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Fondato il 15 dicembre 1969 Nuova serie - Anno XLIV N. 22 - 2 luglio 2020 Settimanale PAG. 7 Le rivendicazioni del PMLI sulla sanità Queste rivendicazioni compaiono, dalla 197 alla 217, nel Nuovo Programma d’Azione approvato dal Comitato centrale del Partito il 17 febbraio 2001 GLI “STATI GENERALI” SCHIERATI CON LE IMPRESE CAPITALISTICHE Collaborare col governo Conte vuol dire aiutare il regime capitalista neofascista a uscire dalla crisi sacrificando gli interessi delle masse lavoratrici e popolari La Confindustria vuole di più ANTICAPITALISTI, UNIAMOCI CONTRO IL CAPITALISMO E IL SUO GOVERNO, PER IL SOCIALISMO E IL POTERE POLITICO DEL PROLETARIATO NONOSTANTE LA SUDDITANZA DI CGIL, CISL E UIL VERSO IL GOVERNO Scioperi e proteste in tutta Italia LA LOTTA DI CLASSE NON SI FERMA AFFINCHÉ UNA VOLTA PER TUTTE VENGA TOLTA DALLE MANI DI FONTANA E GALLERA CHE HANNO GESTITO IN MODO CRIMINALE L’EMERGENZA CORONAVIRUS “SALVIAMO LA LOMBARDIA”: COMMISSARIARE LA SANITÀ LOMBARDA I marxisti-leninisti della Cellula “Mao” di Milano in piazza con la bandiera e il cartello Caporalato tra Calabria e Basilicata 60 ARRESTI, 14 AZIENDE SEQUESTRATE PER ASSOCIAZIONE PER DELINQUERE 200 braccianti, trattati come scimmie, costretti a lavorare nei campi in turni di lavoro massacranti Dal corrispondente della provincia di Reggio Calabria e della Calabria A Borgo Mezzanone (Foggia) BRACCIANTE SENEGALESE MORTO CARBONIZZATO IN UNA BARACCA Mohamed Bel Ali è la quarta vittima dei roghi nel ghetto pugliese nell’ultimo anno e mezzo IL GOVERNATORE EMILIANO INCAPACE DI DARE UN’ABITAZIONE AI NUOVI SCHIAVI DEL CAPITALISMO LO CERTIFICA L’ATS 5.500 ultrasettantenni morti per covid nelle province di Milano e di Lodi, il 46% nelle residenze per anziani A Milano IMBRATTATO DI ROSSO IL MONUMENTO DI MONTANELLI, RAZZISTA E STUPRATORE L’8 Marzo dello scorso anno aveva subito lo stesso trattamento da parte di Non Una di Meno L’ASSOCIAZIONE SENTINELLI CHIEDE L’ABBATTIMENTO DEL MONUMENTO PER APPAGARE GLI APPETITI ESPANSIONISTICI DELL’IMPERIALISMO ITALIANO 80 anni fa la guerra fascista di Mussolini mandò al macello i giovani italiani e distrusse l’Italia Perché non ci siano più guerre imperialiste e fascismo ci vuole il socialismo e il potere politico del proletariato PAG. 3 PAG. 5 PAG. 2 PAG. 3 PAG. 6 PAG. 10 PAG. 8 PAG. 10

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Fondato il 15 dicembre 1969 Nuova serie - Anno XLIV N. 22 - 2 luglio 2020Settimanale

PAG. 7

Le rivendicazioni del PMLI sulla sanità

Queste rivendicazioni compaiono, dalla 197 alla 217, nel Nuovo Programma d’Azione approvato dal Comitato centrale del Partito il 17 febbraio 2001

Gli “StAti GenerAli” SchierAti con le imPreSe cAPitAliStiche

collaborare col governo conte vuol dire aiutare il regime capitalista neofascista a uscire dalla crisi sacrificando

gli interessi delle masse lavoratrici e popolariLa Confindustria vuole di più

ANtiCAPitAlisti, uNiAmoCi CoNtro il CAPitAlismo e il suo goverNo, Per il soCiAlismo e il Potere PolitiCo del ProletAriAto

nonoStAnte lA SudditAnzA di cGil, ciSl e uil verSo il Governo

Scioperi e proteste in tutta italia

lA lottA di ClAsse NoN si fermA

Affinché unA voltA Per tutte venGA toltA dAlle mAni di fontAnA e GAllerA che hAnno GeStito in modo criminAle l’emerGenzA coronAviruS

“SAlviAmo lA lombArdiA”: commiSSAriAre

lA SAnità lombArdA i marxisti-leninisti della Cellula “mao” di milano in

piazza con la bandiera e il cartello

caporalato tra calabria e basilicata

60 ArreSti, 14 Aziende

SequeStrAte Per ASSociAzione

Per delinquere200 braccianti, trattati come scimmie,

costretti a lavorare nei campi in turni di lavoro massacranti

Dal corrispondente della provincia di Reggio Calabria e della Calabria

A borgo mezzanone (foggia)

brAcciAnte SeneGAleSe morto cArbonizzAto in unA bArAccA

mohamed Bel Ali è la quarta vittima dei roghi nel ghetto pugliese nell’ultimo anno e mezzoil goverNAtore emiliANo iNCAPACe di dAre uN’ABitAzioNe Ai Nuovi

sChiAvi del CAPitAlismo

lo certificA l’AtS

5.500 ultrasettantenni morti per covid nelle province di milano e di lodi, il 46% nelle residenze per anziani

A milano

Imbrattato dI rosso Il monumento dI montanellI,

razzIsta e stupratorel’8 marzo dello scorso anno aveva subito lo stesso trattamento da parte di Non una di menol’AssoCiAzioNe seNtiNelli Chiede l’ABBAttimeNto del moNumeNto

Per APPAGAre Gli APPetiti eSPAnSioniStici dell’imPeriAliSmo itAliAno

80 anni fa la guerra fascista di mussolini mandò al macello i

giovani italiani e distrusse l’italiaPerché non ci siano più guerre imperialiste e fascismo ci vuole il

socialismo e il potere politico del proletariato

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2 il bolscevico / coronavirus N. 22 - 2 luglio 2020

Gli “Stati Generali” Schierati con le impreSe capitaliStiche

collaborare col governo conte vuol dire aiutare il regime capitalista neofascista a uscire dalla crisi sacrificando

gli interessi delle masse lavoratrici e popolariLa Confindustria vuole di più

AnticApitAlisti, uniAmoci contro il cApitAlismo e il suo governo, per il sociAlismo e il potere politico del proletAriAto

Dei nove giorni degli “Stati generali” che Conte ha convo-cato a Villa Pamphili i più impor-tanti sono stati senz’altro il se-condo, che ha visto l’incontro con le organizzazioni sindaca-li (Cgil, Cisl e Uil la mattina, le altre il pomeriggio, tra le quali anche Usb, Cobas, Unicobas, Cub), e il quarto, in cui si è svol-to l’incontro con Confindustria e le altre organizzazioni imprendi-toriali dell’industria, dei trasporti e delle costruzioni. Sicuramente sono stati i più significativi per capire da che parte si schiera il suo governo nel conflitto di clas-se tra gli interessi del proletaria-to e delle masse lavoratrici e popolari, da una parte, e quelli della borghesia e del padrona-to, dall’altra, che si è riacutizza-to durante la pandemia, al di là della retorica nazionalista che vuole “tutti gli italiani nella stes-sa barca”.

In questo conflitto Conte si colloca in apparenza in una po-sizione di intermediazione, e anzi con questi “Stati generali” ha voluto accreditarsi come un soggetto “super partes”, un “ga-rante” politico capace di conci-liare in un unico progetto rifor-mista nazionale le richieste e le pressioni più svariate pro-venienti delle “parti sociali”, in particolare dai sindacati e dal padronato. Ma in realtà la sua scelta di fondo è nettamente dalla parte delle imprese, e il suo dialogo coi sindacati è fun-zionale solo al tentativo di co-optarli in un “patto sociale” per salvare il sistema capitalista ita-liano dalla bancarotta. Lo si è capito già dal discorso introdut-tivo all’incontro con i sindaca-ti nella giornata del 15 giugno, in cui ha presentato le linee di fondo del “Piano di rilancio” ab-bozzato dal governo, che dopo gli “Stati generali” dovrà esse-re messo a punto per fare da base, a settembre, al proget-to più ristretto da presentare

in sede europea per avere ac-cesso ai miliardi del “Recovery fund”.

l’incontro di conte con le organizzazioni

sindacaliAlle organizzazioni sindacali

Conte ha offerto il salario mini-mo, la detassazione dei rinno-vi contrattuali, un “documento unico di regolarità contributiva su appalti e subappalti” (a com-pensazione, si presume, della revisione o abolizione del codi-ce degli appalti), un non meglio precisato “contrasto al capora-lato e al lavoro nero”, l’incenti-vazione del welfare contrattuale e la “promozione della contrat-tazione di secondo livello”. È palese, nel complesso di que-ste proposte, l’adozione della linea confindustriale che pun-ta a spostare il peso della con-trattazione dal livello nazionale a quello aziendale e individuale, al fine di abolire prima o poi del tutto i contratti collettivi, nonché la linea dello sblocco e della de-regolamentazione delle “grandi opere” divoratrici di risorse e di ambiente.

Sul piano normativo il pre-mier offre la “rimodulazione dell’orario di lavoro”, anche in funzione di un aumento del te-lelavoro da casa, o “smart wor-king”, che non ha nulla a che vedere con la riduzione dell’o-rario di lavoro a parità di sala-rio, tema riproposto con forza anche dalla pandemia, ma anzi prefigura nuove forme di sfrut-tamento ed alienazione del la-voro. Si parla poi di inserimen-to lavorativo dei giovani, ma promettendo solo di eliminare “le fattispecie più precarie” dei contratti. Si parla infine di “in-centivare la partecipazione e la co-gestione dei lavoratori in azienda”, che mira scoperta-

mente a guadagnare la collabo-razione dei vertici sindacali con governo e padronato con la pro-spettiva di una loro cooptazione nei Consigli di amministrazione delle imprese sul modello tede-sco.

Come hanno risposto i ver-tici dei principali sindacati alle offerte di Conte? Anna Maria Furlan e Carmelo Barbagallo in maniera quasi entusiastica, evocando entrambi la necessi-tà di una sorta di nuovo “patto sociale” sul modello della “con-certazione” pattuita col governo Ciampi nel 1993. In particolare la segretaria della Cisl ha pro-posto “un’alleanza, un patto for-te tra il governo, le istituzioni, le parti sociali, per individuare 4 o 5 obiettivi prioritari su cui con-centrarsi”. Il segretario Uil ha parlato di “ridisegnare il Pae-se con un Patto che coinvolga tutti”. Landini è stato un po’ più prudente, proponendo di proce-dere per singoli capitoli per arri-vare, dove possibile, a dei “pro-tocolli d’intesa”.

Per il segretario della Cgil il modello è quello del “protocol-lo sulla sicurezza nei posti di la-voro” stipulato con governo e padronato nel pieno della pan-demia. Ma in sostanza anche lui, pur proponendo un model-lo che “mette al centro la perso-na, il lavoro con i diritti, la giusti-zia sociale, un modello fondato sul rispetto dell’ambiente e sulla salute e la sicurezza delle per-sone”, non ha escluso in linea di principio l’approccio propo-sto da Conte: “Questo vogliamo fare e su questa base – ha ri-badito in proposito - il governo deve sapere che avrà noi al suo fianco se segue queste strade: se dovesse ascoltare altre sire-ne avremo altri atteggiamenti”.

la “democrazia negoziale” del falco

BonomiAncor prima dell’incontro

del 17 giugno a Villa Pamphili, Carlo Bonomi ha alzato il tiro su Conte con una serie di di-chiarazioni per sottolineare l’in-consistenza del suo “Piano di rilancio” e notificargli le richie-ste degli industriali, riassun-te in un volume col titolo “Italia 2030”: “Mi aspettavo dal gover-no un piano ben dettagliato con un calendario e obiettivi specifi-ci. Questo piano non l’ho visto e sarei curioso di leggerlo”, ha ironizzato il presidente di Con-findustria in un’intervista al quo-tidiano francese “Les Echos”, bacchettando la linea del gover-no che “sta scegliendo di favori-re l’assistenza invece di liberare l’energia del settore privato”. E in un’altra dichiarazione ha ag-giunto che “se prendiamo alcu-ni esempi come Alitalia ed Ilva vediamo i danni che ha prodotto la presenza dello Stato nelle im-prese”: questo tanto per sgom-brare subito dal tavolo qualsiasi ipotesi di ritorno ad una pre-senza dello Stato nelle imprese private, o peggio ancora di na-zionalizzazioni di imprese in dif-ficoltà.

Richiedete

Le richieste vanno indirizzate a: [email protected] - via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze

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Roma, 13 giugno 2020. Una veduta della manifestazione contro gli “stati generali” promossi dal governo Con-te. In primo piano la partecipazione del PMLI. Con la bandiera del Partito, Lorenzo Iengo (foto Il Bolscevico)

Bonomi ha anticipato alla stampa anche le linee guida dell’agenda confindustriale, a cominciare dal concetto cen-trale di “democrazia negozia-le”, intesa come “una grande al-leanza pubblico-privato su cui il decisore politico non ha de-lega insindacabile per manda-to elettorale, ma con cui esso dialoga incessantemente at-traverso le rappresentanze del mondo dell’impresa, del lavoro, delle professioni, del terzo set-tore, della ricerca e della cultu-ra”. Una concezione di stampo neocorporativo che presuppone appunto un nuovo “patto socia-le” tra imprese, governo e sin-dacati. Non a caso al libro della Confindustria hanno collabora-to economisti e intellettuali della “sinistra” liberale come Marcello Messori (dalemiano d’origine e vicino alla Cgil) e Giuliano Ama-to. In particolare la “democrazia negoziale” è ripresa da un sag-gio dell’economista Carlo Trigi-lia, ex ministro per la Coesione territoriale nel governo Letta.

Bonomi pretende, conte lo rassicuraOltre a presentare il suo mo-

dello di negoziazione, nell’in-contro della quarta giornata, il falco confindustriale ha alza-to ulteriormente la posta chie-dendo perentoriamente che il governo paghi immediatamen-te i 50 miliardi di debiti arretrati con le aziende private e restitu-isca anche i 3,4 miliardi di acci-se sull’energia ancora trattenu-te dallo Stato. Ha chiesto anche un ulteriore taglio - e stavolta strutturale - delle tasse alle im-prese; ma soprattutto ha mes-so sul tavolo quelle che gli in-dustriali considerano le loro tre priorità irrinunciabili: l’aumento della produttività, con il corol-lario della revisione della con-trattazione privilegiando quella aziendale, attraverso un “per-corso dal basso tra imprese e sindacati, una visione condi-visa del nuovo lavoro e i diritti alla formazione permanente e del welfare aziendale”; la “mi-

surazione di qualità ed efficacia della spesa pubblica”, che sot-tintende evidentemente un suo robusto taglio; e la riduzione del debito pubblico, con un “ragio-nevole percorso di abbattimen-to del debito” di durata decen-nale da concordare con la Ue: il che presuppone nuove politiche di lacrime e sangue per i lavora-tori e le masse popolari.

La durezza di toni di Bonomi risponde ad esigenze tattiche, per alzare il prezzo delle richie-ste al governo, non per farlo ca-dere; ben sapendo che al mo-mento non ci sono alternative a Conte, soprattutto ora che c’è in ballo la trattativa con l’Euro-pa per i miliardi del “Recovery fund”, del Mes e del Sure, a cui il padronato tiene moltissimo, e che il premier la sta conducen-do in prima persona. Mentre un governo di “centro-destra” a guida Salvini sarebbe automati-camente tagliato fuori dalla par-tita, anche solo per sua stessa scelta.

Nel suo discorso introduttivo Conte si era comunque genu-flesso anticipatamente al falco confindustriale, dedicando tutta l’ultima parte del suo intervento a rassicurarlo che le misure del governo “per buona parte an-che consistente sono dedicate al sostegno delle imprese”, in particolare a favorire la loro ri-capitalizzazione; che verso le imprese il suo governo non ha “nessun pregiudizio ideologico”, anzi condivide la filosofia di Mil-ton Friedman secondo cui “l’o-biettivo di un’impresa è produr-re guadagno”; e che comunque non solo non ha “una concezio-ne collettivista della produzione o statalista dell’economia”, ma è disposto anche a “intervenire in punta di piedi quando c’è da offrire un sostegno diretto alle aziende”.

contro il “patto sociale” rilanciare la

lotta di classe Da quanto detto risulta per-

ciò evidente che gli “Stati ge-nerali” di Conte si schierano

nettamente con le imprese capitalistiche, e il disegno che da essi va prendendo corpo è quello confindustriale della “democrazia negoziale”, che altro non è che un nuovo “pat-to sociale” collaborazionista e neocorporativo tra imprese e governo da una parte e vertici sindacali dall’altra, che mira a far uscire il regime capitalista neofascista dalla crisi sacrifi-cando gli interessi, i diritti e le conquiste delle masse lavora-trici e popolari. E restringendo ulteriormente il diritto di scio-pero e di manifestazione e la democrazia borghese, come si è cominciato a sperimenta-re durante questa pandemia.

Questo disegno si può combattere e sconfigge-re solo rilanciando la lotta di classe, nelle fabbriche e in tutti i luoghi di lavoro, nel-le piazze e in tutto il Paese, contro il capitalismo e il go-verno trasformista e libera-le del dittatore Conte che ne rappresenta e difende gli in-teressi di fondo, e per costru-ire dal basso un Grande Sin-dacato delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati per difendere e portare avanti gli interessi e gli obiettivi esclusivi del pro-letariato e di tutte le masse lavoratrici e popolari.

Gli anticapitalisti hanno il dovere di unirsi in questa lot-ta, al di là delle diverse po-sizioni politiche e partitiche, prendendo coscienza che af-finché essa possa portare a conquiste avanzate e duratu-re occorre inquadrarla nella lotta più generale e di respiro strategico per l’abbattimento del capitalismo e la conquista del socialismo. Solo il socia-lismo e il potere politico del proletariato potranno far usci-re veramente e in maniera definitiva l’Italia dallo sfrutta-mento, dalla disoccupazione, dalla miseria, dalle disugua-glianze sociali e territoria-li, dalle emergenze sanitarie, dalle avventure militari impe-rialiste e dal fascismo del XXI secolo.

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N. 22 - 2 luglio 2020 coronavirus / il bolscevico 3Nonostante la sudditanza di Cgil, Cisl e Uil verso il governo

SCioperi e proteSte iN tUtta italiaLa Lotta di cLasse non si ferma

Anche se ci sono state le la-mentele di Confindustria (che vorrebbe ancora di più), gli “Sta-ti generali dell’economia” voluti dal governo Conte si stanno di-mostrando, com’era prevedibile, uno strumento atto a favorire le imprese capitalistiche in questo momento di crisi generalizzata. Gli incontri di Villa Pamphili han-no altresì messo in luce come i sindacati confederali anziché portare avanti le istanze dei lavo-ratori sono totalmente schierati con l’esecutivo.

Nonostante questa premessa la lotta di classe non si ferma e si susseguono manifestazioni e proteste organizzate da “sinda-cati di base”, da alcune categorie della stessa Cgil, da lavoratori e movimenti in tutta Italia. Giovedì 18 giugno c’è stato lo sciopero nazionale degli addetti al Tra-sporto Pubblico Locale (TPL) di 4 ore indetto da USB per protesta-re contro “la mancata tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, la completa assenza di misure a sostegno dei lavoratori del settore da parte del governo, e in difesa della natura pubblica dei servizi pubblici essenziali”.

Nonostante molti lavoratori debbano fare i conti con i pesanti tagli ai salari per il ricorso agli am-mortizzatori sociali ci sono state adesioni tra il 30 e il 40% in Friu-

li-Venezia Giulia e in Trentino. Fermi più del 50% dei mezzi nelle città dell’Emilia-Romagna, così come in Umbria e nelle Marche. Alte adesioni a Milano, Torino e in Toscana: a Livorno l’80% dei mezzi è rimasto nelle rimesse. A Roma circa la metà del TPL ha dovuto annullare le corse mentre a Napoli, in Puglia, in Calabria e Sicilia si è fermato il 20%.

Sempre il 18 giugno il sindaca-to SI Cobas ha proclamato lo sta-to di agitazione di tutti i lavoratori del porto di Napoli. Le proteste sono partite dalle condizioni di lavoro insostenibili in alcune dit-te di logistica e sono poi sfociate nella denuncia del marcio siste-ma e del pesante stato di illega-lità e di sfruttamento all’interno dei terminal Conateco e Soteco. Il sindacato accusa anche l’Auto-rità Portuale partenopea che si è dimostrata molto tollerante verso quelle ditte che costringono i la-voratori a svolgere prestazioni di lavoro a cottimo e in regime di flessibilità estrema sia riguardo al monte ore lavorate, sia riguardo ai turni di lavoro grazie all’appli-cazione di un Contratto collettivo aziendale “pirata”.

Sabato 20 giugno Milano è stata teatro di due manifestazio-ni che denunciavano la gestione della pandemia da parte delle Regione e chiedevano le dimis-

sioni della giunta Fontana. In Piazza Duomo si sono ritrovati in tanti, partiti (tra cui il PMLI, vede-re il servizio a parte), organizza-zioni e sindacati come Arci, Acli e Fiom-Cgil. Dal palco si sono avvicendate testimonianze e de-nunce da parte di medici, infer-mieri, parenti di anziani che sono morti nelle residenze lombarde. Tante le denunce e una rivendi-cazione immediata: il blocco del-la legge Regionale 23 del 2015, detta anche “riforma” Maroni che ha privatizzato la sanità, accen-trato tutto sugli ospedali e ab-bandonato i territori.

L’altra manifestazione si è svolta nei pressi del palazzo del-la Regione, assediato al grido di “assassini, assassini” da centi-naia di manifestanti che hanno scritto a caratteri cubitali davanti al Pirellone “cacciamoli”. L’inizia-tiva, promossa dai Centri Sociali e da alcuni sindacati non confe-derali, oltre a lanciare le accuse contro Formigoni e il leghista Fontana, non ha risparmiato le precedenti amministrazioni a guida PD. Dal megafono la sin-dacalista bergamasca della Cgil Eliana Como ha denunciato con forza le responsabilità della Re-gione per la strage avvenuta nel-la sua città e in Lombardia.

Sempre a Milano, domenica 21 giugno si è svolto un flash

mob dove erano presenti molti artisti della musica italiana. Lo scopo dell’iniziativa era quello di sensibilizzare e sostenere i lavo-ratori dello spettacolo, in parti-colare quelli che stanno dietro le quinte, colpiti duramente dall’e-mergenza coronavirus. A Roma invece, giovedì 18 sono scesi in piazza i lavoratori dello sport per chiedere immediati provve-dimenti che diano risposte con-crete in termini di reddito, diritti sul lavoro e contratto. Da marzo le palestre e gli impianti sportivi

hanno chiuso e i lavoratori non hanno avuto risposte concrete se non qualche briciola che rasenta la carità.

Il 30 giugno hanno manife-stato a Bari i lavoratori delle co-operative sociali, che lavorano in appalto, spesso in maniera discontinua. Pur avendo un’alta formazione professionale e un lavoro particolarmente delicato, percepiscono paghe da fame e nonostante abbiano un contratto subordinato, il servizio per cui la-vorano assume le sembianze di

lavoro a cottimo. Chiedono che il loro servizio venga internalizzato, per dare dignità ai lavoratori fa-cendo oltretutto risparmiare de-naro pubblico.

Non sono mancate le batta-glie dei lavoratori per la salva-guardia dei loro diritti nelle sin-gole aziende. Questa settimana per rappresentarle tutte citiamo quella dei dipendenti della Tin-toria Fada di Prato, in Toscana. L’azienda non ha pagato gli sti-pendi degli operai nonostante abbia ripreso a pieno ritmo le attività, tanto da fare nuove as-sunzioni di personale, oltretutto senza rispettare gli accordi sul diritto di precedenza degli sta-gionali. Dopo la mobilitazione degli operai i padroni hanno tira-to su una “gabbia” per transen-nare tutto lo spazio davanti alla fabbrica e hanno chiamato ben cinque guardie private (alcune armate) per intimidire e impedire le proteste dei lavoratori.

Questi sono solo alcuni esem-pi delle lotte e delle proteste nel nostro Paese che dimostrano quanto siano falsi e demagogici gli appelli alla collaborazione di classe e all’unità nazionale da parte del governo a cui si sono accodati Cgil, Cisl e Uil. Non siamo tutti sulla stessa barca, la lotta di classe deve andare avanti più forte e potente di prima.

affiNChé UNa volta per tUtte veNga tolta dalle maNi di foNtaNa e gallera Che haNNo geStito iN modo CrimiNale l’emergeNza CoroNavirUS

“Salviamo la lombardia”: commissariare la sanità lombarda

voleva salire sul tram con la bici

rider arreStato e piCChiato dalla poliziaPersonale della Polizia di

Stato si è reso responsabile, nella notte tra sabato 13 e do-menica 14 giugno, di un vio-lento pestaggio ai danni di un lavoratore immigrato a Milano.

La vicenda è stata denuncia-ta su Facebook da Deliverance Milano, un collettivo politico di precari e fattorini, dove è stato narrato l’accaduto ed è stato al-tresì pubblicato un video in cui si vede Emmanuel soprannomi-nato “Emma”, un rider pendola-re nigeriano di 28 anni che lavo-ra per l’azienda Just Eat - con permesso di soggiorno valido e con regolare abbonamento ferroviario - che alla stazione milanese di Greco Pirelli veniva arrestato, nella tarda serata del 13 giugno, da un gruppo di set-te agenti della Polizia di Stato e portato alla Questura di Milano.

Il giovane aveva appena finito di protestare, insieme ad altri rider, con il personale di Trenord, perché, dopo una giornata di lavoro, voleva salire sull’ultimo treno con la biciclet-ta per tornare a casa invece di essere costretto ad abbando-narla in stazione rischiando il suo furto o a dormire su una panchina per non abbandonar-la. Bisogna infatti ricordare che una disposizione di Trenord dei

primi giorni di giugno proibisce ai passeggeri di salire sui treni con la bicicletta.

La denuncia di Deliverance Milano prosegue poi con la rico-struzione di ciò che hanno com-piuto gli agenti al giovane nige-riano dal momento dell’arresto fino alla permanenza in Questu-ra: “per sedare la discussione che si faceva animata e spa-ventare gli altri (che avrebbero dormito in strada) - si legge su Facebook - ha deciso di portare via Emma in Questura, dove è stato trattenuto per più di 6 ore, interrogato, intimidito e picchia-to con calci e pugni lungo tutto il corpo. Calci nelle parti intime, botte sulla schiena, sulle gambe (un rider ci lavora con le gam-be), sulle braccia”.

È un dato di fatto che gli agenti della Polizia di Stato han-no rotto lo schermo del telefono di Emmanuel durante le fasi più accese della discussione, e tale circostanza è ben visibile an-che nel filmato dell’arresto, così come è provato che l’ospedale di Vimercate, al quale il giovane ha dovuto rivolgersi dopo il pe-staggio all’alba del 15 giugno, ha riscontrato nel referto medi-co traumi, contusioni e lesioni a gambe, braccia e addome oltre a un forte stato di shock.

La rappresaglia poliziesca della Questura contro il gio-vane non si è fatta attendere, anche perché occorreva giu-stificare l’arbitraria privazio-ne della libertà di Emmanuel: sostenendo, a loro dire, che il lavoratore nigeriano avrebbe istigato alla stazione di Greco Pirelli altri lavoratori a violare le leggi e avrebbe oltraggiato la polizia opponendo contro di essa resistenza (fatti di cui nel filmato pubblicato su Facebook da Deliverance Milano, peral-tro, non c’è traccia e che, anzi, sono categoricamente esclusi da esso) gli zelanti pubblici uffi-ciali hanno proditoriamente de-nunciato il giovane per istiga-zione a delinquere, resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale e oltraggio a corpo politico, ol-tre a segnalarlo alla Prefettura di Milano come assuntore di sostanze stupefacenti in quan-to, a loro dire, gli sarebbe stata trovata addosso una dose di 0,43 grammi di hashish. Infi-ne, smentendo stavolta il chia-ro referto del pronto soccorso dell’ospedale di Vimercate, la stessa Questura di Milano ha smentito ogni ipotesi di vio-lenza fisica sul lavoratore nige-riano e di danneggiamento del suo telefonino.

i marxisti-leninisti della cellula “mao” di milano in piazza con la bandiera e il cartello

�Redazione di MilanoIspirata dalla petizione on-line

pubblicata sul sito Change.org, denominata “Commissariare la sanità lombarda: va fatto ora!”, che ha raccolto finora più di 85mila firme, Milano 2030 - una rete di associazioni, partiti e mo-vimenti politici della sinistra mila-nese - ha indetto per il pomerig-gio di sabato 20 giugno in piazza Duomo una manifestazione dal titolo “Salviamo la Lombardia” per chiedere al governo di inter-venire, commissariando la sanità lombarda.

Presenti militanti e simpatiz-zanti della Cellula “Mao” di Mila-no del PMLI, sotto la rossa ban-diera del Partito e tenendo ben alto il cartello con il manifesto “Non siamo sulla stessa barca” riportante le rivendicazioni del Partito inerenti all’attuale situa-zione determinata dalla pande-mia. C’erano poi comitati di la-voratori della sanità e di familiari delle vittime delle RSA, tra questi significativa la partecipazione del Comitato famigliari vittime Don Gnocchi. Tra le bandiere rosse, oltre a quella del PMLI, c’era-no quelle del PRC e di Sinistra Italiana, oltre a quelle di CGIL e FIOM. Tra le associazioni presen-ti: ARCI, ACLI e Sentinelli.

La piazza, occupata da cir-ca tremila manifestanti, ordina-tamente posizionati al fine di mantenere il distanziamento, e muniti di mascherine, molte li-state a lutto come chiesto dagli organizzatori in ricordo degli oltre 16mila morti, vittime innocenti delle scelte scellerate della giunta lombarda guidata dal duo crimi-nale Fontana-Gallera. In prima fila davanti al palco la scritta “Com-missariamento” formata con car-telli composti da lettere. Tanti gli slogan riportati sui cartelli, tra i più significativi “Rivogliamo la sanità pubblica in Lombardia”,

“Basta a una sanità che privilegia gli interessi privati!”, “Non dimen-tichiamo chi ci ha lasciato non dimentichiamo le responsabilità”, “Contro la gestione scellerata della sanità lombarda Fontana di-mettiti!”, “Prima le persone e poi il denaro, più sanità territoriale, dimissioni ora!”, “RSA avete fatto una strage dimettetevi!”.

Diversi gli interventi; tra i più rilevanti la testimonianza di un padre di famiglia contagiato dal coronavirus e che nonostante le gravi condizioni di salute è sta-to lasciato senza cure, solo con l’obbligo di quarantena al proprio domicilio e ha dovuto insistere per essere ricoverato, mentre il resto della famiglia è rimasto a

casa in autoisolamento, senza alcuna assistenza sanitaria. Poi è stata la volta di Daniela Caso medico di famiglia che ha denun-ciato la solitudine in cui sono stati lasciati durante l’emergenza Co-ronavirus, che si sono autogestiti in chat per avere uno scambio di informazioni con i colleghi medici ospedalieri per colmare la totale disinformazione da parte delle istituzioni e poter curare i loro pa-zienti.

Incisivo l’intervento di Vittorio Agnoletto che ha posto l’accen-to sulle responsabilità di Fontana e Gallera che hanno fatto degli errori clamorosi e che hanno cer-cato di trasformare in oggetto di profitto una immane tragedia col-

lettiva per la cui gravità devono solo dimettersi o essere rimossi, e ha chiesto al governo di avere il coraggio di commissariare la sanità lombarda. Toccante l’e-sposizione della rappresentante del Comitato famigliari vittime Don Gnocchi, che ha denunciato le scelte scellerate e criminali sia della Direzione della casa di ripo-so che della giunta Fontana, che

hanno portato al contagio e alla morte di numerosi anziani ricove-rati nell’omonima casa di riposo.

I marxisti-leninisti della Cellu-la “Mao” di Milano chiedono con forza il commissariamento della sanità lombarda affinché, una volta per tutte, venga tolta dalle mani di Fontana e Gallera che hanno gestito in modo criminale l’emergenza.

Giugno 2020. Sciopero di protesta delle lavoratrici e dei lavoratori della Comer Industries di Cavriago (Reggio Emilia) contro lo spostamento della fabbrica e in difesa delle condizioni di vita e di lavoro

Milano, 20 giugno 2020, piazza Duomo. Grande manifestazione per la sa-nità pubblica in Lombardia. In evidenza il cartello del PMLI “Non siamo sulla stessa barca” . Con la bandiera Cristina Premoli (foto Il Bolscevico)

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4 il bolscevico / coronavirus N. 22 - 2 luglio 2020

Lo certifica la Corte dei Conti

È stata distrutta la sanità pubblica

Che il sistema sanitario na-zionale italiano fosse stato ri-dotto a un inadeguato servi-zio è ormai da anni cosa nota, provata sulla propria pelle dal-le masse popolari che hanno dovuto stringere i denti per il suo progressivo peggiora-mento. Allo stesso modo si sono susseguiti negli ultimi decenni pomposi proclami da parte dei governi borghesi, di efficientamento di una sani-tà ormai regionalizzata e con-segnata nelle mani dei privati che abilmente e senza scrupo-li ne hanno estratti lauti profitti.

Allo stesso modo la com-mistione fra politica e malaffa-re in ambito socio-sanitario ha mostrato i propri interessi in-trecciati più volte e in tutti i suoi specifici settori, dai medicina-li agli ospedali, mettendo alla berlina quello che effettiva-mente è il prodotto capitalisti-co di un diritto ridotto a merce che si porta dietro un pesante e diffuso impatto sociale.

Oggi questa sistematicità è ben espressa dal “Rapporto sul coordinamento della finan-za pubblica 2020” della Corte dei Conti che nel suo capito-lo “La sanità e il nuovo patto della salute”, descrive un qua-dro arretrato, insufficiente, di-somogeneo territorialmente e dagli elevati costi per la popo-lazione.

Le linee guida del rapporto

Il rapporto introduce l’argo-mento sostenendo come l’e-mergenza coronavirus abbia messo alla luce “le debolezze che erano già di fronte a noi”, in un quadro fatto di “differen-ze inaccettabili nella qualità dei servizi offerti nelle diverse aree del Paese” a partire dal-le carenze di personale dovu-te ai vincoli delle fasi di risana-mento (nazionali ed europee), ai limiti nella programmazio-ne delle risorse professionali e a quella che è definita una “fuga progressiva dal sistema pubblico” che vedrebbe un costante “sacrificio” di investi-menti a fronte di incalzanti ne-cessità sanitarie correnti.

All’indice anche la scarsi-tà di offerta territoriale contro il crescente fenomeno delle non autosufficienze in partico-lare degli anziani e delle cro-nicità patologiche, che divie-ne gravissima in previsione dell’invecchiamento della po-polazione secondo cui tra soli 20 anni, vi sarà un pensionato ogni due persone in età lavo-ro e un conseguente aumento di bisogni di salute e assisten-za contro una diminuzione di risorse pubbliche a disposizio-ne.

“La mancanza di un effica-ce sistema di assistenza sul territorio ha lasciato la popo-lazione senza protezioni ade-guate – continua il rapporto – se fino ad ora tali carenze si erano scaricate non senza problemi sulle famiglie con-tando sulle risorse economi-che private… hanno finito per rappresentare una debolezza

anche dal punto di vista del-la difesa complessiva del si-stema quando si è presentata una sfida nuova e sconosciu-ta (coronavirus, ndr)... l’insuf-ficienza delle risorse destinate al territorio ha reso più tardivo e ha fatto trovare disarmato il primo fronte che doveva po-tersi opporre al dilagare del-la malattia e che si è ritrova-to esso stesso coinvolto nelle difficoltà della popolazione, pagando un prezzo in termini di vite molto alto”.

Sostanzialmente dunque, anche la Corte dei Conti am-mette che lo sfascio della Sa-nità pubblica e chi lo ha per-petrato, sono i responsabili diretti - fra l’altro - anche del-le tante morti attribuite al Co-vid-19.

Il tutto, in un quadro ge-nerale che la Corte delinea chiaramente, dicendo pro-prio che per la redazione del rapporto stesso ci si è atte-nuti all’esame di alcuni pun-ti principali, quali la graduale riduzione della spesa pubbli-ca per la sanità e il crescente ruolo di quella “a carico dei cit-tadini” (quindi di quella priva-ta e dell’aumento dei ticket), la contrazione del persona-le a tempo indeterminato e il crescente ricorso a contratti a termine o a consulenze, la riduzione delle strutture di ri-covero e di assistenza territo-riale e infine il rallentamento degli investimenti dello Stato, preoccupato soprattutto a fa-vorire lo switch alla privata.

Più spese sanitarie per la popolazione. Dipendenti nel Ssn precari e malpagati

Tra il 2009 e il 2018 la con-trazione di risorse destinate alla sanità pubblica nel nostro Paese è consistente: la spesa pro capite è passata da 1.893 a 1.746 euro quando, per fare due esempi, la spesa di Ger-mania e Francia è rispettiva-mente doppia e superiore del 60% di quella italiana.

È aumentata invece la spe-sa sanitaria delle famiglie ita-liane del 14,1% in soli 6 anni (nel 2018 essa era comples-sivamente di 154,8 miliardi), ripartiti in 115 mila di ticket e medicinali e i restanti 39,8 per servizi privati; va considerato anche che i costi di questi ul-timi e di altri apparecchi tera-peutici è globalmente pagato dalla popolazione per il 43% e dallo Stato per il 56,3.

Il documento evidenzia an-che come negli ultimi 10 anni il personale a tempo indeter-minato sia fortemente diminu-ito e solo in parte rimpiazzato da precari ad “alta flessibilità”, anche interinali, che ha por-tato tra il 2012 e il 2017 a un calo di circa 27 mila dipenden-ti (da 653 a 626 mila); sempre in questo periodo il persona-le medico si è ridotto di oltre 3.100 unità (-3%), mentre l’in-fermieristico di poco meno di 7.400 addetti (-2,7%).

Questo processo, negli

anni, condizionato anche dal-la disparità di risorse a dispo-sizione delle regioni stesse, ha causato una grossa caren-za quasi ovunque di medici specialisti in alcuni particola-ri ambiti che ha costretto tan-te persone - a partire dalle più povere – a ritardi nelle diagno-si e delle cure, fino all’asten-sione delle stesse a causa dell’impossibilità di viaggiare verso i territori che disponeva-

no di quel tipo di specialisti, e dei costi spesso eccessivi.

Nel 2018 infatti la mobili-tà passiva sanitaria extra re-gionale ha coinvolto oltre 500 mila ricoveri su un totale di 6 milioni, in prevalenza da sud al centro-nord.

Per quanto riguarda gli in-fermieri infine, la Corte dei Conti conferma quanto an-che noi avevamo affermato in un recente articolo pubblicato su Il Bolscevico, evidenzian-do come in Italia siano pochi e con grosse difficoltà di as-sunzione a causa dei vinco-li di bilancio posti, condizione che agevola la migrazione in cerca di lavoro, oltre natural-mente a rendere l’assistenza insufficiente e precaria nono-stante gli sforzi delle infermie-re e degli infermieri in servizio.

Nessun ruolo di settore è esente da questo processo, e infatti negli ultimi 8 anni – se-condo i dati OCSE – oltre 9 mila medici formatisi in Italia, sono andati a lavorare all’e-stero principalmente in Gran Bretagna, Germania, Svizze-ra e Francia.

Ospedali chiusi e territorialità al

lumicinoPur essendo un fenomeno

comune agli altri Paesi – che per inciso non praticano poli-tiche sanitarie sostanzialmen-te diverse da quella italiana – è indubbio che la flessione registrata a 3,2 posti letto ne-gli ospedali e strutture di as-sistenza e ricovero ogni mille abitanti (scesi dai 230.396 del 2012 ai 210.907 del 2018) sia

significativa e dimostri tutte le conseguenze dello smantel-lamento sistematico del SSN italiano.

La prima causa di questa riduzione viene indicata nella troppo rapida deospedalizza-zione ma è evidente che sia la seconda a spiegare realmen-te il fenomeno – e cioè la chiu-sura dei piccoli ospedali – che ha avuto effetti devastanti an-che per la capillarità del servi-

zio; è di tutta evidenza poi, vi-sti i dati, che alle chiusure non siano seguiti nemmeno gli ampliamenti dei presidi mag-giori a pareggio di servizio.

È così che interi territori sono stati abbandonati a loro stessi, senza servizi e con strutture di Pronto Soccorso lontane anche 100 chilometri dalle abitazioni.

Una rete monca dunque che il rapporto definisce “non accompagnata da una ade-guata offerta dell’assistenza territoriale rivolta alla parte più debole della popolazione, cioè anziani e disabili”. Una vergogna.

Intanto quasi in nessuna regione d’Italia si opera per un femore rotto entro due giorni dal ricovero, in pochissime l’a-rea degli screening oncologici risulta “accettabile”, e nel con-tempo si fanno più parti cesa-rei per limitare i rischi derivan-ti da una normale gravidanza nella consapevolezza di non essere sempre in grado di ri-solverli a dovere alle prime complicazioni.

I tagli alla spesa pubblica sanitaria hanno falcidiato an-che gli stessi ambulatori me-dici e i laboratori che sono diminuiti del 4,3% dal 2012, soprattutto nelle regioni del centro-nord.

Le bugie hanno le gambe corte, e ecco che alla doman-da di quanto il processo di ri-duzione dell’assistenza ospe-daliera si sia tradotto in un ampliamento di quella territo-riale – cavallo di Troia da sem-pre del federalismo sanitario - i fatti rispondono con questi dati: i medici di medicina ge-nerale sono passati da 45.437 a 43.731 (-3,8% a livello na-

zionale), riduzione ancor più accentuata nelle Regioni non sottoposte a un piano di rien-tro e nei territori più falcidiati dal virus come la Lombardia (-5,6%), -6,4% in Piemon-te, -5,3% in Veneto, -4,7% in Emilia Romagna, -6,5% nelle Marche, e -8,9% in Liguria.

Nello stesso periodo la scu-re si è abbattuta anche sulle guardie mediche che sono passate da 12.027 unità a

11.688 (-2,8%), e anche in questo caso la flessione mag-giore è stata registrata nelle Regioni più sane dal punto di vista economico e in alcune di quelle - non a caso - più col-pite dall’emergenza: -8,8% in Lombardia, -24,8% in Emilia, -16,2% nelle Marche.

Tagli sì, ma non per le consulenze

I tagli maggiori si sono re-gistrati nelle regioni sottopo-ste a un piano di rientro dei costi (Molise, Lazio e Cam-pania) “riduzioni tra il 9 e il 15%”, mentre tra le altre a ta-gliare di più sono state Ligu-ria (-5,4%), Piemonte, Emilia Romagna e Lombardia (tra -3,7 e -3,3%).

Ovunque però tutte le voci di bilancio per le spese sani-tarie sono in continuo ribasso, fatta eccezione per le consu-lenze sanitarie e sociosanita-rie da privati, per le spese di affitti passivi, per i canoni di le-asing e per il project financing il cui importo raddoppia.

Questo punto merita dav-vero una riflessione poiché, mentre scompaiono o si ridu-cono tante spese per il per-sonale, per le attrezzature e i dispositivi medici, per la manutenzione di esse e al-tre relative alla normale attivi-tà di cura e assistenza, ecco che la principale modalità at-traverso la quale si dirottano fondi pubblici a beneficio di privati in ogni settore come la voce di bilancio “consulenze”, aumenta. Non di rado infatti emergono processi nei qua-li questa voce nasconde tan-genti, mazzette, favori econo-

mici; una modalità che nella migliore delle ipotesi dimostra l’incapacità di un settore di essere autosufficiente, quan-do non puzza evidentemente di bruciato.

Il resto poi, project finan-cing, leasing ecc. sa fin troppo di finanza, e evidenzia quan-to la sanità pubblica italiana – o per meglio dire ciò che ne rimane – arranchi nella pro-grammazione, pensando più a percorrere a grandi falcate più o meno evidenti, la strada della privatizzazione e dell’im-provvisazione “d’impresa”.

Più costi e meno servizi. Lottiamo per la sanità pubblica, universale, senza

ticket e controllata dal popolo

Insomma, la popolazione – oltre alle tasse che finanziano già le spese mediche – hanno speso il 14% in più per la sa-nità, ma i tagli hanno falcidia-to 27 mila dipendenti medici e infermieristici di cura e di as-sistenza e 20 mila posti letto, riducendo la capillarità territo-riale dei presidi.

Anche la Corte dei Conti scrive nero su bianco che la sanità pubblica è stata distrut-ta e con lei la salute di milio-ni di persone che non posso-no accedervi sia per questioni territoriali, sia per i costi che anche essa comporta.

I governi che si sono suc-ceduti sono i responsabili di questo grande crimine pub-blico, nessuno escluso, per-ché nessuno ha invertito la tendenza della mercificazione della salute; solo adesso, co-stretti soprattutto dalla tragi-cità dei fatti, l’ultima manovra ha stanziato fondi a sostegno del settore che comunque non riescono nemmeno lon-tanamente a ripristinare quel che è stato dilapidato e per-duto.

La mano del privato poi, in-centivata tutt’ora a suon di mi-lioni pubblici, è stata da tempo foraggiata e stimolata a ap-propriarsi dei servizi più red-ditizi, e allunga le sue pelose mani ovunque può. Ne abbia-mo avuta conferma in questa epidemia che oltre a dimostra-re l’incapacità e l’inadegua-tezza del governo Conte 2, ha evidenziato che per il profitto gli imprenditori di ogni setto-re non si fanno scrupoli, e per una retta triplicata si accanto-na anche il rischio – poi veri-ficato – di far entrare un virus così pericoloso soprattutto per gli anziani, in una casa di ri-poso.

Lottiamo dunque per il di-ritto alla salute per tutti e per una sanità pubblica, univer-sale, senza ticket e controlla-ta dal popolo, che disponga di strutture capillari di preven-zione, diagnosi, cura e riabili-tazione su tutto il territorio na-zionale e lontana dalle logiche di profitto.

Milano, 18 gennaio 2020. Un momento del flash mob dei lavoratori dei due presidi ospedalieri contro il piano della Giunta Fontana che prevedeva l’abbattimento delle due strutture San Carlo e San Paolo per mettere su un nuovo super polo sanitario nei pressi del Parco Sud. L’operazione si è bloccata con l’epidemia di covid e i due presidi sono stati pienamente utilizzati per le cure

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• Diritto alla salute gratuito e universale per tutti.

• Abrogare la controriforma sanitaria Bindi, legge n. 229 del 19 giugno 1999.

• Sanità pubblica, universale, gratuita, gestita con la partecipazione diretta dei lavoratori e delle masse popolari, che disponga di strutture capillari di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione su tutto il territorio nazionale e sia finanziata tramite la fiscalità generale.

• I finanziamenti destinati alla sanità pubblica devono costituire una cospicua percentuale del Prodotto interno lordo (Pil) e confluire in un apposito fondo nazionale gestito dalle masse popolari attraverso gli strumenti della democrazia diretta.

• Abolire il “sanitometro”, tutti i ticket sanitari e i contributi di malattia che gravano sul lavoro dipendente.

• Nuovi parametri di distribuzione dei finanziamenti sanitari che tengano presente dell’ammontare dei residenti, lo stato e la capillarità delle strutture pubbliche presenti nelle varie zone del Paese, le necessità di prevenzione e le condizioni ambientali, le esigenze socio-sanitarie degli anziani, degli immigrati, dei disabili, dei portatori di handicap, dei tossicodipendenti, dei “malati di mente”, privilegiando in ogni caso le regioni più povere e depresse e le periferie delle città.

• Trasformare tutte le strutture private, accreditate e non, comprese le farmacie, in strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale (Ssn).

• Nazionalizzare le industrie farmaceutiche.

• Trasformare i farmacisti in operatori della sanità pubblica.

• Revisione del prontuario farmaceutico del Ssn per abolire i farmaci doppioni, equivalenti ma di costo più elevato.

• Abolire la libera professione dei medici ospedalieri esercitata dentro e fuori le strutture sanitarie pubbliche.

• Assunzione a tempo indeterminato di un numero sufficiente di infermieri, medici, fisioterapisti ed operatori sociosanitari per coprire e potenziare gli organici di tutte le strutture sanitarie del Paese. Prevedere corsi di aggiornamento periodici e obbligatori per tutti, in orario di lavoro.

• Realizzare un numero sufficiente di distretti sanitari, consultori e centri socio-sanitari, di ambulatori pubblici polispecialisti, di servizi di guardia e di continuità assistenziale, di servizi capillari di assistenza domiciliare per gli anziani e i disabili non autosufficienti, di presidi medico-preventivi sul territorio e nei luoghi di lavoro e studio.

• Chiudere tutti gli ospedali psichiatrici e tutte le “istituzioni chiuse” per anziani, disabili, “minori a rischio”, tossicodipendenti, handicappati fisici e mentali e loro trasformazione in consultori, centri sociali e strutture sanitarie autogestite.

• Potenziare un servizio di emergenza territoriale che, tramite centrali operative e collegamenti informatici, coordini le disponibilità di posti letto delle strutture pubbliche e lo smistamento dei pazienti “urgenti”. In tutte le isole minori e nelle zone scarsamente collegate alla rete di trasporto va istituito un servizio di Pronto Soccorso di alto livello e un servizio pubblico efficiente di eliambulanze.

• Sviluppare la ricerca medica e biomedica, sganciata dal controllo della industria farmaceutica, adeguatamente sostenuta da finanziamenti statali e finalizzata a debellare malattie gravi come il cancro e malattie infettive come l’Aids e malattie rare, a sviluppare le tecniche del trapianto e a salvaguardare in generale la salute del popolo.

• Depenalizzare la pratica dell’eutanasia. Lo stato deve garantire il diritto alla “morte assistita” nelle strutture sanitarie pubbliche quando questa sia chiesta spontaneamente e per iscritto, in modo lucido e ponderato, dai pazienti affetti da accertate malattie incurabili e in fase terminale, allo scopo di mettere fine a inutili e prolungate sofferenze causate dal cosiddetto “accanimento terapeutico”.

• Realizzare una capillare rete di strutture pubbliche di medicina preventiva che indaghi, individui e denunci pubblicamente le sostanze nocive o cancerogene presenti negli alimenti, nelle bevande, nei prodotti destinati a rientrare nella catena alimentare umana e animale (coloranti, polifosfati, estrogeni, anabolizzanti, ecc..).

• Sottrarre al mercato privato la ricerca e le scoperte scientifiche in campo biomedico, vietandone la commercializzazione e la brevettabilità e impegnandovi adeguate risorse e strutture pubbliche e assicurando l’accesso gratuito per tutti alle cure che ne derivano.

• Favorire la ricerca, le scoperte e la sperimentazione scientifiche concernenti l’uso delle cellule staminali e la clonazione di embrioni umani per scopi terapeutici contro le malattie degenerative.

• Obbligo per le autorità competenti sanitarie e giudiziarie di intervenire per eliminare totalmente la presenza di sostanze nocive e/o cancerogene in tutte le fasi del ciclo di produzione e del consumo e per punire le sofisticazioni.

Le rivendicazioni del PMLI sulla sanitàQueste rivendicazioni compaiono, dalla 197 alla 217, nel Nuovo Programma d’Azione approvato dal Comitato centrale del Partito il 17 febbraio 2001

Nelle fotografie lotte per la sanità pubblica e contro la chiusura degli ospedali avvenute prima durante e dopo l’epidemia del covid

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6 il bolscevico / coronavirus N. 22 - 2 luglio 2020

Durante l’emergenza coronavirus

Il 60% Delle Donne ha Dovuto sobbarcarsI tutto Il carIco famIlIare

Il 93% al Sud e nelle IsoleL’emergenza coronavirus

ha messo in piena luce le intol-lerabili disuguaglianze che esi-stono nel nostro Paese. Una di queste riguarda le donne che hanno subito e continuano a subire maggiormente le con-seguenze della pandemia.

Da una ricerca IPSOS com-missionata dalla We World on-lus che si inserisce nella cam-pagna #Togetherwebalance lanciata per sensibilizzare l’o-pinione pubblica sulle difficol-tà che le famiglie e i più indifesi stanno attraversando durante questa emergenza, emerge che il 60% delle donne italia-ne ha dovuto sobbarcarsi da sole tutto il carico familiare, figli e persone anziane e spes-so insieme al lavoro. Un impe-gno pesante, che ha portato 1 donna su 2 in Italia a dover abbandonare piani e progetti a causa del Covid.

L’emergenza Covid ha in-fatti messo a dura prova molte famiglie, e all’interno di esse le donne, che con la chiusura degli asili nido, scuole di ogni ordine e grado e dei centri diurni per gli anziani sono state costrette a far fronte alla man-canza di questi servizi dividen-dosi tra lavoro, cura della casa, gestione delle attività scolasti-che e dei momenti di gioco dei figli e spesso assistenza ai fa-miliari più anziani e malati.

Da Nord a Sud le donne sono state quelle che più di tutte da sole hanno gestito il carico familiare (intorno al 60%, contro il 21% degli uo-mini). Tra queste donne, le più colpite sono quelle tra i 31 e 50 anni: in questa categoria il 71% dichiara di fare tutto da sola. Solo la cura dei bambi-ni, impegna l’85% delle donne tra i 18 e i 30 anni, costrette a prendersi cura dei propri fi-gli senza alcun aiuto. Questo

dato si aggrava al Sud dove il 93% delle donne sono co-strette a gestire senza alcun aiuto figli, anziani o disabili.

Tra i vari tipi di assenza, quello che pesa di più soprat-tutto per le donne tra i 31 e i 50 anni è il supporto per l’as-sistenza ai figli per compiti e didattica online, enfatizzato dal fatto che tutte le mansio-ni quotidiane si sono dovute svolgere in contemporanea.

Ma le donne sono pena-lizzate anche nelle fasi 2 e 3, finché nidi, asili e scuole re-steranno chiusi per molte di esse sarà difficile riprendere il lavoro. Secondo l’indagine, dovranno prendersi cura dei figli esclusivamente da sole il 63% delle donne italiane, con-tro il 12% degli uomini.

Un altro dato significativo che conferma che le misure approntate dal governo del dittatore antivirus Conte sono insufficienti è che solo l’1% delle mamme e dei papà di-chiarano che si avvarranno del supporto di babysitter, an-che perché si tratta tutt’al più di 600 euro e per un periodo limitato di 15 giorni. “Questi dati mostrano come le misure messe in campo dalle Istitu-zioni siano inadeguate o insuf-ficienti a rispondere ai bisogni delle donne in particolare e delle famiglie in generale per garantire i loro diritti”, spiega Marco Chiesara, presidente di WeWorld aggiungendo: “Le donne dichiarano un senso di oppressione, di difficoltà nel gestire un carico mentale e fisico enorme, nella maggior parte dei casi senza poterlo condividere con nessuno... Il Coronavirus ha agito come amplificatore di una situazio-ne già presente, e purtroppo spesso ignorata: il senso di oppressione e il carico familia-

re e di cura delle donne hanno infatti radici profonde nel no-stro contesto culturale”.

Quello che afferma Chie-sara è vero, il coronavirus non ha fatto altro che portare allo scoperto le magagne esistenti da sempre in Italia per colpa del capitalismo. Le donne nel nostro Paese come a livello mondiale sono sottoposte a

una doppia schiavitù quella dello sfruttamento economico da parte dei padroni e quella domestica, confinate in ruoli produttivi e salariali più bassi e quasi sempre subalterni a quelli occupati dagli uomini a ogni livello, che in emergenze come questa del coronavi-rus saranno condannate per prime alla disoccupazione o

ad abbandonare il lavoro ed essere rinchiuse nelle quattro mura domestiche per soppe-rire alla totale mancanza dei servizi essenziali.

Le masse femminili non hanno bisogno per liberarsi di questa doppia schiavitù dei “bonus” del dittatore antivirus Conte ma di partecipare al la-voro produttivo e alla socializ-

zazione del lavoro domestico, due aspetti in grado di farle avanzare verso la loro emanci-pazione, che si potrà realizzare completamente e definitiva-mente solo attraverso un ra-dicale cambiamento sociale e culturale, facendo tabula rasa del capitalismo e costruendo sulle sue macerie la nuova so-cietà socialista.

comunicato di nuDm per la mobilitazione delle donne del 26 giugno

“tornIamo nelle straDe! cI tolgono Il tempo, rIprenDIamocI tutto!”

Pubblichiamo di seguito il comunicato di Nonunadi-meno che promuove l’im-portante mobilitazione delle donne in tutte le città del nostro Paese contro le politi-che e le misure discriminato-rie e antifemminili attuate dal governo del dittatore antivi-rus Conte.

Fin dall’inizio dell’emergenza da Covid-19 abbiamo sottoli-neato come questa crisi non fosse uguale per tutt* e così purtroppo è stato. La pandemia ha esasperato le disuguaglian-ze, lo sfruttamento e le violenze determinate dal sistema capita-lista, patriarcale e razzista nel quale viviamo e che, quotidia-namente, colpiscono le nostre vite.

La violenza domestica è aumentata moltissimo duran-te il lockdown, mentre i centri antiviolenza hanno cercato di continuare a garantire supporto

alle donne che vi si rivolgono, nonostante le difficoltà impo-ste dal distanziamento sociale e dalla mancanza strutturale di finanziamenti. Tantissime persone si sono ritrovate sen-za lavoro e senza reddito, tra cassa integrazione in ritardo di mesi, bonus di 600 euro asso-lutamente insufficienti, nessun tipo di sussidio per tutti i lavori in nero e non riconosciuti. Nei settori considerati come “es-senziali”, dalla sanità ai servi-zi sociali, dalla sanificazione alla grande distribuzione, dalla logistica alle troppe fabbri-che rimaste aperte, tantissime donne si sono trovate spesso senza dispositivi di protezione individuale, mettendo a rischio la propria salute e quella delle persone a loro vicine in cambio dei soliti salari bassissimi, ac-compagnate dalla retorica che le voleva “eroine” o “angeli” e pronte a sacrificarsi per il paese con il sorriso.

Razzismo e sessismo isti-tuzionali si rendono evidenti nell’ultimo provvedimento del governo: una sanatoria che esaspera le condizioni di ricat-tabilità in cui versano le donne e le soggettività migranti, la cui unica possibilità di regolarizzar-si è vincolata all’arbitrio di chi da anni le sfrutta nei campi o in casa con contratti precari o in nero.

L’epidemia, il sovraccarico del sistema sanitario, la chiusu-ra delle scuole a tempo indeter-minato, l’estensione indefinita dei tempi di lavoro causata dal ricorso allo smart working hanno moltiplicato esponen-zialmente il carico di lavoro produttivo e riproduttivo che pesa sulle nostre spalle. Come si può lavorare da casa mentre ci si prende cura di una persona malata o anziana e bisogna se-guire figlie e figli nella didattica a distanza? Come si può torna-re a lavoro con turni spalmati su

orari impossibili, mentre ancora non si sa se e come riapriranno le scuole a settembre? Queste domande non hanno trovato ri-sposte, ad eccezione del tanto richiamato bonus baby-sitter, che argina solo temporanea-mente il problema e produce ulteriore lavoro precario e sot-topagato per altre donne.

Non possiamo più parlare di emergenza: le conseguenze di questa pandemia saranno pe-santi e stabili e stiamo già spe-rimentando nelle nostre vite le conseguenze di questa crisi.

Nonostante il distanziamen-to sociale, sappiamo che non siamo sole, ma parte di una lotta che in tutto il mondo si oppone alla violenza maschile e di genere, al razzismo e allo sfruttamento in casa e sul lavo-ro. L’epidemia del Coronavirus non ci ha costrette al silenzio. Le donne e le soggettività dis-sidenti, le persone migranti e razzializzate hanno continuato

e continuano a scioperare e a ribellarsi alla violenza con cui ci vorrebbero zittire, rimettere al nostro posto, ancorare ai ruoli che ci sono imposti e che noi invece rifiutiamo.

Ora è tempo di riprenderci le strade, la visibilità, la parola che hanno provato a toglierci. È tempo di urlare tutta la nostra rabbia per annunciare che non accettiamo che la ricostruzione e la convivenza con il Covid-19

avvengano al prezzo del nostro sfruttamento, dell’intensifica-zione della divisione sessuale del lavoro e del razzismo. Con attenzione e cura per la salute di tutte e tutti, il 26 giugno tor-niamo in piazza in tantissime città.

Di fronte alle conseguenze di questa crisi e alla nuova insop-portabile normalità che annun-cia, non rimarremo in silenzio!

¡Juntas somos más fuertes!

lo certIfIca l’ats

5.500 ultrasettantenni morti per covid nelle province di milano e di lodi, il 46% nelle residenze per anziani

L’Agenzia di Tutela della Salute di Milano Città Metro-politana, ente di diritto pubbli-co della Regione Lombardia, che ha competenza sanitaria sui territori provinciali di Mila-no e di Lodi, ha pubblicato a giugno uno studio dal quale emerge che nei primi 4 mesi del 2020 ci sono stati in quel territorio circa 5.500 morti ul-trasettantenni in più rispetto alla media degli anni prece-denti, ed è chiaro che tali de-cessi in più rispetto alla media sono dovuti alla pandemia che ha flagellato in modo partico-larmente severo quelle aree.

Una particolare cura è stata dedicata alla situazione nelle 162 RSA, le Residenze sani-tarie assistenziali per anziani, delle province di Milano e di Lodi, ed emerge che durante i primi quattro mesi dell’anno il tasso di mortalità in tali strut-ture, che ospitano oltre 16.000 persone, è stata pari al 22%, circa 2,5 volte più elevata di

quella degli anni precedenti, che era di circa il 9%, e che i morti nelle RSA costituiscono il 46% di tutti i morti ultraset-tantenni delle province di Mila-no e di Lodi.

In una conferenza stampa tenuta l’11 giugno il direttore generale dell’ATS, Walter Ber-gamaschi, ha affermato che si tratta del primo studio italiano che prende in considerazione in modo sistematico le resi-denze per anziani e, commen-tando i dati, ha detto che le “RSA piccole, dove i pazienti sono in camere singole e in cui c’è possibilità di isolamento, hanno avuto una capacità di reagire” all’emergenza sani-taria, mentre “le strutture più grandi, con centinaia di opera-tori che si spostano per la cit-tà per andare al lavoro, sono senz’altro state più esposte al virus”.

I numeri drammatici del Pio Albergo Trivulzio di Milano, la più grande casa di riposo d’I-

talia, danno pienamente ragio-ne a Bergamaschi: nei primi quattro mesi del 2020 sono morti 300 anziani, contro i 186 di media degli anni precedenti, il che significa che i deceduti sono quasi raddoppiati.

Bergamaschi, ovviamente, ha tutto l’interesse a scarica-re la responsabilità delle morti degli anziani sulle singole RSA perché, così facendo, vuole salvaguardare la propria ATS e implicitamente anche il ruo-lo delle altre ATS lombarde, e anche la pubblicazione dello studio statistico della più im-portante ATS della Lombar-dia si inserisce in una vera e propria guerra che la Regione Lombardia, nel tentativo a sua volta di eludere le proprie re-sponsabilità per le migliaia di anziani morti nelle residenze per anziani di tutta la Lom-bardia, ha dichiarato alle ATS regionali.

È chiaro che la regione Lombardia, con la sua delibe-

ra dell’8 Marzo con la quale veniva data la possibilità alle RSA del territorio di acco-gliere pazienti Covid dimessi dagli ospedali, ha gravissime responsabilità per la diffusio-ne del virus nelle residenze per anziani, nonostante il go-vernatore leghista Fontana lo scorso 17 aprile, pochi giorni dopo l’apertura dell’indagine per le morti nelle case di cura, avesse dichiarato di essersi “affidato al parere dei tecnici che avevano proposto la solu-zione”, accusando quindi im-plicitamente le ATS lombarde di avergli prospettato soluzioni non adeguate.

La responsabilità di questi morti è soprattutto e princi-palmente della regione Lom-bardia e della giunta retta da Fontana, che ha ereditato e ulteriormente alimentato un modello sanitario che si è ri-velato, anziché eccellente, ad-dirittura fatale per le persone più fragili.

Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHIe-mail [email protected] Internet http://www.pmli.itRedazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di FirenzeEditore: PMLI

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N. 22 - 2 luglio 2020 interni / il bolscevico 7A Milano

IMbrAttAto dI rosso Il MonuMento dI MontAnellI, rAzzIstA e stuprAtore

L’8 Marzo dello scorso anno aveva subito lo stesso trattamento da parte di Non Una di MenoL’AssociAzioNe seNtiNeLLi chiede L’AbbAttiMeNto deL MoNUMeNto

Una colata di vernice rossa ha imbrattato la statua in bron-zo dedicata ad Indro Montanel-li, che accoglie chi da piazza Cavour entra al parco di Porta Venezia a Milano, in quelli che una volta erano i giardini pub-blici, oggi rinominati Giardini Montanelli. Sulla base di mar-mo nero, l’eloquente scritta “razzista, stupratore” che è sta-ta rivendicata dagli attivisti del LuME - Laboratorio Universita-rio Metropolitano - e dalla Rete Studenti.

Solo pochi giorni prima, l’Associazione Sentinelli, grup-po creato nell’autunno del 2014 con l’obiettivo di combattere ogni forma di discriminazione, ne aveva richiesta la rimozione con una lettera inviata al sin-daco Giuseppe Sala, sull’onda delle manifestazioni antirazziste scoppiate in tutto il mondo in seguito all’uccisione di George Floyd a Minneapolis.

Montanelli in eritrea. I fatti

La storia di Montanelli, pro-fessionale e politica è tutt’altro che “controversa”: è stato un fascista che ha sostenuto il re-gime mussoliniano non solo a parole, e che non si è mai - per quanto possa contare - ravve-duto.

In un articolo scritto nel 2000 sulle colonne del Corriere della sera, raccontava alcuni episodi accaduti, fra i quali uno partico-larmente significativo dove egli, 26enne ufficiale dell’impero co-loniale fascista in Eritrea, com-pra per 350 lire un cavallo, un

fucile e una bambina di 12 anni che definì “un docile animalino” ancora in un’intervista televisi-va del 1982. Parole come “fa-ticai a superare il suo odore”, la fredda precisazione “non era un contratto di matrimonio, ma una specie di leasing, cioè di uso a termine”, oppure l’af-fermazione che accompagna il momento nel quale si accorse che la ragazza era infibulata, di quanto “ci volle per demolirle il brutale intervento della madre”, hanno mostrato a tutti chi era nel suo profondo Montanelli.

Non ha mai criticato il suo passato di militare volontario del regio esercito, né l’aggres-sione fascista ai popoli africa-ni che portò con sé massacri, armi chimiche, stupri, violen-ze e anche quello sciovinismo colonialista che permetteva ad un ufficiale dell’esercito italiano di comprare una bambina per i suoi servigi, quella “faccetta nera” considerata solo carne fresca per gli impuniti conqui-statori in orbace.

Ciononostante nel 2006 l’al-lora sindaco di Milano Gabriele Albertini, riabilitando Montanelli come “nemico dei poteri forti” (che però all’unisono plaudiva-no al taglio del nastro) inaugu-rò la statua e cambiò nome ai giardini.

le iniziative di sentinelli, di non una di Meno e degli studenti milanesiL’8 Marzo 2019 furono le at-

tiviste del movimento Non una

di Meno che imbrattarono la statua con vernice rosa, innal-zando inequivocabili cartelli ac-canto al monumento sui quali era scritto “Montanelli colonia-lista fascista e stupratore”.

La polemica con il sinda-co continua a distanza, con quest’ultimo che svolta sull’at-tentato del 1977 ad opera delle sedicenti “Brigate rosse”: “ho rivisto più volte quel video in cui lui confessa quello che è successo in Africa, e non pos-so che confessare a mia volta il mio disorientamento. Però Montanelli è stato di più, un grande giornalista che si è bat-tuto per la libertà di stampa. Forse per tutti questi motivi è stato gambizzato”. Non una di Meno però non cede e sbatte

in faccia la realtà a Sala e a tutti coloro che si nascondono die-tro ad una foglia di fico: “Stu-pro, pedofilia e colonialismo non sono un errore, rifiutiamo ogni forma di banalizzazione”.

A seguito del grande caos mediatico, anche l’Associazio-ne Sentinelli che ha dato il via alle recenti richieste di rimozio-ne della statua, torna sull’argo-mento accusando la stampa di aver suonato una sola campa-na: “Polito, Severgnini, Battista, Cerasa, Cazzullo, Levi, Ferrara, Mattia Feltri, Lerner, Cruciani, Travaglio, Scanzi, Gomez, Pa-dellaro, Parenzo tutti maschi, bianchi, benestanti, eteroses-suali a discutere se sia stato o meno legittimo per Montanelli stuprare una 12enne. Non ci

viene in mente un altro Paese che si definisce democratico e civile, insorgere così com-pattamente quando si mette in discussione il suo diritto alla misoginia”.

I Sentinelli denunciano come non ci sia mai stata una tale le-vata di scudi sulla piaga della violenza sulle donne, figlia di-retta di una cultura patriarcale della quale era intriso il pensie-ro anche di Montanelli, oppure sulla “quotidiana strage nel mar Mediterraneo che affoga il futu-ro di donne, uomini, bambini, bambine”, chiudendo il secon-do comunicato ribadendo che “Quel parco di Milano deve li-berarsi di un nome che non fa onore alla nostra città”.

la strenua difesa di sala e dei partiti

di regimeIl sindaco PD Sala è tornato

sull’argomento con un post su Instagram. “Il mio video di oggi su Montanelli è stato molto cri-ticato... Mi permetto però di in-sistere su un punto. Occhio che se revisionismo deve essere, allora lo sia fino in fondo. Se il tema è la pedofilia, ci sono al-tri casi di personaggi ricordati con piazze, vie, scuole a Milano a cui potremmo dedicarci. Poi passeremo ai guerrafondai, ca-tegoria ricca di riconoscimenti municipali. E via di questo pas-so, in un meraviglioso processo senza fine.”

La condanna del gesto (im-brattare una statua, sic!) è ar-rivata bipartisan da tutti i fronti partitici parlamentari, e Forza Italia ha addirittura indetto un flash mob in difesa del regio uf-ficiale. E non poteva mancare il PD che attraverso la Segretaria di Milano, condanna nettamen-te l’imbrattamento come “un gesto vile”.

Insomma, chi difende la sta-tua sono in larga parte gli stessi che esultavano all’abbattimen-to di altre statue, di Saddam Hussein ad esempio, e anche di Lenin o di Stalin anni prima, e allora ecco che appare chiaro che non è l’atto “violento” quel-lo che li disturba, ma ciò che si abbatte: ecco perché costoro finiscono per ergersi a difesa del razzismo, del fascismo e della misoginia.

Spiace, a dire il vero, che a questa canea reazionaria e oscurantista, abbia prestato il fianco l’Anpi che per voce del presidente provinciale di Milano Roberto Cenati, sostiene che la battaglia contro le discrimina-zioni e il razzismo “non la si fa abbattendo statue” ed equipara con un gravissimo e pericoloso parallelismo l’imbrattamen-to della statua di Montanel-li ai “soliti fascisti, fascistelli e estremisti di destra che hanno deturpato e danneggiato i mo-numenti o le targhe partigiane”.

Montanelli golpista e anticomunista

Montanelli - l’abbiamo ac-cennato - era anche un accani-to anticomunista che più volte sostenne davanti ai microfoni di “preferire Pinochet ai co-

munisti”. Un anticomunismo viscerale, discendente proba-bilmente dalla sua convinta e volontaria militanza nell’eserci-to mussoliniano, che lo portò nel 1954 a scrivere tre lettere all’ambasciatrice statuniten-se Clare Boothe Luce, da lei stessa sollecitate, in cui l’allora inviato del Corriere, auspicava la nascita di un’organizzazione eversiva anticomunista che mi-rasse al rafforzamento dell’Italia nell’ambito della Nato.

Il progetto caldeggiato da Montanelli era in sostanza una sorta di ‘’Gladio in borghese’’ che si proponeva di “salvare l’I-talia”, definita ormai in una fase “pre-agonica’’ per l’incombente pericolo comunista, reclutando ‘’centomila bastonatori’’ per formare un’associazione ‘’ter-roristica segreta’’ da far dirigere al maresciallo Giovanni Messe, ex comandante del Corpo di spedizione in Russia durante la seconda guerra mondiale, con la speranza che, in caso di eventuali dimissioni del go-verno presieduto dal democri-stiano Mario Scelba, i carabi-nieri fossero messi in grado di ‘’compiere un colpo di Stato’’.

rimuovere la statua di Montanelli e quelle

di tutti i fascistiPer noi Indro Montanelli ri-

mane quel che era in vita, e quindi un fascista mai pentito, un razzista ed un misogino, e un accanito anticomunista. Ecco perché anche noi ne chie-diamo la rapida rimozione, as-sieme a quella delle altre, tante, troppe, erette a gerarchi fasci-sti, razzisti e ad altra gentaglia del genere, a partire proprio dal monumento all’assassino Ro-dolfo Graziani di Affile - il cui sindaco è già stato condannato per apologia del fascismo ma come per magia il monumento è sempre in piedi a testimonia-re l’inapplicazione anche delle stesse leggi borghesi in ma-teria -, e della statua di D’An-nunzio a Trieste, colonizzatore prima che “poeta” del fascio littorio e del “sogno” imperiale mussoliniano.

Insomma, ciò che ha portato un fascista mai pentito come Montanelli dalla campagna di Eritrea fino al titolo esclusiva-mente borghese di “più grande giornalista italiano” è conferma che non solo l’Italia non ha mai fatto i conti col fascismo, ma che proprio i fascisti di prim’or-dine sono stati reinseriti nei punti chiave della vita sociale e politica del dopoguerra fino a oggi che in questo regime neo-fascista Salvini può permettersi di spadroneggiare nel Paese come aspirante duce dei fa-scisti del XXI secolo mentre le squadracce neofasciste hanno campo libero.

L’imbrattamento della statua di Montanelli a Milano quindi non è né “vile” né “violento”, bensì è la dimostrazione di una chiara presa di coscienza e di una chiara volontà delle mas-se che gli autentici antirazzisti e antifascisti non possono che apprezzare e sostenere con tut-te le loro forze.

l’AccusA dI AssocIAzIone A delInquere fInAlIzzAtA All’IstItuzIone dell’odIo rAzzIAle e All’occupAzIone AbusIvA

ordinato il sequestro del palazzo occupato da casapound a roma

L’Anpi chiede lo scioglimento di tutti i gruppi fascistiCi sono voluti quasi due anni

di indagini e denunce, ma alla fine, il 4 giugno, la Procura di Roma ha finalmente ordinato il sequestro preventivo del palaz-zo di via Napoleone III in pieno centro a Roma, covo nazionale dei fascisti del terzo millennio, occupato abusivamente 17 anni fa dai militanti in camicia nera di CasaMontag poi diven-tata CasaPound.

Il Pubblico ministero Euge-nio Albamonte ha anche iscritto nel registro degli indagati i ca-porioni fascisti Gianluca Ianno-ne, Andrea Antonini e Simone Di Stefano tutti accusati insie-me ad altri tredici militanti neo-fascisti di associazione a delin-quere finalizzata all’istigazione all’odio razziale e occupazione abusiva di immobile.

Le indagini sono partite sul-la base di un doppio esposto: quello dell’Anpi, presentato subito dopo le “rivolte” anti-Rom fomentate dai fascisti nei quartieri di Torre Maura e Casal Bruciato fra il 2018 e il 2019; e quello del Ministero Economia e Finanze proprietario, attraver-so l’agenzia del Demanio, dello stabile.

Sull’edificio pende anche una procedura amministrativa, avviata dal Mef e impugnata da CasaPound prima al Tar e ora al Consiglio di Stato, e un’in-dagine della Corte dei Conti di Roma, che ipotizza un danno erariale di circa 4,3 milioni di euro.

Nello stabile, oltre alla sede nazionale di CasaPound, tro-vano alloggio ben 18 famiglie che si dichiarano in “emergen-za abitativa e/o economica” ma che in realtà usufruiscono degli alloggi perché hanno legami

familiari e di militanza molto stretti con i capi del movimento fascista.

In un comunicato congiunto della presidenza e della segre-teria nazionali l’ANPI esprime tra l’altro: “grande soddisfazio-ne per il ripristino della legalità e per il raggiungimento di un risultato che fa onore ad anni di battaglie antifasciste... adesso attendiamo con fiducia anche lo sgombero degli stabili occu-pati ad Ostia richiesto dal Mini-stero della Difesa”.

Infatti da qualche settima-

na, sotto le nuove insegne e vessilli di “Area 121”, i fascisti di CasaPound hanno occupato un nuovo immobile in via delle Baleniere, a Ostia, di proprietà dell’Aeronautica Militare e che potrebbe diventare presto il nuovo covo nazionale sponso-rizzato dal gerarca locale Luca Marsella in combutta con Ro-berto Spada, l’ex boss dell’o-monimo clan, in carcere per mafia.

Non a caso l’Anpi provin-ciale di Roma, pur dicendosi soddisfatta per il sequestro, av-verte però che ciò: “Non basta a chiudere la vicenda” perché “CasaPound è un progetto re-azionario, contrario alla Repub-blica fondata sul lavoro che è nata dalla Resistenza e dall’an-tifascismo... Abbiamo denun-ciato tutte le organizzazioni fa-sciste per apologia di fascismo e razzismo e per l’uso della vio-lenza”. Il sequesto e, speriamo al più presto, lo sgombero di CasaPound sono solo un primo passo verso lo scioglimento di tutte le organizzazioni fasciste a cominciare da CasaPound e Forza Nuova e la contestuale chiusura di tutti i loro covi.

La facciata del covo nazionale dei fascisti di CasaPound

Milano. La statua di Montanelli imbrattata di vernice rossa

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8 il bolscevico / 80 anni dalla seconda guerra mondiale N. 22 - 2 luglio 2020

Per appagare gli appetiti espansionistici dell’imperialismo italiano

80 anni fa la guerra fascista di Mussolini Mandò al Macello

i giovani italiani e distrusse l’italiaPerché non ci siano più guerre imperialiste e fascismo ci vuole il socialismo

e il potere politico del proletariatoIl 10 giugno del 1940 il Re-

gno d’Italia del criminale Mus-solini e di re Vittorio Emanue-le III entrava in guerra al fianco della Germania nazista contro la Francia e la Gran Bretagna, trascinando anche il popolo ita-liano nella più grande carnefici-na della storia dell’umanità, che costò la vita a 40 milioni di civili e 20 milioni di militari e sconvol-se l’intero pianeta: la Seconda Guerra Mondiale.

L’inizio della guerra avviene l’1 settembre del 1939, quan-do la Germania di Hitler inva-de la Polonia, scatenando que-sta volta la reazione militare di Francia e Inghilterra, diversa-mente da quanto avvenuto nel 1938 con l’annessione al Terzo Reich del territorio dei Sudeti a scapito della Cecoslovacchia e prima ancora dell’intera Austria (per non parlare della Guer-ra Civile spagnola conclusasi con la vittoria del fascista Fran-co anche per la paura di Pari-gi e Londra della vittoria degli antifascisti e di una rivoluzione socialista susseguente), quan-do le potenze imperialiste riu-scirono a trovare un accordo e ad evitare il conflitto, nel tentati-vo malcelato di mettere da parte momentaneamente le loro con-traddizioni, per costituire un’uni-ca alleanza volta ad occupare e distruggere l’odiata Urss di Sta-lin, cosa sventata prontamen-te dal patto tattico Molotov-Rib-bentrop, che consentì all’Urss di riconquistare i territori che già appartenevano all’allora impe-ro zarista e ceduti con gli accor-di di Brest-Litovsk dai bolscevi-chi guidati da Lenin e Stalin, per consolidare il nascente fragi-le regime sovietico, respingere l’aggressione controrivoluziona-ria e anticomunista e costruire il socialismo.

L’accordo tattico di non ag-gressione tedesco-sovietico del 23 agosto del 1939, reso-si necessario dopo la firma del Patto Anticomintern tra le forze dell’asse e per la blanda politi-ca di contenimento dell’espan-sionismo nazifascista di Fran-cia e Inghilterra, consentì quindi all’Urss una maggiore prepa-razione in caso di aggressione nazifascista, puntualmente av-venuta poi il 22 giugno del 1941 con l’“Operazione Barbaros-sa” e ruppe l’unità antisovietica dei blocchi imperialisti di allora facendo esplodere le loro con-traddizioni, che furono in ultima analisi la causa della guerra im-perialista.

Nel 1939 con la “guerra-lam-po” i tedeschi in poco tempo ri-uscirono a sottomettere la Polo-nia e muovere le truppe verso ovest, occupando Norvegia, Danimarca e i Paesi Bassi e ar-rivando ad occupare Parigi, tra-volgendo le fragili difese france-si e occupando la capitale della Francia il 14 giugno del 1940.

Mussolini, al servizio della borghesia monopolista italiana, mai sazia di ulteriori profitti (che produssero fra l’altro negli anni precedenti al conflitto le infami guerre coloniali in Africa) con-vinto che la guerra fosse ormai vinta dal suo alleato, nonostan-te la palese impreparazione mi-

litare dell’esercito, la contrarie-tà del popolo italiano (aldilà di quello che raccontava la propa-ganda del regime) e persino di alcuni gerarchi, decise di “ave-re bisogno di un certo nume-ro di morti per sedersi al tavolo della pace”, dichiarando guer-ra alla Gran Bretagna e alla già sottomessa Francia, tanto che i francesi parlarono a proposito dell’occupazione della Francia meridionale da parte dell’eser-cito italiano di una “pugnalata alle spalle ad un uomo morto”.

Una scelta criminale che è costata al nostro popolo 319.207 vittime militari, 153.147 vittime civili, per un totale di 472.354 vittime, pari al 10,78% del totale della popolazione ita-liana di allora e l’occupazione da parte degli stessi tedeschi dell’Italia, liberata poi dalla glo-riosa Resistenza che appese lo stesso duce a testa in giù a Piazzale Loreto, nel quadro più generale della vittoria degli alle-ati contro le forze dell’asse Ro-ma-Berlino-Tokyo.

Determinante per la liquida-zione del nazifascismo fu il ruo-lo dell’Armata Rossa e dell’Urss di Stalin e dei partigiani comuni-sti e questo vale anche per l’a-rea circumpacifica del conflitto, poiché la distruzione dell’impe-ro giapponese non fu certo me-rito solo dell’esercito dell’allo-ra superpotenza imperialista in ascesa (e oggi declinante), gli Usa, ma anche dei comunisti ci-nesi guidati e diretti da Mao nel-la guerra di liberazione nazio-nale del popolo cinese contro il militarismo nipponico.

Senza entrare nel dettaglio degli avvenimenti bellici e del-le atrocità commesse dalle trup-pe nazifasciste durante il conflit-to (ma anche degli Usa, le due atomiche su Hiroshima e Na-gasaki sganciate da Truman, succeduto a Roosevelt, furono il primo atto della “guerra fred-da” contro l’Urss più che l’ultimo atto del conflitto contro le forze dell’asse, per tacere dei bom-bardamenti di Dresda nel 1945 eseguiti per impressionare Sta-lin), ci preme qui sottolineare, 80 anni dopo lo sciagurato in-gresso dell’Italia nel conflitto, le ragioni di fondo che hanno pro-dotto e continuano a produrre le guerre imperialiste.

Per fare questo è indispen-sabile ricorrere alla definizione scientifica dell’imperialismo che diede Lenin: “dobbiamo dare una definizione dell’imperiali-smo, che contenga i suoi cin-que principali contrassegni, e cioè:

1) la concentrazione del-la produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con funzio-ne decisiva nella vita econo-mica;

2) la fusione del capita-le bancario col capitale in-dustriale e il formarsi, sulla base di questo ‘capitale fi-nanziario’, di un’oligarchia fi-nanziaria;

3) la grande importanza acquistata dall’esportazione di capitale in confronto con l’esportazione delle merci;

4) il sorgere di associazio-ni monopolistiche internazio-nali di capitalisti, che si ripar-tiscono il mondo;

5) la compiuta ripartizio-ne della terra tra le più grandi potenze capitalistiche.

L’imperialismo è dunque

il capitalismo giunto a quel-la fase di sviluppo, in cui si è formato il dominio dei mo-nopoli e del capitale finanzia-rio, l’esportazione di capitale ha acquistato grande impor-tanza, è cominciata la ripar-tizione del mondo tra i trust internazionali, ed è già com-piuta la ripartizione dell’inte-ra superficie terrestre tra i più grandi paesi capitalistici”.

Per effetto della legge dello sviluppo ineguale dei paesi im-perialisti in un mondo già spar-tito fra le potenze è inevitabile la guerra fra i paesi imperiali-sti e tra questi e i paesi vittime dell’imperialismo, a causa del-la legge del massimo profitto, la legge fondamentale del capitali-smo monopolistico e per effetto dell’esportazione del capitale, che le borghesie monopoliste dei vari paesi non possono in alcun modo fermare, pena cri-si irreversibili dei loro paesi, pe-raltro inevitabili, definite già da Marx crisi cicliche di sovrappro-duzione e sovraccumulazione, con relativo crollo delle Borse e dei loro infami profitti.

Come disse Stalin: “Il lenini-smo è il marxismo dell’epoca dell’imperialismo e delle ri-

voluzioni proletarie”, attraver-so la dialettica materialista, la scienza che studia le contraddi-zioni nell’essenza stessa delle cose e dei fenomeni sociali, ha quindi messo a nudo l’essenza e le contraddizioni dell’epoca dell’imperialismo, in rottura con

l’opportunismo della II interna-zionale e del rinnegato Kautsky che avevano svenduto i proleta-ri dei vari paesi alle borghesie monopoliste in lotta per il domi-nio del mondo trascinando i po-poli nella carneficina della Pri-ma Guerra Mondiale.

In seguito all’Ottobre, nel 1919, venne fondata la III In-ternazionale comunista, la qua-le alla luce dell’imperialismo, aggiornò la parola d’ordine di Marx ed Engels (che operaro-no prima dell’avvento dell’im-perialismo) da “Proletari di tut-ti i paesi, unitevi” in “Proletari e nazioni oppresse unitevi”, la quale esprime fino in fondo la necessità da parte dei comu-nisti di tutto il mondo di appog-giare le guerre e i movimenti di liberazione nazionale in lotta contro l’imperialismo indipen-dentemente dalle forze che si trovano alla loro testa, perfino quando sono antimarxiste-leni-niste.

(si veda il fondamentale Do-cumento del CC del PMLI “Viva la Terza Internazionale”, 2019).

L’appoggio ai movimenti an-timperialisti è fondamentale perché accelera, insieme alla lotta di classe tra il proletaria-

to e la borghesia nei vari paesi, la morte dell’imperialismo, fase suprema e finale del capitali-smo, la quale è quindi l’epoca delle rivoluzioni proletarie e del-le guerre di liberazione naziona-li dei popoli e delle nazioni op-presse, come la storia dimostra ampiamente.

Per liquidare le guerre impe-rialiste è dunque necessario li-quidare l’imperialismo mede-simo, vittima delle sue stesse terribili e insanabili contraddizio-ni, determinate dal conflitto tra il capitale ed il lavoro, dalla leg-ge del massimo profitto, dalla contraddizione tra le forze pro-duttive e i rapporti di produzio-ne, tra il carattere sociale della produzione e l’appropriazione privata del capitale e sostituir-lo con il socialismo e la conqui-sta del potere politico da parte del proletariato, seguendo la via dell’Ottobre, impedendo poi la restaurazione del capitalismo, come avvenuto nell’Urss di Le-nin e Stalin nel 1956 e dopo la morte di Mao nella RPC, pren-dendo a modello la Grande Ri-voluzione Culturale Proletaria cinese ideata e diretta da Mao nella lotta mortale contro il re-visionismo moderno e gli agen-ti della borghesia annidati nel Partito e nello Stato nella fase socialista, continuando quindi la rivoluzione in regime di dittatura del proletariato.

Tornando all’attuale situazio-ne del nostro Paese, l’anniver-sario dell’entrata in guerra dell’I-talia è l’occasione per ribadire con forza la necessità del so-cialismo, della lotta contro il go-verno Conte al servizio del regi-me capitalista neofascista e per l’uscita dell’Italia dall’infame UE imperialista, la quale non si può riformare in alcun modo, è total-mente al servizio dei monopoli europei e non certo dei popoli ed è dunque necessario liqui-darla e distruggerla, nel quadro della lotta per l’Europa dei po-poli.

Deve continuare senza so-sta la lotta contro i fascisti vec-chi e nuovi, contro ogni forma di equiparazione tra il comuni-smo ed il nazifascismo, senza porre al centro della lotta anti-fascista la Costituzione demo-cratico-borghese e anticomu-nista del 1948, intanto poiché essa è ridotta a carta straccia, ma soprattutto perché essa, come tutte le costituzioni bor-ghesi, presuppone la dittatura della borghesia, causa dell’im-perialismo e del fascismo stes-so che poi è l’altra faccia della medaglia della falsa e ipocrita “democrazia borghese” e con-quista il potere quando quest’ul-tima è instabile o comunque non più in grado di garantire il dominio economico, politico, militare, istituzionale e culturale della borghesia, la quale ricorre quindi alla dittatura terroristica aperta e brutale per reprimere le masse e la lotta di classe, ri-muovere ogni diritto democrati-co-borghese residuo rimasto in piedi e salvaguardare e incre-mentare i propri profitti anche aggredendo militarmente altri paesi sovrani, per esportare ca-pitale, conquistare nuovi merca-

ti, preziosi fonti di materie prime e manodopera a basso costo.

In questo quadro è dunque assolutamente indispensabi-le che la lotta di classe contro il capitalismo e il suo governo continui perché, come ha detto il compagno Giovanni Scuderi, cofondatore e Segretario gene-rale del PMLI: “Non siamo sulla stessa barca, come predicano insistentemente Conte e i partiti governativi, ai quali si è aggiun-to ora il papa. Le barche sono due, quella delle forze del capi-talismo e quella delle forze anti-capitaliste. L’una e l’altra hanno rematori diversi e destinazioni opposte.

L’emergenza sanitaria non ha annullato né le disugua-glianze sociali e territoriali, che anzi sono aumentate, come di-mostrano le prime ribellioni dei senza lavoro e dei senza soldi del Sud d’Italia né le classi e la lotta di classe. In nessun mo-mento della vita sociale, nem-meno quando c’è una emer-genza, fosse anche una guerra imperialista, mai bisogna met-tere da parte la lotta di classe. Anzi, è proprio in questi mo-menti che bisogna tracciare una chiara e netta linea di de-marcazione tra il proletariato e le masse popolari da una par-te e la borghesia e il suo gover-no dall’altra parte. Perché gli in-teressi e le esigenze dei primi sono contrapposti a quelli dei secondi. Senza mai dimenti-care che il tricolore e l’inno di Mameli rappresentano solo la classe dominante borghese, non la classe operaia e tutti gli sfruttati e gli oppressi della dit-tatura borghese e del capitali-smo”.

Lottando con ogni mezzo contro la partecipazione del no-stro Paese a una nuova, pur-troppo possibile, guerra impe-rialista mondiale (ma anche a ogni guerra imperialista locale come quella condotta dalla coa-lizione internazionale anti Stato islamico in cui l’Italia di Conte e Di Maio occupa la prima fila in-sieme agli Usa di Trump), per il reddito di emergenza o di qua-rantena di 1.200 euro al mese per tutti coloro che non hanno né reddito né ammortizzatori sociali, migranti inclusi, per fer-mare l’industria bellica al servi-zio dell’imperialismo italiano e per riconvertirla alla produzione di materiale sanitario e non per l’emergenza sanitaria in corso, ripristinando i diritti democrati-co-borghesi sospesi dal dittato-re antivirus Conte al servizio del regime capitalista e neofasci-sta, instaurato progressivamen-te dalla destra e dalla “sinistra” borghese negli ultimi decen-ni nel nostro Paese, seguen-do i piani della P2 e dei golpi-sti, smascherati dal PMLI fin dal lontano 1979 quando l’allora neoduce Craxi lanciò la “grande riforma” sulle colonne de “l’A-vanti!”.

A morte l’imperialismo, le guerre imperialiste e i fascisti vecchi e nuovi!

Spazziamo via il governo del dittatore antivirus Conte!

Per l’Italia unita, rossa e so-cialista!

Nei titoli di alcuni quotidiani dell’11 giugno tutta la prosopopea della pro-paganda fascista per l’entrata in guerra dell’Italia

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N. 22 - 2 luglio 2020 80 anni dalla seconda guerra mondiale / il bolscevico 9

10 giugno 1940: l’Italia di Mussolini e della borghesia che lo sosteneva entra nel conflitto mondiale accanto ai nazisti

di Francesco Mandarano - Prato

L’ottantesimo anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia nella II guerra mondiale merita alcune ponderate e mature ri-flessioni. Il primo problema che oggi uno studioso deve affron-tare è quello di stabilire se il II conflitto mondiale (1939-1945) è una guerra a sé stante, oppu-re la prosecuzione della prima guerra mondiale (1914-1918). Riteniamo che il II conflitto mon-diale sia non la prosecuzione del I, ma una guerra a sé, anche se fortemente agganciata alla prima. Innanzitutto, c’è da dire che le condizioni della Pace, im-poste dagli alleati alla Germania sconfitta, sono state molto pe-santi. Questa responsabilità ri-cade in primo luogo sulle spalle dei francesi, che imposero ai te-deschi sconfitti il pagamento di enormi danni di guerra e la dra-stica riduzione delle loro forze armate. Queste pesanti clauso-le provocarono nei tedeschi un forte risentimento e uno spirito di rivalsa, nonché una grave cri-si economica. Il tutto favorì la nascita del fascismo.

Come se questo non bastas-se né la Francia né tanto meno l’Inghilterra ebbero la forza o la volontà di impedire il riarmo na-zista. Tale riarmo e lo spirito di prevaricazione che ha anima-to il nazismo è stata la causa principale del secondo conflit-to mondiale. Addirittura, secon-do Hitler i popoli slavi erano una razza inferiore, quasi dei subu-mani e come tali andavano ster-minati, a cominciare dai popoli russi.

A questo punto bisogna sfa-tare una delle tante leggende che circolano in alcuni ambien-ti dell’Europa occidentale, os-sia che a provocare la seconda guerra mondiale sia stata l’U-nione Sovietica che ha stipulato nel 1939 il patto di non aggres-sione, con la Germania nazista. La verità storica è ben diversa. Tutta la Storia delle cosiddette “democrazie occidentali” è stata guidata da un forte spirito anti-comunista e antisovietico. Solo in questa ottica si spiega la pas-sività di Francia e Inghilterra di fronte al riarmo nazista. Difatti, per questi due Paesi, che im-meritatamente si fregiano del titolo di “grandi democrazie oc-cidentali”, il riarmo tedesco an-dava bene, purché le armate di Hitler fossero dirette a est. Que-sta è la vera spiegazione del-la totale passività di Francia e Inghilterra durante il periodo

1920-1939.Sono emblematici in questo

senso sia la guerra di Etiopia, che la guerra civile spagnola. Per quanto riguarda le sanzio-ni, a parole, inflitte all’Italia du-rante la guerra di Etiopia, esse sono state finte, nel senso che tutti i Paesi commerciavano con l’Italia, comprese Francia e In-ghilterra. Per quanto riguarda la guerra civile spagnola (1936-1939), si tratta di un esempio eclatante di solidarietà alla Re-pubblica Spagnola portata da-gli antifascisti di tutto il mondo contro il colpo di Stato del fasci-sta Francisco Franco, mentre Francia e Inghilterra rimaneva-no “neutrali”, cioè davano mano libera nella penisola Iberica a Hitler e Mussolini. L’unico Pae-se che ha concretamente aiuta-to il legittimo governo spagnolo è stata l’Unione Sovietica. Tutto questo a riprova che i paesi Oc-cidentali, a cominciare da Fran-cia e Inghilterra a parole si di-cono “democratici”, ma quando si tratta di lottare contro le ditta-ture fasciste, si fanno da parte.

Il “capolavoro” di tale modo di operare, Francia e Inghilter-ra l’hanno raggiunto con gli acu-ti di Monaco del 1938, quando consegnarono la Cecoslovac-chia a Hitler, il quale mai sazio di conquiste territoriali, l’anno successivo, prendendo a pre-testo la situazione della città di Danzica, attaccò la Polonia. Dal momento che fino ad allora Hit-ler non era stato mai ostacola-to dalle presunte “grandi demo-crazie” occidentali, egli sperava che anche questa volta potesse farla franca.

Le cose andarono diversa-mente, dal momento che ormai l’opinione pubblica mondiale era stufa delle continue aggres-sioni di Hitler ad altri Paesi. Le considerazioni che precedono dimostrano che, se ci fossero state negli anni precedenti re-azioni più energiche di Francia e Inghilterra alla politica espan-sionistica nazista, la II guer-ra mondiale non sarebbe mai scoppiata.

A tal riguardo è molto signi-ficativo che nel 1938 al Con-vegno di Monaco, l’Unione So-vietica non è stata invitata, pur essendo geograficamente e storicamente la Cecoslovacchia molto più vicina alla Russia, che non all’Inghilterra.

Siamo giunti così al 1 Set-tembre 1939, quando le arma-te naziste invadono la Polonia. Questa data è fondamentale sia nella storia dell’Europa moder-

na, sia per capire la mentalità dei fascisti.

Mussolini, per decenni aveva vantato la forza militare Italiana, blaterando di 8 milioni di baio-nette ma, al momento crucia-le del 1 Settembre 1939, non è stato in grado di entrare in guer-ra, in quanto l’esercito Italiano era enormemente impreparato.

A questo punto bisogna far chiarezza su alcuni concetti fondamentali: molti addebitaro-no a Mussolini la grave respon-sabilità di aver perso la II guer-ra mondiale, gli antifascisti e i pacifisti gli devono rimprovera-re non solo di averla persa, ma soprattutto di averla fatta. Qui si entra nella mentalità fascista: il prestigio di una nazione si basa sulla sua forza militare!

Non c’è idea più sbagliata di questa, in quanto il prestigio di una nazione si fonda sul suo si-stema sanitario e su quello sco-lastico. Per sentirsi bravi non c’è bisogno di aggredire nes-suno, basta esportare trattori e non carri armati. Questa im-pronta militarista rimante ben salda nella testa dei neofasci-sti di oggi, i quali guidati dal-la Meloni vorrebbero inviare la Marina Militare a opporsi ai di-sperati che cercano di sbarca-re in Italia, dove arrivano non per loro volontà, ma per sfuggi-re alla miseria e alle guerre pro-vocate in Africa dal neocolonia-lismo e dalle politiche di rapina delle loro risorse portate avan-ti da parte delle multinazionali. Sarebbe, invece, bene che l’Ita-

lia chiedesse scusa a tutti i Pa-esi Africani, quali Etiopia, Libia, Eritrea, Somalia e li aiutasse, in concreto, costruendo in quelle terre, gratuitamente, ospedali, strade, scuole e ponti, a parzia-le ristoro dei danni da essa cau-sati in quelle regioni nel secolo scorso. L’Italia ancora oggi non è ben vista in Libia e in Etiopia,

per via delle enormi stragi com-piute. Mussolini il primo settem-bre 1939 non è stato in condi-zione di entrare in guerra e si è inventato la formula della “non belligeranza”, cioè per il mo-mento non partecipava al con-flitto ma lo avrebbe fatto in se-guito.

Questo stato di cose è dura-to fino al 10 giugno 1940, quan-do il “duce” ha preso la decisio-ne fatale non solo per lui ma soprattutto per il popolo Italiano al quale ha regalato cinque anni di guerra con conseguenti lutti, rovine e sofferenze inenarrabili.

Gli storici Italiani, o presun-ti tali, dal 1945 ad oggi ci pro-pinano la vulgata che Benito Mussolini è stato l’unico artefi-ce dell’entrata in guerra dell’Ita-lia e dei conseguenti disastri. Le cose stanno in ben altro modo. La II guerra mondiale è stata voluta o comunque ben volen-tieri accettata dall’associazione degli Industriali e dai latifondisti, nonché dai responsabili milita-ri, Esercito, Marina, Aviazione, dall’Alta Finanza e dalla stam-pa.

Se tutte queste forze che erano i pilastri del regime fasci-

sta, si fossero presentate dal “duce”, facendogli presente la loro opposizione, il poco signor Mussolini la guerra non l’avreb-be dichiarata. Siamo, così giun-ti al punto cruciale del nostro ragionamento: le guerre non “scoppiano” improvvisamente, come un accidente naturale, c’è, purtroppo qualcuno che le

dichiara e, addirittura, qualcuno che le prepara.

Naturalmente, tutti sanno che le guerre portano distruzio-ne e morte, ma non tutti sanno che con le guerre c’è chi gua-dagna somme impressionanti: l’industria collegata agli arma-menti. Tale settore industriale si arricchisce in modo sfacciato, in quanto lo Stato, qualunque Sta-to capitalista, paga senza stare a discutere qualunque somma per avere forniture. L’importan-te è avere gli armamenti, non quanto costano. A pagare sarà sempre Pantalone!

Come se questo non bastas-se, il popolo, tutti i popoli, paga-no in tutte le guerre un secondo tributo al mostro della guerra: centinaia di migliaia di morti, sia militari, che civili. Questi di-sastri dovrebbero pesare enor-memente sulle spalle non solo di Mussolini, ma della borghe-sia industriale che l’ha sempre appoggiato. In particolare, il di-sastro in cui l’Italia è precipitata dal 1940 al 1945 pesa su tutti gli alti gradi dell’Esercito, da Ba-doglio a Graziani, che ben sa-pevano lo stato pietoso delle nostre forze armate, che aveva-

no perso i loro armamenti nelle guerre di Etiopia e di Spagna e ora si trovavano senza divisioni corazzate, senza aerei e senza scorte di armi, munizioni e ve-stiario. Nessuno dei comandan-ti militari ha pensato di presen-tare le dimissioni nel momento in cui il “duce” mandava allo sbaraglio un intero popolo e tut-ta la sua economia.

Un posto di rilievo nell’olim-po degli incompetenti merita lo squadrista Italo Balbo, che dopo aver distrutto nel 1922, tutte le Case del Popolo del-la provincia di Forlì, è arriva-to al governo senza specifiche competenze in materia di stra-tegia militare. Proprio per que-sto la sua figura, che storici di idee neofasciste come Pao-lo Mieli cerca di esaltare come “transvolatore”, deve essere negativamente valutata. Egli non ha capito che l’arma aerea non poteva e non doveva esse-re un’arma a sé, bensì doveva essere affiancata a tutte le altre armi. In altri termini, la marina doveva avere i suoi aerei, cioè le sue portaerei, nonché dei si-stemi di avvistamento dei veli-voli nemici. Purtroppo, mancan-do di un retroterra culturale e scientifico, il Balbo si è permes-so di dire che l’Italia non aveva bisogno di portaerei, in quanto la Sicilia era una grande porta-erei. Peccato però che la Sici-lia non si muove! Nonostante il fatto che Balbo sia stato uno squadrista e nonostante il fatto che sia stato un miope stratega, viene definito Patriota dalla Me-loni, che nel settembre 2017 gli ha dedicato a Roma nord una festa, alla quale ha partecipa-to il fior fiore della destra neo-fascista. Ma quello che dispiace di più e che a tale festa ha par-tecipato anche il “democratico” Marco Minniti.

Il capolavoro del fascismo è stato, poi, quello di entrare in guerra senza avere un piano per la conquista di Malta. Que-sto errore colossale è costato al popolo italiano decine e decine di migliaia di morti, in quanto le navi Italiane venivano sistema-ticamente silurate dagli inglesi.

In questo quadro di totale impreparazione, non può e non deve sorprendere il fatto che l’I-talia, già nel 1940 è stata scon-fitta in Africa, in Grecia e nel Mediterraneo.

Degna di nota è la circo-stanza che a scuola, in qual-che modo si studia la sconfitta di Caporetto, mentre nessuno ricorda che il maresciallo Gra-ziani, tra il 1940 e il 1941, in po-chi mesi, si è fatto annientare dagli inglesi un’armata di circa 210.000 uomini. A questo per-sonaggio è stato dedicato ne-gli anni scorsi un Mausoleo ad Affile (Roma). Graziani, mini-stro della guerra della repubbli-ca fantoccio di Salò, fucilatore di Partigiani, è stato nel dopo-guerra abbracciato dal giovane Giulio Andreotti ad Arcinazzo (Roma), a riprova che l’antifa-scismo era ormai finito.

Il 10 giugno invitiamo gli anti-fascisti a riflettere sull’entrata in guerra dell’Italia accanto ai na-zisti, voluta da Mussolini e dal-la borghesia che lo sosteneva.

Noi per quanto ci riguarda di-ciamo che l’Italia ha bisogno di PACE, PACE e ancora PACE, quella per la quale hanno lotta-to e perso la vita decine di mi-gliaia di Partigiani.

La tragica fine della politica di conquista mussoliniana: la ritirata del corpo di spedizione italiano in Russia (8a Armata) dopo essere stato sconfitto dall’Armata rossa nell’offensiva tra il dicembre 1942 e gennaio 1943. Le perdite dei soldati italiani furono di quasi 85.000 uomini a cui vanno aggiunti 29.690 tra feriti o congelati

Alcuni esempi di manifesti fascisti per giustificare l’espansionismo nel Mediterraneo Per il primo anno di guerra il popolo italiano fu martellato incessantemente dalla propagan-da del “duce invincibile” e dalla esaltazione della guerra

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10 il bolscevico / schiavismo e caporalato N. 22 - 2 luglio 2020

A Borgo Mezzanone (Foggia)

BrAcciAnte senegAlese Morto cArBonizzAto in unA BArAccA

Mohamed Bel Ali è la quarta vittima dei roghi nel ghetto pugliese nell’ultimo anno e mezzoIl governAtore eMIlIAno IncApAce dI dAre un’ABItAzIone AI nuovI schIAvI del cApItAlIsMo

Ennesima morte in una del-le baraccopoli disseminate nelle campagne italiane dove allog-giano migliaia di migranti ex-tracomunitari impiegati in agri-coltura. In tutto il Paese buona parte della manodopera utiliz-zata nella filiera agroalimentare, specialmente nei campi, è co-stituita da lavoratori stranieri. Il loro sfruttamento assume quasi sempre il carattere della schia-vitù a cui si devono aggiungere le misere condizioni abitative in cui sono costretti a vivere.

Casolari abbandonati quan-do va bene oppure, specie nel nostro Sud, veri e propri ghet-ti che richiamano alla mente le poverissime periferie delle cit-tà africane o sudamericane. È in una di queste baracche che è morto Mohamed Bel Alì, 37 anni, bracciante originario del Senegal che lavorava nei cam-pi della Capitanata, in provincia

di Foggia. E stato trovato car-bonizzato, probabilmente dalle fiamme partite da una candela. La sua “abitazione” si trovava ai margini dell’insediamento di Borgo Mezzanone. Qui vivono in pessime condizioni igienico-sanitarie quasi 2mila persone, in larga parte provenienti dall’A-frica sub-sahariana e dal Shael.

Non è la priva volta che scop-piano incendi in questa barac-copoli. Il 4 febbraio scorso una donna nigeriana era morta dila-niata dallo scoppio di una bom-bola del gas. Nel 2019 era morto un altro giovane per le conse-guenze di un rogo scaturito da un cortocircuito di un attacco elettrico di fortuna. Nel 2018 in un incendio di grandi dimensio-ni che distrusse una trentina di baracche trovò la morte un altro giovane bracciante africano. In un anno e mezzo sono deceduti 4 migranti.

Alcuni si sfogano davanti alle telecamere dei giornalisti: “Se continuiamo a vivere in queste condizioni moriranno altri di noi. Siamo persone e non animali. Non possiamo più vivere cosi. Vogliamo una casa, dignitosa come tutti gli essere umani”. A Roma Aboubakar Soumahoro, sindacalista Usb da sempre in prima linea per i diritti dei mi-granti, si è incatenato davan-ti a Villa Pamphili, a pochi pas-si dove si stavano svolgendo gli stati generali dell’economia: “abbiamo dovuto raccogliere i resti di un bracciante morto come un cane, adesso basta”. Una protesta per portare il tema dei miranti, ma soprattutto della condizione in cui sono costretti a vivere e lavorare nelle campa-gne italiane.

Emblematica la situazione di questo agglomerato che nei pe-riodi di raccolta del pomodoro

contiene più di 4mila persone. Sperduto in mezzo alle cam-pagne foggiane, tra Manfredo-nia e il capoluogo provinciale si trova dove una volta c’era una pista dell’Aeronautica Militare, accanto al CARA (Centro Acco-glienza Richiedenti Asilo) ades-so in via di smantellamento. Con o senza questi veri e pro-pri lager, che si chiamino CIE, SPRAR o CARA, il destino dei migranti è fare gli schiavi nei campi raccogliendo frutta e ver-dura e dormire in “alloggi” sen-za un regolare allacciamento di luce, acqua, gas, e dove per il-luminare, scaldare e cucinare vengono usati mezzi di fortuna che spesso causano incendi.

Una vera e propria emergen-za quella degli insediamenti dei migranti della provincia di Fog-gia. Oltre a quello di Borgo Mez-zanone c’è il “Gran Ghetto” che sorge nelle campagne di Rigna-

no Garganico a pochi metri dal nucleo originario, che fu sgom-berato nel marzo del 2017 dalla Direzione distrettuale antimafia di Bari con le ipotesi accusato-ria di presunte infiltrazioni crimi-nali nella gestione del caporala-to nel campo. Anche qui tre anni fa morirono in un rogo due brac-cianti del Mali.

La regione Puglia, ammi-nistrata da una giunta di “cen-tro-sinistra” guidata dal gover-natore PD Emiliano gestisce l’afflusso dei lavoratori stranie-ri come se l’immigrazione fos-se un reato, esattamente allo stesso modo di Salvini e della Lega. Dopo aver sgomberato il “Gran Ghetto” lo scorso anno ha avviato insieme alla prefettu-ra di Foggia un capillare abbat-timento delle baracche di Bor-go Mezzanone. Ciò nonostante, i due insediamenti sono tornati in poco tempo a ripopolarsi, la

stessa cosa è avvenuta nelle baraccopoli e nei casolari peri-colanti sgomberati in tutta la re-gione: a Cerignola e Orta Nova sempre in provincia di Foggia, a Nardò (Lecce), a Turi (Bari).

La Puglia è governata inin-terrottamente dal 2005 dalla “sinistra” borghese. Ma nono-stante le belle parole né i due mandati del trotzkista neolibe-rale Nichi Vendola né quello di Emiliano sono bastati per cam-biare il triste destino di migliaia di migranti che portano avanti il lavoro di raccolta nei campi. De-molire e abbattere, come dimo-strato più volte nel recente pas-sato, non serve a nulla se non si provvede a dare a questi brac-cianti una degna sistemazio-ne abitativa. L’unico risultato è spostare da un’altra parte que-sti nuovi schiavi del capitalismo sfruttati dai caporali e da azien-de agricole locali.

cAporAlAto trA cAlABriA e BAsilicAtA

60 arresti, 14 aziende sequestrate per associazione per delinquere

200 braccianti, trattati come scimmie, costretti a lavorare nei campi in turni di lavoro massacranti �Dal corrispondente della provincia di Reggio Calabria e della CalabriaAssociazione per delinquere

finalizzata all’intermediazione il-lecita e sfruttamento del lavoro, (ossia “caporalato”) favoreggia-mento dell’immigrazione clan-destina. Queste le gravissime accuse che hanno portato all’ar-resto di 60 persone riconducibi-li a due organizzazioni criminali operanti tra Calabria e Basilica-

ta, precisamente nelle provincie di Cosenza e Matera.

La maxioperazione con-dotta dal comando provinciale della Guardia di finanza di Co-senza, scattata all’alba del 10 giugno ha visto impiegati oltre 300 uomini che, coadiuvati dai militari dei Reparti di Catanzaro e Crotone, hanno dato esecu-zione all’ordinanza emessa dal gip del tribunale di Castrovillari, Luca Colitta, su richiesta del so-stituto procuratore della Repub-

blica, Flavio Serracchiani.Poste sotto sequestro anche

14 aziende agricole, di cui 12 ubicate in provincia di Matera e 2 in provincia di Cosenza, in-sieme a 20 automezzi utilizzati per trasportare i 200 braccian-ti reclutati a lavorare nei cam-pi in turni massacranti, che in base a quanto emerso dalle in-tercettazioni ambientali veniva-no chiamati “scimmie” e trattati come tali. Considerati non uo-mini, che grazie alla loro forza-

lavoro garantiscono produttivi-tà e ricchezza al vitale settore delle filiere agroalimentari, ma animali senza diritti e dignità da spremere e sacrificare sull’alta-re del massimo profitto capita-listico, abbandonati alla mercé di caporali e imprenditori senza scrupoli.

Due le organizzazioni sco-perte.

La prima, composta da 16 caporali che dirigevano e con-trollavano l’attività illecita re-

clutando i braccianti anche attingendo dai Cas locali e sta-bilendo le condizioni di impie-go e trasporto presso le diver-se aziende, contabilizzando le giornate che poi venivano paga-te con somme di denaro di gran lunga inferiori al lavoro prestato. 8 i sub-caporali, definiti come la “longa manus” dei primi per la gestione della manodopera. 22 gli imprenditori-utilizzatori che attraverso uno sporco sistema di assunzioni fittizie, riuscivano

a ottenere ingenti risparmi fisca-li e previdenziali.

Coinvolto nella vicenda an-che un dipendente pubblico del comune di Rossano che abu-sando delle sue funzioni, favo-riva l’organizzazione rilascian-do carte d’identità e certificati di residenza per permettere alle aziende agricole di “regolarizza-re” l’assunzione dei migranti.

La seconda, composta da 13 soggetti che per garantire lo sfruttamento della manodo-pera a basso costo, l’immigra-zione clandestina, nonché la permanenza sul territorio nazio-nale degli “irregolari” median-te permessi di soggiorno per ricongiungimento familiare, or-ganizzava finti matrimoni salvo poi decorsi i termini di legge, at-tivarsi subito per avviare il pro-cedimento di separazione e di-vorzio.

Una vicenda davvero ignobi-le perché vede ancora una vol-ta interessati lavoratori bisogno-si e indifesi scampati alla fame e alla guerra (generate dal ca-pitalismo e dall’imperialismo) ri-fugiatasi nel nostro Paese per cercare condizioni di vita miglio-ri e che invece non le trova, ca-dendo in fine vittima del capo-ralato.

Fenomeno questo, alimenta-to e protetto dalle istituzioni de-mocratico-borghesi. Inclusi i go-verni guidati dal dittatore Conte al servizio del regime capitali-sta e neofascista; iniziando con l’approvazione degli infami de-creti sulla sicurezza fortemen-te voluti dall’aspirante duce dei fascisti del XXI secolo, Matteo Salvini, che vanno immediata-mente aboliti, e finendo col de-ludente accordo raggiunto sul-la regolarizzazione dei migranti agricoli del cosiddetto decre-to “rilancio”, che nonostante le lacrime ipocrite della ministra Bellanova, non è stato in grado di torcere un solo capello agli schiavisti delle campagne.

Dopo le denunce dei ciclofattorini

coMMissAriAtA uBer itAliA per sFruttAMento e cAporAlAto

Nelll’ambito dell’inchiesta per intermediazione illecita e sfrut-tamento del lavoro (art. 603bis del codice penale) sulla sezio-ne italiana della multinazionale americana Uber, condotta dal Nucleo di polizia economico fi-nanziaria della GdF di Milano, coordinata dal procuratore ag-giunto Alessandra Dolci e dal pm Paolo Storari, la Sezione mi-sure di prevenzione del Tribu-nale di Milano ha disposto, il 29 maggio scorso, l’amministrazio-ne giudiziaria, ossia il commis-sariamento di Uber Italy per ca-poralato.

I giudici ritengono infatti un vero e proprio sfruttamento quello dei ciclofattorini operan-ti in varie città italiane nell’am-bito del servizio Uber Eats (la consegna di cibo da asporto a domicilio, anche per conto del gruppo Mc Donald’s), appaltato a società terze con il consenso e la consapevolezza da parte di Uber delle condizioni di sfrutta-mento denunciate dai lavoratori.

Negli atti si leggono le dichia-

razioni dei fattorini (rider nella dizione inglese) reclutati anche in un “seminterrato” e soprattut-to migranti “provenienti da con-testi di guerra’’, “richiedenti asi-lo” e persone che dimoravano in “centri di accoglienza tempora-nei” e in stato di bisogno.

“Cottimo puro” sostengono i giudici: “La mia paga era sem-pre di 3 euro a consegna indi-pendentemente dal giorno e dall’ora”, ha messo a verba-le uno dei fattorini. Questo ac-cadeva anche se l’importo che vedevano sulla loro ‘’app’’ era maggiore.

Il lavoro sporco veniva effet-tuato da due società esterne di Milano esterne alla Uber, la Frc e la Flash Road City, ma Uber era “pienamente consapevole della situazione di sfruttamen-to” dei rider pagati “3 euro l’ora” e “puniti” anche togliendo loro le mance e parte dei compensi, come dimostrano alcune con-versazioni e chat trascritte nelle 60 pagine del decreto, tra alcuni manager di Uber e i titolari delle

società, tutti indagati.Se i rider non rispettavano le

terribili condizioni di sfruttamen-to scattavano punizioni e inti-midazioni: “Insistevo per avere subito il denaro - ha dichiara-to un fattorino - e da quel mo-mento sono stato bloccato”. Ac-count bloccati, cifre sottratte alla paga, niente mance fino ad arri-vare alla minacce di violenza fi-sica vere e proprie da parte dei manager: “Ho solo minacciato di venirti a rompere la testa e lo ribadisco... ti vengo a prendere a sberle, ti rompo il ...”, si legge sempre negli atti.

“Non ricordo di aver firmato nessun contratto”, ha dichiarato un ciclofattorino. Ai titolari delle società intermediarie sono stati sequestrati oltre mezzo milione di euro in contanti, nell’ambito della violazione di “tutte” le nor-me sul lavoro, la situazione, si è poi addirittura aggravata con l’emergenza sanitaria a seguito della quale l’utilizzo dei fattorini “è progressivamente aumenta-to a causa della richiesta deter-

minata dai restringimenti alla li-bertà di circolazione”, cosa che “potrebbe aver provocato an-che dei reclutamenti a valanga e non controllati”, fra l’altro sen-za che ai fattorini venissero ga-rantite durante il ‘’lockdown’’ le mascherine e gli altri dispositivi di sicurezza, come i carabinie-ri avevano denunciato alla pro-cura milanese, anche in con-seguenza del fatto che la posta elettronica certificata di una del-le società, registrata presso l’A-genzia delle Entrate e la Came-ra di commercio, era inibita alla ricezione delle comunicazioni e risulterebbe totalmente scono-sciuta all’Inps, non avendo quin-di pagato ai lavoratori i contri-buti previdenziali previsti dalla legge.

Ennesima triste vicenda dello sfruttamento bestiale della forza lavoro prodotta dal capitalismo e dalla legge del massimo profitto, che dimostra, ancora una vol-ta, che padroni e lavoratori non sono affatto tutti sulla stessa barca, che la lotta contro il capi-

talismo, il governo Conte e l’UE imperialista deve continuare an-che nel quadro della lotta per il lavoro stabile, a tempo pieno, a salario intero e sindacalmente tutelato per tutti i lavoratori, i di-soccupati e i migranti, garanten-do per tutta la durata della pan-demia il reddito di emergenza di 1.200 euro e relativa copertura sindacale, per tutti coloro i qua-li sono senza reddito e senza ‘’ammortizzatori sociali’’.

Il conflitto tra il capitale e il la-voro, la contraddizione fra il ca-rattere sociale della produzio-ne e l’appropriazione privata del capitale, tra le forze produttive e i rapporti di produzione, la leg-ge del massimo profitto, tipica del capitalismo monopolistico, ossia l’imperialismo, lo sfrutta-mento dell’uomo sull’uomo, po-tranno essere definitivamente spazzati via solo con il sociali-smo e la conquista del potere politico da parte del proletariato, seguendo la via universale della Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre del 1917.

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N. 22 - 2 luglio 2020 molise / il bolscevico 11Manifestazione a Campobasso

Molise: le Masse popolari in piazzaContro toMa e per la sanità pubbliCaDicono No alla costante disintegrazione della sanità pubblica in regione, da anni portata avanti dalle giunte di “centro-destra” e “centro-sinistra” Il PMlI IN PIazza al loro fIaNco: aPPlauDIto INterveNto IN asseMblea �Dal corrispondente del MoliseNon accenna a placarsi la

sacrosanta rabbia delle masse popolari in Molise a seguito dei continui disastri perpetrati dalla giunta fascioleghista di Donato Toma. Lunedi 22 giugno, sotto la sede del consiglio regionale, oltre un centinaio di manife-stanti si sono radunati per chie-dere le dimissioni del ras loca-le, sempre più lontano da FI e sempre più in quota Lega.

La protesta, indetta dall’“Ag-gregazione di liberi cittadini in lotta per la sanità pubblica”, segue una serie di iniziative che interessano un po’ tutto il terri-torio regionale dall’inizio della fase 2. Fra i partecipanti, diver-si giovani delle aree interne del Molise, sindacati come SOA e USB, esponenti progressisti del mondo cattolico, pensionati e, ovviamente, dei compagni del locale Coordinamento delle si-nistre di opposizione cui aderi-sce il PMLI.

In un servizio a parte de-scriviamo il momento politico nel quale si inserisce questa giornata di lotta con le ultime pagliacciate (eufemismo) che subentrano in un contesto tre-mendo per la sanità regionale: oltre 100 milioni di debito; tasse locali alle stelle; plessi ospeda-

lieri completamente smantellati o fortemente ridimensionati; blocco assunzioni; repressio-ne dell’Asrem, con continui ammonimenti e provvedimenti disciplinari, verso il personale sociosanitario che denuncia ai media il disastro in cui sono co-stretti ad operare; file di decine

di persone sotto il sole per ac-cedere agli ambulatori; ecc.

Potevano le masse popolari restare inermi dinanzi a tanta catastrofe? Ovvio che no: ecco, giustamente, la reazione di piazza del popolo con slogan, fischi e cori lanciati a più ripre-se contro la giunta chiusa nelle

sue stanze dorate e, soprattut-to, la richiesta di dimissioni dei responsabili di tali vergogne.

Bene: fondamentale fare unione con tutte le forze anti-fasciste e contrarie alla priva-tizzazione in corso della sanità. Senza opposizione popolare chi ha il potere si sentirà legitti-

mato a fare i propri comodi!A queste iniziative, come

PMLI continueremo a dare spazio. Per questo abbiamo anche preso la parola duran-te l’assemblea che si è svolta in piazza per ribadire la nostra posizione, non mancando di smascherare i giochetti elet-torali delle forze borghesi, alla fine riscuotendo applausi dalla piazza e apprezzamenti da al-cuni pensionati comunisti. Non è mancato il dialogo con mani-festanti di area cattolica e per-fino con un prete partecipante alla protesta.

Inoltre, come PMLI lavoria-mo costantemente nel Coor-dinamento molisano unitario

delle sinistre di opposizione, assieme alle/ai compagne/i del PCI e del PCL, denunciando più volte sui media locali l’at-tuale situazione (tali documen-ti sono stati rilanciati da quasi tutta la stampa) e scendendo in piazza con la parte migliore del Molise per chiedere la riapertu-ra dei plessi ospedalieri.

Rilanciamo le nostre parole d’ordine: diritto alla salute gra-tuito per tutti, sanità pubblica, gestita con la partecipazione diretta dei lavoratori e delle masse popolari, che disponga di strutture capillari di preven-zione, diagnosi e cura su tutto il territorio e che sia finanziata tramite la fiscalità generale!

sCavalCa il CoMMissario alla sanità, usa bastone e Carota Coi dissidenti, si sposta verso la lega

regione Molise: toma senza limiti va verso il baratro per difendere la sanità privata e umiliare la popolazioneBattuto in consiglio regionale sulla vicenda Covid, cerca di mantenere il suo potere muovendosi sul filo della legalità �Dal corrispondente dal MoliseNon accennano a scemare

la megalomania e la voglia di accentrare tutto il potere nel-le proprie mani del presidente regionale del Molise, sempre meno forzista e sempre più fa-scioleghista, Donato Toma. Il boss di Palazzo D’Aimmo, di-fatti, sta raggiungendo “vette” di inarrivabile audacia e spre-giudicatezza, tramite losche manovre di basso livello.

Il 15 giugno, a seguito delle pressioni del governo nazio-nale che chiedono alla regione Molise di indicare, entro il 17 giugno, quale ospedale adibire a centro Covid (siamo l’unico territorio in tutta Italia ad avere ospedali misti!), nel consiglio monotematico va in scena una clamorosa rottura. Il ras vuole adibire a tal riguardo una par-te dell’ospedale Cardarelli di Campobasso, nonostante le ripetute proteste del personale medico. M5S, PD e alcuni con-siglieri della maggioranza vota-no per il Vietri di Larino (provin-cia Campobasso).

Il re è battuto, non solo nei voti (11 pro Vietri, 8 astenuti, 2 contrari) ma anche sul piano umano: cominciano a volare parole grosse fra l’asse “mode-rato” del “centro-destra” e l’asse più reazionario: Di Lucente, dei Popolari, afferma che “lei si è chiuso in una torre d’avorio, non è essere leader ma avere paura della propria squadra”. Ed è da

qui che partono pennellate d’alta politica che cercheremo di sinte-tizzare.

Salvini era già venuto in Mo-lise qualche giorno prima e ave-va preteso più spazio per i suoi uomini in giunta. Il “moderato” Micone vede la sua poltrona di presidenza del consiglio sempre più a rischio, l’ex presidente del-la regione Iorio, FI, è ai ferri corti col suo erede. Tutto lascia pre-sagire una caduta del “gigante”.

Ma Toma non molla: lavo-ra dietro le quinte con la Lega (prossima candidatura in par-lamento col Carroccio?) per far rientrare nella Lega (e in mag-gioranza come sua sostenitrice) la Calenda, richiama all’ordine i dissidenti di vario orientamen-to che, stringi stringi, aveva-no fatto tanta scena solo per rifarsi una verginità agli occhi dei molisani che da settimane chiedevano a gran voce Larino come centro Covid. Il peso dei 12.000 euro mensili di paga e la possibile crisi pare rientrata, anche se a giorni le opposizioni chiederanno la sfiducia del go-vernatore. Tutto finito? Macché, una porcata tira l’altra!

A seguito della decisione pro Larino, il commissario straordi-nario alla sanità, Giustini, pres-sa subito i dirigenti Asrem per varare un piano da presentare, entro il 17 giugno, a Roma, con meno di 48 ore di tempo a di-sposizione! I vertici, fedeli sol-datini del ras, fanno i capricci: “non collaboriamo!”. Allora

Giustini si rivolge a un dirigen-te di secondo livello, Giorgetta, che accetta l’incarico: ma figu-riamoci, il Dg dell’Asrem Flo-renzano (come detto, uomo di Toma), lo avrebbe minacciato di provvedimenti disciplinari e tutto si blocca. Il commissario è costretto a far tutto da sé e invia a Roma un suo progetto ma a poche ore dalla scaden-za fissata dal ministero, oplà, appare per “magia” un secon-do progetto firmato Toma che rilancia per il plesso del capo-luogo! Cose da pazzi!

Ma cosa c’è dietro questi giochetti? Soldi e potere, si capisce: Toma ha tutto l’inte-resse a non far ripartire il Vietri, ospedale oramai prossimo alla chiusura totale e che, se adibi-to a centro Covid con fondi del governo nazionale, potrebbe poi rompere le scatole al vero padrone del Molise, l’eurode-putato Aldo Patriciello (FI pure lui) che con il suo Istituto Neu-romed intasca vagonate di sol-di dalla regione che gli ha fat-to aprire tanti reparti nella sua clinica privata chiudendoli nel pubblico!

Insomma, ostruzionismo po-litico per i “nobili” fini dei gua-dagni e del potere privato! Il tutto, calpestando il diritto alla salute delle masse popolari, confermando la volontà di pri-vatizzare quanto più possibile la sanità regionale e umiliando persino la stessa democrazia borghese: “me ne frego del

consiglio, eia eia eia alalà!” avrà pensato il governatore.

Specifichiamo che per legge il riordino della rete ospedalie-ra spetta al consiglio regionale; Toma, con la scusa che il piano Giustini sarebbe illegale poi-ché non sottoposto al vaglio della commissione consiliare, avrebbe provveduto di persona a presentare il da farsi al mini-stero. Se non è abuso d’ufficio questo!

Toma, per chiudere, è in corteggiamento con la Lega, e spera di far sbattere Giusti-ni (non che abbia fatto tanto quest’ultimo) fuori dal Molise per farsi padre padrone di tutto, si muove ben oltre i limiti della decenza borghese, corre come una locomotiva impazzita su un binario che termina su un burrone: “disgraziatamente”, le carrozze al seguito sono occu-pate da 305.000 molisani!

Nell’attesa che il Tribuna-le civile si esprime sul ricorso avverso la cancellazione della surroga a legislazione in cor-so, che potrebbe portare ad elezioni anticipate, possono le masse popolari restare inermi dinanzi a tali criminali vigliacca-te (per non parlare dei tanti altri problemi come disoccupazio-ne, spopolamento, trasporti e infrastrutture al collasso, ecc)? Non sarebbe l’ora di occupare il palazzo regionale? Occorre comprendere che bisogna lot-tare non solo contro la privatiz-zazione della sanità ma anche

sottrarla dalle grinfie dei “tec-nici”, degli “esperti” borghesi e metterla sotto la diretta gestio-ne del popolo?

Mandiamo a casa questi

borghesi, incompetenti, dittato-riali e clientelari servi del priva-to, del profitto, del capitalismo: fuori i fascioleghisti dal Molise e dall’Italia!

Campobasso, 22 giugno 2020. Due momenti della manifestazione sotto la sede del consiglio regionale contro il governatore Toma e per la sanità pubblica alla quale ha partecipato il PMLI

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Non siamo sulla stessa barca, come predi-cano insistentemente Conte e i partiti governativi, ai quali si è aggiunto ora il papa. Le barche sono due, quella delle forze del capitalismo e quella delle forze anticapitaliste. L’una e l’altra hanno rematori diversi e destinazioni opposte.

L’emergenza sanitaria non ha annullato né le disuguaglianze sociali e territoriali, che anzi sono aumentate, come dimostrano le prime ribellioni dei senza lavoro e dei senza soldi del Sud d’Italia né le classi e la lotta di classe. In nessun momento della vita sociale, nemmeno quando c’è una emergen-za, foss’anche una guerra imperialista, mai bisogna mettere da parte la lotta di classe. Anzi, è proprio in questi momenti che bisogna tracciare una chiara e netta linea di demarcazione tra il proletariato e le masse popolari da una parte e la borghesia e il suo governo dall’altra parte. Perché gli interessi e le esigenze dei primi sono contrapposti a quelli dei secondi. Senza mai dimenticare che il tricolore e l’inno di Mameli rappresentano solo la classe do-minante borghese, non la classe operaia e tutti gli sfruttati e gli oppressi della dittatura borghese e del capitalismo.

La lotta di classe non può non continuare, pensando all’Italia futura. Quella che ha in mente il governo sarà peggiore di quella attuale. Persisterà il dominio della borghesia e del capitalismo, si ag-graveranno le disuguaglianze sociali e territoriali, le condizioni di vita e di lavoro delle masse, la disoc-cupazione e la povertà, ed è probabile che divente-ranno permanenti, con qualche aggiustamento, l’i-solamento sociale, il controllo sociale, il telelavoro, l’insegnamento a distanza, il restringimento delle libertà e della democrazia borghese, l’emarginazio-ne, la militarizzazione del Paese, del parlamento, e il nazionalismo patriottardo e fascista. In sostanza verrà rafforzato il regime capitalista neofascista.

L’Italia futura che abbiamo in mente noi mar-xisti-leninisti vede invece il dominio del proletaria-to e del socialismo, la cancellazione di ogni tipo di disuguaglianza e l’inizio della soppressione delle classi che avverrà nel comunismo, la fine della di-soccupazione e della povertà, il lavoro per tutti, il benessere del popolo, piena libertà e democrazia per il popolo. In sostanza una nuova economia e un nuovo Stato modellati secondo gli interessi del proletariato e delle masse lavoratrici e in grado di affrontare qualsiasi emergenza, a partire da quella sanitaria.

Da solo il PMLI, anche quando avrà un corpo da Gigante Rosso, non ce la potrà mai fare, perciò invitiamo tutte le forze sociali, politiche, partitiche, a cominciare da quelle con la bandiera rossa e la falce e martello, sindacali, culturali e religiose anti-capitaliste a unirsi e a lottare insieme per realizzare l’Italia socialista del futuro. Acquisendo la cultura, la strategia, la tattica e l’esperienza che hanno con-sentito la vittoria del socialismo nella Russia di Le-nin e Stalin e nella Cina di Mao.

Tutto ciò si può apprendere facilmente, ap-profittando tra l’altro del coprifuoco in atto, attraver-so la lettura del “Manifesto del Partito Comunista” di Marx ed Engels, di “Stato e rivoluzione” di Lenin, dei “Principi del leninismo” e “Questioni del leninismo” di Stalin e dell’opera di Mao “Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo”. Quanto prima

si acquisisce questa cultura e questa pratica socia-le, tanto prima ci si libera dall’influenza borghese riformista, elettoralista, parlamentarista, costituzio-nalista, governista e pacifista, che affligge anche il cosiddetto “socialismo del XXI secolo” basato sul pensiero riformista e revisionista di Gramsci, tanto prima riusciremo a dare una svolta rivoluzionaria alla lotta di classe in Italia.

Il socialismo non è dietro l’angolo, anche per-ché il proletariato deve ancora prendere coscienza di essere una classe per sé, il che non impedisce di pensarci fin d’ora e di lavorare alacremente per creare tutte le condizioni soggettive che necessita-no per conquistarlo attraverso la rivoluzione prole-taria. In questo quadro, occupandosi dei problemi immediati, le forze anticapitaliste hanno il dovere di lottare unite per ottenere subito 1.200 euro al mese per chi è senza reddito e senza ammortizzatori sociali finché dura l’emergenza del coronavirus; per il rafforzamento e lo sviluppo del sistema sa-

nitario nazionale e l’abolizione della sanità privata; per l’abrogazione del titolo V della Costituzione e la relativa autonomia differenziata delle regioni; per l’abrogazione dell’articolo 81 della Costituzione che impone il pareggio di bilancio, della legge Forne-ro, del Jobs Act e dei decreti sicurezza; per l’uscita dell’Italia dall’Unione europea imperialista, consi-derando anche che non ha fatto nulla fin qui per aiutarci nella lotta contro l coronavirus.

Nel nostro Paese capitalista, come sanno benissimo le masse sfruttate e oppresse per espe-rienza diretta, non esiste né libertà né uguaglianza. Lenin, di cui celebriamo il 150° Anniversario della nascita con un importante documento dell’Ufficio politico del PMLI, in uno scritto del 1920 dal tito-lo “Falsi discorsi sulla libertà”, rilanciando le parole di Engels sull’“Anti-Dühring”, secondo le quali “l’u-guaglianza è un pregiudizio o una stupidità. Se per uguaglianza non s’intende la distruzione delle classi” , ha rilevato che “le parole d’ordine dell’epoca nostra sono, e devono essere ine-vitabilmente: distruzione delle classi, dittatura del proletariato per il raggiungimento di que-sto fine, smascheramento implacabile di tutti i pregiudizi piccolo-borghesi democratici sulla libertà e sull’uguaglianza, lotta spietata contro questi pregiudizi” . Ed ha aggiunto: “Finché non sono distrutte le classi, qualunque discorso ge-nerico sulle libertà e sull’uguaglianza è un mez-zo per ingannare se stessi e per ingannare gli operai e tutti i lavoratori e gli sfruttati dal capita-le, ed è, in ogni caso, una difesa degli interessi della borghesia” .

Noi marxisti-leninisti italiani siamo piena-mente d’accordo con il fine che ha proposto Lenin, fin da quando nel settembre del 1967 abbiamo co-minciato a preparare le condizioni per la fondazione del PMLI. Ritenendo che non c’è cosa più bella, più utile, più rivoluzionaria, più appagante che servire con tutto il cuore il popolo e lavorare per il trionfo della nobile causa del socialismo. Costi quel che costi, andremo quindi fino in fondo sulla via dell’Ot-tobre verso l’Italia unita, rossa e socialista. Sicuri che alla fine coi Maestri e il PMLI vinceremo!

Firenze, 31 marzo 2020

dall’Editoriale per il 43° Anniversario della fondazione del PMLI “Coronavirus e l’Italia del futuro”

12 il bolscevico / PMLI N. 22 - 2 luglio 2020

Non siamo sulla stessa barca. Creiamo le condizioni per la lotta per il socialismo e il potere politico del proletariato di Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI

Roma, 6 dicembre 2003. Giovanni Scuderi guida la delegazione naziona-le del PMLI alla manifestazione nazionale contro la “riforma delle pensio-ni” del governo Berlusconi (foto il Bolscevico)

Firenze, 30 maggio 2020. Flash mob /corteo con la parola d’ordine “nessuno deve rimanere indietro”. Al centro si nota il cartello del PMLI “Non siamo sulla stessa barca” (foto Il Bolscevico)

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N. 22 - 2 luglio 2020 cronache locali / il bolscevico 13Intervista de “Il Bolscevico” a Federico Giusti, delegato Rsu e Rls al Comune di Pisa e attivo nel collettivo de “La città futura”

oltre che nella redazione di “Lotta Continua”

“CostRuIamo un Patto antICaPItaLIsta, PeR una sanItà ReaLmente PuBBLICa e PeR IL LavoRo”

Abbiamo intervistato di recente Federico Giusti, de-legato Rsu e Rls al Comune di Pisa e attivo nel colletti-vo de “La città futura” oltre che nella redazione di “Lotta Continua”, sui temi della sa-nità e del lavoro ai tempi del Coronavirus. Un’intervista che non impegna le realtà su menzionate.

Siamo d’accordo con Fe-derico sulla sanità pubblica, universale, gratuita, senza ti-cket, accessibile a tutti, così come il rifiuto dell’impunità ai manager pubblici e privati che si sono macchiati di con-dotte criminali nella pande-mia sia una scelta di classe. Siamo d’accordo anche nel costruire un “Patto anticapi-talista”, auspicando che sia-no invitate tutte le forze poli-tiche, sindacali e movimenti, nessuna esclusa. Mentre non possiamo essere d’accordo, per ovvi motivi, sulla, seppur interessante, esperienza de-gli autoconvocati quale “em-brione del Partito”.

Come cambia l’organizzazione del lavoro ai tempi del corona-virus?

Premesso che non siamo an-

cora usciti dalla pandemia, visto che abbiamo smesso di fare i tamponi a tappeto e si sono nel frattempo registrati contagi an-che lontano dalle aree più colpite, il coronavirus non è una tragica invenzione, come asserito da stu-pidi negazionisti, ma una tragica realtà.

Il problema è che rischiamo di non porci le reali domande sul perché i contagi abbiano prodot-to in Italia oltre 33 mila morti, del dissesto della sanità pubblica, della distruzione dei posti letto, e in terapia intensiva, negli ospe-dali, dei tagli imposti alla salute per favorirne invece la privatiz-zazione. Il modello lombardo ha fallito ma anche nelle regioni governate dal “centro-sinistra” la sanità è stata soggetta a tagli di cliniche e ospedali, la riduzione delle spese ha portato ad appalti al ribasso e alla chiusura di pre-sidi sanitari.

La medicina di base e pre-ventiva è il punto di partenza per il rilancio della sanità pubblica ma attenzione a come usiamo i termini: ritornare alla sanità pub-blica significa denunciarne la privatizzazione ma anche cadere nell’equivoco che pubblico, ge-stito con le logiche delle libera-lizzazioni e dell’austerità, sia un bene comune da difendere. In

realtà quella pratica della sanità e dei servizi pubblici è lontana da noi quanto la sanità privata e le privatizzazioni. Ricordiamo che oggi dai privati si fanno analisi in tempi più rapidi e con meno sol-di che nelle strutture pubbliche, quindi o si cambiano le cose o andiamo a difendere un’idea del pubblico che non corrisponde ai canoni da noi auspicati: effi-cienza del servizio, gratuità dello stesso, universalità e accessibi-lità del diritto di cura e preven-zione.

Noi dovremmo evitare che tutto finisca nell’oblio e rilan-ciare invece una campagna di informazione sulle responsabi-lità delle morti e dei contagi. Il rischio che corriamo è duplice, da una parte l’oblio accompa-gnato dalla voglia, spesso in-dotta, di ritorno alla normalità, dall’altra ridursi a petizioni, ini-ziative una tantum senza fare del diritto alla cura e alla salute il terreno di scontro privilegiato.

Spiegati meglio.Impunità per i manager pub-

blici e privati: è possibile che nel paese ci si indigni per la scarce-razione di detenuti comuni e non si dica una parola sui politici e sui corrotti a piede libero? È poi accettabile che si finisca con

l’assumere posizioni giustiziali-ste quando nelle carceri italiane a marzo sono morti suicidi tanti detenuti e stanno venendo a gal-la situazioni di illegalità verso i detenuti stessi?

Io credo che il rifiuto della impunità dei manager pubblici e privati sia una scelta di clas-se. Non cerchiamo colpevoli per partito preso ma temiamo che le migliaia di cause per conta-gio depositate all’Inail finisca-no con indennizzi a carico dello Stato senza che siano chiamati a risponderne i datori di lavoro, soprattutto se hanno adottato protocolli antiCovid e a prescin-dere dall’efficacia degli stes-si. Pensate che il paese voglia l’impunità? Noi cosa pensiamo di fare? Seguire passivamente le polemiche giornalistiche o ri-vendicare verità e giustizia per le vittime del contagio e adope-rarci per arrivare a dei risultati?

Cosa è cambiato nei posti di lavoro?

Intanto è bene ricordare che al primo punto del Piano Colao si trova quella che abbiamo de-finito la impunità per i manager pubblici e privati. L’ultima circo-lare Inail secondo noi è fin troppo accondiscendente verso i datori di lavoro e subisce settimane di

pressioni e di polemiche costruite ad arte. Poi ricordiamo che i i tetti di spesa sono ancora al loro po-sto e valgono per la stessa spesa sanitaria. Cosa succederà a metà agosto quando finirà il divieto dei licenziamenti collettivi? E qua-lora dovessero prorogarlo a fine anno, il problema di ripresenterà a gennaio 2021. Molti appalti po-trebbero essere rinnovati al ribas-so con meno soldi, contrazioni oraria e meno posti di lavoro, la crisi rischiano di pagarla ancora una volta i lavoratori e le lavora-trici. Per questo crediamo giusta la parola d’ordine di costruire un Patto anticapitalista.

Pensiamo dirimente relazio-narci soprattutto nei posti di lavo-ro ove invece la frammentazione di sigle è evidente. Gli autocon-vocati sono stati un’esperienza importante, da rilanciare, perché mettono al centro il ruolo di dele-gati come soggetti e avanguardie che a prescindere dall’apparte-nenza sindacale costruiscono percorsi di unità e di conflitto, po-tremmo anche giudicarli una sor-ta di embrione del partito. Ma la questione sindacale e quella poli-tica sono sempre più intrecciate e spesso il sindacato ha sopperito alla carenza della politica sosti-tuendosi ad essa e lì sono iniziati i problemi.

Dovremmo vedere le questio-ni in termini laici e non dogmatici, resta il fatto che oggi i comuni-sti non hanno una posizione sul lavoro, sul conflitto tra capitale e lavoro e neppure sulla milita-rizzazione del territorio. Voglio farvi un solo esempio: è possibile sottrarsi alla lotta contro il poten-ziamento delle basi militari Usa e Nato perché egemonizzato da alcune organizzazioni sindacali? Noi pensiamo di no, le realtà di movimento antagoniste da anni hanno dimenticato non solo il tema delle servitù militari (in To-scana almeno ma non in Sarde-gna giusto per non cadere negli schematismi) ma anche la que-stione palestinese per la quale si sono battuti per anni.

I comunisti dovrebbero parla-re di meno e agire di più, assu-mere posizioni chiare e a stretto contatto con la classe di riferi-mento. Pensiamo che il tema della sanità come quello del lavoro siano argomenti da privi-legiare visto che nelle prossime settimane il rischio che a stru-mentalizzare la crisi sia la destra sociale e politica è sempre più reale e in tal caso, troveremmo ancora una volta le masse popo-lari in preda della reazione e di svolte tanto autoritarie quanto neoliberiste.

LetteRa aPeRta dI vaLdIsIeve In tRansIzIone a euGenIo GIanI, CandIdato deL Pd a GoveRnaRe La ReGIone tosCana

“Imporre con la forza l’inceneritore di Livorno è portare indietro la ruota della storia per il corretto smaltimento dei rifiuti”

Riceviamo e volentieri pubblichiamo in ampi estratti.

“Il candidato Presidente della Toscana alle prossime elezioni regionali per il Partito Democrati-co, Eugenio Giani, afferma che il gassificatore (inceneritore) di Li-vorno si farà, se necessario, ‘coi carri armati’”.

Caro Sig. Giani,quando abbiamo letto le sue

dichiarazioni, a noi di Valdisieve in Transizione è venuta in men-te quella frase che il popolo di Firenze indirizzò a Bartolomeo Ammannati, dopo che ebbe vi-sto eretto il “Biancone” in Piazza Signoria. “O Ammannato o Am-mannato, che bel marmo t’hai sciupato!” Lei Giani, invece po-trebbe sciupare un’occasione.

Noi in Valdisieve siamo pre-occupati. Abbiamo lottato per 10 anni contro un inceneritore, ab-biamo dovuto mordere la polvere mese dopo mese e anno dopo anno e infine vi abbiamo convin-ti, parlo del suo partito, che era-no soldi buttati via. Noi abbiamo ancora un brivido nella schiena al pensiero di cosa sarebbe suc-cesso se non ce l’avessimo mes-sa tutta per impedirvelo. Avrem-mo speso 90 milioni di euro che noi cittadini dovremmo pagare per i prossimi 30 anni, e dovrem-mo andare a caccia di rifiuti da bruciare per ogni dove, senza, forse, trovarne abbastanza. Bel risultato avere speso un sacco di soldi per vedersi annerire la bian-cheria stesa al sole dalle ceneri del “sudicio”, magari non diffe-renziato a dovere, altrui.

Tornando al suo gassificatore, ci dispiace vedere che nel fare di quel progetto il punto centrale e qualificante della modifica al Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti e Bonifica dei Siti Inquinati (PRB) avete dimenticato le di-rettive europee, che pongono lo smaltimento in fondo alla gerar-chia delle azioni per una corretta

gestione dei rifiuti. Voi lo avete collocato al primo posto, e uni-co, ci pare. Non sarebbe meglio pianificare tutto il resto prima: RIDURRE, RIPARARE, RIUSA-RE, RICICLARE, come l’UE pre-scrive? Forse facendo questo le quantità da “smaltire” si ridurreb-bero. La Toscana tra l’altro ha pa-recchio da fare per raggiungere perfino il minimo del 70% di RD previsto per il 2020. I comuni che sfiorano o superano il 90, ci rie-scono per la caparbietà dei loro cittadini. A Firenze, invece, culla del Rinascimento, non siamo al 54% (ISPRA 2018). E spacciare l’incenerimento, di qualsiasi tipo, come alternativo alla discarica, è un’altra mistificazione. Non ci avete detto ancora dove mette-rete le ceneri che quell’impian-to produrrà come residuo della combustione. Ma sarà per forza una discarica.

Anche se vi abbiamo ormai perdonati per l’inceneritore di Selvapiana, che ci dicevate così indispensabile, come dite ora

per Livorno, ci stanno un po-chino sullo stomaco quei quasi 2 milioni e mezzo che abbiamo dovuto comunque pagare, tut-to il nostro ATO, per le spese di quei 10 anni. È vero, sono pochi spiccioli a famiglia, ma tutti insie-me sono tanti. Ci piange il cuore pensare a quello che ci avremmo potuto fare. Pensi che un gruppo di noi, senza sapere né leggere né scrivere, ha creato un Labo-ratorio di Riparazione e Riuso, in un posto defilato, e riesce pure a pagare l’affitto. Salva tanta roba alla discarica, ripara e rimette in circolo elettrodomestici, insegna un mestiere a chi lo volesse im-parare. Tutto questo senza una lira. Un altro gruppo, altrettanto dai “piedi scalzi” sta presentan-do progetti di promozione del commercio locale tramite un si-stema di incentivi a comporta-menti ecologicamente virtuosi, ha organizzato un mercato dei produttori locali e sta promuo-vendo le piccole filiere agroali-mentari del territorio. Potremmo

fare altri esempi. Tutto senza una lira. Senza una sede, andando a riunirsi nella sala d’aspetto del-la stazione, la sera, quando c’è poca gente ad aspettare il treno.

Pensi cosa avremmo potuto fare se avessimo avuto un deci-mo di quella cifra che anche noi ci siamo levati di tasca.

E se lei ci viene a parlare di inceneritori, Giani, scusi, ma noi non la prendiamo tanto bene.

Perché noi in Valdisieve, inve-ce, grazie all’azione delle asso-ciazioni e dei comitati, abbiamo un paio di comuni che sfiorano il 90% (ISPRA 2018) di raccolta differenziata e saliranno anco-ra, applicano la tariffa puntuale, hanno le strade pulite, anche in campagna, e quei pochi, che an-cora tengono i cassonetti strada-li a disposizione di sporcaccioni anonimi, ci stanno ripensando.

Sì, siamo preoccupati in Val-disieve, perché ci impegniamo a cercare soluzioni che rilancino l’economia, le filiere produttive locali, la partecipazione demo-

cratica, la creatività e l’ingegno delle comunità, guardando avan-ti e non indietro. Ci farebbe dor-mire male un governatore che ci rema contro.

Lei Giani da che parte sta? Ce lo dica.

Non ci racconti che sta dalla parte delle scelte che portano ricchezza e lavoro. Tutto porta ricchezza e lavoro, quando si lavora e si produce, ma bisogna scegliere cosa e come. Vuo-le difendere un ceto produttivo stanco e stantio? Che fa scelte stanche e stantie per pigrizia, per avidità, perché pensare al nuovo e al futuro è più rischioso? Che sta al caldo dentro interessi sicu-ri di consolidati comitati di affari, dotati di una desolante e cronica mancanza di immaginazione, ma

di un enorme portafoglio sem-pre da riempire, o di non meglio identificate varietà floreali di cer-chio magico?

Se sarà eletto avrà 5-10 anni, sono tanti, sono una grande oc-casione, un patrimonio che ap-partiene a chi avrà, e a chi non avrà votato per lei. Lo spenda bene.

Non sappiamo se sceglierà questa strada, ma sappiamo che il vecchio la storia se lo porta via sempre, con le buone o con le cattive.

E noi faremo di tutto perché le “cattive” non prevalgano, per la stupidità e l’inettitudine di chi avrà la responsabilità di sceglie-re.

Arrivederci Giani, Auguri.Valdisieve in Transizione

Conto corrente postale 85842383 intestato a: PMLI - Via Antonio del Pollaiolo, 172a

50142 Firenze

ComunICato deLLa sezIone anPI dI Fano

Le scritte fasciste contro l’anPI offendono la memoria di chi ha perso la vita per liberare l’Italia dal nazifascismo

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

Un altro pessimo segnale di questi tempi. Abbiamo let-to questa mattina in via Aldo Moro, imboccandola da via Trave e impressa sulle tavole antirumore, una scritta fomen-tatrice di violenza e odio contro l’Associazione nazionale parti-giani italiani.

Per questi poveri imbecilli, che compiono simili azioni, non possiamo che provare tanta pena, per la squallida esistenza alla quale sono relegati. L’igno-ranza che li domina, gli impedi-sce di conoscere la storia e di sapere quindi, che attaccando l’Anpi, offendono la memoria di chi ha perso la vita per liberare l’Italia dal nazifascismo a favore della democrazia, permettendo

oggi, anche a chi commette certe scempiaggini, di potersi “esprimere”.

Invitiamo le Istituzioni pre-poste a intervenire, sia per can-cellare quella scritta oscena e individuare i fascistelli respon-sabili.

Il direttivo Anpi sezione “Leda Antinori”

- Fano (Pesaro Urbino)

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14 il bolscevico / cronache locali N. 22 - 2 luglio 2020

Denunciando le infiltrazioni mafiose e i crimini ambientali nel comprensorio

Il PMlI chIaMa In causa I PolItIcI fucecchIesI localI

�Redazione di FucecchioForte denuncia della Cellu-

la “Vincenzo Falzarano” di Fu-cecchio (Firenze) del PMLI, in-tervenuta sulla vicenda delle infiltrazioni mafiose e dello smal-timento illegali di rifiuti in Tosca-na e in particolare nel territorio del Comprensorio del Cuoio e dell’Empolese-Valdelsa, area a cavallo delle province di Pisa e Firenze.

Riciclaggio di denaro sporco e sversamento di sostanze peri-colose non possono essere più considerati fatti sporadici, ma

attività consuete e consolidate nella zona in questione, con evi-dente responsabilità delle ammi-nistrazioni locali (quasi sempre a guida PD) e delle “opposizio-ni” (generalmente rappresentate dai fascioleghisti).

La denuncia della Cellula è stata pubblicata dal sito “il cuoio in diretta”, mentre dal comunica-to stampa è stato estratto un vo-lantino diffuso tra le masse della cittadina assieme ad altra propa-ganda di carattere nazionale.

Di seguito il testo del volanti-no, datato 16 giugno.

Mafia e “terra dei fuochi”

tra le province di Pisa e firenzeMa per i politici locali esiste solo la micro-

criminalità e la “sicurezza”Oltre 24mila tonnellate di ri-

fiuti nocivi e inquinanti come idrocarburi e cromo esavalente usati per concimare terreni agri-coli tra Pisa e Firenze. Respon-sabile il Consorzio SGS di Santa Croce collegato all’Associazione

Conciatori.I sottoprodotti animali, trami-

te falsi certificati di analisi, figu-ravano idonei alla concimazione ma contenevano valori anche 20 volte più alti del consentito. La Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) tramite il Gip ha seque-strato preventivamente al con-sorzio 3 milioni di euro risparmia-ti con il mancato conferimento alla discarica dei rifiuti speciali. Sequestrati pure 300mila euro per gli agricoltori coinvolti, pagati per smaltire i rifiuti.

Nei soliti giorni il prefetto di Firenze emanava nei confronti di un azienda di Fucecchio sospet-tata di riciclaggio una Interditti-va antimafia (divieto di rapporti con la Pubblica Amministrazio-ne). Infine, da un indagine della DDA di Reggio Calabria è emer-so che la società AVR ha legami con la ‘ndrangheta (e la politica). L’AVR ha interessi anche in To-scana, tra cui il contratto per la manutenzione della superstrada FI-PI-LI.

Per il momento la politica è stata solo sfiorata (accertamenti per riciclaggio sulla ditta dell’as-

sessore PD Bertini a S. Miniato) ma c’è poco da stare allegri: ge-stione illegale di rifiuti e infiltra-zioni mafiose sono ormai una triste realtà. Il presunto modello toscano fatto di virtuosismo am-bientale, imprenditori “illuminati” e “buona amministrazione rifor-mista” esiste solo nella fantasia dei sindaci e del Governatore PD della Toscana Rossi.

La politica delle privatizzazio-ni, compresa la gestione dei ri-fiuti, la supremazia aziendale su quella collettiva, l’intreccio tra in-teressi pubblici e privati, il presi-denzialismo con il potere a po-che persone, fatte proprie, oltre che dalla destra, dalla “sinistra” borghese, hanno favorito nelle nostre zone fenomeni che si cre-devano relegati ad altre regioni.

E mentre le amministrazioni locali e le “opposizioni” si acca-pigliano su quante telecamere installare, su quanti Daspo rifi-lare agli emarginati sociali, su come sorvegliare la tomba di In-dro Montanelli, ci ritroviamo con la terra dei fuochi e i tentacoli della piovra mafiosa ben piantati nel nostro comprensorio.

Fucecchio (Firenze), 20 giugno 2020. Un momento della diffusione alla Coop del volantino sulle infiltrazioni mafiose riprodotto a parte

comunicato dell’organizzazione locale del PMlI

Biella si desertifica di attività lavorative a causa delle leggi del capitalismo in crisi

L’amministrazione Corradino sospenda l’incasso delle tasse comunali

Purtroppo la centralissima via Italia di Biella si sta trasfor-mando in un campo di batta-glia che miete parecchie “vit-time”.

La mancata riapertura, dopo il lockdown, della catena per cure dentali Dentix, che ha ufficialmente presentato istan-za di fallimento, vede truffa-ti decine di biellesi che hanno anticipato considerevoli som-me di denaro, per non parlare dei posti di lavoro che si per-deranno dal fallimento della Dentix stessa. Ricordiamo le serrate dei punti vendita Ste-fanel e Maison et Cadeaux degli scorsi mesi. Purtroppo non ha ancora riaperto la sto-rica pasticceria bar Cossu. Di fronte a Cossu ha chiuso i bat-tenti il negozio Fratelli Piacen-za 1733 che ha appena aper-to un negozio ad Hong Kong.

Queste sono le dure leggi capitalistiche a cui negozi e fabbriche devono sottostare, dove la spietata concorrenza e la ricerca del massimo pro-fitto porta, necessariamen-te, a chiudere i punti vendita “improduttivi” per incrementa-re quelli che invece lo sono. Così la decisione dello stori-co Lanificio Piacenza 1733 di chiudere lo store di Biella in fa-vore di Hong Kong. La nostra “povera” via Italia si sta lenta-mente spegnendo ed i proble-mi atavici dell’isolato biellese - l’unico capoluogo di provin-cia piemontese con una rete ferroviaria senza elettrifica-zione e pessimi collegamenti stradali - si mostreranno an-cor più evidenti nei prossimi

mesi quando i temporanei aiu-ti di Stato finiranno, cassa in-tegrazione e blocco dei licen-ziamenti, e ancora una volta centinaia di biellesi perderan-no il posto di lavoro. Le voci tra le lavoratrici e i lavoratori corrono frenetiche e tutti con-cordano che il vero problema per l’industria tessile e mec-cano tessile è che non ci sono all’orizzonte consistenti nuovi ordinativi che possano far ben sperare in una solida ripresa economica.

Nell’immediato l’ammini-strazione Corradino, in primis l’assessora al Commercio, Barbara Greggio, deve so-spendere l’incasso delle tasse comunali sulle attività econo-miche commerciali del cen-tro città e favorire in qualsiasi modo - contributi per il paga-mento degli affitti, agevolare ed estendere il credito d’im-posta - i giovani che intenda-no cimentarsi in una propria attività commerciale avviando un negozio o un laboratorio artigianale in via Italia o zone adiacenti.

Per il prossimo futuro noi marxisti-leninisti riteniamo che il socialismo sarà l’unica risposta concreta e realizza-bile per contrastare licenzia-menti e cicliche crisi economi-che capitalistiche perché nel socialismo l’economia servi-rà il popolo e non il contrario, come avviene oggi, prigionie-ro dell’economia capitalistica!

Per il PMLI.BiellaGabriele Urban

Biella, 17 giugno 2020

In piazza Giotto a Vicchio del Mugello (firenze)

ParteciPato Flash mob contro il Progetto dell’imPianto

eolico Villore-corellaIngiustificata repressione dei manifestanti da parte dei carabinieri

�Dal corrispondente dell’Organizzazione di Vicchio del Mugello del PMLINel pomeriggio di sabato 20

giugno si è svolto un partecipato Flash mob nella centrale piazza Giotto a Vicchio del Mugello con-tro lo scellerato e ambientalmen-te devastante progetto dell’im-pianto eolico Villore-Corella nei comuni di Vicchio e Dicoma-no, ma che complessivamente impatta molti altri comuni della zona, ad iniziare dalle opere via-rie per il trasporto delle gigante-sche pale, che una volta monta-te tutte e otto avranno un altezza di 170 metri.

Una gigantesca cementifica-zione in piena regola del pre-giato, da un punto di vista natu-ralistico, crinale mugellano che verrebbe distrutto, con tutti i dan-ni derivati, dalle abitazioni al turi-smo diffuso, ecc.

Progetto, che di fatto ha l’a-vallo delle giunte comunali di “centro-sinistra” Carlà di Vicchio e Passiatore di Dicomano, pre-sentato dalla SPA multiservizi di Verona AGSM, una cui par-tecipata AMIA negli ultimi tem-pi è stata travolta da un’indagi-ne della procura veronese per infiltrazioni mafiose. Sta proce-dendo l’iter autorizzativo dei per-messi per l’impianto, con le re-lative procedure mandate avanti come un “rullo compressore”. In-fatti dai manifestanti è stata ri-chiesta anche che sia assicura-ta la cosiddetta “partecipazione” nel processo decisionale dell’im-pianto eolico bloccata dalle limi-tazioni per la pandemia di que-sti mesi. Questo la dice lunga su da che parte sta la giunta regio-nale della Toscana, anch’essa di “centro-sinistra”.

I manifestanti, provenienti dai comuni di Vicchio, Dicomano e Borgo San Lorenzo, si sono di-sposti sulla scacchiera per il di-stanziamento della piazza, con i tanti colorati cartelli che in modo

creativo denunciavano questa speculazione e anche il lega-me suddetto con la ‘ndrangheta. Presenti un’ottantina di manife-stanti, che è un ottimo risultato a livello popolare, tra cui molte donne. Diversi i manifestanti che fanno riferimento al “Comitato per la Tutela dei Crinali Mugella-ni”. Inoltre c’erano esponenti del M5S, alcuni consiglieri comuna-li, di Italia Nostra e di Federcac-cia. Si è formato un Fronte unito molto ampio sulla questione che include molti ambientalisti, l’as-sociazione “DicomanoCheVer-rà” e il CAI.

Tra i partecipanti il Respon-sabile dell’Organizzazione di Vicchio del PMLI, nel quadro del lavoro di massa. Aveva un bel-lo e assai fotografato cartello, apprezzato da diversi presenti che sottolineavano che il nostro Partito non manca mai in que-ste occasioni. C’è chi si è voluto far fotografare insieme al nostro compagno e anche col monu-mento a Giotto sullo sfondo.

I manifestanti, in buon nu-mero e alla spicciolata o sin-golarmente, comunque ben di-stanziati, sono passati anche dall’attigua piazza della Vittoria.

A fine iniziativa si è scatena-ta la furia repressiva del regime neofascista imperante con l’ar-

rivo di due volanti a sirene spie-gate dei carabinieri che hanno schedato un certo numero di manifestanti e sequestrato dei cartelli, prendendo a pretesto presunte irregolarità nei per-messi. Insomma, è stata spe-rimentata fino in fondo cos’è la dittatura antivirus di Conte. Cosa che si è notata anche nel fatto che i mass-media di regi-me si sono guardati bene dal dare giusto rilievo all’evento, li-mitandosi a piccoli trafiletti, sal-vo isolate eccezioni.

Il Flash mob è stato in definiti-va un successo, malgrado l’erro-re politico-organizzativo dell’as-soluta mancanza di adeguata propaganda anche sui social, al-trimenti la partecipazione sareb-be stata ben più numerosa. Ri-sulta confermato l’insegnamento per cui le lotte si fanno con il massimo tentativo di coinvolge-re le masse popolari non basan-dosi fondamentalmente su un nucleo ristretto.

In questo quadro, dannosi per la causa comune si sono ri-velati anche in questa occasione i metodi di piccolo gruppo, in de-finitiva di natura guevarista, che non portano da nessuna parte se non a danneggiare le lotte col rischio anche di bruciare gene-razioni di manifestanti.

Vicchio del Mugello (Firenze), 20 giugno 2020. Due aspetti del Flash-mob contro l’impianto eolico a Vil-lore-Corella

a MIlano Il 24 GIuGno

Presidio antirazzista davanti al consolato americano Riproduciamo il volantino tra i cui firmatari compare il PMLI

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N. 22 - 2 luglio 2020 esteri / il bolscevico 15Il ConsIglIo europeo anCora

In dIsaCCordo sul Fondo per la rICostruzIone europea

Gli “aiuti” a condizioni all’Italia arriveranno nel 2021Forse sarà il Consiglio euro-

peo che si terrà a luglio sotto la presidenza di turno della Ger-mania e con i 27 leader faccia a faccia dopo tre mesi di vide-oconferenze a sciogliere i nodi per varare il piano Next Gene-ration Eu, come la Commis-sione ha ribattezzato il proget-to noto come Recovery Fund, il piano finanziario comunitario per affrontare crisi sanitaria e economica. Possibile, ma non è scontato che la regia della can-celliera tedesca Angela Merkel d’intesa con il presidente fran-cese Emmanuel Macron possa dare il via in tempi brevi, entro un anno, come chiedono i pae-si più bisognosi di aiuti dall’Ita-lia alla Spagna, a quello che è la parte iniziale del Fondo per la ricostruzione europea contenu-to nel bilancio pluriennale 2021-27. Le premesse per un inter-vento rapido non sono buone, visti i risultati del breve vertice in videoconferenza del 19 giu-gno un appuntamento dichiara-tamente consultivo che non ha potuto far altro che registrare i disaccordi.

La comunicazione sull’esito del vertice era affidata al presi-dente del Consiglio europeo, il belga Charles Michel, che defi-niva il confronto in videoconfe-renza tra i 27 leader “importan-

te ed essenziale” ma solo per spiegare il progetto della Com-missione e come propedeutico per passare alla fase dei nego-ziati veri e propri con gli Stati membri, con l’obiettivo di arriva-re a “un vertice in presenza ver-so la metà di luglio a Bruxelles, in cui avremo l’occasione per concentrarci su proposte con-crete”.

La Commissione europea ha elaborato una proposta che pre-vede 500 miliardi di euro di sov-venzioni e 250 miliardi di prestiti da recuperare attraverso la ven-dita tra il 2021 e il 2024 di titoli garantiti collettivamente tramite il bilancio pluriennale rinforza-to da un aumento dei contribu-ti di tutti i 27 paesi membri, con meno interessi da pagare se fossero garantiti dalle disastra-te casse nazionali di molti pa-esi, Italia anzitutto. Il bilancio pluriennale della Ue non è an-cora stato approvato perché una serie di paesi non voglio-no versare maggiori contributi e tanto più non vogliono siano tagliati una serie di sconti di cui hanno goduto finora, dall’Olan-da alla Svezia, alla Danimarca all’Austria; affiancati dal grup-po dei paesi dell’Est, Ungheria e Polonia in testa, che non vo-gliono essere messi in seconda fila nel ricevere gli aiuti comuni-

tari rispetto ai paesi mediterra-nei più colpiti dal coronavirus. Alla discussione già in atto sulla definizione del bilancio si sono aggiunti nel corso degli ultimi mesi i temi del Recovery Fund, quando e quanti soldi mettere nel piatto e soprattutto a quali condizioni debbano essere di-stribuiti, in prestito con un piano di restituzione o a fondo perdu-to ma con strumenti di controllo comunitari sui progetti e le mo-dalità di spesa.

Dal vertice del 19 giugno non sono emerse novità, salvo la sollecitazione della cancel-liera Merkel a muoversi lungo una scaletta temporale che pre-vederebbe il varo del progetto entro l’estate e la sua indispen-sabile ratifica da parte dei parla-menti dei 27 paesi membri en-tro fine anno. In modo che sia disponibile nel 2021. Sempre che di pari passo siano risolti i problemi legati al bilancio plu-riennale.

Altrimenti ogni paese do-vrebbe ricorrere a risorse pro-prie, rese possibili dalla so-spensione del Patto di stabilità e quindi dal superamento del-la famigerata soglia del 3% di deficit rispetto al pil, che sono massicce per la ricca Germania e risicate per la meno ricca Ita-lia. O ricorrere alle quote messe

a disposizione dalla Bce e dal-la Commissione, dai non indif-ferenti finanziamenti della ban-ca europea per le aziende agli spiccioli sul Mes per le spese sanitarie e il Sure per gli am-mortizzatori sociali, comunque da restituire sotto varie forme; o infine alla decina di miliardi per il 2020 recuperati dalla Com-missione sugli avanzi dell’attua-le bilancio comunitario.

Che siano fondi naziona-li o comunitari, da restituire di-rettamente o a fondo perduto, formalmente ma che in realtà escono dal bilancio comunitario pagato da tutti, il conto per la ri-presa economica sarà comun-que pagato dalle masse popo-lari, una quota alle casse della potenza imperialista europea e una alle casse del governo bor-ghese nazionale; secondo la ri-partizione che sarà decisa in sede Ue sulla base non certo di principi di solidarietà ma dei rapporti di forza tra i paesi ca-pitalisti.

La presidente della Commis-sione Ue, la tedesca Ursula von der Leyen, sosteneva che i le-ader hanno affermato di volere “un accordo prima di agosto”, e questo è certamente il pensie-ro della Merkel e di Macron che vogliono ribadire il loro ruolo di guida di una potenza imperiali-

sta europea ricompattata e lan-ciata nella sfida alle concorren-ti Usa, Cina e Russia, con un vantaggio in più se esce per pri-ma dalla crisi economica con-seguente al coronavirus. Una crisi dove potrebbe invece spro-fondare se portasse alla ban-carotta di paesi imperialisti del peso di Italia e Spagna, se non aiutati. Gli scogli che la diplo-mazia di Bruxelles, di Berlino e di Parigi devono superare sono gli interessi imperialisti naziona-li di più piccolo cabotaggio dei partner europei. E saranno og-getto dei negoziati all’insegna di un mercanteggiamento che po-trebbe comprare il via libera al progetto della Commissione da parte dei paesi dell’Est europa in cambio di qualche miliardo in più concesso a loro sul pros-simo bilancio comunitario, un meccanismo che pare abbia già convinto Polonia e Slovacchia; col mantenimento degli sconti ai contributi nazionali sul bilancio Ue 2021-27 e una riduzione dei 750 miliardi del fondo in cambio del consenso del gruppo dei pa-esi nordici e dell’Austria come aveva prospettato il presidente del consiglio italiano Conte nel-la sua informativa del 17 giugno alla Camera sul vertice Ue.

I finanziamenti europei ai pa-esi in difficoltà arriveranno in

ogni caso nel 2021, dopo l’ap-provazione dell’accordo sul fon-do per la ricostruzione da parte di tutti i 27 parlamenti dei pae-si dell’Unione. “Serve un anti-cipo e quello che c’è per ora è modesto. Stiamo lavorando per renderlo più sostanzioso”, di-chiarava il presidente del con-siglio italiano Giuseppe Conte che considera scontato il rag-giungimento dell’intesa in sede Ue durante il semestre di presi-denza tedesco. Per il momen-to gli “aiuti” all’Italia arriveranno nel 2021 e se non cambieranno i termini in discussione non sa-ranno a fondo perduto, saranno soggetti a condizioni, a controlli esterni, a una copertura da ef-fettuare comunque attraverso l’aumento della quota nazionale al bilancio comunitario. Nel frat-tempo Conte si pavoneggia per avere lavorato fin dalla prima fase del contagio da Covid-19 come un vero leader europeo, a sponsorizzare “una risposta europea ambiziosa ed effettiva-mente in grado di dare una forte scossa alle economie del con-tinente”. Insomma anche dal-la risoluzione della grave crisi scatenata dal covid-19 passa il tentativo di rafforzare e rilan-ciare la superpotenza imperiali-sta europea nella competizione globale.

AllA cAcciA del PKK

l’esercito turco invade il Kurdistan irachenoProteste formali del governo iracheno e della Lega araba

Secondo il comunicato del 17 giugno del ministero del-la Difesa di Ankara “l’operazio-ne aerea in corso nelle regioni irachene settentrionali di Sinjar, Qandil, Karacak, Zap, Avasin-Basyan e Hakurk per assicura-re la sicurezza del popolo della Turchia e dei confini del pae-se neutralizzando il PKK e al-tre organizzazioni terroriste“ si svolgerebbero in base al “diritto all’autodifesa derivante dal di-ritto internazionale”. In altre pa-role sarebbero più che legittimi l’attacco aereo nel nord dell’I-raq e il successivo ingresso del-le truppe nel Kurdistan irache-no per distruggere le basi delle formazioni militari del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e non una inaccettabile invasio-ne, una palese violazione dei diritti del popolo curdo e del di-ritto internazionale. Due giorni dopo il portavoce del ministero

degli Esteri turco ricordava che i bombardamenti aerei e l’ope-razione di terra, denominate Artiglio d’aquila e Artiglio di ti-gre, erano dirette solo contro il PKK, una organizzazione che “minaccia non solo la sicurezza nazionale della Turchia ma an-che l’integrità territoriale dell’I-raq”, sollecitando la collabora-zione del governo di Baghdad. Sembra un paradosso che il fa-scista Erdogan colpisca il nord dell’Iraq e invada il Kurdistan iracheno e poi per coprirsi cer-chi di passare per “liberatore” e chieda la collaborazione al pae-se invaso, ma almeno in parte non lo è.

Il da poco insediato gover-no di Baghdad, gradito agli oc-cupanti imperialisti americani e guidato da Mustafa al-Kadhimi, ha protestato con la convoca-zione dell’ambasciatore turco dopo i primi bombardamenti,

assieme al segretario Ahmed Aboul Gheit della Lega Araba che ha denunciato la violazione della sovranità irachena. Tutto qui, niente a invasione e scontri ancora in corso dopo una set-timana. Ancora più significativo il silenzio dell’amministrazione curda della regione autonoma del Kurdistan iracheno inva-so, i cui dirigenti filoamericani sono legati a doppio filo col fa-scista Erdogan e da un trenten-nale patto anti PKK con la Tur-chia. Proteste anche da Arabia Saudita e Egitto ma sostanzial-mente perché fanno parte del-la cordata sunnita concorrente di Ankara per l’egemonia locale nella regione e in Libia.

L’Unione delle organizza-zioni curde vicine al PKK che combattono in Turchia, nel nord dell’Iraq, della Siria e dell’I-ran ha denunciato che l’attac-co dell’esercito turco iniziato

coi primi bombardamenti del 15 giugno, che hanno provoca-to numerose vittime civili, fareb-be parte di un piano preceden-temente elaborato che il capo dei servizi di Erdogan avrebbe discusso l’11 giugno con il go-verno federale iracheno e con il governo regionale del Kurdistan di Masrour Barzani durante una visita segreta. Così come sa-rebbero state informate prima dell’attacco sia la Coalizione in-ternazionale contro l’ISIS che la Russia, e il loro silenzio e il fatto che non si siano opposte all’u-so dello spazio aereo iracheno significano che approvano l’at-tacco. Una conferma del largo fronte imperialista che si oppo-ne alla realizzazione dei diritti del popolo curdo, compresi gli “alleati” Usa nella guerra allo Stato islamico.

Non c’è dubbio, come de-nuncia l’organizzazione curda, che la Turchia stia intensifican-do la sua occupazione di terre siriane e irachene, incoraggiata dal silenzio complice di organiz-zazioni internazionali quali Na-zioni Unite, UE, Organizzazione per la Cooperazione Islamica e con l’obiettivo di rendere per-manente la sua occupazione dei territori di confine col Roja-va nella Siria settentrionale e della “zona cuscinetto” larga da 35 a 40 chilometri che ini-zia dalla città martire yazida di Sinjar presso il confine siriano e che sta realizzando con que-sto attacco nel Kurdistan meri-dionale; una striscia di territo-ri contigua a quella siriana che inizia a Ovest dal cantone cur-do di Afrin occupato nel genna-io 2018 e che di fatto spostereb-

be tutti i confini meridionali della Turchia di alcune decine di chi-lometri all’interno di Siria e Iraq e fino al confine con l’Iran. In Si-ria con l’avallo degli imperialisti russi che difendono il regime di Assad, in Iraq senza opposizio-ne degli imperialisti americani e la copertura dei peshmerga cur-di di Barzani.

L’imperialismo turco ha mo-strato tutta la sua abilità nel ge-stire alleanze variabili a secon-da della sua convenienza con le altre potenze imperialiste lo-cali e mondiali, alleanze che gli hanno permesso senza colpo ferire di dare vita a una pesante repressione interna contro qual-siasi opposizione e a una serie di aggressioni su più fronti che un forte esercito come quello di Ankara, il secondo della Nato dopo quello Usa, può sostenere contemporaneamente, dalla re-gione siriana di Idlib, ai territori

curdi siriani del Rojava, alla Li-bia dove ha ribaltato la situazio-ne a favore del governo di Tri-poli fino al nuovo fronte aperto in Iraq e nel Kurdistan iracheno.

I curdi che resistono all’ag-gressore turco denunciano che Erdogan nel realizzare il suo sogno di ripercorrere le strade dell’impero ottomano minaccia di genocidio tutti i popoli e tutte le minoranze etniche e religiose presenti in Kurdistan, curdi, as-siro-caldei, cristiani, yazidi, mu-sulmani, chiedono solidarietà alla loro causa e una condanna della Turchia che sta commet-tendo crimini di guerra e crimi-ni contro l’umanità in Siria, Iraq e Libia. Solidarietà a cui ci as-sociamo e che è espressa in di-verse manifestazioni anche in Italia che intanto hanno il merito di rompere la cappa di silenzio sulle vicende curde stesa dagli imperialisti complici di Ankara.

Truppe turche nel Kurdistan iracheno

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