Offerta in Sposa. Karen Ranney

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TRAMA: Ora che l’ha sposata deve conquistare il suo amore.Douglas Eston, giovane e ricco scienziato, si rivolge al duca di Herridge per chiedergli di investire in una sua invenzione. Si vede invece offrire la mano della figlia Sarah. Douglas rimane scioccato dalla controproposta, ma se per lui è amore a prima vista, per l’algida giovane si tratta dell’unico modo per proteggere la madre malata e impedire al crudele padre di relegarla in Scozia. Tuttavia le costanti e appassionate attenzioni di Douglas riescono a trasformare un matrimonio nato solo per convenienza. Peccato che proprio quando Sarah si sarà resa conto di amare il marito, il destino minaccerà di portarglielo via per sempre…

Transcript of Offerta in Sposa. Karen Ranney

Il libro

Douglas Eston, giovane e ricco scienziato, si rivolge al duca di Herridge per chiedergli di investire in una suainvenzione. Si vede invece offrire la mano della glia Sarah. Douglas rimane scioccato dalla controproposta, ma seper lui è amore a prima vista, per l’algida giovane si tratta dell’unico modo per proteggere la madre malata eimpedire al crudele padre di relegarla in Scozia. Tuttavia le costanti e appassionate attenzioni di Douglas riescono atrasformare un matrimonio nato solo per convenienza. Peccato che proprio quando Sarah si sarà resa conto diamare il marito, il destino minaccerà di portarglielo via per sempre...

L’autore

Karen Ranney ha cominciato a scrivere all’età di cinque anni. Il suo primo lavoro pubblicato si intitolava La foglia

d’acero, e venne letto attraverso l’interfono della scuola in prima elementare. Oltre a voler diventare violinista(quando aveva sette anni i genitori le regalarono un violino speciale costruito apposta per lei), Karen desideravaanche fare l’avvocato e l’insegnante, ma soprattutto la scrittrice. Accantonata presto la carriera di violinista, Karenè tuttora sensibile al fascino delle leggi, e non appena se ne presenta la necessità dà il suo contributo comeinsegnante. In ogni caso, la più grande delle sue passioni è rimasta la scrittura. Karen vive in Texas e potetecontattarla all’indirizzo: [email protected], o visitare il suo sito: www.karenranney.com.

Karen Ranney

OFFERTA IN SPOSA

Traduzione di Malvina del Poggio Spinosa

OFFERTA IN SPOSA

Alle mie lettrici

1

LondraTarda primavera, 1860— Buongiorno, Simons — disse Sarah togliendosi i guanti. — È in casa mio padre?

— M’informo, lady Sarah — rispose il maggiordomo prendendo i guanti. Li posò su un tavolo che leiconosceva n troppo bene. Fino a due mesi prima aveva fatto parte dell’arredamento del padiglioneinvernale di Chavensworth.

Si studiò nello specchio. Era presentabile.— Non importa, Simons, lasciate perdere — disse. — Sappiamo bene entrambi che, quasi certamente,

si rifiuterebbe di ricevermi.Simons non rispose. Tutto si poteva dire di lui, ma non che mancasse di tatto.Senza aspettare che le facesse strada, Sarah si avviò lungo il corridoio interamente tappezzato di verde,

colore che suo padre adorava.— Lady Sarah — balbettò Simons, trotterellandole dietro.Ignorando deliberatamente le deboli proteste dell’uomo, Sarah si fermò di fronte alla porta dello

studio, poi impugnò con decisione la maniglia e spalancò l’uscio.— Se insistete a mandare la mamma in Scozia, la farete morire — esordì entrando nella stanza.Un attimo dopo si bloccò, sorpresa. Seduto di fronte alla scrivania di suo padre c’era un altro uomo

che, non appena la vide, si alzò in piedi con aria perplessa. Il viso di suo padre, d’altronde, si era distortoin una smorfia a metà fra lo sgomento e il disgusto.

Sarah non gli diede peso. Certo, aveva infranto tutte le rigide regole della buona educazione che leerano state inculcate n dall’infanzia, ma che importava? La verità andava detta. Decise di proseguire,ignorando del tutto lo sconosciuto. — Anzi, se devo essere sincera no in fondo, sta già morendo. — Suopadre strinse gli occhi in due fessure ostili, osservandola come se non la conoscesse. — Non ha la minimapossibilità di sopravvivere al viaggio — concluse Sarah.

Il duca di Herridge non disse nulla, limitandosi a inclinare lievemente il capo, gesto che indusseSimons a posarle una mano su un braccio. Immediatamente Sarah si divincolò, decisa a non uscire daquella stanza.

— Perché proprio in Scozia? — lo s dò. — Perché adesso? — Se doveva essere punita, che almeno cifosse un motivo serio.

Aveva intenzionalmente evitato di guardare suo padre negli occhi, ben sapendo che, se anche vi avessescorto solo l’ombra di un lampo di compassione, sarebbe scoppiata in lacrime, perdendo in un attimotutta la sua animosità e sentendosi in colpa. Così ricorse all’atteggiamento che ormai da tempo avevaadottato con lui: cercò di reprimere le sue emozioni e di concentrarsi sulla ragione per cui era andata aLondra, proprio nel posto che più odiava: la casa paterna.

— Peggiora di giorno in giorno. Perché volete farle affrontare un simile viaggio?

L’espressione di suo padre restò impassibile. Fissò le carte che aveva sulla scrivania, poi le spinse daparte con un dito e si rivolse allo sconosciuto.

— Avete detto che state cercando degli investitori, Eston — disse. — Siete sicuro che questa vostrainvenzione possa produrre degli utili?

Era così che l’avrebbe trattata? Ignorandola, senza neppure guardarla? Sarah si obbligò a restareimmobile. Simons fece altrettanto.

— Sì, Vostra Grazia.Il duca osservò a lungo la carta assorbente sulla scrivania, poi prese fra le dita qualcosa di minuscolo,

ma splendente come cristallo e la porse al suo interlocutore, che allungò la mano e se la lasciò posare sulpalmo.

— Può farne un duplicato e ingrandirlo?— Certamente, Vostra Grazia.Finalmente suo padre si degnò per un attimo di guardarla e Sarah si rese conto che non si era

dimenticato della sua presenza.— Mi state chiedendo una considerevole somma di denaro, Eston.— Non se rapportata ai possibili guadagni.Sarah fece un passo avanti. Le sembrò che suo padre si fosse irrigidito, ma non aveva intenzione di

arrendersi così facilmente. Gli aveva scritto innumerevoli lettere, a cui lui non si era mai degnato dirispondere, e quella visita era la sua ultima risorsa: era disposta a pregarlo in ginocchio, se fosse statonecessario. Non aveva nessun problema a mettere da parte l’orgoglio quando c’era di mezzo la vita di suamadre.

Suo padre alzò una mano come per bloccarla dov’era, impedendole di avvicinarsi di più. Sarah sifermò. Conosceva il suo carattere e aveva imparato a proprie spese come bisognava comportarsi con lui:mai farlo andare in collera, assecondarlo senza insistere o pretendere nulla, non dirgli che aveva torto,mai.

Fece del suo meglio per celare il tremito che la pervadeva e restò lì con le labbra strette, posando losguardo sull’uomo seduto di fronte a suo padre. Strano, non aveva l’atteggiamento umile di chi imploraun favore, ma piuttosto di un pari grado. Il duca di Herridge era un uomo imponente, eppure losconosciuto, a suo modo, gli teneva testa. Se Sarah non fosse stata così preoccupata per sua madre, dicerto lui sarebbe quanto meno riuscito a incuriosirla.

— Siete disperatamente in cerca di un finanziamento, Eston, non è così? — chiese suo padre.— Disperatamente? Per nulla, Vostra Grazia. Se doveste decidere di non investire, non me ne farei un

problema, ci sono altre persone che hanno manifestato il loro interesse. Voi siete semplicemente il primoa cui mi sono rivolto.

— Non ho mai detto di non voler investire nella vostra invenzione, anzi. Vorrei invece che il nostrosodalizio si basasse su accordi più duraturi.

— In che senso? — chiese lo sconosciuto.Il duca fece un cenno in direzione di Sarah. — Ho una glia che insiste a restare nubile. Farò un

accordo con voi, Eston, ma, invece del denaro, vi concederò la mano di mia glia. — Strizzò di nuovo gliocchi. — Non credo che siate sposato, o mi sbaglio?

— No, Vostra Grazia — confermò lo sconosciuto. — Non lo sono.— Allora prendetela in sposa.Sarah restò senza ato. Era il suo modo di punirla per avere osato s dare la sua crudeltà? L’avrebbe

venduta a uno sconosciuto?— Credo che, in casi d’emergenza, si possa ottenere una licenza matrimoniale nel giro di pochi giorni

— proseguì il duca. — Se avete bisogno di un posto dove lavorare, c’è la mia tenuta di Chavensworth,che mi consentirebbe anche di tenere d’occhio gli sviluppi del progetto. — Si appoggiò allo schienale dellapoltrona e guardò con calma l’uomo che gli stava di fronte.

— State scherzando — mormorò Sarah, ancora sbalordita.Non aveva mai avuto molti dubbi sulla mancanza di affetto di suo padre, che non si era mai fatto

alcuno scrupolo nel manifestare con la massima chiarezza il suo disprezzo, ma un conto era disprezzarla,un altro condividere la sua avversione con un perfetto estraneo, del quale non sapeva nemmeno il nome.

Il duca di Herridge incrociò le braccia sul petto e guardò impassibile lo sconosciuto. — Allora, Eston?Cosa mi rispondete?

L’uomo si voltò di nuovo verso di lei e, questa volta, Sarah si costrinse a guardarlo negli occhi. Eramaledettamente bello. Capelli neri, lineamenti perfetti e la bocca di una statua greca. Forse il naso eraleggermente troppo pronunciato e la mascella un po’ squadrata, ma furono i suoi occhi a colpirla. Grigio-azzurri, del colore del cielo al mattino.

Come poteva un uomo avere occhi simili?Avrebbe voluto dirgli di non guardarla con tanta intensità. Il suo sguardo la metteva ancora più a

disagio delle parole di suo padre.Forse aveva preso sul serio quell’incredibile proposta? Non era la prima volta che suo padre esprimeva

assurdi commenti sul suo conto in pubblico, a una festa, a una cena, e Sarah si era abituata a nonlasciarsi ferire dalle sue parole. Ma nulla avrebbe potuto prepararla a quello che stava succedendo quelgiorno.

— D’accordo — disse Eston. — Prenderò vostra figlia in sposa.— Vorrei potervi dire che avete scelto bene, Eston, ma devo essere franco con voi. Sarà una palla al

piede, ma, tutto sommato, il fatto di essere mio genero non vi impedirà di rendervi utile al mondo.Parlava seriamente. Anche Eston, a giudicare dal suo sguardo di apprezzamento.— È un accordo che conviene anche a me — continuò il duca di Herridge. — Se ciò che mi avete

detto sulla vostra scoperta è vero, mi renderete ricco. Oltre a liberarmi di un peso.— Siete uscito di senno, padre? — chiese Sarah. — Non parlerete sul serio, spero.Il duca la ignorò e si rivolse a Simons.— Non conosco la procedura da seguire per ottenere una licenza matrimoniale urgente. Pensateci voi.

— Poi guardò Eston. — Sono sicuro che da parte vostra farete tutto quanto necessario.— Cosa vi fa pensare che mi piegherò a questa assurda richiesta, padre?— Se non lo farai, obbligherò tua madre a partire per la Scozia oggi stesso. — Un maligno sorriso di

soddisfazione gli increspò le labbra. — La scelta è tua. Matrimonio o Scozia?Per la prima volta Eston si rivolse direttamente a lei. — Come vi chiamate?— Come mi chiamo? — Girò il capo e lo squadrò, chiedendosi perché trovasse tanto difficile

rispondere a una domanda così semplice.— Be’, visto che dobbiamo sposarci, direi di cominciare a presentarci.— Sarah — mormorò lei alla fine.L’uomo si portò una mano sul cuore e chinò il capo.— Douglas Eston.Il duca sembrò divertito. Sarah irrigidì le spalle e chinò il capo. Era senza parole, incapace di reagire.

Una parola di suo padre e si era trovata danzata, congedata e bandita dalla sua casa. Licenziare unservo gli avrebbe portato via più tempo.

Il duca di Herridge si rivolse di nuovo a Eston. — La famiglia di mia moglie vive in Scozia. Se miaglia dovesse diventare un peso per voi, vi suggerisco di mandarcela. Avrei dovuto farlo io con sua

madre molti anni fa.Sarah si voltò per uscire.— Dove credi di andare? — chiese il duca.— Torno a Chavensworth — rispose. — La mamma ha bisogno di me.— Dovrà fare a meno delle tue cure — stabilì suo padre. — Non ho intenzione di perderti di vista

finché non sarà celebrato il matrimonio.

Douglas non aveva un assoluto bisogno del denaro del duca di Herridge, né, tanto meno, di unamoglie. Ma qualcosa, un’emozione a cui non sapeva dare un nome, lo aveva inchiodato in quella stanza.

Sarah sembrava terrorizzata e non poté fare a meno di chiedersi se suo padre fosse abbastanzasensibile, o affezionato a lei, da essersene accorto. Sapeva, per averlo provato sulla sua pelle, cosasigni casse avere paura e cercare di soffocarla, come stava facendo Sarah in quel momento. Avrebbevoluto interporsi fra lei e il duca, per proteggerla dalla sua crudeltà. O sbatterlo fuori dalla stanza. Sefossero stati soli, le avrebbe chiesto cosa pensasse della proposta.

Fino a un quarto d’ora prima non la conosceva, era questa la cosa più sconvolgente. Non la crudeltà el’avidità del duca. Non l’ostilità di Sarah verso suo padre, nemmeno l’accordo che Douglas stava perconcludere, ma il fatto che se Sarah, in quel momento, prima ancora che le parlasse, fosse sparita persempre, l’avrebbe rimpianta per il resto della vita.

— Vedrò di ottenere una licenza speciale di matrimonio — disse Douglas.Il duca lo congedò con un breve cenno della mano, come per invitarlo ad andarsene. Il giovane diede

un ultimo sguardo a Sarah e uscì.

2

La casa che Douglas aveva acquistato al suo arrivo a Londra non era grande come quella del duca diHerridge, ma si trovava in un’area molto elegante. Tutte le altre case nell’isolato erano occupate da nobili.Scese dalla carrozza che aveva appena acquistato a un prezzo che un tempo avrebbe trovato esorbitante ebussò alla porta di casa sua.

L’uomo che venne ad aprirgli era un perfetto sconosciuto, ma Douglas aveva demandato ad Alanol’incarico di assumere la servitù.

— Dov’è Alano? — chiese Eston.— Voi chi sareste?Tipico di Alano avere scelto l’uomo più strafottente di Londra. Douglas controllò a stento la propria

irritazione. — Semplicemente il vostro datore di lavoro — rispose.— Mi chiamo Paulson, signore — si affrettò a rispondere il giovane cambiando immediatamente

atteggiamento. — Credo che il signor Alano si trovi in cantina.Il signor Alano? Douglas scosse il capo ed entrò in casa passando fra casse ammucchiate qua e là. —

Non abbiamo ancora assunto valletti? — chiese. — Né ragazzi di stalla?— Oggi ne sono stati presi due, signore — rispose il giovanotto. — Ma non credo che prendano

servizio fino a domani.— Allora temo che dovrete darvi da fare voi, Paulson — disse Douglas, indicando una grossa cassa

vicino alla porta. — Ho bisogno che questa cassa venga caricata su uno dei carri nella scuderia. Fateattenzione: contiene ale e ampolle che ho fatto arrivare dall’Italia. Vorrei evitare che se ne rompessequalcuna.

— Volete che la porti fino alla scuderia, signore?

— Esatto — rispose Douglas. Si guardò attorno, alla ricerca di una cassa in particolare. La stanzaassomigliava più a un magazzino che a un salotto. Alla fine la vide e fece per avvicinarsi.

— Con il dovuto rispetto, signore, sono stato assunto per dirigere la servitù, non per svolgere lavorimanuali.

Douglas uscì da dietro le casse.— Non so cosa vi abbia detto il signor Alano — disse — ma questa è una residenza relativamente

piccola e ognuno dovrà sobbarcarsi una parte di lavoro. Se c’è una cosa che non sono disposto a tollerareè la pigrizia, Paulson.

— Sissignore.Paulson non sembrò particolarmente felice, ma Douglas era convinto che alla ne avrebbe fatto

esattamente ciò che si aspettava da lui. Gli indicò altre sei casse.— Già che ci siete, portate nella stalla anche quelle — ordinò, ignorando l’espressione indispettita di

Paulson. — E fate attenzione a non rompere nulla.Douglas trovò Alano in cantina intento a usare un martello e imprecare in una dozzina di lingue

diverse.Si appoggiò al corrimano della scala, divertito dallo spettacolo che gli si parava di fronte. Alano era

seduto su uno sgabello al centro di un cerchio formato da una dozzina di barilotti di vino che Douglasaveva comprato in Spagna. Aveva i capelli bianchi, ma il viso abbronzato era ancora privo di rughe. Identi, quelle rare volte che si degnava di sorridere, apparivano bianchissimi. Negli occhi scuri rilucevanospesso bagliori mutevoli che tradivano le sue emozioni.

— Bene, ragazzo mio — disse Alano con un forte accento spagnolo piuttosto strano, visto che dicognome faceva McDonough. Un suo antenato scozzese era emigrato in Spagna, dove aveva dato originea una vasta discendenza.

— Ho trovato un investitore — annunciò Douglas passando fra i barilotti. — Solo che, invece didenaro, mi ha dato una moglie.

L’espressione di Alano si fece sorpresa e incredula.— Una moglie?— È figlia di un uomo che non ama né la Scozia, né chi ci abita.— Parti dall’inizio, ragazzo.Douglas gli raccontò tutto, cominciando da quando era entrato nella casa del duca di Herridge.— Non puoi farlo — sentenziò Alano quando Douglas ebbe nito. — Ci sono molti altri potenziali

investitori interessati alla tua scoperta. Non hai bisogno di sposarti per raccogliere fondi.Douglas si sedette su uno dei barili. — Chi ti dice che non sia venuto il momento di sposarmi?Alano lo fissò. — È davvero così ricca?Douglas sorrise. — La mia personale impressione è che il duca di Herridge non abbia il becco di un

quattrino. Il matrimonio è il suo modo di acquisire una partecipazione nella mia scoperta salvando lafaccia.

— È davvero così bella, allora?— Lo è — rispose, senza rendersi conto che la voce gli si era addolcita. — Ha i capelli neri, gli occhi

grigi e labbra carnose. Ma non è solo bella. È coraggiosa e leale, ha un grande cuore. Sua madre è malatae quando parla di lei si sente che ne soffre. Ha paura di suo padre. Sobbalza ogni volta che lo vedemuoversi, ma ha saputo tenergli testa.

— Allora è un colpo di fulmine — borbottò Alano.Douglas lo guardò sorpreso. — Esiste qualcosa del genere?— Non ho abbastanza dita per contare tutte le donne che ho amato, ragazzo. Ma non ne ho mai

sposata nessuna. — Alano scosse il capo, poi aggiunse: — Ma mi sembra che tu abbia già deciso.Douglas sorrise. — Credo di sì.— Confesserai al duca di essere scozzese? O a lei? O resterà un segreto?— È lui ad avercela con gli scozzesi. Non credo che a Sarah importi molto.Alano scosse il capo. — Eri già nervoso al pensiero di dover incontrare un duca. Come te la caverai

quando sarai suo genero?— Come me la sono cavata no a questo momento — ribatté Douglas. — Come mi hai sempre detto

tu, basta calarsi nella parte e il resto viene da solo. Il duca di Herridge mi ha scambiato per ungentiluomo.

Alano annuì. — Sei un buon attore, ragazzo mio, ma ho notato che porti ancora in tasca il tuotaccuino, come se avessi paura di sbagliare qualcosa.

Douglas distolse lo sguardo. — È un altro mondo per me — disse. — Un mondo in cui voglio entraree di cui so ben poco, dove tutte le regole sono diverse.

— Sei riuscito ad arrivare n qui da solo, senza che nessuno ti regalasse nulla. Non dimenticare che tisei guadagnato ogni centesimo. Quei damerini nei loro palazzi, come il duca di Herridge, hannoereditato titolo e soldi: non hanno dovuto sudare per accumulare il loro patrimonio come invece haifatto tu.

Douglas sorrise. — Non sei stato tu a dire che i nobili disprezzano chi deve lavorare per vivere?Alano grugnì e prese la bottiglia che stava cercando di stappare. — Non va certo a loro merito. Invece

che ingegnarsi a fare qualcosa di utile, si sposano con donne più ricche di loro, oppure si rassegnano afare la fame. Tu sei diverso. Dal momento che ti ho incontrato, ho capito che eri destinato a fare grandicose.

— Per tutti questi anni hai sempre creduto in me, Alano. Perché?L’uomo sembrò sorpreso. — Perché? — ripeté inarcando un sopracciglio. — Perché eri il ragazzo più

insopportabile che avessi mai incontrato e crescendo lo sei rimasto. Ostinato come nessun altro, quandoti metti in testa un’idea non molli nché non l’hai messa in pratica. Solo che, quando eri ragazzo, avevibisogno di qualcuno che ti controllasse un po’, tutto qui.

— Adesso che sono un uomo, di cosa ho bisogno?— In questo preciso momento di qualcuno che ti prenda a calci.Dopo quel commento, Alano lo ignorò per qualche minuto. Prese una bottiglia vuota, la riempì di

vino, poi la chiuse con un tappo di sughero. Alla fine lo guardò quasi inferocito.— La tua promessa sposa sa che sei appena arrivato a Londra? E che questo posto sarà tutto sotto

sopra quando arriverà? Non ho nemmeno finito di comprare l’arredamento.— Ma lei ha già una casa — disse Douglas.— Di questa, allora, cosa dovrei farne?Si conoscevano da vent’anni, insieme avevano affrontato tempeste, inondazioni, terremoti e, una

volta, per no una tribù di pigmei infuriati, e mai, in tutto quel tempo, Douglas si era sentito cosìconfuso.

— Hai intenzione di tenerla come residenza di città, come fanno i nobili? Non hai ancora sposato laglia del duca e già cominci a darti arie da aristocratico? — Alano lo ssò e il suo sorriso attenuò la

durezza delle parole.— Potrebbe essere una scelta ragionevole — disse Douglas. — Non c’è bisogno di vendere subito la

casa.Alano annuì mentre stro nava con un panno la bottiglia polverosa. — Posso starci io. A me piace

Londra.

Non c’era altro da aggiungere. Quando Alano prendeva una decisione, raramente cambiava idea.Anche se il suo patrimonio non era paragonabile a quello che Douglas aveva accumulato, potevacomunque permettersi una vita confortevole.

— Vedo che hai già cominciato ad assumere il personale. Cosa ti ha portato a scegliere Paulson?Alano non sembrò felice della domanda. — Temo di avere commesso un errore — rispose. — Forse,

per qualche motivo, mi ha ricordato com’eri tu da ragazzo.Lo guardò con un’espressione che a Douglas ricordò la prima volta che si erano incontrati. Stava

cercando di rubargli il portafoglio e, anche se era ormai un esperto in quell’arte, Alano se n’era accorto.Lo aveva preso per il polso storcendogli il braccio e gli aveva dato una lavata di capo durata un buonquarto d’ora. Dopo di che lo aveva portato in una trattoria offrendogli il pranzo.

Alano posò un’altra bottiglia piena sul barile. — Se sei deciso a fare questo passo, ti sosterrò — glidisse. — Lascia che ti dia un consiglio, però.

— Come se potessi impedirtelo — borbottò Douglas, sorridendo.Alano lo ignorò. — Dì a questa donna la verità sul tuo conto, ragazzo mio. Così non avrai nulla da

temere.— E correre il rischio che lei rifiuti di sposarmi?— Perché non sei degno di lei? — Alano fece una smor a. — In quel caso sarebbe lei a non essere

degna di te, non trovi?

La licenza speciale di matrimonio gli era costata cara, ma alla ne Douglas era riuscito a ottenerla conla scusa di essere vissuto a lungo all’estero e di non avere quindi fatto parte di alcuna parrocchia. Il nomedel duca di Herridge aveva facilitato le cose.

Invece di tornare a casa, decise di passare dal duca. Era mezza matà, un’ora in cui, secondo Alano,non era cortese andare a trovare qualcuno. Ma d’altronde quella non era una visita di cortesia.

Per prima cosa voleva accertarsi che Sarah non fosse stata maltrattata da suo padre. Non gli erapiaciuto ciò che aveva visto e non si sentiva di escludere che il duca fosse un violento. In secondo luogo,voleva parlare con Sarah a quattr’occhi. La ragazza aveva il diritto di sapere che lui non era di origininobili, ma un orfano cresciuto senza una famiglia.

Quando bussò alla porta della dimora del duca, Simons si rifiutò di lasciarlo entrare.— Mi dispiace, signore, ma lady Sarah non è disponibile.Grazie agli insegnamenti di Alano, Douglas interpretò correttamente la frase. In realtà il

maggiordomo intendeva dire che Sarah era a casa, ma non desiderava riceverlo.— È importante che le parli, Simons — insistette. — Il duca è in casa?— No.Simons allontanò con un gesto un valletto che si stava avvicinando e aprì la porta di una spanna.— Se cercaste di vederla, non le fareste un favore — disse Simons a bassa voce. — Anzi, potreste farle

del male.Sorpreso, Douglas guardò l’uomo. — E come?— Il duca potrebbe non apprezzare, nel qual caso non esiterebbe a punirla con maggior severità.

Almeno per il momento si limita a tenerla a pane e acqua.— Cosa intendete, con “si limita”? Ha fatto di peggio?Simons sembrò combattuto.— Il duca non ama che si disubbidisca ai suoi ordini — rispose alla ne. — Soprattutto se a farlo sono

i suoi familiari.— Come sua figlia?

— O sua moglie. — Simons sbirciò verso le scuderie, come se temesse che il duca tornasse da unmomento all’altro. — Potrebbe fare di tutto, come è già successo. L’anno scorso Sua Grazia ha picchiatolady Sarah di fronte a tutto il personale solo perché si era rifiutata di partecipare a una festa.

Douglas restò senza parole e il maggiordomo accennò un sorriso circospetto. — Sarebbe un’ottimacosa per lady Sarah se si sposasse con voi.

Douglas fece un passo indietro. Era rimasto orfano a otto anni e cresciuto nei vicoli di Perth, ma perquanto dura fosse stata la sua vita, non aveva mai maltrattato verso i più deboli.

— Comincio a pensare che abbiate ragione, Simons — commentò. — Dite a Sua Grazia che sarò quidomani all’ora convenuta.

Si voltò, scese i gradini e salì in carrozza, consapevole che alle sue spalle Simons lo stava guardando.Una volta a bordo, alzò gli occhi e vide una mano femminile stringere il lembo di una tenda a una

nestra del secondo piano. Forse era quella di una cameriera intenta a pulire i vetri; ma forse era ladySarah.

Era venuto per assicurarsi che stesse bene e aveva scoperto che era più in pericolo di quanto avessepotuto immaginare.

L’indomani l’avrebbe salvata sposandola.Ma chissà come l’avrebbe presa lei.

3

Due giorni più tardi Sarah si ritrovò sposata con uno sconosciuto, un uomo che era uscito dalla casa disuo padre cinque minuti dopo che si erano incontrati per la prima volta.

— Conduca mia glia di sopra — aveva ordinato suo padre a Simons, e così, senza tante cerimonie,era stata portata in una stanza piuttosto ben arredata, se non si teneva conto delle orribili tende rosa. Erauna stanza che conosceva bene, ma non ne conservava un buon ricordo. L’anno prima, quando eravenuta a Londra, ci aveva passato l’intera Stagione, chiusa dentro a chiave, e a nulla era servito gridare otempestare la porta di pugni. I servitori temevano troppo il duca per disobbedire ai suoi ordini.

Quella stessa sera, sul vassoio della cena aveva trovato una lettera che confermava le intenzioni di suopadre. Se si fosse ri utata di sposarsi, lui avrebbe immediatamente ordinato il trasferimento di sua madrein Scozia. Sarah non aveva nessuna voglia di sposare uno sconosciuto, ma non aveva nemmeno il dirittodi anteporre il proprio benessere a quello della madre gravemente malata. Gli scrisse un biglietto in cui glichiedeva di impegnarsi a permettere a sua madre di restare a Chavensworth se lei avesse acconsentito asposarsi, ma lui non si degnò nemmeno di risponderle.

Fu così che due giorni dopo, con una certa irritazione, Sarah scese le scale e trovò ad aspettarla l’uomoche stava per sposare.

Douglas Eston non sembrava per nulla disturbato dal fatto che lei lo sposasse controvoglia, o che fosseda poco passata l’alba, un’ora piuttosto insolita per celebrare un matrimonio. E nemmeno dallo sguardotorvo che lei gli rivolse.

— Sono sicura che siete complice in tutto ciò — gli disse, ri utandosi di prenderlo sottobraccio. — Persposarsi così in fretta è necessaria una licenza speciale.

Non le rispose.— Non sarò mai una buona moglie — lo avvisò. — Sono solitaria per natura, non mi piace

socializzare. Passo il mio tempo a leggere. Ho troppi difetti. Amo osservare le stelle.Eston si limitò a guardarla dall’alto in basso. Il che contribuì a irritarla ancora di più, ma dovette

ammettere che era molto più alto di lei. Ed era anche robusto e con le spalle larghe.

Distolse lo sguardo per evitare di farsi incantare dai suoi occhi.— Come fate a studiare le stelle? — le chiese. — Avete un telescopio?Lo guardò di nuovo. Non gli avrebbe mai confessato che era il primo a rivolgerle quella domanda. E

nemmeno che la cosa l’aveva incuriosita. No, dovevano restare due estranei che si sposavano solo persoddisfare la crudele prepotenza di suo padre.

Si lasciò condurre nella cappella, dove era già arrivato il pastore che stava conversando con suo padre.Sorridevano entrambi, come se Dio in persona li avesse degnati della sua presenza.

Chissà, forse il sacerdote pensava che fosse incinta e che quelle nozze furtive servissero a proteggere lareputazione della famiglia Herridge.

Non fece nulla per fargli cambiare idea, anzi, il pensiero che quel pover’uomo andasse poi a raccontarela cosa in giro la stuzzicò. Bene, si dicesse pure in giro che la glia del duca di Herridge era di facilicostumi. Suo padre teneva così tanto al buon nome della famiglia che per tutta la vita le aveva in ittointerminabili prediche su come comportarsi in pubblico. L’ammonimento preferito di sua madre era: —Pensa a cosa direbbe tuo padre, Sarah.

Quando se n’era andata da Londra, aveva fatto voto che non avrebbe mai più pensato a lui. Infatti,non lo avrebbe fatto se non fosse stata a rischio la salute di sua madre.

Come testimoni erano stati scelti due servitori, una giovane cameriera che Sarah non conosceva eSimons, che non osava guardarla negli occhi.

Il pastore cominciò a celebrare il rito e Sarah si sforzò di prestare attenzione. Aveva partecipato a moltimatrimoni e si era sempre meravigliata di quanto la gente spendesse per sposarsi. Organizzare unmatrimonio normale sarebbe costato una fortuna a suo padre, ma non aveva dubbi che la spesa piùgrossa che avesse sostenuto in quell’occasione fosse aver fatto venire il celebrante fino a casa loro.

Per risparmiare, aveva rinunciato per no al rinfresco, e subito dopo la cerimonia era arrivata unacarrozza a prenderli. Meglio così, non desiderava restare a Londra un minuto in più del necessario.

— Grazie a Dio è nita — disse suo marito prendendo posto di fronte a lei sulla carrozza. — Avetetutta la mia comprensione, Sarah.

Lo guardò, incuriosita. — Per cosa? Per questo matrimonio disastroso?— Per la vostra infanzia. Non deve essere stato piacevole avere a che fare con vostro padre.— E la vostra infanzia? È stata piacevole?— Sì. — Un attimo dopo sorrise. — Ho avuto un’infanzia molto felice. Anzi, se proprio volete saperlo,

ho avuto anche una vita molto felice. Penso di poter dire di essere stato molto fortunato.— Immagino che una delle vostre fortune sia ritrovarvi sposato con la figlia del duca di Herridge.— Dovete sempre fare riferimento a voi come alla “ glia del duca di Herridge”? Non potete essere

semplicemente “Sarah”? Deve essere stata una tragedia sposarvi con un uomo privo di titoli nobiliari.— Non ho deciso di sposarvi per via di quello che avete da offrirmi, signor Eston. Al contrario, ho

accettato solo per concedere a mia madre qualche mese di vita in più. Un viaggio in Scozia avrebbe avutogravi conseguenze sulla sua salute.

— Così devo considerarmi parte di un matrimonio d’interesse?— Non si può dire lo stesso di me? — Sperava di riuscire ad apparire perfettamente calma, ma dentro

di sé sentiva l’irritazione aumentare. — Sono sicura che il vostro obiettivo era quello di coinvolgere miopadre nei vostri progetti e ci siete riuscito in pieno. Non avete ottenuto solo una moglie, ma anche l’usodi una casa, ammesso che possiate considerare Chavensworth semplicemente una casa. Se non è interessequesto...

— Sembravate così terribilmente triste...Lo guardò, sorpresa. — Avete avuto pietà di me? È per questo che mi avete sposata? — chiese, poi

distolse lo sguardo concentrandosi sul paesaggio fuori dal nestrino. Si ri utava di credergli. Era stato lostrumento che suo padre aveva usato per sbarazzarsi di una figlia ingombrante.

Una figlia che non amava.— Forse sì — le rispose Douglas. — Forse ho provato compassione per voi, che potrebbe avere

contribuito a farmi accettare la proposta di vostro padre.— Mio padre non vi ha proposto proprio nulla — disse lei. — È stata un’imposizione. Come

definireste il fatto che mi ha tenuta prigioniera nella mia stanza per due giorni?Non rispose e dopo un po’ Sarah non poté fare a meno di guardarlo. Sembrava irritato almeno quanto

lei, ma non capiva bene se con lei o con suo padre. Ma comunque fosse, non era disposta a chiederglielo.A cosa sarebbe servito saperlo?

Sarah era così, nel bene e nel male, e non aveva nessuna intenzione di ngere che quel matrimoniofosse diverso da quello che era. Non era una donna particolarmente femminile, delicata, eterea, depressatutti quelli che la circondavano sembravano essere più deboli di lei e, di conseguenza, era sempre stataobbligata a essere forte, di buon senso, con i nervi a posto, quella che sapeva sempre cosa fare.

Terribilmente triste, davvero. Lo aveva detto solo per intenerirla. Non provava nulla per lei e, se anchenon fosse stato sincero, non voleva la sua pietà, che si arrabbiasse pure. Sarebbero stati in due.

— Sappiate che non ho alcuna intenzione di lasciarvi entrare nella mia stanza stanotte.Si torse le mani e aspettò la sua reazione. Sapeva benissimo che si sarebbe irritato ancora di più, che le

avrebbe detto qualcosa come: “sono vostro marito e dovrete sottomettervi alla mia volontà”.Sottomettersi un corno.

Quando lo guardò, si accorse che stava sorridendo.— Io non ho nessuna intenzione di farlo.— Siamo due estranei — dissero entrambi nello stesso momento. Con chiunque altro si fosse trovata,

la coincidenza l’avrebbe fatta ridere. Ma non con quell’uomo.

Sua moglie gli stava seduta di fronte, gomiti stretti contro i anchi, caviglie unite, mento abbassato,così rigida da sembrare sul punto di spezzarsi da un momento all’altro.

Era bellissima nel suo elegante abito nuziale, ma sarebbe stata bene anche vestita di stracci. Se soloavesse sorriso, lady Sarah, ora signora Eston, sarebbe stata adorabile.

Non sembrava avesse la minima voglia di sorridere. Anzi, ogni volta che posava lo sguardo su di lui,lo fulminava con gli occhi. Era evidente che gli attribuiva la colpa di quell’assurdo matrimonio.

Avrebbe voluto scuoterla con qualche battuta da quello stato di depressione, ma non la conoscevaabbastanza da capire come l’avrebbe presa. L’unica cosa che sapeva con certezza era che il duca diHerridge era un tiranno crudele e oppressivo: negli occhi di lei c’era un dolore così intenso che riusciva apercepirlo fisicamente.

Aprì la borsa, ne tirò fuori i documenti che aveva preparato la sera prima e li rilesse. La nuovacarrozza era davvero comoda e molleggiata, tanto da non causare il familiare senso di nausea cheprovava leggendo in viaggio, soprattutto durante le traversate per mare. Le onde lo facevano star male,cosa che, visto che aveva passato un decennio a viaggiare per il mondo, era un’assurdità.

Aveva risolto il problema assumendo un segretario che aveva il compito di trascrivere tutte le sueri essioni in modo che non andassero perse. Non riteneva che ogni suo pensiero contenesse chissà qualetrovata, ma, per esempio, l’idea di un nuovo modello di astrolabio era nata da una domanda che gli erastata posta una sera a cena durante una traversata.

Guardò Sarah. Gli aveva detto di avere l’abitudine di osservare le stelle, ma dubitava che fosse vero.Non aveva detto di possedere un telescopio e, probabilmente, non sapeva nemmeno cosa fosse, ma decise

di non metterla alla prova. Sarebbe servito solo a farla sentire ancora più in imbarazzo.Sarah lo incuriosiva, in un suo modo sottile, discreto come un sussurro. Com’era quando non si

trovava sotto l’influenza di suo padre? Timida e riservata o allegra ed estroversa?— Cosa ne dite di farmi immortalare in una statua? — gli chiese all’improvviso. — Così potrete

studiare il mio viso quando e come vorrete, senza sentirvi obbligato a fingere di non farlo.Douglas sorrise. — Perché dovrei studiare una statua? La pietra non può rivelare ciò che rivela la

carne, un’espressione.Sarah si girò verso di lui, che smise di fingere e la fissò apertamente.— D’accordo, cosa avete concluso sul mio conto? — gli chiese.— Non mi permetterei mai di trarre conclusioni affrettate. Non vi conosco.Lo guardò come se volesse dire qualcosa, ma poi sembrò ripensarci.— Cosa stavate per dire?Sarah inarcò un sopracciglio, senza rispondere.— Siete sempre così arrogante? — proseguì Douglas.— Voi siete sempre così... impertinente?— È così che la pensate? — chiese Douglas chinandosi in avanti. — Per voi, voler sapere cosa pensa la

propria moglie significa essere impertinenti?Sarah distolse lo sguardo, ssando il paesaggio. — È stata celebrata una funzione religiosa, signor

Eston, in virtù della quale può essermi stato conferito il titolo di moglie, ma questo non signi ca che iol’abbia accettato.

— Quanto ci vorrà perché lo accettiate? — chiese lui. — Un mese? Un anno? O meno? O mai, vistoche voi siete la figlia di un duca e io un comune mortale?

— Non ho mai discriminato le persone per via del loro titolo.Douglas non rispose e lei tornò a guardarlo, accigliata.— La mia reazione a questa situazione non ha nulla di personale, signor Eston. Non ho niente contro

di voi. Non vi conosco. Semplicemente non apprezzo essere stata costretta a sposarmi. In questomomento non stavo pensando a voi, ma a mia madre. Sono tre giorni che non la vedo e, in tuttasincerità, non so in che condizioni sia.

— Perdonatemi — disse Douglas. — Mi sono lasciato trascinare dai miei sentimenti.Sarah lo guardò ancora più perplessa, ma non disse nulla.Douglas ritornò alle sue carte, ma si rese conto che le formule che aveva trascritto non riuscivano ad

attirare la sua attenzione. Scostò la tendina e guardò fuori dal finestrino.— Mio Dio! — esclamò a un certo punto fissando verso l’orizzonte. — Cos’è quella roba?Avrebbe voluto dire al conducente di fermarsi per consentirgli di contemplare meglio quella vista

spettacolare, invece restò zitto mentre la carrozza risaliva il pendio della collina. Poi la scena divenneancora più sorprendente. Un grande ponte ad arco si stendeva sopra un ume impetuoso. Oltre il umesorgeva un edi cio. O, meglio, un palazzo. Una costruzione a tre piani di pietra giallo pallido dominatada un frontone di marmo bianco che sosteneva un tetto adornato da una serie di statue e circondato daun parapetto.

— Cos’è? — ripeté.— Quello? È Chavensworth, signor Eston.— Ma è grande come una montagna! — esclamò. Da entrambi i lati dell’edi cio principale si

diramavano due ali a due piani che sparivano nella foresta intorno alla proprietà.— Non proprio come una montagna, signor Eston. — Un sorriso si era disegnato sulle labbra di

Sarah. — Chavensworth è sempre stata una delle più famose residenze inglesi — aggiunse con un tono

che ben si addiceva alla glia di un duca. — Il progetto è di omas Archer e le fontane dei giardinihanno più di due secoli. La facciata nord risale al Quattordicesimo secolo, quando sir Matthew deBaines ottenne il permesso di costruire le mura.

— Voi non sopportate l’idea di starne lontana.Si voltò di nuovo a guardarlo, gli occhi grigi spalancati dalla sorpresa. Perché era improvvisamente

arrossita?— È casa mia — disse semplicemente.— Questo tipo d’amore è meglio riservarlo alle persone, Sarah, non agli edifici.Di nuovo sul viso le era comparsa quell’espressione ferita, che lo spinse a chinarsi verso di lei e

appoggiarle una mano su un ginocchio. Sarah sussultò, ma Douglas non si ritrasse.— Ditemi cosa state pensando in questo momento. Qualsiasi cosa sia. Ditemelo.— Non avete l’autorità per ordinarmi di parlare, signor Eston.— Sarebbe un buon inizio, Sarah.— Ho passato un’ora in vostra compagnia, signor Eston, oltre a una manciata di minuti sparsi qua e

là che, messi insieme, potrebbero forse formarne un’altra. Aggiungeteci anche la durata di questo viaggioe arriveremo al massimo a tre ore. Non sapete nulla di me.

Avrebbe continuato a non saperlo, se fosse dipeso da lei.

La carrozza entrò dal cancello di Chavensworth.Alti cespugli e alberi dalle folte chiome adornavano vasti prati che scendevano verso il ume di fronte

al palazzo. Sul retro, una strada conduceva agli altri edi ci della proprietà e alle scuderie. Situata frafattorie che sembravano prospere, Chavensworth dominava con piglio regale la campagna che lacircondava. Le sue numerose nestre e la grande porta della casa sembravano quasi sorridere al suoritorno.

Sarah si guardò attorno con attenzione durante l’ultimo tratto del percorso. L’inverno era stato rigidoe tempestoso e aveva lasciato la strada disseminata di buche. La vernice delle persiane aveva bisogno diqualche ritocco e i giardinieri si sarebbero dovuti dare da fare per rimuovere dalle aiuole le traccedell’inverno. A ogni cambio di stagione c’erano sempre tante cose da fare e quando tutte erano statecompletate, un’altra stagione era in arrivo ed era già ora di ricominciare da capo.

Fece mentalmente una lista di quello che c’era da fare con l’arrivo della primavera, non solo perdistrarsi da quell’uomo che non aveva ancora smesso di guardarla troppo da vicino, ma soprattutto perevitare di pensare a sua madre. Nonostante tutto, si sorprese a mormorare fra sé e sé una preghiera. “MioDio, ti prego, fa’ che stia bene. Fa’ che si sia risvegliata. Fa’ che possa mangiare di nuovo. Fa’ che miriconosca.”

Avrebbe dovuto far spargere paglia sopra alla ghiaia, ma non avrebbe mai pensato che le ruotepotessero fare tanto rumore.

La carrozza si fermò e Sarah inspirò a fondo.Suo marito si comportò in modo molto galante, smontando per primo dalla carrozza e voltandosi per

aiutarla a scendere dal predellino. Sarah accettò la mano che le porgeva e si ricompose in modo chenessuno si accorgesse di quanto temesse ciò che l’aspettava.

Dopo essersi sistemata la gonna, raddrizzò le spalle e si avviò verso gli ampi gradini dell’ingressoprincipale di Chavensworth, senza smettere di pregare.

4

Puntuale come sempre, omas aprì la porta nello stesso istante in cui Sarah posava il piede sull’ultimoscalino. Per un attimo, il suo sorriso di benvenuto si spense mentre ssava l’uomo che le stava alle spalle.Poi il viso assunse un’espressione neutra e si inchinò profondamente.

— Bentornata a casa, lady Sarah — disse.Sarah cominciò a s larsi i guanti, un dito alla volta, facendo scivolare la seta dalle nocche alle unghie,

lentamente, un compito che richiedeva tanta concentrazione da consentirle di non guardare in direzionedel signor Eston.

— Mia madre, Thomas? Sta bene?Il maggiordomo non rispose subito e Sarah si sentì invadere dal terrore che l’uomo chinasse il capo e

mormorasse le parole che tanto temeva di udire. “Vostra madre, lady Sarah, è morta.”Passarono altri interminabili secondi ed Eston le si avvicinò.— Non si è ancora svegliata, lady Sarah — rispose infine Thomas.— Nessun miglioramento?— No, lady Sarah.— Non ha mangiato nulla?L’uomo scosse il capo.Un’emozione che Sarah faceva fatica a dominare era la speranza. Ogni mattina si svegliava sperando

che fosse successo un miracolo. Forse il miracolo era semplicemente che sua madre fosse sopravvissutaalla notte.

— Mi dispiace informarvi che la situazione non è cambiata, lady Sarah.Annuì. Non si era fatta troppe illusioni. — Se non altro non dovrà più partire per la Scozia, Thomas.L’uomo studiò attentamente il pavimento, oscillando avanti e indietro sui tacchi, le mani strette dietro

la schiena. Quando tornò a guardarla aveva gli occhi umidi.— Il duca ci ha ripensato, quindi?— Sì.Fissò Eston, desiderando di potergli impedire l’accesso a Chavensworth. Aveva n troppe cose da fare

per potersi dedicare a un marito.Lui le sorrise.Eston era di statura imponente, con le spalle più larghe della media. Indossava abiti eleganti, di buon

taglio, ma poco vistosi, con un sobrio gilet di seta nera, quasi fosse vestito a lutto.Aveva perso qualcuno di recente? Di lui sapeva il nome, che era un inventore rivoltosi a suo padre in

cerca di un nanziamento e che aveva avuto un’infanzia felice. Oltre a quello non sapeva altro dell’uomoa cui la legge l’aveva legata.

— Cosa avete inventato? — gli chiese all’improvviso. — È così importante da rinunciare alla vostravita?

— State cercando di dirmi che il nostro matrimonio finirà solo con la mia morte?Non avrebbe dovuto rivolgergli la parola. Si morse le labbra e disse: — Il signor Eston è mio marito,

Thomas. Vi prego di trattarlo con la dovuta cortesia.— Naturalmente, lady Sarah.— Vi prego anche di non diffondere la notizia no a quando non avrò l’occasione di parlare con

Hester e Margaret personalmente.— Certo, lady Sarah — disse omas prima di rivolgersi a suo marito. — Stamattina è arrivato un

carro, signore. Sono oggetti di vostra proprietà?— Sì, se si tratta di casse provenienti dall’Italia.— Pensavamo che fosse roba spedita dal duca. Vuole che apriamo le casse, signore?

— Preferirei farlo io — rispose Eston. — Me ne occuperò al più presto.Nell’ultimo minuto Sarah aveva scoperto più cose sul conto di suo marito di quanto avesse appreso

durante tutto il viaggio da Londra. Forse si sarebbe dovuta servire di omas nel ruolodell’intermediario. Cosa avrebbe fatto il pover’uomo se gli avesse chiesto: — Per piacere, omas,chiedete a mio marito cosa si aspetta da questo matrimonio. Si rende conto che non ho alcuna intenzionedi avere rapporti intimi con un uomo che non conosco?

Naturalmente non lo avrebbe mai fatto, era stata educata come una signora.Si voltò e attraversò l’atrio dirigendosi verso quello che era stato il salone estivo e che, da quando sua

madre si era aggravata al punto da non poter più salire le scale, Sarah aveva fatto trasformare nella suacamera da letto. Socchiuse la porta.

Hester, l’infermiera del turno di giorno, si portò un dito alle labbra, poi le fece cenno di entrare.Sarah avanzò silenziosamente, chiudendo la porta adagio, ma quando vide le condizioni in cui

versava sua madre, fu presa dallo sconforto.— omas mi ha detto che non ha mai ripreso conoscenza per tutto il tempo che sono stata via. —

Perfino il suo bisbiglio sembrava troppo forte.— Esatto, milady. Nemmeno di notte, a quanto mi ha detto Margaret.Hester era una donna matura dall’età inde nibile. I suoi capelli, un tempo di un rosso acceso, erano

divenuti color ruggine. Aveva la pelle ridotta a una ragnatela di rughe e lo sguardo appannato.Nonostante l’età, o forse, proprio per quel motivo, aveva sempre una calma incredibile, ma la veraragione per cui Sarah l’aveva assunta era il calore che le brillava negli occhi e tradiva la sua dedizione alprossimo.

Sarah si sedette sulla sedia di fianco al letto.Sua madre era malata da anni, ma negli ultimi sei mesi si era indebolita no a diventare l’ombra di se

stessa. Era sempre molto pallida, quasi cerea, e con le labbra bluastre. La mano posata sopra il coprilettoera così bianca e diafana da mettere in evidenza le vene.

Sarah abbassò il capo e baciò la mano di sua madre. Avrebbe desiderato in qualche modo riscaldarla.E anche che il padre si trovasse al capezzale della madre, almeno per ngere che gliene importassequalcosa.

Il respiro della donna era affannoso. Sarah si trovò a respirare con lei, quasi come se, così facendo,potesse pomparle l’aria nei polmoni.

— Cosa posso fare? — sussurrò. La domanda era rivolta a Dio, a sua madre, al destino, ma fu Hestera risponderle.

— Continuate come avete sempre fatto — disse la donna con affetto. — Dio ci manda dolori etribolazioni per metterci alla prova, lady Sarah.

Quante pene, quante tribolazioni si potevano patire in una vita? Sua madre aveva amato un uomo chenon la ricambiava. Aveva perso quattro figli alla nascita.

La porta si aprì all’improvviso. Sarah si voltò e vide Eston sulla soglia, seguito da Thomas.Possibile che non potesse concederle un minimo di intimità nemmeno lì?Hester fece per alzarsi, ma lui le fece cenno di non scomodarsi.Non disse nulla, entrò semplicemente nella stanza e andò a fermarsi alle spalle di Sarah. Le posò una

mano su una spalla e lei si irrigidì al contatto, pur rendendosi conto che era un gesto di conforto. Manonostante si fosse accorto della sua reazione, Eston non tolse la mano e Sarah gradualmente cominciò arilassarsi, sentendo il calore del palmo penetrare attraverso il tessuto del vestito.

— Cos’ha? — le chiese a bassa voce.— I medici non lo sanno — rispose lei. — Uno dice che si tratta di depressione, un altro pensava a un

tumore e per un altro ancora è un problema cardiaco.— Non c’è nulla da fare? Un rimedio?— Se c’è, nessuno lo conosce — rispose lei. — L’ho fatta visitare da medici, guaritrici, per no da una

chiromante. Mi manca solo una strega, poi le ho tentate tutte.Passò un attimo prima che lui dicesse qualcosa.— I miei genitori sono morti quando ero bambino. Di colera. Non ci avevo mai pensato prima, ma

non so cosa sia peggio: non essere preparati alla perdita di una persona cara, o vederla morire giornodopo giorno davanti ai propri occhi.

Sarah restò stupefatta dal suo candore. Se avesse avuto più con denza con lui, gli avrebbe risposto,con altrettanta onestà, che guardare sua madre morire lentamente era intollerabile. Era come se le venissestrappato il cuore dal petto ogni giorno.

— Passate molto tempo con lei, vero?Sarah annuì. — Voi non fareste lo stesso?— Sì — mormorò lui.— Se non altro, le sono state risparmiate le fatiche del viaggio fino in Scozia.— Pensate che vostro padre avrebbe davvero fatto una cosa del genere?— Sì. L’avrebbe fatto. — Poi sospirò e lo guardò. — Ma non lo farà. Non permetterò che mia madre

venga disturbata o portata via di qui. Sarà trattata con amore e dedizione no all’ultimo. Ve lo giuro,Eston. — Lo guardò con aria di sfida.

— Non ho la minima intenzione di far portare via vostra madre, Sarah. Né di arrecarle alcundisturbo. Al contrario, di qualsiasi cosa abbiate bisogno, non avete che da chiedere e sarà fatto.

Sarah annuì, incapace di parlare. Alla ne si voltò riprendendo il suo posto di anco al letto. Nonavrebbe pianto. Non di fronte a lui. Non nella stanza di sua madre. Ma ci mise un po’ a riprendere uncontegno.

— Quando penso alla mia infanzia, non mi viene mai in mente mio padre — disse Sarah ricordandole parole di Eston durante il viaggio. — Penso invece a mia madre. Ha aggiunto molte cose a tutto ciò chemi ha insegnato la mia istitutrice. Mia madre aveva una fantasia straordinaria. Insieme a lei ho fattoviaggi immaginari a Istanbul, in Russia, in Cina e in America, senza mai lasciare Chavensworth. Hoimparato il francese, così quando ngevamo di essere a Parigi potevo parlare con lei. Sono stata unabambina felice, anche se viziata.

— Non mi date l’impressione di essere viziata. — Continuò a osservare la malata, poi si girò perlasciare la stanza e la guardò. — Mi chiamo Douglas — aggiunse. — Come devo chiamarvi? Lady Sarah?Anche se sposandomi avete perso il vostro titolo nobiliare?

— Non l’ho perso — rispose. — L’ho solo cambiato. Adesso sono lady Sarah Eston.— La figlia di un duca.Gli fu grata per il suo sorriso beffardo. La irritava, e l’irritazione le impediva di piangere.— Non è certo merito mio, signor Eston. Comunque, chiamatemi come più vi aggrada.La guardò come se volesse dirle qualcosa, ma evidentemente cambiò idea. Sarah non violò l’intimità

dei suoi pensieri. Non l’avrebbe tempestato di domande come aveva fatto lui. Non voleva sapere cosapensava.

Guardò omas che aspettava sulla soglia. Sia lui che Hester avevano sentito tutto. Grazie al cielo,nessuno dei due era tipo da indulgere in pettegolezzi.

— Per favore, preparate la Stanza Rossa per il signor Eston — ordinò. Lì sarebbe stato a sufficientedistanza dalla sua camera da non poterla disturbare. Con un po’ di fortuna, sarebbe riuscita a ignorare ilfatto che suo marito viveva sotto il suo stesso tetto.

Eston continuò a sorridere, ma invece di contraddirla si rivolse a omas. — Preparatemil’appartamento personale del duca. Presumo che ce ne sia uno a Chavensworth.

— Sì, signore.— Portate lì anche le cose di mia moglie.Solo la presenza sica di sua madre nella stanza impedì a Sarah di manifestare la rabbia che le stava

montando dentro.— Vi ho già detto che non intendo mettere piede nella vostra stanza da letto.— E io vi ho detto che non verrò nella vostra — ribatté Eston senza smettere di sorridere. — Visto che

siamo sposati, ci comporteremo da marito e moglie.Fino a quel momento Sarah si era ri utata di pensare a cosa l’attendeva una volta giunti a

Chavensworth. Forse si era illusa che la situazione si sarebbe magicamente risolta da sola e lui sarebbesparito. O che avrebbe trovato sua madre guarita e ci avrebbe pensato lei a bandirlo, con il suo sorrisoprovocante e uno sguardo che lo s dava ad azzardarsi a protestare. O che lui, da solo, si sarebbe resoconto di quanto il suo comportamento fosse sbagliato, vergognandosi di essersi appro ttato dellasituazione.

Invece, le aveva ricordato che erano marito e moglie.— Siete pazzo?Non le rispose, ma la guardò con aria divertita. Sarah si chiese cosa avrebbe fatto se lei si fosse limitata

ad alzarsi e andarsene. Le avrebbe ordinato di tornare indietro? O, peggio ancora, avrebbe fatto unascenata di fronte alla servitù?

Gli rivolse un sorrisetto freddo, lo stesso tipo di sorriso che avrebbe riservato a una cameriera.— Il vostro valletto vi raggiungerà qui?— Non ho né valletti né camerieri personali. Non ho bisogno di qualcuno che mi aiuti ad allacciarmi

le scarpe.Stava cercando di provocarla?Glielo avrebbe senz’altro chiesto se suo marito non avesse improvvisamente lasciato la stanza.

5

La triste realtà era che, per quanto la cosa le spiacesse, Sarah era ormai la moglie del signor Eston. E inquanto tale, doveva sottostare alle regole, la prima delle quali era che dovevano dormire insieme,nell’appartamento ducale.

La pretesa di Eston non era priva di senso. Suo padre non veniva mai a Chavensworth el’appartamento era il più grande del palazzo. Ma Sarah ordinò di farvi portare una branda. Il signorEston poteva insistere che dormissero nella stessa stanza, ma non nello stesso letto.

Ordinò anche che le portassero uno spuntino per prevenire ogni tentazione da parte della servitù dipreparare una cena di nozze, o qualcosa di più intimo per lei e suo marito.

— Il signor Eston ha già cenato? — domandò alla cameriera che le portò da mangiare. La ragazzaarrossì, poi ridacchiò e abbozzò un inchino.

— Sì, lady Sarah. Ci ha ringraziato calorosamente.Congedò la cameriera e si concentrò sul pasto. Non aveva molto appetito, ma riuscì a mandare giù un

po’ di verdura e una bevanda fatta con vino bianco, ribes, zenzero grattugiato, un po’ di zucchero escorza di limone. Le piacque tanto che fu tentata di ordinarne ancora, ma poi decise che non sarebbestato saggio. Sbronzarsi sarebbe servito solo a complicare ancor di più una situazione già abbastanzacomplessa.

Dopo aver nito di mangiare prese il suo diario dallo scrittoio e passò qualche minuto ad aggiornarlo,poi chiamò Florie perché l’aiutasse a prepararsi.

— Sono sposata, Florie — le disse quando arrivò la ragazza. — Sono sposata e non mi va di parlarne,né ora, né domani, né fra un mese.

Florie non ribatté, ma fu chiaro dalla sua espressione che era sbalordita.Quasi quanto Sarah.Sarah non possedeva indumenti particolarmente audaci o stravaganti ma, una volta in camicia da

notte, provò imbarazzo all’idea di entrare così abbigliata nella camera di un uomo che aveva appenaincontrato. E sposato.

Dopo che Florie la ebbe lasciata sola, si guardò allo specchio. Se si metteva di fronte alla luce si vedevail profilo delle gambe, ma non aveva nulla di più pesante da indossare.

Uscì dalla stanza e si avviò lungo il corridoio, no alla porta dell’appartamento ducale. Bussò e ilsignor Eston le aprì scostandosi per farla entrare.

— Hanno già portato la vostra branda — disse.Che strano tono di voce aveva.— Per caso cantate, signor Eston?La guardò come se fosse uscita di senno.— Ve lo chiedo per via della vostra voce. È molto profonda. Abbiamo molti tenori nel nostro coro di

Natale. Potreste entrare a farne parte.Scosse il capo e lei ebbe l’impressione che la considerasse un po’ strana.— È un ottimo coro, signor Eston — aggiunse, inarcando un sopracciglio.— Non ne dubito. Ma io non canto.Sarah non sapeva più cosa dire, il che signi cava che non aveva altra scelta se non entrare

nell’appartamento ducale.Le tende di fronte alle numerose nestre che andavano dal pavimento al soffitto erano viola, così

come la trapunta sopra il letto a baldacchino e il tappeto rotondo sul pavimento di mogano, i cui motiviornamentali venivano ripresi sulla fodera delle poltrone.

— Intendete davvero passare la notte su una branda? — le chiese.— Certo, a meno che non mi diate il permesso di ritornare nella mia stanza — gli rispose in tono

amabile.— Avete bisogno del mio permesso?Che le piacesse o no, era suo marito. Ma quell’unione non sarebbe stata regolata solo da lui, ma anche

da lei. Questa era la decisione che Sarah aveva preso nei due giorni in cui era stata segregata nella suastanza e se il signor Eston non fosse stato d’accordo, poteva andarsene quando voleva, lasciandolafinalmente sola, senza un marito tra i piedi. Solo che un conto era prendere una simile decisione, un altrometterla in pratica in sua presenza.

— Credo che sarebbe meglio se cominciassimo questo matrimonio nel modo più convenzionale —disse Eston.

Si torse le mani. Com’erano fredde!— Non dividerò il letto con voi — dichiarò.Quel matrimonio doveva diventare subito un con itto aperto? Eston era un uomo imponente e anche

se Sarah era più alta della maggior parte delle sue amiche, non poteva sperare di essere più forte di lui.L’avrebbe costretta con la forza? Sicuramente no. Fin dal loro primo incontro le era parso un gentiluomoe anche durante il viaggio si era comportato in modo gentile e rispettoso. Ma poteva anche essere solouna patina super ciale destinata a svanire una volta giunto nella stanza da letto. Avrebbe nito per

rivelarsi un uomo violento e brutale?— In Australia — la informò lui, attraversando la stanza a grandi passi — gli aborigeni non dormono

insieme prima che siano passate almeno tre notti dalle nozze.Sarah aggrottò le sopracciglia. Non sapeva se cedere alla curiosità o lasciar perdere del tutto

l’argomento. Ma parlargli serviva a distrarla da ciò che Eston stava facendo in quel momento: cioèspogliarsi di fronte a lei. Non si era nemmeno preso la briga di andare dietro il paravento. Si stavatogliendo il gilet. Poi si levò la camicia con estrema disinvoltura.

— Non vi dà problemi spogliarvi di fronte a un’estranea?— Siete mia moglie. Credo che dovreste abituarvi.Abituarsi? Non ne aveva la minima intenzione. Si girò e fissò ostentatamente il muro.— Chi sono gli aborigeni?— Gli abitanti originali del New South Wales, uno stato dell’Australia. Dall’altra parte del mondo.— So cos’è il New South Wales — disse lei. — Ho letto molti libri. Solo che non ho mai sentito il

termine “aborigeno”.— I loro costumi non sono certo più bizzarri della nostra unione, Vostra Grazia.— Non è così che vengo chiamata — lo corresse. — La forma corretta è lady Sarah. O milady.— Preferirei Sarah — replicò Eston. — Anche se siete la figlia di un duca.— Non ho nessuna responsabilità delle circostanze relative alla mia nascita.— Se aveste la possibilità di cambiarle? Lo fareste? Cosa cambiereste? Magari avreste preferito nascere

in un’altra epoca, essere, chissà, un’ancella di Cleopatra?— E perché non Cleopatra stessa? — mormorò Sarah guardando il caminetto.— Vi piacerebbe essere una regina?Valutò la domanda per alcuni secondi prima di rispondere. — Essere una regina comporta grandi

responsabilità — disse. — Ma, ora che ci penso, ci sono responsabilità anche a essere figlia di un duca.— Specialmente se si tratta del duca di Herridge.Sarah non disse nulla e, per qualche secondo, il silenzio regnò fra loro. Poi lei sentì un rumore come

di sfregamento di stoffa e si chiese se lui non si stesse s lando i pantaloni. Il tonfo di una scarpa lasciatacadere sul pavimento la fece sussultare. Doveva restare impassibile, si disse.

Poi non ci fu più alcun rumore, salvo quello del suo respiro. Ma dal bagno proveniva lo scrosciodell’acqua che scorreva per poi venire ingoiata dallo scarico.

Doveva restarsene lì in piedi come una stupida tutto il tempo che Eston ci avrebbe messo per andare aletto?

Lo sentì uscire dalla stanza da bagno e quasi si voltò verso di lui, ma si ricordò in tempo che potevaessere nudo. Avrebbe dovuto avere la buona creanza di indossare una vestaglia, ma dubitava chel’avrebbe fatto.

— Non vorreste dividere il letto con me, lady Sarah? Mi sembra molto comodo e, sicuramente,abbastanza grande. Potete usarne metà e io occuperò l’altra.

— La branda andrà benissimo — disse lei. La voce le parve perfettamente normale e priva diesitazioni. Anni passati a fronteggiare suo padre celando i suoi veri sentimenti le avevano insegnato adominare la paura.

— Peccato — commentò lui.Lo sentì sistemare i cuscini, poi lo scricchiolare delle molle del materasso le dissero che si era sdraiato

sul letto.— Volete che lasci la luce accesa?— Non è necessario — rispose lei. — Posso muovermi al buio senza problemi.

Restò sorpresa nel sentirlo ridacchiare.— Trovate divertente la situazione, signor Eston?— Trovo divertente voi — rispose. — Più di quanto riusciate a immaginare.Non sapeva se sentirsi offesa o sollevata. Probabilmente un uomo non si sarebbe appro ttato di una

donna che trovava divertente. Chissà, forse avrebbe dovuto fare come Sherazade e raccontargli unastoria. Ma sfortunatamente le uniche storie che conosceva erano quelle della sua vita a Chavensworth. Elui le avrebbe sicuramente trovate noiose.

— Avete viaggiato molto? — gli chiese.— Sì, in passato. Del futuro non posso parlare. Ha molto a che fare con voi.— Non credo che dovreste tenermi in considerazione, signor Eston.Si voltò a guardarlo e fu sollevata di scoprire che era già sotto le coperte. Aveva le spalle nude. Doveva

essere nudo anche il resto.Distolse di nuovo lo sguardo.— Chavensworth vi indurrà a restare qui, signor Eston. È un bellissimo posto, non trovate?— È solo un palazzo, lady Sarah; è da ammirare, ma non lo definirei bellissimo.— Siete così orgoglioso da non poter ammettere che qualcosa vi piaccia? Non un palazzo, né qualcosa

creato da Dio, nulla che voi non abbiate costruito o fatto costruire?— In altre parole, mi considerate uguale al duca di Herridge? — le chiese. — Comincio a pensare che

l’arroganza di vostro padre abbia influito sulla vostra opinione degli uomini. Io non sono come lui.Non era in grado di rispondergli. Solo il tempo, e forse la familiarità, le avrebbero fatto capire chi era

esattamente l’uomo che aveva sposato. Ma in quel momento non era disposta a dirlo. Si limitò invece adannuire.

Un attimo dopo la lampada si spense e si trovarono al buio.— Riesco a sentire il vostro profumo — disse Eston. — Vi sembra giusto?— Prego? — Raggiunse a tentoni la branda e si sedette sul bordo, poi guardò in direzione del letto.

Eston era un’ombra nell’oscurità, ma il poco che intravedeva bastava a farle capire che anche lui eraseduto e la stava guardando. I suoi occhi sembravano quasi brillare come quelli di un gatto.

— È un profumo di rosa. Eccomi qui, novello sposo ancora casto mentre mia moglie che odora di rosee luce di luna giace nella sua solitaria branda.

— Non si può odorare di luce di luna — sentenziò lei. — La luce della luna non ha odore.— È evidente che non avete mai sentito il profumo della notte nel Borneo.— Le uniche volte che sono andata via da Chavensworth è stato per andare a Londra. Che motivo c’è

di viaggiare?— Se dovete domandarlo, vuol dire che la risposta non è importante.Sarah si sentì offesa. Alzò gli occhi al soffitto chiedendosi come ribattere. — Ho sempre amato

imparare cose nuove — disse alla fine.— Non a tutti piace viaggiare. Alcuni sono contenti di restare a casa tutta la vita.— Li disprezzate per la loro scelta? Magari non erano abbastanza ricchi da permettersi di viaggiare.— Qual è la vostra scusa? È stata una libera scelta? O più semplicemente non ne avete mai avuto

l’opportunità? Quale terra esotica vorreste visitare se aveste soldi e tempo per farlo?— Non è il denaro a mancarmi — mentì, odiandosi subito dopo per averlo fatto. — Ma no a poche

ore fa, signor Eston, ero una donna nubile. Le donne nubili non viaggiano, mentre gli uomini celibi sonoincoraggiati a farlo. Inoltre, ben altre responsabilità gravano sulle mie spalle.

Ebbe il buon senso di non ribattere, forse per riguardo verso le condizioni in cui versava sua madre.Ma non cercò nemmeno di addolcire la sua posizione con una frase di circostanza, come avrebbe fatto

qualsiasi persona dotata di un minimo di educazione. Ma lui non era uno qualsiasi e le circostanze in cuisi trovavano non erano certo normali. Nessuna delle regole scritte sul galateo contemplava una similepossibilità.

— Dovrò dormire su una branda per il resto della mia vita? — chiese, dando voce ai suoi pensieri. —Mi aiuterete ad alzarmi al mattino quando sarò tutta indolenzita?

— Intendete crogiolarvi nella vostra ostinazione fino alla vecchiaia?— “Ostinazione” la chiamate? Io lo chiamo “non essere una donnaccia”. Non vi conosco ancora,

signor Eston. Andare a letto con voi significherebbe comportarsi come una donna di facili costumi.— E quindi non vi comporterete mai così con me?La domanda era strana, ma non perché indiscreta. Poteva anche aspettarsi indiscrezione da parte del

suo novello sposo. Piuttosto era il tono della voce, quasi gentile, compassionevole.— Mi è stato inculcato n da piccola che sono la glia del duca di Herridge e come tale la gente si

aspetta che mi comporti, secondo certe regole.— Queste regole non sono valide per gli altri?— Ognuno ha le proprie, secondo il suo ruolo. La cuoca non deve lucidare l’argenteria. Il valletto non

deve montare a cavallo.— E la figlia di un duca non deve provare passione, vero?Si alzò e lo ssò. — Devo insistere affinché non usiate questo tipo di linguaggio di fronte a me, signor

Eston.— Perché ho detto “passione”?— Esattamente. Non sono una donna di strada. Sono sicurissima che non siate abituato a frequentare

donne del mio rango.— Come sono le donne del vostro rango? Di vedute ristrette? Spaventate dalla vita? Ditemi, lady

Sarah, almeno vi togliete il corsetto per andare a letto?— Non ho intenzione di parlare della mia biancheria con voi, signor Eston. Né ora, né mai.— Lo sapete che alle Fiji le donne portano solo un gonnellino di foglie e lasciano i seni liberi di

ballonzolare? È uno spettacolo molto gradevole.Restò sdraiata con le braccia lungo i anchi, gli occhi chiusi e la mente alla ricerca di qualcosa di

diverso su cui concentrarsi.— Mi piacerebbe vedervi a seno scoperto, lady Sarah. Immagino che abbiate un seno abbondante.

Avete i capezzoli rosso corallo o di un rosa delicato?Lei si tirò il lenzuolo sopra la testa, ignorando il fatto che così facendo si scopriva i piedi. Meglio che

facesse commenti sui piedi piuttosto che sul suo seno. Che nemmeno lei aveva mai osato chiamare“seno”, nemmeno con se stessa. Si chiamava “petto”, punto e basta, ma lui stava sottolineando che nonera solo un petto. Aveva anche un seno. Anzi, due.

Se non l’avesse smessa subito, non sarebbe riuscita a addormentarsi. Se ne sarebbe rimasta tutta lanotte umiliata, a ribollire di sdegno anche dopo che lui fosse caduto nel mondo dei sogni, sicuramente dinatura libidinosa.

— Immagino che, non avendo mai visto la luce del giorno, siano deliziosamente sensibili. Avetel’audacia di lavarli, di tanto in tanto? E che sensazioni provate? Piacevoli?

Lei tirò giù il lenzuolo quel tanto che bastava a scoprirsi gli occhi. Ora basta, doveva smetterla.Fantasticare anche su come si lavava era davvero troppo, soprattutto perché era andato pericolosamentevicino alla realtà.

— Immagino che le vostre spalle siano altrettanto belle. Mi piacerebbe vedervi in abito da sera, conaddosso qualcosa di frivolo, completamente diverso dal vostro stile abituale. Qualcosa di molto

femminile.Femminile lo era n troppo. E chi era lui per fare certi commenti? Non si conoscevano che da poche

ore, cosa sapeva di lei?Chiuse gli occhi e pregò di addormentarsi. Di riuscire a ignorarlo. Che qualsiasi cosa lui dicesse non le

facesse più effetto del ronzio di una mosca.— Si dà troppo poca importanza al seno, lady Sarah. I seni sono una fonte di grande piacere per una

donna, lo sapevate? Non servono solo ad allattare un bambino: anche a un uomo adulto piace succhiare.— Smettetela signor Eston.— Douglas.— Devo insistere.— Douglas.— Devo insistere, Douglas.— Buonanotte, lady Sarah.Girò il capo, perplessa. Era stato quello il suo scopo, n dall’inizio? Riuscire a farsi chiamare Douglas?

Possibile che fosse così machiavellico?Era costretta a passare la notte su una scomoda branda e a guardare un marito che non era che un

estraneo. Sarah aveva l’impressione di essere stata in qualche modo raggirata e che Douglas Eston fosseun po’ più astuto di quanto avesse creduto.

6

Un’ora dopo l’alba, Douglas trovò la biblioteca di Chavensworth.Evidentemente il duca di Herridge non era riuscito a lasciare su quella stanza la stessa impronta che

aveva dato alla casa di Londra. Non c’era lusso, là dentro, né ostentazione. I pavimenti e gli scaffali eranodipinti di bianco, mentre il soffitto era verde chiaro. Distribuiti lungo tutta la stanza c’erano busti dimarmo di loso , senza dubbio romani, e di antenati del duca. A un’estremità, sotto i ritratti di unuomo e di una donna, c’erano due pesanti poltrone di velluto.

La biblioteca era disposta su due livelli, uno accessibile dal corridoio principale al piano terra, l’altroattraverso una scala di ferro a chiocciola in mezzo alla stanza. Douglas ispezionò i libri, colpito dalla loroquantità.

Qualcuno si era preso la briga di catalogare tutti i volumi. Su ogni scaffale c’era una targa che indicaval’argomento, mentre la narrativa era archiviata per autore.

Lady Sarah aveva detto di avere letto molti libri. Era stata lei a disporli con tanto ordine? O avevaassunto qualcuno che se ne prendesse cura? In entrambi i casi, voleva dire che per lei la biblioteca eraimportante.

Douglas andò a sedersi sulla poltroncina di fronte alla massiccia scrivania di mogano collocata pressouna delle nestre, tirò fuori di tasca il suo taccuino e cominciò ad annotarsi tutto quanto aveva scopertola notte prima. Come ci si doveva rivolgere a Sarah, e che la glia di un duca non perdeva il suo titolosposandosi ma cambiava semplicemente cognome. Poi si alzò e uscì dalla biblioteca, quasi scontrandosicon Thomas.

Lo aveva evidentemente sorpreso mentre stava svolgendo i suoi doveri mattutini, in quanto il giovanenon era perfettamente abbigliato come il giorno prima, ma indossava invece un grembiule di pelle eattorno a lui aleggiava un odore penetrante e sgradevole.

— State pulendo i bagni? — chiese Douglas.— No, signore, sto lucidando il rame — rispose omas. — Per ottenere il detergente, ho mischiato

alcuni ingredienti secondo una ricetta che mi ha dato lady Sarah. Non volevo disturbarvi.Douglas registrò l’informazione.— Posso fare qualcosa per voi, signore?— No — rispose Douglas. — Mi alzo sempre presto al mattino.omas annuì e se ne andò, ma Douglas si accorse che lo aveva fatto con una certa riluttanza.

Pensava forse che intendesse rubare l’argenteria? C’era stato un tempo in cui non ne avrebbe escluso lapossibilità, ma ora non più, visto che possedeva abbastanza denaro da comprarsi una dozzina diproprietà come Chavensworth. Forse aveva un’aria poco per bene. In fondo, qualcosa dei vicoli di Perthdoveva pur essergli rimasta appiccicata addosso.

Scacciò il pensiero e continuò l’esplorazione.

Quando Sarah si svegliò al mattino scoprì che suo marito non c’era.Si sedette con difficoltà sull’orlo della branda. Ci aveva messo ore a addormentarsi e si era risvegliata

stanca e con tutti i muscoli indolenziti. Le era mancato il suo letto, con il soffice materasso di piume e lelenzuola che odoravano di lavanda.

Bene, se quella doveva essere la sua vita da sposata, avrebbe cercato di adattarsi nel miglior modopossibile. Avrebbe ordinato al carpentiere del palazzo di costruirle un letto come si deve e le cameriereavrebbero preparato un materasso su misura. Anche se più piccolo del suo letto normale, sarebbe statosempre più comodo della branda da campo in cui aveva trascorso la notte.

Il signor Eston, anzi, Douglas, doveva avere dormito come un bambino. La similitudine la feceimmediatamente pensare alla testolina di un bimbo appoggiato al petto, con le labbra sul capezzolo. Siportò le mani al seno, come per proteggersi da quell’immagine. La sua voce le risuonava ancora nelleorecchie. “Non servono solo ad allattare un bambino: anche a un uomo adulto piace succhiare.”

Era troppo colta e intelligente per essere superstiziosa, altrimenti si sarebbe convinta che la sua voceavesse poteri magici. Con quei timbri bassi e quel modo particolare di pronunciare certe parole, come sel’inglese non fosse la sua lingua madre, era sicuramente una voce affascinante. Dov’era nato? Era solouna dell’infinita serie di domande che avrebbe voluto rivolgere all’uomo che era diventato suo marito.

Sarah si alzò e si avvicinò al suo letto, appoggiandosi a una delle quattro colonnine del baldacchino eguardando le lenzuola stropicciate. Poteva ancora visualizzarlo, sdraiato, nudo e abbandonato nel sonno,un braccio disteso con la mano aperta protesa verso di lei come per raggiungerla.

Sbatté le palpebre e l’immagine scomparve. Si voltò e scese dalla pedana che sosteneva il letto, poilasciò l’appartamento ducale e tornò nella sua stanza. Si vestì prima che arrivasse Florie, scegliendo unofra le dozzine di abiti da giorno che si era fatta cucire dalle sarte che lavoravano a Chavensworth. L’avevadisegnato lei stessa e si allacciava davanti, in modo da poter essere indossato senza l’aiuto di unacameriera. Così facendo, aveva risparmiato ore e ore di lavoro. Ma quel giorno attese l’arrivo di Florie perun motivo preciso. Aveva bisogno che si occupasse della sua pettinatura.

— È un segno di vanità — disse, guardando Florie spazzolarle accuratamente ogni ciocca prima dissarla in un nodo dietro la sommità del capo. — Sono solo capelli. Non dovremmo dare tanta

importanza a come ci pettiniamo.Il suo sguardo intercettò quello di Florie che stava prendendo una forcina che teneva stretta fra le

labbra. — Perché no, lady Sarah? Non vi darebbe fastidio una macchia sul vestito? Perché non dovrestepreoccuparvi dei vostri capelli? Una donna deve prendersi cura di queste cose. Se non lo facessimo,saremmo come gli uomini.

— Se così fosse, avremmo potere — disse Sarah. — Potremmo marciare a petto in fuori come galli,mostrare la cresta e dare ordini a destra e manca.

Florie non fece commenti. Per fortuna. Perché aveva dato tanta con denza alla cameriera? Forseperché non poteva più confidarsi con la madre? Forse si sentiva sola.

Assurdo. Non aveva tempo di sentirsi sola. Soprattutto, non ne aveva il tempo quel mattino. Nonmancavano le cose da fare, a Chavensworth, dopo tre giorni d’assenza.

Ringraziò Florie e uscì dalla stanza con il suo diario e una matita. Raggiunse le scale, si appoggiò alcorrimano e cominciò a scendere. Con le dita sentì che il legno non era sufficientemente liscio. Non c’eraabbastanza cera. Si ripromise di discuterne con il maggiordomo. Osservò anche la polvere che si eraaccumulata sulle cornici dei ritratti alle pareti.

C’erano tanti angoli belli a Chavensworth, tante cose da ammirare. La storia della sua famiglia eratutt’attorno a lei: nelle vetrinette, sulle mensole, appesa alle pareti. L’eredità culturale a lei destinata sitrovava in ogni quadro, nei vasi da fiori, nei libri della biblioteca, nei ninnoli preziosi.

Sarah fece un cenno a una giovane servetta che con una spazzola sfregava furiosamente il pavimentoalla base delle scale.

— Buongiorno, Abigail. Come va il dente?La ragazza sorrise mostrando la fessura dove il dente incriminato si era trovato no a pochi giorni

prima. — Ci ha pensato il fabbro a strapparmelo, lady Sarah. Fa ancora un po’ male, ma non comeprima.

Accarezzò gentilmente la ragazza su una spalla. — Fatti vedere dalla signora Williams e dille che ti horaccomandato dell’olio di garofano. Spalmalo sulla gengiva al mattino e alla sera e vedrai che ti sentiraimeglio.

La domestica annuì e riprese a lavorare.Sarah entrò nella sala da pranzo gialla, la più piccola, dove di solito faceva colazione, e fece un cenno

a una cameriera. La ragazza abbozzò un inchino, andò in cucina e ne ritornò dopo un attimo con unateiera fumante che appoggiò su un carrello.

La colazione era disposta di fronte a lei secondo le regole che sua madre aveva sempre insistitoaffinché venissero rispettate a Chavensworth.

Una tovaglia nemente ricamata in varie sfumature di porpora era drappeggiata sul tavolo. Sopra,disposte con ordine accurato, c’erano le posate. Seguivano i piattini di ceramica per il burro, ciotole pienedi uova, bricchi di latte e panna. Tre fornelli mantenevano calde le salsicce e altre varietà di carne. Panetostato, brioches e dolci alla cannella erano nel paniere vicino alla teiera.

Strano che non avesse fame.Avrebbe voluto chiedere se qualcuno aveva visto suo marito, ma non era il tipo di domanda che

poteva rivolgere alla servitù.Prese una fetta di pane tostato e si versò del tè prima di avvicinarsi al cibo disposto su una credenza

vicino alla nestra. La vista che da lì si godeva era il simbolo stesso di Chavensworth, della bellezzamaestosa di quella proprietà. Di fronte a lei si stendevano a perdita d’occhio dolci colline coperte di prativerdi e di campi di lavanda. Più lontano dei cottage e, subito dopo, iniziava una fitta foresta.

Doveva trovare suo marito. Era n troppo facile perdersi nelle duecento stanze di Chavensworth.Forse il signor Eston – anzi, Douglas – aveva fame. I suoi doveri di padrona di casa, di castellana diChavensworth, superavano ogni sentimento di irritazione nei suoi riguardi.

Mordicchiò un po’ del suo toast e fece cenno a uno dei valletti che attendevano fuori dalla sala cheaveva finito di fare colazione, poi si alzò avviandosi verso la stanza di sua madre.

Nel foyer si sistemò il colletto, poi appoggiò le mani in grembo schiacciando la gonna per controllareche le scarpe fossero in ordine. Anche se sua madre non era ancora riemersa dal suo sonno innaturale,Sarah non si sarebbe mai permessa di comparire alla sua presenza vestita in modo meno che impeccabile.

La duchessa di Herridge teneva moltissimo alle apparenze.Lentamente Sarah aprì la porta, scrutando nell’ombra in cerca di Hester.Seduto sulla poltrona di anco al letto, invece di Hester, c’era suo marito che non manteneva un

rispettoso silenzio, al contrario, sembrava impegnato in una vivace conversazione con sua madre, come sefossero già stati regolarmente presentati.

— ... non ha detto una sola parola per ore. Avrei pensato che fosse perché è timida, ma il lampo neisuoi occhi mi ha fatto capire che la conclusione era sbagliata.

— Non sta bene che vi sediate al capezzale di un’invalida — disse Sarah entrando nella stanza echiudendosi silenziosamente la porta alle spalle. — Specialmente se si tratta di mia madre.

— Andava bene ieri — ribatté Douglas, per nulla sorpreso dal suo arrivo improvviso. — Perché oggino?

Decise di ignorare la domanda e di fargliene una lei. — Di cosa stavate parlando?— Le stavo raccontando del nostro matrimonio.— Non deve saperlo — disse lei in fretta. — La notizia la disturberebbe.— Siete la sua unica glia — rispose guardandola. — Sana o malata che sia, vorrà sapere cosa vi

succede.— Non può sentirvi — disse Sarah sedendosi sulla sedia di Hester.— Come fate a esserne sicura? Forse sorride nel sonno.Guardò sua madre chiedendosi se Douglas stesse scherzando, ma non c’erano cambiamenti nella sua

espressione. Douglas non stava sorridendo, ma aveva un’aria così intensa che Sarah si chiese a cosa stessepensando.

— Non so come potrei vivere senza di lei — mormorò Sarah, in un impulso di sincerità.Douglas non rispose. Rimasero a lungo seduti insieme in silenzio. Poi, una decina di minuti dopo,

Sarah si alzò, andò dall’altro lato del letto, si chinò in avanti e baciò sua madre su una guancia.— Tornerò a mezzogiorno, mamma — disse a voce bassa, come se sua madre potesse sentirla. Poi

guardò Douglas. — Ho delle cose da fare.— Certo. — Una risposta cortese, ma che non corrispondeva all’espressione nei suoi occhi.Era seccato con lei? Arrabbiato? O solo curioso? Strano che Sarah non potesse decifrare il suo stato

d’animo, in genere era molto brava nel capire le persone, ma Douglas restava un mistero. La cosa non lepiaceva per niente.

Si rifugiò in un silenzio composto e uscì in fretta.

Douglas restò seduto a anco della duchessa per un altro quarto d’ora, assaporando il senso di paceche c’era nella stanza.

La vita a volte si accaniva contro una persona, prendendola di sorpresa e, in certe occasioni,sopravvivere da soli era impossibile. Quando succedeva, era importante avere qualcuno a anco, che tiaiutasse con la sua presenza.

Aveva otto anni quando i suoi genitori erano morti di colera, quattordici quando Alano lo avevasalvato. A quell’epoca era ancora un ragazzo acerbo e inesperto della vita, ma convinto di essere già unuomo. Invece Sarah avrebbe potuto contare sul suo appoggio, ma sarebbe stata disposta ad accettarlo? Oavrebbe continuato a ignorare la sua presenza così come voleva ignorare il fatto che sua madre stavamorendo?

7

Sarah cominciò la sua mattina come ogni altro giorno, incontrandosi con la signora Williams. Trovò lagovernante nello sgabuzzino del maggiordomo e restò per un attimo a guardarla compiaciuta mentremescolava gli ingredienti da usare per la pulizia dei mobili. Delle cinquanta persone impiegate aChavensworth, solo quindici lavoravano all’interno del palazzo ed erano sempre all’opera.

— Se non vi spiace — disse alla signora Williams — potremo incontrarci questo pomeriggio fra le duee le tre per discutere il menu di stasera.

La signora Williams annuì. Era una donna di poche parole che dedicava tutte le sue energie al lavoro,un punto a suo favore per quanto riguardava Sarah.

— Sono sicura che avrete saputo che mi sono sposata, signora Williams.La donna si limitò a sospendere il lavoro e voltarsi a guardare Sarah. Come al solito la signora

Williams aveva quell’aria da gatta contenta, sempre pronta a fare le fusa, mai irritata. Il suo viso tondoera costantemente colorito di un rosa che le arrivava no alla punta del naso e gli occhi azzurririsplendevano di una luce benevola. Era adorata da tutta la servitù.

— Sì, lady Sarah, mi è stato riferito. Congratulazioni. Immagino che darete una festa.Sarah sbatté per un attimo le palpebre.— Una festa? — ripeté, cercando disperatamente una scusa. — Oh, no, signora Williams, non mi

sembra il caso, visto lo stato di salute di mia madre.— Come preferite, lady Sarah.Con ciò la questione era chiusa. Pochi minuti dopo Sarah se ne andò, entrò in cucina, rivolse un

cenno di saluto alla cuoca e agli sguatteri, passò in lavanderia e nalmente raggiunse il ripostiglio in cuivenivano custoditi i prodotti per la pulizia.

Ogni settimana faceva l’inventario. Stracci, scope, spazzoloni, spatole per rimuovere la cera daicandelabri.

Douglas aveva detto che gli sarebbe piaciuto vederla a seno scoperto.Appoggiò le dita a uno degli scaffali e guardò, senza vederle, le spazzole per la polvere.Lui quella mattina era andato a fare compagnia a sua madre e invece lei non aveva fatto pensare a

quello che altro che le aveva detto. Si era immaginato i suoi seni!Abbassò gli occhi e si guardò.Aveva stretto il corsetto a sufficienza, come la buona creanza richiedeva? Si era comportata da

signora? O non aveva, forse inconsciamente, evitato di stringere a fondo i lacci in modo da lasciare ilcorsetto un po’ allentato?

Sciocchezze.A quell’ora le cameriere dovevano avere già cominciato a pulire l’appartamento ducale e a rifare sia il

letto che la branda. Si sarebbero chieste perché non aveva dormito con suo marito?Si sarebbero chieste perché l’aveva sposato?Non poteva impedire loro di spettegolare e nemmeno spiegare come stavano veramente le cose;

discutere dei propri fatti personali con la servitù sarebbe stato inaccettabile. Ognuno aveva il proprioposto a Chavensworth e ognuno i propri doveri.

Senza regole né doveri, sarebbe stato il caos. Perfino a Chavensworth.

omas lo accompagnò per buona parte del tragitto e si lasciò convincere a lasciarlo solo dopo cheDouglas gli ebbe assicurato che era in grado di chiedere informazioni ai valletti. Il vicemaggiordomo glidiede sufficienti indicazioni da consentirgli di arrivare fino alla sala da pranzo.

Douglas ri etté che non c’era bisogno di mura per difendere Chavensworth: la proprietà era così vastae complessa che qualsiasi invasore si sarebbe perso per sempre in quel labirinto di corridoi.

Fece colazione a base di porridge e aringa affumicata, poi andò in cucina a complimentarsi con lacuoca.

Era una donna massiccia dai riccioli biondi raccolti in un nodo dietro la testa, con un vestitoarancione e un grembiule rosso strettamente annodato in vita.

— Grazie, signore — disse la cuoca arrossendo.— Prego. Dall’accento direi che siete scozzese. O mi sbaglio?— Certo, signore, sono di Glasgow.Gli sguatteri, sparsi nei vari punti della cucina, sembrarono allungare le orecchie per non perdersi la

risposta di Douglas.— Ne ero certo. Un porridge così delizioso non poteva che essere il frutto di una mano scozzese.Lasciò la cucina senza farsi indicare la strada. A volte le avventure più entusiasmanti si svolgono là

dove non ci sono cartelli a segnare la via.Si ritrovò in una stanza che in qualsiasi altro castello sarebbe stata considerata un salone. Le pareti

erano ricoperte di quadri dal pavimento al soffitto e tre candelabri di cristallo illuminavano l’intera zona.Gruppi di poltrone, ciascuno con una lampada, erano disposti in diversi punti, come per invitare ivisitatori a soffermarsi, mentre altri due divani erano sistemati di fronte a un caminetto così grande daaccogliere una persona in piedi. Alcuni paraventi cinesi di mogano mascheravano la porta all’estremitàopposta, e la tappezzeria di damasco dorata che ben si armonizzava con le decorazioni dava il tocco

nale, con il risultato che, nonostante le dimensioni, la stanza era accogliente, confortevole erassicurante. Avrebbe potuto ospitare un centinaio di persone e, allo stesso tempo, una coppia sarebberiuscita a scovare un angolino in cui appartarsi.

Chavensworth disponeva di un gran numero di saloni, salette e stanze riservate alle più disparateattività, dalla musica al gioco delle carte. Al terzo piano c’era una grande sala da ballo, vuota e in stato diabbandono. Altri locali erano evidentemente usati come uffici.

Dove scompariva lady Sarah durante il giorno?Non si prese la briga di aprire le numerose porte al secondo piano, che davano evidentemente accesso

alle varie stanze da letto per gli ospiti.Uscì invece sul retro del palazzo e si avviò verso le scuderie. Una curiosa combinazione di odori lo

colpì: il profumo di lavanda che proveniva dai campi si mischiava al penetrante odore delle stalle. Sorrisee immediatamente si sentì a casa. Non si trovava in qualche provincia dell’India o in un minuscolo paesedell’Asia orientale popolato da persone dall’aspetto strano. No, era veramente nel suo paese, dove siparlava inglese e i comportamenti delle persone erano prevedibili e improntati al rispetto delle regole.

L’aria era calda e una brezza sostenuta gli gon ava la giacca. Il cielo era di un azzurro intenso, senzauna nuvola in vista a intaccarne la purezza.

Quante volte in vita sua aveva desiderato trovarsi esattamente dov’era in quel momento, a percorrereun sentiero di campagna verso una destinazione ancora sconosciuta, consapevole solo della serenità chelo pervadeva? Non era in pericolo di vita. Nessuno lo avrebbe attaccato per le scoperte che aveva fatto.Là, a Chavensworth, sentiva un senso di pace e di sicurezza che non provava da molto tempo.

Era quasi arrivato alle scuderie quando ne udì i suoni inconfondibili. Un martello che batteva suun’incudine, il nitrire dei cavalli, i richiami dei lavoranti. Improvvisamente la sua attenzione fu attrattada qualcosa sulla cima di una collinetta. Abbandonò il sentiero seguendo una pista nell’erba e nel giro diqualche minuto arrivò sulla sommità del dosso, dove si fermò, stupefatto.

Di fronte a lui sorgeva una struttura esagonale coperta da una cupola di rame. Ricordò le parole diSarah: “Amo osservare le stelle”.

Aprì la porta e guardò dentro. Era scuro e umido e il pavimento di terra battuta emanava un acre

odore di muffa. Un telescopio era appeso con dei cavi a una puleggia. Douglas lo abbassò, lo sciolse e loappoggiò alla parete, poi misurò mentalmente la stanza, chiedendosi se potesse andare bene per i suoiscopi. Diverse mensole erano affisse alle pareti e il pavimento era coperto da una serie di griglie.D’inverno sarebbe stato necessario riscaldarlo, ma c’erano ancora mesi di bella stagione prima dipreoccuparsi del freddo.

Il padiglione aveva anche un altro vantaggio: era isolato e fuori mano e, visto che doveva maneggiareprodotti chimici tossici e in ammabili, non ci sarebbero stati pericoli né per gli altri edi ci della proprietàné per le persone. Soprattutto, l’isolamento gli avrebbe garantito la riservatezza di cui aveva bisogno.

Stava per cambiare il mondo, e meno il mondo ne sapeva, meglio era.

8

Avrebbe dovuto essere felice. Estasiata. Suo marito era scomparso e non c’era un’anima a Chavensworthche sapesse dove si trovasse. Nessuno, neanche omas. Non lo trovò nemmeno da sua madre, quandoa mezzogiorno andò a farle visita.

Invece la sua scomparsa la indispettì. Dov’era nito? Gli era successo qualcosa? Possibile che, contutte le cose che aveva da fare, dovesse anche preoccuparsi di lui? Aveva l’obbligo morale di trovarlo.

Mandò un valletto alle scuderie a chiedere se qualcuno l’avesse visto là. Forse era uscito a cavallo perun giro nei dintorni. Sperava che, in tal caso, il sovrintendente gli avesse raccomandato di nonallontanarsi dalle vie principali. I campi erano pieni di tane di lepri e cunicoli e un cavallo potevafacilmente inciampare, rischiando di rompersi una zampa. Disse a omas di mandare un valletto alfiume, dove c’era la casa galleggiante.

Ma c’era ben altro a cui pensare a palazzo per poter mandare altri servitori alla ricerca del signorEston. Cercò di tornare a occuparsi della supervisione della servitù, ma la mente continuava a riandare asuo marito.

E se si fosse inoltrato nei campi e fosse caduto in una delle trappole messe dal guardacaccia? Nonl’avrebbe mai perdonato. Un conto era accettare di sposarlo, un altro lasciare che la distraesse dai suoilavori a causa della sua stupidità.

— Lady Sarah?Si voltò e trovò Thomas in piedi a guardarla, il viso contratto da una smorfia.— Che c’è? È mia madre? — Il cuore le saltò un battito.Scosse il capo in fretta. — No, lady Sarah. Il signor Eston...Il cuore riprese a batterle in fretta. — Si è fatto male?— No. — Thomas esitò e Sarah cominciò a battere un piede impaziente.— Allora? Cosa gli è successo?— Il sovrintendente delle scuderie ha detto che stamattina si è presentato da lui il signor Eston. Era

appena arrivato un carro da Londra con delle casse, e lui l’ha condotto via. È ritornato più tardi perriportare i cavalli. Non ha detto dove aveva portato il carro.

Sarah sbatté più volte le palpebre. Più guardava Thomas, meno capiva il significato delle sue parole.— Dov’è adesso?— Nessuno lo sa.Perché doveva preoccuparsi per Douglas Eston? Ci si preoccupa per qualcuno solo se si prova affetto

per lui. E lei non aveva nessun tipo di relazione con quell’uomo, se non di natura legale.“Mi piacerebbe vedervi a seno scoperto.”Signore Iddio, cosa andava a pensare?

— Bene — disse. La vita a Chavensworth non sarebbe cambiata molto con o senza di lui. Era comeuna goccia di pioggia in una tempesta.

Alle sei, dopo aver completato i suoi doveri, si lavò mani e viso, si spazzolò i capelli e andò a tenerecompagnia alla madre.

— Nessuna novità? — chiese a Hester.L’infermiera scosse il capo senza staccare lo sguardo dalla duchessa.La donna sembrava ancora più emaciata del giorno prima. Sarebbe nita così, consumandosi giorno

dopo giorno no alla ne? Era quello che sarebbe probabilmente successo se non avesse ripresoconoscenza almeno quel tanto che bastava per bere un po’ d’acqua.

— Cosa possiamo fare? — domandò, ma non udì la risposta di Hester. L’infermiera era uscitasilenziosamente dalla stanza.

Sarah avvicinò la sedia al letto e posò le dita sul polso di sua madre. Aveva la pelle fredda come sefosse morta.

Forse se le avesse parlato l’avrebbe sentita. Sarebbe ritornata in vita? Avrebbe riaperto gli occhi?— Ho fatto lavare la tovaglia, quella con le macchie di vino. È già la quarta volta che la mando in

lavanderia, credo che dovremo lavarla altre due o tre volte prima che le macchie spariscano del tutto. Hoanche ordinato di far imbiancare la scuderia e credo che sia ora di potare le siepi. So che non vi piace checrescano troppo. — Sua madre adorava le siepi del giardino.

— Ho l’impressione che la sguattera più giovane sia in stato interessante — disse sospirando. — Nonso come fare a entrare in argomento. Le ho fatto capire che sono sempre disponibile ad ascoltarla,qualsiasi problema abbia, ma credo che preferirebbe parlarne con voi, mamma. — Sorrise. — Ecco, cosìavete un altro incentivo per guarire. Chavensworth ha bisogno di voi.

Restò in silenzio qualche secondo prima di riprendere. — Sono così abituata a chiedervi consigli, maquando non mi rispondete non so cosa fare. Credo di sapere cosa mi avreste detto e cerco di usare ilbuon senso, come mi avete insegnato. Ma a volte è importante avere anche la vostra approvazione.

Le prese la mano e se la portò alle labbra. — Vorrei tanto che vi risvegliaste. Spero che voi possiatesentirmi. — Si appoggiò il palmo della mano alla fronte e sentì il profumo di lavanda del materasso.

Poi si obbligò a proseguire.— Il Circolo delle signore ha chiesto se possono usare il Rose Garden per il loro tè annuale. Ho detto

di sì, ma ho suggerito che limitino il numero di partecipanti a cinquanta. L’anno scorso c’era troppagente e il roseto ha subito danni. Poi ho detto a omas di ispezionare le livree dei valletti. Sperosinceramente che non dovranno sostenere altre spese, ma se così fosse è meglio saperlo in anticipo. — Eraun principio che sua madre le aveva inculcato fin dall’infanzia.

— Ci sono alcune riparazioni da fare al tetto nell’ala nord. Niente di serio, ma voglio essere sicura chei lavori siano finiti prima del prossimo temporale.

La duchessa di Herridge continuò a non rispondere.— Cosa farei senza di voi? — chiese Sarah nel silenzio della stanza. — Chi mi darà consigli? Chi mi

racconterà le sue storie o mi terrà allegra?Non ci fu risposta, solo il suono lieve del respiro della duchessa, che sembrava ancora più debole del

giorno prima.Sarah chinò il capo e cercò di ricordarsi una preghiera, la preghiera perfetta, in grado di attrarre

l’attenzione del Padre Eterno. Se fosse riuscita a trovare le parole giuste, forse Dio avrebbe avutocompassione e sarebbe intervenuto.

Voleva piangere, ma le lacrime non uscivano, era come se una diga le bloccasse. Forse un giornoavrebbero raggiunto un livello tale da traboccare. Senza dubbio la servitù la riteneva una donna calma e

compassata, forse per no fredda e priva di sentimenti. Ma il suo dolore era un fatto privato, non materiadi pettegolezzo. Lo riservava per l’intimità della sua stanza, dove nessuno poteva sentirla.

Accarezzò con le dita la pelle di sua madre, nella speranza di riuscire in qualche modo a riscaldarla unpo’.

Com’era strano che non riuscisse a ricordare un solo momento felice del suo passato. Non potevastaccare la mano da sua madre, nemmeno allontanarsi con la mente.

Ridusse la voce a un bisbiglio. — Non vi ho ancora detto che mi sono sposata, vero? — Fece unapausa, come per dare a sua madre il tempo di rispondere.

— È piuttosto un bell’uomo, mamma; con un po’ di fantasia potresti vederlo come un cavaliere inarmatura con l’elmo sotto il braccio. È piuttosto autorevole, ma all’inizio non lo dà a vedere. Ho notatoche è il tipo d’uomo a cui piace studiare una situazione prima di decidere cosa fare. Ma, una volta che hadeciso, agisce con grande determinazione. Non è arrogante, né maleducato, ma fa sentire la sua presenza.Come un masso, o una quercia, e sai che non riuscirai a smuoverlo.

Sarah tracciò delle linee con le dita sul lenzuolo. C’erano tante domande che avrebbe voluto rivolgerea sua madre, ma l’imbarazzo la bloccava. Domande che riguardavano il modo di comportarsi con gliuomini. Non per quanto riguardava il sesso, era cresciuta in campagna e aveva visto come siaccoppiavano gli animali, ma su cose di natura diversa. Era possibile che una donna fosse curiosa degliaspetti sici del matrimonio anche se non conosceva bene l’uomo? Poteva provare interesse per il sesso osarebbe stato considerato un comportamento da donna di malaffare?

Se una donna niva per trovarsi a letto nuda con un uomo molto attraente, avrebbe potuto lasciarsisedurre? E se quell’uomo molto attraente fosse stato suo marito?

Non aveva nessuno a cui chiedere e dovette restare a crogiolarsi nella sua beata ignoranza. Sospirò.— È davvero molto bello — disse abbassando ancora di più la voce. — Ma non è la bellezza la prima

cosa che si nota in lui. Diciamo che decisamente non passa inosservato.“Si fa notare come noteresti un fulmine che ti cada vicino.”Cosa avrebbe pensato sua madre di Douglas Eston? Le sarebbe piaciuto? Lei aveva avuto la capacità di

tirare fuori i lati migliori delle persone, un tratto che Sarah sapeva di non avere ereditato. All’inizio si erasforzata di credere che ogni persona con cui entrava in contatto fosse gentile, generosa e avesse a cuoresoprattutto il bene degli altri.

Fintanto che sua madre era rimasta cosciente e aveva potuto darle consigli, era stato più facile crederein certi ideali. Forse aveva ereditato parte del cinismo di suo padre.

Cosa avrebbe pensato sua madre di Douglas Eston? Cosa ne pensava lei, già che era in argomento?Non lo conosceva per nulla. Avevano passato insieme un giorno e una notte, durante la quale nonl’aveva nemmeno s orata. Non aveva preteso nulla da lei, non aveva voluto cambiarle la vita. Certo, leinon gliene aveva dato l’opportunità, né intendeva farlo in futuro. La sua vita sarebbe continuatainalterata, non sarebbe bastato un marito inopportuno ad alterarle l’esistenza.

Era troppo ostinata?Era stato gentile a passare la mattina a parlare con un’inferma. Cosa le aveva detto? Avrebbe tanto

voluto saperlo.Restò vicino a sua madre un’altra ora cercando di non pensare troppo a Douglas Eston. Alla ne si

alzò e si chinò a baciarle la guancia.Nel corso dell’ultima ora, senza che lei se ne accorgesse, Hester era silenziosamente ritornata al suo

posto ai piedi del letto. Mentre usciva, Sarah le posò una mano su una spalla. Chissà se avrebbe capitociò che intendeva con quel gesto, le parole che non aveva avuto la forza di pronunciare.

“Vi prego, abbiate cura di lei. Vegliate su di lei come se fosse la persona che più amate al mondo.” Ma

l’unica cosa che riuscì a dirle prima di lasciare la stanza fu: — Fatemi sapere se ci sono novità, Hester.L’altra donna annuì.

9

Sarah passò per la sua camera da letto e raccolse tutto ciò che le serviva per la notte, poi andònell’appartamento ducale ed entrò in bagno.

Era stato costruito da suo nonno che aveva la mania del Medio Evo e una volta, in Francia, avevatrovato una vasca da bagno di pietra proveniente da un antico castello. Se l’era portata a Chavensworth el’aveva installata in quella stanza, su un’ampia piattaforma.

Sarah accese le candele, ne portò tre nella stanza da bagno e aprì il rubinetto dell’acqua fredda perriempire la vasca. Suo padre, a Londra, aveva l’acqua calda, ma a Chavensworth non c’erano maiabbastanza soldi per installare una caldaia. Aspettò che la vasca fosse piena a metà, poi uscì in corridoio.Come aveva ordinato, due valletti la stavano aspettando, ciascuno con due brocche d’acqua bollente.

— Buonasera, lady Sarah — disse il più alto dei due.— Siete in perfetto orario, Jamison.Il valletto sorrise, il che non era esattamente la cosa più appropriata da fare, ma Sarah non lo

rimproverò, facendosi invece da parte per consentire ai due uomini di portare le brocche nella stanza dabagno. Dopo che se ne furono andati, chiuse la porta e versò tre delle quattro brocche nella vasca. Soloallora si spogliò sistemando con ordine gli abiti sullo sgabello vicino alla vasca.

Entrò nuda nell’acqua e si abbandonò al tepore, rimpiangendo di non avere sali da bagno profumati.Un altro tocco raffinato che non poteva permettersi. Appoggiò la nuca contro il bordo di pietrachiedendosi a chi fosse appartenuta originariamente la vasca.

Poi prese la saponetta e si lavò il viso, quindi passò ai piedi, alle gambe e al ventre. In ne si cinse legambe con le braccia e appoggiò una guancia alle ginocchia. Quando si abbandonava al pianto, lo facevacosì, in quella posizione, nella vasca, dove nessuno avrebbe potuto sentire i suoi singhiozzi. Nessunacameriera avrebbe mai osato entrare negli appartamenti ducali senza autorizzazione.

Ma quella sera le lacrime non arrivarono, respinte dall’irritazione e forse anche da un pizzico dicuriosità.

Non aveva mai desiderato avere un marito. Quindi perché doveva importarle qualcosa se n dalprimo giorno era sparito? Forse non sarebbe ritornato mai più. Forse era rientrato a Londra per dire asuo padre che l’affare non si poteva concludere, che non aveva nessuna intenzione di passare il resto dellavita con lei.

Dov’era suo marito? Quando, esattamente, si sarebbe dovuta preoccupare?Si insaponò di nuovo le mani e prese a lavarsi le spalle, scendendo poi lungo le braccia, no ai polsi,

poi su di nuovo, no al petto. Douglas voleva vederle il seno? Era per quello che se n’era andato? Perchénon si era comportata da sgualdrina?

Doveva ammettere che aveva un bel seno. Forse un po’ troppo prosperoso, ma sodo. I capezzoli eranorosa e rivolti all’insù. Gli passò sopra la saponetta, poi sparse la schiuma tutt’attorno.

Doveva sentirsi perversa?Il suo petto era parte di lei, come il naso o le orecchie. Se non provava vergogna a toccarsi la punta del

naso, doveva provarne per il seno? Be’, non se ne vergognava affatto.Sarebbe stato diverso se l’avesse toccata lui? Avrebbe provato qualche sensazione strana? Non glielo

avrebbe mai concesso. Aveva detto anche di volerglieli succhiare. Come si sarebbe comportata se avessepreteso di farlo? Perché il cuore le batteva così in fretta?

Fissò la parete opposta. Forse non era stato un male che suo marito se ne fosse andato. Meglio perderelui piuttosto che il buon senso.

Finì il bagno, si asciugò e tornò nella camera da letto. Guardò rassegnata la branda che l’aspettava.Suo marito non c’era e non aveva la minima idea di quando sarebbe ritornato, ammesso e non

concesso che tornasse. Perché doveva dormire in quella scomoda branda? Perché nell’appartamentoducale? Poteva benissimo tornare nella sua comoda stanza.

Ma nonostante continuasse a ripeterselo, i piedi si ri utavano di ubbidirle e restarono fermidov’erano, senza andare verso la porta. Bene, non sarebbe ritornata nella sua stanza. Ma non avrebbedormito sulla branda. Nel letto ducale quella notte ci avrebbe dormito lei.

Andò alla porta e prese la precauzione di chiuderla a chiava. Se suo marito fosse ritornato avrebbetrovato la porta sbarrata, un chiaro segno di irritazione nei suoi confronti.

Si tolse la vestaglia e si sistemò la camicia da notte in modo che non le si attorcigliasse alle caviglie.Chissà come sarebbe stato dormire completamente nuda. Era un comportamento decadente escostumato? Eppure qualche volta in passato la tentazione l’aveva s orata, ma all’ultimo momento le eratornato il buon senso. Cosa avrebbe fatto se Margaret l’avesse chiamata all’improvviso nel cuore dellanotte per accorrere al capezzale di sua madre? Cosa avrebbe detto la servitù? Di lady Sarah non si dovevadire altro che bene.

Scorse la luna dall’apertura fra le tende. Si alzò e andò ad aprirle completamente, tutta la stanza fuinvasa dal chiarore pallido. Aprì anche le nestre: non aveva mai creduto che l’aria della notte facessemale. Si sentiva il profumo dei campi di lavanda e delle rose nel giardino.

Chavensworth era silenziosa quella notte. Avrebbe preferito un rumore qualsiasi, piuttosto che quelsilenzio irreale. Per no i gu sembravano tacere, non si sentiva nemmeno il garrito delle volpi checorrevano nel bosco.

Non venivano suoni nemmeno dalla casa. Di solito si sentiva sempre uno scampolo di conversazionequando un servitore ne incontrava un altro nei corridoi, o qualche risatina soffocata.

Tornò a letto, si in lò sotto le coperte e appoggiò la testa sul cuscino che Douglas aveva usato la notteprima. Anche se le lenzuola erano state cambiate – ce n’erano più che a sufficienza negli armadi dapoterle cambiare ogni giorno – ne sentì l’odore.

Non era lì, ma in qualche modo era come se ci fosse. Irritata con se stessa, si rigirò e allungò unamano no al bordo opposto del letto. Non c’era nessuno, nemmeno lo spettro di Douglas, ovunque luifosse.

Era insofferente delle restrizioni che il matrimonio gli imponeva? C’era qualcun’altra nella sua vita,qualcuna che amava? In n dei conti, come si era spinto n quasi ad ammetterlo apertamente di fronte alei, l’aveva sposata solo per interesse.

Trovò strano che la sua presenza si sentisse anche dopo che se n’era andato. Ancora una volta sisorprese a chiedersi dove fosse.

Restò sdraiata sulla schiena a guardare la sommità del baldacchino, solo un’ombra nel buio. Sapevache c’era ricamato sopra lo stemma di famiglia, ma nell’oscurità non era in grado di vederlo.

Era il momento di recitare le preghiere, di implorare l’Onnipotente che facesse guarire sua madre, diinvocare la sua benedizione su Chavensworth e tutti coloro che ci vivevano e ci lavoravano e per i quali sisentiva responsabile. Una volta finito, chiuse gli occhi e cercò di addormentarsi.

Cinque minuti più tardi, tornò a sedersi, ridiede forma al cuscino a suon di pugni e si sdraiò dinuovo.

Doveva dormire, l’indomani l’aspettava una giornata pesante.Perché il ticchettare dell’orologio sulla mensola del caminetto era così forte?

Si voltò su un anco, tirò su le coperte no al mento e ssò il buio. Da bambina aveva sempre amatoil buio. Le era sembrato esotico, una sorta di mondo incantato ed eccitante che poteva raggiungeresemplicemente spegnendo la lampada. Non le aveva mai fatto paura. C’era già qualcosa che la spaventavaa sufficienza nella vita reale: il duca di Herridge quando andava in collera. Qualsiasi altra minaccia, alconfronto, era di poco conto.

Nel buio poteva succedere di tutto. Chavensworth poteva trasformarsi in un castello da aba e leipoteva esserne la principessa. O in un paese straniero di cui aveva solo letto sui libri, o sentito raccontareda sua madre. Alla luce del giorno, tutto era tranquillo, prevedibile e sicuro. Ma di notte tutto cambiava,i suoni si facevano più forti, gli odori più penetranti.

Non aveva mai pensato prima di allora che anche le emozioni potessero rafforzarsi con il buio. Non siera mai sentita sola, non ne aveva mai avuto l’occasione. Perché ora si sentiva andare alla deriva? Nonpercepiva alcuna connessione con Chavensworth, ne era semplicemente parte.

D’accordo, si sentiva sola. La cosa peggiore era che ne soffriva.Era questo il risultato di essersi sposata? Prendere coscienza di essere davvero sola? Sentirsi

abbandonata?Erano passati due anni da quando aveva rinunciato per sempre al matrimonio. Prima di allora ci

aveva pensato, eccome. La prima volta che era andata a Londra era piena di romantiche aspettative suivari corteggiatori che avrebbe incontrato. Infatti non pochi rampolli di nobili famiglie si erano fattiavanti, ma senza risultato alcuno. Nessuno di loro era piaciuto a suo padre. Nemmeno uno. Nonavevano mai abbastanza denaro. Così Sarah era stata messa in naalina no alla Stagione successiva,quando era stata ritirata fuori dal “guardaroba”, spolverata, portata via da Chavensworth e fatta dinuovo sfilare di fronte all’aristocrazia londinese.

Grazie al cielo suo padre si era ri utato di sostenere i costi necessari a ripetere l’esperimento per unaterza Stagione. E, no a quel repentino annuncio di pochi giorni prima, Sarah non si era più concessa dipensare a un potenziale marito. Si era invece dedicata anima e corpo all’amministrazione diChavensworth, un compito che le assorbiva tutte le energie. C’erano sempre nuove cose da fare, problemida affrontare, e ogni giorno aveva uno scopo. Non aveva motivo di sognare o chiedersi cosa il futuro leavrebbe riservato. Quello che faceva nel presente si sarebbe ripetuto per dieci o venti o anche trent’anni.Nulla sarebbe mai cambiato nella sua routine, che le bastava, le dava soddisfazione.

Tutto ciò era stato cancellato da Douglas Eston.Invece che soddisfazione ora sentiva solo insicurezza e una curiosa solitudine che non aveva mai

provato prima. Non conosceva l’uomo che aveva sposato e non poteva essere sicura che le sarebbepiaciuto, una volta che si fosse abituata a lui. Eppure, irrazionalmente, incredibilmente, pensava a lui.Dov’era? Cosa stava facendo? Perché? Stava bene?

Cosa gliene importava?E se fosse tornato mentre dormiva? Se, in qualche modo, fosse riuscito ad aprire la porta e ad andare a

letto? L’avrebbe toccata? Le avrebbe messo le mani addosso, le avrebbe tolto la camicia da notte?L’avrebbe spogliata in silenzio, esponendola all’aria fresca della notte?

Sarebbe stato in grado di vederla nell’oscurità, di distinguerne le forme? O l’avrebbe esplorata con lemani, le dita, tracciandole i contorni delle spalle, scendendo lungo le braccia, no ai polsi? Le avrebbeappoggiato le dita sul seno, i palmi delle mani come per misurarlo? Intanto le avrebbe sussurrato paroleindecenti?

O sarebbe rimasto in silenzio?Era tutta colpa sua se ora lei non riusciva a prendere sonno. Non solo non c’era quando invece ci

sarebbe dovuto essere, visto che l’aveva sposata, ma le aveva anche scatenato quei pensieri dicendole cose

sconce la notte prima. Sant’Iddio, possibile che fosse solo la notte prima?“Mi piacerebbe vedervi a seno scoperto.”Non aveva parlato di toccarla. Era stata lei a pensarlo. Non andava bene.Si alzò di nuovo, sistemò ancora una volta il cuscino poi ricadde sul letto, riportandosi il lenzuolo

sotto il mento. Chiuse gli occhi, decisa a dormire e a sognare cose piacevoli. Fra le quali non rientravacerto Douglas Eston.

10

Sarah fu risvegliata da un alitare tiepido sulle palpebre. Stava sognando che una volpe la cullava e leaccarezzava il viso con la coda. Si spostò, aprì con riluttanza gli occhi e si ritrovò faccia a faccia con suomarito.

Douglas le sorrise, l’espressione chiaramente visibile al fioco lume della lampada che aveva acceso.Sarah spalancò gli occhi mentre il suo respiro accelerava e il cuore le batteva all’impazzata.— Siete ritornato — disse, coprendosi con il lenzuolo. Non le offriva protezione, ma le dava un

minimo senso di sicurezza.— Sì.Com’era gentile! Anche troppo, considerando che non si sentiva per nulla ben disposta verso di lui in

quel momento.— Dove siete stato?— Stavo aprendo le mie casse — rispose.Sarah inarcò le sopracciglia. — Perché?— Per assicurarmi che non si fosse rotto nulla.Di tutte le risposte che poteva darle, aveva scelto quella che non le dava possibilità di controbattere.

Aveva pensato che fosse andato da suo padre a lamentarsi del suo comportamento. O a incontrarsi conun’antica fiamma.

— Stavate aprendo le vostre casse — mormorò Sarah. Ripeterlo a voce alta non rendeva la cosa piùsensata.

— Se ben ricordo — disse lui sorridendo — è la ragione per cui ci siamo sposati. Vostro padre siaspetta che io mantenga i patti.

— Avreste potuto dirmelo.— Vi ho fatta preoccupare? Sì, avete ragione, avrei dovuto dirvi di non farlo.— Avete il potere di controllare le emozioni? — chiese. — Se avessi voluto preoccuparmi, l’avrei fatto.

Dubito che qualsiasi cosa mi aveste detto mi avrebbe impedito di farlo.— Vi siete preoccupata davvero?— No — rispose. — Tutt’altro. Quasi non mi sono accorta della vostra assenza.Come ora non si sarebbe accorta della sua presenza, se non fosse stato per il trascurabile dettaglio che

si era alzato dal letto e aveva cominciato a spogliarsi.Si sbottonò lentamente la camicia, tenendo gli occhi ssi su di lei. Sarah distolse lo sguardo, ma solo

per un attimo.Era considerato accettabile che una moglie guardasse il marito mentre si spogliava? Probabilmente no,

ma era più forte di lei.Aveva un bel corpo. O, per dirla tutta, era davvero uno spettacolare esempio di virilità, paragonabile a

una statua greca. Anzi, fra i due, era decisamente meglio lui. Forse perché era umano, mentre la statuaera solo un pezzo di marmo. O più probabilmente, perché l’opera di Dio era sempre superiore a qualsiasi

cosa la mano dell’uomo cercasse di imitare.Ecco, era riuscita a pensare a Dio e, così facendo, a distogliere i suoi pensieri da un uomo nudo.— Non mi spoglierò di fronte a voi, se la cosa vi disturba — disse Douglas.— Credo che lo facciate apposta per mettermi a disagio, signor Eston.Senza preavviso si voltò, dandole le spalle. Era una splendida schiena, con muscoli guizzanti e spalle

larghe. Aveva due cicatrici che le fecero venir voglia di allungare la mano e toccarle. Erano davverostrane. La prima era una linea sottile vicino alla spalla destra, la seconda un segno quasi circolare sullascapola sinistra.

Era stato un avventuriero, un esploratore, era prevedibile che avesse delle cicatrici. La sua vita dovevaessere stata una sequenza di fatti eccitanti. Chavensworth sarebbe stata un’esperienza noiosa per unuomo come lui.

Quando si allontanò dal letto le offrì una chiara visione delle sue natiche. Per un momento Sarahpensò di dover chiudere gli occhi. Ma se invece guardava, chi se ne sarebbe accorto?

— È la prima volta che vedete un uomo nudo, lady Sarah?Gli guardò la nuca. Come faceva a sapere che lo stava guardando?Lui si girò, avrebbe preferito che non sorridesse, soprattutto perché era nudo e non aveva fatto il

minimo tentativo di coprirsi. Con l’eccezione di un rapidissimo sguardo, si era ripromessa di non staccaregli occhi dal suo viso. La notte gli si addiceva e l’ombra appena accennata della barba gli dava un’ariaattraente, quasi perversa.

Chiuse gli occhi prima di soccombere alla tentazione di guardare più in basso del suo mento.— È ovvio che questa è la prima volta che vedo un uomo nudo — disse, ri utando di lasciarsi

umiliare.— Non vorreste ricambiarmi la cortesia?Riaprì gli occhi, ma stavolta li tenne fissi sul soffitto.— Mi arrischierei ad affermare che voi abbiate già visto parecchie donne nude.— Oh, sì, ma non ho mai visto voi.Sarah allungò un braccio e spense la lampada, poi si sedette sul bordo del letto dandogli le spalle

prima di mettersi lo scialle.— Cosa fate?— Ho occupato il letto solo perché voi non c’eravate, signor Eston. Ora che siete arrivato, vado nella

mia branda.— Che peccato — commentò lui. — È un letto molto grande e io sono molto stanco.Girò il capo a guardarlo.— Tornate a dormire, Sarah — aggiunse Douglas. — Non vi molesterò.Avrebbe voluto chiedergli, irrazionalmente, se poteva darle la sua parola d’onore che l’avrebbe lasciata

in pace, ma invece restò in silenzio; si tolse lo scialle, in lò le gambe sotto le coperte e si appoggiò alcuscino, con le braccia distese lungo i fianchi.

Quando Douglas si sdraiò di anco a lei, la s orò con il braccio nudo. Scostarsi sarebbe parso scorteseper cui non si mosse. La pelle si era riscaldata al contatto. Le loro gambe erano tanto vicine che al piùpiccolo spostamento si sarebbero toccati.

— Non indossate una camicia da notte? — gli chiese.— Non l’ho mai fatto. Né mai lo farò.— Avevo chiuso la porta.— Me ne sono accorto.Come aveva fatto ad aprirla? L’aveva forzata? Danneggiata? Non osava pensare ai pettegolezzi che

sarebbero girati fra la servitù.Ma non intendeva chiederglielo. Non poteva alzarsi e andare a controllare, con lui sdraiato al suo

fianco, nudo.La luce della luna rischiarava la stanza molto più di quanto avrebbe desiderato.— Non è strano? — chiese. — Ero così stanca prima e adesso mi è passato il sonno.Douglas non rispose. Si era addormentato? In tal caso lo invidiava.Alla fine le rispose: — Così siete cresciuta a Chavensworth. Raccontatemi qualcosa della vostra vita.— Ero sempre molto occupata — rispose, così in fretta che ne fu sorpresa. Non aveva avuto intenzione

di dirgli la verità nuda e cruda. Nessuno le aveva mai chiesto della sua infanzia. Nessuno si era maiinteressato alla sua vita. — Sempre. Con le lezioni della mia istitutrice e quelle di mia madre che miinsegnava come mandare avanti Chavensworth, avevo pochissimo tempo libero.

Douglas non fece commenti.— La vostra infanzia com’è stata? — chiese Sarah, educatamente.— Anch’io ho avuto poco tempo libero.C’era una sfumatura nella sua voce che la incuriosiva, ma prima che potesse dire una parola, le coprì

la mano con la sua. Ne fu così sorpresa che non seppe cosa dire.Pochi minuti più tardi gli chiese: — Parlatemi delle vostre avventure in giro per il mondo.— Volete sentire le storie di un uomo giovane e sciocco?— Eravate sciocco?— All’inizio sì — ammise. — Ma ho dovuto cambiare in fretta, altrimenti non sarei sopravvissuto.

Volevo a tutti i costi vedere il mondo, imparare tutto quello che potevo. Ho sempre avuto un’insaziabilecuriosità.

Sarah si allontanò da lui e si sedette sul bordo del letto.— Cosa c’è, Sarah? — le chiese, alzando il busto e appoggiandosi sul gomito.— Nulla.Le appoggiò una mano sulla schiena. Era la prima volta che lo faceva, la prima volta che si arrischiava

a toccarla quando lei era vestita in modo così leggero. Solo un sottilissimo strato di cotone separava ilpalmo della sua mano dalla pelle nuda. Il suo corpo reagì, facendole correre un brivido lungo la schienae inturgidire i capezzoli.

— Ditemelo — insistette.— Volete sempre sapere cosa penso — rispose girando la testa dall’altra parte. — Cosa v’importa?— Siete mia moglie.— Sono la glia del duca di Herridge. La glia della duchessa di Herridge. Vostra moglie. Possibile

che, per una volta, non ci sia qualcuno che appartenga a me, invece che essere io ad appartenere sempre aqualcun altro?

— Allora volete che io sia il marito di lady Sarah?Sapeva benissimo di non essere del tutto razionale. La luce della luna, unita all’aria profumata di

lavanda, sembrava risvegliarle emozioni sopite.— È per questo che volevate guardarmi a seno nudo? Per soddisfare la vostra insaziabile curiosità?Continuò a dargli le spalle, sapendo che se si fosse voltata a guardarlo, non avrebbe avuto il coraggio

di continuare.Douglas scoppiò a ridere. — Sarah, vorrei vedervi il seno solo perché così potrei almeno sognare come

sarebbe toccarlo.— Oh.— Siamo degli estranei ed è troppo presto per prendervi come un marito deve prendere la moglie.

Erano così riguardosi anche tutti gli altri novelli sposi?— Inoltre, siete una bellissima donna e io sono un uomo che sa apprezzare la bellezza. Come so

apprezzare un bel seno. Ma non dovete preoccuparvi: non ho mai violentato una donna.Forse non ne aveva mai avuto bisogno perché le donne gli si gettavano ai piedi.— Anche se non foste mia moglie — continuò Douglas a voce bassa — sarei rimasto colpito dal colore

dei vostri occhi e dai vostri capelli neri. O forse è stato il vostro portamento ad ammaliarmi, il vostromodo di guardare le persone intensamente, con un sopracciglio inarcato, come se vi aspettaste che vidimostrino qualcosa.

— Io non faccio così — protestò, sorpresa.— Sì, lo fate e, se non mi credete, vi suggerirei di chiedere a chiunque lavori a Chavensworth cosa

significhi essere fissati da lady Sarah.Restò a guardare le ombre della stanza. — Faccio davvero così paura?— No, non fate paura. Fate solo colpo.Gli piacevano i suoi occhi e i suoi capelli. E il suo corpo? Non aveva detto niente del corpo. La trovava

brutta ed era solo troppo cortese per confessarlo?Sua madre non le aveva mai parlato del suo aspetto, come se non fosse importante. Non aveva mai

detto nulla dei suoi occhi verdi o dei capelli ricci e, a dir la verità, nemmeno Sarah aveva mai datoimportanza all’aspetto sico, no a quando non era andata a Londra. Ma, una volta arrivata in città, siera sentita brutta, sgraziata e troppo alta.

Non aveva i riccioli biondi e gli occhi azzurri che andavano tanto di moda. Aveva un aspetto banale,un corpo poco armonioso, seni troppo grandi rispetto alla vita.

Douglas la prese dolcemente per le sue spalle, obbligandola a sdraiarsi sulla schiena. Lei ssòostentatamente il soffitto, ma era difficile, mentre lui le si chinava sopra, avvicinandosi così tanto da farlesentire il suo respiro sulle guance.

Le posò una mano sulla camicia da notte e, con suo grande sgomento, cominciò a sbottonarla.— Cosa fate? — gli chiese, coprendo con la mano il bottone successivo.— Voglio vedervi il seno — rispose. — Alla luce della luna.— No.— Fate nta che sia un sogno. Sono un folletto che si è introdotto nei vostri sogni per convincervi a

danzare nuda sul prato.Le scostò la mano e riprese a sbottonarle la camicia.— Non accenderò la luce. E non vi toccherò, a meno che non siate voi a chiedermelo.— Perché dovrei farlo?Sarah si coprì un altro bottone con la mano e se lui avesse cercato di spostarla, stavolta non glielo

avrebbe permesso. Ma la camicia da notte era già abbastanza slacciata e se lui avesse voluto, avrebbetranquillamente potuto infilare una mano nell’apertura.

— Non avete mai provato l’anticipazione del desiderio, lady Sarah? Non avete mai voluto così tantoqualcosa da riuscire a viverla prima che accadesse?

Abbassò la testa avvicinandosi come se volesse sentire il suo profumo.— A volte l’anticipazione è troppo grande. A volte, si fa qualcosa di sconsiderato solo per allentare la

tensione.— State per fare qualcosa di avventato?— Vorrei strapparvi di dosso la camicia da notte — rispose. — Vi sembra abbastanza sconsiderato?Improvvisamente si accorse di non riuscire quasi a respirare. — Sì.Si rialzò a sedere, in parte per allontanarsi, in parte per rilassare la tensione che sentiva nel corpo.

Voleva muoversi, ma aveva bisogno di fare qualcosa di... sconsiderato.Si slacciò gli ultimi bottoni della camicia da notte che le si aprì no alla vita. Lentamente, quasi senza

pensarci, si s lò una manica, poi l’altra, nché non restò con l’indumento attorno ai anchi e il senonudo nella luce della luna.

Douglas si sedette, lasciando ricadere il lenzuolo sotto la vita, e cominciò a scioglierle i capelli.Il caminetto era spento e la notte fresca. Perché allora aveva così caldo?Perché le stava passando le dita fra i capelli, tirandole indietro la testa. Perché improvvisamente le

stava così vicino che poteva vedergli gli occhi risplendere nella luce della luna. Perché respiravaaffannosamente anche lui.

Le lasciò ricadere i capelli sulle spalle, poi con un dito le sfiorò un capezzolo.— Avevate detto che non mi avreste toccata a meno che non ve lo avessi chiesto — disse lei, sorpresa

di poter parlare. Tutto quello che riusciva a sentire era il battito selvaggio del cuore.— Mi dispiace, ma l’attesa era diventata intollerabile — rispose Douglas con un sorriso.La notte non era responsabile del suo comportamento scriteriato. E nemmeno lo era l’uomo nudo

seduto accanto a lei. Qualcosa dentro di lei le aveva fatto decidere di lasciarsi andare. Improvvisamente sivergognò di se stessa.

— Devo sedurvi con le parole, Sarah? Dirvi quanto siete meravigliosa?— Non avete bisogno di mentire — mormorò lei, irrigidendosi.— Non sarebbe una bugia — chiarì. — Anzi, fra tutte le cose che ho detto sarebbe quella più vicina

alla verità. Ma penso invece che voi non siate consapevole del vostro potere. Se lo foste, mi sorridereste,mi verreste più vicina, mi promettereste soddisfazione con uno sguardo o un sorriso, poi, vedendomi almassimo del desiderio, mi appoggereste un dito sulle labbra e mi direste di no.

— Mi sembrerebbe troppo crudele.— Cosa fareste, lady Sarah, se foste la dea della luna? Se aveste tutto il potere della bellezza e della

passione a vostra disposizione? Come lo usereste?Gli avrebbe detto di lasciarla sola, di andare a dormire, di lasciarla ritornare sulla branda, o nella sua

stanza. Invece allungò il braccio e gli accarezzò la guancia con la mano sinistra e gli passò le dita delladestra sulle labbra. Poi proseguì fino alla tempia e quindi discese sul collo. Aveva un collo forte, virile.

Sentiva calore al seno e aveva voglia che tornasse a sfiorarle il capezzolo.Gli si avvicinò col viso e appoggiò una guancia alla sua. In quella posizione aveva le labbra vicine al

suo orecchio. Avrebbe potuto sussurrargli qualcosa e nessuno al mondo l’avrebbe sentita.Cosa gli avrebbe detto?Per un lunghissimo momento, Douglas restò immobile. Tenne le mani appoggiate al letto. Con una

sensibilità che non sapeva di avere, Sarah scoprì di sapere esattamente quando e come avrebbe spostato lemani.

Avrebbe voluto che tornasse a toccarle i capezzoli con il palmo, invece le appoggiò le mani sulle spallee la allontanò per poterla guardare in viso.

Poi le appoggiò i palmi sulle guance e cominciò a tirarla verso di sé, così adagio che Sarah quasi loimplorò di fare più in fretta.

Appoggiò la bocca sulla sua e, per la prima volta, la baciò. Le labbra le si dischiusero in un ansito disorpresa. All’inizio il bacio fu tenero, dolce e delicato come i petali di una rosa appena sbocciata. Poi,sorprendentemente, si fece appassionato nché Sarah non cominciò a sentire il mondo girarle attorno.Quando alla ne si staccarono, gli si appoggiò affannata a una spalla. Anche Douglas respirava a fatica,gli sentiva il cuore battere così forte che gli accarezzò il petto come per calmarlo.

Douglas si sdraiò e la studiò. Lei restò seduta con la schiena diritta e il mento sollevato, gli occhi

puntati sulla parete. Che guardasse pure la sua conquista. Non si vergognava di ciò che aveva fatto e nonsi sarebbe lasciata intimidire dai suoi modi spregiudicati.

— Forse è meglio che non vi rendiate conto di quanto siete bella — mormorò Douglas. Le tenevaancora la mano stretta su un seno mentre le stuzzicava con il pollice il capezzolo vergognosamente eretto.— Tutti gli uomini di Londra vi correrebbero dietro, lady Sarah.

Anche se avrebbe voluto ribattere a dovere, Sarah dubitava di riuscire a pronunciare parola. Il mondoin cui si trovava era divenuto incandescente e si sentiva il sangue in fiamme.

Le accarezzò la testa.— Che capelli meravigliosi avete! — esclamò. — Perché insistete a farvi le trecce?— Perché altrimenti dovrei spazzolarli ogni mattina per due ore — rispose. Provò un senso di sollievo

nello scoprire che riusciva a parlare con una voce normale.— Ma così io avrei il piacere di guardarvi mentre li spazzolate. Siete nuda quando lo fate?Sarah girò il capo a guardarlo. — Certo che no.— Mi piacerebbe vedervi in quella posa.— Adesso? — chiese, stupefatta.— Perché no? Non riuscite a dormire e, dopo avervi vista mezza nuda, credo che non ci riuscirei

nemmeno io.Accese la lampada sul comodino.Lei piegò il capo in avanti e i capelli le caddero a coprire i seni.— Devo proprio farlo?— Non volete?Una parte di lei avrebbe voluto riportare indietro l’orologio al momento in cui si era accorta della sua

presenza nella stanza. L’altra parte, no a quel momento sopita, era molto interessata alla sua proposta.Troppo interessata e anche quasi eccitata.

Si alzò coprendosi il seno con il braccio sinistro mentre con la mano destra si sosteneva la camicia danotte all’altezza della vita.

— Venite a sedervi qui — disse Douglas indicando l’estremità del letto.Sarah ubbidì e lo guardò.— Cosa volete che faccia? — chiese.Il cuore le batteva tanto in fretta da lasciarla senza ato. Si sentiva le labbra piene, quasi gon e, e la

pelle così sensibile che il contatto con i capelli sulle spalle le faceva quasi male.— Spazzolatevi i capelli come fareste ogni mattina.Sarah scosse il capo. — Non ho la spazzola.Douglas andò al tavolo da toilette e ritornò con una spazzola dal manico d’argento.— Di solito viene la cameriera ad aiutarmi.— Volete che sia io a farvi da cameriera?— No — rispose lei, prendendogli di mano la spazzola. Lentamente cominciò a passarla sui capelli,

partendo dalle tempie.Mentre si spazzolava, Douglas le prese il polso sinistro e, dolcemente, la obbligò ad abbassare il

braccio che le copriva il seno. Sarah lo guardò, ma lui si limitò a sorridere e a scuotere il capo. Un tacitomessaggio: era del tutto inutile chiedergli di rispettare il senso del pudore.

Lasciò ricadere la mano sinistra sul letto e chiuse gli occhi, piegando il capo all’indietro econcentrandosi su quello che stava facendo. Provò a ignorarlo, ma quando lui cominciò a parlarel’impresa si fece ardua.

— Ogni volta che alzate il braccio, si solleva anche il seno, come se volesse ricevere delle lodi. O forse

un bacio.Rallentò il ritmo con cui si spazzolava, sforzandosi di tenere gli occhi chiusi e chiedendosi tutto il

tempo se l’avrebbe baciata. Le avrebbe posato le labbra sul seno?E se lo avesse fatto? Come avrebbe reagito?— Inarcate un po’ la schiena — mormorò Douglas e lei ubbidì, ben sapendo che, a quel modo,

avrebbe spinto in fuori ancora di più il seno.Era il suo respiro quello che sentiva?— Avete una splendida schiena, lady Sarah. Forme così delicate e curve così morbide che faccio fatica

a non toccarvi.Oh, cielo!— Adesso alzatevi.Sarah aprì gli occhi.— Vi prego, Sarah, alzatevi.Ubbidì, sempre tenendosi la camicia da notte con la mano sinistra, la spazzola nella destra. Tenne lo

sguardo incollato al muro, ma con la coda degli occhi si accorse di quanto le era vicino.Lentamente, come se volesse darle il tempo di abituarsi all’idea, allungò un braccio e la prese per

mano, obbligandola a lasciare la presa sul bordo della camicia da notte.— Mi volete nuda, signor Eston? — chiese, cercando di impedire all’indumento di cadere a terra.— Sì.Sarah si bloccò nell’atto di chinarsi. — Davvero?— Mi avete preso per un idiota, lady Sarah? Il mio desiderio di avervi nuda di fronte a me è secondo

solo a quello di avervi nuda sotto di me.Era nuda di fronte a un uomo. Non era mai stata nuda di fronte a nessuno. Ogni volta che faceva il

bagno o si spogliava in presenza di Florie, c’era stato un paravento a proteggerla. E ora era nuda davantia Douglas Eston, che stava sorridendo.

— Voltatevi — disse lui.— No.Aveva un sorriso malandrino mentre la guardava. — No?— No — ripeté, chinandosi per raccogliere la camicia da notte. Doveva fermarsi immediatamente. Si

era già permessa di oltrepassare i confini del lecito ed era venuto il momento di smettere.Inoltre, se avesse continuato, Douglas avrebbe preteso di andare a letto con lei e Sarah non era ancora

pronta.— Avete uno splendido didietro, lady Sarah.Sarah si tenne la camicia da notte davanti, consapevole che la copriva solo sommariamente. Ma restò

ben eretta mentre raggiungeva la branda e si infilava sotto le lenzuola.Solo quando la luce fu spenta si concesse di pensare a come sarebbe stato andare a letto con Douglas.

11

L’indomani, Sarah si incontrò con l’amministratore della proprietà. Poiché era un anno pari, le coltureerano state rotate secondo lo schema predisposto da suo nonno. L’undicesimo duca di Herridge avevareso Chavensworth famosa non solo per i campi di lavanda. Grazie a lui, i contadini avevano fattoesperimenti di successo. Se qualcosa poteva essere coltivato in Inghilterra, si poteva essere certi di trovarlaa Chavensworth.

Jeremy Beecher era il suo amministratore capo, posizione che già ricopriva quando Sarah era

bambina. Era un uomo dal viso affilato e dal naso sottile, con gli occhi troppo vicini, tanto che, quandola guardava, appariva leggermente strabico. Per questa ragione Sarah, quando era nel suo ufficio, gli sisedeva sempre di anco, mai di fronte. Era un uomo già avanti con gli anni, dall’aspetto più fragile diquanto la sua età avrebbe giusti cato, forse per via dell’abitudine di tenere sempre le spalle curve.Ciocche di capelli bianchi alle tempie gli incorniciavano un cranio per il resto pelato e cosparso dilentiggini e macchie di fegato. La pelle gli pendeva dalle guance come se un tempo fosse statoconsiderevolmente più grasso.

Sarah non gli faceva mai notare che i polsini della camicia erano lisi e macchiati d’inchiostro o cheavrebbe fatto meglio a farsi dare una regolata ai capelli. Simili dettagli nulla toglievano alle sue capacitàprofessionali e alla sua affidabilità.

Quel giorno le stava illustrando il bilancio preventivo mensile. Sarah lo passò in rivista voce per voce e,quando giunse alle spese per le livree della servitù, strabuzzò gli occhi.

Era abitudine che la proprietà pagasse per tutti gli indumenti della servitù, dagli abiti da lavoro cheindossavano al mattino, alle costose livree festive. A carico del personale restavano solo le scarpe e labiancheria. Trascorsi sei mesi da quando prendeva servizio, il servitore che decideva di lasciare l’impiegodoveva restituire la livrea, ma poteva tenersi il resto.

— Come mai tante persone ci lasciano? — chiese Sarah, demoralizzata dall’entità delle spese. Erano diun buon quindici per cento più alte dello stesso mese dell’anno prima.

— No, lady Sarah, in realtà non si è licenziato nessuno. Il giovane omas è stato promosso aiutomaggiordomo, così abbiamo dovuto prendere uno degli stallieri e promuoverlo valletto. In più ci sono trevalletti che sembrano non smettere mai di crescere. Sarà colpa del cuoco, ma forse non dovremmoassumerli così giovani.

Sapeva bene che se non li avessero assunti, i ragazzi del villaggio avrebbero fatto la fame.Chavensworth, con i suoi campi da coltivare e la casa da mandare avanti, era l’unica possibilità di lavoroper decine di miglia.

Fra i giovani che lasciavano Chavensworth, c’era qualcuno che andava a cercare migliori opportunitàa Londra, ma per molti il lavoro nella proprietà era l’unica occupazione retribuita cui potessero ambire.Frequenti erano i casi di famiglie che avevano più di un componente impiegato a Chavensworth, mentrenon era raro che un padre o una madre andassero a chiedere a Sarah se poteva prendere a servizio ancheun loro figlio.

— Si sta anche avvicinando il giorno del Premio, lady Sarah — aggiunse il signor Beecher.Sarah represse un sospiro. La sensazione di sprofondare era sempre più ineludibile.Una volta all’anno si valutavano tutti i dipendenti. Cosa non sapevano ancora fare? Quale nuovo

compito potevano svolgere? Si erano distinti per qualità del servizio, buona volontà, puntualità? Si eranomeritati il Premio Henley, che consisteva in una piccola somma di denaro ed era stato istituito dalbisnonno di Sarah, del quale portava il nome?

Negli ultimi tre anni non c’era stato abbastanza denaro per il premio. Sarah aveva fatto quello chepoteva per compensare i dipendenti, dando un giorno libero in più al mese per tutto l’anno, ma sapeva

n troppo bene che, di fronte alla scelta fra il denaro e il tempo libero, il personale avrebbe di gran lungapreferito il primo.

Chavensworth riusciva a essere autosufficiente, ma solo per il rotto della cuffia, e Sarah non potevaaspettarsi nessun sostegno nanziario da suo padre, il quale, al contrario, di tanto in tanto piombava aChavensworth per prendersi i mobili più preziosi, portarli a Londra e rivenderli. Sarah sapeva che non sipoteva discutere con lui. Poteva solo starsene sconsolata a guardare mentre ogni oggetto di valore venivacaricato sui carri. Così la sala da ballo era ormai rimasta senza lampadari, le nestre disadorne e prive di

tendaggi anche l’arredamento della maggior parte delle stanze per gli ospiti era sparito.— Molto bene — disse. — Fatemi avere il registro del personale. Dite per cortesia alla signora

Williams che ci vedremo per valutare le cameriere. Dopo di che sarà la volta dei valletti, dei cuochi e deglisguatteri, degli stallieri, dei braccianti e delle lavoranti del caseificio.

Il signor Beecher si era già messo a trascrivere tutto.— Per quanto riguarda le nuove livree, per il momento dovremo arrangiarci con quelle che abbiamo.

Visto che ormai da tempo non diamo più feste, possiamo tranquillamente fare a meno delle giacche dasera per i valletti. E mi rifiuto di ordinare nuovi nastri.

Il signor Beecher sorrise.Sarah aveva fatto il possibile per far capire al personale che tutti a Chavensworth godevano degli stessi

diritti e avevano la stessa importanza, ma la gente trova sempre il modo di creare nuove gerarchie. Lecameriere del secondo piano non erano più brave di quelle del terzo e nemmeno avevano piùresponsabilità, ma volevano sentirsi diverse, così alla ne Sarah si era arresa e aveva concesso alle ragazzedel secondo piano di portare un nastro blu nei capelli, mentre quelle del terzo lo avrebbero avuto verde.

Almeno gli stallieri e i contadini non avevano preteso nessun nastro.— Quando volete fare l’inventario degli attrezzi per i campi? — chiese Beecher.Se c’era una cosa che Sarah detestava era l’inventario, che per la cucina veniva fatto una volta alla

settimana. In una proprietà delle dimensioni di Chavensworth, con così tanti dipendenti, siconsumavano enormi quantità di cibo. Tovaglie e tovaglioli venivano contati una volta al mese, mentreper il resto si faceva la conta ogni trimestre.

— Non appena avrò finito con le valutazioni del personale.In un modo o nell’altro doveva trovare il tempo per fare tutto quanto andava fatto.Si alzò, subito imitata dall’amministratore, che la guardò con un’aria quasi paterna e uscì. Alle dodici

e mezza entrò nella stanza di sua madre, fece un cenno di saluto a Hester e andò a sedersi al suo posto.Si stava avvicinando un temporale e nella stanza non entrava che poca luce grigia. Hester aveva acceso

una lampada che però serviva solo ad accentuare le ombre che si allungavano sul pavimento, in direzionedel letto. O forse in direzione della duchessa, per trascinarla nel regno dei morti.

— Nessun cambiamento?— Non da quando l’avete vista stamattina, lady Sarah.C’era qualcosa negli occhi di Hester, ma Sarah distolse lo sguardo. Non era di tenerezza che aveva

bisogno, ma di forza, della capacità di andare avanti, di fare ciò che doveva essere fatto,indipendentemente dalle circostanze. Se lo avevano fatto i suoi antenati, doveva riuscirci anche lei.

— Andate a mangiare, Hester. Resto io con lei.— E voi, lady Sarah? Non mangiate?— Mi farò portare qualcosa.Hester se ne andò, borbottando qualcosa sui giovani che trascuravano la propria salute, ma Sarah la

ignorò e fissò sua madre.La luce oca faceva apparire Morna più vecchia dei suoi anni. Per un momento Sarah non riuscì a

riconoscerla. Chiuse gli occhi e si ricordò del tempo andato, quando la risata argentina di sua madrerisuonava per tutta Chavensworth.

In quel momento ritornò a essere una bambina di nove anni, con un cestino da picnic in mano, feliceal pensiero di poter pranzare sotto una quercia, in cima a una collina da cui si vedevano tutti i campi dilavanda. Anche se non erano che a pochi minuti di cammino dalla casa, sua madre riusciva sempre atrasformare il posto in un luogo magico. Le raccontava storie dei suoi antenati, di un castello chiamatoKilmarin, di fate, elfi e streghe.

— Non vorreste tornarci, un giorno, mamma? — le aveva chiesto una volta che sua madre le era parsaparticolarmente triste.

— Non ci tornerò mai — aveva risposto Morna, ma poi aveva sorriso.Da bambina, sensibile com’era, aveva capito che sua madre non voleva parlare del luogo dove era

cresciuta. Così non era mai più tornata sull’argomento e, anzi, non ci aveva più pensato no a quelgiorno, quando Morna si trovava a un passo dalla morte.

Non aveva mai provato il desiderio di ritornare in Scozia? Non le era mai mancata la sua famiglia,composta da persone che Sarah non aveva mai incontrato?

Domande a cui, forse, non avrebbe mai avuto risposta.Le nuvole, visibili attraverso le porte nestre e sempre più scure, stavano girando in cerchio,

assumendo forme contorte. Lampi saettavano da una nube all’altra.Da bambina era terrorizzata dai temporali e quando ce n’era uno si nascondeva nel letto, sotto le

coperte. Bastava una pioggerella primaverile a spaventarla. Quante volte sua madre le si era seduta aanco, cercando di calmarla, di farla sorridere. Morna le raccontava una storia dopo l’altra,

trasformando l’agghiacciante rimbombo dei tuoni nel martello di or, in una risata di Dio o in dozzinedi altre cose fantastiche. Ma per quanti sforzi facesse, non riusciva comunque a farle passare la paura.

Crescendo, Sarah aveva vinto la sua paura infantile arrivando al punto di amare i temporali, a esserneanzi attratta, specialmente quel giorno, in cui l’aria stagnava greve sopra Chavensworth e le nuvolepassavano basse sulla campagna.

Accarezzò piano la mano di sua madre. Era ancora più fredda del giorno prima, come se stessemorendo a poco a poco.

Prese un respiro profondo, chiedendosi cosa poteva dire a sua madre che non la preoccupasse, nellaremota possibilità che potesse sentirla. Poteva parlarle dello stato nanziario di Chavensworth? Non eracosì disastroso quando ancora se ne prendeva cura Morna. Del suo matrimonio? Cosa c’era da dire? CheDouglas Eston la incitava ad abbandonarsi alle sue voglie più sfrenate e che non si era mai sentita cosìdepravata? Nemmeno così eccitata, se per questo. Forse non era colpa di Douglas, ma di qualche suoistinto che non sapeva di possedere. Lo stesso che si era acuito quel mattino quando si era svegliata ed erarimasta delusa scoprendo che se n’era già andato?

Si alzò, si avvicinò alla porta a vetri che dava sul giardino, la aprì e uscì dalla stanza, chiudendosi ilbattente alle spalle. Prima che vi trasferisse sua madre già inferma, quello era stato il padiglione estivo,che si affacciava sul giardino greco.

Incrociò le braccia e guardò il cielo, chiedendosi se Dio ci vivesse davvero o se invece si trovasseovunque.

Il vento le scompigliò i capelli minacciando l’acconciatura di Florie. Per un attimo fu sul punto ditogliersi tutte le forcine che le aveva messo, gettarle a terra e affrontare il vento a testa alta, come s landoDio e il temporale in arrivo.

Nessuno avrebbe mai potuto de nirla inaffidabile o, peggio, ribelle. Anche se le avessero assegnato unobiettivo impossibile, avrebbe fatto di tutto per raggiungerlo, a qualsiasi costo. Se si fosse trovata di fronteall’insopportabile, l’avrebbe sopportato. Lady Sarah sapeva adattarsi anche al peggio.

Sentì dei rumori alle sue spalle e vide Hester che apriva la portafinestra.— Entrate, lady Sarah. È pericoloso stare fuori quando c’è un temporale.Non voleva rientrare. Non voleva stare al sicuro, tanto non c’era nulla che fosse davvero sempre

sicuro. Era andata a Londra, a casa di suo padre, e si era dovuta sposare. Era tornata a Chavensworth eaveva ritrovato sua madre morente, nella sua stessa casa. Dove ci si poteva veramente sentire al sicuro?

— Sto bene — disse, alzando la voce per farsi sentire nel vento. — Ho solo bisogno di un po’ d’aria.

Hester la guardò dubbiosa, ma Sarah ne aveva n sopra i capelli delle sue premure: le dedicasse a suamadre che ne aveva più bisogno.

Si incamminò nel giardino. Le nuvole si erano fatte più basse e il vento, sempre più impetuoso, lesollevava la gonna.

Che scostumata.Non gliene importava nulla. Era strano, perché si era sempre preoccupata di non apparire indecente.

Di vestirsi di tutto punto e con estremo decoro anche quando era in casa o malata. Quelle poche volteche era stata così male da non potersi alzare dal letto, aveva comunque sempre insistito che la lavassero ela pettinassero.

Non si era mai sentita abbandonata.Nulla di quanto era successo con Douglas la sera prima era avvenuto senza il suo consenso e la sua

partecipazione. Eppure le sembrava così sconveniente e disdicevole che arrossiva solo a pensarci. L’avevatoccata con dita così lisce e morbide e le aveva sussurrato all’orecchio e lei gli si era stretta contro contutto il corpo. Era ancora vergine, ma dopo l’ultima notte si considerava un po’ più esperta della vita.

Entrò nel giardino greco. Aveva imparato di più sul sesso opposto osservando le statue che nelle dueStagioni passate a Londra. Quando era bambina, sua madre ne aveva coperte alcune con dei gonnellini,ma Sarah aveva aspettato di essere sola per sollevarne il bordo e guardare cosa ci fosse sotto.

Douglas era sicamente più dotato di tutti i giovani greci di pietra che adornavano il giardino. Avevacosce più muscolose, polpacci più sviluppati. La sua virilità, quella curiosa appendice che mai, nelgiardino greco, era stata coperta da una foglia di fico, era più imponente di quella delle statue.

Quelli erano ragazzi, lui era un uomo.Suo marito portava i capelli un po’ più corti di quanto fosse di moda. Era senza barba, aveva il viso

scolpito dagli zigomi alti e occhi blu come il Mediterraneo d’estate. Quando entrava in una stanza, l’ariasembrava vibrare, come se fosse un personaggio importante, un membro della famiglia reale, un uomofamoso e conosciuto dal grande pubblico.

Girò attorno alle statue come per salutare vecchi amici, prendendo nota delle loro condizioni, di qualidovessero essere restaurate. Forse era venuto il momento di far portare in casa alcune statue più antiche,almeno per i mesi invernali.

Uscì dal giardino e, senza accorgersene, si ritrovò sul sentiero che conduceva alle scuderie. Proseguì,ma al bivio cambiò bruscamente direzione e svoltò a sinistra. Là nessuno l’avrebbe trovata. Né valletti, nécameriere, né stallieri. E avrebbe potuto piangere indisturbata. Da quando era bambina, aveva semprecercato rifugio nell’osservatorio di suo nonno. Lo stesso uomo che le aveva lasciato l’incombenza dielargire ogni anno il premio Henley, aveva anche creato quel magni co posto da dove si potevanoosservare le stelle.

Quando suo padre aveva lasciato Chavensworth per trasferirsi a Londra, Sarah era andatanell’osservatorio. C’era andata anche quando sua madre si era ammalata. E quando, per la prima volta,aveva creduto di essersi innamorata di un giovanotto che poi si era proposto a un’altra. Era tornata acasa da Londra e subito era andata a rifugiarsi nell’osservatorio.

Come era stata sciocca allora e come si sentiva sciocca adesso. In quel momento non era più unadonna adulta, ma una bambina. Voleva farsi consolare dall’unica donna che non poteva più farlo.Voleva che sua madre le dicesse che tutto alla ne sarebbe andato bene, ma aveva paura che sarebbesuccesso proprio il contrario. Voleva che si alzasse dal letto e le dicesse di avere una fame da lupo. MaSarah sapeva benissimo che non bastava volere le cose per farle succedere.

In mezzo al sentiero c’era un carro. Poi vide Douglas uscire dall’osservatorio, avvicinarsi al carro esollevare un’altra cassa. In quel momento suo marito girò la testa e la vide a sua volta.

Se non altro era completamente vestito.Allora, perché a Sarah venne subito in mente il suo corpo nudo? E perché se lo ricordava così bene?

12

— Cosa ci fate qui? — gli chiese. Fra le nubi, i tuoni risuonavano sempre più frequenti, coprendo le sueparole e disperdendole nel vento.

Douglas scosse il capo, per indicare che non aveva capito, e lei gli ripeté la domanda, stavolta urlando.Ancora una volta lui scosse il capo, poi alzò gli occhi verso la tempesta che si stava scatenando su di loro,quindi posò la cassa, girò attorno al carro, andò a prenderla per mano e la condusse all’internodell’Osservatorio.

Aveva apportato delle modi che, senza premurarsi di chiederle il permesso. Cambiamenti cheavevano alterato l’atmosfera del suo rifugio infantile.

Per un po’ restò zitta, guardando cosa aveva fatto. Aveva spolverato le mensole e ci aveva messo soprale sue cose. Fiale di vetro e bottiglie verdi. Intelaiature di legno coperte di filamenti.

A un lato della stanza Douglas aveva affisso al muro un grande foglio di carta coperto di numeri elettere. Non era una lingua straniera, ma non riusciva comunque a decifrarne il signi cato. Sotto lemensole c’erano ora delle ceste. Il tavolo da lavoro che esisteva da due generazioni era coperto di casse ebauli.

— Come avete fatto ad aprire il tetto? — gli chiese fissandolo. — Non si apriva da anni.Douglas alzò per un attimo gli occhi al soffitto, poi li riportò su di lei. — È bastato oliarlo un po’.L’osservatorio aveva cessato di essere il suo rifugio segreto. Douglas vi aveva lasciato la sua impronta.

Era come se ora portasse il suo nome.— Cosa fate qui? — chiese ancora una volta.— Sto mantenendo l’accordo che ho preso con vostro padre.Sarah si accigliò, poi ricordò le parole che Douglas aveva pronunciato la notte prima riguardo a come

chiunque, di fronte a lei, si sentisse in dovere di dimostrare qualcosa.— Questo cosa comporta?— Fabbricare diamanti — rispose Douglas con un sorriso.Sarah restò a bocca aperta. — Solo Dio può fare diamanti.— A quanto pare Dio ha pensato di condividere il suo potere con me — rispose lui senza cambiare

espressione.— E come?— Attraverso un procedimento da me elaborato.Sarah si sedette su una cassa. — È per questo che mio padre ha deciso di nanziarvi? Per fabbricare

diamanti?Douglas annuì.— E ci siete già riuscito?Si infilò una mano nel gilet tirandone fuori un borsellino nero e le si avvicinò.— Aprite la mano — disse e lei ubbidì.Lentamente le coprì il palmo di diamanti.La poca luce che entrava dalla porta a stento rischiarava l’osservatorio, ma bastava a far risplendere le

pietre come se brillassero di luce propria.Per un po’ restò sbalordita a contemplare lo spettacolo, poi tornò a fissarlo. Stava ancora sorridendo.Non sapeva cosa dirgli, così gli avvicinò di nuovo il palmo e restò a guardarlo mentre rimetteva i

diamanti nel borsellino.— Questo posto ha un significato particolare per voi, non è così? — le chiese.— Come fate a saperlo? — domandò a sua volta distogliendo lo sguardo da lui e spostandolo

sull’etichetta di una delle casse. Era scritta in una lingua sconosciuta.— Perché siete arrabbiata.Tornò a guardarlo. — Non sono arrabbiata. Sono solo triste — ammise in un involontario slancio di

onestà. Cosa aveva di particolare quell’uomo da riuscire sempre a farle dire la verità?Per un po’ restarono in silenzio a guardarsi. Fu lei la prima ad abbassare gli occhi, a disagio sotto

l’intensità del suo sguardo. Sapeva, in qualche modo, che se solo avesse allungato una mano, luigliel’avrebbe presa e tenuta stretta. Se gli fosse andata incontro, l’avrebbe abbracciata. Se avesse pianto,avrebbe preso il fazzoletto e le avrebbe asciugato le lacrime.

Si alzò e si guardò in giro per l’ultima volta. Sapeva che non sarebbe più ritornata là dentro.— Credo che l’osservatorio sia il posto ideale per ciò che volete fare — constatò. In n dei conti, le

restava sempre tutto il resto di Chavensworth. Certo, a volte nel palazzo o nei campi c’era troppa gente,ma lei aveva bisogno di un posto tutto suo, proprio come Douglas. Abbozzò un sorriso.

— Fatemi sapere cosa altro posso offrirvi per rendere questo posto il più ospitale possibile.— Forse la vostra presenza — rispose, sorprendendola una volta di più.— Ma io non so nulla di come si fabbricano i diamanti.— Ma sapete conversare. Trovo molto interessante parlare con voi.— Davvero?Non poté evitare di sorridere. Non sapeva come celare l’improvvisa ondata di simpatia verso di lui che

quelle parole le avevano suscitato.— Vi lascerò al vostro lavoro.— Dovete proprio andarvene? Preferirei di gran lunga aprire le casse mentre voi mi parlate.— Siete sicuro che non volete invece qualcuno che vi aiuti? — gli chiese sorridendo. — Non è che

sotto le vostre gentili parole si celi un certo opportunismo?— Opportunismo? Sì, ma solo nel senso che la vostra presenza mi farebbe piacere. È un lavoro noioso

e la compagnia di una bellissima donna lo renderebbe più piacevole.Sarah scoppiò a ridere. — Adesso state esagerando. Ci avevo quasi creduto no al vostro ultimo

commento.Douglas aggrottò la fronte. — Non mi sembrate il tipo di donna che cerca di farsi fare complimenti,

Sarah, ma trovo difficile credere che non vi rendiate conto di quanto siete bella. Siete davvero cosìmodesta?

— Al contrario, Douglas. Grazie a mio padre, conosco i miei lati positivi tanto quanto quelli negativi.Non c’è nulla che mi possiate dire che non mi sia stato già fatto notare infinite volte.

Fece per andarsene, ma lui la trattenne per un braccio.— Credete a tutto quanto vi dice vostro padre, Sarah?— Cosa intendete?— Pensate che sia un pozzo di saggezza? Date retta a quello che dice riguardo a Chavensworth? E già

che ci siamo, date importanza a ciò che dice di vostra madre?— No, e voi siete il primo che dovrebbe saperlo.— Allora perché credete a quello che dice su di voi?— Non è stato solo mio padre, Douglas. Ho fatto due Stagioni a Londra, le quali costano molto. Sono

stata presentata in società come solo la glia di un duca può esserlo. Mi hanno fatto conoscere tutti gliscapoli decenti del Commonwealth. Sono stata presentata perfino alla regina.

— E?Non poteva essere così stupido.— Non ho attratto l’attenzione di nessun uomo. Neanche uno.Non aveva intenzione di parlargli della cotta che si era presa per il giovane conte che ballava con tanta

maestria e le aveva dedicato tante attenzioni solo per ignorarla completamente la seconda volta chel’aveva incontrata, come se di colpo Sarah fosse divenuta invisibile. Solo più tardi aveva appreso che ilconte si era danzato con un’ereditiera, lasciando Sarah con la bruciante sensazione di una ferita alcuore.

Non aveva nessuna intenzione di trovarsi un’altra volta in una simile situazione.— Allora erano tutti ciechi — commentò Douglas seccamente.— Non ho bisogno che mi consoliate, ve lo assicuro.Le avrebbe risposto se qualcuno non avesse bussato alla porta proprio in quel momento. Si voltò e

vide Hester sulla soglia, il viso sconvolto dal dolore e rigato di lacrime.Senza bisogno di parole, Sarah capì. Sua madre era morta mentre lei non c’era.

In seguito, non ricordò nulla del ritorno al palazzo se non che era cominciato a diluviare. La tempestaera stata furiosa, come l’accumulo di nuvole nere e il vento avevano lasciato prevedere. Sarah arrivò acasa fradicia, ma non se ne curò. Qualcuno le posò un asciugamano sulle spalle e le asciugò il viso. —Grazie — rispose distrattamente, senza rendersi conto d’altro.

Si sedette su una poltrona e desiderò di essere sola, che tutte quelle persone scomparissero e il mondofosse un posto più gradevole e accogliente di quanto era diventato in quel giorno di pioggia.

Alle sue spalle sentiva piangere e si chiese se stesse piangendo anche lei. Si portò i palmi alle guance escoprì che erano fredde, ma asciutte.

Avvicinò la poltrona al letto su cui c’era sua madre. Hester le aveva posato le mani sopra le lenzuola esembrava che stesse solo dormendo. Aveva gli occhi chiusi e la pelle bianca come carta. L’unicadifferenza rispetto a prima era che il suo petto aveva smesso di sollevarsi a ogni respiro. Nella stanza nonc’era che silenzio, interrotto da singhiozzi.

Sarah non riusciva a pensare. Qualcuno le mise in mano una tazza di tè e lei si ritrovò a ssare illiquido ambrato. Un momento più tardi – o forse cinque minuti, non poteva saperlo – qualcun altro,pietosamente, gliela portò via.

— Credo che sarebbe meglio concedere a lady Sarah qualche istante di intimità con sua madre.Era la voce di Douglas. Si sarebbe dovuta ricordare di ringraziarlo più tardi.Sentì le sue mani sulle spalle, il palmo che le accarezzava il collo, facendola rabbrividire. Erano calde e

voleva il suo calore, ne aveva bisogno.— Potete parlarle — disse sottovoce. — Questo è il momento di dirle tutto ciò che desiderate. — Andò

verso la porta, l’aprì e si voltò verso di lei. — Quando sarete pronta, uscite. Ma fino a quel momento, faròin modo che nessuno venga a disturbarvi.

Sarah annuì, colma di gratitudine, ma incapace di manifestarla a parole.La porta si chiuse e finalmente si trovò sola con sua madre.Aveva gli occhi gon di lacrime. Chinò il capo, sentendosi smarrita. Sua madre era stata la sua amica,

la sua con dente, l’unica persona a cui chiedeva consiglio. Passavano ore a chiacchierare, a ridereinsieme, a scambiarsi battute che nessun altro avrebbe capito. Avrebbe dovuto cancellare i ricordi perchésarebbero divenuti troppo dolorosi.

Come poteva superare una sofferenza simile?Le accarezzò una guancia, no alla tempia, scostandole il ciuffo di capelli grigi. Anche da morta, era

una donna bellissima.C’erano tante cose da fare, da organizzare. Avrebbe dovuto informare suo padre, il quale non ne

avrebbe certo fatto una malattia, tutt’altro. Avrebbe dovuto informare gli avvocati, organizzare il ritofunebre e la sepoltura nella cripta di famiglia.

Se non altro, era almeno riuscita a concederle di morire a casa sua. Il duca avrebbe dovuto esserepunito per ciò che aveva quasi fatto. Dio avrebbe dovuto incenerire la sua carrozza con un fulminementre percorreva qualche strada di Londra. Doveva morire in un lampo o, meglio, lentamente, urlandodi paura e dolore.

Prese qualche respiro profondo. L’odio poteva aspettare. Prima doveva superare la sua sofferenza.Chinò il capo. Cosa poteva dire? Se lo spirito di sua madre aleggiava ancora nella stanza, cosa avrebbe

desiderato sentirsi dire?— Mi manchi già — disse. — Come posso... — Si interruppe bruscamente. “Mio Dio, dammi la forza

di sopportare tutto questo dolore. Nessuno dovrebbe morire così, dopo una lunga malattia, spegnendosilentamente in questo modo.”

Alla ne le lacrime sgorgarono libere dagli occhi, lacrime calde, in nite. Pianse no a che non si sentìdel tutto svuotata. Qualcuno arrivò, l’abbracciò e la prese in braccio, senza sforzo. Sarah protestòdebolmente, ma poi appoggiò il viso su una spalla maschile. Douglas. L’aveva riconosciuto dall’odore dilegno di sandalo.

La portò in una stanza, non capiva se fosse la sua o quella dell’appartamento ducale, e cominciò aspogliarla. Una donna lo stava aiutando. Hester? Le tolsero le scarpe e le calze, le in larono una camiciada notte di lino e la misero a letto, rimboccandole le coperte come se fosse una bambina.

Anche con gli occhi chiusi, non poteva trattenere le lacrime. Sentì Douglas sedersi sul bordo del letto,poi sdraiarsi al suo fianco, tirandosela vicino e facendole appoggiare la testa sulla sua spalla.

— Potete piangere quanto volete, Sarah.Si strinse a lui come se fosse l’unico salvagente nell’oceano delle sue lacrime.Un’ora più tardi erano ancora nella stessa posizione. Sarah stava scivolando nel sonno, ma lo teneva

strettamente per la camicia, temendo che la lasciasse.Le diede un bacio leggero sulla fronte.Nella sonnolenza sentì qualcuno bussare alla porta. Douglas le mormorò qualcosa di rassicurante e si

staccò da lei. Sarah si lasciò sfuggire un gemito di protesta. La voce di Douglas le arrivò da lontano.— Adesso non può essere disturbata.Si sarebbe dovuta alzare per scoprire cosa c’era di così importante, ma si sentiva sempre più lontana

dal mondo reale.Quando Douglas tornò a letto e la prese fra le braccia si arrese a un sonno intriso di dolore.

Avrebbero voluto che risolvesse una stupida disputa fra le cameriere. Guardò il viso devastato daldolore di sua moglie e sentì la furia montargli dentro. Aveva appena perso sua madre, una donna a cuiera tanto devota, e la governante aveva dimostrato di non avere neppure il buon senso di un moscerino.

— Dovete arrangiarvi da sola — le aveva risposto e la governante era sembrata sorpresa.Teneva Sarah teneramente fra le braccia, anche se la posizione era scomoda. Aveva bisogno di

qualcuno che si prendesse cura di lei, che la proteggesse.I giorni a venire sarebbero stati difficili per Sarah. Il dolore iniziale si sarebbe gradualmente attenuato,

ma ne avrebbe dovuto pagare lo scotto. Ci sarebbero stati momenti in cui si sarebbe sentita sopraffatta edera allora che più avrebbe avuto bisogno di lui.

Non aveva mai creduto all’amore a prima vista. Passione sì, forse, ma amore? Non aveva senso. Fino

al momento in cui lady Sarah era entrata nello studio del duca di Herridge e Douglas si era sentitotravolgere da un uragano. Era rimasto senza parole. L’aveva ssata, incredulo che una donna potesseessere così bella e allo stesso tempo così reale.

Con quegli occhi grigioverdi sfavillanti e i capelli neri sembrava una principessa celtica, non la glia diun duca. Era autoritaria, insistente, ostinata e amava sua madre come tutte le madri dovevano essereamate.

Aveva accettato di sposarlo, sacri cando il suo futuro per amore di una donna che aveva solo pochigiorni ancora da vivere e che non avrebbe mai saputo del gesto di sua glia. Douglas avrebbe fatto inmodo di evitare che in futuro dovesse ancora soffrire in seguito alla sua impulsiva decisione. Lo avrebbeamato, di questo era sicuro proprio come dei suoi diamanti. Non poteva obbligare una persona ainnamorarsi di lui, ma poteva incantarla, convincerla e ingannarla. Intendeva fare tutte e tre le cose.

Per il momento, comunque, l’avrebbe solo tenuta stretta e cercato di consolarla.

13

— Toglietevi subito quella smorfia dalla faccia — disse Anthony, duca di Herridge.Per un attimo Simons si irrigidì, poi abbassò le sopracciglia e distese le labbra.Di norma il duca di Herridge non si curava minimamente dello stato d’animo dei suoi servitori, ma

stranamente quel giorno Simons era riuscito a irritarlo.Morna era morta.Fra le dita della mano sinistra teneva il biglietto bordato di nero di suo genero e con la destra un

bicchiere di porto. Non riusciva a decidere se brindare alla sua defunta moglie o alla sua morte.Era morta, grazie a Dio. Morta. Ecco, risolta la questione.— Dite al valletto che lo accompagnerete nel suo viaggio di ritorno a Chavensworth — disse rivolto a

Simons.— Vostra Grazia? — disse il servitore, inarcando di nuovo le sopracciglia. — Non parteciperete al

funerale della duchessa?Avrebbe dovuto, il maggiordomo era stupefatto.Il duca di Herridge si era sempre vantato di non essere un ipocrita. Si era stancato di Morna, gli era

venuta a noia. Perché mai avrebbe dovuto recitare la parte del vedovo inconsolabile?Certo, se non fosse andato al suo funerale, la gente avrebbe mormorato alle sue spalle.E con ciò? Non gli importava dei pettegolezzi dell’alta società. Era il duca di Herridge, potevano

parlare quanto volevano. Se il suo nome fosse stato pronunciato nei salotti, questo avrebbe avuto ununico risultato palpabile: la sua compagnia e la sua presenza sarebbero state richieste più spesso.

Se in giro si fosse parlato di lui, la sua ricerca di una ereditiera sarebbe risultata più facile.— Non credo, Simons — disse. — Mi rappresenterete voi.Posò il biglietto sul tavolo, sedette sulla poltrona, guardò in trasparenza il colore del porto nel

bicchiere e nalmente ne assaporò il primo sorso. Per tutto il tempo, Simons restò immobile in piedi,ero e impettito come una quercia. Entro certi limiti il suo maggiordomo Simons non mancava di stile,

tanto che sarebbe potuto essere lui stesso un duca.Aspettò qualche minuto prima di parlare di nuovo.— Già che ci siete — disse, cogliendo Simons a metà di un inchino — riportatemi il cofanetto con i

gioielli di mia moglie.Simons si bloccò. — Vostra Grazia?— Dovrebbero esserci ancora dei rubini in quell’orrenda spilla che le ha lasciato sua madre. E anche

qualche zaffiro, se non sbaglio. Riportatemi tutto.— Certo, Vostra Grazia — disse Simons completando l’inchino.Mentre il maggiordomo stava varcando la soglia per uscire, il duca lo richiamò. — Ora che ci penso,

non c’è nemmeno bisogno che vi sorbiate il funerale dall’inizio alla ne. L’importante è che mi portiatequel dannato cofanetto.

Simons si fermò, ma non si voltò. Ottimo, pensò il duca, era riuscito a sconvolgerlo. Era una dellepoche soddisfazioni che la vita ancora gli dava.

— Sì, Vostra Grazia — disse Simons e chiuse la porta alle sue spalle.Anthony sorrise e prese di nuovo la lettera di Douglas Eston prima di gustare un altro sorso di porto.

— Dite all’amministratore che sarò da lui fra poco — disse Douglas, consultando il taccuino.Il valletto annuì.— Dite anche alla signora Williams di continuare a comportarsi come di consueto. Per il momento

non ci sono nuove istruzioni.Ancora una volta il valletto annuì, accennò un inchino e si allontanò con il portamento ero che gli

era stato insegnato a Chavensworth.Douglas chiuse la porta dell’appartamento ducale e guardò Hester.— Non è strano, signore? Prima la madre, adesso la figlia. — Guardò Sarah addormentata.Douglas ssò la donna chiedendosi se non avesse fatto un errore a chiedere il suo aiuto, ma aveva

bisogno di qualcuno che si prendesse cura di Sarah mentre lui si occupava del resto. Hester gli erasembrata la persona giusta, ma l’avrebbe allontanata all’istante se si fosse accorto che nella sua mentestava identificando Sarah con la duchessa.

— C’è un po’ di differenza — disse. — Sarah non sta morendo. È solo sopraffatta dal dolore.Hester non ribatté, ma l’occhiata che gli diede era chiara. Douglas doveva ammettere di essere un po’

preoccupato. Sarah aveva dormito tutto il giorno e non dava l’impressione di volersi svegliare.— Tornerò fra qualche ora — disse, sostando un attimo sulla porta.Hester sedette sulla sedia vicino alla nestra. — Andate, signore — mormorò impugnando i ferri da

calza e un gomitolo. — Resterò qui nché non si sveglierà, non preoccupatevi. Fate ciò che dovete intutta tranquillità.

Si chiuse la porta alle spalle e restò sorpreso nello scoprire che il corridoio che conducevaall’appartamento ducale era deserto. Il giorno prima era stato assalito da almeno sei diverse persone: tuttecercavano Sarah per avere permessi, autorizzazioni, istruzioni, consigli. La risposta di Douglas era statainvariabilmente: — Sbrigatevela da soli.

Beecher era stato il più insistente, restando ad aspettare fuori dalla porta con una tenaciainversamente proporzionale alla sua statura. Douglas alla ne era riuscito a convincerlo a ritornare inufficio, promettendogli di raggiungerlo al più presto.

Per arrivare nello studio dell’amministratore, aveva dovuto percorrere tre corridoi e salire due rampedi scale diverse. Alla fine del viaggio Douglas aveva capito perché l’uomo avesse quell’aria così affaticata.

Aveva già scoperto che il palazzo di Chavensworth era composto da sei diverse ali. Quattro formavanola struttura principale, mentre le altre due disegnavano una H all’estremità meridionale ed eranocollegate da un portico.

Quanti chilometri doveva percorrere Sarah ogni giorno?Bussò alla porta e sentì i passi felpati dell’anziano amministratore di Chavensworth. Beecher aprì e si

fece da parte per farlo entrare, lo fece accomodare su una poltrona di fronte alla grande scrivania, poi sisedette a sua volta.

— Avete detto che c’erano cose che non potevano attendere, signor Beecher. Di cosa si tratta? —chiese Douglas.

— Domani dobbiamo procedere al drenaggio dei campi a nord. Lady Sarah ha sempre voluto esserepresente.

— Perché?Beecher inarcò le sopracciglia. — Perché, signore? Perché siamo a Chavensworth.— E con ciò? Non siete voi l’amministratore?— Sì, signore, è così, ma i duchi di Herridge hanno sempre seguito di persona ogni aspetto della

gestione della proprietà. È una tradizione che risale al primo duca della dinastia.— Ma il duca di Herridge non è lady Sarah.Beecher sbatté le ciglia più volte mentre cercava evidentemente una risposta adeguata. Alla ne

sospirò profondamente.— Da tempo lady Sarah si è fatta carico di tutta la gestione di Chavensworth.— Ciò che intendete veramente dire, Beecher, è che lady Sarah è stata costretta ad assumersi

responsabilità che non competevano a lei, ma a suo padre, perché lui si rifiutava di farlo.Ancora una volta l’amministratore sembrò confuso. Alla ne, con grande sforzo, prese un enorme

libro mastro, lo aprì e lo sfogliò. Poi lo girò in modo che Douglas potesse leggere.— Questi sono i progetti elaborati dal nonno di lady Sarah — disse, indicando una mappa dei campi

di Chavensworth. — Oltre alla lavanda, abbiamo anche altre colture, ma facciamo quattro rotazioni permigliorare la produttività della terra. È stata lady Sarah a suggerire che piantassimo trifoglio.

— Ah sì?— Sì — confermò con orgoglio Beecher. — E ha anche voluto dirigere di persona le operazioni di

drenaggio dei campi e la costruzione di nuove condotte. Vedete, nei canali di drenaggio si accumulafango e il legno marcisce.

— Non potete pensarci voi, Beecher?L’uomo sembrò sorpreso. — No, certo che no.Fissò a lungo l’amministratore, poi disse: — D’accordo, ci penserò io. Fatemi solo sapere dove dovrò

farmi trovare domattina.Era evidente che Beecher non approvava la decisione di Douglas. — Ma non c’è mai stato un evento a

Chavensworth a cui lady Sarah non sia stata presente, dalla castrazione dei vitelli al parto delle pecore,alla costruzione di nuovi pozzi. Ha percorso in lungo e in largo, col bello e col cattivo tempo, ogni metroquadrato di Chavensworth.

— E tutto questo secondo voi è giusto?L’uomo sembrò sorpreso. — Come avrei potuto impedirglielo, signore? Lady Sarah dedica ogni sua

energia a Chavensworth. Nemmeno il duca di Herridge farebbe ciò che fa lei.— Vi ringrazio delle vostre spiegazioni, signor Beecher — disse Douglas alzandosi.— Dovrò rivolgermi a voi in futuro, signore? Avete assunto voi la cura di Chavensworth dopo il

matrimonio con lady Sarah?— Mio Dio, no di certo — rispose Douglas. — Non ho alcuna competenza in fatto di agricoltura.— Ma volete comunque controllare le operazioni di drenaggio?— Farò tutto quello che deve essere fatto, nché fra il personale non troverete qualcuno che abbia

l’energia e la voglia di farsi carico delle responsabilità di lady Sarah. — Rivolse un’occhiata penetrante aBeecher.

L’uomo deglutì. — Volete dire il mio sostituto, signore?— Diciamo piuttosto un vostro apprendista, Beecher. Qualcuno che voi possiate istruire e addestrare

nella gestione di Chavensworth in modo che tutto non gravi sempre e solo sulle spalle di lady Sarah.Beecher non disse nulla, limitandosi a chiudere il libro mastro.— Devo vedere la governante — disse Douglas avviandosi alla porta. — C’è una via più breve per

arrivare alle cucine?— Temo di no, signore — rispose Beecher piegando le labbra in un sorriso appena accennato. —

Continuate lungo il corridoio a specchi, poi, una volta arrivato nell’edi cio principale, girate a sinistra echiedete al primo valletto che incontrate.

Douglas annuì. — Sarò ai campi nord domani — confermò.Beecher appoggiò entrambi i palmi sul tavolo e si alzò.— Vogliate esprimere a lady Sarah le mie condoglianze e i miei auguri di pronta guarigione. È sempre

doloroso perdere un familiare, specialmente in un caso come quello di lady Sarah. Era molto devota asua madre.

Douglas salutò e uscì, destreggiandosi nel labirinto di scale, stanze e corridoi di Chavensworth.Dovette chiedere informazioni due volte, solo per scoprire che la signora Williams non era né nel suoufficio, né nelle cucine. Alla ne la trovò nella biblioteca a controllare l’operato delle cameriere intente aspolverare i libri.

Lei lo vide, aggrottò la fronte, poi gli andò incontro. Aveva modi gentili, ma i suoi occhi azzurrochiaro sembravano in grado di inchiodare un servitore al suo posto con uno sguardo.

Lo condusse in una saletta.— Ho bisogno del vostro aiuto, signora Williams — esordì tirando fuori il taccuino. — Lady Sarah

non si sente bene — proseguì chiedendosi se fosse il modo corretto per descrivere ciò che sua moglie stavapassando. — Devo pensare io ai preparativi per il funerale.

Il mondo era un posto grigio, amorfo, privo di con ni. Non c’erano porte, né nestre, né scale. Nonc’erano nuvole né stelle. Non c’era inferno né paradiso. Non c’era il cielo, non c’era l’erba. Il suo era unmondo foderato da una nebbia che Sarah non aveva alcuna fretta di dissolvere.

“Per favore, fa’ che la nebbia resti per sempre.”Si alzò per lavarsi, ma poi la stanchezza ebbe il sopravvento obbligandola a tornare barcollante a letto.Sapeva che era notte solo perché il materasso era piegato sotto il peso di suo marito. Non le importava

nemmeno dividere il letto con lui o che, a volte, le si avvicinasse al punto di sentire il suo calore. Si erasvegliata più volte, con la guancia appoggiata al suo petto nudo, mentre si chiedeva cosa fosse quel suonomartellante. Poi aveva capito che era il battito del cuore di Douglas.

Una parte di lei era sconvolta all’idea di trovarsi in stretto contatto con un uomo evidentementenudo, ma riuscì a tacitare i suoi scrupoli voltandosi su un anco, abbarbicandosi al cuscino e sforzandosidi riaddormentarsi.

I giorni passarono in fretta, uno dopo l’altro. Ogni notte Douglas si sedeva sulla poltrona vicino allanestra, se la prendeva in braccio, la copriva con una coperta e le raccontava quello che aveva fatto. Lei

gli appoggiava il capo sulla spalla, con le labbra così vicine alla sua gola che, se si fosse chinata un po’ inavanti, avrebbe potuto baciargli il collo.

Pian piano cominciò a uscire dal torpore e a prendere coscienza di ciò che Douglas le diceva quandole urlava che doveva smettere di crogiolarsi nel suo dolore quando tanta gente a Chavensworthdipendeva da lei. C’era un’in nità di cose da fare: le valutazioni del personale, i campi da drenare, lescuderie da imbiancare e tanto, tanto altro che semplicemente non veniva fatto.

Quanto tempo aveva dormito? O, più correttamente, quanto tempo aveva passato a letto, incapace diaffrontare il mondo? Settimane? Giorni?

Strano che non lo sapesse. E ancora più strano che si sentisse sempre così stanca.

— Dovete ritornare nel mondo, Sarah — disse Douglas, avvolgendosi una sua ciocca di capelli attornoa un dito. — Lo so che è difficile, ma non potete farne a meno. — Se la sistemò meglio sulle ginocchia esentì la sua mano stringersi sul collo. — Io sarò sempre con voi ad aiutarvi. Non sarete mai più sola.

La mano sul collo allentò la presa.— Vi ho mai raccontato del mio viaggio in Africa? — le chiese senza aspettarsi una risposta. — O

preferite invece che vi parli della Cina?Il suo respiro era leggero e regolare e Douglas sospettò che fosse sveglia e lo ascoltasse.— Vi invidio — disse, rendendosi conto che era la verità. — Vi ricordate di vostra madre e non la

dimenticherete mai. Io invece ho solo vaghissimi ricordi dei miei genitori, due adulti che per un brevetempo Hanno fatto parte della mia vita per poi andarsene all’improvviso. Mi piacerebbe che mia madrefosse stata gentile e affettuosa come la vostra. Vorrei che i miei ricordi fossero colmi d’amore.

Decise di non procedere oltre su quella strada.— Quando i miei sono morti, non c’era nessun altro nella mia famiglia, così il Signore forse mi ha

portato Alano per assicurarsi che qualcuno si prendesse cura di me.Si sistemò meglio sulla poltrona, spostando il proprio peso. Da come lei si mosse ebbe la conferma che

era sveglia. Le prese un polso fra le dita. Lentamente l’attirò a sé e la tenne contro il petto.Esitò, lasciando che il silenzio li avvolgesse come un bozzolo. — Credo che sia sempre difficile quando

muore un genitore, indipendentemente dall’età.— Non sarebbe dovuta morire — gli rispose con voce rauca.Abbassò lo sguardo su di lei. Teneva gli occhi chiusi con determinazione.Si era fatta carico di troppe responsabilità: la gestione di Chavensworth, il benessere del personale, la

salute di sua madre. Ognuno aveva tranquillamente permesso che si gravasse di troppi oneri, tanto chealla fine nessuno era più in grado di decidere nulla senza la sua approvazione.

Fra le varie cose, Douglas si era occupato della pulizia dei canali di drenaggio, dell’imbiancatura dellescuderie, aveva ascoltato la confessione di un furto da parte di una cameriera in lacrime decidendo lapunizione, risolto una disputa fra una cameriera e una sguattera, approvato il trasporto delle orchidee almercato, fatto pagare una dozzina di fatture mensili ai fornitori e ordinato i preparativi per il funeraledella duchessa di Herridge.

Tutto questo solo il primo giorno.Quando era successo che l’intera responsabilità della gestione di Chavensworth era passata da sua

madre alle spalle di Sarah? Quando aveva iniziato a esagerare?Invece di pensare che Sarah avesse doti sovrumane, avrebbero dovuto lasciare che l’amministratore, il

sovrintendente della fattoria e altri in posizione di autorità esercitassero più potere e si assumessero laresponsabilità delle persone alle loro dipendenze. Solo in casi eccezionali sarebbero dovuti andare achiedere consiglio a Sarah.

Chi era in posizione di potere doveva meritarsi la ducia giorno dopo giorno, o rassegnarsi a essereaccantonato e sostituito. Aveva già in parte chiarito il concetto al personale e no a quel momento nonc’erano stati problemi.

Aveva dovuto sospendere il lavoro sui diamanti, anzi, non aveva nemmeno nito di aprire le casse checontenevano i suoi strumenti. L’unica cosa che era riuscito a fare per il proprio lavoro era stato mandaredue garzoni di stalla a scavare le fondamenta della fornace.

— Nulla di quello che dicevo o facevo aveva importanza — disse Sarah improvvisamente.Douglas si sentì come se stesse camminando a piedi nudi su cocci di bottiglia.

— Lo so che la gente a Chavensworth scarica addosso a voi la responsabilità di tutto, ma questo nonvuol dire che siete onnipotente, Sarah.

Si irrigidì fra le sue braccia.— Quando sarà passato abbastanza tempo, vi accorgerete che avete fatto tutto quanto era in vostro

potere. Penserete a vostra madre e, invece che provare dolore, il ricordo vi scalderà il cuore. Fino a quelmomento, dovrete vivere giorno per giorno. Ma non c’è via d’uscita. Non si può sfuggire al dolore dellaperdita di una persona amata.

Gli appoggiò una mano sul petto.— Il funerale è domani, Sarah. Ho cercato di ritardarlo il più possibile.— E mio padre? — Gli sfiorò la camicia con le dita.— Gli ho scritto. Non mi ha ancora risposto.Sarah sospirò a fondo.— Non potete non esserci, Sarah.Annuì, strofinandogli il viso su una spalla.— Ci sarò — disse in un bisbiglio. — Quanto tempo ho dormito?— Cinque giorni — rispose. Cinque angoscianti e lunghissimi giorni.

14

La funzione avrebbe avuto luogo nella cappella di Chavensworth, un piccolo edi cio all’estremitàopposta della proprietà. Il primo duca di Herridge, l’uomo che aveva progettato Chavensworth, avevagiocato sulla simmetria. Se c’era un edi cio sul lato est, allora doveva essercene uno corrispondente sullato ovest. Alle scuderie faceva da contrappunto il casei cio, mentre la cappella era controbilanciata daun granaio. L’unica eccezione era costituita dall’osservatorio, costruito su una collinetta in mezzo a uncampo. Agli occhi di chi aveva inizialmente progettato l’intero complesso sarebbe parso un’oscenità, sesolo avesse potuto vederlo. Ma era già morto da secoli all’epoca in cui il nonno di Sarah l’aveva fattocostruire.

Florie le allacciò il corsetto e nì di vestirla per il funerale, poi passò ad acconciarle i capelli, mentreSarah si guardava allo specchio. Aveva il viso pallido e le guance smunte. Sembrava malata e priva divita. Doveva essere dimagrita. I capelli erano privi di brillantezza, opachi. Unica nella famiglia ad avere icapelli neri, Sarah ne era sempre andata fiera.

Florie le mostrò due veli, uno che le avrebbe coperto solo la fronte, il naso e la bocca, l’altro, tutto ilviso, scendendo no al petto. Sarah scelse quello più lungo e Florie l’aiutò a ssarlo ai capelli con piùforcine del solito. Poi, una volta che Florie le ebbe passato i guanti, Sarah andò a prendere il libro dellepreghiere sul comodino.

— Ci vediamo nella cappella — disse, come se fosse una domenica normale.— Non volete che vi accompagni, lady Sarah?— Non è necessario, Florie.La funzione non sarebbe iniziata che dopo un’ora, ma Sarah voleva andare prima nella cappella, non

per assicurarsi che tutto fosse a posto, ma per avere a disposizione un po’ di tempo da passare sola consua madre.

— Vi sentite bene, lady Sarah?Lei esitò prima di rispondere. Le faceva male l’occhio destro, ma doveva essere colpa delle lacrime

versate nei giorni passati. Aveva le labbra secche, la voce roca e un senso di vuoto nel petto. Ma dissesolo: — Sì, sto bene, grazie.

Raggiunse la cappella camminando a capo chino. Per due volte incrociò alcune persone chemormorarono parole che a stento oltrepassarono il velo che le celava il viso. In entrambi i casi si limitò arispondere con un cenno della mano e null’altro.

Avrebbe dovuto partecipare alla vestizione della salma, invece che demandare il compito a Hester. Masi sarebbe anche dovuta incontrare con il pastore per accordarsi sul rito. Occuparsi del rinfresco per ipartecipanti al funerale. Concedere un giorno di riposo al personale in onore della duchessa di Herridge.

Da quanto le avevano detto, era stato Douglas a farsi carico di tutte quelle incombenze, senza maidirle nulla. Aveva semplicemente fatto ciò che si doveva senza aspettarsi riconoscenza.

L’entrata della cappella si affacciava su un giardino ornamentale: invece di continuare lungo ilsentiero Sarah si voltò a guardarlo. Qualcuno, forse Douglas, si era preoccupato di far tagliare l’erba.C’erano solo rose bianche, per volontà di sua madre che sosteneva che le rose rosse facevano pensare alsangue. Ne annusò il profumo insieme a quello dell’erba appena tagliata. Per un attimo Sarah fu tentatadi togliersi il velo e rivolgere il viso al sole, per lasciarsi scaldare.

Non lo fece, ovviamente: non sarebbe sembrato opportuno.Lentamente si voltò e continuò lungo il sentiero, facendo un cenno a un valletto, poi si girò e aprì la

porta della cappella.Una volta entrata esitò qualche secondo per abituarsi al buio. Vicino all’altare c’era un catafalco su cui

era posata la bara, coperta da un drappo.Quattro valletti erano ritti a ogni angolo del catafalco, rigidi come le statue della cappella. A anco di

ognuno c’era un candelabro con le candele accese.Sarah si avvicinò a uno di loro.— Vorrei restare un po’ di tempo da sola — sussurrò.L’uomo abbassò lo sguardo, annuì e senza una parola si voltò e fece un cenno agli altri tre. Nel giro di

pochi secondi non rimase più nessuno.Sarah andò di fronte all’organo, prese lo sgabello dell’organista e lo spostò di fianco al catafalco.Si sedette togliendosi il velo. Florie si sarebbe lamentata che, così facendo, aveva spostato le forcine e

rovinato l’acconciatura.— È una bellissima giornata, mamma — mormorò. La sua voce le sembrò strana.Si tolse il guanto e posò la mano destra sulla bara. La super cie era fredda. Cosa l’aveva indotta a

sperare che non lo fosse?Era sempre stato facile parlare con sua madre. Perché ora le sembrava così difficile? Perché sua madre

non era lì. Stava ridendo per sempre sotto una vecchia quercia o era seduta sorridente di fronte alcaminetto ad ascoltare sua glia parlarle della sua prima Stagione a Londra. Stava camminando lungo icorridoi di Chavensworth mentre Sarah le trotterellava dietro, con un libro mastro stretto al petto. Eradivenuta un ricordo, un battito di palpebre, un desiderio.

— Non so come sia il paradiso, mamma. Spero che sia come tu lo vuoi. Spero che tu non stiasoffrendo, che tu sia felice. — Esitò, abbassando il capo. — Mi mancherai per il resto della vita.

Lentamente si rimise il guanto, poi si avvicinò all’altare e s’inginocchiò.— Mio Dio — disse, rendendosi conto che era la prima volta che pregava da quando era morta sua

madre. Non aveva mai cercato Dio. Sarebbe stato in collera con lei per questo motivo?— Mio Dio — ripeté. — Ti prego, benedici mia madre e tienila vicino. Voglio credere che sia un

angelo. Forse avrò ancora bisogno di lei, di tanto in tanto. Spero che non ti spiaccia lasciare che mi parli.Sentì il cigolio della porta che si apriva e si richiudeva. Si voltò e vide un’ombra alta e massiccia

avvicinarsi.Douglas si fermò di anco al catafalco e la ssò con i suoi penetranti occhi verdi. Sarah si alzò, fece

due passi indietro, poi gli andò vicino.— Grazie — disse sottovoce. — Per tutto quello che avete fatto.Nessuno meglio di lei sapeva cosa comportasse assicurarsi che tutto andasse per il verso giusto a

Chavensworth, per non parlare dell’organizzazione del funerale di una personalità come la duchessa diHerridge.

— La signora Williams mi ha aiutato a mandare gli inviti — disse. — Spero di non avere dimenticatonessuno.

Sarah annuì. — Negli ultimi anni mia madre ha condotto una vita abbastanza riservata — disse. —Aveva un paio di amici nel vicinato, ma in genere preferiva restare a Chavensworth.

Distolse lo sguardo da lui e ssò una delle statue nell’angolo sotto la nestra. Suo nonno aveva avutouna vera passione per le statue a grandezza naturale. Oltre a quelle del giardino greco, ne aveva sistematealtre cinque nella cappella, che, a differenza delle prime, se non altro indossavano qualcosa di simile atoghe romane.

— Sono contento che vi siate ripresa.— Non mi sento meglio — disse lei, incongruamente.— Non sto dicendo che avete smesso di soffrire, Sarah — disse, girando attorno alla bara per andarle

accanto. Le posò la mano sul braccio e Sarah sentì il calore del tocco attraverso la stoffa. — Il vostro è unlungo viaggio e, sfortunatamente, solitario.

Sarah annuì.— Avete fatto colazione?— Colazione? — chiese, sentendosi stupida per avere ripetuto la domanda. Il cambio d’argomento era

stato così repentino che ci mise un po’ a rendersi conto che non aveva ancora mangiato nulla. Quandoglielo disse, Douglas scosse il capo.

— La funzione non comincerà ancora per un po’. Perché non andiamo nella dispensa? Sono sicuroche riusciremo a rimediare qualcosa senza nemmeno disturbare la cuoca.

Le strinse un braccio e lei posò la mano sulla sua, prima di rendersi conto che doveva rimettersi ilvelo.

Douglas l’aiutò a farlo.— Che profumo vi siete messa? — le chiese a voce così bassa da riuscire a stento a sentirla.— Lo fanno apposta per me qui a Chavensworth — rispose. — Lavanda con un po’ di rosa.Le era molto vicino, così tanto che se avesse fatto un passo avanti sarebbe andata a sbattergli contro.

Aveva alzato le braccia per sistemarle il velo, quasi in un abbraccio. Ma negli ultimi giorni si era trovataspesso abbracciata a lui, quando si svegliava la notte ritrovandosi con il viso appoggiato al suo petto. Erasempre stato al suo fianco, accompagnandola nel suo viaggio attraverso il dolore.

— Mi avete tenuta abbracciata mentre dormivo — gli disse.— Avevate bisogno di affetto.— Grazie — sussurrò.— È l’ultima cosa per cui dovreste ringraziarmi, Sarah.Si sentì arrossire.La prese di nuovo sottobraccio e Sarah si lasciò condurre fuori dalla cappella.

15

Il funerale fu una cerimonia solenne, in tutto e per tutto degna della duchessa di Herridge.Suo padre non partecipò. Né si prese la briga di mandare due righe per spiegare la sua assenza. Ma

venne Simons. Sarah lo notò fra i presenti e gli fece un cenno di saluto, che lui ricambiò.Dopo il funerale, Sarah andò alla tomba di famiglia per assistere alla sepoltura. Poiché suo padre non

aveva ritenuto di dover partecipare, Sarah era l’unica parente, ma quando venne il momento di sistemarela lastra di pietra a copertura della tomba, fu Douglas a farsi avanti e dare l’ordine.

Dopo la benedizione nale, mentre gli ospiti si riunivano per il rinfresco funebre, Douglas scortòancora Sarah nella cappella, ora deserta. Quando ne uscirono, invece di dirigersi verso l’ala orientale delpalazzo, Douglas la prese per un braccio e la sospinse in direzione opposta, verso l’area residenziale.

— Dove stiamo andando?— Dovete riposarvi — rispose con un tono che non ammetteva repliche.— Ho già riposato per una settimana, Douglas. Mi sembra abbastanza.— Non siete obbligata a presenziare al rinfresco. Nessuno vi biasimerà per questo.Lentamente si sollevò il velo, poi se lo strappò via, senza curarsi di sciupare la pettinatura. Doveva

convincerlo.— No, devo esserci — disse. — Mia madre se lo aspetterebbe.— Vostra madre vorrebbe ciò che è meglio per voi.— Mia madre vorrebbe che rappresentassi la famiglia, visto che mio padre non è venuto. Ci sono degli

ospiti a Chavensworth e bisogna che qualcuno di casa si prenda cura di loro.Arrivarono alla scala che veniva usata solo dalle persone della famiglia e non era quindi così

imponente come quella dell’entrata principale, ma sempre più grande della scala di servizio che partivadalla cucina.

Douglas si fermò di fronte al primo gradino e la scrutò.— Sono preoccupato per voi. Vi tremano le mani.— Questa è una cosa che devo fare io, Douglas. Voi vi siete già preso cura di tutto il resto. — Si sforzò

di sorridergli. — Inoltre lo spuntino di prima non mi è bastato, ho ancora fame.La notizia sembrò allietarlo, ma prima che potesse risponderle il suo sguardo si posò su un punto alle

sue spalle. Si fece avanti e si sarebbe messo di mezzo se lei non avesse riconosciuto la persona nell’ombra.Lo fermò posandogli una mano sul braccio.

— Chiedo scusa per avervi disturbato, lady Sarah — disse Simons avvicinandosi d’un passo.— Cosa volete, Simons? — chiese Douglas.Sarah scosse il capo. Non c’era bisogno che il marito cercasse di proteggerla.— Cosa c’è, Simons? — chiese rivolgendosi al maggiordomo di suo padre.— Vostro padre...— Non è venuto al funerale — concluse lei.Simons abbassò lo sguardo, poi ssò la scalinata. — No, lady Sarah, non è venuto. — Sospirò, poi

continuò: — Lady Sarah, vostro padre mi ha mandato a prendere il cofanetto dei gioielli appartenenti avostra madre.

— Mio padre vi ha mandato a prendere i gioielli di mia madre? — ripeté lei, con molta calma.Douglas si avvicinò alle sue spalle, tanto che poté sentirne il calore.— Sì — confermò Simons, molto a disagio.— Ma certo — disse lei, voltandosi e cominciando a salire le scale. A metà strada si fermò girandosi di

nuovo verso Simons.— Non vi sarò d’aiuto, Simons. Se volete i gioielli di mia madre, dovrete andare a prenderli da solo.Simons prese lentamente a salire le scale, seguito da Douglas. Sarah si diresse verso l’appartamento

della duchessa e, senza aspettare, entrò. Era la prima volta che ci andava da quando era morta sua madree fu immediatamente assalita dalle memorie di un tempo più felice.

Allontanò i ricordi, non senza sforzo. Non aveva tempo per i rimpianti, in quel momento. Andòall’armadio dove sua madre riponeva il cofanetto dei gioielli, lo aprì e ne tirò fuori una piccola scatola dilegno bordato di ferro. Non era chiusa, non c’era ragione di temere furti a Chavensworth, se non daparte dello stesso duca.

Sarah ne sollevò il coperchio, tirò fuori una pergamena ripiegata e l’aprì. All’interno c’era unacollanina di margherite secche. Sua madre le aveva detto una volta che la considerava il suo gioiellopreferito.

— Questa l’ho fatta io per mia madre quando avevo sei anni — disse. — È priva di valore per miopadre e vorrei tenerla.

Simons si limitò ad annuire. Sarah si mise la pergamena ripiegata in tasca e porse il cofanetto aperto aSimons.

— Ecco — disse. — Prendeteli tutti. Immagino che, per un uomo come lui, aspettare che fosse passatoalmeno un giorno dalla sepoltura sarebbe stato troppo.

Simons sembrò voler dire qualcosa, ma si limitò invece a scuotere il capo. Cosa poteva dire? Era alservizio del duca di Herridge, non suo e, sfortunatamente, nemmeno di sua madre.

Si chinò, più di quanto fosse richiesto dalle circostanze. — Lady Sarah — mormorò.Dopo che se ne fu andato, Sarah si rivolse a Douglas. — Non avreste dovuto guardarlo come se foste

sul punto di prenderlo a pugni. Non è colpa sua, stava solo eseguendo gli ordini di mio padre.Douglas, che fino a quel momento non aveva detto nulla, andò a chiudere l’armadio.— Siete sicura di non voler riposare, Sarah?Le sue dita si strinsero sul pacchetto che teneva in tasca.— Forse dovrei. — Le seccava confessare la sua debolezza, ma forse non era una colpa amare una

persona e sentire solo un orribile senso di vuoto quando non c’era più.— Non c’è bisogno che restiate a farmi compagnia — disse. — Uno di noi deve essere presente mentre

ci sono gli ospiti.Sembrò esitare per un istante.— Vi prego, Douglas.Alla ne annuì. Si separarono nel corridoio e lui la sorprese chinandosi su di lei e baciandole una

guancia.— Promettetemi che vi riposerete.Sarah chiuse gli occhi. — Lo farò.Lo guardò allontanarsi lungo il corridoio, si voltò e tornò lentamente nella sua stanza, poi chiamò

una cameriera perché l’aiutasse a svestirsi e, quando se ne fu andata, si buttò sul letto, ancora insottoveste, decisa a non concedersi più di un’ora di sonno.

L’ora doveva essere durata molto più a lungo perché quando si risvegliò era buio e Douglas erasdraiato sul letto con lei.

— Ora sono troppo stanca per qualsiasi cosa — gli disse. — Ma promettetemi che domani miconcederete un po’ del vostro tempo.

— Posso dedicarvi un’ora al mattino. Vi basta?Cercò di annuire, ma anche quel gesto le avrebbe richiesto troppe energie.— Sì.Tutto sommato era piacevole dormire con un’altra persona. Sapere che, in qualsiasi momento avesse

voluto, poteva allungare la mano e toccarlo la confortava. Non aveva paura di nulla perché lui era unuomo alto, robusto e forte. Eppure non si era mai appro ttato di lei. Mai una volta aveva insistito peresercitare i suoi diritti di marito.

Chi era Douglas Eston? Da ciò che le aveva detto sapeva che era stato un esploratore. E unoscienziato, visto che aveva scoperto il modo di produrre diamanti. Un uomo a cui molto presto eramancata la famiglia e ancora ne sentiva la mancanza.

Di più non sapeva, ma avrebbe voluto scoprirlo.Si rannicchiò contro di lui addormentandosi di nuovo.Si svegliò al mattino per scoprire ancora una volta che se n’era già andato. Si era alzato all’alba? Era

all’osservatorio? Avrebbe preferito passare un po’ di tempo con lui invece che pensare a tutto il lavoro chel’aspettava. Doveva rispondere alle lettere di condoglianze di chi non era potuto partecipare al funerale el’etichetta richiedeva che ciò fosse fatto il prima possibile.

Scese nella biblioteca, sedette alla scrivania, guardò la pila di lettere e biglietti a cui doveva risponderee sospirò. Poi prese dal cassetto penna e calamaio e si rassegnò a dedicarsi all’adempimento dei suoidoveri. Ogni lettera rappresentava un’espressione di dolore e leggerla ravvivava il suo. Alla terza letteraaveva già ripreso a piangere, ma decise di non consentire alla sofferenza di interferire con il lavoro. Versola ne si rese conto che aveva smesso di piangere e che l’unica cosa che voleva era portare a termine il suocompito.

Quando ebbe nito, si ritrovò a contemplare un foglio di carta bianco, sapendo che non poteva piùrimandare il momento di scrivere la lettera più importante, quella che le pendeva sul capo come unaspada di Damocle.

Improvvisamente capì perché era così riluttante. Quella era una lettera che non doveva essere scritta.Si alzò e andò nella dispensa, dove omas stava lucidando l’argenteria. Come la vide, smise di

lavorare e fece per prendere la giacca.Sarah sollevò una mano per fermarlo. — Avete visto il signor Eston?— Non questa mattina, lady Sarah.— Grazie, Thomas — disse andandosene.Douglas doveva essere all’osservatorio. Uscì dal palazzo e s’incamminò per il sentiero. C’era brezza, ma

il clima era afoso, come se stesse per piovere. Sarah non era più stata all’osservatorio dal giorno che eramorta sua madre e restò stupefatta da come era cambiato.

Ovunque, sull’erba, erano disseminate casse aperte e nel terreno era stata scavata una buca. Dozzinedi mattoni erano ammonticchiati in più punti di fianco al sentiero.

Cosa aveva intenzione di costruire?Bussò alla porta e per un attimo si chiese se Douglas fosse lì. Finalmente l’uscio si aprì di scatto. Sarah

si portò le mani alla bocca e soffocò un ansito a fatica.— Non mi serve nulla, grazie — le disse, in tono secco. Era appoggiato allo stipite della porta e

nemmeno la guardava. Quando finalmente voltò lo sguardo e la vide, l’irritazione si mutò in sorpresa.— Con chi pensavate di parlare? — chiese, curiosa.— Con uno dei servitori — rispose, sbuffando. — Sono molto diligenti, Sarah. Bussano alla porta a

ogni piè sospinto per chiedermi se mi serve qualcosa. La cuoca mi ha mandato il pranzo, tè e una caraffadi birra. Hanno paura che muoia di fame qui da solo.

— Be’, spero che non me li abbiate spaventati, visto il vostro tono di voce. Non era per nullaamichevole.

— Non sapevo che ci si dovesse rivolgere in modo amichevole alla servitù.— Be’ — disse Sarah, correggendo la sua frase. — Se non amichevole, quanto meno civile. Non siete

stato molto civile, Douglas.— Chiedo scusa.— Non vi ho portato nulla — continuò Sarah. — Vuol dire che non posso entrare?

Sbirciò dentro e sul tavolo vide una quantità di ampolle e fiale attorno a curiosi oggetti di vetro.— Non è molto sicuro — disse stendendo un braccio attraverso la porta come per formare una

barriera. — Altrimenti vi avrei già invitato a entrare.— Non è sicuro? Se non è sicuro per me come fa a esserlo per voi?— Non ho mai detto che fosse sicuro per me.Sarah spalancò gli occhi. — Non mi avevate detto che stavate facendo qualcosa di pericoloso,

Douglas.— Per la verità non abbiamo mai parlato nei particolari del mio progetto, Sarah.Su questo aveva ragione. Aveva solo da poco scoperto il motivo per cui suo padre gliel’aveva concessa

in sposa, ma nulla di più. Doveva ignorare il fatto che la sua vita era in pericolo?— Perché siete venuta? — le chiese.Decisamente quel tono di voce non le piaceva. E nemmeno quel modo di guardarla. Ma non avrebbe

dovuto notare che aveva i capelli scomposti e la camicia sbottonata sul petto. Per quante volte Sarah lovedesse, per quante volte si ripetesse che era suo marito, non era mai preparata alla shock che provavaquando si trovava di fronte alla sua avvenenza.

— Sarah?Ricomponendosi, lo guardò negli occhi. Perché era venuta? Glielo chiese senza preamboli.— Devo andare in Scozia.Le parole sembrarono restare sospese nell’aria. Per diversi secondi lui non disse nulla, limitandosi ad

appoggiare la mano allo stipite della porta e a guardarla con grande attenzione.— Perché dovete andare in Scozia? Quando vi ho incontrata mi è sembrato faceste di tutto per

convincere vostro padre a non farvi andare.— Perché in Scozia vive mio nonno là. Il padre di mia madre. Devo dirgli che è morta e non posso

farlo con una lettera. A parte questo, non l’ho mai incontrato.Lui aggrottò la fronte. — Credete che questo sia il momento più opportuno per fargli visita?— Mia madre e suo padre non si parlavano e so che questa cosa la rattristava molto. Ora vorrei fare

qualcosa per sanare questo screzio. In tutta coscienza non posso scrivere a quell’uomo per dirglibrutalmente che sua figlia è morta. Credo che sarebbe troppo crudele.

— Non siete una persona crudele, Sarah. Anzi, vi preoccupate fin troppo degli altri.Avrebbe pensato più avanti a cosa quel commento si riferisse. Per il momento aveva bisogno di... di

cosa, del suo consenso? Ovviamente no. Della sua compagnia.— Riuscireste a trovare il tempo?— Volete che vi accompagni in Scozia?— Certo. Siete mio marito.— Lo sapevate che sono scozzese?Lo guardò sorpresa. — Scozzese voi? Non posso crederci.— Mai dire a uno scozzese che non lo è — l’ammonì.— Non me lo avevate mai detto. E non avete l’accento scozzese.— Ho viaggiato in tutto il mondo, da quando avevo quattordici anni, e parlo parecchie lingue. Ma

sono anni che non vado in Scozia.— Una ragione in più per tornarci — assentì Sarah. — Io non potrei stare tutto quel tempo lontana da

Chavensworth.Ignorò il suo commento. — Dove vivrebbe questo vostro nonno sconosciuto?— Vicino a Perth.La fissò. — Perth? Che coincidenza. Io a Perth ci sono nato.

Sarah non conosceva la geogra a della Scozia, sapeva solo che, a dar retta a suo padre, era una terramontuosa popolata da barbari. Ma non gli aveva mai creduto, visto che sua madre era scozzese e disicuro non era una barbara.

Douglas sbirciò all’interno dell’osservatorio, poi riportò di nuovo lo sguardo su di lei.— Quando vorreste partire?— Domani? Dopodomani?— A me serve una settimana per essere pronto.— Una settimana? — chiese Sarah. — Quanti giorni ci vorranno secondo voi per arrivare a Kilmarin?— Kilmarin?— È là che vive mio nonno.Per la prima volta da quando lo aveva incontrato, Douglas le parve sconvolto.— Conoscete Kilmarin?— Non direi che in Scozia qualcuno possa vantarsi di conoscere Kilmarin, lady Sarah.C’era una tale tensione nella sua voce che la lasciò sconcertata.Si guardarono per alcuni secondi senza parlare. Perché mai Sarah si sentiva come se avesse appena

cominciato un viaggio molto, molto importante?

16

Douglas uscì dalla porta del lato nord, un passaggio che raramente veniva usato dai residenti diChavensworth. La facciata di mattoni era contraddistinta da cinque camini di anco alla torre centraledell’orologio.

Aspettò che la carrozza si fermasse di fronte ai gradini. L’aveva comprata appena arrivato a Londra e ilcocchiere era stato il primo servitore assunto da Alano. Sia la carrozza che il cocchiere si addicevanoperfettamente a una delle più splendide residenze d’Inghilterra.

— Allora, sono la regina d’Inghilterra? — chiese Alano abbassando il nestrino. — Eccoti qua. Michiedo se non sarebbe il caso che tornassi a Londra di gran carriera. — Poi il suo sguardo passò in rivistala facciata di Chavensworth. — Anche se posso capire come mai non l’hai ancora fatto.

— Speravo che arrivassi in tempo.— In tempo per cosa? — chiese Alano. — Lo sapevo che non mi avevi chiamato solo per farmi vedere

la tua nuova casa.— Non è mia — disse Douglas. — E non credo che la vorrei. Richiede un sacco di cure e di lavoro.Alano non andava famoso per la bellezza del suo aspetto. Sembrava più un pirata che un gentiluomo

di mondo, specialmente quando era irritato, come in quel momento. Strinse gli occhi e aggrottò la fronte.— Hai intenzione di dirmi perché mi hai fatto venire o devo tirare a indovinare?Douglas abbassò la maniglia e aprì la portiera. — Cos’è che ti ha reso così di cattivo umore? Il nuovo

maggiordomo?— Quel pesce lesso? Non me ne parlare — rispose Alano. — Continua a correggermi. Lo licenzierei, se

non servisse a renderlo felice.— E perché lo renderebbe felice? — chiese Douglas celando un sorriso.— Perché avrebbe avuto la meglio. Preferisco che sia lui ad andarsene piuttosto che dargli la

soddisfazione di licenziarlo.Douglas decise che sarebbe stato inutile proseguire sull’argomento, così diede al cocchiere le

indicazioni necessarie a raggiungere le scuderie e condusse Alano all’interno.— Hai sistemato l’altra faccenda?

Alano tirò fuori di tasca alcune carte e le porse a Douglas. — Tutto a posto. Ma non ti è costato poco.— Grazie — disse Douglas. — Sto per andare in Scozia, Alano. A Perth.Alano lo fissò per qualche secondo.— Davvero? Credi di essere pronto?— Lo sono — affermò deciso Douglas. — Ma ho ancora bisogno del tuo aiuto. Il processo di

cristallizzazione è già cominciato e i cristalli saranno pronti nel giro di un paio di giorni al massimo. Nonposso andarmene e lasciarli senza nessuno che se ne prenda cura.

— Quando pensi di partire?— Nel giro di un’ora.— Non mi lasci molto tempo per organizzarmi, vero?— Temo proprio di no — ammise Douglas.Alano lo guardò restringendo gli occhi no a ridurli a due sottili fessure. — Dovresti ringraziarmi,

invece di insultarmi.— Io non ti insulto mai — replicò in tono allegro Douglas, divertito dal loro vecchio battibecco. — Ti

dico solo la verità.— Prima di andartene, dimmi cos’altro devo fare — disse Alano con un sospiro rassegnato.Stavolta Douglas non fece alcuno sforzo per celare il sorriso.

Una settimana più tardi, Sarah capì perché Douglas aveva avuto bisogno di un preavviso così lungoprima di partire per la Scozia.

Sapeva che sarebbero andati alla stazione di King’s Cross in carrozza, ma non aveva previsto che ilmezzo li portasse fino a dove terminava il treno.

Scesero e Douglas indicò un vagone di legno, lungo quasi quanto gli altri e verniciato di blu. Nonc’erano marchi né scritte, il che significava che era un vagone privato.

— Non mi piace viaggiare con altre diciotto persone — disse Douglas.— Volete dire che questo vagone è vostro? — chiese Sarah stupefatta.— Perché non diciamo che è nostro? Non ho avuto il tempo di arredarlo, ma Alano mi ha assicurato

che non è per niente male, considerato il poco tempo che ha avuto a disposizione.Sarah si voltò e lo guardò.— Avete comprato un vagone ferroviario?Douglas sorrise e le offrì il braccio. — Non volete vedere com’è? Anche per me è la prima volta.Ogni nestrino aveva tendine bianche di lino, che proteggevano perfettamente la loro intimità.

C’erano armadi di mogano con sportelli di vetro dietro i quali si potevano vedere diversi libri o bottigliedi liquori e bicchieri. Da un lato del vagone c’era un tavolo quadrato con quattro sedie rivestite divelluto, della stessa tonalità di blu dell’esterno.

Davanti c’era un grande divano posto di fronte a due poltrone imbottite, mentre il retro era diviso dauna parete di legno con una porta. Sia Sarah che Florie erano eccitatissime e lo furono ancora di piùquando videro il fornello celato all’interno di uno degli armadietti.

— Possiamo arrivare in treno solo fino a Perth — disse Douglas. — Da lì in poi dovremo proseguire incarrozza.

— Avete comprato anche una carrozza?— Ho semplicemente fatto caricare su un vagone merci quella con cui siamo venuti a Londra. Tim

verrà con noi — spiegò Douglas riferendosi al cocchiere che era anche marito di Florie. Poi si rivolse aquest’ultima. — Se volete viaggiare con lui, vi ho già comprato i biglietti di prima classe.

Florie guardò prima lui, poi Sarah, cercando invano di contenere il suo entusiasmo.

— Andate pure, Florie — la congedò Sarah. — Ci vediamo in Scozia.— Datemi solo il tempo di sistemare i viveri — disse Florie.Per quel giorno, la cuoca aveva preparato un cestino con dentro due porzioni di prosciutto salato, tre

vasetti di maiale arrosto e una dozzina di vasetti di verdure, albicocche e pesche secche, oltre a diverseforme di pane.

— Quanto ci metteremo ad arrivare a Perth? — domandò Sarah dopo che Florie se ne fu andata.— Quindici ore — rispose Douglas. — Sempre che non ci si debba fermare per la notte su un binario

secondario.— Così poco? — chiese Sarah lasciandosi cadere sul divano.Era incredibilmente comodo. Scosse il capo, incapace di abituarsi all’idea. Certo, Chavensworth era un

posto splendido, ma non era suo e tutto quello che poteva essere rimosso e venduto era già stato fattoportar via da suo padre. Sarah non aveva denaro suo e quanto si guadagnava con le coltivazioni deicampi a stento bastava a coprire le spese di gestione e approvvigionamento di ciò che non poteva essereprodotto sul posto.

Douglas sorrideva, soddisfatto di come il vagone era stato arredato.Un’ora dopo il treno cominciò a muoversi. Sarah decise che si era stancata del divano e si spostò su

una delle poltrone, aggrappandosi ai braccioli. Douglas, che era già al lavoro sulle sue carte, la guardò esorrise.

— È vero che corre molto più in fretta di una carrozza, ma non c’è motivo di aver paura.— Non ho paura — mentì lei. — Cerco solo di stare un po’ attenta.Douglas girò la poltrona per guardarla in viso. — È la prima volta che viaggiate in treno?Sarah annuì. — Immagino che invece voi l’abbiate fatto molte volte.Douglas sorrise. — Sì, ma anch’io ero spaventato la prima volta.Era molto gentile da parte sua, ma Sarah faceva fatica a credere che Douglas avesse mai avuto paura

di qualcosa.Presto si trovarono fuori città, in aperta campagna, circondati da colline. Il paesaggio era splendido, il

tempo gradevole e l’andatura priva di scosse. L’apprensione di Sarah presto si tramutò in noia.Esaminò i libri, ne trovò uno di botanica che sembrava interessante e fece per tornare alla sua

poltrona, quando si bloccò sentendo qualcosa muoversi sotto i piedi.— Cosa c’è, Sarah?Si girò verso Douglas.— Il pavimento vibra. È difficile camminare quando si va a questa velocità, non vi sembra? Come si fa

ad abituarsi?— Immagino sia un po’ come prendere l’abitudine ad andare per mare.Sarah raggiunse la sua poltrona, sedette e lo guardò. — Avete visto tutto il mondo, Douglas? E

viaggiato in tutti i modi possibili?— Ne ho visto buona parte — ammise. — Ma i viaggi più interessanti li ho fatti sul dorso di un

elefante o di un cammello.— Mentre questo è il mio primo viaggio in treno. Chissà come mi trovate provinciale.La fissò per un attimo, come se volesse dirle qualcosa, ma poi sembrò cambiare idea.

— Da quanto ho capito, vi fermerete da noi un po’ di tempo, signor McDonough — disse la donna.Alano alzò lo sguardo e si trovò di fronte un angelo. Non un angelo dai riccioli biondi e con le ali, ma

uno con dolci occhi azzurri e una corona di trecce nere sul capo.Si avvicinò alla base delle scale e appoggiò la mano alla ringhiera. La donna era più in alto di qualche

gradino e non fece nulla per scendere al suo livello. Aveva un’apparenza così regale da poter esserescambiata per la regina degli angeli. Alano decise di tenere il pensiero per sé, almeno per il momento.

— Temo di sì — rispose. — È stato un evento del tutto imprevisto.La donna sollevò un sopracciglio e lo guardò con aria autorevole.— C’è qualcosa che non vi piace per quanto riguarda il cibo?— Mangio di tutto — rispose. — Tranne l’agnello. Devo dire che ho apprezzato molto la cena, a

dispetto della solitudine.La donna sembrò colpita.— Avete qualche preferenza riguardo a come dobbiamo rifarvi il letto?— Ho un’età in cui mi va bene qualsiasi soluzione che non sia dormire sul pavimento.— C’è qualcosa che possiamo fare per rendere il vostro soggiorno più piacevole? — Le parole erano

cortesi, ma il tono gelido.Alano ne era affascinato.— Lavorate qui da molto? — le chiese.Sembrò sorpresa, ma gli rispose comunque.— Da diversi anni. Perché me lo domandate?— Nessuna ragione in particolare.Voleva solo tenerla lì a parlare, gli sarebbe andato bene qualsiasi argomento, compreso il tempo.— Avete già incontrato uno spagnolo prima d’ora? — le domandò.Lei sollevò di nuovo le sopracciglia.— Perché me lo domandate?— Nessuna ragione in particolare.Lentamente la donna scese i gradini, continuando a stringersi al petto un vecchio libro. Sembrava così

pesante da poter essere usato come un’arma.Mentre gli passava di fianco, la signora Williams pronunciò una parola che solo qualcuno che parlasse

perfettamente lo spagnolo poteva capire. Alano ne fu così sorpreso che restò perplesso a chiedersi seavesse capito bene.

Lei gli rivolse uno sguardo e il lieve sorriso che le comparve sulle labbra gli disse che dopo tutto non siera sbagliato.

Cominciò a considerare il suo soggiorno a Chavensworth sotto una luce completamente nuova.

Il dondolio del treno aveva cullato Sarah facendola addormentare. Douglas prese una copertadall’armadio e la coprì fino alle spalle.

Il treno non si era fermato per la notte, ma aveva proseguito il suo viaggio. Dal nestrino entrava laluce della luna. La luna della Scozia. Per la prima volta dopo vent’anni, si trovava a casa. In tutto queltempo aveva visto il mondo e affrontato avventure, si era trovato in pericolo di vita e aveva rischiato larovina finanziaria.

Aveva imparato ad apprezzare l’amicizia, l’onestà, l’onore e il coraggio. Aveva anche cominciato aprovare una certa vergogna per le cose che, da ragazzo, aveva fatto per sopravvivere.

Tornare a casa era più facile di quanto avesse temuto. Forse per via della presenza di Sarah al suoanco. Lei, sempre determinata a fare il suo dovere, che sorrideva così raramente, ma che quando lo

faceva gli scaldava il cuore.Sua moglie si lamentò nel sonno e si stro nò una guancia. Douglas si chinò e le spostò i capelli dal

viso.Chavensworth era ipotecata e il duca di Herridge non aveva accennato ad altre proprietà immobiliari.

Di conseguenza Douglas era convinto che la fortuna che era riuscito ad accumulare fosse di gran lungasuperiore a ciò che Sarah avrebbe ereditato. Ma se avesse ereditato Kilmarin, sarebbe diventata la secondadonna più ricca di Scozia.

Fin da ragazzo aveva sentito parlare di Kilmarin. Il castello sembrava incarnare tutto quanto digrande e meraviglioso riguardasse la Scozia, la sua storia e la ferocia dei suoi abitanti. Alcune parti diKilmarin avevano più di settecento anni.

Non solo Sarah era la figlia del duca di Herridge, ma era anche una Tulloch di Kilmarin.Era la Provvidenza che si divertiva a cospargergli il cammino di ostacoli?Si sistemò sulla poltrona di anco a quella di Sarah con l’intenzione di dormire. I ricordi e il suo di

colpa potevano aspettare finché non fosse giunto a Perth.

17

Arrivarono in città a metà mattina del giorno seguente. Mentre il treno entrava lentamente in stazione,Douglas si rese conto che quel viaggio era stato uno dei più lunghi della sua vita. Non in termini didistanza, ma di tempo.

Douglas Eston, viaggiatore, esploratore, inventore, stava visitando il passato.Perth si trovava sull’estuario del Tay, fra due catene di colline, le Ochil a sud-ovest, e le Sidlaw a

nord-est; al di là del ume, a est, sorgevano altre due colline, Monereiffe e Kinnoull, ognuna alta circatrecento metri. Da bambino si arrampicava spesso n sulla cima di una delle due, ngendo che tutto ilterritorio che si stendeva sotto di lui fosse suo.

Perth non era solo il luogo della sua storia personale, ma anche della storia della Scozia. Conosciuta inpassato come St. Johnstown, la città era stretta fra due vasti acquitrini ed era stata un tempo capitaledella Scozia, anche se spesso era anche stata conquistata dagli inglesi.

Mentre aspettavano che il loro vagone venisse staccato dal treno, vide formarsi un assembramento dipersone. Da ragazzo l’avrebbe considerata un’opportunità per rubare, o per elemosinare. Ma già allorasognava di diventare l’uomo che era adesso. Non aveva idea delle regole che avrebbe dovuto seguire,degli abiti che avrebbe indossato, delle case, dei cavalli, delle carrozze. L’unica cosa a cui pensava erano isoldi, che gli avrebbero consentito di comprarsi tutto il cibo che voleva, in qualsiasi momento, anche nelcuore della notte.

Troppe volte aveva patito la fame.Il suo primo vero pasto l’aveva consumato in un piccolo bistrò in Francia, all’età di quattordici anni.

Alano era rimasto così disgustato dai suoi modi a tavola che aveva dovuto guardare da un’altra parte,ma a Douglas del suo disgusto, all’epoca, non era importato nulla. Aveva mangiato n quasi a sentirsimale, incapace di credere che poteva davvero ordinare tutto ciò che voleva. Aveva impiegato anni asbarazzarsi di quel senso di panico, no a quando non si era reso conto che non doveva rimpinzarsi dicibo a ogni pasto, che il cibo, per lui, c’era sempre.

Finalmente scaricarono la carrozza e vi attaccarono i cavalli.Sarah e Florie stavano facendo compere nei vari negozi della stazione. Douglas era preso dai ricordi.

Solo quando Tim gli fece segno che erano pronti per riprendere il viaggio, andò alla ricerca della donne.Percorsero South Street, nella parte antica di Perth, no alle mura che racchiudevano le rovine del

castello di Balhousie. Ci si rifugiava da bambino, rubava la frutta dagli alberi e dormiva in una dellesezioni che ancora avevano il tetto intatto. Quando lo scacciavano, ritornava nei vicoli.

Con le sue distillerie, le lande e le industrie, Perth era una città operosa, grande quasi quantoLondra. Dai finestrini della carrozza vedeva i vicoli in cui più volte si era rifugiato.

Il bambino che era stato a otto anni, sempre spaventato, sembrava guardarlo dalle nebbie del tempo.Analfabeta, affamato, più simile a un animale che a un essere umano, era sopravvissuto per sei anni, noal giorno in cui era riuscito a imbarcarsi da clandestino su una nave che gli avrebbe fatto conoscere ilmondo e la fortuna.

Douglas non aveva bisogno di entrare nei vicoli per rievocare quelle esperienze. Non le avrebbedimenticate mai e, per il resto della sua vita, sarebbe stato felice di essere riuscito a fuggirne.

La carrozza era comoda ed elegante, con soffici cuscini e tendine alle nestre e per no un poggiapiedipieghevole. Le strade erano ampie e ben tenute, così decisero di non fermarsi per il pranzo, ma dimangiare in carrozza.

— E Tim? — chiese Sarah, aprendo il cestino che avevano comprato alla stazione di Perth. —Dobbiamo tenergli da parte qualcosa.

— Gli ho già dato la sua parte, lady Sarah — la rassicurò Florie. — Il mio Tim ha sempre fame.— Quando arriveremo a Kilmarin? — chiese Sarah.— Domani — rispose Douglas.Quattro ore più tardi si fermarono in una locanda. Con grande sorpresa di Sarah, Douglas ordinò al

locandiere di tenergli i cavalli per il ritorno.— Sono ottimi cavalli — spiegò, poi si rivolse al locandiere. — Avete due stanze?Il proprietario rispose di sì e Douglas si rivolse a Sarah. — Voi e Florie dormirete in una, io nell’altra e

Tim nella carrozza.Sarah non fece commenti, tenendo per sé i suoi pensieri. Douglas era stato saggio. Non sarebbe stato

sicuro per Florie dormire da sola, e Tim doveva sorvegliare la carrozza. Si sarebbe dovuta riabituare adormire senza di lui.

Si fecero mostrare le stanze dal locandiere e, dopo che se ne fu andato, Douglas attaccò uno stranoaggeggio alla porta della stanza delle donne.

— Cos’è? — chiese Sarah.Le diede una chiave.— Un lucchetto portatile — disse. — Lasciatelo sulla porta e chiudetevi dentro per la notte.— Avete molta più esperienza di me nel viaggiare — ammise Sarah. — Non so cosa farei senza i vostri

consigli.— In queste circostanze, non vi consentirei di disubbidirmi. O dormite con il lucchetto, o con me.Per un momento si ssarono nella penombra. Poi lui si chinò su di lei e, prima che potesse fermarlo,

la baciò.Senza parole poté solo guardarlo mentre si allontanava lungo il corridoio, apriva la porta della sua

stanza ed entrava, senza voltarsi a darle la buonanotte.Un’ora più tardi Sarah andò a letto e chiuse gli occhi, cercando di dormire.Ma, nonostante la stanchezza del viaggio, non ci riuscì.Avrebbe voluto avere un libro, anche brutto, qualcosa che le impedisse di pensare.L’aveva baciata. Voleva essere baciata ancora.Restò sdraiata a guardare il soffitto, ascoltando il respiro di Florie che dormiva nell’altro letto. La

cameriera non era contenta di dover dormire separata da Tim, ma lui doveva stare nella scuderia dovenon ci sarebbe stato posto anche per lei.

Probabilmente le persone sposate dormivano sempre insieme. Non i suoi genitori. Suo padre avevadetestato sua madre e non aveva mai cercato di nasconderlo. Ma le persone normali? Dormivanoinsieme?

Sua madre non si era mai sentita sola? Un’altra domanda che non le aveva mai posto. La duchessa diHerridge le era sembrata appagata con i suoi ori, i giardini, il ricamo o il pianoforte che spesso suonava.Forse anche lei era rimasta sveglia ad ascoltare i suoni della notte, a desiderare qualcosa a cui non sapevadare un nome.

Qualcuno bussò piano.Si alzò e andò a piedi nudi alla porta.— Chi è? — sussurrò.— Douglas.— Un momento.Andò a prendere la chiave e aprì.Douglas era lì, con una camicia bianca sbottonata e pantaloni neri. Aveva i capelli scompigliati. Le

guance non rasate gli davano un’aria trasandata. Sembrava terribilmente irritato.— Cosa c’è? — chiese lei a bassa voce per non svegliare Florie.Aprì la porta un po’ di più per lasciarlo entrare, si portò un dito alle labbra e indicò la cameriera.— Avete un flacone del vostro profumo? — le chiese Douglas in tono aspro.— Del mio profumo? Sì, certo. Perché?— Non ha importanza — rispose. — Potete darmelo? Ve lo restituisco domani.— Volete il mio profumo? — chiese senza capire.La guardò con un’espressione di tale animosità da farla quasi indietreggiare, ma un attimo dopo il suo

orgoglio prese il sopravvento. Lo fissò inarcando le sopracciglia.— Non riesco a prendere sonno — spiegò lui. — Ho pensato che se sentissi il vostro profumo, forse mi

sarebbe più facile addormentarmi.Per qualche secondo restò stupefatta a guardarlo, poi si voltò stringendo i pugni per non fargli vedere

che le mani le tremavano e andò al tavolo.Ritornò con in mano una bottiglietta e gliela diede. — Ha il tappo a vite — gli disse. — Chiudetelo

bene, altrimenti evapora.La guardò come se avesse qualcosa da dirle, ma poi sembrò ripensarci. Meglio così, con quell’umore

chissà cosa avrebbe detto. Tenne il acone fra le dita osservandolo come se fosse il più importanteoggetto sulla terra.

— Non c’è bisogno che usiate il profumo — disse lei. — Potete passare la notte qui, se volete, non midispiace.

Guardò Florie che dormiva.— Non credo che lo farò — disse trafiggendola con lo sguardo.Un attimo dopo girò sui tacchi, chiuse la porta e sparì.

18

Sarah non doveva aver dormito molto bene la notte prima. O forse era il dondolio della carrozza che leconciliava il sonno. Douglas la guardò appoggiare la testa al cuscino e chiudere gli occhi. Nel giro dipochi minuti era addormentata.

Nemmeno Douglas aveva dormito gran che, ma preferiva guardare Sarah piuttosto che riposare.Erano sposati da poche settimane e in quel breve intervallo di tempo l’aveva vista piangere la madremorta, infuriarsi con suo padre, prendersi cura di chi lavorava per lei, affrontare l’impossibile compito digestire Chavensworth. Aveva un senso del dovere n troppo sviluppato e per di più era troppo sensibile evulnerabile.

Quel che era peggio, per lui costituiva una costante fonte di distrazione. Era come se avesse sempreuna sua statuetta scolpita nella mente.

Guardò l’orologio e decise che era ora di fermarsi per il pranzo. Avevano già cambiato cavalli duevolte, quel giorno, e stavano procedendo velocemente. Se tutto fosse andato bene, quel pomeriggiosarebbero arrivati a Kilmarin.

— Cosa ne direste, Florie, se oggi, invece di mangiare in carrozza, facessimo un picnic sull’erba?La cameriera sorrise perché il suggerimento significava che anche Tim si sarebbe potuto riposare.— Sarebbe una bellissima soluzione, signore. — Guardò verso Sarah. — Volete che svegli lady Sarah?Scosse il capo. — Lasciatela dormire. Prima prepariamo il picnic.Un quarto d’ora dopo tutto era pronto. Tim e Florie si erano volontariamente appartati, e lui non

aveva fatto nulla per impedirglielo. Per prima cosa erano sposati da poche settimane. Poi, anche se ladivisione fra le classi in Inghilterra non era così rigida come in certi paesi che aveva visitato, né Tim, néFlorie si sarebbero sentiti a loro agio a mangiare con loro.

Salì in carrozza e si sedette di fianco a Sarah, poi allungò la mano e le accarezzò la guancia.Sarah trasalì e aprì gli occhi, all’inizio un po’ confusa.— Stavo sognando mia madre — disse.— Vi capiterà spesso per i prossimi mesi. È un modo di dirsi addio.Lei annuì e guardò fuori dal finestrino.— Ci siamo fermati.— Ho pensato che ci siamo meritati una pausa di ristoro.Douglas le porse la mano e lei la strinse consentendogli di aiutarla a scendere. Uno scoiattolo li vide e

scappò via fra le foglie di un albero.Il cielo era azzurro pallido e costellato di nuvole bianche. Erano sulla cima di una collina. Sotto di

loro il fiume Tay scorreva come un serpente fra la campagna verde.— Cos’è quello? — chiese Sarah indicando un punto alla loro sinistra.— Tulloch’s Folly — rispose Douglas. — La torre è stata costruita nel secolo scorso da uno dei vostri

antenati.— Volete dire che siamo vicini a Kilmarin?— Manca qualche ora, non di più.Sarah si voltò, poi indicò le rovine di un altro edificio, sotto di loro.— E quello cos’è?— Il castello della Dama Bianca — rispose sorridendo. — È una storia che ho sentito da ragazzo. Non

ricordo a chi appartenesse, o forse non l’ho mai saputo. Ma si dice che sia infestato dal fantasma di unaragazza che si era innamorata di un suo servitore e per questo motivo fu imprigionata in una cella delterzo piano. Pare che si sia buttata dalla finestra.

— Mio Dio.Le prese di nuovo una mano. — Non dovete farvi rattristare da antiche leggende, Sarah. Non

sappiamo nemmeno se sono vere.Tornarono verso la tovaglia con il cestino da picnic. Douglas la lasciò andare e Sarah si accoccolò

sull’erba.— Con mia madre facevamo spesso dei picnic. Andavamo sotto una quercia, a sud di Chavensworth.

È un bellissimo posto.— Mi sorprende che ogni tanto vi concedeste una pausa di riposo — commentò Douglas sedendosi

dal lato opposto della tovaglia.— Il mio tirocinio è cominciato quando avevo sei anni. È stato allora che per la prima volta mi è stato

fatto capire che ero la figlia del duca di Herridge e, in quanto tale, diversa dagli altri.Douglas non fece commenti.— Dovevo comportarmi in ogni momento secondo certe regole, senza mai dimenticare che la gente mi

osservava e, a seconda di come mi comportavo, si sarebbe fatta un’idea di mio padre. Non dovevo maifare nulla di cui si potesse vergognare.

— In altre parole, dovevate essere un modello di virtù.Sarah abbozzò un sorriso. — Forse. Se avessi avuto qualche dubbio, dovevo chiedere consiglio a mia

madre. Era lei la mia fonte di informazioni, mentre, quando ero a Londra, ci pensava mia zia.— Vostra madre non venne con voi a Londra?Sarah scosse il capo. — No — rispose. — Mio padre non glielo permise.Pian piano stava cominciando a conoscerla e a capirla. Aveva vissuto una vita di isolamento.— Sono sicuro che siete stata perfetta nel ruolo della figlia del duca.— Non c’è un solo aspetto del mio comportamento che non mi sia stato accuratamente inculcato. Ma

non so come voi vogliate che mi comporti, Douglas.Sarah cominciò a servire il cibo. Lui non era abituato a farsi servire, ma trovò interessante l’idea che

sua moglie lo facesse.— Nulla di quanto mi avete detto mi ha mai fatto tanto piacere.Lo guardò confusa, come se non avesse capito.— Io voglio solo che voi siate voi stessa, Sarah. Non quello che pensate di dover essere. Non come

pensate che gli altri vogliono che siate.Le prese una mano. Portava guanti lunghi. Si copriva sempre, quasi come per proteggersi dagli sguardi

degli altri. Avrebbe voluto vederla nuda alla luce del giorno, e anche se non era né il momento, né ilposto giusto, per un attimo considerò l’occasione di chiederglielo.

— Non ho mai avuto la possibilità di dirvi quanto eravate bella nella nostra stanza da letto. Avetegambe magni che, la vita e anchi perfetti. Posso aggiungere, lady Sarah, che avete anche uno splendidodidietro?

— L’avete già detto.Fu divertito nel vederla arrossire.— Avevate sorriso — spiegò lei.— È per questo che siete ritornata alla branda? Perché avevo sorriso? Ero deliziato, incantato, felice.

Perché mai non avrei dovuto sorridere? Mi sorprende di non essermi messo a ballare dalla gioia.Lo guardò sorpresa.Lentamente Douglas cominciò a s larle un guanto, un dito alla volta. Lei non si oppose. I loro

sguardi si incontrarono.L’aria attorno a loro era immobile, in un silenzio estivo, come se la natura stessa si fosse fermata in

attesa. Non si sentiva nemmeno un grillo.Finì di s larle il guanto e lo lasciò cadere sull’erba, poi le prese la mano. La sua era calda, più di quella

di Douglas, come se dentro di lei, in segreto, ribollisse una amma che si manifestava solo in alcuneoccasioni. Come quella.

— Forse non è giusto — disse Douglas. — Siete la virtuosa glia di un duca e avete una relazione conun avventuriero.

— Non ho una relazione — sottolineò lei. — Siamo sposati.— Fino al giorno in cui consumeremo questa unione, lady Sarah, questa non sarà altro che

un’avventura.— Una volta che l’avremo consumata, mi tratterete con il rispetto che pretendo dagli uomini?Sollevò il capo per guardarla dritta negli occhi.— Intendete chiedermi se smetterò di causarvi imbarazzo? Se smetterò di parlare dei vostri seni? O

della vostra schiena nuda? O della vostra pelle?— Davvero vorrei che non diceste queste cose — borbottò Sarah.— Forse, dopo che ci saremo congiunti, avrò altro di cui parlare. Per esempio, il vostro ansito di

sorpresa nel momento in cui entrerò in voi, lady Sarah. O le vostre unghie che mi si pianteranno nellespalle quando raggiungerete l’estasi. O dei vostri capezzoli duri come sassi mentre cercano il calore dellamia lingua.

— Non mi avete sentita? — chiese lei.Le si avvicinò con il capo. — Cercate di capire una cosa. Siete libera di dirmi tutto quello che volete. E

io sarò libero di infischiarmene allegramente.Lentamente staccò la mano dalla sua e abbassò lo sguardo. Douglas le mise il dito sotto il mento

obbligandola a rialzarlo.— Invece che un’avventura, lady Sarah, dovremmo avere una storia d’amore. Se non andrà oltre la

mia pelle che sente il bisogno di toccare la vostra e il vostro corpo che vuole il mio, allora che sia così.Distolse lo sguardo, poi tornò a ssarlo. Douglas poteva sentirla tremare. Avrebbe voluto stringersela

contro, abbracciarla, riscaldarla, calmarla. Accenderla di passione e scacciare la paura, nché la passionenon le diventasse familiare e la paura aliena.

Raddrizzò la schiena, prese del formaggio e un bicchiere di birra e sorrise a Sarah, senza meravigliarsiquando lei, invece che contraccambiare il sorriso, guardò da un’altra parte.

— Parlatemi di vostro nonno.Si servì da mangiare, poi gli rispose: — Non so nulla di lui. Donald Tulloch. È un nome comune in

Scozia? Tulloch?— Dalle parti di Perth lo è — rispose Douglas. — Non scorreva buon sangue fra vostra madre e i suoi

genitori?— Non saprei dirvi com’è andata esattamente. So che a volte mia madre era triste per via del dissidio.

Non ha mai fatto commenti, ma spesso diceva che due persone possono essere una famiglia, ed eravamopiù famiglia lei e io che certi gruppi molto numerosi.

— Esiste la possibilità che vostro nonno non voglia incontrarvi. Siete sicura che sia ancora vivo?— Lo era un mese fa. Ho fatto fare delle ricerche dal mio avvocato.— Sapevate che sarebbe arrivato questo momento.— No, era più perché temevo che mio padre volesse esiliare mia madre in Scozia. Siccome non avevo

la minima idea di dove potevamo andare, ho voluto controllare se mio nonno sarebbe stato disposto aprenderci con lui.

— Lo sa che siete venuta qui?

Sarah scosse il capo. — No, non ho mai comunicato con lui e ho detto al mio avvocato di non farglisapere nulla. Ma da quanto ho potuto capire, mio nonno è ancora vivo ed è il capofamiglia.

Non disse altro. Stava desiderando che sua madre fosse stata tanto longeva quanto il nonno?— Ma non sapete nient’altro di lui né di Kilmarin?Scosse ancora il capo. — E voi?— Per la gente di Perth, Kilmarin è probabilmente ciò che Buckingham Palace è per i londinesi.Per un po’ Sarah non disse nulla.— Non c’è nessuno che vorreste rivedere a Perth? — chiese alla fine.— Se ci fosse, sarei tornato molto prima.— Nemmeno una donna?— State indagando sul mio passato, lady Sarah? — chiese con un sorriso. — Ero troppo giovane

quando ho lasciato la Scozia per avere spezzato dei cuori.— Ma qualcuno lo avete spezzato?— Dovrei fare finta di essere vergine come quando sono nato?Sarah sembrò valutare seriamente la domanda.— Ho ancora il vostro profumo — disse, divertito nel vederla arrossire di nuovo. — Volete che ve lo

restituisca adesso o che lo tenga nel caso fossimo di nuovo costretti a dormire separati?Forse il modo migliore per conquistare Sarah era tenerla sempre sulla corda, abbastanza a lungo da

non farle capire che stava cercando di sedurla.

19

Per i primi due giorni la Scozia li aveva accolti con il bel tempo, ma quel pomeriggio il cielo si coprì dinubi scure e l’aria si fece umida e pesante.

— Penso che pioverà — disse Douglas osservando le nuvole. Ordinò a Tim di fermarsi sul lato dellastrada.

— Cosa volete fare? — gli chiese Sarah. Era la prima volta che gli rivolgeva la parola dopo il pranzo.— Dobbiamo prepararci alla tempesta. La strada diventerà un ume di fango e potremmo restare

bloccati.— Cosa suggerite?— Vediamo prima cosa farà la natura — rispose Douglas senza chiarire cosa intendesse con quella

frase ambigua.Sarah guardò Florie. La cameriera aveva paura dei temporali e il suo crescente disagio era percepibile.

Sarah le accarezzò un braccio. — Andrà tutto bene, Florie. Tim è un ottimo conducente e il signor Estonha la testa sulle spalle.

Aprì la portiera e mise fuori la testa. Tim e Douglas stavano discutendo animatamente di anco aicavalli. Avrebbero preso decisioni riguardanti la sicurezza di tutti senza interpellarle? Tornò a sedersi.

— A volte gli uomini sono difficili — mormorò, un commento che mai, in nessuna circostanza,avrebbe dovuto lasciarsi sfuggire, ma Florie ebbe il buon senso di fingere di non avere sentito.

— Pensate che ci sia una locanda nei paraggi, lady Sarah? — chiese la cameriera pochi minuti dopo.— Spero proprio di no — rispose Sarah. — Pensavo di arrivare a Kilmarin oggi e non ho la minima

intenzione di passare un’altra notte in una locanda.Douglas salì di nuovo sulla carrozza e si rivolse per prima a Florie. — Tim dice che non dovete

preoccuparvi. Troveremo un riparo prima che arrivi il temporale.Il colorito di Florie era cereo, ma si sforzò di sorridere. — Grazie, signore. Sono solo preoccupata per

lui.— Non posso darvi torto — commentò Douglas, il che gli fruttò uno sguardo di disapprovazione da

parte di Sarah. L’ultima cosa che doveva fare era giusti care le ansie di Florie. L’avrebbe resa isterica. MaDouglas continuò su quel tono, apparentemente senza notare l’espressione di Sarah. — Il pericolo sono ifulmini. — Finalmente si rivolse a lei. — Ci ricongiungeremo presto con la strada principale — disse. —Non manca molto.

— Troveremo una locanda? — intervenne Florie.— Arriveremo prima a Kilmarin — rispose Douglas.Si scambiarono un’occhiata e Sarah riconobbe l’espressione decisa che aveva negli occhi. Quando si

metteva in testa di raggiungere un obiettivo, nulla poteva fargli cambiare idea. Strano che prima dipartire da Chavensworth non si fosse accorta di quanto poteva essere caparbio.

Sulle labbra gli apparve un sorriso che solo chi lo conosceva bene avrebbe capito quanto fossemalizioso. Anche gli occhi tradivano i suoi pensieri e Sarah era certa che, se fossero stati soli, sarebbescoppiato a ridere. O, peggio ancora, se la sarebbe presa in grembo e avrebbe cominciato a toccarle ilseno.

Non avrebbe dovuto pensare certe cose. Prese un ventaglio dalla borsa e cominciò a farsi aria. Quandoil sorriso di Douglas non mostrò alcun segno di voler sparire, aggrottò le sopracciglia.

— Signor Eston — disse. Il sorriso di lui si fece sardonico. — Smettetela — sibilò a denti stretti.— Non sto facendo proprio nulla, lady Sarah — ribatté lui senza smettere di sorridere. — Sto solo

pensando alla vostra sicurezza.Non poteva più dire nulla. Apparentemente non aveva fatto niente di male. Dio solo sapeva di cosa

era capace in privato, ma in pubblico si comportava sempre da perfetto gentiluomo.Non era diverso dai cavalieri delle favole che le raccontava sua madre, sempre preoccupati che le loro

amate non fossero in pericolo. Ma quei cavalieri offrivano ori e componevano poesie, nonmormoravano sconcezze alle orecchie di damigelle innocenti.

Distolse lo sguardo concentrandosi sul paesaggio che si vedeva dai nestrini. Nel giro di pochi minuti,il cielo si oscurò e il vento spazzò l’erba nei campi piegandola sotto il suo impeto crescente. Florie le siavvicinò e lei le sorrise per rassicurarla, poi tornò a guardare fuori dal nestrino, cercando di ignorareDouglas. Non era facile.

Lo scoppio di un tuono la fece sobbalzare. Florie le strinse il braccio lasciandosi sfuggire un gemito dipaura. Sarah guardò Douglas che le sorrise. Senza dire una parola le tese un braccio e lei gli prese lamano.

— Se non dovessimo trovare subito un riparo, sarà meglio fermarci e far entrare Tim — disse Sarah.— È pericoloso restare all’aperto.

Douglas annuì.— Chi è Alano? — gli chiese improvvisamente.Douglas inarcò le sopracciglia. — Lo avete incontrato.— Sì, ma chi è?— Perché me lo chiedete proprio adesso?La carrozza era scossa da impetuose folate di vento. Da fuori giungevano le grida di incitamento di

Tim ai cavalli.— I cavalli hanno paura dei temporali? — chiese Sarah.— Penso che per istinto tutti gli animali sentano il pericolo.Scoppiò un altro tuono.— Siete davvero interessata a sapere di Alano, o è solo un espediente per non pensare al temporale?

— Non ho paura dei temporali. Me la cavo abbastanza bene con i fenomeni naturali.— Davvero?I cavalli nitrirono e Sarah chiuse gli occhi, cercando di ignorare Florie che le si era strettamente

avvinghiata al braccio.— Ho incontrato Alano in Francia quando avevo quattordici anni. Mi ha salvato da una situazione in

cui non sarei riuscito a cavarmela da solo. — Il suo sguardo sembrava perso nel passato. — Si è assunto ilruolo di tutore di un ragazzo molto arrabbiato. Ora è in un certo senso il mio alter ego.

— Come un maggiordomo?— Diciamo più come un amico.Un tuono fece tremare la carrozza, immediatamente seguito da un altro fulmine. Florie urlò, poi si

coprì la bocca con la mano. Se no a quel momento Sarah non si era lasciata impensierire dal temporale,ora cominciava a essere preoccupata.

Douglas le strinse affettuosamente una mano, lo sguardo sempre rivolto verso l’esterno.— Non manca molto — disse indicando una direzione. — Quella è la nostra meta.Sarah cercò di guardare attraverso la cortina di pioggia.— Siamo a Kilmarin? — chiese.— Sì.Sarah non credeva nei presagi, ma c’era qualcosa in quel temporale che l’aveva scossa profondamente.

La pioggia cadeva a cascata, minacciando di travolgere la carrozza mentre saliva la collina che conducevaa Kilmarin. Sentiva Tim incitare i cavalli. Il vento li scuoteva in continuazione mentre Sarah,esteriormente calma e composta, cercava di tranquillizzare Florie.

Passò un brutto quarto d’ora, durante il quale più di una volta Sarah pensò al peggio.— Manca poco ormai — disse Douglas.Lei si limitò ad annuire. Non si vedeva molto, ma quel poco che vide la stupì.Aveva sempre considerato Chavensworth una splendida e imponente proprietà, ma la casa natale di

sua madre, Kilmarin, era molto più grande.La strada saliva a zig zag sul ripido anco della collina, facendosi sempre più stretta, evidentemente

costruita così a scopi difensivi. Erano ormai giunti a una discreta altitudine, il che aumentava il pericoloa cui la tempesta li esponeva.

Una raffica di vento percosse la carrozza, facendola vacillare, e per un attimo Sarah ebbe paura chepotessero essere spinti fuori strada e cadere giù per la scarpata.

Poi, di colpo, arrivarono a destinazione. Di fronte a loro c’erano le mura del castello e un ingressochiuso da una pesante cancellata di ferro.

Sentì Tim urlare, ma questa volta il suo richiamo non era diretto ai cavalli. La carrozza si fermò e,anche se la pioggia continuava a cadere con immutata intensità, Douglas aprì la portiera.

— Dove state andando?— A chiedere che ci lascino entrare. Dubito che permettano a chiunque di visitare Kilmarin.Un’altra differenza con Chavensworth, a cui non era mai stato impedito l’accesso a nessuno.— Ma piove.— Me ne sono accorto. Mi bagnerò, ma poi mi asciugherò, lady Sarah.— Se vi ammalate non vi curerò — borbottò lei.— Oh, certo che lo farete. Nonostante la vostra aria severa, avete un buon carattere e un cuore d’oro.Perché doveva dirle certe cose? Mentre smontava, allungò la mano e gli sfiorò una spalla.— State attento, Douglas.Un cenno di assenso fu la sua unica risposta.

La prima cosa che Douglas vide appena scese dalla carrozza fu Tim circondato da tre uomini. Siavvicinò adagio, con le mani protese verso di loro e i palmi aperti per far vedere che non era armato.

Di fronte a loro, nella poca luce che ltrava dal cielo tempestoso, li attendeva l’ingresso del castello diKilmarin. Ai lati della cancellata di ferro c’erano le statue di due guerrieri armati di lancia. L’effettod’insieme non risultava certo ospitale, ma probabilmente ai Tulloch non importava molto. Per secoliavevano detenuto il potere in Scozia.

— Il vostro signore è Donald Tulloch? — chiese Douglas.Il più alto dei tre uomini si staccò dal gruppo e gli si parò di fronte. Considerata l’inferiorità numerica,

Douglas fu sollevato dal riscontrare che, se non altro, avevano la stessa statura.— Sì. Chi vuole vederlo?— Sua nipote, che è sulla carrozza ed è venuta apposta dall’Inghilterra per incontrarlo.— Il laírd, il mio signore, non ha nipoti — disse l’uomo con assoluta sicurezza.— Invece sì. Lady Sarah Eston, di Chavensworth. Sua madre era Morna Herridge, duchessa di

Herridge.L’uomo lo ssò a lungo. La pioggia non accennava a diminuire, Douglas era già fradicio, per cui

potevano farlo aspettare quanto volevano, ma quando l’uomo non reagì in alcun modo, Douglasincrociò le braccia e suggerì un compromesso.

— Perché non mandate qualcuno a informare Donald e lasciate che sia lui a decidere se ricevere omeno sua nipote? Non credo che sarebbe felice di sapere che l’avete respinta senza dirglielo.

Con sua grande sorpresa l’uomo sorrise. — D’accordo, lo faremo. — Fece un segno alle guardie chestavano ancora a fianco di Tim e nel giro di un secondo sparirono.

Il loro capo fece qualche passo prima di voltare la testa verso Douglas. — Se preferite restare sotto lapioggia, fate pure, altrimenti venite con me.

Lo seguì insieme a Tim e quando l’uomo sparì nell’ombra, Douglas avanzò con cautela, trovandosi inuna specie di caverna scavata nella roccia. C’erano un braciere acceso, un tavolo con sopra una lampadae un mazzo di carte, oltre a quattro sedie. Era evidente che montare di guardia a Kilmarin non era uncompito troppo oneroso.

Sedettero, avvicinando gli stivali bagnati al braciere.— Immagino che siate il guardiano di Kilmarin — disse Douglas.— E vi sbagliate — rispose l’uomo. — Sono Robert Tulloch, nipote di Donald. Montiamo di guardia a

turno, così come ci dividiamo tutto quanto c’è da fare a Kilmarin.Tulloch si sedette a sua volta e studiò Douglas.— Avete un aspetto familiare — commentò alla fine.— Sono nato e cresciuto a Perth — lo informò Douglas. — Forse è lì che ci siamo incontrati.La caverna disponeva di qualche comodità. Su una mensola in ssa nella roccia c’erano una tazza, una

ciotola di legno e un barilotto. Tulloch si alzò, prese la tazza, l’avvicinò al barilotto e la riempì.— Whisky dei Tulloch — disse, tornando al tavolo e posando la tazza fra Douglas e Tim. — Il

migliore della Scozia. Dovreste saperlo, visto che siete di Perth.Douglas evitò di commentare che ogni distilleria di Perth sosteneva la stessa cosa e apprezzò l’offerta

di scaldarsi le viscere.Quando i due uomini ritornarono, Robert Tulloch e Tim avevano già nito il whisky. Si rivolsero

direttamente al loro capo.— Ha detto che è disposto a riceverli.Douglas si alzò. — Grazie per l’ospitalità — disse. — E per il whisky.Tulloch annuì e li seguì fuori sotto la pioggia.

Douglas salì in carrozza.— Vostro nonno ha accettato di vedervi.Sarah si aggiustò il cappellino con sussiego. Douglas si chiese se avesse idea di quanto difficili

sarebbero state per lei le ore successive. Si era sentita obbligata ad andare in Scozia a trovare suo nonno eDouglas sapeva benissimo che lo avrebbe fatto comunque, con lui o senza di lui. Il meno che poteva fareera starle vicino.

Le cancellate di Kilmarin si aprirono lentamente verso l’interno, come per concedere loro il tempo diripensarci e valutare attentamente se volessero davvero entrare oppure no.

Il castello di Kilmarin era alto quattro piani. Poche nestre si affacciavano sulla via d’accesso e soloquelle ai piani alti. Costruito in pietra rossa, la fortezza era solida e imponente, ma non aveva la grazia ela bellezza di Chavensworth, che assomigliava piuttosto a un castello francese. Kilmarin, in contrasto,aveva un’aria inequivocabilmente scozzese.

Tim condusse i cavalli oltre la cancellata e su, no al castello. Nessuno di loro disse nulla e l’unicosuono che li accompagnò durante il tragitto fu il tambureggiare della pioggia sul tetto della carrozza.

Più che raggiungere Kilmarin, ne vennero inghiottiti. La carrozza si fermò, e pochi secondi più tardi laporta si spalancò.

Douglas guardò Sarah.— Siete pronta? — chiese, disposto a far invertire direzione di marcia alla carrozza e ripartire subito da

Kilmarin, se Sarah avesse cambiato idea.Lei raddrizzò le spalle, sollevò il mento e sorrise. L’aveva osservata con attenzione nel corso degli

ultimi giorni e sapeva distinguere fra pose artefatte e atteggiamenti genuini. Sarah era semplicementeterrorizzata, ma era sicuro che nessun altro se ne sarebbe accorto.

Le si avvicinò e la prese per mano.— Sarò sempre al vostro fianco — la rassicurò.Sarah si morsicò un labbro, ma non disse nulla. Un impercettibile cenno d’assenso fu la sua unica

risposta. Ma il lampo di sorpresa e di gratitudine che, per un attimo, le brillò negli occhi lo ricompensòabbondantemente.

Douglas scese per primo dalla carrozza. A differenza della servitù di Chavensworth, l’uomo che gliaveva aperto lo sportello non indossava una livrea. Contraccambiò il suo sguardo senza abbassare gliocchi, con una spavalderia che non sarebbe mai stata tollerata nella residenza di Sarah.

Douglas si voltò e aiutò Sarah a smontare offrendole la mano. Una volta scesa, lei si soffermò sulpiazzale, apparentemente per distendere le pieghe della gonna, ma in realtà per guardarsi in giro eambientarsi. Se a una certa distanza Kilmarin era imponente, da vicino lasciava senza fiato.

Douglas non c’era mai stato prima, ma da bambino aveva sentito che sotto il castello c’era una vastasegreta infestata dai fantasmi e che nel salone delle feste si aggirava lo spettro di un ragazzo.

Sui pilastri erano affissi degli scudi, non ornamentali e destinati solo a mettere in mostra gli stemmiaraldici dei proprietari, ma veri scudi che avevano l’aria di essere stati usati in battaglia.

Una porta ad arco conduceva a quello che doveva essere l’interno del castello.Improvvisamente la porta si aprì.Secondo i calcoli di Douglas, Donald Tulloch doveva avere più di settant’anni. Si aspettava di trovarsi

di fronte un uomo fragile e malato, ma la persona che gli stava di fronte camminava sì con il bastone, malo impugnava più come una lancia che come un sostegno.

Un tempo doveva essere stato più alto di Douglas, ma l’età lo aveva ingobbito. Le spalle erano curve ele ginocchia piegate come se stessero cedendo sotto il peso del corpo. I capelli bianchi gli scendevano sullespalle e il viso, lungo e stretto, era segnato da rughe profonde. Ma gli occhi che dardeggiavano sotto le

sopracciglia erano sorprendentemente vivi e cauti.Tulloch e Sarah si fissarono a lungo senza parlare.Alla ne, Douglas si fece avanti tenendo la moglie sottobraccio. Si avvicinarono a passi lenti e

misurati, fermandosi a meno di un metro da Tulloch.— Grazie per averci ricevuto — disse Douglas.— Chi siete? — chiese il vecchio con voce rauca.Prima che potesse presentarla, Sarah fece un passo avanti.— Sono lady Sarah Eston — rispose in un tono regale. — Mia madre era la duchessa di Herridge.Donald comprese più velocemente di suo nipote. Picchiò il bastone per terra e tutti fecero silenzio.— Mia figlia è morta? — chiese.Sarah lo guardò, per nulla intimorita. — Mia madre è morta.Donald Tulloch annuì. Un attimo dopo si voltò avviandosi verso il castello.Douglas appoggiò la mano sul braccio di Sarah, mentre suo nonno scompariva all’interno di

Kilmarin. Se era una strategia, aveva funzionato benissimo. Non sapeva se erano stati accolti o respinti.Il temporale non si era placato. Si stava facendo tardi e Douglas non aveva nessuna intenzione di

permettere a Tulloch di scacciarli così brutalmente. Che gli piacesse o no, quella notte Kilmarin avrebbeavuto ospiti.

Douglas si rivolse all’uomo che aveva aperto la portiera della carrozza.— Mostrateci i nostri alloggi e fateci portare i bagagli. — Prima che l’uomo potesse rispondergli,

Douglas alzò una mano. — Abbiamo bisogno di un alloggio anche per il nostro cocchiere e la camerieradi mia moglie.

— Sarà fatto. Saranno trattati con ospitalità scozzese.Douglas si voltò e vide che Robert li aveva raggiunti.Fece un cenno all’altro uomo, poi guardò Tim. — Fatemi sapere se avete bisogno di qualcosa.Tim annuì. — Certamente, signore. — Si guardò in giro. Dalla sua espressione, Tim sembrava un po’

intimidito da tutti quegli scozzesi.— Sono almeno cent’anni che non combattiamo contro gli inglesi, Tim — disse Douglas, sia per

rassicurarlo che per ricordarlo agli altri Tulloch che lo circondavano.Una ragazza comparve sulla soglia e, a uno a uno, gli uomini se ne andarono sotto la pioggia battente.— Venite, prego — li invitò facendosi da parte per farli entrare.Sarah gli strinse un braccio. — Avete la giacca fradicia. Dovete scaldarvi e asciugarvi.— È bello avere una moglie premurosa — commentò lui con un sorriso. — Entriamo?— Se proprio insistete — disse Sarah, con un sorriso. Alla porta si voltò. — Florie, dopo che vi sarete

sistemati e asciugati, fatevi condurre nella mia stanza.Fino a quel momento Douglas non si era accorto di quanto fosse stata vicina alle lacrime.Ah, l’amore! La prese sottobraccio e la condusse dentro il castello di Kilmarin.

20

La ragazza, di cui Sarah non riuscì a determinare il ruolo all’interno di Kilmarin, li condusse aun’enorme scalinata di marmo le cui dimensioni avrebbero fatto sfigurare qualsiasi altra, compresa quelladi Chavensworth.

Sarah si tenne strettamente aggrappata alla mano di Douglas, dicendosi che era solo per mantenerel’equilibrio. Sfortunatamente, dovette rinunciarci per sollevare l’orlo della gonna quel tanto che bastava asalire le scale.

— Le persone di famiglia dormono in quell’ala — spiegò la ragazza indicando un corridoio rischiaratoda candelabri che si apriva alla loro sinistra. Ma invece di accompagnarli in quella direzione, li pilotò adestra, nella zona evidentemente riservata agli ospiti.

Bene, che Donald Tulloch la considerasse pure alla stregua di un’ospite. Non si sarebbe fermataabbastanza a lungo da sentirsi umiliata.

La ragazza si fermò a metà corridoio, aprì una porta e cedette loro il passo per farli entrare. — Faròaccendere le luci in un attimo — disse la loro guida. — È una giornata infame, non trovate?

Infatti, nel giro di pochi minuti, l’ambiente era illuminato a giorno e Sarah restò a bocca aperta. Nonerano in una stanza, ma in un appartamento. La tappezzeria di seta alle pareti della sala era blu come lefodere dei due divani di fronte al caminetto, davanti al quale era disposto un tavolino basso di moganocon le gambe scolpite a forma di zampe di leone. All’estremità di ogni divano c’era una lampada eun’altra si trovava sul tavolo presso la nestra, vicino a una poltrona con un poggiapiedi. Sulla libreria afianco della poltrona c’erano dozzine di libri.

— Questo è l’appartamento della signora del castello — annunciò la ragazza. — Uno dei migliori.Forse si era sbagliata nel giudicare suo nonno. Se questa era la stanza dove alloggiavano gli ospiti

indesiderati, chissà le altre com’erano.Andò nella camera da letto. Tutto l’arredamento era smisurato, a partire dal letto. Ogni mobile era

nemente intarsiato. Un paravento dorato celava una porta. Al centro del copriletto bianco campeggiavauno stemma araldico che raffigurava un lupo in caccia con il naso basso e le fauci spalancate. Non certouna visione che conciliasse il sonno.

— Cosa significa Tulloch in gaelico? — chiese Sarah. — “Lupo”?— A dir la verità, significa “collina” — rispose Douglas.— Riuscirete a essere pronti entro un’ora, milady?Sarah si voltò a fronteggiare la ragazza.— Entro un’ora?— Donald cena presto — rispose. — Sarò di ritorno fra un’ora per condurvi in sala da pranzo.La ragazza sparì prima che Sarah riuscisse a trovare una scusa per rifiutare.— Coraggio, Sarah — disse Douglas in risposta al suo sguardo sconsolato. — È solo una cena.— È solo una cena — ripeté Sarah, senza riuscire a rallegrarsi.Douglas si tolse gli abiti bagnati, non dietro al paravento e nemmeno nell’altra camera che si rivelò

una stanza da bagno, ma di fronte a lei. Poi prese un asciugamano e se lo strinse attorno alla vita. Il tuttocon la disinvoltura di un uomo che sa di essere attraente.

— Siete sempre stato così? — gli chiese, contenta di avere un altro argomento a cui pensare che nonfosse suo nonno.

— Così come?— Così disinvolto nello spogliarvi di fronte a un estraneo.Lui incrociò le braccia e la guardò con un’espressione indecifrabile. — Non vi considero un’estranea,

Sarah, e mi preoccupa che voi mi riteniate tale.Forse non era l’argomento ideale di cui discutere. Si voltò e andò al tavolo da toilette, togliendosi il

cappellino. Si sentiva di nuovo sul punto di piangere.— Passerà, vedrete — disse Douglas, avvicinandosi a lei da dietro, appoggiandole le mani sulle spalle e

tirandosela contro il petto. Sarah chiuse gli occhi e si lasciò andare. — Passerà, anche se mai del tutto. Ilrimpianto per vostra madre ci sarà sempre. Vi mancherà. Se ne avessi il potere, mi porterei via il vostrodolore, ma per farlo dovrei sottrarvi anche i ricordi. È questo che volete?

— No. Solo che a volte è così difficile da essere insopportabile.

Le appoggiò la guancia ai capelli.— Un giorno tornerete a sorridere, poi vi scoprirete a ridere. Ma ci saranno sempre dei momenti in cui

verrete assalita dai ricordi e sentirete la sua mancanza: in quel momento saprete di essere fortunata peressere stata amata tanto.

Era stanca di lottare contro il dolore e di dover essere forte. Douglas l’abbracciò stretta e lei voltò ilcapo verso di lui appoggiandogli la guancia al petto. Restarono a lungo in silenzio, stretti l’uno all’altra.

Alla ne Sarah si staccò, consapevole di due cose: che Douglas era quasi nudo e che le piacevatoccarlo. Cercò di distrarsi da quei pensieri andando a esaminare la stanza da bagno. La vasca di rameera un’opera d’arte, decorata lungo i bordi con motivi oreali. C’erano due rubinetti e, quando ne aprìuno, Sarah scoprì che ne usciva acqua calda. Evidentemente Kilmarin aveva una caldaia, cosa che aChavensworth ancora mancava.

Si riscoprì a pensare cose che non avrebbe dovuto. Il suo corpo sembrava quasi in grado di captare dasolo la vicinanza di Douglas. Il cuore le batteva più in fretta e il respiro diventava affannoso. Douglassembrava capace di portare alla luce alcuni aspetti della sua personalità che non conosceva, come unacerta indole selvaggia.

Forse la vita sarebbe stata più facile se non si fosse sposata, ma che ne sarebbe stato di lei nel corsodelle ultime due settimane? Fino a poco tempo prima era stata convinta di poter fronteggiare da solaqualsiasi situazione, ma ora aveva scoperto che in certe circostanze aveva bisogno anche dell’aiuto deglialtri. Cosa avrebbe fatto senza Douglas? Non avrebbe mai potuto ringraziarlo abbastanza. Gli aveva dettodi essere certa che Chavensworth fosse un posto migliore proprio grazie alla sua presenza? O aveva datoper scontato che lo sapesse già?

Tornò in sala e lo trovò seduto di fronte al fuoco, ancora coperto solo dall’asciugamano.— Grazie — gli disse.— Di cosa? — Si voltò a guardarla.Gli tenne lo sguardo incollato al viso. — Per essere qui. Per essere a Chavensworth. Per essere così

gentile.— Sarei un ben misero marito se non fossi gentile con mia moglie.Non seppe come ribattere.Douglas andò nella stanza da letto e lei lo seguì. Anche se i bauli di Sarah non erano ancora arrivati,

quello di Douglas c’era già e lui lo aprì tirandone fuori i vestiti.— Avreste bisogno di un cameriere personale.— Lo dite perché non vi piace vedermi nudo.Al contrario, ci si stava abituando. Anzi, le piaceva molto.Douglas andò dietro il paravento e quando ritornò indossava una camicia bianca, pantaloni neri e

scarpe nere con bbie d’argento. Prese una giacca e l’appoggiò sul letto prima di afferrare una borsa dipelle, andare in sala e posarla sul tavolino fra i due divani.

— Non vi metterete a lavorare? — chiese Sarah.— Sono stato troppo occupato con la gestione di Chavensworth nelle ultime settimane per seguire i

miei affari. Devo rimettermi in pari.— Con la produzione di diamanti?— No. Ho molti altri interessi.Si sedette sul divano, prese dei fogli di carta dalla borsa e cominciò a metterli in ordine in tre gruppi

differenti. Poi tirò fuori delle penne, una piccola ala piena di sabbia e un curioso oggetto a forma dicubo.

Curiosa, Sarah si avvicinò al tavolo. Prese fra le dita il cubo e lo esaminò da tutti i lati. Era molto

grazioso, con delle incisioni ornamentali di fiori e uccelli, ma non capì cosa fosse.— Cos’è?Douglas allungò il braccio, glielo tolse di mano, lo appoggiò al tavolo e schiacciò in due punti diversi.

Il coperchio scivolò indietro rivelando all’interno una bottiglietta con un tappo di sughero.— Un calamaio da viaggio! — esclamò Sarah divertita. — Lavorate sempre anche in viaggio?Alzò gli occhi a guardarla. — Non mi piace sprecare il tempo.— Questo viaggio per voi è una perdita di tempo?— Comincio a pensare che vi divertiate a fraintendere ciò che dico, Sarah. — Si tirò vicino una pila di

fogli di carta. — Non posso evitare di chiedermi perché lo facciate.Sarah non rispose, leggermente irritata. Si sedette sul divano.— Parlatemi del vostro lavoro — gli disse.— Mi state dando un ordine, lady Sarah? Non reagisco bene agli ordini, specialmente quando

vengono impartiti con quel tono di voce.— Riuscite a essere molto irritante, Douglas. Ecco, così va meglio?— Non molto — rispose. — Forse, se vi esercitaste, riuscireste a ingentilire il tono.Douglas tornò a concentrarsi sul suo lavoro, con l’aria di essere convinto di avere chiuso l’argomento.Lo guardò a lungo.— Chiudete sempre il discorso a questo modo quando qualcuno vi fa delle domande?— Solo quando mi trattate come se fossi il vostro cameriere. — La guardò. — Non siete arrabbiata con

me, Sarah. Siete arrabbiata con vostro nonno.— No, sono davvero interessata a ciò che fate — spiegò. — Perdonatemi se vi sono sembrata scortese.— Probabilmente è la naturale conseguenza di essere la glia di un duca — asserì, senza distogliere lo

sguardo dalle sue carte.— La glia del duca di Herridge — ammise Sarah. — Con mio padre non si può mai mostrarsi deboli.

Per lui una conversazione è una battaglia da vincere a qualsiasi costo. Credo che tenga sempre il conto dichi vince e chi perde.

Sarah aveva parlato tenendo gli occhi bassi. Quando li alzò, si accorse che la stava guardando.— Quanti anni avevate quando lo avete scoperto? — gli chiese.— Nove, credo.— Avevate avuto una conversazione con lui o avete assistito a una discussione fra lui e vostra madre?— Mia madre gli è sempre stata sottomessa — sussurrò, provando di nuovo il bisogno di piangere. —

Una volta mi disse che stava facendo di tutto per non litigare con lui riconoscendo che il marito è il capodella famiglia. Non ho problemi a concedere a un’altra persona di comandare, solo che non vedo lanecessità di svilirmi per farlo.

— Non ce n’è motivo, infatti.— A parte creare diamanti, di cos’altro vi occupate?Qualcuno bussò alla porta, impedendo a Douglas di rispondere. Andò ad aprire ed entrarono due

servitori portando i bagagli di Sarah. Dietro di loro veniva Florie con una valigetta in mano.Dopo che i due se ne furono andati, Florie le disse: — Se siete pronta, posso pettinarvi adesso, lady

Sarah.

Alano bussò alla porta della governante e aspettò pazientemente, cosa che lo sorprese. Non era unuomo paziente.

Quando nalmente la signora Williams gli aprì, le sorrise senza lasciarsi scoraggiare dalle suesopracciglia alzate.

— Riuscite ad avere un’aria molto scostante — commentò. — Immagino che vi sia molto utile neirapporti con la servitù. Tuttavia io sono un ospite qui a Chavensworth e non mi lascio intimidire da certiatteggiamenti. Potrei perfino riferire a lady Sarah che siete stata brusca con me.

La donna sembrò del tutto indifferente alla minaccia.Il sorriso di Alano si allargò considerevolmente. Oltre che essere incredibilmente graziosa, era anche

intelligente.— Posso fare qualcosa per voi, signor McDonough? — Il suo sguardo lo s dava ad azzardarsi a dire

qualcosa di sconveniente.— Vorrei del tè.— C’è un campanello nella vostra stanza, signore. Basta che lo suoniate e verrà una cameriera che vi

servirà tutto quanto vorrete.— Temo che non sia il caso, signora Williams — disse Alano. — Vedete, ciò che vorrei è la vostra

compagnia. Inoltre, mi dovete una spiegazione.La donna incrociò le braccia e per poco Alano non la sentì battere il piede spazientita.— Non ho alcuna intenzione di prendere il tè con voi, signore. E, in quanto a spiegazioni, a cosa vi

riferite?— Come fate a sapere lo spagnolo?Una luce le si dipinse sul viso, facendola apparire più giovane.— Diciamo che ho qualche dimestichezza con quella lingua, signor McDonough.Fece per chiudere la porta, ma Alano fu lesto a infilare il piede nella fessura.— Signora Williams, sono qui per conto del signor Eston, che è mio amico. Il signor Eston è sposato

con lady Sarah, la quale è la responsabile del buon andamento della proprietà. Non pensate che noi dueabbiamo abbastanza interessi in comune da poter instaurare una relazione cordiale?

Sollevò una mano prima che lei potesse rispondergli e aggiunse: — Non ho detto che dobbiamodiventare amici, signora Williams. Sto solo dicendo che è un palazzo molto grande e non ho nessuno concui parlare. Il vostro omas è un giovanotto in gamba, ma ho l’impressione che non sia così espertocome voi in certi campi.

— Forse, signor McDonough, dovrei rifletterci un attimo.Alano tolse il piede e immediatamente lei gli chiuse la porta in faccia.Davvero non avrebbe dovuto provare quell’irresistibile voglia di ridere.

21

Bussarono alla porta e Sarah sollevò esasperata gli occhi al soffitto.— Chi sarà ancora?Florie andò ad aprire e Sarah la sentì parlottare con un’altra donna. Poi Florie ritornò.— È arrivata Linda Tulloch per accompagnarvi a cena, lady Sarah.Chi era Linda Tulloch?Sarah uscì dalla stanza da letto e trovò in salotto una giovane donna che indossava un abito blu

rialzato ai bordi per rivelare una sottogonna di pizzo bianco. Il suo unico gioiello era un cammeo sullagola. I capelli castani erano divisi in mezzo e annodati sulla nuca.

Era una bella donna, ma dava l’impressione di non curarsi molto del suo aspetto. Aveva occhi scuri ezigomi alti che le davano un aspetto più orientale che scozzese. Labbra sottili e tirate. Non parevasorridesse spesso.

— Sono vostra cugina — annunciò. — Mio padre e vostra madre erano fratelli.

Fino a quel momento Sarah non aveva nemmeno saputo di avere uno zio.— Sono venuta per accompagnarvi a cena, ma dobbiamo sbrigarci — disse Linda girandosi con aria

impaziente. — Il nonno non tollera ritardi. Chi non è puntuale, non mangia.Sarah fece un cenno a Florie. — Andate pure, Florie. Non aspettatemi — le disse.Mentre scendevano le scale, Sarah si accorse della grande quantità di spade, sciabole e scudi appesi

alle pareti che prima non aveva notato. Arrivarono in una grande sala dove tre persone le aspettavano inpiedi. Douglas, l’uomo che le aveva ricevute al cancello e suo nonno Donald, che la guardava accigliato.

Se pensava di metterla a disagio sarebbe rimasto deluso. Fin da bambina era stata obbligata a restarein piedi di fronte alla scrivania di suo padre ad aspettare che nalmente si degnasse di accorgersi dellasua presenza, sperando tutto il tempo di non scoppiare a piangere nel momento in cui le avesse rivolto laparola. Sarah dubitava che, dopo quelle esperienze, ci fosse ancora qualcuno in grado di intimidirla.

Si avvicinarono al gruppetto. Donald prese sottobraccio Linda e Sarah andò di fianco a Douglas.— È mia cugina — gli spiegò indicando Linda.— Scoprirete di avere molti parenti qui — disse l’uomo di anco a Douglas facendo un passo avanti.

— Robert Tulloch — si presentò. — Un altro cugino. Ce ne sono almeno altri tre o quattro.Donald si girò ed entrò nella sala da pranzo, seguito dagli altri. Sarah si sedette di anco a Douglas a

metà di un lato del lungo tavolo. Linda prese posto a sinistra di Douglas e Robert alla destra di Sarah. Acapo tavola sedeva Donald, mentre all’estremità opposta non c’era nessuno.

Donald fece un cenno con la mano e una schiera di giovani cameriere entrò nella sala portando vassoidi cibo.

— Domani devi spostare la mandria — disse Donald rompendo il silenzio.— L’ho già fatto — ribatté Robert.Donald lo fissò. — Ti ho dato il permesso di farlo?— Sì — disse, cogliendo Donald di sorpresa. — Nel momento in cui mi avete dato la responsabilità

del bestiame.Donald si appoggiò allo schienale e guardò Robert per un minuto, prima di parlare di nuovo. —

Domani devi spostare la mandria — ripeté.Robert si limitò a sorridere. Era evidentemente un vecchio gioco che i due facevano. E furono le

uniche parole pronunciate durante la cena, che consisteva in due diverse portate di pesce che Sarah nonriuscì a identi care, fette di carne di manzo, formaggi e, per dessert, una torta ricoperta di panna efragole. Tutto era squisito, in particolare il dolce.

Una volta nito di mangiare, Sarah si chiese se doveva continuare a restare in silenzio. Cosa sarebbesuccesso se avesse detto qualcosa? Come mai tutti trattavano Donald alla stregua di un re? Era anche luiun despota come suo padre? Ma se lei era riuscita a s dare il duca di Herridge perché avrebbe dovutopiegare il capo di fronte a Donald Tulloch?

— Mia madre non mi ha mai parlato di voi — disse Sarah improvvisamente. Guardò Linda. — Fino astasera non sapevo nemmeno di avere uno zio, o dei cugini.

— Non ti ha mai parlato di Kilmarin? — chiese Donald.— Deve averne pronunciato il nome un paio di volte, ma non è mai scesa in dettagli sulla sua

famiglia.Donald chiuse gli occhi, come se scoprire che Morna non aveva mai parlato di loro fosse un dolore

ancora più grande della sua morte.— Non mi avete chiesto nulla di mia madre. Non volete sapere se era felice? O come è morta?Linda sembrò inorridita. Robert abbozzò un sorrisetto divertito, come per lodare il suo coraggio. E per

quanto riguardava Douglas, Sarah non osò guardarlo.

— Volete che vi aiuti a uscire, nonno? — chiese Linda.Donald la guardò severamente e Linda non disse più nulla.Il silenzio nella sala aumentò, facendo sentire la sua ingombrante presenza. Si sentì rimbombare un

tuono da fuori e Sarah ne fu grata. Nel corso di quei minuti, durante i quali Donald posò il tovagliolosul tavolo, Sarah scoprì che, dopo tutto, poteva ancora farsi intimidire.

Ma c’era Douglas con lei, e sapeva che l’avrebbe protetta.Donald lasciò che il silenzio diventasse stagnante, prima di risolversi a parlare.— È stata tua madre a decidere di andarsene da Kilmarin — disse con una voce stranamente pacata,

addolcita dall’accento scozzese. — In quell’occasione disse anche che nulla l’avrebbe mai fatta ritornare.E nulla ci riuscì. Non la morte di sua madre, né quella di suo fratello. Nulla.

Fece una lunga pausa, come per ricomporsi.— Hanno sofferto per la sua assenza no al giorno della loro morte, specialmente sua madre.

Continuò a invocarla fino al suo ultimo respiro, ma Morna non tornò. La fece soffrire crudelmente.Sarah sbirciò verso Douglas e si accorse che stava guardando suo nonno con una curiosa espressione,

quasi di pietà.Sì, Donald era vecchio e forse anche fragile, ma non poteva permettersi di dire quelle cose su sua

madre.— Mia madre era la persona più dolce e gentile che abbia mai conosciuto — disse Sarah. —

L’amavano tutti. Se non è mai tornata a Kilmarin, se ha scelto così, deve avere avuto una buona ragione.Forse è stato qualcosa che avete fatto voi a impedirglielo.

Linda la guardò con gli occhi sbarrati.Per un po’ Donald la ssò. Poi, con grande difficoltà, si alzò. Linda fece per aiutarlo, ma lui

l’allontanò con un cenno della mano. — Lasciami stare — disse. — Sono vecchio e mi muovo come unvecchio.

— Ma, nonno, voi non siete vecchio.Donald la ignorò. Respirò a fondo, si appoggiò al bastone solo per un secondo, poi raddrizzò la

schiena e uscì lentamente dalla stanza seguito dai loro sguardi. Né Linda né Robert dissero nulla.Douglas la guardò e lei annuì, comprendendo la sua muta domanda. Si alzò e le spostò la sedia. Sarah

si mise in piedi e lui le appoggiò una mano sulla schiena, come guidandola verso la scala.Sarah non poteva andare da sua madre e chiederle perché aveva lasciato Kilmarin senza mai più

tornarci. Tutto ciò che sapeva erano le poche parole dette da suo nonno, ma il senso di dolore e di vuotodovuti alla sua fuga erano palpabili.

Avrebbe dovuto provare rabbia, ma verso chi? Verso la madre per averle celato i suoi segreti? Verso ilnonno per la sua amarezza? O verso se stessa per essere andata in Scozia senza pensare a cosa potevaandare incontro?

— Vi sentite bene?Douglas esitò sul pianerottolo, voltandosi verso di lei.Sarah tenne il viso girato per non sottoporsi al suo sguardo inquisitivo.— Sarah.Annuì. Perché doveva sempre farsi vedere piangere da lui?— Sto bene — rispose alla fine, obbligandosi a far uscire le parole dalla gola. — Davvero.Douglas non fece commenti e l’accompagnò in silenzio al loro appartamento.Una volta entrati, accese la lampada in salotto e la fece sedere sul divano di fronte al caminetto, poi si

dedicò ad attizzare il fuoco. Anche se era ancora estate, faceva freddo nella stanza. Sarah chiuse gli occhidesiderando essere il più lontano possibile da Kilmarin.

— Vi preparo un bagno caldo.Aprì gli occhi. — Non siete il mio cameriere — protestò lei, ricordando il discorso di prima.Sorrise. — Non mi dispiace servirvi di tanto in tanto, Sarah. Non mi sento sminuito a farlo.

Semplicemente non mi va che mi trattiate come un servo.Gli prese la mano e si alzò, ma invece di farsi indietro Douglas le si avvicinò al punto che ne percepì il

respiro sulla fronte.Improvvisamente si sentì travolgere dalle emozioni che le invasero la mente fin quasi a soffocarla.— Douglas, ho fatto un errore a venire qui — disse, a voce così bassa che lui dovette abbassare il capo

per udirla. Sarah sentì il suo viso s orarle la guancia e rabbrividì. Quando fece per ritrarsi lo bloccò conla mano.

— Perché non mi avete ancora resa vostra moglie? — gli chiese. Un secondo più tardi si staccò discatto, inorridita. Cosa l’aveva spinta a fare una simile domanda? Lasciò ricadere la mano e lo guardò.

Douglas sorrise. — Avrei dovuto sedurvi mentre eravate disperata per il vostro lutto? Non era ilmomento giusto, Sarah — rispose. — Non pensate che non vi desiderassi. Non vi dice nulla il fatto chenon possa dormire senza sentire il vostro profumo?

Non rispose.— O che siete sempre nei miei sogni? Un uomo non è nato per essere casto, lady Sarah, e io vi

desidero al punto da stare male.Inaspettatamente Douglas fece un passo indietro. — Cos’altro posso fare per voi? — chiese. — A parte

prepararvi il bagno, voglio dire. — Aveva un’espressione seria, concentrata.— Niente. Non siete nemmeno tenuto a farlo.Alzò una mano come per farla tacere.Lei lo guardò con un sorriso.

Douglas chiuse il rubinetto dell’acqua fredda, poi quella calda, pensando che non gli sarebbedispiaciuto avere sempre a disposizione quel tipo di comodità, senza dovere ogni volta farsi portarel’acqua calda da un servitore.

Ritornò in salotto dove Sarah era di nuovo seduta di fronte al caminetto e scrutava pensosa le fiamme.— Il bagno è pronto — disse lui, abbassandosi una manica.Lo guardò.— Vi ho messo dei sali profumati che ho trovato.— Mi sembrate molto esperto nel preparare il bagno a una donna.— Non è così difficile — rispose Douglas. — Basta riempire d’acqua una vasca e metterci dentro

qualcosa di profumato.Sarah sorrise e si alzò. — Non sarà difficile, ma grazie lo stesso.— Andate a fare il bagno — la invitò. — Volete che vi prenda dal baule una camicia da notte e una

vestaglia?Lo guardò esterrefatta. — Lo farò io — rispose in fretta e andò vicino al baule, ne tirò fuori gli

indumenti di cui aveva bisogno, se li strinse al petto e si infilò nella stanza da bagno.— Posso lavarvi la schiena?Per un po’ ci fu silenzio, poi la sentì ridere e udì la sua risposta. — No!Ritornò in salotto, attizzò il fuoco e si sedette sul divano. Il rumore dell’acqua nella vasca lo fece

sorridere. Prepararle il bagno era stata un’azione semplicissima, una gentilezza che lei trovava difficileaccettare.

“Perché non mi avete ancora resa vostra moglie?”

“Bella domanda. Perché, mia dolce vergine, avrei voluto sedurvi, ma la divina provvidenza ha fatto ditutto per ostacolarci.”

Con quel pensiero in mente andò a cercare una bottiglia di whisky.

22

Sarah uscì dalla stanza da bagno e scoprì che Douglas era scomparso. Non era né in salotto, né in camerada letto. Anche quando ebbe nito di spazzolarsi i capelli, lavarsi i denti e piegare e rimettere gli abiti nelbaule, ancora non era tornato.

Delusa si sedette sull’orlo del letto. Non aveva dormito con suo marito da quando erano partiti daChavensworth. Era stata sciocca a crearsi delle aspettative per quella notte.

Il letto era n troppo morbido e così grande che le parve di essere su un’isola. Il materasso si infossavaleggermente nel mezzo. Si ripromise di suggerire alla governante di risolvere il problema semplicementeaggiungendo delle assi al cassone, prima di rendersi conto che non erano a Chavensworth e i suoiconsigli non sarebbero stati bene accetti.

Chiuse gli occhi e si sforzò di dormire, anche se aveva lasciato la luce accesa per Douglas quando fossetornato. Cercò qualcosa di piacevole a cui pensare per conciliare il sonno, come un’illustrazione vista suun libro, un tramonto dietro le colline, le nuvole nel cielo. Douglas nudo.

Douglas nudo. Quello sì che era un bello spettacolo, ma non le sarebbe certo servito a conciliarle ilsonno. Chiuse gli occhi e si concentrò sulla sua gura. Piedi lunghi e stretti. Gambe leggermente irsute,ma non al punto da trovarle sgradevoli al tocco. Il petto, che spesso aveva accarezzato, anch’esso copertoda una leggera peluria.

C’erano centinaia di cose meno inquietanti a cui poteva pensare, ma non sarebbero state cosìinteressanti.

Aveva decisamente un bel torace, muscoloso. Braccia ben disegnate, quasi come se avesseroconosciuto il lavoro fisico. Spalle forti e un collo slanciato, ma robusto.

Anche le sue natiche non erano male. Sarah strinse i denti, come per nascondere i suoi pensieri.Possibile che le venisse da pensare alle natiche di un uomo? Be’, sì, visto che quello non era un uomoqualsiasi, ma suo marito. Di sicuro una moglie aveva il diritto di pensare al corpo del marito, o no?

Anche se era un’indicenza, non poteva evitarlo. Aveva delle natiche tonde e sode e pensò che se gliavesse dato una sculacciata, la mano sarebbe rimbalzata. Si mise su un anco, si sollevò la camicia danotte e si strofinò il sedere. Era molto più morbido del suo.

Si sdraiò sulla schiena, aprì gli occhi e ssò le decorazioni del soffitto. Chissà se qualche altra donnaprima di lei aveva dormito in quel letto e pensato al corpo di suo marito. O era lei la prima?

Tutto sommato l’esame dell’anatomia di suo marito non era stato particolarmente scandaloso. Avevapuntigliosamente evitato di pensare a una certa parte che era ancora più affascinante di tutto il restomesso insieme.

Conosceva il desiderio, avendolo già provato in passato quando un uomo attraente le aveva sorriso ole aveva s orato una mano. L’aveva accettato come un fatto normale della vita e aveva pensato che tuttequelle energie e sensazioni dovessero essere controllate e incanalate per poi essere rilasciate all’interno deisacri vincoli del matrimonio.

Cosa dicevano i dettami della buona società riguardo alla passione durante il periodo di lutto?Avrebbe dovuto ri utarsi di avere rapporti con suo marito per sei mesi solo perché quello era il periodoconvenzionalmente riservato al lutto nei confronti di una madre? Guardò ancora il soffitto. Sicuramenteno.

Douglas non sembrava il tipo d’uomo da accettare di attendere sei mesi prima di esercitare i propridiritti coniugali. Nemmeno il tipo da restare senza donne a lungo. Le bastava pensare a come lecameriere di Chavensworth lo guardavano per capire che non avrebbe comunque incontrato troppedifficoltà a soddisfare le sue voglie.

Sarah non avrebbe dovuto pensare a lui: ora addormentarsi sarebbe stato impossibile. Si voltò su unanco e allungò una mano a toccare il materasso dove Douglas avrebbe dormito. Le lenzuola erano

fredde e Sarah provò un’immediata sensazione di gelo.La loro relazione era così strana e fragile. Non avrebbe mai immaginato che il suo matrimonio fosse

così.Si girò sulla schiena, poi si alzò a sedere sul letto. Kilmarin era un posto molto silenzioso di notte.

L’unico rumore che sentiva era il proprio respiro. Doveva dormire, non chiedersi dov’era nito Douglas.Non era tenuto a starle alle costole in ogni momento, ma si sentiva sola. L’unica altra volta in cui si erasentita così era stata a Londra. No, nemmeno a Londra, perché là aveva almeno avuto la speranza dipoter tornare presto a casa.

Sarebbe presto ripartita anche da Kilmarin, ma nulla sarebbe più stato come prima. Le parolescambiate durante la cena le sarebbero sempre rimaste in un angolo della mente. Perché sua madre avevachiuso tutti i contatti con la famiglia di origine senza mai più farsi viva?

Pur di non restare a letto, Sarah si in lò la vestaglia e andò a sedersi sul divano in salotto. Il fuoco siera spento da tempo, e lei non aveva nessuna voglia di accenderlo di nuovo. Nemmeno di svegliare unacameriera perché se ne occupasse. Suo padre non avrebbe esitato un secondo a farlo. Douglas non sisarebbe mai sognato di disturbare qualcuno per fargli fare qualcosa che poteva sbrigare da solo. Dueuomini che avevano avuto un profondo effetto sulla sua vita: uno non poteva sopportarlo, l’altro lorispettava ogni giorno di più.

Dov’era?Solo ora Sarah cominciava a rendersi conto che il giorno in cui era partita per Londra l’ultima volta si

era rivelato estremamente fortunato per lei. Cosa avrebbe fatto nelle ultime due settimane senza Douglas?La servitù a Chavensworth le avrebbe dato una mano, ma nessuno l’avrebbe tenuta abbracciata la nottementre piangeva. Nessuno l’avrebbe riscaldata quando aveva freddo. Chi l’avrebbe accompagnata in quelviaggio? Chi l’avrebbe protetta e difesa?

Douglas cos’aveva chiesto in cambio?L’uso del suo osservatorio e un po’ di tempo per creare i suoi diamanti. Il primo gliel’aveva concesso

senza troppo entusiasmo, ma il secondo? Per nulla, prima a causa della morte di sua madre, poi per quelviaggio in Scozia.

Non era stata certo una buona moglie.Era andato a cercare consolazione altrove?Si alzò. Il pensiero la metteva a disagio.Ritornò a letto. Le parve ancora più grande, vuoto e freddo di prima.Restò a fissare il soffitto.Se ne sarebbe accorta? Se fosse andato con un’altra, sarebbe riuscita a capirlo? Cos’avrebbe fatto?

Come si comportano le mogli in quelle situazioni?La porta si aprì così piano che quasi non se ne accorse. Una sagoma si fermò esitante sulla soglia.— Sono sveglia — disse Sarah. — Non c’è bisogno di entrare come un ladro.— Ah, Sarah, amore, vi sono mancato.Si mise a sedere.— Siete ubriaco?

— Solo un po’. Il mondo sembra un posto fantastico con qualche goccio di whisky nello stomaco.— È tutto quello che avete fatto? Bere?— Stavo cercando di ricostruire un po’ di relazioni familiari — rispose con l’ombra di un sorriso. —

Con vostro cugino e qualcun altro. Erano tutti molto curiosi sul vostro conto.— Cosa gli avete detto?— Che stavano ospitando una donna straordinaria. Gli ho anche detto che siete ostinata come

Donald, affascinante come una torta al cioccolato e bella come le principesse delle favole.— Davvero? — Si sentì investire da un’ondata di calore.— Ovviamente non gli ho detto che siete una sposa ancora vergine e che la mia più grande paura era

che foste fredda come il picco di una montagna innevata.Lo ssò, rimpiangendo di non avere spento la luce. Se fossero stati al buio non avrebbe potuto vedere

il suo ghigno da monello né il desiderio che gli brillava negli occhi.Cosa si aspettava che gli dicesse? Che non aveva la minima idea di cosa volesse dire con quelle parole?

Che ne aveva una vaga idea, ma era troppo inesperta per essere sicura?— Grazie per aver parlato bene di me — riuscì a dire. Che risposta banale.Lui non sembrò notarlo perché il sorriso scanzonato scomparve mentre allungava le braccia e le

prendeva il viso fra le mani.— Sarah, amor mio, vi amo dalla testa ai piedi.— Oh.Tolse le mani e si girò, prima che lei potesse dire altro. Continuò a parlare dirigendosi verso la stanza

da bagno.— Mi laverò — la informò guardandola. — Puzzo di fumo e di whisky.Cantava bene, lo scoprì pochi minuti dopo, ed evidentemente riteneva di dover cantare durante tutto

il bagno, accompagnato dal rumore dell’acqua che riempiva la vasca. Si scoprì a sorridere.Allungò un braccio e spense la luce, nel caso lui decidesse di uscire dal bagno nudo. Poteva ngere di

dormire. C’erano asciugamani in bagno? Se fosse stata una buona moglie gliene avrebbe portato uno.Invece si tirò le coperte fin sul naso e chiuse gli occhi. Avrebbe finto di dormire. Si girò da un lato.Qualche tempo dopo sentì i suoi passi sul pavimento, poi il materasso abbassarsi sotto il suo peso.— Dio, quanto è fredda l’acqua in Scozia! — esclamò infilandosi sotto le coperte.— L’acqua in Scozia non è più fredda che in Inghilterra — ribatté lei sorridendo. — Siete stato sciocco

a volervi fare il bagno a quest’ora. Ma perché non avete usato l’acqua calda?— Ho pensato che un bagno freddo mi avrebbe fatto bene — rispose stro nando il naso contro la sua

schiena. Anche con la camicia da notte si accorse di quanto fosse freddo.Si voltò e lo prese fra le braccia. — Siete davvero uno sciocco, Douglas Eston — commentò.— Non sapete quanto, Sarah, amore mio.— Siete anche freddo come il ghiaccio.Improvvisamente sentì il suo ginocchio farsi avanti. In lò una gamba fra le sue. Aveva la camicia da

notte alzata e le gambe nude e poté sentire ogni centimetro della sua pelle. L’abbracciò a sua volta ediventarono un groviglio di braccia e gambe.

Cominciò a scaldarsi.Le baciò una guancia con labbra morbide e fredde, che subito si scaldarono. Sarah non si voltò.

Invece, gli si avvicinò. Infine la baciò sulla bocca.— Vi voglio nuda — le disse, pochi minuti più tardi.Sarah rabbrividì ed emise un gemito prima che la sua bocca fosse divorata da quella di Douglas. Gli si

aggrappò alle spalle.

A ogni bacio il respiro le si fece più affannoso, ma quando le infilò una mano sotto la camicia ansimò.Avrebbe dovuto reagire, protestare. Staccarsi. Nessuna donna per bene si sarebbe lasciata sbottonare la

camicia da notte in modo da lasciarsela s lare di dosso. Ma in quel momento ciò che si doveva fare eral’ultimo dei suoi pensieri.

— Scioglietevi i capelli — le sussurrò, con voce rotta. Si mise a sedere sul letto e l’aiutò a s larsi lacamicia da notte dalla testa.

Non cercò di resistere nemmeno di protestare. Aveva già superato quella soglia da tempo. Eranoarrivati a un punto che entrambi avevano desiderato troppo a lungo. Stava per diventare sua moglie atutti gli effetti e non sapeva se essere spaventata o eccitata, come in effetti era.

Le prese le mani mentre si scioglieva le trecce, poi l’aiutò.— Dio, quanto siete bella! — mormorò. Lei si sentì bella.Le coprì i seni con le mani mentre si sdraiava sul letto, stuzzicandole i capezzoli con i pollici. Sarah

mosse le gambe di scatto girandosi verso di lui e allungando una mano per accarezzargli il viso.— Douglas — sussurrò, pronunciando il suo nome solo perché aveva bisogno di dire qualcosa.Lui si chinò su di lei e le baciò un seno.Sarah sobbalzò, provando una sensazione nuova che si irradiò dal capezzolo. Gli accarezzò la nuca

con le dita, poi un orecchio, quindi i capelli. In un altro momento avrebbe notato quanto fossero lisci,ma ora era concentrata su altre sensazioni.

Rimpiangeva di avere spento la luce. Stava ansimando e si coprì la bocca con una mano, certa che ledonne per bene non provassero piacere a essere possedute.

Allora perché non si sentiva soggiogata, ma condotta in un posto sconosciuto? Un luogo in cui nonera mai stata prima e mai avrebbe immaginato potesse esistere, ma in cui non era sola. Douglas era lì,sorridente, che le tendeva la mano e la invitava a entrare.

Le accarezzò il ventre, come per scioglierle la tensione, poi scese lungo una gamba. Le toccò ilginocchio, quindi l’attenzione di Sarah fu attratta da quello che le stava facendo con la bocca. Le leccò ilcapezzolo, lo risucchiò fra le labbra, poi passò all’altro seno, mentre lei con la mano gli carezzava laschiena, quella bellissima schiena dai muscoli così ben delineati da sembrare scolpiti. Ancora una voltarimpianse di avere spento la luce.

Scese ancora, fino alla base della spina dorsale, poi più giù, su una natica.Si alzò su di lei, guardandola dall’alto in basso. Aveva sorriso? Le era sembrato di cogliere il bagliore

dei suoi denti nel buio. La baciò di nuovo, forzandole la bocca con la lingua. Lei ubbidì senza esitazioni ele lingue si fusero. Lo abbracciò stretto tirandoselo contro.

Di colpo lui si girò sdraiandosi sulla schiena e tirandosela sopra, sorprendendola al punto che gli siaggrappò alla vita e si sedette a cavalcioni su di lui. Di fronte a lei c’era qualcosa di molto duro e caldo. Sirese conto immediatamente che si trattava del suo membro.

— Douglas?Non le rispose, ma lentamente alzò le ginocchia obbligandola a spostarsi in avanti.Lei strinse con le mani il suo membro. Non per tenersi dritta, cosa che avrebbe arditamente sostenuto

se le avesse chiesto perché lo avesse fatto. Non per orientarsi, visto che anche al buio sapeva esattamentedove si trovava. Se lo aveva toccato, se lo aveva accarezzato per tutta la sua lunghezza, era solo percuriosità.

Al tocco era liscio e caldo, ma lo “strumento” in sé era piuttosto rigido. Non era in fondo diverso dalramo di un albero. Il ramo ben sviluppato di una quercia. Era chiaro che non si poteva piegare, mapoteva rompersi?

— Vi sto facendo male? — gli chiese, preoccupata.

— Mio Dio, no — rispose Douglas, ma nella sua voce c’era un timbro che lei non aveva mai sentito.— Ne siete sicuro? Mi sembra che stia diventando ancora più duro.La sua risposta fu una risata sorpresa.— È colpa vostra, Sarah.— Davvero?Continuò ad accarezzargli il membro per tutta la lunghezza, su e giù, affascinata dalle dimensioni e

dal fatto che sembrava essere una creatura separata da lui, con una vita propria, che reagiva alle carezzecon un brivido.

— Credo di avere commesso un grave errore — disse Douglas rigirandosi ancora e andandole sopra.Restò a guardarla e Sarah aspettò che la baciasse, ma quando non lo fece, aprì gli occhi.

— Vorrei che la prima volta non fosse troppo doloroso per voi, Sarah.— Doloroso?— Spero di no, ma ci sarà comunque un po’ di disagio.Non se lo aspettava, ma avrebbe voluto saperlo. Perché solo gli uomini erano esperti in questioni di

sesso? Non era giusto.— Ma, dopo la prima volta, farà ancora male?— No — rispose lui con sicurezza.Cominciò a respirare di nuovo.— Be’, allora sbrighiamoci a farlo la prima volta, non vi sembra?Lui rise di nuovo. — Avete ragione.Si chinò su di lei e la baciò a lungo, tanto che quando si staccò Sarah si lasciò sfuggire un gemito di

dispiacere. Il buio l’avvolgeva tto, ma le sembrava di vedere migliaia di stelle e respirava con affannosempre maggiore.

Un secondo dopo tutta la magia scomparve. Aprì gli occhi.— Douglas!— Rilassatevi Sarah.— Come posso rilassarmi se non la smettete?Le stava baciando il ventre, mentre con il dito stava risalendo lungo la coscia. Era arrivato ai peli del

pube e non sembrava avere intenzione di fermarsi.— Douglas — mormorò, cercando di avvicinarsi di più a lui.Lui si alzò, si chinò su di lei e le baciò dolcemente una guancia. Un bacio affettuoso, come quello che

si può dare a un amico, o a un parente che non si veda da tempo. Non il bacio che si dà a una mogliementre la si tocca con il dito inopportuno.

— Douglas!— Sarah — la chiamò a sua volta, spostando il bacio dalla guancia alla bocca, cercando inutilmente di

distrarre la sua attenzione da quello che le stava facendo con la mano.Lei si sorprese con sgomento ad allargare le gambe. Il corpo stava sfuggendo al suo controllo,

reagendo da solo al suo tocco.— Douglas!— Lady Sarah — rispose. — Rilassatevi e abbandonatevi al piacere.Come poteva provare piacere per una cosa così imbarazzante?Gli si aggrappò alle spalle mentre lui la baciava con più passione e le sue dita l’accarezzavano in luoghi

proibiti, frugando, esplorando, insinuandosi, cambiando ritmo, accelerando per poi rallentare di nuovo,lasciandola senza fiato.

Spalancò ancora di più le gambe, facendosi baciare e toccare. Era una novizia e lui l’esperto. Poteva

solo abbandonarsi a lui, lasciare che facesse di lei ciò che voleva. Gli strinse le mani attorno alla testa,come per bloccarlo. O forse per invogliarlo a proseguire, solo un po’ più in fretta? Voleva sbarazzarsi alpiù presto della sua innocenza, che si era tramutata in un peso, una sorta di barriera che la divideva dalui. Voleva conoscere tutto, sperimentare tutto, vivere tutto per provare poi la gioia di viverlo di nuovo.

Improvvisamente se lo trovò sopra: aderiva a lei con ogni parte del corpo. Si piegò e il membropremette sul suo sesso.

— Sono pronta — mormorò con un filo di voce.— Siete sicura?Annuì.Si chinò a baciarla e nello stesso momento entrò in lei.Si preparò al dolore. Era grosso, tanto da farla annaspare. Ma mentre la penetrava, centimetro dopo

centimetro, non provò alcun male. Solo la sensazione di essere invasa. Lo strinse ai anchi, poi sullenatiche. Le gambe le si spalancarono ancora di più come se il suo corpo sapesse istintivamente comeaccoglierlo.

Gli si strinse contro e fu percorsa da un brivido.— Siete pronta?Riuscì solo ad annuire.Ora le avrebbe fatto male. Avrebbe urlato? Gli abitanti di Kilmarin avrebbero saputo che l’aveva fatta

sua quella notte? Era per quel motivo che tutti cercavano di far ubriacare la sposa la notte delmatrimonio? Per stordirla in vista di quello che stava per succederle?

Uscì da lei lentamente per poi penetrarla di nuovo, sempre con molta delicatezza, nonostante lei se lotirasse selvaggiamente contro.

Non ne poteva più. La tensione si era fatta insopportabile.— Douglas, vi prego.Si ritrasse. — Vi faccio male?— No, non ancora. Ma, vi prego, sbrigatevi. Non mi piace restare in attesa del dolore.— Con i miei tempi, lady Sarah — sussurrò e lei avrebbe giurato che stesse sorridendo.Cos’era a divertirlo tanto?Ancora una volta uscì da lei e stavolta Sarah riconobbe la tattica. Si irrigidì, poi si rilassò quando

tornò a penetrarla.Non riusciva più a pensare. La baciò di nuovo. Cominciò a muoversi al suo stesso ritmo, rispondendo

al suo desiderio, sempre più in fretta, appoggiandosi a lei al termine di ogni spinta. Le sembrava di avereil corpo percorso da fulmini che la dilaniavano.

Douglas era coperto di sudore e ansimavano entrambi. Uscì quasi del tutto e alzò il bustosostenendosi sulle braccia.

— Non vi fa male, Sarah?— No — rispose. Aveva fatto qualcosa di sbagliato? — E a voi?— Più di quanto possiate immaginare.Cosa voleva dire? Che in qualche modo era riuscito a provare dolore al posto suo?Douglas si abbassò di nuovo e ricominciò a spingersi dentro e a ritrarsi, sempre più in fretta, senza

lasciarle altra scelta che adattarsi completamente ai suoi movimenti. Poi si lasciò sfuggire uno stranogemito e improvvisamente le crollò addosso, la testa sul cuscino di fianco alla sua.

Qualche minuto dopo la guardò. Stava ancora ansimando. Era così vicino da poterla baciare, ma nonsembrava averne voglia. Si girò su un fianco e sollevò il capo, sostenendolo con una mano.

— Come vi sentite?

— Bene, grazie.Doveva essere così difficile conversare con lui? Non poteva evitare di ricordare che aveva appena nito

di toccarla dappertutto, per non parlare del suo membro che l’aveva penetrata profondamente.— Non vi ho fatto male?Scosse il capo, prima di rendersi conto che non poteva vederla.— No, male no. Solo un po’ di disagio, tutto qui. Siete molto grosso, sapete?Non le rispose, ma abbassò il capo e le mordicchiò l’orecchio.— Cos’altro avete provato?— Non capisco cosa volete dire.— Non siete rimasta senza fiato?— Be’, un po’.— Davvero?— Sì.Le accarezzò il seno con una mano, poi si spostò verso lo stomaco. Non era preparata a farsi di nuovo

invadere dalle sue dita, soprattutto visto che aveva scelto proprio quel momento per mordicchiarlel’orecchio.

— Douglas.— Calma, Sarah — sussurrò. — Userei la bocca, ma temo che sia ancora troppo presto.La bocca?Mentre cercava di capire cosa intendesse dire, le in lò un dito dentro. Restò così sorpresa che si voltò

a guardarlo in tempo per farsi baciare di nuovo.Erano baci davvero inebrianti.Cominciò a toccarla con movimenti rotatori, all’inizio piano, poi sempre più in fretta.Quella stranissima sensazione che aveva provato prima si manifestò di nuovo. Le sembrò di sciogliersi,

di diventare come il miele. Il corpo le bruciava, cominciando da dove la toccava per irradiarsi poi da altreparti. Avrebbe voluto sussurrare il suo nome, ma non riusciva più a coordinare i pensieri.

Gli ansimò contro la bocca.— Va tutto bene, Sarah — le disse. — Siete pronta a volare?E volò. Proprio quando cominciava a pensare di avere raggiunto il massimo del piacere, tutto si ruppe

in una cascata di sensazioni che la travolsero. Gemette, poi urlò, forte, troppo forte, ma non se ne curò.Tutti i suoi pensieri erano concentrati sullo straordinario piacere che provava e sull’uomo che glielo

aveva procurato.

23

Douglas si svegliò con la sensazione della pelle di Sarah contro la sua. Le teneva la mano appoggiata alanco, come per affermare il suo diritto di proprietà anche durante il sonno. Restò immobile,

ascoltandone il respiro, stretto contro le sue natiche. Al contatto il membro gli si inturgidì da solo, senzaalcun movimento da parte sua.

Sollevandosi sul gomito la osservò mentre dormiva. Era bellissima. Nonostante la sua vasta esperienzaamorosa, era la prima volta che lo spettacolo di una donna addormentata lo incantava a tal punto.

D’altronde, non era nemmeno mai rimasto folgorato da una donna al primo incontro, tanto daaccettare immediatamente di sposarla, senza sapere nulla di lei. E ora che la conosceva, non ne erapentito, anzi. Era rimasto strabiliato dalla quantità di lavoro che riusciva a svolgere, dalla sua forza divolontà, dal suo buon senso e dal suo coraggio.

Aveva le guance rosee e le labbra piegate in un leggero sorriso. Si chiese se potesse soccombere aldesiderio che aveva di baciarla o dovesse lasciarla riposare in pace.

La notte prima era ancora vergine. Doveva controllarsi e non era mai un compito facile di fronte auna bella donna, guriamoci se si trattava di sua moglie. Sarah riusciva a eccitarlo solo camminandoglidavanti, ma dubitava che se ne rendesse conto. Così come non doveva essersi resa conto che lui si erainnamorato di lei dal primo momento che l’aveva vista. Proprio lui, Douglas Eston, scienziato,avventuriero, esploratore, l’uomo che sapeva sempre cosa voleva.

Sarah aveva i capelli sparsi sul cuscino. Al risveglio si sarebbe lamentata con lui per il tempo che ciavrebbe messo a pettinarsi. Chissà, forse gli avrebbe permesso di farle da assistente.

Per qualche motivo, guardarla mentre dormiva lo intristì. Forse perché si sentiva più vicino a leimentre dormiva rispetto a quando era sveglia e ridiventava la glia di un duca? A differenza sua, Sarahapparteneva alla classe privilegiata.

Si alzò, raccolse i suoi indumenti e andò a rivestirsi in salotto. Un’occhiata all’orologio gli assicurò cheaveva a disposizione abbastanza tempo prima della riunione.

Uscì dall’appartamento senza disturbarla, pur rimpiangendo di non averla baciata.

Quando Sarah si svegliò, Douglas non c’era. Si sedette sul bordo del letto e si rese conto che il corpo lefaceva male in punti insoliti. Il fatto di essere sposata era molto più complicato di quanto si fosseimmaginata. Non era solo questione di perdere la verginità. C’erano anche delle emozioni nuove, forti, acui non era preparata. Si sentì assurdamente felice per poi, inspiegabilmente, provare rimpianto, come se,consumando il matrimonio, si fosse imbarcata per un viaggio che la portava da un’emozione esaltante alsuo esatto opposto.

Forse il con itto era dovuto alla morte di sua madre. Da quel giorno si era trovata troppo spesso apiangere e il dolore era come un manto nero che l’avvolgeva. Ma anche nei momenti peggiori, era sempreriuscita a sorridere.

L’aveva baciata.Proprio sotto la spalla, sull’attaccatura del seno. L’aveva baciata teneramente, a lungo, poi l’aveva

portata all’estasi facendole vedere fino a che punto il suo corpo poteva spingersi nel provare piacere.Ora, dopo una vita passata a sentirsi dire come comportarsi, non sapeva cosa fare e si trovava

abbandonata a se stessa. Non era sicura che quanto era successo la notte prima fosse giusto, ma nonaveva nessuno a cui chiedere consiglio.

Forse avrebbe dovuto chiedere a Douglas. Doveva trovare il modo di formulare la domanda in tonocasuale, come se non fosse per nulla interessata, e ascoltare le sue risposte con grande attenzione.

“Fanno tutti così?”. Ecco, così poteva andare bene.“Tutte le altre donne vogliono fare queste cose?”. Così andava un po’ meno bene, ma era più vicino a

ciò che davvero voleva sapere.“Come siete riuscito a spingermi a desiderare di fare queste cose?”. Così tutte le nzioni sarebbero

saltate.Perché sentiva un’ondata di calore ogni volta che le si avvicinava? Perché il respiro le si faceva

affannoso e il cuore le batteva selvaggiamente nel petto quando solo la guardava?Si alzò e andò in bagno a lavarsi. Avrebbe dovuto chiamare Florie, ma voleva restare da sola ancora

per qualche minuto.Perché Douglas se n’era andato senza nemmeno svegliarla? Anche lui si era sentito spaesato come lei?

Ma lui non era vergine.Dopo la notte precedente, ogni domanda era accettabile.

Evidentemente il lutto per la morte di sua madre non si applicava ai suoi doveri coniugali. Ma eraaccettabile che una donna per bene potesse provare piacere dall’accoppiamento?

Bussarono alla porta. Sarah sospirò, si in lò la vestaglia e andò ad aprire. Sulla soglia trovò unagiovane cameriera con un vassoio. Al suo fianco c’era sua cugina elegantemente vestita con uno stupendoabito verde.

Sarah disse alla cameriera di entrare in salotto e salutò Linda.— Il nonno mi ha detto di mostrarvi il castello — disse Linda in tono impersonale. — Possiamo

trovarci nel salone fra un’ora?Sarah annuì e sua cugina se ne andò senza dire altro. Forse Linda non gradiva la sua presenza a

Kilmarin. O si comportava in modo così poco espansivo con tutti? Comunque fosse, non eraparticolarmente amichevole.

Anthony, duca di Herridge, si guardò allo specchio. Non era un uomo vanitoso, ma per la primavolta in vita sua si rese conto che, anche se non del tutto sgradevole di aspetto, non poteva certo de nirsibello. Comunque era pur sempre il dodicesimo duca di Herridge.

Presto avrebbe cominciato a cercarsi una nuova moglie con una ricca dote. Anche fertile, in modo chepotesse dargli un figlio maschio.

Andò nel suo studio, prese dalla cassaforte il cofanetto con i gioielli e ne rovesciò il contenuto sulletto. Non c’era gran che. Possibile che non avesse regalato nulla di valore a Morna nel corso degli anni?

D’altronde non aveva molto denaro. Aveva sposato Morna pensando che con il patrimonio dellamoglie sarebbe stato in grado di risolvere i suoi problemi nanziari, ma la famiglia di Morna l’avevadiseredata e così si era ritrovato con una moglie e lo stesso problema di prima: la mancanza di fondi.

Se fosse stato un campagnolo, sarebbe potuto vivere dignitosamente a Chavensworth. La proprietàrendeva discretamente. Ma sentiva di essere destinato a una vita più mondana, quella che solo lacosmopolita società londinese poteva offrirgli. Per quella vita ci voleva denaro. L’unica soluzione erasposare un’ereditiera, cercando di concludere un accordo il più vantaggioso possibile. Ma per riuscircidoveva prima rinforzare la sua posizione contrattuale. Cosa diavolo aveva fatto Eston in tutto queltempo?

Andò alla porta, l’aprì e chiamò Simons con un grido.

Mezz’ora più tardi, vestita di tutto punto e con i capelli perfettamente acconciati, Sarah si trovava nelsalone. Forse essere sempre in anticipo non era necessariamente una virtù, ma le era stato insegnato chearrivare in ritardo agli appuntamenti era scortese.

L’atmosfera nell’imponente salone, oscurato da pesanti tendaggi, era cupa e oppressiva e Sarah decisedi aspettare all’aperto, nel giardino orito. Uscì e si sedette su una panchina, contenta di poter restare dasola.

Improvvisamente, nel silenzio rotto solo dal cinguettare degli uccelli e dallo zampillio della fontana,sentì una voce.

— Siete l’inglese?Sarah alzò lo sguardo e scoprì di non essere sola nel giardino. Un uomo che indossava pantaloni scuri

e una camicia bianca la guardava dall’angolo opposto.Avanzò lentamente fino a trovarsi a pochi metri da lei.Aveva gli occhi e i capelli del suo stesso colore e un naso simile al suo. Si accorse che le assomigliava al

punto che le sembrò di guardarsi allo specchio.— Sì o no? — chiese.

— Sono Sarah Eston — disse. — E voi chi siete?— Brendan Tulloch. — Esitò, poi parlò di nuovo. — Siete la glia di Morna — disse ssandola

intensamente.Stava provando lo stesso stupore che provava lei?— Conoscevate mia madre? — chiese Sarah spostandosi di lato in modo che potesse sedersi sulla

panchina al suo fianco.Ma l’uomo restò in piedi, senza mai distogliere lo sguardo. Sotto quell’esame Sarah cominciò a sentirsi

a disagio.— Non l’ho mai conosciuta — disse, decidendosi nalmente a rispondere. — Ma la conosceva mio

padre. Mi parlava spesso di lei quando era ancora in vita.— Mi dispiace. È sempre difficile perdere un genitore — disse Sarah. — Lo so per esperienza.L’uomo annuì. — Vi ha mai parlato di lui? Di Michael Tulloch?— Parlava molto raramente della Scozia — rispose Sarah. — Di lui non mi ha mai detto niente. Mi

spiace.Guardò lontano, come se stesse decidendo qualcosa. Alla fine tornò ancora una volta a fissarla.— Siete venuta per stabilirvi qui?— No. Partiremo presto.— Tornate in Inghilterra?Annuì.— Siete scozzese, lo sapete, vero?“Solo per metà” fu sul punto di dire, ma non ne ebbe il tempo.Lui si voltò, come sul punto di andarsene. — Se rimaneste, potremmo essere amici. Voi e io.Era un’affermazione così insolita che lei lo guardò mentre si allontanava. Quando Brendan Tulloch

arrivò quasi sotto il colonnato, apparve suo nonno. I due parlarono per un po’, ma erano troppo lontaniperché Sarah potesse capire cosa dicessero. Suo nonno, appoggiato al bastone, guardò prima Brendan,poi Sarah e lei si chiese se anche il vecchio avesse notato la somiglianza.

Un attimo dopo Brendan scomparve e suo nonno andò verso di lei. Sarah si alzò, con un’espressionecalma e remissiva, la stessa che aveva sempre quando incontrava suo padre.

Donald restò un attimo in piedi di fronte a lei, poi si sedette sulla panchina con un sospiro di sollievo.Sarah gli si sedette a fianco.— Maledette ginocchia — borbottò lui appoggiando le mani al bastone. — L’età non è che una

sequela di cose che smettono di funzionare. Le giunture prima, poi la vista, quindi l’udito. — Restò conlo sguardo perso in lontananza, più o meno come aveva fatto Brendan solo pochi minuti prima. —Niente che funziona più. — Sospirò.

Poi la guardò.Sarah rivolse lo sguardo alla fontana con la testa di lupo scolpita.— Perché ci sono lupi dappertutto? — gli chiese. — È lo stemma di famiglia?Donald sorrise. — È vero quello che mi hai detto? Che sapevi ben poco di Kilmarin?Sarah annuì.— I lupi si spostano in branco, cacciano in branco, vivono in branco. I lupi servono a ricordare ai

Tulloch che sono un clan, uno dei più fieri e leali delle Highlands.— Con l’eccezione di mia madre — mormorò Sarah. — Perché se ne andò da Kilmarin?Donald guardò per terra.— Per colpa mia — rispose. — Solamente mia. E per tutti questi anni sono stato io a portarne il peso.Continuava a guardare lontano. Come se stesse scrutando dentro di sé.

Doveva lasciarlo ai suoi ricordi?Poi la guardò, il volto segnato da rughe, tipico di un uomo che non era felice della sua vita, ma che

l’aveva accettata.— Tua nonna adorava questo giardino. È stato il più grande regalo che le abbia fatto. — Passarono

alcuni secondi. — Uno dei pochi regali che le abbia fatto.Sarah guardò prima suo nonno, poi i giochi d’ombre che il sole disegnava nel porticato.— Non mi resta molto tempo da passare su questa terra — continuò, le labbra piegate in quello che,

con un po’ di sforzo, poteva essere considerato un sorriso. — Non posso mentire di fronteall’Onnipotente.

— Perché dite che è colpa vostra?Per un po’ Sarah si chiese se le avrebbe risposto, poi, finalmente, lo fece.— Si era innamorata di uno scozzese. Un uomo a posto, ma io volevo di più per la mia unica figlia.Si voltò a guardarla. Improvvisamente Sarah provò il bisogno di assicurarsi di avere i capelli a posto,

di non essere arrossita, ma alla fine l’esame terminò.— Le ho detto che era destinata ad avere di più dalla vita. Ero uno sciocco a quei tempi, pensavo solo

al denaro e al potere. Così sistemai le cose in modo che quel giovane si sposasse. Non fu una bella azione.Oh, certo, gli trovai un’ottima moglie, gli diedi dei soldi e della terra. — Esitò un attimo prima diproseguire. — Ma gli avevo anche mentito. Mi ci vollero vent’anni, oltre a una promessa che mia mogliemi strappò sul suo letto di morte, per dire a quell’uomo la verità. Gli avevo lasciato credere che fosse stataMorna a non volerlo più.

Sarah aspettò in silenzio, decisa a non essere la prima a parlare.— Gli ho detto che Morna si era innamorata di un altro. — Sospirò. — Dopo che si fu sposato,

Morna non lo nominò mai più. Se aveva il cuore spezzato, non lo disse mai. Era fatta così, ostinata eorgogliosa. — Sospirò ancora. — Me lo dimostrò il giorno in cui mi presentò il suo duca. Si eranoincontrati a Edimburgo. Era un galletto vanesio, interessato solo a fare bella gura in società. Conoscevobene quel tipo d’uomo. Era convinto che avrei dovuto fare salti di gioia al solo pensiero che un duca sidegnasse di prendere in sposa mia figlia.

Diede un’occhiata a Sarah. — Quell’uomo sapeva benissimo che tua madre era l’erede della fortuna diKilmarin.

Sarah restò zitta.Donald strinse il pomolo del bastone con la mano. — Voleva solo i suoi soldi e io lo sapevo. Così

come sapevo che non gli importava nulla di lei. Ma Morna non era disposta ad ascoltarmi. Quando miresi conto che era tutto inutile, la diseredai. La mia unica figlia.

Era per quel motivo che suo padre l’aveva odiata tanto?— Stavo quasi per farlo di nuovo. Che Dio mi assista — disse Donald. — Forse l’Onnipotente ti ha

mandata da me proprio per questa ragione.Sarah aggrottò la fronte, senza capire.— Non le avete mai chiesto di tornare? O glielo avete ordinato? Mia madre era molto orgogliosa. —

Sarah lo sapeva n troppo bene, avendo assistito all’ostinato silenzio con cui aveva reagito alle cattiveriedi suo padre.

— Non gliel’ho mai ordinato — rispose lui. — L’ho implorata. — Sorrise. — Per tutti questi anni horitenuto fosse una questione di orgoglio fra me e Morna. L’ho creduto fino a ieri.

— Ora non più? — chiese Sarah. Una strana calma la pervase, leggera come un velo.— Non hai ri ettuto sulla somiglianza fra te e Brendan? Se tuo padre fosse vivo, gli mostrerei quanto

vi somigliate.

Sgomenta, non riuscì a fare altro che fissare suo nonno, senza dire una parola.— Morna non è mai tornata perché il mondo intero avrebbe subito capito chi era tuo padre, così

come l’ho capito io ieri sera. — Prese un respiro profondo. — Forse ha sposato il suo duca per orgoglio —continuò. — Ma l’ha fatto anche per darti un cognome.

24

Donald Tulloch, signore di Kilmarin, aveva ordinato che l’incontro avvenisse nella cappella. Forseriteneva che l’atmosfera fosse adatta a una confessione. O forse Donald si riteneva Dio.

La cappella era stata costruita di recente, il che, per Kilmarin, voleva dire un secolo prima.Evidentemente non era da molto che i Tulloch avevano cominciato a parlare con Dio. Austera edisadorna, la cappella aveva un’aria tipicamente calvinista. A differenza di quella di Chavensworth, nonc’era una sola statua a distrarre i fedeli al cospetto divino. Non c’erano vetri colorati alle nestre. Per nole panche erano piallate molto frettolosamente, di certo per con ccare schegge di legno nelle natiche deifedeli.

Douglas era ritto con le mani unite dietro la schiena. Sapeva n troppo bene che quella cerimonia erauna prova e aveva tutte le intenzioni di superarla.

Il signore di Kilmarin era un vecchio demonio incallito che sapeva perfettamente come intimorire chigli stava di fronte. Ma c’era anche un tocco di umorismo nel suo sguardo, come se sapesse n troppobene che quell’incontro era solo il risultato di un suo capriccio.

Il tavolo a cui era seduto Donald non era troppo lontano dall’altare. Douglas non sarebbe statosorpreso se il nobile avesse deciso di usare proprio l’altare come scrivania.

— Sedetevi — disse finalmente Donald.Douglas spostò una sedia con la punta di un piede e si sedette accavallando le gambe.— Sarah sa che siete qui? — chiese Donald.— No. Avevate chiesto che l’incontro avvenisse in segreto.— Non proprio in segreto — ribatté Donald. — Semplicemente desidero che non vi siano pettegolezzi.

Le donne parlano sempre, amano fare illazioni, mormorare su tutto. — Si appoggiò all’indietro, alloschienale del suo enorme scranno, e lo studiò da sotto le sopracciglia bianche.

— Secondo me le donne non sono molto diverse dagli uomini sotto questo aspetto — ribatté Douglas.— Date a una persona sufficienti informazioni ed eviterà di fare illazioni.

— Esprimete spesso la vostra opinione?— Abbastanza spesso — rispose Douglas. — Dipende, ovviamente, se mi trovo in un paese ospitale o

in uno governato da un despota.Donald ghignò.— Robert mi ha detto che siete di Perth. Qual è la vostra famiglia? — chiese il patriarca stringendo gli

occhi.— Non è gente che potreste conoscere — rispose Douglas. — I miei sono morti di colera quando

avevo otto anni. Il resto della famiglia è sparso qua e là.— Eppure siete riuscito a sposare la figlia di un duca.— Un evento fortunato — disse Douglas ssando l’uomo negli occhi. Non aveva la minima

intenzione di raccontare a quel vecchio demonio come era nato quel matrimonio.Per lungo tempo Donald non disse più nulla, ma se quello doveva essere un esame, bene, che lo fosse.

Douglas era pronto. Aveva vissuto per mesi in un monastero dove la regola del silenzio venivarigorosamente osservata, e non aveva difficoltà ad affrontare il tiranno di Kilmarin.

— Siete arrogante come tutti i duchi — contestò alla fine Donald.— Davvero? — rispose Douglas sorridendo.— Non era un complimento, giovanotto.Per alcuni minuti Donald lo osservò attentamente.— Avete conosciuto mia figlia? — chiese alla fine.— Non ho avuto questa fortuna.— Mia nipote è felice?Douglas guardò l’altare, chiedendosi come rispondere a quella domanda. Sarah aveva tutto quanto

una donna potesse desiderare per essere felice, un magni co palazzo in cui vivere, cibo e vestiti.Qualcuno che l’amasse? Qualcuno da amare? Douglas si sarebbe volentieri offerto per quel ruolo se fossestato sicuro che lei lo desiderasse. La notte prima di sicuro l’aveva voluto, ma la passione muore all’albaper essere a volte sostituita dal rimorso.

Si era pentita di essersi data a lui?— Non lo so — mormorò alla fine. Forse la sua sincerità sarebbe stata scambiata per arroganza.Il vecchio si alzò in piedi.— Ho chiesto a Linda di mostrare a Sarah il castello di Kilmarin — lo informò. — Chiederò a Robert

di fare lo stesso con voi.— Non è necessario. Dubito che tornerò mai da queste parti.— Conoscete il gaelico, Douglas, o vi siete dimenticato di essere scozzese?— Non ho mai dimenticato di essere scozzese, Donald — disse calmo di fronte alla provocazione

dell’uomo più anziano. — Ce l’ho nel sangue. Ma per quanto riguarda il gaelico, probabilmente l’hodimenticato quasi del tutto.

— Allora eccovi una parola gaelica che dovreste conoscere. Sealbh. Vuol dire “fortuna”.“Provvidenza.” Ci sono cose che devono succedere. Altre no.

Douglas non poté evitare di chiedersi perché le parole del vecchio fossero risuonate come un monito.

Sarah avrebbe preferito passare un po’ di tempo a pensare alle rivelazioni di suo nonno, o almeno allesue supposizioni sui motivi per i quali Morna non era mai ritornata in Scozia. Sfortunatamente, suacugina era stata in essibile, insistendo nel farle fare il giro di tutto il castello di Kilmarin perché cosìaveva voluto suo nonno.

Ma dopo pochi minuti si trovò suo malgrado rapita nel vedere il luogo dove era cresciuta sua madre.Kilmarin era almeno quattro volte più grande di Chavensworth, un complesso di dieci edi ci tutti

collegati da portici. Il primo castello era stato costruito in cima a un colle circolare, poi altri edi ci eranostati eretti allargandosi a raggiera verso il ume Tay. Nel corso degli ultimi cent’anni, le mura delcomplesso più antico erano state ricostruite ed erano state aggiunte piazzole per dieci nuovi cannoni.

Linda la condusse su un’antica torre. La sala circolare era immersa nel buio rotto appena da sottilifasci di luce che entravano dalle strette feritoie verticali nelle mura spesse due metri. Una scala daigradini di pietra liscia e consunta dal passo di generazioni di Tulloch conduceva in cima alla torre.

— Saliamo? — la invitò Linda avvicinandosi alla scala.— Preferirei di no — rispose Sarah. — Non è importante che veda proprio tutto. Credo di avere visto

a sufficienza.Il volto di Linda si congelò in una maschera di disagio, ma non fece commenti.I Tulloch si cucivano i vestiti con la lana tosata dalle pecore che pascolavano sulle colline adiacenti a

Kilmarin e ottenevano la farina con cui facevano il pane macinando il grano coltivato nei loro campi.C’erano perfino delle segrete a Kilmarin, in cui Sarah si era rifiutata di andare.

All’inizio della visita, Sarah era riuscita a non mostrarsi sorpresa di fronte a tutte le meraviglie che lacasa di famiglia di sua madre custodiva, ma quando, a mezzogiorno, si sedettero per pranzare su unaterrazza che si affacciava sul fiume Tay, non poté più trattenersi.

— Come riuscite a far funzionare tutto questo?Per la prima volta, Linda sembrò un po’ meno sicura di se stessa. — Non sono io a occuparmene —

rispose. — Non ho nulla a che fare con Kilmarin. Non voglio avere nulla a che fare con Kilmarin.Forse era quello il motivo per cui, quando Sarah aveva spiegato come aveva fatto a eliminare i topi da

Chavensworth, Linda l’aveva zittita dicendole: “Meglio che queste cose le diciate al nonno”. E quando siera spinta a suggerirle come eliminare l’odore sgradevole dalle stanze dopo un temporale, Linda avevareagito allo stesso modo. Dopo di che Sarah aveva imparato a tenere la bocca chiusa.

Consumarono il pasto in silenzio. Alla ne, dopo avere contemplato a lungo il ume che scorrevasotto di loro, Linda la guardò.

— Grazie dei vostri consigli, cugina — le disse. — Sono sicura che siano ottimi, ma è il nonno chedecide tutto qui a Kilmarin. A noi non resta che ubbidire.

Sarah alzò una mano, come per annullare quanto aveva detto. — Scusatemi — disse. — Nonintendevo essere causa di disagio per nessuno con la mia visita.

Linda sorrise. — Ma non avete causato alcun disagio. È già da qualche mese che fra me e il nonno cisono dei problemi. Al contrario, la vostra presenza mi ha risparmiato per un paio di giorni le sueprediche.

Restarono sedute in silenzio per qualche secondo prima che Linda riprendesse a parlare. — È belloessere sposate?

Sarah guardò la cugina. Era una domanda così strana che non sapeva come rispondere. Ma Lindariprese quasi subito a parlare.

— Immagino che essere sposate con l’uomo che si ama sia la cosa più bella del mondo.Sarah era ancora più a corto di risposte, soprattutto dopo ciò che era successo la notte prima. Linda le

si avvicinò ancora di più e le sorrise.— Forse certe persone sono più fortunate di altre.La sua espressione non le sembrava per nulla sincera. E per quanto non avesse con denza con la

cugina, si arrischiò a farle una domanda personale.— Con chi vorreste sposarvi, Linda?La ragazza restò zitta qualche istante, poi, quando rispose, lo fece in un tono scostante. — Che

importanza ha, cugina? Succederà solo ciò che il nonno vuole che succeda.

Douglas si congedò da Donald Tulloch e, in attesa che arrivasse Robert, appro ttò della bella giornataper esplorare Kilmarin, che era forse meno elegante di Chavensworth ma ben si adattava alla terra asprasu cui era stata edificata.

Cominciò ad arrampicarsi, alla ricerca del punto più alto della zona, come tante volte aveva fatto dabambino per sfuggire alla desolazione del mondo che lo circondava.

Raggiunse la cima di una piccola collina, poco più di un dosso, e si guardò attorno.Era in Scozia, nella sua terra, la sua casa, dove da bambino aveva giocato, sognando di poter essere ciò

che non era, di non patire il freddo e la fame. Alla sua sinistra una la di colline grigie si apriva in unavalle coperta di erba verde. Alla sua destra, il fiume Tae scorreva nella luce scintillante del mattino.

Da bambino aveva tanto desiderato essere grande e forte per potersi difendere da solo. Avevacoronato tutti i suoi sogni, spingendosi ben oltre.

Era riuscito a provare amore. Amava. Un’emozione che gli pareva un miracolo. Non avendolo mai

ricevuto dai suoi genitori, non sapeva come accettarlo da altri. All’inizio, quando era ancora un ragazzocarico di rabbia e risentimento, aveva respinto la gentilezza di Alano. Solo molto più tardi aveva capitoche non tutti sentivano il bisogno di fare del male a chi non poteva difendersi solo per provare di esserepiù forti. Aveva cominciato allora a rispettare Alano e da quel rispetto era nata l’amicizia. E, attraversol’amicizia, aveva imparato ad amare.

Un’emozione capace di incutere paura, l’amore. Che lo spaventava più di qualsiasi altra cosa. Forsel’amore era in grado di trasformare uomini comuni in eroi.

Avrebbe fatto qualsiasi cosa per Sarah. Avrebbe scalato montagne e attraversato umi a nuoto.Avrebbe messo a nudo la sua anima e aspettato in silenzio, nudo e inerme, di subire il suo scherno.

Forse sarebbe potuto diventare più coraggioso di quanto non fosse, una persona capace di grandiimprese. Solo per amore.

Le avrebbe rivelato chi era stato, le avrebbe mostrato il ragazzo pieno di rabbia e determinazione el’uomo che traboccava di curiosità e passione.

Per Sarah e per quello che provava per lei.

Verso la ne della giornata, Sarah e sua cugina si ritrovarono a percorrere il corridoio che conducevaalle loro stanze quando, improvvisamente, Linda si fermò di fronte a una porta.

— Questa era la stanza di vostra madre da ragazza. Volete vederla?Sorpresa, Sarah si voltò verso la porta. Kilmarin era evidentemente così grande che potevano

permettersi il lusso di lasciare le stanze da letto inutilizzate. Annuì, e Linda si estrasse dal corsetto unmazzo di chiavi, ne scelse una e aprì la porta, poi fece un passo indietro.

Sarah entrò.Le tende erano chiuse, ma la luce del pomeriggio filtrava all’interno.Aveva sempre trovato molto bella la stanza di sua madre a Chavensworth, ma, in confronto a quella,

non era nulla. C’erano un grande letto a baldacchino decorato da intarsi d’avorio, pannelli rossi e unenorme armadio. Dall’altro lato della stanza c’erano uno scrittoio e un tavolino da toilette. Non c’eratraccia di polvere e nemmeno odore di chiuso, come se la stanza venisse regolarmente arieggiata e pulita.

Come se fosse pronta per il ritorno di sua madre.— Sapete tornare alla vostra stanza? — chiese Linda.Sarah annuì.— Allora vi lascio sola. — Le si avvicinò e le mise in mano una chiave. — Chiudete la porta quando

ve ne andrete via, al nonno non piace che altri entrino qui. Vuole che resti esattamente com’era il giornoin cui Morna è partita per l’Inghilterra.

— Come fosse un tempio — mormorò Sarah.Linda non rispose. Si voltò e lasciò la stanza, chiudendosi la porta alle spalle.Sarah restò a lungo immobile, chiedendosi cosa fosse il profumo che aleggiava nell’aria. Qualcosa che

odorava di rose, o forse di lillà. Qualcosa di meno intenso del profumo che sua madre aveva usato aChavensworth.

Lentamente, Sarah si avvicinò allo specchio. Sul ripiano c’erano diversi aconi di cristallo, alcuniancora contenenti tracce di profumo. Un lungo pettine d’argento era posato di anco a una spazzoladello stesso materiale e a una lampada a olio.

Aprì un cassetto e scoprì che era pieno di bottigliette e vasetti. In molti il contenuto si era seccato, altrierano vuoti, ma altri ancora erano pieni, come il contenitore del talco o un vasetto di pomata. Sua madreera scappata in Inghilterra senza nemmeno il tempo di prendersi i suoi effetti personali?

Non si sentiva come un’intrusa che curiosava nella vita privata di un’altra persona, anzi, era come se

sua madre approvasse. Ne sentiva quasi la presenza.Aveva di fronte la ragazza che non aveva mai conosciuto. Una giovane che evidentemente era stata

coccolata e trattata come una principessa. Era stato difficile lasciare Kilmarin e non tornarci mai più?Provò a pensare a cosa avrebbe provato lei se fosse stata costretta ad andarsene per sempre da

Chavensworth. Poteva anche succedere. Per il momento a suo padre andava bene che fosse lei adamministrare la proprietà, ma se si fosse risposato e fosse andato a vivere a Chavensworth con la nuovamoglie, lei come l’avrebbe presa?

Sarah si guardò allo specchio. Era la prima volta che prendeva in considerazione la possibilità dilasciare Chavensworth, ma non provò dolore. I suoi ricordi riguardavano solo le persone, non i luoghi. Iprimi ricordi di suo padre, prima che imparasse a evitarne la presenza. La gioia dei giorni passati con lamadre, la governante, le cameriere e i servitori che aveva imparato ad amare. Per quanto bella fosse,senza i suoi abitanti una casa non era che una struttura inanimata.

Cosa aveva provato sua madre per Kilmarin?Per tutti quegli anni aveva pensato di conoscerla, non come una madre, ma come un’amica, una

confidente. Ora, mentre si specchiava, Sarah capì che non aveva mai conosciuto la vera Morna Tulloch.Aprì un altro cassetto e trovò uno specchio con intarsi dorati e rose incise sul manico. Lo voltò e si

accorse che c’era scritto qualcosa, in una lingua che all’inizio pensò fosse gaelico, ma poi si accorse esserelatino.

Animadverto vestri, visum posterus. Poteva signi care sia che bisognava guardare la verità del futuro,oppure era un invito a guardare al futuro, non ne era sicura.

Lentamente girò di nuovo lo specchio e si guardò. Era la sua immagine che vedeva ri essa, ma allostesso tempo non lo sembrava.

Gli occhi che la ssavano erano pieni di dolore, ma non di quello che ancora provava, e avrebbe forsesempre provato, per sua madre. Era un’emozione viva, graffiante, fatta di rabbia, ri uto, tormento,perdita. Erano occhi che si aprivano su una sofferenza che non poteva nemmeno contemplare.

Posò lo specchio coprendolo con le mani, come per impedire all’immagine di raggiungerla.Se quell’angoscia era davvero il suo destino, allora non voleva conoscere il futuro.

25

A cena Douglas non si fece vedere.Quando Sarah chiese di lui, né Linda, né suo nonno seppero risponderle. Non c’era nemmeno Robert,

il che le fece pensare che i due fossero insieme.— Avete passato insieme l’intera giornata? — chiese suo nonno a Linda.Sua cugina annuì. — Sì, nonno.— Le hai mostrato tutta Kilmarin?Fu Sarah a rispondere. — Sì, me l’ha fatta vedere tutta. Sono sorpresa di non essermi consumata le

suole delle scarpe. Kilmarin è molto più grande di quanto sembri.— I Tulloch ci abitano da settecento anni — le ricordò Donald. — Ogni generazione ne ha aggiunto

una parte.Sarah represse un sorriso. Da quanto aveva visto, Donald era stato più che disposto a continuare

quella tradizione. C’erano ancora impalcature sull’esterno delle mura orientali e alcuni operai impegnatinella costruzione di un edificio a due piani.

— Ho trovato una cosa nella stanza di mia madre — disse.— Ho pensato che le avrebbe fatto piacere vedere la stanza di Morna — intervenne subito Linda,

quando Donald le rivolse uno sguardo severo.— Ed è stato così — confermò Sarah. — Grazie, cugina.— Cos’hai scoperto? — chiese il nonno.— Uno specchio. Sembra piuttosto antico e c’è incisa una frase in latino.Attese che uno dei due le spiegasse cosa significasse la frase, ma entrambi apparvero sorpresi.— Non ho mai visto nessuno specchio — disse Donald. — Forse qualcuno l’ha regalato a Morna, ma

di certo non io.Suo nonno non menzionò più sua madre e il resto della cena trascorse piacevolmente, come se non

avessero mai parlato nel giardino, come se non le avesse mai detto che poteva essere una bastarda.Alla fine Sarah prese congedo e ritornò nel suo appartamento, ma Douglas non era nemmeno lì.Dov’era nito? Si sedette sul bordo del letto. Se fossero stati a Chavensworth avrebbe pensato che era

nell’osservatorio, ma a Kilmarin non poteva avere la minima idea di dove cercarlo.Sentì l’acqua scorrere in bagno. Si alzò, andò dietro il paravento, aprì la porta e scoprì suo marito,

nudo.Due graffi gli marcavano una spalla. Era stata lei a farglieli?— Dove siete stato?C’era un grande specchio ovale dietro al lavabo. Douglas guardò la sua immagine riflessa.— Se io mi permettessi di entrare senza essere invitato nel bagno mentre ci siete voi, lady Sarah, credo

che avreste da ridire e mi ordinereste di uscire immediatamente.Lei si sentì avvampare. Aveva perfettamente ragione. Non avrebbe mai tollerato un simile

comportamento da suo marito. Si voltò per andarsene.— Perdonatemi — disse con la mano già sulla maniglia.— Non vi ho chiesto di uscire.Si sentì arrossire ancora di più.— Ho esplorato le terre di Kilmarin — disse Douglas. — Oltre all’intera tenuta. Mi è stato detto che

avete fatto lo stesso.Sarah annuì. — Solo il castello, non le terre.— E nemmeno le pecore, presumo.— Nemmeno le pecore.— E le vacche?Sarah scosse il capo. — No.— Vedo che la vostra educazione non è stata completa — disse Douglas.— Come mai non siete venuto a cena?— Non ho fatto in tempo.— Avete fame?Scosse il capo. — Siamo passati dalla cucina e siamo stati sfamati da un esercito di sguattere.— Oh? — Sarah inarcò le sopracciglia.— Tutte anziane e sdentate.— Non mi sembra di avere visto sguattere di quel tipo, ora che ci penso.— Sicuramente non sarete gelosa?Ma il fatto era innegabile. Lo era. E si sentiva una stupida.Le si avvicinò. — Che vi succede, Sarah? — Prese un asciugamano, se lo avvolse attorno ai anchi e

poi la prese per mano e la condusse in salotto, ma invece di sedersi di fronte a lei, le si sedette a anco,così vicino che poteva sentirne il calore del corpo. — Non siete contenta di essere venuta in Scozia?

— Non lo so — rispose Sarah. — Ho conosciuto nalmente mio nonno, ma so che, dopo che saremo

partiti, quasi sicuramente non lo vedrò mai più. Non mi piace trovare qualcuno solo per perderlo dinuovo.

Il suo sorriso la colse di sorpresa.— Ho detto qualcosa di buffo?— Avete solo descritto la vita, Sarah. Non c’è nulla che duri in eterno. Troviamo degli amici, poi li

perdiamo. Incontriamo degli amanti che poi si rivelano di passaggio. Crediamo di poter restare persempre giovani e forti, eppure il tempo non ci risparmia i suoi colpi.

— Mi sembra una realtà terribilmente crudele, signor Eston.Il suo sorriso si approfondì.— Per nulla, lady Sarah. È solo una lezione che ci insegna ad apprezzare ciò che abbiamo, quando lo

abbiamo. Ad amare come se non dovessimo poterlo fare mai più. A dividere ogni momento con unamico. A non dare mai per scontate la vita o la salute. Ad appro ttare di ogni momento della giornataper essere di buon umore, a vivere ogni avventura, a provare tutte le emozioni possibili.

Lo ascoltò in silenzio, poi distolse lo sguardo. — Credo che sia più facile nascondersi piuttosto chelasciarsi ferire ripetutamente — mormorò.

— Non ho mai detto che sia facile vivere il momento presente, Sarah. Ci vuole coraggio.— E io non sono così coraggiosa.— Invece io sono convinto che lo siate. — Le prese una mano e la studiò in silenzio. — Siete pentita di

ciò che abbiamo fatto la notte scorsa?Lo guardò sconcertata. — No.— Ne siete sicura?— Vi sembra così tremendo? — chiese Sarah con una voce che le parve debole e spaventata. Si schiarì

la gola. — Cosa c’è di sbagliato a volere un po’ di gioia e di piacere?— Si chiama vita, Sarah — le rispose con un sorriso, alzandosi. Mentre le porgeva la mano,

l’asciugamano si sciolse e cadde al suolo.“Mio Dio!”Che vista spettacolare, specialmente per il modo in cui la sua virilità sembrava crescere mentre la

guardava, come un gigante che si svegli e si stiracchi.Gli prese la mano che le porgeva, passando poi le dita sui graffi.— Sono stata io a farveli?Douglas guardò i segni e sorrise. — Sono più che disposto a lasciarmi ferire nell’arte dell’amore, Sarah.A quelle parole, Sarah si lasciò condurre a letto.

Sembrava indecisa se scappare o abbracciarlo. Gli si strinse contro, ansimante.— Vi sentite bene, Sarah?Annuì, i capelli che gli s oravano il petto nudo. Cercò di non tremare sentendo il suo respiro sulla

pelle.— Non vi ho fatto male la notte scorsa?Scosse il capo, ondeggiando i capelli.Douglas aveva caldo e respirava con difficoltà, come se la stanza fosse un forno. Voleva entrare in lei,

abbracciarla, riscaldarla. Voleva sentirla, percepire il suo profumo, accarezzare la pelle udirla, sentirlaansimare di piacere.

Voleva possederla, appoggiarsi le sue gambe sulle spalle e fondersi con lei.Si fermò vicino al letto e se la prese fra le braccia, non per baciarla, ma per spogliarla.Cominciò a sbottonarle il vestito nero.

— Perché portate un corsetto? — le chiese, in difficoltà con i lacci.— Vorreste forse che mi vestissi come una sgualdrina? — chiese lei, con voce affannata. — O forse lo

sono, non è così?Douglas alzò il capo. Gli occhi di lei brillavano alla luce delle candele, aveva i capelli scomposti, le

labbra arrossate e piegate in un sorriso. Non gli era mai parsa così bella. Era sua moglie ed era pronta afarsi possedere da lui.

— Se lo siete, allora io sono un... — esitò. — Qual è l’equivalente maschile di una sgualdrina? — lechiese.

— Un satiro — suggerì lei.Douglas non sapeva cosa fosse un satiro e si ripromise di scrivere la parola sul suo diario e andare a

cercarne il significato. Per il momento era troppo impegnato a slacciarle il corsetto.— Perché le donne indossano queste cose infernali?— Per sembrare più belle.La fissò, sbalordito. — State scherzando? Siete già perfetta così come siete.Sarah arrossì. Piegò il capo, s landosi prima una manica, poi l’altra. Quindi si tolse completamente il

vestito e il corsetto e li gettò sulla panca vicina al letto.Douglas le appoggiò le mani sui fianchi, sentendosi soffocare dall’eccitazione.— Conosco il vostro corpo a memoria — mormorò. — Lo sapete che penso a voi ogni momento,

Sarah? Che riesco a sentire le vostre forme con le mani anche quando non siete con me?Era rimasta in sottoveste. Douglas si rese conto che non l’aveva mai vista spogliarsi. L’aveva sempre

fatto dietro il paravento.— Certo che ce ne vuole per spogliarvi del tutto, Sarah — borbottò sorridendo.Sembrò che volesse rimproverarlo, invece sorrise.La sottoveste era così sottile che lui riusciva a vedere il seno premere contro il tessuto.— Possiamo spegnere la luce? — gli chiese dolcemente.L’oscurità gli avrebbe tolto il piacere di vederla, ma Douglas si avvicinò al comodino e soffiò sulla

lampada spegnendola, poi tornò da lei.Il fruscio del tessuto che cadeva al suolo gli fece capire che ora era nuda.Allungò le braccia e se la tirò contro il petto, tenendola stretta. Poi la prese in braccio, sollevandola

senza sforzo, e l’appoggiò sul letto, sdraiandosi al suo anco. Le prese i seni fra le mani e li strinse, poichinò il capo e li baciò.

— Avete un seno bellissimo, Sarah. Non ha solo una bella forma, ma anche è sensibile. — Le leccò uncapezzolo.

— Douglas — bisbigliò.— Mia cara Sarah. Mia adorata.La cullò fra le braccia, sussurrandole all’orecchio con voce tenera. Lei si voltò verso di lui, con il viso

appoggiato fra il collo e la spalla, il fiato caldo, il cuore che pulsava all’impazzata.— Oh, Douglas.La esplorò con le dita, cercando i punti che la facevano sospirare. Sarah continuò a mormorare il suo

nome mentre lui l’accarezzava e la baciava, restituendole il piacere.Le loro labbra si incontrarono e in quel bacio non c’era solo tutta la tenerezza che Douglas sentiva per

lei, ma anche passione.Lentamente, dolcemente, entrò in lei e in quell’istante, nel suo calore umido, trovò in ne la dimora

che aveva sempre cercato.— Sarah — mormorò e il suo nome divenne una benedizione e il modo di esprimere l’inesprimibile.

26

Partire da Kilmarin fu molto più difficile di quanto Sarah si fosse immaginata.Abbracciò suo nonno, che accettò l’abbraccio in silenzio. Quando lei si staccò, Donald allungò un

braccio per accarezzarle una mano e Sarah si sorprese nel sentire il suo tremito.— So che non ci rivedremo mai più — le disse. — Ma dirò a tua madre che ti sei comportata bene.Senza concederle il tempo di rispondere, si rivolse a Douglas.— Dovrete tornare in Scozia — gli disse. — E riportare mia nipote nella sua vera casa.Si scambiarono uno sguardo e nalmente Donald annuì, soddisfatto di ciò che aveva visto. Si voltò e

senza dire un’altra parola ritornò all’interno del castello, lasciando Sarah e Douglas di fronte alla portieradella carrozza.

Douglas sorrise, l’aiutò a salire facendola sedere di anco a Florie. La cameriera sbadigliò coprendosila bocca con la mano guantata, poi sorrise.

Prima che la carrozza partisse, la portiera si aprì di nuovo e Linda guardò dentro. Avevaun’espressione felice e gli occhi pieni di lacrime. Allungò una mano per toccare Sarah.

— Non so come ci siate riuscita, cugina, ma grazie. Grazie.— Per cosa? — chiese Sarah confusa.— Il nonno ha detto che posso sposare Brendan, dopo essersi ri utato per mesi. Mesi! — Il suo

sorriso era incerto, ma pieno di gioia. — Grazie.Sarah le strinse la mano rimpiangendo di non avere conosciuto prima quella versione di sua cugina.— Vi auguro di essere felice — disse di slancio, sapendo che molto probabilmente non si sarebbero

mai più riviste.Linda la sorprese di nuovo, in lando una mano nella borsa e porgendole lo specchio che aveva

trovato nella stanza di sua madre.— Il nonno vuole che lo teniate voi, visto che l’avete trovato. Un ricordo di vostra madre affinché non

vi dimentichiate di Kilmarin.Sorrise di nuovo e si ritrasse, chiudendo la portiera.Douglas le prese lo specchio dalle mani.— È vecchio e rovinato — disse Sarah, stringendosi nelle spalle, attenta a non guardare la propria

immagine. Non era sicura di quello che aveva visto, ma non voleva vederlo di nuovo.— Ma lo terrete lo stesso, perché era di vostra madre — disse Douglas.Sarah diede un’ultima occhiata a Kilmarin mentre la carrozza partiva, poi abbassò lo sguardo.

Douglas le passò un fazzoletto.Lei gli sorrise, mentre una lacrima le rigava una guancia. L’espressione di Douglas era di tenerezza e

un po’ troppo intima per essere condivisa con Florie, ma con grande senso della discrezione la camerierastava tenendo lo sguardo ostinatamente rivolto verso il finestrino, come affascinata dal panorama.

Douglas approfittò della circostanza per chinarsi in avanti e baciare Sarah sulla fronte.

Il viaggio di ritorno a Chavensworth fu rapido e senza intoppi. Si fermarono alla stessa locandadell’andata, ma c’era una sola stanza libera, che venne occupata da Sarah e Florie. Prima di ritirarsi,Sarah aveva messo in mano a Douglas la sua bottiglietta di profumo, dandogli uno sguardo il cui ricordolo riscaldò per tutta la notte.

Quando giunsero in vista di Chavensworth, Douglas sospirò di sollievo. Anche i cavalli sembravanocontenti di essere giunti a destinazione. Accelerarono il passo, come se Tim non potesse tenerli a freno.

Si fermarono di fronte al palazzo. Douglas scese per primo, poi aiutò Sarah e Florie. omas stava già

andando loro incontro seguito da due valletti.— Fate portare i nostri bauli all’appartamento ducale — ordinò, prima di rivolgersi a Sarah. — Vado

con Tim alle scuderie. Voglio controllare anche come va con i diamanti.Sarah gli accarezzò il bavero con la mano guantata, celandosi il viso dietro l’ala del cappellino.Douglas allungò un braccio e le accarezzò una guancia. Lei piegò il capo all’indietro e gli sorrise, come

se sapesse esattamente cosa stava pensando.— A dopo — gli disse. — Cercate di non fare tardi.Aveva anche lei tanta voglia di stare insieme a lui?— Se non dovessi assolutamente veri care la situazione dei diamanti — mormorò a voce così bassa

che né Thomas né Florie poterono sentire — vi accompagnerei subito nel nostro appartamento.Sarah arrossì e Douglas si chinò in avanti e la baciò, ignorando del tutto la presenza della servitù.

Anche Sarah doveva avere deciso di infischiarsene delle apparenze perché gli appoggiò le mani sulle spallee si alzò in punta di piedi per baciarlo meglio.

Alla fine Douglas si tirò indietro, sorridendo. Sarah si sollevò l’orlo della gonna, si girò e salì i gradini.Douglas restò con lo sguardo incollato alla sua schiena.Una volta di fronte alla porta, Sarah si voltò e gli sorrise, come per fargli capire che era consapevole

del suo sguardo.Douglas montò di nuovo in carrozza e, una volta giunto alle scuderie, lasciò Tim e andò a piedi

all’osservatorio. Alano era stato molto attivo durante la sua assenza.Il locale era pulito e immacolato, senza un solo granello di polvere. C’erano mensole ovunque, tutte

coperte da teli di seta su cui erano posati lamenti sotto i quali stavano formandosi granuli trasparenti elucidi, di varie dimensioni, alcuni poco più grandi di granelli di sabbia, che brillavano sotto i raggi delsole al tramonto.

Soddisfatto del risultato, Douglas uscì a ispezionare la costruzione della fornace in cui sarebbero staticotti i diamanti. Sentì un rumore alle sue spalle, convinto che fosse Alano, invece si trovò di fronteSimons, il maggiordomo del duca di Herridge.

— Simons — disse. — Cosa diavolo ci fate qui?— Sua Grazia è molto preoccupata, signore. È passato molto tempo senza che voi vi faceste vivo. Non

avete nemmeno prodotto diamanti. Il duca ha mantenuto la sua parte dell’accordo, signor Eston, e siaspetta che voi manteniate la vostra, al più presto.

— Ci sono stati alcuni imprevisti nel frattempo, Simons, o il duca si è già dimenticato della morte disua moglie?

Simons sembrò imbarazzato.— Ho sentito che siete stato in Scozia. Anche questo è uno degli imprevisti di cui parlate?— Sua Grazia deve avere pazienza, Simons.Il maggiordomo sorrise. — La pazienza non è una delle qualità di Sua Grazia. Dovete collaborare,

signor Eston, ve ne prego.— Se non lo faccessi?— Il duca di Herridge non è una persona da sottovalutare, signor Eston. È capace di tutto.— Non ho paura di quello che il duca può farmi, Simons.— Ma non avete nemmeno paura di quello che potrebbe fare a lady Sarah?Douglas si bloccò. — Cosa intendete dire?— Siete stato lontano dall’Inghilterra troppo tempo, signor Eston. Avete sentito parlare delle nuove

leggi sul matrimonio?Douglas scosse il capo.

— Quello che il duca ha creato, il duca può distruggerlo con altrettanta facilità. Se non manterrete lavostra promessa di fornire i diamanti in tempi brevissimi, Sua Grazia farà annullare il matrimonio.

— State scherzando! — esclamò Douglas, anche se era n troppo evidente che Simons era serio. —Non ci vuole il consenso di lady Sarah per farlo?

Simons lo guardò con compatimento. — Pensate che si ri uterebbe di ubbidire agli ordini di suopadre?

Sfortunatamente, Douglas non era del tutto sicuro dei sentimenti di Sarah. Un conto era la passione,ma sarebbe bastata a tenerla unita a lui? Era abbastanza per farle voltare le spalle al suo passato, alla suaeducazione?

— Dovrà provare che siete un adultero, signor Eston, ma, credetemi, ci saranno abbastanza donnepronte a farsi avanti per confessare in lacrime come le avete sedotte.

— Sarebbe disposto a fare una cosa simile? Un divorzio rovinerebbe la reputazione di Sarah.Simons sorrise ancora. — Voi pensate che al duca importi qualcosa, signor Eston? Sarah aveva un

dovere solo: sposare un uomo ricco. E ha fallito.— Dite al duca che avrà i suoi diamanti in meno di una settimana.Simons si inchinò rispettosamente.— Spero, signor Eston, che nulla ostacolerà la consegna dei diamanti. Come vi ho detto, Sua Grazia

non è una persona paziente.Simons si allontanò in silenzio.Douglas aprì i pugni e guardò la fornace. Era una struttura a forma di piramide, larga alla base e

affusolata al vertice triangolare. Doveva produrre un calore pari a quello della fucina in cui un fabbrofondeva il ferro. Aveva passato mesi a fare esperimenti per determinare quale fosse l’esatta temperaturaper fissare i diamanti.

Non aveva mentito al duca di Herridge riguardo alla possibilità di produrre diamanti più grandi, manon aveva valutato correttamente la sua impazienza: esigeva dei risultati immediati e non sembrava iltipo d’uomo disposto ad ascoltare spiegazioni razionali sull’argomento.

Per quanto riguardava l’altro punto, Herridge era davvero in grado di costringere Sarah a divorziareda lui?

Douglas era entrato nella tana del leone, convinto che non fosse più pericoloso di un gatto selvatico.Sfortunatamente, invece, il duca di Herridge si era rivelato un vero leone. Se Douglas si fosse fattodivorare, avrebbe potuto biasimare solo se stesso per non avere valutato a sufficienza quanto spietatipotessero essere i nobili.

— Ehi — la voce di Alano alle sue spalle lo colse di sorpresa. — Com’è andato il viaggio in Scozia?Douglas si voltò.— Kilmarin è un autentico spettacolo — rispose. — Peccato che non sei venuto con noi.— Ho fatto la mia parte di scoperte stando qui — disse Alano sedendosi su una pila di mattoni vicino

alla fornace. — Quella donna, la signora Williams, è un bel tipo. Mi ignora come se fossi fatto di pietra.— Non credo che la cosa ti abbia fatto piacere — commentò Douglas. — Considerando la tua

reputazione riguardo alle donne...— Devo solo convincerla un altro po’ ed è fatta.— Non vorrei che finissi per sedurre tutte le cameriere di Chavensworth.— Non mi interessano le cameriere, ma solo quell’insopportabile donna — bofonchiò Alano

aggrottando le sopracciglia.Douglas resistette all’impulso di sorridere. Conosceva n troppo bene cosa signi cava trovarsi alla

mercé di un’unica donna. Le donne potevano sembrare indifese, ma avevano le loro armi. Uno sguardo

di esitazione, un sorriso incerto. E le lacrime. Dio, Douglas era pronto ad affrontare qualsiasi cosa, manon le lacrime di una donna.

— Forse potresti informare la signora Williams che siamo tornati — disse Douglas, dando ad Alanoun pretesto per vedere la governante. — Dille che ci prepari la cena.

Alano guardò verso ovest, dove il sole stava per tramontare, poi si alzò.— Buona idea. — Scrutò Douglas con attenzione. — Cos’è che ti ha fatto infuriare tanto?Douglas scosse il capo, decidendo che non era il caso di raccontargli delle minacce del duca di

Herridge. — Devo far visita al mio avvocato — disse. — Credo di essermi cacciato in un guaio.Alano non disse nulla per un po’. — C’è qualcosa che posso fare?— No, Alano, grazie. Ma sei sempre stato un vero amico e te ne sono grato.Alano sorrise ma il suo sguardo era preoccupato. — Mi farai sapere se avrai bisogno d’aiuto?Douglas annuì, poi guardò verso l’osservatorio. — Vedo che hai fatto un sacco di lavoro. Grazie a te

avremo presto centinaia di diamanti per il duca di Herridge.Al solo pensiero del duca la bocca di Alano si contorse in una smor a, ma in un attimo il sorriso

riapparve. C’era da scommettere che stava pregustando l’imminente incontro con la signora Williams.Douglas lo seguì con lo sguardo mentre percorreva schiettando e con le mani in tasca il sentiero

verso Chavensworth.Rientrò nell’osservatorio e si dedicò a versare acqua sui piccoli diamanti che crescevano. Un’ora più

tardi chiuse il locale e ritornò al palazzo.C’era la luna e Douglas si sentiva a suo agio quando camminava nella notte, ancora più che con la

luce del giorno. Strano. Da bambino, la notte non era mai stata sua amica. Notte voleva dire freddo,fame e paura.

Non era più un bambino, ma un uomo che si era fatto da solo. Aveva imparato a pensare a qualcosache andava più in là della semplice sopravvivenza. Aveva imparato a valutare l’imponderabilitàdell’esistenza.

Qual era il significato della vita?Non conosceva la risposta, ma aveva più esperienza rispetto a un tempo.Cosa voleva dalla vita?Essere importante per qualcuno. Incidere il suo nome sulla pietra del tempo in modo che, cent’anni

più tardi, un viandante si chiedesse a chi fosse appartenuto quel nome. A provare e amare tutto quantoc’era da provare e da amare.

27

Sarah si alzò e andò a guardarsi allo specchio. Sembrava un’ombra. Camicia da notte nera, vestaglia nera,capelli neri. Il viso, la gola e la scollatura erano bianchi, cosa che le faceva risaltare le labbra più del solito.Lentamente si tolse le forcine dai capelli, senza smettere di specchiarsi. Della donna che era stata no aun mese prima non c’era più traccia. Eppure sicamente era la stessa, a essere cambiato era solo losguardo. C’era dolore, ma anche qualcos’altro, qualcosa che non c’era prima del viaggio in Scozia.

Il tempo curava le ferite. Lo dicevano tutti. Così come dicevano che bisognava ricordare le cose belle enon soffermarsi a pensare alla morte. Non avrebbe voluto continuare a vivere per il resto dei suoi giornicon quella ferita nel cuore, ma temeva che sarebbe rimasta con lei per sempre.

Ma anche Douglas.Si sedette e cominciò a spazzolarsi i capelli. Alla ne li spinse indietro, in modo da farli ricadere sulle

spalle. Era troppo giovane per pensare a come sedurre il marito?

Si rialzò e ssò la porta, s dandosi a varcarla e percorrere la breve distanza che la separavadall’appartamento ducale e dal marito.

Doveva essere diventata molto coraggiosa perché dopo un attimo aprì la porta senza esitazione.

Douglas si tolse gli stivali, poi la camicia e in ne i pantaloni e la biancheria, poi entrò in bagno a piedinudi. L’appartamento era molto più lussuoso di quello di Kilmarin. Era sorpreso di quanto velocementesi fosse abituato al lusso.

Si guardò allo specchio. Sembrava un operaio, con il viso sporco. Si lavò con acqua gelida, poi siasciugò.

Uscì dal bagno e trovò Sarah in piedi che lo aspettava.Per un lunghissimo momento lo guardò con gli occhi spalancati.Lui distolse lo sguardo, per mitigare l’effetto che i suoi occhi gli facevano. Si avvicinò al letto. La

cameriera aveva tolto il copriletto e ripiegato le lenzuola.— Come va con i diamanti? Tutto bene?— Tutto bene — rispose sedendosi sul letto e cingendosi i fianchi con il lenzuolo.— Questo cos’è? — chiese Sarah, prendendo il taccuino che aveva lasciato sul tavolo.Douglas si bloccò, cercando di evitare di balzarle vicino e strapparglielo dalle mani. Prima o poi lo

avrebbe scoperto comunque. Meglio ora, quando il loro matrimonio rischiava di dissolversi.Gli sorrise con aria interrogativa, ma Douglas non disse nulla. Nemmeno quando lo aprì e cominciò a

leggerlo. All’inizio aggrottò la fronte, ma poi lo guardò, come a chiedere conferma.— Cos’è, Douglas? — chiese ancora.Lui alzò lo sguardo verso il soffitto e respirò a fondo più volte, come per guadagnare tempo.— Ci scrivo sopra le cose che imparo. Per non dimenticarle.— È così importante sapere come rivolgersi a una duchessa?— So molto poco del mondo dell’aristocrazia.Sarah non disse nulla, in attesa che si spiegasse meglio.— Quando sono nato non possedevo nulla — proseguì lui. — Non avevo una casa come

Chavensworth, e di Kilmarin avevo solo sentito parlare come se fosse un posto da favola. È solo meritomio se sono diventato quello che sono. E sono ero di esserci riuscito, ma non sono di nobili originicome voi. Non sono un Tulloch di Kilmarin, né il figlio di un duca. Sono semplicemente Douglas Eston.

Sarah non disse nulla. Invece si sedette e si guardò le mani, come sorpresa di trovarle attaccate aipolsi.

— Chavensworth non è mai stata mia — disse. — È stata solo il mio onere, forse la mia responsabilità.Ma non posso riceverla in eredità perché sono una donna. L’ho sempre saputo.

— Ma siete sempre stata una Herridge di Chavensworth. Siete cresciuta sapendo che tutto quello chevi circondava apparteneva a una famiglia le cui radici risalivano a seicento anni prima. Avevate un titoloche non potete perdere, neanche sposandovi.

Sarah lo guardò, ma lui non le diede il tempo di parlare.— Quando vi ho detto che ho avuto un’infanzia felice, vi ho mentito. Non è vero, sono rimasto

orfano a otto anni. Ho rubato e mendicato per mangiare. Da ragazzo avevo sempre fame, ma non solo dicibo, anche di conoscenza e di qualcosa di meglio di quanto avevo. — Sorrise. — Volete sapere come hoconosciuto Alano? Stavo cercando di derubarlo. — Abbassò gli occhi. — Alano decise di salvarmi a tuttii costi. — Riportò lo sguardo su di lei. — E lo ha fatto. Mi ha insegnato a leggere e mi ha comprato deilibri. Non ne avevo mai abbastanza. Per me leggere era diventato come il whisky per un ubriacone. —Alzò di nuovo gli occhi al soffitto. — Pensate che non ho l’accento scozzese? Avreste dovuto sentirmi

allora. Nessuno capiva una parola di quanto dicevo. È stato Alano a insegnarmi le regole della buonacreanza, a parlare decentemente, a vestirmi come si deve.

Incrociò le braccia e si appoggiò con le spalle alla testiera del letto. — Prima ho imparato lo spagnolo,da Alano, poi il francese, quindi altre lingue.

— Perché mi raccontate queste cose? Pensate che mi disgustino?Lui sorrise. — Non è una storia disgustosa. Ma è la prova che un uomo può diventare ciò che vuole.

A un certo punto ho deciso che volevo qualcosa di più dalla vita che essere un ragazzo di strada chepuzzava di salmone. All’inizio mi sono dato al gioco, scoprendo che avevo un’inaspettata fortuna. Laprima volta che ho perso tutto ho imparato che potevo fallire anch’io come chiunque altro. Così hosmesso e ho cominciato a comprare cose in una città e a venderle in un’altra, diventando un venditoreambulante che si portava appresso le merci su un carro. Ho imparato cosa si vendeva di più e cosa meno.Ho scoperto che ero affascinato da tutto quanto c’era di strano e che ero più adatto a fare il mercante chel’avventuriero.

Fece una pausa, come per cercare le parole.— Ma ora c’è una cosa che voglio dirvi, Sarah.Lo guardò con i suoi grandi occhi grigioverdi.— Mi hanno informato che c’è una nuova legge matrimoniale secondo la quale è possibile annullare

un matrimonio.— È dunque questo che volete, Douglas? — chiese Sarah a voce bassa.Qualcuno bussò alla porta, impedendogli di rispondere.Sarah si alzò, andò ad aprire e restò immobile mentre due cameriere e un valletto portavano la cena.

Li congedò non appena ebbero finito di apparecchiare la tavola, poi si volse lentamente verso di lui.— Allora tutto ciò che è successo in Scozia non era che una finzione? Non provate nulla per me?Possibile che non avesse idea di quanto fosse affascinante in quel momento, vestita di nero? Certo, il

nero era il colore del lutto, ma anche della notte, del peccato, dei segreti sussurrati dagli amanti, deigemiti appassionati.

— Che domanda assurda — disse, abbassando le lenzuola e rivelando la sua erezione.— Ma non volete rimanere sposato con me.Non erano i suoi desideri a essere importanti, ma quelli di Sarah, ma, prima che potesse parlare, la sua

regina della notte, la sua incantatrice, abbandonò di corsa l’appartamento senza dire una sola parola.

Come seduttrice era stata un fallimento. Un fallimento così tragico che quando arrivò in camera suaera in lacrime.

Chiuse la porta e vi si appoggiò contro.Cercò disperatamente di pensare ad altro, senza riuscirci.Si era coperta di vergogna. Come aveva potuto pensare di sedurlo quando lui stava già cercando il

modo di annullare il matrimonio?Dio mio, e adesso? Cosa poteva fare?

Douglas pensò di averla ferita, ma forse era meglio così. Aveva imparato una lezione. Avrebbe dovutoprima di tutto dirle no in fondo cosa provava per lei. Lady Sarah poteva piegarsi al volere di suo padre etrovarsi priva di un marito senza rimetterci molto in termini di dignità. Possibile che un divorzio potesserovinarla socialmente? Ne dubitava. Dopo tutto era la glia di un duca e la società era stata creata pergente come lei.

Probabilmente non avrebbe nemmeno sentito la sua mancanza.

Si era rifugiata nelle sue braccia e l’aveva accolto dentro di lei, ma poteva essere solo il gesto di unadonna che sapeva quali erano i suoi doveri coniugali.

Aveva pianto di fronte a lui stringendolo come se temesse di perderlo, ma poteva essere solo il gesto diuna donna sconvolta dal dolore.

Quel matrimonio era stato un regalo della provvidenza. Si ricordò di quella volta sul Nilo quando perpoco non era stato travolto dall’inondazione. O il morso di quel ragno nella savana africana. O diquando era andato vicino a perdere due dita per il freddo sulle Alpi. A quando era stato assalito ederubato dai pirati nei Caraibi. Come premio di consolazione per tutte quelle sventure aveva ricevuto unregalo prezioso, la glia di un duca, una ragazza dagli occhi color della nebbia e altrettanto misteriosa.Era di una bellezza straordinaria, ma non era donna da farsi controllare da nessuno. Non avrebbeacconsentito facilmente a farsi dare in regalo a qualcuno. Doveva essere conquistata.

Si era vestita apposta per sedurlo e lui l’aveva ferita nel suo orgoglio.Doveva essere davvero un idiota.

— Aprite, Sarah.Restò in piedi di fronte alla porta. Dalla voce doveva essere arrabbiato.— Sarah.— Credo che faremmo entrambi meglio ad andare a letto — rispose.— Sono perfettamente d’accordo con voi. Aprite.Aprì la porta di scatto, ma le parole che stava per pronunciare le morirono in gola quando lo vide.

Indossava solo una camicia, per di più sbottonata, e nient’altro.— Entrate — disse, spalancando la porta. — In fretta, prima che qualcuno vi veda.— Mi sono messo la camicia — disse, cominciando a sorridere.— Sì, ma il vostro didietro è visibile, Douglas, per non parlare delle...— Altre parti?Sarah inarcò le sopracciglia, ma non bastò a farlo smettere di sorridere.Si coprì meglio con la vestaglia, poi si voltò e andò verso il lato opposto della stanza. La porta della

terrazza era aperta e uscì, aspettandosi che la raggiungesse. Ma lui non lo fece.Alla ne ritornò nella stanza per scoprire che si era tolto la camicia e stava in piedi nudo come una

delle statue del giardino greco.Era davvero affascinante, con quel corpo perfetto, caldo, vivo e abbronzato in posti in cui non sarebbe

dovuto esserlo.— Douglas, dovreste cominciare a coprirvi un po’ più spesso.— Davvero?Le concesse di guardarlo per diversi secondi, durante i quali la sua unica reazione fu il sorriso che

cresceva sempre più. E non era l’unica cosa a crescere.— Venite qui, Sarah — disse gentilmente.Scosse il capo. Si sentiva più al sicuro dall’altro lato della stanza.Fu Douglas ad andarle incontro. Sarah pensò che avrebbe fatto meglio a ritornare sulla terrazza e

chiudere la portafinestra. Ma lui era così bello e lei era come ipnotizzata dalla sua virilità.— Come potete avere creduto che voglia sciogliere il nostro matrimonio?Lei lo guardò. — Ho pensato che non voleste più congiungervi con me. Che quello che è successo in

Scozia non si sarebbe ripetuto a Chavensworth.— Dove diavolo avete preso un’idea del genere? Vi voglio in ogni ora del giorno, Sarah.I suoi occhi si spalancarono, ma non rispose.

— Volete che vi mostri cos’ho imparato nella mia vita da avventuriero?— Da tutte le vostre donne? — chiese lei stringendo gli occhi.— Dai luoghi di piacere — rispose. — Dai libri e dai disegni.Una donna più saggia lo avrebbe bloccato semplicemente alzando una mano, o lasciando la stanza.

Ma una donna più saggia avrebbe dovuto essere cieca per non essere affascinata dalla vista di Douglasnudo.

Si voltò di nuovo, cercando di respirare a fondo.Lui le andò vicino, alle sue spalle, così vicino che poteva sentire il membro contro la rotondità delle

natiche. Le circondò la vita con un braccio e se la tirò contro, come se volesse impalarla.Douglas piegò la testa e le bisbigliò all’orecchio. — Posso procurarvi un piacere indicibile con la bocca,

lady Sarah.Rabbrividì.— Volete che vi mostri come?— Lo avete già fatto.— Non mi riferivo al vostro splendido seno — mormorò stro nandole con un pollice il capezzolo

oltre la stoffa leggera della camicia da notte.— Douglas.— Non c’è niente di male, Sarah. La passione non è proibita.Sospirò. Non sarebbe mai stata in grado di spiegarsi. Anche se non fosse stato proibito, non sarebbe

comunque riuscita a impedirselo. Averlo vicino era come una magia. Si sentì rabbrividire in tutto ilcorpo.

Si voltò, gli prese la testa fra le mani e la tirò verso di sé per farsi baciare.Quando lui si staccò, era senza ato e felice di vedere che anche Douglas era nelle stesse condizioni.

Andò verso il letto lasciando cadere la vestaglia sul pavimento. Non sarebbe mai riuscita a sentirsi liberadi andare in giro nuda come faceva lui. Non ne aveva il coraggio. Quella sera, con la luce della lampadache illuminava la stanza, sarebbe dovuta essere molto sfrontata.

Si prese l’orlo della camicia da notte con le mani e se la sfilò dalla testa.Douglas non disse una parola, ma il suo sguardo la percorse dalla testa ai piedi. Sarah eresse le spalle,

tenne le mani appoggiate alle cosce, poi, senza dire una parola, si voltò e salì sul letto.In un attimo Douglas fu di fianco a lei.Sarah rise, sentendo l’eccitazione correrle nel sangue.Si rotolarono sulle lenzuola, abbracciati e disperatamente caldi, accarezzandosi, stringendosi,

graffiandosi delicatamente. Lui si chinò su di lei.Fu lei a baciarlo come mai lo aveva baciato prima, più a fondo, assaggiando il sapore delle labbra,

carezzandogli le guance.Aveva la pelle calda e Sarah era pazza di lui.Gli prese in mano il membro pulsante stringendolo contro i palmi. Le piaceva la sensazione di

morbidezza e durezza allo stesso tempo. Gli infilò le dita fra i peli alla base e gli strinse lo scroto.Douglas cercò più volte di penetrarla, ma lei glielo impedì. Invece appoggiò le mani sul letto e inarcò

la schiena, esponendosi a lui, al suo sguardo e alle sue mani. La toccò dappertutto, scendendo là, fra lepieghe del suo sesso, infilando le dita nella sua umidità.

Gli prese ancora in mano il membro, la cui punta si era inumidita per lei, e quando gli passò sopra ledita, lui si lasciò sfuggire un gemito. Poi le si offrì come in un sacrificio pagano e lei lo accettò.

Era suo.Non l’avrebbe lasciata. Non poteva. Aveva appena perso sua madre e forse la sua stessa identità. Non

poteva perdere anche lui.Improvvisamente si trovò sdraiata sulla schiena e lui fu sopra di lei, con le ginocchia all’altezza delle

cosce. Lei aprì le gambe, in un invito, e lui le sorrise.Gli mise una mano su una guance e l’altra sul collo, tirandoselo contro per baciarlo.Lo desiderava a tal punto che provava dolore, un bisogno che poteva essere soddisfatto solo da lui. Lo

voleva dentro.— Douglas — sospirò, con una voce troppo esigente, troppo dura.Improvvisamente fu dentro di lei, spegnendo ogni suo pensiero a parte la sensazione di come si

muoveva. Lo tenne forte per le cosce, adattandosi al suo ritmo. Lui le prese un polso, poi l’altrotenendola stretta.

Continuò a entrare e uscire, sempre più in fretta, spingendo contro il materasso come se volesseseppellirvela, scatenandole dentro un’ondata di desiderio e di piacere che la travolse. Un attimo, o forseuna vita più tardi lo vide piegare la testa all’indietro, a occhi chiusi, con i muscoli della gola contratti.Aveva un viso bellissimo, che prima si irrigidì, poi si rilassò nel piacere.

Come aveva fatto a vivere senza passione no a quel momento? Come aveva fatto a vivere senza dilui?

28

Aveva piovuto per tutta la notte. Di tanto in tanto Sarah si era svegliata al suono delle gocce sulle foglie esi era rannicchiata contro Douglas. Più di una volta si era ritrovata con la mano di lui sul anco, che lastringeva come se volesse esercitare il suo possesso anche nel sonno.

Ma quando si era svegliata al mattino, ancora una volta Douglas non c’era.Suonò il campanello per chiamare Florie, prese dall’armadio il vestito che voleva indossare e cominciò

a pettinarsi. Ci mise meno del solito a vestirsi perché si ri utò risolutamente di guardarsi allo specchio.Non voleva vedere i cerchi scuri attorno agli occhi arrossati che l’avrebbero fatta sembrare ancora piùpallida del solito.

Solo alla fine si concesse un’occhiata e scoprì che la sua immagine era quella di una sconosciuta.Non aveva gli occhi rossi, né occhiaie, ma guance rosa e le labbra, be’, le labbra erano un po’ gon e,

una bocca che era stata baciata. Il colorito non era malsano e i capelli, sapientemente acconciati daFlorie, le stavano benissimo.

Che strano. La passione l’aveva resa più bella.Si mise un grembiule pulito che Florie, come ogni giorno, le aveva portato, prese il diario e cominciò

l’ispezione della residenza.Mentre si dirigeva verso l’ufficio del signor Beecher, ripassò i punti che doveva discutere. Fu allora che

si ricordò che l’ultima volta che l’aveva fatto era stato prima della morte di sua madre.Erano già passate due settimane. Due settimane, e in tutto quel tempo, Chavensworth aveva

continuato a esistere anche senza di lei. Ora nessuno sembrava essersi accorto che era tornata dallaScozia. Eppure tutto era in ordine a Chavensworth, tutto era pulito e funzionava perfettamente.

Bussò alla porta di Jeremy Beecher ed entrò sorridendo.Jeremy era già in piedi, con un libro mastro pronto da mostrarle.— Buongiorno, lady Sarah. Com’è andato il viaggio in Scozia?— È stato interessante — rispose, sperando che bastasse a chiudere il discorso sull’argomento Scozia.

Posò il diario sulla scrivania e prese il libro mastro con entrambe le mani.— Ho fatto l’inventario trimestrale — disse il signor Beecher. — E, come vedrete, lo ha fatto anche la

signora Williams. Ho anche ricevuto il bilancio della fattoria.— Avete fatto tutto questo mentre ero in Scozia? — chiese stupefatta.— Certo, lady Sarah. Con l’aiuto del mio assistente.— Il vostro assistente?L’amministratore annuì. — Ho promosso uno dei valletti, lady Sarah. Un ragazzo sveglio, con la testa

sulle spalle. Se la cava bene anche a far di conto e sa leggere meglio degli altri.Mentre lei assimilava quella sorprendente notizia, Beecher continuò. — È stata una decisione del

signor Eston, lady Sarah, e devo ammettere che all’inizio avevo dei dubbi. Ma si è rivelata un’ottimascelta.

— Davvero?— Il signor Eston mi ha detto molto chiaramente che ognuno di noi doveva essere responsabile del

suo settore, e di chiedere a voi solo quando c’erano problemi seri.— Ha fatto questo?Il signor Beecher annuì.— Posso dirvi, lady Sarah, che godere della vostra ducia ha avuto un effetto salutare. Reintrodurre il

premio Henley è stato un atto molto generoso da parte vostra.— Davvero?Oh, cielo, doveva continuare a rispondere con interlocuzioni banali per tutto il resto della

conversazione?— Il signor Eston mi ha detto che il premio verrà assegnato di nuovo — continuò, con solo una lieve

increspatura delle sopracciglia a segnare la sua espressione beata.— Ma naturalmente — approvò Sarah.Sorridendo, si riprese il taccuino e fece un passo indietro.— Grazie, signor Beecher. Se avrò domande da farvi vi manderò a chiamare.— Certo, lady Sarah — disse l’amministratore inchinandosi.Sarah uscì dall’ufficio e, invece che ripercorrere la strada che aveva fatto all’andata, scese nel portico

che portava al giardino.Prima di ammalarsi, sua madre passava spesso lì il pomeriggio, a prendersi cura delle rose che amava

tanto. Poteva ancora sentirne la voce. “Devi sempre prenderti cura di chi ha bisogno di aiuto, mia cara. Iforti devono proteggere i deboli.”

Chi aveva protetto Morna? E a chi si riferiva? Si era considerata forte? Tanto forte da ignorare lafamiglia che ne invocava il ritorno?

Molte cose che Sarah aveva ritenuto vere lo erano solo se viste da una certa angolazione. Se faceva unpasso indietro, o le guardava da un altro punto di vista, appariva un’immagine diversa. Il ricordo dellamadre, l’idea che senza di lei Chavensworth sarebbe nita in rovina, per no la sua idea di matrimonio,di come ci si dovesse comportare, tutte queste cose erano cambiate nel giro di due settimane. Era come sele sue fondamenta fossero vacillate e lei non potesse più essere certa di nulla.

Attraversò il giardino stringendosi al petto il diario. Le persone non erano sempre come sembravano.Sua madre, tanto per fare un esempio. Sarah non avrebbe mai pensato che avesse potuto concepire una

glia al di fuori del matrimonio. Anche se non era una cosa così fuori dall’ordinario, non le sembravapossibile che una donna sempre così perfetta potesse comportarsi in quel modo. Eppure in Scozia avevaimparato che non conosceva sua madre bene come aveva creduto.

Improvvisamente si rese conto che non c’era nulla che dovesse fare davvero. Non aveva incombenzeda sbrigare, né appuntamenti. Per la prima volta era libera di fare quello che voleva. Anche di questodoveva ringraziare Douglas.

Uscì dal giardino e si diresse verso il luogo che preferiva in tutta Chavensworth: la quercia sulla cimadella collina, a cui collegava i primi ricordi di sua madre. Aveva passato innumerevoli pomeriggi sedutacon la schiena appoggiata al tronco dell’albero ad ascoltare sua madre leggerle Ivanhoe o qualcun altrodei libri che amava di più.

Quando era cresciuta, seguiva sua madre mentre si prendeva cura dell’amministrazione diChavensworth, parlando delle varie cose da fare. Raramente avevano parlato del passato di Morna o delfuturo di Sarah.

Che segreti era riuscita a nascondere?Non l’avrebbe mai saputo.Sarah si sedette sull’erba, aprì il diario, prese la matita dalla borsa e cominciò a scrivere.Quando ebbe finito, appoggiò la schiena alla quercia e pensò a Douglas.Com’era vissuto da bambino, a Perth? Che tempra aveva avuto per riuscire ad andarsene dalla sua

città e a cambiare in tale misura? Si era aspettato che Sarah l’avrebbe respinto, una volta scoperta laverità? Al contrario, lo ammirava ancora di più.

Suo padre ne sarebbe rimasto sconvolto e disgustato.Com’era strano che non avesse pensato a suo padre fino a quel momento! Anche se era stata sua l’idea

di darla in sposa a Douglas, non sarebbe stato felice di scoprire che la sua unica glia era sposata con unorfano cresciuto facendo il mendicante e rubando. Il duca di Herridge era davvero suo padre?

C’era una sola persona a Chavensworth a cui poteva raccontare la storia di Morna e Michael, ma noa quel momento non lo aveva fatto. Una sola persona disposta ad ascoltarla e a darle un consiglio seglielo avesse chiesto. Comunque, doveva ringraziarlo per averle messo a disposizione il denaro per ilpremio Henley.

Sorridendo, si alzò e andò alla ricerca di suo marito.

Era un bel mattino di sole, senza una nuvola nel cielo. Nulla poteva interferire con il processo diproduzione dei diamanti.

Douglas si voltò per aggiungere altra legna nella fornace quando scorse Sarah che si avvicinava.— Buongiorno — disse, conficcando nel terreno la punta del badile e appoggiandosi al manico.Lei lo guardò negli occhi, poi sorrise, suscitandogli un lampo di desiderio che gli si concentrò nel

ventre. Lei lo guardò dalla testa ai piedi. Il fatto che si fosse tolto la camicia non gli era sembratoparticolarmente importante al momento, ma lo era ora. Era convenientemente vestito solo a metà.

— Abbiamo dei servitori, signor Eston — gli ricordò lei, con voce controllata, tradita solo da unbagliore di eccitazione negli occhi.

— Non in questo caso — ribatté Douglas. — Non permetterei a nessuno di avvicinarsi ai mieidiamanti.

Sarah fissò lo sguardo sul suo petto nudo.— Non potete farvi aiutare da Alano?— Ho l’aria di un uomo che ha bisogno di aiuto? — Riuscì a stento a resistere alla tentazione di

flettere i bicipiti.— Pensavo che potesse farvi comodo — ribatté Sarah senza distogliere lo sguardo. Stava cominciando

a metterlo duramente alla prova.— Date pure la colpa alla signora Williams.Se non altro si decise ad alzare gli occhi e a guardarlo in viso. — Cosa c’entra la signora Williams? —

chiese, confusa.— Credo che Alano se ne sia innamorato — rispose Douglas. — Almeno, così mi è sembrato dopo

averli visti insieme stamattina.— Innamorato della signora Williams?— Perché, avete qualcosa in contrario? — Non poteva essere per alterigia; non aveva mai pensato che

Sarah fosse altera anche se era glia del duca di Herridge, un uomo che attribuiva grande importanzaalla propria posizione sociale. Inoltre lei aveva appreso delle sue umili origini senza battere ciglio. —Alano è un brav’uomo.

— Ne sono convinta. Ma la signora Williams non è certo nel fiore della gioventù.Douglas cominciò a capire e sorrise. — Ma non è ancora morta, Sarah. Ha diritto anche lei a provare

amore e passione. E così Alano. O pensate che certe emozioni spariscano con l’età?Lo guardò a occhi spalancati, come se non ci avesse mai pensato prima.Douglas lasciò andare il badile e le si avvicinò.— La passione non scompare con l’età, Sarah. Potrà attenuarsi un po’, ma resta.— Davvero?— Davvero — disse, prendendola per un braccio e avviandosi con lei verso l’osservatorio. — La

passione ha un’altra componente molto interessante. Continua a rinnovarsi.— Ne siete sicuro?— Assolutamente sì. Prima che arrivaste stavo pensando alla notte scorsa. Ora mi sono convinto che i

ricordi non bastano.— No?Si rese conto che doveva possederla. Subito. Se non lo avesse fatto sarebbe andato in pezzi.Una volta giunti sulla soglia, lei lo ssò, con occhi vispi e attenti, come se fosse sul punto di fare una

grande scoperta.— Oh, Douglas, è lo stesso per me — confessò con voce vellutata.Douglas esitò solo un attimo. La mente lo invitava a trattenersi, a moderarsi, ma la volontà del corpo

si stava manifestando con una vampata di calore incontenibile.— Venite e ve lo dimostrerò — disse trascinandola nell’oscurità dell’osservatorio.

Era un suono strano, come uno sgocciolio. Sarah posò il palmo di una mano sul petto di Douglas cheaveva smesso di baciarla e si stava guardando in giro.

Si scambiarono un’occhiata.— Cos’è? — chiese lei.Improvvisamente poté sentire il silenzio, come se l’assenza di suoni le avesse creato uno spazio cavo

attorno. Guardò verso la porta socchiusa. Improvvisamente furono investiti da una vampata di ariacalda.

L’aria si era oscurata. Le pareti esterne furono tempestate da una raffica di frammenti di mattoni,come se grandinasse.

Douglas imprecò e la strattonò via, portandola verso il centro dell’edi cio, ma l’esplosione non eral’unico pericolo. Una palla di fuoco avanzò sull’erba scagliandosi verso la porta. Douglas si arrampicò suuno scaffale, tolse il telo che copriva il soffitto e cominciò ad aprirlo. La carrucola doveva essere stataunta da poco perché si aprì subito.

Allungò la mano per aiutarla a salire. — Andiamo, Sarah.In un lampo lei capì. Erano in grave pericolo e dovevano scappare dall’osservatorio.Ma non sarebbe mai riuscita a passare dall’apertura con la gonna gon ata dalle stecche. Allungò una

mano, si sollevò la sottana e staccò le stecche a una a una, poi lo raggiunse.Douglas abbassò le mani intrecciandole, come per fare un gradino, e lei gli posò sopra il piede destro,

aggrappandosi con le mani alle sue spalle. Il lucernario non era grande, ci si passava appena.— Non me ne vado se non mi promettete che verrete anche voi.— Potete starne certa.Mise fuori la testa. Il fuoco stava avanzando sul prato da ovest, ma potevano ancora fuggire dal retro.Un attimo dopo Douglas la sollevò ancora di più. Sarah si spinse con le braccia e uscì sul tetto.Le tegole erano ruvide e le graffiarono le mani, ma la scaletta di ferro era una benedizione. Scese

finché fu possibile, poi si lasciò cadere sull’erba.Douglas la imitò e lei lo abbracciò baciandolo sulle labbra.La prese per un braccio e la condusse via di corsa, lontano dalle fiamme.

29

Douglas la teneva in braccio mentre la portava in casa attraverso due ali di servitori che si erano assiepatiall’ingresso.

— Sta bene — sussurrò a omas. Passò di anco alla signora Williams e al signor Beecher e fece uncenno alla cuoca. — Potete mandare qualcosa nell’appartamento ducale? Un po’ di frutta e del tè?

La cuoca annuì e sparì oltre la folla di servitori. Douglas si portò sul retro del palazzo.Due uomini erano fermi ai due lati della porta. Appena lo videro, si affrettarono a spalancarla.Una volta all’interno, mise Sarah in piedi e l’abbracciò.— Siete sicura di stare bene?Gli appoggiò una mano sul petto nudo.— Sì — mormorò. — Credo di sì. Credo anche che non sarò mai più in grado di guardare in faccia

qualcuno.Fece un passo indietro e le sollevò il mento con le dita.— Sì che ci riuscirete. Siete lady Sarah Eston.— Non mi sono mai fatta vedere seminuda di fronte al personale prima d’ora. Mai.— Andiamo, non siete nuda, vi siete solo tolta la gonna e tutto l’apparato di stecche che la sosteneva,

ma non la sottogonna, né il corsetto. — La baciò sulle labbra, poi si avviarono insieme lungo le scale.Il duca di Herridge non sarebbe stato molto felice di sentire dell’esplosione.Douglas trovava assurdo dormire nel letto di quell’uomo arrogante e presuntuoso, verso il quale

provava solo disprezzo. Non trovava in lui una sola qualità che gli venisse voglia di emulare e,soprattutto, detestava il modo in cui trattava sua glia, come se non fosse altro che un oggetto. Si erasbarazzato di lei senza pensarci due volte, in cambio della promessa di ricevere i suoi diamanti.

Se fossero stati sposati da qualche mese, invece che da poche settimane, forse Douglas avrebbe avuto ilcoraggio di spiegare esattamente a Sarah cosa suo padre avesse in serbo per lei. Ma c’erano già statisufficienti traumi nella vita della moglie negli ultimi tempi. Non era il momento di rivelarle no a chepunto poteva spingersi la perfidia del duca.

Le settimane passate avevano solo rinforzato il sentimento che aveva provato per lei n dal primomomento. Voleva proteggerla, difenderla. Darle più piacere di quanto volesse riceverne. Avrebbe volutoparlarle, raccontarle i suoi sogni, spiegarle no in fondo cosa voleva dire essere Douglas Eston di Perth,Scozia. Voleva condividere con lei emozioni e pensieri che non aveva mai confessato a nessuno,nemmeno ad Alano.

Se fosse partito subito, sarebbe potuto arrivare a Londra nel giro di due ore, per parlare con il suoavvocato e farsi spiegare no a che punto era fondata la minaccia del duca di Herridge di sciogliere ilmatrimonio. Doveva esserci un modo di ritirarsi dal contratto che aveva sottoscritto con lui. In n dei

conti non c’era stato pagamento di alcun tipo. Gli aveva solo concesso la mano di sua figlia.

Il punto migliore per vedere l’osservatorio era dalla nestra dell’appartamento ducale. Sarah si trovavasulla terrazza, a guardare i valletti che bagnavano l’erba nella zona in cui sorgeva il forno. Il fuoco erastato spento e Douglas era sul posto e stava dando istruzioni ai lavoranti su cosa fare di ciò che restavadell’impianto. Alano e pochi altri stavano raccogliendo le forme di diamanti dall’osservatorio, mentrealtri si prendevano cura dei vasi e delle fiale.

C’era qualcosa di recuperabile?L’esplosione avrebbe potuto uccidere entrambi. Se Douglas non fosse entrato con lei nell’osservatorio,

si sarebbe trovato proprio nel punto dove era avvenuta l’esplosione.

Douglas andò nelle scuderie e ordinò che fosse preparata la carrozza.— Sarò felice di condurvi dove volete, signore — disse Tim alle sue spalle.Douglas si voltò. — Pensavo di andare a Londra, Tim, e tornare qui prima di notte.Tim annuì. — Come preferite, signore. Volete partire subito?Douglas si guardò attorno e vide due ragazzi che ridevano in un angolo. Fece cenno a uno di loro e

gli affidò una commissione da sbrigare. Poi si rivolse a Tim.— Sarò pronto a partire tra un quarto d’ora.Ci mise meno di un quarto d’ora. Alano entrò nella scuderia dieci minuti dopo con una borsa da

viaggio in mano e la giacca di Douglas sotto il braccio.— Una volta dovevo sempre ricordarti di vestirti in modo adeguato alle situazioni. Ora non ce n’è più

bisogno. — Porse la giacca a Douglas con un sorriso. — Se vai a Londra ti accompagno.— Non ce n’è bisogno, Alano.— Sì, invece — ribatté l’amico. — Non resterò qui a uggiolare davanti alla sua porta come un

cagnolino in amore.Douglas inarcò un sopracciglio, ma non fece commenti. Non aveva mai visto il suo amico ridotto in

quello stato per una donna. Forse c’era qualcosa nell’aria di Chavensworth che faceva quell’effetto agliuomini. Ma era più incline a credere che sia lui che l’amico avessero scoperto le due uniche donne almondo capaci di ridurli in uno stato comatoso solo a guardarle.

— In tal caso sarò felice della tua compagnia.Alano ordinò che la seconda carrozza, quella con cui era arrivato da Londra, li seguisse. Il cocchiere

sembrò entusiasta di ritornare in città.Douglas fece un segno a Tim, poi salì a bordo della prima carrozza seguito da Alano. Era passata

meno di un’ora da quando aveva preso la decisione ed era già in viaggio per Londra.

Sarah entrò nella stanza della madre. Le nestre erano coperte da pesanti tendaggi color vino e lei nonle aprì.

Lentamente andò alla scrivania che Morna aveva usato no a quando la sua malattia non eradivenuta troppo grave. Si sedette e aprì il cassetto frontale. Ricordava la prima volta che la madre le avevamostrato il comparto segreto.

“Cosa c’è lì dentro?”.“I gioielli della mamma, tesoro.”Per quanto piccola fosse all’epoca, Sarah sapeva che sua madre non teneva lì i gioielli, ma in un

cofanetto in fondo all’armadio, eppure non aveva fatto commenti. Una brava bambina non discute ciòche le dicono i genitori.

Sarah svuotò completamente il cassetto, poi con le unghie sollevò il nto fondo. Nel compartimentosegreto c’erano delle lettere legate da un nastro giallo.

Sciolse il nastro e prese le lettere fra le dita. Stava violando i segreti di sua madre e non ne aveva ildiritto.

Osservò con attenzione la gra a sulle buste. Grande e decisa, probabilmente di una mano maschile. Sele avesse aperte, avrebbe letto parole che non erano state indirizzate a lei. Forse erano parole formali diconoscenti o amici. O forse erano parole d’amore, di devozione. Di dolore.

Non poteva passare il resto della sua vita senza sapere.Rimise a posto il falso fondo del cassetto e tornò in camera sua con le lettere. Una volta arrivata, si

sedette sulla poltrona vicino alla finestra e attese, come per darsi un’ultima possibilità di ravvedimento.Poi si decise. Cominciò con la lettera più vecchia, tanto consunta che era facile capire come fosse stata

letta e riletta infinite volte. Portava la data di cinque anni prima:

Amore mio

Il termine così intimo le fece spalancare gli occhi, ma si sforzò di continuare.

Perdonami se ti scrivo, ma tuo padre mi ha detto la verità che aveva tenuto nascosto per tutti questi anni. Perdonamiper aver creduto che tu potessi amare un altro.

Non ho nessun diritto di far parte della tua vita, ora, ma voglio che tu sappia che resterai per sempre nella mia. Non tiho mai dimenticata, amore mio, e non passa giorno senza che io preghi che tu stia bene e sia felice.

Non c’era firma. La seconda lettera era firmata solo con una M.

Dici che è sbagliato, che non possiamo amarci. Io dico: come facciamo a non farlo? Con le parole? Con le azioni? Cosapossono farci di peggio di quanto non abbiano già fatto, obbligandoci a sposare altre persone?

La terza lettera – erano tredici in tutto – era di tre pagine e parlava della sua vita, dei suoi gli, diquanto la donna che aveva chiamato “amore mio” gli mancasse. Alla ne rmava con il suo nomecompleto: “Michael”.

Saltò le altre lettere, esitando solo di fronte all’ultima. Alla ne si arrese e l’aprì. Era di pochi mesiprima:

Non ti scriverò più, amore mio, né mai più ti rivedrò, temo.Ho il cuore stanco e di recente sono stato causa di grave preoccupazione per la mia famiglia. Questa lettera verrà

spedita da mio glio maggiore e spero che ti raggiunga in fretta. Ma forse il mio spirito ti farà visita nel tuo castelloinglese prima che tu la riceva.

Ti amerò e ti aspetterò per tutta l’eternità.

Le si riempirono gli occhi di lacrime.Morna Tulloch si era ritrovata incinta proprio quando il suo amante era stato convinto a sposarsi con

l’inganno. Per proteggere la creatura che portava in grembo, aveva accettato di sposare un duca ingleseche voleva a tutti i costi avere un erede, rifacendosi una vita lontano dalla Scozia.

Forse sua madre non aveva mai detto a Michael di aver avuto una glia da lui, tenendolo segreto atutti. Però a sua figlia aveva indicato il suo nascondiglio segreto. L’aveva fatto apposta, volendo che lei un

giorno scoprisse la verità? Cos’aveva causato la strana malattia e la morte di sua madre: forse il dolore perla fine di Michael?

Si alzò, si avvicinò al caminetto e si inginocchiò per accendere il fuoco, poi gettò le lettere fra lefiamme proteggendo per sempre i segreti della madre.

Douglas uscì piuttosto rincuorato dall’ufficio del suo legale. Il duca di Herridge non avrebbe potutosciogliere il matrimonio senza il suo consenso. Anche se avesse voluto farlo Sarah, avrebbe prima dovutoprovare che lui aveva commesso veramente un adulterio, oltre ad altri gravi azioni, nel qual caso Douglasnon sarebbe certo stato a guardare senza reagire.

Aveva ancora tempo per corteggiare e conquistare sua moglie.Sfortunatamente gli restava ancora un’incombenza da sbrigare.Fece fermare la carrozza di fronte alla casa del duca di Herridge, scese e andò a bussare alla porta.Simons aprì. Aveva sulle labbra un sorrisetto così irritante che fece desiderare a Douglas di

cancellarglielo a suon di pugni.— È in casa il duca?— Cosa devo riferire a Sua Grazia quando mi chiederà qual è lo scopo della vostra visita? — chiese

Simons per tutta risposta.— Ditegli che devo parlargli della sua impazienza.— Dubito che Sua Grazia sia molto interessato all’argomento. Credo piuttosto che vorrà vedere i

risultati del vostro lavoro. Confido che abbiate con voi i diamanti, signor Eston.— Dov’è?Simons chinò il capo, poi girò sui tacchi e fece strada, conducendo Douglas in biblioteca. Una volta

davanti alla porta, bussò con discrezione, aspettò un attimo, poi girò la maniglia e aprì la porta. Quindi sifece da parte e annunciò Douglas.

Il duca non si alzò. Non si curò nemmeno di alzare lo sguardo dalle carte che stava rmando. Soloquando Douglas fu di fronte alla scrivania si degnò di sollevare gli occhi e posare la penna.

— Avevate detto che non ci avreste messo molto a ottenere dei risultati, Eston.— Ho detto che ci sarebbero volute settimane, Vostra Grazia, non giorni. E le minacce non serviranno

ad accelerare il processo.— Minacce?— Di far annullare il mio matrimonio.Il duca sorrise. — Mi chiedevo appunto se avrebbe funzionato. Siete abbastanza invaghito di mia

figlia, non è così?Il duca di Herridge era una di quelle persone spregevoli che, una volta identi cato un punto debole,

usavano l’informazione come un’arma. Douglas decise che non gli avrebbe detto nulla, soprattuttoriguardo a Sarah.

— C’è stata un’esplosione a Chavensworth — disse.Herridge si appoggiò all’indietro sulla sedia e lo fissò, senza più sorridere.— Tutti i diamanti che stavo producendo sono stati distrutti nell’incendio — proseguì Douglas.L’espressione del duca non cambiò.— Dovrete aspettare più di quanto avevo inizialmente previsto — concluse Douglas.— Qual è stata la causa dell’esplosione? — domandò Herridge. — C’è stato un errore nei vostri

calcoli?— Non c’è stato nessun errore. Forse abbiamo costruito il forno troppo in fretta. Forse ho cercato di

produrre troppi diamanti tutti insieme.

— Potete evitare che un simile incidente si ripeta in futuro?Douglas si accigliò. Il duca di Herridge aveva ripreso a sorridere, il che non era un buon segno.

Qualsiasi cosa facesse piacere a quel furfante doveva essere una pessima notizia per chiunque altro.— Credo di sì — rispose, cauto.— E allora dovrete dimostrarmelo — disse Herridge.Allungò una mano, prese un campanello di ottone dall’angolo della scrivania e lo scosse facendolo

suonare.Simons aprì la porta così in fretta che Douglas capì che doveva essere rimasto fuori ad aspettare tutto

il tempo.— Conducete il signor Eston al terzo piano — ordinò. — Assicuratevi che la sua stanza sia pronta e

che abbia tutto quanto gli serve per la produzione dei diamanti.— Non ho nessuna intenzione di restare qui, Herridge — disse Douglas.— Ma ci resterete lo stesso, signor Eston.Simons si fece da parte. Due energumeni che avevano più l’aria dei pugili che dei servitori entrarono

nella stanza. Ognuno afferrò un braccio di Douglas che, per quanto si dimenasse, non riuscì a liberarsi.— Vogliate scusarmi se mi trovo obbligato a ricorrere a questi mezzi — disse Herridge — ma ho

davvero bisogno dei diamanti, signor Eston. — Si rivolse di nuovo a Simons. — Pensateci voi —continuò, poi aprì un cassetto e ne prese una pistola che porse al maggiordomo. — Se vi dovesse dareproblemi, sparategli.

Simons prese l’arma senza dire una parola e la puntò verso Douglas mentre i due servitori lotrascinavano fuori.

Sarah decise di vestirsi in modo semplice. Gonna nera e camicetta di pizzo e taffetà, orecchini e unaspilla.

Anche se non aveva visto Douglas per tutto il giorno, aveva ordinato alla cuoca di preparargli tutti ivari piatti che aveva capito gli piacevano e due diverse qualità di vino.

Sfortunatamente solo all’ora di cena Sarah scoprì che Douglas era partito da Chavensworth molte oreprima e non era ancora tornato.

Fissò la signora Williams sperando che non si accorgesse di quanto era sconcertata.— È partito?— Da quanto ho capito, aveva cose urgenti da sbrigare a Londra.— Chi ve l’ha detto? — chiese, sempre con ammirevole calma.— Il sovrintendente delle scuderie — rispose la signora Williams.Sarah riuscì a consumare la cena e infine a complimentarsi con la cuoca e i suoi aiutanti.— Grazie per la splendida cena — disse, rivolta a tutti e tre. — Mi spiace soltanto di essere stata la sola

a poterla apprezzare.Era stata umiliata. Aveva fatto lavorare tutto il personale della cucina per ore per poi spiluccare

appena un po’.— Fate distribuire tutto al personale.— Ne terremo un po’ da parte per il signor Eston quando tornerà — commentò la cuoca, con un

sorriso.Possibile che ai loro occhi Douglas non avesse mai colpe? Bastava un suo sorriso e tutte le cameriere

erano felici. Se poi si spingeva a fare una battuta, andavano in estasi. Avevano cucinato apposta per lui enon si era presentato. E, per tutta reazione, gli mettevano il cibo da parte e aspettavano ansiose che sidegnasse di ritornare.

Douglas non arrivò nemmeno nelle ore successive e Sarah ritornò nella sua stanza solo per trovareFlorie seduta sulla panca in fondo al letto, visibilmente stanca.

— Andate a letto, Florie — la invitò. — Non mi serve altro per stasera.— Lasciate almeno che vi aiuti a svestirvi.Una volta che si fu tolta il vestito, Sarah congedò de nitivamente Florie. — Mi sembra che siate voi

ad avere più bisogno di riposo — disse.Sarah andò in terrazza e restò a guardare il cielo buio. Una brezza leggera venne dai campi,

accarezzandola con un profumo di lavanda e rose.“Mi hanno informato che c’è una nuova legge secondo la quale è possibile annullare un matrimonio.”Mio Dio, era quello il motivo per cui era andato a Londra? Sicuramente no. Non dopo averla tenuta

stretta per ore. Non dopo quello che era successo la notte prima. O anche quello stesso mattino, quandol’aveva portata in braccio fino a Chavensworth, trattandola come fosse un gioiello prezioso.

Andò alla scrivania, prese il diario e cominciò a scrivere, mettendo in ogni parola tutta l’angoscia e losmarrimento che provava. Quando ebbe nito, posò la penna e scoppiò a piangere, dicendosi che quellelacrime erano per la madre.

30

Il mattino successivo, Sarah rimandò Florie nella sua stanza con la raccomandazione di prenderselacomoda e riposarsi no a quando non si fosse ripresa dalla stanchezza del viaggio in Scozia. L’aspettosciupato e s nito della cameriera la preoccupava tanto che, se non avesse dato segni di miglioramento nelgiro di qualche giorno, Sarah avrebbe insistito affinché si facesse visitare dal medico.

Poi andò alla ricerca di Alano, scoprendo che era sparito anche lui. Non era nella sua stanza né stavalavorando a ripulire l’osservatorio. Una delle sguattere si offrì di chiedere informazioni alla signoraWilliams, ma un attimo dopo distolse imbarazzata lo sguardo.

Dal giorno del suo matrimonio, Chavensworth non era più stata la stessa. C’erano stati molticambiamenti, la maggior parte dei quali positivi, anzi, sarebbero dovuti avvenire molto tempo prima.Altri, invece, erano piuttosto strani.

Sarah uscì nell’orto e, invece di trovare la signora Williams intenta a prendersi cura delle piante, lavide seduta su una panca che si teneva il viso fra i palmi delle mani.

Si fermò, sconcertata. Non aveva mai visto la signora Williams piangere. Non sapeva se continuare perla sua strada ignorandola o ritornare indietro. Ma il bisogno di parlare con Alano ebbe la meglio sulladiscrezione, così le si avvicinò fermandosi di fronte a lei.

— Signora Williams, va tutto bene?La donna alzò il viso e subito prese un fazzoletto dalla tasca del grembiule. Si asciugò gli occhi e il

naso annuendo, senza mai guardare Sarah. Nel giro di pochi minuti si era ricomposta.— Sto bene, lady Sarah — disse alzandosi e guardandola. — Avete bisogno di me?— Cosa c’è che non va, signora Williams? Spero che non stiate ancora soffrendo per la scomparsa di

mia madre.La signora Williams si passò di nuovo il fazzoletto sugli occhi e ignorò la domanda. — Cosa posso

fare per voi, lady Sarah?— Sapreste dirmi dove trovare il signor McDonough? Una delle sguattere mi ha suggerito di chiedere

a voi.Le statue del giardino non avrebbero potuto essere più impassibili della signora Williams.— È ritornato a Londra.

— Con il signor Eston?— Questo non lo so, lady Sarah. Tutto quello che so è che il signor McDonough non è più un ospite

di Chavensworth.La signora Williams doveva sentire molto la sua mancanza: Sarah ne era quasi certa.— Ho il suo indirizzo di Londra — disse la signora Williams — nel caso desideriate scrivergli.— Sì, per favore, datemelo — accettò Sarah, senza chiedere come la governante potesse essere entrata

in possesso di quell’informazione. Sospettava che se lo avesse fatto, sarebbe andata incontro solo a duepossibili reazioni: un’occhiata gelida o altre lacrime. Nessuna delle due prospettive era di suo gradimento.

— Ve lo porto subito.Sarah annuì e lasciò l’orto. Cosa avrebbe dovuto fare a quel punto? Convincersi che Douglas non se

n’era andato per sempre? Ignorare la sua assenza? Non mostrare curiosità alcuna? Restare in pazienteattesa del suo ritorno? Se almeno avesse saputo dov’era andato, sarebbe stato un po’ più facile.

Una folata di vento scosse i rami degli alberi. Sarah si strinse nello scialle, proteggendosi dal freddoimprovviso.

Una volta giunta sulla soglia dell’appartamento ducale, esitò, poi proseguì fino alla sua stanza.Si spogliò completamente, forse in segno di s da, forse per rievocare il ricordo di suo marito. Era

appena mezzogiorno, ma Sarah chiuse le tende e s’in lò nel letto. Sentiva ancora l’odore di Douglas.Come avrebbe voluto che lui fosse lì!

Douglas non si sarebbe mai rassegnato a produrre diamanti per l’uomo che lo teneva prigioniero, maaveva dato lo stesso a Simons una lista dei materiali e delle attrezzature che gli servivano. Ilmaggiordomo gli fece qualche domanda su come e dove procurarsi alcuni dei prodotti elencati.

— Arrangiatevi — fu l’unica risposta di Douglas.— Vedete, signor Eston, abbiamo preso la precauzione di rinchiudere il vostro cocchiere in un luogo

sicuro — lo informò Simons. — Non vorrei proprio che gli capitasse qualcosa di male.— Avete così disperatamente bisogno di questo lavoro, Simons?— Prego?— Non è davvero necessario diventare una creatura infame per essere un buon servitore. Non vi

rimorde mai la coscienza?Simons ignorò la domanda. — Dove posso trovare questi materiali, signor Eston?Lui glielo disse e Simons uscì chiudendo la porta a chiave.Douglas non aveva mentito al duca, aveva capito quale doveva essere stata la causa dell’esplosione.

C’erano solo due soluzioni per evitare il ripetersi dell’incidente: produrre diamanti più piccoli, o crearneuno alla volta.

Aprì la nestra e guardò fuori, ma non c’era un cornicione su cui tentare la fuga, solo tre piani divuoto. Guardò in alto. Il tetto era troppo inclinato per aggrapparsi alle grondaie e issarsi. Doveva trovareun’altra via d’uscita.

La porta era massiccia, ssata a robusti cardini e chiusa con un pesante catenaccio. Non aveva ilminimo dubbio che uno dei due scimmioni del duca montasse di guardia all’esterno, senz’altro armato.L’unica soluzione sarebbe stata cogliere l’uomo di sorpresa e metterlo fuori combattimento. Ma per farlodoveva prima raggiungerlo.

Doveva andarsene da lì subito. Il desiderio per Sarah lo dilaniava e non era disposto a permettere alduca di Herridge di controllare la sua vita, tanto meno di tenerlo lontano da sua moglie.

C’era una sola possibilità e più ci pensava più gli appariva allettante. Doveva solo aspettare il ritorno diSimons.

Erano ormai passati due giorni da quando Douglas se n’era andato. Sarah cercò di dedicarsi alle sueattività nel modo più normale possibile, ma si trovò presto senza nulla da fare. Provò ad aggiornare ildiario, ma si scoprì immancabilmente a fissare nel vuoto e pensare al marito.

Per due volte cercò di scrivere ad Alano all’indirizzo che la signora Williams le aveva fornito, maentrambe le volte nì per stracciare la lettera quando si rese conto che rivelava troppo di sé e dei suoisentimenti.

A ogni ora che passava, si convinceva sempre più che doveva fare qualcosa. Non poteva continuare angere che non fosse successo nulla, a pretendere che la vita a Chavensworth scorresse ancora serena

come quando era in vita sua madre.Nessuno menzionò Douglas. Nessuno fece commenti sulla sua assenza. Forse pensavano che l’avesse

abbandonata? Sospettava di sì dalle occhiate compassionevoli che le rivolgevano.La sera del secondo giorno scrisse una terza lettera ad Alano. Al diavolo il pudore, doveva sapere

dov’era Douglas. Sempre che Alano ne fosse a conoscenza. Finì la lettera, la chiuse e l’appoggiò alcalamaio. Il mattino dopo l’avrebbe fatta recapitare ad Alano da un valletto con l’ordine di non ritornaresenza una risposta.

Da quando Douglas se n’era andato, non era più riuscita a dormire bene. Quella notte non si sarebbecoricata fino a quando non fosse crollata dalla stanchezza, a costo di restare in piedi fino all’alba.

In quel momento bussarono alla porta. Aprì e si trovò di fronte Florie.— Vi sentite meglio? — le chiese.Florie ignorò la domanda. — Lady Sarah — disse. — Avrei preferito non disturbarvi, ma comincio a

preoccuparmi. Non avete idea di quando tornerà Tim?La fece accomodare con un gesto della mano e chiuse la porta. — Non sapevo che fosse andato via.— Ha accompagnato il signor Eston a Londra, due giorni fa, ma mi aveva assicurato che sarebbe

ritornato la sera stessa. Sono passati due giorni e non so nulla di lui.Sarah si senti stupida ed egoista. Non si era mai nemmeno posta il problema di Tim.— Non si è più fatto vivo?— No, lady Sarah.— Non sapete perché sono andati a Londra?— No, lady Sarah. Credo che non lo sapesse nemmeno Tim. — Florie scoppiò in un pianto dirotto.Nonostante le lacrime, la ragazza era più bella che mai. Le sue guance avevano acquisito una

lucentezza che Sarah non aveva mai notato prima. Un sospetto le nacque nella mente.— Ditemi, Florie, aspettate un bambino?La cameriera s’illuminò con un’espressione di tale gioia che Sarah ne restò colpita.— Sì, lady Sarah, ma non l’ho ancora detto a Tim. — Il sorriso scomparve mentre le lacrime

riprendevano a scorrerle lungo le guance. — Intendevo dirglielo martedì, ma non è più ritornato.Sarah ssò per un attimo la busta chiusa sulla scrivania. — Ci penso io, Florie — disse. — Domani

andrò a Londra di persona e scoprirò cos’è successo a Tim.— Posso venire con voi, lady Sarah?— No, Florie, in questo momento dovete soprattutto prendervi cura di voi.La ragazza sorrise. — Un viaggio in carrozza non potrà farmi male, lady Sarah. Mia madre ha messo

al mondo sette figli senza smettere di lavorare, dal primo giorno di gravidanza all’ultimo.— Perché non lavorava per me. Se fosse stata al mio servizio, l’avrei obbligata a essere più prudente.Un’ombra coprì il viso di Florie. — Non è una buona cosa che andiate da sola, lady Sarah.— Sciocchezze — commentò lei sorridendo. — Ora sono una donna sposata e posso fare ciò che

voglio.

L’affermazione non era del tutto vera, ma Sarah continuò a sorridere mentre accompagnava Floriefuori dalla stanza, cercando di rincuorarla. Una volta uscita la cameriera, si sedette sul letto. Dovevariposarsi prima del viaggio per essere fresca e lucida quando avrebbe incontrato Alano, ma sapeva cheanche quella notte avrebbe fatto fatica a prendere sonno.

Come aveva fatto a innamorarsi a quel modo? Quando era successo? Cos’era quell’orribile vuoto chesentiva nel petto? Non era lo stesso dolore che aveva provato per sua madre, ma qualcosa di diverso. Eracome se il cuore le si fosse tramutato in pietra.

Si sdraiò sul letto e fissò il soffitto.In meno di un mese Douglas le aveva sconvolto la vita. Le aveva fatto conoscere la passione, ma le

aveva anche dato tenerezza. L’aveva rallegrata e consolata quando piangeva. Era stato leale e fedele,accompagnandola no in Scozia. Aveva fatto in modo che il personale della tenuta cominciasse alavorare autonomamente, per alleggerirla dalle sue pesanti responsabilità.

Douglas era ostinato, intelligente e aveva la disdicevole abitudine di andare in giro nudo un po’troppo spesso. Ma le aveva svelato la sua vulnerabilità. Aveva visto il mondo, ma non era ancora stancod’imparare. Vivere con lui sarebbe stata una tumultuosa, appassionante avventura.

E vivere senza di lui? Come sarebbe stato?

31

Quel venerdì, Sarah andò a Londra. Normalmente trovava il viaggio piacevole e riusciva a ingannare iltempo leggendo, chiacchierando o anche semplicemente guardando il panorama, ma nulla inquell’occasione riuscì a distrarla, salvo il nodo d’angoscia che le stringeva lo stomaco.

Aveva dato l’indirizzo di Alano al cocchiere, un giovanotto sveglio di nome Edmund, e lui le avevagarantito che l’avrebbe trovato senza problemi. Sarah sapeva quanto fosse facile perdersi nel dedalo divicoli di Londra e restò sorpresa quando Edmund arrivò a destinazione senza esitazione alcuna. Il postonon era lontano dalla casa di suo padre.

— È un quartiere molto alla moda, lady Sarah — le spiegò aiutandola a scendere.Il commento stuzzicò la sua curiosità, ma al momento aveva cose più urgenti da sistemare che non

indagare sul passato del cocchiere.Sarah si guardò attorno nella piazza. Era davvero molto bella, con al centro un grazioso giardinetto

fiorito, circondato da una cancellata di ferro battuto di cui evidentemente i residenti avevano la chiave.Alano doveva essere più ricco di quanto lei avesse immaginato.Bussò e un giovane dai capelli biondi con indosso un grembiule di pelle che odorava d’aceto venne ad

aprirle.— Sì? — disse con aria altezzosa. — Chi siete?Squadrò prima Edmund, poi Sarah, in ne la carrozza con lo stemma ducale posteggiata di fronte alla

casa. Fu quest’ultima, più che un sussulto di cortesia, a fargli cambiare immediatamente atteggiamento.Si tolse il grembiule e chinò il capo.

— Posso esservi d’aiuto?— Sto cercando Alano McDonough — rispose Sarah. — È a casa?— Chi devo annunciare?Di norma Sarah non si presentava con il suo titolo, ma qualcosa nei modi del giovane la spinse a

farlo.— Lady Sarah Eston di Chavensworth.Ancora una volta non fu Sarah a in uenzare il comportamento dell’uomo, ma l’esplicito riferimento

al suo titolo nobiliare. Fece un passo indietro, aprì la porta e si inchinò.— Lo avviso immediatamente — disse e sparì all’interno della casa, senza premurarsi di invitarli a

sedere, o di prenderle guanti e cappello.Pochi minuti più tardi, sufficienti a irritare ancora di più Sarah, Alano fece la sua comparsa.— Lady Sarah, qual buon vento! — esclamò lo spagnolo indicando una porta. — Sono desolato che

quel buffone vi abbia lasciato ad aspettare in piedi.Sarah sorrise, congedò il cocchiere, poi si rivolse ad Alano. — Dov’è nito il vostro maggiordomo? —

chiese.— L’ho mandato a lustrare l’argenteria. Era l’unico modo per sbarazzarmi di lui per un po’. Ma non è

i l mio maggiordomo. È di Douglas. — Ridacchiò. — Anche se devo ammettere di essere stato io asceglierlo e assumerlo, cosa che Douglas non smette mai di rinfacciarmi.

Sarah si guardò in giro. Dappertutto, nella sala, c’erano casse e scatoloni. Alano la condusse a undivano e lei si sedette.

— Se quell’imbecille avesse avuto un po’ di buone maniere, vi avrebbe offerto qualcosa — brontolòAlano. — Purtroppo non ci siamo ancora organizzati in modo decente.

Sarah lo guardò cercando di celare la sorpresa. — Questa casa appartiene a Douglas?— Vostro marito è molto ricco, lady Sarah. Più ricco di quanto vostro padre possa anche solo sperare

di diventare.L’aveva intuito quando aveva comprato un vagone ferroviario, ma c’era una domanda a cui non

riusciva a dare risposta.— Ma se è così ricco, perché ha voluto fare un accordo con mio padre?— Vi riferite alla produzione di diamanti? Solo uno sciocco userebbe tutti i suoi soldi per nanziare

un’unica impresa, lady Sarah. Se invece vi riferite al matrimonio, è una domanda che dovete rivolgere alui. Ma non credo che siate venuta qui per parlare del vostro matrimonio, o mi sbaglio? — La guardòcon attenzione. — Perché io non potrei mai parlare male di Douglas, lady Sarah. È come un glio perme.

Sarah respirò a fondo e alzò gli occhi a guardare Alano che era ancora in piedi.— Sono solo venuta a chiedervi se sapete dov’è. È qui, visto che questa è casa sua?— No, non è qui, lady Sarah — rispose Alano aggrottando la fronte. — E nemmeno so dove si trovi.

Non lo vedo da quando siamo arrivati a Londra.Sarah sospirò, ma all’improvviso una fitta di dolore la colpì allo stomaco facendole stringere i pugni.— Non vi ha detto dove andava o cosa intendeva fare?Alano le si sedette a fianco.— So solo che doveva vedere il suo avvocato — le disse, guardando non lei, ma il pavimento. — Ma

non mi ha detto perché. — Alla fine si decise a guardarla in faccia. — È tutto quello che so, lady Sarah.— Perché siete tornato a Londra, Alano?— Io e Douglas cerchiamo di avere ognuno i propri spazi, lady Sarah. Londra è abbastanza vicina da

restare in contatto tra noi, ma allo stesso tempo abbastanza lontana da consentirci una certa autonomia.Personalmente preferisco vivere in città piuttosto che in una casa in campagna.

— Una casa è fatta dalle persone che ci vivono, Alano.Il suo aspetto cambiò. Si irrigidì proprio come aveva fatto la signora Williams.— Conoscete l’indirizzo dell’avvocato di Douglas? — chiese Sarah.Alano annuì. — Spiegherò al vostro cocchiere come arrivarci.Sarah si alzò senza dire più nulla, ma una volta giunti alla porta, si fermò schiarendosi la gola. —

Signor Alano, ho l’impressione che la signora Williams senta molto la vostra mancanza. L’ultima volta

che l’ho vista era in lacrime.Alano non rispose. Scese gli scalini e parlò brevemente con Edmund. In ne si voltò verso Sarah. —

Non è da Douglas sparire in questo modo, lady Sarah. Se non è a Chavensworth, una ragione cidev’essere. Se doveva affrontare qualcosa, sicuramente lo ha fatto. Non è un codardo.

— Devo scoprire perché è partito.— Lasciate che vi accompagni — si offrì. — Potrei esservi d’aiuto.Sorpresa, Sarah annuì. — Ve ne sarei molto grata.L’ufficio dell’avvocato era situato in una zona della città che Sarah non conosceva. Edmund aspettò

sulla carrozza mentre lei e Alano entravano nello studio. Dopo le necessarie presentazioni e poche,imbarazzate parole dall’impiegato, Sarah e Alano vennero ammessi nell’ufficio di Peter Smythe,l’avvocato di suo marito.

Era il contrario di quanto aveva immaginato. Invece che basso e curvo era alto e, quando le andòincontro, le sorrise. Era anche piuttosto giovane, non molto più vecchio di Douglas. Non era affascinantecome suo marito, ma doveva ammettere che se non avesse mai incontrato Douglas, lo avrebbesicuramente definito un bell’uomo.

Il pensiero durò solo no a quando si scontrò con la incredibile reticenza del signor Smythe. Eraancora più ostinato di Douglas.

— Lady Sarah, mi rincresce profondamente non potervi dare le informazioni che cercate. Sonodomande che dovreste rivolgere a vostro marito; solo lui può dirvi i motivi per cui si è rivolto a me.

Non le piaceva sentirsi impotente, ma continuò a sorridere, n troppo conscia dello sguardo attentodel signor Smythe e della presenza di Alano al suo fianco.

— Siete di norma così riservato nei riguardi di tutti i vostri clienti o avete una particolare ragione peresserlo con me?

— Prego?Sarah respirò a fondo. — Se io uscissi da qui, dareste le informazioni di cui ho bisogno al signor

McDonough?Smythe si raddrizzò sulla sedia. — No, lady Sarah, non gliele darei — rispose. — Al contrario, sarei

molto più riservato di quanto lo sono stato con voi; gli farei molte più domande. Gli chiederei, peresempio, perché è così interessato, perché è venuto da me, cosa gli fa pensare che potrei rispondergli.

Fu favorevolmente impressionata dalla correttezza dell’avvocato, anche se, allo stesso tempo, cozzavacontro il suo scopo di scoprire che fine avesse fatto Douglas.

— Però potete confermarmi che mio marito è stato qui martedì — disse.— D’accordo, lady Sarah. Posso ammetterlo. — Si alzò, in un modo piuttosto brusco, tanto da far

capire che considerava concluso l’incontro.Si alzò anche Sarah, scambiando un’occhiata era con Alano, per fargli capire che non voleva la sua

pietà, che avrebbe trovato il modo di superare quel frangente. Si alzò e armeggiò nella borsetta perguadagnare il tempo sufficiente a formulare la sua prossima domanda.

— Signor Smythe — disse ssando l’avvocato negli occhi — potete almeno dirmi se mio marito hachiesto la vostra opinione in materia di diritto matrimoniale?

C’era compassione nel suo sguardo? Forse, ma a quel punto Sarah non poteva più tirarsi indietro. Laverità era sempre preferibile al restare chiusa nella sua stanza da letto logorandosi in un’inutile attesa.

— Non posso rispondervi, lady Sarah. — Fece una pausa e lei si morse un labbro e strinse le mascelle,decisa a non piangere.

— Ma se lo avesse fatto — aggiunse il signor Smythe — lo avrei aggiornato sulle nuove disposizioni inmateria di diritto matrimoniale.

Sarah restò attonita a guardarlo.— In tal caso gli avrei detto che per sciogliere un matrimonio è necessario fornire le prove

dell’infedeltà della propria moglie.— Capisco. — Si sforzò di sorridere. — Anche se fossero false?Ora la pietà negli occhi dell’avvocato si era fatta evidente.— Lady Sarah, se un uomo vuole davvero divorziare, trova sempre il modo di farlo. Se poi è un

avventuriero, può sempre partire, lasciare il Paese.— Il signor Eston non farebbe mai una cosa del genere. Lo reputo un uomo onesto e di principi

onorevoli.— Esattamente ciò che penso io.— Sto cercando di rintracciare mio marito, signor Smythe — disse, il suo orgoglio scon tto dal

bisogno più grande di scoprire cosa fosse successo a Douglas. — È scomparso.L’espressione dell’avvocato cambiò, facendosi cauta.— Scomparso? E quando è successo?— Subito dopo avervi fatto visita, signor Smythe. Non avete idea di dove possa essere andato, una

volta uscito dal vostro ufficio?Smythe scosse il capo.— Ne siete certo?— Credetemi, lady Sarah, se potessi darvi altre informazioni, lo farei. Sfortunatamente non posso dirvi

altro.Sarah capì il signi cato recondito delle sue parole. — Quindi mio marito vi ha chiesto opinioni anche

su un altro argomento, non è così?— Ho detto n troppo, lady Sarah — rispose l’avvocato avviandosi verso la porta. L’aprì e sorrise, un

sorriso che le sarebbe parso assolutamente genuino se non lo avesse guardato negli occhi. L’uomo erapreoccupato quanto lei. — Buona fortuna con la vostra ricerca. Fatemi avere notizie non appenapossibile.

Ma Sarah non era ancora disposta a cedere.— Davvero non avete idea di dove sia andato, signor Smythe?Per un attimo l’avvocato non disse nulla e, quando parlò, Sarah stava già uscendo.— Salutatemi vostro padre, lady Sarah — disse, senza rispondere alla domanda. — È il duca di

Herridge, o mi sbaglio?Aveva quasi oltrepassato la soglia, quando si voltò a guardarlo. Il suo viso aveva assunto

un’espressione solenne che non gli aveva mai visto in tutto il tempo passato nel suo ufficio.— Come avete conosciuto mio marito, signor Smythe?Sorrise. — Mi ha salvato la vita, lady Sarah. Eravamo su una nave che è affondata al largo della costa

francese. Vostro marito mi ha tenuto a galla finché non è arrivata la scialuppa di salvataggio.— Se vi dicessi che sto per andare a fare visita al duca di Herridge, cosa mi direste?— Vi augurerei buona fortuna, lady Sarah. Ma vi direi anche di stare in guardia.Sarah annuì e uscì senza dire altro.Edmund li aspettava di fianco alla carrozza.— State andando da lui, allora? — chiese Alano. — Non è un uomo molto simpatico, vostro padre.— Avete ragione — confermò Sarah. — Non lo è per nulla. — Senza contare che c’era la forte

possibilità che non fosse nemmeno suo padre.— C’è una scuderia a casa del duca? — chiese Alano.— Certo. Perché?

— Dov’è la carrozza di Douglas? Dov’è Tim, il cocchiere?Edmund li condusse davanti alla dimora di suo padre.— Entrate — disse Alano. — Io do un’occhiata in giro.Sarah annuì, lasciò la borsetta nella carrozza e guardò la facciata della residenza londinese del duca di

Herridge. Dentro di sé aveva smesso di considerarlo suo padre. Anche se nessuno le aveva mai detto chesuo padre era Michael Tulloch, ormai il suo cuore conosceva la verità.

Restò un attimo ferma a racimolare tutto il suo coraggio, sapendo che ciò che stava per accadereavrebbe per sempre cambiato la sua vita.

Alano guardò Sarah entrare nella casa del duca di Herridge.Il calare della sera fu salutato dall’accendersi delle luci. Un valletto uscì dalla casa vicina, accese la

lampada all’inizio degli scalini e rientrò.Alano girò attorno all’isolato e risalì un vicolo no a trovarsi di fronte a un cortiletto che dava accesso

alle scuderie. Anche lì le luci delle lampade erano accese, scacciando le ombre. Per essere nel centro diLondra, la scuderia del duca era piuttosto grande e in quel momento ospitava otto cavalli e due carrozze,di cui solo una portava lo stemma ducale. L’altra era nuova di zecca e apparteneva a Douglas.

Alano entrò con estrema cautela e quasi subito sentì qualcuno schiettare, ma non riuscì a stabilire dadove proveniva il rumore. Poi, all’improvviso, un giovane con in mano un forcone uscì da un box.

Alano fece due passi avanti. Chiuse la mano e cominciò a sorridere all’idea che forse aveva trovatouna possibilità di praticare un po’ di pugilato. Non si allenava da molto tempo, ma moriva dalla voglia dimettere alla prova il proprio talento.

Presto il suo sorriso si mutò in un ghigno soddisfatto.

32

— Il duca di Herridge è un uomo di un’avidità smodata, Simons — disse Sarah con quello che era ilcommento più personale che avesse mai condiviso con il maggiordomo.

Dalla sua espressione era evidente che il servitore provava grande imbarazzo a risponderle.— Credo che sarebbe disposto a qualsiasi cosa pur di arricchirsi — aggiunse Sarah, togliendosi il

cappellino e i guanti e porgendoglieli.— Sono davvero dispiaciuto del ruolo che ho dovuto assumere in questa faccenda, lady Sarah — disse

Simons.— Non sto parlando dei gioielli di mia madre, ma di altre malefatte. Siete coinvolto anche in queste?Lo fissò attentamente. Nessuno al mondo conosceva tanto bene il duca quanto il suo maggiordomo.— Non sono del tutto sicuro se ci sia avidità o disperazione alla base delle azioni di vostro padre —

sussurrò Simons. — Dopo tutto è un duca ed è quindi tenuto a mantenere un certo stile di vita.— Ma non ha denaro — disse Sarah. Si era spesso chiesta quanto possedesse suo padre. La sua

insistenza a spogliare Chavensworth di ogni oggetto che potesse essere venduto l’aveva fatta ri ettere, maaveva concluso che fosse per via della sua incapacità di essere parsimonioso. Non aveva mai pensato chefosse completamente privo di fondi.

— È così, Simons?L’uomo non rispose, ma il suo silenzio era eloquente.— Quindi, quando gli si è offerta la possibilità di darmi in sposa senza spendere un centesimo, gli è

sembrato un regalo del cielo.Simons si concesse un sorrisetto. — Come preferite, lady Sarah.

— Non credo che sia stato felice del ritardo nella produzione dei diamanti.Stavolta la guardò negli occhi. — Per niente, lady Sarah.— Al punto di fare anche qualche follia, Simons?Il maggiordomo andò vicino all’attaccapanni e sistemò il cappello e i guanti. Qualche attimo dopo si

strinse nelle spalle.— Sua Grazia è quello che è, lady Sarah, ma sono al suo servizio da dieci anni.Lei restò in silenzio, in attesa.— Durante tutto questo tempo, lady Sarah, ho compiuto qualche buona azione, e altre di cui non

posso andare troppo ero. — Alzò gli occhi al soffitto. — Temo che quest’ultima verrà classi cata fraquelle di cui dovrò pentirmi.

Sarah lo guardò con il volto privo d’espressione.— Mio marito è in questa casa, Simons?Il maggiordomo fissò il pavimento di marmo.— Sì, lady Sarah.— Di sua volontà, Simons?L’uomo si lasciò sfuggire un profondo sospiro. — No, lady Sarah.Lei allungò il braccio e afferrò il maggiordomo per il bavero. Per quanto ricordava, era la prima volta

in tutta la sua vita che lo toccava.— Potete liberarlo, Simons?— Perderei il lavoro, lady Sarah.— Lo so — rispose lei annuendo. — Ma ci sono altri posti dove potete rendervi utile, Simons. Per

esempio, Chavensworth.— Dubito che Sua Grazia mi concederebbe di lavorare lì, lady Sarah.Aveva ragione.— Allora vuol dire che dovrò convincere il duca da sola. Sua Grazia è in casa?— Sì, lady Sarah, ma credo che si stia vestendo per uscire.— Ditegli che sono qui, Simons — ordinò. Chissà se la sua presenza sarebbe stata sufficiente a fargli

cambiare i progetti per la serata.Percorse il corridoio verso lo studio del duca. Erano passate diverse settimane dall’ultima volta in cui

aveva messo piede in quella casa. Settimane in cui si era sposata, aveva sepolto sua madre, scoperto la suafamiglia in Scozia e, sorprendentemente, trovato l’amore.

Entrò nello studio e andò a sedersi di fronte al caminetto. Che strano, non era mai stata invitata asedersi in quella stanza, ma sempre obbligata a restare in piedi come una scolaretta di fronte allascrivania del duca.

Fu in quel momento che si rese conto che la liberazione di Douglas poteva essere ottenuta senza sforzi.Dopo tutto, non c’era bisogno di ricorrere alla forza bruta quando aveva a disposizione l’arma perfetta.

Cominciò a sorridere.

— Io faccio solo le pulizie — disse il giovane con voce strozzata, cosa del tutto comprensibile, visto cheAlano lo teneva stretto per la gola schiacciandolo contro il cancello di un box. Il cavallo all’interno eraspaventato dalla presenza dei due uomini. — Lavoro nelle scuderie e basta, non ho la minima idea di ciòche succede in quella casa. — I suoi occhi dardeggiarono verso la residenza del duca.

— Ci sono sempre state due carrozze qui? — chiese Alano con tutta calma.Il ragazzo scosse il capo. — Solo una. L’altra l’ho trovata qui una mattina quando sono arrivato a

lavorare. Non l’avevo mai vista prima. — La mano che aveva impugnato il forcone, ora innocuo per terra

a diversi passi da loro, indicò la carrozza.— E il conducente dov’è?Gli occhi del ragazzo sembrarono schizzar fuori dalle orbite. Alano allentò un po’ la presa.— Non ho nulla a che fare con questa storia. Nulla. Ho visto gente portare del cibo, ho sentito

rumori, ma io mi limito a fare il mio lavoro, cioè portare via il letame.Alano lo lasciò andare.— Dov’è il cocchiere?Il giovane alzò lo sguardo e indicò una scala che saliva fino ad arrivare a una porta chiusa.— Quante persone ci sono di guardia?Il ragazzo non esitò. — Solo una. A volte va via, ma poi torna.— Adesso c’è?— C’è.C’era qualcosa in quel ragazzo che gli ricordava Douglas. Il suo protetto aveva avuto uno sguardo più

vispo ed era più combattivo, tanto che Alano dubitava che si sarebbe lasciato sopraffare così facilmente.Forse in comune avevano una sola cosa: la stessa aura di disperazione nello sguardo, ma Douglas se neera liberato.

Il ragazzo era vestito di stracci e aveva mani callose. Avrebbe avuto bisogno di un taglio di capelli e diun bagno. Ma Alano aveva avuto occasione di osservarlo a lungo prima di aggredirlo, notando che avevasvolto il suo lavoro con molta diligenza anche se era convinto che nessuno stesse guardandolo.

— Non hai mai sognato di essere un eroe, figliolo? — gli chiese Alano con un ghigno.— Non lo sono mai stato, signore — rispose guardingo.— Be’, sarebbe ora di cominciare a provarci, non credi?Alano si chinò e raccolse il forcone, poi andò verso le scale. Cominciò a salire i gradini prima di

voltarsi e scoprire con una certa soddisfazione che il ragazzo lo stava seguendo, non senza avere preso laprecauzione di impugnare un badile.

Tutto era pronto. Nel caminetto era stato costruito un braciere e i cristalli erano posati sui lorolamenti di sostegno, anche se non erano così grandi come avrebbe voluto. Douglas non aveva alcuna

intenzione di restare ospite del duca di Herridge ancora a lungo. Doveva solo aspettare che diventasseroabbastanza grandi per quello che aveva in mente.

Il processo normale richiedeva di rimuovere ogni lamento dal supporto e metterlo sul fuoco. Nel girodi pochi secondi il lamento bruciava lasciando cadere il cristallo sulle braci. Dopo qualche ora, sispegneva il fuoco e si trovavano i diamanti.

Come aveva appreso a proprie spese a Chavensworth, più grandi erano i cristalli, più instabilediventava il processo. Doveva ripetere la procedura mettendo tre o quattro lamenti insieme sul fuococontemporaneamente, provocando così un’esplosione abbastanza forte da far accorrere il guardiano nellastanza. A quel punto lo avrebbe sistemato a suon di pugni. Sorrise, sentendosi soddisfatto per la primavolta negli ultimi tre giorni.

Tolse il primo e il secondo filamento dal supporto, li mise sul fuoco e aspettò.In quel momento si aprì la porta e Simons comparve sulla soglia.— Sua Grazia sicuramente non approverà, signor Eston, ma d’altro canto nemmeno io approvo i suoi

metodi. Siete libero di andarvene. Avete cinque minuti per farlo, ho mandato il guardiano a fare unacommissione, ma tornerà.

Douglas guardò il braciere e scosse il capo. — Maledizione, Simons, avreste dovuto farmi sapere cheeravate sull’orlo di una crisi di coscienza. Ho paura che adesso sia troppo tardi!

Alano scambiò il forcone con il badile e percosse con tutta la sua forza la porta che si spalancò discatto, colpendo il muro nello stesso momento in cui l’uomo seduto dall’altra parte della stanza si alzava.

Tim giaceva su una branda con polsi e caviglie legati e uno straccio infilato in bocca.L’uomo si scagliò imprecando contro Alano mentre il ragazzo scattava verso di lui impugnando il

forcone come una lancia. Alano lo prese per un braccio, fermandolo all’ultimo momento.— Siamo qui per liberare Tim — disse. — Non per uccidere qualcuno.Ma, per quanto mosso da sentimenti compassionevoli, Alano non aveva nessuna intenzione di

ingaggiare un corpo a corpo con un gorilla. Una frazione di secondo dopo lasciò andare il ragazzo e,impugnando il badile con entrambe le mani, lo fece roteare, calandolo con tutta la sua forza sul craniodell’energumeno che gli stava piombando addosso. L’uomo crollò sul pavimento di schianto senza unlamento.

— Siete sicuro di non averlo ucciso, signore? — chiese il ragazzo.Alano si strinse nelle spalle, ignorandolo, si avvicinò a Tim e gli tolse lo straccio dalla bocca.— Dov’è Douglas? — chiese Alano, cominciando a sciogliere i nodi.— Non lo so, signore. Stavo aspettandolo vicino alla carrozza quando sono arrivati due uomini che

mi hanno immobilizzato e portato qui.— Siete disposto a partecipare a una missione di soccorso? — chiese. — Ho il sospetto che il duca di

Herridge stia tenendo Douglas prigioniero.Il ragazzo decise che doveva intervenire. — Ci stiamo comportando da eroi, signore — spiegò.Tim e Alano si scambiarono un’occhiata esasperata.— Siete in grado di seguirci? — chiese Alano mentre Tim si sedeva sul letto stro nandosi prima le

caviglie, poi i polsi.Tim rispose con un’entusiastica imprecazione.Alano guardò il ragazzo. — Come ti chiami?— Jason, signore.Alano sorrise. — Un bel nome da eroe. Allora, Jason, andiamo?Passò sopra al copro inerte della guardia, chiuse la porta e si diresse spedito verso la residenza di città

del duca di Herridge, seguito da Tim e da Jason.

Il duca di Herridge entrò nello studio con un’affabile espressione sul viso, come se stesse pensando aqualcosa di particolarmente piacevole.

Sarah non era molto interessata alla felicità del duca di Herridge. Si alzò e lo fissò.— Liberate Douglas — disse, e fece una pausa prima di proseguire. — Se non lo farete, dirò a tutta

Londra cos’avete fatto e perché. E dirò anche che siete senza un soldo. Vi vantate tanto del vostro alberogenealogico e del vostro nome, vero? Be’, farò di voi lo zimbello della città.

L’espressione del duca cambiò in un istante. I suoi occhi si strinsero in un’espressione crudele.Sarah lo conosceva bene e ancora meglio conosceva se stessa. Quante volte era stata in piedi di fronte

alla sua scrivania, lì a Londra come a Chavensworth, durante qualcuna delle sue rare visite, a subire lesfuriate sui suoi difetti, sulle sue mancanze, sulle più insignificanti trasgressioni che aveva commesso?

Era strano, ma di fronte anche al minimo dubbio che non fossero padre e glia, tutto questo avevasmesso di coinvolgerla. Lo sapeva che non era sua glia? Era quello il motivo per cui non aveva provatoche astio e disprezzo per tua madre?

Fino a quel momento non si era mai accorta di quanto aveva in comune con i Tulloch di Kilmarin.Orgogliosi, determinati e pronti a farsi ammazzare piuttosto che cedere alla prepotenza.

— Lo farò, statene certo — continuò. — Proverò un immenso piacere nel farlo. Ma se lascerete andare

Douglas, non dirò mai niente a nessuno.— Pensate che mi importi qualcosa dell’opinione che il mondo ha di me?Non ebbe tempo di rispondere perché improvvisamente si udì un’esplosione provenire dal piano

superiore che scosse l’intero edi cio. Sarah immaginò un gigante che avesse colpito con un pugno ilpalazzo, sfondando il tetto e arrivando no in cantina. Schegge di legno e frammenti di intonaco liinvestirono. Sarah non poté fare altro che coprirsi la testa con le mani e rannicchiarsi come una palla,rimpiangendo che non ci fossero indumenti adatti a una donna in circostanze come quella. Una gonnasorretta da stecche di balena non era esattamente una garanzia di sopravvivenza.

Il rumore continuò a lungo. L’aria era carica di particelle di polvere che le impedivano di respirare. Dalontano le arrivò la voce di Alano. Stava urlando una frase priva di senso che Sarah prese a ripetersi nellamente allo scopo di decifrarne il significato.

— Quel maledetto idiota si è fatto saltare in aria.Alano continuava a ripeterlo, poi Sarah se lo ritrovò a fianco.Dietro di lui c’era una luce tremula e all’improvviso Sarah capì che era il riverbero delle amme.

Cominciarono a strisciare verso la zona dove fino a poco prima c’era la porta.Sarebbero stati i soli a sopravvivere?Alzò gli occhi. Parte del soffitto e del tetto non c’era più. Ma se non altro l’esplosione era la prova che,

prima dello scoppio, Douglas era ancora vivo.— Quel maledetto idiota si è fatto saltare in aria.Sarah credette di gridare, ma l’urlo era solo nella sua mente. Si alzò in ginocchio, ma ammutolì di

fronte al fuoco. Lentamente si alzò in piedi e porse la mano ad Alano.— Non dite così — lo ammonì.Alano era coperto di polvere bianca. Si guardarono a lungo, mentre il fuoco alle loro spalle ardeva

ruggendo. Lontano si sentivano le campane dei vigili del fuoco che stavano accorrendo.— Però è vero — disse Alano con voce calma e compassionevole, in tono gentile, come se solo così la

frase potesse raggiungerla.— No, non ci credo.Alano si guardò alle spalle e disse qualcosa. Sarah si voltò e cominciò a correre verso la strada,

incurante di cosa stava dicendo. L’incendio si stava espandendo e dovevano abbandonare la casa al piùpresto. La porta principale era ridotta in frantumi. Sarah esitò un attimo sulla soglia e si voltò,guardandosi alle spalle. Alano e Tim stavano arrivando con il duca di Herridge fra loro. La felicità cheprovò nel vedere Tim sano e salvo fu subito offuscata dal pensiero che Douglas non era con loro.

“Quel maledetto idiota si è fatto saltare in aria.”“Mio Dio, fa’ che non sia vero.”Si sentì le gambe così deboli che pensò non ce l’avrebbe fatta a uscire. Alano le arrivò a anco appena

in tempo per sostenerla.— Da questa parte, mettete un piede lì — le disse, come a una bimba che imparasse a camminare.

L’odore acre del fuoco era sempre più forte. Sarah avrebbe dovuto provare paura, ma nulla di tutto ciò lesembrava reale.

Ecco, ora capiva. Era un incubo. Sarah era nella sua stanza, a Chavensworth, e sentiva la mancanza diDouglas. Le sarebbe bastato svegliarsi e allungare una mano e lo avrebbe trovato lì, accanto a lei. Nudo,virile e terribilmente attraente.

Doveva dirgli quanto fosse bello. Doveva trovare le parole. Doveva dirgli che, quando lo vedeva, ilcuore le batteva un po’ più forte.

— Dobbiamo trovare Douglas! — gridò. Le parole erano quasi impossibili da pronunciare.

— È ferita — disse qualcuno.— No. È solo disperata. Non lo sa ancora.Cercò di divincolarsi, ma Alano la teneva troppo stretta.A ogni passo sentiva il rumore dei frammenti di vetro sotto le suole. Ogni tanto qualcosa le cadeva

addosso. Tutti urlavano.Arrivò ai gradini, scese e nalmente si trovò vicino alla carrozza. Edmund stava guardando la

distruzione a bocca aperta.Alano era ancora al suo anco. Gridò qualcosa a Edmund che sembrò risvegliarsi e schizzò verso la

portiera della carrozza.— Vi portiamo subito via da qui, lady Sarah — disse Edmund.— No. — Lei si voltò a guardare Alano. Si era accorta che il fuoco aveva cominciato a diffondersi per

via dei riflessi arancione che gli brillavano sul viso.— Non vedete? — chiese lei, con molta più calma di quanto avrebbe creduto possibile. — Non può

essere morto.— Ho molti dubbi che possa essere sopravvissuto, lady Sarah. L’ultimo piano è completamente

distrutto, non c’è più.Si girò a guardare le rovine di quella che era stata la casa di città del duca di Herridge. Alano aveva

ragione. Il terzo piano era stato spazzato via dall’esplosione e nel mezzo del secondo c’era un bucoenorme. Metà della parete frontale della casa si era disintegrata nello scoppio.

— Venite, lady Sarah — la sollecitò Alano, conducendola verso la portiera aperta della carrozza.Qualcuno, una donna, gridò e improvvisamente ciò che restava del tetto cedette di schianto

sollevando nubi di polvere, calcinacci e cenere.— Quel maledetto idiota si è fatto saltare in aria — ripeté ancora una volta Alano.In quel momento lo odiò. Lo odiò perché aveva passato anni con Douglas mentre lei solo poche

settimane. Lo odiò perché aveva detto ad alta voce ciò che nessun altro aveva avuto il coraggio di dire, ecosì facendo aveva suggellato il suo destino. Lo odiava perché aveva le guance rigate di lacrime mentre leinon si sentiva dentro nulla, né cuore, né anima. Per no la mente le si era intorpidita, incapace diaccettare quello che era appena successo.

— Lady Sarah, vi prego, salite; il posto più sicuro è in carrozza.— Non ho intenzione di andarmene.Edmund le si avvicinò. Lei lo guardò e ripeté: — Non ho intenzione di andarmene.Il cocchiere annuì. — Lasciate almeno che allontani la carrozza dall’incendio, lady Sarah.Sarah annuì, ma si rifiutò di salire fino a quando la carrozza non fu posteggiata poco lontano.Alano e Tim vennero reclutati per aiutare a spegnere l’incendio. Edmund restò vicino ai cavalli. —

Andate pure a dare una mano, Edmund, so che ci tenete. Resterò qui io.— Preferirei portarvi a casa, lady Sarah.Strano che, alla parola “casa”, l’immagine che le si formò nella mente fosse quella di Kilmarin invece

di Chavensworth.— Non c’è fretta — mormorò Sarah, non volendo ammettere che in realtà non provava nessun

desiderio di tornare a Chavensworth.Avrebbe dormito da sola nel letto dove aveva giaciuto con Douglas. Quando avesse pianto, nessuno

sarebbe stato là a consolarla.— Siete sicura, lady Sarah? — chiese il cocchiere.— Certo che lo sono — rispose lei, desiderando che se ne andasse e la lasciasse sola. — Andate.Si guardò in giro e vide una scena dell’altro mondo: ombre nere e lingue arancione di amme, nuvole

di polvere bianca e, soprattutto, il cielo scuro.Aprì la portiera della carrozza, assicurandosi di avere abbassato il predellino pieghevole. Lentamente

posò un piede sul primo gradino, poi sul secondo, no a entrare. Una volta seduta, si sistemò la gonnacome le era stato insegnato n da ragazzina. Ovviamente il vestito era da buttare. Il tessuto era strappatoin più punti e coperto di polvere grigia.

Sedette lo stesso con le caviglie incrociate. Aveva perso il cappellino. Aveva perso anche suo marito.Tutto sommato un cappellino non era così importante. Non certo come un marito.

Chiuse gli occhi e si sforzò di non piangere. Il tempo per le lacrime sarebbe arrivato, e sarebbe duratoanni. Per il momento tutto ciò che voleva era che la notte finisse. Quante ore mancavano all’alba?

La portiera della carrozza si aprì di scatto.— Che cosa diavolo state facendo qui? Per poco non vi ho ammazzata, maledetta sciocca. Non avete

un minimo di buon senso?Fissò Douglas, incapace di rispondere. Poteva solo guardarlo, coperto di fuliggine, i capelli arruffati, il

volto bianco di polvere. La camicia era a brandelli e sanguinava da un taglio sulla guancia destra.Il cuore cominciò a batterle di nuovo. Balzò fuori dalla carrozza e lo aggredì, colpendolo sulla schiena

con i pugni, così infuriata da in schiarsene di qualsiasi cosa le stesse dicendo, per no del fatto chel’attenzione della gente non fosse più rivolta verso l’incendio, ma verso di lei, lady Sarah Eston in preda auna crisi di nervi.

— Ti sei fatto saltare in aria, maledetto pazzo che non sei altro! — gli urlò.— Sarah!La prese per i polsi con entrambe le mani e la immobilizzò.— Potevi morire! Potevi morire!— Avevo già risolto tutto da solo senza bisogno che ti mettessi in mezzo! — urlò Douglas. — Avrei

potuto ucciderti, Sarah Eston. Non ci hai pensato?Lei abbassò la testa mentre la rabbia cominciava a scemare anche se a fatica. Ci mise parecchi minuti a

ricomporsi. Douglas le lasciò i polsi e lei fece un passo indietro, senza smettere di ansimare.— Oh, amore mio, avrei potuto farti molto male — mormorò Douglas con voce tenera.Lo guardò stupita. — Cos’è questo improvviso accento scozzese? — gli chiese.Non rispose. Invece, del tutto incurante della gente che li guardava, la spinse contro la carrozza e la

baciò appassionatamente. Sarah non poté fare altro che arrendersi al bacio con un gemito. Lo abbracciòtenendolo per le spalle. Voleva sentirlo vicino, assicurarsi che fosse vero, vivo, che non fosse un prodottodella sua immaginazione. Non era un sogno.

— Maledetta stupida — le bisbigliò contro le labbra.— Maledetto stupido — ribatté Sarah. — Ti sei fatto saltare in aria.— Be’, non lo avrei fatto se avessi saputo che stavi arrivando a salvarmi.Sarah si tirò indietro e lo guardò. Era arrabbiato, e lo era anche lei, ma non aveva importanza, perché

era vivo.— Avrei potuto farti molto male, Sarah — ripeté, accarezzandole il viso. — Se solo avessi saputo...— Non potevo lasciarti sparire senza correre in tuo aiuto, Douglas. — Doveva fare qualcosa.Douglas scosse il capo. — Sei una Tulloch — contestò. — Anche se sei la glia di un duca, sei pur

sempre una vera Tulloch.Il duca. Se n’era completamente dimenticato. L’aveva visto l’ultima volta mentre Alano e Tim lo

portavano in salvo.— È sopravvissuto?— Il duca? Sì. Gli è caduto addosso un pezzo di muro e ha un braccio rotto, da quanto mi ha detto

Alano.— E Simons?— Siamo riusciti a raggiungere insieme il secondo piano prima dell’esplosione.In quel momento Douglas decise di baciarla di nuovo impedendole di concentrarsi sul destino di

Simons.Un paio di baci più tardi Sarah si ricordò di un’altra cosa e si staccò, fissandolo intensamente.— Perché volevi annullare il nostro matrimonio?Invece di risponderle, Douglas salì in carrozza e se la tirò dietro. Un giorno o l’altro lei avrebbe dovuto

spiegargli che un gentiluomo non si comporta in quel modo e lui lo avrebbe annotato sul suoquadernetto, ma per il momento decise di soprassedere. Gli si sedette in grembo e l’abbracciò.

— Non ti lascerò mai, Sarah — rispose. — È stato tuo padre a minacciarmi di far annullare ilmatrimonio se non avessi prodotto i diamanti.

Lo fissò indignata. — Ma non ne ha il diritto. Come ha osato?— Non ne ha il diritto, ma non lo sapevo no a quando non ho parlato con il mio avvocato. — Fu il

suo turno di fissarla. — Mi avevi seguito?— Stavo cercando di scoprire dov’eri nito. Ho creduto che semplicemente non volessi più stare con

me.L’attirò di nuovo vicino, come per ammonirla a non pensare mai più una cosa del genere.— Pensavo di fare un accordo con tuo padre. Volevo solo che, in cambio dei diamanti, si tenesse fuori

dalla nostra vita. Sfortunatamente non me ne ha dato la possibilità.— Sai, non credo che sia davvero mio padre — mormorò Sarah, rendendosi conto che non glielo

aveva ancora detto. — Potrei anche non essere glia di un duca, dopo tutto. — Gli spiegò cosa avevascoperto riguardo a sua madre e Michael Tulloch.

Quando Sarah ebbe finito, Douglas restò zitto per un po’.— Ti cambierebbe molto la vita scoprire che sei davvero figlia di Michael?Lo guardò sorpresa. — Spiegherebbe perché il duca non mi ha mai voluto bene. Ma non mi sentirei

più a mio agio a vivere a Chavensworth.— Se c’è una persona che si è guadagnata il diritto di vivere a Chavensworth, sei proprio tu. Non ho

mai visto nessuno lavorare con tanta lena e tanto senso di responsabilità.Lei si appoggiò allo schienale, lusingata dal suo apprezzamento. Fino a quel momento non aveva mai

saputo cosa pensasse veramente di lei.Forse per via dell’ora tarda, forse per l’angoscia e la disperazione che aveva sopportato, Sarah lo

guardò senza nascondere più nulla. — Amore mio, non vorresti lasciar perdere una volta per tutte quegliorribili diamanti? Non tollererei di crederti morto un’altra volta.

Douglas la ssò sorpreso, poi le accarezzò le guance. — Non credevo che mi avresti mai chiamato“amore mio”.

— Amore mio — ripeté lei. — Amore mio.Le passò i polpastrelli sul mento, tracciandole la linea della mascella e salendo poi a s orarle le labbra.

— Mi sono innamorato di te nel momento in cui ti ho vista. Nel momento in cui mi hai guardato contanto disdegno e ti ho letto la paura negli occhi. Ho sempre pensato che tu fossi coraggiosa, ma solo oraho scoperto quanto.

Le si chinò sopra e la baciò ancora e per qualche meraviglioso momento non ci fu bisogno di parole.Quando si tirò indietro, Sarah gli circondò il collo con le mani e gli appoggiò una guancia sul petto.— Ero così preoccupata — confessò. Poi un pensiero le attraversò la mente. — Ma hai causato

l’esplosione volontariamente?

Douglas sorrise. — Se devo essere sincero, volevo far saltare per aria solo la porta, non tutta la casa. SeSimons non fosse arrivato in tempo a liberarmi, i miei brandelli sarebbero ora dispersi fra Londra e laScozia.

— Meno male che c’era lui! — esclamò Sarah. — Credo che dovremo trovargli un lavoro da qualcheparte.

— Penso che gli offrirò il posto di maggiordomo — disse Douglas. — Potrà addestrare Paulson o, allapeggio, sostituirlo. In entrambi i casi, Alano sarà contento.

Sarah rise e gli posò il palmo sul cuore, sentendone il battito. In quel momento, quell’istante perfetto,coperta di fuliggine e polvere, nei bagliori delle amme, lady Sarah Eston si sentì felice come non lo eramai stata.

33

Sarah si trovava nel soppalco della biblioteca, quando Douglas entrò e la chiamò. Si affacciò allabalaustra e guardò giù. Lui aveva i capelli scompigliati e bagnati dalla pioggia.

Il suo primo pensiero fu che il duca di Herridge ne avesse combinata un’altra delle sue. Stava facendoimpazzire tutti con le sue pretese. Il pane doveva essere tagliato in un certo modo, aveva voluto sapere ilnome della cameriera che, a suo avviso, non era stata abbastanza cortese con lui, il materasso nonandava bene, l’appartamento ducale sarebbe dovuto essere imbiancato, e non gli piaceva mai nulla diquello che preparava la cuoca. Aveva per no avuto da ridire su come era stato assegnato il premioHenley, che era stato finanziato interamente da Douglas.

Da molti anni il duca non veniva a Chavensworth e, da quanto Sarah aveva potuto capire, ilpersonale avrebbe preferito che fosse rimasto a Londra, ma con la casa distrutta e nessun altro posto adisposizione, era stato obbligato a trasferirsi lì, dove abitava da ormai ventisette giorni.

Ventisette giorni terribilmente pesanti per tutti.Sfortunatamente non aveva il denaro per ricostruire la casa di Londra. Una sera, dopo che il duca si

era comportato in modo particolarmente odioso, Douglas si era offerto di nanziare la ricostruzione ditasca sua. Erano seduti nel salottino cinese, una delle stanze preferite di Douglas.

— In fin dei conti è colpa mia se ha perso la casa — aveva detto.— Ma è sua la colpa di avere imprigionato te e Tim — ribatté Sarah.Alla ne Douglas si era lasciato convincere, anche se, da buon scozzese, si era rivelato particolarmente

cocciuto. Quando glielo aveva detto, Douglas aveva sorriso. — Anche tu sei scozzese, mia cara moglie —aveva risposto. — Il che spiega perché tu sia altrettanto cocciuto.

— Non me lo avevi mai detto prima.— Cosa, che sei cocciuto?— No, non mi hai mai chiamata così. “Moglie.”— Non è vero, l’ho già fatto. Il giorno del nostro matrimonio, non ricordi?Dalle parole erano passati ai baci e dai baci a occupazioni ancora più piacevoli. Era difficile restare a

lungo nella stessa stanza con Douglas senza farsi travolgere dalla voglia di toccarlo e baciarlo.Ora, in quel pomeriggio di pioggia, c’erano forse cose migliori da fare che restare nella biblioteca di

famiglia.— Stavi aggiornando il tuo diario? — chiese Douglas cominciando a salire la scala a chiocciola.Sentì il calore invaderle il corpo.— Cosa ne sai tu del mio diario?— Dopo la morte di tua madre ho cercato i tuoi registri contabili perché c’era da fare l’inventario.

— I registri ci sono, ma li tiene la signora Williams. Ma tu hai letto il mio diario?Annuì. — Non volevo curiosare nei tuoi fatti privati — disse. — Ma, una volta iniziato, devo

confessare che è stato difficile smettere. Sei brava a raccontare.— Davvero? — Lo guardò in volto, ma nella sua espressione non c’era traccia di scherno, ma solo di

genuino interesse. Aveva letto come lei lo descriveva nel diario? — Sì, mi piace lasciarmi trascinare dallanarrazione — aggiunse poi, una confessione che prima di allora aveva fatto solo a sua madre. — Mipiacerebbe anche scrivere dei Tulloch di Kilmarin — concluse.

— Il che mi fa venire in mente... — iniziò Douglas tirando fuori qualcosa che aveva tenuto nascostodietro la schiena. Le mise in mano una borsa di tela.

Lei la prese, stupita, e l’aprì, trovandovi lo specchio che aveva portato dalla Scozia.— Lo Sgàthán dei Tulloch — spiegò, e quando lei lo guardò senza capire, aggiunse: — Sgàthán vuol

dire “specchio” in gaelico. L’ho messo un po’ a posto. Credo che ora sia più bello.Da quando aveva visto la sua immagine ri essa in quello specchio, non aveva più voluto guardarlo.

Forse le sue cautele erano eccessive, ma quello che aveva visto poi era successo. Era uno specchio in gradodi rivelare il futuro? Il pensiero le parve una sciocchezza, ma, in ogni caso, non aveva nessuna voglia dispecchiarsi un’altra volta.

Douglas l’aveva abbellito davvero. La cornice circolare era tempestata da un centinaio di minuscolidiamanti.

— È bellissimo, ma dove hai trovato tutti questi diamanti? — Abbassò lo specchio e lo guardòpreoccupata. — Non avrai ricominciato a produrli? È pericoloso.

Lui scosse il capo. — No, li abbiamo trovati io e Alano. Erano sparsi nell’erba, proiettati in girodall’esplosione.

— Come sta Alano? — chiese lei, sorridendo.— Si è impegnato a dare una cultura a Jason. — Sorrise. — Jason gli ricorda com’ero io vent’anni fa,

quando mi ha incontrato. Gli recita le capitali degli Stati d’Europa mentre lavorano alla ricostruzionedell’osservatorio. Ogni tanto la signora Williams si degna di portargli il pranzo. Per cui, anche da quellato le cose promettono bene.

Sarah ridacchiò e si avvicinò al tavolo da lettura. Posò lo specchio e prese una busta, poi tornò da lui egliela porse.

— Ho un’altra cosa da darti in cambio dello specchio — disse.— Una lettera? — Douglas guardò la busta senza prenderla. — Chi mai potrebbe scrivermi?— Non lo saprai mai se non la apri. L’ha consegnata un corriere, ma non ha voluto dire da parte di

chi fosse.Douglas aprì la busta, tirò fuori la lettera e la lesse. Poi la guardò.— Mi dispiace, amore mio — disse dolcemente. — Mi dispiace proprio. Tuo nonno...— È morto? — chiese lei.Douglas annuì.Donald Tulloch era stato in pratica un estraneo. Forse più tardi avrebbe pianto per la morte di un

uomo che non aveva mai conosciuto, ma in quel momento accolse la notizia con un certo distacco.— E c’è dell’altro — disse Douglas. Aveva gli occhi umidi.Oltre alla lettera che Douglas aveva appena letto, la busta ne conteneva un’altra più piccola,

indirizzata a Sarah e con il sigillo ancora intatto. Lei lacerò la busta e cominciò a leggere.

Mia cara nipote,ho deciso di lasciare in eredità Kilmarin a vostro marito, un altro scozzese che deve ritornare nella sua terra d’origine.

Questa casa vi ospiterà, vi darà protezione e, fra le sue mura, potrete trovare una famiglia.

Tutto lì, poche parole il cui impatto era immenso.Guardò Douglas. — Ti ha nominato erede di Kilmarin.Lui annuì. — Lo so.Sul suo viso si intravedeva l’ombra del ragazzo che era stato, un ragazzo povero e affamato che aveva

sentito parlare di un grande castello vicino a Perth.Gli si avvicinò. — Ora siete il signore di Kilmarin — gli mormorò.— È vero. — Sorrise. — Verrai in Scozia con me?— Certo che ci verrò, mio signore. Non vi permetterò di abbandonarmi qui. — Poi sorrise. —

Dovunque tu vada, Douglas, Scozia, Spagna, Francia o Australia, verrò con te. Ovunque.La studiò per alcuni secondi. Sarah fece un passo avanti e gli buttò le braccia al collo.— Se sei riuscito tu a diventare un’altra persona, posso farlo anch’io. Tu mi dai la forza di essere la

persona che scelgo di essere, e sarò felice di diventare una persona nuova.— Non la figlia del duca?— Ti spiacerebbe davvero tanto se scegliessi di essere Sarah Eston di Kilmarin?— No, fintanto che non ti dimenticherai del tuo vero ruolo — rispose sorridendo.— Quale sarebbe il mio vero ruolo? La moglie del signore di Kilmarin?— L’amore del signore di Kilmarin.— L’amore del signore di Kilmarin — ripeté lei in tono soddisfatto. Si alzò in punta di piedi e lo baciò.

Epilogo

Il duca di Herridge restò fermo sulla porta a guardare la carrozza di Douglas Eston, seguita da due carricarichi di bauli, partire per la Scozia. Sfortunatamente, li seguiva un’altra carrozza, su cui viaggiavano lasua cuoca, il maggiordomo, il sovrintendente delle scuderie e alcuni altri servitori scelti fra i migliori.Aveva già perso la governante, che si era trasferita a Londra per sposare uno spagnolo. Se i meno fedelifra i suoi servitori avevano preferito trasferirsi in Scozia, che facessero pure. Se ne andasse anche la donnache aveva cresciuto come se fosse stata davvero figlia sua.

“Bastarda.” La parola le si addiceva, anche se suonava meglio riferita a un maschio. La “puttanascozzese” era il titolo che aveva riservato a sua madre. Aveva partorito sei mesi dopo le nozze, senzanemmeno prendersi la briga di ngere che fosse glia sua. Era stato al gioco perché così esigeva il suoorgoglio. Non importava, era una femmina e non erano nati altri gli vivi, così, dopo un po’, avevasmesso di provarci.

Tirò fuori lo specchio che aveva celato nella fasciatura del braccio. Lo aveva trovato un giorno inbiblioteca, come se aspettasse solo di essere portato via. Inoltre Eston gli doveva ancora dei diamanti. Lacornice dello specchio era molto elegante, con gli intarsi d’oro e i diamanti incastonati. Bisognavacambiare il vetro, certo, ma sarebbe stato un perfetto regalo di nozze.

Per fortuna aveva già in mente la donna giusta. Una splendida ragazza dalla voce melodiosa chequando rideva scaldava il cuore.

Anthony, duca di Herridge, sorrise pensando al giorno del suo prossimo matrimonio.

Nota dell’Autrice

Non molto tempo fa ho letto un interessante articolo sulla produzione di diamanti arti ciali. Inparticolare, mi ha colpito un passaggio in cui si parlava di un procedimento scoperto nel 1850.Sfortunatamente, della formula si persero le tracce. Da lì ha preso il via la trama di Offerta in sposa.

Il divorzio venne introdotto in Gran Bretagna nel 1857 con una legge de nita Matrimonial CausesAct, che stabiliva che un uomo potesse chiedere il divorzio per adulterio. Lo stesso poteva fare unadonna, con la differenza che, oltre all’adulterio, doveva anche provare che c’era stato incesto, oppureabbandono, crudeltà o bigamia.

Kilmarin è ispirato a diversi castelli reali, uno dei quali si trova alla foce del fiume Tay, vicino a Perth.La leggenda della Dama Bianca è presa da un castello che sorge proprio nei pressi di Perth.Il Tulloch Folly si trova su una torre, in cima a Kinnoull Hill, sempre in prossimità di Perth. La torre

fu fatta costruire da lord Gray nel 1829, sul modello dei castelli del Reno.Nel 1862, l’architetto David Smart diede il via ai lavori di restauro del Balhousie Castle, che venne in

effetti totalmente ricostruito in quanto non erano rimaste in piedi che le mura orientali.

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Offerta in sposa (I Romanzi Classic)di Karen RanneyTitolo originale: Sold to a Laird© 2009 by Karen RanneyPublished by arrangement with Avon, an imprint of HarperCollins Publishers© 2013 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., MilanoEbook ISBN 9788852036446

COPERTINA || ART DIRECTOR: GIACOMO CALLO | GRAPHIC DESIGNER: ELIANE PICCARDI | © FRANCO ACCORNERO