Obbiettivamente novembre 2015 primo numero

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IL GIORNALE DEL LICEO CANNIZZARO PALERMO NOVEMBRE 2015 NUMERO 1 scienze e recensioni speciale su marte SOMMARIO: I nostri nuovi rappresentanti ............. La “buona” scuola ............................. L’accoglienza italiana ai migranti ...... La salute della sanità ........................ La spettacolarizzazione del male ...... La legalizzazione della marijuana ..... Disinformazione e luoghi comuni sui videogiochi ........................................ Unità 731 .......................................... Intervista ad Andrea Di Liberto ......... L’ignoranza nello sport....................... Mozart in the jungle .......................... Speciale su Marte ............................. Ispirati dalla vita, energia per la vita .. Pensieri e parole................................ Čajkovskij e il Romanticismo puro..... “L’amica geniale” ............................... “Flatlandia” ........................................ Galleria fotografica ............................ 2 8 9 10 13 14 15 16 17 18 19 20 22 23 24 26 27 28 LA SALUTE DELLA SANITA’ VINCENZO MANFRE’ V A Intervista al Dirigente medico dott. Giuseppe Di Giorgio. Laureatosi nel 1990 a Palermo e specializzatosi in medicina interna nel 1995, ha lavorato dapprima in provincia di Ferrara in pronto soccorso, successivamente a Palermo ricoprendo lo stesso ruolo, e attualmente è impiegato presso il pronto soccorso dell’ospedale di Fidenza (PM). Mi pare legittimo cogliere l’occasione delle recenti polemiche, cui purtroppo siamo oramai avvezzi, legate ai triste- mente noti test di ammissione alla Fa- coltà di Medicina e Chirurgia per chiede- re la sua opinione al riguardo, dato che lei è un uomo del settore. Beh, i test costituiscono certamente uno strumento di programmazione. Ovvero per- mettono di poter quantificare il numero del- le matricole al fine di assicurare una miglio- re organizzazione. Questo è l’unico pro. Vi sono numerosi contro, però. Mi sembrano totalmente, o quasi, distanti dal programma di studi liceale... PAGINE 10-12 ATTUALITA’ E CULTURA PAGINE 20-21 INTERVISTA AD ANDREA DI LIBERTO SPORT E SPETTACOLO SOFIA GALICI V O I NOSTRI NUOVI RAPPRESENTANTI ASIA CLEMENZA IV I ALBERTO ROMANO V E VITA SCOLASTICA L’EDITORIALE SPERIAMO <<Passeggere: Coll’anno nuovo, il caso [la sorte] incomincierà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si prin- cipierà [inizierà] la vita felice. Non è vero? Venditore: Speriamo>> Così si conclude il celebre “Dialogo di un venditore di almanacchi e di un pas- seggere” di Giacomo Leopardi. Secon- do il poeta, la felicità dell’uomo risiede solo nella speranza verso il futuro, non si può essere felici nel presente. Se il pensiero di Leopardi è stato connotato negativamente (e grossolanamente) come “pessimista”, allora potremmo dire così della realtà odierna. Si è con- tinuamente bombardati da notizie su: crisi economica, immigrazione, crimini, tagli alla scuola e alla sanità, guerre, scandali che coinvolgono Chiesa e/o Stato, ecc... Dinanzi a questa bufera si è spinti a formulare frasi come “Ah, ai miei tempi...”, oppure, in relazione al contesto scolastico, “Quando io ero al primo anno,...”, come se il passato fosse in ogni caso migliore della realtà attuale. Distolti dalla condanna al pre- sente,, svalutiamo qualsiasi possibilità di migliorare l’avvenire e ci allontania- mo dall’essenza del cambiamento, ovvero il futuro. Viviamo in un’epoca molto diversa dalle precedenti, piena di fermenti. Secondo voi un ragazzo di vent’anni fa poteva immaginare di pote- re comunicare con migliaia di studenti della sua scuola in pochi istanti attra- verso degli impulsi elettrici (un post di Facebook)? Il futuro è potenziale, comprende ciò che ha la possibilità di realizzarsi. E’ vero che cambiare non sarà semplice, però è fuorviante con- siderare a priori ogni innovazione come un allontanamento dall’età dell’oro. L’i- nizio di ogni anno segna il tramonto di una generazione, i ragazzi nuovi sono il Cannizzaro che sarà. Nessuno sa con certezza se il futuro sarà migliore o peggiore. Nel frattempo proviamo a cambiare, non ingenuamente ma con ragionata speranza e un po’ di fiducia in noi stessi. Davide Angelini V C

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IL GIORNALE DEL LICEO CANNIZZARO

PALERMO NOVEMBRE 2015NUMERO 1

scienze e recensioni

speciale su

marte

sommario:I nostri nuovi rappresentanti .............

La “buona” scuola .............................

L’accoglienza italiana ai migranti ......

La salute della sanità ........................

La spettacolarizzazione del male ......

La legalizzazione della marijuana .....

Disinformazione e luoghi comuni sui

videogiochi ........................................

Unità 731 ..........................................

Intervista ad Andrea Di Liberto .........

L’ignoranza nello sport.......................

Mozart in the jungle ..........................

Speciale su Marte .............................

Ispirati dalla vita, energia per la vita ..

Pensieri e parole................................

Čajkovskij e il Romanticismo puro.....

“L’amica geniale” ...............................

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LA SALUTE DELLA SANITA’VINCENZO MANFRE’ V A

Intervista al Dirigente medico dott. Giuseppe Di Giorgio. Laureatosi nel 1990 a Palermo e specializzatosi in medicina interna nel 1995, ha lavorato dapprima in provincia di Ferrara in pronto soccorso, successivamente a Palermo ricoprendo lo stesso ruolo, e attualmente è impiegato presso il pronto soccorso dell’ospedale di Fidenza (PM).Mi pare legittimo cogliere l’occasione delle recenti polemiche, cui purtroppo siamo oramai avvezzi, legate ai triste-mente noti test di ammissione alla Fa-coltà di Medicina e Chirurgia per chiede-re la sua opinione al riguardo, dato che

lei è un uomo del settore.Beh, i test costituiscono certamente uno strumento di programmazione. Ovvero per-mettono di poter quantificare il numero del-le matricole al fine di assicurare una miglio-re organizzazione. Questo è l’unico pro. Vi sono numerosi contro, però. Mi sembrano totalmente, o quasi, distanti dal programma di studi liceale...

PAGINE 10-12

ATTUALITA’ E CULTURA

PAGINE 20-21

intervista ad andrea di Liberto

SPORT E SPETTACOLO

SOFIA GALICI V O

I NOSTRI NUOVI RAPPRESENTANTIASIA CLEMENZA IV IALBERTO ROMANO V E

VITA SCOLASTICA

L’EDITORIALE

SPERIAMO<<Passeggere: Coll’anno nuovo, il caso [la sorte] incomincierà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si prin-cipierà [inizierà] la vita felice. Non è vero?Venditore: Speriamo>>Così si conclude il celebre “Dialogo di un venditore di almanacchi e di un pas-seggere” di Giacomo Leopardi. Secon-do il poeta, la felicità dell’uomo risiede solo nella speranza verso il futuro, non si può essere felici nel presente. Se il pensiero di Leopardi è stato connotato negativamente (e grossolanamente) come “pessimista”, allora potremmo dire così della realtà odierna. Si è con-tinuamente bombardati da notizie su: crisi economica, immigrazione, crimini, tagli alla scuola e alla sanità, guerre, scandali che coinvolgono Chiesa e/o Stato, ecc... Dinanzi a questa bufera si è spinti a formulare frasi come “Ah, ai miei tempi...”, oppure, in relazione al contesto scolastico, “Quando io ero al primo anno,...”, come se il passato fosse in ogni caso migliore della realtà attuale. Distolti dalla condanna al pre-sente,, svalutiamo qualsiasi possibilità di migliorare l’avvenire e ci allontania-mo dall’essenza del cambiamento, ovvero il futuro. Viviamo in un’epoca molto diversa dalle precedenti, piena di fermenti. Secondo voi un ragazzo di vent’anni fa poteva immaginare di pote-re comunicare con migliaia di studenti della sua scuola in pochi istanti attra-verso degli impulsi elettrici (un post di Facebook)? Il futuro è potenziale, comprende ciò che ha la possibilità di realizzarsi. E’ vero che cambiare non sarà semplice, però è fuorviante con-siderare a priori ogni innovazione come un allontanamento dall’età dell’oro. L’i-nizio di ogni anno segna il tramonto di una generazione, i ragazzi nuovi sono il Cannizzaro che sarà. Nessuno sa con certezza se il futuro sarà migliore o peggiore. Nel frattempo proviamo a cambiare, non ingenuamente ma con ragionata speranza e un po’ di fiducia in noi stessi.

Davide Angelini V C

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VITA SCOLASTICA VITA SCOLASTICA

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Perché hai deciso di candidarti? Come prevedi il rapporto con gli altri rappresentanti?Alcuni di noi hanno già avuto vari incontri con la preside, penso che siamo gente ca-pace, e sono molto contento che sia salita una mia compagna di lista. Mi sono candi-dato perchè non mi piace delegare nulla e mi sento capace di trovare accordi tra opi-nioni diverse e anche contrastanti. Non lo vivo come un peso ma lo faccio con piacere.

Credi veramente nella carica di rappresentante d’istituto?Io credo nel rappresentante in quanto agevola il lavoro che poi si fa a scuo-la, anche se secondo me l’organo più importante a scuola è il Collettivo, per-

chè di fatto non ci sono figure di spicco; comunque il fatto che un rappresentante faccia parte del Collettivo può solo essere d’aiuto.

Al di là delle promesse fatte in questi anni dai rappresentanti, poche cose sono state fatte. Tu come intendi attuare nella pratica i punti proposti e qual è quello a cui tieni di più?

Per quanto riguarda l’aula autogestita, io l’anno scorso mi ritrovavo principalmente per studiare con i miei compagni, quindi come luogo fisico c’è. Poi è servita per continuare una serie di incontri e seminari iniziata durante l’occupazione, quindi per averla basta fare una richiesta, non è un grosso problema. Per quanto riguarda l’altro punto della lista, ovvero seminari e corsi, questi sarebbero di carattere politico o comunque di attualità, mi piacerebbe riproporre come temi anche le lotte sociali e territoriali a Palermo. Co-munque vorrei concretizzare proposte che partono anche dagli altri: dei ragazzi mi hanno chiesto di fare un’assemblea sulla storia della box, con un pugile, ed io ho pensato che si potesse fare anche uno stage con lui. La preside indubbiamente rispetto agli altri anni avrà più poteri, quindi noi intendiamo per “efficenza servizi” un nostro maggiore coinvolgimento al consiglio d’istituto, dire real-mente cosa ci va bene e cosa no, cosa ci piace (come il poterci pronunciare sulle 200 ore dell’alternanza scuola-lavoro, su cui noi non ci potremmo teoricamente pronunciare), anche con altri strumenti, quali potrebbero essere delle assenze di massa. Farci sen-tire, insomma. Le uscite a religione, sono come quelle a ricreazione, burocraticamente. Con un permesso dei genitori sarà fattibile.

Cosa pensi del Collettivo d’istituto e come credi che si potrebbe sensibilizzare il corpo studentesco alle questioni politiche?

La cosa più importante da fare è farsi vedere, essere presenti. Molti pur avendo delle loro idee non si mettono in gioco. Una persona che non riesce a stringere relazioni con le altre non può pensare di fare politica o di portare persone al Collettivo.

Cosa pensi del POF? Trovi sia tutto in linea con lo Statuto delle studentesse e degli studenti o cambieresti qualcosa?

No, sostanzialmente non cambierei nulla. Anche perchè il P.O.F. l’ho visto nascere insieme a una mia professoressa che se ne occupa. Il nostro P.O.F. fa quello che può in relazione ai fondi della scuola. Sarebbe bella la scuola piena di cor-si, di viaggi gratuiti, però non è possibile. Quindi penso che con i soldi che ci sono e con quello che già si fa le cose vanno

abbastanza bene. E’ ovvio che la qualità però è abbastanza scarsa.

In cosa è consistito il tuo impegno politico, se c’è stato, all’interno della scuola o al di fuori?Fuori da questa scuola frequento dei centri sociali, dove vengono fatti doposcuola per i bambini, palestre popolari, come anche il recupero dei quartieri, e altre varie attività che comunque, nel piccolo, cambiano qualcosa. Per quanto riguarda la scuo-la stessa, faccio parte del Coordinamento Studenti Medi Palermo, ed è un’attività molto più ampia, quindi il cambiamen-

to si può realmente vedere solo nella scuola in cui si lavora, nel cercare di creare un collettivo forte e partecipato.

ASIA CLEMENZA IV IALBERTO ROMANO V E

I NOSTRI NUOVI RAPPRESENTANTI D’ISTITUTO

MICHELE MINARDILISTA I, V B

SILVIA LO GIUDICELISTA I, IV H

Perché hai deciso di candidarti? Come prevedi il rapporto con gli altri rappresentanti?Sono felice che sia salito un mio compagno di lista, che tra l’altro conosco personalmente e so come lavora. Gli altri rappresentanti mi sembrano persone molto capaci con cui poter bene lavorare. Già dall’anno scorso ho cominciato ad appassionarmi alle dinamiche scolastiche, e ho pensato che potessi essere anche io a candidarmi.

Credi veramente nella carica di rappresentante d’istituto?Credo nella carica del rappresentante: il corpo studentesco ha bisogno di qualcuno che lo rappre-senti, è impensabile che gli studenti, che vivono la scuola, non abbiano un appoggio al consiglio d’istituto o alle assemblee. Credo anche in quello che può fare realmente all’interno della scuola, come portare avanti cose che magari un ragazzo più piccolo e di cui non si occupa in prima persona può rivolgersi alla figura del rappresentante.

Al di là delle promesse fatte in questi anni dai rappresentanti, poche cose sono state fatte. Tu come intendi attuare nella pratica i punti proposti e qual è quello a cui tieni di più?Per esempio un punto della lista che mi sta molto a cuore è il box consigli, che non è mai stato preso molto sul serio, mentre quest’anno con una cartella di posta elettronica (dunque attraverso internet, che tutti unisce) speriamo di ricevere molte mail. Ma tengo molto anche all’aula autogestita e ai seminari e corsi: considerando che a scuola siamo ogni giorno a contatto con molte persone, questo la rende uno spazio sociale, voglio rendere la scuola un gruppo di studenti compatto e unito.Per il resto, siamo noi rappresentanti d’istituto che dobbiamo portare avanti l’efficienza dei servizi, visto che siamo i portavoci. Nella nostra lista infatti non abbiamo messo punti irrealizzabili, che comprendono un grande utilizzo di soldi, dato che la scuola non ha molti fondi.Cosa pensi del Collettivo d’istituto e come credi che si potrebbe sensibilizzare il corpo studentesco alle questioni politiche?Il collettivo deve avere a scuola la sua voce in capitolo: non ci sono al suo interno figure che spiccano, ma sia-mo tutti sullo stesso piano. Per quanto riguarda la sensibilizzazione, questa si può fare anche con azioni di vo-lontinaggio, per spiegare cosa sia a chi non lo sa; parlarne e spiegare potrebbe essere un modo per coinvolgere.

Cosa pensi del POF? Trovi sia tutto in linea con lo Statuto delle studentesse e degli studenti o cambieresti qualcosa?Del regolamento d’istituto non cambierei molto, anche perchè non possiamo andare contro delle disposizioni così serra-te. Non penso vada completamente bene, altrimenti verrebbe anche a mancare la figura di istituto.

In cosa è consistito il tuo impegno politico, se c’è stato, all’interno della scuola o al di fuori?Già dall’anno scorso mi sono interessata moltissimo alla scuola, non solo come Liceo Cannizzaro, ma anche come scuola in generale, aderendo al Coordinamento Studenti Medi, e svariate assemblee sulla politica, sul lavoro, che sono ormai collegati strettamente.

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VITA SCOLASTICA VITA SCOLASTICA

Perchè hai deciso di candidarti? Come prevedi il rapporto con gli altri rappresentanti e col corpo istituzionale?

Il mio progetto era quello di candidarmi unicamente per la Consulta, che mi affascinava molto, finché Giorgio La Spina non mi ha chiesto di appoggiare una lista di suoi amici per la candidatura alla rappresentanza di istituto. Così ho fatto. Per quanto riguarda gli altri rappresentanti, credo che siano tutte persone competenti. Ci cono-sciamo tutti e questo creerà un rapporto disteso e sereno; penso si potrà collaborare bene.

Al di là delle promesse fatte, come intendi attuare i punti della tua lista e a quale tieni di più?

Il punto al quale tengo di più è senza dubbio quello dei libri in comodato d’uso. E’ una proposta attuabile, basta richiedere formal-mente alla scuola l’attuazione di questo progetto. Siamo tanti e una buona parte di noi non ha le stesse possibilità economiche

della restante parte: questa iniziativa garantirebbe la parità dei diritti di tutti.La ripianificazione dei lavori di ristrutturazione sembra un progetto quasi utopico: come intendete gestirlo?

Un piccolo traguardo è già stato ottenuto, e consiste nella protrazione dei lavori il sabato fino alle 16, in modo da evitare magari il turno mattutino del lunedì. I lavori dovrebbero finire, da programma, entro novembre: si spera dunque anche in una modifica degli

orari per evitare di disturbare durante le ore di lezione.E il contributo volontario?

Bisognerà proporre in Consiglio di Istituto una diminuzione. Non credo si potrà renderlo libero, come avrei voluto, ma di questi soldi c’è davvero bisogno: la scuola ha un bilancio disastroso e non si tratta di fondi sprecati, oltretutto sono detraibilidalle tasse. €100 per

uno stipendio basso sono una somma significativa: per questo c’è bisogno di una diminuzione, contribuirebbero così più famiglie.

Parlaci della scelta degli enti presso cui svolgere le proprie ore di alternanza scuola/lavoro. Come sarà possibi-le modificare qualcosa che, ancora poco chiara, non dipende dalla volontà delle nostre istituzioni scolastiche?

Abbiamo già parlato con chi di dovere per cercare di fare più chiarezza su questa realtà. Esiste già una commissione che si occu-perà dell’assegnazione delle aziende presso cui lavorare e qualcuno, come Davide Angelini, ha già proposto qualcosa in merito,

mentre noi ci siamo attivati per metterci in contatto con il laboratorio telematico dell’Università.

Cosa ne pensi del Collettivo d’Istituto? E come si potrebbe sollecitare maggiormente la sensibilità del corpo studentesco nei confronti delle questioni politiche?

Importantissimo per noi studenti è informarci ed essere informati sull’attualità che viviamo. L’ora di educazione civica obbligatoria, che era stata in passato proposta, mi sembra inattuabile. Del resto, se vogliamo proprio essere freddi, l’attualità è anche spesso pro-tagonista della prima prova scritta degli esami di maturità: è anche didatticamente giusto che i ragazzi acquisiscano l’informazione pure in classe. Il collettivo e il giornalino, di cui siete rappresentanti, giocano un ruolo fondamentale in questo senso e con gli altri

rappresentanti d’istituto collaboreremo per far sì che il lavoro delle assemblee sia proficuo.

Cosa ne pensi dell’attuale regolamento d’istituto e del POF della nostra scuola? Trovi che rispettino al Carta dei diritti dello studente o che ci sia qualcosa da cambiare?

A proposito di Carta, come ho già detto all’assemblea durante il mio discorso, ho intenzione di proporre una Carta specifica (ne parlerò in Consulta): c’è bisogno di modificare qualcosa del regolamento d’istituto, ma è qualcosa di cui devo discutere con gli altri e con gli organi della scuola, non posso prendere da solo decisioni che potrebbero cambiare in qualche modo la vita scolastica. Per quanto riguarda il POF non c’è molto da dire: la scuola è questa che abbiamo e l’Italia è quella che conosciamo, non possiamo

pretendere di più. Qualcosa da ridire ci sarebbe sui PON: non facciamo nulla di particolare.

ASIA CLEMENZA IV IALBERTO ROMANO V E

I NOSTRI NUOVI RAPPRESENTANTI D’ISTITUTO

FLAVIO SCUDERILISTA IV, III H

MARCO BRUNOLISTA V, V D

Perché hai deciso di candidarti? Come prevedi il rapporto con gli altri rappresentanti?Ho deciso di candidarmi dopo la proposta di Alberto Pardo, anche se avevo già pensato gli anni scorsi ad una futura candidatura. Gli studenti hanno avuto fiducia in me: è stata una votazione presa seriamente, infatti il numero delle schede non vidimate è diminuito notevolmente. Credo che con gli altri rappresentanti potrà essere fatto un buon lavoro, rappresentiamo ognuno dei sot-togruppi presenti nella scuola e le loro necessità: la collaborazione è partita nel modo più cordiale possibile e potrà solo andare meglio.

Credi veramente nella carica di rappresentante d’istituto?Sì, è una carica che rappresenta gli studenti oltre che in consiglio d’istituto in ogni momento dell’ambito scolastico; senza di essa negli ultimi anni non avremmo ottenuto nulla di quello che abbiamo.

Al di là delle promesse fatte in questi anni dai rappresentanti, poche cose sono state fatte. Tu come intendi attuare nella pratica i punti proposti e qual è quello a cui tieni di più?Il punto per me prioritario è la chiusura al traffico di via Arimondi. Ho appena finito di discutere di questo con la preside, che è d’ac-cordissimo. La polizia e i vigili urbani però aiutano poco, vengono una settimana per poi lasciare perdere. Non possiamo più inviare lettere formali al comune, bisogna parlare con qualche responsabile. L’uscita degli alunni esonerati dalla religione?Gli anni scorsi era permesso, e credo che chiunque non faccia religione abbia diritto a impiegare quell’ora come crede, rimanendo a scuola o uscendo. Basterebbe una delega firmata dai genitori e approvata dal consiglio d’istituto.Il ripristino delle 8 entrate a seconda ora?Questo è il punto più delicato della lista. Sarà difficile da attuare, la questione è fare capire alla preside le nostre necessità, un’entra-ta al mese è veramente il minimo. L’anno scorso la preside non conosceva noi e le nostre esigenze; ormai che è passato un anno ha potuto constatare che solo 4 entrate alle nove sono poche, per cui capitava che molte persone andavano oltre.

Cosa pensi del Collettivo d’istituto e come credi che si potrebbe sensibilizzare il corpo studentesco alle questioni politiche? Personalmente ho partecipato poco al Collettivo d’istituto ma ho sempre cercato di farmi una coscienza politica autonoma-mente. E’ un organo senz’altro importante, è il primo passo per acquisire una coscienza politica e la consapevolezza di quello che succede. Il problema si ha quando le persone vengono troppo manipolate e non viene permesso che sviluppino delle idee proprie. Qui al Cannizzaro si parla di politica coi paraocchi, come se facessimo parte tutti dello stesso schieramento po-litico perché va in voga, mentre l’argomento andrebbe “sviscerato”. In breve, il Collettivo è importante finché è democratico.

Cosa pensi del POF? Trovi sia tutto in linea con lo Statuto delle studentesse e degli studenti o cambieresti qualcosa?Ritengo che il Piano Offerta Formativa sia ottimo, sarebbe bello però potenziare le materie scientifiche, fisica e matema-tica, per le quali dovremmo avere una certa inclinazione, attraverso laboratori o argomenti più avanzati.

In cosa è consistito il tuo impegno politico, se c’è stato, all’interno della scuola o al di fuori?Sono stato rappresentante di classe al terzo anno, è andata molto bene. L’anno scorso non sono salito e la classe è rimasta molto delusa. Quest’anno sono di nuovo rappresentante e penso, e spero, possa andare bene.

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VITA SCOLASTICA VITA SCOLASTICA

Qual è l’importanza della consulta?La consulta è estremamente importante perché è la vera rappresentanza degli studenti, l’organo che ha più possibilità di garantire i loro diritti e consente di introdurre una com-ponente studentesca nell’amministrazione di fondi e finanziamenti. E’ inoltre un ruolo “politico” e per questo al momento della campagna elettorale i rappresentanti di consulta devono esporre i loro progetti seguendo dei principi etici, morali e politici appunto. Ha quasi un ruolo pedagogico, perché vieni inserito in un ambiente di un certo tipo, che ne ricalca di più complessi (il parlamento nazionale e regionale, per esempio), nel quale

puoi imparare a muoverti. E’ un ruolo delicato, spesso poco conosciuto però dagli studenti e purtroppo anche da alcuni rappresentanti di consulta stessi, che mi è capitato di vedere senza una chiara idea del loro incarico.

Come ti muoverai all’interno della consulta?Penso di avere un compito personale, non mi identifico con gli altri membri, mi sento in dovere di investi-re nelle politiche sociali (i libri in comodato d’uso, ad esempio); un altro punto delicato è la modifica del Re-golamento della consulta, Flavio Scuderi voleva fare approvare un intero statuto per gli studenti del sud.Per realizzare tutto ciò saranno necessari dei movimenti decisamente politici:

allearsi, scendere a compromessi, o anche non farlo, per imporre la propria posizione.

Come valuti l’esperienza dell’anno scorso?Essenzialmente formativa. Devo ammettere che non è stata produttiva in senso stretto, però mi ha fatto capire come dovrò lavorare in questi due anni [il mandato della consulta è biennale n.d.r]. L’anno scorso sono stato pre-sidente di commissione (un sottogruppo dell’assemblea, che comprende tutti gli eletti) senza sapere cosa avreb-be comportato, non ero preparato ad affrontare anche veri e propri fascisti, che operavano un insolente ostruzioni-smo su numerose questioni. Quest’anno sarò senz’altro più convinto, so cosa vado a trovare, mi farò sentire di più.

Cosa pensi del Collettivo d’istituto e come credi che si potrebbe sensibilizzare il corpo studentesco alle questioni politiche?

La cosa più importante da fare è farsi vedere, essere presenti. Molti pur avendo delle loro idee non si mettono in gioco. Una persona che non riesce a stringere relazioni con le altre non può pensare di fare politica o di portare persone al Collettivo.

Come vedi la collaborazione con Flavio Scuderi?Sinceramente non mi aspettavo che sarebbe stato eletto. Avevo previsto che sarebbe salito Giuliano Rocca e l’an-no dopo, decadendo il mandato a causa del diploma, sarebbe subentrato Flavio. In ogni caso è estremamen-te competente, nutro grande fiducia in lui, è maturo e intelligente. Mi sentirò come Alberto Tudisca era stato l’an-no scorso con me, dovrò essere all’interno della consulta il suo punto di riferimento, mi aspetto grandi cose da lui.

ASIA CLEMENZA IV IALBERTO ROMANO V E

I NOSTRI NUOVI RAPPRESENTANTI DI CONSULTA

GIORGIO LA SPINA LISTA I, IV C

FLAVIO SCUDERILISTA I, III H

Qual è secondo te l’importanza della Consulta?Innanzitutto secondo me le consulta è un ancora più importante del Consiglio d’Istituto e di qualsiasi altro organo relativo alla scuola, per la possibilità di confronto tra tutte le scuole che offre, nonostante sia un confronto che riguarda anche la politica (per quanto la Consulta non sia un organo politico), e, soprattutto per la possibilità di gestire i fondi euro-pei affidati alla Provincia. Nella provincia di Palermo non è mai stato approvato neanche un progetto a causa del continuo e assurdo appropriamento indebito: i soldi ci sono, ma non vengono utilizzati. E’ giusto quindi che non solo dal Cannizzaro, ma anche da tutte le altre scuole scuole vengano eletti rappresentanti capaci di portare proposte concrete, unanimemente condivisibili e universalmente applicabili.

In cosa consiste la tua carica?Il mio ruolo sta principalmente nella rappresentanza del nostro liceo alla consulta provinciale secondo un mandato biennale, il che comporta la mia partecipazione alle assemblee plenarie per le votazioni e la proposta di progetti nelle stesse assemblee.

Come immagini sarà il tuo anno da rappresentante alla Consulta?Immagino sarà molto difficile: come ho detto prima la Consulta è ormai, nonostante non dovrebbe essere così, un orga-no fortemente politicizzato e, contemporaneamente, pieno di ragazzi ignoranti e quasi inconsapevoli del proprio ruolo, persone che spesso neanche si presentano alle assemblee. Ciò vuol dire che il quorum per le votazioni si abbassa e il potere è ufficiosamente detenuto da una parte schierata sempre presente.

Qual è il vantaggio dell’essere contemporaneamente rappresentante alla Consulta e al Consiglio d’Isti-tuto?Non vedo in questo un vantaggio personale, vedo piuttosto un vantaggio per la nostra scuola, per esempio nel caso dell’approvazione di progetti alla Consulta che potrebbero essere subito attivati all’interno dell’istituto (come quello che riguarda i libri in comodato d’uso).

Come pensi sarà la collaborazione col tuo “partner” La Spina?Con Giorgio La Spina ci conosciamo da tempo, è stato proprio per merito (o per colpa) sua che ho deciso di candidarmi in Consulta. Il mio obiettivo principale era proprio questo posto, e per questo mi impegnerò molto, perché credo realmente che l’organo in cui sono ora rappresentante abbia bisogno di un cambiamento. Con Giorgio condividiamo sia idee politi-che (anche se ciò non importa), sia scelte etiche, quindi credo che la nostra sarà una serena collaborazione.

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VITA SCOLASTICA ATTUALITA’ E CULTURA

FEDERICO AMBROSINO III D

LA “BUONA” SCUOLALUCA GIAMMANCO II E

L’ACCOGLIENZA ITALIANA AI MIGRANTI

L’arrivo di questo anno scolastico ha portato molte novità alla scuola pubblica: è stata approvata ed è entrata in vigore da Set-tembre “La buona scuola”, targata Renzi-Giannini.Ma cos’è questa Buona Scuola di cui tutti parlano e per la quale molti protestano?

Già nelle prime righe della è chiara l’impronta che si vuole dare alla scuola: quella di un’azienda. Viene messa in risalto la figura del preside che ha totale potere decisionale sul corpo docenti: infatti può nominare a sua scelta i professori della propria scuola; inoltre è sempre il preside che a fine anno deciderà a quali docenti spetti il “bonus di merito (che consiste in una somma di denaro). A tal fine sono stati stan-ziati 200 milioni, anco-ra privi di coperture. Tra l’altro, la scuola pubblica non conte-rà solo più sui fondi stanziati dal governo, bensì dovrà contare anche sulle donazioni di privati: la riforma prevede l’ingresso dal 2016 dei privati nelle scuole, le cui donazio-ni dovrebbero incidere per una larga fetta nel bilancio. E’ inevitabile che si formino in tal senso scuole “di serie A” e di “serie B”; quel-le che, soprattutto del Nord Italia, potranno contare su molto denaro proveniente da privati avranno una qualità di apprendimento migliore rispetto alle scuole che non avranno a disposizione queste somme. Un altro passo che questo decreto effettua verso la privatizzazione scolastica è la possibilità di scaricare la retta di iscrizione nella scuole private per il 65%.Un altro punto che è stato fondamentale per l’approvazione di questo decreto è il piano di assunzioni; per comprenderlo ap-pieno serve ricorrere ai numeri. Il numero di candidabili al bando (cioè chi ha superato con successo i concorsi pubblici) ammonta a ben 610 mila insegnanti, dunque si è dovuta escludere una

larga fetta di aspiranti. Per questo motivo nella prima fase è stato preso in considerazione solo chi era nelle famose graduatorie e così facendo il numero si è ridotto a ca. 150 mila docenti. La col-locazione è stata più difficile del previsto, infatti 100 mila insegna-ti hanno rinunciato alla cattedra poiché costretti il più delle volte a dover spostarsi di centinaia di chilometri dalla propria casa. Il rinuncio alla cattedra determina un’automatica esclusione dal-le prossime assunzioni. Le assunzioni alla fine si sono rivelate poco più di 50 mila, ben lungi dall’essere le 100 mila promesse. Un’altra questione che è emersa negli ultimi tempi in particolare è l’articolo che prevede una somma di €500 versata in una carta direttamente ai docenti che può essere sfruttata per l’aggiorna-

mento didattico, ma anche per l’acquisto di strumenti digitali e lavorativi. E che uso faranno i professori di questi soldi? Tablet? Smartphone? Corsi di aggiornamento? Computer?Infine il punto più di-scusso in assoluto è quello riguardante l’alternanza scuola-lavoro. Da quest’an-no gli studenti del triennio svolgeranno un determinato nu-mero di ore di lavoro NON RETRIBUITE presso enti privati o pubblici, in orario extra-curriculare (400

ore negli istituti tecnico-professionali, 200 nei licei). Il governo si dovrebbe impegnare a stendere una “Carta sui dritti dello stu-dente in alternanza scuola lavoro” della quale, tuttavia, dopo tre mesi ancora non si ha traccia.

Mi fa indignare ancora una volta vedere che, nonostante cambi-no i governi, la musica rimanga sempre la stessa in merito alla scuola.D’altronde è più facile governare un popolo di ignoranti.

In Italia si parla ormai da tanti anni di immigrazione e, soprattutto dopo l’incremento dell’arrivo di migranti dovuto alle guerre dell’ul-timo periodo, molte persone manifestano la loro avversione ver-so gli immigrati, lamentandosi del fatto che “siano troppi”(anche se in Italia ne abita uno ogni mille italiani). Soprattutto per col-pa dell’uso inappropriato dei social network, inoltre, sono state divulgate molte notizie false che portano a pensare che gli im-migrati siano ospitati in suite di alberghi di lusso, con collega-mento ad internet, televisori HD e cellulari di ultima generazione gratuiti e che vengano pagati giornalmente con 35€ a persona.Il ministero degli interni prevede che i cittadini stranieri entrati in modo irregolare in Italia siano accolti nei centri per l’immigrazione dove ricevono assistenza, vengono identificati e trattenuti o in vista dell’espulsione o, se si tratta di richiedenti protezione inter-nazionale, per le procedure di accertamento dei relativi requisiti. Le strutture in cui vengono accolti gli immigrati si dividono in: cen-tri di primo soccorso e accoglienza (Cpsa), centri di accoglienza (Cda), centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) e centri di identificazione ed espulsione (Cie). I primi (Cpsa) ospitano gli stranieri al momento del loro arrivo in Italia. Qui i migranti rice-vono le prime cure mediche necessarie, vengono foto segnalati e hanno la possibilità di richiedere la protezione internazionale. Successivamente, i Cda garantiscono una prima accoglienza allo straniero, fino a che non viene identificato e non viene accertata la regolarità della sua permanenza in Italia. Invece, se il migrante ha richiesto la protezione internazionale, viene mandato nei Cara, per l’identificazione e l’avvio delle procedure relative alla prote-zione internazionale. Infine, gli stranieri che non hanno fatto una

richiesta di protezione internazionale o non ne hanno i requisiti sono trattenuti nei Cie, istituiti per evitare la dispersione sul terri-torio di chi è in via di espulsione. Il tempo di permanenza (di 18 mesi al massimo) dipende dalla durata delle procedure di identifi-cazione e di quelle successive di espulsione e rimpatrio. Purtrop-po queste procedure, benché siano previste dalla legge, non sono sempre rispettate a causa del grande numero di richiedenti asilo.Esistono infine associazioni non governative e ONLUS che si occupano di offrire accoglienza e aiuto agli immigrati. Le prime adibiscono a centri di accoglienza per stranieri vecchi alberghi e ristoranti ormai in disuso, ottenendo un appoggio economico dallo Stato (che utilizza i fondi destinati agli immigrati stanziati dall’unione europea) di 35€ giornalieri ogni immigrato ospitato; purtroppo, per accaparrarsi questo appoggio economico, alcuni uomini senza scrupoli tengono i centri di accoglienza in condi-zioni pessime per diminuire la spesa e aumentare il guadagno.Le ONLUS, invece, sono organizzazioni senza scopo di lu-cro che offrono vestiti, cibo e lezioni di italiano ai richieden-ti asilo e che possono operare solo grazie alle donazioni ri-cevute. In Italia è molto importante il Centro Astalli, sede italiana del Jesuit Refugee Service (Servizio dei Gesuiti per i rifugiati). Queste organizzazioni, comunque, offrono assi-stenza agli immigrati finché lo stato non li riconosce come rifugiati e non li accoglie, dando loro la possibilità di lavorare.In generale, pensare che gli immigrati siano dalla parte del tor-to è sbagliato, infatti, se si analizzano i dati diffusi dall’UNHCR si può notare che negli ultimi cinque anni sono scoppiati mol-ti nuovi conflitti che rendono inabitabili molti paesi del mondo.

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ATTUALITÀ E CULTURAATTUALITÀ E CULTURA

VINCENZO MANFRE’ V A

LA SALUTE DELLA SANITA’

Intervista al Dirigente medico dott. Giuseppe Di Giorgio. Laurea-tosi nel 1990 a Palermo e specializzatosi in medicina interna nel 1995, ha lavorato dapprima in provincia di Ferrara in pronto soc-corso, successivamente a Palermo ricoprendo lo stesso ruolo, e attualmente è impiegato presso il pronto soccorso dell’ospedale di Fidenza (PM).

Mi pare legittimo cogliere l’occasione delle recenti polemi-che, cui purtroppo siamo oramai avvezzi, legate ai triste-mente noti test di ammissione alla Facoltà di Medicina e Chirurgia per chiedere la sua opinione al riguardo, dato che

lei è un uomo del settore.Beh, i test costituiscono certamente uno strumento di program-mazione. Ovvero permettono di poter quantificare il numero delle matricole al fine di assicurare una migliore organizzazione. Que-sto è l’unico pro. Vi sono numerosi contro, però. Mi sembrano totalmente, o quasi, distanti dal programma di studi liceale, pri-vilegiando una preparazione specifica che crea una dipendenza da corsi ad hoc a pagamento. La selezione, per lo meno quella vera, in medicina deve essere “naturale”, durante il corso degli anni si studio.

Tuttavia molti sostengono che i test siano indispensabili per problemi di logistica.

Allo stato attuale mi sembrano indispensabili sotto questo punto di vista, ma possono fungere solo come strumento a breve ter-mine. È inammissibile che ci si prepari per un qualcosa che ri-chiede conoscenze che proprio il superamento del test dovrebbe permettere di acquisire.

Dato che io scrivo per un giornale di Istituto, parte dei lettori è costituita da aspiranti medici. Quali consigli o raccoman-

dazioni possiamo riservare loro?Il lavoro del medico è sicuramente molto impegnativo, per due o

tre ordini di motivi. È impegnativo fisicamente perché i turni sono lunghi e lo stress notevole. Inoltre le responsabilità sono molte e gravose.

A maggior ragione, se mi posso permettere, per lei che lavo-ra in pronto soccorso.

No, no, no, è impegnativo a prescindere. Si tratta del lavoro in sé. Il pronto soccorso ha delle peculiarità quali la velocità di azione o di risposta che in altri settori sono meno pronunciati. Si lavora sul “bianco-nero”, le sfumature di grigio sono molto limi-tate. In reparto c’è più discussione, mentre in pronto soccorso si deve affrontare il problema contingente. Poi vi sono i turni nottur-ni o quelli festivi che incidono nel contesto di una vita familiare. Natale, Pasqua e domeniche libere sono da dimenticare nella maggior parte dei casi. Naturalmente in pronto soccorso gioca un ruolo maggiore la preparazione psicologica, in quanto vi è la necessità di ridurre la conflittualità spesso accesa con l’utenza, tant’è che nella mia azienda si organizzano dei corsi di forma-zione su come affrontare determinate situazioni di tensione con il paziente e, come accade molto più frequentemente, con i suoi familiari.

Vorrei soddisfare una mia, per così dire, atavica curiosità: come funziona esattamente la gestione dell’emergenza in

pronto soccorso?All’arrivo del malato, egli viene preso in carico da un sistema infermieristico chiamato di “triage”. Esso consiste nell’attribuzio-ne di un colore sulla base non di una diagnosi, quanto dell’al-terazione di parametri chimici: bianco, verde, giallo, rosso. Nel rosso vi è un’alterazione dei parametri vitali per cui il malato è in pericolo di vita; il ricovero è immediato. Il giallo è riferito ad una condizione intermedia cui, secondo norme internazionali, bisognerebbe far fronte entro i 20 minuti dal ricovero, ma in cui il paziente è solo potenzialmente in pericolo di vita. Il codice verde è un codice di gravità minore che, per codifica internazionale, deve essere gestita entro le due ore dall’arrivo del malato, men-tre i codici bianchi sono codici ambulatoriali con tempi di attesa che si aggirano attorno alle 4 ore. In seguito il paziente può o essere smistato in ambulatorio, o essere ricoverato, o ancora si può praticare una terza strada: quella dell’ O.B.I. (osservazione breve intensiva), che rappresenta una condizione intermedia. Essa prevede che il paziente rimanga in pronto soccorso per un periodo più lungo, dalle 12 alle 24 ore a causa di una patologia per la quale non è necessario il ricovero, ma per cui non è suffi-ciente la permanenza in ambulatorio.

Anche se è indubbiamente vero che nella realtà questi tempi si dilatano anche di molto, non è vero?

In verità aumentano i tempi di attesa dei verdi e talvolta dei gialli, benché questo dipenda dalla singola realtà locale.

Ecco, era proprio qui che volevo arrivare. Quest’ultima pre-cisazione ci porta alla prossima domanda. Lei ha lavorato in varie parti d’Italia, sia a Nord che a Sud; bene, rimarcando questa opposizione da sempre in voga, quali differenze ha

riscontrato nel suo ambito di competenza?Le differenze non sono tanto culturali, quanto organizzative. La Sanità del Nord tende a creare dei protocolli, o, se si vuole, delle standardizzazioni di gestione, anche se tale dicotomia non è così netta poiché il settore è a macchia di leopardo. Tutta-via, le realtà migliori condividono que-sta caratteristica: ovvero, la creazione di, come dicevamo, protocolli di gestio-ne dell’emergenza. Sia da un punto di vista clinico che organizzativo. La medicina di pronto soccorso moderna prevede un sistema di hub and spoke. L’ospedale “hub” sarebbe l’ospedale principale che ospita quasi tutte le specialistiche di riferimento. L’ospedale “spoke” è quello periferico; tutta una serie di patologie, cui si interviene dando so-litamente una risposta più immediata, rapida, d’urgenza rispetto al trattamento successivo fornito nell’hub, vengono gestite lì, poi vengono trasferite al centro “hub” di riferimento. Al Nord questi sistemi sono sottoposti ad una continua valutazione ed eventual-mente sono modificati, al Sud spesso questa gestione è assente, con conseguenti gravi ricadute nell’organizzazione del sistema.

Ha mai riscontrato delle differenze a livello di avanzamento della tecnologia medica?

No, ripeto, il problema non è né culturale né tecnologico. La vera differenza sta nell’organizzazione che se efficiente riduce i tempi ed i margini di errore.

Questo tipo di organizzazione di cui mi ha appena parlato è gestito dalle singole regioni, giusto?

Sì, la politica sanitaria è di competenza prettamente regionale. Tuttavia un settore nel quale ho riscontrato delle differenze è quello della formazione; certo, bisogna ribadire che tutto varia da realtà a realtà, ma in media un medico che opera al Nord è più inserito in un circuito internazionale di formazione. Ma ri-peto, la sanità, soprattutto siciliana, è estremamente variegata e differenziata: uno si può ritrovare in ospedali che non hanno

praticamente nulla così come in centri di altissimo livello. Da non dimenticare, inoltre, la questione dei costi del materiale sanitario che apre una parentesi sull’efficacia o meno di una sanità ecces-sivamente regionalizzata, in cui, spesso, si gonfiano i prezzi per far arricchire illecitamente qualcuno. L’obiettivo politico attuale è quello di porre un freno a questa tendenza, ma chissà se in futuro ci sarà abbastanza volontà politica…

Riguardo al delicatissimo tema dei tagli, pensa che negli ultimi anni siano stati effettuati riduzioni lineari ed indiscri-minate della spesa, come così spesso si sente dire in giro?Più che tagli, io parlerei di razionalizzazione, ma ovviamente

mi riferisco alla realtà in cui lavoro. A Fidenza, si è modificata la gestione della patologia razionalizzando, ap-punto, la spesa. Ti faccio un esempio: spesso capita di trovarsi davanti a due farmaci con lo stesso principio attivo, ma dal costo differente; noi utilizzia-mo sempre quello col costo minore, l’importante è l’efficacia della terapia, anche se è indubbio che negli ultimi

anni si è sempre più teso ad una diminuzione della spesa ed ad un aumento del contributo da parte dei privati.

E’ stato di recente approvato una nuovo provvedimento sul-la Sanità, firmato Renzi-Lorenzin. Questa legge ha suscitato varie polemiche poiché è stato visto come l’ennesimo taglio ad un settore già pesantemente colpito negli anni passati.

Qual è la sua opinione al riguardo?Premesso che il provvedimento è stato varato di recente, e non avendo io avuto modo di esaminarlo, mi sento di rispondere alla domanda facendo riferimento alla mia personale esperienza. La medicina moderna si caratterizza sempre più come evidence ba-sed. Questo significa che ogni esame è regolato da protocolli che attestano se un determinato controllo va fatto in presenza di un ben definito pattern sintomatologico. Naturalmente esistono diverse categorie di evidenza; ora, se il suddetto provvedimento mira alla standardizzazione, ovvero a rendere questi protocolli sempre più efficaci e precisi, bene. Nel caso in cui, però questo si concretizzasse in un taglio lineare ad esami indispensabili, ciò rappresenterebbe un ulteriore disastro. Tuttavia, e concludo, è innegabile che molti medici ricorrono alla scellerata pratica del-la medicina “difensiva” per evitare di correre qualsivoglia rischio nella diagnosi, prescrivendo così esami inutili se non, addirittura, dannosi.

[continua nella pagina seguente]

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ATTUALITÀ E CULTURAATTUALITÀ E CULTURA

Si sente spesso parlare dei cosiddetti viaggi della speran-za. Particolarmente indicativo resta il fatto che molti medici o famiglie di medici si spostino ancora oggi verso il Nord.

Qual è il suo parere al riguardo?Questo fenomeno riguarda soprattutto la chirurgia. Molti ospeda-li del settentrione, proprio per il fatto di essere centri hub, hanno molta più esperienza nel trattamento di una determinata pato-logia, perché il loro numero di interventi aumenta, e aumenta dunque anche la qualità standard.

Adesso le pongo una domanda un po’ più personale: dato che sempre più giovani si spostano alla ricerca di un lavoro o di un futuro più roseo al Nord, sulla base della sua diretta esperienza, ci potrebbe fornire qualche caso di discrimina-zione subita proprio per il fatto di essere un meridionale?

Beh, discriminazione non lo so. Sicuramente un sottobosco di tentativi di esclusione o, quantomeno di diffidenza che poi si su-pera col tempo tramite la graduale affermazione professionale. Tuttavia coloro che si trasferiscono devono mettere in conto de-terminati atteggiamenti di questo genere che sono assolutamen-te serpeggianti.

Ma che tipo di pregiudizio si cova nei nostri confronti? Ri-guarda esso la nostra preparazione professionale?

No, il pregiudizio è propriamente geografico ma non si qualifica in un determinato settore. Questo sentimento varia tuttavia di città in città, ed è sicuramente maggiore nei piccoli centri.

Credo che abbiamo toccato insieme una moltitudine di aspetti che hanno senza dubbio esaurito tutti i vertici di discussione. Tuttavia un giornalista non può esimersi dal domandare ciò che ci dovremo aspettare per il futuro della

sanità.La medicina del futuro deve essere sempre meno ospedalizzata e sempre più legata al territorio e sarà necessario investire su questo: la patologia cronica, ad esempio, la cui comparsa è do-vuta all’aumento della vita media, non dovrebbe incidere sull’at-tività degli ospedali bensì dovrebbe essere gestita nella propria abitazione o in case di riposo. La speranza maggiore è che pos-sa vigere una sempre maggiore standardizzazione che riduca le inquietanti disparità oggi esistenti nel settore sanitario.

ELISABETTA CANNATA IV C

LA SPETTACOLARIZZAZIONE DEL MALE

La tv di oggi è una tv sempre più criminale. Una tv cioè che sem-pre più spesso tratta del crimine e impernia il suo successo su di esso. Appare evidente, guardando i palinsesti delle principali reti televisive, italiane e internazionali, la massiccia presenza di film, telefilm e trasmissioni di inchiesta giornalistica che trattano di crimini. Questa programmazione così vasta di tali programmi risponde alla crescente richiesta del pubblico di conoscere gli eventi della cronaca nera, sia reali che non, anche negli aspetti più cruenti e realistici. Come spiegare questa morbosa atten-

zione che le persone rivolgono a queste tematiche? Si tratta di una semplice moda del momento, o di una perversione insi-ta nell’animo umano?La passione per il crimine e per la “de-tection” non è solo caratteristica dei no-stri giorni, essa infat-ti attraversa tutte le

epoche, realizzandosi dapprima nelle tragedie greche, in seguito nel romanzo giallo, fino ad approdare alle odierne rappresenta-zioni televisive. Allora come oggi, il serial killer esercita una forte attrazione causata probabilmente dal fascino della ribellione e dalla naturale tendenza umana a risolvere quell’intricato mondo che si nasconde nelle menti di queste personalità.Tanti sono i motivi che fanno sì che un caso di cronaca nera entri effettivamente a far parte della storia contemporanea, venendo proposto e riproposto, in modo più o meno attendibile, nei vari programmi. Questa sistematica rappresentazione scaturisce, nel telespettatore, sdegno, il bisogno di farsi giudici e psicologi, ed emozione. Emozione poiché questi eventi coinvolgono gente normale, come noi. Ed ecco allora la paura, perché tutto ciò po-trebbe capitare a noi e il sollievo, poiché è capitato ad altri.L’interesse patologico per il male dà ampio spazio a quei pro-grammi televisivi, spesso reality show sotto mentite spoglie gior-nalistiche, che giorno dopo giorno aggiungono orrore all’orrore, arricchendo la situazione di dettagli sempre più minuziosi e san-guinosi.Da un lato questa grande spettacolarizzazione della violenza e del male ha l’effetto della catarsi aristotelica; le azioni rappresen-tate nelle tragedie antiche così come nelle crime-fiction moderne non sono altro che la messa in scena del più spregevole agire umano e la loro visione fa sì che l’uomo si immedesimi in quegli impulsi che provocano il crimine, generando una repulsione e

una condanna della malva-gità.Inoltre, le rappresentazio-ni del crimine soddisfano l’egoistico bisogno di pro-tezione; infatti, il vedere e conoscere, nei minimi det-tagli, la morte altrui crea paradossalmente una spe-cie di ostacolo che tiene la morte stessa lontana da noi. Però, credo che ci sia dell’altro dietro la spettacolarizzazione del male. Nei meandri più oscuri della psiche umana non esiste solo la paura della morte, che attraverso i fatti di cronaca nera verreb-be così esorcizzata, ma sono presenti anche inconfessabili istinti violenti che possono portare all’identificazione con il male che i criminali incarnano.Infatti, se da una parte è vero che la grande visibilità a cui è sog-getto il crimine non implica una crescita della criminalità, dall’al-tra è anche vero e dimostrato che ciò possa favorire una “fami-liarizzazione” con il crimine stesso. Questa familiarizzazione può poi degenerare nella giustificazione della condotta criminosa o in una spinta emulativa. La spettacolarizzazione di comportamenti criminali, infatti, mista al crescente bisogno di protagonismo, può far leva sulle menti più fragili, influenzandole negativamente o addirittura istigandole all’imitazione.

“Crime investigation”, un canale di Sky in cui si parla solo di omicidi e crimini

tanti sono i motivi che fanno sì che un caso di cronaca nera en-tri effettivamente a far parte della storia contemporanea, venendo proposto e riproposto, in modo più o meno attendibile, nei vari programmi. Questa sistematica rappresentazione scaturisce, nel telespettatore, sdegno, il biso-gno di farsi giudici e psicologi,

ed emozione.

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ATTUALITA’ E CULTURA LO SAI CHE

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ACHILLE LIBERATORE III L

LA LEGALIZZAZIONE DELLA MARIJUANA

La distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti e la relativa pena per spaccio di sostanze appartenenti all’ una o all’ altra categoria è la base di partenza della legge n. 49 del 2006, meglio nota come legge “Fini-Giovanardi”, che stravolse la normativa in materia di stupefacenti fino ad allora in vigore.La normativa precedente era la legge n. 309 del 9 Ottobre 1990, conosciuto come “Testo Unico sulla droga”; all’interno di quel provvedimento si andavano a sancire le norme in materia di di-sciplina degli stupefacenti, oltre che sulla cura e la riabilitazio-ne dalla tossicodipendenza. La legge Fini-Giovanardi del 2006 andò a ribaltare il panorama normativo in materia di droghe con l’intenzione di circoscrivere e limitare i comportamenti connessi all’utilizzo di sostanze stupefacenti e di porre un argine al feno-meno, aumentando la punibilità.Perno di quella legge fu l’abolizione della distinzione giuridica tra droghe leggere e droghe pesanti e la reintroduzione della punibi-lità da un punto di vista penale anche per la semplice detenzione personale di stupefacenti; non era più valida, oltre una quantità posseduta, la possibilità di giustificare il tutto come per uso per-sonale, ma tornava buono un vecchio parametro che stabiliva come il solo possesso di sostanze stupefacenti potesse di per sé essere finalizzato allo spaccio.Quest’anno l’intero gruppo parlamentare per la legalizzazione della cannabis ha messo a punto una prima bozza della legge, che ha visto confrontarsi, coordinati dal senatore Benedetto Del-la Vedova, oltre 150 onorevoli dal Partito Democratico, il Mo-vimento 5 Stelle, Sinistra ecologica e Libertà e Forza Italia. Si parla di tre principali argomenti: la coltivazione da parte dello stato o della persona, l’uso personale e quello terapeutico. Anzitutto la coltivazione per uso personale sarà permessa a tutti i cittadini maggiorenni, con il limite di 5 piante di sesso femminile, e solo dal giorno successivo alla presentazione di un’apposita ri-chiesta di autorizzazione. Sarà però possibile solo in casa, verrà infatti sanzionato chi ne farà uso <<negli spazi pubblici o aperti al pubblico e nei luoghi di lavoro pubblici e privati>>. Al di fuori della

coltivazione per uso personale, <<la coltivazione della cannabis, la preparazione dei prodotti da essa derivati e la loro vendita sono soggette a monopolio di Stato>>. Si prevedono tuttavia delle procedure per <<l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di produzione, trasformazione e vendita da parte di soggetti terzi>>. Il regime fiscale <<è sostanzialmente equiparato a quello dei ta-bacchi>>, mentre la fase commerciale prevede la <<tracciabilità del processo produttivo, il divieto di importazione e esportazione di piante di cannabis e prodotti derivati, l’autorizzazione per la vendita al dettaglio solo in esercizi dedicati esclusivamente a tale attività, la vigilanza del ministero della Salute sulle tipologie e le caratteristiche dei prodotti ammessi in commercio e sulle moda-lità di confezionamento>>.Invece per quanto riguarda il consumo personale la legge dà la possibilità di avere con sé un quantitativo di sostanze fino a 5 grammi, mentre a casa la quantità aumenta fino a 15g, superato il quale la persona riceverà una sanzione.Infine si legalizza e si disciplina sia l’uso terapeutico che quello medico. Secondo le norme transitorie e finali, l’entrata in vigore avverrà in fasi. Dal momento dell’approvazione, entreranno subi-to in vigore sia la riforma del sistema sanzionatorio, sia le norme riguardanti la detenzione e l’uso terapeutico. Dopo un anno, a seguito di una fase di sperimentazione, tutto il resto.Questa bozza dovrebbe essere presentata entro fine 2015 ma prima dovrà fare un altro giro all’interno dell’Intergruppo per li-mare e modificare i punti sui quali l’accordo non è ancora stato raggiunto.

Negli ultimi tempi la disinformazione nell’ambito videoludico è tornata in risalto attraverso la televisione, che, con interventi di “noti” esperti (che sembrano non aver mai toccato un videogio-co) e altro, continua a mettere in evidenza gli aspetti negativi di questo mondo.

Un esempio di ciò è costituito dal servizio di Pablo Trincia per “AnnoZero” riguardante l’ “E-sport” (il videogiocare professio-nalmente): in Cina, infatti, i videogiocatori professionisti sono considerati al pari dei calciatori, con l’unica differenza che usano un computer; tuttavia l’argomento viene trattato come se fosse una droga e non più come piacere e lavoro, dun-que con toni abbastanza preoccupanti e trasmettendo l’im-pressione di essere entrati in un mondo di pazzi squilibrati.Da persona che vive in questo ambiente da moltissi-mo tempo è mio dovere sdoganare alcuni luoghi co-muni che il videogioco ha suscitato nelle mente di chi li vede come una minaccia; prendo i tre più comuni:

1)I videogiochi portano ad atti violenti

E’ una questione ripetuta fino alla nausea quando si parla di videogiochi; ebbene, esistono videogiochi violenti, non ne si può negare l’esistenza, ma non c’è nessun legame tra l’es-sere violento e i videogiochi (questo è confermato anche da diverse ricerche scientifiche sul tema). Non è il videogioco a creare un indole violenta nella persona ma sono le espe-rienza vissute a formarla. Il videogioco, invece, può esse-re una valvola di sfogo, per esempio per lo stress quotidiano.

DISINFORMAZIONE E LUOGHI COMUNI SUI VIDEOGIOCHI

GabRiele Giambanco iV n

2)I videogiochi sono per bambini

Il secondo luogo comune più diffuso è quello relativo al pub-blico a cui è rivolto il videogioco. Molti pensano che sia quello della fascia adolescenziale-adulta; in verità il video-gioco è per tutti, sia per i bambini sia per adulti; ovviamen-te alcuni non sono rivolti a un pubblico di minori, esiste però una classificazione europea denominata PEGI che indica relativamente l’età minima consigliabile per un videogioco.

3)I videogiochi non ti fanno avere una vita sociale

Il terzo luogo comune più diffuso è quello relativo alla mancanza di vita sociale se si è un appassionato di videogiochi; nei servizi in televisione si dice che questi siano una fonte di alienazione e che portino l’individuo a estraniarsi dalla realtà, dunque dal-la società. Tutto ciò non è necessariamente vero, molte altre cose possono essere fonte di distrazione, quindi perché dare la colpa ai videogiochi? I videogiochi permettono agli appas-sionati di incontrarsi fra di loro anche nella realtà e di discute-re delle loro passioni; sono dunque causa di socializzazione.

Pertanto, secondo voi, il videogioco può essere la causa del male dei giovani?

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SPORT E SPETTACOLOZoom su... STORIAUNITÀ 731

CHIARA SCHILLACI III C

Molti di noi ricordano la Seconda Guerra Mondiale per le atrocità commesse dai Nazisti tra il 1939 e il 1945 nei campi di sterminio, dove 15 milioni di persone tra uomini, donne e bambini furono sterminati brutalmente perché ebrei, omosessuali, affetti da han-dicap, oppositori del terzo reich o prigionieri di guerra; ma molti di noi non conoscono le orripilanti azioni commesse nella Manciuria (Cina nord-orientale) tra il 1936 e il 1945 da un’ unità militare chiamata “ Unità 731 “. Questo corpo fu incaricato di testare armi chimiche e biologiche, violando così il trattato di Ginevra firmato in precedenza dal Giappone nel 1925, il quale diceva chiaramen-te che le armi chimiche o di distruzione di massa erano vietate.

L’Unità 731 fu guidata da Ishii Shiro, un esperto batteriologo, che decise di cominciare degli esperimenti agghiaccianti su milioni di prigionieri, per di più cinesi, (ritenuti allora inferiori) ma anche mongoli; inclusi donne e bambini. Ishii Shiro decise di attuare questi esperimenti non solo per testare armi chimiche ma ini-ziò anche dei test letali su prigionieri infettati al fine di cerca-re cure da somministrare ai soldati Giapponesi infetti o feriti.

Gli esperimenti erano davvero degni di un film dell’orrore, come congelare le dita dei prigionieri fino a farne perdere la sensibili-tà per poi immergerle nell’acqua bollente fino a quando queste non si spellavano o cadevano, appendere i prigionieri a testa sotto per una gamba fino a che il sangue affluisse tutto alla te-sta e morissero per asfissia; spesso venivano costretti alla fame e alla sete per testare la durata media di sopravvivenza senza viveri; i prigionieri furono perfino sottoposti a vivisezioni senza anestesia, tra cui le donne talvolta messe incita dalle guardie stesse; furono testati lanciafiamme e bombe su bersagli uma-ni, ad alcuni prigionieri fu iniettata urina di cavallo nei reni, ad altri furono indotte delle embolie, altri ancora furono costret-ti a stare in camere dove veniva tolto l’ossigeno fino a che si creasse il vuoto; altri erano posti dentro ad una centrifuga.

Queste è solo una parte della barbarie commessa dall’Unità 731, le cui operazioni continuarono fino al 1945 quando Shiro decise che le armi testate potevano essere utilizzate nel conflitto del Pacifico, anche se questo non accadde grazie all’intervento degli Alleati. Con l’invasione russa l’unità dovette sciogliersi ma Shiro intimò a tutti il massimo riserbo fino alla tomba e distribuì boccet-te di cianuro di potassio nel caso fossero stati catturati. Quando il Giappone nel 1945 si arrese agli alleati, Douglas MacArthur di-venne comandante supremo degli Alleati e concesse l’immunità ai medici dell’Unità 731 in cambio dei dati sulla guerra batteriologica da fornire agli Usa. Gli americani credevano che i dati potessero essere utili e soprattutto non volevano che finissero nelle mani dei sovietici. Alla fine della guerra i maggiori esponenti dell’unità vennero chiamati a fondare la più grande industria farmaceutica giapponese e Ishii Shiro venne convocato nel Maryland per lavo-rare sulla guerra batteriologica. Solo oggi le atrocità commesse dall’Unità 731 sono riconosciute come crimini di guerra dall’ONU.

INTERVISTA ANDREA DI LIBERTOSOFIA GALICI V O

Andrea Domenico Di Liberto, giovane atleta palermitano, racconta la sua esperienza nei mondiali di canoa avvenu-ti nel luglio di quest’anno a Montemor-o-Velho, in Portogallo.Come in molti sport, nella canoa/kayak vi sono specialità indi-viduali (K1), di coppia (K2) e di gruppo (K4) ma il nostro cam-pione quest’anno si è cimentato nella categoria di velocità K2 200 m junior e under 23 insieme al cremonese Riccardo Spotti.

Ho iniziato cinque anni fa sotto proposta della mia migliore amica. Mi sono trovato subito bene, con un bravo allenatore e dei ragaz-zi simpaticissimi. I primi due anni si fanno le gare della categoria “cadetti” e, terminata la fase del principiante, ho vinto la finale B con il quarto tempo assoluto. Da lì mi sono convinto del fatto che se mi fossi allenato sempre di più avrei potuto avere risultati migliori.

Com’è la tua vita da sportivo?Tre volte a settimana ho l’allenamento mattutino alle 4:45 e dopo una doccia veloce vado a scuola. Dopo pranzo ho un altro al-lenamento (tutti i giorni) e una volta a casa studio cercando di mantenermi al passo con le lezioni.

impiegare gran parte della tua giornata nello sport ti crea problemi a scuola?Non più di tanto. La preside ha capito l’importanza della mia si-tuazione e per questo ho un calendario di interrogazioni e verifi-che diverso rispetto a quello dei miei compagni di classe. Tutto sommato riesco ad organizzarmi al meglio.

Che cosa hai provato prima della gara? Questo non è stato il mio primo mondiale. Ho già partecipato l’anno scorso in K1 vincendo col sesto miglior tempo la finale B, l’equivalente della decima posizione in tutta la gara. Quest’anno eravamo consapevoli che la barca aveva buone possibilità di vin-cita ma eravamo più ansiosi dell’anno precedente. Essendo K2, io e Riccardo dovevamo dimostrare in gara la validità dei nostri tempi.

in che ottica vedi questo traguardo?Sicuramente è il più importante raggiunto finora, molto più di quanto mi aspettassi. La mia prospettiva è quella di riuscire quest’anno a classificarmi per le Olimpiadi del 2016 a Rio, o al-meno provarci! Farò il possibile.

Hai intenzione di portare avanti questo sport?La canoa per me è una passione e un divertimento, è stata ed è parte della mia vita. Ma non credo che in termini professionali sarà la mia futura strada.

Cosa pensi ti riservi il futuro?Il mio progetto è quello di iscrivermi alla facoltà di ingegneria meccanica dopo la maturità e continuare gli studi, ma di certo non abbandonerò questo fantastico sport!

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SPORT E SPETTACOLO SPORT E SPETTACOLO

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MOZART IN THE JUNGLE ANTONIO SCHIFANI V P

sex, drugs and Classical MusicNell’universo che è la musica, il mondo della musica classica ha sempre rappresentato e ricordato un ambiente disciplinatissimo e ordinato. La figura del musicista classico in abiti eleganti, ordi-nato, in posizione, che non esce mai dagli schemi dello spartito che gli è stato posto davanti, riempie di altrettanti cliché l’immagi-ne che si è andata col tempo creando di questa affascinantissima terra, in grado di portarti con estrema rapidità verso l’iperuranio. Ma se in realtà non fosse così? Se non fosse come ce lo imma-giniamo? Se questa realtà non fosse nient’altro che una mera facciata che nasconde un mondo stravagante ed eccentrico?

“Mozart in the jungle”, serie tv Americana uscita nel 2014, sembra quasi nata appositamente per estirpare questi cliché su tutto il mondo classico. La sceneggiatura è stata scritta da Roman Cop-pola e Jason Schwartzman ed è ispirato al romanzo “Mozart in the jungle” scritto dall’oboista americana Blair Tindall, musicista riconosciuta e che per diverso tempo ha collaborato con musicisti rilevanti nell’ambito della musica classica. La trama è incentrata sugli ambienti musicali di alto livello newyorkesi, la giovane prota-gonista della serie è una oboista ventiseienne decisa a diventare una grandissima musicista. Insieme alla sua storia si intrecce-ranno le vicende del giovane e carismatico Rodrigo, nuovo diret-tore dell’orchestra sinfonica di New York, e delle sua orchestra.I personaggi di “Mozart in the jungle” non sono dei musicisti comu-ni: possiamo imbatterci in un timpanista spacciatore di farmaci e droga, una violoncellista con una accesa vita sessuale, e un diret-tore d’orchestra geniale e stravagante che con il proprio carisma riuscirà a dare nuova linfa alla orchestra sinfonica della omonima città, caduta in disgrazia col recente direttore. Sembra quasi di tro-varsi davanti dei giovani musicisti rock degli anni sessanta: giova-ni talenti trasportati dalla passione per la musica e da nient’altro.

I primi episodi si concentrano sulle tensioni che si vengono a creare tra la scuola musicale più tradizionalista, rappresentata dal personaggio di Malcom (il direttore precedente dell’orche-stra), e quella invece più passionale e sopra le righe di Rodrigo che, all’inizio, sembra essere quasi una sorta di divinità. Con una svolta rappresentata dal suo taglio di capelli, metaforicamente, il giovane direttore d’orchestra diventa più umano, sempre strano ed eccentrico, ma con delle motivazioni di fondo che spiegano il suo profondo amore per la musica e il suo recepirla quasi come una religione oltre che come uno stile di vita. Anche se la melica le fa da padrona, questa non è senza dubbio l’unica tematica: difatti, troviamo una intrecciatura amorosa e storie di diversi per-sonaggi che ramificano la trama e l’arricchiscono notevolmen-te. Uno squarcio di mondo che riunisce persone, in diverse fasi della loro vita e carriera, che sono appassionatamente votati al loro lavoro. E adesso? La pensate ancora allo stesso modo?

L’IGNORANZA NELLO SPORTANDREA GILIBERTI III L

Una delle domande che ci facciamo un po’ tutti da anni è: “Per-ché in Italia si dà tanta importanza al calcio e molta meno agli altri sport?”. E a questa domanda se ne possono aggiungere tante altre, perchè in Italia ci sono degli sport che portano grandi risultati a livello mondiale, e che nonostante tutto non vengo-no seguiti come dovrebbero dal grande pubblico a causa della scarsa considerazione di cui godono da parte di tv e giornali.Il calcio ha difatti molto spazio televisivo, e questa grande pub-blicità fa sì che quando un bambino deve iniziare a fare sport pensi subito al calcio dal momento che in continuazione nel suo quotidiano vede scene di questo sport alla tv. Quindi se le compagnie televisive dessero più spazio ad altri sport come:ll rugby che sta sempre di più crescendo a livello internazionale e che proprio per la diffusione mediatica che ha avuto negli ul-timi anni è divenuto uno degli sport più seguiti; la pallavolo che ha recentemente conquistato il bronzo agli europei superando la Bulgaria; il nuoto che ogni anno riesce a portare tante meda-glie a livello mondiale con campioni di alto livello come Federica Pellegrini, Filippo Magnini e il fresco giovanissimo campione del mondo nei 1500 stile libero Gregorio Paltrinieri; la pallanuoto che negli ultimi anni, nonostante la squadra ampiamente ringiovanita recentemente, ogni anno arriva sempre nelle zone alte delle clas-sifiche mondiali, come è avvenuto in occasione delle ultime olim-piadi di Londra 2012 dove ha conquistato addirittura un argento.

E molti altri sport che portano sempre in alto il tricolore.Se questi sport, cosiddetti ”minori”, godessero di maggiore vi-sibilità sarebbero certamente più conosciuti al grande pubblico e questo consentirebbe probabilmente di avere una diffusione delle varie discipline molto più equilibrata di quanto non sia ora.Per rendere possibile una conoscenza più generale e diffusa dei vari tipi di sport si dovrebbe a mio parere innanzitutto fare una campagna di informazione nelle scuole primarie e secondarie e poi le compagnie televisive e gli organi di stampa dovrebbe-ro suddividere lo spazio fra tutti gli sport in maniera più equa.Anche le società e le varie federazioni sportive dovrebbero pub-blicizzare il proprio sport, avvalendosi di apposite figure pro-fessionali (manager dello sport) così come avviene nel calcio.Il calcio, infatti, riesce ad avere milioni di seguaci e con-seguentemente tantissime persone che lo praticano, no-nostante negli ultimi anni siano venute fuori tante vicen-de ed inchieste che poco hanno a che fare con lo sport, essendo fortemente influenzato dagli interessi economici.,Mentre, invece, lo sport dovrebbe servire a trasmettere valori positivi, soprattutto ai ragazzi, dando loro la possibilità di vivere e crescere in un ambiente sano e formativo come succede negli sport “minori” dove circolano meno soldi ma molta più educazione ai veri valori.

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Scienze e Recensioni: speciale su MARTEDa sempre l’Umanità si è chiesta se la vita, oltre che sulla Terra, fosse possibile anche su altri pianeti. Mar-te, oggetto di romanzi di fantascienza, veniva descritto come un luogo dove, un tempo, forse, c’era stata la vita, ma da dove era sicuramente scomparsa miliardi di anni fa. Una storia che da oggi, forse, è da riscrive-re da capo. Gli scienziati hanno accentrato i loro studi su Marte. Lo ritenevano infatti il pianeta che avesse maggiori probabilità rispetto agli altri ad accogliere la vita. Un’ immagine di Marte diffusa il 10 Febbraio 2014 aveva animato i ricercatori ed aveva fatto nascere la speranza che l’acqua, la molecola indispensabile an-che per le più elementari forme di vita, si potesse trova-re allo stato liquido proprio lì, su Marte. Il 28 settembre 2015 la NASA, in un tweet, dà al mondo la notizia dell’ avvistamento del sospirato elemento indispensabile per la vita. Grazie alla MRO, Mars Reconnaissance Orbiter, un satellite con camere fotografiche ad altis-sima risoluzione che gira attorno al Pianeta Rosso da 10 anni, è stata confermata la presenza di sali idrati, tracce di colate che ci confermano che un tempo c’era stata dell’acqua salata sotto forma di liquido. La MRO ha permesso di studiare le modificazioni dei canali che erano presenti in moltissimi pendii di monti e crateri marziani che, con le stagioni e per effetto dei minerali presenti nell’acqua, cambiano di colore.

SU MARTE SCORRE ACQUA SALATA!costanza ruggieri ii d

Però gli stessi autori dello studio, ancora, dicono di non essere sicuri da dove provenga l’acqua. Il meccanismo più logico rimane dunque lo scioglimento di ghiacciai sotterranei che la fanno fuoriuscire sulla superficie at-traverso canali presenti su Marte.Quali scenari si apriranno? L’Europa, mettendo stavol-ta insieme, sotto le insegne dell’Agenzia spaziale eu-ropea (Esa), il meglio delle singole capacità nazionali ha deciso di raccogliere da tempo la sfida di Marte. Lo studio del pianeta rosso avrà un nuovo obiettivo: ricercare la vita, fosse anche solo di qualche batterio e, perchè no? Verificare la possibilità di trovare spazi abitabili per i terresti, come nel film “the Martian” nel quale un astronauta cerca di sopravvivere sul pianeta.Marte ritornerà ad essere, nei romanzi di fantascienza, meta di avventure e di sogni, e, per gli studiosi, oggetto di conferme di tracce di vita e di ricerca per superare gli ostacoli che impediscono all’uomo di raggiungerlo.Cosciente che i progressi si compiranno a piccoli passi, spero che l’uomo, dopo avere imparato a navigare ed a volare nello spazio, un giorno possa imparare anche a muoversi agevolmente nello spazio profondo.

Solo, disperso, dato per morto, provvisto di minime risorse, un uomo tenterà a ogni costo di mettersi in contatto coi soccorsi e attenderà con speranza il loro arrivo. Ma la salvezza non è tanto vicina quanto si possa pensare: è lontana ben 225 milioni di km. Egli non si è perso in un fitto bosco, non è caduto dentro una profonda grotta da cui non riesce a uscire. Non è disteso su una desertica landa di terra che sembra estendersi all’infinito oltre l’orizzonte … anzi forse lo è, ma almeno non su questo pianeta: è su Marte! A causa di una forte tempesta di sabbia, l’equipag-gio della ARES 3 è costretto a tornare sulla Terra e ad abbandonare la missione, la base su Marte, e un suo compagno creduto morto, l’astronauta e biologo Mark Watney. Ma sorprendentemente Mark è riuscito a sopravvivere alla tempesta e, sebbene ferito, è an-cora vivo, anche se non lo resterà per molto se non riprenderà il contatto col proprio equipaggio e non sarà riuscito ad adattarsi alle condizioni del Pianeta Ros-so. Diretto dal celebre Ridley Scott (che si cimenta per la quarta volta in una avventura fantascientifica, dopo “Alien”, “Blade Runner” e “Prometheus” e si inserisce sulla scia della nuova e moderna “Drama Science Fic-tion” già intrapresa da “Gravity” e da “Interstellar”), ba-sato sul romanzo ‘’L’uomo di Marte’’ (‘’The Martian’’) di Andy Weir e interpretato da Matt Damon (il prota-gonista Mark Watney), e da Jessica Chastain (Melis-sa Lewis) (che come Matt Damon torna a recitare in una pellicola di fantascienza dopo la loro importante presenza nel cast di “Interstellar”), “The Martian – So-pravvissuto” racconta la vicenda di Mark Watney che disperso tra le dune del Pianeta Rosso, ferito, in una base spaziale con risorse di acqua, cibo, medicine e ossigeno progettate solo per la durata di circa un mese e con l’unica prospettiva di salvezza data da una pros-sima regolare missione su Marte tra ben quattro anni, su un pianeta che offre condizioni sfavorevoli e assolu-tamente inadatte alla specie umana, dovrà necessaria-mente entrare in contatto con l’equipaggio o con la base,

SOPRAVVISUTO - THE MARTIANmanfredi alberto monti V c

che lo ritengono morti, e mettere a frutto tutte le pro-prie conoscenze scientifiche se vuole tornare sano e salvo dalla propria famiglia, dai propri amici sulla Terra. Ma gli ostacoli che Mark incontra non sono solo quelli offertigli dal pianeta rosso: dovrà anche avere a che fare con l’egoismo e l’ipocrisia del suo pianeta natale, con una NASA più interessata a questioni politiche ed economiche e alla propria reputazione che alla vita di un uomo. Alla regia Ridley Scott riesce davvero a ri-mettere la ‘’scienza’’ dentro la fantascienza, spiegando quasi ogni cosa sulla base di calcoli, della fisica, della matematica o della chimica, lontano da ogni spropor-zionato uso della componente fantasy, e con un reali-smo e una accuratezza eccezionali (molto interessante la grande attenzione data sui mezzi di sopravvivenza adottati da Mark grazie alla sua abilità e conoscenza da biologo, come la produzione di acqua, la costruzio-ne di una serra o la coltivazione di patate) a dare una dignità scientifica alla finzione, senza però sfociare su un realismo troppo freddo e distaccato o abbandona-re quella componente fantastica e emotiva (talvolta, come in questo caso, anche divertente e lontana da ogni eccessivo ‘’dramma’’) che rende un film interes-sante, sentito, avvincente, coinvolgente. ‘’The Martian’’ è la storia di un uomo il cui coraggio, impegno, e vo-lontà ci insegnano a non darsi mai per vinti, a non ab-bondare mai la speranza neanche quelle volte in cui la possibilità di riuscita è minima ma non impossibile: è la storia di un umano in grado di diventare un ‘’marziano’’ per continuare a vivere, la storia di un sopravvissuto.

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SCIENZE E TECNOLOGIE

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ISPIRATI DALLA VITA, L’ENERGIA PER LA VITAMARCO VITALE V H

Fotosintesi artificialeImmaginate un mondo dove i combustibili fossili non saranno più i protagonisti dello scenario energetico mondiale, il potere economico-politico e gli equilibri sociali del pianeta non dipen-deranno più dalla loro disponibilità e le crisi ambientali saranno state superate grazie allo sfruttamento di energie rinnovabili e pulite al 100%, che non compromettano il delicato funzionamen-to del nostro sistema Terra. Ci apparirebbe sicuramente come un mondo verde, vivibile e meno violentemente ferito dall’inclemen-za delle guerre.Bene, ora smettete di immaginare, perché questo futuro quasi utopico potrebbe essere vicino grazie al frutto del lavoro di grup-pi di ricerca sparsi in tutto il mondo, tra i quali occupa un posto di grande spicco il team dell’Università degli Studi di Padova guida-to dalla Prof.ssa Marcella Bonchio, Ordinario del Dipartimento di Scienze Chimiche della stessa Università, coadiuvato dai team delle Università di Brema, Messina, Trieste, Ferrara e Nantes. Sorge ora spontanea una domanda: quali risvolti nella produ-zione di energia potrebbe avere un processo che, seppur stra-ordinariamente complesso, porta “solamente” alla produzione di ossigeno (O2) e glucosio (C6H12O6)? La risposta risiede in un altro metodo di produzione di energia pulita e rinnovabile già diffuso da tempo: il fotovoltaico. Ormai largamente utilizzati e co-nosciuti dalla popolazione media mondiale, i pannelli fotovoltaici costituiscono una grande risorsa in termini di risparmio econo-mico sulla produzione di energia e di riduzione delle emissioni nocive, ma posseggono un limite che risiede nell’incostante di-sponibilità della fonte che li alimenta: il Sole. Essi sono capaci di produrre energia solo in presenza di radiazioni luminose solari, il che vuol dire che il loro funzionamento è possibile solo durante le ore diurne, sempre a patto che il cielo sia sgombro da nuvole.E’ qui che entra in gioco la fotosintesi artificiale: i ricercatori han-no trovato in essa il modo di produrre vettori energetici capaci non solo di nascere (per fotolisi dell’acqua) unicamente grazie all’energia solare, ma anche di immagazzinare tale energia, da usarsi anche successivamente. Il vettore energetico sopracitato è costituito dall’idrogeno molecolare (H2), capace di contenere la maggiore quantità di energia per unità di massa finora cono-sciuta; la sua produzione è affidata alla scissione foto catalitica dell’acqua (H2O), che avviene in natura durante la fase luce-dipendente della fotosintesi clorofilliana. Tale scissione costitu-isce una reazione di ossidazione, nella quale due molecole di acqua sciolgono i propri legami dando origine a una molecola di ossigeno (O2), quattro protoni (4H+) e quattro elettroni (4e-); in equazione: 2H2O + luce O2 +4e-+4H+. Gli ioni così generati verranno poi ridotti, grazie all’energia solare,

per sintetizzare l’idrogeno desiderato, ora pieno dell’energia con-tenuta nelle radiazioni assorbite per la propria stessa sintesi. Il tutto è affidato ad uno straordinario complesso chimico inorga-nico a quattro ioni di manganese (Mn) chiamato OEC (Oxygen Evolving System), parte di uno dei veri e propri “laboratori chimi-ci” della cellula vegetale: il fotosistema II, in cui complessi orga-nici e non lavorano sinergicamente per assorbire la luce solare (clorofilla e pigmenti fotosintetici) e ossidare l’acqua in entrata.Alla luce di tutto questo, il lavoro dei team di ricerca si è ba-sato sulla costruzione di un complesso stabile simile all’OEC, che, sebbene straordinariamente efficiente, risulta molto fragile. Legame su legame, agendo su ordini di grandezza dell’ordine del nanometro, gli scienziati sono stati capaci di riprodurre un complesso estremamente efficiente e molto più resistente che basa la propria forza su quattro ioni di rutenio (Ru) che, come il manganese, è un metallo di transizione a diversi stati di ossida-zione, ma che, a differenza del “cugino”, rende molto più stabile la struttura del nuovo OEC. Una curiosa precisazione: la parte organica del neonato fotosistema artificiale si è stabilizzata da sola, per caso, testimoniando quanto la fortuna abbia sempre giocato un ruolo fondamentale nel progresso scientifico. Questi nuovi, sorprendenti complessi artificiali sono producibili a bassa energia e potrebbero essere installati sulla superficie di nanotubi di carbonio, una realtà (anch’essa economica in termini energe-tici e finanziari) ormai nota da tempo alla comunità scientifica, all’interno dei quali far scorrere l’acqua necessaria per dar vita ad apparati del tutto simili ai vasi xilematici e floematici dei ve-getali. L’eventuale ammontare della produzione energetica se il metodo dovesse avere successo e diffondersi in tutto il piane-ta? In un’ora il Sole irradia sulla superficie terrestre una potenza di 15TW, equivalenti al fabbisogno energetico annuo dell’intera popolazione mondiale. Non è difficile capire le immani potenzia-lità contenute in questi piccoli gioielli della chimica. Prospettive per il futuro, dunque? Possiamo dire, a buon diritto, che una grossa fetta del destino dell’umanità dei prossimi secoli passa per le mani di chi conosce e sa manipolare la materia e per lo straordinario mondo dell’infinitamente piccolo da essa “abitato”.

Pensieri e Parole

Ho amato il mare.Ho amato l’albero seccosopra la tua testacon l’ultima miseriache ancora non cede.

L’eternità ha cancellato te,l’albero e il mare.Ho amato il tuo amanteLe urla dei viciniLa blasfemia per l’arteLa bestialità immonda dell’uomoHo amato troppe cose. Ho lasciato la vitapovero, insonnesolo.Senza intimitàSenza un Dio che mi conoscesseHo visto spegnersi la realtà di una vita.Ho visto invecchiare la mia vista.Ho distrutto il vincitore. Non amo più.La vela turcheseChe ti cova il ventre caldoHo distrutto il vincitore.Non ho più nessuno. La calda domenica la invidiocome ieri.Ho gli occhi doloranti.E fuori,dappertutto, il mondo è odio

Ignoranti, morti di fame, obesiStrisciamo a fauci aperte,Ingozziamo merda,Preghiamo esplodiamo,Giuriamo fedeltà alla patria:Coprofagi luridi,Bocche appiccicate a deretaniNatiche ciclopiche pressanoSchifose teste che si spappolano,Stomaci purrisconoCon sfrenata goduria.

Chè non mi conforta più il tuo viso.Non mi confortò mai il tuo visoNel Martini e nel caffèe nei balconi rosati.

Bell’uomo crudele,dal ciglio sinistroscordati di me

Imboccarti lo zuccheroa grano a grano.Imboccarti l’acquae la donna e il giudizio.

E la testa dei fiorinelle vieche non ti vogliono più.

Emanuele Milazzo V C

Emanuele Milazzo V C

Giorgio La Spina IV C

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L’angolo della classica’: Čajkovskij e il Romanticismo PuroEmanuElE milazzo VC

Con Pëtr Il’ič Čajkovskij (1840-1893) la musica occi-dentale vede il suo apice romantico, sia dal punto di vista dell’immaginario, che dal punto di vista musica-le. La sintesi sinfonica del compositore russo è vasta: sono aggiunti suoni delicati e scivolosi, a tratti acuti e riservati, a tratti imperiosi e sicuri. La genialità sta non solo nel nuovo modo di percepire la sensibilità musi-cale, ma dall’invastimento dell’orchestra ora dotata di una serie di nuove percussioni dal suono metallico e delicato. Dagli archi che, a tempo di valzer, piangono, scherzano e giocano; dai campanelli che hanno il tat-to della neve. Čajkovskij seppe indagare le possibilità espressive degli strumenti tradizionali, in particolare i fiati, ricavandone suoni e impasti originali, raffinatis-simi e inconfondibili. L’importanza che egli attribuì ai colori dell’orchestra fu tale da relegare la produzione pianistica in secondo piano, nonostante la straordina-ria fama guadagnata dal suo primo concerto per piano-forte e orchestra. Possiamo sicuramente contrapporre Čajkovskij a Mozart negli ideali, nella sinfonia e nella forma. Se da un lato, infatti, la musica mozartiana, nel suo apice del Requiem, è distaccata, fredda, e perfet-tissima; quella di Čajkovskij è dentro l’uomo: è la mu-sica bipolare del disincanto, dell’ ideale irraggiungibile e dell’incompletezza. Mozart e Čajkovskij attraverso i loro lavori esprimono due sostanze musicali ineffabili e completamente opposte fra loro. Da un lato trovia-mo la poetica romantica con tutto il suo immaginario del sublime e dell’esoterico, dall’altro un immaginario illuminista di fine settecento, caratterizzato dalla ra-gione assoluta e dalla condanna delle passioni. L’o-pera più conosciuta di Čajkovskij è indubbiamente lo schiaccianoci: le musiche del balletto sono state ripro-poste, infatti, fino all’esasperazione dalla Walt Disney in particolare nelle scene iniziali del film Fantasia.Chiunque almeno una volta nella vita ha sentito un brano dello schiaccianoci: i più noti sono la suite del-la fata confetto, il valzer dei fiori, la marcia, il Trepak.Neanche a dirlo, questi titoli non serviranno a molto,

ma se si ascoltassero soltanto le prime note di que-sti brani non ci si stupirebbe nel riconoscerli nel pro-prio patrimonio d’infanzia. Da ciò nascerà purtroppo una sorta di banalizzazione della musica del compo-sitore russo. A causa della sua grande orecchiabi-lità, essa sembra riservata ad un pubblico infantile, infatti così è riproposta e riletta negli ultimi decenni Sicuramente i due capolavori di Čajkovskij, il lago dei cigni e lo schiaccianoci, devono fare i conti con la loro forma prettamente fiabesca, dunque lontana dal melodramma. Si deve però tenere in conto che il romanticismo,specialmente quello più radicale, vedeva con grande rispetto il bambino in quanto rappresenta-va la purezza di pensiero e il tràit d’union fra l’uomo e la natura, insomma, nell’ infante veniva vista la chia-ve di volta per l’inconscio, per il magico e l’esoterico. Le opere di Čajkovskij sono magiche: non sono chia-re, ci descrivono un’incompletezza dell’uomo verso la realtà oggettiva, contrapposta a quella ideale. Que-sto vuoto può essere colmato solo dall’introspezione, dal libero fluire delle passioni umane, che mettono in risalto il lato più suggestivo della natura: l’inconscio.Le note tremolanti, gocciolanti e sofferenti rap-presentano il mistero dell’irrazionalità; radica-ta nelle zone più profonde dell’essere umano. Un’irrazionalità a volte dotata di uno slancio titanico, a volte spaventosa, a volta addirittura in-quietante, resa da una musica teatrale e imperiosa.E dunque quale migliore dono si poteva fare se non scrivere delle opere dedicate ai bambini, che nel-la loro ingenuità e semplicità rispecchiano inve-ce il mistero dell’animo umano, che piange com-mosso dall’incanto del vivere e, al contempo, è attenagliato dalla paura dello stare al mondo?Quando si parla di nuova sensibilità della musi-ca si parla infatti di questo: di una musica stentata che è essenza dei desideri mancati, di insicurezza; che cerca di comunicare l’incomunicabile. A questo si deve la sua malinconia, ma anche la sua gioia,

i suoi crescendo e minuendo, la sua riservatez-za e la sua sovranità che tuttavia stentano a com-pletare l’essenza dell’uomo e dunque lasciano un senso di stupore e turbamento nell’ascoltatore.Quando Čajkovskij scrisse il suo Requiem, cono-sciuto anche come Sinfonia n.6, patetica, raggiunse l’ akmè della sua composizione: lasciò al mondo il suo testamento poetico e spirituale. La Sinfonia n.6 è l’opera capolinea di Čajkovskij, egli scomparirà mi-steriosamente pochi giorni dopo la prima esecuzio-ne, da lui diretta al teatro di San Pietroburgo. Sulla prèmiere dell’opera Volkov scrive: «Čajkovskij iniziò a dirigere con la bacchetta salda in pugno … come suo solito. Ma quando le note finali della sinfonia si erano dissolte e Čajkovskij abbassò lentamente la bacchetta, ci fu silenzio mortale nel pubblico. Al po-sto dell’applauso, provenivano singhiozzi soffocati da varie parti della sala. Il pubblico era stupefatto e Čajkovskij restava immobile, la testa curva.». Alle pro-ve, invece, il granduca Konstantin Konstantinovich, poeta di talento e fervente ammiratore del composi-tore, corse nella stanza verde piangendo ed escla-mando, “Cosa avete fatto, è un requiem, un requiem!”L’ultima sinfonia del compositore russo è davvero un canto del cigno, un presentimento di morte imminente, donde scaturisce la sua suggestività tragica. Čajkovskij è il poeta musicale dell’impeto,della morte e del colas-so, ma anche dell’ amore e del disinganno. La musi-ca non scorderà mai il suo genio, la sua insofferen-za e il suo mistero che getteranno le premesse per la complessità musicale del novecento, della quale Igor’ Fëdorovič Stravinskij sarà un riconosciuto esponente.

Brani consigliati:-Da Lo Schiaccianoci: Ouverture, Marcia (Atto I), Trepak (atto II), Valzer dei fiori (atto II), Il Principe e la Fata Confetto – Entrata (Atto II), Il Principe e la Fata Confetto - Variazione 2: Danza della Fata Confetto (Atto II), Valzer finale e Apo-teosi (Atto II)-Da Il lago dei Cigni: Scena “Tema del Cigno” (Atto I), Valzer (Atto I), Czàrdas (Atto III), Danza Spagnola (Atto III), Danza Napoletana (Atto III), Mazurka (Atto III)-Liturgia di S.Giovanni Crisostomo, Op.41: The Cherubic Hymn-Valzer sentimentale Op.51 No.6-Ouverture Romeo e Giulietta Op.71- None but the Lonely Heart, Op.6 No.6-Chanson triste; 12 Morceaux, Op.40 No 2.Chan-son triste in G minor- Serenata per Archi in C major, Op.48: I. Pezzo in forma di Sonatina - Eugene Onegin, Op. 24: Act II, Scene II, No. 17. Aria di Lenskii: Andante quasi Adagio-La Bella Addormentata, Op. 66: Act I, No. 8. Pas d’action: Adagio; Valzer-Quartetto di Archi No. 1 in D major, Op. 11: II. Andante cantabile - Sinfonia No. 4 in F minor, Op. 36: IV. Allegro con fuoco- Sinfonia No. 5 in E minor, Op. 64: III. Valzer. Alle-gro moderato- Concerto per Violino in D major, Op. 35: III. Fina-le: Allegro vivacissimo-Ouverture 1812, Op. 49-6 Morceaux, Op. 19 No. 4. Notturna in C-sharp minor-Concerto per Pianoforte No. 1 in B-flat minor, Op. 23: I. Allegro non troppo e molto maestoso; Allegro con spirito-Sinfonia No. 6 in B minor, Op. 74 “Pathétique”: II. Allegro con grazia-Le Stagioni, Op. 37b: No. 6. Barcarola: Giugno v

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RECENSIONI RECENSIONI

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FLATLANDIA QUANDO LE DIMENSIONI CONTANO

DANIELE BARRESI V S

È curioso pensare che l’uomo abbia visto in elementi irreali come il punto, la retta e il piano, il fondamento di tutto il tangibile. È come se fosse intrinseca nell’uomo l’idea di unire immaginazione e realtà – semplice e complesso – in un unico mondo. Come se la semplicità fosse solo una complessità che non riusciamo an-cora a comprendere. Forse per questo spesso sono le storie più semplici a dare vita alle riflessioni più profonde, come nel caso di “Flatlandia – Racconto fantastico a più dimensioni”.

Nel 1882, Edwin A. Abbott immaginò un mondo bidimensiona-le, dalla struttura sociale tanto intricata da richiedere metà libro per la sua esaustiva (ma volutamente incompleta) descrizione.La mancanza di profondità, crea in Flatlandia delle bizzarre situazioni, la cui spiegazione geometrica si rivela essere solo una scusa per criticare la società tridimensionale in cui noi tutti viviamo. Basti pensare alle donne, che in Flatlandia sono so-cialmente nel gradino più basso, in quanto semplici segmenti. Eppure, guardato frontalmente, il segmento che le compone assume l’aspetto di un puntino quasi invisibile, che le rende capaci di infilzare con i propri vertici chiunque esse vogliano, senza dare nell’occhio. I Cerchi rappresentano la classe socia-le più alta: essi hanno un elevato numero di lati dalle dimen-sioni ridotte, che permettono loro di essere confusi con delle effettive figure circolari pur rimanendo dei normali poligoni.Lo stile semplice e immediato usato da Abbott non trascu-ra l’aspetto tecnico del suo mondo. Ogni elemento in Flatlan-dia ha una logica geometrica plausibile che l’autore utilizzò per spiegare la geometria euclidea ai suoi studenti, ma che si dimostra anche un ottimo espediente per rendere più interes-sante la prima parte del racconto, che altrimenti si limiterebbe a una descrizione statica di un mondo piatto in ogni senso.La seconda parte di “Flatlandia” abbandona il predominante stile descrittivo della prima metà del libro, in favore di una più scorrevole narrazione che vede un Quadrato, narratore dell’intero racconto, come prima figura del mondo bidimensionale a scoprire Space-landia, il mondo delle tre dimensioni. Quando la bidimensionalità di Flatlandia viene stravolta dalla nuova dimensione, il messaggio di Abbott smette di limitarsi a una semplice critica alla società vitto-riana del suo secolo, e assume una profondità non solo letterale.Quando il Quadrato sogna Linealandia – il mondo mono-dimensionale – trova illogico che i suoi abitanti non col-gano l’esistenza di una seconda dimensione. Sono vani tutti i suoi tentativi di convincere il Re di Linealandia dell’e-sistenza di qualcosa che sia al di fuori della linea che costi-tuisce il suo regno, perché questo sconvolgerebbe la con-cezione dell’universo su cui aveva basato la sua intera vita.

Il desiderio di avere un regno più grande, viene meno di fronte alla paura della novità. È più facile illudersi di non potere scegliere piuttosto che prendere una decisione.Al Re di Linealandia bastava fare un passo avanti per cogliere la larghezza del suo mondo. Il Quadrato doveva solo impara-re a saltare per accorgersi dell’esistenza della profondità. E poi ci siamo noi, così fieri di riuscire a cogliere la tridimensionali-tà del mondo, e tanto sicuri che non ci sia nulla oltre lo spazio che ci circonda, da cadere in un freddo materialismo, dove un meccanismo sociale tanto complesso quanto opprimente fa del lavoro il solo scopo di vita. Sia il Re di Linealandia che il Quadrato, erano limitati da una concezione semplicistica del mondo. L’uomo, al contrario, è così bloccato dalla complessità del suo intelletto da essersi dimenticato come essere stupido.

La stessa stupidità che porta a sognare un mondo che vada oltre il reale. Un mondo in cui il semplice e il complesso possano con-vivere, e dove la realtà e l’immaginazione possano portare l’uomo a una concezione più pacifica della vita. Come se la semplicità fosse solo una complessità che stiamo provando a comprendere.

L’AMICA GENIALEDI ELENA FERRANTE

ASIA CLEMENZA IV I

“ Non ho nostalgia della nostra infanzia, è piena di violenza. Ci succedeva di tutto, in casa e fuori, ma non ricordo di aver mai pensato che la vita che c’era capitata fosse particolarmente brut-ta. La vita era così e basta, crescevamo con l’obbligo di renderla difficile agli altri prima che gli altri la rendessero difficile a noi”.

Un angolo di Napoli, fangoso e polveroso, immerso in una di-mensione di miseria, violenza e camorra, in un abbandono abba-cinante. Eppure viverlo attraverso il filtro di Elena, l’io narrante, ancora bambina in questo primo volume, dà come una parvenza di normalità, e le botte, le angherie, la follia, l’ignoranza, sono eventi che riserva la semplice quotidianità, a cui presto ci si abi-tua e su cui si formano i propri connotati. Elena cresce in questo rione, approfondendo sempre di più negli anni la sua amicizia con Lila, un’altra bambina, al limite del morboso: fin da subito si instaura un rapporto non equilibrato, in uno strano miscuglio di spavento e reverenza che si dipana pieno di contraddizioni, tra le pagine e le strade sporche. Con il passare del tempo ini-zia ad accrescersi sempre più persistente la voglia di fuggire da quelle poche miserie; si sogna continuamente la ricchezza che se da bambine viene identificata con forzieri nascosti e tesori da trovare, da ragazzine diventa un televisore, una casa fuori dal vecchio rione, abiti nuovi, un marito abbiente. Studiare, in-vece, è cosa per pochi: Lila ed Elena si trovano a fare le ele-mentari insieme, e sembra essere evidente come Lila spicchi, con la sua “ignoranza intelligente”, che terrorizza e ammalia profondamene chi le sta attorno, perché lei “ha qualcosa che la mangia dentro, ed è un dono e una sofferenza, non è con-tenta, non si abbandona, teme ciò che le succede intorno”. E sarà questo un fattore che inciderà indiscutibilmente sulla sua vita, che dividerà e farà riunire le strade delle due protagoniste, a momenti alterni. Ma entrambe sono ben determinate a lotta-re per affermarsi, per non soffocare nell’aria asfittica e viziata della loro quotidianità, ognuna con i propri mezzi, tentando ad ogni costo di liberarsi da quella costante patina che il rione la-scia addosso, come un marchio indelebile e ben evidente. La narrazione risulta minuziosa, sfaccettata, ma dà una forte sensazione di sincerità, scevra da lirismi baroccheggianti, e ra-ramente sfocia nel melenso, pur resocontando a tratti quelle che sono le paura e le difficoltà universali di un’adolescente. La pro-sa riesce sempre e comunque ad essere coinvolgente ed appas-sionata, perfino nel descrivere l’apatia viscerale da cui la prota-gonista si sente avvolta, il suo persistente senso di inferiorità non solo verso le persone che la circondano (quelli fuori dal rione, i colti, i ricchi, la gente “perbene”), ma in primis verso Lila stessa.

E’ una continua analisi che ripercorre il passato, in un insieme di fredda lucidità nell’esaminare gli eventi (a volte raccontati con fin troppa precisione, che sebbene facciano perdere a tratti la sensazione che la protagonista stia scrivendo una serie di ricordi e non una cronaca, non dispiace affatto), e una nostalgia infer-vorata, un attaccamento quasi geloso ai propri ricordi. E’ un libro che lascia scossi quasi senza averne la consapevolezza, per via della rassegnatezza che si rispecchia nella forma, nel modo stesso di scrivere, a dispetto degli avvenimenti tumultuosi. Non mancano violenza e brutalità, eppure sembrano patinati, filtrati. Finendo il volume si rimane con il piacevole desiderio di conti-nuare la storia ancora a lungo, sensazione che probabilmente caratterizza la lettura di un buon libro, incisivo e affascinante come L’amica geniale.

Page 15: Obbiettivamente novembre 2015 primo numero

REDAZIONE:DOCENTE REFERENTE:Prof.ssa Elena Santomarco

CAPOREDATTORE:Davide Angelini V C

VICECAPOREDATTORE:Elisabetta Cannata IV C

IMPAGINAZIONE E GRAFICA:Davide Angelini V CMario Labbruzzo II EAlessandro Di Marzo III L

HANNO COLLABORATO:Achille Liberatore III L Alberto Romano V E Andrea Giliberti III L Antonio Schifani V P Asia Clemenza IV I Chiara Schillaci III C Costanza Ruggeri II D Cristina Aiosa V B Daniele Barresi V S Emanuele Milazzo V C Emilio De Paola V G Federico Ambrosino III D Gabriele Giambanco IV N Luca Giammanco II E Manfredi Alberto Monti V C

Marco Vitale V HSofia Galici V O Vincenzo Manfré V A

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“Immobile, aspetto che tutta l’acqua si bagni d’azzurro e che gli uccelli dicano sui rami perché sono alti i pioppi e rumorose le loro foglie” - Josè Saramago