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ISTITUTO COMPRENSIVO “BERTO BARBARANI” Scuola Primaria e Secondaria di Primo grado di Minerbe CELEBRAZIONE DEL 4 NOVEMBRE Minerbe, 4 novembre 2013 1914-2014 “UN ANNO PARTICOLARE IN ATTESA DEI CENTO ANNI DALLO SCOPPIO DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE -

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ISTITUTO COMPRENSIVO “BERTO BARBARANI”

Scuola Primaria e

Secondaria di Primo grado di Minerbe

CELEBRAZIONE DEL 4 NOVEMBRE

Minerbe, 4 novembre 2013

1914-2014 “UN ANNO PARTICOLARE IN ATTESA DEI CENTO ANNI DALLO SCOPPIO DELLA

PRIMA GUERRA MONDIALE -”

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DEDICATO A… Con riferimento alle recenti tragedie del mare, con vittime innocenti che non hanno potuto non sollevare sentimenti di ‘vergogna ed orrore’, pare doveroso dedicare il lavoro di quest’anno all’esercito italiano, una risorsa per il Paese. Scene da banchina portuale: i sopravvissuti dell’ennesimo naufragio scendono dalle navi militari italiane. Hanno alle spalle ore di terrore e davanti un futuro di paure, ma prima di andarsene vogliono abbracciare i nostri marinai. Sono anch’essi militari italiani, conoscono alla perfezione i propri compiti e li eseguono scrupolosamente, secondi a nessuno. Ma portano in mare un valore aggiunto unico e inconfondibile, quel grandioso cuore italiano che in tutte le tragedie il mondo intero ci riconosce: dall’Afghanistan alla Somalia, dal Kosovo alla Bosnia. Tutte le nazioni, anche quelle che oggi hanno Pil con segno positivo e spread basso hanno imparato a conoscere i nostri soldati, i nostri carabinieri, e ora stanno imparando a conoscere anche i nostri marinai. Possono avere da ridire su molte questioni, ma dovranno sempre riconoscere la nostra qualità migliore: questa umanità costruita in tanti anni di storia, questa generosità e disponibilità che non nascono da calcoli, ma semplicemente da un’anima aperta e ospitale. Tra tutte le sventure questi bambini, presi dalle onde, hanno incontrato la prima fortuna della loro misera esistenza: i nostri marinai, cuore dell’Italia. L’esercito: una risorsa per il Paese!

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INTRODUZIONE Anche quest’anno, come adeguata preparazione degli studenti alla tradizionale celebrazione del 4 Novembre, è continuato il percorso della Scuola per ricercare e costruire, assieme ad essi, il patrimonio culturale della memoria storica relativamente alla Prima guerra mondiale, e allo stesso tempo, per diffondere la cultura della pace, a quasi cento anni dal suo scoppio. Per poter comprendere la storia fino in fondo, infatti, bisogna avere la capacità di immedesimarsi: il passato non è una terra straniera, ma ci riguarda, e la scuola può fare molto in difesa di democrazia, legalità e cittadinanza consapevole. Non si è trattato, quindi, solo di ricordare una data, ma di fare memora per rinsaldare relazioni e ricostruire i fondamenti del nostro vivere insieme, perché il sacrificio dei soldati italiani non sia stato inutile. Non si può dimenticare, infatti, che la grande guerra è stata una gigantesca feroce tempesta d’acciaio che ha sconquassato tutta l’Europa. Una guerra di macchine, uomini, industrie. Un evento che cent’anni dopo è ancora difficile capire nella sua interezza, eppure così enorme da lasciare tracce incancellabili. È la prima guerra mondiale di cui nei prossimi anni si parlerà tantissimo proprio per questo secolo trascorso. Ricordare quella tragedia perché non si ripeta più, è fondamentale nei confronti delle giovani generazioni. Anche il 4 novembre di quest’anno pertanto non deve essere una celebrazione ma una commemorazione. A seguire il lavoro realizzato nelle classi reso possibile dall’impegno dei vari docenti coinvolti sia della scuola primaria sia della secondaria di Minerbe, e in particolare:

gli allievi della classe V A, con l’insegnante Sciacca, hanno cercato di immaginare come poteva essere la vita di quei poveri soldati esprimendo il loro sentire e approfondendo il tema della tradotta di guerra;

gli allievi della V B, con l’insegnante Visentin, a partire da alcuni documenti originali, custoditi nelle loro famiglie, hanno ricostruito le vicende dei bisnonni che sono stati soldati della prima guerra sviluppando osservazioni e pensieri sui temi della pace;

gli studenti della I A con la prof.ssa Tavellin a partire dalla poesia di Gerardo Rosci ‘4 novembre’ sviluppano le loro riflessioni sul tema della guerra ricordando anche i recenti caduti nelle missioni di pace all’estero;

gli studenti delle classi I B e I C con la prof.ssa Morina esprimono le loro riflessioni

rispettivamente a partire dalla lettura di alcune pagine tratte dal romanzo “Un anno sull’Altipiano”, di Emilio Lussu arrivando alla conclusione che occorre diffondere una cultura di pace fra gli uomini;

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gli studenti della classe II A con la prof.ssa Fontana, per capire che cosa sia stata la prima guerra mondiale, hanno letto il racconto “Reclute”, tratto dal libro Con me e con gli alpini di Piero Jahier: alcuni hanno espresso le loro riflessioni, altri hanno immaginato di essere loro stessi una recluta descrivendo le loro sensazioni in pagine di diario;

gli studenti della classe II B condividono invece il grido di protesta della poesia Peace

song:’È ora di smetterla’;

Accanto a questo lavoro di studio e riflessione degli studenti nelle classi, sono proseguite anche le ricerche sui soldati di Minerbe che hanno partecipato alla prima guerra mondiale rappresentati nell’Albo d’onore presentato negli scorsi anni nei precedenti fascicoli. In particolare quest’anno le ricerche hanno riguardato diversi soldati; tra questi sono da considerare:

i soldati studiati dagli allievi delle quinte e precisamente Chiavenato Silvio, Giuseppe Dal Cortivo, Favalli Giuseppe, Faccioli Francesco in quanto antenati degli studenti di tali classi, benché non nati a Minerbe

quelli invece nati a Minerbe e raccolti, in quanto tali, nei due quadri d’onore sopra citati e precisamente:

il capitano Biondani Enrico

il soldato Ottaviani Igino

il soldato Cattan Leone

il soldato Milanese Leone

ed infine la ‘storia particolare’ del soldato Pietro. A tale proposito va doverosamente ricordato che questa parte della ricerca trova sviluppo grazie al lavoro dell’insegnante Rosa Danese che con cura e amore riesce a coinvolgere in questo processo di recupero di ricordi resi ormai sbiaditi dal tempo, intere famiglie, riuscendo a risvegliare anche in loro l’interesse e la passione che la caratterizzano. Un ringraziamento anche alle famiglie che hanno reso disponibili materiali e documentazione varia su cui poi è stato svolto il lavoro di seguito presentato. Ed in particolare:

Cristina e Federico Biondani, e la Signora Giancarla Dani Biondani,

la signora Barbara Ottaviani e la sua famiglia,

la signora Cattan Paola,

la signora Milanese Maria Teresa.

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UN ANNO PARTICOLARE IN ATTESA DEI CENTO ANNI DALLO SCOPPIO DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE: IL VALORE DEL PATRIMONIO CULTURALE DELLA MEMORIA STORICA. Il lavoro raccolto nel fascicolo di quest’anno ha contenuti particolari in parte dovuti al fatto che si sta avvicinando il 2014, anno in cui ricorrerà il centenario dello scoppio della prima guerra mondiale, in parte per altri avvenimenti che hanno coinvolto la comunità e la scuola stessa. All’interno delle celebrazioni per il centenario dello scoppio della prima guerra mondiale si inquadra il riconoscimento ottenuto dall’Istituto che ha partecipato al concorso indetto da Primo Giornale “Cronaca dai nostri inviati nelle trincee della prima guerra”.

Concorso Primo Giornale Sabato 5 ottobre, presso la Libreria Ferrarin di Legnago, si è tenuta la premiazione cui hanno partecipato gli alunni delle attuali quinte della scuola primaria di Minerbe, in rappresentanza delle varie classi dell’istituto che hanno svolto le ricerche premiate. Alcuni lavori hanno anche trovato spazio nelle pagine di Primo giornale.

LA PREMIAZIONE

È avvenuta da parte del Direttore di Primo Giornale, Massimo Rossignati, del titolare della

libreria, Giorgio Ferrarin, e del consigliere di amministrazione di Crediveneto, Giancarlo

Pasqualin per l'elaborato "Nei luoghi della memoria".

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80° del Gruppo Alpini di Minerbe Da ricordare inoltre un altro avvenimento: le manifestazioni per l’80° della formazione del Gruppo Alpini di Minerbe. Sin dal mese di maggio gli alunni della Scuola sono stati coinvolti nel concorso, indetto dal Gruppo, nell’ambito delle varie manifestazioni per tale ricorrenza, dal titolo: ‘Per me l’Alpino è…’ Gli studenti, con il coinvolgimento dei loro insegnanti, vi hanno partecipato con elaborati vari: disegni, slogan, temi, racconti, interviste… Dal 17 al 20 ottobre 2013 si sono tenute quindi le varie manifestazioni. Un primo coinvolgimento della Scuola si è avuto nella serata del 17 ottobre, presso il Teatro parrocchiale, nel corso della quale sono stati premiati gli elaborati degli alunni segnalati dalla Commissione giudicatrice. Tra questi il lavoro di Elena Agnora che è stato scelto per il manifesto dell’avvenimento, mentre quello di Catherine Albertini è stato utilizzato per la cartolina dell’ottantesimo del gruppo. Il lavoro di Elena rappresenta due mani unite che portano nel palmo il cappello degli alpini con la caratteristica penna nera; sullo sfondo una bandiera tricolore e la seguente scritta: ‘80° - Ora come allora’, a sottolineare l’inalterata continuità dei valori della tradizione. Il lavoro di Catherine Albertini raffigura invece quattro alpini riconoscibili, sia per il tipico cappello, che per la scritta ‘W – AL – PI - NI’ di cui ciascuno riporta una sillaba sulla maglietta; sono in posa, affiancati l’uno all’altro, intenti a cantare a squarciagola con toni goliardici.

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Gli allievi hanno partecipato inoltre alla sfilata di domenica 20 ottobre, lungo le vie del paese, insieme ai diversi Gruppi Alpini della zona, presenti alla manifestazione.

Numerosi i discorsi e gli interventi delle Autorità a sottolineare l’importanza dell’avvenimento; tra questi merita attenzione quello di Corrado Perona, Presidente nazionale dell’Associazione Alpini fino allo scorso maggio che ha parlato del Monumento ai Caduti, presente nella piazza del paese, dei ragazzi e della scuola, nonché dello stesso Gruppo Alpini di Minerbe esprimendo importanti considerazioni che si riportano in sintesi. Con riferimento al monumento ai Caduti di Minerbe, collocato nella piazza principale del paese, ne ha messo in risalto la scritta ‘Per un’Italia più grande’ incisa nella lapide ai piedi del soldato raffigurato nello stesso che si staglia diritto e sicuro a difesa da ogni pericolo. In particolare ha sottolineato che, di certo, non si tratta di fare un’Italia più grande territorialmente bensì moralmente. Per Perona, infatti, se oggi dobbiamo difendere qualcosa, è proprio la moralità che sta venendo sempre meno. In questi tempi, infatti, gli esempi di buona moralità sono pochi; per Perona quindi tutti siamo tenuti a ricostruire il nostro Paese dando buoni esempi di correttezza, impegno, adempimento del dovere personale…e in particolare devono rappresentare buoni esempi gli Alpini che fanno parte della comunità.

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Con riferimento ai giovani allievi, presenti con i loro insegnanti alla manifestazione, ha affermato che essi sono un valore prezioso, non solo per la scuola, ma per l’intero Paese. Ha invitato quindi gli insegnanti a non stancarsi mai di spiegare ai giovani che devono guadagnarsi il posto che andranno a occupare nella futura società spronandoli a impegnarsi ogni giorno e a fare sempre il proprio dovere. Ha quindi invitato tutti i docenti a insegnare agli allievi che il bene comune è la Patria, è la bandiera, è la storia, è il prossimo, il paese in cui si vive, il creare e non il distruggere, valori e sentimenti che da sempre caratterizzano gli italiani. Questo perché i giovani di oggi sono capaci di farlo e ne hanno la voglia insieme ai loro docenti che hanno cultura, capacità e competenze adatte. Ha espresso quindi un dovuto riconoscimento ai docenti unitamente a un sentito ringraziamento. Il terzo aspetto sottolineato da Perona ha infine riguardato gli ottant’anni del Gruppo Alpini riconoscendogli il fatto di rappresentare sicuramente una, se non la più significativa, tra le associazioni di Minerbe. Ne ha sottolineato in particolare la lunga storia augurandosi che non ne vadano smarriti il valore e la tradizione, ma sappia allargarsi al territorio coinvolgendosi sempre più nell’impegno sociale e civile a servizio dell’intera comunità.

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BIONDANI ENRICO

Giuseppe Biondani 1851 - … Padovani Emilia 1861 - …

I ______________________________________________________________________ I I I I I I I I

Palmiro Enrico 1890 - 1956 Italo Lucillo Rino Maria Epimenide Enrichetta Ballarin Maria '92 -'48 …. I I________________ ______________________________ I I I I _______________

Mario '19 - '90 Giuseppe '22 - '07 Eugenia I … … …….. Dani Giancarla Luigi Ferrari Giuseppe I I …….. _____________ ____________ I

I I I I Italo

Federico Cristina Giorgio Maria Enrica Paola

Il quadro d'onore che raccoglie le foto di duecentoquarantasei soldati di Minerbe e San Zenone, che hanno partecipato alla Grande Guerra con destini diversi, riporta, raggruppati in alto al di sotto del Re e dei Generali, un gruppo di uomini che hanno avuto ruoli importanti: sono tenenti, capitani o soldati eroici ricompensati con medaglie. Se le vicende di tutti i soldati meritano onore e ricordo, l'analisi dei fatti che coinvolgono i graduati assume valore storico particolare perché erano coloro che avevano responsabilità di vario genere nei confronti di soldati sottoposti, dei beni militari e degli esiti della guerra in genere. Uno di questi è Biondani Enrico, che appare nella foto a sinistra del presidente dell'Associazione Combattenti e Reduci Giacomelli Felice. Fronte alta e baffi importanti lo contraddistinguono, il suo nome riportato a mano è accompagnato dall'anno di nascita 1889 e dalla qualifica di Capit., ovvero capitano. Le ricerche hanno dato esito positivo dato che nel cimitero di Minerbe appare il suo nome e il suo volto nella tomba della famiglia Biondani.

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Abitava nel palazzo che si affaccia all'estesa corte conosciuta da tutti come Corte Biondani, a San Zenone, acquisita dopo gli anni '70 dalla ditta "Pollo Arena". Qui, nella prima parte del '900, vi lavoravano fino a sessanta braccianti agricoli impegnati in coltivazioni e allevamenti. I proprietari erano i Conti Bernini, che risiedevano nelle zone lacustri e visitavano le proprietà una volta l'anno. Corte Biondani oggi Il capostipite Giuseppe Biondani vi aveva destinato nel primo dopoguerra il figlio Enrico. Egli era membro di una famiglia di Buttapietra che si era stabilita nell'Ottocento a Ronco all'Adige in una grande casa di campagna nei pressi del fiume a Tombasozana: denominata il "Cason", è oggi gestita come agriturismo dall'erede Italo che custodisce con cura i ricordi della famiglia. Era un nucleo numeroso come molti a quel tempo: come si vede dalla ricostruzione dell'albero genealogico Enrico avrà altri fratelli che si stabiliranno in zone limitrofe quali imprenditori agricoli: Palmiro ad Angiari, Lucillo a Bonavigo, mentre Italo rimarrà al Cason. La conduzione del fondo Bernini, da parte del giovane Enrico, era qualificata, dato che dopo aver frequentato un collegio maschile nei pressi del Lago di Garda, su invito di un professore, aveva frequentato il Politecnico a Milano. Un quadro di casa con stampa ormai sbiadita riporta a suo nome il diploma in Scienze Agrarie nell'anno 1914. La dichiarazione di guerra era alle porte.

IN NOME DI S. M. VITTORIO EMANUELE III

per volere di Dio e per volontà della nazione

RE D'ITALIA

Il direttore delle Scuola Superiore di Agricoltura

in Milano visto il risultato finale degli esami

sostenuti dal signor Biondani Enrico figlio di

Giuseppe nato a Ronco all'Adige proclama il

medesimo Dottore in Scienze Agrarie laureato in

questa scuola e gli rilascia il presente diploma

affinché possa valere per le prerogative e per gli

effetti previsti dalla legge.

Dato dalla scuola Superiore di Agricoltura di

Milano 27 …. 1914

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La ricerca del suo foglio matricolare è stata ostacolata da due fattori: l'anno di nascita non è l'89 come riportato nel Quadro d'Onore, ma il 1890, inoltre, quale ufficiale, ha lo stato di servizio militare conservato in appositi registri a Roma. La ricerca invece ha dato esito positivo anche nell'Archivio di Stato di Verona, dove con il numero di matricola 33967 è registrato Biondani Enrico. Il foglio è scarno e non collima del tutto con i documenti significativi conservati dalla famiglia, probabilmente è stato successivamente integrato da altro foglio matricolare. Qui si legge che era un giovane studente, con corporatura alta e robusta, che già nel '10 era stato reclutato, ma ammesso a ritardare la leva per motivi di studio. Due giorni prima della dichiarazione di guerra viene chiamato alle armi e vi giunge per l'inizio di giugno del '15. Quale laureato inizia la scuola Ufficiali a Modena. Il 30 settembre dello stesso anno è sottotenente di complemento Alpini. Gli eredi integrano questi pochi dati con documenti di famiglia e altri, legati alla guerra, di vivo interesse storico. Innanzitutto la carta d'identità del '29, ovvero del V anno dell'era fascista. Si notano i simboli del Regno d'Italia e del Fascismo, la firma del podestà di Minerbe Giacomo Giacomelli.

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Il Municipio di Minerbe, nel 1943, nella persona del Podestà Foresti Costantino, emette un certificato di identificazione. Da notare il profilo del Re Vittorio Emanuele III nelle marche da bollo. Oggi gli eredi di Enrico, la nuora e i nipoti, abitano a Roverchiara. Negli anni 70 il figlio Giuseppe, lasciando ad altri la conduzione dell'azienda di San Zenone, si stabilì con la famiglia nella grande casa costruita dall'azienda alla fine degli anni '40 utilizzando manodopera contadina priva di lavoro nel periodo invernale. I nipoti conservano con cura i ricordi di famiglia nella quale spicca per le vicende militari anche il figlio del capitano Enrico, Giuseppe, che insieme al fratello Mario verrà coinvolto dalla seconda guerra mondiale. Dopo l'8 settembre '43 si troveranno in fronti opposti: il primo, dopo la battaglia di Montecassino, avanzerà con gli Alleati; il secondo, scampato a una strage in Grecia, fu fatto prigioniero. I documenti successivi che riguardano Enrico risalgono al 1939. Una lettera proveniente da Roma riporta l'indirizzo di Enrico Biondani, il mittente è il Cav. Gaetani Giuseppe residente in via Pietro Giannone n° 28 a Roma. Le ricerche in merito hanno dato per ora esito negativo, ma il documento ha una sua leggibilità intrinseca. Questo è il biglietto da visita: il grado di Tenente X Alpini è barrato.

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Si possono osservare la busta e la lettera con a fianco la trascrizione.

«Roma, li 4 Ag. 1939 - XVII

Caro Dott. Biondani, Ho ricevuto la V/ del 1 corr. m. Vi ringrazio e domando tante scuse del disturbo. La descrizione della marcia di ripiegamento delle almerie da V/ comandate sbalordisce solamente a leggerla. L'A.M. in I del X alpini mi ha detto di dirvi che sarà certamente inserita sulla monografia, perché merita onorevole memoria. A suo tempo vi sarà mandata una copia della Monografia in parole. Il Comitato di redazione ha bisogno di ricordi o appunti qualunque essi siano altrimenti la Monografia viene troppo breve, tanto più che, disgraziatamente, il nostro bel Battaglione non ha potuto lottare fino alla fine della vittoriosa guerra. Sarei pertanto a pregarVi di rispondere a qualche altro numero della mia precedente lettera. Dopo tanti anni io non posso ricordarmi di tutto. La forza dei quadrupedi e la formazione

delle Salmerie è necessaria. Se vi è possibile dateci qualche indicazione di cui al n° 7 della precedente lettera.

Godo sapervi maggiore e che sul Grappa foste decorato al V.(alor) m(ilitare) Cordiali saluti e auguri per le feste. Dev.mo Gaetani Giuseppe»

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Insieme a tale lettera, in cui si rileva la promozione di Biondani a Maggiore, la famiglia ha conservato ripiegato un foglio di carta robusta della grandezza di un foglio protocollo; il testo sembra scritto con matita indelebile. Capirne il capo e la fine è stato problematico, ma non impossibile, e si interpreta che si tratti di una brutta copia scritta su un foglio di banca riutilizzato. Lo scrivente avrà voluto giustamente tenere una copia del testo inviato. Si ha la notizia di due richieste successive di dati circa una monografia su imprese dei Battaglioni in epoca di guerra: non sappiamo se quella di cui disponiamo sia la prima o la seconda risposta. In ogni caso è il racconto di un evento, un percorso a piedi, che per la sua drammaticità è ripetuto due volte. Con pazienza si sono ritrovati i luoghi sulla carta geografica e si sono collegati ai drammatici eventi di quell'anno del conflitto. Biondani, a distanza di anni, ricorda i fatti del novembre del '17. La rottura del fronte a Caporetto era avvenuta il 24 ottobre precedente, per cui si tratta di una marcia di ripiegamento delle forze dell'esercito, dispiegate a monte delle valli del Piave e del Tagliamento, che dovevano compattarsi su un fronte ben più arretrato. Il tutto si può leggere in questa carta ripresa da Internet: tra i due fronti c'è la marcia del Capitano Biondani con i suoi uomini e animali. Contrassegnata in rosso a pallini la linea del fronte prima della rotta di Caporetto, con la linea rossa continua il fronte tre mesi dopo.

In questa carta si sono localizzati i luoghi e, con le due frecce tratteggiate in rosso, la marcia di ripiegamento del Cap. Biondani Enrico con le Salmerie del Battaglione Mercantour.

Alesso Longarone

Claut - le Clautane

Tramonti

S. Francesco

Quero

Val del Calcino

calcino Cavaso - S. Eulalia

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La trascrizione è la seguente.

«Caro tenente Gaetani, ho ricevuto la vostra richiesta per una breve cronistoria delle Salmerie del M. Mercantour, reparto che io comandai dalla formazione Aprile-Maggio 1916 allo scioglimento del Battaglione Ott. Nov. 1917. Sembrami però che riuscirebbe di poco interesse tale narrazione giacché le fatiche passate, son passate, e le vicende trascorse non sa e non può comprenderle che chi ha saputo superarle. Un fatto solo è importante in così lungo periodo e in tante vicende della guerra ed è che viveri e munizioni non sono mai mancati in linea e merci l'abnegazione di tutti i miei bravi conducenti abbiamo sempre provveduto a quel minimo di confort che si è potuto procurare per i soldati e i muli. Interessante invece parmi raccontare l'ultima vicenda, quando a malincuore dovemmo separarci dal Battaglione per mettere in salvo le salmerie attraverso la mulattiera di Alesso- San Francesco- Tre-monti (Tramonti)- Claut - Longarone - e da qui a Quero dove trovammo il ponte bloccato dai nemici e ci salvammo per la Valle del Calcino attraversando il Monfenera discendendo finalmente a Cavaso e di qui a S. Eulalia al sicuro tra i nostri. Creda, è stata una marcia eroica. Tre giorni e tre notti di durissimo cammino guidati solo dall'orientamento personale!

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Per via la colonna continuava ad ingrossarsi con salmerie di altri reparti e potei in tal modo portare in salvo oltre 300 muli e conducenti passando a guado il Meduna in morbida, le Clautane con la neve alta oltre un metro e poi quando finalmente arrivammo a Longarone in Val di Piave e di qui scendemmo a Belluno deserta e a Quero superare l'ultimo ostacolo per non cadere prigionieri e gettarci su per la vallata del Calcino e superato il Monfenera discendere a Cavaso! Notte del 4 novembre 1917. Tutto questo lo sapranno i conducenti del M. Mercantour a me solo è rimasta la gioia del dovere compiuto e di essermi fortunatamente salvato dalla prigionia. A Sandrigo due o tre giorni dopo passai tutti i quadrupedi e gli uomini ad un comando alpino di concentramento ed io passai a comandare una compagnia del Batt. Fenestrelle sul Grappa. Ero in quei giorni Capitano e si cercava di resistere come si resistette sul Grappa al tracotante invasore. Per me incomincia (ò?) da questi giorni un nuovo periodo di guerra di cui conservo qualche segno di valore e non mi resta che un nostalgico ricordo del caro Batt. Mercantour».

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A parte le località, punti di riferimento precisi, in pratica il Battaglione è partito dalla valle del Tagliamento dove è Alesso, per portarsi attraverso le montagne nella valle del Piave, a Longarone, e da qui scendere verso sud "al sicuro fra i nostri". Il testo è molto chiaro, ma merita evidenziare l'affetto del Capitano per il reparto del Battaglione di cui aveva il comando, e l'attenzione a uomini e muli. Giusto il compiacimento del giovane graduato che era riuscito a compiere il dovere mettendo in salvo quadrupedi, conducenti e Salmerie per resistere più a valle "al tracotante invasore". Con il reparto Salmerie del Mercantour aveva in carico il complesso di viveri, munizioni e rifornimenti vari necessari alla truppa. Enrico Biondani aveva ottenuto i gradi militari tra gli Alpini, le cui truppe, nate nel 1872, erano destinate ad operare di preferenza nelle regioni di alta montagna che erano diventate il difficile confine naturale. Allo scoppio del primo conflitto mondiale si crearono nuove unità, prima Compagnie poi Battaglioni, che vennero distinti con nomi di monti tra cui il Mercantour, monte di quasi tremila metri, nelle Alpi Marittime, al confine con la Francia.

Tale Battaglione, con altri otto, faceva parte del 1° Reggimento Alpini (cfr "I Battaglioni alpini della prima guerra mondiale, di A. Comin") come confermato dal foglio matricolare. Allo scioglimento, alla fine del '17, Biondani passerà al 3° Reggimento e, con una compagnia del Battaglione Fenestrelle, sarà il Grappa il suo teatro d'azione. Molti anni dopo la guerra, egli visitò quei luoghi con i famigliari. I luoghi citati nella lettera, paesi e montagne, sono meno noti di altri per le vicende legate alla guerra, invece articoli di storia, pubblicati in Internet nei siti che li riguardano, raccontano quanto siano stati devastati dagli eventi del conflitto. Quero, per esempio, vicino a una stretta naturale della Valle del Piave, era un paese quasi totalmente distrutto, tanto che è stato ricostruito con pianta diversa.

Il documento raffigurato, emesso dal Comando della zona Militare di Verona nel 1941, XIX anno dell'Era fascista, comunica a Biondani Enrico la promozione a Tenente Colonnello.

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Il medagliere Se il quadro fotografato è sempre stato visto così dai famigliari che abitano oggi la casa di Roverchiara, le undici medaglie si ricollegano al capitano Enrico. La prima, infatti, ha il suo nome inciso al centro e riporta luogo e data: 17 gennaio '17, Monte Asolone; probabilmente è il "segno di valore" di cui parla nella lettera di risposta al Ten. Gaetani. Il monte Asolone è alle pendici del Grappa nel versante a ovest: la croce sulla cima ricorda i tanti soldati morti nelle cruente battaglie. Altre medaglie sono state riscontrate presso altri reduci minerbesi: ,

In ricordo della guerra per l'Unità con le fascette corrispondenti ai quattro anni

di guerra

Croci al merito

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I nipoti che abitano a Roverchiara, ma sono legati a Minerbe per svariati motivi, condividono il valore che i documenti del loro nonno siano conosciuti, perché riconoscono il senso di integrare la Storia con le vicende dei militari locali che ne sono stati i protagonisti.

Medaglia Interalleata

della Vittoria nella

versione italiana.

Per la prima volta in queste

ricerche si riscontra la

medaglia degli Alpini con il

motto" Qui non si passa"

La famiglia infatti ricorda

che ha ricevuto il grado di

Capitano, poi di Maggiore e

quindi di Colonnello nel

Corpo degli Alpini.

Le tre medaglie ricordano le Armate dell'Esercito: l'Armata Altipiani, la quarta

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OTTAVIANI IGINO

Ottaviani Francesco Lorato Anna

I ___________________________________________ I I I I

Attilio Ermenegildo Linda Igino 1894 - 1967 Monastero Amabile

I

__________________________________________________________________________ I I I I I I I I I

Idelma Maria Elda Maria Adelina Dante Elda Franca Franco Giuseppe ………. I ______________________________ I I I I

Barbara Daniela Veronica Elisabetta Righetti Michele Andrea Turcato I I

Alessandro ______________ I I Francesco, 2^A Fabio I famigliari di Ottaviani Igino, a distanza di generazioni, non scordano che il loro congiunto ha fatto la guerra, anche perché di quel periodo e di quello successivo egli ha lasciato generoso diario. Gino parla della sua esperienza di quando aveva poco più di vent'anni nella prima parte dei suoi scritti, e probabilmente dopo il conflitto. Riferisce date e luoghi precisi, a confermare quanto quei fatti siano rimasti indelebili nella sua memoria.

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Le nipoti oggi ricordano il nonno trascrivendo con cura le sue memorie che qui si riportano:

«Ottaviani Gino, Nato il 9 settembre 1894 in corte Comuni – Comune di Minerbe Figlio di Francesco e di Lorato Anna. Ai 12 settembre 1915, in detta data fui chiamato alle armi. Prima di partire feci la domanda di essere assegnato nel corpo dei Reali Carabinieri. Tutte le pratiche fatte mi risultarono favorevoli fino alla visita superiore a Roma che da un Colonnello medico fui dichiarato inabile per quel corpo, per una (periostasi) al piede sinistro. E lì fui assegnato al 14° Fanteria Foggia. Il mio dolore fu grande, e per forza dovetti rassegnarmi e fare il buon soldato in quel corpo che certo non mi gustava. Non mi dilungo col citare tutti i nome dei compagni d’armi, e della vita trascorsa fino al 24 maggio, data in cui l’Italia ha dichiarato guerra all’Austria. Io, col mio Reggimento 4 giorni prima era già al fronte cioè a Palmanova. La guerra fu terribile, quasi tutte le nazioni europee ne presero parte. Intanto con il passar dei giorni abbiamo occupato oltre il vecchio confine e abbiamo preso contatto con il nemico che certo ci attendeva fortificato sulle prime colline dopo subito il fiume Isonzo. La lotta, notte e giorno, fu sanguinosa ed io purtroppo il 20 di giugno fui ferito da una scheggia di Idrappenes nemico alla coscia destra, (località) ai picchi del Monte Seibusi (Ronchi dei Legionari). La ferita per fortuna non fu grave, ma dovetti essere trasportato all’ospedale, prima da campo e poi con il treno della Croce Rossa fui portato a Reggio Emilia dove fui ricoverato per 40 giorni, e poi mandato in convalescenza per 20 giorni (prima ancora di partire fui promosso Caporale). Trascorsa in Famiglia la convalescenza, mi presentai al deposito di Foggia – qui debbo ringraziare di cuore e sempre l’amico Menin Zefferino, che al deposito lo trovai come Caporal Maggiore Armaiouolo… …fui assegnato al 529 B Compagnia Presidiaria che in quei giorni stavano formandola per mandarla al Fronte e fare servizi sedentari. Anch’io partii e ci hanno mandato sull’alto Cordevole Col di Lana di corvé alla sussistenza e podizia al campo nella 18^ Divisione. Il servizio non era tanto pericoloso e si passava la vista discretamente. Chi comandava la suddetta compagnia c’erano ufficiali che erano come si dice, Padri di Famiglia. Non passavano molti giorni che fui assegnato caporale di cucina, non mancai anche in questa carica di impegnarmi lodevolmente il mio servizio (come del resto era il mio carattere) e la vita la passavo discretamente godendo anche di stima dei miei superiori. Questo lo posso dire francamente, e la prova la tengo sempre presente e anche qui mi faccio memoria, cioè il Tenente che comandava la compagnia di nome D’Erario Marcello di Bari. … Per me questo era un grande uomo che sempre lo ricordai.

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Dal Col di Lana nel ’17, causa della ritirata di Caporetto, abbiamo dovuto ritirarsi sul Grappa, nuova posizione ancora difficile, ma io sempre nella presidiaria e sempre in cucina prima come caporale e poi come caporalmaggiore feci sempre vita buona fino al congedo fui quasi sempre in cucina. Ho tracciato in linee brevi la mia vita prima, durante la vita militare, perché questo non è il mio scopo cioè di raccontare la storia del mio passato. Ciò che è detto e per avere un semplice ricordo di quello che fino al momento del mio congedo -12 settembre 1915 (?) - fu la mia esistenza. »

Il suo foglio matricolare conferma e integra gli scritti. Era nato a Corte Comuni dove molti braccianti minerbesi erano impegnati nella grande azienda agricola dei Conti Bernini. Qui riprese il lavoro dopo la guerra assumendo ruoli di responsabilità e abitando nella contrada di Anson. Il foglio lo descrive di buona statura, con capelli neri e occhi castani, di professione contadino. Non solo sapeva leggere e scrivere come registra il foglio, ma evidentemente amava lasciare traccia del suo vissuto sulla carta. Per quanto riguarda queste abilità, la famiglia ricorda che era punto di riferimento presso gli operai della corte in un periodo storico in cui un'adeguata alfabetizzazione non era patrimonio di tutti. Nel '14 è soldato di leva che chiede la ferma di tre anni con l'inclusione nell'Arma dei Carabinieri Reali. Nel diario Igino, con marcato disappunto, racconta che gli fu negato l'accesso a quel Corpo per marginali problemi di salute, che non gli impedirono però di essere trattenuto alle armi per mobilitazione nel gennaio del '17. Il suo testo integra il foglio matricolare e racconta dell'occupazione dei territori oltre il vecchio confine. Sembra corrispondere alla primavera del 1916. Egli cita il Monte Sei Busi, in realtà una modesta altura di neanche duecento metri, che fu terreno di aspre lotte tra i fanti italiani e le truppe straniere che lo difendevano. Interessante e impressionate dal sito della Proloco Fogliano - Redipuglia:

«Il Monte Sei Busi, che si trova a destra del Sacrario di Redipuglia, presenta ancora oggi la landa carsica che caratterizzò l'aspro paesaggio carsico agli inizi del 1900. Sono ancora evidenti e visitabili i resti delle trincee italiane e austriache nelle quali i soldati combatterono le prime Battaglie dell'Isonzo. L’esigua distanza fra i due schieramenti fa capire quanto anomala fosse questa guerra. In alcune zone, infatti, la distanza era così ridotta che i soldati avrebbero potuto colpirsi anche lanciandosi delle pietre… »

Veniamo a conoscere dalle sue parole il ruolo fondamentale della Croce Rossa, istituzione umanitaria apolitica nata nella seconda metà dell'Ottocento per soccorrere i feriti di ogni conflitto. Inoltre apprendiamo il ruolo del treno come valido ausilio alla Sanità per trasportare velocemente i feriti.

Il foglio matricolare riporta le promozioni a Caporale e quindi a Caporal maggiore e l'inclusione in una Compagnia della Sussistenza, successivamente al suo ferimento di cui manca la registrazione. Venne destinato ai luoghi dell'alto Bellunese: il Col di Lana, con le cime di circa duemila metri, località di confine tra l'Impero Austro-Ungarico e il Regno d'Italia, è stato teatro di aspri combattimenti che hanno lasciato sul terreno circa ottomila morti, tanto da essere soprannominato "Col di Sangue".

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Nel diario Igino racconta la propria discreta situazione, sottoposto a Ufficiali dal comportamento onesto di "padri di famiglia". Racconta in prima persona di un tale impegno nel servizio di cucina da ottenere ricompense di stima dai superiori concretizzate nel riconoscimento militare.

Si legge tra le righe il valore dell'amicizia nella vita di guerra: Gino nomina Marcello, di Bari, a raccontare come la prima guerra mondiale abbia creato gli Italiani, in quanto obbligato motivo di conoscenza e vicinanza tra giovani di varia provenienza.

L'altro solidale amico minerbese di cui parla, Menin Zeffirino, è riscontrabile in foto nel primo quadro d'onore in cui è registrato Sergente: maggiore di due anni, Igino lo nomina quale Caporal Maggiore Armaiolo.

Tale giovane non è l'unico del quadro legato al nome di Igino: leggendo la minuziosa ricostruzione dell'albero genealogico risalente al '600 che la famiglia Ottaviani ha elaborato, tre giovani dello stesso cognome risultano legati tra loro: Ermenegildo è il fratello maggiore di dieci anni, mentre Augusto era un cugino nato nell’85.

Anche in questa famiglia la Prima Guerra Mondiale ha assunto una grande importanza impegnandone le forze maschili più giovani nate nell'ultimo ventennio dell'Ottocento.

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A Igino sono riconosciuti tutti e quattro gli anni di guerra, infatti, nel diario si legge anche dell'arretramento del fronte al Grappa nell'autunno del '17, posizione giudicata "difficile", dopo la ritirata di Caporetto. Fu infine congedato nell'autunno del '19 con il pagamento di un'indennità di duecento lire.

Occorre riconoscere che la sua esperienza di guerra che si rileva dal foglio matricolare e dal diario, dopo il ferimento nel '17, non fu cruenta perché a lungo impegnato nella Presidiaria. Tali Compagnie, composte da soldati più o meno temporaneamente non abili al servizio in linea, assumevano compiti di controllo e ufficio all'interno della stessa Divisione.

Già il Corpo dei Reali Carabinieri, nel quale gli furono escluse posizioni primarie, alla richiesta di ferma lo inviò ai servizi speciali inserito nella Fanteria. Nel '21, infatti, è registrato quale iscritto nella forza in congedo di tale Corpo che merita un breve approfondimento.

La fondazione del corpo De Carabinieri Reali fu ideata a Cagliari nel giugno 1814 da Vittorio Emanuele I di Savoia, re di Sardegna, al particolare servizio della Casa Regnante. I Carabinieri hanno sempre combattuto in ogni conflitto nel quale l'Italia sia stata coinvolta, riportando molte perdite in termini di vite umane e componendo un imponente medagliere per atti eroici compiuti in ogni parte del mondo. Durante la Prima guerra mondiale all'Arma dei Carabinieri fu richiesta, in esecuzione di uno dei propri specifici compiti di istituto cioè di Polizia Militare, la rigida applicazione delle norme del codice penale militare di guerra allora in vigore, nei confronti dei combattenti che si rendevano responsabili di reati militari consumati "in zona di guerra e di fronte al nemico", ad esempio codardia, diserzione e simili. Da Internet

Infatti, per l'esperienza di Minerbe riferita alla prima guerra mondiale, li vediamo citati nel foglio matricolare del soldato Pietro, che, accusato di diserzione, venne "arrestato dall'arma dei RRCC di Legnago."

In questo albero genealogico della famiglia Ottaviani tre soldati della Prima Guerra Mondiale.

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CATTAN LEONE

Giulio Cattan Virginia Bordin

____________________________________________________________________________

I I I I I I I I I

Leone Emilio Marcello Ferruccio Ermete Vittorio Arduino Marianna Maria 1995- ... Maria ……… I

I _____________________________ ______________ I I I

I I Renata Vanna Paola Spartaco Sergio Bruno Turcato I

_________________ I I Andrea Roberta Veronica I ______________ I I

Francesco, 2^A Fabio

La famiglia di cui Leone era il primogenito mostra come la figliolanza fosse numerosa all'affacciarsi del ventesimo secolo; egli si presenta alle armi all'inizio del '15, un anno dopo del dovere, per attendere il congedamento del fratello Emilio vicinissimo d'età. Dopo qualche mese, il 22 maggio del '15, viene chiamato alle armi per mobilitazione e all'inizio di giugno è in zone di guerra. La sua destinazione era la Terza Armata che, secondo i libri di storia, presidiava i luoghi del Basso Isonzo, da Gorizia al mare. Il suo foglio racconta di assenza dal fronte per alcuni mesi, tra il '16 e il '17, a causa di malattia. Nel marzo del '17 è registrato nella Fanteria e alla fine dello stesso anno è nel Genio Ferrovieri con sede a Torino.

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Era un giovane alto, con capelli neri e colorito bruno, che dichiarò la professione di cameriere. Dalla vicina Bevilacqua dove era nato, la famiglia si trasferì in via S. Antonio a San Zenone, dove il fratello Vittorio visse con gli anziani genitori. Leone invece fece la scelta di trasferirsi in città, a Como, probabilmente per trovare lavoro, per poi ritornare nelle nostre zone con una nuova unione dopo la precoce vedovanza. La sua non era una famiglia contadina, ma di piccoli imprenditori nell'ambito della ristorazione e alimentare. Le informazioni ci vengono fornite dalla nipote Paola Cattan che conserva ricordi sfumati dello zio e della sua famiglia. Al soldato Leone verranno riconosciuti tre anni di guerra, infatti, dal foglio matricolare non si rilevano interruzioni tra la destinazione al Genio Ferrovieri e il congedo illimitato nell'ottobre del '19, quando ottenne un’indennità di 290 lire. Durante la guerra egli prestò servizio in una branca dell'esercito che assunse grande importanza all'interno del conflitto. Infatti lo sviluppo della meccanizzazione nel campo ferroviario della fine dell'Ottocento incise in modo sostanziale sul modo di gestire gli eventi. La ferrovia permetteva di spostare soldati e mezzi in grande quantità e su lunghe distanze: uomini, quadrupedi, carriaggi e cannoni oltre a materiali vari. Nasceva una nuova mobilità che aveva per protagonista il treno. Talvolta i treni militari, le tradotte, avevano vagoni armati o blindati per difesa dai sabotaggi, così come treni sanitari e ospedale contribuivano allo sgombero di migliaia di feriti o ammalati. Il primo impiego del treno per scopi militari si registra già dalla seconda Guerra d'indipendenza. Nel 1910 nasce il Reggimento genio Ferrovieri che durante il primo conflitto fornisce una partecipazione imponente: costruisce quasi 150 chilometri di linee ferroviarie, ripristina altrettanti ponti, trasporta grandi unità nei diversi settori del fronte. Interessanti le ferrovie Decauville a scartamento ridotto il cui binario è formato da elementi prefabbricati che possono essere montati e smontati velocemente: ben 600 furono i chilometri costruiti dagli addetti militari durante la Grande Guerra (dal sito Internet delle Forze Armate). Cartolina d'epoca: la caserma del Genio ferrovieri a Torino (Internet)

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MILANESE LEONE

Luigi Milanese Maria Teresa Milanese

I

_____________________________________________________ I I I I Augusta Mario 1895 - Leone 1898 - '79 Maria ……….. Rossini Luigia I I

__________________________________ _____________________________ I I I I I I I

Luigi Giovanni Annamaria Maria Teresa Raffaella Maria Teresa Luciana Nei due quadri d'onore, fonti di ricerca, molti sono i soldati raffigurati che riportano il cognome Milanese ancor oggi ricorrente nel Minerbese. A Santo Stefano, frazione di Minerbe, quali coltivatori diretti, viveva alla fine dell'Ottocento la famiglia di Luigi Milanese, originario di Bonavigo, e di Maria Teresa, anche lei di cognome Milanese, che custodiva la casa di famiglia. Abitavano la Villa Visconti della quale occorre ricordare il valore storico, dato che la costruzione di quel bel palazzo di campagna precede quella di altre ville minerbesi più conosciute.

Villa Visconti a Santo Stefano

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Sopra la chiave di volta del portale si nota lo stemma con il biscione dei Visconti: con il tempo sarà giustamente valorizzato, dato che già le barchesse sono in via di ottimo restauro.

La signora Maria Teresa era una donna in gamba; una piccola foto la ritrae sotto la pergola davanti alla casa con i tre figli piccoli. Durante la prima guerra mondiale ella ha dovuto essere particolarmente coraggiosa e intraprendente dato che i due figli maschi che aveva avuto, Mario nel '95 e Leone nel 98, erano in guerra. Era vedova da pochissimo e comunicava ai figli lontani la situazione dell'azienda. Questo dato convalida quello che riferisce il Parroco di allora nelle Memorie della parrocchia: "… non rimasero a casa per la coltivazione dei campi che donne, pochi vecchi e fanciulli". Leone era molto legato alla madre e, pur lontano, ne viveva le ansie. Dopo la guerra parlava poco di quell'esperienza, ma conservava un garofano sottratto alla corona di fiori deposta al muro del Castello del Buon Consiglio di Trento dove Cesare Battisti, irredentista italiano, venne giustiziato il 12 luglio del '16. Il soldato Leone è raffigurato nel primo quadro d'onore. Il suo foglio matricolare riporta il n° 14593 e lo descrive di buona statura e scuro di capelli. La dichiarazione di guerra lo coglie giovanissimo, nel gennaio del '17 è soldato di leva. Un mese dopo viene chiamato alle armi nel 38° Reggimento Fanteria. Il foglio è eccezionalmente incompleto dato che non riporta altri dati, ma questi sono integrati dalla testimonianza orale della figlia Maria Teresa che conserva documenti riferiti all'esperienza militare del padre. Lei ricorda che era partito nella primavera del '17 e che, come Caporal maggiore, istruiva le reclute ad Alessandria. Di seguito, certamente, venne mandato nelle zone di guerra quale combattente: nominava luoghi tragici come Nervesa della Battaglia e il Piave. Immerso per un'intera notte nell'acqua di quel fiume diventato nuova linea del fronte dopo la disfatta di Caporetto, ne uscì febbricitante, tanto che fu costretto al ricovero in un ospedale da campo. Maria Teresa ricorda che lo zio Mario, soldato in guerra come motociclista portaordini, saputo del ricovero del fratello, ebbe il modo di recarsi in visita: tra le brande non lo riconobbe, tanto era sofferente e denutrito. Fu il malato stesso a richiamare a fatica l'attenzione del congiunto. Di questo episodio Leone ebbe il riconoscimento in una piccola pensione di guerra, solo per alcuni anni, dato che nel tempo non accusò postumi della malattia contratta al fronte. Dopo la guerra sposò Rossini Luigia e continuò nella coltivazione dei terreni; ebbe tre figlie che frequentarono l'Istituto Canossiano a Legnago. I documenti di Leone, che la figlia conserva, risalgono agli anni sessanta e settanta. La foto di seguito riprodotta è così contrassegnata nel retro: 4 novembre 1965; Comune di Minerbe. Lo studio fotografico Natalini vi stampa la data del 3 gennaio1966.

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Come si può osservare raffigura il Signor Leone in Sala civica che riceve un riconoscimento dal sindaco Bertoldi Leonello. Gli porge la mano il dott. Giulio Savinetti che aveva tutti i motivi di essere alla destra del Sindaco in quella circostanza: dal 1957 era Presidente dell'Associazione Combattenti e Reduci di Minerbe. Probabilmente lo è stato per molti anni, dato che il successivo, Salerni Luigi, sarà eletto nel 1972, come riportano i documenti dell'associazione. Medico che non esercitava la professione, era un cittadino vicino alle istituzioni che ha contribuito a mantenere vive le idealità associative. Di origini non venete, aveva sposato una giovane della famiglia Scarmagnani di Minerbe. Ricorreva il cinquantenario dall'inizio della prima Guerra Mondiale e il reduce ricevette in dono, come si ricorda, un orologio sveglia da tavolo.

Foto del 1966 e porzione del retro

Tre anni dopo, come già riscontrato per altri reduci Minerbesi, ebbe il riconoscimento di una medaglia in oro solido, che ricordava, nel retro, il 50° Anniversario della Vittoria, ovvero la fine della Prima Guerra Mondiale. Fronte e retro

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Nel 1972 Leone ha ricevuto l'onorificenza di Cavaliere dell'ordine di Vittorio Veneto "per riconosciuti meriti combattentistici con facoltà di fregiarsi delle relative insegne". Infatti la figlia conserva la croce qui raffigurata e documentata. Da notare nel documento cartaceo i tondi in alto: Plinio Mani, l'autore, aveva interrotto la cornice di due rami di alloro e di quercia con la raffigurazione del Castello del Buonconsiglio di Trento e della cattedrale di San Giusto di Trieste, simboli dei territori riuniti all'Italia con la Prima Guerra Mondiale. Al centro, in alto, lo "stellone", simbolo della Repubblica Italiana.

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E. PIETRO

Filomeno Lavinia

I

__________________ I I

Claudio Pietro

La ricerca specifica di un nominativo nei vetusti Registri dei fogli matricolari, presso l'Archivio di Stato di Verona, viene talvolta soddisfatta, invece, da una sequenza di nomi di soldati minerbesi, con numeri di matricola successivi. Così è successo per l'anno di nascita 1894, quando si è avuta la convalida del trattamento che lo Stato Italiano in guerra riservava ai soldati disertori. Il soldato che, con i suoi dati militari, ha richiamato l'attenzione, si chiamava Pietro, era nato a Minerbe e qui risiedeva alla data dell'arruolamento, ma il cognome a cui si è risaliti è oggi estinto nel paese. Figlio di Filomeno e Lavinia, piuttosto basso di statura, sapeva leggere e scrivere, e aveva appreso il mestiere del muratore. Nel '14 è soldato di leva, arruolato con la classe successiva per aspettare il congedamento del fratello Claudio. Il 1° marzo del '15, poco prima della dichiarazione di guerra, s'imbarca a Napoli per i territori africani della Cirenaica e Tripolitania che facevano parte del Regno d'Italia dopo la guerra di Libia del 1911-'12. Le successive date del rientro in Italia e dell'invio in zone di guerra non sono registrate, mentre il foglio matricolare comunica che nel febbraio del '16 è nel 66° Reggimento Fanteria. Nel luglio del '17, quando le forze italiane erano messe a dura prova lungo il confine dell'Isonzo e tre mesi dopo saranno sconfitte a Caporetto, è denunciato come disertore al tribunale di guerra. Dai dati successivi si evince che non si era presentato al Reparto di appartenenza da più di sei mesi. Nell'ottobre del '18 viene arrestato e incarcerato dai Reali Carabinieri di Legnago. Anche se la guerra un mese dopo avrà termine, la giustizia militare ha il suo corso e nel gennaio del '19 Pietro viene condannato dal Tribunale di Guerra dell'8° Corpo d'Armata. Qui si apre il sipario su una realtà storica della Grande Guerra a lungo poco conosciuta; oggi molti studi, anche presenti in Internet, mettono in luce quale fosse la repressione introdotta dallo Stato per incanalare ufficiali e soldati in una disciplina che fosse efficace per un esito positivo della guerra che si rivelava più lunga e difficile del previsto. I reati di guerra giudicati erano vari, la diserzione frequente e comprensibile in giovani che al Processo la giustificavano con il desiderio di vedere le loro famiglie, con il timore di non rivedere più i loro genitori anziani, con l'esigenza di contribuire ai lavori agricoli per non trovare tutto allo sfascio alla fine della guerra.

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In un sito dei Bersaglieri si legge che nei primi mesi del '18 il numero dei disertori superava quello di morti e prigionieri. La pena per Pietro fu, come previsto, la confisca totale dei beni e l'ergastolo: a fine guerra in quindicimila ebbero lo stesso trattamento. Il 2 settembre del '19 lo Stato concesse un'amnistia per i reati militari, infatti, il foglio matricolare di Pietro cita tale Decreto Regio nel '25, quando la sua pesante pena viene commutata in dieci anni di reclusione militare in condizionale. Non si hanno altri dati di questo soldato minerbese che è testimone di come la grande guerra non fosse condivisa dai soldati semplici dei quali si leggono, in pubblicazioni nel Web, svariati modi di insubordinazione puntualmente repressi, anche con la pena capitale. Autori del tempo affermano che " il popolo ha fatto la guerra senza sapere perché… le fazioni di Interventisti e Neutralisti avevano gridato i loro motivi e i loro slogan, chi stava facendo la guerra non aveva gridato nulla".

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FACCIOLI FRANCESCO

____________________________________ I I Faccioli Francesco Melotto Elisa Angiari 25.08.1881 Angiari 10.05.1882 mugnaio __________________________________________________________________________ I I I I I I I I Idamia Elide Remigio Rosa Maria Amneris Anna Maria Ampelio Diego 28.5.1907 23.7.1909 3.6.1911 9.11.1912 20.8.1913 26.7.1915 26.7.1915 30.8.1920 I sposa Leone Bianca I ___________________________________________________ I I I I Gemma Gilberto Gianluca Fulvio I Francesca Il soldato Francesco Faccioli è il nonno della signora Gemma e il bisnonno dell’alunna Francesca Serafini che ha portato a scuola i documenti dell’avo relativi alle sue vicende di guerra. Attraverso essi è stato così possibile ricostruirne la storia. Francesco parte per il fronte di guerra, come soldato richiamato alle armi, l’8 maggio 1915. Essendo nato il 25 agosto 1881 ha 34 anni e quindi una famiglia alle spalle costituita dalla moglie Elisa e da cinque figli più due gemelli in arrivo, Anna Maria e Giovanni, che nasceranno di lì a pochi mesi, il 26 luglio 1915. Il suo foglio matricolare consente di rilevarne la professione, fa il mugnaio, e le caratteristiche fisiche: alto un metro e sessantasette cm., capelli biondi lisci, occhi grigi. Non solo sa leggere, ma il foglio matricolare indica che gli è stata rilasciata l’attestazione per l’elettorato politico. La signora Gemma ci riferisce che la raccolta dei documenti, che ci consentono oggi di ripercorrere le vicende del soldato Francesco Faccioli, è dovuta alla cura minuziosa che di essi ha fatto la sua mamma, la signora Bianca Leoni, moglie del terzogenito di Francesco, Remigio, di professione falegname.

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La signora Bianca, infatti, sposatasi con Remigio, è andata ad abitare nella casa del suocero condividendone l’abitazione e accudendolo fino al momento della morte avvenuta il 23 giugno 1957, all’età di 76 anni. La signora Gemma, grazie ai ricordi della madre, può così ora riferirci che il nonno possedeva un mulino sull’Adige e grazie al suo lavoro poteva mantenere con un certo agio la famiglia ricca di figli. La partenza di Francesco comporta però gravi conseguenze sull’economia familiare. La moglie di Francesco, infatti, la signora Elisa Melotto, con sette figli da mantenere è costretta a indebitarsi. Al termine dalla guerra pertanto Francesco, che ritorna invalido per una ferita che ne compromette la deambulazione, è costretto a vendere casa e mulino per ripianare i debiti. Si trasferisce in una dimora più modesta e cambia lavoro. La ferita di guerra, infatti, gli ha procurato un danno permanente all’anca sinistra che gli rende difficile il camminare. Percepisce per questo una modesta pensione, ma non essendo sufficiente per le varie necessità, si adatta a fare il trasportatore per conto terzi. Consegna merci nelle varie località della zona, trasportando con il suo carro farina, legna, carbone e quanto altro venisse richiesto. Le vicende per il riconoscimento della ferita come causa di servizio per fatti di guerra. Il carteggio tenuto con cura dalla famiglia consente di ricostruire i fatti relativi alla ferita riportata e il non semplice percorso svolto per ottenerne il riconoscimento come fatto avvenuto per vera e propria causa di servizio. Se ne riportano i vari passaggi citando la documentazione di riferimento. 1. Processo verbale del 28 giugno 1917 con il quale il comandante del 20° Reggimento

Fanteria e il comandante del reparto cui il soldato Faccioli è assegnato, unitamente a due testimoni presenti ai fatti, rilasciano la dichiarazione che il fatto d’armi nel quale è stato coinvolto il soldato Faccioli Francesco, è avvenuto in data 8 giugno a quota 100 (Monfalcone)

2. Atto deliberativo del Consiglio d’Amministrazione del 20° Reggimento Fanteria con sede presso Reggio Calabria, datato 5 novembre 1917 con il quale si esprime il seguente parere: “ essere abbastanza provata la realtà del fatto cui viene attribuita la ferita e riunire in sé il fatto condizioni tali da potersi considerare come avvenuto per vera e propria causa di guerra”

3. Foglio di licenza illimitato concessa al soldato Francesco Faccioli per recarsi da Reggio

Calabria ad Angiari, datato 20 dicembre 1918 dove si attesta che ‘parte soddisfatto di cinque giorni’ e per questo riceve 25 lire. È un bellissimo foglio che riporta molte annotazioni. In alto a destra sono indicati tutti i segni di riconoscimento del militare: statura, capelli, dentatura, carnagione, colore degli occhi, altezza,..; in basso invece il foglio è suddiviso in due parti: a sinistra sono elencate le norme di viaggio, a destra le avvertenze per i militari in licenza. Sul retro sono invece presenti le principali linee delle tradotte militari con relativi orari.

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4. Foglio di congedo illimitato che riporta la storia del soldato Faccioli Francesco. Vi si attesta che esso viene consegnato al soldato Faccioli, numero di matricola 12867, in data 15 agosto 1919. Nel foglio inoltre vi si attesta che durante il tempo passato sotto le armi ha tenuto buona condotta e ha servito con fedeltà e onore.

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Viene riportato che il primo arruolamento avviene il 13 luglio 1901; mentre la chiamata alle armi riporta la data del 14 marzo 1902. Dal distretto di Verona è trasferito quindi al 3° Reggimento Fanteria il 22 marzo 1902 e giunge alle armi per mobilitazione l’8 maggio 1915. Rinviato in congedo illimitato il 15 agosto 1919. Campagne di guerra: 1915-1916-1917. Anche il retro del foglio riporta notizie molto interessanti e in particolare nella parte superiore vengono indicati Doveri e facoltà del militare in congedo, nella parte sotto i Doveri del militare in caso di richiamo alle armi.

5. Comunicazione del Ministero della guerra al comando dei RRCC di Legnago con il quale il Collegio medico superiore ritiene utile sottoporre a visita diretta il soldato Faccioli Francesco per cui il Comando viene invitato a dare gli opportuni ordini affinché il militare sia fatto ricoverare nell’ospedale del Celio a Roma.

6. Il successivo documento è il biglietto d’uscita dall’ospedale militare di Roma dove viene riportato che il soldato Faccioli è entrato nell’ospedale il 14 marzo 1922 uscendone il 16 marzo 1922 e partendo soddisfatto coll’indennità di trasferta per n. 2 giornate pagate con lire 23,45.

7. A seguire il decreto n.° 351985 del Ministero del tesoro, del 15 aprile 1922 a firma del

ministro Pavone che riporta le seguenti annotazioni: ‘considerato che era stato concesso l’assegno rinnovabile di terza categoria in lire 618, per tre anni dal 20.05.1919 e l’assegno mensile di lire 20, ‘visti i nuovi atti sanitari e vista la deliberazione del Collegio Medico superiore in data 15.03.1922,’

si decreta di liquidare al soldato Faccioli Francesco, affetto da infermità contratta a causa di guerra ascrivibile in via definitiva alla 5 categoria, una Pensione annua da durare a vita dal 26 maggio 1919 di lire 756, elevata a lire 1440 dal 6 gennaio 1919 al 30 giugno 1923, con pagamento da eseguirsi in Angiari’.

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Di questa pensione il soldato Faccioli godrà definitivamente per tutta la sua vita senza altre revisioni e verifiche.

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Classe quinta A TANTE RICERCHE, INTERVISTE E RIFLESSIONI...

La domanda di partenza: I giovani soldati come raggiungevano il fronte a piedi o con i

muli?

La risposta: I soldati raggiungevano il fronte con la TRADOTTA

Con questo termine veniva identificato il trasporto soldati effettuato con convogli

separati (per diverse motivazioni) dai civili e tempi e regole diverse da e verso il fronte

con la scorta dei Carabinieri. Il termine dava adito a canzoni sul destino del soldato

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….ECCONE ALCUNE….

La tradotta

La tradotta che parte da Torino a Milano non si ferma più, ma la va diretta al Piave, ma la va diretta al Piave. La tradotta che parte da Torino a Milano non si ferma più, ma la va diretta al Piave, cimitero della gioventù.

Siam partiti, siam partiti in ventisette, solo in cinque siam tornati qua, e gli altri ventidue… son morti tutti a San Donà.

A Nervesa, a Nervesa c'è una croce, mio fratello l'è disteso là, io ci ho scritto su "Ninetto"… che la mamma lo ritroverà.

Cara suora, cara suora son ferito, a domani non ci arrivo più; se non c'è qui la mia mamma… un bel fiore me lo porti tu.

La tradotta (altra versione)

La tradotta che parte da Milano a Verona non si ferma più, ma la va diretta al Piave, ma la va diretta al Piave. La tradotta che parte da Milano a Verona non si ferma più, ma la va diretta al Piave, cimitero della gioventù.

Siam partiti, siam partiti in ventinove, solo in sette siam tornati qua, e gli altri ventidue… son sepolti tutti a San Donà.

Cara suora, cara suora, son ferito, a domani non ci arrivo più. Se non c'è qui la mia mamma… un bel fiore glielo porti tu!

A Nervesa, a Nervesa c'è una croce. Mio fratello l'è sepolto là, io ci ho scritto su: «Ninetto»… che la mamma lo ritroverà.

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Noi, così l’abbiamo immaginata:

“…gremita di musi duri che fumano la pipa in silenzio, con gli occhi gonfi dalle lacrime

con il cuore addolorato e con tanta paura di non poter più rivedere i propri cari, i propri

luoghi vissuti nella serena giovinezza con la famiglia e gli amici…”

Davide

Anna

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Nel lontano 1915 scoppiò la Prima Guerra Mondiale e tutti gli uomini da vent’anni in su

furono chiamati alle armi.

Sono tornato indietro nel tempo con la mente ho immaginato di essere uno di quei soldati.

Mi viene consegnata la lettera di chiamata al fronte e mi tremano le mani al solo pensiero.

Preparo le mie cose, saluto i miei cari e guardo gli occhi di mia madre che a stento trattiene le lacrime.

Mi avvio alla stazione per aspettare la tradotta che mi porterà al fronte e il mio cuore batte forte dalla paura e dall’angoscia perché non ho mai tenuto un’arma tra le mani.

Marcello

Francesco

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Secondo me un ragazzo chiamato in guerra si doveva trovar ad affrontare situazioni molto difficili. Avrà vissuto momenti di paura perché non sapeva cosa gli aspettava; di angoscia perché non sa se e quando tornerà a casa ;di tristezza perché è costretto a lasciare la famiglia, la mamma, la fidanzata i fratelli.

Nello stesso tempo doveva cercare il coraggio per superare questi attimi terribili.

Sapeva già che avrebbe sofferto di malinconia per la mancanza dei suoi cari, che si sarebbe sentito in colpa per non riuscire ad aiutare economicamente la sua famiglia.

Doveva essere spaventato perché non sapeva usare le armi ma soprattutto non era da lui odiare e uccidere. Non capiva quale fosse il senso della guerra. Aveva tanta PAURA DI MORIRE

Anna

Silvia

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Ma il soldato si mostra forte e coraggioso agli occhi dei propri cari anzi li rassicura, li

abbraccia e dice loro :” ci rivedremo presto!”

Il soldato è sulla tradotta con i suoi pensieri ,angosce e paure. Insieme a lui tanti altri

giovani ammucchiati accovacciati, infreddoliti verso una meta di nome “GUERRA”

Davide

Edoardo

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SOLDATO CADUTO

Nessuno, forse, sa più

perché sei sepolto lassù,

nel camposanto sperduto

sull’alpe, soldato caduto.

Nessuno sa più chi tu sia,

soldato di fanteria,

coperto di erbe e di terra,

vestito del saio di guerra,

l’elmetto sulle ventitré.

Nessuno ricorda perché,

posata la vanga, il badile,

portando a tracolla il fucile,

salivi sull’alpe; salivi,

cantavi e di piombo morivi,

e altri moriron con te.

E noi oggi diciamo….

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Classe V B

‘In memoria di Ognuno’

“Tutti avevano la faccia del Cristo

nella livida aureola dell’elmetto.

Tutti portavano l’insegna del supplizio

nella croce della baionetta.

E nelle tasche il pane dell’Ultima Cena

e nella gola il pianto dell’ultimo addio”

Le parole di questo sconosciuto, scolpite nella galleria del Castelletto delle Tofane, offrono

la sintesi commossa di ciò che la guerra ha significato per chi l’ha vissuta.

All’interno della nostra classe sono stati individuati cinque bisnonni che hanno partecipato

alla prima guerra mondiale. Tre di essi siamo riusciti ad intervistarli attraverso i loro figli,

i nostri nonni. Ecco una sintesi dei “loro” racconti, corredati da onorificenze acquisite sul

campo di battaglia.

48

CHIAVENATO SILVIO

Il bisnonno paterno di Simone nasce a Pressana (VR) nel 1895. In famiglia erano cinque fratelli.

A vent’anni viene chiamato alle armi, in fanteria; parte con la tradotta da Cologna Veneta. Partecipa alla battaglia sul Piave, dove per non farsi prendere dagli austriaci, con altri commilitoni si immerge completamente nelle acque del fiume, respirando con delle canne di bambù. Si offre volontario per tagliare i reticolati nemici. In questa operazione, che gli varrà la medaglia di bronzo, viene ferito ad un fianco dalla scheggia di una granata. Questo episodio, per quanto drammatico, probabilmente gli salverà la vita. Infatti, dopo essere stato dimesso dall’ospedale militare, viene rispedito al fronte. La gamba continua a dolergli e per questo viene congedato.

Medaglia di bronzo attribuita a Chiavenato Silvio per essersi offerto volontario

per andare a tagliare i reticolati nemici al Monte dei Busi il 21 luglio 1915.

49

GIUSEPPE DAL CORTIVO

È il bisnonno materno di Elena. Nasce a Montecchia di Crosara (VR) il 9 /6/1893, figlio di

Carlo e di Danese Ginevra. Dal foglio matricolare si apprende che è alto 171cm, che ha i

capelli ondulati, color castano, gli occhi grigi e la dentatura sana. Di professione fa il

contadino e sa leggere e scrivere.

Riceve la cartolina di chiamata alle armi per mobilitazione

(Regio Decreto del 28 maggio 1915) il 1/6/1915 e insieme al

fratello, che partirà con lui, s’incammina verso San Bonifacio

per salire sulla tradotta, il convoglio speciale riservato ai

militari. Viene destinato all’artiglieria, sezione bombardieri.

Combatte in guerra in varie zone e viene congedato

definitivamente solo il 19 settembre 1919, dopo aver ricevuto il

pagamento del premio di congedamento di £ 250,00 (circolare

n° 114 del G.M. 1919) e avere meritato una dichiarazione di

buona condotta e di aver servito con fedeltà e onore.

Purtroppo al fratello non toccherà la stessa sorte, in quanto morirà in combattimento.

Onorificenza in ricordo della

partecipazione alla Grande Guerra

Ricordo donato al signor Dal Cortivo in occasione

del cinquantesimo della fine della prima guerra

mondiale. Interessante la dedica:

“Sia perenne come il tempo l’amor di patria”

(Disegno di Giulio)

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FAVALLI GIUSEPPE

Favalli Giuseppe è il bisnonno della mamma di Angelica. Nato a Cerea (VR) il 19/3/1879; data l’età (37 anni), partecipa alla guerra come conducente muli. Opera tra la Vallarsa e la Val d’Adige, a quel tempo linea di confine tra l’Italia e l’impero austro-ungarico. Riforniva di viveri e munizioni i militari di prima linea. Alla fine del conflitto, ormai trentanovenne, torna a casa tra i primi soldati congedati essendo venuto meno il compito per cui era stato precettato.

Documento che attesta il conferimento della cittadinanza onoraria da parte

della città di Treviso al signor Favalli Giuseppe, in occasione del quarantesimo

anniversario della fine della guerra.

51

SAN MARTINO DEL CARSO

Giuseppe Ungaretti

Di queste case

non è rimasto

che qualche brandello

di muro.

Di tanti

che mi corrispondevano

non è rimasto

neppure tanto.

(Alessandra G.)

Eppure nel cuore

nessuna croce

manca.

È il mio cuore

il paese

più straziato

(Alessia C.)

52

VIATICO

Clemente Rebora

La poesia è ispirata all'esperienza della prima guerra mondiale. Il poeta si rivolge al compagno di trincea ridotto ad un tronco senza gambe e si augura solo che egli affretti l'agonia.

La crudeltà presente in queste parole nasconde una profonda pietà per chi è destinato ormai alla morte e per coloro che rimangono in vita e sono condannati a vivere lo strazio dei compagni che invocano aiuto e tutta l’assurdità di quella situazione.

Lasciaci in silenzio, questa è la preghiera dolorosa che il poeta rivolge al ferito. Per chi muore è finita, ma non per chi resta e questo rantolo agonizzante rende ancora più angosciosa la vita.

O ferito laggiù nel valloncello, tanto invocasti se tre compagni interi cadder per te che quasi più non eri. Tra melma e sangue tronco senza gambe e il tuo lamento ancora, pietà di noi rimasti a rantolarci e non ha fine l'ora, affretta l'agonia, tu puoi finire, e nel conforto ti sia nella demenza che non sa impazzire, mentre sosta il momento il sonno sul cervello, lasciaci in silenzio grazie, fratello.

(Gaia M.)

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PARTENZA PER IL FRONTE

(da “Centomila gavette di ghiaccio” di G. Bedeschi)

In classe abbiamo letto questo brano di Bedeschi e, anche se il fronte non era quello della

prima guerra mondiale, abbiamo potuto individuare quei sentimenti di angoscia verso

l’ignoto e di nostalgia verso gli affetti familiari che accomunano tutti i soldati in partenza.

Abbiamo provato a rielaborarlo inventando due protagonisti immaginari, Pietro e

Giuseppe.

La tradotta procedeva velocemente, diretta al fronte.

Il ventenne Giuseppe se ne stava silenzioso, seduto sopra il suo zaino, pensando alla

propria famiglia e a tutto quello che era successo in quei giorni. Qualche settimana prima

il messo comunale era arrivato a casa sua e gli aveva consegnato la cartolina di chiamata

alle armi. Subito iniziarono i preparativi e dopo cinque giorni Giuseppe, che faceva il

contadino, si ritrovò con l’uniforme della fanteria.

Sollevò lo sguardo e incontrò gli occhi smarriti di un altro commilitone.

- Vuoi fumare? – gli chiese Giuseppe, porgendogli il pacchetto di sigarette.

L’altro scosse il capo; aprì lo zaino, estrasse una ciambella e gliene offrì. Giuseppe accettò e

i due si misero a conversare sottovoce, masticando lentamente, assaporando il gusto del

cibo portato da casa. Pietro, così si chiamava il giovane, proveniva da uno sperduto

paesino della campagna pugliese. Era il primo di sette fratelli. Suo padre era un piccolo

pastore e la vita in famiglia non era sempre facile perché tante erano le bocche da sfamare.

Improvvisamente il treno si fermò. Tutti scesero e ne approfittarono per sgranchirsi le

gambe. In lontananza s’intravedeva il bagliore dell’Adriatico, che rendeva ancora più

struggente l’allontanarsi da casa.

Il fischio del treno annunciò la partenza. Pietro e Giuseppe si sedettero ai loro posti.

Parlarono delle loro famiglie e Giuseppe mostrò la foto di una giovane ragazza bruna. Era

Maria, la sua fidanzata. Sul retro c’era una dedica: “Con tutto il mio amore”. A Giuseppe

si inumidirono gli occhi e col dorso della mano si asciugò una lacrima. Allora Pietro intonò

una canzone, così per passare il tempo e per distrarre il nuovo amico. Alla sua voce si

unirono altri compagni e ben presto la carrozza risuonò di un unico canto, mesto e dolce

insieme.

54

CHE COS’È LA CIVILTÀ

La civiltà non è né il numero,

né la forza,

né il denaro.

La civiltà è il desiderio paziente,

appassionato,

ostinato,

che vi siano sulla terra meno ingiustizie,

meno dolori,

meno sventure.

La civiltà è amarsi.

(R. Follerau)

L’autore esprime la sua idea di civiltà affermando, innanzitutto, che essa non può

coincidere esclusivamente con un accumulo di beni materiali.

Secondo l’autore la civiltà è il desiderio che ognuno deve coltivare dentro di sé per

realizzare una società in cui tutti si rispettino e si amino.

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Anche noi ci siamo posti la domanda di Raoul Follerau e abbiamo provato ad individuare

parole “buone”, come generosità, cordialità, rispetto, ironia, amore, lealtà, coraggio,

tolleranza, ……. che dovremo usare e mettere in pratica con più frequenza, visto che di

guerra, purtroppo, si parla ancora oggi.

Ecco una sintesi delle nostre riflessioni.

La guerra è una cosa crudele, che non

deve essere fatta, perché molti giovani

sono stati costretti ad andare in trincea.

Per questo diciamo:

abbasso la guerra!

(Giorgia, Thomas, Giulia)

La guerra non è bella: troppe morti.

(Simone, Angelica, Giulia)

Se c’è la guerra

ci sono molti danni

e tanti malanni.

La guerra è un male per tutti,

persone che muoiono,

gente ferita, gente che muore.

Perché anziché la guerra

non scoppia l’amore?

(Anna, Gaia, Elena)

La pace è molto importante

e bisogna tenerla costante.

Per stare bene,

devi aiutare e sapere amare.

Se il mondo vuoi cambiare

devi imparare a pensare e a collaborare.

La guerra non può essere una soluzione,

perché toglie la vita a troppe persone.

(Giulio, Gaia, Elias)

La guerra è come una notte buia, fredda,

tempestosa, che ti lascia senza respiro.

La guerra porta soltanto morte e

ingiustizia.

(Marc, Ashley, Lisa)

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A come amore

L come libertà

T come terrore

R come ragionevolezza

U come unione

I come importante

S come solidarietà

M come memoria

O come onestà

A noi la guerra non piace perché porta

solo distruzione e morte.

Per far sì che la guerra non accada

potremo impegnarci ad andare d’accordo

l’un l’altro.

(Alessandra, Deniel, Masse)

IMMAGINA

Immagina che tutta la gente

viva la vita in pace.

Niente egoismo e fame,

una fratellanza di uomini.

Puoi dire che sono un sognatore,

ma non sono l’unico.

Spero che un giorno ci raggiungerai

e il mondo sarà così.

(J. Lennon)

Scuola Secondaria

Classe I A

4 novembre

S’innalza al cielo l’eco di una tromba;

suona il silenzio; ognuno resta muto.

Pace agli eroi; presso la loro tomba,

vola il pensiero nostro ed il saluto.

Si spengono le voci e, lenta e grave,

sommessamente, senza toni acuti,

la banda suona, dolcemente, Il Piave,

come una ninna nanna pei caduti.

Si chiamano all’appello i nostri eroi,

sempre vivi nel cuore e nella mente;

e ad ogni nome, tutti quanti noi

in coro rispondiamo col “Presente!”.

O voi che siete in pace sotto terra,

pregate Iddio che illumini noi vivi,

perché nel mondo non ci sia più guerra,

ma fratellanza, all’ombra degli ulivi.

Gerardo Rosci

58

Riflessioni sulla poesia 4 novembre.

Noi ragazzi di IA della Scuola Secondaria di Primo Grado di Minerbe, dopo aver

compreso che con la celebrazione del 4 novembre si intende ricordare tutti coloro che

hanno sacrificato il bene supremo della vita per un ideale di Patria e di attaccamento al

dovere, abbiamo poi riflettuto sul significato della poesia 4 novembre di G. Rosci, che mette

in luce due messaggi importanti per le giovani generazioni, il ricordo e la fratellanza.

Abbiamo scelto di conseguenza di poterci esprimere liberamente realizzando nostri

commenti scritti sulle due tematiche centrali del testo poetico.

Qui di seguito ci sono alcuni dei nostri lavori.

La poesia 4 novembre è un’ode ai caduti in guerra; essi sacrificarono le loro vite per liberare

l’Italia dagli oppressori.

In quei brutti periodi molte persone, non solo soldati, ma anche civili, trovarono la morte.

La poesia ricorda i canti e le melodie che venivano suonati con tristezza per ricordare

coloro che non c’erano più, e chi era vivo aveva il cuore colmo di dolore e sconforto.

In una strofa viene nominato il Silenzio che di solito si suona per avvisare i soldati che la

giornata è finita, ma, in questo caso, viene eseguito per dare un dignitoso saluto a coloro

che non ci sono più.

In un’altra strofa si parla de La canzone del Piave che, secondo me, è la rappresentazione

precisa della resistenza dei nostri soldati che, con tutte le loro forze, cercarono di

respingere gli Austriaci.

Nella poesia inoltre si narra che durante la commemorazione i nomi dei defunti vengono

chiamati all’appello e tutta la gente radunata risponde con il “Presente!” per rendere

omaggio a quegli eroi che avevano dato la loro vita. Questo è un verso che mi ha colpito

molto, perché nella risposta all’appello i vivi rendono i caduti ancora partecipi del mondo

attuale.

Però nel modo più assoluto il verso più bello è l’ultimo «O voi che siete in pace sotto terra

pregate Iddio che illumini noi vivi, perché nel mondo non ci sia più guerra, ma fratellanza,

all’ombra degli ulivi.». Queste parole ci fanno capire quanta sofferenza e quanto dolore

porta la guerra, infatti il poeta chiede a coloro che sono morti di illuminare i vivi affinché

non vi siano più conflitti, ma la pace.

Purtroppo in questo periodo, ci sono molte guerre e tante persone scappano dalle loro

terre perché altrimenti verrebbero massacrate e questo è veramente brutto e, malgrado la

storia ci insegni che la guerra porta solo disperazione e miseria, i governi continuano a

farle.

Bisogna cercare di essere tolleranti e amare tutti senza distinzione di nazionalità, fede e

idee politiche. La pace è una delle cose più belle e sacre che ci sia e dobbiamo fare il

possibile perché essa duri.

Chiara

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Con la professoressa di Italiano, noi alunni di IA abbiamo letto in classe una poesia sul 4

novembre che parla dell’eco di una tromba che suona un motivo triste perché racconta di

alcuni eroi morti in guerra. Narra esattamente del giorno del 4 novembre in cui noi italiani

andiamo presso le loro tombe a portare il nostro saluto.

Mentre scrivo queste parole mi immagino la morte dei caduti, penso al dolore delle loro

famiglie e provo molta tristezza perché mi immedesimo in quei figli che sono dovuti

crescere senza un padre o nel dolore di una mamma a cui è morto un figlio giovane.

La guerra non risolve i problemi, anzi porta distruzione, morte e sofferenza.

Le parole che mi hanno colpito sono: «pregate Iddio che illumini noi vivi, perché nel

mondo non ci sia più guerra, ma fratellanza».

A me non piace la guerra; spero che in futuro sia vinta e che ci sia la fratellanza tra tutti i

popoli.

Enrico

Questa mattina abbiamo letto in classe una poesia di Gerardo Rosci che si intitola 4

novembre.

L’intenzione del poeta è quella di ricordare i caduti durante le guerre e di tener viva la

loro memoria con un momento di raccoglimento, pensando a quanto hanno fatto per tutti

noi difendendo il nostro Paese e la nostra libertà a costo della loro stessa vita.

Le note del Silenzio, suonato da una tromba rivolta al cielo in segno di speranza e di fede,

riempie il cuore di chi l’ascolta e la banda sommessa intona La canzone del Piave che suona

come una ninna nanna per i caduti. Nel cuore chiamiamo i nostri eroi e li sentiamo

presenti.

L’autore chiede ai caduti di pregare per un mondo di pace.

Di questa bella poesia mi è rimasto nel cuore il fatto che chi dà la vita per gli altri non

dovrebbe morire mai nel ricordo della gente.

Parlandone con mia mamma abbiamo cercato i due brani citati nella poesia. Il Silenzio è un

pezzo musicale dolcissimo e dà una grande sensazione di pace e mamma mi ha raccontato

che viene suonato nelle caserme prima di andare a letto. La canzone del Piave invece è un

brano che dà incitamento e racconta di come i nostri eroi abbiano difeso le frontiere di

Trento e Trieste.

Proprio per onorarli vorrei immaginare il mondo in pace sotto un grande ulivo perché non

ha senso vivere per uccidere i nostri fratelli.

E’ grazie a questi eroi che noi possiamo vivere in un Paese libero, in un’Europa libera, tutti

con la stessa moneta e con gli stessi diritti.

Emil

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Il ricordo per i nostri recenti caduti in missione all’estero.

Negli ultimi due anni purtroppo è salito a 53 il numero dei militari italiani caduti in missione all’estero.

Ricordiamo che nel 2012 nella missione ISAF in Afghanistan:

il 13 gennaio è deceduto Giovanni Gallo, 49 anni, tenente colonnello del 152º Reggimento fanteria "Sassari";

il 20 febbraio sono morti Francesco Currò, 33 anni, caporal maggiore capo del 66º Reggimento fanteria aeromobile "Trieste" di Forlì, Francesco Paolo Messineo, 29 anni, primo caporal maggiore del 66º Reggimento fanteria aeromobile "Trieste" di Forlì, Luca Valente, 28 anni, primo caporal maggiore del 66º Reggimento fanteria aeromobile "Trieste" di Forlì;

il 24 marzo è mancato Michele Silvestri, 33 anni, sergente del 21º Reggimento genio guastatori di Caserta;

il 25 giugno è deceduto Manuele Braj, trentenne, carabiniere scelto del 13º Reggimento carabinieri "Friuli-Venezia Giulia";

il 25 ottobre è morto Tiziano Chierotti, 24 anni, promosso Caporal Maggiore del 2º Reggimento Alpini.

Sempre nel 2012 nella Missione KFOR in Kosovo:

il 18 giugno è deceduto Michele Padula, 25 anni, caporal maggiore dei Bersaglieri. Nel 2013 nella missione ISAF in Afghanistan:

l’8 giugno è mancato Giuseppe La Rosa, 31 anni, capitano del 3º Reggimento bersaglieri, promosso Maggiore.

Onore ai nostri caduti in missione di pace!

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Classe I B

Oggi a scuola abbiamo letto una testimonianza sulla Prima guerra mondiale tratta

dal romanzo “Un anno sull’Altipiano”, di Emilio Lussu. Il brano, intitolato “Avevo di fronte

un uomo”, racconta di una missione fatta dall’autore e da un caporale che camminando

carponi arrivano dietro a un cespuglio a soli trenta metri dalla trincea austriaca, dove

rimangono in agguato tutta la notte. La vicinanza con il nemico, permette ai protagonisti

di vedere alle prime luci dell’alba, i loro avversari che prendono il caffè e fanno colazione.

Agli occhi di Lussu e del caporale appare improvvisamente un giovane ufficiale austriaco,

biondo, di circa diciotto anni, vestito con una divisa nuova: sembra appena uscito da una

scuola militare. Alla mente dell’autore si affacciano pensieri diversi: «Perché uccidere un

uomo come me?», il nemico prende il caffè tutte le mattine e si comporta esattamente

come gli italiani. L’autore si stupisce di vedere che gli austriaci sono uomini qualsiasi,

esattamente come lui: perché allora temerli tanto?

In quel momento Lussu, che avrebbe potuto sparare facilmente all’ufficiale biondo, decide

di non farlo. Pensa che uccidere un uomo in quel modo significhi assassinarlo, invece fare

la guerra sia un’altra cosa, cioè uccidere i nemici senza sapere a chi si spara, come se non

fossero singole persone.

In gruppo abbiamo riflettuto su questo modo di vedere le cose e riteniamo che in fin dei

conti uccidere un uomo o fare la guerra sia lo stesso perché in entrambi i casi si toglie

sempre la vita a qualcuno. Secondo noi l’autore ha scritto questo brano con lo scopo di

insegnare che la guerra è inutile e non vale la pena uccidere delle persone per conquistare

un territorio.

Nel mondo non ci dovrebbero essere guerre, ma bisognerebbe diffondere una cultura di

pace fra gli uomini, che sono tutti uguali.

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Classe I C

Abbiamo letto in classe il brano “Pronti all’assalto!”, tratto dal romanzo “Un anno

sull’Altipiano”, di Emilio Lussu, in cui l’autore racconta la sua esperienza di soldato in

trincea durante la Prima guerra mondiale. Nell’episodio narrato, i soldati italiani sono

mandati all’assalto verso le linee nemiche e uscendo dalla trincea al grido di «Savoia!»,

vengono massacrati in campo aperto dalle raffiche delle mitragliatrici; solo pochi

sopravvivono fino ad arrivare vicinissimi alla trincea austriaca. A quel punto accade un

fatto insolito: gli austriaci cessano di sparare e parlando in italiano, chiedono ai soldati di

ritirarsi e di smettere di farsi ammazzare in quel modo. È un momento di grande umanità,

in cui gli uomini di entrambi gli schieramenti si trovano molto vicini fra loro, possono

guardarsi finalmente in faccia; l’autore racconta che allungando una mano potrebbe

toccare quello che gli sembra il cappellano dell’esercito nemico. L’inutilità della guerra

emerge prepotentemente e per un attimo sembra possibile un’alternativa. Ma dalla trincea

italiana giunge l’ordine del generale Leone: «Avanti! Avanti contro il nemico!». Gli

austriaci sono così costretti a fare fuoco e solo pochissimi italiani si salvano dalla strage.

Dopo aver ritirato i feriti e i morti, cosa che i nemici permettono senza più sparare, l’autore

dialoga con un commilitone ed entrambi riflettono che quella vita li sta portando

progressivamente alla pazzia: per alcuni il suicidio è un’alternativa migliore alla vita di

trincea.

A nostro parere, lo scopo che si è prefisso l’autore nello scrivere questo brano è

quello di mostrarci com’era dal punto di vista di un soldato, una giornata di assalto alle

linee nemiche e quante persone morivano quotidianamente in questo catastrofico conflitto

mondiale. Dal brano emerge che la guerra ha coinvolto in eserciti contrapposti persone

nelle stesse condizioni. Gli austriaci cessano di sparare perché si accorgono che gli italiani

sono uomini e ragazzi come loro.

L’autore trasmette il disagio psicologico della vita in trincea che cambia le persone e

le porta sull’orlo della pazzia, a causa delle continue sofferenze e tensioni a cui sono

sottoposte.

Noi pensiamo che la guerra non sia una cosa bella perché porta via alle persone la

vita, la casa, il lavoro e fa allontanare i soldati dalle persone che più amano, impedendogli

di trascorrere il tempo con loro. La guerra è un’esperienza così negativa che in alcuni casi

spinge al suicidio chi la combatte. Ci chiediamo se sia davvero necessaria. Sarebbe bello

che tutti facessero questa riflessione.

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Classe 2A

Per riflettere su che cosa sia stata la prima guerra mondiale agli alunni di 2A è stato proposto il brano “Reclute”, tratto dal libro Con me e con gli alpini di Piero Jahier. Dopo la lettura e il commento in classe, gli alunni hanno lavorato sulla produzione scritta: alcuni hanno espresso le loro riflessioni, altri hanno immaginato di essere una recluta e di scrivere una pagina di diario.

Biografia di Piero Jahier

Nacque a Genova nel 1884 da famiglia, da parte del padre, piemontese e protestante, e in questa città trascorse la sua fanciullezza. Compì i primi studi a Torino e a Susa dove il padre, pastore valdese, era stato inviato a prestare la sua opera. La madre era di origine fiorentina e, dopo la morte del marito, suicida nel 1897, si trasferì a Firenze con i sei figli. Piero, che era riuscito a terminare gli studi liceali, vinse una borsa di studio e si iscrisse alla facoltà valdese di teologia di Firenze; nel frattempo incominciò a lavorare presso le ferrovie per poter sostenere la famiglia in gravi ristrettezze economiche. Dopo due anni di studi decise di abbandonare gli studi religiosi pur mantenendo il lavoro presso le ferrovie. A Firenze Jahier si trovò presto in contatto con i giovani letterati dell'epoca e iniziò a scrivere articoli su La Riviera Ligure e su Lacerba e quando, nel 1909, conobbe Giuseppe Prezzolini, iniziò a collaborare alla rivista La Voce, della quale divenne responsabile dal 1911 al 1913 (il 20 maggio del 1911 aveva intanto conseguito la laurea in giurisprudenza presso l'Università di Urbino) e sulla quale scrisse numerose recensioni, articoli e testi letterari di carattere soprattutto religioso. Nel 1910 sposò Elena Rochat, da cui ebbe quattro figli. Nel 1915 venne pubblicata dall'editrice "Libreria della Voce", della quale era responsabile, l'opera Resultanze in merito alla vita e al carattere di Gino Bianchi, con un allegato dove utilizzava lo pseudonimo di Gino Bianchi per delineare in modo satirico il ritratto del burocrate medio. Nel 1916 si arruolò come volontario negli Alpini con il grado di sottotenente. Mentre era al fronte curò la pubblicazione del giornale di trincea L'Astico, al quale continuò a collaborare anche a fine guerra nel suo proseguimento Il nuovo contadino. Nel 1919 uscì a cura di Barba Piero, pseudonimo già usato quando scriveva sull'Astico, la raccolta Canti di soldati che si ispirava al periodo vissuto in trincea. Nello stesso anno venne pubblicato Ragazzo, un prosimetro di carattere autobiografico i cui capitoli erano già apparsi precedentemente su varie riviste, e nel 1920 pubblicò la sua opera in prosa più famosa, Con me e con gli alpini. Nel 1921 con la cura delle Lettere e testimonianze dei ferrovieri per la patria pose termine alla sua attività creativa. Fu chiaramente antifascista e per questo suo atteggiamento fu bastonato, imprigionato e perseguitato. Durante tutto il Ventennio smise di scrivere e si limitò a pubblicare alcune traduzioni e dopo la liberazione divenne presidente della bolognese "Libera Associazione di Studi" e riuscì, pur continuando il suo lavoro alle Ferrovie, a prendere una seconda laurea in francese. Nel secondo dopoguerra raccolse i suoi scritti, apportando numerose modifiche, e li riordinò per la pubblicazione di una edizione delle sue Opere che verranno pubblicate nel 1964. Morì a Firenze nel 1966.

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Con me e con gli alpini È un volume di prose e di liriche che, nonostante l’alto valore della testimonianza "diretta" sulla Grande Guerra - Jahier era ufficiale degli alpini -, si abbandona sovente ad una celebrazione un po’ ingenua, anche se particolarmente sentita, del sacrificio degli uomini umili. È un diario di guerra scritto al fronte tra il marzo 1916 e il luglio 1917, ma è anche un diario di vita e di valori indelebili ed un unicum dal punto di vista letterario, che alterna squarci lirici e poetici a momenti narrativi. È un racconto di incontri e complicità fra reclute, di fratellanza fra quegli alpini in cui Jahier ritrova i valori in cui si rispecchia: la vita degli umili, la ricerca di purezza e verità, l’amore per la montagna. Da Con me e con gli alpini il brano “Reclute” Reclute che sono andato a vestire al Deposito degli alpini. Non erano reclute comuni. Niente fiori al cappello, niente allegrezze, niente canzoni. Avevo visto i giovani colare a picco in fiume le vecchie mutande e camicie tra scherzi e grida di evviva. Ma questi son padri tristi e quieti che non si aspettavano la chiamata. 32 anni: saltare non è più un piacere: cambiare non è più distrazione. Stavano silenziosi e tranquilli come una squadra operaia che aspetti il suo turno di paga. Un solo “signore” tra loro, strano nel suo soprabito a campana. Tutti contadini in giacchetta; più usati di me come corpo, quantunque della mia leva; parecchi bevuti, come sempre il montanaro nelle emozioni. Si provavano le uniformi, si mettevano i fregi con imbarazzo, come roba non da loro: con un senso di ridicolo penoso. I giovani li han da mostrare alle morose; ma questi, bisognerà che rimettano l’abito vecchio per non spaventare i bambini. Si son lasciati incolonnare senza chiedere nemmeno dove andavamo. Solo un nanerello mattacchione, venuto d’America, è riuscito a far ridere la compagnia, quando ha alzato la coda a una vacca e le ha baciato il sedere chiamandola: me nona. Pioveva lugubremente; qualcuno avea sottobraccio l’ombrello che, ormai, non si può più aprire. Andavano già al passo, da soli, naturalmente disciplinati. E si scusavano di non sapere. Volevo dir loro qualcosa: ma anch’io, soldato novizio, ero imbrogliato. Quantunque capissi i loro pensieri. Sono al mio stesso punto di vita, e come me sono padri. Ogni età ha i suoi pensieri comuni. Questo mi potrà aiutare. Li ho accompagnati ai paglioni. Ogni tre uomini, due. Nessuna osservazione. Poi in silenzio, son ripassato. Camminavo in mezzo ai corpi abbandonati sul grigio. Tutto uniforme, tutto uguale; eppure ciascuno i suoi ricordi e i suoi affetti; ciascuno una sua storia di uomo. Ho sentito bisogno di dar loro un segno di cura. Ho detto: buonanotte figlioli. E tutti han risposto: buonanotte. Nessuno era addormentato.

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Riflessioni degli alunni

Secondo me da questo brano si capisce quello che provano le reclute chiamate per andare in guerra. Non sono uomini orgogliosi perché, molto probabilmente, hanno lasciato le famiglie a casa da sole e sono tristi perché non possono proteggerle; i giovani invece sono allegri e orgogliosi di andare in guerra e si dimostrano coraggiosi. L'ufficiale (l'autore) li conforta e li accudisce come dei figli, dicendo “buona notte figlioli“ alla sera: in questo modo dimostra che li capisce, anche perché sono coetanei e anche lui ha una famiglia di cui preoccuparsi.

Anna L'ufficiale è molto gentile, comprensivo e amichevole verso le reclute perché le capisce e pensa che questi pover’uomini destinati alla guerra sono come lui, con una famiglia e con l'unica differenza che i loro corpi sono un po' più “usati” del suo. Secondo me queste reclute sono state molto fortunate a trovare un ufficiale che le accogliesse così, perché di solito da quello che sento dire erano molto rigorosi, non tanto simpatici e di certo non ti trattavano con così tanta gentilezza come ha fatto lui. La buonanotte è stata molto affettuosa e con molto significato: “buonanotte” è il classico augurio per una notte serena e “figlioli” l'ha detto perché si sentiva come il loro padre. Io non vorrei mai essere finita a fare la recluta e a combattere in guerra.

Chiara

L'ufficiale si comporta in modo molto semplice, sincero e molto bello nei confronti delle reclute. Le giudica in modo comprensivo e mostra di capirle. Sa che hanno una famiglia, che sono padri e che per loro non è semplice. Giudico il suo gesto in modo positivo perché dimostra di essere un vero uomo.

Natasha Pagine di diario Caro diario, oggi è finita la mia libertà. Sono arrivato al campo degli alpini, dove c’erano altri che come me hanno una famiglia lontano e un solo pensiero: SOPRAVVIVERÒ? Oggi sono andato al campo perché mi hanno chiamato per andare a combattere: questo mi rattrista molto. Lì ho conosciuto un ufficiale e mi è sembrato molto comprensivo; ha più o meno la mia stessa età ed è come se fosse nelle mie condizioni. Ah, quanto mi manca la mia famiglia! L’ufficiale ci ha dato le divise e tutti le abbiamo indossate, ma nessuno era contento. Le nostre facce erano tristi e quei gesti sembravano innaturali; anche per me è stato difficile indossare la divisa, quella che ci contraddistingue, quella che diventerà la nostra seconda pelle. Ci hanno dato i paglioni su cui dormiremo e lo divido con altri due uomini. L’ufficiale è passato poi in mezzo ai paglioni e con una voce leggera ci ha dato la buonanotte chiamandoci figlioli. È stato molto gentile quell’ufficiale, cordiale e molto paterno.

Claudia

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Caro diario, oggi sono arrivato qui al fronte. Sono rimasto scioccato vedendo tutti quei ragazzi. Ho paura di fare la stessa fine. Per fortuna io non sono partito per le battaglie, almeno per ora, e sono molto felice. Mi ha colpito il nostro ufficiale, che ha un atteggiamento comprensivo e che cerca di darci conforto. Come mi sembrano lontani la mia casa, i miei compagni e soprattutto mia moglie e i miei bambini.

Michael Caro diario, ti voglio raccontare l’esperienza vissuta oggi insieme ai miei compagni alpini. Siamo arrivati sul posto con una certa tristezza in viso perché abbiamo capito che la guerra non perdona e ogni volta che partiamo per una nuova missione il pensiero va alle nostre famiglie che ci aspettano a casa. Qui siamo quasi tutti contadini consumati dal lavoro e dalla fatica. Solo uno stamattina indossava uno strano soprabito a campana. Quando siamo arrivati ci sentivamo a disagio perché ci sembrava di essere in un altro mondo, diverso dal nostro amato paese. Ci siamo messi in fila senza dire niente e abbiamo camminato sotto la pioggia. Non sapevamo e tuttora non sappiamo nulla di cosa ci aspetta. La speranza per tutti è che tutto questo finisca presto e che possiamo tornare a casa. Ad accoglierci stamattina c’era un ufficiale della nostra stessa età, che ci guardava come se ci stesse studiando. Aveva uno sguardo di compassione e sembrava che sentisse i nostri pensieri. Meno male che c’è ancora un po’ di umanità! Poco fa ci ha accompagnato qui ai padiglioni e ci ha detto: “Buona notte figlioli”. Abbiamo sentito un po’ di calore in questa grigia giornata di freddo. Tutti abbiamo risposto: “Buona notte”, ma ancora adesso nessuno dorme. Sarà una lunga e difficile avventura.

Paolo

Caro diario, sono appena arrivato al campo degli alpini. Sono stato accolto da un ufficiale della mia stessa età. Portava in testa un cappello con la piuma. A prima vista aveva l’aspetto serio. Io ero molto impaurito e spaventato, avevo portato con me solo la valigia. Dentro c’era della biancheria, dei vestiti e alcune foto dei miei parenti. Le persone che in quel momento mi mancavano di più erano i miei genitori. Quando alla stazione li ho salutati, stavano piangendo disperati ed io ero triste perché dovevo lasciarli ed era la prima volta che mi allontanavo così tanto dal mio paese. La guerra mi fa paura perché sono inesperto. L’ufficiale mi ha accompagnato ai paglioni e mi ha consegnato l’uniforme che avrei dovuto indossare. Nonostante tutto, sono fiero di appartenere al corpo degli alpini che sono sempre stati valorosi difensori della patria.

Lara

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Caro diario, oggi è stato un giorno terribile, quando mi hanno chiamato per entrare nelle reclute. Se si potesse tornerei subito indietro... Quando sono entrato insieme ad altri ragazzi della mia stessa età avevo paura, le gambe mi tremavano e non riuscivo più a parlare. Ogni sera, ogni notte penso al mio futuro, a ciò che mi succederà, e più ci penso e più ho paura. Mi chiedo se potrò rivedere ancora la mia famiglia. La cosa triste è che non posso mandare lettere perché spesso i soldati addetti vengono uccisi lungo la via e le lettere vanno perse. Per fortuna abbiamo un ufficiale della stessa nostra età che ci capisce e ci consola. Questa sera prima di addormentarci è passato e ci ha augurato la buonanotte, come un padre fa con i suoi figli.

Giulia

Caro diario, oggi sono arrivato come recluta al campo degli alpini ed è stata una cosa davvero emozionante, ma allo stesso tempo ero molto impaurito. Vedevo tutti quei ragazzi giovani che stavano per partire per il fronte, tutti quegli ufficiali che preparavano le armi… Che scena tremenda! Poi è arrivato un ufficiale che ci guardava con un occhio attento e sembrava pensieroso. In questo momento sto pensando alla mia famiglia… mi manca tantissimo… Adesso vorrei solo tornare a casa e passare tutto il tempo con loro e non vedere tutti questi ragazzi che partono per la guerra, armi di qua e armi di là… Adesso vado, devo andare a vestirmi. Alla prossima volta, se ci sarà.

Aurora Biancuzzo

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Classe II B

La logica della guerra

La logica della guerra è: difendersi, attaccare, ritirarsi, annientare, uccidere,...: la logica. È la guerra a creare l’esigenza dell’intruppamento: forze amiche o prigionieri, traditori o forze ausiliarie, non conta. Strane solidarietà o abissali divisioni fra gli uomini sono i frutti eterni di ogni logica di lotta.

Osservate il volto di un soldato che imbraccia il fucile: non può essere sereno e disteso. Devono essere volti duri, determinati, impassibili. Devono assuefarsi lentamente a saper guardare con distacco il volto della morte. L’ostentazione delle armi diventa un rito. È simbolo di forza. Strano mondo quello in cui il livello di potenza delle nazioni si misura col numero dei cannoni.

Ora è un mondo in cui gli ordigni di morte diventano sempre più precisi e micidiali. Solo una mentalità ottusa e guerrafondaia può bearsi di simili parate, di questi «spettacoli» della moderna tecnologia militare.

«Ogni uomo è mio fratello» … Con una canna spianata, pronta a vomitar fuoco, è difficile che questo pensiero ti passi per la testa. Bisogna invece stare all’erta, e osservare scrupolosamente, colpire...

Bisogna distruggere. Se non gli uomini, almeno le cose. Bisogna impedire al nemico di riprendere la vita, di condurre un’esistenza tranquilla. C’è qualcosa di terribilmente sadico in tutto questo.

I bambini di un tempo sentivano narrare di cavalieri alati che galoppavano nel cielo. Ora i cavalli celesti sono mostri d’acciaio, seminatori ambulanti di panico e di morte. Una società capace di creare questi ordigni, inevitabilmente si avvia verso il tramonto, verso l’autodistruzione.

Poi … la guerra chimica. Bisogna stanare il nemico, farlo uscire dai rifugi, impedirne in ogni modo l’azione. Ne restano immagini di una desolazione estrema, di una tristezza senza fondo.

Missili, carri armati, mitragliatrici, bombardieri,... una somma di arnesi bellici che segna profondamente la vita dell’uomo. Il pianto del ferito, l’impotenza del paralizzato sono i primi atti di un dramma che rimarrà incancellabile, per sempre.

Terra, sangue, sudore formano l’impasto della morte. Solo una mente ottenebrata dal male e accecata dalla crudeltà può non inorridirne.

Il clima di guerra sconvolge l’intera famiglia. Quale speranza può albergare nel cuore di un bimbo che cresce nel mondo dove regna la morte?

C’è un interrogativo insistente che arrovella e ferisce ogni uomo, per poco cosciente e responsabile che sia: perché l’innocente deve soffrire? perché l’innocente deve morire?

Perché tanti caduti sui campi di battaglia? O nelle loro tranquille dimore quotidiane? Perché tanti cristi di questo mondo devono subire le pene dell’inferno? Come può giungere l’uomo a creare delle situazioni di inferno su questa terra?

Quelli del morto in battaglia sono occhi di paura, di terrore. Occhi che implorano un senso, una giustificazione. Perché l’ingiustizia? Quando spunterà l’alba di un giorno in cui regni la pace?

Non è possibile cantare e gioire quando gli occhi non possono fissare altro che la nuda terra, quasi presentimento della morte cruda ed imminente. Anche le mani sono più libere. Impotenti, rimane loro solamente la possibilità di significare un’implorazione disperata verso il cielo.

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Folle inermi e istupidite vagolano alla ricerca di pane, di riparo, di tranquillità, di giustizia, di pace. Come si può rimanere insensibili, come ci si può assuefare di fronte a queste immagini di solitudine, di angoscia tremenda?

Guerra significa dover sempre scappare, cercare disperatamente un angolo di terra dove il pericolo sia meno incombente, dove maggiori siano i margini di sopravvivenza. La tragedia del dolore non risparmia nessuno, diviene collettiva.

Alcuni non hanno cuore per amare, non hanno orecchi per sentire l’urlo straziante dei sofferenti. Ad altri non restano più gli occhi per vedere.

Ad altri ancora non rimangono che stampelle per camminare. Grucce che diventeranno compagne inseparabili dell’esistenza. Vite segnate per sempre dai giorni dell’odio e della crudeltà senza limiti.

Quando verranno i giorni della pace? Istinti di affetto si mescolano misteriosamente alle atrocità della guerra. Anche in mezzo ai cannoni sembra sopravvivere un’esigenza di serenità e la voglia di riabbracciare l’innocenza perduta.

Un piccolo zaino racchiude tutte le contraddizioni in cui si agitano gli uomini di questo mondo quando lottano tra loro. Un desiderio irrefrenabile di vita riaffiora dal peso delle fatiche quotidiane. La speranza non è forse l’ultima a morire? Davvero l’uomo è fatto per soffrire e far soffrire?

Peace song A volte non posso fare a meno di piangere, gente quando sento che giovani, donne e bambini stanno morendo per la violenza che li ha scelti. Dobbiamo smetterla, gente. È ora di smetterla, mio Dio. Sì, sorelle e fratellini, mi sentite? Dobbiamo smetterla di ammazzarci l’un l’altro. A volte non posso far a meno di pensare quando bevo comodamente seduto mentre le potenze del mondo stanno lottando che i bambini della terra stanno morendo… A volte non posso fare ameno di domandarmi cosa sta succedendo nel mondo mentre il potere dei rossi è sopito e il potere dei gialli sta crescendo. Dobbiamo smetterla, gente. È ora di smetterla, Dio mio. Sì, sorelle e fratelli, mi sentite? è proprio ora di smetterla per sempre. Sì, sorelle e fratelli, mi sentite?

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