopoaltri venti o cento o mille anni sitornerebbe così, noi e loro a com-battere con lo stesso odio anonimonegli occhi e pur sempre, forsesenza saperlo, noi a redimercene,loro a restarne schiavi.Questo e il significato della lotta, ilsignificato vero, totale, al di là deivari significati ufficiali. Una spintadi riscatto umano, elementare, ano-nimo, da tutte le nostre umiliazioni:per l’operaio dal suo sfruttamento,per il contadino dalla sua ignoran-za, per il piccolo borghese dalle sueinibizioni, per il paria dalla sua cor-ruzione. Io credo che il nostro lavo-ro politico sia questo, utilizzareanche la nostra stessa miseriaumana, utilizzarla contro se stessa,per la nostra redenzione, cosi comei fascisti utilizzano la miseria perperpetuare la miseria e l’uomo con-tro l’uomo” (…).

    Italo Calvino

    “Il sentiero dei nidi di ragno”

    Dalla parte del riscattoLe vetrine di Auschwitzsono giustamente mute

    a chi non le investe di una partecipazione presente.

    Non solo quelle vittime ma tutto il passato può parlare

    solo a condizione che noi gli diamo da bere il nostro sangue,

    come avviene nell'oltretomba dei miti antichi.

    E per questo è necessariala pressione di passioni e desideri.

    Possiamo imparare qualcosadallo ieri solo nell'esatta

    misura in cui desideriamo un domani.

    Franco Fortini

    Partigiani in piazza Duomo a Voghera