Nuovo discorso sul metodo alcune riflessioni su le qualità di cepollaro
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Titolo: Nuovo Discorso sul Metodo. Alcune riflessioni su Le qualità di Biagio Cepollaro. Autore: Luigi Bosco
Edizione a cura di: In realtà, la poesia
Anno: 2013
Vol.: 9
Il presente documento non è un prodotto editoriale ed è da intendersi a scopo
illustrativo e senza fini di lucro. Tutti i diritti riservati all’autore.
Nuovo Discorso sul Metodo.
Alcune riflessioni su Le qualità
di Biagio Cepollaro
di Luigi Bosco
In realtà, la poesia
2013
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Ho letto molte volte e in modo quasi ossessivo Le qualità1,
l’ultima raccolta poetica di Biagio Cepollaro.
L’impressione che ne ho ricavato (o meglio: ricevuto) è stata
quella di trovarmi di fronte ad un’opera come se ne
incontrano poche: di quelle in cui sai - mentre leggi - di
poterci trovare condensato tutto quello di cui avrai
bisogno da ora in avanti; di quelle che hanno sempre
qualcosa da insegnare e che, ad ogni nuova lettura, si
offrono come deposito alla stratificazione dell’esperienza
dell’umano da cui attingere per tentare un avanzamento.
In tal senso, Le qualità rappresenta un’opera la cui portata
politica, filosofica e socioantropologica - oltre che poetica
- risulta particolarmente incisiva rispetto ai nuovi possibili
equilibri contemporanei in dissesto, nella misura in cui in
essa si delineano i tratti di una nuova umanità, ovvero i
tratti di un nuovo modo possibile di essere un essere
umano.
1 La camera verde, Roma 2012.
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Tutto ha inizio con una perdita, un abbandono, chissà
forse la fine di un amore (o dell’allucinazione della sua
promessa) che cristallizza, nel suo giungere a termine, “la
prima vera | solitudine che lo circonda da più di due decenni”2.
La dedica “A Giusi e ai suoi risvegli” è l’unico esplicito -
seppur discreto e inaccessibile - riferimento
autobiografico, posto ex èrgon a fungere da àncora che, se
da un lato serve a scongiurare la deriva verso una poesia
linguisticamente tautologica e stilisticamente vuota e
manierista, dall’altro non impedisce un allontanamento da
un riferimento esperienziale particolare, la cui biografica
endogamia precluderebbe un risultato linguistico dagli esiti
universalmente emancipatori. Un elemento esperienziale,
insomma e paradossalmente, appartenente ad un vissuto
che eccede la biografia e che, per ciò, può con-testualizzarsi
producendo una narrazione storica piuttosto che
biografica, dunque aconfessionale e de-ideologizzata,
estranea a quel linguaggio di redenzione capace solo di
inquadrare l’orizzonte illusorio del riscatto di chi scrive.
Pur essendo l’abbandono il terreno fertile su cui nasce la
raccolta, esso non occupa al suo interno che una posizione
del tutto marginale, introduttoria. La sua funzione ne Le
qualità è quella di un evento che dà luogo ad una
successione di altri eventi e trasformazioni; un’azione che
mette in moto qualcosa, come un bottone di accensione o
l’interruttore della luce di una stanza.
La differenza tra Le qualità e le innumerevoli altre raccolte
che pure affondano le loro radici nella perdita sta nella
2 Da ora in avanti si sottintende che tutte le parti in corsivo e virgolettate sono estratte dalla raccolta oggetto di questo saggio.
9
direzione dello sguardo: mentre, infatti, nella gran parte
delle raccolte sull’abbandono esso si focalizza
sull’interruttore e le sfumature del suo scatto, ne Le qualità
lo sguardo si eleva dopo il click per osservare intorno ciò
che resta nella (o della) stanza illuminata, calibrando la
messa a fuoco con un giudizio rinnovato e col ricordo, e
descrivendo gli oggetti e il panorama con la lucidità di una
retorica messa al servizio del pensiero che risparmia al
lettore di assistere al fenomeno di appropriazione indebita
della sofferenza, molto diffuso tra quei poeti che
confondono la poesia con la crittografia idiolettica del
dolore.
Di questa straordinaria raccolta, dunque, si apprezza il
perfetto equilibrio - che è uno stare “al centro di un vuoto |
che sostiene | che sta sotto o dietro | questa luce senza sole | più
dentro dei cappotti | e delle mani” - tra tutti gli elementi
strutturali, sintattici, semantici e simbolici che la
compongono.
Ne Le qualità, la sintesi perfetta raggiunta tra esperienza
biografica ed esperienza linguistica - resa possibile da “un
potare di pensieri | fino all’arte del profumo” - favorisce la catalisi
tra i componimenti della raccolta ed il loro lettore,
incastrati naturalmente e senza sforzi in un intreccio
enzimatico che vede coinvolte entrambe le parti nel
processo metabolico del reale e delle sue rappresentazioni,
facendole risuonare “dalla parte che non si vede”.
È così, infatti, che suonano i versi de Le qualità: come la
parte che non si vede, quella che sempre resta nascosta sotto
“l’antico incastro” che lungi dall’essere “forma di accoglimento”
era invece “posizione alla fine trovata nella quotidiana stretta” di
un corpo che “fa torto alle sue qualità” evitando di “distendersi |
10
sull’arco largo delle parentesi del giorno”, mentre “la pioggia scende
fitta | sul milione di possibilità e di pensieri che muovono | in
colonna auto e passanti”.
La spinta ad una totale revisione della realtà, di cui Le
qualità rappresenta il risultato, viene da l’intuizione del
propizio di un corpo che, dopo l’esperienza dell’abbandono
e della perdita, si apre ad una “piccola | promessa di
rinnovamento” imparando a vedere il vuoto non come una
mancanza ma come uno spazio per l’allestimento di una
nuova possibilità, “perché sa che la casa | non c’è più e anche lui
dovrà | cambiare” e, per ciò, “è questo soltanto ora: è una casa che
va riempita”.
Tale revisione della realtà si configura, allora, alla stregua
di un Nuovo Discorso sul Metodo, la cui matrice di stampo
decisamente cartesiano non impedisce l’emergere di
conclusioni e prospettive nuove e lontanissime rispetto a
quelle che si sono imposte lungo l’arco dei secoli come i
pilastri epistemologici e metodologici della nostra civiltà.
In un momento storico quale quello che ci è toccato
vivere, in cui la precarietà che caratterizza praticamente
ogni ambito dell’esistenza sembra aver obbligato tutti alla
ricerca coatta della soluzione migliore per salvarsi (al
momento con scarsissimi risultati), l’intuizione di un
ripensamento del mondo come quella descritta dal corpo de
Le qualità possiede una portata etica, politica e pratica
tanto valida da poter affermare che sarebbe un errore
madornale interpretarla alla stregua di uno stile di vita
meramente naïf, “differente”.
Cepollaro, in questa sua ultima raccolta, sembra prendere
l’intero ‘900 e metterlo da parte non per cestinarlo (azione
tanto ingenua quanto inutile, nella misura in cui chi rompe
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paga e i cocci sono i suoi), ma per liberare la nuova
visione delle cose dall’ingombro degli “antichi incastri”.
Infatti, in linea con l’operazione cartesiana di
azzeramento, il corpo-Cepollaro procede “ad una serie di
operazioni complesse | che investano il settaggio delle sue funzioni |
più profonde e ataviche prossime al core generale” per disporsi a
ricevere “con dei vuoti” tutti i “nuovi possibili incastri”.
A differenza del filosofo del cogito ergo sum, però, l’evidenza
cui giunge il corpo de Le qualità è che “non conta la parola e
neanche ciò che si può a partire | da essa fantasticare: conta proprio
l’esame che delle cose | fa il corpo animato l’unico che dice e che al
mondo sta”.
Dunque, il corpo de Le qualità - l’unico che dice e che al mondo
sta - è un corpo cosciente che torna a rappresentare il
luogo del ricongiungimento “nello stesso spazio e nello stesso
tempo” di res cogitans e res extensa, di “ciò che una volta si sarebbe
chiamato spirito e ciò che avrebbe | avuto la sorte ottusa del nome di
materia”. È un corpo che “si acconcia nella posa adeguata alla
speranza di vita” che gli consente - prima di una cartesiana
ricerca della verità - di “perseverare nel suo essere essendo questo
il bene”.
Quindi non la verità ma il perseverare è il bene, perché il
corpo de Le qualità non è “un mezzo un tramite l’efficienza | per
cose che sono del mondo” o “il terminale | dei pensieri il luogo della
trasformazione | del materiale in immateriale” che “almeno una |
volta alla settimana rifaceva il cammino | anche se logoro della sua
piccola gloria”. Al contrario, esso nota che “la testa funziona
come indipendente | dal corpo senza avere più una storia | per
questo occorre riprendere contatto | cominciando dalla base dal
sentire la terra | del parco sotto i piedi come un elastico appoggio”,
perché “è qualcosa di sempre vero un corpo”: “lo spirito
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si accontenta di frasi, il corpo non è la stessa cosa, è più
difficile lui, gli ci vogliono i muscoli”3.
È in tal senso che il corpo de Le qualità suggerisce, se non
una abolizione, quantomeno un ridimensionamento della
sfera metafisica, (re)introducendo nel mondo, quasi
impercettibilmente, una filosofia del corpo che recupera e
rimette coraggiosamente in gioco l’importanza della prassi,
il valore di verità dell’empirismo percettivo delle
interazioni scartato da quella parte di “mondo che fin dal
sangue traligna”. E fa tutto ciò inscrivendo un realismo
spinoziano all’interno di una prospettiva unificatrice
anticartesiana (o oltrecartesiana) che al decostruzionismo
nichilista ed al costruttivismo assoluto, poggiato
sull’asserzione kantiana secondo cui le intuizioni senza
concetti sono cieche, oppone il fatto che “quel che arriva da
decifrare non un è senso ma uno spasmo”.
Ecco allora che Le qualità rappresenta una metodologia
assolutamente rivoluzionaria rispetto a quella su cui si
fonda il discorso dominante.
Tale rivoluzione - sottile, silenziosa, sotterranea e perciò
profonda, radicale - accanto al pensiero inteso come
linguaggio (oggettivato o meno), promuove la presenza e
il recupero di un credo che, lungi dall’essere il prodotto di
un atteggiamento semplicisticamente mistico o animista,
non antropomorfizza ma biologizza le interazioni, gli
eventi, le cose, la storia, poiché “ è tutta terrena | la luce che
misura l’oltre dell’umano è ancora umana la deità | che lo avvicina
3 F. Celine, Viaggio al termine della notte, trad. E. Ferrero, Ed. Corbaccio, 2011.
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e dopo cena si stende tenera e lieve accanto a lui | non è il tempo che
s’intensifica o dilata è proprio il tempo | che almeno per una volta il
corpo vive ed è pura gioia”.
Di conseguenza, Le qualità si configura come un Nuovo
Discorso sul Metodo nella misura in cui, pur condividendo le
premesse cartesiane dell’azzeramento, del resettaggio, della
ragione del buon senso e dell’evidenza, giunge a
conclusioni completamente diverse (quando non
opposte), offrendo le basi di una nuova episteme
attraverso il recupero di ciò che era stato scartato -
l’aspetto sensibile della esistenza - e il riscatto di un
pensiero biologico, di una cognizione della percezione
fatta non di solo logos e logon, ma anche di praxis, che agisce
all’interno di in un processo di interrogazione dello zoon,
del vivente, e di tutto l’esistente biologizzato.
La fiducia in un pensiero prima del pensiero, in un
pensiero della percezione della intuizione del corpo
spinoziano è ciò che - dinanzi l’orrore del logos alogon, del
silenzio dovuto all’assenza delle ragioni - consente di dire
(e dirsi) che questo è questo essendo questo - e lo fa bastare.
Dunque, il pensiero del corpo de Le qualità è un pensiero
che si preoccupa più di testimoniare che di giustificare,
spiegare o capire, perché “la natura non fa calcoli, ma
esperienze”4.
Si tratta, allora, di pensare l’assenza di senso in un modo
diverso da quello della privazione, rinunciando
all’equivalenza aristotelico-cartesiana secondo la quale
l’assenza di parola (alogon) è assenza di risposta.
4 I. Svevo, La coscienza di Zeno, Simplicissimus Book Farm ed., 2011.
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Allo stesso modo, il linguaggio che esprime tale tipo di
pensiero non si lascia più dominare dalla retorica ma la
domina, perché non è più grammaticalizzazione del
pensiero alienato nel compimento della sua sintassi, ma
trasduzione di un segnale che origina altrove e che
possiede altre radici.
Il corpo de Le qualità è un corpo azzerato e allo stesso
tempo cosciente del fatto che “compiuta la sua missione
biologica” operando “per anni alla sua incarnazione”, “di tutta
questa carne”, ora, “non sa che farne”. Così, “dopo aver ripercorso
la storia degli avi dai primi | vagiti alle domande centrali a cui non
v’è risposta”, si è ritirato “nel breve spazio dell’individuo” e “non
sa ancora se è frammento | esploso da un insieme vivente oppure a sé
bastante”.
Il corpo de Le qualità è un corpo che, acconciato nella posa
adeguata alla speranza di vita, persevera nel suo essere
essendo “la cosa che basta la cosa stessa”: è “un foglio su cui
bisognerà scrivere ancora | daccapo come se fin qui avesse detto solo
cose | a metà e che quindi daccapo bisognerà trovare | le risposte
osservando l’accadere”; è “il ricordo | malmesso e restaurato della
vita prenatale quando | non essendoci ancora nulla tutto si può oggi
inventare”. È, insomma, un corpo che “si apre anche ad una
vulnerabilità in più uno stare | a vedere dovesse scoprire altri modi
di sé. magari nuovi”.
E saranno proprio questi modi di sé magari nuovi gli
strumenti da utilizzare per la purificazione dello sguardo di
un corpo che non sa come sarà “quando tutto riproverà |
davvero a cominciare”, quando da “l’antico incastro” finalmente
“si prenderà | le mosse da un punto più | alto”, curando
“soprattutto l’invenzione| delle forme le questioni del colore i modi |
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diversi di raggrumare un senso” con la speranza “che variando i
costrutti | del linguaggio anche gli organi | della mente tenuti
insieme dal ritmo | del respiro possano dare vita ad una | nuova
versione del nuovo insieme | e questo è lavoro buono da fare da soli”.
Se, infatti, “fin qui è stato risalire a colpi | d’orgoglio confuso con
l’idea | da proporre”, dopo l’urto “della svolta” “non ci sarà
bisogno | di voltarsi indietro e nemmeno | guardare troppo avanti”:
“ciò che ci sarà - la cura | nel fare, l’intuizione | del propizio,
l’abbraccio | o la parola secca - basteranno || e basterà la pioggia
se pioverà | il sole se farà caldo | la strada deserta o il rombo |
della gomma sull’asfalto”.
Quello de Le qualità è un corpo che sa che “ogni momento | è
buono per essere cattivo”, capace di riconoscere da solo che “la
compattezza | del mondo può essere interrotta solo dalla mancanza
| del pane o da una collettiva catastrofe” e che “il resto è a misura
di corpo ed affrontabile”. È un corpo che ha compreso che
“tanto niente veramente si rompe | se non è cedere di organo e tutto è
bene se c’è il pane”, perché “davvero tutto è provvisorio e
impermanente | e non solo il bene passa per fortuna passa anche il
male”. Per questo, quando ha l’impressione “di non avere più
nulla | da fare” sa anche che “non può essere vero”.
È sorprendente e lodevole - soprattutto considerando i
tempi che corrono - la umanità, l’umiltà e, aggiungerei, la
serena complicità con cui, messo da parte l’orgoglio per non
confonderlo con l’idea da proporre, viene formalizzato lo
stravolgimento del discorso dominante, nel tentativo di
rimediare alla fuoriuscita dell’uomo dalla natura, il suo
razionale tralignare, con delle poesie che non sono verdetti,
affermazioni pretenziose o verità assolute.
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Al contrario, esse rappresentano una traduzione
sintomatica e sintomale di “una lingua che nessuno parla”, una
condizione vissuta come nuova, la cui necessità è causa
della coerenza interna dell’intero apparato retorico e poli-
antropo-linguistico della raccolta.
Questa umanità, umiltà e serena complicità, che
traspaiono senza pretese dai versi che compongono Le
qualità, offrono una cornice inedita al quadro di una
rinnovata fiducia nella possibilità: consegnando al lettore
gli strumenti con cui definire il proprio “destino che si
aggiunge a quello della | specie”, gli offre la possibilità di
riscattarsi dal grigiore di una condizione esistenziale post-
novecentesca, marcando (finalmente!) una distanza
importante rispetto a molta della produzione poetica (e
non solo) contemporanea, la cui matrice nichilista
impedisce l’abbandono di quell’atteggiamento destruens, di
derivazione tipicamente postmoderna, che fa girare a
vuoto “ il meccanismo della frase”.
Le parole che pronunciano il discorso de Le qualità – un
Dicorso sul metodo post cartesiano e post postmoderno –
sono parole poetiche che, parafrasando il Barthes de “Il
grado zero della scrittura”, non escludono gli uomini e non
costruiscono discorsi pieni di terrore, frutto
dell’autonomia di un linguaggio fatto di parole-oggetto che
distruggono ogni portata etica, mettendo in contatto gli
uomini con le immagini più inumane della natura,
piuttosto che con altri uomini.
Il risultato è un’opera poetica che, pur rifiutando un
lirismo linguistico che pretende, con la parola, di salvare
l’uomo dall’annegamento nella sua Geworfenheit, non sfocia
né nell’orfismo - che si difende dalla realtà negandola e
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anteponendole il sogno; né nel lirismo manierista - che,
preda del sublime, si dispone ad innalzare tutto a rango di
valore per creare disperatamente un senso più alto lì dove
senso non c’è; né nell’assenza di soggetto - intesa come
impersonale asetticità del testo, privandolo di qualunque
presenza osservatrice di ciò che accade.
Al contrario, una presenza in Le qualità c’è ed è il corpo, la
cui presenza altro non è che una scelta di carattere etico
che condiziona lo stile di chi l’ha compiuta - “lo stile è
decisione e giudizio lo stile è pensiero” recita un verso della
raccolta, e non potrebbe essere più vero.
Il corpo de Le qualità si sostituisce all’io (o all’egli, che non è
altro che un io mascherato) nella sua funzione di soggetto
del discorso che, per questo, continua ad avere al suo
interno un agente attivo ancora in grado di modificare col
giudizio l’ambiente che lo circonda, nonostante tutto. Allo
stesso tempo, il medesimo corpo, del discorso che
pronuncia, è anche oggetto empirico, visibile, tangibile,
osservabile, analizzabile nel rispetto della tradizione
scientifica su cui si fonda la conoscenza.
Questa duplice presenza del corpo come soggetto e come
oggetto del discorso offre al testo un’ampiezza di respiro
che si muove ritmicamente ad ogni verso dal particolare
all’universale e viceversa.
Devo purtroppo ammettere di non essere in grado di
quantificare con evidenze misurabili il grado di impatto sul
mondo di un cambio di prospettiva (o di paradigma) quale
quello suggerito ne Le qualità. Mi piace però pensare che
un verso come “davvero tutto è provvisorio e impermanente | e
non solo il bene passa per fortuna passa anche il male” possa
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essere più efficace del prozac. Mi piace pensare che un
verso come “la compattezza | del mondo può essere interrotta solo
dalla mancanza | del pane o da una collettiva catastrofe” preservi
dal terrore del collasso più di quanto possa riuscirci un
ipocrita messaggio a reti unificate del Presidente della
Repubblica o del Papa di turno. Mi piace pensare che un
verso che recita “il resto è a misura di corpo ed affrontabile”
offra un rifugio più umano e più degno alla disperazione.
Mi piace pensare che un verso che assicura “tanto niente
veramente si rompe | se non è cedere di organo e tutto è bene se c’è il
pane” sia in grado di abbassare il tasso di impiccagioni più
di quanto non riesca la burocrazia statale di un welfare che
non c’è.
Mi piace pensare, insomma, che le poesie de Le qualità
possano impercettibilmente cambiare il mondo così come
hanno percettibilmente cambiato me, spingendo a curare
“soprattutto l’invenzione| delle forme le questioni del colore i modi |
diversi di raggrumare un senso” perché “variando i costrutti | del
linguaggio anche gli organi | della mente tenuti insieme dal ritmo |
del respiro possano dare vita ad una | nuova versione del nuovo
insieme”.
Il passo successivo sarà provare a pronunciare “altre parole
che insieme dicano | la corda troncata il saltello nell’aria il silenzio
| di ogni risveglio come il coraggio della vita nuova”.
A queste altre parole va la mia riconoscenza e il tempo che
mi resta per tutto “il lavoro da fare”5.
5 Questa espressione è il titolo di un’altra raccolta di Biagio Cepollaro, scritta prima de Le qualità e tutt’ora inedita.