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1 Obesità: trattamento multidisciplinare ed educazione alimentare infantile Corsi di formazione professionale per medici, nutrizionisti, psicologi ed insegnanti Diretto e coordinato dal prof. Luca Pecchioli Le basi psicopatologiche dell’obesità Psicopatologia diagnosi e terapia dei disturbi alimentari Dott. Alberto D’Argenio Responsabile del Servizio di Psichiatria e Psicoterapia del Centro per la Terapia dell’Obesità e del Sovrappeso Istituto Neurotraumatologico Italiano INI Grottaferrata - Roma

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Obesità: trattamento multidisciplinare

ed educazione alimentare infantile

Corsi di formazione professionale per medici, nutrizionisti,

psicologi ed insegnanti Diretto e coordinato dal prof. Luca Pecchioli

Le basi psicopatologiche dell’obesità

Psicopatologia diagnosi e terapia dei disturbi alimentari

Dott. Alberto D’Argenio

Responsabile del Servizio di Psichiatria e Psicoterapia

del Centro per la Terapia dell’Obesità e del Sovrappeso Istituto Neurotraumatologico Italiano INI

Grottaferrata - Roma

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1. EMOTIVITA’ E SOVRAPPESO p. 3

2. NEUROREGOLAZIONE DELL’APPORTO ALIMENTARE p..5

3. PSICOPATOLOGIA DELL’OBESITA’ p.10

4. VALUTAZIONE DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE p.14

5. DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE p.19

6. TERAPIA PSICOFARMACOLOGICA DELL’OBESITA’ p.28

7. INTERVENTO PSICOTERAPICO SUL PAZIENTE OBESO p.35

8. APPENDICE : CLASSIFICAZIONE DSM IV TR DEI DISTURBI

ALIMENTARI E CORRELATI CON IL SOVRAPPESO p.37

9. BIBLIOGRAFIA p.47

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EMOTIVITA’ E SOVRAPPESO: DUE REALTA’ CLINICHE

CORRELATE

L’obesità è stata spesso considerata nel passato una variante morfologica dell’essere

umano più che una malattia vera e propria. L’evoluzione dell’epidemiologia e della

medicina preventiva ha dimostrato al contrario come l’obesità sia invece un

importante fattore di rischio per molti e rilevanti processi patologici di tipo

internistico. L’incremento del benessere economico unito a uno stile alimentare

ipercalorico ha reso l’obesità una delle più importanti malattie sociali del mondo

occidentale.

Sebbene molti dei meccanismi coinvolti nella regolazione della assunzione

alimentare non siano ancora completamente conosciuti, di certo si è compreso come

l’obesità sia un problema multifattoriale e complesso e che pertanto deve essere

trattato in maniera integrata e plurispecialistica che riconosce diverse “anime”

cliniche ed eziopatogenetiche.

L’esperienza clinica e gli studi in letteratura ci chiariscono quanto sia rilevante il

coinvolgimento degli aspetti emotivi nella quasi totalità dei pazienti in soprappeso e

quanto il disagio psicologico sia spesso alla base dei comportamenti alimentari

aberranti più che secondario alla percezione del proprio aspetto fisico .

La frequente presenza di sintomi ansiosi e depressivi spesso misconosciuti e

sottovalutati è comune a molti soggetti in soprappeso e viene “esorcizzata” dal

paziente attraverso una polarizzazione sul cibo che assume una valenza ansiogena e

gratificatoria. Praticamente constante è la presenza di alterazioni psichiatriche

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rilevanti in molti i soggetti con problemi di discontrollo delle abitudini alimentari in

senso binge – bulimico. Questi pazienti tendono a ingerire in un tempo

relativamente breve grandi quantità di cibo ( le cosiddette “abuffate”) in risposta a

stimoli emotivi vissuti in maniera disfunzionale. A questi comporatmenti seguono

assai frequentemente depressione del tono dell’umore e sensi di colpa che conducono

nel caso della bulimia nervosa alla messa in atto di condotte compensatorie attuate

per neutralizzare gli effetti della assunzione calorica sul peso.

Il trattamento del paziente obeso non può dunque prescindere da una approfondita

valutazione psichiatrica specialistica attraverso al quale possano essere individuate le

basi emotive del problema che spesso costituiscono l’ostacolo principale alla riuscita

di un corretto programma dietetico e comportamentale del paziente in sovrappeso.

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NEUROREGOLAZIONE DELL’APPORTO ALIMENTARE L’assunzione di cibo è regolata da diversi fattori sia di origine esogena (quantità e

qualità del cibo disponibile, influenze ambientali di tipo psicologico, culturale e

religioso) che endogena, che comprendono segnali ormonali, nervosi e metabolici che

agiscono grazie all’integrazione di circuiti specializzati che integrano informazioni di

origine sia periferica che centrale.

TAB. 1 – PRINCIPALI REGOLATORI DELL’ASSUNZIONE ALIMENTARE

Stimolatori Inibitori GABA Bombesina

Galanina Catecolamine Glicocorticoidi CCK Noradrenalina CRF

Neuropeptide Y (NPY) Insulina Centrale Oppioidi Leptina

PP Serotonina PYY Somatostatina

Le informazioni esogene ed endogene vengono integrate a livello cerebrale a livello

dell’ipotalamo. Il meccanismo utilizzato per l’insieme degli stimoli è tutt’ora oggetto

di studi il cui obiettivo è quello di valutare come possa l’ipotalamo tradurre l’insieme

degli stimoli esogeni in un unico segnale efferente che regola l’inizio e la fine

dell’assunzione del cibo. Si preferisce parlare di “aree ipotalamiche” in sostituzione

della classica concezione che vedeva nell’ipotalamo la sede del “centro della sazietà”

e del “centro della fame”.

L’area ipotalamica è costituita da un insieme di neuroni aggregati a formare i nuclei

ipotalamici e da una complessa rete nervosa che riceve afferenze da regioni visive,

limbiche e motorie. Dalle terminazioni delle cellule dell’ipotalamo vengono rilasciati

molteplici neurotrasmettitori e neuropeptidi che regolano l’introito di cibo. Il

controllo dell’introduzione alimentare risulterebbe dalla interazione tra fattori ad

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azione favorente (neuropeptide Y, noradrenalina, GABA, peptici oppioidi ecc.) e

fattori inibenti (serotonina, CRF, prostaglandine) che interagiscono secondo un

modello a cascata; su questo sistema di tipo centrale si inserisce un meccanismo

periferico responsabile dell’invio di segnali ormonali e nervosi provenienti da tratto

gastroenterico e da altri distretti (si pensi all’azione svolta dall’insulina, dagli steroidi

e dagli ormoni tiroidei, ad esempio).

Di fatto di tutti i peptici e i neurotrasmettitori dalla cui interazione deriva la tendenza

biologica all’assunzione o meno di cibo il più potente stimolatore è rappresentato dal

Neuropeptide Y (NPY).

Tratteremo ora singolarmente i principali regolatori dell’appetito descrivendone il

meccanismo d’azione e le caratteristiche biochimiche.

1. NEUROPEPTIDE Y : è un polipeptide di 36 aminoacidi che fa parte della

famiglia dei polipeptidi pancreatici ed è stato isolato per la prima volta da

Tatemoto et al. nel 1982 1 dal cervello del maiale. E’ localizzato in diverse

sedi del cervello: è presente in elevate concentrazioni nella corteccia e nel

corpo striato; alti livelli si trovano inoltre in strutture libiche quali l’amigdala,

con certezza è stato isolato anche nell’uomo sia nei nuclei adrenergici e

noradrenergici che proiettano verso l’ipotalamo , sia nei neuroni propri

dell’ipotalamo; è presente inoltre nel tronco encefalico. I livelli di NPY (del

quale sono stati isolati e recettori specifici denominati Y1, Y2 e Y32)

subiscono oscillazioni circadiane con picchi significativi all’inizio

del periodo diurno e notturno . E’ stato peraltro dimostrato che la

somministrazione di NPY nei ventricoli cerebrali 3,4 provoca un

notevole aumento dell’appetito in ratti sazi sia maschi che femmine,

unito a ad un aumento dell’assunzione di cibo durante la notte. Tutti

gli studi che hanno confrontato la risposta alimentare all’NPY

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rispetto a quella di altri stimolatori noti dell’appetito (catecolamine,

galantina, oppioidi ecc.)5 hanno chiaramente dimostrato che l’NPY è

il più potente stimolatore della fame e che nella maggioranza dei casi

l’azione dei vari regolatori inibente o stimolante avviene attraverso

proprio la regolazione della secrezione dell’NPY.

2) SEROTONINA : nel sistema nervoso centrale dei mammiferi, la serotonina

(5-HT) svolge un ruolo fondamentale nella regolazione dell’assunzione

alimentare , determinata dalle numerose vie serotoninergiche localizzate a livello

ipotalamico, prevalentemente nella porzione ventro-mediale. In particolare, si

ritiene che la maggior parte delle fibre serotoninergiche liberino la 5-HT

regolando il comportamento alimentare con effetti tonici piuttosto che con

bruschi cambiamenti 6. La serotonina avrebbe in sintesi le seguenti funzioni:

• determina un’insorgenza precoce del segnale di sazietà 7

• prolunga la durata del pasto

• riduce la quantità totale di alimenti ingeriti

• riduce l’appetibilità del cibo e in particolare dei carboidrati

• aumenta l’ingestione delle proteine

A differenza delle anfetamine la serotonina non sopprime direttamente l’appetito

ma ha un ruolo neuroregolatore sui meccanismi di fame e sazietà in gran parte

determinata dalla inibizione della neurosecrezione del NPY 8.

3. OPPIOIDI : gli oppioidi endogeni svolgono un ruolo di rilievo nei complessi

meccanismi che regolano l’assunzione di cibo. Il naloxone provoca una riduzione

dell’apporto di cibo9 , riducendo il numero di pasti giornalieri, in particolare gli

antagonisti degli oppioidi riducono l’appetibilità e quindi l’introduzione dei cibi

grassi. In realtà non vi sono dati certi e definitivi sugli esatti meccanismi

attraverso i quali gli oppioidi modulano l’assunzione del cibo, anche se i dati

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recenti hanno chiarito come vi siano importanti relazioni tra il sistema delle

endorfine e vie NPY-ergiche10 che diverrebero il tramite verosimile della azione

stimolante l’appetito degli oppioidi endogeni.

4. LEPTINA : il peso corporeo è regolato da meccanismi fisiologici di

controregolazione che determinano una riduzione dell’apporto di cibo quando si

verifica un aumento di peso. E’ stata formulata ipotizzato che l’accumulo lipidico

generi dei segnali per il cervello che informano che il corpo è in sovrappeso o

comunque è obeso : una delle molecole coinvolte in tale segnale è il prodotto del

cosiddetto “gene dell’obesità” (gene OB) che è stato recentemente clonato sia nel

topo sia nell’uomo11 e prende il nome di leptina. L’esperienza acquisita sulle cavie

di laboratorio (i topi tendevano a ipoalimentarsi e a dimagrire quando gli veniva

somministrata leptina) ci ha portato a ritenere che la leptina agisce sulla

regolazione del metabolismo influenzando diversi paramentri quali la sensazione

di fame, il consumo energetico e la temperatura corporea. La proteina legandosi al

suo recettore ipotalamico inibisce direttamente il rilascio del Neuropeptide Y

dall’ipotalamo stesso12. Numerosi studi hanno poi evidenziato come la leptina

svolga una azione complessa con glicocorticoidi 13 e insulina con la quale

specificamente può agire in maniera concorrenziale e/o sequenziale sulla

riduzione dell’apporto alimentare sempre attraverso l’inibizione dell’NPY

nell’ipotalamo. Attraverso tecniche istochimiche e di ibridizzazione in situ nel

tessuto adiposo di soggetti umani magri e obesi si è vista una massiccia

sovraespressione del gene OB nei soggetti in notevole sovrappeso. Questo dato

introduce il concetto di “leptino resistenza”14 a livello ipotalamico in alcune forme

di obesità. In altre parole la grande quantità di tessuto adiposo porta ad un

incremento del livello plasmatico di leptina nel tentativo di operare un viraggio

nell’ipotalamo del metabolismo verso una forma di dispendio energetico e di

ridotto introito calorico. Nell’ipotalamo, tuttavia, non si verifica l’evento previsto

probabilmente a causa di una resistenza verso il prodotto del gene OB. I

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meccanismi molecolari della leptino resistenza non sono ancora completamente

noti, le ipotesi più accreditate sono le seguenti :

- alterazioni strutturali del recettore della leptina

- (più verosimile) mutazioni puntiformi del gene della leptina 15 (come si verifica

nei topi ob/ob di laboratorio) per cui la proteina tradotta sarebbe meno efficace.

Queste ipotesi sono certamente affascinanti e degne di approfondimento da parte

dei ricercatori ma a tutt’oggi non sono state ancora descritte mutazioni del gene ob

umano. Tale meccanismo patogenetico è dunque teoricamente possibile ma è poco

verosimile che possa realizzarsi nella maggioranza dei casi di obesità umana.

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PSICOPATOLOGIA DELL’OBESITA’ Da alcuni anni a questa parte la letteratura scientifica si è arricchita di numerosi

lavori riguardanti i soggetti obesi e in soprappeso, a testimoniare un crescente

interesse generale della classe medica per gli aspetti psicopatologici dell’intero

ambito dei disturbi alimentari, interesse inizialmente focalizzato in maniera esclusiva

sulla anoressia e sulla bulimia nervosa.

Nel corso degli anni le diverse “scuole di pensiero” hanno variamente interpretato

l’eziopatogenesi psicologica dell’obesità e dei comportamenti di over eating in

generale.

La scuola psicanalitica freudiana accomuna per causalità l’obesità agli altri disturbi

del comportamento alimentare e ritiene che il sovrappeso derivi da un mancato o

insoddisfacente superamento della fase orale dello sviluppo psicosessuale: il paziente

obeso dunque conserverebbe come sua principale zona erogena la bocca e

utilizzerebbe il cibo come strumento di piacere con modalità consolatoria e di

appagamento 16 .

Nella elaborazione del pensiero Junghiano riguardo agli archetipi e ai complessi, i

pazienti obesi vivono la loro incapacità di risolvere il loro problema e di non riuscire

ad esercitare la volontà in maniera continuativa e definitiva come un fenomeno di

“Ombra” che potremmo definire in maniera forse semplicistica ma abbastanza

efficace come la parte ignota del Sè in cui vengono a rifugiarsi pensieri e visioni

conflittuali e negativi, in gran parte sconosciuti. Queste istanze se non accettate

possono costituire un fardello pesante che impedisce l’evoluzione psichica e la

trasformazione dell’individuo. Il soggetto obeso è quindi dominato e schiacciato dal

peso del suo problema alimentare e tende ad ignorarlo e a relegarlo nell’Ombra dalla

quale comunque, se non affrontato adeguatamente, il rapporto col cibo emerge con

tutta la sua grave e importante ambiguità (croce e delizia, appagamento e punizione).

Molto interessante e ampiamente discussa è l’ipotesi della Hilde Bruch 17 la quale

sottolinea l’importanza nella genesi dei disturbi della condotta alimentare di tipo over

eating l’incapacità delle figure genitoriali di riconoscere adeguatamente i bisogni del

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bambino. Il cibo diventa il principale strumento di risposta alle diverse esigenze del

figlio che, ricevendo il cibo in modo indipendente dai suoi bisogni , diventerà poco

capace da un lato di riconoscere le proprie sensazioni di sazietà e fame e dall’altro

ricorrerà al cibo passivamente ogni qual volta provi sensazioni sgradevoli. I genitori

tenderebbero , inoltre, a riversare sul figlio tutta una serie di angosce e desideri

frustrati, caricandolo di aspettative superiori spesso alle sue capacità.

Molti studi svolti da autori di scuola psicosomatica evidenziano la presenza tra gli

obesi di importanti tratti alexitimici18, ovvero di una struttura di personalità

caratterizzata dalla scarsa capacità di esprimere verbalmente le proprie emozioni e di

vivere in modo empatico le relazioni interpersonali . Va peraltro sottolineata la

tendenza da parte di molti soggetti obesi a reagire agli eventi stressanti o

emotivamente elicitanti mediante la monomorfa assunzione di quantità più o meno

ingenti di cibo inrepretabile come modalità patologica di espressione delle

emozioni19.

Di fatto è opinione comune tra i ricercatori e i clinici che la popolazione in

sovrappeso e più specificamente quella obesa sia più vulnerabile e predisposta allo

sviluppo di una condizione psichiatrica maggiore, con particolare riferimento ai

disturbi dell’umore e d’ansia20 . La presenza di disagio emotivo è in molti casi non

solo effetto ma anche causa dei comportamenti che determinano l’incremento

ponderale. Si viene a creare , dunque, un “circolo vizioso” che incrementa sempre più

l’entità del problema determinando una difficoltà ingravescente nello stabilire un

intervento “conservativo” ed efficace.

Molti lavori in letteratura evidenziano anche come i soggetti che si sottopongono per

lunghi periodi della loro vita a regimi alimentari restrittivi, non associati a supporto

psicologico e esercizio fisico, tendono ad essere più distraibili nelle normali attività

quotidiane, a suddividere rigidamente i cibi in accettabili o da rifiutare, ad avere

generalmente una bassa autostima e conseguentemente, sono decisamente più

vulnerabili nei confronti degli stimoli ed influenzamenti provenienti dall’ambiente

(Stunkard et al., 1992)21.

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Una chiave di lettura essenziale alla descrizione dei comportamenti alimentari della

popolazione obesa ci viene fornita dall’opera di Gerard Apfeldolfer 22, psichiatra e

psicoterapeuta francese, che ha individuato tre tipologie o “pattern” di pazienti:

1. gli IPERFAGICI PRANDIALI : questi individui tendono a mangiare grandi

quantità di cibo durante i pasti. Si distinguono in golosi, che “amano” la

convivialità, il cibo e tutto quello che ne permette una assunzione il più

possibile appagante , riuscendo ad apprezzare dei pasti consumati senza

voracità anche le più sottili caratteristiche ; e i divoratori, che tendono invece a

privilegiare la quantità sulla qualità e mangiano più velocemente dei golosi,

senza peraltro perdere il controllo sulla quantità. Spesso questa modalità

alimentare è egosintonica, talvolta nasconde delle istanze gratificatorie che

hanno la finalità di appagare e compensare situazioni di disagio emotivo più o

meno marcato.

2. i GRIGNOTTEURS: per grignottage o nibbling si intende il “piluccare”

piccole quantità di alimenti spesso molto calorici (dolci, cibi grassi) durante la

giornata. Spesso questo comportamento costituisce col tempo un vero e proprio

modello alimentare della persona. In genere il grignoteur mangia lentamente e

apprezza quello che sta mangiando, tuttavia spesso il suo comportamento

alimentare avviene in risposta a noia, malesseri fisici vari e può avere valore

ansiolitico.

3. i BINGE EATERS : l’alimentazione incontrollata è caratterizzata da comparsa

di crisi di voracità durante le quali il soggetto ingerisce grosse quantità di cibo

in poco tempo in risposta spesso a situazioni o eventi che provocano disagio

emotivo. A differenza della bulimia nervosa, nel disturbo da alimentazione

incontrollata i pazienti non utilizzano tecniche evacuative volte a compensare

l’abuso alimentare. E’ la condizione più “patologica” delle tre e maggiormente

correlata alla presenza di importanti alterazioni della sfera affettiva.

Come frequentemente avviene nelle condizioni psicopatologiche, possiamo ritrovare

nello stesso paziente caratteristiche di tutte e tre le categorie proposte da Apfeldolfer.

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Più frequentemente nel corso della storia clinica dei nostri pazienti possiamo

ritrovare la tendenza ad una evoluzione “peggiorativa” e patologica dei disturbi non

trattati , a testimonianza di una sempre maggiore valenza della valutazione

psichiatrica dell’obesità.

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VALUTAZIONE DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE Sempre più diffuse per la loro utilità quantitativa, l’oggettività dei risultati e

soprattutto la confrontabilità dei dati ottenuti nei diversi individui, i test psicometrici,

le interviste strutturate psichiatriche e il diario alimentare hanno una crescente

importanza sulla valutazione del comportamento alimentare. Nel seguente capitolo

cercheremo di analizzare brevemente questi strumenti di valutazione, pur tenendo a

sottolineare e ribadire l’importanza della interazione col paziente e del colloquio

clinico che resta a mio giudizio il momento centrale dell’esercizio psicodiagnostica in

terapia.

A. TEST PSICOMETRICI

Al fine di superare le difficoltà nella raccolta della anamnesi specifica sul

comportamento alimentare, si è diffuso negli ultimi anni l’impiego di valutazioni

psicometriche (in particolare autosomministrate) che permettono di misurare

l’atteggiamento verso il cibo ed il comportamento alimentare ottenendo risultati

numerici. L’esito del test può poi essere valutato sulla base di valori di riferimento.

Una raccolta di dati numerici offre informazioni importanti per il completamento

della anamnesi clinica, per l’evoluzione dei comportamenti nel tempo e per verificare

l’efficacia della terapia. Ovviamente i dati numerici ottenuti dai test sono di

fondamentale importanza per tutti coloro che intendono svolgere attività di ricerca sul

campo dei disturbi del comportamento alimentare.

Mi preme sottolineare in questa sede come i test possono essere utilizzati soltanto se

sono stati adeguatamente validati, cioè eventualmente tradotti dalla lingua originale e

sottoposti a una serie di verifiche che ne dimostrano la validità :

- Coerenza Interna : grado di correlazione esistente tra i punteggi dei singoli

items e il punteggio totale del test.

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- Stabilità Test- Retest : in un test affidabile, non ci saranno risultati troppo

dissimili in uno stesso test somministrato a uno stesso individuo a distanza di

tempo dalla prima compilazione.

- Stabilità inter operatore : i risultati di un test valido effettuato su uno stesso

individuo non cambiano col cambiare dell’operatore che esegue la

misurazione.

- Struttura fattoriale : verifica attraverso analisi statistiche se un test è omogeneo

o misura diverse grandezze contemporaneamente (sottoscale).

- Validità concorrente : un test efficace deve essere correlabile con altri test che

misurano la stessa grandezza o entità correlate.

- Validità divergente : un test valido è anche specifico e dunque non dovrebbe

mostrare correlazioni con grandezze non correlate con ciò che si vuole

valutare.

- Validità predittiva: misura la capacità di predire il decorso, la prognosi, la

risposta alla terapia o altri parametri significativi dal punto di vista clinico.

Come detto, la quasi totalità dei test psicometrici utilizzati nello studio di

comportamenti alimentari è rappresentata da questionari autosomministrati, liste di

domande alle quali il paziente risponde da solo; ad ogni domanda corrisponde un

punteggio , che viene utilizzato nel calcolo del risultato finale del test.

Si tratta di strumenti molto pratici, di facile compilazione e adatti a ampi studi di

popolazione. Questi questionari, tuttavia, hanno vari limiti, tra i quali ricordiamo la

possibilità che i termini possano essere fraintesi, che il soggetto possa non

comprendere il senso di ciò che si vuole sapere, oppure che il soggetto possa fornire

volontariamente informazioni errate.

Per questo motivo, i test non possono mai essere utilizzati da soli per la formulazione

di diagnosi cliniche circostanziate.

Nella tabella che segue, sono elencati i principali strumenti psicodiagnostici

utilizzati nel mondo per la valutazione del comportamento alimentare dei soggetti

obesi . La maggior parte di questi sono stati sviluppati e validati tra la fine degli anni

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’80 e la prima metà degli anni novanta, periodo in cui si è preso coscienza

dell’impatto e della gravità dei disturbi alimentari psicogeni.

PRINCIPALI QUESTIONARI DI VALUTAZIONE

PSICOMETRICA DELL’OBESITA’

BSQ Binge Scale Qustionnaire Hawkins and Clamant, 198023

BT Bulimia Test Smith and Thelen, 1984 24

BES Binge Eating Scale Gormally et al., 1982 25

BITE Bulimic InvestIgation Test Of Edimburg Henderson et al., 1987 26

ESI Eating Simptoms Inventory Whitaker et al., 1989 27

QEWP-R Quest. on Eating and Weight Pattern- R Spitzedr et al., 1993 28

DIET Dieter’s Inventory of Eating Temptations Shlundt et al., 1988 29

SDS Situation Based Dieting Self Efficacy Scale Stotland et al., 1991 30

SAM Situational Appetite Measure Stanton et al., 1990 31

ESES Eating Self Efficacy Scale Glynn and Rudermann, 1986 32

TFEQ Three Factor Eating Questionnaire Stunkard and Messick, 1985 33

EAT Eating Attitude Test -40 Garner et al., 1982,1983 34- 35

EDI -2 Eating Disorder Inventory- 2 Garner et al., 1991 36

FFS Forbidden Food Survey Ruggiero et al., 1988 37

ECQ Eating Related Characteristic Questionnaire Mehrabian, 1987 38

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B. TEST DI VALUTAZIONE DELL’IMMAGINE CORPOREA

Questi test rappresentano un’altra importante area di valutazione dell’obesità. La

veridicità nella valutazione della immagine corporea e le sue ripercussioni sullo stato

d’animo del soggetto possono fornire importanti informazioni non solo dal punto di

vista psicopatologico ma anche sulla natura delle motivazioni che possono spingere

il soggetto a decidere in maniera congrua e determinata di voler cambiare il proprio

aspetto. I test specifici possono essere distinti in tre categorie principali:

a) misurazioni percettive , che valutano il grado di accuratezza della percezione di

parti del proprio corpo

b) indici soggettivi, che valutano gli aspetti affettivi e cognitivi del disturbo

dell’immagine corporea

c) valutazione del comportamento evitante di fronte a situazioni problematiche

(ad esempio situazioni di esposizione al giudizio degli altri).

Il questionari più ampiamente utilizzato a tutt’oggi è il Multidimensional Body Self

Questionnaire (Brown et al., 1990 39) nel quale vengono esplorati il grado di

soddisfazione per il proprio peso e taglia corporea, la preoccupazione per il proprio

aspetto nella sua globalità e gli aspetti cognitivi e comportamentali che riflettono

l’importanza della propria immagine per l’individuo.

C. INTERVISTE STRUTTURATE

Le interviste strutturate sono strumenti di approfondimento che si sono diffusi

ampiamente negli ultimi anni nello studio dei disturbi della condotta alimentare. Si

tratta di una successione di domande preordinate che l’intervistatore deve rivolgere

al paziente, classificando ciascuna risposta entro uno schema preordinato. A

differenza delle interviste semistrutturate, l’operatore non ha margini di libertà nella

riformulazione delle domande ma le frasi da utilizzare sono impostate rigidamente

così come le eventuali domande accessorie di approfondimento. L’effettuare una

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intervista strutturata rispetto a un questionari dà delle informazioni più approfondite e

dettagliate, riduce l’impatto della insincerità deliberata e un approfondimento delle

situazioni dubbie, fattori che determinano la possibilità di formulare diagnosi

circostanziate . La lunghezza nell’effettuare queste interviste e la necessità di

personale addestrato alla somministrazione ne limita l’uso rispetto ai questionari nella

pratica psicodiagnostica.

INTEVISTE STRUTTURATE PER LO STUDIO DEI DCA

(tradotte in Italiano e validate)

SCID Structured Clinical Inteview for DSM III R Stitzer et al., 1987

SCID 2 Structured Clinical Inteview for DSM IV APA, 1995

EDE 12.0 Eating Disorder Examination Cooper and Fairburn, 1987 40

D. DIARIO ALIMENTARE

Ampiamente utilizzato nell’ambito del monitoraggio dietetico, il diario alimentare

può essere impiegato anche per la valutazione della compliance della terapia

farmacologica e dei vissuti emotivi correlati all’assunzione del cibo. L’analisi di un

diario alimentare compilato con coerenza e veridicità può certamente essere uno

strumento importante per il monitoraggio del paziente in ambito dietetico e

psicoterapeutico, andando anche ad agire sulla motivazione al cambiamento.

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DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE Come più volte affermato nei capitoli precedenti, il problema dell’obesità si articola

in maniera varia e importante con le patologie psichiatriche. In alcuni casi , come

detto, il disagio psicologico deriva ed è secondario alle conseguenze fisiche del

sovrappeso con vissuti di vergogna ed indegnità che influenzano lo stato d’animo del

paziente che si sente brutto e diverso dagli altri . Questi sentimenti negativi possono

determinare a loro volta un ulteriore peggioramento dei comportamenti alimentari : il

paziente in un certo senso si sente sempre più senza speranza e tende a “lasciarsi

andare”, entrando in una circolo vizioso frustrante e distruttivo.

I dati della letteratura scientifica e l’esperienza clinica quotidiana evidenziano

tuttavia che nella maggioranza dei casi i soggetti obesi sono affetti primariamente da

un disturbo della sfera affettiva che amplifica e determina i comportamenti alimentari

che sono alla base del suo sovrappeso 20.

Possiamo sintetizzare schematicamente quattro “situazioni tipo” di fronte alle quali

possiamo trovarci lavorando con i pazienti obesi:

1. paziente con problemi d’ansia per lo più generalizzata che tendono a

“esorcizzare” queste problematiche con il cibo che viene utilizzato per

allentare la tensione . Il paziente tende per lo più a piluccare in risposta alla

tensione nervosa e nei momenti di stress emotivo senza accorgersi in molti casi

della quantità di cibo ingerito al di fuori dei pasti.

2. soggetto con problemi della sfera affettiva riconducibili a depressione del tono

dell’umore : in questi casi i pazienti utilizzano il cibo in maniera gratificatoria

e consolatoria con frequenti abusi alimentari caratterizzati il più delle volte

dalla presenza di dolci e alimenti particolarmente ricchi di calorie.

3. ingestione di grosse quantità di cibo in risposta o meno ad attivazioni emotive

negative : il soggetto affetto da questa condizione (binge eating disorder)

assume grandi quantità di cibo in poco tempo (abbuffate) senza far ricorso

successivamente a condotte evacuative.

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4. presenza di ricorrenti episodi di abuffate con perdita di controllo riguardo alla

quantità di cibo ingerita seguite da condotte di tipo evacuativo al fine di

impedire l’aumento del peso. Questi comportamenti possono esitare in una

vera e propria condizione di bulimia nervosa.

Come frequentemente avviene per i disturbi dell’emotività i confini tra le diverse

condizioni non sono mai netti, motivo per il quale possiamo trovare le caratteristiche

delle manifestazioni sopra citate presenti contemporaneamente nello stesso individuo

o in fasi diverse della sua patologia.

In alcuni casi tra l’altro oltre alla presenza di “comorbidità” tra diverse condizioni

psicopatologiche , non è possibile giungere a una precisa diagnosi psichiatrica

categoriale secondo i criteri delle classificazioni internazionali (DSM IV 41,ICD 10 42)

pur riconoscendo a rilevanza della sofferenza della persona che esaminiamo. Per tale

ragione una valutazione attenta delle dimensioni psicopatologiche, ovvero degli

elementi psicologici alterati dei pazienti (rabbia, impulsività, umore depresso, ansia,

scarsa tolleranza alle frustrazioni, spesso riscontrabili negli obesi), può aiutarci

notevolmente nella valutazione e nelle modalità dell’intervento che intendiamo

compiere.

Andiamo adesso a definire le caratteristiche dei principali disturbi del comportamento

alimentare citando anche l’anoressia nervosa, dal momento che talvolta nella storia

clinica di molte pazienti bulimiche sono presenti fasi di “sporche” caratterizzate

dalla presenza di sintomi e comportamenti tipicamente anoressici.

BINGE EATING DISORDER

Il disturbo da alimentazione incontrollata, inserito nella categoria “disturbi della

alimentazione non altrimenti specificati” del DSM , è un quadro clinico caratterizzato

dalla frequente comparsa di crisi di voracità durante le quali il paziente assume grandi

quantità di cibo in poco tempo, senza far ricorso successivamente , a comportamenti

di tipo evacuativo. L’elemento caratteristico del disturbo è la perdita di controllo

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sulla quantità di cibo ingerita. Tale comportamento alimentare è di notevole interesse

in quanto rappresenta il pattern clinico di molti pazienti obesi e può , qualora insorga

in età adolescenziale, favorire l’insorgenza di altri disturbi del comportamento

alimentare, in particolare per quel che concerne la bulimia nervosa.

Il Binge Eating Disorder si caratterizza soprattutto per il totale fallimento di ogni

tentativo di autocontrollo rispetto alla ingestione del cibo rispetto alla anoressia in cui

il controllo è massimo e trionfante e della bulimia in cui risulta perdente e scatena

comportamenti compensatori dolorosi vissuti spesso come unica soluzione rispetto al

fallimento. Il fatto che non vengano attuate condotte compensatorie tuttavia, non

indica necessariamente l’assenza di rimorso o angoscia per i comportamenti di over

eating, in particolare se si considera il fatto che i soggetti affetti da questo disturbo

sono il più delle volte gravemente obesi e quindi afflitti da tutti i problemi di scarsa

autonomia personale e disistima che derivano dal questo stato.

I comportamenti tipo abbuffata vengono generalmente associati a uno stile alimentare

di base iperfagico e a sintomi ansiosi e depressivi che possono tanto essere causa

quanto effetto del disturbo.

Numerosi studi indicano come caratteristica comune ai binge eater uno stile

d’attaccamento insicuro verso le figure infantili 43 e una tendenza inveterata e che

risale all’infanzia all’appagamento dei desideri e delle frustrazioni attraverso

l’ingestione alimentare. Dal punto di vista neurotrasmettitoriale, come per molti

disturbi della sfera emotiva e per i disturbi dello spettro impulsivo, è verosimile la

presenza di un deficit della funzione serotonimergica 44. Questo dato viene a

confermare e confortare la comorbidità frequente nei binge eaters con disturbi

affettivi e di discontrollo degli impulsi 45.

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BULIMIA NERVOSA

La bulimia Nervosa è un disturbo mentale a quasi esclusivamente presente nella

popolazione adolescente e giovane- adulta, la cui prevalenza è del 1- 2%. La malattia

è dieci volte più frequente nelle femmine rispetto ai maschi. L’età di insorgenza è

sovrapponibile a quella dell’anoressia, alla quale è frequentemente associata nella

storia clinica delle pazienti. Fino a circa quindici anni fa veniva considerata una

variante della anoressia, con la quale peraltro presenta delle importanti similitudini:

entrambi i disturbi possono condividere la presenza di crisi bulimiche, le restrizioni

dell’apporto calorico, le condotte di eliminazione, la paura patologica dell’aumento

del peso, nonché una valutazione inadeguata del proprio aspetto fisico. In ogni caso,

la Bulimia non conduce mai all’emaciazione riscontrabile a differenza della

Anoressia Nervosa, talora è possibile che la paziente che ci si presenta all’attenzione

possa essere in lieve o discreto sovrappeso. Come vedremo per l’Anoressia, la

Bulimia riconosce una genesi polifattoriale. Certamente l’affermarsi di modelli di

bellezza improntati alla magrezza, alla efficienza fisica, al controllo delle dimensioni

e delle forme del corpo, tipiche dei paesi occidentali, ha certamente facilitato lo

sviluppo di un disturbo che è praticamente assente nelle culture orientali e nel terzo

mondo. Le famiglie delle pazienti con problemi bulimici sono spesso problematiche e

contraddittorie con una forte tendenza alle richieste prestazionali (in particolare per

ciò che riguarda l’anoressia nervosa) e presenza di vissuti abbandonici reali e

affettivi. Le interazioni patologiche della famiglia “bulimica” 46 sono tipicamente

rappresentate da madri iperprotettive e ambivalenti, padri assenti o poco autorevoli,

messaggi verbali e non caratterizzati da contraddittorietà.

Tutte le pazienti mostrano una forte labilità emotiva della quale il discontrollo

alimentare è spesso il principale ma non l’unico fenomeno: la ragazza bulimica ha

difficoltà a gestire tutte le sue emozioni, mostra compromissione significativa del

tono dell’umore e problemi d’ansia situazionale (le occasioni di “esposizione” al

giudizio degli altri in particolare in occasioni conviviali ad esempio). Una quantità

sempre maggiore di studi riconosce come causa possibile di questi fenomeni uno

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stile insicuro dell’attaccamento 47 provocato da un alterato rapporto con le figure di

riferimento infantili che viene a perpetuarsi anche durante l’adolescenza, evidenza

peraltro comune a molte altre alterazioni psicopatologiche nell’ambito dei disturbi

affettivi.

Molto interessante peraltro sono anche le osservazioni secondo le quali la Bulimia

rappresenterebbe un grave disturbo da deficit del controllo degli impulsi 48 e che, in

quanto tale, potrebbe essere riconducibile in parte ad una ipofunzionalità del sistema

serotoninergico.

La caratteristica essenziale del quadro clinico è data dalla presenza di crisi bulimiche,

cioè dal ripetersi di episodi caratterizzati dalla ingestione di grandi quantità di cibo, a

cui seguono assai frequentemente depressione del tono dell’umore con

autosvalutazione e importanti idee di colpa. Dopo l’abbuffata la paziente mette in

atto comportamenti volti ad eliminare il cibo ingerito o a neutralizzarne l’effetto

sull’aumento ponderale. La crisi bulimica vine descritta da Joice Mc Dugall come

una “tossicomania senza droga”, una forma di dipendenza alla quale la paziente cerca

di resistere talvolta in maniera quasi disperata. Improvvisamente la sua volontà viene

meno, così come la capacità di controllo e comincia l’abbuffata: i cibi vengono di

solito ingurgitati senza essere assaporati e spesso sono alimenti fortemente calorici al

punto che in una crisi bulimica si possono ingerire anche più di 10000 calorie.

Successivamente i sensi di colpa portano la paziente a indursi il vomito, frequente è il

riscontro nelle pazienti bulimiche gravi di callosità sul dorso delle dita per il ripetuto

sfregamento contro i denti durante l’introduzione delle dite in gola (segno di Russel).

Molte pazienti bulimiche ricorrono anche ai lassativi, ai diuretici e talora ad una

attività sportiva iperintensa con la quale tentano di “bruciare” le calorie ingerite.

Come detto le pazienti bulimiche sono in normopeso e in lieve sovrappeso (casi meno

gravi o fasi particolari della patologia), è possibile nei casi gravi l’insorgenza tuttavia

di gravi complicanze di tipo medico correlate con le metodiche di eliminazione

utilizzate: il vomito ripetuto può determinare squilibri idroelettrolitici con alcalosi

metabolica, ipopotassiemia, ipocloremia e marcata disidratazione, a cui possono fare

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seguito danni renali di varia entità e disturbi cardiaci ingravescenti fino addirittura

all’asistolia. Complicanze più rare sono la lacerazione gastrica e la rottura

dell’esofago. Spesso le parotidi sono aumentate di volume, mentre l’abuso di lassativi

rende conto dei dolori addominali spesso riferiti, così come il contatto dell’acido

gastrico con lo smalto dentario può portare a erosioni dei denti .

E’ ovvio che per motivazioni sia di tipo chirurgico (fortissimi rischi pre e post

operatori e per tutto il periodo del posizionamento) che di tipo psicopatologico (si

andrebbe in un certo senso ad assecondare la patologia della paziente trascurandone

le reali motivazioni psicologiche che devono essere il primo bersaglio della terapia) è

assolutamente controindicato il posizionamento del palloncino intragastrico anche

nelle pazienti meno gravi e in sovrappeso.

In una elevata percentuale di casi, le crisi bulimiche tendono a protrarsi nel tempo,

spesso per molti anni se non trattate adeguatamente. Talora assistiamo ad una

evoluzione in una anoressia sporadicamente intervallata da crisi bulimiche o da

periodi di iperfagia o condotte di binge eating. In molti casi la malattia assume un

decorso intermittente, con alternanza di periodi di relativo benessere e periodi critici

che insorgono a seguito di vicende emotive avverse: queste possono portare la

paziente bulimica ad un nuovo “scompenso” a testimonianza della grande fragilità

emotiva di queste pazienti che hanno un idea e una definizione di sé completamente

esternalizzata e dunque drammaticamente dipendente dagli stimoli e dai giudizi

provenienti dal mondo esterno.

Questa fragilità deve essere l’obiettivo della psicoterapia (vd relativo capitolo) che va

associata ad una corretto approccio farmacologico. E’ dimostrato da un ingente mole

di studi controllati come l’associazione di psicoterapia 49,50 e farmaci attivi sul

sistema serotoninergico possano aumentare in frequenza e durata i periodi liberi da

malattia,la severità delle manifestazioni psicopatologiche fino a una remissione

completa e continuativa.

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ANORESSIA NERVOSA

Questa grave patologia colpisce l’1% della popolazione femminile adolescente

giovane adulta. Ha una netta prevalenza nel sesso femminile, anche se il 5 % dei

nuovi casi, soprattutto negli ultimi anni, sono di sesso maschile. L’età di insorgenza

del disturbo è generalmente compresa tra i 12 e i 19 anni, anche se sempre più spesso

vengono riportati casi ad insorgenza sia precoce che tardiva.

L’anoressia nervosa, che ha trovato una propria autonomia nosografia soltanto negli

ultimi due decenni, ha delle caratteristiche premorbose tipiche : si tratta di bambine o

adolescenti tendenzialmente timide, apparentemente remissive, introverse,

perfezioniste e competitive, con un rendimento scolastico spesso superiore alla

media, tese ad ottenere il massimo da ogni prestazione. L’esordio è in genere

graduale e insidioso: la ragazza talvolta è realmente in sovrappeso ed intraprende una

dieta dimagrante per perdere i chili di troppo; altre volte inizia a ridurre

l’introduzione di cibo riferendo calo dell’appetito e difficoltà nel digerire. Il

dimagrimento sempre più contrasta con il dinamismo e l’intensa attività fisica della

paziente anoressica che nega l’esistenza di un problema corporeo nonostante sia

insorta nel frattempo l’amenorrea e l’aspetto della paziente risulti spesso trasfigurato

rispetto alle sembianze abituali. Si assiste ad un progressivo distacco dalle

contingenze materiali a favore di quelle spirituali, fino a raggiungere talvolta una

esaltazione che assume le caratteristiche dello slancio mistico, mentre il tono

dell’umore si orienta spesso verso una depressione che può assumere caratteristiche

di estrema gravità. L’anoressica continua ad avere fame, ma il desiderio di magrezza

è preponderante e la resistenza nei confronti del cibo persiste a dispetto dell’evidenza

del deperimento organico che talvolta assume le caratteristiche della cachessia.

La famiglia vive il digiuno di uno dei suoi componenti come un rifiuto, una

negazione, un gesto di rottura un comportamento antisociale; soprattutto la madre a

sentirsi rifiutata, ma l’anoressica continua nel suo comportamento passivo -

aggressivo di rifiuto del cibo: anche l’ingestione di una modesta quantità di alimenti

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modifica la sua immagine corporea e la fa gonfiare, tanto che per sbarazzarsi delle

calorie ingerite, ricorre all’uso di lassativi, diuretici, emetici, si induce

meccanicamente il vomito e talora pratica l’esercizio fisico in maniera incongrua ed

eccessiva. Il comportamento alimentare protratto può condurre a grosse anomalie

metaboliche e internistiche le principali delle quali sono :

- aumento dell’azotemia e delle transaminasi

- iponatremia e ipopotassiemia

- acidosi o alcalosi metabolica

- leucopenia, anemia sideropenica

- elevati livelli di CRF

- diminuzione di estrogeni, gonadodropine, ormoni tiroidei

- perdita dei ritmi circadiani di produzione del cortisolo

- bradicardia e altre alterazioni del ritmo.

Nello specifico, le alterazioni metaboliche relative in particolare all’asse ipotalamo –

ipofisi -surrene (gonadi) contribuirebbe secondo molti studi al mantenimento del

disturbo.

Il decorso della patologia è molto variabile. Alcuni soggetti vanno incontro a

remissione completa dopo un singolo periodo di malattia. In altri casi si alternano

periodi di ripresa a ricadute periodiche, con crisi bulimiche intercorrenti. In una

importante percentuale di casi si assiste al cronicizzarsi del disturbo che determina

una campromissione sociale, psicofisica e lavorativa spesso drammatica. Queste

pazienti vanno incontro in circa l’80% dei casi a episodi depressivi e d’ansia51 in

comorbidità con il disturbo alimentare. In una discreta percentuale di casi , il

deterioramento organico e la marcata compromissione organica rendono necessario il

ricovero ospedaliero in un reparto medico, onde evitare la morte per cachessia, che si

verifica all’incirca nel 10% delle pazienti ricoverate. Il suicidio è evento

fortunatamente poco frequente ma presente in una piccola percentuale di casi (3 – 4

% dei casi).

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L’approccio terapeutico al problema dell’anoressia non può che essere

pluridisciplinare e coinvolge lo psichiatra (terapia farmacologica antidepressiva e

antipsicotica qualora sia presente una alterata percezione corporea o temi deliranti del

pensiero), lo psicoterapeuta sia a livello singolo che di gruppo 52, gli internisti (per la

valutazione della compromissione fisica generale e metabolica), l’endocrinologo e i

nutrizionisti con l’impostazione di una rieducazione nutrizionale adeguata alle

necessità della paziente. La gestione dovrà avvenire a livello ospedaliero qualora le

condizioni fisiche e psichiche appaiano nella loro gravità.

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TERAPIA PSICOFARMACOLOGICA DELL’OBESITA’

L’evidenza di un coinvolgimento della sfera emotiva nella genesi dei comportamenti

alimentari aberranti e la presenza di veri e propri sintomi psicopatologici primari o

secondari alle variazioni dell’aspetto corporeo tipici dell’obesità rendono talora

indispensabile l’intervento dello psichiatra sul soggetto in sovrappeso.

E’ dimostrato dall’evidenza clinica e dai risultati di studi sperimentali a livello

internazionale la grande utilità della terapia psicofarmacologica nel compensare e

migliorare le condizioni dell’obeso. Vanno tenuti ben presenti a mio giudizio alcuni

presupposti fondamentali nell’impostare una terapia adeguata ed efficace 53 :

- la terapia deve essere basata su criteri di scelta razionale e guidata da evidenze

sperimentali, privilegiando ove possibile le monoterapie alle associazioni di

più principi attivi.

- Evitare l’utilizzo di farmaci che possano incrementare l’aumento ponderale o

limitare l’efficacia della restrizione alimentare.

- Privilegiare l’utilizzo di farmaci che possano realmente avere una efficacia

sugli squilibri neurobiologici 54 alla base dei comportamenti di over eating a

dispetto di terapie puramente sintomatiche e dai pesanti risvolti collaterali

(anfetamine e sostanze anfetamino- simili) che possono produrre alterazioni

gravi del sonno, dell’umore, del ritmo cardiaco, del controllo dell’ansia e in

taluni casi slatentizzare o indurre disturbi di area psicotica, oltre ovviamente a

provocare col tempo una pesante dipendenza psicologica.

Bisogna peraltro considerare che se da una parte la “normalità” non è assumere

farmaci, dall’altra la presenza di un disagio psichico nelle sue diverse forme è

spesso una causa importante nella genesi e nel mantenimento della condizione di

sovrappeso ed è talora l’elemento determinante di molti fallimenti terapeutici.

Pertanto, una terapia per essere efficace deve essere adeguata sia per durata che per

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entità di dosaggio, in modo da portare una volta ultimata un reale e significativo

benessere e diminuire fortemente la possibilità di ricadute o peggioramenti.

Molto importante nell’instaurare una terapia farmacologica è, infine, la valutazione

delle condizioni internistiche del paziente (che possono controindicare da esempio

l’assunzione di un determinato farmaco) e le componenti corporee del paziente , che

devono essere attentamente considerate in termini farmacocinetici nell’ambito di una

terapia che utilizza molecole fortemente lipofile.

Andiamo ora ad analizzare l’uso e l’efficacia delle classi farmacologiche che

vengono impiegate nel trattamento dei problemi psichiatrici correlati all’obesità.

1. INIBITORI DEL REUPTAKE DELLA SEROTONINA.

Queste molecole, inibendo il riassorbimento delle vescicole del

neurotrasmettitore serotonina, ne aumentano la concentrazione a livello del vallo

sinaptico. Il razionale dell’utilizzo di queste molecole nel sovrappeso è

determinato da quattro aspetti importanti:

- in molti pazienti obesi ritroviamo la presenza di sintomi o veri e propri disturbi

di tipo ansioso e/o depressivo che riconoscono come substrato biologico una

compromissione più o meno marcata del sistema serotoninergico 55- 56.

- La dimensione “impulsività” tipica di molti pazienti con disturbi del

comportamento alimentare (vedi Binge Eating disorder e Bulimia Nervosa)

riconosce anch’essa una eziopatogenesi di deficit della trasmissione

serotoninergica il che giustifica l’utilizzo crescente in questo ambito degli

SSRI , la loro buona efficacia e le sempre più rilevanti evidenze sperimentali

che supportano i dati della quotidianità clinica47.

- La serotonina è coinvolta nella regolazione dell’introito alimentare come

inibitore del senso di fame.

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- Gli effetti collaterali tipici di questi farmaci (inappetenza, senso di sazietà,

lieve nausea) possono essere secondariamente sfruttati per favorire un regime

dietetico.

Le molecole che appartengono alla classe degli SSRI sono :

1. 1.fluoxetina: è il farmaco storicamente più utilizzato e studiato nella

terapia della bulimia e nel binge eating disorder, il dosaggio efficace in

questi disturbi varia da 40 mg a 80 mg die.

2. Sertralina : anch’esso molto sperimentato ed efficace, più consigliabile

rispetto alla Fluoxetina se è presente una sintomatologia ansiosa. Il

dosaggio efficace è compreso tra i 100 e i 300 mg al giorno.

3. Citalopram ed Es-Citalopram : non molto utilizzati sinora , bene in

comorbidità con ansia e depressione. Da consigliare nei casi in cui vi

siano problemi di metabolismo e funzionalità epatica. Il dosaggio

giornaliero è compreso tra 20 e 80 mg per il citalopram e 10 e 40 mg

per il suo enantiomero.

4. Fluvoxamina: non particolarmente indicato, tra gli SSRI è quello che più

degli altri può indurre un certo sovrappeso per la sua blanda zione

antistaminica. Il dosaggio efficace è da 100 a 300 mg /die.

5. Paroxetina: indicato se si riscontra una presenza contemporanea di un

disturbo depressivo e di una significativa quota d’ansia. L’efficacia

terapeutica è compresa tra i 20 e gli 80 mg al giorno.

Ultimamente sta trovando applicazione anche nella terapia farmacologica dei disturbi

alimentari la Venlafaxina 57 che inibisce contemporaneamente il reuptake della

serotonina e della noradrenalina con rapporto 5 a 1 (dosaggio terapeutico compreso

tra 75 mg e 300 mg al giorno).

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2. ANTIDEPRESSIVI TRICICLICI

Queste molecole trovano indicazione in tutti i casi in cui vi è un disturbo depressivo o

d’ansia rilevante dal punto di vista clinico e che non risponde alla terapia con

molecole di nuova generazione meno gravate dalla presenza dagli effetti collaterali

determinati dalla attività anticolinergica (secchezza delle fauci, stipsi, ritenzione

urinaria, alterazioni cognitive) e antistaminergica (aumento dell’appetito, lieve

sedazione). Questi stessi effetti collaterali ci portano a controindicare queste molecole

nei pazienti affetti da alterazioni del ritmo cardiaco o gravi cardiopatie ischemiche in

atto o pregresse, insufficienza renale e glaucoma ad angolo chiuso. Possono essere

considerati invece farmaco di prima scelta nel trattamento della Anoressia Nervosa e

degli aspetti depressivi ad essa correlati anche in virtù della loro azione di

stimolazione dell’appetito . Le molecole “storiche” di questa classe e attualmente

ancora fortemente utilizzate sono:

- Imipramina (dosaggio giornaliero efficace compreso tra 75 e 300 mg)

- Clomipramina (dosaggio giornaliero efficace compreso tra 75 e 300 mg)

- Desipramina (da 75 a 150 mg / die).

- Amitriptilina (da 50 a 250 mg /die).

3. INIBITORI DELLE MONOAMINO OSSIDASI

Queste molecole trovano indicazione esclusiva nei pazienti affetti da depressione

con manifestazioni atipiche e/o resistenti a altre terapie farmacologiche. Per

l’aumento ponderale da loro indotto e per la notevole quantità di possibili

interazioni nocive con altri farmaci e con alcuni alimenti (con le limitazioni

dietetiche che ne deriverebbero) il loro uso nei disturbi alimentari e ristretto a

rari casi.

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4.STABILIZZATORI DEL TONO DELL’UMORE

Vengono utilizzati solo ed esclusivamente nei casi di franca comorbidità con

disturbo bipolare o forte tendenza alla impulsività e agli acting aggressivi auto o etero

diretti. I tre stabilizzatori del tono dell’umore “storici”, ovvero Carbamazepina,

Valproato di Sodio e Litio, inducono tutti e tre sovrappeso (in particolare gli ultimi

due) e dunque non trovano particolare indicazione nella terapia di questi disturbi. Nel

caso sia necessaria peraltro la somministrazione di sali di litio va attentamente

monitorata la funzionalità tiroidea e renale.

Negli ultimi anni si è studiato ed è stata valutata l’efficacia di diverse nuove molecole

tra gli stabilizzatori dell’umore (Lamotrigina58, Oxcarbazepina, Topiramato) ; tra

queste si è mostrata abbastanza efficace la Lamotrigina che peraltro non induce

particolari variazioni ponderali in chi la assume.

5. ANTIPSICOTICI

Come per gli stabilizzatori dell’umore, queste molecole vanno utilizzate solo in

presenza di problematiche rilevanti di tipo psicotico o qualora ci troviamo di fronte a

gravi problemi nel controllo degli impulsi e della aggressività. Oltre a gli effetti

collaterali classici delle molecole neurolettiche di prima generazione (rigidità,

tremore, acatisia, sedazione, discinesie ecc.), va anche considerato che la quasi

totalità di queste molecole produce aumento ponderale. Detto sovrappeso, così come

per gli stabilizzatori dell’umore, è indotto da un aumento dell’appetito (conseguenza

della loro attività antistaminica) e dalla interferenza con il metabolismo dei

carboidrati verso i quali i pazienti in terapia neurolettica hanno maggiore craving.

Nei casi in cui sia strettamente necessaria la prescrizione neurolettica, è opportuno

orientarsi su nuovi antipsicotici privilegiando tra questi quelli che incidono meno dal

punto di vista ponderale (Risperidone, Quetiapina). In alcuni casi di pazienti trattati

in cronico con determinati antipsicotoci , quali ad esempio la Olanzapina e soprattutto

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da Clozapina, assistiamo ad aumenti ponderali farmaco indotti di notevole rilevanza e

che una restrizione dietetica solo in parte riesce a compensare.

6.ANSIOLIOTICI

Questi farmaci vanno utilizzati quando si evidenziano problematiche d’ansia che è

necessario trattare in tempi brevi attenuando la sintomatologia . L’azione ansiolitica

delle molecole benzodiazepiniche è molto utile anche nella attenuazione di quegli

stati ansiosi situazionali che si attivano in presenza del cibo o nelle situazioni in cui il

soggetto sente di stare per perdere il controllo sugli alimenti . Non essendo farmaci

curativi ma puramente sintomatici e provocando col tempo dipendenza e tolleranza,

se ne sconsiglia l’uso prolungato negli anni.

Non hanno un influenza diretta sull’appetito e sul metabolismo dei nutrienti.

7. ANTAGONISTI DEGLI OPPIOIDI

Come è noto 9** , gli oppioidi endogeni sono degli importanti stimolatori

dell’appetito. L’azione antagonista di farmaci (naloxone, naltrexone) che si

possono legare ai recettori µ delle endorfine svolge una importante funzione sul

controllo degli impulsi alimentari, allentando quindi la tensione legata al cibo e

alla sua assunzione.

Clozapina antipsicotico ******* Valproato di Sodio stabilizzatore *****

Litio stabilizzatore ***** Olanzapina antipsicotico *****

Clomipramina TCA **** Imipramina TCA ****

Amitriptilina TCA **** Clorpromazina (e altre fenotiazine) antipsicotico ****

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AUMENTO PONDERALE INDOTTO DA PSICOFARMACI

L’INTERVENTO PSICOTERAPICO NEL PAZIENTE OBESO Senza entrare nel merito dell’argomento della psicoterapia, che sarà oggetto di altra

trattazione nell’ambito del corso , ritengo opportuno dare alcuni cenni relativi a

fattori e aspetti terapeutici rilevanti per il clinico che si relaziona col problema

dell’obesità.

Come per ogni problema di rilevanza psicopatologica, anche nella terapia dell’obeso

è fondamentale il raggiungimento di un affidamento del paziente e di una alleanza

terapeutica verso il curante. Il sentirsi compreso senza essere giudicato è un elemento

essenziale per il paziente che può in questo modo confidarsi con il terapeuta al di là

dei propri sentimenti di vergogna e dell’impostazione psicoterapeutica del curante.

Particolare importanza va data alla valutazione e alla focalizzazione delle emozioni

relative al rapporto attuale con il cibo e alla ricostruzione dei cambiamenti del proprio

stile alimentare nelle diverse fasi dell’esistenza, valutando con attenzione le

relazioni di questo con gli stati emotivi e le vicende di vita del paziente, con la

finalità di ricercare una “coerenza” esistenziale complessiva dell’individuo e dei

suoi vissuti.

Ovviamente la valutazione e l’intervento non può e non deve essere limitato

esclusivamente alle problematiche psicologiche di rapporto verso il cibo ma a tutto il

disagio complessivo presente e passato che il paziente ci propone e ci racconta.

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L’argomento “peso” infatti non deve costituire l’oggetto principale di ogni colloquio,

pena a volte il rifiuto a proseguire nella terapia, ma entra a far parte di un progetto

terapeutico di benessere globale in cui il miglioramento ponderale risulterà un effetto

secondario del miglioramento dell’umore e della riduzione dell’ansia.

Numerosi studi internazionali indicano che l’unica forma di psicoterapia che è stata

valutata scientificamente e che si è mostrata efficace nella terapia dei disturbi

alimentari è la psicoterapia cognitivo comportamentale 49,50,59, . Va comunque

sottolineato che molte altre forme di terapia non sono valutabili con un metodo

propriamente scientifico e valido statisticamente e questo fatto ha sicuramente avuto

il suo peso in questa valutazione. Il fattore importante e centrale di ogni psicoterapia

è e resta come detto la qualità della relazione paziente – terapeuta al di là dei metodi e

delle teorie, fatto ancor più rilevante se riferito a pazienti come gli obesi che hanno

un a tendenza temperamentale fortemente orientata alla passività e alla scarsa

tolleranza alle frustrazioni, elemento questo che determina i non pochi drop out

nelle terapie.

E’ peraltro indicata l’utilizzazione di tecniche comportamentali quali

l’automonitoraggio alimentare (attraverso ad esempio il diario alimentare), il

controllo degli stimoli e tutte le metodiche di rinforzo e di problem solving 60 che

possano accrescere la motivazione del paziente, accentuando il valore e l’importanza

dei risultati acquisiti e attenuando la frustrazione di eventuali passi indietro verso il

raggiungimento di un buon regime alimentare.

A una psicoterapia individuate possono essere affiancate terapie di gruppo52 di tipo

psicoeducativo e di auto aiuto. E’ fortemente riconosciuta, infatti, l’importanza sulla

motivazione al cambiamento di una corretta informazione rispetto ai problemi

organici che uno stile alimentare patologico comporta e del confronto con persone

che hanno lo stesso problema e che magari lo stanno superando.

Anche in ambito psicoterapeutico appare dunque chiara la necessità di un approccio

integrato e plurispecialistico a una problematica come quella dell’obesità quanto mai

complessa e articolata.

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APPENDICE : CLASSIFICAZIONE DSM IV TR DEI DISTURBI

ALIMENTARI, DELL’UMORE E D’ANSIA

Disturbi dell’Alimentazione

Anoressia Nervosa A. Rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al peso minimo normale per l’età e la

statura (per es. perdita di peso che porta a mantenere il peso corporeo al di sotto dell’85% rispetto a quanto previsto, oppure incapacità di raggiungere il peso previsto durante il periodo della crescita in altezza, con la conseguenza che il peso rimane al di sotto dell’85% rispetto a quanto previsto).

B. Intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi, anche quando si è sottopeso. C. Alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso o la forma del corpo, o eccessiva influenza

del peso e della forma del corpo sui livelli di auostima, o rifiuto di ammettere la gravità della attuale condizione di sottopeso.

D. Nelle femmine dopo il menarca, amenorrea, cioè assenza di almeno 3 cicli mestruali consecutivi. Una donna viene considerata amenorroica se i suoi cicli si manifestano solo a seguito di somministrazione di ormoni, per es. estrogeni).

Specificare il sottotipo: Con Restrizioni: nell’episodio attuale di Anoressia Nervosa il soggetto non ha presentato regolarmente abbuffate o condotte di eliminazione (per e. vomito auoindotto, uso inappopriato di lassativi, diuretici o eteroclismi). e Con Abbuffate/Condotte di Eliminazione: nell’episodio attuale di Anoresia Nervosa il soggetto ha presentato regolarmente abbuffate o condotte di eliminazione (per es. vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici o eteroclismi.

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Bulimia Nervosa A. Ricorrenti abbuffate. Una abbuffata è caratterizzata da entrambi i seguenti: 1) mangiare in un definito periodo di tempo (ad es. Un periodo di due ore), una quantità di cibo

significativamente maggiore di quello che la maggior parte delle persone mangerebbe nello steso tempo ed in circostanze simili

2) sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (ad es. sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa e quando si sta mangiando).

B. Ricorrenti ed inappropriate condotte compensatorie per prevenire l’aumento del peso, come

vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici, enteroclismi o altri farmaci, digiuno o esercizio fisico eccessivo.

C. Le abbuffate e le condotte compensatorie si verificano entrambe in media almeno due volte alla settimana, per tre mesi.

D. I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso corporei. E. L’alterazione si manifesta esclusivamente nel corso di episodi di Anoressia Nervosa. Specificare il sottotipo: Con Condotte di Eliminazione: nell’episodio attuale di Bulimia Nervosa il soggetto ha presentato regolarmente vomito autoindotto o uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi. Senza Condotte di Eliminazione: nell’episodio attuale il soggetto ha utilizzato regolarmente altri comportamenti compensatori inappropriati, quali il digiuno o l’esercizio fisico eccessivo, ma non si dedica regolarmente al vomito autoindotto o all’uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi. Disturbi dell’Alimentazione Non Altrimenti Specificati La categoria Disturbi della Alimentazione Non Altrimenti Specificati include quei disturbi dell’alimentazione che non soddisfano i criteri di nessuno specifico Disturbo della Alimentazione. Gli esempi includono:

1) Per il sesso femminile, tutti i criteri dell’Anoressia nervosa in presenza di un ciclo mestruale regolare.

2) Tutti i criteri dell’Anoressia Nervosa sono soddisfatti e, malgrado la significativa perdita di peso, il peso attuale risulta nei limiti della norma.

3) Tutti i criteri della Bulimia Nervosa risultano soddisfatti, tranne il fatto che le abbuffate e le condotte compensatorie hanno una frequenza inferiore a 2 episodi per settimana per 3 mesi.

4) Un soggetto di peso normale che si dedica regolarmente ad inappropriate condotte compensatorie dopo aver ingerito piccole quantità di cibo (es. induzione del vomito dopo aver mangiato due biscotti).

5) Il soggetto ripetutamente mastica e sputa, senza deglutirle, grandi quantità di cibo. Disturbo da Alimentazione Incontrollata: ricorrenti episodi in assenza delle regolari

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condotte compensatorie inappropriate tipiche della Bulimia Nervosa (vedi L’Appendice B del DSM-IV-TR per i criteri proposti per la ricerca).

DISTURBI DELL’UMORE Episodio depressivo maggiore: A Cinque (o più) dei seguenti sintomi sono stati contemporaneamente presenti durante un periodo

di 2 settimane e rappresentano un cambiamento rispetto al precedente livello di funzionamento; almeno uno dei sintomi è costituito da 1) umore depresso o 2) perdita di interesse o piacere.

1) umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno, come riportato dal

soggetto (per es. appare lamentoso). Nota Nei bambini e negli adolescenti l’umore può essere irritabile.

2) Marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno (come riportato dal soggetto o come osservato dagli altri).

3) Significativa perdita di peso, senza essere a dieta, o aumento di peso (per es. un

cambiamento superiore al 5% del peso corporeo in un mese) oppure diminuzione o aumento dell’appetito quasi ogni giorno. Nota Nei bambini, considerare l’incapacità di raggiungere i normali livelli ponderali.

4) Insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno. 5) Agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno (osservabile dagli altri, non

semplicemente sentimenti soggettivi di essere irrequieto o rallentato).

6) Faticabilità o mancanza di energia quasi ogni giorno.

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7) Sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati (che possono essere deliranti), quasi ogni giorno (non semplicemente autoaccusa o sentimenti di colpa per essere ammalato).

8) Ridotta capacità di pensare o di concentrarsi, o indecisione, quasi ogni giorno, come

impressione soggettiva o osservata dagli altri). 9) Pensieri ricorrenti di morte (non solo paura di morire), ricorrente ideazione suicidaria

senza un piano specifico, o un tentativo di suicidio, o l’ideazione di un piano specifico per commettere suicidio.

B I sintomi non soddisfano i criteri per un Episodio Misto (pag.185). C I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento

sociale, lavorativo o di altre aree importanti. D I sintomi non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es. una droga di

abuso, un medicamento) o una condizione medica generale (per es. ipotiroidismo). E I sintomi non sono meglio giustificati da Lutto, cioè, dopo la perdita di una persona amata, i

sintomi persistono per più di 2 mesi o sono caratterizzati da una compromissione funzionale marcata, autosvalutazione patologica, ideazione suicidaria, sintomi psicotici o rallentamento psicomotorio.

Disturbo Depressivo Maggiore, Episodio Singolo: A. Presenza di un Episodio Depressivo Maggiore. B. L’Episodio Depressivo Maggiore non è meglio inquadrabile come Disturbo Schizoaffettivo, e

non è sovrapposto a Schizofrenia, Disturbo Schizofreniforme, Disturbo Delirante o Disturbo Psicotico Non Altrimenti Specificato.

C. Non è mai stato presente un Episodio Maniacale, un Episodio Misto o un Episodio

Ipomaniacale. Codificare lo stato dell’episodio attuale o più recente .0 Lieve .1 Moderato .2 Grave Senza Manifestazioni Psicotiche .3 Grave Con Manifestazioni Psicotiche

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.4 In Remissione Parziale/In Remissione Completa

.9 Non Specificato Specificare (per l’episodio attuale o più recente): Cronico Con Manifestazioni Catatoniche Con Manifestazioni Melanconiche Con Manifestazioni atipiche Ad Esordio nel Postpartum Disturbo Depressivo Maggiore: Ricorrente A. Presenza di due o più Episodi Depressivi Maggiori. B. Gli Episodi Depressivi Maggiori non sono meglio inquadrabili come Disturbo Schizoaffettivo, e

non sono sovrapposti a Schizofrenia, Disturbo Schizofreniforme, disturbo Delirante o Disturbo Psicotico Non Altrimenti Specificato.

C. Non è mai stato presente un Episodio Maniacale, un Episodio Misto o un Episodio

Ipomaniacale. Codificare lo stato depressivo attuale o più recente: Codificare lo stato dell’episodio attuale o più recente .0 Lieve .1 Moderato .2 Grave Senza Manifestazioni Psicotiche .3 Grave Con Manifestazioni Psicotiche .4 In Remissione Parziale/In Remissione Completa .9 Non Specificato Specificare (per l’episodio attuale o più recente): Cronico Con Manifestazioni Catatoniche Con Manifestazioni Melanconiche Con Manifestazioni atipiche Ad Esordio nel Postpartum

Specificare: Specificazioni di decorso longitudinale( Con e Senza Recupero Interepisodico) Ad Andamento Stagionale.

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Disturbo Distimico A. Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi tutti i giorni, come riferito dal soggetto

ed osservato dagli altri, per almeno 2 anni. Nei bambini e negli adolescenti l’umore può essere irritabile, e la durata deve essere di almeno 1 anno.

B. Presenza, quando depresso, di due (o più) dei seguenti sintomi: 1) scarso appetito o iperfagia 2) insonnia o ipersonnia 3) scarsa energia o astenia 4) bassa autostima 5) difficoltà di concentrazione o nel prendere decisioni 6) sentimenti di disperazione

C. Durante i 2 anni di malattia (1 anno nei bambini e negli adolescenti) la persona non è mai stata priva dei sintomi di cui ai Criteri A e B per più di 2 mesi alla volta.

D. Durante i primi 2 anni di malattia (1 anno nei bambini e negli adolescenti) non è stato presente Episodio Depressivo Maggiore; cioè il disturbo non è meglio inquadrabile come Disturbo Depressivo Maggiore Cronico, o Disturbo Depressivo Maggiore, In Remissione Parziale.

E. Non è mai stato presente un Episodio Maniacale, Misto, o Ipomaniacale, né sono stati mai risultati soddisfatti i criteri per il Disturbo Ciclotimico.

F. La malattia non si manifesta esclusivamente durante il corso di un Disturbo Psicotico cronico, come Schizofrenia o Disturbo Delirante.

G. I sintomi non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (ad es., una droga di abuso, un farmaco) o di una condizione medica generale (per es., ipotiroidismo).

H. I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importani.

Specificare se: Ad Esordio Precoce: esordio prima dei 21 anni Ad Esordio Tardivo: esordio a 21 anni o più tardi. Specificare (per i 2 ultimi anni di Disturbo Distimico): Con Manifestazioni Atipiche.

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DISTURBI D’ANSIA

Poiché nel contesto di molti disturbi di questa sezione si manifestano Attacchi di Panico ed Agorafobia, i set di criteri per Attacchi di Panico e per l’Agorafobia vengono elencati

separatamente all’inizio. Essi non hanno, comunque, un proprio codice e non possono essere diagnosticati quali entità separate.

Attacco di Panico Un periodo preciso di paura o disagio intensi, durante il quale quattro o più dei seguenti sintomi si sono sviluppati improvvisamente ed hanno raggiunto il picco nel giro di 10 minuti:

1) palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia 2) sudorazione 3) tremori fini o a grandi scosse 4) dispnea o sensazione di soffocamento 5) sensazione di asfissia 6) dolore o fastidio al petto 7) nausea o disturbi addominali 8) sensazioni di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento 9) derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da sé

stessi) 10) paura di perdere il controllo o di impazzire 11) paura di morire 12) parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio) 13) brividi o vampate di calore.

Agorafobia

A. Ansia relativa al trovarsi in luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile (o imbarazzante) allontanarsi o nei quali potrebbe non essere disponibile aiuto nel caso di un Attacco di Panico inaspettato o sensibile alla situazione o di sintomi

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tipo panico. I timori agorafobici riguardano tipicamente situazioni caratteristiche che includono essere fuori casa da soli; essere in mezzo alla folla o in coda; essere su un ponte e il viaggiare in autobus, treno o automobile. B. Le situazioni vengono evitate (per es., gli spostamenti vengono ridotti) oppure sopportate con molto disagio o con l’ansia di avere un Attacco di Panico o sintomi tipo panico, o viene richiesta la presenza di un compagno. C. L’ansia o l’evitamento fobico non sono meglio giustificabili da un disturbo mentale di altro tipo,

come Fobia Sociale (per es., evitamento limitato alle situazioni sociali per timore di essere imbarazzato), Fobia Specifica (per es., evitamento limitato ad una singola situazione, come gli ascensori), Disturbo Ossessivo-Compulsivo (per es., evitamento dello sporco per gli individui con ossessioni di contaminazione), Disturbo Post-traumatico da Stress (per es., evitamento di stimoli associati con un grave fattore stressante)o Disturbo d’Ansia di Separazione (per es., evitamento della separazione dalla casa o dai familiari).

Disturbo di Panico Senza Agorafobia A. Entrambi 1) e 2): 1) Attacchi di Panico inaspettati ricorrenti 2) Almeno uno degli attacchi è stato seguito da 1 mese n(o più) di uno (o più) dei seguenti sintomi:

a) preoccupazione persistente di avere altri attacchi b) preoccupazione a proposito delle implicazioni dell’attacco o delle sue conseguenze (per es.,

perdere il controllo, avere un attacco cardiaco, “impazzire”) c) significativa alterazione del comportamento correlata agli attacchi.

B. Assenza di Agorafobia C. Gli Attacchi di Panico non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es.,

una droga di abuso, un farmaco) o di una condizione medica generale (per es., ipertiroidismo). D. Gli Attacchi di Panico non sono meglio giustificati da un altro disturbo mentale, come Fobia

Sociale (per es., si manifestano in seguito all’esposizione ad una specifica situazione fobica), Disturbo Ossessivo-Compulsivo (per es., in seguito all’esposizione allo sporco in soggetto con ossessioni di contaminazione), Disturbo Post-traumatico da Stress (per es., in risposta a stimoli associati con un grave evento stressante) o Disturbo d’Ansia di Separazione (per es., in risposta all’essere fuori casa o lontano da congiunti stretti).

Disturbo di Panico Con Agorafobia A. Entrambi 1) e 2):

1) Attacchi di Panico inaspettati ricorrenti 2) almeno uno degli attacchi è stato seguito da 1 mese (o più) di uno (o più) dei seguenti

sintomi: a) preoccupazione persistente di avere altri attacchi b) preoccupazione a proposito delle implicazioni dell’attacco o delle sue conseguenze (per

es., perdere il controllo, avere un attacco cardiaco, “impazzire”) c) significativa alterazione del comportamento correlata agli attacchi

B) Presenza di Agorafobia C) Gli Attacchi di Panico non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una

sostanza (per es., una droga di abuso, un farmaco) o di una condizione medica generale (per es., ipertiroidismo).

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D) Gli Attacchi di Panico non sono meglio giustificati da un altro disturbo mentale, come Fobia Sociale (per es., si manifestano in seguito all’esposizione ad una specifica situazione fobica), Disturbo Ossessivo-Compulsivo (per es., in seguito all’esposizione allo sporco in soggetto con ossessioni di contaminazione), Disturbo Post-traumatico da Stress (per es., in risposta a stimoli associati con un grave evento stressante) o Disturbo d’Ansia di Separazione (per es., in risposta all’essere fuori casa o lontano da congiunti stretti).

Disturbo Ossessivo-Compulsivo A. Ossessioni o compulsioni.

Ossessioni come definite da 1), 2), 3) e 4): 1) pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e persistenti, vissuti, in qualche momento nel corso

del disturbo, come intrusivi o inappropriati e che causano ansia o disagio marcati 2) i pensieri, gli impulsi, o le immagini non sono semplicemente eccessive preoccupazioni per

i problemi di vita reale 3) la persona tenta di ignorare o di sopprimere tali pensieri, impulsi o immagini, o di

neutralizzarli con altri pensieri o azioni 4) la persona riconosce che i pensieri, gli impulsi, o le immagini ossessive sono un prodotto

della propria mente ( e non imposti dall’esterno come nell’inserzione del pensiero). Compulsioni come definite da 1) e 2): 1) comportamenti ripetitivi (per es., lavarsi le mani, riordinare, controllare) o azioni mentali (per

es., pregare, contare, ripetere parole mentalmente) che la persona si sente obbligata a mettere in atto in risposta ad un’ossessione o secondo regole che devono essere applicate rigidamente

2) i comportamenti o le azioni mentali sono volti a prevenire o ridurre il disagio o a prevenire alcuni eventi o situazioni temuti, comunque questi comportamenti o azioni mentali non sono collegati in modo realistico con ciò che sono designati a neutralizzare o a prevenire, oppure sono chiaramente eccessivi

B. In qualche momento nel corso del disturbo la persona ha riconosciuto che le ossessioni o le

compulsioni sono eccessive o irragionevoli Nota Questo non si applica ai bambini C. Le ossessioni o compulsioni causano disagio marcato, fanno consumare tempo ( più di un’ora al

giorno) o interferiscono significativamente con le normali abitudini della persona, con il funzionamento lavorativo (o scolastico) o con le attività o relazioni sociali usuali.

D. Se è presente un altro disturbo di Asse I, il contenuto delle ossessioni o delle compulsioni non è limitato ad esso (per es., preoccupazione per il cibo in presenza di un Disturbo dell’Alimentazione; tirarsi i capelli in presenza di Tricotillomanìa; preoccupazioni per il proprio aspetto nel Disturbo da Dismorfismo Corporeo; preoccupazione riguardante le sostanze nei Disturbi da Uso di Sostanze; preoccupazione di avere una grave malattia in presenza di Ipocondria; preoccupazione riguardante desideri o fantasie sessuali in presenza di una Parafilia; o ruminazioni di colpa in presenza di un Disturbo Depressivo Maggiore):

E. Il disturbo non è dovuto agli effetti fisiologici diretti della sostanza (per es., una droga di abuso, un farmaco) o di una condizione medica generale.

Specificare se: Con Scarso Insight: se per la maggior parte del tempo, durante l’episodio attuale, la persona non riconosce che le ossessioni e compulsioni sono eccessive o irragionevoli.

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Disturbo d’Ansia Generalizzato (include il Disturbo Iperansioso dell’Infanzia) A. Ansia e preoccupazione eccessive (attesa apprensiva), che si manifestano per la maggior parte

dei giorni per almeno 6 mesi, a riguard9o di una quantità di eventi o di attività (come prestazioni lavorative o scolastiche).

B. La persona ha difficoltà nel controllare la preoccupazione. C. L’ansia e la preoccupazione sono associate con tre (o più) dei sei sintomi seguenti (con almeno

alcuni sintomi presenti per la maggior parte dei giorni negli ultimi sei mesi). Nota Nei bambini è richiesto solo un Item:

1) irrequietezza, o sentirsi tesi con i nervi a fior di pelle 2) facile applicabilità 3) difficoltà a concentrarsi o vuoti di memoria 4) irritabilità 5) tensione muscolare 6) alterazioni del sonno (difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno o sonno

inquieto e insoddisfacente).

D. L’oggetto dell’ansia e delle preoccupazioni non è limitato alle caratteristiche di un disturbo di Asse I, per es., l’ansia o la preoccupazione non riguardano l’avere un Attacco di Panico (come nel Disturbo di Panico), rimanere imbarazzati in pubblico (come nella Fobia Sociale), essere contaminati (come nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo), essere lontani da casa o dai parenti stretti (come nel Disturbo d’Ansia di Separazione), prendere peso (come nell’Anoressia Nervosa), avere molteplici fastidi fisici (come nel Disturbo di Somatizzazione), o avere una grave malattia (come nell’Ipocondria) e l’ansia e la preoccupazione si manifestano esclusivamente durante un Disturbo Post-traumatico da stress.

E. L’ansia, la preoccupazione, o i sintomi fisici causano disagio clinicamente significativo o menomazione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti.

F. L’alterazione non è dovuta agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso, un farmaco) o di una condizione medica generale (per es., ipertiroidismo) e non si manifesta esclusivamente durante un Disturbo dell’Umore, un Disturbo Psicotico o un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo.

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