OltrEconomia Festival | Numero 31 - maggio 2016

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LE GUERRE GLOBALI OGGI

GUERRE E CLIMA TRA LE CAUSE PRINCIPA-LI DELL’ESODO DI DECINE DI MILIONI DI PERSONE

OLTRE IL RICATTO DELL’OCCUPAZIONE. UNA CRITICA ECO-FEMMINISTA

FERMARE IL TTIP PER DIRE NO AD UNA EUROPA SENZA DEMOCRAZIA.Intervista ad Alberto Zoratti

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RedazioneEDITORIALE

Lorenza Erlicher

Marinella Correggia

Stefania Barca

a cura di Enzo Vitalesta

UN TORNEO DI PALLAVOLO DI STRADA: PERCHÈ LO SPORT RITORNI AD ESSERE GIOCO

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Camilla Forti

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Un numero dedicato interamente a un festival che si svolgerà a oltre 200km di distanza da Bologna.Vi starete chiedendo: “perché?”. La scelta affonda le radici nella singolarità di questa rassegna, giunta ora alla terza edizione. Si tratta di un evento nato dal basso, autofinanziato e reso possibile dalla disponibilità di persone che gratuitamente mettono a disposizione il proprio tempo per cercare di fare luce su temi normalmen-te affrontati con un taglio asetticamente istituzionale, se non del tutto trascurati.Quest’anno il filo conduttore è costituito dalle guerre globali del nostro secolo, declinate nei vari corollari: le migrazioni e i confini della “fortezza Europa”; le devastazioni ambientali e il feroce ac-caparramento delle risorse; i trattati di libero commercio e la sospensione della democrazia. A parlarne saranno attiviste e attivisti che, a vario titolo, si battono da anni per proporre modelli alternativi. Si parlerà dell’ecomostro che gli USA stanno installando nel cuore della Sicilia per per-seguire i propri fini bellici con esponenti del movimento NoMUOS; dei nessi tra genere, lavoro e natura con alcune protagoniste della rivendicazione “eco-femminista”; di consumo critico e sovra-nità alimentare con i GAS di Trento; delle posizioni politiche contro l’ideologia dell’esclusione e del saccheggio dei beni comuni.Il tutto sarà condito da tavole rotonde, eventi ludici finalizzati all’integrazione per recuperare il valore sociale dello sport, banchetti di artigianato di riuso e tanto altro ancora.Coerente con i valori della rassegna anche la location: ad ospitare i vari eventi non saranno, infatti, le anguste stanze di anonimi edifici ma l’accogliente parco S. Chiara.Nonostante stia uscendo a ridosso del festival, questo breve numero vuole essere, più che una mera riproposizione del programma, una piccola finestra sui preziosissimi spunti di riflessione proposti da OltrEconomia, e attraverso di esso riteniamo utile dare voce a questa realtà che si sposa con i no-stri valori, con l’ambizione di poterla diffondere anche al di fuori dei confini regionali dell’evento. D’altronde, la caratura dei temi affrontati oltrepassa qualsiasi confine, come si evince dallo stesso titolo della kermesse, e dimostra che siamo immersi in un intreccio olistico di fatti e fenomeni in-terdipendenti. �

editoriale

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[...] la dimensione in cui questa guerra glo-

bale dai molti volti cresce è l’alienazione.

di Lorenza Erlicher

LA GUERRA GLOBALE OGGI

D ecidere di affrontare, quando qualche mese fa prendeva avvio l’i-

dea di questo festival, la que-stione guerra voleva dire as-sumersi il rischio di arrivare fuori tempo massimo rispet-to al procedere rapido degli eventi. Nei colpi di coda del sanguinoso conflitto siriano, più di una volta si è rischiato di passare il confine fragile ol-tre cui una guerra per procura deflagra in uno scontro diret-to fra potenze. Il caos libico, l’ultimo provo-cato dalla lungimiranza inter-ventista occidentale, per mesi è stato oggetto di attenzione (ma mentre si discuteva erano già in azione i droni) per una possibile nuova operazione di terra, dagli esiti imprevedibi-

li. In Europa, di nuova colpita in casa a Bruxelles dagli atten-tati, cominciava a sgretolarsi sotto il peso della pressione migratoria ogni parvenza di comunità, che non fosse quella della mera impalcatura econo-mica neoliberista garante di un’austerità fine a se stessa. I migranti, effetto a breve e lungo termine di 25 anni di guerre nel nome dell’ingerenza umanitaria e dell’esportazio-ne della democrazia, dal mo-mento in cui si sono pre-sentati alle nostre porte come umani-tà concreta in cerca di pace e futuro, sono diventati problemi da scari-care sui vicini, possibilmente

sulle periferie già investite dai disastri della crisi finanziaria. Ma, proprio a fronte di una si-tuazione in divenire, alla sen-sazione tangibile, anche nel sentire comune che la guer-ra non è più solo alle porte di casa, ma realtà concreta anche nell’Europa che vanta 70 anni di pace (a sproposito, poiché la guerra è stata semplicemente delocalizzata altrove, traen-done anche consistente lucro), ritenevamo urgente affrontare questo tema in una prospettiva contemporanea. Perché la dimensione in cui questa guerra globale dai mol-ti volti cresce è l’alienazione, dall’informazione, dal dibat-tito politico e pubblico. Gli in-terventi armati, a cominciare da quello in Iraq di 25 anni fa, che hanno inaugurato questa

devastante era della guerra infi-nita erano soste-nuti anche da un massiccio inter-ventismo media-

tico. Come osserva il giorna-lista John Pilger, la guerra del 2003 in Iraq non sarebbe stata

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possibile se non ci fosse stato un esercito mediatico pronto a farsi megafono, fino a ren-derle verità, delle palesi inven-zioni sulle armi di distruzione di massa, create per legittima-re presso l’opinione pubbli-ca i bombardamenti. Ma quei mesi di propaganda sfacciata e menzognera, in cui erano ar-ruolati fior di opinionisti, con-sentiva di tenere alto un dibat-tito e una mobilitazione di cui ora non c’è più traccia, e che è necessario invece ricostruire a partire dalla consapevolezza, dalla ridefinizione del fenome-no guerra nelle varie forme in cui oggi si presenta.Tutto ciò sarà oggetto del tavo-lo del 2 giugno all’OltrEconomia Festival, in cui saranno portati alla luce gli aspetti che più sono sottratti alla conoscenza e alla discussione pubblica. A comin-ciare dai conflitti che interes-sano lo Yemen, su cui cadono anche le bombe giunte dall’I-talia alla stessa Arabia Saudita, che per anni ha passato armi e miliziani all’ISIS, il nemico di-chiarato comune. O quello sul doppio fronte che colpisce il Rojava, la regione kurda al con-fine tra Siria e Turchia, a cui è

negata la possibilità di avere voce nei negoziati sul futuro.Vogliamo indagare il movi-mento di mezzi e strumenti

militari che investono diret-tamente il nostro territorio imponendo pesanti servitù militari alle popolazioni che le subiscono, nell’ambito di una Nato ancora narrata come alle-anza di pace e sicurezza, men-tre rende i cittadini europei inconsapevoli prima linea del-lo scontro per l’accaparramen-to ed il controllo delle risorse. Cercheremo di approfondire le connessioni, ancora non suffi-cientemente indagate ma evi-denti, tra la guerra, i cambia-menti climatici e i movimenti migratori.

Stiamo vivendo il tempo della guerra, non solo perché la ride-finizione degli assetti del pote-re globale si traduce in un arco di scontri aperti dal Medio-riente all’Ucraina, ma anche

perché la guerra, lo strumento militare, la repressione, sem-brano rappresentare l’unica ri-sposta alle molte crisi – finan-ziaria, ambientale, sociale e politica- poste da questo siste-ma economico. A pretendere risposte diverse, a cominciare dalla redistribuzione delle ri-sorse fagocitate dall’apparato militare, possiamo essere solo noi cittadini. �

whorkshop AGIRE SUI CONFINI

AGIRE SUI CONFINI

Si affronteranno le diverse atti-vità di monitoraggio e supporto nelle zone di confine, provando al tempo stesso ad articolare pro-poste operative di supporto ai migranti.

2 Giugno - h 20.45

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[...] fra il 2008 e il 2013 le persone che hanno

dovuto spostarsi in al-rte aree o paesi, a cau-sa dei disastri ambien-

tali e climatici, siano state circa 140 milioni.

te da guerre od oppressioni): è bollato come clandestino e re-spinto al suo paese, o schiaviz-zato in campagna dai caporali, con infinite complicità. Eppu-re, dei danni da caos climatico sono responsabili i paesi ab-bienti, già colpevoli di sfrut-tamento coloniale e post-colo-niale ai danni di Africa, Asia e America la-tina. Anche la quasi totalità delle decine di milioni di sfollati e rifu-giati di guer-ra nel mondo rimane all’interno dei rispetti-vi paesi o nei paesi confinanti; solo 600mila sono stati accolti in Europa.

Eppure, i conflitti che l’Oc-cidente conduce con i propri bombardieri o fomenta – sen-za subire mai conseguenze in termini penali, economici e politici – continuano a provo-care esodi biblici: non solo di cittadini dei paesi bombardati o attaccati, ma anche di milio-ni di migranti che in quei paesi lavoravano. Un nigerino o un burkinabè che, perso il lavoro in Libia a causa della guerra della Nato nel 2011, cercano di approdare in Europa, non hanno diritto di essere ricono-sciuti come rifugiati. E invece,

dovrebbero avere addirittura avere, dai paesi Nato, un risarcimento danni.Ecco alcuni nu-meri sulle fughe dai conflitti pro-dotti o diretta-mente fomentati

dall’Occidente, negli ultimi 25 anni. L’Italia non si è mai sot-tratta...

Lavoratori migranti in fuga dalle nostre guerre, sfollati dalla nostra guer-

ra al clima, vittime dello sfrut-tamento post-coloniale: tre categorie a cui è negato tutto. Eppure, accoglierli non è gene-rosità, è un obbligo da parte di chi è colpevole delle loro sven-ture: anche l’Europa. Stima lo State of the World 2015 del World Watch Institute che fra il 2008 e il 2013 le persone che abbiano dovuto spostarsi in altre aree o paesi, a causa dei disastri ambientali e climatici, siano state circa 140 milioni. Solo una piccolissima mino-ranza bussa alle porte dell’Oc-cidente. Dove un migrante am-bientale o economico non ha diritto allo status di rifugiato (perché non fugge direttamen-

tra le cause principali dell’esodo di decine di milioni di migranti

Guerre e clima

Nel 2015 140 milioni di persone costrette a fuggire a causa di siccita e alluvioni

di Marinella Correggia

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1991: «Tempesta nel Golfo», guerra all’Iraq. La guerra provoca l’esodo di circa tre milioni di persone dall’area. Fra questi, 300mila lavoratori palestinesi vengo-no espulsi per vendetta dal Kuwait «liberato» e da altre petromonarchie, o lasciano l’Iraq distrutto dalle bombe e impoverito e dal successivo embargo. Abbandonano l’Iraq in tutto circa un milione di la-voratori stranieri (bengalesi, egiziani, y e m e -niti, fi-l i p p i n i , indiani, pakista-n i . . . ) . L’Arabia s a u d i t a e s p e l -le circa 800mila yemeniti perché il loro paese non ha vo-tato a favore della guerra all’I-raq.

1999: «Operation Allied For-ce», bombe Nato su Serbia e Kosovo . L’azione militare, non appro-vata dall’Onu, provoca – invece

di prevenire o arrestare – l’e-sodo di massa di centinaia di migliaia di kosovari. Dopo la vittoria della Nato, sono i serbi a fuggire a decine di migliaia dal Kosovo «liberato».

2003: Operazione «Iraqi Free-dom», bombardamenti e inva-sione/occupazione dell’Iraq. Varia fra i 3,5 e i 5 milioni il nu-mero di iracheni sfollati inter-ni e rifugiati all’estero a causa dell’occupazione anglo-statu-nitense (con alleati) del 2003 e della successiva guerra setta-

ria. A partire dal 2014, un mi-lione e 800mila iracheni hanno lasciato le loro case di fronte all’avanzata del cosiddetto Sta-to islamico in Iraq. 2011: Libia, «Unified Protector», sette mesi di bombardamenti Nato. Fino al 2011 in Libia lavoravano ol-tre due milioni di stranieri,

regolari o irregolari, fra nor-dafricani (in primis egiziani), africani sub-sahariani e asiati-ci (70-80mila dal Bangladesh). Con le bombe della Nato e la concomitante «caccia al nero» da parte dei «ribelli» libici al-leati della Nato sul campo, la-sciano la Libia 800.000 lavora-tori migranti. Con l’arrivo dei «ribelli» a Tripoli, fine agosto 2011, lasciano il paese anche quasi due milioni di libici, di-stribuiti soprattutto fra Tuni-sia e Libia senza un vero status di rifugiati.

2011-oggi: Siria, guerra fo-mentata da paesi Nato e petro-monarchi Dal 2011, sei milioni e mezzo di siriani sono diventati sfollati interni; tre milioni hanno la-sciato il paese. Poche centina-ia di migliaia hanno ottenuto asilo in Europa. 2015: Yemen, bombardamenti dell’Arabia saudita e alleati. A partire dal 26 marzo 2015, con i bombar-damenti sullo Yemen da parte di una coalizione di paesi ara-bi guidati dall’Arabia Saudi-ta e cn l’appoggio tecnologico degli Usa, oltre un milione di yemeniti si sono spostati in altre zone. Sono altri poten-ziali richiedenti asilo in Euro-pa. L’Arabia saudita è il primo acquirente di sistemi d’arma dall’Italia. �

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[...] una crisi che deriva proprio dalla subordina-zione della riproduzio-

ne -attività sroicamente femminilizzata- alla pro-

duzione.

OLTRE IL RICATTO DELL’OCCUPAZIONEUna critica ecofemminista

di Stefania Barca

Tra i costrutti ideologi-ci piú potenti del no-stro tempo vi è quello

dell’incompatibilitá tra lavoro (occupazione) e ambiente (salute), diabolicamente concepito per oscurare la presenza di un ter-zo incomodo – l’accumulazio-ne – ossia la vera causa della crisi ambientale e sociale. Sen-za accumulazione, ci assicura il pensiero unico neo-liberista, non ci sará piú crescita econo-mica, dunque neanche piú oc-cupazione (e tanto meno wel-fare). Per quanto mi riguarda, inten-do contribuire a smantellare l’apparato ideologico che so-stiene il ricatto occupazionale, e per farlo ricorreró al mez-zo che trovo piú appropriato, quello della critica eco-femmini-sta del capitalismo.La teoria e la critica eco-fem-minista hanno decostruito la visione androcentrica dell’eco-nomia mostrandone il nesso con la crisi ecologica contem-

poranea, una crisi che deriva proprio dalla subordinazione della riproduzione – attivitá storicamente femminilizzata – alla produzione, attraverso processi di valorazione econo-mica/monetaria centrati sulla trasformazione della natura in merce, per mezzo di lavoro salariato, e sulla esternalizza-zione dei costi socio-ecologici. Come possia-mo sbarazzar-ci una volta per sempre di quella nefasta visione e dei dualismi con-cettuali che reggono la di-visione sessuale del lavoro? Se lo osserviamo da vicino, ci accorgiamo che il ricatto occu-pazionale si fonda su un fat-tore che sfugge all’attenzione proprio per la sua evidenza lampante: la divisione sessuale del lavoro, e l’indiscusso pri-mato concettuale della ‘produzio-ne’ sulla ‘riproduzione’. Secondo l’economista politica australia-na Ariel Salleh, il nesso genere/

lavoro/natura va considerato come chiave di volta della cri-si ecologica contemporanea. Questa autrice descrive la di-visione sessuale del lavoro che, attraverso un lungo per-corso storico, ha assegnato alle donne compiti per lo piú riproduttivi, di cura del viven-te e dell’ambiente fisico, e di trasmissione della cultura, in quanto agli uomini sono sta-

te riservate le mansioni produtt ive , sia in termi-ni fisici che intel lettua-li. Tale di-visione del lavoro pog-

gia su una concatenazione dei dualismi concettuali che – se-condo quanto dimostrato da tutta la letteratura economica femminista – caratterizzano il discorso economico, a livello sia scientifico-accademico che politico: Societá/natura, Agen-zia/passivitá, Produzione/ri-produzione, Maschile/femmi-nile.Il risultato è stato un model-

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lo economico androcentrico, che ha a lungo invisibilizzato e devalorizzato tanto la natu-ra quanto le donne, trasfor-mate in risorse passive prive di agenzia storica, definendo il loro lavoro come ‘riprodu-zione’ per renderlo subalterno alla produzione, attivitá sup-postamente superiore in ter-mini economici. Tale modello è stato naturalizzato dentro un ordine simbolico acriticamen-te assunto anche dal marxismo ortodosso e persino da una parte del femminismo liberale – che punta ad una maggiore valorizzazione economica del-le donne nel sistema capitali-sta, senza peró mettere in di-scussione le logiche di competizione e produttivitá su cui questo si basa. L’approccio andro-centrico si iscriveva dentro il piú ampio percorso intellet-tuale della econo-mia politica femmi-nista, che, a partire dagli anni 70, ave-va elaborato una analisi critica della svalorizzazione congiunta di natura e lavoro delle donne

e dei dualismi concettuali ad essa associati, proponendo vi-sioni alternative centrate sulla sussistenza, e sulla sovrani-tá alimentare come basi della rivoluzione anti-capitalista. L’approccio politico economi-co femminista veniva per lo piú costruito a partire dalla pro-spettiva delle donne del Sud del mondo, e specialmente della componente rurale e indigena, intese come il gruppo numeri-camente piú rappresentativo in termini demografici, e al tempo stesso piú fortemente sfruttato e oppresso, tanto ma-terialmente quanto cultural-mente, della classe lavoratrice mondiale. L’oggetto polemico di queste autrici era principal-mente il lungo processo stori-

co conosciuto come ‘rivoluzione verde’, causa principale – con il

supporto della Banca Mondia-le – di una ‘accumulazione ori-ginaria’ permanente nel Sud globale, che separava le donne dai mezzi di sussistenza attra-verso i quali esse assicurava-no la produzione di cibo per la comunitá di appartenenza, al tempo stesso compromet-tendo irrimediabilmente la sostenibilitá ecologica dell’a-gricoltura mondiale con l’im-missione massiccia di erbicidi, pesticidi e fertilizzanti chimi-ci. Una ‘rivoluzione’, questa, portata avanti in nome del principio della produttivitá, ossia del maggiore rendimen-to economico dell’agricoltura industrializzata – ma in realtá guidata principalmente dal-la logica dell’accumulazione. L’agricoltura industrializza-ta infatti presenta un bilancio energetico, ecologico ed economi-co altamente negativo rispetto a quella di sussistenza: il van-taggio principale che essa offre è quello di garantire alti pro-fitti al capitalismo agrario, alle multinazionali della chimica, agli istituti di credito agricolo ed agli speculatori sul mercato alimentare mondiale.È importante notare che, seb-bene con diverse sfumature culturali e sociali dipenden-ti dal contesto, la divisione sessuale del lavoro è statisti-

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camente rilevante anche nel Nord, con le donne fermamen-te relegate in posizioni subor-dinate nell’economia e nella societá, ma soprattutto viene mantenuta intatta sul piano concettualeSebbene si sostenga con con-vinzione che la soluzione con-

siste nel sostituire la cultura patriarcale con la matriarcale, acriticamente assunta come risolutrice di tutte le contrad-dizioni, sono convinta che il punto sia invece l’elaborazione di un pensiero critico non-dua-lista, capace di permettere il superamento della dicotomia tra produzione e riproduzione e dunque di orientare nuove strategie, piú efficaci e politi-calente radicali, di uscita dalla crisi.Il concetto, proposto da Ariel Salleh nei suoi contributi piú recenti, di ‘lavoro meta-indu-striale’, costituisce un passo in avanti. Esso indica l’insieme di quei lavori ‘altri’ rispetto a ció che l’economia androcentrica considera produttivo: tra que-sti, l’agricoltura di sussisten-za e la riproduzione biologica e sociale, largamente – anche se non esclusivamente – svolti da donne. Il lavoro meta-in-dutriale (salariato e non) rap-presenta - secondo l’autrice - l’assoluta maggioranza della classe lavoratrice globale, e al tempo stesso svolge un ruolo

fondamentale nel garantire la sostenibilitá ecologica. Il mo-vimento sindacale dovrebbe dunque liberarsi di concezio-ni androcentriche del lavoro, dell’economia, e dell’ecologia, fondate sul primato economi-co del lavoratore maschio del

settore industriale ad alta in-tensitá di capitale, e difendere al contrario la prioritá del lavo-ro meta-industriale in quanto via di uscita dall’impasse eco-logico attuale.Il concetto di lavoro meta-in-dustriale riproduce, tuttavia, la divisione sessuale del lavoro e la dicotomia tra produzione e riproduzione, ribaltando la scala delle prioritá in una dire-zione piú sostenibile. Manca, in Salleh, una chiara strategia di superamento della divisione sessuale del lavoro in quanto chiave di volta per la rivoluzio-ne ecologica.La divisione sessuale del lavo-ro e la critica eco-femminista dell’economia non si esprimo-no soltanto sul piano della te-oria economica, ma anche su quello dell’attivismo. Ad esse sono legati in vari modi una lunga serie di movimenti con-tro i rifiuti tossici, il nucleare, l’attivitá estrattiva, la defore-stazione e i pesticidi, le gran-di dighe e altri progetti ad alto impatto ambientale in diversi contesti geografici. Le lotte

contro la deforestazione in In-dia, originate con il movimento Chipko negli anni ‘70; quelle per la giustizia ambientale negli

USA, nate verso il finire degli anni ’80; ed il femminismo in-digeno/comunitario sviluppato-si in America Latina nell’ultimo decennio in reazione all’impatto territoriale del neo-estrattivismo, sono solo alcuni esempi di questo fenomeno.La divisione sessuale del lavoro rischia di trasformarsi in una divisione sessuale dell’attivi-smo, che entra dentro le comu-nitá, dividendole in schiera-menti interni – tra lavoratori/ici della produzione e della ri-produzione sociale – e ne in-debolisce le lotte, rendendole incapaci di liberarsi della logi-ca del ricatto occupazionale.Se il nostro obiettivo, dunque, non è la sostenibilitá del mo-dello accumulazione/occupa-zione ma la rivoluzione ecolo-gica, il punto di partenza è la messa in crisi, qui e ora, dei dualismi concettuali che reg-gono la divisione sessuale del lavoro a livello materiale, in-tellettuale, e politico, e dunque l’elaborazione di teorie e di pratiche che rendano possibile il suo superamento.�

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per dire NO ad una Europa senza democrazia

Intervista ad Alberto Zoratti

a cura di Enzo Vitalesta

“Il trattato internazio-nale TTIP in discus-sione tra Europa e Usa

è l’ennesimo passo per svuota-re l’Europa di qualsiasi valore e principio democratico” . Così Alberto Zoratti dell’associazio-ne Fairwatch sintetizza i moti-vi della campagna STOP TTIP, che lo scorso 7 maggio ha visto sfilare per le strade di Roma circa 30 mila persone. “Una piazza plurale, allegra e deter-minata, che riassumeva in sé un’ampia composizione socia-le che, in oltre due anni di la-voro nei territori, si è aggrega-ta intorno a questa battaglia”.

C’erano i produttori agricoli e le piccole imprese, i sindaci di diversi Comuni, le reti dell’al-tra economia, del commercio solidale e del consumo critico, le associazioni ambientaliste e di movimento, i sindacati e le forze politiche. Una delegazio-ne proveniente anche da Tren-to e Bolzano. E, soprattutto, tantissime donne e uomini da tutta Italia che hanno deciso di scendere in campo per fermare un trattato che mette a repen-taglio diritti e democrazia. Alberto Zoratti concluderà il 4 giugno l’OltrEconomia Festi-val di Trento tirando le fila di

un’elaborazione complessiva che, partendo dalle guerre e dai conflitti, vuole concludersi con il rilancio di una battaglia della società civile che può con-cludersi vittoriosamente: fer-mare il TTIP. “Perché insieme è possibile e necessario, perché il trattato si prefigge l’abbatti-mento di tutte le barriere non tariffarie, che – a detta delle multinazionali e delle lobby fi-nanziarie – ostacolano la pie-na libertà d’investimento tra le due sponde dell’Atlantico. Pec-cato che le barriere non tariffa-rie siano esattamente tutte le leggi, normative e regolamen-

FERMARE IL TTIP

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[...] il trattato si prefigge l’abbattimento di tutte le barriere non tariffa-

rie, che [...] ostacolano la piena libertà d’investi-

mento tra le due sponde dell’Atlantico

ti attualmente esistenti che tutelano i diritti del lavoro, la salute, l’ambiente, la sicurezza alimentare, i servizi pubblici, la sanità e l’istru-z i o n e . M o l t i p i c c o l i p r o d u t -tori agri-coli spe-rano di s f o n d a -re nel mercato statunitense. Ma è solo demagogia mediata dalle lobby internazionali. Solo un

sesto dei prodotti Igt (indica-zione geografica tipica, ndr) italiani saranno riconosciuti dagli USA e in cambio di cosa?

Il mercato italiano sarà invaso da pro-dotti a basso costo statunitensi spaz-zando via larga par-te delle produzioni locali e artigianali che caratterizza-no il nostro Paese”. Perché di questo si tratta. Il Partenaria-

to Transatlantico sul Commer-cio e gli Investimenti (TTIP) è un negoziato tra Unione Eu-

ropea e Usa, avviato nel luglio 2013 nella più totale segretezza e opacità, che solo l’azione dei movimenti e della società civi-le ha potuto in qualche modo rompere, rivelando a tutti la vera posta in gioco. Sono quin-di oggetto di negoziazione tanto l’esistenza del contratto collettivo di lavoro quanto il principio di precauzione am-bientale, nonché tutte le nor-me di sicurezza alimentare che vietano gli Ogm, l’uso massic-cio di pesticidi, la clorinatura dei polli, la carne agli ormoni. E sono sotto attacco il sistema pubblico scolastico e sanitario,

Attraverso le testimo-nianze di Christian Elia, condirettore del settimanale online Q –code e attivista di Emergency, sarà data una lettura di quei fe-nomeni contempora-nei che hanno portato a scindere sempre di più, nell’informa-zione mainstream, il legame stretto tra disuguaglianze eco-nomiche e guerre, tra controllo delle risorse e diritti umani, de-nunciando il mercato delle armi e il busi-ness sulla pelle dei migranti.

Con Caterina Ami-cucci, di recente tor-nata dall’esperienza umanitaria dalI’isola di Lesbo, verranno analizzate le varie fasi dell’attuale ciclo economico, caratte-rizzato da grandissi-me ricchezze, enormi quantità di merci cir-colanti e molti setto-ri di consumo ormai saturi; un sistema dell’abbondanza che per continuare ad estrarre profitto ac-cumula, privatizza e finanziarizza i beni comuni, progetta in-frastrutture inutili, consuma suolo ed ecosistemi, specula sulle guerre. In que-sto modo produce scarsità, provocando lo spostamento for-zato di milioni di per-sone.

Con Augusto de San-ctis , referente regio-nale abruzzese del Forum italiano dei movimenti per l’ac-qua e tra i portavoce della Campagna con-tro la Devastazione e il Saccheggio dei Ter-ritori e per i diritti so-ciali ed ambientali, si parlerà delle grande vittoria dei movimen-ti che ha impedito la costruzione sull’a-driatico della piat-taforma petrolifera Ombrina. Alla luce della nuova stagione dei Referendum So-ciali, contro la Buona scuola, gli incenerito-ri, le trivelle petroli-fere e contro le priva-tizzazioni del decreto Madia, faremo il qua-dro dello stato di sa-lute del nostro Paese, a livello democratico e socio-ambientale.

Alberto Zoratti, di Fairwatch, tra i por-tavoce della campa-gna STOP TTIP, chiu-derà la conferenza spiegando le ragioni della mobilitazione, contro un trattato che affossa la democra-zia, getta ombre sulla sicurezza alimentare, e rafforza i proces-si di privatizzazione nel nostro Paese. Ma la campagna contro il trattato si articola anche a livello inter-nazionale e nuove manifestazioni sono previste in Europa nei prossimi mesi, per dire NO, alle im-posizione del neoli-berismo, e costruire, nei nostri Paesi, dei luoghi in cui restare e accogliere.

Da questa parte del mare: conflitti, diritti e par-tecipazione, per una giu-stizia senza confini

TAVOLO 4 GIUGNO

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Sono quindi oggetti di negoziazione tanto l’esi-stenza del contratto col-lettivo di lavoro, quanto

il principio di precauzio-ne ambientale, nonchè

tutte le norme ri sicurez-za alimentare.

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nonché tutti i servizi pubblici locali.Culmine di tutto questo pro-cesso, è la possibilità per ogni impresa transnazionale di ci-tare in giudizio uno Stato o qualsiasi autorità pubblica, presso corti private di arbitra-to commerciale internazionale (ISDS), ogni volta che queste r i t e n g a n o che una leg-ge o una n o r m a t i v a a p p r o v a t a nuocia alle a s p e t t a t i v e di profit-tabilità del proprio in-vestimento.“Si tratta, a tutti gli effetti, di un attacco alla democrazia e del tentativo di passare dallo stato di dirit-to allo stato di mercato: se fino ad oggi è infatti la democrazia a definire i vincoli del merca-to, con il TTIP sarà il mercato e definire i vincoli della demo-crazia” e questa battaglia se-condo Zoratti può essere vin-

ta anche per le incertezze che attualmente serpeggiano tra i governi e incalzati dalle mo-bilitazioni della società civile di Germania, Francia, Inghil-terra e stati Uniti. Per molto tempo le istituzioni europee e il governo italiano hanno ac-cusato la campagna Stop TTIP di allarmismo e di dietrolo-

gia, cercando di rassicura-re l’opinione pubblica in merito al fat-to che mai i diritti e le tu-tele acquisite nella storia d e l l ’ E u r o p a sarebbero sta-te messe in

discussione. Sono stati ancora una volta smentiti, grazie alla recentissima pubblicazione da parte di Greenpeace di gran parte del testo consolidato su cui è attualmente attesta-to il negoziato, che conferma quanto la campagna Stop TTIP dice dall’inizio.“Ma i giochi non sono anda-

ti come i padroni del vapore avrebbero voluto – prosegue Zoratti - le ultime mobilita-zioni hanno coinvolto 850 cit-tà di Europa e Stati Uniti. Per luglio è prevista una mobili-tazione a Bruxelles mentre a ottobre i movimenti inter-nazionale dei due continenti proveranno la spallata finale per fermare i negoziati” . Trattati come questi possono essere siglati a due soli condi-zioni: la segretezza e la veloci-tà. Fallita la prima, la seconda non ha potuto essere messa in campo, e il trattato, la cui con-clusione era prevista a fine 2014, è a tutt’oggi incagliato, tra l’incudine di una mobili-tazione sociale che è cresciu-ta in tutta Europa e al di là dell’Atlantico, e i conflitti in-terni emersi tra interessi na-zionalistici e poteri industria-li: il recente disimpegno del governo francese, le titubanze della stessa Germania sono solo i primi scricchiolii di una costruzione edificata in fretta e senza attenzione alla solidi-tà delle fondamenta. �

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Lo sport come forma di riappropriazione degli

spazi, per ridare vita alle città.

All’interno della scorsa edizione d e l l ’ O l t r E c o n o -

mia festival, la giornata dell’1 giugno è stata dedi-cata allo sport popolare, grazie alla partecipazio-ne nell’organizzazione dell’OEF stesso dell’Asso-ciazione sportiva dilettan-tistica “Polisportiva Clan-destina”. Questa realtà, nata a Tren-to nell’aprile del 2015, pone alla base delle sue attività l’inclusione so-ciale attraverso la pratica sportiva, cercando di ab-battere qualsiasi tipologia di barriera, sia essa fisica, sociale o di genere. Parla-re di sport popolare signi-

fica infatti parlare di uno sport che sia accessibile e fruibile da chiunque, riempiendolo concreta-mente di quei valori che lo rendano strumento dal basso di partecipazione ed aggregazione sociale. P r o -p r i o s u l l a base di questa v i s i o -ne, si è deciso di organiz-zare un torneo di pallavolo che, in linea con il discorso portato avanti dal festival, si opponesse in manie-ra propositiva alle discri-minazioni presenti nello sport “ufficiale”, creando

uno spazio di socialità ca-pace di di includere chiun-que avesse voglia di parte-cipare. Non è stato un torneo clas-sico, con preiscrizioni e squadre già formate, ma si è voluto creare un “torneo

di strada”, che r i p r o p o n e s s e la spontaneità derivante dalle dinamiche del gioco di strada.

Un po’ come succedeva una volta, quando, soprattutto nei paesi - questo il ricor-do raccontatomi da nonni e genitori -, ci si trovava in strada con un pallone e il gioco diveniva fonte di le-game tra le persone, che

di Camilla Forti

UN TORNEO DIPALLAVOLO DI STRADA

perchè lo sport ritorni ad essere gioco

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n.31 | MAGGIO 2016 15

entravano in contatto sen-za possedere i mezzi tec-nologici di oggi. Lo sport quindi anche come forma di riappropriazione degli spazi, per ridare vita alle città, ai parchi, alle stra-de, ai luoghi ora lasciati silenziosi e inanimati (in più molte volte accusati di non essere abbastanza si-curi). Proprio per queste motivazioni, si è quindi

deciso che per poter parte-cipare non era necessario né iscriversi né esser parte

di una squadra già defini-ta, ma bastava presentarsi al parco S.Chiara, e lì si sa-rebbe trovato una rete da pallavolo, una palla e un gruppo di persone con cui giocare. Nulla di più sem-plice. Si è inoltre cercato di pub-blicizzare l’evento a tutte quelle realtà trentine (mi-granti, senza tetto, per-sone con disabilità) a cui

solitamente è impedita la partecipazione ai tornei per questioni di caratte-

re economico, ma anche perchè ritenute inadegua-te in determinati conte-sti secondo certe bizzarre consuetudini sociali. Lo sport è quindi diventato concretamente strumen-to di integrazione e punto di incontro tra realtà dif-ferenti, molte delle quali il più delle volte sono ap-punto escluse e relegate ai margini della società. Il torneo, durato tutto il giorno, ha avuto un ri-scontro molto positivo e ha visto la partecipazione di una quarantina di per-sone. Le squadre si sono evolute e modificate nel corso della giornata per permettere l’entrata e l’in-clusione di nuovi o nuove arrivate, senza con questo rovinare l’andamento del torneo. Anche quest’anno verrà riproposta la stessa iniziativa domenica 5 giu-gno, sperando di ricevere la stessa risposta positiva della prima edizione. �

4 Giugno - h 11.00

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Chiunque voglia interagi-re con la nostra redazione, inviare materiale proprio o dare qualsiasi tipo di se-gnalazioni e reclami (anche in forma anonima), può uti-lizzare i contatti seguenti:

n.31 | MAGGIO 2016 16

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