Nuova Secondaria -  · Giuseppe Acone, Pedagogia e dintorni in Italia oggi 5 Interlinea Giorgio...

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Nuova Secondaria mensile di ricerca, cultura, orientamenti educativi, problemi didattico-istituzionali per le scuole del secondo ciclo di istruzione e formazione POSTE ITALIANE S.p.A. Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 - DCB BRESCIA Editirice La Scuola 25121 Brescia - Expédition en abonnement postal taxe perçue tassa riscossa - ISSN 1828-4582-Anno XXXIV Le prospettive occupazionali degli psicologi Sussidiarietà e… spesa pubblica statale La valorizzazione del merito dei docenti È possibile educare a scegliere il bene e non il male? Epistemologie disciplinari e programmazione didattica 1 settembre 2016

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Nuova Secondaria mensile di ricerca, cultura, orientamenti educativi, problemi didattico-istituzionali

per le scuole del secondo ciclo di istruzione e formazione

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Le prospettive occupazionali degli psicologi

Sussidiarietà e… spesa pubblica statale

La valorizzazione del merito dei docenti

È possibile educare a scegliere il bene

e non il male?

Epistemologie disciplinari e programmazione didattica

1settembre

2016

Nuova Secondaria offre per l’annata 2016-2017

ricchi di percorsi didattici per le diverse discipline, inserti su temi pluridisciplinari e aggiornamenti legislativi.

materiali per la didattica consultabili e scaricabili in ogni momento, lezioni in Power-Point e approfondimenti disciplinari, i fascicoli digitali della rivista e news sul mondo della scuola.

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Nuova SecondariaMensile di cultura, orientamenti educativi, problemi didattici e

istituzionali per le scuole del secondo ciclo di istruzione e formazione

EDITORIALE

Angelo Maffeis, Come dire la misericordia 3

FATTI E OPINIONI

Il fatto

Giovanni Cominelli, Rav da premio Nobel 5

Pensieri del tempo

Giuseppe Acone, Pedagogia e dintorni in Italia oggi 5

Interlinea

Giorgio Chiosso, Di tutto e di più 6

I genitori a scuola

Giuseppe Richiedei, I genitori nel Piano dimiglioramento della scuola 7

Percorsi della conoscenza

Matteo Negro, Religione e politica nell’epocadella globalizzazione 8

Ologramma

Cristina Casaschi, Una partita apertissima 9

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

Albino Claudio Bosio, Edoardo Lozza, Psicologi:prospettive occupazionali e percorsi di formazione 10

Gianmaria Martini, Sussidiarietà e… spesa pubblica 13

Ermanno Puricelli (A cura di), La valorizzazione del merito. Due esempi 16

Ilaria Ottino, L’esperienza del liceo “Avogadro” 17

Gianni Trezzi, L’esperienza del liceo “Parini” 20

Asterischi di Kappa

Gli inganni pedagogici delle ipotesi ad hoc 21

Silvia Giannelli, Divagazioni semiserie su lettori, bravi insegnanti (e Virginia Woolf) 24

Monica E. Mincu, Formazione docenti inglesi.Il percorso abilitante School Direct 25

Caterina Soldati, Insegnare italiano L2ai richiedenti asilo 29

Vincenzo Cafagna, E se sentissimo gli studenti?Riflessioni sui saperi scolastici 34

Cosimo Laneve, La lingua inglese nella ricerca sì,nella didattica no 38

Bruno Rossi, L’intelligenza ecologica 41

L’inflazione del merito. La rivolta di Harvey Mansfield 44

Antonio Bellingreri, È possibile educare a scegliereil bene e non il male? 45

Asterischi di Kappa

Per Boko Haram la terra è piatta 47

PROGRAMMARE PER COMPETENZE

Dall’epistemologia alle scelte didattiche.

Itinerari per un anno

Paolo Bertuletti, Religione 48

ItalianoPietro Gibellini, Un’intervista immaginaria:Dante 52

Luigi Tonoli, L’architettura delle domande 55

Francesco Brollo, Le storie-antologie di letteraturaitaliana 59

Mino Morandini, Greco e latino - Liceo classico 61

Costantino Moro, Latino - Liceo scientifico 64

FilosofiaLeonardo Caffo, Maurizio Ferraris, Insegnarela filosofia globalizzata 67

Fjodor Montemurro, Logos: per un percorsointerdisciplinare 72

Scienze umaneGiuseppe Mari, Pedagogia 77

Mattia Lamberti, Sociologia 80

Giuseppe Mari, Psicologia 82

Igor Campagnola, Storia 85

Antonio Fabris, Lorenzo Fabbri, Milena Mimmo,

Edoardo Zambon, Storia e Archeologia: per un percorso interdisciplinare 88

Antonio Danese, Sabrina Malizia, Geografia 91

Maria Domenica Abate, Arte e territorio 96

Luciano Celi, Scienze: clima e società 99

Giovanni Villani, Chimica 102

MatematicaArianna Coviello, I tre sensi di una disciplina 106

Emanuela Botta, Silvia Sbaragli,Il caso dell’altezza. Un sapere fondante 112

LINGUE, CULTURE E LETTERATURE

a cura di Giovanni Gobber

Giovanni Gobber, Lingue straniere 117

Flavia Zappa, Orality and Language 120

LIBRI 126

Sul sito di Nuova Secondaria disponibili lezioni con slide http://nuovasecondaria.lascuola.it

1settembre

2016

Nuova Secondaria RicercaMensile di studi e ricerche empiriche sull’apprendimento/insegnamento

(http://nuovasecondaria.lascuola.it)

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CONSIGLIO PER LA VALUTAZIONE SCIENTIFICA DEGLI ARTICOLI

Coordinatori: Luigi Caimi e Carla Xodo

Francesco Abbona (Torino) - Giuseppe Acone (Salerno) - Emanuela Andreoni Fontecedro(Roma Tre) - Dario Antiseri (Collegio S. Carlo, Modena) - Gabriele Archetti (Cattolica, Milano)- Andrea Balbo (Torino) - Giorgio Barberi Squarotti (Torino) - Raffaella Bertazzoli (Verona) -Fernando Bertolini (Parma) - Gianfranco Bettetini (Cattolica, Milano) - Lorenzo Bianconi (Bo-logna) - Maria Bocci (Cattolica, Milano) - Cristina Bosisio (Cattolica, Milano) - Marco Buz-zoni (Macerata) - Luigi Caimi (Brescia) - Luisa Camaiora (Cattolica, Milano) - RenatoCamodeca (Brescia) - Franco Cardini (ISU, Firenze) - Maria Bianca Cita Sironi (Milano) - Mi-chele Corsi (Macerata) - Vincenzo Costa (Campobasso) - Giovannella Cresci (Venezia) - LuigiD’Alonzo (Cattolica, Milano) - Cecilia De Carli (Cattolica, Milano) - Bernard D’Espagnat (Pa-rigi) - Floriana Falcinelli (Perugia) - Vincenzo Fano (Urbino) - Ruggero Ferro (Verona) - Sa-verio Forestiero (Tor Vergata, Roma) - Arrigo Frisiani (Genova) - Alessandro Ghisalberti(Cattolica, Milano) - Valeria Giannantonio (Chieti, Pescara) - Massimo Giuliani (Trento) -Adriana Gnudi (Bergamo) - Giuseppina La Face (Bologna) - Giuseppe Langella (Cattolica, Mi-lano) - Erwin Laszlo (New York) - Giuseppe Leonelli - (Roma Tre) - Carlo Lottieri (Siena) -Gian Enrico Manzoni (Cattolica, Brescia) - Emilio Manzotti (Ginevra) - Alfredo Marzocchi(Cattolica, Brescia) - Vittorio Mathieu (Torino) - Fabio Minazzi (Insubria) - Alessandro Minelli(Padova) - Enrico Minelli (Brescia) - Luisa Montecucco (Genova) - Moreno Morani (Genova)- Gianfranco Morra (Bologna) - Maria Teresa Moscato (Bologna) - Alessandro Musesti (Cat-tolica, Brescia) - Seyyed Hossein Nasr (Philadelphia) - Salvatore Silvano Nigro (IULM) - MariaPia Pattoni (Cattolica, Brescia) - Massimo Pauri (Parma) - Jerzy Pelc (Varsavia) - Silvia Pianta(Cattolica, Brescia) - Fabio Pierangeli (Roma Tor Vergata) - Pierluigi Pizzamiglio (Cattolica,Brescia) - Simonetta Polenghi (Cattolica, Milano) - Luisa Prandi (Verona) - Erasmo Recami(Bergamo) - Enrico Reggiani (Cattolica, Milano) - Filippo Rossi (Verona) - Giuseppe Sermonti(Perugia) - Ledo Stefanini (Mantova) - Ferdinando Tagliavini (Friburgo) - Guido Tartara (Mi-lano) - Filippo Tempia (Torino) - Marco Claudio Traini (Trento) - Piero Ugliengo (Torino) -Lourdes Velazquez (Northe Mexico) - Marisa Verna (Cattolica, Milano) - Claudia Villa (Ber-gamo) - Giovanni Villani (CNR, Pisa) - Carla Xodo (Padova) - Pierantonio Zanghì (Genova)

Gli articoli della Rivista sono sottoposti a referee doppio cieco (double blind). La documentazionerimane agli atti. Per consulenze più specifiche i coordinatori potranno avvalersi anche di professorinon inseriti in questo elenco.

DIRETTORE EMERITO

Evandro Agazzi

DIRETTORE

Giuseppe BertagnaBergamo

COMITATO DIRETTIVO

Cinzia Susanna Bearzot, Cattolica,Milano - Edoardo Bressan, Macerata -Alfredo Canavero, Statale, Milano -Giorgio Chiosso, Torino - LucianoCorradini, Roma Tre - LodovicoGalleni, Pisa - Pietro Gibellini, Ca’Foscari, Venezia - Giovanni Gobber,Cattolica, Milano - Angelo Maffeis,Facoltà Teologica, Milano - MarioMarchi, Cattolica, Brescia - GiovanniMaria Prosperi, Statale, Milano - PierCesare Rivoltella, Cattolica, Milano -Stefano Zamagni, Bologna

REDAZIONE

CoordinamentoFrancesco Magni([email protected])

Segreteria di redazioneAnnalisa Ballini ([email protected])

Nuova Secondaria

Settore [email protected] Bergomi - Cristina Casaschi - Lucia De Giovanni

Settore scientifico e [email protected] Martinelli

Nuova Secondaria Ricerca

Alessandra Mazzini - Andrea Potestio -don Fabio Togni([email protected])

Illustrazione di copertinaMonica Frassine

ImpaginazioneMarco Filippini

Supporto tecnico area [email protected]

Contiene I.P.

1settembre

2016

Laura D’Ambrosio, Società in rete e trasformazione del lavoro in Manuel Castells pp. 01-15

Paola Zonca, Formare alla tutorship. Una proposta di utilizzo di narrazioni e auto-biografie pp. 16-26

Angela Argentino, The Active Ageing: una questione pedagogica centrale pp. 27-37

Fabrizio d’Aniello, Work and educational freedom pp. 38-46

Matilde Mundula, Lo sviluppo sostenibile nell’agenda Post-2015 della scuola pp. 47-64

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 3

EDITORIALE

Come dire la misericordiaAngelo Maffeis

Achi osserva con attenzione il contestosociale ed ecclesiale in cui viviamo unaconstatazione si impone: si avverte oggi

un grande bisogno di misericordia. Il “successo”di Papa Francesco, che fin dall’inizio del suopontificato ripropone – certo con grande efficaciacomunicativa e credibilità personale – ilmessaggio che la chiesa non ha cessato diproclamare nel corso dei secoli, è chiaro indizio diun bisogno che tutti, membri della chiesa elontani, sentono profondamente. E rivela ancheche probabilmente la chiesa non è riuscita a direla misericordia di Dio con parole sufficientementechiare e convincenti per giungere al cuore dellepersone alle quali si rivolge. Lo stesso Papariconosce questa difficoltà nella bolla con la qualeha indetto l’anno giubilare dedicato al tema dellamisericordia: «forse per tanto tempo abbiamodimenticato di indicare e di vivere la via dellamisericordia. La tentazione, da una parte, dipretendere sempre e solo la giustizia ha fattodimenticare che questa è il primo passo,necessario e indispensabile, ma la Chiesa habisogno di andare oltre per raggiungere una metapiù alta e più significativa» (Misericordiae vultusn. 10).

D’altra parte c’è oggi un rischio evidente dibanalizzare la misericordia, trasformandola in unascorciatoia che a buon mercato libera dalle colpe,dagli errori e dal male compiuto, con laconseguenza di non riuscire più a percepire laserietà del male che gli esseri umani sono in gradodi fare agli altri e a se stessi con le loro decisioni,scelte e azioni. Come se Dio si limitasse a dire allasua creatura: ma sì, quello che hai fatto non è poicosì grave, tutto si aggiusta, non pensarci più!Non è però questa la misericordia di Dio di cui ciparla la Scrittura. E non è questa la misericordiache la chiesa è chiamata ad annunciare.

La sfida che oggi la riflessione sullamisericordia deve affrontare è anzitutto questa:

pensare alla possibilità che Dio dà alla creaturaumana di non rimanere inchiodata in mododefinitivo e irrimediabile al male che ha fatto,senza assecondare la fuga dalla responsabilità cheogni essere umano ha per il suo agire e per glieffetti provocati da tale agire. O, detto in altromodo: educare alla responsabilità per le proprieazioni e, insieme, tenere viva la fiducia che Dio ècapace di rinnovare la persona umana e di darleun futuro anche là dove ha sperimentato ilfallimento e la colpa.

Non si tratta semplicemente di cercare unequilibrio tra un rigorismo inflessibile e unlassismo che deresponsabilizza le persone – unasorta di via di mezzo tra posizioni estreme, checerca di accontentare tutti – ma di ancorare inDio, nella sua misericordia e nel suo progetto perl’umanità la missione affidata alla chiesa cometestimone e strumento efficace della misericordiadi Dio.

Una consapevolezza viva del disegno di Diosull’uomo manifestato dalla rivelazione cristiana èil rimedio più efficace sia contro l’oblio dellamisericordia sia contro la sua banalizzazione.Quando ci si accosta alla Bibbia alla ricerca dellavisione antropologica che essa propone siincontrano però temi assai diversi e nonimmediatamente componibili in una visionecoerente. Schematizzando, si possono scorgere dueregistri fondamentali nel discorso biblico sullacreatura umana.

Le pagine della Scrittura ci descrivonoanzitutto la grandezza della vocazione umana. Findal primo capitolo della Genesi si parla dell’uomocreato a immagine e somiglianza di Dio. «Diodisse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine,secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pescidel mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, sututti gli animali selvatici e su tutti i rettili chestrisciano sulla terra. E Dio creò l’uomo a suaimmagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e

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EDITORIALE

femmina li creò» (Gen 1, 26-27). In un contestoaffollato di idoli, espressione della pretesa umanadi farsi un’immagine della divinità, la Scritturaafferma che non l’idolo, ma l’essere umano è lavera immagine di Dio e questo è il fondamentodella sua dignità, della sua posizione sovrana nelmondo, della sua capacità di donare la vitapartecipando all’opera della creazione.

Nel Salmo 8 la grandezza dell’uomo tra le altrecreature è oggetto dell’ammirazione dell’oranteche innalza a Dio la sua lode e il suoringraziamento: «Quando vedo i tuoi cieli, operadelle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato,che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, ilfiglio dell’uomo, perché te ne curi? Davvero l’haifatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lohai coronato. Gli hai dato potere sulle opere delletue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi: tutte legreggi e gli armenti e anche le bestie dellacampagna, gli uccelli del cielo e i pesci del mare,ogni essere che percorre le vie dei mari» (Sal 8, 4-9). La somiglianza con Dio diviene al tempo stessocompito e chiamata a realizzare una perfezioneche nella perfezione divina trova il suofondamento e la sua misura. «Siate santi, perchéio, il Signore, vostro Dio, sono santo» (Lv 19, 2)dice Mosè al popolo in nome di Dio nel libro delLevitico. E a questa parola fa eco quella di Gesùnel discorso della montagna: «Voi, dunque, siateperfetti come è perfetto il Padre vostro celeste»(Mt 5, 48).

Nella Scrittura è possibile rintracciare ancheun secondo registro, che mette in luce il latooscuro dell’uomo, la sua capacità di fare il male ela corruzione che ne deriva per l’uomo stesso eper la comunità di cui fa parte. Lo testimonia congrande efficacia un passo del libro di Giobbe, nelquale sembra rovesciata l’affermazione ammiratadel Salmo 8: «Che cos’è l’uomo perché si ritengapuro, perché si dica giusto un nato da donna?Ecco, neppure nei suoi santi egli ha fiducia e icieli non sono puri ai suoi occhi, tanto meno unessere abominevole e corrotto, l’uomo che bevel’iniquità come acqua» (Gb 15, 14-16). E il Salmo

53 gli fa eco quando dice che Dio si affaccia dalcielo e guarda l’umanità per vedere se vi si troviun uomo saggio, che cerca Dio, ma deveconstatare che «sono tutti traviati, tutti corrotti;non c’è chi agisca bene, neppure uno» (Sal 53, 4).

Nel Nuovo Testamento il tema è ripresodall’apostolo Paolo, nei primi capitoli dellalettera ai Romani, che pongono sotto il segno delpeccato e del fallimento tutta l’umanità –considerata nelle sue due componenti religiosefondamentali, gli ebrei e i pagani – le qualinonostante la diversa condizione in cui si trovano,sono accomunate dalla mancanza di giustizia:«infatti non c’è differenza, perché tutti hannopeccato e sono privi della gloria di Dio» (Rm 3,22-23).

Affermazioni così contrastanti e addiritturacontraddittorie rendono difficile rispondere consicurezza alla domanda sulla visione biblicadell’uomo. Si può affermare che l’antropologiabiblica oscilla tra ottimismo e pessimismo?

Non è questo il modo più corretto perriassumere il senso dei testi citati. Essi diconopiuttosto che Dio chiama l’uomo a un’altissimavocazione (Gaudium et spes n. 22), ma al tempostesso conosce la fragilità umana e il rifiuto chel’uomo oppone a questa chiamata, con laconseguenza non di togliere qualcosa a Dio, ma dicondannare se stesso alla contraddizione e allaperdita del senso dell’esistenza. Dio però è fedele,mantiene la sua chiamata e la destinazione umana,sempre disponibile al perdono quando chi harifiutato si apre all’accoglienza del suo dono.Questa è la misericordia divina: il fatto che Dionon considera il rifiuto umano come la paroladefinitiva e insuperabile, ma mantiene la suachiamata e con il suo perdono permette a ciascunodi rispondere alla chiamata che gli è stata rivoltae di realizzare la propria vocazione. Questa è lamisericordia che la chiesa è chiamata adannunciare con le parole e con le opere.

Angelo Maffeis

Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, Milano

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FATTI E OPINIONI

di Amministrazione, essendo stati as-sunti da loro, non sotto quello com-plice e indulgente di ispettori “nomi-nati” dal direttore regionale. Sonochiamati a valutare il merito dei diri-genti, senza che nessuno abbia verifi-cato preventivamente il loro. In-somma: la valutazione autentica nonsi dà, è tutta autovalutazione. Se ilRav sarà la base, allora ci toccheràleggere dei Rav da premio Nobel.

Giovanni Cominelli

Esperto di sistemi educativi

Rav da premio Nobel

La lunga marcia della valutazione deidirigenti scolastici è incominciata conil decreto legislativo n. 29 del 1993, èproseguita con gli artt. 20-21 delCCNL del 31 agosto del 1999, con illancio sperimentale del Sivadis (Si-stema di valutazione dei dirigenti sco-lastici) nel 2003, con il Documento In-valsi del 18 dicembre 2008. Passandoattraverso i successivi progetti VA-LORIZZA, VSQ, VALeS, sono statielaborati sei indicatori per la valuta-zione del dirigente. La legge 107 del2015 ne riprende e precisa criteri eobiettivi generali nei commi 93 e 94,rinviando a future Linee Guida la de-finizione degli indicatori e degli stru-menti della valutazione. Il 23 settem-bre del 2015, in un incontro con isindacati, il Miur ha esplicitato ancheche i risultati del Rav (Rapporto diautovalutazione) costituiranno il rife-rimento principale per la valutazionedel dirigente scolastico, che la valuta-zione avrà cadenza annuale con sintesitriennale e che sarà effettuata dal di-rettore regionale, il quale si avvarrà dinuclei di valutazione composti da undirigente tecnico, un dirigente scola-stico, un esperto, che opereranno su80-100 dirigenti scolastici. L’esitodella valutazione determinerà la retri-buzione di risultato suddivisa in 4 fa-sce. Si attendono, ora, le Linee Guida.La bozza finora presentata – al mo-mento in cui scriviamo – è deludente.Il progetto di valutazione trasforma ildirigente scolastico in funzionario sta-tale. E ciò, perché alle spalle staun’idea dell’autonomia scolastica ditipo funzionale e, alla fine, centrali-stico. L’autonomia scolastica non na-

sce dalla società civile, ma dallo Stato.Pertanto le procedure della valuta-zione verificano la corrispondenza traautonomia e Stato, non tra autonomiae società civile circostante. L’OF-STED, il sistema di valutazione in-glese, è un ente autonomo, che veri-fica la corrispondenza tra scuola,sistema scolastico, società, economia,territorio. Il che non lo rende meno se-vero. Certo, lassù i dirigenti e gli in-segnanti sono realmente premiabili edeffettualmente licenziabili. Essi stannosotto lo sguardo esigente dei Consigli

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Il fatto

di Giovanni Cominelli

Pedagogia e dintorni in Italia oggi

È uscito, presso l’Editrice La Scuola, un librodi grande interesse, intitolato La pedagogia

contemporanea, il cui autore, Giorgio Chiosso,è uno dei massimi storici della pedagogia e del-l’educazione in Italia.Il libro merita attenzione, non solo sotto il pro-filo specialistico della storia della pedagogia

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Pensieri del tempo

di Giuseppe Acone

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FATTI E OPINIONI

italiana contemporanea, ma anchecome una sorta di profilo degli aspettigenerali della cultura italiana del no-stro tempo. Lo spazio qui consentitomi permette soltanto di cogliere qual-che spunto. Quello che mi preme sot-tolineare maggiormente è quantoGiorgio Chiosso scrive nelle ultimepagine del suo bel libro. «Un interlo-cutore di antico conio come GoffredoFofi – afferma lucidamente Chiosso –si è addirittura chiesto qualche tempofa dove sono finiti i pedagogisti. (…)Rompendo una tradizione antica,nello scenario appena tratteggiato lacultura pedagogica appare minoritariao addirittura silente. La fine di unatradizione non è mai indolore. (…) Latradizione, infatti, non congela il pas-sato, ma è il lascito che rende possi-bile la continuazione di una storia.Ossessionata dall’eredità gentiliana,vissuta quasi fosse una maledizioneda cui liberarsi, la pedagogia italianaha lentamente, ma inesorabilmente,smarrito la tradizione intorno a cuiera cresciuta senza tuttavia riuscire acrearne un’altra, finendo ostaggiodelle scienze dell’educazione» (G.Chiosso, cit., p. 256). Non si potrebbe scrivere meglio, caroGiorgio. Il fatto è che non si è finitineppure ostaggio delle fantomatichescienze dell’educazione (o, umane);giacché queste ultime sono finite nelgorgo rovinoso delle tecno-scienze edelle neuroscienze.Non si tocca mai il fondo, quando sisprofonda. Comunque, grazie Giorgio.

Giuseppe Acone

Università di Salerno

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Interlinea

di Giorgio Chiosso

Di tutto e di più

Nelle settimane precedenti le provedel recente concorso le librerie sonostate inondate da centinaia di volumiappositamente predisposti per la pre-parazione dei candidati. Gli editorifanno il loro mestiere, pubblicare evendere libri: alcuni lo hanno fattocon maggiore rispetto della qualitàculturale dei loro prodotti, altri conintenti più spregiudicati. In genere itesti non sono di grande vigore cultu-rale basati su riassunti e schemi. Delresto questa era l’aspettativa dei can-didati: disporre di uno strumento es-senziale per assorbire nozioni e me-morizzarle.Un tempo erano i testi “Bignami” adaccompagnare e rifinire la prepara-zione (testi – detto incidentalmente –accurati e ingiustamente associati auna preparazione sommaria), oggisono compendi che in 300-400 pa-gine mettono insieme (talora anchecon marchiana approssimazione)tutto quanto si dovrebbe sapere circale discipline di una determinata areaconcorsuale.Le colpe stanno tutte nei candidati checercano scorciatoie? Non lo penso.Certamente i candidati hanno unaquota di responsabilità, ma una re-sponsabilità ben maggiore spetta a chi,

in sede ministeriale, ha steso i pro-grammi dei concorsi: programmi en-ciclopedici, prolissi, pretenziosi, pres-soché identici a quelli di altri tempi e,in qualche caso, neppure armonizzaticon le vigenti Indicazioni nazionali. Risultato: programmi generici =prove d’esame generiche, nozionisti-che, affidate alla memoria, pocoadatte ad accertare la maturità cultu-rale del candidato e la sua capacità ditradurla in azioni didattiche centrate.Molti speravano che finalmente fossegiunto il tempo per praticare altrestrade, meno affollate di date e nomi,ma con il pregio di essere più scorre-voli. Per restare al comparto umani-stico – quello che mi è più famigliare– mi chiedo se non fosse più oppor-tuno individuare per ciascuna disci-plina un nucleo di una decina di que-stioni/autori/tematiche significative eoffrire alle commissioni spazi ade-guati per saggiare nei candidati la ca-pacità di approfondimento, di analisicritica, di stabilire collegamenti, diconoscenza diretta della letteraturapiù significativa in argomento.È meglio chiedere “tutto” (con il ri-schio di restare in superficie o aprirela strada a inevitabili sconti a discre-zione delle commissioni) oppure solo“qualcosa” ma entro un contesto dibuona qualità culturale in grado difar davvero emergere i migliori? Nei prossimi mesi si avvieranno lepratiche per un altro concorso, così èstato promesso. È troppo sperare che,fin d’ora, si cominci a pensare a pre-disporre programmi meno pesanti, mapiù rigorosi?

Giorgio Chiosso

Università di Torino

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FATTI E OPINIONI

torio; verificando se «le famiglie sonocoinvolte nella definizione dell’of-ferta formativa; se ci sono forme dicollaborazione con i genitori per larealizzazione di interventi formativi;se la scuola coinvolge i genitori nelladefinizione del Regolamento d’isti-tuto, del Patto di corresponsabilitàeducativa; se realizza incontri, corsi,conferenze rivolte ai genitori; utilizzastrumenti on-line per la comunica-zione con le famiglie» (Rav 3.7). Unodei fattori di successo del Piano dimiglioramento sta proprio nella par-tecipazione di tutta la scuola alleazioni di miglioramento: solo a que-sta condizione diventa credibile per igenitori che si arrivi effettivamente a«una scuola che dialoga con i genitorie utilizza le loro idee e suggerimentiper migliorare l’offerta formativa;dove le famiglie partecipano in modoattivo alla vita della scuola e contri-buiscono alla realizzazione di inizia-tive di vario tipo» (3.7 Rav).

Giuseppe Richiedei

Consigliere nazionale A.Ge.

I genitori nel Piano dimiglioramento della scuola

I genitori sono coinvolti nel rivedere,entro il mese di ottobre, il Piano trien-nale dell’offerta formativa, che deveessere approvato nel consiglio di isti-tuto (commi 12, 14 della legge n.107/2015). Il piano triennale com-prende, a sua volta, il Piano di mi-glioramento, coerente con le prioritàindicate nel Rapporto di autovaluta-zione (Rav), rivisto nei mesi prece-denti dal dirigente scolastico (comma14,3). Si tratta di documenti ispiratialla cultura della valutazione e delmiglioramento continuo del servizioscolastico, per cui gli obiettivi pro-grammatici non sono più vaghi eastratti come nel passato, ma diven-tano concreti, misurabili nei risultatiche si intendono perseguire. Il Pianodi miglioramento, in particolare, rap-presenta un’autentica sfida, che mettealla prova scuola e famiglia nella co-struire insieme una scuola che sia ef-fettivamente “buona” per i ragazzi. Infatti, se «il dirigente scolastico ri-mane il diretto responsabile del Pianodi miglioramento è, comunque, op-portuno che» la sua azione «sia fina-lizzata a favorire e sostenere il coin-

volgimento diretto di tutta la

comunità scolastica (genitori com-

presi quindi)» (Nota ministeriale n.7904 del 1° settembre 2015). In que-sto senso è opportuno che un genitorefaccia parte del Nucleo interno di va-lutazione per un coinvolgimento chesuperi la chiusura autoreferenziale de-gli istituti.È probabile che dirigenti e docentinell’individuare priorità e traguardiprivilegino le aree didattiche, dove la

loro competenza è più approfondita esperimentata, ma spetta ai genitori ri-chiamare l’attenzione sugli aspettieducativi. Se «il Piano di migliora-mento deve riguardare gli esiti che

gli studenti raggiungono» i genitoripossono proporre di dare priorità alle“competenze di cittadinanza”: il ri-spetto delle regole, lo sviluppo delsenso di legalità, l’etica della respon-sabilità, la collaborazione e lo spiritodi gruppo. Nell’area educativa fami-glia e scuola possono operare insiemenel perseguire l’eccellenza, facendoin modo che la propria scuola possacertificare che «Il livello delle com-petenze chiave e di cittadinanza rag-giunto dagli studenti è elevato; intutte le classi le competenze sociali eciviche sono adeguatamente svilup-pate, adeguata è l’autonomia nell’or-ganizzazione dello studio e dell’ap-prendimento» (Rav 2.3).Posta questa priorità, ne consegue ne-cessariamente che dirigente, docenti egenitori assumano tra gli obiettivi diprocesso del Piano quello dell’inte-grazione tra scuola, famiglia e terri-

I genitori a scuola

di Giuseppe Richiedei

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV8

FATTI E OPINIONI

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Religione e politica nell’epocadella globalizzazione

Dopo il tramonto delle religioni se-colari, oggi si assiste a un ritorno delreligioso sotto varie forme, per lo piùcome vettore d’identità o come stru-mento politico indiretto. In ciascunodi questi casi, per il filosofo franceseMarcel Gauchet, non assistiamo a«una ristrutturazione sacrale del-l’universo umano sociale al di fuoridella modernità. C’è una riafferma-zione dell’identità religiosa che è nelcontempo adattamento dall’interno

alla modernità»1. Non si tratta di unrifiuto totale o integrale della mo-dernità: la tradizionalizzazione è unmodo di avanzamento della moder-nità stessa, di autoriappropriazione. Ifondamentalismi, in particolare,

«aspirano a ricostituire un ordine del-l’umano secondo il divino. Non con-segue da ciò che essi producano re-almente l’effetto che auspicano. Amio avviso – soggiunge Gauchet –fanno addirittura il contrario. Essimodernizzano in profondità sotto lamaschera del recupero della tradi-zione […] abbiamo a che fare condelle società che non hanno cono-sciuto in maniera endogena il pro-cesso di uscita dalla religione carat-teristico della storia occidentalemoderna, ma che nondimeno ne su-biscono gli effetti e che sono co-strette, persino, ad adattarsi ai suoi ri-sultati – la mondializzazioneeconomica e la tecnica le vinco-lano»2. Questa operazione «trasformacompletamente la natura della reli-gione facendone un progetto politico

rivoluzionario e centrandola sullaconvinzione individuale»3. I fonda-mentalisti «lavorano all’uscita dallareligione di cui si sforzano dispera-tamente di restaurare il regno»4. Èben presente l’ambizione di impos-sessarsi della tecnica dell’Occidente,per renderla strumento dei propri fini,ma in questo modo si attesta la totaledipendenza da ciò che si vuole a tuttii costi possedere, e l’incapacità con-seguente di abbattere lo schema dellafuoriuscita dalla religione. Bisognaallora chiedersi: di quale religione sitratta, in definitiva? Di una religioneimperniata essenzialmente sull’attodi credere, che non risponde a criteripubblici di verificazione e, pertanto,vive un rapporto ambiguo e irrisoltocon il potere politico ed economico:«Non è più la verità rivelata dal-l’esterno che conta prioritariamente,ma l’aspirazione interiore a questaverità, la molla intima suscettibile ri-spetto a una rivelazione per altri versipiù indispensabile che mai, ma chenon comporta né capacità di imporsida sé né un’intrinseca attestazione»5.In altre parole, è una religione che siattesta sul piano dell’adesione indi-viduale, espressa con forza e, non dirado, con violenza, ma che elude inpieno il tema della verità e del bene.

Matteo Negro

Università di Catania

Percorsi della conoscenza

di Matteo Negro

1. M. Gauchet, Un monde désenchanté?, Les Edi-tions de l’Atelier/Editions Ouvrières, Paris 2004, p.147 (trad. mia).2. Ibi, pp. 161-162.3. Ibi, p. 162.4. Ibidem.5. Ibi, p. 188.Paul Gauguin, Autoritratto con Cristo giallo, Parigi, Museo d Orsay, particolare.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 9

FATTI E OPINIONI

quale sono disposte in bell’ordine lestoviglie. In pochi minuti, il lavoropreparatorio, a volte anche di ore, deicibi, la cura del dettaglio, l’attenzioneai gusti dei commensali, si risolvonoin una lieta soddisfazione che appa-rentemente passa e va, ma lascia trac-cia, oppure che viene subito rovinatase un piatto è salato, o se la pasta èscotta. Sono davvero consapevoli, iragazzi chiamati a giudicare, dellaquantità, qualità, intensità del lavorodi preparazione che esiste dietro ogniproposta didattica? Se sì, è bene chevalutino, così da mettere un docenteanche di fronte alla eventuale sciatte-ria che a volte si ritrova dietro le no-stre cattedre, e non solo su qualche ta-vola dove arriva solo prosciuttopreconfezionato, ma se no, sarà benetener conto di tutto questo implicitoche porta a dare per scontato e dovutociò che va bene, e a sottolineare solole mancanze.

2. I ragazzi sezionano con lama affi-lata, è inesorabile. Quello che chie-dono nel canovaccio quotidiano cheappartiene al loro ruolo – menocom-

pitiprof., verifichepiùfaciliprof., ma-

iomeritavodiiùprof. –, non lo ribadi-

scono, di solito, se si sentono chia-mati a valutare davvero la serietà diuna proposta. Sanno riconoscerequando l’altezza di una richiesta na-sce dalla stima nei confronti di chi èchiamato ad accogliere la sfida.

3. Al valutare, e i docenti lo sannobene, si impara; e se i ragazzi (final-mente, e magari anche nei confrontidi loro stessi) saranno chiamati afarlo, bisognerà che li si accompagniad avere contezza della posta ingioco, che è molto di più della “qua-lità percepita” e di qualche euro in piùai docenti “percepiti di qualità”.In questo senso una ‘rilettura’ con-giunta docente-studente di questio-nari ben fatti e magari costruiti ancheinsieme sarebbe una buona occasioneper capire cosa davvero uno studentesi aspetti da un insegnante ai fini dellasua formazione umana e culturale.Ma qui ci fermiamo, lasciando la do-manda aperta a ciascun collega: “Checosa i miei studenti, oggi, si aspettanoda me?” e “Che cosa io sono dispostoa dare?”.

Cristina Casaschi

Università di Bergamo

Una partita apertissima

Una delle principali novità di que-st’anno, per quanto attiene la scuola, èla valorizzazione del merito del per-sonale docente. Nei diversi Istitutisono stati istituiti i Comitati di Valu-tazione che, attraverso i più diversitentativi di funambolismo tra equità epremialità, uguaglianza e merito,hanno elaborato i criteri di riferimentoper l’identificazione dei meritevoli.In alcune scuole, si è ritenuto che unelemento concorrente significativo po-tesse essere quello del dare voce a unaforma di valutazione da parte deglistudenti. Ma per far prendere qualcheeuro in più ai docenti o per coinvol-gerli in un lavoro formativo che puòfar bene a loro e ai loro professori?In un liceo del nord Italia, per esem-pio, agli studenti è stato sommini-strato un questionario atto a esplo-rare il percepito dei ragazzi – anzi,come viene esplicitato, il loro gradodi soddisfazione – in merito alla chia-rezza delle spiegazioni, alla impar-zialità della valutazione, alla corret-tezza nella programmazione delleverifiche e alla capacità di creare unpositivo clima di lavoro esercitato dailoro professori.Questa scelta, tuttavia, e proprio met-tendosi dal punto di vista dello stu-dente, non sembra tener conto di trefattori.

1. Il lavoro dell’insegnante è un po’come quello della mamma: quando siarriva a casa, la sera, e tutti ci si ri-trova intorno alla tavola, si gustano lepietanze preparate, ci si pulisce labocca con un tovagliolo lavato e sti-rato, posato su una tovaglia linda sulla

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Ologramma

di Cristina Casaschi

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PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

Una studentessa della scuola secondaria superiore,appassionata alla psicologia dalle lezioni del pro-fessore di filosofia (o di letteratura italiana, o di

scienze: la psicologia è radicata in diversi ambiti disci-plinari) prende in considerazione la possibilità di iscriversia un corso di laurea in Scienze e tecniche psicologiche. Ilsuo (nascente) progetto formativo e professionale ri-guarda dunque la professione di Psicologo. Ma cosa vuoldire, oggi, fare lo psicologo?Questo contributo fornisce alcune prime risposte al que-sito, a partire da una serie di studi e ricerche1 condotti ne-gli ultimi anni sullo stato e sulle prospettive delle pro-fessioni psicologiche. In particolare, proveremo adaffrontare il tema evidenziando proprio gli aspetti che piùpossono essere utili per orientare uno studente, oggi agliultimi anni della scuola superiore, indicandogli vincoli eopportunità di una scelta professionale che, nel recente pe-riodo, è cresciuta sia sul piano dell’offerta formativa (inItalia esistono oggi più di 30 sedi universitarie che offronocorsi di laurea – triennale o magistrale – in Psicologia), siasul piano della domanda di formazione universitaria (nelnostro Paese gli iscritti a corsi di laurea in ambito psico-logico sono più di 70.000).A partire dalla domanda iniziale, proponiamo dunque treinterrogativi più specifici, che – riteniamo – la nostra stu-dentessa farebbe bene a porsi se orientata a intraprendereun percorso di formazione universitaria in Psicologia:

1. Quanti psicologi ci sono oggi in Italia? È una profes-sione in espansione o in contrazione? E – di conse-guenza – quale spazio è prefigurabile per i nuovi pro-fessionisti di domani?

2. Che cosa fa uno psicologo? Questa domanda, nellasua centralità, è peraltro riconducibile a due tipi di

analisi: in primo luogo in relazione al tasso di occupa-zione (o disoccupazione) fra gli psicologi e – in se-condo luogo – in relazione ai contenuti della profes-sione (o meglio, come vedremo, dei diversiposizionamenti professionali);

3. Come si forma uno psicologo? Ovvero, quali percorsiformativi sono più adatti a costruire una professionalitàda collocare – mettendoci nei panni della nostra stu-dentessa – nel mercato del lavoro degli anni ’20/’30?

Fornendo alcune prime risposte a queste tre domande,proveremo dunque a fare il punto sullo stato e sulle pro-spettive delle professioni psicologiche in Italia, per offrirealcune linee di orientamento pensate proprio per le scelteformative e professionali degli aspiranti psicologi.

Quanti psicologi ci sono oggi in Italia?Porsi questa domanda, in apparenza slegata dalle scelteformative e professionali della nostra studentessa, signi-fica ottenere indicazioni, o quantomeno indizi, per ri-spondere a una secondo interrogativo, indubbiamente piùcentrale: c’è spazio per nuovi professionisti?

Psicologi: prospettive occupazionalie percorsi di formazioneAlbino Claudio Bosio, Edoardo Lozza

QUANTI PSICOLOGI CI SONO OGGI IN ITALIA? CHE COSA FA UNO PSICOLOGO? COME SI FORMA UNO

PSICOLOGO? ATTORNO A QUESTE TRE DOMANDE GLI AUTORI TRACCIANO UNA PANORAMICA SULLA

PROFESSIONE DI PSICOLOGO OGGI IN ITALIA, UTILE PER ORIENTARE UNO STUDENTE INTERESSATO AD

INTRAPRENDERE QUESTO PERCORSO FORMATIVO E PROFESSIONALE.

1. Per approfondimenti, rimandiamo alle seguenti pubblicazioni: A.C. Bosio,Fare lo psicologo. Percorsi e prospettive di una professione, Cortina, Milano2011; Id., “Evoluzione della psicologia: il caso italiano”, in Vita e Pensiero, vol.96, n. 1, 2013, pp. 124-132; A.C. Bosio, E. Lozza, “Professionalizzazione dellapsicologia e professioni psicologiche. Il percorso e le prospettive in Italia”, inGiornale Italiano di Psicologia, XL, 4, 2013, pp. 675-688; Id., “Psicologi:quale formazione per quale professione?”, in Ricerche di Psicologia, 3, 2014, pp.457-473. Questi lavori, utili per chi volesse approfondire le analisi qui solo ac-cennate, sono il frutto di alcune ricerche che abbiamo realizzato fra il 2008 e il2013 su incarico del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (CNOP),coinvolgendo (in ciascuna rilevazione) campioni di almeno 1500 psicologiiscritti agli ordini professionali regionali, costruiti secondo criteri di rappresen-tatività statistica rispetto alla realtà italiana.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 11

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

Attualmente (inizio 2016), gli psicologi iscritti agli ordiniprofessionali sono 99.000 (per avere un termine di para-gone, si pensi che i medici di base sono circa 60.000) e dal1994 – anno di istituzione dell’Ordine professionale de-gli Psicologi – sono quadruplicati. Oltre a essere unadelle professioni più cresciute nel contesto italiano2, glipsicologi hanno nettamente aumentato la loro densità ri-spetto alla popolazione: in 20 anni siamo passati da 1 psi-cologo su circa 2.500 abitanti al rapporto attuale di 1psicologo su circa 600 abitanti. In pratica, negli ultimidieci anni gli iscritti all’ordine sono cresciuti a un ritmoquasi doppio rispetto a quello della popolazione.Il fatto di essere una professione in crescita ad alta den-sità si presta a due interpretazioni contrapposte: in sensopessimista, tale dinamica può far pensare a una satura-zione delle opportunità professionali per i futuri psicologie dunque disincentivare la nostra studentessa; ma, su unversante più ottimista, la crescita potrebbe indicare che inquesti anni sono anche aumentati il bisogno e la domandasociale di prestazioni psicologiche. Il prossimo paragrafo,chiarendo se e quanto gli psicologi sono oggi realmenteoccupati, può contribuire a far propendere per una delledue ipotesi.

Che cosa fa uno psicologo? Rispondere a questa domanda significa in primo

luogo analizzare il tasso di occupazione (e disoc-cupazione) degli iscritti all’Ordine. In propo-

sito, gli psicologi italiani mostrano una si-tuazione di sostanziale piena occupazione.

Le nostre ricerche segnalano, infatti,che la copertura occupazionale

degli iscritti all’Ordine degliPsicologi appare ampia ecoerente con gli studi: piùdi tre quarti degli intervi-stati dichiara di lavorare

come psicologo, mentre ri-sulta marginale (6%) la quota

di chi fa un altro lavoro e “fi-siologica” – se comparata con i dati

offerti dalla popolazione dei laureati inItalia – la porzione di chi è disoccupato.

Insomma, la gran parte di chi ha intra-preso questo percorso di formazione trova

poi una collocazione professionale pertinente.È pur vero che i dati presentano una variabilità

interna di tipo geografico (aumenta al Sud la quotadi disoccupati) e, soprattutto, legata all’età: fra i giovani

professionisti al di sotto dei 30 anni solo il 60% occupaposizioni lavorative “pertinenti” e aumenta in modo con-sistente il livello di disoccupazione (26%). Quest’ultimorisultato non è però specifico di questo contesto profes-sionale ma riproduce un fenomeno di ordine più generale,ben noto a chi si occupa di analisi sulle condizioni lavo-rative dei giovani laureati. A oggi, insomma, l’outcome

professionale non sembra presentare per gli psicologi unproblema specifico sul piano quantitativo e – anche afronte di un contesto nettamente più difficile per i giovaniitaliani, in conseguenza della crisi economica avviatasi nel2008 – le nostre analisi di trend mostrano per gli under 30

una situazione stabile nel tempo (permane oggettiva-mente critica ma non risulta peggiorata dalla crisi).Comprendere “che cosa fa” uno psicologo può però si-gnificare anche altro: per esempio capire se possiamodavvero parlare di “una” professione oppure di differentiposizionamenti professionali. Su questo tema, osserviamochiaramente come il campo professionale degli psicologi

2. Se comparato con l’insieme degli altri ordini e collegi professionali presentiin Italia, quello degli psicologi si configura come un ordine di dimensioni me-dio-alte e con tassi di crescita decisamente elevati, secondo solo a quello dei gior-nalisti (cfr. Censis, 47° Rapporto sulla situazione sociale del Paese, Franco An-geli, Milano 2013): gli psicologi si collocano oggi fra i gruppi professionali a piùforte tasso di sviluppo.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV12

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

sia organizzato in modo plurale. Esistono ovviamente ele-menti di comunalità sul piano dell’identità professionale,dei saperi, delle competenze, ma i posizionamenti profes-sionali si definiscono seguendo una logica di articola-zione per differenziazione. In particolare, i contesti di ri-ferimento della professione si configurano come gliorganizzatori ecologici e pragmatici delle diverse praticheprofessionali, che possono essere sintetizzate a partire dacinque posizionamenti professionali “prototipici”:1. gli psicoterapeuti privati: ancoraggio di chi ha inteso

la professione psicologica come pratica clinico-tera-peutica gestita in un contesto libero-professionale;

2. l’ambito degli psicologi nei servizi pubblici, che com-binano prestazioni di tipo clinico a quelle legate almondo del welfare e della salute pubblica;

3. quello degli psicologi nei servizi socio-educativi, po-polato soprattutto da giovani psicologi occupati in am-bito scolastico o educativo sia pubblico sia privato (inparticolare in contesti organizzativi di tipo coopera-tivo/non-profit);

4. il mondo degli psicologi per le organizzazioni: una re-altà di dimensioni contenute ma ben attestata su un por-tafoglio di prestazioni (interventi organizzativi, ge-stione risorse umane, formazione, marketing…) ad altaspecificità professionale;

5. infine il gruppo che abbiamo chiamato “psicologi fles-

sibili” in ragione del posizionamento pluricentrico (= più attività, anche in settori diversi), focalizzati inparticolare su prestazioni di consulenza sia per i privati(cittadini e aziende) sia per il mondo del pubblico.

Orientarsi fra questi ancoraggi professionali significa,per la nostra studentessa, comprendere che “fare lo psi-cologo” può voler dire almeno cinque cose diverse. Il chesuggerisce di iniziare a pensare a un progetto formativoe professionale “situato” in uno di questi ambiti… ov-viamente senza avere la pretesa di focalizzare e definirefin da subito le proprie aspirazioni professionali: un pro-getto dunque aperto, ma consapevole dei differenti con-testi professionali e delle conseguenti specificità sul pianosia delle competenze sia della formazione necessaria a pa-droneggiarle. Tenendo inoltre ben presente che alcuni diquesti contesti (segnatamente quelli pubblici, espressionedel welfare sanitario) appaiono meno dinamici che inpassato, mentre altri (per esempio i mondi della scuola edelle organizzazioni aziendali) sono visti dai professionistiattuali come potenzialmente più promettenti.

Come si forma uno psicologo?Affrontiamo, infine, il tema dei percorsi formativi neces-sari per diventare psicologo. Su questo tema, osserviamo

due indicazioni più rilevanti per la studentessa in que-stione, fra quelle emerse dalle nostre ricerche.a) Fare lo psicologo significa essere orientati nella pro-spettiva dell’aggiornamento continuo che accompagna,oltre la laurea, l’esercizio della professione. Di fatto, solonell’ultimo anno, circa l’80% dei professionisti psicologiha svolto attività di formazione (in media, circa due atti-vità) attingendo entro un vasto repertorio di opportunitàformative (corsi di specializzazione, master, supervi-sione/training specialistico, attività di aggiornamentobreve…). Ciò significa che a “fare lo psicologo” non siimpara una volta per tutte, anzi: costruire e migliorare leproprie competenze nel corso di tutto il ciclo di vita pro-fessionale risulta, dunque, una condizione imprescindi-bile.b) All’università, in particolare, è richiesta una formazionesempre meno disciplinare (= i “capitoli” teorici della psi-cologia) e più contestualizzata (= know how, metodi e co-noscenza dei contesti professionali). Questa è infatti l’esi-genza espressa dalla community professionale deglipsicologi, citando sempre i dati dalle nostra ricerche, chesi attende anzitutto una formazione accademica:● centrata sulla formazione di competenze embedded ri-

spetto ai contesti della professione;● ancorata ai temi della progettazione, realizzazione, va-

lutazione di interventi;● aperta e sensibile ai temi dell’imprenditività e del

career management.

Per la nostra esperienza di professori impegnati presso laFacoltà di Psicologia dell’Università Cattolica, sono dav-vero queste le direzioni formative che meglio possonosupportare la costruzione di una professionalità in gradodi reggere le sfide del futuro e la crescente competizionesul mercato del lavoro: integrare conoscenze di base ecompetenze professionali; costruire percorsi formativi eprofessionali attraverso lo specifico ancoraggio ai conte-sti della professione (cfr. i prototipi presentati nel para-grafo Che cosa fa uno psicologo?); accrescere l’inter-connessione fra formazione e mondo del lavoro,attraverso la creazione di reti con i mondi professionalipiù promettenti; articolare il percorso formativo nellaprospettiva della lifelong education. Queste ci sembrano le caratteristiche salienti di una for-mazione universitaria in psicologia che miri a creare ope-ratori di qualità in un ambito professionale che presentanotevoli elementi di complessità, ma anche di opportunità.

Albino Claudio Bosio, Edoardo Lozza

Università Cattolica, Milano

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 13

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

Uno dei principali problemi dell’economia italianaè l’eccessivo debito pubblico; nel secondo tri-mestre del 2014 ha raggiunto il 134% del PIL,

mentre la Germania presenta un debito pari al 75% delPIL, la Francia pari al 95%, il Regno Unito pari all’88%del PIL. Anche in valore assoluto il debito italiano è mag-giore: a fine secondo trimestre 2014 era pari a 2.169 mi-liardi di euro, contro 2.156 miliardi di euro della Germa-nia, 2.024 miliardi della Francia, 1.937 miliardi del RegnoUnito (fonte: Eurostat). A giugno 2016, quando è stesoquesto contributo, la Banca d’Italia ha rilasciato che il de-bito pubblico italiano ha battuto un nuovo record, rag-giugendo il nuovo massimo storico: 2.230 miliardi dieuro.

Spesa pubblica e spending review

Il debito pubblico italiano condiziona fortemente la poli-tica fiscale del governo nazionale (il pacchetto di inter-venti del governo a sostegno e di intervento nell’econo-mia del paese, un mix di contributi e di tassazione), chenon può fornire tutte le azioni necessarie per stimolare lacrescita e uscire da una recessione che – con brevi inter-valli – dura dal 2009. L’eccessivo debito pubblico limitainfatti la spesa pubblica del governo, anzi per gli accordifirmati dai governi dell’Eurozona nel 2012 – tra cui il Fi-

scal Compact – con la finalità di risolvere la crisi dei de-biti sovrani e l’impennata negli spread di alcuni paesi (tracui l’Italia), esiste un impegno a limitare la crescita dellaspesa pubblica, per ridurre il debito in eccesso. Gli effetti di questi accordi sono l’introduzione di politi-che fiscali di limitazione della spesa, come ad esempioquella denominata “tagli lineari”, oppure le diverse fasi dispending review, che però non hanno ancora prodotto ri-duzioni nella spesa pubblica: essa ha infatti continuato acrescere, soprattutto per effetto dell’aumento della spesaper le prestazioni sociali (in particolare le pensioni). Que-ste iniziative da un lato, come già rilevato, non hanno an-cora portato a una riduzione della spesa pubblica com-

plessiva; dall’altro, molti interventi sono legati a riformestrutturali che porteranno riduzioni di spesa solo neltempo, come ad esempio quella delle pensioni, con la ri-forma Dini che ha introdotto il regime contributivo e le ul-time modifiche al sistema portate della riforma Fornero.Pertanto, non essendo a oggi sufficienti, richiedono l’av-vio di un processo per integrare nello schema generale dispesa pubblica del nostro paese dei nuovi modelli d’im-plementazione della stessa. Tra questi, assume particolarerilevanza il modello di spesa pubblica basato sul princi-pio di sussidiarietà.

Alla ricerca del modello sussidiarioPur con ritardi e limiti, il principio di sussidiarietà – ne-gli anni più recenti – ha cominciato a trovare un propriospazio all’interno della spesa pubblica italiana1. Da un latoi gravi problemi della finanza pubblica (debito eccessivoe inefficienza della spesa pubblica) hanno reso evidentela necessità di pensare anche a nuovi modelli, meno cen-tralizzati, di spesa pubblica2. Tra questi, modelli in gradodi ridurre le inefficienze tipiche della gestione centraliz-zata perché più vicini alle esigenze dei cittadini e dei corpiintermedi. E anche modelli di attuazione dell’art. 118della Costituzione, quando afferma che si favorisce l’au-tonoma iniziativa dei cittadini per il soddisfacimento delbene comune. Pertanto, si è avviato anche nel nostropaese un processo di affermazione – almeno a livello didibattito, se non nella ripartizione delle risorse economi-che – del principio di sussidiarietà3.

Sussidiarietà e… spesa pubblicaGianmaria Martini

MENTRE IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO HA RAGGIUNTO NUOVI RECORD, LE POLITICHE DI SPENDING

REVIEW SEMBRANO RISULTARE INEFFICACI NEL CONTENIMENTO DELLA SPESA PUBBLICA. AL

CONTRARIO, UNA PIENA ATTUAZIONE DEL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ GARANTIREBBE

UN’ALLOCAZIONE PIÙ EFFICIENTE DELLE RISORSE ECONOMICHE.

1. G. Vittadini (a cura di), Che cosa è la sussidiarietà: un altro nome della libertà,Guerini e Associati, Milano 2007.2. P. Donati, Sussidiarietà e nuovo welfare: oltre la concezione hobbesiana del

potere, in G. Vittadini (a cura di), Che cosa è la sussidiarietà: un altro nome della

libertà, cit.3. Il primo provvedimento legislativo italiano in cui compare il termine sussi-diarietà è la legge Bassanini del 1997, dove si definisce che i compiti di governodevono essere svolti da quello più vicino ai cittadini.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV14

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

A livello teorico il principio di sussidiarietà è applicatonelle decisioni di spesa in due direzioni4: orizzontale, percui si definisce il termine sussidiarietà orizzontale, e ver-ticale, per cui si denotano alcuni interventi come forme disussidiarietà verticale. La sussidiarietà orizzontale ri-guarda il rapporto intercorrente fra la società e le personeche la compongono, e definisce che la prima non può so-stituirsi agli individui, singoli o insieme, perché riesconoautonomamente a realizzare per il soddisfacimento deiloro bisogni. La sussidiarietà verticale disciplina invecei rapporti tra i livelli gerarchici della pubblica ammini-strazione (all’interno di un paese), o tra governi centralie stati federali (in uno stato federale), o ancora, tra orga-nismi centrali e membri nell’ambito di un’unione inter-nazionale (come ad esempio l’UE)5. La sussidiarietà verticale ha dato origine a una linea dipensiero denominata federalismo fiscale6, per dare attua-zione concreta nell’ambito della spesa pubblica al trasfe-rimento dei poteri e delle risorse pubbliche dal centro ailivelli di governo più vicini ai cittadini. La sussidiarietà orizzontale presenta elementi di mag-giore complessità rispetto a quella verticale. La teoria eco-nomica di riferimento nell’applicazione del principio disussidiarietà orizzontale è quella dei quasi mercati7. Talemodello prevede dei sistemi in cui vi sono diversi eroga-tori, anche privati, in regime concorrenziale, cui la do-manda può rivolgersi, in una situazione in cui lo Stato an-che se non eroga il servizio lo finanzia e lo garantisce atutti. In questo modello sono valorizzati i principi di li-

bertà e responsabilità, poiché è tutelata la scelta degliutenti che possono decidere a chi rivolgersi tra una plu-ralità di soggetti (anche privati) che offrono il servizio.Stante questa tutela dal lato della domanda, dal lato del-l’offerta i diversi erogatori del servizio operano in regimedi concorrenza, quindi per garantire il funzionamento delsistema devono essere evitate situazioni di monopolio ooligopolio.

Gli interventi di sussidiarietà orizzontaleSe da un lato il principio di sussidiarietà verticale ri-guarda la ripartizione dei pubblici poteri tra diversi livellidi governo, nel tentativo di individuare il livello miglioreper svolgere tale funzione, dall’altra il principio di sussi-diarietà orizzontale riguarda il rapporto tra pubblico e pri-vato, favorendo l’autonoma iniziativa dei cittadini. Con-cretamente questa azione di favore si traduce in uninsieme di erogazioni di risorse da parte dei pubblici po-teri a sostenere domanda e offerta di servizi. In partico-lare, diverse sono le modalità in cui può realizzarsi que-sto sostegno, ossia tramite trasferimenti diretti allepersone, alle famiglie, alle imprese, alle istituzioni socialiprivate, oppure tramite una riduzione del prelievo fiscale(tax credit). Tali azioni dello Stato hanno per oggetto sia gli erogatorisia i beneficiari di beni e servizi erogati in ottica sussi-diaria. Si pensi, a titolo esemplificativo, a strumenti qualibuoni, voucher e dote che agiscono sul lato della do-manda, erogando trasferimenti (monetari e non) ai bene-ficiari dei servizi, accanto ad agevolazioni o sussidi cheinteressano il lato dell’offerta. Anche le azioni che inte-ressano la fiscalità possono riguardare sia gli erogatori (adesempio, tramite regimi fiscali favorevoli per determinateorganizzazioni e tramite gli istituti dell’8 per mille e del5 per mille) che i beneficiari. In questo ultimo caso, i fi-nanziamenti avvengono attraverso i meccanismi dellededuzioni e delle detrazioni d’imposta, attraverso le quali,lo Stato rinuncia a una parte del suo gettito, riconoscendoal cittadino il valore (o parte dello stesso) delle prestazioniricevute.

4. L. Violini, G. Vittadini, Sussidiarietà e quasi mercati, in G. Vittadini (a curadi), Che cosa è la sussidiarietà: un altro nome della libertà, cit.; P. Vipiana, Ilprincipio di sussidiarietà verticale, Giuffrè, Milano 2002.5. G. D’Agnolo, La sussidiarietà nell’Unione Europea, Cedam, Padova 1998.6. T. Baskaran, L. P. Feld, J. Schnellenbach, Fiscal federalism, decentralization

and economic growth: survey and meta-analysis, CESifo, Working Paper n. 4985,2014.7. Per approfondimenti in merito alla teoria dei quasi mercati si faccia riferimentoai lavori di J. Le Grand, Quasi-Markets and Social Policy, «The Economic Jour-nal», 1990, 101, (408), p. 1256-1267; L. Violini, G. Vittadini, Sussidiarietà e

quasi mercati, cit.

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

In conformità a queste considerazioni, gli interventi dispesa pubblica come sussidiarietà orizzontale sono divisiin questo contributo in due categorie: (1) interventi a so-stegno della domanda e (2) interventi a sostegno dell’of-ferta. I primi sono finalizzati all’attuazione del principiodi sussidiarietà orizzontale come sostegno alle liberescelte dei cittadini nel soddisfacimento delle loro neces-sità. Dal punto di vista degli strumenti si possono men-zionare le varie forme di deducibilità e detraibilità fiscale,i voucher, le doti ecc. Gli interventi a sostegno dell’offertasono invece finalizzati a sostenere direttamente delle ini-ziative private operanti con un’ottica di bene comune,quindi per il soddisfacimento di necessità collettive. An-che in questo caso, è rispettata la libertà di scelta dei cit-tadini, poiché essi stessi e non il governo centrale o gli entiterritoriali decidono l’allocazione di queste risorse. Comestrumenti in tal senso si menzionano gli istituti dell’8 per

mille e del 5 per mille in Italia. Essi possono integrare al-tri tradizionali strumenti di sussidiarietà orizzontale comead esempio i voucher erogati a persone e imprese per fi-nalità predeterminate (es. sostegno alle nascite, istru-zione, qualificazione professionale, sussidi all’innova-zione e lo sviluppo ecc.).

Risultati empirici e implicazioni di politica economicaLo studio dell’applicazione del principio di sussidiarietàin Italia e in Europa ha permesso di definire alcuni risul-tati empirici e alcune implicazioni di politica economica. Innanzitutto, fino agli anni Novanta il modello di spesa

pubblica italiana è stato notevolmente centralizzato. Ledecisioni sono sempre state controllate dal governo cen-trale pur essendo alla presenza di un’organizzazione dellostato con regioni, provincie e comuni dagli anni Settanta.Questo modello ha portato a un aumento del debito pub-blico soprattutto negli anni Ottanta, quando una politicadi utilizzo della spesa pubblica miope ha portato a un suoforte incremento (+323% nel decennio, quindi più che tri-plicata), mentre in media nei paesi europei in quel de-cennio la spesa si contrae (come anche nel Regno Unito)o aumenta in modo molto minore rispetto alla nostra(come in Francia e Germania). L’aumento della spesa èdovuto a due fattori: (1) l’elevato debito pubblico checomporta la maggiore spesa per interessi tra tutti i paesieuropei; al netto di tale voce, l’Italia presenta da diversianni un avanzo primario, quindi avrebbe già ridotto inmodo consistente il debito; (2) l’aumento delle spese perle prestazioni sociali (pensioni), mentre anche la spesa peri dipendenti pubblici negli ultimi anni diminuisce.Secondo, l’indice di sussidiarietà verticale (definito comespesa pubblica operata dalle Regioni e dagli enti locali sutotale della spesa pubblica) è il più basso tra i principalipartner europei (ad eccezione della Francia che utilizza unmodello molto centralizzato e del Regno Unito): l’indicein Italia è pari, nel 2013, al 30%, mentre in Germania è del46%, in Spagna è del 48%, la media dei 28 paesi del-l’Unione è 33% (la Svizzera presenta un indice di sussi-diarietà verticale pari al 74%).Terzo, svolgendo uno studio econometrico su 30 paesi eu-ropei nel periodo 1995-2013, si può osservare che il grado

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV16

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

di sussidiarietà verticale ha un impatto positivo sulla cre-scita economica di un paese. Il nesso quantitativo stimatotra le due variabili è che un +10% nel grado di sussidia-rietà verticale porta a un aumento nel tasso annuale di cre-scita del PIL pro-capite reale pari a +0,63%. Il dato è in-dicativo se si pensa che si tratti di (1) un aumento del PILreale (quindi al netto dell’eventuale inflazione), (2) chel’Italia viene da anni di crescita zero o negativa del PILreale e che quindi l’aumento nella sussidiarietà verticalefornirebbe uno stimolo alla crescita quanto mai necessa-ria in un paese che non cresce (o in misura limitata), (3)che avviene a saldi invariati di spesa pubblica (quindi nonrichiede di aumentare il debito pubblico già rilevante) e (4)che è un dato pro-capite (quindi può avere un certo effettosul reddito familiare, stimabile in circa 450 euro l’anno).Quarto, la spesa pubblica sussidiaria orizzontale in Italiaa sostegno della domanda è pari, nel 2012, a circa 69 mi-liardi di euro, quindi una spesa pro-capite di circa 1.155euro. La spesa sussidiaria orizzontale a sostegno dell’of-ferta è stimata in circa 1,5 miliardi di euro (di cui 1,1 mi-liardi di 8 per mille e circa 386 milioni di 5 per mille). Laspesa a sostegno dell’offerta pro-capite è quindi a circa 25euro. In totale la spesa pubblica sussidiaria orizzontalepro-capite nel 2012 è quindi pari a 1.180 euro, a confrontodi una spesa pubblica per sussidiarietà verticale di circaeuro 3.900 pro-capite. La sussidiarietà orizzontale hadunque in Italia un peso minore rispetto a quella verticale.Quinto, se si osserva la spesa sussidiaria orizzontale insenso stretto, quindi solo le spese a favore delle ONLUSe del Terzo Settore (nell’ambito del sostegno alla do-manda), che rappresentano solo una parte delle dedu-zioni e detrazioni che portano agli 1.155 euro pro-capitedi spesa sussidiaria orizzontale appena menzionata, èpossibile un confronto internazionale tra Italia e USA. Ne-gli Stati Uniti il valor medio delle erogazioni pro-capitea favore del Terzo Settore è molto superiore a quello re-gistrato in Italia (479 euro contro 12 euro, dati relativi al2012, fonti United Nations Refugee Agency per gli USAe MEF per l’Italia). Tale differenza, oltre che a fattori cul-turali, sociali ed economici, è anche legata a una legisla-zione incentivante rispetto a questa tipologia di inter-venti, data che negli Stati Uniti è possibile dedurredonazioni al Terzo Settore anche fino al 50% del redditocomplessivo, mentre in Italia il limite di tale deduzione èdel 10% del reddito. Questi risultati portano ad alcune implicazioni di politicaeconomica. Si può infatti ipotizzare un ripensamento delmodello di spesa pubblica adottato nel nostro paese. Essoè ancora molto centralizzato, con una grande concentra-zione nelle decisioni di spesa nelle mani del governocentrale. Soprattutto la componente di sussidiarietà oriz-

zontale è veramente molto limitata. La stessa spesa sus-sidiaria verticale a sua volta dipende in modo rilevante,nelle grandezze economiche trasferite dal centro agli entilocali, dalle decisioni del governo centrale, e questo limitafortemente l’autonomia di spesa delle Regioni, delle Cittàmetropolitane e dei Comuni.

Verso un modello integratoUn modello innovativo di spesa pubblica potrebbe inte-grare centralismo e sussidiarietà. La spesa pubblica cen-tralizzata è essenziale nei settori tipici dell’interventodello stato (difesa, giustizia, organi costituzionali ecc.);per gli altri settori le spesa può essere casata su un mix didecisioni del governo centrale e di scelte sussidiarie, sud-divise in verticali e orizzontali.Per la sussidiarietà orizzontale si può ipotizzare, come giàavviene con successo per alcuni istituti come l’8 per

mille e il 5 per mille, che parte delle decisioni in meritoagli importi da allocare in diverse voci di spesa (sanità,istruzione, servizi sociali, cultura, sviluppo locale, attivitàsportive) siano prese direttamente dai cittadini. Questaleva di spesa pubblica è tuttora poco utilizzata in Italia.Per la sussidiarietà verticale, si può ipotizzare che, al-meno in parte, queste scelte possano essere orientate di-rettamente dalle persone e non governate centralmente. Ri-cordiamo i rilevanti contributi decisi dal governo centralea favore di alcune voci che presentano certamente rile-vanza sociale ma che in determinati periodi potrebbero in-vece essere rimodulati (mantenendo sempre un livellominimo di finanziamento) in base alle preferenze dei cit-tadini e dei corpi intermedi. Solo a titolo di esempio e noncome giudizio di valore, le esigenze dei cittadini potreb-bero preferire un maggiore finanziamento a favore del-l’occupazione giovanile – soprattutto in questo periodo digrave crisi – rimodulando invece altre voci, mentre oggitutto questo avviene per decisione del governo centrale. Un modello di spesa pubblica integrato governo cen-trale/interventi sussidiari – con settori in cui le decisionidi spesa sono prese esclusivamente dal governo centralee in altri settori con decisioni complementari del governocentrale e dei cittadini – potrebbe favorire un’allocazionedelle risorse pubbliche più efficiente perché più vicina aglieffettivi bisogni della gente. L’alternativa, vale a dire proseguire con il solo modellocentralizzato, presenta due rischi: (1) rimanere troppovincolati a scelte del passato, magari frutto di pressionilobbistiche; (2) disallineare l’importanza dei settori d’in-tervento dalle preferenze della popolazione.

Gianmaria Martini

Università di Bergamo

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 17

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

Nel periodo conclusivo dell’a.s. 2015-16, sia pure inmezzo a molte resistenze, tensioni e perplessità ildispositivo della legge 107/2015 per il riconosci-

mento del merito dei docenti ha cominciato a compiere iprimi passi. Trattandosi di un evento denso di significatistorico culturali e professionali – siamo di fronte al ritornodopo decenni di assenza della valutazione dei docenti –sembra doveroso, per una rivista attenta alle novità che at-traversano il mondo della scuola, tornare ad occuparsi diuna questione, già affrontata in Nuova Secondaria1. Men-tre in quella occasione si è cercato di evidenziare alcunecoordinate storico culturali e metodologiche utili per com-prendere e affrontare al meglio questo tipo di problema,ora si affaccia una diversa esigenza: il bisogno di esplorarein che modo le scuole si stanno muovendo, per elaborareprocedure e strumenti valorizzando gli ambiti della propria

autonomia decisionale. A questo scopo, si ritiene utileproporre due esperienze scelte quasi a caso, quella del li-ceo scientifico “Avogadro” di Vercelli, di cui scrive la pro-fessoressa Ilaria Ottino, e quella del liceo in scienzeumane “Parini” di Seregno, con il contributo del suo diri-gente scolastico Gianni Trezzi, la cui forza risiede proprionella normalità della proposta; con questo si vuole espri-mere una preciso intento, quello di non additare modellicon valore paradigmatico, a cui tutte le scuole dovrebberoconformarsi. Non è questo infatti ciò che occorre: allescuole dell’autonomia dovrebbe bastare qualche elementodi confronto, per orientarsi circa la specificità delle propriescelte e ricercare eventuali somiglianze e differenze.

A cura di Ermanno Puricelli

Dirigente Scolastico

La valorizzazione del meritoDue esempiA cura di Ermanno Puricelli

QUALI CRITERI ADOTTARE E QUALI PROCEDURE SEGUIRE PER VALORIZZARE IL MERITO DEGLI

INSEGNANTI? DUE PROPOSTE A CONFRONTO, PER UNA DIFESA DEGLI SPAZI DI “AUTONOMIA PREMIALE”.

LLa legge 107/2015 ha reso obbligatorio il ricono-scimento del merito dei docenti, sollevando ilproblema di come effettivamente realizzarlo. Que-

sto contributo, presentando alcuni strumenti operativi,vuole offrire spunti di riflessione per la realizzazione diuna valutazione che risulti il più possibile condivisa e tra-sparente. Partiamo dunque dai dettami della legge che, ai commi127 e 128, afferma che il dirigente, sulla base dei criteri

individuati dal comitato per la valutazione dei docenti, do-vrà assegnare annualmente al personale docente una re-tribuzione accessoria sulla base di “motivata valutazione”.Successivamente il comma 129 prosegue fornendo indi-cazioni per l’individuazione dei criteri di valutazione daparte del comitato di valutazione.

I criteri di meritoSulla base delle indicazioni precedenti abbiamo costruitouna tabella così strutturata: 1) nella prima colonna sonoriportati i criteri di valutazione; 2) nella seconda colonnaabbiamo individuato, per ciascun criterio, i corrispon-denti indicatori; 3) nella terza colonna vengono presentatigli elementi concreti su cui basare la valutazione, in rife-

L’esperienza del liceo“Avogadro”Ilaria Ottino

1. E. Puricelli, “Come valorizzare il merito degli insegnanti? Una proposta”, inNuova Secondaria, n. 9, 2015, pp. 12-16.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV18

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

rimento ai criteri e agli indicatori precedentementeespressi; 4) l’ultima colonna riporta i punteggi assegnatidal dirigente sulla base degli elementi descritti, entro unvalore massimo stabilito per ogni criterio rilevato. Per quanto riguarda i criteri di valutazione abbiamo man-tenuto l’elenco fornito dalla legge stessa, ma riorganiz-

zandolo in modo più funzionale all’individuazione degli op-portuni indicatori. Inoltre abbiamo aggiunto la voce“Progettualità” non esplicitamente menzionata e abbiamoosservato che il “contributo al miglioramento dell’istitu-zione scolastica” risulterà dalla somma dei contributi rela-tivi a tutti gli altri, più espliciti, criteri. Abbiamo dunque: a)qualità dell’insegnamento e potenziamento delle compe-tenze degli alunni; b) successo formativo e scolastico de-gli studenti; c) innovazione didattica e metodologica, ricercadidattica, documentazione e diffusione di buone pratiche,

formazione del personale; d) responsabilità assunte nel co-ordinamento organizzativo e didattico; e) progettualità. Per ciascuno dei criteri che figurano nel precedente elencoabbiamo cercato di individuare in modo il più possibileesaustivo gli indicatori rilevanti ai fini della valutazione.I criteri e gli indicatori che abbiamo individuato devonoessere collegati, come è logico, ad elementi concreti su cuibasare la valutazione perché essa risulti consistente emotivata (Figura 1).

Documentazione e valutazione del meritoIl problema di come valutare la qualità dell’insegna-

mento e la capacità di potenziare le competenze degli

alunni è di non semplice soluzione per le molte variabiliche comporta e un metodo assolutamente efficace è ve-ramente difficile da individuare. Abbiamo scelto dunque

CRITERI INDICATORI DOCUMENTAZIONE PUNTI

Qualità dell’insegnamento epotenziamento dellecompetenze degli alunni

● Conoscenza e competenza nella disciplina insegnata● Chiarezza e adeguatezza delle spiegazioni● Capacità di costruire e di potenziare le competenze ● Capacità di costruire un clima sereno nella classe● Disponibilità a rispiegare/approfondire● Puntualità nella presenza in classe● Puntualità nella consegna delle verifiche● Coerenza nelle verifiche con quanto spiegato● Equilibrio e correttezza nella valutazione● Completezza nello sviluppo della programmazione● Disponibilità nella relazione con le famiglie

Questionario sullaqualità percepita

compilato e firmatodagli alunni e daigenitori

(max 55)

Successo formativo escolastico degli studenti

● Risultati degli studenti nelle pagelle Pagelle di fine a.s.(max 5)

Innovazione didattica emetodologica, ricercadidattica, documentazione ediffusione di buone pratiche,formazione del personale

● Pubblicazione di testi inerenti alla didattica e/o rivolti agli alunni ● Partecipazione a corsi di aggiornamento/formazione in qualità di

relatore● Pubblicazioni su riviste cartacee e/o online● Interventi online in siti inerenti alla didattica ● Partecipazione a corsi di aggiornamento/formazione in qualità di

uditore

Certificazioni prodottedai singoli docenti

(max 15)

Responsabilità assunte nelcoordinamentoorganizzativo e didattico

Avere il ruolo di:● Collaboratore del dirigente scolastico● Funzione strumentale● Responsabile di dipartimento● Responsabile di commissioni● Membro di commissioni● Coordinatore di classe● Segretario verbalizzante

Verbali e documenti diriferimento

(max 15)

Progettualità ● Essere responsabile di progetto approvato dagli organi competenti einserito nel piano dell’offerta formativa

● Partecipare a un progetto

Verbali e documenti diriferimento (max 10)

Contributo al miglioramento

dell’istituzione scolastica

Per quanto riguarda il miglioramento dell’istituzione scolastica si fa

riferimento a tutti gli indicatori precedenti

Totale (max 100)

Figura 1. Tabella per la valutazione.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 19

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

la soluzione pragmatica di far intervenire la voce del-l’utenza con un questionario sulla qualità percepita che ri-guarderà gli indicatori che abbiamo ritenuto rilevanti perquesto criterio (un esempio si trova nella Figura 2). Tale questionario dovrà essere compilato e firmato sia dal-l’alunno sia dai genitori in garanzia dell’assunzione di re-sponsabilità rispetto a quanto scritto. Sarà cura della di-rigenza garantire la riservatezza e fare in modo che aidocenti giungano soltanto le medie per classe di ciascunindicatore che, per i singoli docenti, potranno costituire ilpunto di partenza di una riflessione sull’efficacia dellapropria azione didattica. Il punteggio massimo previsto è55/100. Al criterio “qualità dell’insegnamento e poten-ziamento delle competenze degli alunni” è attribuito ilpeso maggiore (da solo conta più di tutti gli altri messi in-sieme) perché rappresenta l’aspetto più importante dellafunzione docente. Se si adotta il questionario proposto inFigura 2, in cui la somma dei punteggi massimi conse-guibili corrisponde a quella indicata in Figura 1 per lostesso criterio, la media delle valutazioni ottenute dal do-cente può essere considerata direttamente come punteg-gio per il criterio che stiamo considerando. Per semplifi-care la fase di elaborazione dei dati si potrebbe inoltrepensare di approntare opportune soluzioni informaticheper rilevare in modo telematico il parere dell’utenza.Se per questo criterio si può scegliere di sostituire alla va-lutazione della dirigenza il giudizio dell’utenza, ciò non èpiù vero per i rimanenti criteri, per i quali è proprio la di-

QUESTIONARIO SULLA QUALITÀ PERCEPITA

DELL’INSEGNAMENTO

Docente ................................................................................................Materia .................................................................................................A.S. ....................................Classe .................................

Si richiede di attribuire un punteggio con una scala da 1 a 5 per ciascuna delle seguenti voci:

5: ottimo 4: buono 3: sufficiente 2: carente 1: molto carente

Figura 2. Esempio di questionario sulla qualità, percepita,

dell’insegnamento.

INDICATORE PUNTEGGIO

Conoscenza e competenza nella disciplinainsegnata

Chiarezza e adeguatezza delle spiegazioni

Capacità di costruire e di potenziare lecompetenze

Capacità di costruire un clima sereno nella classe

Disponibilità a rispiegare/approfondire

Coerenza delle richieste nelle verifiche conquanto spiegato

Puntualità nella presenza in classe

Puntualità nella consegna delle verifiche

Equilibrio e correttezza nella valutazione

Completezza nello sviluppo dellaprogrammazione

Disponibilità nella relazione con la famiglia

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV20

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

rigenza, con la sua discrezionalità, sulla base degli elementiconsiderati rilevanti nella tabella di valutazione, ad attri-buire i punteggi nell’ambito del valore massimo previsto.Anche la valutazione del successo formativo e scolastico

degli studenti non è scontata per la ricchezza di elementiche coinvolge e se da un lato si può adottare la soluzionepiù pragmatica, quella di considerare le pagelle di fineanno scolastico, dall’altro dobbiamo considerare che èmolto difficile partire da essa per ottenere una valuta-zione oggettiva ed equa per l’insegnante; basti pensarealla differenza di difficoltà dei percorsi formativi delle di-verse discipline, alle differenze nei livelli di partenzadelle varie classi o alla tentazione, più o meno inconscia,di far lievitare i voti degli studenti per ottenere valuta-zioni migliori. È per questo motivo che il punteggiomassimo è limitato a 5/100.Per quanto riguarda il criterio “innovazione didattica e me-todologica, ricerca didattica, documentazione e diffusionedi buone pratiche, formazione del personale” si possonoconsiderare le certificazioni prodotte dai singoli docenti re-lativamente alle attività di aggiornamento e alle eventualipubblicazioni. Il punteggio massimo previsto è 15/100. Peri criteri “responsabilità assunte nel coordinamento orga-nizzativo e didattico” e “progettualità” si possono consi-derare i verbali e i documenti di riferimento. I punteggimassimi previsti sono rispettivamente 15/100 e 10/100.Va notato, a questo proposito, che il giudizio della di-rigenza dovrà essere espresso sulla qualità delle pre-stazioni del docente e non solo sulla quantità o sul-

l’importanza delle eventuali funzioni espletate. Adesempio per il criterio “responsabilità assunte nel co-ordinamento organizzativo e didattico” potrebbe otte-nere un punteggio maggiore un coordinatore di classeche assolve in modo attento e responsabile il suo com-pito rispetto a un collaboratore del dirigente che non la-vora adeguatamente.Può essere utile anche considerare un modulo in cui i do-centi dichiarano eventuali pubblicazioni, aggiornamenti,ruoli organizzativi e iniziative progettuali. Tale modulo ser-virà a facilitare il compito della dirigenza che, pur avendola responsabilità del controllo, si troverà in forma sinotticatutti gli elementi valutabili per ciascun docente. Un esem-pio è scaricabile dal sito della rivista, insieme alla tabellae al questionario che abbiamo proposto. Essi potrannoessere modificati per meglio adattarsi ai differenti conte-sti dei singoli istituti o per seguire differenti conclusioni ri-guardo la ripartizione dei punteggi massimi, che ciascuncomitato di valutazione potrà eventualmente ripesare a se-conda delle proprie riflessioni e rielaborazioni. Gli strumenti operativi che abbiamo illustrato conten-gono un’architettura logica nella quale la dirigenza man-tiene (per tutti i criteri a eccezione del primo, giudicatodall’utenza) la discrezionalità del giudizio, espressa me-diante l’attribuzione dei punteggi, ma che nello stessotempo rende consistente e motivata la valutazione.

Ilaria Ottino

Docente, liceo Avogadro, Vercelli

Il Comitato di valutazione per la valorizzazione del

merito dei docenti del liceo “Giuseppe Parini” di Se-regno (MB) si è insediato il 28/04/2016 e ha concluso

i suoi lavori il 26/05/2016, incontrandosi quattro volte.

Considerazioni introduttiveDurante il primo incontro la componete docenti ha avan-zato una proposta che fondamentalmente riprendeva lacontrattazione d’istituto, facendo corrispondere i criteri

a un principio legato a una retribuzione basata sul cal-colo di ore aggiuntive svolte per attività eccedenti la do-cenza frontale. In seguito a questa ipotesi si è aperta unadiscussione sul senso del contenuto del comma 129della legge 107/2015 e dopo ampio dibattito si è conve-nuto che – lo si ritenga opportuno o meno – lo… spirito

della legge andava in ben altra direzione, essendo emi-nentemente legato a individuare criteri che potessero au-spicabilmente fare emergere e valorizzare la qualità pro-fessionale dell’insegnamento e non solo retribuire dellavoro svolto in più. Si è dunque proceduto con l’analisidi una Bozza di criteri, frutto dell’impegno di un gruppodi dirigenti scolastici che fanno riferimento all’ambitoterritoriale di Monza e Brianza, proposta dal dirigentescolastico (la maggioranza delle scuole del territoriobrianteo sono partite da questa bozza per elaborare ilproprio documento). Gli incontri successivi sono pro-seguiti con un discreto livello di condivisione, pur nella

L’esperienza del liceo“Parini”Gianni Trezzi

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 21

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

distinzione dei ruoli. Distinzione che ha forse inevita-bilmente portato le diverse componenti a ragionare inmodo significativamente diverso a seconda di qualesguardo si era portatori: docente, genitore, alunno, diri-gente. Sono quattro prospettive per certi aspetti alquantodifferenti, quando non opposte; per esempio i docentihanno dato l’impressione di giocare soprattutto in difesa,cercando di limitare al massimo quegli aspetti che avreb-bero potuto essere vissuti come una valutazione del lorooperato didattico, mentre al contrario la componentedegli alunni (così come quella dei genitori) avrebbe vo-luto spingere sull’individuazione di criteri che consen-tissero di valorizzare gli insegnanti percepiti come mi-gliori coram populo e dunque attraverso una mera presad’atto di un aspetto reputazionale considerato del tuttoevidente (“…i docenti migliori, più bravi, più prepa-rati… sappiamo benissimo chi sono… Così come i menocapaci!”). Nel mezzo – verrebbe da dire: tra l’incudinee il martello – si situa la scomoda posizione del preside,che presiede tanto ma decide poco e spesso si ritrova adare un colpo al cerchio e uno alla botte, tentando dimantenere in equilibrio un gruppo di lavoro alquantoeterogeneo o se si preferisce una metafora marinara te-nendo saldamente la barra del timone, per evitare tem-peste da una parte e scogli e secche dall’altra, al fine dicondurre la nave sana e salva in porto…Il Comitato di valutazione ha, infine, partorito una schedacon 32 indicatori (15 per l’area A, 8 per la B e 9 per laC). Il Cdv non ha ritenuto di indicare un punteggio perogni item, lasciando implicitamente un certo margine dimanovra al preside. Si chiederà ai docenti di compilarlae riconsegnarla in segreteria entro il 30/06/2016, ac-compagnandola con una relazione che ha lo scopo di de-scrivere/documentare (in modalità autodichiarativa) gliitem che ogni docente ha individuato come maggior-mente rispecchianti il proprio operato. Se, come si spera,gli insegnanti sapranno apprezzare questa possibilità didescrivere in prima persona le loro pratiche didattico-educative e magari la declineranno con un taglio narra-tivo, potremmo assistere a una sorta di miracolo: docentiche si trasformano in professionisti consapevoli e auto-riflessivi, che sono in grado di ragionare sui loro punti diforza e di debolezza e che colgono l’occasione per sten-dere un autentico bilancio delle competenze utile primadi tutto a loro stessi. Sarà poi compito del dirigente sco-lastico tirare le fila o meglio trovare la quadra, per ga-rantire una valorizzazione del merito equa e condivisadalla comunità scolastica nel suo insieme. Funzionerà? Asettembre l’ardua sentenza…

Gianni Trezzi

Dirigente scolastico, Liceo “Parini”, Seregno

Asterischi di Kappa ***Gli inganni pedagogici delle ipotesi ad hocAttilio Oliva, antico presidente dell’Associazione

TreeLLLe, nell’articolo intitolato Bonus ai docenti:assegnarli bene migliora la scuola (Il Corriere della

Sera, 1 giugno 2016, p. 27) scrive: «c’è ormai evidenza

empirica da tante indagini internazionali che, a parità

di contesti ambientali e socioeconomici, scuole simili

danno risultati molto diversi: evidentemente la

variabile che fa la differenza è la qualità professionale

di chi la dirige e di chi vi insegna». La frase è capziosa

ed è un concentrato di pericolosi paralogismi. A

ragionare con l’accetta della pura astrazione, infatti, si

può perfino essere d’accordo sul primo periodo che la

compone. Ma, nel concreto, esiste davvero “un

contesto ambientale e socioeconomico” di qualsiasi

scuola che sia uguale (pari) a quello di un’altra?

Semmai potrà essere analogo, come ci ha insegnato

l’intramontabile Aristotele. Ma se analogo, e non

uguale, il primo periodo della frase è un banalissimo e

fuorviante truismo: ovvio che scuole peraltro simili (e

non uguali) diano risultati molto diversi. Ma dove si

annida il pericoloso paralogismo che forse sarebbe

meglio chiamare con il suo nome: “ideologismo

politico” è nella seconda parte della frase. Scrivere,

infatti, che «evidentemente la variabile che fa la

differenza è la qualità professionale di chi la dirige e di

chi vi insegna» è un triplo inganno. Perché non esiste

nessuna consequenzialità logica tra il primo e il

secondo periodo della frase. Al massimo qualche

implicazione. Perché se anche si potesse fare

l’esperimento mentale di far insegnare in scuole simili

di uguale contesto ambientale e socioeconomico gli

stessi docenti avremmo comunque risultati molto

diversi, qualunque sia la loro perizia professionale.

Perché, infine, manca la considerazione della variabile

fondamentale nella spiegazione del fenomeno: i singoli

studenti che, per definizione, sono unici e irripetibili, al

pari di ogni docente, di ogni dirigente, di ogni genitore

ecc. E si pensa forse che unicità e irripetibilità di

ciascuno debbano dare per forza risultati uguali?

Purtroppo tutto questo accade quando la scuola non è

più, e purtroppo ormai da almeno due secoli,

prioritaria questione di pedagogia, ma solo di

burocrazie statali, di corporazioni professionali e di

ideologie politiche.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV22

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

SCHEDA DI RILEVAZIONE PER LA VALORIZZAZIONE DEL MERITO DEI DOCENTI Legge 107/15

LICEO “GIUSEPPE PARINI” - SEREGNO (MB) - A.S. 2015/16

DOCENTE: __________________________________________________ MATERIA: _________________________________________

(cognome e nome)

Area legge 107/15

comma 129Competenze del docente Indicatori Sì A volte

a) Qualità dell’insegnamento; contributo al miglioramento dell’istituzione scolastica; contributo al successo formativo e scolastico

degli studenti

a) 1 - Qualitàdell’insegnamento

1.1 - Il docente conosce edapplica strategie diversificate digestione della classe

1.1.1 - Il docente dialoga con la classe con chiarezza edefficacia, anche per risolvere costruttivamente eventualiconflitti e/o situazioni problematiche

1.2 - Il docente comunicaefficacemente con genitori,colleghi e personale scolastico

1.2.1 - Il docente comunica con colleghi, genitori e personalescolastico con chiarezza ed efficacia1.2.2 - Il docente compila puntualmente il registro elettronicopersonale/di classe1.2.3 - Il docente partecipa attivamente alle riunioni, fornendoil proprio apporto

a) 2 - Contributo almiglioramentodell’istituzionescolastica

2.1 - Il docente cura la creazionedi un ambiente diapprendimento che incoraggiagli alunni a diventare capaci dirisolvere problemi, prenderedecisioni, apprendere da ognicircostanza, contribuire aicambiamenti

2.1.1 - Il docente promuove la ricerca autonoma e/o per piccoligruppi anche in modalità laboratoriale

2.1.2 - Il docente usa tecniche di insegnamento diversificate eappropriate per stimolare la partecipazione degli alunni e nonsolo/prioritariamente la lezione frontale

2.1.3 - Il docente incoraggia e promuove negli alunnil’espressione dei propri punti di vista

2.2 - Il docente si impegna perla realizzazione del Piano dimiglioramento

2.2.1 - Il docente partecipa alle attività previste dal piano dimiglioramento

a) 3 - Contributo almiglioramento delsuccesso formativo escolastico degli alunni

3.1 - Il docente dimostra diimpegnarsi per il benessere e lacrescita degli alunni

3.1.1 - Il docente applica adeguatamente gli strumenticompensativi e dispensativi previsti dal PDP nei confronti dialunni con bisogni educativi speciali

3.1.2 - Il docente si rende disponibile per attività di recupero esviluppo (per es. help, lezioni di chiarimento/approfondimentoecc.)

3.2 - Il docente tratta gli alunnicon equità e rispetto

3.2.1 - Il docente promuove un clima di classe rispettoso,accogliente, inclusivo

a) 4 - Responsabilitàassunte nella propriaformazione

4.1 - Il docente riflette sulleproprie pratiche diinsegnamento per correggerle,affinarle, ricorrendo anche amodelli esterni, forniti dacolleghi, formatori ecc.

4.1.1 - Il docente modifica le proprie pratiche d’insegnamentoanche in relazione agli esiti degli alunni

4.1.2 - Il docente confronta i propri risultati educativi edisciplinari con i colleghi

4.2 - Il docente s’impegnanell’apprendimentoprofessionale in itinerepartecipando a percorsiformativi diversi

4.2.1 - Il docente identifica proprie aree di miglioramento,ricercando formazione specifica4.2.2 - Il docente partecipa attivamente a percorsi formativi

Nota operativa e modalità di documentazione

1) PREREQUISITI per accedere alla valorizzazione:- essere docente assunto a tempo indeterminato;- non avere subito sanzioni disciplinari nell’A.S. di riferimento;- essere stato presente in servizio nel periodo di apertura della scuola(dal 14/09/2015 all’8/06/2016) per non meno dell’80% dei giorni conriferimento al calendario scolastico (160 gg.).

2) Premesso che non sussiste obbligo di compilazione di questascheda, la/il docente che se ne volesse avvalere dovrà procedere conla seguente modalità:a) “crocettare” gli indicatori che, secondo autovalutazione,rispecchiano il proprio operato nell’A.S. 2015/16;b) gli indicatori individuati costituiranno una traccia per la stesura diuna necessaria RELAZIONE accompagnatoria che consenta didescrivere/documentare quanto autodichiarato (ai sensi del D.P.R. n°445 del 28/12/2000).

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 23

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

b) Risultati ottenuti dal docente o dal gruppo di docenti in relazione al potenziamento delle competenze degli alunni e dell’innovazione

didattica e metodologica, nonché della collaborazione alla ricerca didattica, alla documentazione e alla diffusione di buone pratiche

didattiche

b) 5 - Risultati ottenutiin relazione alpotenziamentodell’innovazionedidattica emetodologica, allaricerca educativa, alladocumentazione ediffusione di buonepratiche

5.1 - Il docente usaappropriatamente le tecnologienelle pratiche di insegnamento edocumentali

5.1.1 - il docente ricorre all’uso di tecnologie nell’azione diinsegnamento/apprendimento/documentazione (per es. LIM, anche perché in tal modovalorizza l’investimento della scuola)

5.2 - Il docente è impegnato inprima persona a sostegnodell’innovazione didattica emetodologica

5.2.1 - Il docente promuove e/o partecipa ad iniziativeinnovative in campo didattico e metodologico, con positivericadute sull’innovazione didattica dell’Istituto

5.2.2 - Il docente è impegnato in prima persona nell’alternanzascuola-lavoro5.2.3 - Il docente è impegnato in percorsi di tutoraggio e/oorientamento per gli studenti

5.3 - Il docente è impegnato inprima persona in azioni diinternazionalizzazione delcurricolo

5.3.1 - Il docente promuove o partecipa ad iniziative diinternazionalizzazione del curricolo: scambi, progetti europei,potenziamento di lingue seconde, moduli CLIL, ecc.

5.4 - Il docente collabora con glialtri docenti per contribuire allacreazione di una comunità diapprendimento nelle classi enella scuola

5.4.1 - Il docente partecipa attivamenteall’organizzazione/attuazione di attività che coinvolgono piùclassi/l’intera scuola

5.5 - Il docente collabora conaltri professionisti, genitori emembri della comunità per ilmiglioramentodell’apprendimento degli alunnie dell’offerta formativa dellascuola

5.5.1 - Il docente promuove contatti con il territorio e le suerisorse, sfruttandone le opportunità

5.5.2 - Il docente promuove iniziative culturali, eventualmentein collaborazione con enti esterni alla scuola, in reteformale/informale (per es. Serate del Parini, Giornate a tema,Incontri con l’autore, Cineforum ecc.)

c) Responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e didattico e nella formazione del personale

c) 6 - responsabilitàassunte nelcoordinamentoorganizzativo edidattico

6.1 - Il docente esercita il ruoloaffidato con responsabilità edefficacia, assicurandol’espletamento di tutti i compitiassegnati e stimolando lapartecipazione attiva deicolleghi

6.1.1 - Il docente svolge il ruolo di coordinatore in una classecon alunni BES (compresi DSA) e/o con disabilità,predisponendo la documentazione inerente6.1.2 - Il docente svolge il ruolo di coordinatore in una classeQuinta6.1.3 - Il docente svolge il ruolo di tutor di docenti neo-immessi/tirocinanti6.1.4 - Il docente svolge incarichi di collaborazione con il DS,responsabile di plesso, funzione strumentale, rapporti con ilcomitato genitori

6.1.5 - Il docente gestisce attività di promozione della scuolanel territorio e/o contatti con enti esterni6.1.6 - Il docente svolge il ruolo di responsabile dicommissione e/o di progetto (compresi GLI - Gruppo di lavoroper l’Inclusione e Gestione sito web)

6.1.7 - Il docente svolge attività diorganizzatore/accompagnatore per viaggi d’istruzione e/ouscite didattiche

c) 7 - responsabilitàassunte nellaformazione delpersonale

7.1 - Il docente diffonde quantoappreso nella propriaformazione

7.1.1 - Il docente illustra al Collegio gli apprendimenti dellaformazione personale e/o a piccolo gruppo e/o in rete di scuole7.1.2 - Il docente mette a disposizione dei colleghiatti/appunti/materiali/bibliografia di percorsi di formazione dalui seguiti/di cui è competente

3) La/il docente dovrà consegnare in segreteria entro il 30/06/2016 laseguente documentazione cartacea:- scheda di rilevazione debitamente crocettata;- relazione accompagnatoria, datata e firmata;

- eventuali allegati (es. attestati di frequenza a corsi, certificazionivarie, ecc.)Documento approvato all’unanimità dal Comitato di valutazione nellaseduta del 26/05/2016

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV24

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

La varietà delle soluzioni adottateGli esempi che abbiamo proposto sono, come si intuisce,il frutto di riflessioni, di mediazioni e accordi a caratterelocale, validi per quelle persone e per quelle situazioni chesi trovano ad affrontare in un dato momento; ed è proprioquesta normalità che li rende veri, stimolanti e interessantiper tutti.La scelta metodologica di non puntare all’esemplarità e,tantomeno, all’idealità di un modello, non è legata, comesi intuisce, al fatto che ci troviamo solo agli inizi di un per-corso e che, dunque, i margini di miglioramento sono an-cora ampi, per cui apparirebbe prematuro e velleitariopensare fin da ora a modelli ideali. Non è questo il punto.Ciò su cui si intende richiamare l’attenzione è altro: icommi 126-129 ci pongono di fronte a uno spazio di“autonomia premiale” da difendere e di cui essere gelosi,perché può costituire un’occasione per il rilancio e per lapiena attuazione dell’autonomia; cosa di cui del resto lalegge 107/2015 si fa vanto: «la presente legge dà piena

attuazione all’autonomia delle istituzioni scolastiche di

cui all’articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59». Entro questa prospettiva, ogni scuola autonoma, una voltagarantito il rispetto formale e sostanziale dei vincoli in-dicati dalla legge 107/2015, dovrebbe potersi muovere li-beramente per elaborare quei criteri e quelle procedure,che certo non saranno i migliori in assoluto (se mai esi-

stessero…), ma che sono ottimali per “quella” scuola.Questa è l’autonomia.Ora, se la regola base del gioco dell’autonomia è che tra lalegge e la scuola non ci debbano essere intermediari, allorabisogna cominciare a guardare con inquietudine al dettatodel comma 130: «Al termine del triennio 2016-2018, gli uf-fici scolastici regionali inviano al Ministero dell’istruzione,dell’università e della ricerca una relazione sui criteri adot-tati dalle istituzioni scolastiche… Sulla base delle rela-zioni ricevute, un apposito Comitato tecnico scientifico no-minato dal Ministro dell’istruzione, dell’università e dellaricerca, previo confronto con le parti sociali e le rappre-sentanze professionali, predispone le linee guida per la va-lutazione del merito dei docenti a livello nazionale».

Se non siamo troppo maliziosi, sembrerebbe che l’“auto-nomia premiale” sia solo una concessione transitoria estrumentale; al termine del triennio 2016-18, tale auto-nomia sarà sequestrata e affidata a un Comitato tecnico

scientifico, alle parti sociali – leggasi Sindacato – e allerappresentanze professionali. Saranno loro che, interpo-nendosi tra la legge e le scuola dell’autonomia, detterannole ennesime Linee Guida – come un’idra dalle molte te-ste, il centralismo sta tornando nella forma apparente-

mente friendly delle Linee guida. Ci si domandi, però, chesuccederebbe se una scuola disobbedisse alla Linee guidae si appellasse direttamente e socraticamente alla Legge.

C’è un’immagine dei lettori che mi è rimasta nel cuore. VirginiaWoolf sogna1 che nel giorno del Giudizio, quando i grandi uominisi presenteranno al cospetto di San Pietro per avere la lororicompensa – “le loro corone e i loro lauri, i loro nomi

indelebilmente incisi nel marmo imperituro” – i lettori arriverannocon i loro amati libri sotto braccio. Allora il buon Dio dirà a SanPietro, non senza una traccia di invidia, che non c’è ricompensa perloro, hanno già avuto la loro felicità in vita.Allo stesso modo, credo che anche i bravi insegnanti sipresenteranno da San Pietro con i loro amati studenti sotto braccio,e anche per loro non ci sarà ricompensa.Non ci sono infatti premi o medaglie o marmi imperituri per i bravi

insegnanti, che svolgono il loro lavoro con pazienza e tenacia,senza clamore – tranne il sorriso fiducioso e allegro dei lorostudenti, che magari hanno acchiappato per i capelli, salvandoli danaufragi scolastici e – chissà – forse anche esistenziali.Non fanno carriera di solito i bravi insegnanti. Un po’ perché nonne hanno il tempo, ma soprattutto perché difettano della forma

mentis burocratica: per diventare bravi insegnanti bisogna esserecreativi, indipendenti, flessibili, aperti, capaci di ascoltare e diessere presenti con la mente e con il cuore, senza nascondersi dietroun ruolo… Il fatto è che non si è bravi insegnanti tutti i giorni, tuttele ore, in tutte le classi, con tutti gli alunni.

Bisogna confermarlo, rinnovarlo ogni ora, ogni anno, in ogniclasse, con ogni alunno. Ma talvolta la pazienza si esaurisce, gliostacoli sono troppi, qualche ragazzo colpisce nei punti deboli…E non c’è un solo modo di essere bravo insegnante, ce ne sono tantie ognuno ha il suo. E di solito il bravo insegnante pensa che gli altrisiano più bravi di lui, e quindi non si sente tanto bravo, magari soloun po’ bravino, e neanche sempre.E poi: cosa produce un bravo insegnante? Non ponti, grattacieli,best seller od opere d’arte. Nulla da immortalare nel marmoimperituro.Accende una scintilla negli occhi dei suoi studenti – ma di tutti, se èveramente un bravo insegnante, non solo di quelli bravi, e va astanare soprattutto i somari, i rassegnati, gli sfiduciati.Così, penso che anche per loro il buon Dio dirà a San Pietro – nonsenza una punta d’invidia: “Questi non hanno bisogno di

ricompensa. Qui non abbiamo niente per loro.”.(E direi che il MIUR si è prontamente uniformato.)

Silvia Giannelli

Docente di Scienze Agrarie - Istituto professionale per l’agricoltura

e l’ambiente “B. Ferrarini” di Sasso Marconi (BO)

1. V. Woolf, Per le strade di Londra, Garzanti, Milano 1974.Campuses, Uni-versity of Chicago Press, 2011.

Divagazioni semiserie su lettori, bravi insegnanti (e Virginia Woolf)

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 25

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

Il dibattito che si è aperto sulle pagine della rivistaNuova Secondaria tra esperti e pedagogisti ha indicatoi limiti e le possibilità della legge 107/2015, che pre-

vede la delega legislativa per la riforma complessivadella formazione iniziale. Giuseppe Bertagna ha identifi-cato con chiarezza la questione di fondo. Per un verso, oc-corre superare il tradizionale «paradigma della separa-zione» (tra teoria e pratica) e quello dei «due tempi»(prima teoria all’università, poi pratica a scuola)1. Per unaltro verso, occorre rendere l’apprendistato un dispositivoistituzionale in grado di «coniugare buon insegnamento ebuon apprendimento»2, senza scadere nella «precettisticaimitativa»3. Un’altra possibilità che la legge offre è quelladi introdurre una partnership tra università e sistema sco-lastico.Tale discorso ricalca appieno gli sviluppi internazionali.In effetti, la formazione iniziale dei docenti è sempre piùorientata a riconoscere il ruolo della componente espe-rienziale nella forma del tirocinio alla preparazione pro-fessionale. Il trend che testimonia il ruolo di rilievo dellapratica “clinica” caratterizza oggi molti Paesi e soprattuttoquelli anglosassoni. Allo stesso tempo, i sistemi educativipiù efficaci incorporano in via sistematica saperi che lamigliore ricerca educativa mette oggi a disposizione. Unodei meccanismi più grandi di cambiamento si basa sullapossibilità che l’insegnante acquisisca conoscenze evi-

dence-based sin dalla formazione iniziale e per tuttol’arco della sua vita professionale, contribuendo così almiglioramento del sistema scolastico4. Le politiche inglesi qui illustrate hanno però intrapresouna via assai più radicale. In effetti, la prevalenza dellacomponente pratica implica, a volte, l’emarginazione eperfino l’esclusione delle università dal business della for-mazione iniziale. È possibile affermare che il paradigmadella “separazione e dei due tempi” sia stato surclassatonel Regno Unito dalla supremazia dell’apprendistato, vi-sto come condivisione di buone pratiche e, in alcune

forme, senza alcun input dalle università. Tale posizioneè riassumibile nell’espressione the craft of teaching chespesso rischia di privilegiare il sapere artigianale in viaesclusiva, a sua volta identificato con il luogo in cui la for-mazione viene erogata: la scuola. Più specificatamente, ipercorsi abilitanti centrati sull’impiego sono descritticome un “tuffo nel profondo” – deep dive approach. A ciòva aggiunto che la qualità della formazione non dipendedal tipo di percorso seguito, ma dalla sua coerenza. Neconsegue che i percorsi basati sull’impiego possono rap-presentare delle valide vie di ingresso nel mestiere, acondizione che: 1) l’impatto iniziale sia adeguatamentemediato da un pacchetto formativo mirato e coerente conla “pratica”; 2) il lavoro a scuola rappresenti una veraesperienza di apprendimento sotto la guida di un inse-gnante esperto in affiancamento. Ad ogni modo, una pre-parazione teorica di qualità intercetta aspetti esperienzialie viceversa. L’articolo si sofferma sulla prima condi-zione, ovverossia sull’impatto iniziale con l’esperienza ascuola.

Lo scenario ingleseI percorsi formativi in cui la scuola detiene un ruolo cen-trale risalgono agli inizi degli anni ’90. L’atto di insegnareè stato visto come sostanzialmente basato su abilità di tipopratico, le quali non possono essere acquisite in via teo-rica. Secondo Furlong e colleghi, gli esponenti del mondoneoliberale e i sostenitori del quasi mercato sono stati i più

Formazione docenti inglesiIl percorso abilitante School Direct

Monica E. Mincu

QUAL È LA FORMAZIONE MIGLIORE PER IL FUTURO DOCENTE? QUELLA CENTRATA

SULL’UNIVERSITÀ? SULLE ISTITUZIONI SCOLASTICHE? SULLA LORO PARTNERSHIP? UN’ANALISI DI

CASO SUL RAPPORTO FRA FORMAZIONE ED ESPERIENZA SUL CAMPO.

1. G. Bertagna, “Insegnare è imparare, imparare è insegnare”, in Nuova Secon-

daria, XXXIII, 7 (2016), pp. 13-18.2. Ibi, p. 153. Ibi, p. 184. BERA/RSA, Research and the teaching profession: Building the capacity for

a self-improving education system. BERA, London 2014. M. Mincu, “Teacherquality and school improvement: what is the role of research?”, in Oxford Re-

view of Education, 41 (2) (2016), pp. 253-269.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV26

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

grandi supporters delle vie centrate sulla scuola, in lineacon la tesi secondo cui «l’apprendistato dovrebbe avereprecedenza sull’istruzione [teorica]»5. Storicamente, leprime modalità alternative di preparazione iniziale avviatenel 1989 sono la Licensed Teachers Scheme (LTS) e la Ar-

ticled Teachers Scheme (ATS). La differenza tra di esse èsignificativa. Nella ATS i futuri insegnanti trascorrevanofino all’ottanta percento del tempo a scuola. Le universitàdetenevano, a ogni modo, il pieno controllo di questo per-corso abilitante. Nel secondo caso, la LTS accoglievacandidati più maturi, con almeno due anni di studi uni-versitari, reclutati per posizioni di insegnanti. In que-

st’ultimo caso, si trattava di formazione direttamente on

the job, offerta dallo stesso datore di lavoro. La LTS rap-presentò quindi un «punto di rottura assai più radicale ri-spetto alle tradizionali vie della formazione»6. Nel 1993, un altro percorso formativo basato sull’im-piego nella scuola è nato con la creazione dei centri chia-mati School Centred Initial Teacher Training (SCITT),tuttora attivi. In linea diretta con l’esperienza della LTS,nel 1998 è stato lanciato un nuovo programma di forma-zione: il Graduate Teaching Program (GTP), operativofino al 2013. Anche il GTP è stato destinato a candidatimaturi, con almeno 24 anni di età. Come il LTS, il GTPera di durata annuale. Per organizzare l’offerta formativa,la scuola poteva scegliere di collaborare con un’università,un’autorità locale o un consorzio locale di scuole. Gli ul-timi governi britannici hanno continuato a favorirel’espansione dei percorsi centrati sulla scuola. In effetti,in continuità con il percorso LTS e il suo sostituto GTP,nel 2013 una terza possibilità si è profilata, e cioè il per-corso abilitante detto School Direct (SD) nella versionestipendiata (SDS). Rispetto ai percorsi precedenti, la no-vità consiste ora nella possibilità che viene data per laprima volta alle scuole anziché alle università, di poter se-lezionare con una certa discrezionalità i propri candidatiall’abilitazione.In sintesi, la formazione iniziale si delinea con tratti di no-tevole complessità. In effetti, le istituzioni competentinella formazione possono essere 1) le università, 2) iconsorzi di scuole (centro SCITT) oppure 3) le organiz-zazioni del terzo settore o nuovi tipi scuole dette teaching

schools (letteralmente “scuole che insegnano”), che pos-sono gestire l’offerta formativa senza ricorrere a terzi, acondizione che vengano certificate da un ente competente.Anche quando il percorso abilitante risulta gestito dalleuniversità, la partnership con le scuole è senz’altro ri-chiesta. Oltre ai percorsi universitari di tipo undergra-

duate (formazione concomitante al conseguimento di unalaurea triennale) o postgraduate (formazione consecutivaalla laurea, solitamente un anno di Professional General

Certificate in Education, PGCE), altre possibilità “alter-native” si sono profilate. Accanto alla modalità SDS, èpossibile scegliere tra: 1) Teach First, sul modello ame-ricano Teach for America, volto a selezionare candidatiaccademicamente eccellenti nelle scuole, 2) Troops to

Teach, volto alla conversione di quadri militari alla pro-

5. J. Furlong, L. Barton, S. Miles, C. Whiting, G. Whitty, Teacher education in

transition. Reforming professionalism?, Open University Press, Buckingham,Philadelphia 2000, p. 11.6. Ibi, p. 55.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 27

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

fessione docente e 3) Researchers in Schools, volto ad at-trarre candidati con dottorato di ricerca.La complessità della formazione inglese non è soltantofrutto di una precisa scelta politica. Le vie di formazionebasate sulla scuola si pongono, in parte, come rimedio alladifficoltà di attrarre candidati, soprattutto in periodi in cuil’economia inglese è in crescita e i neolaureati non riten-gono appetibile la professione docente. A questo va ag-giunto che, nonostante le scuole e i presidi abbiano la pos-sibilità di reclutare in loco gli insegnanti qualificati di cuihanno bisogno, far corrispondere domanda e offerta per-mane un’operazione difficile. Ecco perché un altro modoper soddisfare i bisogni specifici di reclutamento è quellolegato ai percorsi basati sull’impiego, che servono a sod-disfare le specifiche esigenze di organico. School Direct

Salaried è, pertanto, un altro modo di reclutamento me-diante un tipo di formazione stipendiata, riservata a can-didati maturi, i quali non avrebbero scelto le vie tradi-zionali. Se si considera poi il numero di iscritti, i dati sono davverosorprendenti. In effetti, dai 722 candidati nel 2012/2013,nel 2015/2016 si è saliti a 17.609. Il dato è particolarmenterilevante: arriva a due terzi circa rispetto al numero di abi-litati nei percorsi universitari, all’incirca 22.224 nellostesso anno7. È quindi ragionevole sostenere che SDS of-fre principalmente la possibilità di reclutare candidati allaricerca di una cambiamento professionale, provenienti dalmondo economico e industriale e con almeno tre anni diesperienza lavorativa. Il percorso prevede l’inserimento inuna scuola principale dove avranno classi assegnate pertutto l’anno e un secondo collocamento di sole cinque set-timane in un diverso contesto istituzionale. Gli abilitantisono a tutti gli effetti membri dello staff e insegnano finoa un massimo del novanta per cento dell’orario pieno. Leindicazioni ministeriali consigliano, tuttavia, il loro utilizzocome organico in esubero, affinché i tutor assegnati pos-sano effettivamente affiancarli in classe. In pratica, lescuole sono libere di utilizzare i candidati come inse-gnanti dell’organico di base, e quindi le possibilità di es-sere affiancati o osservati si riducono notevolmente. Rivolgendo ora lo sguardo alla ricerca internazionale,molti studi documentano come cambia la formazionequando sono le scuole, anziché le università, a essere leistituzioni capofila in un partenariato di formazione ini-ziale. Un’ulteriore e più radicale domanda di ricerca staemergendo: In che modo cambiano i parametri della for-

mazione quando le università sono del tutto escluse? Ineffetti, realtà emergenti – a esempio la SDS – possono im-plicare anche forme di collaborazione/partnership createtra teaching schools e provider locali, come i consorzi discuole (SCITT), o perfino istituzioni private che si stanno

sempre di più profilando sul mercato della formazione.Tale domanda, che è particolarmente suggestiva per com-prendere la tendenza inglese nella formazione, esula peròdagli obiettivi del presente studio. In sintesi, il percorso SDS basato sull’impiego è pertantoda ritenersi una via alternativa all’abilitazione8. La co-munità internazionale non è del tutto unanime sul concettodi formazione alternativa. Si ritiene che una via alterna-tiva possa rappresentare un percorso sviluppato a livellolocale o distrettuale, con contributo minimo o nullo daparte delle università. Occorre sottolineare però che laqualità della formazione di qualità non è strettamentecorrelata al tipo di percorso seguito (tradizionale o alter-nativo), ma alle caratteristiche degli insegnanti e al con-testo istituzionale delle scuole in cui si formano. La pre-messa ufficiale del SDS è quindi quella di fornire unaformazione differente per natura e modo di erogazione,focalizzata sulla componente lavorativa.

Alcuni risultati emersi da uno studio di casoUna ricerca etnografica si è focalizzata sul percorso SDS,così come si configurava tra una teaching school di gradosecondario (scuola comprensiva con classi 7-12, dagli 11ai 18 anni di età) e il suo erogatore di formazione, un con-sorzio di scuole che funge da università. Le finalità el’ethos del consorzio coincidono con quelli della scuolae sono orientati alla performance degli studenti: «essereun insegnante eccezionale [outstanding] è legato al fattoche la scuola è ansiosa di mantenere il suo status discuola eccezionale nelle valutazioni Ofsted» (abilitanteSDS). La filosofia orientata al raggiungimento di altistandard di apprendimento viene riassunta nell’espres-sione going above and beyond, cioè “andare oltre e più inalto”. Tre abilitanti SDS e un insegnante con abilitazioneSDS nel suo successivo anno di conferma (induction),sono stati gli attori privilegiati della ricerca: due trentenni,altri due quarantenni, provenienti dal mondo dell’industriae dall’ambito giuridico, due tra essi con esperienza di in-segnamento nelle scuole e all’università. Tutti e quattrohanno fatto leva sulla possibilità consentita dalla legge dinon perseguire il titolo opzionale universitario PGCE, masoltanto la QTS (Qualified Teacher Status). Con tuttaevidenza, tutti e quattro hanno manifestato soprattutto in-teresse per un ingresso nella professione docente rapidoe retribuito.

7. G. Whitty, J. Gore, Reform and the reconceptualization of teacher education

in England and Australia. Paper presented to BERA 2015.8. P. Grossman, S. Loeb, Alternative routes to teaching: Mapping the new land-

scape of teacher education, Harvard Education Press, Cambridge 2008.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV28

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

Gli abilitanti considerano la parte esperienziale comecentrale, mentre la “formazione” risulta del tutto com-plementare e marginale: “la parte centrale è essere quie insegnare. In verità, sono pagata a fare questo. […] Es-sere qui ed insegnare è la cosa fondamentale” (abilitanteSDS). L’elemento di lavoro sul campo è ritenuto comeil più utile di tutto il percorso. Il pacchetto di formazioneper questi abilitanti ha previsto una giornata di forma-zione nella prima settimana a scuola, 6 sessioni di 2-3ore ciascuna sullo specifico dell’insegnamento disci-plinare (matematica, inglese, lingue moderne), una de-cina di incontri di durata variabile durante l’anno su temipedagogici più generali e altre sessioni più brevi a livellodella scuola relative alle priorità di politica scolastica.Tutte le sessioni, considerate da alcuni candidati come“pillole formative” sono focalizzate in maniera moltomirata sugli standards della professione docente. Leconoscenze veicolate nelle sessioni di formazione sonoquasi esclusivamente tratte dalle linee politiche che de-scrivono gli standards, a volte presentate in modoastratto e poco attinente all’effettiva esperienza di inse-gnamento che stanno vivendo. In linea di massima, unacornice pedagogica maggiormente compressiva non ri-sulta presente. Un ruolo importante è poi giocato dal tu-

tor, soprattutto come supporto costante e informale. Uf-ficialmente, il tutor è tenuto a svolgere 20 minuti diformazione settimanale su temi specifici decisi dal pro-

vider, compito però ritenuto poco utile e ridondante da-gli stessi interessati. Uno sguardo ad alcuni dati consente di rilevare la sod-disfazione complessiva degli abilitanti SDS per questopercorso, mentre sulla componente formativa i parerisono piuttosto variegati. I commenti più critici indicanoil bisogno di ricevere più formazione all’inizio del per-corso e maggiormente coerente con l’esperienza chestanno vivendo, meno burocrazia e lavoro cartaceo perdocumentare ex-post competenze già acquisite. Leaspettative vanno poi a indicare un tipo di formazionecentrata sugli abilitanti come soggetti in formazione emeno sull’istruttore, spesso nelle vesti di un insegnanteritenuto esemplare. Il formatore è raramente un esperto“esterno” alla realtà locale e questo aspetto è ritenuto asua volta limitante dagli intervistati, perché “tutto vieneprodotto in casa”. Altrettanto indicativo è il fatto cheuno degli abilitanti SDS abbia deciso di acquistare pri-vatamente un pacchetto di formazione, frequentato nelsuo tempo libero e ritenuto come la migliore formazionericevuta.Arrivando ora allo choc del “tuffo nel profondo”, questaesperienza è chiaramente illustrata da due diversi abili-tanti-insegnanti:

Ho avuto lezioni sin dal primo giorno. Quindi è stato come…“ecco una classe, vai e insegna”, con nessun’altro affianco. Hodovuto entrare, prendere il controllo e insegnare. I primi duemesi ero… all’inferno, veramente, [risata], perché non avevoproprio idea di quello che stavo facendo. Mi ci sono volute oreper pianificare le lezioni. Ho dovuto pretendere di essere unavera insegnante, ed era davvero difficile. Ma ora, la classe in cuiinsegno da settembre [il primo anno delle secondarie]… non co-nosce niente di meglio. Sono la loro insegnante, sono stata laloro insegnante sin dall’inizio. Quindi mi vedono come un’in-segnante e credo che questo sia davvero importante (enfasi del-l’intervistata SDS, 40 anni, esperienza nell’industria).

Sono arrivato e sono entrato direttamente [ad insegnare] nel mioprimo giorno. Ho insegnato a 32 studenti ed ero senza tutor, tuttoper conto mio. Veramente, non sapevo quello che stavo fa-cendo e [credo che] a volte sia difficile riprendersi da quellaesperienza. Vivi una o due settimane in cui sei un po’ insicurodi te stesso. Quindi, la mia più grande riserva rispetto al percorsoSchool Direct è che […] vai direttamente ad insegnare, senza al-cuna formazione precedente (30 anni, qualche esperienza di sup-plente nelle scuole).

Emerge con chiarezza che la mancanza di formazione ingrado di mediare le prime esperienze sia uno degli aspettida ritenersi più critici: “la mia riserva più grande legataal SDS è l’assenza di input e di formazione prima che ilpercorso inizi”; “occorrerebbe più formazione […] nellefasi iniziali. Credo che a settembre avrebbe dovuto esserciuna vera e propria esplosione della formazione, anziché[…] ritrovarsi in formazione a marzo, su competenzecome il controllo della disciplina in classe […] Andavafatto molto prima”. Questo breve contributo illustra la rilevanza di una dellecondizioni fondamentali per una formazione di qualità:l’importanza della formazione per mediare l’impatto ini-ziale con l’esperienza. Va sottolineato che i dati dello stu-dio a cui attingo non sono generalizzabili. Ciononostante,le istituzioni osservate sono valutate come eccellenti peri criteri Ofsted, e quindi i risultati possono essere perlo-meno suggestivi di una certa realtà. È indubbio che il Re-gno Unito abbia accumulato negli ultimi decenni un no-tevole know-how relativo alla “formazione clinica” e aipartnership istituzionali. Tutto ciò, insieme a soluzioniesemplari come The Best Practice Research Scholar-

ships, offrono valide idee su come poter superare la se-parazione tra esperienza e sapere accademico, tra uni-versità e mondo della scuola.

Monica E. Mincu

Università di Torino

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 29

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

Credevo che insegnare il nome dei colori fosse fa-cile. Prendi i pennarelli e colori il box sottostanteal nome del colore a cui corrisponde. Un’attività

che puoi fare con allievi che parlano lingue differenti e chetu, insegnante, non conosci, perché basta impugnare ilpennarello rosa e dire “rosa” che tutti associano il nomedel colore a quello corrispondente nella loro lingua ma-dre. Ma quando si passa a esercizi che prevedono di com-pletare la frase scrivendo il nome del colore appropriatosi apre un mondo nuovo.Ho scoperto che il sole per molti è bianco, per molti an-cora non ha un colore, per pochi è giallo. Mi riferisco agruppi di allievi richiedenti asilo provenienti da Nigeria,Gambia, Costa d’Avorio e Pakistan ospiti a Villa Angeli,

la struttura di seconda accoglienza di Pontecchio Marconigestita dalla soc. cooperativa Lai-momo.E il mare, il mare ha innumerevoli colori. Per alcuni èbianco, per altri è blu, verde – come per Omero – addirit-tura grigio. Il limone è prevalentemente verde o arancione.

Di che colore è il mare?La riflessione sui colori non è nuova; in ambito filosoficola questione sulla natura dei colori è stata ampiamente di-battuta e continua a esserlo. È celebre l’affermazione diDemocrito: «Per convenzione il dolce, per convenzionel’amaro, per convenzione il caldo, per convenzione ilfreddo, per convenzione il colore, secondo verità gli atomie il vuoto».

Insegnare italiano L2 ai richiedenti asiloCaterina Soldati

L’INSEGNAMENTO DELLA LINGUA ITALIANA NEI CENTRI D’ACCOGLIENZA È UNA PREZIOSA OCCASIONE

PER INIZIARE A PRENDERE CONTATTO CON UN NUOVO MONDO E I SUOI SIGNIFICATI, OPERAZIONE PER

LA QUALE NUOVE TECNOLOGIE E SOCIAL MEDIA POSSONO RIVELARSI UTILI ALLEATI.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV30

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

Questa istanza platonica è stata poi ripresa da Galileo, daLocke e per ultimo da Hume il quale afferma: «Sounds,

colours, heat and cold, according to modern philosophy

are not qualities in objects, but perceptions in the mind»1.Allo stesso modo S.K. Palmer, uno psicologo e scienziatocognitivo, ritiene che i colori siano una proprietà psico-logica della nostra esperienza visiva e non una proprietàfisica degli oggetti. Sembra quindi di potere sostenere chela stessa lunghezza d’onda appare a persone diverse qua-litativamente differente. Ma in realtà non è questo ilpunto, poiché a parte i daltonici, è probabile che tutti per-cepiamo più o meno le stesse qualità. Ciò malgrado le no-miniamo in maniera diversa a seconda della nostra for-mazione linguistica e le concettualizziamo in mododifferente a seconda della nostra geografia spaziale e cul-turale2. Ecco perché se si chiede a un italiano di che co-lore è il mare risponderà “blu” mentre se lo si chiede a univoriano con tutta probabilità risponderà “bianco”. Al dilà delle differenze cromatico-paesaggistiche italiane eivoriane, alla base di queste risposte c’è una diversità diconvenzione. Quello che qui mi preme sottolineare è ilfatto che i colori sono ben lungi dall’essere una materiadi insegnamento banale. E a prescindere dalle teorie fi-losofiche di matrice realista o eliminativista, resta il fattoche la percezione dei colori è caratterizzata culturalmenteperciò una lezione sul nome dei colori si trasforma con fa-cilità in una dissertazione dove l’insegnante è il primo adovere imparare che le sue categorizzazioni non sonoaffatto universali.

Un insegnamento che va al di là dei contenutiQuesto è quello che accade in alcune classi di italiano L2:una negoziazione continua di significati, una costantemessa in discussione di ciò che è culturalmente connotato.Quando poi gli allievi sono richiedenti asilo e rifugiati, oc-corre muoversi con estrema delicatezza, perché si trattaspesso di persone che hanno subito traumi. Jobe, un ra-gazzo gambiano che viene dalla capitale, si rifiutava di di-segnare in classe, convinto che fosse un’attività pericolosache portasse alla pazzia. Sosteneva di avere visto in Gam-bia molte persone dedite al disegno impazzire. “Africa is

a very dark continent” affermava, non sapendo dare altraspiegazione e aveva proseguito raccontandomi che inGambia quando una persona prova invidia nei confronti diqualcun’altra si reca dal marabutto per lanciare una male-dizione a suo discapito. Questo accade soprattutto, soste-neva Jobe, in seno alle famiglie numerose dove ci sono piùmogli le quali per motivi di gelosia si inimicano. Dunquesono le persone gelose che disegnano o fanno disegnare.I traumi sono di tanti tipi; ecco un altro esempio. Fridayè ritornato sconvolto in struttura dopo essere stato al

pronto soccorso in seguito a un incidente in bicicletta. Eramolto agitato e continuava a ripetere che in ospedale ave-vano tentato di ucciderlo. Quando gli ho chiesto perché af-fermava una cosa simile mi ha detto “those people took

my blood”. Un prelievo, tutta colpa di un prelievo di san-gue a cui mai prima era stato sottoposto. Per questo ra-gazzo nigeriano, vittima del vodoun, un ago che ti pene-tra nelle vene per “succhiarti” il sangue non poteva essereuna pratica medica, ma aveva i connotati di una strego-neria. “What do they use it for”? “Analysis. Clinical

analysis”. Non è stato facile convincerlo.Che significa quindi insegnare italiano L2 a richiedentiasilo e rifugiati? Vuol dire che la classe ha una duplicefunzione: da un lato è luogo di apprendimento linguistico,dall’altro è luogo di incontro dove si fa intercultura e cisi educa alla diversità. Lezione dopo lezione, gli allievielaborano quella che Selinker ha chiamato “l’interlin-gua”, ovvero «un sistema linguistico separato […] che ri-sulta dai tentativi, da parte di un apprendente, di produrreuna norma della lingua di arrivo»3. Si tratta di un sistemaestremamente dinamico dotato di regole e funzioni benprecise che non va assolutamente considerato come un’ac-cozzaglia di errori, ma bensì come il banco di prova deldiscente, che sperimenta le proprie ipotesi sulla naturadella lingua che sta imparando. Parallelamente, allo stessomodo, gli allievi imparano le norme di comportamento ele abitudini della società ospitante attraverso lo stare in-sieme e il contatto con l’insegnante che è anche un me-diatore, un facilitatore, un educatore il cui compito è fareda ponte e creare una relazione di fiducia. I blocchi nell’apprendimento sono anche ostacoli emo-zionali e come tali vanno analizzati e superati. Spesso cisi ritrova davanti allievi che sono presenti fisicamente,ma con la testa sono altrove. Uno dei leimotiv è “I can’t

study because I think too much”. Troppi pensieri, la pre-occupazione per i documenti che non arrivano, la no-stalgia per i propri cari rimasti nel paese d’origine, isensi di colpa nei loro confronti perché non si riesce amandare a casa rimesse non avendo un’occupazione, ilprogetto migratorio in stallo a causa delle lunghe proce-dure burocratiche. Tutto questo genera uno stato d’ansiatale per cui molti si sentono sopraffatti e quindi sono de-motivati nell’apprendimento dell’italiano. Ma c’è anche

1. D. Hume, Treatise of Human Nature (1738), A.D. Lindsay Londra 1911.(Hume 1738/1911, Bk III, part I, Sect. 1, p. 177; Bk I, IV, IV, p. 216).2. A questo proposito si consiglia di leggere R. Adelson, “Hues and views. Across-cultural study reveals how language shapes color perception”, in Ameri-

can Psychological Association, vol. 36, n. 2 (2005).3. L. Selinker, “Interlanguage”, in International Review of Applied Linguistics,10 (1972), p. 214.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 31

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

un altro fatto da tenere in considerazione. Non va trala-sciata l’ipotesi che alcuni di questi adulti irrequieti, i qualisostengono di avere troppi pensieri per la testa e quindidi non riuscire a concentrarsi nello studio, possano esserecasi non diagnosticati di ADHD Attention Deficit Hype-

ractivity Disorder4. Sembra infatti che gli adulti conADHD si possano descrivere come persone che hannodue, tre o molti pensieri allo stesso tempo. Alcuni se-gnalano di passare da un pensiero a un altro e poi di di-strarsi su quest’ultimo; chi è intorno a loro li descrivecome persone che non prestano attenzione e lamentanoil fatto che creano confusione durante la conversazioneperché spesso passano da una considerazione all’altra perpoi tornare alla precedente e sono capaci di commentareun pensiero detto in precedenza quando oramai la con-versazione si è spostata su altro. Non è infrequente chequeste persone presentino anche disturbi ansiogeni, pro-blemi umorali e difficoltà nel controllo della rabbia. Pur-troppo però l’identificazione dell’ADHD in età adulta èuna questione critica e all’interno delle strutture di ac-coglienza non c’è modo di prestare attenzione a questotipo di disturbo. Perciò l’insegnante non può che tentaredi coinvolgere questi allievi all’apparenza poco interes-sati, nella consapevolezza però che dietro al loro atteg-giamento svogliato possa nascondersi più di una semplicemancanza di voglia di studiare. L’insegnante/educatore si relaziona con ciascuno indivi-dualmente, ma allo stesso tempo interagisce anche con ilgruppo e facilita l’insegnamento tra pari, spronando i ra-gazzi ad aiutarsi tra di loro nello studio. La dimensionecollaborativa e cooperativa, teorizzata dai cognitivisti erealizzata pienamente nella pratica didattica costruttivista,è indispensabile per la formazione degli adulti e dei ra-gazzi. Il costruttivismo rivaluta la centralità dello studentee pone l’accento su strategie didattiche di peer learning,ossia di apprendimento tra pari, prevedendo inoltre chedocenti e studenti definiscano insieme gli obiettivi edu-cativi e le strategie di apprendimento da attuare5. Inoltrel’insegnante cerca di trovare punti di contatto lavorandosui temi mediatori, ovvero quelli che si ispirano a ciò chel’antropologo Ernesto De Martino ha chiamato «l’ele-mentarmente umano»6: paura, amicizia, desiderio, attesa,maestro, insegnamento, avventura. Questi temi aiutano acostruire universi di senso condivisi al di là di molte di-versità di appartenenza culturale. Altra cosa di fonda-mentale importanza è riporre la massima attenzione nellacura dell’ambiente in cui si svolge la lezione, rendendolopulito e invitante; questo influisce anche sul modo in cuigli studenti si presentano in classe. Sono portati ad averepiù cura di se stessi e a prendere con maggiore serietà leattività che vi si svolgono.

Fare i corsi di italiano all’interno delle strutture di acco-glienza da un lato è positivo, perché si porta la scuola agliutenti facilitandone l’accesso, dall’altro però presenta cri-ticità legate all’adeguatezza degli spazi. All’interno dellestrutture non ci sono quasi mai luoghi predisposti a fare le-zione: si usa il refettorio come aula o si occupano spazi adi-biti ad altro, come la sala colloqui, e questo provoca disagi.A maggior ragione è importante creare in qualsiasi luogoci si ritrovi a fare lezione un ambiente decoroso, che ab-bia i connotati di un’aula, affinché gli allievi lo ricono-scano come tale e si sentano motivati a partecipare. Inoltre bisogna mediare tra le loro aspettative, le risorsea disposizione e le metodologie didattiche dell’insegnante.Molte volte si incontra resistenza quando si propongonoloro metodi di educazione attiva7 come i giochi di ruolo.Essi vivono queste attività come perdite di tempo, non ri-conoscendone il valore didattico; chi di loro è stato ascuola è abituato a modalità di insegnamento frontale, percui l’insegnante è sostanzialmente colui che scrive alla la-vagna e gli allievi coloro che ricopiano pedissequamentesul quaderno. Chiaramente è necessario “smussare” laloro idea di scuola e fare sì che essi seguano le metodo-logie didattiche proposte dall’insegnante. Tuttavia è im-possibile progettare un intervento didattico con personeche non lo riconoscono come tale, perciò è opportunomantenere anche elementi a loro familiari che sono pro-pri di un approccio di tipo più tradizionale come le bat-terie di esercizi grammaticali, i dettati e i temi.

Nuove risorse per un insegnamento e un apprendimento flessibileLavorare con apprendenti adulti ha peculiarità ben pre-cise. Una distinzione fondamentale nell’ambito delle teo-rie dell’apprendimento è proprio quella tra pedagogia eandragogia. Mentre per pedagogia si intende la disci-plina relativa all’apprendimento dei bambini e dei ra-gazzi, per andragogia8 si indica il complesso di teorie che

4. Per un approfondimento sull’ADHD si consiglia di leggere: Diagnostic and

Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition, American Psychiatric As-sociation, s.d., s.l., http://dx.doi.org/10.1176/appi.books.97808904255965. Per le teorie sull’apprendimento si consiglia di leggere: J. Bruner, La cultura

dell’educazione, tr. it., Feltrinelli, Milano 1998 e R. Gatti, V. Gherardi (eds.), Le

scienze dell’educazione, Carocci, Roma 1999.6. E. De Martino, Furore, simbolo, valore, Milano, Feltrinelli 1980, p. 86.7. Educazione attiva è il termine che designa un insieme di esperienze educativeaccomunate dal considerare il discente come parte attiva del processo educativo,protagonista del suo sviluppo e del suo apprendimento e non mero ricettore sucui imprimere conoscenze.8. La definizione dell’andragogia è stata formulata negli anni settanta del secoloscorso dallo psicologo Malcom Knowles che in The adult learner: a neglected

species, Gulf Publ. Co., Houston 1973, (tradotto in italiano con il titolo Quando

l’adulto impara. Pedagogia e andragogia) delinea le diversità dell’approccio al-l’apprendimento tra adulti e bambini.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV32

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

disciplinano l’apprendimento negli adulti, i quali, per im-parare efficacemente, devono essere coinvolti attivamentein un percorso di apprendimento negoziato e condiviso.Il piano formativo deve essere costruito partendo dai bi-sogni del destinatario che durante l’intero percorso di-dattico va reso partecipe delle finalità degli strumentiutilizzati, affinché possa comprendere e sostenere il pro-prio processo di apprendimento.Infine non va mai commesso l’errore di utilizzare mate-riali didattici destinati ai bambini con un pubblico adulto.Molto spesso si pensa che avvalersi di materiale dellescuole elementari con apprendenti stranieri adulti poco al-fabetizzati sia appropriato e invece è deleterio in quantooffende la loro “adultità”. Oltre a tutto ciò, nell’era del web 2.0 fare didattica nonpuò prescindere dall’utilizzo degli strumenti digitali edalle risorse offerte dalla rete, ovvero dall’e-learning.Accanto ai quaderni e ai libri di testo gli allievi, attraversoi loro smartphone, usano applicazioni di traduzione qualiGoogle translator e studiano italiano su YouTube o su al-tri siti quali Babbel e Duolingo. Le risorse online vannoa integrare l’offerta formativa in presenza e a colmarne igap dovuti alle classi pluri-livello e al continuo andirivienidi persone nuove che arrivano in struttura inserendosi incorsi già avviati e allievi di “vecchia data” che vengonotrasferiti altrove. La programmazione didattica subisce pa-recchi stop and go per adattarsi di volta in volta ai cam-biamenti del gruppo-classe. Usando gli strumenti offertidal web gli allievi possono studiare in qualsiasi momentoe ovviare alle “battute d’arresto” a cui sono soggetti i corsiquando si inseriscono persone nuove. Ma il web non è solo uno strumento di studio, bensì è essostesso oggetto di studio. Secondo un sondaggio fatto dai

fondatori della Wings University, la neonata università on-line gratuita per richiedenti asilo e rifugiati con sede a Ber-lino, i corsi maggiormente richiesti dall’utenza sono Bu-

siness Administration, Ingegneria e IT, ovveroInformation Technology. I richiedenti asilo vogliono di-ventare donne e uomini d’affari, ingegneri e program-matori informatici, sviluppatori di applicazioni e di siti In-ternet. E allora è d’uopo che anche l’offerta formativa inseno alle strutture di accoglienza si adegui e si ampli intal senso. Magari grazie alla collaborazione di volontariche offrano il loro tempo e le loro conoscenze per renderele lunghe giornate dei richiedenti asilo nei centri in cuisono ospitati il più fruttuose possibile. È il caso del laboratorio di programmazione informaticache il prof. Alessandro Bogliolo dell’Università di Urbinoha tenuto a distanza con un gruppo di richiedenti asilo erifugiati del territorio bolognese. Il professore, presidentedell’associazione culturale Neunet, che si prefigge il com-pito di contribuire a superare il divario digitale e di favo-rire lo sviluppo della società dell’informazione, ci ha of-ferto di collaborare con lui per avviare questasperimentazione: insegnare informatica ai richiedentiasilo sfruttando un modo intuitivo e non mediato da altrelingue, basandosi sulla programmazione visiva. Ciò haconsentito, come fosse un gioco, di fornire istruzioni e difavorire l’acquisizione di competenze di base della pro-grammazione informatica. I partecipanti al laboratoriohanno creato Translate, una app, o meglio un embrionedi app di traduzione seguendo passo a passo le 8 lezionidel prof. Bogliolo, che ha utilizzato le risorse di code.org

tra cui “l’ora del codice” cioè il primo approccio visivoalla programmazione; scratch, uno strumento online perprogrammare piccoli videogiochi e infine app inventor,

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 33

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

uno strumento online basato sulla programmazione visiva,che consente di creare vere e proprie applicazioni per An-droid. Le lezioni sono state tenute attraverso la piatta-forma per videoconferenze join.it e i partecipanti hannoseguito comodamente “da casa” a Bologna, con l’aiuto diun facilitatore, le istruzioni che il prof. Bogliolo ha im-partito loro dal suo studio di Urbino. Attraverso la con-nessione wifi e un videoproiettore collegato a un compu-ter è stato possibile dare vita a questo felice esperimentoa cui hanno partecipato Mazen, un rifugiato siriano lau-reato in Business and Administration, Omid, un rifugiatoiraniano studente di Architettura, Arash, un rifugiato ira-niano diplomato in elettronica e Jamshid, un rifugiato af-ghano laureato in relazioni internazionali. Un gruppo al-tamente qualificato, certo. Ma i richiedenti asilo e irifugiati sono anche questo. Non si tratta sempre e solo diuomini e donne poco istruiti provenienti da sperduti vil-laggi del continente africano o dall’Asia. Si tratta anchedi persone diplomate e laureate, le quali avevano carriereavviate nei loro paesi di provenienza o altrove, ma acausa dei conflitti armati, di persecuzioni personali dovutea motivi politici o a problemi in seno alla famiglia hannodovuto lasciare tutto e scappare. Mazen, il rifugiato si-riano che ha partecipato al laboratorio, era responsabilevendite di H&M a Dubai. Quando la Siria è entrata inguerra il suo permesso di soggiorno negli Emirati Arabiè stato revocato e ha perso il lavoro. Sono tante le storiecome la sua, sono tante le persone che come lui tentanodi risalire la china e di ricostruirsi una vita. Persone incerca di pace e di opportunità. Persone che anelano a in-serirsi nella società di accoglienza e usano tutti i mezzi aloro disposizione per tentare di riuscire nell’impresa. Kingsley, un richiedente asilo che ho intervistato ai fini diuna ricerca svolta per la rivista «Africa e Mediterraneo»9,ha fondato una pagina Facebook per promuovere la culturacinematografica africana in Italia. Al riguardo egli hadichiarato: “Those who come here should make themselves

know by the Italian people and the web is one of the media

to be used because that is where most people are (sic)”.

� BIBLIOGRAFIA �

N.S. Baron, Always On: Language in an Online and Mobile

World, Oxford University Press, Oxford, New York 2008.V. Eletti (a cura di), Che cos’è l’e-learning, Carocci, Roma 2002.G. Pallotti, La seconda lingua, Bompiani, Milano 1998.S. K. Palmer, Vision Science, MA: MIT Press, Cambridge 1999.

9. «Africa e Mediterraneo» è un semestrale edito dalla soc. cooperativa Lai-momo che dal 1992 presenta dossier di approfondimento di temi legati alla cul-tura, alla storia e alla società dei paesi africani. Si rivolge a tutte le persone che,per motivi professionali, didattici o culturali, sono interessate a reperire infor-mazioni sull’Africa e ad approfondire la conoscenza delle culture e dei problemirelativi a questo continente.10. N.S. Baron, “Whatever.”: A New Language Model?, paper presentato allaconvegno della Modern Language Association, 27-30 dicembre 2002, NewYork, USA.

Eh già, il web e in particolare i social media sono lepiazze del 2000 dove ci si ritrova con gli amici, si discutedi politica, si manifesta e si contesta, ci si scambia opi-nioni, si spettegola e si sta a guardare il passeggio per ri-dere di chi ha un taglio di capelli ridicolo o invidiare chitorna abbronzato dalle vacanze. Nell’era del web 2.0 es-sere attori sociali implica necessariamente avere accessoa e sapere utilizzare i canali di comunicazione digitale. Eallora tra i compiti di un insegnante di italiano L2 non c’èanche quello di educare i propri allievi all’uso di questi ca-nali e agli usi linguistici che vi si fanno? Sui social me-

dia è nato un linguaggio ibrido a metà tra scritto e parlato,dove il canale di trasmissione è quello della scrittura, mail cui codice è molto più vicino a quello orale piuttosto chea quello scritto. Pensiamo al linguaggio che utilizziamosulla chat di Facebook o su WhatsApp. Si può dire cheparliamo scrivendo in tempo reale e la parola in quantotale assume grande rilevanza, mancando quegli elementiextra-verbali tipici della comunicazione vis a vis (ossia laparalinguistica, la cinesica e la prossemica), che spessosono fondamentali per evitare fraintendimenti ed eventualifallimenti comunicativi. Pur essendo vero che sui social

media prevale il «linguistic whatever-ism»10 teorizzato daNaomi Baron, ovvero uno scarso interesse per l’accura-tezza della forma a favore del contenuto, questi strumentidigitali danno alla parola scritta una rinnovata impor-tanza nella sfera delle relazioni personali. Fungono da bi-glietto da visita e creano un nuovo modo di comunicaree un nuovo linguaggio, dove la funzione extra-verbale èsvolta dagli emoticon, che attraverso faccine sorridenti otristi e una vasta simbologia sostituiscono la cinesica ren-dendo la parola scritta meno avulsa dal contesto e quindimeno incline al misunderstanding. La comunicazione in-terculturale, così intrinsecamente complessa, non puònon avvalersi di questi nuovi strumenti, anzi deve sfrut-tarli al meglio e conoscerne l’enorme potenziale.

Caterina Soldati

Università di Urbino

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV34

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

E se sentissimo gli studenti?Riflessioni sui saperi scolasticiVincenzo Cafagna

LA SCUOLA PONE AL CENTRO DEL SUO SISTEMA DI VALORI LA PADRONANZA DEI SAPERI. MA QUAL È IL

SENSO CHE ESSA ATTRIBUISCE AI SAPERI CHE SI INCARICA DI TRASMETTERE? RIESCE A CONFERIRE AL

SAPERE E AI SAPERI SCOLASTICI UN SENSO FORMATIVO E NON UTILITARISTICO?

La scuola oggi – ma già da tempo – pone al centro delsuo sistema di valori la padronanza dei saperi. Maqual è il senso che essa attribuisce a tale centralità

e, più in generale, ai saperi che si incarica di trasmettere?Riesce a conferire al sapere tout court e ai saperi scolasticiun senso che non sia quello, meramente strategico, di«“carta vincente” nella corsa al successo sociale»1?Questo breve contributo, nel tentativo di offrire alcunispunti di riflessione, prova ad affrontare tale complessama attualissima questione articolandosi in tre paragrafi: ilprimo tratteggia, sia pure a grandi linee, il rapporto che lascuola intrattiene con il sapere e l’immagine di esso cherestituisce agli studenti; il secondo individua alcune pos-sibili ragioni che rendono fondamentalmente utilitari-stico il rapporto degli studenti con i saperi scolastici; ilterzo, infine, suggerisce alcune prospettive di lavoro at-traverso cui la scuola possa favorire negli studenti l’in-staurarsi e il consolidarsi di un nuovo tipo di rapporto coni saperi scolastici.

Una certa immagine del saperePur essendo costantemente al centro delle sue attività, ilsapere a scuola ben raramente diviene oggetto di una in-terrogazione aperta, di una metacomunicazione. Gene-ralmente, in classe non si pongono domande intorno alsapere2, non vi è un’attenzione critica tale che consentaagli studenti di pervenire ad una rappresentazione fondatae consapevole di esso: che cos’è il sapere? Come si svi-luppa nella mente di ciascuno di noi? Come viene con-servato nella memoria? In che modo viene convalidato edunque verificato nella realtà? Come viene utilizzato sulpiano pratico, nel pensiero, nel discorso, nell’azione?Tale livello di problematizzazione scientifica sembranon essere rilevante nei programmi e nella prassi scola-stica. Allo stesso modo appare carente una problematiz-zazione di tipo sociologico intorno ai saperi: in che modo

1. Ph. Perrenoud, Mestiere di alunno e senso del lavoro scolastico (1994), tr. it.,Cafagna Editore, Barletta 2015, p. 105.

essi sono riconosciuti e giudicati nei rapporti sociali,quale peso vi assumono? Secondo quali criteri vengonoelaborati, conservati e trasmessi nella storia dei gruppisociali e delle società? Quali sono i meccanismi di sele-zione cui sottostanno nel corso del tempo? Esiste una di-sparità di accesso ai saperi? Quali sono le cause e qualile conseguenze di essa? Che rapporto intrattengono conil potere, con il denaro, con il successo sociale, ma anchecon la felicità, con la fede, con l’autonomia personale econ la stima di sé?A scuola prevale un rapporto normativo, prescrittivo,schematico e non analitico con il/i sapere/i. Per non diredella decontestualizzazione: staccati non soltanto dal lorocontesto di produzione o di scoperta ma anche da quellodi attuazione e finalizzazione, i saperi scolastici, per uti-lizzare una felice immagine di Philippe Perrenoud, stannoagli alunni «come il denaro sta agli impiegati di banca:gliene passa molto tra le mani ma, alla fine della giornata,si sono arricchiti? Hanno compreso meglio da dove pro-veniva e verso dove andava?»3.Non problematizzando il rapporto con i saperi scolastici,la scuola veicola una certa immagine del sapere: il sapereappare agli occhi degli studenti come una realtà evidente,non problematica, neutra, positiva, insomma un valore insé. Che fare dinanzi a questo dato chiuso, compiuto, cheappare fondamentalmente incontestabile? Per lo studente,se la scuola non incoraggia, in modo non occasionale, l’at-titudine analitica, la postura critica, non resta che utiliz-zarlo, strategicamente.Naturalmente, gli effetti negativi e le abitudini discutibiliche un tale rapporto utilitaristico con il sapere comportanegli studenti sono molteplici, dalla rinuncia all’appro-

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PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

fondimento alla mortificazione della curiosità, dallo stu-dio affrettato e mnemonico alla propensione a dire non ciòche si pensa ma ciò che si ritiene più opportuno. Ciò cheperò appare più rilevante è che, in tal modo, il sapere nonassolve al suo compito principale: quello di incentivarecognitivamente lo studente, ponendosi così come fun-zionale al suo progetto di crescita umana.

Le ragioni di un rapporto utilitaristicoQuali sono le ragioni per cui la scuola, proponendo nelmodo richiamato il sapere, favorisce un rapporto utilita-ristico, strategico, con i saperi scolastici? Perché solo ra-ramente e in forme estemporanee essa prova ad attivaremodalità di trattamento differenti dei saperi scolastici? Percercare di rispondere a tali domande è possibile indagarein diverse direzioni. Ne individuiamo due, consapevoli dinon essere affatto esaustivi su questo punto.Una prima direzione di ricerca inquadra tale questione al-l’interno del rapporto, ancora oggi problematico, che la di-dattica generale intrattiene con le didattiche disciplinari.La natura di questo rapporto resta da approfondirsi4(Da-miano, 1996). Indubbiamente occorre favorire il dialogotra didattica generale e didattiche disciplinari, è utile cioè,«e forse urgente, affinare forme di confronto dialettico epropositivo fra disciplinaristi e teorici dell’insegna-mento»5. Una didattica disciplinare, di qualsiasi settore,che si concepisce come del tutto autosufficiente, chepensa cioè di poter esercitare proficuamente l’attività in-segnativa senza radicarsi nei principi fondamentali del-l’insegnamento, ovvero nella sua epistemologia, non sol-tanto deve fondarsi necessariamente sull’epistemologiadella disciplina insegnata, commettendo così il “peccato

originale” di negare una qualsiasi consistenza epistemo-logica all’insegnamento in quanto tale, ma, in particolarmodo, non può non incorrere in una impostazione didat-tica di tipo contenutistico6. Ed è proprio il contenutismoad inchiodare in un certo modo l’immagine del sapere, afissarla nei tratti rigidi e statici che abbiamo richiamato,determinando pesantemente il tipo di rapporto che glistudenti instaurano con esso. Se l’obiettivo è innanzi-tutto quello di riempire la testa dello studente di contenuti,ovvero di dati, nozioni e informazioni, allora è alla sua fa-coltà meramente ricettiva e poi memorizzativa che si faappello, non certo alle sue capacità problematizzative,analitiche, euristiche; ma sappiamo bene che senza un’at-tività mentale di costruzione di significati, che sia inten-zionale, personale e critica, non vi può essere un vero ap-prendimento7. Se, dal canto suo, lo studente èprimariamente chiamato ad immagazzinare e a memo-rizzare dei contenuti, diventa secondario e anzi poco fun-zionale proporre il sapere come realtà problematica, di-namica, aperta, meglio farne una realtà chiusa, statica,cristallizzata, attraverso un’operazione di scomposizione,di frammentazione e, di conseguenza, di cospicua ridu-zione. Il sapere, così proposto, non solo viene ridotto dal

2. Ibi, p. 228-229.3. Ibi, p. 230.4. P. Jonnaert, D. Laurin (dir.), Les didactiques des disciplines. Un débat contem-

porain, Presses de l’Université du Québec, Montréal, 2001.5. C. Laneve, Manuale di Didattica. Il sapere sull’insegnamento, La Scuola, Bre-scia 2011.6. C. Laneve, Manuale di Didattica, cit., p. 22; cfr. C. Scurati, Strutturalismo e

scuola, La Scuola, Brescia 1972.7. C. Laneve, Manuale di Didattica, cit., p. 73.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV36

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

punto di vista dei suoi significati disciplinari, ma soprat-tutto perde il suo orizzonte di senso. In questa direzione,l’impostazione contenutistica non può non favorire unrapporto meramente utilitaristico con il sapere.Una seconda direzione di ricerca guarda invece al ruologiocato dallo studente nella costruzione e quindi nellacondivisione del senso dei saperi scolastici. Su questopunto, l’attuale prassi scolastica e più in generale la nostratradizione non sembrano preoccuparsi del senso che i sa-peri scolastici acquisiscono agli occhi degli studenti. Adessi non viene riconosciuto un ruolo propositivo non sol-tanto nella scelta dei saperi ma anche in quella successivaconcernente le modalità di accostamento e di trattamentodei saperi imposti. Tale mancato coinvolgimento indub-biamente non gioca a favore di una reale e viva condivi-sione del senso dei saperi scolastici e più ampiamente dellavoro scolastico, requisito questo nient’affatto secondarioin vista del conseguimento di un effettivo e proficuo ap-prendimento da parte dello studente. Difatti, come os-serva Cosimo Laneve, «soltanto la convinzione che ciò chestudiamo è importante, essenziale, ha un valore per la cre-scita della nostra umanità, ci può spingere a imparare […].Insomma, apprendiamo solo ciò che assume significato perla nostra vita»8. Se, per un verso, è qui fondamentale insi-stere sulla significatività9, ovvero sull’importanza, da partedell’insegnante, di rendere chiaro allo studente il senso del-l’apprendere una determinata conoscenza e più in generaleun certo sapere10, per un altro verso appare evidente comeun ulteriore e significativo apporto potrebbe rivenire da unattento ascolto degli studenti e poi da un loro coinvolgi-mento attivo nelle procedure di trattamento dei saperi sco-lastici e di costruzione di senso intorno ad essi11.Il mancato coinvolgimento degli studenti nella sceltadelle procedure di trattamento dei saperi scolastici, allostesso modo di una didattica disciplinare non fondatasull’epistemologia dell’insegnamento, favorisce un rap-porto puramente strategico e meramente utilitaristico coni saperi scolastici.

Alcune prospettive di lavoroNon si tratta, naturalmente, di sostituire progressivamentegli attuali saperi scolastici con saperi nuovi, alternativi,più aggiornati o per qualche ragione ritenuti più interes-santi e attuali. Il punto nodale deve piuttosto consisterenell’elaborare, favorire e co-costruire, insegnanti e stu-denti insieme, procedure di trattamento dei saperi scola-stici, di qualsiasi natura essi siano, tali che consentano aglistudenti di scoprirne di volta in volta il senso in situazione,nell’interazione e nella negoziazione, a partire dalla lorospecifica esperienza personale e in vista della loro altret-tanto specifica formazione. Tale prospettiva s’inscrive

indubbiamente all’interno di un più ampio e radicale oriz-zonte di cambiamento: si tratta, infatti, di orientarsi versouna nuova concezione di curriculum reale e, forse, versouna nuova idea di didattica12.Le linee di lavoro propedeutiche o funzionali rispetto atale prospettiva sono molteplici e, in larga parte, nonprive di aspetti problematici. Tuttavia, occorre prelimi-narmente riflettere su alcuni punti di fondo, a cui qui ac-cenniamo appena, con l’obiettivo di contribuire ad una piùampia riflessione.Innanzitutto, come punto d’avvio, occorre ripensare lostatus dello studente all’interno delle dinamiche scolasti-che. Ascoltarne la voce, intanto, non solo perché la scuola,in linea di principio, è pensata e costruita per gli studenti13,ma anche perché studi e ricerche recenti mostrano, semprepiù fondatamente, come ascoltare e coinvolgere i ragazzi,evitando di relegarli al ruolo più o meno passivo di ese-cutori di decisioni altrui14, da un lato conduca al conse-guimento di migliori esiti scolastici da parte loro15 (Shields,2003, p. 122) e dall’altro schiuda nuove vie per una più ar-ticolata comprensione dell’insegnamento (Gemma, 2013),suggerendo miglioramenti nella definizione delle politichescolastiche e formative16 (Grion, Cook-Sather, 2013;Gemma, Grion, 2015). L’ascolto, tuttavia, non è tutto. Ilpasso successivo consiste nel conseguire una partecipa-zione attiva e insieme responsabile degli studenti17, nel

8. Ibi, p. 124.9. D.P. Ausubel, F.G.Robinson, School Learning: An Introduction to Educational

Psychology, Holt, Rinehart & Winston New York 1969.10. C. Laneve, Manuale di Didattica, cit., p. 124.11. V. Cafagna, Verso il riconoscimento di un ruolo nuovo, in Ph. Perrenoud, Me-

stiere di alunno e senso del lavoro scolastico, tr. it., edizione italiana a cura diV. Cafagna, Cafagna Editore, Barletta 2015, pp. 15-26.Più in generale, sull’importanza dell’ascolto degli studenti e del loro coinvolgi-mento responsabile nelle pratiche scolastiche cfr., in Italia: C. Gemma, V. Grion(eds.), Student Voice. Pratiche di partecipazione degli studenti e nuove impli-

cazioni educative, Cafagna Editore, Barletta 2015; C. Gemma, “Lo studente:fonte sussidiaria per l’analisi dell’insegnamento”, in V. Grion, A. Cook-Sather(eds.), Student Voice. Prospettive internazionali e pratiche emergenti in Italia,Guerini Scientifica, Milano 2015, pp. 155-165.12. Ph. Perrenoud, “Curriculum: le réel, le formel, le caché”, in J. Houssaye (dir.),La pédagogie: une encyclopédie pour aujourd’hui, ESF, Paris 1993, pp. 61-76.13. A. Cook-Sather, “Authorizing Students’ Perspectives: Toward Trust, Dia-logue, and Change in Education”, in Educational Researcher, vol. 31, n. 4(2002), pp. 3-14.14. J. Smyth, “«When Students have Power»: Student Engagement, StudentVoice, and the Possibilities for School Reform around «Dropping Out» ofSchool”, in International Journal of Leadership in Education: Theory and

Practice, vol. 9, n. 4 (2006), pp. 285-298.15. C.M. Shields, “Dialogic Leadership for Social Justice: Overcoming Patholo-gies of Silence”, in Educational Administrative Quarterly, vol. 11, n. 1 (2003)pp. 111-134.16. V. Grion, A. Cook-Sather (a cura di), Student Voice. Prospettive internazio-

nali e pratiche emergenti in Italia, Guerini Scientifica, Milano 2013; Gemma,Grion, cit.17. «[…] va detto che corresponsabilizzare gli studenti nel ripensare e ricostruireil curricolo scolastico attraverso la negoziazione non significa semplicemente de-cidere di attribuire una responsabilità, ma ben più profondamente far avvertire

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PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

farne cioè «agenti radicali di cambiamento», per utilizzareuna espressione di Michael Fielding18. A tale ridefinizione dello status dello studente, tuttavia,non deve corrispondere una riduzione del raggio d’azionedell’insegnante. Rafforzare il ruolo dello studente, in-fatti, rivederne i livelli di coinvolgimento e di responsa-bilizzazione nei contesti scolastici (e non solo), se da unlato implica necessariamente una ridefinizione del ruolodell’insegnante19, dall’altro non ne intacca affatto la cen-tralità. Semmai la rilancia, ma ad un livello, per così dire,“più profondo”. Non si tratta soltanto di consolidare i trattidella sua professionalità20, quanto piuttosto, come scriveLaneve, di «guadagnare in profondità»21, di riconoscereanche agli insegnanti «un tempo personale e sociale, e nonsoltanto quello di lavoro»22; di lavorare in direzione di una“soggettività personalizzata”, capace sì di destreggiarsi trastrumenti e concetti, ma innanzitutto di muoversi all’in-terno di un orizzonte di senso cui ricondurre tutto:

La fenomenologia della soggettività epistemica non può essereridotta fino a consegnarci una nozione di soggettività estrema-mente de-personalizzata, facendola coincidere con la funziona-lità e con l’anonimia degli strumenti operativi e degli apparec-chi rilevatori, privando la nozione di soggettività epistemica ditutti quei caratteri che, ordinariamente, reputiamo essere pecu-liari della nozione di persona23.

Rafforzare i tratti personali della soggettività insegnante.Vale oggi, forse più di ieri, quanto scriveva VittorinoChizzolini intorno al 1950:

All’estensione in superficie è da preferirsi il crescere in sensoverticale: cercare le ragioni profonde e salire in altezza […]. Per-ché noi sentiamo che non si insegna quello che si sa, ma quelloche si vive, e si educa per quello che si è24.

Se il punto d’approdo deve essere un’avvertita (e respon-sabile) condivisione del senso dei saperi scolastici e, piùampiamente, del lavoro scolastico, il metodo attraverso cuiinsegnanti e studenti possono procedere all’elaborazionee alla co-costruzione di procedure di trattamento dei saperiche consentano di pervenire a tale obiettivo è il dialogo. Lafilosofia contemporanea insiste molto sulla natura rela-zionale dell’essere umano e sul dialogo come uno deimodi più espliciti attraverso cui tale natura si manifesta.Eppure oggi si avverte l’esigenza, se non l’urgenza, di re-cuperarne il senso autentico e il valore, seguendo la pistadella sua etimologia ed evitando le diverse forme di ridu-zione semantica del termine che la storia ci ha conse-gnato25. Dialogo, a scuola, significa anche negoziazione,nel senso di confronto e ricerca di un punto di incontro traposizioni differenti, e ha ragione Perrenoud quando af-ferma che «finché intende seguire il proprio copione qua-

lunque cosa accada […] finché associa l’idea stessa di ne-goziare ad una perdita di potere, il professore condannauna parte dei suoi studenti al non-senso»26. Tuttavia, que-sto significato non è sufficiente, non esaurisce cioè lospessore etimologico del termine “dialogo”. Esso è es-senzialmente un dire, fra due o più persone accomunatedalla ricerca del senso, ovvero di ciò che spiega, di ciò cherende ragione di qualcosa. È «parola enunciatrice di sensoche scorre fra più persone»27, le quali innanzitutto accet-tano il rischio del sé28, ovvero si espongono alla possibi-lità del cambiamento, rendendosi in tal modo disponibiliad una reciproca crescita personale, scoprendo l’altro e, at-traverso l’altro, più profondamente se stessi29. Il dialogo, come ricerca razionale di senso, non soltantogenera uno spazio comune intorno agli interlocutori, qua-lificandosi in tal modo come un atto creativo30, ma si con-figura esso stesso come luogo, mai astratto, di costruzionee di crescita. All’interno di questo luogo, forse, occorre ri-pensare e ricollocare la relazione tra insegnanti e studenti,invitandoli, da posizioni differenti, a costruire insieme ein situazione il senso dei saperi scolastici e, a partire daessi, di tutto ciò che è più profondamente in gioco nellarelazione educativa.

Vincenzo Cafagna

Università di Bari

una responsabilità: l’assunzione di responsabilità dell’essere studente […] nonpuò che passare attraverso una co-costruzione del senso del lavoro scolastico, equindi attraverso una sua reale, concreta condivisione». V. Cafagna, Verso il ri-

conoscimento di un ruolo nuovo, in Ph. Perrenoud, Mestiere di alunno e senso

del lavoro scolastico, cit., p. 23.18. M. Fielding, “Radical Collegiality: Affirming Teaching as an Inclusive Pro-fessional Practice”, in Australian Educational Researcher, vol. 26, n. 2, (1999),pp. 1-34. Id., “Students as Radical Agents of Change”, in Journal of Educational

Change, vol. 2, n. 3, (2001), pp. 123-141.19. Ph. Perrenoud, Mestiere di alunno e senso del lavoro scolastico, cit., pp. 39,239.20. Ph. Perrenoud, Construire des compétences dès l’école, ESF, Paris 1997; Ph.Perrenoud, Dix nouvelles compétences pour enseigner. Invitation au voyage, ESF,Paris 1999 ; Ph. Perrenoud, Développer la pratique réflexive dans le métier d’en-

seignant. Professionnalisation et raison pédagogique, ESF, Paris 2001. 21. C. Laneve, Manuale di Didattica. Il sapere sull’insegnamento, cit. p. 83. Cfr.anche id., Parole per educare, La Scuola, Brescia 1994.22. Ibidem.

23. Ibi, p. 155.24. Ibi, p. 84.25. G. Calogero, Filosofia del dialogo, Edizioni di Comunità, Milano 1969. 26. Ph. Perrenoud, Mestiere di alunno e senso del lavoro scolastico, cit., pp. 214-215.27. C. Laneve, Parole per educare, cit., p. 93.28. M. Natanson, “The Claims of Immediacy”, in M. Natanson, H. Johstone jr.,Philosophy Rethoric and Argumentation, University Park, Pennsylvania StateUniversity Press, s.l., 1965. 29. M. Buber, Il principio dialogico e altri saggi, Edizioni San Paolo Milano 1993.30. G. Manetti, A. Fabris, Comunicazione, La Scuola, Brescia 2011.

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PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

Dico subito che sono per l’uso dell’inglese nella co-municazione internazionale e globalizzata, la lin-gua che ci consente di superare le barriere della

comunicazione verbale, e conseguentemente sono per ilsuo uso nella ricerca scientifica e applicata.Che l’inglese sia oggi la principale lingua per comunicare(quasi esperanto sempre auspicato che si realizza) checonsenta a tutti oggi di dire e di ascoltare la voce di tuttele persone è fuori di dubbio. Così come è altrettanto in-dubbio che i nuovi risultati della ricerca, attraverso la pub-blicazione in inglese, vengono oggi diffusi, verificati, di-scussi e messi a frutto nel mondo intero. Dagli anniSettanta del secolo scorso in poi quasi tutte le rivistescientifiche pubblicano in inglese e in molte università deiPaesi non anglofoni, insegnamenti, interrogazioni, tesi dilaurea e pubblicazioni si sentono e si producono in in-glese. Il ricercatore non anglofono è, dunque, tenuto a im-parare l’inglese della scienza, a prepararsi la conferenza,a esercitarsi nella pronuncia corretta e a parlare senza re-more. Sarà ascoltato con interesse, se quello che dicemerita.

Criticità dell’inglese nella relazioneinsegnamento-apprendimentoNon sono invece per un suo impiego nella relazione in-segnamento-apprendimento. Non perché la lingua inglese non sia una lingua degna diessere utilizzata. Anzi. Il patrimonio della lingua ingleseè sterminato, e inoltre s’intende che è complesso comequello di tutte le lingue. Una grande parte dei verbi, e pra-ticamente la totalità di quelli più semplici, non solo di-spone di una quantità di accezioni diverse, ma poi ha leforme frasali (per esempio: to get in, to get out, to get off,

to get up), da ognuna delle quali si schiude una vastagamma di accezioni e di sfumature espressive. Ma perché

la lingua che si userebbe nella scuola e nell’università nonsarebbe questa, bensì l’inglese basico, o English for dum-

mies. Un basic English che potrebbero parlare un cineseo un giapponese al bar dell’aeroporto o un italiano al bar:1200/1500 parole per dire “tutto quel che serve”.È un inglese scarno, sbrigativo, una lingua semplificata,fatta di “parole-termine,” ma poco efficace per insegnare.Questo inglese ci risuona come lingua altra, senza le ar-ticolazioni, le ricchezze, le “parole-figura” (i colore) e lospessore di una vera lingua. I saperi si trasmettano meglioai giovani nella lingua che essi parlano ogni giorno. La parola non è soltanto un segno che serve per comuni-care, ma è anche fantasia, è un cumulo di ambiguità, perle evocazioni celate nel nucleo. La parola (in particolareil nome) non è mai un’etichetta, ma non è neppure una de-finizione: è una sorta di simulacro spesso approssimatocol quale comunichiamo. Scriviamo (e parliamo) rife-rendoci a segni spesso per noi ambigui, ma ambiguità evaghezza ci permettono in ogni caso di intenderci. Il ter-

mine è solo l’ombra della parola: se identifichiamo la pa-rola con il termine la inchiodiamo a un significato speci-fico e relativo a…; le spezziamo le ali, impedendole divolare libera nel cielo della coscienza umana o dellastessa significazione.Certo, l’insegnamento è anche comunicazione ed è ri-conducibile alla trasmissione di conoscenze. Ma è un’ac-cezione di significato latamente generica: fa – o tende afare – dello studente un mero recettore, e non già un ela-boratore attivo e costruttivo. L’insegnamento, corretta-mente inteso, invece tende a favorire il passaggio da unostato di pura ricezione e di passività a uno stato in cui èlo studente stesso a prendere l’iniziativa, a interrogarsi, amettersi mentalmente in movimento per arrivare perso-nalmente a rendersi conto, a capire, a rispondere allequestioni. Senza questa attivazione delle potenzialità dellapersona non si può parlare di una vera e propria trasmis-

La lingua inglese nella ricerca sì,nella didattica noCosimo Laneve

PUÒ LA LINGUA INGLESE ESSERE UN VEICOLO DELLA AUTENTICA RELAZIONE INSEGNAMENTO-APPRENDIMENTO? LA FONDAZIONE DEL PROCESSO CONOSCITIVO RICHIEDE IL SUPERAMENTO DEL

BASIC ENGLISH VERSO UNA COMPETENZA LINGUISTICA COMPLESSA, ARTICOLATA E DIALOGICA.

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PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

sione di istruzione, proprio perché non si innesca un pro-cesso in grado di favorire nello studente un vero appren-dimento. È appena il caso di sottolineare che esso mira afar acquisire non solo una quantità di conoscenze, ma an-che, e soprattutto, un sapere, un quadro d’insieme, cioè,che consenta visioni coerenti e sistematiche, e che sia, nelcontempo, problematico e dinamico e, pertanto, aperto anuovi punti di vista, a revisioni, a reinterpretazioni.

Le caratteristiche dell’insegnamentoL’insegnamento non può, difatti, limitarsi a veicolaremere parole-termine, il rudis indigestaque moles, né con-tenuti precostituiti, già dati, confezionati in idee, cre-denze, giudizi che vengono trasmessi quali fossero so-stanze intangibili e assolute, se non snaturandosi, madeve preoccuparsi di fondare e di costruire logicamente

il processo conoscitivo, di come si opera il controllo sudi esso e sui suoi contenuti e su come – una volta messain atto la dinamica della conoscenza – il processo da essoinnescato possa essere predicato, argomentato, interpre-tato e valutato.

L’insegnamento non è la divulgazione, che consiste nel di-luire il contenuto concettuale al fine di renderne com-prensibili alcuni aspetti sui quali si vuole richiamare l’at-tenzione. Attraverso la divulgazione si diffondeun’informazione su alcuni problemi senza argomenta-zione, si limita l’acquisizione a elementi conoscitivi (i re-

cord) e, quindi, si riduce fortemente la quantità (che inquesto caso è anche la qualità) del lessico utilizzato, ri-correndo a una sintassi prevalentemente centrata su formeperiodali paratattiche, anziché ipotattiche, su slogan, an-ziché su frasi esplicative e costrutti discorsivi.L’insegnamento consiste piuttosto nella costruzione, daparte dell’insegnante, di una serie di mediazioni (esplici-tazioni, puntualizzazioni, collegamenti, riferimenti, esem-plificazioni; e ancora: ricorso alla ridondanza, rinvio a si-gnificati e a costrutti simbolici, richiamo riassuntivo, ecosì via) per rendere perspicui gli elementi costitutivi diun sapere che non sono colti con chiarezza dagli stu-denti. Si installa in un clima di relazionalità dialettica, diinterazione effettiva, di accompagnamento, di cura a cre-scere nell’esercizio attivo della consapevolezza e nel-

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV40

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

viabile di alimentare la parola. Per cercare l’attenzione,sollecitare la curiosità, affascinare: la parola della lezionedeve sedurre, nel senso letterale del termine, “portarecon sé”, lungo il cammino della conoscenza. Un camminonon facile, che ha bisogno di un’opera di fascinazione, diun “incanto” che rapisca l’interesse di chi ascolta. Il veromaestro ha in sé la forza dell’Eros, che ne fa un punto in-sostituibile. Una passione vitale, protesa verso l’altro,nel desiderio di condividere1, di far conoscere, di tra-smettere e quindi donare senza pretendere. Tanto che il tri-buto affettivo nei confronti dei propri insegnanti chehanno “in-segnato”, cioè lasciato un segno indelebile (nelsenso forte che la parola in-signare denota2, si perpetuaper tutta la vita: talvolta è un nome, una frase, talaltra unatteggiamento mentale o semplicemente una voce cherisuona familiare nella mente. E infine, si tratta di tutelare le componenti dell’oralità (iltimbro della voce, le curve melodiche, le intonazioni, gliaccenti, il gioco degli ammiccamenti, le pause), gli ele-menti inerenti alla dimensione fisica del parlare (gli attidella pronuncia, i momenti di enfasi, le modalità del por-gere, della mimica facciale, dei gesti). E ancora: le di-mensioni cinesiche, prossemiche… Gli elementi sensori,fonici, musicali del dire si devono sintonizzare con i di-ritti delle emozioni, della fantasia, della memoria. Una lin-gua in grado di mantenere l’equilibrio tra la dimensione“numerica” (quantitativa, contenutistica) e quella “ana-logica” (qualitativa, circolare) dell’esperienza della co-municazione, in modo che i dati, i fatti, le informazioni dauna parte e così come le emozioni, le reazioni, le vibra-zioni affettive dall’altra, non restino isolati e apparte-nenti a due mondi reciprocamente distinti e separati.

Cosimo Laneve

Università di Bari

l’avanzamento della ricerca. In questa prospettiva si pro-filano i caratteri della dialogicità, del primato della parola:la capacità di accedere a ciascuno dei suoi registri è fon-damentale ed è per questo che bisogna resistere alle spintedella semplificazione e della rinuncia, anche quando ap-paiono di senso comune.Così inteso, l’insegnamento richiede la capacità del ri-corso alle risorse plurali attive di una lingua, alle varia-zioni di registro, alle differenziazioni di tono, alle risorsemetaforiche alimentate dalla pratica di una lingua usatanelle molteplici circostanze della vita. Gli anelli associativi che si legano nella catena del parlareo dello scrivere nella propria lingua non si riescono a con-giungere usando una lingua straniera di grado basico. Lalingua per insegnare non può limitarsi soltanto a formu-lare e argomentare logicamente un discorso, senza pre-occuparsi di tendere anche a esercitare un’influenza sul-l’atteggiamento di chi ascolta, aspirare a mutarlo,coinvolgerlo, emozionarlo. L’insegnamento divieneazione, o meglio, fenomenologicamente parlando, inter-azione: non si tratta solo di docere (spiegare), ma anchedi movere (spronare, sollecitare, richiamare, talora addi-rittura con l’utilizzo largamente applicato di interiezioni,di orpelli retorici, veri e propri cascami di parole grondantidi banalità e ricche di approssimazioni nozionali); e an-cora: di delectare (far provare piacere, e perciò porre lepremesse per continuare a apprendere), senza con questovoler passare sotto silenzio che l’apprendere talvolta com-porta sforzo, fatica, sacrificio.L’illusione contenutistica, quella secondo cui sia suffi-ciente definire obiettivi, contenuti e procedimenti di ve-rifica per indurre automaticamente effetti desiderati, èl’esito estremo di un didattismo che rifiuta di collocarsientro una strutturazione metodologica più comprensivadegli aspetti spaziali, temporali, simboli e corporali chesono in gioco in ogni situazione d’insegnamento. È il con-tenutismo, ovvero la negazione della didattica come at-teggiamento e come cultura.Una lingua priva di colores, fa capire di meno e, quindi,apprendere di meno.L’insegnamento ha bisogno di una lingua in grado dievocare allusioni, colte ma anche “popolari”: una linguaricca di varianti, di registri, di richiami plurali e di rimandimolteplici.

La conoscenza dell’insegnanteL’insegnante per insegnare deve possedere una linguache sa usare in tutta la sua ampiezza dei modi e delleforme. L’insegnare è sempre produttore di conoscenza an-che per chi la impartisce. Costringe chi parla a un intensolavoro intellettuale per rispondere all’esigenza non rin-

1. C. Laneve, Scrivere fra desiderio e sorpresa, La Scuola, Brescia 2016.2. C. Laneve, Manuale di Didattica, La Scuola, Brescia 2011.

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PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

Tra gli irrinunciabili compiti che oggi deve conse-gnarsi l’educazione non può mancare quello diaccompagnare la persona a (ri)pensare con (una

più elevata) consapevolezza etica il suo rapporto con lanatura includendolo come direzione basilare della suaprogettazione esistenziale così da disporsi in manierapartecipata, responsabile e solidale nei confronti del-l’ambiente. Aiutare la persona, attraverso idonei percorsi formativi, acontribuire alla salvaguardia della vita della Terra è aiutarlaa produrre una buona qualità della vita e dunque a realiz-zare condizioni di ben-esistere, per sé, per gli altri, per legenerazioni future, per i non-umani, e di cura per i beni co-muni. In gioco è il compito di favorire la transizione dalsopravvivere al vivere meglio. Una vita autenticamenteumana non si dà ignorando o contrastando la natura, bensìconoscendola, rispettandola, avendone cura, difenden-dola, peraltro non secondo un approccio meramente utili-taristico bensì per il suo stesso valore e interesse. La conquista di una coscienza ecologica, in quanto trovagaranzie di realizzazione in un appropriato sviluppo delladimensione morale della personalità e nell’affermazionee diffusione di un’etica della cura, aiuta la persona a ri-spettare l’altro-da-sé e i suoi diritti, evitando i pericoli del-l’asservimento e del dominio, impegnandosi a superareprivatismi, egoismi, padronanze avide e a contribuire allarealizzazione di una vita comunitaria ispirata dall’idealedella solidarietà, presieduta dal compito di essere solidalicon questo pianeta e in questo pianeta. In gioco sono la revisione della prospettiva antropocen-trica e la riscrittura su basi etiche della relazione concet-tuale e materiale tra soggetto e mondo, così da poter rea-lizzare, mediante un “contratto naturale” fra l’uomo el’ambiente, una governance rispettosa ed equilibrata ditale relazione anche imparando a riconoscere, condivideree custodire i beni del pianeta, impegno questo irrinun-ciabile per la costruzione di modalità sostenibili di abita-zione della Terra e, correlatamente, per l’attuazione delbene comune.

L’uomo distruttore dell’ambienteNegli ultimi decenni molteplici sono i tentativi di domi-nio, anche smisurato, dell’ambiente compiuti in nome di(indiscutibili) ragioni economiche, scientifiche, tecnolo-giche, ideologiche, politiche. La prevalenza del razio-nale e dell’efficiente, del produttivo e dell’utile, l’assun-zione di atteggiamenti atomistici e strumentalistici,l’accrescimento dell’ambizione e della ricerca del po-tere, si sono rivelati non poco responsabili della riduzionedel senso e del valore della natura (oltre che dell’essereumano), del silenziamento dell’incanto e del sentimento,dell’assottigliamento della contemplazione e della gra-tuità, e dunque responsabili della generazione di un’etàpervasa dalle (spinoziane) “passioni tristi”. Ne conseguono facilmente atteggiamenti e comporta-menti di estraneità, indifferenza, distanza, contrapposi-zione, interesse personale, dissennatezza, “sfigurazione”,saccheggio, predazione, privando la biosfera di ogni di-gnità teleologica e dimenticando che anch’essa ha dei di-ritti e pertanto ad essa bisogna prestare ascolto, di essasono da riconoscere come vincolanti certi suoi appelli ecerte sue pretese, nei confronti di essa occorre relazionarsisecondo il principio di giustizia, con essa è necessario al-learsi, per essa è irrinunciabile impegnarsi contro il de-grado, l’inquinamento, l’uso avventato e strumentale dellerisorse disponibili.Anche a causa dell’inconsapevolezza o della sottostimadella vulnerabilità della natura e della sua possibile di-struzione, e dell’ignoranza dei meccanismi interattivioperanti in natura, facilmente l’essere umano non com-prende la condizione di elevata criticità se non di infermitàdel creato (inquinamento di aria, acqua e suolo, distru-zione degli ecosistemi, scomparsa di migliaia di piante especie animali, esaurimento delle risorse rinnovabili),non lo ritiene universo avente diritto a una considerazionemorale, si separa da esso, lo lascia in balia di una tecnicaarrogante, aggressiva e manipolativa, rinuncia a difen-derlo e tutelarlo, lo abbandona a se stesso, esercita su diesso un impatto maggiore di quanto consenta, si relaziona

L’intelligenza ecologicaBruno Rossi

IL RAPPORTO CON LA NATURA È ESSENZIALE PER L’UOMO E PER LA SUA QUALITÀ DI VITA, ED È

OCCASIONE DI SALVAGUARDIA DELLA BIOSFERA E DEI SUOI DELICATI EQUILIBRI. QUESTO RAPPORTO PUÒ

ESSERE EDUCATO IMPRONTANDOLO A GIUSTIZIA, ALLEANZA, INTERCONNESSIONE E RESPONSABILITÀ.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV42

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

ad esso con uno sguardo calcolante, prensile, aggressivoe possessivo, lo lesiona, lo degrada, tantomeno si impe-gna ad avvalorarlo, conservarlo e migliorarlo. Eccessivamente centrato su di sé, l’uomo contemporaneoè spesso cieco dinanzi alle connessioni generatesi nelcorso del tempo e al loro legame con le condizioni e lepossibilità della sua vita, non sa fare pratica di un pensieroconnettivo e sistemico in modo da sradicare dalla propriatesta e dal proprio cuore il dualismo fra essere umano enatura e dunque l’estraneità ontologica della specie umanadall’ecosfera, e cessare di considerare il proprio spazio vi-tale come un luogo separato dall’ambiente circostante, na-turale e costruito. Così egli non ha consapevolezza dellacorrelazione tra guasti dell’ambiente e degrado della vitaumana, del rapporto vitale tra cura dell’ambiente e svi-luppo umano di qualità, del vincolo che lega salvaguar-dia dell’ambiente e possibilità di sopravvivenza dellaspecie umana o, quanto meno, di mantenimento e diffu-sione di elevati livelli di qualità della vita. Egli non sirende conto che la malattia dell’uno è la malattia dell’al-tra, che la fine dell’uno è la fine dell’altra.In questione è il riconoscimento dell’alterità e specificitàdella specie umana e dell’alterità e specificità della natura

lungi da indistinzioni e confusioni disidentizzanti, è il ri-spetto a un tempo dei diritti umani di ogni persona e deidiritti dell’ambiente naturale, è la considerazione della re-lazione uomo-ambiente secondo un’ottica di reciprocitàe interazione ininterrotta, è la sottoscrizione della strettainterdipendenza tra ecologia umana e ecologia ambien-tale, tra formazione umana e possibilità del futuro dellaTerra, tra auto(eco)realizzazione e custodia del pianeta. Ilriconoscimento e la valorizzazione della differenza nonimplicano discriminazione, annullamento di identità, ab-dicazione di responsabilità. C’è forte correlazione tra idea della Terra e modalità diabitarla, cosicché è necessario riflettere sul pensare e sulsentire che condizionano il personale rapporto con ilmondo e la costruzione del proprio modo di essere nelmondo e che non poche volte allontanano dall’impegnoinaggirabile di salvare la vita del nostro pianeta. Un conto è guardare alla Terra con intenzioni impositivee prensili, come a un insieme di sistemi meramente fun-zionali all’uso e alla prosperità della specie umana, comea un magazzino di beni da espropriare e possedere, comea un deposito di risorse sprovviste di valore intrinseco daadoperare in maniera gratuita per il soddisfacimento deipropri capricci, desideri, appetiti. Un altro conto è pen-sarla realtà provvista di identità, dignità e diritti, dotata divalore e meritevole di rispetto, bene da conservare in-violabile e immanipolabile e per questo esigente rispetto,gratitudine, sollecitudine e custodia. Si tratta di pensare la Terra, di pensarla in un’altra ma-niera, così da concedere ad essa spazi mentali e affettivie farsene carico, e conseguentemente contribuire allo svi-luppo di un’etica della cura per la vita sul nostro pianeta,di un’ecoetica, e pertanto di una cultura dell’abitare re-sponsabile. Il concetto di ecoparenting può essere intro-dotto al fine di porre l’accento sul bisogno di esprimereuna cura “genitoriale” nei riguardi dell’ambiente.

Aver cura della TerraRiguardo al compito di realizzare la svolta ecologica,l’educazione è fortemente interpellata e messa alla provain quanto significativa esperienza in grado di produrre,mediante idonei percorsi, “mutamenti antropologici” po-sitivi, trasformazioni umanizzanti, cambiamenti culturalie sociali ecologicamente validi, capace di promuovereuna nuova cultura ecologica, di far guadagnare un’eco-competenza composta di sapere, saper essere, saper sen-tire, saper agire grazie alla quale farsi autori di eco-scelte e eco-azioni così da abitare la terra secondo lamodalità dell’“aver cura”, senza per questo andare in-contro alle derive dell’arroganza e dell’onnipotenza edunque sapendosi limitati nei confronti della grande im-

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PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

presa della salvaguardia del creato. In fatto di consegui-mento di comportamenti virtuosi da adottare, a poco fi-nora hanno giovato allarmismi, terrorismi, catastrofi-smi, profezie apocalittiche, messaggi probabilisticitutt’altro che convincenti, così come conoscenze risultatesuperficiali, limitate, imprecise, in quanto esito soprat-tutto di luoghi comuni piuttosto che di un sapere scien-tificamente prodotto.L’educazione può partecipare considerevolmente alla co-struzione e concretizzazione di una cultura ecologica invirtù della quale agire con il massimo di sapere e in pienacoscienza, senza avere necessità di certezze definitive. Inquesta direzione, il primo contributo che essa può dare ri-guarda la diffusione di un’alfabetizzazione ambientalemediante cui guadagnare una comprensione globale del-l’ambiente naturale e edificato e delle relazioni uomo-am-biente, e generare così una condizione indispensabile percambiare valori e azioni.Peraltro, lungi dal risolversi in un’esperienza finalizzataa far conseguire informazioni e conoscenze scientifiche,a far acquisire norme e a far apprendere tecniche cosìcome dall’alimentare indignazioni e proteste, per l’edu-cazione è soprattutto in gioco la soddisfazione dell’im-pegno, ormai indispensabile, di formare le coscienze, conquello che tale impresa reclama anche in termini di indi-viduazione di significati e ideali etici e di conseguimentodi un “sentire morale” nei riguardi della natura. L’educazione può aiutare l’essere umano a porre il pen-siero ecologico e la condotta ecologica alla base del suomodo di vivere e di abitare, ossia a rendersi autore di unapostura mentale, emotiva, estetica, etica e di un modo diessere che, governati dai principi della percezione attentadel mondo in cui vive, della relazionalità, dell’intercon-nessione, dell’interdipendenza, dell’avvedutezza, dellacautela, della sensibilità al tempo futuro, dell’aver curadi quanto è altro rispetto all’umano, contribuiscono a evi-tare che da parte sua e degli altri siano compiuti attentaticontro la vita del pianeta, si verifichino impatti impre-vedibili o addirittura catastrofici, siano distrutte le pre-ziose risorse non rinnovabili, non siano arginati i rischie i pericoli che possono verificarsi anche a prescinderedall’agire umano.Si tratta di formare soggettività impegnate a rinunciarealla pratica della logica possessiva e sfruttatrice, a stimareil creato casa unica e comune, a incontrarlo, conoscerlo estudiarlo non solo con la mente ma anche con il cuore, amanifestare un interesse intenso per le sue componenti, adapprezzarne la pluralità e la ricchezza delle relazioni, aporsi in silenzio dinanzi a esso ammirandone la bellezza,ad ascoltarlo empaticamente tacitando le soggettive pul-sioni egoistiche e le personali preoccupazioni, a frequen-

tarlo con entusiasmo e “contattarlo” in maniera emotiva-mente intensa così da gustarlo con sensualità, così da la-sciarsi stupire e provare meraviglia.L’intervento educativo reclamato chiede la pratica dellaconoscenza e dell’intuito, del pensiero e degli affetti,della ragione e del sentimento, di un agire rispettoso e av-veduto, di un’agentività politicamente alimentata. Lungi da un approccio sentimentalistico, moralistico, tec-nicistico, meramente alfabetizzante, istruttivo, divulga-tivo, in direzione della realizzazione della conversione

ecologica sono richiesti non soltanto il conseguimento diinformazione e sapere, bensì anche e soprattutto interro-gazioni di senso, autoindagini e autoriflessioni critiche,consapevolezze e comportamenti, mentalità e condotte,sensibilità e qualità allo scopo di praticare quotidiana-mente ciò che è stato appreso e giudicato come buono edegno di essere vissuto e testimoniato. Azioni e politichedevono essere governate da valori, direzioni di senso,scelte etiche.

Bruno Rossi

Università di Siena

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV44

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

Accanto alla forse più nota “bolla del debito” derivante dai prestitiagli studenti universitari americani (che nel 2016 ha toccato lavertiginosa quota di 1320 miliardi di dollari, pari a quattro volte ilpil della Danimarca), nell’ultimo decennio sta suscitandooltreoceano un dibattito il fenomeno della c.d. “grade inflation”. Apartire dalla fine degli anni ’60, infatti, nei college e nelle universitàamericane si registra una pressoché costante e generalizzata crescitanelle valutazioni degli studenti (GPA - GradePoint Average).

Sembra, infatti, che molte università americane, comprese le piùprestigiose, siano portata a “gonfiare” i voti degli studenti,assegnando valutazioni eccellenti anche di fronte a prove modeste,pur di dimostrare a tutti i costi di avere studenti in grado diraggiungere i massimi standard e di ambire, così, a posizionilavorative di prestigio. Questa tendenza ha generato uncomplessivo, uniforme e indistinto innalzamento del numero divotazioni eccellenti (dal punto di vista formale), a cui però nonsempre sembra sia correlata una effettiva preparazione qualitativa.Tra i più strenui oppositori di tale “deriva” del mondo universitariostatunitense, si segnala il prof. Harvey Mansfield, professore discienze politiche alla Harvard University, ormai famoso per la suabattaglia contro questa vera e propria inflazione – a suo parereingiustificata – di voti “eccellenti” nella sua università. Il prof.Mansfield ha quindi deciso di diversificare la valutazione chefornisce alle prove dei suoi studenti, sdoppiandola: come hadichiarato, infatti, «un primo voto è la mia opinione personale sullavoro che hanno svolto. L’altro, più alto e vicino alla media diHarvard, è il voto ufficiale che viene inviato ai registri universitari,dove ad oggi “A” è il voto più frequente, mentre “A-” rappresentala media complessiva»1.Tale accorgimento permette perciò agli studenti del prof. Mansfielddi conoscere una effettiva valutazione da un lato e dall’altro dicompetere “alla pari”, una volta laureati, nella ricerca di un lavorocon i propri colleghi di Harvard e di altre università che ricevonovalutazioni ugualmente “gonfiate”. Anche gli studenti, dopo unafase iniziale di disorientamento, hanno compreso la finalità diquesta iniziativa volta, come dichiarato dallo stesso docente, «a nonandare a punire gli stessi studenti, colpevoli solamente di averscelto di frequentare il mio corso e sostenere il mio esame».

Questo episodio si inserisce all’interno di un discorso più ampiosullo “stato di salute” del sistema universitario statunitense.Innanzitutto da più parti si rileva una situazione contraddittoria: daun lato si registra il maggior numero di studenti frequentanti icollege dell’intera storia americana; dall’altro si segnalano da piùparti notevoli difficoltà di apprendimento, tanto che alcunicommentatori, hanno parlato recentemente di “università alladeriva”2.Secondo Mansfield, la ragione di questa situazione di crescentedifficoltà proviene dal fatto che le università abbiano «smesso diperseguire la verità per se stessa». In realtà, sostiene Mansfield, inmolti casi «non si pensa che ci sia nemmeno la verità o,quantomeno, si hanno seri dubbi in proposito». E questo è ilrisultato «del multiculturalismo, secondo cui tutte le culture sonouguali» Su questa scia, si è incominciato a parlare, per descrivere lasituazione attuale, di “monocultura” che, secondo Mansfield,esprime un concetto analogo del multiculturalismo, in quanto allabase di entrambi vi è l’idea che «tutto ciò che merita di essereincluso nella nostra cultura, sia già stato incluso». Infatti, dopo averincluso tutte le minoranze (etniche, religiose, sessuali ecc.) ilrisultato è quello di una monocultura: «il multiculturalismo portadunque a elevare ogni diversità in una monocultura».Questo relativismo postmoderno generalizzato, prosegue il docente,«demoralizza gli studenti perché alla fine si sostiene che non èpossibile alcun tipo di apprendimento. E così tutto quello che si puòfare è al massimo indottrinare».Di fronte alla perdita di interesse per le attività curricolari,lezioni in primis, Mansfield, da osservatore, rileva un crescenteinteresse dei suoi studenti nelle attività extra-curricolari: «mentre icorsi universitari non sono molto impegnativi e stimolanti, le altreattività, come per esempio quelle sportive, li sfidano e li mettono incompetizione con gli altri studenti».In questo contesto, una situazione ancor più delicata è quella cheriguarda gli insegnamenti delle scienze umane e sociali: «tutte leuniversità stanno affrontando quella che potremmo definire unacrisi delle scienze umane, che hanno sempre maggiori difficoltà neldifendere se stesse in un contesto dominato dalle materiescientifiche e tecnologiche. Oggi tutta la conoscenza in quanto talesembra essere rappresenta solo dall’ambito scientifico. E questo nonva solo contro gli studi religiosi, ma anche contro gli studi letterari edi tutte le discipline umanistiche. Penso che ci sia questa tematicadietro al passaggio di tanti studenti dalle materie umanistiche aquelle più economiche, finalizzate al guadagno». Il declino di“appeal” delle scienze umane è stato provocato, sempre secondo ildocente di Harvard, dal loro «essere dominate dal cosiddettopensiero postmoderno. E postmoderno, in realtà, significa contro lascienza e contro i benefici o i presunti benefici del progresso e dellatecnologia». Di fronte a tali segnali che arrivano oltreoceano eall’aumento delle azioni “misurative-valutative-quantitative” chesembrano imperversare anche nel nostro paese, è utile domandarsise questo sarà il prossimo futuro (o forse sta già accadendo…?)anche della scuola e dell’università italiana.

1. L’intervista al prof. Mansfield è consultabile al seguente link http://www.mindingthecampus.org/2016/05/an-interview-with-harvards-harvey-mansfield/.2. Cfr. R. Arum, J. Roksa, Academically Adrift: Limited Learning on College

Campuses, University of Chicago Press, 2011.

(da http://www.gradeinflation.com/)

L’inflazione del merito. La rivolta di Harvey Mansfield

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 45

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

Sembra che non sia possibile insegnare il bene, seper insegnamento s’intende la comunicazione di unsapere. Il bene non è un sapere, è una proprietà

reale delle cose, inanimate o animate, e delle persone; di-ciamo, infatti, che una persona capace di opere caritate-voli è buona, che tale è pure una pianta che produce fruttisaporiti e parliamo finanche di macchine che sono buone,per parlare, per esempio, del loro stato o della loro pre-stazione. Questa osservazione si rivela già subito pre-ziosa, nella misura in cui ci permette insieme di acquisireuna prima nozione del male: la privazione della qualitàpropria di una realtà, della qualità che una realtà deve

possedere per essere veramente quella che essa è, questaassenza potrebbe essere definita male, per significareuna negazione del bene o una sua manifestazione distorta(impropria).Sennonché noi diciamo lo stesso di conoscere, almenosotto qualche aspetto, il bene; possiamo affermare il no-stro desiderio di raggiungerlo, come possiamo dire che,per la stessa ragione per cui amiamo il bene, detestiamoil male. Da dove viene questa nostra conoscenza e la cer-tezza che l’accompagna? Una frequentazione dei mondidell’educazione, un nostro coinvolgimento in essi conesperienze che ci s’impongono immediatamente come si-gnificative, ci fa intuire che il bene lo si apprende dal-l’incontro con persone che sono segnate dal bene. Anchequesta notazione appare subito rilevante, ci permette diconquistare una prima convinzione che resta solidamentein piedi, che è difficilmente contestabile: nella realtà,nella vita umana, nella storia, non esiste il bene o ilmale, esistono le persone buone, trasformate dall’impe-gno della loro libertà e dalla consapevolezza, che leporta ad acquisire disposizioni oggettivamente positivecome le virtù; così come esistono le persone malvagie,segnate dal male, che sarà una privazione, ma che è ter-ribilmente presente.

Ri-conoscere il beneSi può obiettare che non tutti e sempre sono propensi ariconoscere una persona come buona oppure come mal-vagia; così ragionano, ad esempio, gli uomini e le donnedella mafia, che non vedono e non apprezzano proprioniente di tutto questo: non la libertà, non la consapevo-lezza, tanto meno le virtù. Vuol dire che il bene o il malenegli uomini buoni o malvagi non hanno una loro og-gettività e non si fanno vedere a tutti per tutto quello chesono? Domanda interessante che ci fa cogliere un altroaspetto nient’affatto secondario in questa materia. In-tanto, in generale, per vedere non basta guardare, biso-gna avere gli occhi; ma soprattutto bisogna già sempreavere una qualche familiarità col bene, per vedere il bene

in una persona: esso infatti appare per quello che è soloa chi lo percepisce come connaturale. Si potrebbe direche solo chi è in qualche modo buono sa riconoscere unapersona buona; oppure, secondo un’altra prospettiva,che il bene ha un’evidenza speciale che lo fa vedere e in-tendere, possiamo chiamarla semplicemente evidenza

morale. Anche qui, affermazione di peso, dal momentoche, secondo molti analisti, proprio l’indifferenza difronte al bene e di fronte al male, quella che viene chia-mata adiaforía etica, sarebbe un tratto qualificante le so-cietà della tarda modernità, come la società italiana con-temporanea.È in ragione di questa evidenza e dell’acquisto da partenostra della capacità di percepirla che gradualmente di-venta quasi spontaneo riconoscere la bontà (e, in sensocontrario, la malvagità) di un uomo o di una donna. Ora,è interessante notare che in persone così la loro qualitàspeciale si manifesta in una fioritura della loro persona:quasi che il bene sia poi, nella sua sostanza, il manife-starsi secondo una certa pienezza della proprietà di unarealtà, ad esempio di una realtà personale: e che, nellapersona, è opera della sua libertà. Ma non solo, il bene

È possibile educare a scegliere il bene e non il male?Antonio Bellingreri

IL BENE, CHE PER CONNATURALITÀ PUÒ ESSERE RICONOSCIUTO NELLE PERSONE BUONE, NASCE

COME FRUTTO DELLA LIBERTÀ. ESSO È ATTRATTIVO, E METTE IN MOTO COLUI CHE NE VIENE

EDUCATO VERSO L’AVVENIMENTO DELLA PERSONA BUONA.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV46

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

mente che esso sia attrattivo: muove il cuore infatti solociò che lo diletta; e il più grande diletto è dato dalla per-cezione che la felicità è possibile. Questa dinamica pos-siamo chiamarla anche esperienza della bellezza; e si-gnificarla con la definizione perfetta che ne dato unpoeta tedesco dell’Ottocento: la bellezza è la promessadella felicità, della piena fioritura della vita.

La conoscenza pratica del beneIl bene dunque può essere comunicato e può essere co-nosciuto, solo unendosi a esso a motivo del diletto che ciprocura. Ora, secondo un vecchio adagio dei maestridella Scuola, solo esso «è indice di sé e del male». Certo,il male è realissimo, questo è innegabile e la comunica-zione del male è possibile ed è anch’essa realissima;così come si dà una qualche conoscenza del male, anchese questa appare subito contraddittoria: se infatti il maleè la negazione delle proprietà di una realtà, se dunqueesso come tale è privazione del senso, come è possibileaverne una conoscenza, essendo la conoscenza semprerelazione col senso? Eppure, si diventa, nostro malgrado,“esperti” anche del male: sino a scoprire, quando l’espe-rienza cresce, di avere con esso una segreta complicità

che ci condiziona pesantemente.Però, fatte salve queste notazioni, se di conoscenza, insenso proprio, noi vogliamo parlare, è di quella del beneche stiamo discutendo; in un secondo momento, dialet-ticamente, in rapporto a questo, apprendiamo a distin-

guere dal bene il male. Quanto detto ci fa intendere che

che fa fiorire le persone trabocca per così dire, si diffondee si comunica, tanto da poter fecondare chi lo incontra eda attivare o sostenere in loro la loro libertà liberante.

Testimoniare l’ideale attraverso l’esperienzaQuesto tratto è molto importante se pensiamo alle azionieducative, in famiglia a scuola o nelle comunità. Chi haincontrato un ideale di vita buona e sceglie in cuor suodi metterlo al primo posto in tutto, diventa testimone diquesto ideale che trasforma la sua esistenza e desideraproporlo anche ad altri, a cominciare dalle persone chegli sono prossime. Possiamo affermare già subito chequesta è forse la prima condizione perché si dia educa-zione: fare esperienza in prima persona di una sorgentedi senso per l’esistenza e reputarla preferibile a ogni al-tro interesse, soprattutto a tutti gli interessi di tipo ma-teriale. Una seconda condizione poi s’accompagna aquesta: chi assume l’iniziativa di testimoniare un idealeche egli liberamente sceglie di seguire e che positiva-mente segna la sua vita, mette tutto l’impegno a far

fare l’esperienza ad altri di tale ideale che lui stesso stafacendo.Qui, descrivendo questa dinamica propria dell’azioneeducativa, troviamo qualcosa di determinante per ap-profondire la questione sulla quale si svolge la rifles-sione. Il bene è la persona buona, abbiamo detto; e la per-sona buona, proprio perché tale, è generativa. Ma perchél’azione sia veramente contagiosa, meglio: perché il benesia assimilato, è necessario innanzitutto ed essenzial-

Michelangelo Buonarroti, Peccato originale e cacciata dal Paradiso terrestre, 1510 circa, Cappella Sistina, Musei Vaticani.

si tratta di una argomentazione critica: il bene s’imponeda sé, quando noi diventiamo a esso sensibili; ma pos-siamo esplicitarne le ragioni, con un certo rigore e conuna certa oggettività, dicendo che cosa esso è, fornendodegli argomenti che sappiano respingere quanto a essos’oppone. Questo tipo di ragionamento è di natura pra-

tica, non porta a una conoscenza universale e necessariacome accade con i sillogismi della riflessione teoretica.È un ragionamento che s’impianta a dei punti d’intesa,le premesse che, anche in modo implicito, reggono tuttii discorsi all’interno dei mondi della nostra vita: e tutti,in ultima istanza, hanno un’evidenza morale. Questonon vuol dire che non sia possibile arrivare a delle valu-tazioni sul bene e sul male, tali che tutti possano accet-tarle; i ragionamenti pratici piuttosto hanno una loro ca-ratteristica forma di oggettività: sono tali perché accettatida tutti gli uomini (o dalla maggior parte o anche solo daalcuni) la cui rettitudine è nota, e che noi stimiamo par-ticolarmente; o sono tali perché costituiscono il buon

senso comune, almeno all’interno delle nostre comunitàstoriche di appartenenza.

L’educazione: occasione per scegliere evivere il beneMovendosi in questa prospettiva sul senso del bene e sul-l’azione educativa adeguata, va fatta un’ultima osserva-zione. Quanto qui ho denotato ideale di vita buona puòanche essere chiamato primo valore morale; tale è, adesempio, la giustizia, per chi sceglie d’essere retto, ca-pace di riconoscere a ogni cosa e a ogni persona, ciò chele è proprio; e tale può essere il Vangelo di Nostro Si-gnore per chi sceglie di esserne discepolo amoroso. Maallora, balza subito agli occhi con evidenza, pur chiamatoideale, per significare che è termine di ogni volizione edi ogni azione, esso è realissimo ed è vitalissimo. È im-portante tener conto di questa osservazione soprattuttonell’impegno educativo: un ideale di vita buona e un va-lore positivo non possono mai essere consegnati vera-mente se essi non s’incarnano nelle esistenze concrete dichi riceve la consegna educativa. La vita si trasmette conla vita ed è in quanto si attua che un valore morale restavivente. Pertanto il vero compimento dell’azione educa-tiva avviene nella personalizzazione dei valori: nell’as-sumerli in quell’aspetto che, secondo la nostra buona co-scienza, pare interpreti in modo adeguato le nostreistanze; e nel dar loro una forma di esistenza – una sovra-

esistenza, forse bisognerebbe scrivere – singolare. Unideale di vita personalizzato appare adeguato, infine,quando il soggetto che lo intende, lo sceglie come ap-

prossimazione a un compimento, di senso e di felicità, perl’edificazione della sua persona.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 47

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

Asterischi di Kappa ***Per Boko Haram la terra è piattaBoko Haram sembra avere una predilezione per gli

insegnanti di geografia. Secondo un rapporto di HumanRights Watch, i docenti di geografia sono emersi come un

obiettivo primario nella campagna di terrore islamista contro

l’educazione occidentale in Nigeria, perché le loro lezioni

contraddicono la convinzione di Boko Haram secondo cui la

terra è piatta. Un totale di 600 insegnanti uccisi da Boko

Haram dal 2009 a oggi, 19 mila hanno lasciato il lavoro a

causa di minacce e attacchi. Il rapporto è uscito in

concomitanza con l’anniversario del rapimento delle oltre

200 studentesse dalla città di Chibok, spesso trasformate in

bombe umane. In totale, circa 952.029 bambini in età scolare

sono stati costretti a lasciare le scuole. Numeri che fanno il

paio con quelli usciti a febbraio e che arrivarono dalla ONG

Open Doors: 11.500 cristiani uccisi e 13 mila chiese distrutte

o costrette a chiudere in Nigeria.

Con una terminologia pedagogica, questa fioritura, la per-sonalizzazione originale di un ideale di vita etica, può es-sere chiamata avvenimento della persona buona: è unevento misteriosamente sorprendente, il più grande chesi possa dare nella totalità del cosmo e della storia. Allepersone buone bisogna guardare, “e trarre conforto dailoro discorsi”; infine, amando il bene che esse incarnano,efficacemente e realmente siamo distolti dal male.

Antonio Bellingreri

Università di Palermo

Manifestazione di studentesse dell’Università di Santa

Scolastica, a Manila, in solidarietà con le ragazze rapite in

Nigeria dai militanti di Boko Haram. Fonte IBtimes.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV48

PROGRAMMAZIONE

Come ogni altra materia anche l’IRC (Insegna-mento della Religione Cattolica) utilizza le ri-sorse offerte dal patrimonio culturale per favorire

negli studenti lo sviluppo di competenze personali1. Evi-dentemente, parlare di “competenze specifiche dell’IRC”è una pura astrazione, giacché le competenze non sonoipostasi statiche e separabili, ma realtà dinamiche che ma-nifestano in atto il tutto della persona2. Cionondimeno, ladistinzione appare utile dal punto di vista logico, se nonaltro per rendere perspicuo l’apporto di questa disciplinarispetto alle altre. Allora, potremmo definire “religiose”quelle competenze che maturano quando gli studenti siappropriano e rielaborano in maniera personale il sapereraccomandato dalla tradizione religiosa. Nel caso del-l’IRC si tratta della tradizione ebraico-cristiana nella suaversione cattolica, in quanto la Repubblica riconosce che«i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimoniostorico del popolo italiano»3.Il riferimento privilegiato al cattolicesimo sancito dalConcordato si fonda su due argomenti. Primo, conoscerequella particolare tradizione religiosa è necessario percomprendere la storia del nostro Paese, la nostra visionedel mondo, la letteratura, l’arte e così via. Secondo, an-cora oggi essa può offrire risorse simboliche prezioseper riflettere sul significato profondo delle esperienzeumane4. Pertanto, il primo compito dell’IdR (Insegnantedi Religione) è quello di fornire ai propri allievi «gli stru-menti culturali più corretti e adeguati alla migliore com-prensione delle verità di fede dei cristiani per poterne par-lare a ragion veduta, sia nel caso che le si accolga, sia nel

caso che le si rifiuti»5. Il secondo, che discende diretta-mente dal primo, è quello di aiutarli a servirsi di questosapere per illuminare la propria esperienza di vita. In talsenso, l’approccio critico-culturale della disciplina, vadi pari passo con il suo interesse antropologico. Negarel’opportunità di questa azione educativa, adducendo comemotivazione la recente secolarizzazione della società ita-liana, sarebbe un po’ come sostenere l’inutilità dello stu-dio della Divina Commedia, perché espressione di unaWeltanschauung ormai superata6.

Dall’epistemologiaalle scelte didattiche

Itinerari per un anno

ReligionePaolo Bertuletti

1. Presuppongo qui la definizione di competenza fornita da G. Sandrone, “Com-petenza”, in G. Bertagna, P. Triani (a cura di), Dizionario di didattica, La Scuola,Brescia 2013, pp. 81-94. 2. Cfr. G. Bertagna, Valutare tutti, valutare ciascuno, La Scuola, Brescia 2004,pp. 27-43.3. Art. 9 c. 2 dell’Accordo fra Santa Sede e Repubblica Italiana che modifica ilConcordato Lateranense. In un contesto come quello attuale, sempre più multi-culturale e multietnico, non si possono non considerare anche le altre religioni.Tuttavia pare ancora oggi ragionevole che la Repubblica voglia assicurare l’in-segnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie diogni ordine e grado. 4. A scanso di equivoci, occorre precisare che l’utilizzo di queste risorse non servea ribadire le medesime convinzioni del passato o a ripetere pedissequamente gliusi e costumi tramandati, ma anzi deve propiziare l’invenzione creativa di com-portamenti originali, che consentano ai giovani di realizzare pienamente sestessi come persone nelle situazioni sempre nuove create da un mondo in con-tinua evoluzione. Ciò che preme qui affermare è semplicemente questo: senzaun patrimonio culturale da cui attingere, tale rielaborazione innovativa sarebbeimpossibile.5. G. Sandrone, “Il concetto di competenza religiosa in prospettiva pedagogico-didattica”, in G. Bertagna, G. Sandrone (edd.), L’insegnamento della religione

cattolica per la persona, Centro Ambrosiano, Milano 2009, p. 301.6. È di questo avviso anche un apprezzato filosofo laico: cfr. l’intervista rilasciatada Massimo Cacciari ad Avvenire il 13/08/2009.

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IRC: spessore epistemologico eprofilo testimonialeSe vuole essere all’altezza di questi compiti, l’IdR deveconoscere bene la tradizione dottrinale da cui attinge perinsegnare e applicare con rigore e onestà intellettuale ilmetodo della teologia (scienza di riferimento per l’IRC).È il primo requisito individuato dal diritto canonico peressere insegnanti di religione: la «retta dottrina»7.D’altra parte, come osserva F. Togni, «se la dottrina fossel’unico criterio dell’insegnamento dell’IRC, per inse-gnare basterebbe dimostrare di conoscere il Catechismodella Chiesa Cattolica»8. Invece, il fatto che il diritto ca-nonico richieda anche «la testimonianza di vita» sugge-risce il carattere sapienziale di questo mestiere. Tale ri-chiesta non va interpretata come il tentativo da parte dellagerarchia ecclesiastica di limitare la libertà di pensiero ocontrollare la condotta morale degli IdR, ma esprime unarealtà più profonda connessa con il suo profilo testimo-niale. L’insegnante di religione non è tale solo perché co-nosce i contenuti della dottrina, ma soprattutto perché ma-nifesta in parole e azioni di aver appreso e fatto sua lasapienza cristiana oggetto del proprio insegnamento. Talecompetenza è garanzia della sua idoneità a insegnare.Non si tratta qui di arretrare verso una concezione con-fessionale della disciplina, ma di riconoscere, senza conciò negare l’approccio doverosamente culturale dell’IRC,il profilo testimoniale di ogni azione educativa.

Il metodo dell’IRCLa didattica dell’IRC non è diversa da quella raccoman-data a ogni altra disciplina scolastica. In queste pagine sipropone un metodo ispirato a una pedagogia di stampopersonalista. Assumere questa prospettiva significa anzi-tutto rinunciare alla programmazione deterministica deitraguardi formativi e mirare alla personalizzazione deipercorsi didattici. Se è vero, infatti, che l’autore dell’ap-prendimento è l’allievo stesso, tale apprendimento nonsarà efficace se non coinvolge integralmente la sua per-sona (intelligenza, volontà, affetti…) lasciando spazioalla sua azione libera e responsabile. In quest’ottica la bra-vura di un docente consiste nel predisporre attività didat-tiche che, tenendo conto dei bisogni formativi degli stu-denti, li stimolino ad appropriarsi in maniera personale ecreativa dei contenuti culturali (conoscenze e abilità) ri-tenuti indispensabili per trasformare le buone capacità diciascuno in competenze manifeste9. È chiaro, allora, che l’esito del percorso formativo – co-munque mai definitivo, visto che le competenze si espri-mono in situazione e le situazioni non sono mai identiche– tradirà immancabilmente l’elenco astratto delle com-petenze attese dal docente, configurandosi piuttosto come

l’incarnazione singolare e imprevedibile di un profiloche in anticipo l’educatore può solo tratteggiare. Taleimprevedibilità non significa, però, assenza di proget-tualità intenzionale da parte dell’insegnante. Semplice-mente alla linearità predittiva si sostituisce «la circolaritàriflessiva di chi continuamente si confronta con le personestesse che sono in apprendimento e, sapientemente, regolai cambiamenti, gli aggiustamenti, i passaggi»10.Qual è dunque il metodo più adeguato per rispettare le pre-messe appena enunciate? «Il docente che lavora al fine disviluppare competenze personali […] rispetterà l’unita-rietà dell’apprendere attivo del proprio allievo, nella mi-sura in cui realizzerà la propria intenzionalità educativa at-traverso un percorso laboratoriale»11. La didatticalaboratoriale prevede che gli studenti siano messi di frontea una situazione problematica da risolvere12. In tale con-testo essi percepiscono come significative le conoscenzee le abilità pertinenti che il docente offre loro, perché pos-sono adoperarle per attribuire significato alla situazioneproblematica e trovare il modo di risolverla in modo con-diviso e ritenuto soddisfacente per sé e per gli altri. Taleapprezzamento si intensifica nella misura in cui il compitolascia intuire ai ragazzi il fine educativo dell’attività chestanno svolgendo, facendo intendere in che modo essapossa migliorarli come persone. Naturalmente, l’attivitàriesce se il compito è alla loro portata e se favorisce il pro-tagonismo degli alunni, ma, soprattutto, se permette lorodi esercitare un’autentica capacità di giudizio13. Questo – mi pare – è il nodo cruciale attorno al quale lesoluzioni didattiche concrete spesso e volentieri falli-scono. Se il compito didattico propizia lo sviluppo dicompetenze personali, infatti, non è soltanto perché coin-volge l’alunno nella soluzione tecnica o solo cognitiva diun problema. Invece, se si vuole che l’alunno perfezionise stesso come persona, ovvero trasformi le sue capacitàpotenziali in competenze effettive, è necessario che eglimobiliti conoscenze e abilità tecniche o teoretico-cogni-tive nell’esercizio della sua razionalità pratica (phronesis),

7. CJC, Canone 804: § 2. Gli altri due sono la «testimonianza di vita cristiana»e l’«abilità pedagogica».8. F. Togni, Sapere religione cattolica. Dati e significato di una ricerca, Studium,Roma 2013, p.172.9. Cfr. G. Bertagna, Valutare tutti, valutare ciascuno, cit., pp. 66 ss.10. G. Sandrone Boscarino, Il concetto di competenza religiosa in prospettiva pe-

dagogico-didattica, cit., p. 330.11. Ibi, p. 324.12. Per una trattazione più esaustiva dell’argomento si veda G. Sandrone, “Di-dattica di laboratorio o didattica laboratoriale? Due strategie, due metodologie”in G. Bertagna (a cura di), Fare laboratorio. Scenari culturali ed esperienze di

ricerca nelle scuole del secondo ciclo, La Scuola, Brescia 2012, pp. 181ss.13. Descrive molto bene le caratteristiche del compito educativo F. Togni, Sa-

pere religione cattolica. cit., pp. 139-142.

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PROGRAMMAZIONE

la quale si estrinseca in azioni frutto di intenzionalità, ló-

gos, libertà e responsabilità. Se ciò non avviene, l’attivitàdidattica si riduce, nel migliore dei casi, a mero adde-stramento ripetitivo. Stando così le cose, si capisce perché non può esisterevero apprendimento senza la circolarità virtuosa fra ilcompito agito e la riflessione critica sulla propria azione(alternanza formativa)14. Ciò ha due implicazioni fonda-mentali. La circolarità fra azione e riflessione dovrebbeaccompagnare l’alunno in ogni momento dell’attività di-dattica. Il processo attraverso cui l’alunno si appropria delsapere, trasformandolo in competenza personale, si con-clude solo al termine dell’attività, quando questi, conun’azione ancora una volta fronetica, mai solo deduttiva,riflette sul proprio operato (che cosa ho fatto? Perché l’hofatto? Come?) riconoscendone il valore (il mio operato,nelle circostanze date, è cosa buona? Perché?).

Un itinerario didatticoL’itinerario didattico di seguito illustrato è un esempio dicome il patrimonio sapienziale offerto dalla dottrina cat-tolica possa aiutare gli studenti a illuminare la propriaesperienza di vita. Attraverso una serie di compiti, seguitida discussioni con il docente e i compagni, essi farannodiventare il senso profondo degli elementi che compon-gono il sacramento della riconciliazione (perdono, con-fessione e penitenza) criterio di discernimento del propriogiudizio e della propria azione nella vita reale, ovverostrumento del proprio essere competenti. L’itinerario è diviso in moduli che possono essere svoltiin successione nel corso del medesimo anno oppure dallastessa classe nel corso del quinquennio. I compiti propo-sti sono quelli consentiti dai rigidi dispositivi scolastici.Fondamentale per il buon esito del percorso è la qualitàdella discussione/valutazione successiva a ogni compito.Per questo, sarà necessaria un’attenta conduzione da partedel docente, il quale dovrà supportare i ragazzi nella pro-gressiva chiarificazione concettuale di quanto appreso, fa-cendo leva su quello che avranno sperimentato durantel’attività, ma anche su quello che essi già sanno e, so-prattutto, sulla loro personale esperienza di vita.

L’uomo abbandonato alla sua colpaCompito 1. Produzione scritta. Ogni studente descrive isentimenti che ricorda di aver provato dopo aver com-messo una azione che ha sentito e valutato “cattiva”. Riflessione. Il docente fotocopia alcuni scritti e li distri-buisce alla classe. Si prevede che almeno uno di questipresenti il vissuto della colpa come paura della puni-zione. L’insegnante introduce quindi il concetto di attri-zione15 e rilegge i compiti selezionati alla luce di questa

categoria: chi descrive il proprio vissuto come pura attri-zione? Chi, invece, aggiunge qualcosa in più?Preparazione. Il docente commenta le metafore del Salmo32 che descrivono il sentimento della colpa («si logora-vano le mie ossa», «per arsura d’estate inaridiva il mio vi-gore»). Compito 2. Ogni alunno deve inventare almeno una me-tafora/similitudine che raffiguri i sentimenti da lui descrittinel compito 1. Dopodiché, utilizzando un’apposita app

scaricabile gratuitamente su qualsiasi smartphone16, glistudenti modificano la foto della propria immagine, cosìda rappresentare graficamente quella metafora.Riflessione. Ciascuno presenta il proprio lavoro al restodella classe e lo commenta alla luce del vissuto che vo-leva raffigurare. I compagni fanno osservazioni e, allafine, esprimono una valutazione. Sintesi. Il peccato produce un sentimento doloroso che do-vrebbe andare oltre la paura della punizione per giungerea riconoscersi responsabili di aver preferito il male al rap-porto con il bene e l’amore di Dio.

Il primato della GraziaPreparazione. Lettura di Lc 19,1-9 (l’incontro fra Gesù eZaccheo). Il docente fa alcune puntualizzazioni: all’iniziodel brano Zaccheo, esattore che vive di aggi e di piccoleo grandi estorsioni, non si sente in colpa, responsabile dicommettere il male; non è ancora pentito, ma, evidente-mente, prova una generica insoddisfazione per la sua vitao solo curiosità per Gesù (si arrampica sul sicomoro purdi vedere il “profeta”). Inaspettatamente Gesù vuole in-contrarlo, senza badare né al suo mestiere né al fatto chenon si senta in colpa o che sia pentito. Zaccheo è sedottoda questo sguardo di grazia che perdona gratis e senza con-dizioni, e non fa a questo punto fatica a rileggere subitocome “male” la propria vita e le proprie azioni. Si converteperciò all’amore di Dio e la sua restituzione del mal toltoai fratelli è sovrabbondante («quattro volte tanto») cosìcome era stato per lui sovrabbondante lo sguardo teolo-gale. Questa svolta inattesa ha una portata salvifica per lasua vita («oggi la Salvezza è entrata in questa casa»).Compito. Utilizzando un’apposita app per tablet17, glialunni a coppie creano un fumetto che racconti, anche inchiave moderna, la conversione di Zaccheo. Sfruttando lepotenzialità espressive del fumetto, gli alunni devono

14. Cfr. G. Bertagna, Scuola e lavoro tra formazione e impresa. Nodi critici e

(im?)possibili soluzioni, in G. Bertagna (a cura di), Fare Laboratorio, cit., p. 110.15. Il dolore dell’animo che nasce dalla considerazione della bruttura del pec-cato o dal timore della punizione (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1453).16. Suggerisco PhotoWarp o simili.17. Suggerisco Comics Strip it! per Android.

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mostrare i pensieri del protagonista nelle diverse fasidella storia (insoddisfazione, sorpresa per la chiamata,pentimento/conversione, gioia/liberazione).Riflessione. Presentazione del lavoro al resto della classe.I compagni fanno osservazioni e, alla fine, danno unvoto. Sintesi. La misericordia e il perdono di Dio liberanol’uomo dal peccato e lo abilitano alla conversione. La so-vrabbondanza della Grazia divina rende eccedente anchela restituzione dell’uomo.

La confessione e la penitenzaPreparazione. Nonostante le trasformazioni subite neisecoli sotto la spinta delle esigenze pastorali (penitenzapubblica, tariffata, privata), il sacramento della riconci-liazione, oltre all’annuncio della misericordia e del per-dono di Dio, ha sempre mantenuto due elementi fonda-mentali: la confessione e la penitenza.Compito. Ogni studente riceve un foglio con la descri-zione abbastanza circostanziata di una azione valutata esentita “cattiva” e immagina di sentirsi in colpa perché,avendola compiuta, non ha corrisposto all’infinito sguardod’amore che Gesù aveva lanciato a Zaccheo. Entro untempo prestabilito ciascuno deve pensare a una gioiosa pe-nitenza supponendo di aver riconosciuto il proprio peccatoe, proprio per questo, di essere tornato in pieno nella re-lazione d’amore di Dio (perdono). Riflessione. A turno gli alunni presentano alla classe la pe-nitenza gioiosa che hanno pensato, esponendone le mo-tivazioni. I compagni possono accettare o rigettare laproposta giustificando il proprio rifiuto (la penitenza si li-mita a risarcire il danno? Nel caso in cui non sia possibile,è poco significativa per dimostrare il ritrovato amore diDio?).

Sintesi. Dopo aver fatto una azione che valuta cattival’uomo sente di dover confessare la propria distanza dallabontà e dall’amore sovrabbondante di Dio e vuole, con lapenitenza, eliminarla, abitando la bontà e l’amore di Dio.

Il peccato come rottura della buona relazionecon i fratelliPreparazione. Prendendo spunto dal famoso scontro fral’imperatore Teodosio e il vescovo Ambrogio, il docentespiega come nella Chiesa antica i peccati gravi venisserosanzionati con la scomunica (esclusione dalla comunitàdei fratelli).Compito. Ogni studente elenca in ordine di importanzacinque comportamenti che secondo lui dovrebbero portarein un determinato contesto (famiglia, gruppo sportivo,compagnia di amici ecc.) alla temporanea esclusione dichi li ha adottati.Riflessione. Ciascuno presenta il proprio “codice di com-portamento” alla classe giustificando le proprie scelte. Se-gue un dibattito con i compagni che lo accettano o lo ri-gettano motivando la propria opinione.Sintesi. L’esclusione non serve per allontanare o umi-liare, ma per rendere visibile ciò che il peccato ha già pro-vocato, la separazione (cfr. l’etimologia di “diavolo” dalverbo dia-bállein = separare), al fine di favorire il ravve-dimento e la riappacificazione.

Quale modello di giustizia per la riconciliazione?Dibattito. È possibile una giustizia terrena basata sul per-dono? Le giustificazioni filosofiche del diritto penale nonne risolvono il paradosso18. La tradizione cristiana offreinvece lo spunto per elaborare una concezione riparativadi giustizia, alternativa alla logica della retribuzione. NelVangelo l’annuncio della misericordia e del perdono diDio si trasforma in una esortazione sconcertante: «porgil’altra guancia» (Mt 5,39). Non si tratta di sminuire la gra-vità del peccato (occorre pentimento, penitenza, tempo-ranea esclusione dalla comunità), ma dell’unico modo perricucire una relazione lacerata dal male (riconciliazione).Il perdono, infatti, non significa semplicemente dare unaseconda possibilità, ma testimoniare che il luogo auten-tico dell’uomo non è il male che pur fa, ma il bene che eglitrova restando in relazione con Dio.

Paolo Bertuletti

I.S.S. Archimede Treviglio

18. Che senso ha infliggere un altro male (la pena) per risanare un male già com-messo (il delitto)? Sull’argomento si vedano le interessanti riflessioni di P. Ricoeur,Il diritto di punire, Luca Alici (a cura di), Morcelliana, Brescia 2012, pp. 59 ss.

Gesù incontra Zaccheo, Cattedrale di Reggio Calabria,

particolare, elaborazione grafica digitale.

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Quello dell’intervista immaginaria è un vero e pro-prio genere che ha dato frutti spesso dilettevoli:ma può costituire un utile sussidio sul piano di-

dattico, proponendo all’allievo un modo meno distac-cato di dialogare con lo scrittore, un approccio personaleche sia a un tempo storicizzante e attualizzante. L’hosperimentato predisponendo, con i coautori dell’antologiadi italiano per le superiori Vivo scrivo, dei video in cui de-gli attori danno voce alle domande dell’intervistatore,che prima li interroga sui problemi del loro tempo, poichiede loro un giudizio sui problemi del nostro. È quantopotrebbe fare l’insegnante in classe, proponendo delle do-mande cui gli stessi allievi, dopo che un autore è stato ade-guatamente trattato, rispondono nei panni dello scrittore;ovvero, con un gioco delle parti, potrebbero essere gli stu-denti a rivolgere delle domande anche provocatorie al do-cente, chiamato a rispondere in nome dello scrittore. Unmodo di accostare la letteratura alla vita, che è, credo, ilfine supremo dell’insegnamento. Offriamo, a mo’ diesempio, l’intervista a Dante Alighieri.

***

Maestro, sono davvero onorato di poterla intervistare. Ma

anche terribilmente spaventato, mi tremano le vene e i

polsi, come direbbe lei...

Perché mai?

Dicono che lei abbia un pessimo carattere.

Chiunque abbia carattere passa per un brutto carattere. Delresto provi lei a vivere da esule e sentirà come sa di salelo pane altrui. Anche perché noi in Toscana il pane lo fac-ciamo quasi senza sale.

Ma le hanno offerto il condono e il rimpatrio, no?

Certo, bastava che confessassi colpe non commesse. Maio ho la schiena dritta, non come tanti letterati e intellet-tuali di ieri e di oggi: banderuole che seguono il vento esi inchinano ai potenti della politica e dell’economia pergreppiare qualcosa.

Ma lei è contro la politica?

Al contrario, brucio di passione politica: ma a troppi po-litici di mestiere interessano potere e danaro più che ilbene pubblico. Perciò mi esiliarono: non i nemici ghi-bellini, ma l’altra corrente del partito guelfo. Ieri comeoggi i rivali più pericolosi sono i compagni, non gli av-versari. Capii presto che il poeta, oggi direste l’intellet-tuale dal cuore puro, deve fare parte per se stesso, obbe-dire solo alla coscienza. E pagare per questo.

In effetti, la ritraggono sempre con la tonaca di un pro-

feta. Si sente profeta?

Profeta? Certo. La poesia è una vocazione, e la tonaca mista bene, come la veste talare a un prete o la divisa a unmilitare o il camice a un chirurgo. E io, che non ero chie-rico come Petrarca e non leggevo il breviario, ho una to-naca ideale: metto il bisturi nei vizi, combatto per l’uma-nità, la giustizia e sono sacerdote di verità. Perché profetaè chi testimonia il dover essere senza rassegnarsi al mondocome è: non gli indovini e i maghi, che io cacciai all’in-ferno e voi ascoltate in tivù.

Nel Risorgimento l’hanno chiamato padre della Patria.

Questa definizione le calza bene, non crede?

Sì e no. Certo, sono il vero padre dell’italiano, anche semesser Bembo preferiva Petrarca e Boccaccio. L’idea ri-sorgimentale di una libera Chiesa in libero Stato la con-divido, anzi l’avevo anticipata nel De Monarchia. E l’Ita-lia? L’amo così tanto da perdere le staffe, quando lapiango nel sesto canto del Purgatorio, chiamandolaschiava e puttana: «… Ahi serva Italia di dolore ostello,/ nave senza nocchiero in gran tempesta, / non donna diprovince ma bordello». Il fatto è che di patrie ne ab-biamo più d’una: nel sesto dell’Inferno parlai di Firenze,nel sesto del Paradiso dell’Impero. Dunque dobbiamosentirci partecipi della città, della nazione e dell’Europacome tre patrie concordi, in un gioco di scatole cinesi, frai due veri estremi; l’individuo con la sua anima e l’uma-nità intera, perché siamo tutti figli di Adamo. Ora che vi-

Italiano

Un’intervistaimmaginaria: DantePietro Gibellini

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vete i problemi del localismo e della globalizzazione,provate a rileggermi…

Ha qualche ricetta anche per raddrizzare l’Italia di oggi?

Ah ah [risata e poi tono d’ironia], caro amico, mi hanno giàbandito e anzi condannato a morte per le mie idee. Chedirle? Per me la riforma parte dall’interno, la vittoria sullacorruzione, sui vizi impersonati dalle tre fiere: la violenza,gli sballi dei sensi, l’avidità di danaro. Quanto alle norme,io ho messo in Paradiso Giustiniano, che tolse dalle leggi«il troppo e il vano»: meno burocrazia, poche leggi ma darispettare. La giungla burocratica e la disfunzione della giu-stizia giovano solo a delinquenti e faccendieri.

E della scuola, cosa ci può dire?

Una fortuna, la scuola. Una fortuna avere dei maestri.L’incontro con un maestro è decisivo, e solo una societàgretta o suicida può sottostimare i professori: un tempoparlavano di «vocazione» anche per loro; poi li hannoconsiderati «erogatori di servizi». Quando smarrito nellaselva oscura ho visto Virgilio non credevo ai miei occhi:«Tu sei lo mio maestro e lo mio autore». Con la suaguida, il terrore ha ceduto alla speranza. E quanta ama-rezza vedere all’Inferno Brunetto Latini, che m’inse-gnava giorno per giorno a lasciare una buona traccia nellavita: «Voi qui, ser Brunetto?»; e stavo chino, in segno direverenza… del resto l’ho detto per bocca di Ulisse:«Fatti non foste a viver come bruti / ma per seguir virtutee canoscenza», la virtù morale e il coraggio combattivo,certo, ma anche il sapere.

Sono versi che abbiamo imparato a memoria, quando ci

facevano studiare a memoria i suoi versi, che ci diventa-

vano antipatici, ma adesso non usa più.Male poiché «non fa scienza, sanza lo ritener, lo avere in-teso». Credi di capire ma non ricordi niente; così la testapolverizza i pensieri in un usa e getta e resta vuota; abi-tuati allo zapping mentale, non riuscite a stare attenti perpiù di qualche minuto. Giusto celebrare il piacere del te-sto: ma la soddisfazione più intensa la si conquista con fa-tica. E poi, c’erano dei pastori analfabeti che sapevano amemoria interi canti della mia Commedia…

Non vorrà lodare anche gli esami di riparazione, spero…

Certo che sì! L’esistenza del Purgatorio era stata sancitada poco dalla Chiesa, e io sono stato il primo a conside-rarlo in poesia. Il Purgatorio non è solo castigo, ma ri-medio e perfezionamento: occorre un supplemento di im-pegno per capire quel che non si era capito. Così gliesami: certo scomodi per tutti, anche per le famiglie, masacrosanti. Ricorda i due peccati contro lo Spirito Santo?Disperare della salvezza o presumere di salvarsi senza me-rito. Questo vale non solo per il catechismo ma anche perla scuola. È una scelta umanistica, che crede nella possi-bilità dell’uomo di passare dal male al bene. Perché il veroiniziatore dell’Umanesimo sono io, non Petrarca.

Certo, citava Ulisse e ser Brunetto... ma intanto li ha

messi all’Inferno.[Nervoso] Già, ma per cosa? Ulisse sta giù non per la suaansia di conoscere, ma perché fu sleale. La faccenda del

Dante e Beatrice verso il cielo del Sole. Miniatura tratta dalla Divina Commedia di Alfonso d’Aragona (1442-1450),

British Library, Londra.

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cavallo mi piace poco, perché non sono Machiavelli: mala caduta di Troia era condizione per la nascita di Romavoluta dalla Provvidenza. La città muore per risorgere piùgrande: esempio di ciò che Dio vuole per i singoli e dal-l’umanità. Ulisse sta giù per la sleale astuzia con cui si im-padronì delle armi di Achille; toccavano ad Aiace che sisuicidò per il dispiacere.

E Brunetto sta giù fra i gay; non le pare omofobia, que-

sta?

[Risentito] Caro amico, erano altri tempi, non lo sa? Lichiamavano «peccati contro natura». E poi l’Inferno l’hoscritto da giovane, non si è accorto che nel Purgatorio nonc’è uno spazio dedicato agli omosessuali? Perché ho ca-pito che la sodomia rientrava nella lussuria, che diventapeccato quando esce dai limiti, quando i peccatori carnaliperdono la ragione per i loro eccessi.

Beh, se mi consente di entrare nel privato e in una sfera

un po’ delicata, come la mettiamo con Beatrice? Quando

scrisse la Vita nuova era giovane ma già sposato…

[Spazientito] Le ho detto che erano altri tempi! Il ma-trimonio era un affare combinato tra famiglie, con oc-chio al patrimonio e alle pubbliche relazioni. La miaGemma aveva fior di dote, ed era una Donati, la fami-glia leader dei guelfi neri. Perciò la poesia cortese avevateorizzato la separazione fra amore e matrimonio; ledonne da celebrare in poesia non sono le mogli. Poi lamia Gemma fu così riservata, seria e severa; come i quat-tro figlioli che avemmo. Pietro e Jacopo, poi, quanto sidiedero da fare per diffondere e commentare il mio ca-polavoro…

Ma Beatrice esisteva?

Certo. Ma la povera Bice di Folco Portinari era per me laportatrice di beatitudine; il suo saluto era per me salute delcuore e dell’anima. Quando me lo negò, credendo per unequivoco che guardassi un’altra, mi sentii disperato, e neuscii attraverso la lode gratuita, quella che si fa a Dio,senza chiedere di essere ricambiato. Non come i trovatorie i siciliani che aspettavano una certa «mercede», comela chiamavano. E non mi faccia dire a cosa alludessero…la vedo a nove anni, poi a diciotto; cifre simboliche, ca-pisce, non pedofilia! E ne parlo citando di continuo la Bib-bia. Insomma, lodando la beatifica Beatrice venuta interra a miracol mostrare e a purificare il cuore degli uo-mini, celebro l’angelo che c’è in ogni donna. E Saba, dicoUmberto Saba, ridice la stessa cosa: solo che lui paragonasua moglie alla gallina e alla cagna e alla coniglia, e a tuttele femmine che sono meglio dei maschi e li elevano versoil cielo.

E così la Bice morta giovane diventa la Beatrice che la

porta fino al Paradiso…

Non me solo, ma con me i lettori, e l’umanità tutta. Ab-biamo parlato di profezia, di vocazione. Vocazione si-gnifica chiamata: se non si è un disertore, si lascia tutto.Io passavo alla storia anche senza la Commedia. Con laVita nova ho creato il primo romanzo d’amore: stavoscrivendo il primo trattato di linguistica, col De vulgari

eloquentia, e la prima enciclopedia, spezzando per tutti ilpane del sapere, nel Convivio. Li ho interrotti per im-mergermi nel poema, per salvare me stesso e gli altri.

Salvare se stesso?

Sì, perché io quei peccati li ho attraversati. Sono svenutodavanti a Francesca da Rimini perché conosco la forza tra-volgente dell’amore; ho risposto con superbia all’iroso Fa-rinata, finché uscito da quel buio a riveder le stelle ho sca-lato il gran monte lavandomi man mano dal male…

Il peggiore dei mali di ieri? E quello di oggi?

È sempre lo stesso: correggere se stessi, uscire dall’io eaprirsi agli altri. Ricorda l’attacco delle tre cantiche? «Miritrovai in una selva oscura», il soggetto sono io; nel Pur-gatorio il soggetto è la «navicella del mio ingegno», un ioche si oggettiva nella nave, il veicolo per tanti, il simbolodella cosa pubblica. Nella terza cantica il soggetto diventaLui, «la gloria di colui che tutto move». L’ho spiegatonella lettera a Cangrande: a voi sembra difficile, ma vo-levo dire una cosa sola: che io scrivo per me e per tutti,per salvare me e salvare gli uomini.

E c’è riuscito? Lei ora dov’è, in Paradiso o in Purgato-

rio?

Questa risposta non posso dargliela; il Principale nonvuole che abbiate notizia dal vostro aldilà, che è il nostroaldiquà. Ma la mia opera salva anche nel mondo: nel-l’inferno del lager, dove volevano distruggere l’uomotrasformandolo in un numero, prima di distruggerlo fisi-camente. Primo Levi salvò la sua umanità ricordando imiei versi e spiegandoli a un ragazzo francese, colpevolecome lui solo di essere ebreo. Capiva che l’inferno lo pos-sono fare gli uomini, quando dimenticano di essere diversidalle bestie: «fatti non foste a viver come bruti, / ma perseguir virtute e canoscenza»…

Pietro Gibellini

Università Ca’ Foscari, Venezia

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PROGRAMMAZIONE

Ogni testo letterario può essere trasformato in unproblema ed essere proposto al riconoscimento ealla soluzione da parte degli alunni, attraverso do-

mande organizzate in architetture concettuali e culturali,semplici e precise.La stesura del piano di lavoro annuale, come ogni iniziod’attività del resto, è il momento opportuno per definireil senso di ciò che stiamo per fare e il suo valore per noi,prima che si inneschino automatismi consolidati e cicli-che urgenze. È il momento in cui le “cose da fare prima”non hanno ancora affogato le buone idee. Nel caso delladidattica dell’Italiano è l’occasione per riflettere su comecreare le condizioni perché gli alunni possano maturare ildominio delle abilità e delle conoscenze disciplinari e in-tuire la possibilità di servirsene per indagare e interpretarela realtà.Proprio su come trasformare il sapere in sapere compe-tente e non tradire lo spessore epistemologico della di-sciplina, vorremmo proporre alcuni spunti di riflessione.Per quanto riguarda, invece, la scelta di contenuti e obiet-tivi si rimanda alla normativa1 e alla sua traduzione ope-rativa, di solito predisposta dai dipartimenti di ogni scuola.

Il sapere competentePer sapere competente si intende un modo d’essere delsoggetto conoscente prodotto dalla trasformazione in sédi ciò che si è appreso e si apprende, attraverso l’inte-grazione fra conoscenze/abilità e capacità personali2. Ca-pacità che si sviluppano proprio grazie all’uso delle co-noscenze e delle abilità.La trasformazione in sé del sapere e la sua maturazionein stile conoscitivo naturale potrebbero sembrare diffi-cilmente insegnabili. Non è detto, però, che ciò che nonè insegnabile non possa comunque essere appreso. Apatto che si creino le condizioni perché lo studente lopossa maturare facendone esperienza.Il punto di partenza è che il sapere competente venga of-ferto all’osservazione e all’emulazione e che, al con-tempo, si creino le situazioni perché lo studente facciadella disciplina la stessa esperienza compiuta dal docentee impari a usarla con la naturalezza dello stile personale.In altre parole: è la competenza del docente a consentire

la competenza del discente. Diversamente la disciplina ri-mane mero nozionismo autoreferenziale.Come fare? Nella vita di classe si è avuto modo spesso diapprezzare l’efficacia di porre all’attenzione degli studentiun oggetto (testo, concetto, immagine,...) e di offrirlo alriconoscimento sulla scorta di domande organizzate in ar-chitetture concettuali e culturali, semplici e precise, rela-tive ad aspetti diversi, formali e strutturali, contenutisticie contestuali. L’apprendimento deve poter diventare attivae personale costruzione di significato e comprendere an-che l’analisi delle procedure applicate. Deve risultaredalla comprensione personale dell’oggetto, attraverso leproprie conoscenze e le proprie abilità, ma anche attra-verso il riconoscimento di ciò che nell’oggetto non c’è: ilsuo valore, il pensiero nascosto che l’osservatore puòanche criticare o discutere. Se l’oggetto dello studio è si-gnificativo e le domande interessanti, lo studente potràfarne tesoro per interrogare il proprio mondo, e gli ap-prendimenti saranno competenti perché ricorsivamentesperimentati e interiorizzati attraverso la riapplicazione incontesti sempre diversi, a scuola e nella vita sociale.Nulla di nuovo naturalmente. In metafora, si tratta di nonfare studiare “cruciverba risolti” (leggi: “testi letterari in-terpretati da altri”), ma di far “risolvere cruciverba” (cioè“interpretare il testo con rigore e creatività”). Se no, che di-vertimento c’è? La poesia nasce per il piacere (esistenzialeed estetico), non per la fatica della memorizzazione delleinterpretazioni altrui (che pure possono essere utili, quandousate come strumento conoscitivo e non come fine). Oc-corre insomma che la lezione sia esperienza di ciò di cuila poesia è, cioè metafora che sintetizza un percorso co-noscitivo. Altrimenti ci si abitua a una poesia senz’anima.Dunque. Si pone sul tavolo un testo e si inizia a interro-garlo secondo una architettura di domande: chi è l’autore?quando è stato pubblicato? fa parte di un’opera più am-pia? qual è il contenuto? quale il genere letterario di ap-partenenza?

La follia di OrlandoLeggo a esempio alcune ottave dall’episodio della folliadi Orlando (L. Ariosto, Orlando furioso, XXIII, 104-133,pubblicato in terza edizione nel 1532). Il testo, notis-

L’architettura delledomandeLuigi Tonoli

1. Si vedano, a esempio, sulle competenze le Raccomandazioni del Parlamento

europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008 (2008/C 111/01), la c.m. 10 novem-bre 2005, n. 84; il d.m. 22 agosto 2007, n. 139 (in particolare l’allegato 2, Com-

petenze chiave di cittadinanza). Per gli obiettivi specifici di apprendimento, leIndicazioni nazionali e le Linee guida (d.P.R. 15 marzo 2010, nn. 87-88-89; dir.15 luglio 2010, n. 57; dir. 28 luglio 2010, n. 65; d.m. 7 ottobre 201, n. 211).2. Per conoscenze si intende il sapere; per abilità il saper fare; per capacità le qua-lità potenziali del singolo.

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simo, racconta di come Orlando abbia scoperto che An-gelica ami non lui, ma l’oscuro Medoro e di come la di-sperazione che ne consegue lo porti alla follia.Orlando vede le frasi d’amore incise ovunque da Angelicae Medoro e subito cerca spiegazioni per non soccombere:certamente Medoro è il nomignolo con cui Angelica im-magina di rivolgersi a lui, Orlando:

Poi dice: - Conosco io pur queste note:di tal’io n’ho tante vedute e lette.Finger questo Medoro ella si puote:forse ch’a me questo cognome mette. -Con tali opinion dal ver remoteusando fraude a sé medesmo, stettene la speranza il malcontento Orlando,che si seppe a se stesso ir procacciando.(Orlando furioso, XXIII, 104)

Ma, gradualmente e inesorabilmente, la realtà si impone.E la disperazione travolge il malcapitato:

[…]Di crescer non cessò la pena acerba,che fuor del senno al fin l’ebbe condotto.Il quarto dì, da gran furor commosso,e maglie e piastre si stracciò di dosso.

Qui riman l’elmo, e là riman lo scudo,lontan gli arnesi, e più lontan l’usbergo:l’arme sue tutte, in somma vi concludo,avean pel bosco differente albergo.E poi si squarciò i panni, e mostrò ignudol’ispido ventre e tutto ‘l petto e ‘l tergo;e cominciò la gran follia, sì orrenda,che de la più non sarà mai ch’intenda.(Orlando furioso, XXIII, 132-133)

Insomma: «la sua donna ingratissima l’ha ucciso». È cer-tamente così. Ma il testo non ha ancora preso vita. L’in-terrogazione vera comincia solo a questo punto, attraversodomande dal valore esistenziale. E le domande servono atrasformare l’argomento di studio in problema.A esempio, scelgo di far ascoltare un’intervista a GiovanniJervis, sul tema dell’identità3. L’identità – sostiene lo psi-chiatra – è «tutto ciò che caratterizza ciascuno di noicome individuo singolo e inconfondibile. È ciò che im-pedisce alle persone di scambiarci per qualcun altro. Cosìcome ognuno ha un’identità per gli altri, ha ancheun’identità per sé. Quella per gli altri è l’identità ogget-tiva, l’identità per sé è l’identità soggettiva. L’identità sog-gettiva è l’insieme delle mie caratteristiche così come iole vedo e le descrivo in me stesso. L’identità oggettiva diciascuno, ossia la sua riconoscibilità, si presenta secondotre principali modalità». La prima modalità è l’identità fi-

sica (la faccia, a esempio); la seconda è l’identità sociale(età, stato civile, professione, livello culturale ed econo-mico); la terza è l’identità psicologica (la personalità, lostile costante del comportamento).Se leggo Ariosto alla luce della definizione di identità diJervis e cerco nell’Orlando furioso gli indizi utili a veri-ficarne l’applicabilità, comincio ad acquisire il dominiodi ciò che sto studiando e il povero Orlando diventa me-tafora per dare il nome a qualcosa che mi appartiene.In effetti quello di Orlando potrebbe essere un problemadi identità. Lui ha sempre creduto di essere il cavaliere per-fetto, invincibile e, quindi, ineluttabilmente amabile. Oral’identità soggettiva e oggettiva entrano in conflitto. E nu-merosi sono gli indizi che si compongono a creare un qua-dro diverso: i tentativi estremi dell’autoinganno («usandofraude a sé medesmo»), fino alla distruzione della propriaimmagine soggettiva e oggettiva («e maglie e piastre sistracciò di dosso»). La realtà sembra aver vinto sull’im-magine di sé (la sua e quella che lui pensa sia l’altrui). Nonsopportando la nuova realtà, non corregge l’identità: la di-strugge, insieme alla realtà. E si annulla (sradica alberi, di-

3. Jervis, Che cos’è l’identità? Intervista, disponibile in rete nel sito Enciclope-

dia multimediale delle scienze filosofiche, p. web Il grillo/interviste. URL:http://www.emsf.rai.it

L. Ariosto, L’Orlando furioso. Copertina di inizio Novecento,

particolare.

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strugge la natura, getta via le armi e si mostra ignudo «ecominciò la gran follia»). Distrugge prima i segni chehanno messo in crisi la sua immagine di sé, poi, non es-sendo sufficiente, distrugge tutto quello su cui aveva ba-sato la propria identità (le armi), cioè si annulla. E a que-sto punto, solo a questo punto, inizia la follia.Se le cose stanno così, si potrebbe persino immaginarel’interferenza di un topos dei romanzi arturiani, il temadella foresta: il giovane cavaliere parte, da solo, alla ri-cerca non tanto di nemici da abbattere o amici da salvare,quanto alla ricerca di se stesso, della propria «identità»:parte non per perdersi, ma per trovarsi, misurando e de-finendo le proprie qualità sulla base degli eventi impre-visti che la sorte pone. Orlando, alla prova, nella forestaappunto, sembrerebbe perdersi, non riuscendo a misurarsisulla nuova realtà che si è presentata.Naturalmente, poi, l’ipotesi va discussa cercando gli in-dizi della similarità fra l’Orlando e i romanzi arturiani.

L’architettura delle domandeÈ ovvio che numerose possono essere le chiavi d’accessoal testo di Ariosto. Si è scelto quello del capovolgimentoironico dell’immagine di sé e della realtà perché è uno diquei concetti da cui tanti altri possono derivare: rapportopoesia-realtà, inafferrabilità della vita, bellezza e inganno,inseguimento e perdita, disincanto, ironia, saggezza.Presentando un autore è, infatti, sempre bene che ci sia unagerarchia fra le considerazioni interpretative, in modo chela lettura possa ampliarsi per anelli concentrici, non pergiustapposizione lineare di considerazioni tutte uguali checonfondono gli autori in una nebulosa indistinta e indif-ferenziata. Ogni autore dovrebbe essere conosciuto perquell’idea che lo rende peculiare, per quel centro da cui de-rivano gli anelli concentrici. Un’idea che va scoperta, unsapere che va costruito. E non ricevuto passivamente.Il programma dovrebbe essere, quindi, una costellazionedi cerchi aventi ciascuno il proprio centro, e la conse-guente necessaria selezione degli argomenti andrebbe in-tesa non come mera riduzione numerica, ma come sceltadi quei concetti che generano altri concetti e che illumi-nano l’insieme. Esistono, infatti, concetti/testi da cui sipuò partire per capire la peculiarità della visione delmondo e dell’arte di quel particolare autore. E sono con-cetti/testi che di norma hanno valore esistenziale: dannoil nome ad aspetti dell’interiorità propri dell’uomo diogni tempo o forniscono criteri per la lettura dei fattidella vita.L’analisi meditata si può estendere, successivamente, percerchi concentrici, ad altre opere, dello stesso autore o diautori diversi, nonché ad aspetti della vita extrascola-stica. Si può, a esempio, usare il concetto di identità per

esplorare anche altri episodi, come quello del palazzo diAtlante, in cui la storia si sospende perché i cavalierispariscono inghiottiti da un palazzo dove credono di ve-dere l’oggetto dei loro desideri (Orlando furioso, XII, 3-34): proiettando fuori di sé le aspirazioni segrete creanouna realtà esterna conforme a ciò che vogliono. E si raf-forzano nella loro identità soggettiva. Cosa che non è riu-scita al povero Orlando.Insomma, la lezione dovrebbe ruotare attorno a un pro-blema che sfiori temi esistenziali e che non abbia un’unicasoluzione: in questo modo la ricerca della risposta generadialogo significativo. In sostanza le domande dell’inse-gnante non devono mirare a confermare la risposta che luiha già in mente e che gli studenti fin da subito intuiscono,adeguando, di conseguenza, le proprie proposte risolutive.Al contrario l’insegnante deve cercare di seguire e defi-nire la formulazione di risposta che proprio in quel modoin quella classe sta prendendo forma.Così impostato, lo studio della letteratura lascia un re-pertorio di termini di paragone utili per accostare opered’arte e definire stati interiori e stili di rapporti.

La follia di RinaldoA esempio può capitare di leggere l’episodio di Armida eRinaldo in Tasso (Gerusalemme liberata, XVI, 12-31). Ri-naldo è irretito da Armida che, attraverso la magia, si dotadell’identità oggettiva desiderata. Carlo e Ubaldo, amicidi Rinaldo, dopo aver superato il labirinto che circonda ilgiardino di Armida, sorprendono inorriditi il cavaliere, in-tento, in molli vesti, ad amoreggiare con la maga: leregge uno specchio (che porta sempre alla cintola al po-sto della spada) in cui lei ammira la propria bellezza. I duecrociati lo costringono a specchiarsi nello scudo incantatoche hanno con sé, lucido come diamante: Rinaldo, cheprima si specchiava negli occhi della maga e si vedeva coni suoi occhi, ora si vede con gli occhi dei compagni e ri-conosce la sua effeminata eleganza, vergognandosi di sée della propria vita. Vedendosi dall’esterno ritrova la pro-pria identità soggettiva. E torna quello che era.Il rapporto fra identità oggettiva e soggettiva è evidente.Come nel Furioso. Il contesto è, però, ora di sensuale bel-lezza e di musicale dolcezza.

Dal fianco de l’amante (estranio arnese)un cristallo pendea lucido e netto.Sorse, e quel fra le mani a lui sospesea i misteri d’Amor ministro eletto.Con luci ella ridenti, ei con accese,mirano in vari oggetti un solo oggetto:ella del vetro a sé fa specchio, ed egligli occhi di lei sereni a sé fa spegli.(Gerusalemme liberata, XVI, 20)

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Qual uom da cupo e grave sonno oppressodopo vaneggiar lungo in sé riviene,tal ei tornò nel rimirar se stesso,ma se stesso mirar già non sostiene;giù cade il guardo, e timido e dimesso,guardando a terra, la vergogna il tiene.Si chiuderebbe e sotto il mare e dentroil foco per celarsi, e giù nel centro.(Gerusalemme liberata, XVI, 31)

La ricerca e interpretazione di altri indizi alimenta la di-scussione sull’attendibilità delle interpretazioni. Certa-mente il modo diverso con cui Ariosto e Tasso toccano lostesso tema permette di capire il passaggio che dal Rina-scimento porterà al Barocco e la percezione della diffe-renza perfeziona la conoscenza dei due autori: dal capo-volgimento ironico alla labirintica sensualità.Poi, naturalmente, lo specchio che restituisce l’identitàoriginaria a Rinaldo e l’identità fittizia ed effimera ad Ar-mida – che è lei stessa, per Rinaldo, specchio della bel-lezza dell’Universo – è un concetto capace di produrre al-tri concetti e di aprire alla comprensione del Barocco(indubbiamente curiose le varianti del tema in Marino,Preti, Stigliani, Tesauro).

La natura delle domandeQuello presentato è un approccio di taglio esistenziale, inaltre occasioni potrà riguardare le forme del significante(il processo creativo dei madrigali, traendo spunto, aesempio, dalla già citata ottava «vezzosi augelli…»4 mu-sicata da Giaches de Wert e Luca Marenzio) e introdurreal tema del rapporto fra poesia e musica. Altre volte po-trà riguardare il valore conoscitivo delle parole poetiche(le metafore di Dante…), oppure temi etici e morali (inMachiavelli, il problema del rapporto fra mezzi e fini, frapolitica e morale).Ma potrebbe essere anche che l’analisi trovi nel testo insé il punto d’avvio e la domanda riguardi il processocreativo, la struttura dell’opera, oppure il riconoscimento

della differenza fra opere di maggiore e minore qualità (lapercezione degli scarti crea prospettive nuove).Lo scopo del lavoro è sempre rendere la lezione un’espe-rienza di lettura: più il repertorio di domande si arricchi-sce, più la capacità di lettura si fa raffinata e competente,naturale e originale, utilizzabile in contesti diversi, ascuola e fuori.L’esplorazione del testo, naturalmente, deve essere im-postata con rigore metodologico: nella individuazionedegli indizi a sostegno dell’interpretazione a esempio, maanche nella consapevolezza che si sta leggendo il testo allaluce di un preciso criterio (il concetto di identità nell’ac-cezione di G. Jervis) e che, quindi, quello che se ne ricavanon esaurisce la conoscenza dell’opera e vale a partire daquella premessa. Non è, certamente, l’unica chiave.L’approccio, insomma, intuisce l’opera e, senza la pretesadi carpirla e senza radicalmente tradirla, permette di entrarein risonanza con il testo (D’altra parte anche l’approcciorigorosamente filologico non dà conto di tutte le dimen-sioni della poesia e pertiene, comunque, a studi universi-tari, non liceali. A noi compete il piacere della lettura.).La risonanza fra lettore e opera è consolidata dall’attivitàlaboratoriale, dialogica e creativa implicata nella ricercadella soluzione a problemi (attraverso il reperimento delleinformazioni che mancano e che in quel momento sononecessarie, attraverso l’elaborazione di proprie idee su te-sti/concetti che vengono fatti interagire e attraverso la for-malizzazione condivisa dei problemi interpretativi da af-frontare).Un po’ come nella scultura metaforica di John Isaacs, The

architecture of empathy (2013).La mia lettura fa intuire l’opera di cui parla, ma non di-rettamente. L’oggetto del sapere è costituito sia dall’operasia dal velo che l’interpretazione le sovrappone. In conclusione: certamente da sola la lezione frontalenon basta (è sempre più difficile coinvolgere gli alunnicon la didattica trasmissiva unidirezionale e asimmetrica:non si può non avvertire la sproporzione fra energia pro-fusa e risultati ottenuti). La scuola diventerebbe una cosae la vita un’altra. Con conseguenti demotivazione, ap-prendimento effimero, mai competente. Occorrono altree diverse modalità didattiche. Servono situazioni di ap-prendimento, compiti, progetti. In modo che si impari fa-cendo e che agli studenti rimanga forse il che cosa, macertamente il come. Forse l’oggetto indagato, ma certa-mente l’architettura delle domande.

Luigi Tonoli

Liceo Leonardo, Brescia

4. T. Tasso, Gerusalemme liberata, XVI, 12.

John Isaacs, The

architecture

of empathy

(2013),Concesio

(BS),Collezione

Arte espiritualità.

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PROGRAMMAZIONE

Nell’educazione letteraria del secondo biennio equinto anno della scuola secondaria di II grado ilprincipale strumento è la storia-antologia di Let-

teratura italiana.L’influenza dei dibattiti teorici sul modo di studiare e diinsegnare la letteratura è indiretta: a fare da strumento dimediazione tra questi e il mondo della scuola sono leopere scolastiche realizzate da docenti universitari e discuola superiore.

Le proposte editoriali degli anni NovantaTra le proposte editoriali di maggior fortuna degli anniNovanta vanno ricordati Il sistema letterario di Gugliel-mino (1989)1, Testi nella storia di Segre (1991)2 e Dal te-

sto alla storia dalla storia al testo di Baldi (1993)3. Que-sti tre libri sono accomunati dal principio della centralitàdel testo declinata, però, in modi differenti. Se nel primola letteratura è concepita come sistema secondo l’impo-stazione struttural-semiotica, nel secondo prevale l’at-tenzione per la filologia e gli aspetti formali. Nel terzo, in-vece, ritorna con forza il nesso tra il testo e il contestomediante articolate analisi che comprendono la conte-stualizzazione e aprono all’interpretazione. Già con la Commissione Brocca e poi con il ministroBerlinguer sono introdotte importanti novità: la centralitàdel testo, una nuova periodizzazione nei programmi attentaallo studio del Novecento, la costruzione di percorsi tra-sversali (storico culturali, tematici e stilistici) e il modellodidattico modulare. Va precisato che i percorsi trasversaliquasi sempre non sostituiscono la trattazione storica degliargomenti nei libri di testo e nella pratica didattica, mahanno integrato il materiale già esistente congiuntamenteagli approfondimenti interdisciplinari e allo spazio datoalla comparatistica tra le letterature europee. La proposta de Il valore letterario di Gibellini (1994)4 sipone in alternativa ai libri di letteratura storico-sociologicie a quelli formalistici dando rilievo alla dimensione va-loriale e alla soggettività del lettore. È della fine degli anniNovanta, invece, una delle prime opere organizzate comeun ipertesto: in Scritture di Di Sacco (1997)5, infatti, i mo-duli sono raggruppati in sezioni di differente tipologia(quadri storico-culturali, profili d’autore, opere, generi e

temi) e rinviano l’uno all’altro, mentre le parti antologi-che propongono percorsi di lettura secondo una chiave te-matica. Degli stessi anni è il fortunato libro di Luperini La

scrittura e l’interpretazione (1996)6: gli orizzonti della cri-tica post-strutturalista e reader-oriented diventano il puntodi riferimento per un nuovo modello di insegnamento e distudio della letteratura, quello ermeneutico coniugato conuna forte componente storico-sociologica e con l’aperturaall’orizzonte europeo. Con la storia-antologia di Luperinicominciano a essere messi in forte risalto i capitoli dedi-cati alle maggiori opere della letteratura; inoltre, attraversole sue varie edizioni, al libro modulare come ipertesto siafferma un nuovo modello che prevede una presenta-zione ordinata di moduli differenti. A tutti questi libri ap-profonditi nel profilo e con parti antologiche molto arti-colate si oppone l’ultima importante pubblicazione deglianni Novanta, ovvero La letteratura italiana di Armellini(1999)7. L’ampia scelta antologica è curata in modo es-senziale ed è accompagnata da un agile disegno storicocon l’obiettivo di stimolare lo studente a leggere e a pro-vare il piacere nella lettura stessa.

Gli anni DuemilaA partire dagli anni Duemila i libri di maggior successosono riproposti in modo aggiornato. Oltre alle nuove edi-zioni delle opere di Guglielmino, Il sistema letterario

2000 (2000)8, di Segre, Leggere il mondo (2000)9, diBaldi10, di Luperini11 e di Armellini12, va ricordato Storia

e testi della letteratura italiana di Ferroni (2002)13 in cuiil noto profilo storico dell’autore è accompagnato da am-pie sezioni antologiche di testi. Fatta questa eccezione, lerestanti storie-antologie nascono accogliendo le recenti no-

Le storie-antologie diletteratura italianaFrancesco Brollo

1. S. Guglielmino, H. Grosser, Il sistema letterario, Principato, Milano 1989.2. C. Segre, C. Martignoni, Testi nella storia, Bruno Mondadori, Milano 1991.3. G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria, Dal testo alla storia dalla sto-

ria al testo, Paravia, Torino 1993.4. P. Gibellini, G. Oliva, G. Tesio, Il valore letterario, La Scuola, Brescia 1994.5. P. Di Sacco, G. Cervi, F. Fioretti, M. Serio, Scritture, Bruno Mondadori, Mi-lano 1997.6. R. Luperini, P. Cataldi, L. Marchiani, La scrittura e l’interpretazione, ed. blu,Palumbo, Palermo 1996.7. G. Armellini, A. Colombo, La letteratura italiana, Zanichelli, Bologna 1999.8. S. Guglielmino, H. Grosser, Il sistema letterario 2000, Principato, Milano2000.9. C. Segre, C. Martignoni, Leggere il mondo, Paravia, Milano 2000.10. G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti - G. Zaccaria, Dal testo alla storia dalla sto-

ria al testo, ed. verde, ibidem, 1998, ed. modulare, ibidem, 2001 e ed. blu, ibi-

dem, 2003.11. R. Luperini, P. Cataldi, L. Marchiani, F. Marchese, La scrittura e l’inter-

pretazione, ed. rossa, Palumbo, 1998, Palermo, ed. verde modulare, ibidem,nuove ed. rossa, ibidem, 2000, e ed. gialla modulare, ibidem, 2002.12. G. Armellini, A. Colombo, Letteratura letterature, Zanichelli, Bologna2005.13. G. Ferroni, A. Cortellessa, I. Pantani, S. Tatti, Storia e testi della letteratura

italiana, Einaudi Scuola/ Mondadori Università, Milano 2002.

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vità ermeneutiche senza trascurare le conquiste dello strut-turalismo: da segnalare ci sono in particolare i libri di Bru-scagli, Itinerari dell’invenzione (2002)14, di Raimondi,Tempi e immagini della letteratura (2003)15, di Santa-gata, Il filo rosso (2006)16 e di Biagioni, I testi, le imma-

gini, le culture (2007)17. In Itinerari dell’invenzione la ma-teria è organizzata per percorsi tematico-culturali incentratisugli autori, sui temi e sugli incroci tra la letteratura ita-liana ed europea. Degli stessi autori è Letteratura e storia

(2005)18 che, sebbene sia più recente, amplia i materiali delprecedente e li organizza in modo più tradizionale, ovverosecondo inquadramenti storici, culturali, linguistici, lette-rari e percorsi antologici. La modularità si ripresenta inTempi e immagini della letteratura con una successione li-neare di capitoli di tipologia diversa che aprono all’im-maginario e alla mentalità perché matrici del testo. Ne Ilfilo rosso, invece, al profilo storico-letterario e alle paginesulla storia della lingua si affiancano dei moduli di letturaautonomi secondo un metodo di studio induttivo: questiprendono in esame le grandi opere per poi considerarel’autore, la sua produzione, i generi e il contesto storico-culturale. L’interdisciplinarità e l’interculturalità sono, in-vece, le prospettive che caratterizzano I testi, le immagini,

le culture, libro che nasce entro il laboratorio di Luperinie che si articola in volumi di base, per temi e per generi.La trasformazione delle storie-antologia riguarda sia laloro struttura sia l’impostazione metodologica. L’impor-tanza riconosciuta al lettore come soggetto interpretantecrea le basi per una visione più ampia della letteratura: lacrescente attenzione per i suoi intrecci con l’immaginarioe con gli altri saperi umanistici e scientifici si traduce initinerari di lettura originali e trasversali. Non mancano,però, le resistenze a tali novità. Infatti, se da un lato esserichiedono una notevole disponibilità di tempo in classe,dall’altro permane lo scetticismo di coloro che vi vedonoil rischio di interpretazioni facili da parte degli studenti.

Alcune proposte recentiCome soluzioni a questi problemi sono intraprese vie di-verse tra loro alternative. Una tra queste è quella rappre-sentata dallo “storicismo leggero” di libri quali Lettera-

tura di Barberi Squarotti (2002)19 e le sue edizionisuccessive, Storia europea della letteratura italiana diAsor Rosa (2008)20 e L’Europa degli scrittori di Antonelli(2008)21: si tratta di storie-antologie in cui il modello sto-ricistico di partenza è integrato per ragioni didattiche coni modelli successivi. A queste si aggiungono alcune tra leultime opere riconducibili alla linea aperta dalla tradizionedegli anni Novanta: Leggere, come io l’intendo... di Rai-mondi (2009)22 e Il canone letterario di Grosser (2009)23.Nel primo è dato risalto al significato della parola lette-

raria mediante analisi del testo strutturate come “lectu-

rae”, mentre nel secondo è ripresa con forza l’idea dellacentralità del testo e dei “classici” come autori di una tra-dizione complessa e articolata. Tuttavia, ad avere maggior successo è un nuovo modellodi manuale: si tratta del libro “tutor” che, per la presen-tazione dei contenuti, gli apparati didattici e lo stile nitidodell’argomentazione, viene incontro alle esigenze dellostudente proveniente dal primo biennio. Questa formulasi afferma quasi parallelamente alla digitalizzazione deimateriali di studio avviata con la Riforma Moratti e resadefinitiva con la Riforma Gelmini e il ministro Profumo.Tra le opere più interessanti vanno citate le fortunate rie-laborazioni (o “edizioni leggere”) dei libri di Baldi e diLuperini come La letteratura (2006)24 e il Manuale di let-

teratura (2006)25 e libri del tutto nuovi come Testi e sce-

nari di Panebianco (2009)26 e Visibile parlare di Sambu-gar (2012)27. A questo terzo filone vanno ricondotte anchele ultime due storie-antologie capaci di distinguersi perl’ampiezza dei contenuti e le scelte didattiche: Rosa fre-

sca aulentissima di Bologna (2010)28 e Vivo, scrivo di Gi-bellini (2013)29. I due libri sono tra loro molto diversi: ilprimo dà maggior spazio al profilo letterario e alla dia-lettica tra tradizione e innovazione; il secondo, invece,promuove ancora una volta la dimensione valoriale dellaletteratura inserendo entro il contesto letterario l’analisiapprofondita dei testi.

14. R. Bruscagli, G. Tellini, Itinerari dell’invenzione, Sansoni, Firenze 2002.15. E. Raimondi, G.M. Anselmi, Tempi e immagini della letteratura, Bruno Mon-dadori, Milano 2003.16. M. Santagata, L. Carotti, A. Casadei, M. Tavoni, Il filo rosso, Laterza, Bari2006.17. M. Biagioni, R. Donnarumma, M. Ganeri, C. Sclarandis, C. Spingola, E. Zi-nato, I tempi, le immagini, le culture, Palumbo, Palermo 2007.18. R. Bruscagli, G. Tellini, Letteratura e storia, Sansoni, Firenze 2005.19. G. Barberi Squarotti, G. Balbis, V. Boggione, G. Genghini, Letteratura, Atlas,Bergamo 2002.20. A. Asor Rosa, Storia europea della letteratura italiana, Le Monnier Scuola,Milano 2008.21. R. Antonelli, M.S. Sapegno, L’Europa degli scrittori, La Nuova Italia, Firenze2008.22. E. Raimondi, G.M. Anselmi, Leggere, come io l’intendo…, Bruno Monda-dori, Milano 2009.23. H. Grosser, M.C. Grandi, G. Pontiggia, Il canone letterario, Principato, Mi-lano 2008.24. G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria, La letteratura, Paravia, Torino2006.25. R. Luperini, P. Cataldi, L. Marchiani, F. Marchese, Manuale di letteratura,Palumbo, Palermo 2006.26. B. Panebianco, C. Pisoni, L. Reggiani, M. Malpensa, Testi e scenari, Zani-chelli, Bologna 2009.27. M. Sambugar, G. Salà, Visibile parlare, RCS Libri La Nuova Italia, Firenze2012.28. C. Bologna, P. Rocchi, Rosa fresca aulentissima, Loescher, Torino 2010.29. P. Gibellini, M. Belponer, A. Cinquegrani, S. D’Ambrosio, M. Salvini, Vivo,

scrivo, La Scuola, Brescia 2013.

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PROGRAMMAZIONE

Questa terza linea di tendenza è ormai quella prevalente.Essa si è consolidata nella scuola fino a rendere sempremeno significative le differenze tra libri destinati alle va-rie tipologie d’istituto anche a seguito della riforma delquadro orario di Italiano. Se a prima vista può sembrareun compromesso a scapito dell’originalità, nella praticadell’insegnamento il modello del libro “tutor” rappre-senta un notevole passo in avanti: esso riflette la consa-pevolezza circa la preparazione degli studenti del primobiennio ed è funzionale alla nuova scuola delle compe-tenze. Tale progresso darà risultati ancora più apprezza-bili se al più presto si riuscirà a rendere effettiva la digi-talizzazione dei libri di testo mediante l’uso delle nuovetecnologie in ogni classe d’Italia. Tutto quanto, però, re-sta subordinato a una condizione irrinunciabile: deve re-stare costante nella scuola l’attenzione per i nuovi para-digmi didattici messi in rilievo dal dibattito teorico e cosìla disponibilità dei docenti a sperimentarli integrandoli aseconda delle esigenze dei propri allievi.

Francesco Brollo

Dottore in Filologia e Letteratura italiana

In queste mie riflessioni provo a tirar le somme dicome ho cercato di insegnare greco e latino, senza di-menticare le discipline loro sorelle, italiano, storia e

geografia (queste due ultime da qualche anno fuse ingeostoria) ininterrottamente, sia pure solo in parte tutt’ecinque nella stessa classe, altrimenti in alterne combina-zioni, per quasi sette lustri, nel biennio ginnasiale del Li-ceo Classico.Questa esperienza oggi è possibile in contemporanea soloa due o tre insegnanti, per i quali quanto segue vuol es-sere un piccolo vademecum assolutamente pratico, dedi-cato soprattutto a loro, i colleghi giovani (e a quanti si ac-cingono a diventarlo), e ai miei studenti attuali e deitrascorsi anni, che con tanta pazienza mi hanno seguito,nella convinzione (regolarmente dichiarata ad apertura dibiennio) che a scuola vale per tutti il motto «dum docetdiscit, dum discit docet».

Il senso delle lettere classicheParto «ab ovo», dalle scuole secondarie di I grado, dovenon ho mai insegnato, ma nelle quali mi reco regolar-mente, nei primi mesi di ciascun anno scolastico, perl’Orientamento.L’obiettivo nel triennio delle secondarie di I grado, perl’orientamento al Liceo Classico, è rendere coscienti ra-gazzi e famiglie di che cos’è e come si coltiva la passioneper gli studi classici, cioè il desiderio e il gusto per la bel-lezza nella sua dimensione storica e filologica.A questo proposito, un fine suggerimento, basato sul-l’esperienza personale, è stato dato da Alessandro D’Ave-nia nel corso del convegno, ospitato dal Politecnico di Mi-lano, «Il Liceo Classico del futuro» (28-29 Aprile 2016).Provare a insegnare, parlando con i ragazzi delle secon-darie di I grado e anche della primaria, la storia di qual-che parola latina o greca, prendendo spunto da un nomeproprio, un oggetto presente nell’aula (che è parola greca,per l’appunto: è la corte del re, il sacro recinto del tempio,e in origine il recinto dove il bestiame domestico è al si-curo dagli attacchi dei predatori; e qui si potrebbe innestarel’etimo di ‘cultura’, e così via), per trasmettere l’attenzioneassoluta degli autori greci e latini per la realtà, per ogni più

Greco e latinoLiceo classicoMino Morandini

l’Inferno di Dante; il punto d’arrivo di questa breve escur-sione dantesca è il canto IV, il Limbo, nel quale Dantecontempla le radici della cultura, romane, latine e italiche,greche ed ebraiche, preesistenti al Cristianesimo, e trovaspazio anche per gli islamici Averroè, Avicenna e persinoper il Saladino, massacratore di crociati, ma prode e lealecombattente.Il rapporto tra Dante e Virgilio e tra Virgilio e Omero,«poeta sovrano», chiarisce il senso dello studio, nel LiceoClassico, delle tre lingue e letterature classiche dell’Oc-cidente; appare subito evidente che pensare di studiare lin-gua e letteratura latina senza il greco è come pensare distudiare Dante, Petrarca e Boccaccio senza il latino: certo,la Comedìa, i Rerum vulgarium fragmenta e il Decame-

ròn si possono capire ugualmente, perché la lingua ita-liana è satura di latinità, ma il livello di comprensione pro-fonda della Comedìa, per esempio, per chi non puòavvicinarsi al testo latino (per dire solo le fonti più notee frequenti) dell’Eneide e dell’Antico Testamento, è moltopiù povero; il parallelo diventa ancor più stringentequando si giunge allo studio delle letterature greca e la-tina nel triennio: l’epica latina nasce con la traduzione del-l’Odissea; la prosa scrive addirittura in greco, all’inizio,con gli storici Fabio Pittore e Cincio Alimento; insomma,non c’è autore latino che non sia anche greco, fino al-l’ultimo grande libro della latinità pagana, i Colloqui con

se stesso di Marco Aurelio, pure scritti in greco.Sarebbe molto più serio, e meno ipocrita, ammettere chia-ramente che non ci sono soldi per le scuole italiane, diStato e non di Stato, degne di questo nome, perché biso-gna fare spazio (ce lo impone la logica del mercato!) a di-plomifici che mettono in primo piano il businnes…A questo proposito voglio ricordare un intervento di Ro-berto Casati sul domenicale de «Il Sole 24 ore», 15 mag-gio 2016, p. 24, L’abbaglio della fine della scuola, chespiega bene il tragico destino incombente sulla scuola ita-liana (e in particolare sugli studi classici).

Verso l’interdisciplinaritàNel lavoro durante l’anno, il concetto di fondo è mante-nere, con frequenti contatti tra i docenti, un costante dia-logo interdisciplinare, in particolare tra le cinque materie‘sorelle’ – italiano, greco, latino, storia e geografia –, maanche con tutte le altre, che non devono mai subire la con-trapposizione tra materie umanistiche e materie di altrogenere: tutte le discipline sono umanistiche perché siprendono cura dell’uomo, sono prospettive differenti e si-nergiche, verso e dallo stesso soggetto, in una visione eticadella cultura e della vita, fondata sul concetto di personaper se stessi e per gli altri, visti come fine e mai comemezzi.

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PROGRAMMAZIONE

piccolo frammento bello della realtà, come appare evi-dente leggendone la poesia, perché qui risuona tutto il loroessere, nella persuasione che «le parole aprono mondi, co-struiscono mondi»; per questo è importante studiare quellelingue nella loro originale forma espressiva per poterle poitradurre nella nostra lingua e cultura, che in esse trova leproprie principali radici, perché – parafrasando Socrate –«solo conoscendo noi stessi, possiamo sapere come pren-derci cura di noi stessi», per restituire agli studi classici labellezza di essere una ‘paidèia’ integrale.In questo senso, in un convegno in cui taluni organizza-tori continuavano a pensare che il Liceo Classico sia ri-masto lo stesso dei tempi di Gentile (e, non capisco conquale logica, insistevano per rendere facoltativo il grecoe restringere il latino nella nicchia minimalista di vaghistudi antropologici, tagliando quasi del tutto il lavorosulla grammatica in vista della traduzione), D’Avenia haproposto di reintrodurre, sulle suddette basi profonda-mente rinnovate, il latino fin dalla secondaria di I grado(e, dove possibile, anche il greco), sempre a livello di eti-mologia filologica; è questo forse l’unico terreno comuneper tutti gli studenti di queste scuole, anche con le culturedei loro condiscepoli di famiglie immigrate, che nel-l’arabo e nelle lingue indiane, nell’albanese, nel rumenoe nel russo, possono trovare affinità con il greco e con illatino; infine, la storia italiana degli ultimi 1500 annicirca ha dimostrato che l’avviamento, per libera scelta,agli studi classici di questi giovani italiani di domani siala forma più solida e bella di integrazione.Basta leggere i longobardi Paolo Diacono e Liutprando daCremona, l’Antapodosis del quale è da poco accessibilenell’edizione accuratissima della Fondazione LorenzoValla: il primo, perfettamente integrato nella nuova Eu-ropa carolingia, tesse alla corte del vincitore il mito del-l’antica grandezza del proprio popolo; fiero senza distin-zioni di essere longobardo e italiano, il secondo scrive inun buon latino ma, quando la parola giusta tarda a venir-gli in mente, usa il greco, appreso nella sua esperienza diambasciatore a Bisanzio (oppure Scoto Eriugena, cioè«nato in Irlanda», un altro geniale extracomunitario, ri-spetto all’antica ecumene greco-latina, che scrive in latinoe ha una buona conoscenza del greco, ora in corso di com-pletamento nella medesima collana della FondazioneValla).All’inizio dell’anno scolastico, quando molti studenti nonhanno ancora i libri indispensabili per il corso di greco(e/o di italiano), faccio fare esperienza del significato e delvalore del Liceo Classico nella sinergica unità tra le trelingue classiche della civiltà occidentale (alle quali si do-vrà un giorno aggiungere una quarta, l’ebraico) leggendoi primi canti di un libro che tutti di solito hanno in casa,

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PROGRAMMAZIONE

In concreto, questa interdisciplinarità può essere sottoli-neata curando un lessico dei lessici di ciascuna disci-plina (storia, geografia, scienze, matematica, storia del-l’arte, educazione fisica, religione), manoscritto,composto con i vocaboli specifici di origine greco/latina.In tutto è da rivalutare la manualità, per ridurre i guastiprodotti dall’eccesso di digitalizzazione; interdiscipli-narmente con epica, si possono trascrivere i versi piùbelli (l’insegnante detterà la scansione metrica, per faci-litare la memorizzazione, dandone anche le regole es-senziali, che saranno perfezionate in triennio), man manosi incontrano nella lettura dei poemi; anche le frasi piùsentenziose e belle che si incontrano negli eserciziari, ole citazioni, possono essere scritte alla lavagna (o sulgruppo-classe digitale) e poi trascritte su un appositoquadernetto, o gruppo di fogli mobili, con traduzione,commenti e margini per ulteriori aggiunte.Per i compiti a casa, chiedo non solo la traduzione, ma an-che la trascrizione del testo greco e, in diverse gradazioni,l’analisi (all’inizio completa – del periodo, morfologicagreca e logica italiana –, poi solo del periodo, e per sin-gole forme, soprattutto verbali) e in generale chiedo chelo studente sappia rendere ragione della propria tradu-zione.Per le verifiche in classe, quando si è concluso lo studiodel frequenziario, faccio portare due fogli di protocollo edo un testo greco con, in nota, la traduzione dei termininon presenti nel frequenziario e non facilmente intuibilidal contesto; la prima fase richiede l’analisi (completa oparziale) e la traduzione senza vocabolario; poi ciascunotrascrive la sola traduzione sul secondo foglio e consegnail primo, che verrà valutato per l’orale (è possibile ancheestrapolarne un voto orale in grammatica italiana); con-segnato il primo foglio, lo studente pone mano al voca-bolario e completa, controlla, ripulisce la versione (inse-rendo, dov’è opportuno, note esplicative e di commento),sulla quale sarà valutato per lo scritto.Quando insegnavo greco e latino nella medesima classe,assegnavo anche la doppia versione, greca con la tradu-zione latina umanistica o moderna (ma anche al contrario,Eutropio tradotto in greco da Peanio): la versione latinaaveva il compito di facilitare la traduzione dal grecosenza vocabolario, evitando almeno in parte le note; le dif-ferenze tra i due testi latino e greco andavano spiegate innota, e su questo soprattutto si basava la valutazione, di-stinta per le due lingue.Ora quest’ultimo tipo di verifica potrebbe essere utileper risolvere l’ormai grave problema della seconda provaall’Esame di Stato.Si potrebbe assegnare un brano di un prosatore greco‘canonico’, con i dati di riferimento, di lunghezza non ec-

cessiva, ma che sia sufficiente per offrire il destro di uncommento, accompagnandolo con la versione latina, uma-nistica o di quei grandi eruditi tedeschi che han tradottoin latino praticamente tutta la prosa greca, frammenticompresi; la consegna per lo studente sarà la traduzionein italiano del testo greco, ma commentata anche attin-gendo, criticamente, alla versione latina, giustificandocomunque ogni scelta con l’ausilio delle conoscenzegrammaticali, retoriche e storico-letterarie, come se sidovesse tenere una lezione sull’autore a partire da quel de-terminato testo; la prova sarebbe così pienamente inter-disciplinare, greca e latina (e italiana, perché richiede lacompetenza nel linguaggio tecnico dell’italianistica),mentre le pure competenze di traduzione veloce possonosempre essere verificate nell’ambito della prova orale; unasiffatta prova scritta potrebbe comprendere anche l’uso diinternet, nel qual caso andranno dichiarate le fonti dallequali si attinge; si potrebbe anche studiare una provacontrastiva, con la disponibilità di diverse versioni in ita-liano e in inglese, nelle quali però possono essere presentianche errori (come spesso accade su internet e, purtroppo,anche nei testi scolastici), e alla prova si aggiungerebbela caccia all’errore, seguita dalla spiegazione e corre-zione del medesimo.A conclusione di questi miei suggerimenti segnalo cheesempi concreti e informazioni incomparabilmente piùricche si possono attingere dai Programmi Triennali del-l’Offerta Formativa dei singoli licei (in particolare ri-chiamo l’attenzione sul radicale rinnovamento nella tra-dizione attuato dal Liceo Classico «Giuseppe Parini» diMilano, e dal Liceo Classico di Alta Formazione di Mi-rabella Eclano, in provincia di Avellino), nonché dalle retinazionali del Progetto DLC (Didattica Lingue Classi-che), guidata dal liceo Paleòcapa di Rovigo, con una qua-rantina di licei e ben 8 università, e della «Notte dei Li-cei Classici», lanciata dal liceo «Gulli e Pennisi» diAcireale ed estesasi, quest’anno, a 237 Classici, o dallarete regionale dei «Classici contro», che raccoglie più di30 Licei Classici del Triveneto: tutte realtà presenti al con-vegno «Il Liceo Classico del futuro» che lasciano ben spe-rare già nel presente.

Mino Morandini

Docente di scuola secondaria

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PROGRAMMAZIONE

Da quando la presenza del latino nel quadro orariodel liceo scientifico è stata drasticamente ridottae il liceo scientifico di ordinamento deve con-

frontarsi con la concorrenza del curriculum delle scienzeapplicate1, ogni proposta di programmazione diventa an-zitutto un’apologia.Chi valuta se intraprendere un percorso liceale con il la-tino (o, a maggior ragione, chi sceglie il liceo classico) do-vrebbe partire da una semplice considerazione: è utileavere nel proprio curriculum una disciplina che permettedi acquisire strumenti per orientarsi nella complessità deiproblemi e delle relazioni, e qualunque disciplina cooperia migliorare le conoscenze linguistiche è per sua naturaproduttrice anche di abilità cognitive e competenze2. La presenza delle lingue classiche in generale, e del latinoin particolare, nei programmi scolastici è sempre stataconnessa a obiettivi elevatissimi in termini di conoscenzee competenze. Tale connessione ha assunto a volte, nel-l’immaginario collettivo, la forma di metafore tanto alti-sonanti quanto astratte (il latino che “apre la mente”), ge-nerando come reazione un rifiuto altrettanto irrazionale(“il latino non serve a niente”). Il risultato di questa ste-rile contrapposizione è che si fatica, fuori dalla cerchia de-gli specialisti, a far comprendere l’elevatissimo grado diapplicabilità che caratterizza le abilità cognitive acquisi-bili con lo studio delle lingue classiche. Di conseguenza,l’insegnante di latino nel liceo scientifico si trova davantiun’utenza che, quando c’è, in misura maggiore o minoreè sempre recalcitrante, più di quanto accada con qualsiasialtra materia. Tutto ciò provoca un circolo vizioso: gli stu-denti che scelgono il latino diminuiscono, spesso nonsono intimamente convinti della scelta, studiano malvo-lentieri e senza costrutto, con effetti negativi a cascata.

Lavorare sulla motivazionePer uscire da questa situazione di svantaggio è quindi ne-cessario un capillare lavoro sulla motivazione. Bisognaavere la pazienza di spiegare a ogni passo, nel modo piùesplicito possibile, il rapporto tra l’acquisizione delle co-noscenze e la possibilità di sviluppare, da esse, abilità co-gnitive e competenze. Il latino, infatti, come qualsiasi al-

tra disciplina, non serve a chi non lo studia attivamente,per l’evidente assunto che in assenza di conoscenze nonsi attivano le abilità. Non mi riferisco, sia chiaro, al saperespecialistico, ma al livello di conoscenza raggiungibile at-traverso lo studio scolastico. A questa frattura tra chi propone l’apprendimento del la-tino e la platea, reale o potenziale, degli studenti si ag-giunge un altro dilemma: insegniamo il latino perchépermette l’accesso a un patrimonio di cultura e di bellezzache è, in se stesso, formativo, o lo insegniamo perché con-sente l’acquisizione di abilità cognitive e competenze?Ferma restando la convinzione che lo studio del latino incondizioni ideali produrrebbe entrambi i risultati, credoormai inevitabile che l’insegnante di liceo scientificodebba rassegnarsi almeno inizialmente3 alla seconda pro-spettiva, pur mantenendo viva la speranza di un parzialerecupero della prima, specialmente attraverso lo studiodella letteratura, negli ultimi tre anni.

L’individuazione degli obiettivi didatticiDiventa perciò essenziale individuare gli obiettivi checonsentano di valorizzare lo studio del latino, soprattuttonel primo biennio, in quanto promotore di abilità cogni-

Latino Liceo scientificoCostantino Moro

1. Condivisibili (e verificabili in molti licei scientifici) le osservazioni a questoproposito di Roberta Salone, “Latino, Liceo scientifico, linguistico, delle scienzeumane”, in Nuova Secondaria, XXXII, 1 (2014), pp. 56-59.2. Per la definizione di “abilità cognitiva” e “competenza” si fa riferimento alQuadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente, p. 11, Alle-gato 1. Chi scrive non condivide necessariamente tali definizioni: ciò che si vuolesottolineare è la contraddizione di un sistema che da un lato si pone degli obiet-tivi e dall’altro pretende di gettare via uno strumento funzionale a essi.3. A maggior ragione il discorso vale per il liceo delle scienze umane e lingui-stico, in cui l’orario è ulteriormente ridotto.

H.H. Ørberg,

Lingua latina

per se illustrata,

1955.

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PROGRAMMAZIONE

tive e competenze, insistendo costantemente sul fatto cheesso consente:a) un miglioramento dell’abilità lessicale, da intendersinon soltanto come riconoscimento di un maggior numerodi significanti (conoscenza), ma anche come affinamentodella capacità di inferire i significati ancora sconosciutipartendo dai semantemi riconoscibili e dal contesto inqualunque lingua abbia radici comuni con il latino o ne

sia stata influenzata (quindi anche l’inglese);b) una più profonda comprensione delle strutture sintattiche(nel significato più ampio dell’aggettivo, applicabile quindianche alla matematica e all’informatica), che, dall’ambitostrettamente linguistico, può essere trasferita in qualunqueambito preveda la capacità di connettere logicamente glielementi necessari alla risoluzione di un problema;c) un’abitudine alla precisione, lessicale e sintattica, gra-zie all’esercizio di decodificazione e ricodificazione di unmessaggio linguistico proveniente da una cultura lontananel tempo;d) l’acquisizione di una disinvolta confidenza con il les-sico e la sintassi altamente formalizzati della ricercascientifica, della saggistica culturale, dell’argomenta-zione giornalistica, in larga parte mutuati dal latino, nonsoltanto nella lingua italiana e nelle lingue neolatine4.

Quale strategia: metodo induttivo oimpostazione analitica?Come si può facilmente verificare, tutto ciò è specifica-mente previsto dal Profilo Educativo, Culturale e Pro-

fessionale dello studente liceale5: è evidente, dunque,una macroscopica contraddizione tra gli obiettivi di taleprofilo e la riduzione ai minimi termini, se non addirittural’eliminazione, del latino dal liceo scientifico. Quali strategie possono essere attuate, allora, per insisterecon efficacia sui punti di forza sopra elencati, produ-cendo possibilmente un ritorno virtuoso, sia nell’appren-dimento del latino, sia nell’acquisizione di abilità cogni-tive e competenze? Anzitutto, l’obiettivo primario di potenziare abilità ecompetenze è indipendente dal metodo adottato, come hopotuto sperimentare insegnando in due classi parallele delbiennio: in una con il metodo induttivo (Ørberg), nell’al-tra con una delle più diffuse grammatiche di impostazioneanalitica6.Ho già avuto modo di sostenere che il metodo Ørberg of-fre allo studente cospicui vantaggi in termini di motiva-zione e di gratificazione, proprio perché recepisce alcunecaratteristiche dell’insegnamento delle lingue moderne(immersione immediata nella lingua, presenza del conte-sto, introduzione delle nozioni nuove a partire da ciò cheè già noto7). Ma questo vantaggio iniziale è presto dissi-

pato se lo studente non lavora con costanza: in breve nonci sarà differenza di risultati (negativi) tra lo studentepassivo della classe che applica il metodo analitico e lostudente passivo della classe che applica il metodo Ør-berg. In un caso e nell’altro l’insegnante è chiamato allo sforzocontinuo di risvegliare la curiosità per il linguaggio:l’obiettivo sarà attivare la consapevolezza linguistica,spiegando i meccanismi di formazione delle parole, la lorostoria, l’origine dei significati e delle relazioni sintattichepartendo da ciò che gli studenti già sanno o credono di sa-pere (il loro patrimonio lessicale italiano è spesso ap-prossimativo, oltre che esiguo). Non si tratta di infliggerealla classe dettagliate lezioni di linguistica storica o com-parata, ma di partire dal latino che si incontra nei testi perspiegare quanto latino, e come e perché, sia ancora pre-sente nel lessico, non soltanto italiano, di oggi; qualistrutture sintattiche siano sovrapponibili, quali no, qualisoltanto in parte, e perché8.I quattro obiettivi sopra elencati possono dunque tradursiin linee d’azione che ciascun insegnante può strutturarecome ritiene opportuno, in relazione al metodo che vuoleadottare (o che si trova a dover seguire), alla composi-zione e al livello della classe, alla risposta degli studenti.

Qualche esempio concretoSenza pretesa di originalità, ecco qualche spunto trattodall’esperienza di questi ultimi due anni.a) Un esempio tra i tanti di come si possa lavorare sul les-sico con il metodo Ørberg. Nel capitolo XXVII di Fami-

lia romana, alla riga 11 si incontra la frase Agricola est vir

cuius negotium est agros colere. Il sostantivo colonus, checompare alla riga 70, è chiosato in margine con la nota co-

lonus -i < colere. Alla riga 71 e ss. il testo aggiunge cheColonus est agricola qui non suos, sed alienos agros …

colit.L’agricola e il colonus svolgono dunque la medesima at-tività, ma in condizioni diverse. Il docente dovrà indiriz-zare l’attenzione degli studenti su questi dati, che altri-

4. Cfr., a questo proposito, P. Magnaghi-Delfino, T. Norando, “ La scrittura scien-tifica”, in Nuova Secondaria, XXXII, 9 (2015), pp. 77-82 (in part. pp. 77-78) eEaed., “La scrittura scientifica: come preparare una presentazione orale (2)”, inNuova Secondaria, XXXIII, 3 (2015), pp. 76-78.5. Allegato A al Regolamento recante revisione dell’assetto ordinamentale, or-

ganizzativo e didattico dei licei ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto

legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, pp.1-4, 10-12.6. N. Flocchini, P. Guidotti Bacci, M. Moscio, M. Sampietro, P. Lamagna, Lin-

gua e cultura latina, edizione gialla, Bompiani, Milano 2014.7. Cfr. C. Moro, “Latino - Liceo scientifico”, in Nuova Secondaria, XXXIII, 1(2015), pp. 69-72.8. Cfr. Flocchini et al., Lingua e cultura, cit.: la rubrica Zoom sul lessico offreun valido esempio di questo tipo di procedimento.

menti rimarrebbero, per così dire, inattivi. Potrà sottoli-neare, per esempio, il fatto che il semantema col- apparecome secondo elemento nel composto agricola, comeradicale in colo, colonus, dando vita a due linee di di-scendenza nelle quali incontriamo, da un lato, parolecome “cavernicolo” o “regnicolo” (che sopravvive finoallo Statuto Albertino), dall’altro parole come “coltiva-zione”, “culto” e “cultura”. L’obiettivo di questa spiegazione, tuttavia, non sarà chelo studente memorizzi la nozione, ma che diventi consa-pevole dell’esistenza di tali meccanismi, acquisendo cosìun’abilità cognitiva.Ugualmente, la spiegazione del perfetto latino ad alter-nanza vocalica radicale non avrà soltanto la funzione difar ricordare che il perfetto di ăgo è ēgi, o che c’è diffe-renza tra vĕnit e vēnit. Lo studente al quale è stata spie-gata l’origine di questo fenomeno capirà (se ha ascoltato!)perché in inglese esistono sequenze verbali comesing/sang/sung (e il sostantivo song) o shrink/shrank/

shrunk: la comprensione del meccanismo linguistico sal-verà un dato dall’astrattezza, che ne renderebbe più dif-ficile la memorizzazione. b) Il rigore del latino nell’uso dei connettivi logico-sin-tattici, coordinanti o subordinanti, e nella consecutio tem-

porum consente di lavorare sul contenimento di due pro-blemi che si riscontrano frequentemente nell’italianoscritto degli studenti del biennio: l’uso scorretto dei con-nettivi logico-sintattici (per meglio dire, il mancato uso diessi, per lo più sostituiti dall’onnipresente e spesso su-perfluo “infatti”9); l’uso scorretto dei tempi verbali, do-vuto all’incapacità di distinguere i piani temporali neiquali le varie azioni hanno luogo10.Nel primo caso potrà essere utile insistere, con dovizia diesempi, sulle congiunzioni e sugli avverbi, la cui correttatraduzione rischia di essere trascurata, soprattutto nellafase iniziale dell’apprendimento. La confidenza con strut-ture come non modo … sed (verum) etiam, o quidem …

verum (tamen) 11, o con il fatto che il latino, molto più del-l’italiano, attribuisce significato positivo alla doppia ne-gazione e tende a spostare la negazione sulla congiunzioneinvece che sul pronome (nec quisquam invece che et

nemo) dovrebbe, a medio o lungo termine, rafforzare unasensibilità alla struttura linguistica che si traduce nonsoltanto in una maggiore disinvoltura espositiva e argo-mentativa, ma anche (attraverso il passaggio dal mo-mento della comprensione a quello della traduzione) inuna crescente confidenza con il meccanismo che dal-l’ipotesi conduce, attraverso la verifica, alla soluzione diun problema, poiché lo studente si esercita ad analizzaregli elementi a disposizione per ottenere un risultato disenso compiuto.

Lo stesso effetto dovrebbe produrre l’insistenza sulla ne-cessità di esprimere con chiarezza i rapporti di anterioritàe posteriorità, normalmente trascurati nelle esposizioninarrative degli studenti: la precisione nella traduzionedel piuccheperfetto, del futuro anteriore, della consecutio

temporum del congiuntivo attiva un’abitudine alla rifles-sione metalinguistica che contribuisce a sviluppare nellostudente l’attenzione al processo del ragionamento:quando l’attenzione è in grado di spostarsi dal risultato alprocesso abbiamo ottenuto l’attivazione di una abilitàcognitiva.c) Come ognuno sa, i “falsi amici” tra il latino e l’italianosono frequenti e insidiosi. Gli autori di grammatiche ana-litiche non mancano di insistere su questo punto12, ma taleinsistenza dovrà essere costantemente sostenuta dallavoce dell’insegnante. A volte, accanto alla spiegazione, ilracconto di una delle tante traduzioni strampalate chequalunque docente ha incontrato nella propria esperienzapotrà essere utile a ricordare la necessità di una costanteattenzione. L’abitudine alla corretta traduzione dal latinoall’italiano apre la strada alla consapevole gestione dellostrumento linguistico, cioè, anche in questo caso, all’ac-quisizione di una abilità cognitiva.d) Il fine di questo paziente lavoro di scavo nel lessico enella sintassi condotto attraverso lo studio del latino ècondurre lo studente a saper comprendere e produrre consuccesso testi complessi dal punto di vista logico-sintattico,ed estremamente formalizzati dal punto di vista lessicale.Capita, purtroppo, non soltanto nel liceo scientifico, chequalcuno confonda tutto ciò con una specie di educazioneal parlar forbito, all’elegante dir nulla. È, al contrario,un’educazione alla sintesi e alla precisione: l’insegnante dilatino deve fare in modo che ciò sia evidente per tutti.È necessario, quindi, che l’insegnamento del latino sia im-postato in modo che gli studenti possano essere consape-voli, in ogni momento, che la loro fatica ha come fine l’ac-quisizione di strumenti necessari a comprendere ecomunicare efficacemente.

Costantino Moro

Liceo scientifico N. Copernico, Brescia

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9. Cito un esempio qualsiasi tra gli innumerevoli che mi accade di incontrare:«Robin vide una cosa che lo fece rabbrividire: un bambino dava da mangiare aun cane randagio. Questa scena infatti lo scosse molto».10. Aggiungerei come terzo, ma non in ordine di importanza, la progressiva spa-rizione dei pronomi relativi, fagocitati dall’avverbio dove. Un esempio scelto daun’ampia casistica: «(…) come succede con le telefonate dove si spende moltodenaro per pochi minuti di chiamata».11. La struttura correlativa “è vero che … ma …”, utilissima nell’argomentazioneper confutare o indebolire una possibile obiezione, è quasi sconosciuta agli stu-denti di prima/seconda superiore e spesso non è utilizzata correttamente.12. Cfr. ancora Flocchini et al., Lingua e cultura, cit., la rubrica I falsi amici.

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Come può insegnare oggi un docente di scuola su-periore una filosofia che non sia “soltanto” unastoria della filosofia1? Un problema forse di tutte

le humanities, ma in particolare in quel tipo di humanities

con una aspirazione alla universalità che è proprio la fi-losofia. Il problema, non comune per la storia dellascienza che è assai più semplice scindere dalla scienza inquanto tale, è che in filosofia non è infrequente che un au-tore importante per taluni possa essere considerato unciarlatano da altri, e/o addirittura ignorato dai più. Il cheè indicativo del fatto che, almeno in parte per delle ca-ratteristiche intrinseche, la filosofia, spesso indicata comeun “discorso sull’universale”, è in realtà molto legata a pe-culiarità nazionali o addirittura locali. Il che, a ben pen-sarci, non ha nulla di sorprendente, per un prodotto tipi-camente europeo, anzi, europeo-occidentale. La domandainiziale, dunque, già cambia: è una filosofia italiana quellache i docenti italiani si trovano a dover insegnare? Resta“all’italiana” anche quando è di Hegel che ci si sta occu-pando?

La prevalenza degli esempi stranieri: la filosofia continentaleL’Italia, come paese fortemente importatore di esempistranieri: pensiamo proprio alla filosofia degli ultimi tren-t’anni. Abbiamo avuto a lungo un prevalere della filoso-fia tedesca, che era ancora pienamente vigente sino allafine del secolo scorso. E in questo contesto si sviluppaval’idea che il tedesco fosse una specie di lingua magicadella filosofia. Heidegger aveva detto che dei suoi allievifrancesi sostenevano che per pensare filosoficamente do-vevano farlo in tedesco, e si direbbe che lo avessero presoin parola (è il caso di dirlo) soprattutto in Italia. Ogni pa-rola cruciale era in tedesco, e talvolta il filosofo italianosi comportava nei confronti del filosofo tedesco come uncollaborazionista, come uno Hiwi sul fronte russo, desi-

deroso di compiacere il padrone, o come un milite dellebrigate nere preoccupato del potente alleato. Ricordo unillustre storico della filosofia che, se un convegno non riu-sciva bene, era solito commentare: «Per fortuna che nonc’erano i colleghi tedeschi». I quali colleghi tedeschi, però, nel frattempo, si stavanoorientando verso altri lidi, secondo due specificazionifondamentali in cui il germanocentrismo aveva ampia-mente fatto il suo tempo. Da una parte, la filosofia anali-tica di matrice anglosassone (seguendo una via aperta pre-cocemente da Habermas e da Apel), dall’altra ilpost-strutturalismo francese, specialmente per studiosidi formazione letteraria e comparatistica (in taluni casi, siavranno casi di transizione, come a esempio ManfredFrank, che inizia come post-strutturalista francofilo edevolve in posizioni più vicine alla filosofia analitica).

Filosofia

Insegnare la filosofiaglobalizzataLeonardo Caffo, Maurizio Ferraris

1. Parte di questo articolo è già apparso, con diversi scopi ed è qui rielaboratain modo importante, in M. Ferraris, Filosofia Globalizzata, a cura di L. Caffo,Mimesis, Milano 2014.

J. Habermas (1929-).

Il nuovo corso: la filosofia analiticaDi questo ci si accorse anche in Italia. Ed ebbe luogo losbarco della filosofia analitica anche da noi, come feno-meno diffuso e non solo di élite, cioè diversamente daquanto era avvenuto nei primissimi tempi, l’inizio deglianni Settanta in cui, in uno scenario a larghissima preva-lenza continentale, apparvero i primi analitici in settorimarginali, come la filosofia della scienza o la filosofia dellinguaggio. Quello che successe nell’ultimo decennio delsecolo scorso, però, non è semplicemente che gli analiticioccuparono uno spazio nelle università. Avvenne ancheche i continentali scoprirono di essere continentali, ossiache la loro filosofia non era l’unica, ma anzi costituiva unafrazione di un mondo più ampio. Una frazione forse su-perata, e probabilmente con il tempo destinata a diventareminoritaria. Nella trasformazione in corso, che si può si-tuare nella svolta del secolo, credo si possano riconosceretre tipi di problemi: linguistici, accademici (e scolastici,in seconda battuta) e mediatici. Esaminiamoli senzatroppo ottimismo prima di arrivare a una conclusionenon necessariamente sconfortata: se la scuola deve tra-smettere il senso di una disciplina, quando proprio una di-sciplina si trasforma che senso può trasmetterne?

Questioni linguisticheI problemi linguistici sembrano marginali, ma sono la spiadi tutto. Non ci vuole molto a capire che la lingua contanelle scienze umane più che in altri campi, e questo nonper un elemento estrinseco, ma proprio per la definizionedegli studi umanistici nella loro storia. Ovviamente si pos-sono scrivere dei saggi trasandati e con un linguaggio tra-ballante, ma è meglio di no. Nell’epoca dell’invasione del-l’inglese anche nelle nostre scuole è un bene riflettereattentamente su alcune conseguenze. Innanzitutto come equali autori selezionare? Abitua più a pensare la filosofiaanalitica o quella continentale? Si tratta innanzitutto diprevenire dei luoghi comuni. Quello che vorrebbe che glianalitici siano chiari e i continentali oscuri, e quello chevorrebbe che gli analitici mirino alle cose mentre i con-tinentali mirino alle parole e alla scrittura (come sugge-riva Rorty, peraltro sostenendo di preferire i continentali).Ci sono dei filosofi analitici oscurissimi (per esempio Sel-lars) e dei filosofi continentali chiarissimi (per esempioGianni Vattimo). E quanto al giocare con le parole, si puògiocare in entrambi i casi, solo con retoriche diverse, peresempio mettendo in formula espressioni che si possonotranquillamente esprimere in linguaggio ordinario, conuna pratica che non ha in sé nulla di diverso dal fare gio-chi di parole o etimologie (che sono le bad practices

rimproverate ai continentali che spesso terrorizzano i ra-gazzi molto giovani che decidono, forse non a caso, di de-

dicarsi ad altro). Dunque, lo stile non è estrinseco al suc-cesso e al prestigio di una teoria, né alla sua didattica o di-vulgazione; quindi una debolezza nello stile, o uno svan-taggio espressivo, è anche uno svantaggio per la teoria. Neabbiamo una prova nel fatto che siano stati attribuiti deipremi Nobel per la letteratura a filosofi: Bergson, Russell,Camus (e Sartre che lo rifiutò). Almeno tre su quattroerano filosofi di prima grandezza e, in particolare, i primidue non si esercitarono mai nella narrativa, dunque rice-vettero il premio per i puri valori dello stile.Talvolta si obietta che era così anche quando il latino erala lingua della scienza, ma l’analogia è fuorviante. Perchéquando, nelle università medioevali, si parlava in latino,non c’erano più gli antichi romani, per i quali il latino erauna madrelingua. C’erano persone che parlavano dei vol-gari neolatini e persone che parlavano lingue germaniche(e i primi erano relativamente avvantaggiati). Nel casodell’inglese, invece, abbiamo degli inglesi, degli statuni-tensi, dei canadesi, degli australiani, dei neozelandesi cheparlano l’inglese come madre lingua, e il resto del mondoche la parla come si parlava il latino nel Medioevo (ol-tretutto con una conversione relativamente recente. Nonmolto tempo fa a scuola si studiava il francese e l’ingleseera lingua complementare). Ovviamente, per i più giovanile cose vanno diversamente, ma di qui ad annullare il van-taggio dei madrelingua ne corre, anche per la specificitàdell’inglese, una lingua che, diversamente dal tedesco odal francese, è poco grammaticale. Sembra che gli unicidue stranieri che sono diventati maestri di stile in inglesesiano Conrad e Nabokov. Anche a non avere delle attesecosì elevate, non è difficile capire la dimensione dellosvantaggio per i non madrelingua. A molto parziale con-solazione resta l’esperienza simmetrica, quella dei ma-drelingua che si trovano a leggere, sulle loro riviste spe-cialistiche, dei testi scritti in para-inglese, con illinguaggio che noi italiani troviamo nelle istruzioni degliaspirapolvere. Ma è davvero una consolazione? E, quandopure lo fosse, sarebbe una consolazione ben mediocre, chenon toglierebbe il fatto che sotto questo profilo uno stu-dioso di humanities nato fuori del mondo anglosassone ètendenzialmente il figlio di un dio minore. Come si pre-parano dunque dei futuri filosofi, già dalle scuole, attra-verso una filosofia che più che italiana, parla italiano, magià dimentica ogni sua possibile specificità?

Problemi accademiciEcco che arriviamo a un secondo ordine di problemi, piùspecificamente accademici. Dove abbiamo a che fare conl’azione congiunta di un declino dell’università ma anche,ammettiamolo, della formazione secondaria in generale inEuropa, e specificamente in Italia, e di una crescente

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adozione di criteri di classificazione, di rating e di ran-

king, basati sul modello anglosassone. Con l’idea che lecase editrici, le scuole, e le riviste migliori siano tutte lì,e che noi ce ne stiamo qui a guardare quel mondo incan-tato, da cui siamo esclusi. Un problema senza paragoni nelpassato che la nostra scuola si trova ad affrontare, che è,senza mezzi termini, un problema filosofico.Si obietta che adesso abbiamo anche noi delle riviste eu-ropee, o delle scuole che provano a insegnare l’europeismo(qualsiasi cosa sia). Per non parlare delle riviste nazionaliscritte in inglese, come in Portogallo e in Spagna e in Mes-sico. Certo, si tratta di essere ottimisti, ma anche viene dapiangere. Perché immaginare un filosofo americano che simette a leggere una rivista scritta in Portogallo, e proba-bilmente in un inglese non ineccepibile, è una situazioneper il momento (come vedremo alla fine, le cose potreb-bero cambiare) molto strana, mentre non abbiamo nessunadifficoltà a immaginare un medico americano che lo fa, vi-sto che, appunto, si confronta con temi mondiali e con sco-perte che possono avvenire dappertutto. Mentre nel casodella filosofia molto conta chi definisce l’agenda dei temida trattare, e questo costituisce un vantaggio in sé, anchea prescindere dal privilegio linguistico di cui si diceva.Mentre le filosofie di lingua inglese prendevano questovantaggio, le humanities nel continente si avviavano versoil declino, sino al caso del suicidio a cui si è assistito nellariforma universitaria e scolastica in Italia, disastrosa spe-cificamente nel caso dei saperi umanistici. Dove si è ve-rificato l’abbassamento radicale del livello dell’istruzionesecondaria (in cui l’Italia aveva un vantaggio notevole,che doveva essenzialmente alla riforma fatta da un filo-sofo, Giovanni Gentile) e con la successiva azione sul-l’università, che ha sofferto negli ultimi quindici anniper un grave errore culturale: l’idea che le facoltà uma-nistiche dovessero essere professionalizzanti, e che do-vessero riferirsi immediatamente al presente. Ma il sensodella cultura umanistica, quello che la rende importante,e apprezzata anche sul mercato del lavoro, sta proprio nelnon essere immediatamente professionalizzante (ciò chedel resto è di dubbia utilità quando molte professionicambiano continuamente), e nel saper gettare un ponte trail passato e il presente. Chi è familiare con Socrate, Pla-tone, Aristotele potrà fare cose intelligenti anche conPippo, Pluto e Paperino, ma l’inverso non si dà (e questosarebbe, già di per sé, un insegnamento non banale da tra-smettere ai ragazzi).

Filosofia continentale e filosofia analiticaFin qui l’argomento che attiene alle humanities in gene-rale. Per ciò che attiene alla filosofia in particolare, vistoche il vantaggio degli italiani rispetto agli stranieri con-

sisteva proprio in una maggiore formazione umanistica,si è perso il vantaggio senza avere in contraccambioniente. Non è interessante concentrarsi su questo punto2

perché vorremmo tentare ora una considerazione sui ca-ratteri propri della filosofia continentale e analitica fon-damentale anche per il “tipo” di filosofia che bisogneràtentare di insegnare in futuro. Una distinzione, insieme,evidente e difficile da motivare sino in fondo, come i di-battiti degli ultimi anni hanno ampiamente dimostrato.A nostro avviso, la distinzione tra analitici e continentaliè essenzialmente una differenza tra pubblici della filoso-fia. Difficilmente troverete un filosofo continentale in-tento a spaccare il capello in quattro in un seminario di ri-cerca, e altrettanto difficilmente troverete un filosofoanalitico intento a parlare di grandi temi in un festival fi-losofico, dove la stragrande maggioranza degli oratori èdi formazione continentale, più un certo numero di scien-ziati, psicoterapeuti e religiosi. Questo non dice ancoranulla su una eventuale superiorità degli analitici o dei con-tinentali, non più di quanto la constatazione della diver-sità dei pubblici di Boulez e dei Beatles possa essereconsiderata un punto a favore dell’uno o degli altri. Ab-biamo semplicemente a che fare con delle circostanze sto-riche di cui tuttavia è necessario tenere conto.Perché gli analitici, espressione del sistema universitarioanglo-americano, di college raramente urbani e legatialla tradizione universitaria medioevale, costituisconouna comunità coesa e un po’ monastica, dove le personedialogano tra loro con regole precise e a partire da un certonumero di argomenti che cambiano col tempo ma sonoquelli all’ordine del giorno. Da questo punto di vista, latradizione analitica non ha molto a che fare con i media

(sui giornali si parla pochissimo di filosofi, gli americanisono sempre stupiti di come sono trattati da noi, peresempio), ma è un media in se stesso, con una discreta ri-levanza pubblica e soprattutto con una netta predomi-nanza rispetto ai continentali per quanto riguarda il pre-stigio accademico. Anzi, questa rilevanza rischia di esserecrescente nel momento in cui le grandi università ameri-cane diffondono i loro tutorial attraverso il mondo, tra-sformando di fatto le altre università in Cepu più o menograndi.I continentali, invece, sono eredi piuttosto dei philosophes

dell’Illuminismo (e dei predicatori protestanti), ossia di in-tellettuali molto aperti allo spazio pubblico, e i loro luo-ghi naturali di manifestazione sono i mass media. Daquesto punto di vista, vale la pena di osservare un punto.

2. Si veda M. Ferraris, Una ikea di università, Raffaello Cortina, Milano 2001.

Dummett aveva notato che Frege e Husserl, solitamenteconsiderati come i capostipiti delle due tradizioni di pen-siero, non erano poi così distanti, un po’ come le sorgentidel Reno e del Danubio. Certo, ma che cosa è cambiato,che cosa ha approfondito il divario nei decenni successivi?Che cosa ha fatto sì che a un certo punto le due tradizionisembrassero lontane come le foci del Reno e del Danubio?Essenzialmente, la crescente importanza dei media, chehanno trovato un elemento di attrazione nella filosofia, eche hanno dato spazio ai filosofi, con una ovvia prefe-renza per le formulazioni meno esoteriche (dunque, per lostile che abbiamo riconosciuto come “continentale”), emagari più provocatorie, d’accordo con il principio per cuila notizia è sempre l’uomo che morde un cane, mai l’in-verso. È qui che si è creata la divaricazione tra i filosofianalitici (prevalentemente universitari) e i filosofi conti-nentali (prevalentemente mediatici). Quale delle due fi-losofie dovrebbe arrivare nelle scuole?

Il paradosso delle scienze della comunicazioneCon la infelicissima creazione di corsi di laurea in scienzedella comunicazione e di cui è facilmente prevedibile laprossima scomparsa, dopo che hanno creato così tantidanni, si assisteva alla presa d’atto del fatto che in Italiale università, nel settore umanistico, divenivano definiti-vamente subalterne ai mass media e se volevano soprav-vivere dovevano presentarsi (in modo del tutto illusorio)

come propedeutiche al reclutamento nei mass media. Siè trattato di una resa incondizionata, e all’università nonè stato dato neppure l’onore delle armi, del resto a ragione,visto che non c’era stato alcun tentativo di difesa. Si èsemplicemente passati, nel quadro di una università di-ventata di massa, dal riferimento alla storia della filoso-fia, necessario per formare insegnanti secondari, al rife-rimento a una indeterminata nozione di “comunicazione”e di “spazio mediatico”. L’errore non poteva essere piùevidente. Perché mentre la scuola non può che apprezzarei professori, non si vede perché i giornali debbano ap-prezzare delle figure che li scimmiottano. La nostra tesi,tutta da verificare ovviamente, è che le scuole delle nuoveriforme, intente a inseguire mondo digitale e anglofonosenza più attenzione ai contenuti, potrebbero trasformarsiin qualcosa col destino analogo a quello dei corsi di lau-rea in comunicazione appena citati.La storia che abbiamo raccontato sembra tristissima, ecerto tanto allegra non è. Al momento, il panorama dellescuole e delle università (nei confronti della filosofia, manon soltanto) è tutto di rovine, ma sbagliando si impara. Al-meno due elementi. Il primo insegna che non può esistere,da sola, una “filosofia pura”, iper-teoretica e astratta, chepossiamo poi pretendere di far capire a dei ragazzi molti-plicando lo stress delle lezioni di matematica con quelle dilogica filosofica. Non può esistere in una tradizione comequella italiana, che ha smantellato per sempre i propri

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E. Husserl (1859-1938).F.L.G. Frege (1848-1929).

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centri di eccellenza; ma non esiste nemmeno nel mondoanglosassone, dove le esigenze di una filosofia più varia,facile, provocatoria, politica e di immediata gratificazionesono state soddisfatte giusto accanto alla filosofia, neicultural studies, nei dipartimenti di letteratura comparata,e simili. Il secondo elemento è che non può nemmeno esi-stere, da sola, una “filosofia impura”, e non è nemmeno in-teressante, come dimostrano le vicende della filosofiapop, che, praticata esclusivamente, comporta la produzionedi oggetti privi di qualsiasi interesse anche solo latamenteculturale. L’ideale sarebbe quello di una filosofia capacedi ricoprire tutti i ruoli, dalla filosofia pura alla filosofiapop, senza dimenticare l’importanza della conoscenza sto-rica, e della cultura in generale. I ragazzi non possono certocredere che un filosofo sia un giullare che produce afori-smi a comando. È possibile qualcosa del genere? E qualisarebbero le condizioni perché ciò avvenisse?Ritorniamo alla questione della lingua. La diffusione del-l’inglese, di cui abbiamo parlato perché è forse il verotema politicamente rilevante quando parliamo di scuolaoggi, può essere vista in due modi. Come un incontrastatovantaggio della filosofia di lingua inglese, o come un av-vento della globalizzazione. Ecco che crediamo che que-sta seconda ipotesi meriti di essere presa in considera-zione. A Zagabria, nel lontano 1985 in un convegno sulPostmoderno3, si presentava uno scenario quantomeno va-riegato: i serbi parlavano francese, i croati tedesco. Giàvent’anni dopo tutto era cambiato, e si parlava solo in-glese, anche se questo non significava in alcun modo unprimato della filosofia analitica, o anche semplicementedelle filosofie anglo-americane. Dunque, diversamentedalla germanofilia (e in subordine francofilia) precedente,qui abbiamo davvero a che fare con un mondo globaliz-zato. E la domanda che bisognerebbe porsi è se la tradi-zionale contrapposizione analitici/continentali possa an-cora tenere, e se non sia necessario piuttosto introdurre unterzo criterio, quello della filosofia “globalizzata”.

Una terza via: la filosofia globalizzataDi che cosa si tratta? Di filosofia costitutivamente bilin-gue, cioè con produzioni in lingua nazionale e in inglese,come tale oggettivamente più ricca del solo monolingui-smo inglese, o della frammentazione delle sole lingue na-zionali, potrebbe porsi all’incrocio di tre elementi di cuii docenti dovranno necessariamente tenere conto.1. Una competenza scientifica, che nella fattispecie di unadisciplina con forte componente umanistica come la fi-losofia, significa anche una competenza filologica e sto-rica (non si dimentichi che queste competenze sono sem-pre più rare e pregiate, nel quadro del complessivoabbassamento del livello culturale).

2. Una competenza teorica, dove l’elemento analitico (opiù propriamente accademico) fornisce la forma, mentrel’elemento continentale (o più propriamente extra-acca-demico) fornisce i contenuti. Se c’è un ambito in cui ildetto «i concetti senza intuizione sono vuoti, le intui-zioni senza concetti sono cieche» si applica alla perfe-zione è proprio la sfera dei rapporti analitico-continentali. 3. Una pertinenza pubblica. Le persone sono disposte adaccettare un linguaggio tecnico o addirittura incompren-sibile se la contropartita è la cura del cancro. Ma questonon è ciò che può offrire la filosofia, e bisogna capirlo dagiovani e prima di intraprendere una avventata carriera ac-cademica filosofica. Dunque, fa intrinsecamente, e nonaccidentalmente, parte della filosofia la capacità di rivol-gersi a uno spazio pubblico, consegnando a quello spaziorisultati elaborati tecnicamente, ma in forma linguistica-mente accessibile.Forse siamo in vista di una sintesi, dopo molti conflitticulturali e scontri di civiltà che hanno caratterizzato l’in-contro fra ambienti filosofici diversi nel secolo scorso (sututti, basterà considerare le vicende della decostruzione inAmerica). In una lingua che sarà l’inglese, o qualcosa delgenere, circoleranno dei contenuti fortemente ibridati(analitici, continentali, di scienze cognitive, di storia dellafilosofia). Con ogni probabilità ciò che chiamiamo, conquello che – ripeto – è una terminologia radicalmente ina-deguata, “filosofia analitica”, avrà una prevalenza acca-demica (ossia tendenzialmente imporrà dei formati di va-lutazione e di ranking, come in effetti sta già avvenendo),mentre la “filosofia continentale” avrà una prevalenzapubblica e scolastica. Ma non è affatto detto che questedue anime non potranno convivere nella stessa persona,o quantomeno nella stessa università: se tutto funzioneràcome si deve, e se la nuova manualistica comincerà a ra-gionar di conseguenza, questo progetto di integrazioneconcettuale comincerà già dalle scuole. Se questa circo-stanza dovesse realizzarsi, come speriamo, si sarebbeforse superata la spesso abusata questione della rilevanzadella filosofia nella formazione secondaria. E forse, fi-nalmente, non si darà più il caso del filosofo X conside-rato un genio da certi e un imbecille da certi altri e – ap-parendo improbabile che il filosofo X possa essereconsiderato un genio da tutti – si perverrà almeno a uncerto grado di consenso per cui il filosofo X sarà consi-derato quasi universalmente un imbecille.

Leonardo Caffo, Maurizio Ferraris

Università di Torino

3. Un ricordo reale di Ferraris.

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Ideato per essere proposto in una terza liceale, questopercorso intende far riflettere i discenti sul valore dellogos e sui suoi potenti mezzi seduttivi e comunica-

tivi. La parola è infatti il significante di cui si sostanziatutta la produzione letteraria e per mezzo del qualel’Uomo non solo trasmette e comunica il suo pensiero, madi volta in volta aspira ad arrivare a più elevate mete: conil logos l’uomo crea arte, sperimenta i mezzi della per-suasione, trova immagini per convincere un pubblico ouna massa, dirige e smuove le coscienze, guida un popoloo penetra nelle pieghe più recondite dell’animo di un in-dividuo. Il percorso proposto, partendo dalla letteraturagreca, presenta una vasta articolazione multidisciplinareche spazia dal latino, all’italiano, alla storia, alla filoso-fia. Nonostante alcuni argomenti riprendano tematiche eprogrammi del quarto anno del liceo, si è preferito dedi-care il percorso ai discenti dell’ultimo anno del classico,non solo per i collegamenti interdisciplinari proposti, maanche per la più completa maturità di ciascun alunno invista del compimento dei suoi studi.

La seduzione del logos

L’Atene del V secolo viene a configurarsi proprio comeuna vera e propria “civiltà della parola”, un microcosmodi straordinario fermento culturale e politico che vede illogos come protagonista indiscusso della vita artistica edemocratica della crescente polis attica. Il percorso in-tende scandagliare tutti i campi della società ateniese incui il logos è protagonista principale della vita culturale.Meta formativa del percorso è, infatti, quella di prenderecoscienza del significato che il logos può assumere nellasocietà umana: paideutico, retorico, politico, propagan-distico, mimetico, evocativo. Si partirà, pertanto, dalla no-vità culturale rappresentata dai Sofisti, coloro che perprimi hanno svincolato il logos da ambiti sovrastrutturali(simposiale, religioso, didascalico, celebrativo) per po-terne sfruttare con matura consapevolezza e illimitataenergia tutti gli aspetti più seduttivi e persuasivi. L’En-

comio di Elena di Gorgia è un vero e proprio inno al po-tere sconfinato del logos, mentre il brano di Platone,tratto dal Gorgia, mette in luce come un oratore possa es-

sere più incisivo di un medico. I Dissoi Logoi mostrano,invece, come l’arte della parola iniziasse già a essere in-castonata in formule manualistiche. Con i Sofisti na-sceva, dunque, una teoria del linguaggio che faceva del-l’eloquenza non più un talento meramente innato, bensìuna techne, cioè una forma di sapere che poteva essere in-segnata e appresa, perché regolata da un insieme di leggie di artifici ben precisi1.

Il logos e l’arte drammaticaLe occasioni per parlare in pubblico nell’Atene del V-IVsecolo erano molte: le assemblee popolari, le feste, i gio-chi, i discorsi funebri. Ma il logos esprimeva i suoi poterievocativi e le sue dirompenti forze persuasive soprattuttonell’arte drammatica, dove la lezione dei Sofisti era statarecepita in maniera massiccia soprattutto da Euripide. Ilbrano della Medea mostra come il logos diventi strumentodi persuasione all’interno del dramma, e non solo nel-l’agone. Il dialogo tra il Discorso Giusto e il Discorso In-giusto rappresenta la summa della grande forza seduttivache il logos esercitava, con piena consapevolezza da parte

Logos: per un percorsointerdisciplinareFjodor Montemurro

1. Scrive Fornero: «L’importanza della parola è una delle grandi scoperte dei So-fisti. Ma essi non si limitarono a celebrarne la potenza, poiché la tematizzaronosul piano filosofico, studiandone i problematici rapporti con la realtà e la verità.Per gli antichi filosofi il linguaggio non costituiva un interrogativo, in quanto essierano spontaneamente indotti a collegare, e quasi a non distinguere, fra la cosareale, il pensiero che la conosce e la parola che l’esprime. Essi ritenevano checiò che vale sul piano logico del pensiero debba valere anche sul piano della re-altà e viceversa. Per cui essere = pensiero = verità. I Sofisti, in virtù della loronuova impostazione, scuotono queste primitive certezze e la realtà dall’altro».

M. Callas e P.P. Pasolini sul set del film Medea, 1969.

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del cittadino, nell’Atene di V secolo; d’altronde anchesul piano linguistico, il linguaggio comico nelle Nuvole di-venta una parodia del linguaggio sofistico e della sua pe-ricolosità. Esso è ricco di polisemie, ovvero di termini dalsignificato doppio e per questo ambigui ed equivoci.

Il percorso disciplinareQuesta centralità della parola appare un dato costante intutti gli aspetti culturali della vita ateniese del V-IV secolo,e di questo se ne è voluto dare un esempio significativoper ogni ambito: nella filosofia, con le categorizzazioni diAristotele e il logos mitico di Platone, nella storiografia,con la grande forza mimetica dei discorsi tucididei, echiaramente nella vita politica. Non essendo il percorsolimitato all’oratoria, non è stato ritenuto fondamentale sof-fermarsi sulle varie caratteristiche dei tre canonici generiretorici (giudiziario, epidittico, politico), ma si è cercatodi evidenziare l’azione persuasiva del logos in rapporto al-l’agire politico e alle circostanze storiche del momento (inquesto senso, il brano della Retorica di Aristotele fungeda introduzione al legame politica-retorica). I brani tratti da Demostene sono stati scelti, infatti, per di-mostrare il profondo legame tra le turbolente vicende po-litiche del IV secolo e l’attività oratoria dell’autore, for-nendo al contempo un saggio mirabile della sua eloquenzaimpetuosa e ispirata da profondo vigore, mentre i passi diIsocrate dall’Aeropagitico (29-49) e del Panatenaico (1-15; 26-34) mettono in luce i caratteri celebrativi che il lo-

gos riesce a richiamare in un momento non facile per lapolis ateniese. Infine, il trattato sul Sublime fornisce un primo esempiodi critica letteraria in cui si passano in rassegna gli stili deipoeti e degli scrittori più antichi per individuare dove e inchi si annidi quella parola sublime definita «eco di unagrande anima».A parte si pongono poi i brani (dall’epica, dall’Ecuba e dalFilottete) dedicati all’artista della parola per antonomasia,ossia Ulisse, con i quali si intende mettere in luce comegià nell’antichità l’eroe itacese fosse considerato un mae-stro di persuasione e seduzione.

I contenuti interdisciplinariLetteratura latina

Il percorso si amplia poi nei contenuti interdisciplinari,che partono chiaramente dalla letteratura latina sino asconfinare nella produzione italiana contemporanea, senzaperdere mai di vista la tematica centrale del percorso: illogos e la sua seduzione.Nell’ambito della letteratura latina verranno presi in con-siderazione passi tratti dal De oratore di Cicerone (I, 6-23), dall’Institutio oratoria di Quintiliano (II, 21, 1-24) e

dal Dialogus de oratoribus di Tacito (XXXVI), non soloper dimostrare l’importanza del genere oratorio nelmondo romano e lo stretto rapporto con l’oratoria greca,ma anche per evidenziare lo stretto legame tra la probitas

dell’oratore e un eventuale uso disonesto delle fascina-zioni del logos.Nelle prime pagine del De oratore, Cicerone definisce conappassionata eloquenza le caratteristiche dell’arte orato-ria e descrive quelle dell’esperto oratore, che deve esseresapiente in tutte le più nobili arti. Il problema della for-mazione culturale e morale dell’oratore è il tema portantedell’opera di Quintiliano, che si propone di indagare lecause della degenerazione dell’oratoria e di porre a esserimedio. Nel passo analizzato, l’autore tratta dei fonda-menti della scuola retorica, dei metodi di insegnamento edi quanto è oggetto della retorica stessa.Infine, viene proposta la lettura di un passo notevolmenteimportante del Dialogus de oratoribus di Tacito, in cuil’autore, attraverso le parole di Materno, uno degli inter-locutori del discorso, sostiene che una grande oratoriaforse era possibile solo con la libertà che regnava altempo della repubblica; essa diviene anacronistica conl’avvento del principato.

Letteratura italiana

Anche nelle altre materie coinvolte nell’interdisciplina-rietà, è stata posta al centro la forza della parola. In Ita-liano, si è scelto di rileggere, alla luce di questa solida con-sapevolezza, alcuni brani dei Promessi Sposi. In tutti ipersonaggi di potere presenti nel romanzo manzonianoemerge evidente un rapporto con il linguaggio deformato

Fra’ Cristoforo e don Rodrigo, scena tratta dal film

I Promessi Sposi di M. Camerini, 1941.

della finzione. Le parole, elaborate, eloquenti, sonore, al-lusive, diventano un mezzo per controllare la realtà: a essesi contrappone la voce chiara e popolare del narratore, cheintende smascherare il vuoto e il pericolo che in quelle sinasconde.Ad Azzecca-Garbugli, un vero giocoliere della parola,spregiudicato e abile nel manovrare le gride, si affianca il Conte zio, che esibisce la sua calcolata artedella parola, presentato dal narratore come un teoricodella dialettica. Le esperienze pascoliane e marinettianeesprimono due diverse possibilità che il logos, gravido diforze ora allusive, ora analogiche, porta allo scopertonella poetica degli autori a cavallo tra ’800 e ’900. Se laparola pascoliana, con il prevalere del nome sul verbo, im-plica la fiducia nel potere rivelatore immediato della pa-rola, nel valore epifanico del nome e del rapporto tra pa-role e cose, la dissacrante parola-libera futurista, con ladistruzione della sintassi e l’abolizione dell’aggettivo,mirava a uccidere la tradizione in nome di una proiezioneassoluta verso la tecnologia, il movimento, la novità pro-vocante e anti-tradizionalista. Una poesia che si collocanella zona oscura di confine che sta a ridosso dell’inco-noscibile e dell’inesprimibile è quella invece di Ungaretti,dove si pone come pilastro il culto della parola, che è ca-ricata al massimo di tensione espressiva. La parola isolatanel bianco tipografico della pagina è la parola carica disenso che il poeta cerca di far uscire dal silenzio della vitaper esprimere l’assoluto. Si esprime così la fiducia nel po-tere della poesia quale rivelazione della verità per mezzodella ricerca sulle parole. La parola assume il valore diun’improvvisa e folgorante illuminazione: essa si identi-fica con l’attimo in cui, attraverso l’immediatezza del rap-porto analogico, la poesia sfiora la totalità e la pienezzadell’essere. La parola viene fatta risuonare nella sua au-tonomia e nella sua purezza o, se si vuole, nella sua in-nocenza, inserita in versi brevi o addirittura isolata fino afarla coincidere con la misura del verso stesso, quasi percollocarla nel vuoto e nel silenzio, oltre ogni rapporto con-tingente con la realtà.

Filosofia

In ambito filosofico, il percorso intende prendere in esamela centralità del logos in un autore come Schopenhauer,per cui «la dialettica è l’arte di disputare, e precisamentel’arte di disputare in modo da ottenere ragione, dunque perfas et nefas» (L’arte di ottenere ragione), per poi accen-nare al ruolo del logos nella filosofia analitica di Witt-genstein e Gadamer in particolare. La lettura dell’anticotesto egizio dei precetti di Ptahhopte (testo sapienzialefatto di consigli e raccomandazioni) servirà da richiamoall’importanza del logos enunciata da Gorgia; il testo

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV74

PROGRAMMAZIONE

CLASSE: III liceo classico

SCREENING DELLA CLASSE

● Composizione: numero degli iscritti, sesso, presenza di alunniripetenti;● Provenienza: residenza in sede, condizione di pendolarità;● Grado di socializzazione: disponibilità alle relazioni sociali e alrispetto reciproco;● Livelli culturali di partenza: documentazione relativa aciascun allievo, votazione e giudizio riportati nel precedente annoscolastico;● Partecipazione: presenza/assenza alle lezioni in classe,partecipazione al dialogo educativo, interazione discente/docente;● Interesse: partecipazione attiva/passiva alle attività svolte inclasse;● Volontà: corretto e costante svolgimento dei compiti a casa;● Disciplina: interrelazione con i compagni, capacità di ascoltaregli interventi e le opinioni altrui;● Verifiche.

FINALITÀ

● Attraverso lo studio degli autori presi in esame riflettere sulvalore della parola come strumento veicolare della formazionedell’individuo, modalità di trasmissione del pensiero e strumentodi persuasione.● Assimilare le strette connessioni tra le molteplici potenzialità dellogos e i contesti sociali e culturali in cui il logos agisceinfluenzandone attività, costumi e schemi di pensiero. ● Prendere coscienza del significato che il logos può assumerenella società umana: paideutico, retorico, politico,propagandistico, mimetico, evocativo.

OBIETTIVI

A breve termine

● Conoscere il pensiero storico e politico degli autori presi inesame e collocare ciascun fenomeno letterario nella sua cornice diriferimento.● Identificare le caratteristiche stilistiche di ciascun autore e ilvalore che il logos assume nei testi studiati.

A medio termine

● Potenziare le capacità traduttive e le conoscenze lessicaliacquisendo consapevolezza dei vari registri linguistici.● Identificare similarità e differenze nell’uso del logos nei varicontesti culturali di riferimento.

A lungo termine

● Acquisire piena consapevolezza delle diverse modalitàespressive con cui il logos diviene strumento potentissimo per ipiù diversi scopi comunicativi.● Osservare i diversi momenti storici e le diverse fasi della culturaantica e moderna che hanno visto il logos protagonista dimutamenti sociali e cambiamenti epocali, in continuità o in rotturacon il passato● Saper elaborare un’interpretazione personale e critica delcontesto storico-culturale in cui il logos agisce.

DURATA: 22 ore

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PROGRAMMAZIONE

SCELTA DEI CONTENUTI (AUTORI E OPERE

Il logos nell’Atene di V-IV secolo

● I Sofisti e la centralità del logos.

Testi: Protagora, frammenti scelti - Gorgia, Encomio di Elena (DK B 11.8-10, 14-15) - Platone, Gorgia XXX - Dissoi Logoi (in traduzione).● Il modello educativo tradizionale a confronto con il modello sofistico: il logos “giusto” e il logos “utile”.Testo: Sofocle, Filottete, 100 ss.● L’eredità sofistica a teatro. Il logos che tenta di sedurre e convincere.Testi: Euripide, Medea vv. XXX - Aristofane, Le Nuvole (l’agone del Discorso Giusto e Ingiusto).● Il logos protagonista della vita politica.Testi: Antifonte, II Tetralogia (passim, in traduzione) - Iperide, Epitafio, (passim) - La “buona” costituzione, Isocrate, Aeropagitico, 29-49(lettura in traduzione italiana) - Una consapevole autobiografia, Isocrate, Panatenaico, 1-15; 26-34 - Ammonimento agli Ateniesi,Demostene, Filippica II, 1-12 - Demostene, Per l’ambasceria corrotta, 259-267 - Aristotele e il logos: i generi oratori e la qualità

dell’elocuzione: Arist. Rhet. III, 12● Logos e filosofia: tra dialettica e mythos.Testo: Aristotele, dalle Confutazioni sofistiche (in traduzione).● Platone e il mito: dove il logos non arriva. Testo: Il mito della caverna (in traduzione).● Logos e storiografia: i discorsi di TucidideTesti: Tucidide, Proemio I 21-23 - Il logos epitafios, II 35 ss. (in traduzione).● Ulisse, eroe del logos.Testi: passim da Iliade e Odissea - Il discorso di Odisseo in Euripide, Ecuba e in Sofocle, Filottete. ● Il logos nella critica letteraria: Sul sublime di Pseudo-Longino.Testo: Le fonti del sublime.

COLLEGAMENTI INTRADISCIPLINARI

Latino

● La connessione dell’oratore vir bonus dicendi peritus.

Testo: Cicerone, De oratore, I, 30-34.● Cicerone VS i Sofisti: Probitas et prudentia

Testo: Cicerone, De oratore, I, 48; 50-54.● L’uso onesto e disonesto del logos: Quintiliano.Testo: Quintiliano, II 21,1-24.● La connessione tra logos e politica: oratoria e res publica Testo: Tacito, Dialogus de Oratoribus, XXXVI.

Italiano

● La parola come esercizio di potere nei Promessi Sposi.Testi: Azzecca-Garbugli - Il conte zio.● Lo sperimentalismo linguistico di Pascoli Testo: L’assiuolo.● La parola libera contro il passatismo: il FuturismoTesto: Marinetti, Bombardamento.● La religione della parola: Ungaretti.

COLLEGAMENTI INTERDISCIPLINARI

Filosofia

● I Sebayt dell’egiziano Ptahhopte.● Schopenhauer e il potere del logos.

Testo: da L’arte di ottenere ragione, passim.● Cenni sulla filosofia analitica (Wittgenstein, Gadamer).

Storia

● Il logos strumento di potere nei totalitarismi del ’900.Testo: George Mosse in La nazionalizzazione delle masse, passim.

Inglese

Testo: Edgar Allan Poe, The Power of Words (1850).

Religione● Il Logos come Dio.Testi: Il Vangelo di Giovanni, incipit - da Filone Alessandrino, Dio è Logos.

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PROGRAMMAZIONE

MODALITÀ DI INTERVENTO

● Lezioni frontali espositive per presentare i tratti distintivi degliautori di riferimento e il contesto storico-politico.● Lezione dialogata tra insegnante e alunni, con recupero deicontenuti.● Laboratori di lettura, traduzione e commento in classe, oveprevista, dei testi previsti nel percorso.

VERIFICHE

● Verifica iniziale: colloquio orale.● Verifica in itinere: lettura e analisi dei passi previsti nelpercorso. ● Colloqui semistrutturati sui passi letti in traduzioneitaliana.● Produzione di brevi elaborati scritti semistrutturati.● Verifica sommativa: saggio breve dal titolo L’arte della parola

nel mondo antico, per accertare il raggiungimento degli obiettiviprefissati.● Simulazione di un dibattito sul tema: il discorso giusto e il

discorso ingiusto oggi, previa suddivisione della classe in duegruppi di lavoro omogenei per competenze, forma mentis ecaratteristiche relazionali.

MATERIALI E STRUMENTI

● Testi degli autori greci e latini previsti dal percorso forniti di unabuona traduzione a fronte.● LIM.● Fotocopie.● Dizionario di Greco e Latino● Collegamento a risorse multimediali per eventualiapprofondimenti.

MODALITÀ DI INTERVENTO PER IL RECUPERO

● Feedback correttivo.● Creazione di mappe concettuali relative alle tematiche via viaaffrontate nei brani letti, tradotti e analizzati.● Recuperi relativi alla conoscenza e alla comprensione dellestrutture morfo-sintattiche e lessicali.● Esercizi riepilogativi e applicativi.● Attività di tutoraggio guidato tra gli allievi per strategie direcupero e rinforzo.

MODALITÀ DI VALUTAZIONE

● Griglia del Dipartimento.● Criteri: raggiungimento degli obiettivi prefissati in termini diconoscenze, capacità, competenze e abilità.● Capacità di leggere e analizzare i testi proposti in manieracritica.● Capacità di operare collegamenti interdisciplinari con laletteratura latina, italiana, la storia e la filosofia.● Creazione di apposite griglie per la misurazione delle prove eper la valutazione delle stesse.● Votazione decimale.

egizio così recita: «Per poter essere forte, diventa un ar-tista della parola; perché la forza dell’uomo è nella lingua,e la parola è più potente di ogni arma». Alla filosofia sipotrà ricondurre anche la tematica religiosa del Logos in-teso come Dio; la lettura dell’incipit del Vangelo di Gio-vanni (in greco) e di un passo di Filone Alessandrino co-stituiranno un utile richiamo all’ambito della classicità,permettendo di cogliere differenze di contesto storico eculturale rispetto alla polis di V secolo.In letteratura inglese si potrà leggere il breve racconto diEdgar Allan Poe The Power of the Word, ove si recita:«Words have no power to impress the mind without the ex-

quisite horror of their reality».

Ambito storico

Infine, in ambito storico, la seduzione del logos vede unlegame perfetto con le vicende legate ai totalitarismi del’900; la lettura di passi del testo di George Mosse, La na-

zionalizzazione delle masse, renderà ragione delle dina-miche che hanno visto l’ascesa di Hitler al potere, i cuiinizi del resto erano soltanto mera propaganda militarealla fine della Grande Guerra, al servizio del primo reg-gimento fucilieri bavarese. «Di punto in bianco mi fu of-ferta l’opportunità di parlare di fronte a un pubblico piùgrande. E allora ebbi la certezza di ciò che avevo semprepresentito dentro di me, senza ancora capirlo: sapevoparlare» (dal Mein Kampf).

Fjodor Montemurro

Università di Bari

Edgar

Allan Poe

(1809-1849).

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PROGRAMMAZIONE

All’interno della disciplina Scienze umane, la pe-dagogia – essendo l’unico dei quattro saperi chela compongono a essere presente lungo tutto il

quinquennio – domanda una progettazione didattica chesappia particolarmente articolarsi. Per questa ragione in-tendo pormi il quesito relativo alla scientificità della pe-dagogia tenendo conto dell’intero percorso quinquennalee suddividendo l’esposizione – come da Indicazioni Na-

zionali – in primo biennio, secondo biennio e quintoanno. In tal modo ogni docente potrà trarre spunto dallaesposizione intercettandola nella parte che risulta ade-guata al segmento didattico che interessa.

Un percorso epistemologico che diventa didatticoPrimo biennio

Il percorso didattico del primo biennio va dalle origini dellapedagogia occidentale fino al Mille. La contestualizza-zione cronologica solleva almeno due questioni episte-mologiche di fondo. Anzitutto, se prendiamo in mano le In-

dicazioni, ci rendiamo immediatamente contodell’ampiezza degli orizzonti culturali evocati che, men-zionando «il sorgere delle civiltà della scrittura», va ben ol-tre l’antico Egitto esplicitamente richiamato. Un criterio ra-gionevole mi sembra quello di centrare l’esposizione sullaciviltà occidentale, la qual cosa non significa trattare l’Oc-cidente come se fosse una realtà chiusa e autosufficiente,ma richiamare gli elementi che a esso afferiscono pur pro-venendo anche da altrove (abitualmente contiamo con nu-meri “arabi” che in realtà sono “indiani”, tanto per fare unesempio), avendo chiaro che l’Occidente ha una precisacollocazione storico-geografica centrata sul Mediterra-neo. Ecco, allora, che il richiamo precedente può agevol-mente essere svolto in riferimento non solo all’Egitto, maall’area mediorientale, con qualche cenno anche al-l’Estremo Oriente con cui – attraverso questa – ci sono staticontatti ancorché limitati (a esempio, tra Romani e Cinesi).Una seconda questione si pone: che senso ha parlare di pe-

dagogia in età antica? In realtà, la domanda stessa po-trebbe veicolare un discutibile pregiudizio ossia che lascienza sia un termine che rimanda geneticamente all’etàmoderna. A questo hanno pensato probabilmente coloroche hanno battezzato le “scienze umane” come tali, sta-bilendo – sul piano terminologico – un evidente paralle-lismo con l’espressione “scienze naturali” il cui habitat

ovviamente è la modernità. Va tuttavia rilevato che il di-battito ottocentesco relativo alle “scienze dello spirito” (lacui attinenza con le “scienze umane” è indiscutibile inchiave storica oltre che epistemologica) mostra chiara-mente come l’approccio positivistico – direttamente ge-neratore della pedagogia nel senso “strettamente” scien-tifico – sia stato solo uno di quelli possibili, accanto adaltri, a esempio un accostamento di tipo argomentativo enon descrittivo, che certamente con il positivismo ha pocoda spartire. Ma è proprio adottando questo tipo di indagineche si può parlare di scienza pedagogica, naturalmente inchiave diversa da come il concetto viene declinato lungoil vettore culturale che ha prevalso nella modernità.Poniamoci quindi il quesito: quando nasce la pedagogiasecondo questa accezione argomentativa? Ritengo che larisposta più completa sia: con la Repubblica di Platone.Infatti, la narrazione del Mito della caverna è esplicita nel-l’assumere come sua motivazione genetica l’aspirazionea distinguere chi è educato da chi non è educato (VII,514a). Questo significa che Platone ha chiara l’originalitàdell’azione educativa, da lui associata – alla luce del mitorichiamato – all’intervento che si propone di condurre:● a saper distinguere l’apparenza dalla realtà;● a saper riconoscere la profonda e originaria unità di que-

st’ultima.Ecco allora che il tema della pedagogia come scienza, nelprimo biennio, può essere impostato a partire dalla con-cezione platonica, muovendo ovviamente dalla premessache c’è scienza ogni volta che si riconosce:● uno specifico oggetto d’indagine;● uno specifico metodo di ricerca.A questo proposito: qual è il metodo originale messo incampo da Platone?L’esposizione del concetto platonico di pedagogia av-viene all’interno di una narrazione utopistica. Che cosaconnota l’utopia? Lo dice lo stesso Platone, per bocca diSocrate, quando – dopo pagine e pagine in cui la cittàideale è stata profilata fin nei dettagli più minuti – essendorichiesto di illustrare a che cosa mai serva questa fatica

Scienze umane

PedagogiaGiuseppe Mari

immane di fronte a un progetto che per definizione nontrova modo di esprimersi storicamente, risponde: «forsenel cielo (…) ne esiste un modello, per chi voglia vederloe con questa visione fondare la propria personalità» (IX,592b, tr. Sartori, Laterza). Ne possiamo ricavare che il me-todo adottato va oltre la descrizione storica per restituireuna conoscenza metastorica, per questa stessa ragionecoerente con l’educazione della libertà, per nullari(con)ducibile a un costrutto sensibile. Da questa affer-mazione si può trarre spunto – sul piano didattico – per farriflettere sull’esigenza, quando si educa, di evitare l’ap-piattimento descrittivo-funzionale, del tutto incongruentecon ciò che c’è in gioco: la conquista della libertà ovvero«fondare la propria personalità» come dice Platone.

Secondo biennio

Che ne è di questa intuizione quando si oltrepassa la fron-tiera del Mille? Il secondo biennio restituisce una pano-ramica pedagogica articolata e plurale dove, dopo ventisecoli di egemonia del modello retorico-dialettico, moltovicino al Platone del Mito della caverna (una delle vettedella letteratura di tutti i tempi), s’impone un altro Pla-tone, quello del sapere matematizzante. Non è casualeche il grande filosofo (ma anche pedagogista, a questopunto) antico, ponga come sapere fondamentale del-l’Accademia la matematica intendendo selezionare – at-traverso l’accertamento della capacità astrattiva – gli in-

gegni migliori, quelli da avviare ad assumere ruoli di au-torità. In effetti, se ci facciamo caso, tutti gli esponentidella “rivoluzione scientifica” sono platonici (meglio:neoplatonici) sul piano culturale. Questo spiega perchél’eccezionale impennata delle imprese conoscitive mo-derne sia stata alimentata dall’aspirazione a unificare laconoscenza che culminerà – per declinare immediata-mente dopo – nel progetto – non a caso incompiuto – diredigere una “enciclopedia internazionale della scienzaunificata” da parte del Circolo di Vienna nella primametà del XX secolo.L’adozione di un approccio “matematizzante” nella pe-dagogia moderna raggiunge l’acme con Comenio la cuiGrande Didattica (per fare un solo esempio) è costruitacome una dimostrazione aritmetico-geometrica, condivi-dendo quindi l’ispirazione che ha guidato Cartesio, Hob-bes e soprattutto lo Spinoza dell’Etica esposta “more

geometrico”. Va tuttavia rilevato che, proprio interna-mente a questa parabola, si sviluppa la tendenza di segnocontrario. La memoria corre immediatamente a Pascal, loscienziato “prodigio” che ha inventato la sua macchinacalcolatrice non ancora ventenne. Proprio lui, che evi-dentemente si intendeva di “esprit de géométrie”, si rendeconto che non basta per esplorare l’essere umano, impresache necessita inderogabilmente dell’esprit de finesse cioèdi una conoscenza che passa dal “gusto” – quindi dallasoggettività ancorché capace di comunicazione interper-

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PROGRAMMAZIONE

Jan Saenredam, Il mito della caverna. Incisione, 1604.

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PROGRAMMAZIONE

sonale come avviene nell’arte – e non dalla obiettivitàdella descrizione impersonale. Lungo la modernità nonmancheranno coloro che ne seguiranno l’esempio (comeBaltasar Gracián, il grande pedagogista gesuitico), fino alKant della Critica del Giudizio, il cui valore è – per piùragioni – paradigmatico. Ecco quindi che la pedagogiascientifica, proprio mentre prende forma l’attitudine de-scrittivo-funzionale da ultimo sfociata nel positivismo, re-gistra un movimento di segno inverso che cerca di forzareil metodo fino a parlare di “amore pedagogico” come l’au-tentico metodo dell’educazione, riconosciuto soprattuttonell’Ottocento anche sull’onda di precisi influssi vichiani.Arrivati a questo punto non possiamo evitare di confron-tarci con colui che ha maggiormente messo in discussioneil paradigma pedagogico descrittivo facendo leva – comePlatone – sull’utopia: mi riferisco a Rousseau. Anche nelsuo caso – come in Platone – emerge la consapevolezzadella originalità dell’agire educativo, il cui tratto utopi-stico è associato allo “stato di natura”. Rousseau si rendeconto della curvatura funzionale assunta dalla razionalitàilluministica e vi reagisce impostando la sua idea di edu-cazione sulla posticipazione degli apprendimenti stru-mentali (nell’Emilio afferma che sono successivi al-l’educazione morale a cui dedica l’età precedente allapubertà). Il riconoscimento dello “stato di natura” implicaun richiamo di tipo non cronologico, ma ontologico: siconfigura come l’affermazione di una priorità dell’umanonel suo profilo etico rispetto a ogni altro, identificabile inchiave strumentale, ecco perché Rousseau associa lo“stato civile” all’introduzione della proprietà privata.Sul piano didattico la disamina relativa alla distinzione tra“stato di natura” e “stato civile” permette di far riflettere sul-l’esigenza di finalizzare gli apprendimenti alla umanizza-zione oltre e prima che all’acquisizione di competenze stru-mentali. A questo punto, lo studio va associato – riprendendoun’affermazione del filosofo e pedagogista Luigi Stefanini– al “conoscere” che diventa “conoscersi”: un richiamo es-senziale in riferimento all’adolescenza dei nostri studenti.

Quinto anno

Fino a ora ho mostrato come la pedagogia scientificamuova i primi passi nell’età antica – con Platone – attra-verso la messa a fuoco del riconoscimento dell’originalitàetica dell’educazione, confermato – durante la modernità– dal vettore culturale che reagisce all’appiattimento sullarazionalità funzionale. Che cosa accade durante il XX se-colo che costituisce l’oggetto di studio del quinto anno?Il Novecento, ovviamente, è una stagione complessa esfaccettata. In esso si può agevolmente cogliere l’avanzaredella prospettiva descrittiva, in stretta continuità con lamodernità che ha prevalso come stagione culturale con-

notata in senso funzionale. Occorre tuttavia rilevare laforte presenza del richiamo alternativo, entrambi com-presenti nel movimento pedagogico novecentesco più ri-levante: l’attivismo. Infatti, al suo interno, troviamo sial’avvaloramento dell’“azione” che costituisce il tratto piùrilevante dello spiritualismo come stagione antipositivi-stica sia la celebrazione del referto esatto (pensiamo allastagione dei test) che va in senso contrario perché coltival’idea di “fatto” come dato certo. I due vettori corronospesso intrecciandosi e la progettazione didattica po-trebbe eleggerli a descrittori privilegiati della parabola pe-dagogica novecentesca, rispetto alla quale un concetto –tra altri – mi sembra oggi costituire l’approdo della que-stione. Mi riferisco all’idea di competenza.È chiaro che l’espressione allude, oltre che all’istanza diun sapere che diventa concreto, anche all’accertamento diquesta acquisizione. Si tratta di una prospettiva di sicurointeresse, volta a evitare che l’apprendimento si areni indispositivi astratti e verbosi, attenta a promuovere un’as-similazione che sappia diventare concreta padronanza. Èaltrettanto vero, tuttavia, che si rischia di trasformarel’evento spirituale della conoscenza (tale perché collegatoalla libertà) in un dispositivo meccanico dove il sapere èanalogicamente testato semplicemente come il trasferi-mento di una conoscenza da un contesto a un altro. Vor-rei essere chiaro: non è discutibile l’idea che il saperedebba essere suscettibile di concretizzazione, ma chequest’ultima debba essere vincolata a performance repli-cabili, in questo senso impersonali. Vale la pena rilevare quello che in certi studi si cerca dimettere a fuoco, a esempio nella ricomprensione dellacompetenza sviluppata da Michele Pellerey. Ossia chel’esigenza di apprendere in forma operativa può essere se-mantizzata anche in senso etico oltre che in senso tecnico.Se, infatti, ci ricordiamo che il verbo peto significa anche“dirigersi” oltre che “chiedere per avere” e che il cum havalore anche temporale (da cui il termine “quando”) e nonsolamente sociale, possiamo facilmente riconoscere chela “competenza” può significare la capacità sia di tradurrein pratica quello che si è appreso sia di decidersi nelmodo migliore all’interno della situazione concreta. La se-conda interpretazione non nega, ma integra la prima se-guendo la logica che intende l’etica non contrappostaalla tecnica, ma sovraordinata a essa. In altre parole, lasfida che sta di fronte ai nostri studenti è certamente di im-parare qualcosa, ma soprattutto di diventare qualcuno.Vale la pena rifletterci per adottare una progettazione di-dattica che, anche attraverso lo studio della pedagogia,possa dare un forte contributo in tal senso.

Giuseppe Mari

Università Cattolica, Milano

di confronto permetterà al docente di cogliere informa-zioni su quanto già i ragazzi conoscono e su quali errorio imprecisioni andranno corretti. Mi sembra utile sotto-lineare come, in questa fase, non sia necessario fornire ainostri allievi tutte le risposte o correggere in manieraesplicita, le imprecisioni. Abbiamo il tempo dalla nostraparte e, piuttosto, dovremmo permettere ai nostri allievidi correggersi in maniera autonoma, predisponendo espe-rienze formative che li mettano a confronto con le loro“teorie grezze”, rivelandone l’inefficacia o l’impreci-sione. Passeremo in seguito alla presentazione della So-ciologia come sapere formale, dotato di un proprio statutoepistemologico. In collegamento con lo studio della sto-ria, che nel secondo biennio si concentra sugli eventi in-tercorsi fra l’XI secolo e le soglie del Novecento, dovremonecessariamente mettere in luce il rapporto fra i muta-menti della società europea dovuti alla prima rivoluzioneindustriale e alla rivoluzione francese e la nascita di un sa-pere che, potesse rendere ragione dei cambiamenti cosìprofondi che la vita collettiva stava attraversando. Lamobilità e il mutamento sociale, frutto dell’accelerazionestorica rappresentata dalle rivoluzioni, unite a un diversomodo di percepire la scienza, con l’apertura verso i fe-nomeni sociali, lascito dell’illuminismo e dell’empiri-smo di origine inglese e scozzese, rappresentano il sub-strato da cui può nascere la disciplina sociologica. Una volta affrontate la nascita della sociologia e la suadefinizione, accompagneremo i nostri allievi nella sco-perta dei principali autori e delle principali scuole dipensiero sociologico. In questo frangente la sfida che misembra dovremmo riuscire a cogliere è quella di potermettere al centro della nostra proposta i ragazzi e le lorospecifiche modalità di apprendere. La proposta che of-friremo si dovrà costruire come dialogo fra due dimen-sioni parallele, il contesto storico-cronologico e il con-tributo dialettico dei diversi autori. Per quanto riguardail percorso storico è evidente che si dovranno collocaregli autori nel loro specifico contesto di appartenenza, pro-ponendo agli allievi non solo la conoscenza dell’autorema anche un quadro più ampio della vita sociale e cul-turale del suo tempo. Per rendere poi maggiormente ef-ficace la nostra proposta formativa, metteremo in luce ladialettica, fatta di continuità e discontinuità fra i diversiautori e le diverse scuole, senza tralasciare il legame frariflessione sociologica e volontà di azione socio-politica.Il rapporto fra sociologia e cambiamento sociale è fon-damentale in autori di diversi orientamenti, dai primi po-sitivisti come Comte e Saint Simon, fino alle più recentiteorie, passando per Marx e la Scuola di Chicago. Per-mettere ai propri alunni di rintracciare, nelle diverse in-terpretazioni sociologiche, la necessità e il desiderio di

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV80

PROGRAMMAZIONE

Nel liceo delle Scienze umane la Sociologia vieneproposta all’interno del più ampio contesto dellescienze umane. Tra i risultati di apprendimento,

di questo rinnovato percorso di studi, rintracciamo la ca-pacità di comprendere le dinamiche che contraddistin-guono l’attuale contesto sociale. Nell’articolo che segueandremo a tracciare un percorso che, partendo dalle In-dicazioni Nazionali, possa offrire un contributo alla ri-flessione dei docenti, che si trovano a dover proporreesperienze di apprendimento di questa disciplina, te-nendo conto dell’importanza della trasversalità internaalle scienze umane ma anche dei rapporti con lo studiodella storia, della filosofia e della letteratura. L’articola-zione delle Indicazioni ci fornisce un primo elemento diorganizzazione della proposta didattica. Possiamo ri-scontrare una separazione decisa fra il secondo biennio,in cui si presenterà agli allievi il percorso storico del sa-pere sociologico, dalla sua fondazione alla definizionedelle scuole classiche della Sociologia, e il quinto anno,in cui avviene la trattazione di diversi concetti e pro-blemi, tipici del dibattito sociologico. Nel corso dei treanni in cui la disciplina sarà proposta, gli allievi do-vranno acquisire la capacità di collegarla al resto dei sa-peri già noti, comprenderne lo sviluppo nell’arco del-l’Ottocento e del Novecento, e giungere, durante il quintoanno, a fare letture e ipotesi circa problemi che, ovvia-mente, toccano anche il loro vivere sociale.

Secondo biennioCon il secondo biennio gli alunni incontreranno per laprima volta in modo formale la Sociologia. Evidente-mente, negli anni precedenti, anche altre discipline hannoaffrontato argomenti come la vita in comune, l’organiz-zazione sociale e le relazioni fra gli individui. A questo punto del percorso di studi però dobbiamo per-mettere agli allievi di mettere ordine nelle loro idee, af-finché possano fare nel tempo un passaggio da saperi ge-nerici, dalla conoscenza di senso comune, a unaconoscenza razionalmente validata, frutto dell’incontrocon gli autori del passato e con le più attuali questioni deldibattito sociologico. Il percorso del secondo biennio, dunque, non può che co-minciare con la raccolta di ciò che i nostri allievi perce-piscono come sapere sociologico: predisporre spazi aperti

SociologiaMattia Lamberti

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PROGRAMMAZIONE

migliorare la società, significa metterli nella condizionedi leggere criticamente il loro proprio contesto e fornirlidi strumenti imprescindibili perché vivano il loro dirittoalla cittadinanza.Il percorso del secondo biennio dovrà tenere conto al-meno di alcuni autori principali, proponendo, anche informa antologizzata, la lettura di testi originali. La vastitàdei contenuti relativi alla disciplina, pur con la sua gio-vane storia, impone necessariamente delle scelte nonpotendo affrontare la totalità degli autori e dei contenuti.Il percorso dal punto di vista cronologico vedrà la trat-tazione dell’origine della disciplina, con Comte, per poiproseguire con l’approccio critico di Marx e l’afferma-zione del sapere sociologico nell’ultimo Ottocento, conparticolare attenzione a evidenziare concetti e categoriedi analisi empirica quali la definizione di società, la de-finizione di sociologia, la divisione del lavoro, le classisociali.Per quanto riguarda la dimensione dialettica, metteremoin luce come la disciplina è caratterizzata, fin dalla suaorigine, dal fronteggiarsi di positivismo e storicismo,ovvero fra la tendenza a ricondurre i fatti sociali a un mo-dello di spiegazione generale, tipico dei saperi scientificipuri, e la tendenza a identificarla come sapere maggior-mente autonomo che, come la ricerca storica, è orientatoall’interpretazione e fa proprie strategie di indagine ba-sate sull’analisi e l’interpretazione dei fatti sociali comedati unici e irripetibili. Nella prospettiva positivistica sarà imprescindibile latrattazione di Durkheim, il quale con Il suicidio e, anchemaggiormente, in Le regole del metodo sociologico ha in-dirizzato la disciplina verso l’analisi empirica, già pre-conizzata da Comte, identificando per la prima voltal’oggetto di studio della sociologia nei “fatti sociali” edefinendo un rigoroso metodo d’indagine per le scienzesociali. Il nostro percorso a questo punto introdurrà lostoricismo tedesco con autori quali Weber, il quale a dif-ferenza dei positivisti, non studia i fenomeni socialicome cose a sé stanti. Secondo lo studioso tedesco, in-fatti, l’azione sociale è un’azione orientata e sorretta davalori. Il sociologo allora, dovrà costruire parametriideali, logicamente validi, gli idealtipi mediante i qualianalizzare la realtà sociale. Accanto all’opera di Weber,affronteremo, anche collegandoci al programma di filo-sofia, la trattazione di Georg Simmel. Per amore di com-pletezza mi sembra opportuno citare il contributo di au-tori del contesto italiano, quali Vilfredo Pareto, GaetanoMosca e il sociologo tedesco, naturalizzato italiano, Ro-bert Michels.Con l’approccio struttural-funzionalista andiamo a con-cludere il nostro biennio di lavoro. Torno a questo punto

a sottolineare l’importanza del fatto che gli allievi pos-sano cogliere il costante rapporto tra indagine sociologicae caratteristiche e bisogni sociali. L’orientamento socio-logico di Parsons, risponde chiaramente alle esigenzepratiche della società nordamericana a cui lo stesso ap-partiene. L’opera di Parsons non tenta di giustificarel’ideologia dello status quo, ma piuttosto di individuarei requisiti minimi dell’integrazione, in una società com-posta di gruppi etnici diversi, in cui proprio l’intera-zione sembra una meta irraggiungibile. Talcott Parsonstende però a elaborare schemi esplicativi della realtà so-ciali validi al di là della specificità storica. Fra le molte-plici linee di ricerca e riflessione aperte da Parsonsun’importanza centrale riveste il concetto di sistema, in-teso come un reticolo di ruoli, strutture e funzioni che,operando in maniera coerente, originano e strutturanol’agire individuale e sociale. La concezione parsonsianadi sistema verrà ripresa e ampliata con larghissimo suc-cesso da successivi contributi, fra i quali non si può nonsegnalare la Scuola di Palo Alto.

Quinto annoDopo aver appreso, durante il biennio, l’origine e lo svi-luppo della disciplina, unitamente all’acquisizione diuno sguardo sempre meno ingenuo e sempre più “socio-logico”, il quinto anno offre alla classe la possibilità dilavorare a partire da situazioni e temi di interesse moltoattuale. Nell’ultimo anno, anche in previsione della con-clusione del secondo ciclo di istruzione, gli alunni sa-ranno accompagnati nella lettura di diversi fenomeni so-ciali complessi quali la devianza, la mobilità sociale, ilprocesso di globalizzazione. Riprendendo le parole diPaolo Jedlowski, dobbiamo promuovere nei nostri alunni,attraverso la lettura della realtà, la messa in questione delmondo sociale, affinché essi sviluppino la specifica cu-riosità che ha accomunato tutti i sociologi, pur di diverseestrazioni sociali e culturali. Lo sguardo più maturo, leconoscenze pregresse e la capacità di creare analisi e col-legamenti fra i diversi ambiti del sapere rappresente-ranno, per le nostre classi, una vera e propria palestra dicompetenze.Accanto ai già citati fenomeni, le Indicazioni propongonoaltri due nuclei tematici: il contesto socio-culturale in cuinasce e si sviluppa il modello occidentale di Welfare

State e l’indagine sociologica sul campo, con particolareattenzione a tutto il sistema dei servizi educativi e socio-assistenziali. I due nuclei, oltretutto abbastanza inter-connessi, forniscono diverse possibilità per elaborareproposte di natura interdisciplinare con i docenti di sto-ria, lettere e filosofia, oltre che la possibilità di costruirepercorsi nell’ambito delle scienze umane. Cambiando il

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PROGRAMMAZIONE

Psicologia ha un peso specifico rilevante all’internodelle Indicazioni Nazionali di Scienze umane. Que-sto contributo vorrebbe offrire un approccio episte-

mologico che, mettendo a fuoco la differenza tra l’inizialeimpostazione positivistica e quella successiva (rispon-dente a un paradigma più complesso), può essere adottato– rispettivamente – per il primo e il secondo biennio. Èvero che le Indicazioni prevedono un approccio tematicoe che all’inizio occorre offrire una panoramica ampia – an-corché sintetica – dello sviluppo storico del sapere psico-logico. Ritengo tuttavia che sia possibile anche valorizzarel’obiettiva differenza tra i due approcci tenendo contodell’accresciuta maturità degli studenti nei due segmentiformativi. Del resto, anche sul piano epistemologico, l’ini-ziale approccio positivistico è sicuramente più ingenuo ri-spetto al secondo, come mostra lo sviluppo interno ad esso.

Primo biennioIl percorso didattico potrebbe iniziare mettendo a fuocole origini della Psicologia scientifica la quale ovviamenteva calata all’interno della parabola moderna. Infatti, è apartire dalla messa a fuoco del metodo sperimentale chel’esplorazione della psiché tende a distinguersi dalla ma-trice iniziale – rappresentata dalla psicologia filosofica –per darsi una metodologia nuova dove l’elemento de-scrittivo prevale su quello argomentativo. L’habitat èquello della cultura illuministico-positivistica dove s’im-pone il paradigma conoscitivo baconiano, collegato allaempiricità e alla funzionalità del sapere. Si spiega così per-ché, nel giro di circa un secolo, cresce esponenzialmentel’aspirazione alla riproducibilità come convalida dellaconoscenza “scientifica” mentre l’argomentare astrattoviene sempre più spesso associato ad un dispositivo ver-boso e inconcludente. Lo stesso Cartesio, pur ferrato an-che nella teorizzazione, utilizza parole dure rispetto allasua educazione umanistica e celebra la matematizzazionecome la vera porta d’accesso del sapere. Le sue parole sispecchiano in quelle di Galileo quando dice che l’alfabetodella natura è composto da caratteri geometrici. È questala premessa del discorso sperimentale che, postulando latraducibilità dell’osservazione naturale in relazione ma-tematica, sottopone questa – assumendola come ipotesi –alla riproduzione sperimentale interpretando il risultato

PsicologiaGiuseppe Mari

contenuto dell’apprendimento sarebbe auspicabile cheanche le pratiche didattiche si adattassero alla nuova si-tuazione rappresentata dal quinto anno. La trattazione or-ganica e consequenziale tipica dell’approccio storico,dovrebbe cedere il passo a una didattica maggiormentepartecipata da parte dei ragazzi, posti nella condizione dinon essere unicamente fruitori di un contenuto ma, se-condo la proposta della New Media Literacy, in grado diacquisire e incrementare le proprie competenze, a partiredalla produzione collettiva di contenuti culturali. Chia-ramente, in una proposta di questo tipo il docente dovràessere capace, nel tempo, di modulare costantemente lapropria partecipazione alla vita della classe. Per poter rea-lizzare questo tipo di proposta, sarà opportuno predi-sporre il giusto tempo di programmazione e la correttamodalità. Un progetto realmente efficace non potrà li-mitarsi all’elenco dei contenuti da affrontare con una le-zione frontale ma dovrà prevedere fasi di assegnazionedi compiti e prove significative, in cui gli alunni incon-treranno, anche autonomamente, le informazioni neces-sarie, a cui si faranno seguire una fase di applicazione deisaperi ed una fase finale di analisi dell’esperienza vissuta,che porterà alla correzione di eventuali errori e all’inte-grazione fra le diverse componenti della proposta didat-tica. Non è chiaramente possibile tralasciare, come inogni altra esperienza realmente formativa, una o più fasidi verifica.La sociologia, nel contesto del liceo delle Scienze umanee nell’ottica della didattica delle competenze, lungi dal-l’essere la mera esposizione di teorie sociali lungo l’assestorico-cronologico, si costituisce come occasione irri-nunciabile affinché i ragazzi, giunti alla soglia della ma-turità, possano acquisire e potenziare specifiche compe-tenze di cittadinanza: la lettura e l’interpretazione dei fattisociali, la comprensione dei meccanismi legati al ruolo,allo status e al potere, la capacità di analizzare critica-mente le differenze e le disuguaglianze permetteranno aigiovani, una volta concluso il secondo ciclo di istru-zione, di esercitare con maggiore consapevolezza il lorodiritto/dovere di cittadinanza e piena partecipazione allavita democratica dell’Italia e dell’Europa.

Mattia Lamberti

Dottorando, Pontificia Facoltà di Scienze

dell’Educazione Auxilium, Roma

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come conferma oppure disconferma della attendibilitàdella conoscenza conseguita.Inevitabilmente l’adozione della riproduzione sperimen-tale doveva condurre ad una curvatura descrittiva del-l’approccio scientifico. Anche la Psicologia ha condivisoquesto orientamento insieme alle altre scienze umane, lacui stessa espressione – è facile intuirlo – costituisce uncalco di “scienze naturali”. Da queste infatti le nuovescienze moderne traggono la convinzione che il vero og-getto di studio sia la natura intesa costituire un dispositivocausa-effettuale, la cui riproduzione dà conferma del-l’assimilazione di quella che – non a caso – viene chia-mata “legge”. Il richiamo alla “legge” allude al ricono-scimento di un ordine la cui scoperta ne permettel’applicazione in funzione dell’utilità umana. La Psico-logia scientifica nasce infatti insieme a un ampio corredodi osservazioni adducenti a sperimentazioni che si tradu-cono in altrettanti dispositivi applicativi. Lo possiamo fa-cilmente riscontrare nell’associazionismo wundtiano il cuiapproccio intende studiare le “funzioni” elementari dellamente identificando le modalità attraverso cui si svolgel’associazione tra idee (le “leggi di connessione”).

Il testimone è raccolto dal comportamentismo che ritienedi poter esplorare il comportamento cogliendo le regolea cui risponde, con lo scopo non solo di conoscere, ma an-che di intervenire quando si verifichino problemi nel“funzionamento” mentale. Forse l’espressione più chiaradi questo atteggiamento è la dottrina del condiziona-mento che, mentre allarga l’’indagine alla riflessologia, ri-manda allo studio di come il “rinforzo” influisce sul co-stituirsi regolare e ripetitivo dell’agire. È tuttaviainteressante notare come il passaggio dal “condiziona-mento classico” al “condizionamento operante” alluda allainsufficienza di un approccio che tratta l’apprendimentocome pura passività rispetto all’influsso ambientale. In-fatti, il condizionamento “operante”, pur mantenendol’impostazione comportamentistica, coglie e sottolineache il soggetto agente apprende dalle conseguenze diquello che fa, quindi associa al funzionamento mentaleuna dimensione di tipo attivo oltre che passivo. Sul piano delle “scienze umane”, intese come saperi chehanno consapevolezza della originalità umana e che nonsi limitano a trattare l’essere umano come “oggetto” distudio, questo passaggio è molto importante e si presta

Sergej Costantinovic Pankeev, Uomo dei lupi.

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Questa disposizione trova conferma nel paradigma co-gnitivista dove la mente è assimilata al computer ossia aduno strumento che per definizione “elabora” cioè tra-sforma. I cognitivisti abbandonano definitivamente l’ap-proccio positivistico, rigido e standardizzato, per tema-tizzare il lavoro di revisione e ricomprensione che avvienenella mente umana. La cognitività diventa sinonimo di di-namismo e trasformazione, la ricerca viene condotta so-prattutto allo scopo di cogliere le modalità che la mentesegue quando si trova a dover elaborare i dati forniti daisensi. Certamente, il cognitivismo non è esente da unacerta tendenza alla standardizzazione, occorre però rile-vare la grande articolazione che hanno assunto gli studipsicologici grazie a questa impostazione teorica.Che ci fossero limiti, probabile retaggio della inizialematrice positivista, lo dimostra la critica al cognitivismoche si è espressa soprattutto nel rigetto di una ricerca pra-ticata prevalentemente in ambiente controllato. La sta-gione postcognitivistica, nella quale oggi ci troviamo,predilige l’approccio “ecologico” ossia attento alla con-cretezza dell’ambiente e delle interazioni che lo costitui-scono. Si tratta di un rilancio della Psicologia come saperecapace di esplorare la realtà e questo acquista un indub-bio significato per degli adolescenti che si stanno aprendosul mondo. L’idea che la mente umana, pur, rispondendoanche a schemi ricorrenti, esprima una originale e origi-naria facoltà di ricomprensione del “dato”, può valerecome stimolo a non consegnarsi al conformismo e ad eser-citare l’intenzionalità come identificazione anche di unavvenire capace di motivare all’impegno nel presente.Sappiamo come oggi adolescenza e giovinezza siano in-sidiate dalla fatica di non riconoscere un futuro che fa are-nare su un presente aprogettuale, per questa ragione espo-sto al rischio di condotte devianti o comunque connotatein forma di disagio, con manifestazioni compensative enon assertive. La motivazione allo studio non può che ri-sentirne ed è un peccato considerando che si tratta deglianni in cui la tonicità psico-fisico-morale favorisce la di-sposizione a sognare in grande e a volare in alto per po-ter mettere a fuoco prospettive di lungo corso e immagi-nare il proprio avvenire in maniera progettuale.L’accostamento dello sviluppo epistemologico dellascienza psicologica, da questo punto di vista, può valerecome un fattivo incoraggiamento se riusciamo a far co-gliere – nel passaggio dal paradigma positivista a quellopostpositivista – il mantenimento della matrice scientificadelle scienze umane insieme all’allargamento degli oriz-zonti in cui si è espressa.

Giuseppe Mari

Università Cattolica, Milano

bene ad una fruizione specifica da parte di destinatari inetà evolutiva. I nostri studenti, infatti, sono alle presecon un’età che registra da una parte l’affiorare di interro-gativi e aspirazioni, dall’altra il rischio del conformismoe della passività. Far riflettere sullo sviluppo che, già al-l’interno dell’approccio positivistico, ha condotto a co-gliere il carattere attivo e non solo passivo della cono-scenza, del pensiero e dell’agire umani può valere comestimolo ad assumere un atteggiamento attivo e trasfor-mativo, rispetto alla realtà, con positive conseguenze an-che sul piano motivazionale.

Secondo biennioQuanto ho osservato in precedenza diventa ancora piùvero quando si passa a prendere in considerazione lo svi-luppo del pensiero psicologico lungo i vettori della Gestalte del cognitivismo. Infatti, questo significa non l’abban-dono dell’approccio descrittivo tipico delle scienzeumane, ma l’allargamento della considerazione del feno-meno psichico da un paradigma tendenzialmente passivoad uno più attento alla dimensione trasformativa del-l’esperienza mentale.Non è casuale che la Gestalt prenda forma in stretta cor-rispondenza con l’indirizzo fenomenologico. La feno-menologia, in chiave antipositivistica, osserva che ilrapporto con la realtà postula una originaria “apertura”sulla realtà, e che questo rimanda a fattori – oltre che co-muni – anche originali e propri di ciascuno. In altre pa-role, quello che fa irruzione è il riconoscimento dellasoggettività. L’agire non può essere ricondotto solo a“leggi” universali; risente anche di fattori peculiari e per-sonali. L’approccio fenomenologico infatti tiene ingrande considerazione la coscienza come elemento nonsolo ricettivo, ma trasformativo degli stimoli sia esterniche interni.In chiave psicologica questo approccio non poteva che ri-sultare particolarmente fecondo. Infatti, ha comportato unavanzamento non solo della ricerca relativa ai dinamismiindividuali della mente, ma anche – pensiamo soprat-tutto a Lewin, pioniere della psicologia sociale – della in-dagine relativa alle dinamiche di tipo aggregativo. LaGestalt ha fatto leva sull’idea di “forma” (da cui discendeanche il nome di questa scuola psicologica) assumen-dola come l’affermazione della capacità della menteumana di ordinare e comprendere gli stimoli secondomodalità ricorrenti, ma attive. Rispetto al comportamen-tismo rimane l’aspirazione a identificare delle “leggi”(ad esempio, nel caso di ciò che rende una forma“buona”), ma l’orizzonte si allarga considerevolmente esoprattutto acquisisce consapevolezza del carattere tra-sformativo della mente.

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La proposta per il primo anno del liceo di un curri-colo di storia costituzionale greca e romana, chepreveda lezioni basate sull’analisi delle fonti anti-

che, vuole essere un tentativo di coniugare in modo logicoe coerente i molti aspetti del lavoro del docente di storiae geografia.All’unione di due materie scolastiche prima distinte, lastoria e la geografia appunto, nei sei percorsi liceali pre-visti dalla riforma Gelmini l’insegnamento del primobiennio della storia e quello della geografia sono stati ac-corpati in un’unica disciplina, “storia e geografia”, pas-sando da due ore curricolari di storia più due ore curri-colari di geografia a tre ore complessive, con un taglioevidente del 25% del monte orario totale a disposizione.A fronte di questo taglio consistente del tempo scolasticocurricolare, però, come purtroppo sempre capita con le lo-giche ministeriali, il nuovo programma di “storia e geo-grafia” è semplicemente la somma dei due programmiprecedentemente distinti.Tale riduzione del 25% del monte-ore curricolare effettivonon ha inoltre tenuto conto della contemporanea intro-duzione di un modulo obbligatorio di “Cittadinanza eCostituzione”, che dovrebbe occupare in teoria circa il33% del nuovo monte-ore totale proprio dell’ambito sto-rico geografico e storico-sociale. A seguito delle nuovenormative europee, infatti, alla valutazione tradizionale siè affiancata una valutazione parallela obbligatoria dellecompetenze chiave di cittadinanza che uno studente do-vrebbe possedere al termine dei dieci anni di istruzioneobbligatoria, ovvero al termine del primo biennio discuola secondaria di secondo grado.L’organizzazione di tutti questi aspetti, didatticamente edocimologicamente fondati e interessanti in sé, risulta es-sere molto complessa nella prassi quotidiana della scuolaitaliana, talora con esiti deleteri, che portano, per ragionidi tempo o di incompetenza professionale, alla soppres-sione di intere parti del programma curricolare, da cuisono molto colpite in particolare le civiltà classiche. Si in-tende dunque proporre un percorso didattico effettiva-mente realizzabile in classe, che cerchi di raccordare inmodo logico e coerente i diversi ambiti disciplinari con lenuove competenze richieste dalla scuola nella societàglobalizzata.

La polis viene qui intesa sia come concetto geografico ur-bano sia come concetto giuridico e costituzionale, attra-verso lo studio delle costituzioni antiche analizzate conl’uso di fonti coeve comprensibili da parte degli studentidi scuola secondaria: il percorso (che verrà descritto at-traverso 7 approfondimenti successivi a questo articolometodologico) è pensato per essere sviluppato nella se-conda metà del primo anno (dopo le vacanze natalizie),prevedendo indicativamente lo studio della polis delle ori-gini a gennaio (1) e le costituzioni antiche di Sparta e diAtene a febbraio (2-3); l’evoluzione della polis ellenisticaoccuperà invece il mese di aprile (4), mentre la costitu-zione romana sarà oggetto di studio nel mese di maggioo, eventualmente, all’inizio dell’anno successivo (5-6). Lostudio delle costituzioni antiche condurrà naturalmente alconfronto con le costituzioni moderne, in particolare conla Costituzione italiana, così come previsto dall’insegna-mento di “Cittadinanza e Costituzione”, e perciò si ritieneimportante che durante l’anno scolastico vi siano momentiprecisi di riflessione a partire dall’analisi del regolamentod’istituto, così come proposto in un aggiuntivo percorsotrasversale di educazione alla cittadinanza (7). Si prospetta perciò la possibilità di una progettazione di-dattica e di una valutazione delle competenze che non sa-crifichi le conoscenze geostoriche in nome delle compe-tenze o viceversa: i test più o meno strutturati vengononon solo ripensati in modo da indurre a una riflessione cri-tica derivante dall’analisi delle costituzioni e delle fontiantiche, ma anche affiancati a proposte di attività volte acoinvolgere maggiormente gli studenti, a farli collaboraree a renderli nuovamente attenti e partecipi alla vita poli-tica democratica del nostro Paese e dell’Europa in un mo-mento di crisi istituzionale.La scuola delle competenze e l’insegnamento della storiae della geografia nel rinnovato e talora caotico quadro nor-mativo e didattico costituiscono, infatti, il preambolodella società futura, che, priva di un passato con cui rela-zionarsi e confrontarsi, rischia di non trovare alcuna di-rezione logica dotata di senso, al punto che autorevoli an-tropologi si stanno interrogando sulla scomparsa delconcetto di tempo nella società contemporanea, cristal-lizzata in un eterno presente, senza un passato, ma anchesenza uno scopo futuro. La scuola deve invece raccordare

StoriaIgor Campagnola

questi tre tempi senza tralasciarne nessuno, perché inse-gna il passato agli studenti presenti che sono in nuce i cit-tadini della società di domani.È necessario allora proporre un curricolo coeso e coerentefinalizzato a una verifica reale delle competenze di “Cit-tadinanza e Costituzione” che non solo salvi l’insegna-mento della geografia e della civiltà greco-romana, mache anzi rilanci proprio la storia costituzionale e la geo-grafia urbana della polis classica come nucleo fondantedelle nuove indicazioni nazionali per il curricolo dellascuola secondaria superiore di secondo grado attualmenteancora da scrivere. A oggi l’insegnamento di “storia e geografia” presenta dueambiguità epistemologiche e programmatiche che oc-corre chiarire e a cui bisogna dare delle risposte concretenella prassi didattica: la prima ambiguità riscontrabilenella consultazione del profilo unico delle competenze di“storia e geografia” disposto dal Miur riguarda l’uso di-sinvolto dei termini “storia”, “geografia” e “geostoria” alfine di delineare un percorso formativo nel quale le duematerie suddette sono talora trattate come discipline a séstanti, talora come un’unica disciplina. Se da un lato sem-bra di percepire nell’impostazione generale una pregevolerivisitazione della distinzione fra storia e geografia in di-

rezione di un unico nuovo ambito del sapere geostorico,dall’altro lato le due discipline rimangono separate nel-l’indicazione dei temi da trattare; nella pratica concreta gliinsegnanti hanno quindi adottato due manuali distinti perdue discipline distinte, come in precedenza, e hanno di-viso le tre ore a disposizione più o meno a metà, più fre-quentemente privilegiando l’insegnamento storico ri-spetto a quello geografico.I manuali in adozione sono ancora divisi fra le due disci-pline perché le competenze indicate dal Miur sono sepa-rate e non è quindi riuscito il tentativo di collegare i duepercorsi disciplinari al fine dello sviluppo di un unico pro-filo cognitivo, come emerge consultando il profilo unicogenerale delle competenze che gli studenti devono svi-luppare al termine del primo biennio del percorso liceale:nelle indicazioni nazionali suddette della geostoria non ri-mane, infatti, che una mera “prospettiva”. Come collegare allora i contenuti e gli obiettivi distintidelle due discipline, tenendo conto anche della necessa-ria sintesi imposta dal taglio del monte ore a disposizione?È possibile creare delle indicazioni nazionali anche per lascuola secondaria di secondo grado che prevedano un cur-ricolo per il primo biennio davvero coerentemente e cor-rettamente geostorico? Quale ruolo può e deve giocare la

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storia antica, in particolare greca e romana, ai fini della de-finizione di questo nuovo percorso, visto che pare ormaievidente, e forse neppure auspicabile, se non per la meraquantità di ore scolastiche a disposizione, un ritorno al-l’insegnamento disgiunto della storia da quello della geo-grafia?La seconda ambiguità, allo stato attuale dell’arte, riguardala certificazione obbligatoria delle competenze chiave dicittadinanza disposta dal Miur, ovvero l’accertamento, lavalutazione e la certificazione di alcune capacità effetti-vamente raggiunte (o non raggiunte) dagli allievi al ter-mine dell’obbligo scolastico. Tali competenze sono di-verse dagli obiettivi specifici delle singole discipline,anche se con queste devono dialogare necessariamente,perché sono gli stessi insegnanti delle materie curricolaridel consiglio di classe a stabilire come verificare e valu-tare il raggiungimento delle competenze. Più in partico-lare il d.d.l. 1/8/2008 e il d.l. 1/9/2008 n. 137, convertitonella legge 30/10/2008, n. 169, stabilisce l’introduzionedi un curricolo obbligatorio di “Cittadinanza e Costitu-zione”.È evidente che il docente di “storia e geografia” ha unruolo centrale, anche se non esclusivo, nella valutazionedelle competenze di “Cittadinanza e Costituzione”, chepresentano degli obiettivi specifici da raggiungere e va-lutare, con tre indicatori di livello (base, medio, alto). Nelcaso in cui invece il consiglio di classe decida, principal-mente su proposta del docente di “storia e geografia”, dinon certificare il raggiungimento di tali competenze, ilmancato raggiungimento di tali obiettivi da parte di unostudente deve essere motivato per iscritto sulla base di at-tività e prove di verifica effettivamente svolte dallo stu-dente ai fini del conseguimento delle competenze di “Cit-tadinanza e Costituzione”, con l’indicazione di obiettivipiuttosto generici ma allo stesso tempo complessi e di nonfacile misurazione oggettiva e valutazione scientifica.Sono sufficienti, allora, circa 33 ore scolastiche currico-lari per raggiungere tali obiettivi? Se sembrano poche, oc-corre ricordare che, in tutto, la disciplina “storia e geo-grafia” dispone all’incirca di non più di 99 ore in unanno scolastico: tenendo presente tale situazione si com-prende agevolmente il motivo per cui ben poche scuole,pur nei limiti della propria autonomia, abbiano effettiva-mente richiesto agli insegnanti di “storia e geografia” diattivare un percorso specifico di “Cittadinanza e Costitu-zione” usufruendo esclusivamente del proprio monte orecurricolare. Sono divenuti, allora, oggetto di valutazione ai fini dellecompetenze di “Cittadinanza e Costituzione” i vari pro-getti attivati dalle scuole, che spaziano dall’educazionestradale all’educazione alimentare, considerando anche le

eventuali attività di autogestione messe in atto dagli stu-denti: insomma, un mare magnum che crea confusione neidocenti, negli studenti e nelle famiglie, rendendo di fattovana la certificazione delle competenze. È quindi neces-sario un ripensamento complessivo di che cosa sia possi-bile realisticamente ancora mantenere in un curricolo di“storia e geografia”, che dovrebbe essere rivolto, o almenofortemente improntato, alla formazione di competenze ci-viche e costituzionali reali e verificabili.Anche nel caso dell’introduzione dell’insegnamento delladisciplina detta “Cittadinanza e Costituzione” è evidenteil fatto che, a fronte di un pregevole intento di voler col-legare il sapere scolastico alla vita reale in cui gli studentivivono, operano e dovranno confrontarsi una volta adulti,non si riesca poi però realmente a creare un collegamentologico e consequenziale con il curricolo disciplinare “geo-storico”. Il legislatore che ha delineato la nuova scuoladelle competenze ha ragionato sostanzialmente per accu-mulo, come se fosse possibile nella pratica scolasticaquotidiana dedicare un’ora alla storia, una alla geografiae una alla cittadinanza. Manca però a mio avviso un cur-ricolo unitario volto a creare una rete di conoscenze ecompetenze collegate fra loro che aiuti non solo gli allievi,ma anche gli insegnanti, a orientarsi bene nel nuovo pro-filo cognitivo delineato in teoria dal percorso proposto,per esempio, nel Documento d’indirizzo per la speri-

mentazione dell’insegnamento di “Cittadinanza e Costi-

tuzione” del 4 marzo 2009.La valutazione delle conoscenze storiche e geografiche èquindi solo una parte del complesso lavoro docimologicodi cui è responsabile il docente nella scuola delle com-petenze, competenze storico-sociali da una parte, soloparzialmente riconducibili alle conoscenze disciplinari, ecompetenze di cittadinanza dall’altro, collegate all’inse-gnamento di Cittadinanza e Costituzione, ma non riduci-bili a un modulo a sé stante con un numero di ore e di ar-gomenti da trattare secondo parametri esclusivamenteteorico-didattici.Solo creando un sistema ordinato e coerente nella perce-zione dello studente, che comprende così l’importanzadella riflessione politica antica in rapporto a quella con-temporanea, di cui sarà chiamato a essere membro attivoin futuro, si otterrà non solo un buono studente e un buoncittadino, ma anche una persona che interagisce con ilgruppo senza perdere la propria autonomia di pensiero edi riflessione critica sul presente e sul passato indispen-sabile per la costruzione del futuro.

Igor Campagnola

Docente I.I.S. “Enrico Fermi” - Arona (NO)

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Lo scopo di questo contributo è quello di presentareai colleghi un’esperienza che ha coinvolto diretta-mente gli alunni in un’attività di ricerca, rinveni-

mento, documentazione di reperti e di successiva rico-struzione del relativo contesto storico. L’attività si puòsenz’altro inserire nel piano annuale di lavoro di storia odi storia e geografia, negli indirizzi di studio in cui l’in-segnamento delle due discipline è congiunto. Di fatto, idocenti di storia inseriscono l’analisi delle fonti tra gliobiettivi di apprendimento specifici, affrontando quasisempre la questione nella fase iniziale dell’anno scola-stico, in una lezione rivolta a una classe prima superiore.Nella maggior parte dei casi, si torna su questo aspetto allaconclusione di un’unità di lavoro, prendendo in esame gliappositi documenti proposti dal manuale e verificandonela comprensione attraverso domande mirate.Pur riconoscendo la correttezza di questa modalità ope-rativa piuttosto diffusa, ci si è chiesti se potesse essereutile un approccio diverso, di tipo pratico, tale da con-sentire un coinvolgimento diretto degli studenti. La ri-sposta a questa esigenza è arrivata da una disciplina au-siliaria della storia: l’archeologia. Non a caso, leIndicazioni Nazionali di storia comuni al biennio sottoli-neano la necessità di operare una «riflessione sulle fontistoriche» anche attraverso il «contributo di disciplinecome l’archeologia».Ma cosa intendiamo con la parola archeologia? In realtà,quale concetto di archeologia si è insinuato nelle strutturecognitive dei nostri allievi? Che cosa avviene duranteuno scavo? Quali informazioni ci fornisce?

Lo scavo simulato come laboratorio didatticoLa soluzione migliore per rispondere concretamente aqueste domande sarebbe quella di impegnare la classe inuno scavo. Tuttavia la cosa risulta davvero complicata siaper motivi di carattere burocratico sia per motivi di sicu-rezza. Si è pensato così di ricorrere a un’alternativa: rea-lizzare la simulazione di uno scavo archeologico diretta-mente a scuola.Prima di procedere alla descrizione delle fasi di lavoro,non è superfluo proporre una riflessione. Lo scavo ar-

cheologico avviene in un sito, individuato sulla base di te-stimonianze materiali, vale a dire i reperti. I concetti di“sito” e “reperto” rimandano a due coordinate fonda-mentali: il sito rimanda allo spazio; il reperto, indivi-duato nel sito, cioè in uno spazio, rimanda anche al tempo.Ora, il concetto di spazio riguarda sia l’ambito geograficosia quello storico: ne consegue che lo spazio è l’elementofondamentale che accomuna la storia e la geografia, nona caso riunite in una sola materia negli indirizzi liceali.In relazione ai reperti, a quale disciplina si possono col-legare? Di per sé essi non parlano, ma suscitano delle do-mande, alle quali noi li facciamo rispondere. In altre pa-role, essi non sono incasellati in una disciplina, ma hannola capacità di fornire informazioni che si riferiscono a variambiti. Da queste considerazioni si evince che in un’espe-rienza di scavo simulato possono essere coinvolti do-centi di diverse discipline.L’idea di coinvolgere gli alunni in un’attività pratica,come lo scavo, è partita da due docenti dell’indirizzoclassico del liceo Bocchi-Galilei di Adria, i quali seguonocon vivo interesse le attività didattiche del Gruppo Ar-cheologico Adriese, sezione del CPSSAE, da anni impe-gnato nella promozione e nella diffusione della cono-scenza del patrimonio storico-archeologico locale.Il presidente del Gruppo ha appoggiato l’iniziativa, isti-tuendo per l’occasione una squadra di lavoro costituita dadue archeologi professionisti e dai due docenti che ave-vano richiesto l’intervento. Negli incontri di program-mazione dell’evento si è stabilito unanimemente di crearele condizioni adatte perché gli studenti potessero recupe-rare le conoscenze utili all’apprendimento grazie a input

adeguati, ricorrendo a informazioni generalmente note adiscenti del biennio della scuola superiore. La lezione in-troduttiva, pertanto, si è basata sulla “messa a punto” deirequisiti posseduti dagli alunni, attraverso l’uso di ap-propriati strumenti didattici, rappresentati da immagini edocumenti inerenti all’archeologia e alla storia.La fase di accertamento dei prerequisiti è stata seguita dadue step. Il primo ha riguardato i diversi tipi di fonte e iconcetti generali di storia e di archeologia, con particolareriferimento alla dimensione locale; la verifica è consistita

Storia e Archeologia: per un percorso interdisciplinareAntonio Fabris, Lorenzo Fabbri, Milena Mimmo, Edoardo Zambon

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 89

PROGRAMMAZIONE

in un test scritto individuale a domande aperte. Il se-condo step ha invece riguardato i concetti di sito e discavo impiegati in ambito archeologico; la verifica è con-sistita proprio nello scavo simulato in cassone. Per comodità didattica, si riporta di seguito una tabella incui sono indicate le operazioni relative al primo e al se-condo step.

Lo scavo in cassone: la fase preparatoriaLo scavo archeologico simulato ha rappresentato la fase piùimportante del progetto didattico: riprendendo nella praticale nozioni apprese, gli studenti hanno assimilato concreta-mente le conoscenze di base della metodologia archeolo-gica, che sono fondamentali per i ragazzi intenzionati a pro-seguire gli studi universitari nell’ambito archeologico.Nel corso di questa fase, gli studenti hanno acquisito le se-guenti abilità: apprendere il lessico specifico utilizzatonella prassi del procedimento di scavo archeologico; ado-perare correttamente la trowel, cioè la cazzuola per l’ar-cheologo (primo strumento indispensabile per rimuovereil terreno attorno al reperto e procedere all’estrazione delmanufatto senza rovinarlo); individuare e distinguere imanufatti; realizzare un disegno; documentare e fotogra-fare una sezione stratigrafica e gli oggetti ritrovati; redi-

gere una precisa documentazione dello scavo con il sup-porto di un esperto.L’operazione preparatoria è consistita, innanzitutto, nel-l’acquisto, nel trasporto e nella predisposizione del ma-teriale necessario all’approntamento dell’area di scavo,alla composizione delle tombe e alla documentazione. Lascelta del luogo in cui effettuare la simulazione è stataoperata tenendo conto sia delle condizioni climatiche delperiodo sia della necessità di disporre di uno spazio am-pio, dotato di sedie, tavoli e di un piccolo vano destinatoal deposito dei materiali, nonché di un lavandino per il la-vaggio dei reperti. Nel caso in cui si decidesse di realizzare l’esperienza al-l’aperto, all’inizio o alla fine dell’anno, o comunque inpresenza di condizioni climatiche favorevoli, si racco-manda, naturalmente, attenzione per la protezione dalsole, sia dell’area sia delle persone, con l’uso di ombrel-loni e di cappelli. Si riporta di seguito l’elenco dei materiali necessari.1. Per la composizione delle tombe: due cassoni lignei dimodesto ingombro di misura, in metri, 1 x 1 x 1; sacchidi terra e sabbia per il riempimento dei cassoni e la crea-zione della stratigrafia; resti di legni; arbusti; radici; fram-menti ossei combusti (a scelta tra resti suini, ovini, bo-vini); pietrame o sassolini.2. Reperti archeologici, per la composizione delle tombe:urne cinerarie con coperchi; balsamari; ceramiche di va-rie forme; bronzetti; conchiglie e tessere di mosaico; lu-cerne; monete; pesi da telaio; monili.3. Per lo scavo e la documentazione: teloni di plastica pro-tettivi da stendere sul pavimento (per attività interna);guanti leggeri (da giardinaggio); trowel-cazzuole; pa-lette; secchi di plastica; bisturi; spazzoline; pennelli; la-vagnette e gessi; un metro per le misurazioni; tavola diMunsell per l’esatta definizione dei colori; freccia-indi-

STEP 1

Conoscenze

Definizione di storia (etimologia della parola).

Definizione di archeologia (etimologia della parola).

Definizione di fonte storica.

AbilitàDistinguere diversi tipi di fonte.

Cogliere le relazioni tra le fonti.

Verifica delle

conoscenze

Da dove deriva la parola storia?

Da dove deriva la parola archeologia?

Che cosa si intende per scavo archeologico?

Che cos’è una fonte storica?

Verifica delle

abilità

Distingui le fonti presenti nelle slide.

Quali informazioni ricavi dalle seguenti slide?

Osservando la pianta della città di Adria, indica iproblemi connessi all’indagine archeologica.

STEP 2

Conoscenze

Definizione di sito.

Definizione di scavo archeologico.Le fasi di uno scavo archeologico.

Abilità

Individuare e spiegare le operazioni connesse allaricerca archeologica (concetto di continuità diutilizzo).

Verifica delle

conoscenze

Che cos’è un sito?

Che cosa si intende per scavo archeologico?

Verifica delle

abilità

Svolgi le operazioni necessarie per eseguire unoscavo stratigrafico e recuperare i materiali.

Il metodo stratigrafico in archeologia. Un esempio.

catore del nord geografico; sacchetti di plastica per im-bustare i reperti; cartellini di carta; penne; pennarelli;carta millimetrata per disegni, planimetrie e sezioni stra-tigrafiche; squadre millimetrate e materiale per disegno;tavolette di supporto per disegno; macchina fotografica di-gitale; blocchi per appunti; un quaderno per il giornale discavo; schede di Unità Stratigrafica (U.S.) prestampate;setacci; cassoni di plastica per riporre il terriccio scavato(da utilizzare al posto delle carriole, se l’operazione sisvolge al chiuso).Nel nostro caso, la scelta ha previsto lo scavo di due tombea incinerazione fatte ricondurre al periodo romano, crono-logicamente riferibili al I secolo d.C.: le urne cinerariecontenevano i resti di una donna adulta e di un bambino.I cassoni sono stati allestiti in aula magna in orario po-meridiano, prima della simulazione con le classi.

Lo scavo con gli studentiLe classi sono stati divise in due gruppi, ognuno compo-sto da dodici studenti, che hanno formato due équipes in-dipendenti. All’interno dei due gruppi, uno per cassone,sono state individuate sei coppie, adibite a mansioni spe-cifiche: prima coppia: scavo; seconda coppia: misura-zioni e disegni; terza coppia: foto e rilevazioni; quartacoppia: recupero e imbustamento materiali; quinta coppia:ordine del sito, dei materiali e setaccio; sesta coppia: do-cumentazione scritta. Sotto la supervisione dei docenti specializzati che hannocoordinato le attività passo per passo, i ragazzi hanno ese-guito le diverse operazioni previste, rendendosi conto diquanto sia importante la documentazione stratigrafica. Difatto, lo scavo è sempre un’attività distruttiva, pertantodeve essere portato a termine in maniera scientifica: unadocumentazione corretta è essenziale per gli archeologiche dovranno studiare il sito.L’intervento ha avuto una durata complessiva di quattroore: sono stati impiegati 150 minuti per lo scavo; 90 mi-

nuti per la documentazione finale, il riconoscimento delletipologie, la datazione e il lavaggio dei reperti.

Obiettivi raggiuntiAttraverso lo scavo simulato, si è capito che da oggetti co-muni si deducono informazioni sulla vita quotidiana de-gli antichi.A conclusione delle attività, è stato assegnato agli studentiil compito di svolgere una relazione sull’esperienza discavo. Dalla lettura delle relazioni emerge che essi hannogradito il coinvolgimento diretto nelle operazioni, pro-vando viva emozione a eseguire personalmente ciò cheavevano visto solo in qualche documentario televisivo.Da parte di un certo numero di studenti, è stata presentataagli organizzatori la proposta di consentire la partecipazioneattiva a ognuna delle fasi di lavoro. A riguardo, occorre va-lutare due aspetti: 1. la decisione di assegnare mansioni spe-cifiche a coppie di studenti era stata presa per la necessitàdi portare a termine l’intervento nei tempi stabiliti; 2. di-versi studenti hanno svolto con rapidità i loro compiti. Alla luce di queste considerazioni, tenuto conto dei tempimedi di lavoro, nella programmazione del successivo in-tervento è stata presa in considerazione l’ipotesi di asse-gnare più tempo (cinque ore) agli studenti, in modo da met-terli nella condizione di essere impiegati in più operazioni.La partecipazione a uno scavo, seppure simulato, ha di-mostrato che il lavoro dell’archeologo richiede ordine,precisione, concentrazione e calma. Anche se lontano dacerti modelli romantici e avventurosi che fanno parte del-l’immaginario, non per questo tale professione risultameno interessante e priva di soddisfazioni. Non sembra superfluo rilevare che, in seguito a questaesperienza, due alunni hanno chiesto e ottenuto di potereffettuare lo stage estivo presso il Museo ArcheologicoNazionale di Adria, entrando in contatto diretto con i re-perti del territorio polesano.

Antonio Fabris, Lorenzo Fabbri

Docenti, liceo Bocchi-Galilei, Adria

Milena Mimmo (archeologo professionista)

Edoardo Zambon (archeologo)

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV90

PROGRAMMAZIONE

Collana in oro e granati (I-II d.C.) rinvenuta durante gli

scavi all’Ospedale Civile di Adria (ww.beniculturali.it).

� BIBLIOGRAFIA �

A. Carandini, Storie dalla Terra. Manuale di scavo archeologico,Einaudi, Torino 2000.C. Renfrew, P. Bahn, Archeologia. Teoria, metodi, pratica,Zanichelli, Bologna 2006.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 91

PROGRAMMAZIONE

Questa terza riflessione su “geografia, didattica eprogettazione curricolare” appare dopo le prece-denti che sono apparse nelle pagine di Nuova Se-

condaria dei numeri di settembre 2014 e settembre 2015,con l’intento di iniziare una discussione intorno ai valorieducativi di una disciplina (la geografia, appunto), oramaiquasi scomparsa nel panorama delle materie oggetto distudio nella scuola secondaria, sia di primo sia di se-condo grado.Nella prima di queste analisi (2014) avevamo esposto ilnuovo quadro in cui la geografia era presente negli ordi-namenti curricolari dopo che la riforma del 2010 ne avevasancito la scomparsa da moltissimi indirizzi, “confinan-dola”, come disciplina con una qualche importanza ai finidella costruzione del Profilo educativo, culturale e pro-fessionale del II ciclo, esclusivamente nell’istituto tecnicosettore economico, a indirizzo turistico, ove è materia“d’indirizzo” nel secondo biennio e nel quinto anno.Se l’aggiustamento introdotto dalla ex ministro Carrozza(l’ora di geografia in tutti gli istituti tecnici e professio-nali di ogni ordine) non può essere disvalutato per aver ri-portato in auge la riflessione sulla nostra disciplina, essotuttavia consta di tanti e tali problemi didattico-formativi(18 ore in 18 classi, solo un anno e solo nelle primeclassi) da risultare, nella pratica didattica, mortificante.A ciò si aggiunga la perplessità di molti dirigenti scola-stici che hanno considerato questa ora aggiuntiva un veroe proprio “abuso ministeriale” da osteggiare, svalorizzarequando non addirittura da abolire (nel senso che essa èstata assegnata a docenti di materie affini atipiche o ad-dirittura a docenti senza alcuna attinenza culturale con lageografia).La seconda analisi (2015) è stata più squisitamente epi-stemologica, nel senso che ha inteso dare delle chiavi dilettura ai nostri docenti-geografi, per meglio perseguire,attraverso il loro impegno didattico, i valori fondantidella disciplina che insegnano. Una riflessione rivolta,quindi, a stimolare maggiormente la creatività dei colle-ghi, facendoli sentire parte di una rete di insegnanti iquali, per tramite delle attività e della ricerca scientificadelle Società geografiche, (Società Geografica Italiana,Società di Studi Geografici, Associazione dei GeografiItaliani, e Associazione italiana insegnanti di geografia,

Aiig), possono ancora sperimentare, creare e far valereproficuamente il proprio amore per la geografia nei con-fronti dei nostri allievi.La disciplina studia lo spazio geografico e il rapporto del-l’uomo con l’ambiente. Nell’educazione del XXI secoloquesti due aspetti hanno acquisito una nuova dimensioneche supera i confini geografici, ma che consentono unaloro corretta gerarchizzazione orientandosi verso l’inter-disciplinarità. Si tratta, quindi, di un’educazione geogra-fica che deve essere in grado di affrontare l’interpreta-zione della configurazione ambientale e spaziale dellaTerra e dell’organizzazione umana dello spazio attra-verso i suoi principi di localizzazione e mappatura.L’importanza di coniugare una prospettiva geograficaricca di valori culturali e ambientali connette la geogra-fia verso una capacità di trasformare e utilizzare le innu-merevoli componenti del pianeta Terra intrecciandosi conmolte altre discipline ma salvaguardando la peculiaritàdell’approccio, che rimane tipicamente geografico.

GeografiaAntonio Danese, Sabrina Malizia

Eleuterio Pagliano, Lezione-di-geografia, 1880, Fondazione

Cariplo, particolare.

In questa terza riflessione sul tema non si può non partireche dal d.P.R. n. 19 del 14/2/2016 (Regolamento recante

disposizioni per la razionalizzazione ed accorpamento

delle classi di concorso), che ha approvato, con otto annidi ritardo, le nuove classi di concorso per le scuole di ogniordine e grado.Il d.P.R. n. 19/2016 sancisce, dopo aspre battaglie portatecontro l’abolizione definitiva e totale della geografia (dicui di chiedeva una dissoluzione completa all’interno dialtre classi, quali scienze naturali, materie letterarie,scienze giuridiche ed economiche ed altre ancora), lapermanenza e la indipendenza della nostra disciplinaidentificata come classe A-21, al posto della vecchia39/A.Restano ferme le classi di concorso trasversali, A-22 (ex43/A), Italiano storia e geografia nella scuola secondariadi I grado, A-12 (ex 50/A), Discipline letterarie nellascuola secondaria di II grado, e A-13 (ex 52/A), Disciplineletterarie, latino e greco nei licei classici, che nei rispet-tivi indirizzi possono insegnare geografia (scuola media,2 ore settimanali nelle tre classi) e geostoria (scuola di IIgrado, 1 ora a settimana nel primo biennio).Tenendo ben presente, quindi, le considerazioni in pre-messa, la riflessione è qui rivolta a una rielaborazione, inchiave didattico-critica, del curriculum presente nell’unicoindirizzo scolastico ove la geografia è presente per tuttoil quinquennio, ovvero l’indirizzo turistico dell’istitutotecnico economico.Sarebbe importante, oggi, superare la concezione, se-condo la quale la geografia era una disciplina “solo” damemorizzare anche senza un doveroso approfondi-mento. La base epistemologica della geografia pone lesue radici sulle relazioni tra ambiente, economia, so-cietà e cultura. Si dovrebbe giungere a una didattica in-terculturale che, insieme a una pedagogia delle diffe-renze, possa fornire un puntuale approccio culturale eun confronto aperto dove si considera l’altro non piùuna minaccia ma una risorsa. Abbandonare i paradigmietnocentrici in favore di nuove prospettive per unmondo pluriculturale.Partendo tuttavia dalla normativa, e in particolar modo daquanto previsto nell’Allegato B/2 al Regolamento attua-tivo per gli istituti tecnici economici, che individua tuttele discipline, fra cui la geografia turistica può notarsi chela tabella Miur riprende (purtroppo) nuovamente quantogià detto per il Profilo educativo, culturale e professionale(Pecup) nei termini generali, evidenziando una non troppocelata superficialità nel modo col quale è stato redatto ildocumento ministeriale.Trattasi di mere elencazioni delineate come competenze,ma l’approccio per problemi sembra quasi assente e an-

che l’analisi semantica evidenzia ripetitività e monotonia.Sembra che il Miur non si sia troppo impegnato nel defi-nire strategie di comprensione del fenomeno geoturisticoin chiave strategica e critica, avvalorando spesso unaconfusione fra conoscenze e competenze che si riflettesull’insegnamento, soprattutto dei docenti meno coin-volti e “aperti” nell’elaborare nuovi approcci pedagogiciche vadano oltre una didattica meramente descrittiva e distampo regionalista che ha sempre caratterizzato gli studigeografici.Un modello imperniato sull’apprendimento degli alunnideve necessariamente superare l’approccio educativo cen-trato su un tipo di insegnamento troppo spesso trasmissivoed espositivo.Per consentire questo nuovo modellamento degli obiettivi,la programmazione deve tenere in considerazione la per-cezione positiva di sé, il senso di appartenenza e il sensodi autoefficacia.Aspetti tutti favoriti da un clima tendente naturalmente al-l’interazione e al confronto paritetico fra i dubbi posti daidiscenti ai docenti e fra le ipotesi risolutive prospettate daquesti ultimi. Da qui la necessità di puntare gli obiettivieducativi verso un apprendimento significativo, prodottoda saperi autentici; che possa precedere lo sviluppo.La geografia, prima fra tutte, deve evitare la generalizza-zione concettuale in nome del superamento degli stereo-tipi che una società globalizzata non può e non deve so-stenere. Una programmazione che favoriscal’esplorazione positiva delle realtà geografiche deve ini-ziare dalle risorse sociali, culturali ed economiche pergiungere alla conoscenza reale dell’altro che, insieme ame, forma una comunità globale. Procedendo con una co-struzione dei contenuti autentici non calati dall’alto macostruiti dal basso.Per tale motivo è opportuno qui proporre, invero, un ap-proccio didattico alternativo, non certamente distruttivo diquanto fatto finora, ma certamente finalizzato a una di-dattica per competenze indispensabile a far acquisire nel-l’allievo una dimensione geografica “per problemi, valorie fini”.Che porti a sviluppare la capacità di valutare criticamentee creativamente la realtà geografica e, quindi, di pensareglobalmente e agire localmente agevolando così la crea-zione del pensiero divergente che sir Ken Robinson iden-tifica come il tassello necessario per lo sviluppo del pro-

blem solving.Che induca quindi il giovane diplomato a una compren-sione del fenomeno turistico in chiave critico-costrut-tiva, per acquisire una dimensione professionale attiva euna partecipazione cosciente ai fenomeni di globalizza-zione di questa “nuova industria” economica.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV92

PROGRAMMAZIONE

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 93

PROGRAMMAZIONE

Per un curriculum verticale orientato alle competenzeDa sempre i manuali scolastici di geografia, che con-cerne il turismo, sono caratterizzati da due ordini di pro-blemi.● Nel primo ordine sono riconducibili tutti quei testi in cui

l’approccio semantico è carente generando confusionefra “geografia del turismo” e “geografia turistica”;

● Il secondo riguarda l’approccio pedagogico-didattico,ovvero se di stampo regionalista o di stampo costrutti-vista.

La prima difficoltà è spesso superata più facilmente, inquanto spetterà all’insegnante far rilevare agli allievi chel’aggettivazione del sostantivo geografia non è mera-mente ortografica ma sottende:● nel primo caso (geografia del turismo), una visione più

squisitamente teorica della disciplina, con una inizialeanalisi delle teorie spaziali sul turismo e poi una elen-cazione e analisi delle caratterizzazioni più importantidella disciplina quali, per esempio, le risorse turistiche,gli spazi turistici, gli attori del turismo, le politiche delturismo, la legislazione del turismo, in generale unastrutturazione più prettamente “problematicista”;

● nel secondo caso (geografia turistica), una visione piùprettamente “pragmatica/professionale” ovvero distampo regionalista – descrittivista, ove il discenteviene accompagnato ad approfondire i luoghi e glispazi turistici al fine di divenire poi, alla fine del per-corso di studi, capace di “analizzare l’immagine del ter-ritorio (…) per riconoscere la specificità del suo patri-monio culturale” nonché “riconoscere gli aspettigeografici ecologici, territoriali dell’ambiente naturalee antropico”.

Quali siano le migliori strategie da ottemperare per ilraggiungimento dei fini di competenza non è facile sta-bilire a priori poiché ogni decisione va rimessa alla for-mazione culturale, pedagogica, didattica e si direbbe qui,“relazionale e cooperativa” del singolo docente.Per lo sviluppo delle competenze individuali diventa difondamentale importanza un giusto potenziamento dellametacognizione così come voluto da Vygotskij permezzo della valorizzazione della dimensione socialedei processi mentali. Ne deriva l’importanza di alcuni in-dicatori della qualità didattica che una corretta pro-grammazione deve assicurare. Il clima della classe èsempre caratterizzato dalla presenza di eterogeneità cheè un dato reale e che, una corretta programmazione,deve considerare nella progettazione delle unità di ap-prendimento.

L’approccio metacognitivo rappresenta una prassi didat-tica importante per promuovere e sostenere lo sviluppo dicapacità complesse in tutti i discenti. La sua capacità difocalizzare sulle proprie caratteristiche cognitive e di mo-nitorare i propri processi di pensiero, porta i soggetti informazione a sviluppare le specifiche competenze socio-emozionali. La metacognizione applicata alla geografia,quindi, è adatta a formare menti creative e plurali, criti-che e aperte, nate nel nuovo assetto sociale, caratterizzatada una globalizzazione culturale, dalle attuali migrazioniplanetarie nonché dalle interdipendenze politiche ed eco-nomiche.È partendo da quanto appena detto che in questa sede siproverà a trovare la soluzione in una “graduazione deicontenuti nel curricolo verticale” dell’insegnamento dellageografia nell’istituto tecnico economico a indirizzo tu-ristico che, fortunatamente prevede una strutturazioneverticale: 3 ore in prima e 3 ore in seconda classe, seguiteda 2 ore in terza, quarta e quinta classe.In tale curricolo, sufficientemente ampio, il docente (o ilDipartimento) potrà graduare e strutturare un percorso ilquale, partendo, nel primo biennio, da una analisi e ap-profondimento dei grandi quadri regionali turistici portipoi l’allievo, nel secondo biennio e quinto anno, ad af-frontare un approccio per problemi e per criticità.Un primo biennio, quindi, rivolto allo studio del patri-monio culturale e ambientale dell’Italia, dell’Europa edei “grandi sistemi geografici extraeuropei”, per poigiungere, a partire dalla classe terza, a una programma-zione per “problemi-e-competenze” da analizzare e rag-giungere.A tal fine si può in questa sede, solo a fini esemplificativi,enucleare una serie di aree tematiche rivolte all’acquisi-zione di competenze, tipiche della geografia degli spazituristici. Ci vengono in aiuto le teorie spaziali elaboratedai grandi geografi del turismo, che qui possiamo sinte-tizzare per temi:1. l’attrattiva;2. l’accessibilità;3. l’inventiva;4. l’ospitalità;5. gli eventi;6. la sostenibilità;7. la geopolitica del turismo mondiale.

Adattando e rielaborando uno schema proposto dall’au-tore di un libro di testo per il corso di geografia turistica1

si è costruita una tabella così strutturata (Tabella 1).

1. N. Salvatori, Corso di geografia turistica, Zanichelli, Bologna.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV94

PROGRAMMAZIONE

Tabella 1. Individuazione di obiettivi per competenza interdisciplinari - Secondo biennio e quinto anno

SEZIONE

TEMATICA

COMPETENZA,

SAPER

TRAGUARDO

FORMATIVO:

CONOSCENZE

INDICATORE

DI ABILITÀ

CONNESSIONI

INTERDISCIPLINARI

L’attrattiva

Le grandi città italianeed europee.I borghi medievali ita-liani ed europei.Città del Vaticano eSan Marino.I parchi archeologici.

Riconoscere gli aspetti geo-grafici, ecologici e territorialidella regione e del distrettoturistico.Individuare le connessionicon le strutture demografi-che, economiche sociali eculturali e le trasformazioniintervenute nel tempo.

Conoscere e saper ricono-scere le regioni e i distretti tu-ristici italiani, europei e in-ternazionali, in connessionecon le altre discipline stu-diate.

Riconosce, usa e interpretacarte tematiche turistiche re-lative alle regioni e ai distrettiin chiave interdisciplinare.Collega i principali prodottidell’economia con i territori.Riconosce gli elementi di in-novazione turistica.

Arte e territorioStoriaLetteratura italianaLegislazione turisticaMatematica e Statistica

L’accessibilità

Trasporti: aerei, tra-ghetti, crociere, ferro-vie. Turismo e pullman.Turismo e internet.

Progettare, documentare,presentare pacchetti e itine-rari turistici in chiave geore-ferenziata.

Conoscere le principali rottedei trasporti italiani e inter-nazionali.

Dimostra capacità di ricercae di raccordo delle cono-scenze acquisite per elabo-rare progetti e itinerari turi-stici georeferenziati. Riesce apromuovere in modo efficaceun prodotto turistico.

Discipline turistico-aziendaliTecnica dei trasposti

L’inventiva

Parchi ludici e parchiletterari. Turismo virtuale.

Intuire le possibilità nonusuali di un distretto turisticoe progettare una iniziativa tu-ristica finanziariamente so-stenibile.

Conoscere i principali di-stretti turistici dedicati algioco e al divertimento in Ita-lia, in Europa, nel mondo.

È in grado di svolgere ricer-che. Sa applicare i metodi perla corretta gestione di una at-tività turistica.

Scienze della TerraChimicaLetteratura italiana

L’ospitalità

Albergo diffuso (?).Turismo rurale; ter-male; religioso.

Utilizzare reti e strumenti in-formatici per ricerche e ap-profondimenti.Identificare e applicare me-todi e tecniche per la gestionedi progetti di ospitalità turi-stica.

Conoscere le principali ma-nifestazioni tipiche dell’at-trattiva geoturistica, comeevidenziate nella prima co-lonna.

È in grado di svolgere ricer-che. Sa applicare i metodi perla corretta gestione di una at-tività turistica.

Discipline turistico-aziendaliLegislazione del turismoMatematica e Statistica

Gli eventi

Turismo culturale.Venezia, la Biennale.Firenze, Pitti Uomo.Siracusa, le tragedieGreche (INDA).

Stabilire collegamenti con letradizioni culturali locali, na-zionali e internazionali, inprospettiva interculturale, aifini della mobilità di lavoro estudio.

Conoscere i principali eventiculturali nazionali, europeied extraeuropei, in una otticageoturistica e geopolitica.

È in grado di utilizzare le co-noscenze delle tradizioni cul-turali a fini lavorativi.Dimostra abilità argomenta-tive a fini geocommerciali.

Arte e territorioStoriaLetteratura italianaLegislazione turistica

La sostenibilità

Slow Travel.

Agriturismo.Cicloturismo.Slow Food.

Analizzare le caratteristichedel territorio per saper rico-noscere la specificità del pa-trimonio naturalistico, agri-colo, turistico, gastronomicoper individuare strategie turi-stiche integrate e sostenibili.

Conoscere le principaliforme del turismo sostenibilee integrato quali lo Slow Tra-

vel, lo Slow Food e l’agritu-rismo.

È in grado di riconoscere eapplicare i principi e le stra-tegie di implementazione esviluppo del turismo sosteni-bile su una specifica regionee/o distretto turistico.

Scienze della Terra ChimicaStoriaScienze motorieArte e territorio

La geopolitica del tu-

rismo

Turismo e distruzionedel territorio. I grandi Tour Opera-

tors

Internazionali.

Leggere, analizzare e com-mentare il mondo del turi-smo e i suoi legami con igrandi sistemi di potere mon-diali. Conoscere e riconoscere lelobby globali del turismo.Esprimere una propria valu-tazione critica ed etica.

Conoscere i grandi Tour

Operators mondiali.Conoscere le principali teoriesullo spazio turistico (?).Capire i danni del turismoalla cultura dei P.V.S. (?)

Analizza e rielabora dati sta-tistici geopolitici sull’econo-mia del turismo.Legge riviste specializzate equotidiani con spirito criticosoppesando l’attendibilità ela veridicità dell’informa-zione.

StoriaLegislazione del turismoDiscipline turistico-aziendali

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 95

PROGRAMMAZIONE

Dalla Tabella emerge con chiarezza il quadro formativostrategico da attuare in chiave di acquisizione di compe-tenze reali per l’inserimento nel mondo dell’industria tu-ristica.Possiamo strutturare il cammino graduale di inserimentodell’allievo nel percorso di acquisizione di consapevo-lezza delle proprie abilità/competenze, ad esempio, con uncurricolo verticale così immaginato (Tabella 2).Una programmazione rivolta, quindi, a obiettivi e com-petenze su scala quinquennale che traducano la geografiada una materia considerata spesso enumerativa e mne-monica in una disciplina professionalizzante basilare perl’acquisizione di competenze spendibili nel mondo dei la-vori turistici.Nella società del sapere, per definizione universale,un’identità sociale e culturale è trasmissibile soltanto inparte. Secondo un approccio di Life Long Learning eWide Long Learning essa sarà costruita durante l’interadurata temporale della vita e “a reticolo” essa dovrà es-

sere costruita non solo dalla scuola, la cui funzione èfondamentale, ma soprattutto dall’individuo stesso inse-rito in una collettività, dalla quale riceverà informazionidiverse provenienti da realtà distanti, attraverso la “con-taminazione” del contest familiare, professionale, socialee culturale. Questo è il fondamento stesso della cittadi-nanza in una società aperta, pluriculturale e democratica.Questo tipo di formazione offre al cittadino del XXI se-colo le risorse principali per essere capace di elaborare inmaniera critica le immagini e i dati che gli pervengonodall’esterno. Questi gli elementi chiave della formazionedel nuovo millennio secondo i più recenti documenti del-l’Unione europea e dell’UNESCO.

Antonio Danese, docente all’ ITI Archimede, Catania,

Consigliere Nazionale AIIG

Sabrina Malizia, docente all’ IISS V.E.Orlando, Militello in Val

di Catania, V.P.Aiig, Sicilia Sud Orientale

� BIBLIOGRAFIA �

G. De vecchis, G. Staluppi, Insegnare Geografia, idee e programmi, Utet Università, Torino 2007EUGEO, Dichiarazione di Roma sulla educazione geografica in Europa, Roma, 5 settembre 2013F. Farinelli, La crisi della ragione cartografica, Einaudi, Torino 2009.K. Robinson, Fuori di testa. Perché la scuola uccide la creatività, Centro Studi Erickson, Trento 2015.IGU (International Geographical Union), International Declaration on Geographical Education, in: http://igu-cge.tamu.edu/charters.htm 1992.Id., International Declaration on Geographical Education for Cultural Diversity, in: http://igu-cge.tamu.edu/charters_2.htm 2000Id., Lucerne Declaration on Geographical Education for Sustainable Development, in: www.igu-cge.org 2007L.S. Vygotskij (1934), trad. it., Pensiero e linguaggio, Giunti-Barbera, Firenze 1966; traduzione integrale Edizioni Laterza, Roma 1990.

Tabella 2. Ipotesi di curriculum geografico verticale

ANNI DI APPRENDIMENTO CONOSCENZE/COMPETENZE APPROCCIO PEDAGOGICO

Classe prima Le regioni turistiche italiane Descrittivista, con abilità

Classe seconda Le regioni turistiche europee Descrittivista, con abilità

Classe terza L’attrattivaL’accessibilitàL’inventiva

Problematicista/professionale

Classe quarta L’ospitalitàGli eventiLa sostenibilità

Problematicista/professionale

Classe quinta La geopolitica del turismo Critico/costruttivista

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PROGRAMMAZIONE

Come è noto, nonostante gli appelli e la mobilita-zione di docenti, storici dell’arte, associazioniculturali (Italia Nostra, Fai ecc.) e disciplinari

(prima fra tutte ANISA1) a favore della Storia dell’Arte,nonostante le molte promesse, la resurrezione promessadal Governo dopo la falcidia della Riforma Gelmini nonè avvenuta. Eppure il 28 maggio 2014, nelle sale delMAME (Museo Nazionale dell’Alto Medioevo), i mini-stri Dario Franceschini, dei Beni culturali, e StefaniaGiannini, dell’Istruzione, avevano firmato un protocollod’intesa che avrebbe condotto alla tanto agognata palin-genesi di una disciplina introdotta dal ministro GiovanniGentile con Regio Decreto fin dal 1923. Avevamo cosìsperato nella volontà di sanare anche quel divorzio san-cito nel 1974 da Giovanni Spadolini tra tutela dei beni cul-turali e istruzione, seguito da continui fallimenti per unpossibile dialogo tra educazione al patrimonio e scuola. Sono passati due anni e anche la legge n. 107/2015 nonha cancellato gli effetti della dieta artistica voluta dal de-creto legge 1º settembre 2008, n. 137 limitandosi a un pos-sibile, comunque aleatorio, potenziamento operato a sceltae discrezione dei dirigenti scolastici. Si continua dunquea privare le nostre generazioni di una disciplina straordi-nariamente formativa e a svilire l’imprescindibile e basi-lare rapporto tra il nostro impareggiabile patrimonio na-zionale e la formazione. Nonostante l’altissimapercentuale di beni artistici, di musei, di siti culturali pa-trimonio dell’UNESCO presenti in Italia, malgrado lenumerose iniziative comunitarie2, benché la lingua mo-numentale dell’Arte3 sia quella che ha reso unico il terri-torio italiano, questo è il quadro paradossale a partiredalla decima cominciata nel 2010: soppressi gli Istitutid’Arte, abolita la disciplina nel biennio degli istituti tec-nici economici con indirizzo “Turismo” (ove persiste console due ore settimanali nel triennio) e scomparsa in tuttigli istituti professionali, eliminato l’indirizzo “Beni cul-turali” al liceo artistico ove le ore settimanali dedicate alladisciplina sono passate da sette a tre, sparita la speri-mentazione al liceo classico che prevedeva l’insegna-mento anche al biennio.Da queste considerazioni prendono vita due piste di ri-flessione. La prima riguarda l’urgenza di un curricolo ver-ticale di educazione all’arte, offerto fin dalla scuola pri-

maria, che veda tale insegnamento articolarsi e inserirsinei vari gradi di studio in modo unitario e modulare, conrafforzamenti progressivi man mano che l’apprendimentoprocede verticalmente. Tale continuità impone ovvia-mente la presenza della disciplina nell’intero segmento discuola secondaria di II grado, cioè per la durata di tutto ilquinquennio e in tutti gli indirizzi scolastici, in modo daassumere centralità e funzione primaria e non il ruolo an-cillare o di “parent pauvre” in cui adesso risulta confinata.Viceversa «questo insegnamento è volano di principi chesostanziano l’identità della Nazione e al tempo stesso of-fre strumenti di crescita, coinvolgimento e motivazione dicui la scuola ha fortemente bisogno per vincere la sfidadell’educazione per il nuovo millennio. CLIL, scuola-la-voro, cooperative learning, didattica delle competenze: inuna sola disciplina si condensano le metodologie indivi-duate da tempo per rinnovare i processi dell’apprendi-mento. La bellezza può salvare la Scuola e forse anchel’Italia»4. Attraverso il curricolo verticale l’alunno ap-prenderà fin dal primo ciclo (alfabetizzazione visiva) lagrammatica del linguaggio visuale che costituisce la basedi partenza per avviare alla lettura delle opere d’arte e dialtre immagini come la pubblicità, il fumetto, la fotogra-fia, gli still da video e da film, linguaggi più vicini almondo dei bambini e degli adolescenti. L’introduzione diun livello più elevato di apprendimento della disciplinanel corso delle scuole superiori, condurrà gli allievi allacostruzione di un senso critico del presente che consistenella capacità di ragionare e interrogare i fatti facendo svi-luppare un senso civico per il futuro. Il primo biennio è

Arte e territorioMaria Domenica Abate

1. L’ANISA (Associazione Nazionale Insegnanti di Storia dell’Arte) un’asso-ciazione disciplinare senza scopo di lucro con sede a Roma il cui scopo priori-tario è la formazione professionale degli insegnanti di Storia dell’Arte, unita-mente alla promozione delle discipline artistiche in tutti gli ordini di studi, allatutela e alla divulgazione del patrimonio artistico.2. La Convenzione di Faro del Consiglio d’Europa, ad esempio, approvata in Por-togallo nel 2005, aggiornata nel 2011 dichiara: «La conoscenza e lo studio del

Patrimonio storico artistico rientrano nel diritto di partecipazione dei cittadini

alla vita culturale e al lavoro, come definito dalla Dichiarazione universale dei

diritti dell’uomo». Tale Convenzione è stata ratificata dall’Italia nel febbraio2013.3. La Storia dell’Arte era chiamata da Roberto Longhi “lingua degli Italiani”.4. Irene Baldriga, Presidente ANISA, “La storia dell’arte per un mondo migliore.La Bellezza come chiave di cittadinanza, identità, inclusione”, in Tuttoscuola,ottobre 2015.

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PROGRAMMAZIONE

fondamentale per la realizzazione e lo sviluppo di abilitàe competenze che si consolideranno negli anni successivi;risolutivi per la trasversalità dello studio con le altre di-scipline storico-umanistiche; decisivi per il successo for-mativo e l’apprezzamento stesso da parte degli studenti,il che può avvenire in modo proficuo attraverso opportunometodo, approfondimenti e progetti curricolari e tenendostrettamente insieme il curricolo formale con quello nonformale e informale, cioè con le conoscenze ed espe-rienze acquisite e maturate fuori dalla scuola.Tutto ciò non riguarda soltanto gli studenti liceali poichél’approccio estetico e storico crea le basi per un humus fer-tile e creativo cui attingere per riprogettare il futuro an-che in termini di nuova imprenditorialità, proprio perchésaranno sollevati sulle spalle dei giganti per fare riferi-mento alla celebre frase attribuita a Bernardo di Chartres.La seconda pista di riflessione riguarda invece non una au-spicabile proiezione futura ma la situazione attuale, valea dire come recuperare appunto il tempo perduto, come af-frontare il problema della “quantità” esigua delle ore di-sciplinari a disposizione nel finale secondo biennio equinto anno della scuola secondaria di II grado e, soprat-tutto, della “qualità” di tale insegnamento. Ad esempio,come possono i docenti di Arte e territorio, all’interno diun istituto tecnico economico a indirizzo Turismo, rin-novare il proprio metodo di insegnamento giacché da piùdi un lustro sono costretti a fare i conti con un programmaenciclopedico da svolgere con due anni in meno a dispo-sizione? Per una consuetudine di lavoro noi insegnanti ab-biamo conservato il criterio del percorso cronologicosvolto dalla preistoria verso le avanguardie e l’arte con-temporanea, poiché probabilmente si crede ancora che lacomprensione dell’arte può essere definita solo nel con-fronto con un prima e un dopo, aggiustando qua e là contagli e voli pindarici cercando soprattutto di non “perdere”tempo, data l’impressionante mole di lavoro da affrontare. Il d.P.R. 15 marzo 2010, art. 8, c. 3, per gli istituti tecnici,settore economico, indirizzo Turismo riporta nelle sue Li-

nee Guida la declinazione dei risultati di apprendimentoin conoscenze e abilità per il secondo biennio e quintoanno, in modo da fare conseguire allo studente al terminedel percorso quinquennale i seguenti risultati di appren-dimento relativi al profilo educativo, culturale e profes-sionale: «riconoscere gli aspetti geografici, ecologici, ter-ritoriali, dell’ambiente naturale ed antropico, leconnessioni con le strutture demografiche, economiche,sociali, culturali e le trasformazioni intervenute nel corsodel tempo; stabilire collegamenti tra le tradizioni culturalilocali, nazionali ed internazionali sia in una prospettiva in-terculturale sia ai fini della mobilità di studio e di lavoro;riconoscere il valore e le potenzialità dei beni artistici e

ambientali per una loro corretta fruizione e valorizza-zione». Vengono poi elencate le competenze indispensa-bili da conseguire e l’articolazione dell’insegnamento di“Arte e territorio” in conoscenze e abilità, «quale orien-tamento per la progettazione didattica del docente in re-lazione alle scelte compiute nell’ambito della program-mazione collegiale del Consiglio di classe».Un’attenta lettura permette di comprendere che è meglioabbandonare la velleità enciclopedica necessaria alla tra-smissione di tutte queste conoscenze seguendo il princi-pio nozionistico, quello cioè che riempie le teste degli al-lievi. «È meglio una testa ben fatta che una testa benpiena» diceva Edgar Morin5 riprendendo una frase diMontaigne; una “testa ben fatta” significa che invece diimmagazzinare conoscenze è importante che lo studenteabbia la capacità generale di problematizzare e di risol-vere i problemi secondo quei principi ordinatori che per-mettono di connettere i saperi e di dare loro un senso.Forse è preferibile allora privilegiare l’educazione allosguardo, uno sguardo che deve essere però allentato e nondistratto, diverso da quello cui sono abituati i nostri allievibombardati dalle immagini virtuali, effimere, veloci de-gli smartphone e dei computer, educandoli a fermarsi da-vanti all’immagine artistica, abituandoli a “vederla” ve-ramente per poterla analizzare nelle sue strutturegrammaticali e sintattiche. Meglio l’approfondimentometodologico allora, organizzando la propria program-mazione per nodi tematici, soprattutto alla luce di unaconcezione antropologica della disciplina che permette unapproccio più libero grazie alla ricchezza di presenze ar-tistiche disponibili sul territorio; esse parleranno agli al-lievi della storia delle cose e dell’ambiente in cui vi-vono, meritando una rinnovata attenzione che è la primaesigenza di un apprendimento che sia soprattutto stru-mento di formazione civica. Tenuto conto dell’esiguonumero di ore a disposizione e a fronte della complessitàdella disciplina, barricarsi sui sistemi tradizionali d’in-segnamento alimenterà soltanto un senso di impotenzasvantaggioso per gli insegnanti. L’ipotesi è quella di met-tere al centro del processo di insegnamento la motiva-zione dell’alunno e il desiderio di guardare con occhio in-terrogante, un occhio che vede per la prima volta i beniartistici della propria città.Il presente contributo allora intende fornire una possibilearticolazione in percorsi tematici trasversali che non sem-pre seguono uno sviluppo diacronico, ma sono strutturatiper sezioni monografiche, capaci di valorizzare i signifi-

5. E. Morin, La testa ben fatta, Riforma dell’insegnamento e riforma del pen-

siero nel tempo della globalizzazione, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000.

cati insiti ed espressi dall’oggetto artistico, secondo dif-ferenti livelli di analisi esaminati sia mediante opereesemplari, sia riconoscendone il valore entro il contestostorico-culturale di riferimento. Grazie a questo tipo di ap-proccio si potranno affrontare tutti i periodi storico-arti-stici e tutte le forme d’arte o settori in cui si esprime lacreatività umana ma sempre con una attenzione al terri-torio, sperimentando la lezione fuori dalle aule, per met-tere in relazione la teoria con la concretezza degli oggettie con il loro contesto geomorfologico, paesaggistico, ur-bano o extraurbano (emerge come indispensabile il lavorosinergico con discipline quali la Storia e la GeografiaTuristica). Conoscere, visitare e guardare consapevol-mente con occhio interrogante il proprio territorio, ana-

lizzarne l’imprinting e le sue stratificazioni significa ri-trovare la propria identità, trasformare il sapere in rac-conto biografico perché la scuola rappresenta «il luogoprivilegiato per esperienze nuove e stimolanti, non un’inu-tile appendice della vita quotidiana…»6. Una proposta di percorsi tematici per il secondo biennioe il quinto anno da inserire all’interno di una program-mazione di Arte e territorio.I percorsi tematici potranno essere arricchiti con schederelative alle principali tecniche artistiche, a specifiche

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PROGRAMMAZIONE

6. J.Bruner, La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano 1997.

SECONDO BIENNIO

● Definizione e funzione dell’Arte. Il ruolo dell’artista nei secoli. Strumenti di analisi di un’opera d’arte (descrizione del soggetto,analisi degli elementi del linguaggio visuale, individuazione dei valori espressivi).

● Le basi percettive del linguaggio artistico (i meccanismi della percezione, le leggi della configurazione, gli indizi di profondità, ● La rappresentazione della figura umana (la figura idealizzata della statuaria egizia, i kouroi e la ricerca di armonia e equilibrio

nell’arte greca, gli schemi cristiani di derivazione bizantina, la scultura medievale, lo studio dell’anatomia umana e la bellezza ideale nelRinascimento, realtà e sentimenti nelle figure del Barocco).

● Tecniche costruttive e tipologie edilizie (il sistema trilitico, la tholos, l’opus caementicium, l’arco e la volta, le architetture in pietra e inlaterizio).

● I luoghi di culto (i monumenti megalitici, il tempio greco etrusco e romano, le basiliche paleocristiane, le chiese romaniche e gotiche,l’equilibrio architettonico rinascimentale, il dinamismo barocco).

● L’arte come narrazione (le figurazioni nei templi greci, la Colonna Traiana e l’Ara Pacis, il Ciclo dei Mesi e la Biblia pauperum

medievale, la storia dell’umanità negli affreschi della Cappella Sistina, la forza della comunicazione nella statuaria barocca).● L’ambiente umano: la città, lettura del territorio e dell’ambiente urbano (modelli urbanistici: le città-palazzo, le città greche, l’agorà

e il foro romano, la città medievale, rinascimentale e barocca, la piazza).● Le immagini simboliche nell’arte (Iconografia e Iconologia, l’immaginario nel bestiario medievale, mostri e grotte nei giardini del

Cinquecento).● La rappresentazione dello spazio (lo spazio bidimensionale egizio e bizantino, le sperimentazioni medievali, l’innovazione

rivoluzionaria della prospettiva, l’illusionismo prospettico barocco).● Gli edifici con funzione abitativa (la casa preistorica, domus, villae e insulae romane, la casa a torre medievale, il palazzo e le ville

rinascimentali.● Esempi di generi iconografici (il ritratto, la natura morta, la scena di genere).

QUINTO ANNO

● Tutela, recupero, conservazione (i beni culturali e ambientali, l’idea di restauro tra Ottocento e Novecento, i Musei e le EsposizioniUniversali, le arti applicate, l’arte popolare tra festa e rito).

●La rappresentazione della figura umana (la figura umana nell’ideale neoclassico, il nuovo linguaggio ottocentesco e le statue di Rodin,la dignità del popolo nella pittura realista, la figura umana nelle opere impressioniste e postimpressioniste, la figura femminile nell’ArtNouveau, la deformazione espressionista e cubista, il movimento della figura futurista).

● La rappresentazione dello spazio (lo spazio tra metafisica e surrealtà, la frantumazione cubista).● La rappresentazione della storia (il valore educativo della storia antica nel Neoclassicismo, cronaca e storia nella pittura romantica, le

denunce dell’atrocità della guerra nell’arte del Novecento). ● Il paesaggio e il ritratto (il paesaggio romantico, pittoresco e sublime, i paesaggi impressionisti e postimpressionisti, i ritratti e gli

autoritratti di Van Gogh e di Cézanne).● Tecniche costruttive (l’architettura del ferro e del vetro nell’Ottocento, il cemento armato e l’architettura razionalista, vecchi e nuovi

materiali nell’architettura contemporanea).● Le scuole di Arti Applicate e l’industrial design (Arts and Crafts e Art Nouveau, l’esperienza del Bauhaus, il design contemporaneo).● Oltre la rappresentazione della realtà (l’astrattismo lirico e geometrico, l’immaginario nelle opere surrealiste).

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PROGRAMMAZIONE

1. Per una buona rassegna – in qualche modo storica – del controverso rapportoche ha segnato la comunicazione scientifica in relazione alla questione del cam-biamento climatico, si rimanda a R. Sartini, Il global warming, in Dragotto F.,Ferrazzoli M. (eds.), «Parola di scienziato. La conoscenza ridotta a opinione»,UniversItalia, Roma 2014, pp. 197-227. Nonostante questo il “controverso rap-porto” sembra non aver insegnato nulla, come racconta Pulcinelli che ha reso notii resoconti di leggibilità effettuati da linguisti provenienti da vari istituti di ricercaeuropei per le analisi sui rapporti stilati dall’IPCC, soprattutto quelli di sintesi,redatti ad hoc per i decisori politici: nonostante gli sforzi i rapporti restano pocoleggibili (C. Pulcinelli, Leggere il cambiamento climatico, «Micron. Ecologia,scienza, conoscenza», 32 (2015), pp. 21-24). 2. Almeno per il momento. Studi e proiezioni su questo tema ci dicono che le cosecambieranno. G. Dell’Ongaro, Il riscaldamento del pianeta influirà sull’econo-

mia globale, «Micron. Ecologia, scienza, conoscenza», 32 (2015), pp. 10-14.

letture d’opera esemplari, ad approfondimento monogra-fici; essi permetteranno inoltre di superare l’attuale scol-lamento temporale con altre discipline quale la storia e laletteratura italiana e straniera causato dalla cancellazionedella disciplina Arte e territorio al biennio.A garanzia di percorsi formativi significativi, importanteè riferirsi sempre alle presenze artistiche e ambientali delluogo e di incentivare le visite ai musei del territorio. Nelcoinvolgimento diretto e attraverso l’esplorazione per-sonale, gli allievi mostrano solitamente interesse e sisentiranno coinvolti attivamente, attraverso l’esperienza,in un’appropriazione personale e critica, sperimentandocosì «lo scandalo della fantasia, vale a dire le rotture co-gnitive, le trasgressioni interpretative, in nome di quel-l’emozione dell’apprendere che stimola la curiosità e at-tiva la creatività»7.Un’ultima annotazione riguarda la manualistica scola-stica e la sua crescente banalizzazione della disciplina, concontenuti affrontati in modo piatto e inefficace e un bel-lissimo apparato iconografico che sembra però veleg-giare sul mare del nulla, non risultando inoltre presente untesto specifico di indirizzo per la disciplina Arte e terri-torio. Nella situazione attuale il docente non può che af-frontare il carico della costruzione di prodotti confezionatiad hoc, schemi, mappe concettuali, itinerari turistici, pre-sentazioni e percorsi multimediali appositamente cali-brati in chiave didattica e questa sembra l’unica stradapraticabile se vogliamo accettare la sfida di una profes-sionalità rinnovata che lanci un messaggio chiaro: l’operad’arte deve tessere legami con la vita e deve essere assa-porata una volta scoperta, la scuola deve portare avantiuna sorta di lavoro preliminare per l’attivazione di pro-cessi più ampi, per aiutare a osservare e interpretare la re-altà. Claes Oldenburg diceva: «Sono per l’arte che si in-treccia con la vita di tutti i giorni e nello stesso tempo nesalta fuori. Sono per l’arte che il bambino lecca dopo avertolto la carta». Eliminando o soltanto ridimensionando lanostra disciplina si privano i cittadini autonomi e re-sponsabili di domani di competenze multitasking relativeal patrimonio artistico universale, a quello italiano, alpaesaggio, alle nostre città e quindi, in ultima analisi, allanostra identità storica e culturale di italiani.

Maria Domenica Abate

Docente, liceo G.Verga, Adrano

7. C. Bonelli, Il laboratorio come didattica dei prodotti, (a cura di Bernardi P.,Monducci F.), 2012.

Il testo che segue propone alcune riflessioni su po-litiche e scienza del clima alla luce delle tre “e”:energy, economy, environment (energia, economia,

ambiente).

Come si può vedere, verso la fine del grafico di Figura

1 a p. 100, più o meno in coincidenza con l’inizio del2016, vi è un impennata di interesse verso il tema del cam-biamento climatico che presumiamo essere dovuta allaconferenza mondiale di Parigi sul clima, COP21 (30 no-vembre - 12 dicembre), che poi viene meno in brevetempo. La percezione che i problemi legati al clima cisiano e abbiano una certa rilevanza è però ancora moltobassa1. La causa potrebbe essere imputata a due motivifondamentali, il primo al fatto di non soffrirne ancora “ab-bastanza”, almeno nei paesi occidentali2: accadono epi-sodi, ma tendono a essere percepiti come circoscritti,contingenti, legati alle bizzarrie del meteo più che a unmutamento concreto del clima. Quel che di tragico accadesta a latitudini remote, sulle calotte polari, lontane dai no-stri occhi e quindi dal nostro “sentire”.Il secondo motivo è di carattere “psicologico” ed è co-rollario (o forse causa) di questa osservazione: i muta-menti, per quanto repentinamente avvengano, hannotempi che solo negli ultimi anni si stanno confrontandocon quelli della vita umana. Giorno dopo giorno le cosecambiano – e per certe “soglie” già a partire da ora – sono

Scienze: clima e società Luciano Celi

cambiate per sempre, in modo irreversibile3. Senza untempo umano, confrontabile cioè con la vita del singolo,non c’è “narrazione”, perché la narrazione non è compresafino in fondo se già deve abbracciare due generazioni.Questo si comprende meglio osservando la Figura 2.Si tratta di un diagramma a dispersione in cui l’origine de-gli assi coincide con l’io, con ognuno di noi, un “noi” ilcui traguardo delle preoccupazioni, delle cose a cui pensa,è limitato nello spazio e nel tempo a ciò che ci sta più vi-cino (nello spazio e nel tempo).

Quanti di noi pensano concretamente nella parte in alto adestra della figura? E se sì, per quanto tempo prima di es-sere ricondotti alle incombenze di un quotidiano che nonoffre segni di questi problemi? E, per carità senza giudizisu nessuno, le incombenze e i “problemi” del nostro quo-tidiano spesso di che tenore sono? Di quante piccolezzee meschinità sono fatte le nostre vite, in cui spesso hannoimportanza spropositata cose che non hanno alcuna rile-vanza nemmeno per il prossimo a noi più prossimo?

Il problema, anzi: i problemi Ci troviamo senz’altro a un punto di svolta. I segnali –sempre sul fronte sociale – benché ignorati, ci sono, se sipensa che uno dei più miti e autorevoli climatologi delmondo, James Hansen, è stato arrestato per un sit-in da-vanti alla Casa Bianca contro la costruzione di una nuovacentrale a carbone, il 29 agosto del 20114. E che, lo stessoHansen, si è visto “depennare” dallo Statuto della Nasa(Nasa mission statement), l’ente per cui ha lavorato moltianni, la frase «to understand and protect the home planet»per giustificare i propri interventi ai convegni5. Si arrivacosì a negare statuto fondativo dell’ente pur di non dareun appiglio al proprio ricercatore di punta affinché nonpossa continuare il suo lavoro, solo perché potrebbe direcose scomode per l’establishment. E questo in un paesea “democrazia avanzata” come gli Stati Uniti.

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3. L. Celi, Il pianeta Terra e il punto di non ritorno, «Scienze e Ricerche», I, 14(2015), pp. 5-8.4. M. Bowen, Censoring Science: Inside the Political Attack on Dr. James

Hansen and the Truth of Global Warming, Dutton, New York 2007. Vd. anchela pagina biografica di Hansen in inglese: https://en.wikipedia.org/wiki/Ja-mes_Hansen5. Istruttiva, a tal proposito, la sua TED conference, realizzata nel febbraio 2012,visibile e scaricabile all’indirizzo: https://www.ted.com/talks/james_hansen_why_i_must_speak_out_about_climate_change?language=it

Figura 2. Diagramma a dispersione in cui l’origine degli assi

coincide con l’io.

Figura 1. 2004-2016 World

Newspaper Coverage of Climate

Change or Global Warming.

Fonte: G. Luedecke et al., World

Newspaper Coverage of Climate

Change or Global Warming, 2004-

2015. Center for Science and

Technology Policy Research,

Cooperative Institute for

Research in Environmental

Sciences, University of Colorado,

2016

(Disponibile su

http://sciencepolicy.colorado.edu/

media _coverage).

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 101

PROGRAMMAZIONE

La resilienza del “sistema umano” ealtri problemiAbbiamo già imboccato una strada? Ed è “senza uscita”?Possiamo cambiare ancora? Qual è l’inerzia del “sistemaumano”?L’esperienza ci dice che più un sistema è complesso menoè resiliente, ovvero, più un sistema è sofisticato meno è ingrado di reagire positivamente a un eventuale danno. Lamoderna tecnologia – unita a una politica di marketing

nota come “obsolescenza programmata” – ci offre infinitiesempi di oggetti sofisticati e poco resilienti: pochissimidegli oggetti che usiamo, dai più semplici ai più complessi,semplicemente sono “non aggiustabili”. Dagli ombrelli aitelefoni cellulari, dal router per collegarci a internet ai no-stri computer, passando per i mezzi di trasporto come leautomobili, il cui tasso di invecchiamento è (artificiosa-mente) alto, e se qualcosa si rompe – tipicamente: la cen-tralina che gestisce tutte le funzioni – sono dolori. In alcunicasi (auto, computer) si può, talvolta a caro prezzo, sosti-tuire il singolo pezzo rotto, ma il meccanismo dell’obso-lescenza artificiale spinge spesso a sostituire tutto il di-spositivo, per leggi di mercato ben note, come quella dellacrescita in(de)finita. Più in generale i nostri oggetti non du-rano mediamente più di qualche anno, mentre per la ge-nerazione dei nostri padri, per esempio, l’automobile eral’acquisto della vita con i più fortunati che potevano per-mettersi di due cambiarla una volta, più raramente duevolte, nell’arco della propria “vita automobilistica”.Il “sistema umano” – e qui si intende proprio la com-plessità, sociale ed economica in primis, del nostro vivere– ci ha spesso iperspecializzati e molti di noi, per esem-pio, non saprebbero da dove partire per mettere mano al-l’impianto elettrico di casa o a quello idraulico. Nonmancano gli esempi di fragilità del sistema soprattuttoquando accade qualche calamità naturale, come l’allu-vione, avvenuta nel dicembre 2015, nella zona di Lanca-ster, nel Regno Unito6. Questo è il primo, e forse più im-portante dei problemi: il cambiamento climatico dovràessere bene o male introiettato nelle nostre vite e nei no-stri comportamenti individuali e collettivi, che ci piacciao meno, portando a mutamenti sociali – che speriamo nontroppo radicali in relazione al benessere. Degli altri for-niamo un elenco qui di seguito. Elenco che, consapevol-mente, sappiamo avere intere biblioteche a disposizioneper ogni singola voce:● la crescita della popolazione mondiale;● gli effetti sulla salute del pianeta (dove per salute si in-

tendono tutti i fattori di cui siamo a conoscenza, rela-tivi, per esempio, alla biodiversità degli ecosistemi);

● gli effetti sulla salute umana;● i danni alle colture.

Spiegare il cambiamento climaticoIl cambiamento climatico necessita senza ombra di dub-bio di un grande sforzo di comunicazione, di partecipa-zione e di sensibilizzazione fin dalle età scolari. In Italia,qualche anno fa fu fatto partire un progetto biennale(2009-2011) che coinvolgeva insegnanti e famiglie, conil supporto della Commissione europea per i programmiLIFE+: il progetto R.A.C.E.S., acronimo di Raising Awa-

reness on Climate Change and Energy Savings.R.A.C.E.S. ha coinvolto cinque attori: il primo, scienti-fico, è l’Istituto di Biometeorologia (Ibimet) del ConsiglioNazionale delle Ricerche e, a seguire: la Municipalità diFirenze come coordinatore del progetto, la Municipalitàdi Modena e gli uffici EuropeDirect di Bari, Potenza eTrento. Obiettivo principale di R.A.C.E.S. è stato quellodi lanciare una campagna di sviluppo della consapevo-lezza sulle questioni legate al cambiamento climaticonelle cinque città sede del progetto.I risultati, sia qualitativi sia quantitativi, della ricerca mo-strano di essere in linea con quanto realizzato in altricontesti europei. I dettagli maggiormente evidenziati dallaricerca sono che (1) le persone tendono a confonderel’andamento del tempo atmosferico col clima7 e (2) laprima azione concreta che viene pensata in favore del-l’ambiente è il riciclaggio, seguita dalla riduzione delconsumo di energia, attuabile in pratica con un minor usodell’auto, che tuttavia, all’atto pratico, sembra essere lacontromisura meno praticabile (Figura 3 a p. 102).

L’impatto dell’enciclica Laudato si’

A prescindere dal credo di ognuno di noi – o dalla nega-zione dello stesso – non bisogna dimenticare che il 2015è stato anche l’anno dell’uscita della prima enciclica che,in assoluto nella storia della chiesa, tratta un argomentocosì importante. Un’enciclica per certi aspetti rivoluzio-naria perché unisce la ricezione della parte scientifica –riuscendo a farne una divulgazione in termini semplici ecomprensibili – e una parte etica che è di fondamentaleimportanza perché la “scommessa dei 2 gradi” potrà es-sere vinta solo se tutte le persone cercheranno, nel limite

6. Il professor Roger Kemp si è trovato nel bel mezzo di quella alluvione e rac-conta in maniera asciutta e dettagliata quali siano stati i problemi di quei giornie i motivi per cui la totale dipendenza dall’energia elettrica abbia letteralmenteparalizzato molte delle attività che altrimenti avrebbero potuto proseguire, ma-gari a regime ridotto. Il suo resoconto è disponibile online all’indirizzo:http://www.rvs.uni-bielefeld.de/publications/Reports/KempLancasterPower-Cuts201512V3.pdf (consultato il 3/2/16). Vari altri contributi su argomenti similisono disponibili sempre sullo stesso sito gestito dal gruppo del professor PeterB. Ladkin (http://www.rvs.uni-bielefeld.de/).7. Il meteo – previsione puntuale di fenomeni atmosferici – è differente dal climache è invece il dato storico. Il tempo minimo stimato per avere un andamento cli-matico è di almeno 30 anni di misurazioni dei fenomeni atmosferici.

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PROGRAMMAZIONE

delle loro possibilità, di concorrere a questo importantetraguardo collettivo. Gli accordi di Parigi sono senz’altro importanti ma senzauna ricezione e una volontà “dal basso” tutto sarà co-munque vano. In tal senso acquista un carattere universaleperché il messaggio contenuto all’interno di questa letterapastorale è rivolto a tutti gli esseri umani del pianeta e nonsolo a quelli di fede cristiana.

Luciano Celi

Università di Trento, CNR Pisa

Figura 3. Mappa associativa attorno alla parola

“insegnante”. Fonte: V. Grasso V. et al., Participating the

climate change in school: an Italian case study, presented at

AMS (American Meteorological Society) 90th Annual

Meeting, 17-21 January 2010 (Atlanta, GA).

Il concetto di “trasformazione” pervade la vita di tuttii giorni, soprattutto in ambito scientifico. Nonostantequesta rilevanza, o proprio per questa rilevanza che lo

fa ritenere “conosciuto”, tale concetto non è chiarito neisuoi aspetti generali nella didattica scientifica e ci si limitaa studiare le sue determinazioni (trasformazione fisica,chimica, reversibile ecc.).In questo lavoro cercheremo di chiarire gli aspetti gene-rali del concetto di trasformazione in ambito scientifico.Una volta chiariti questi aspetti sia la trasformazione chi-mica della materia sia la sua differenza da quella fisica eda quella biologica dovrebbero diventare più accessibili. La proprietà generale dei processi che si chiamano tra-

sformazioni dovrebbe essere, come ci dice il nome, ilcambiamento di forma. Occorre, tuttavia, precisare checosa s’intende in ambito scientifico per “forma”. Di certonon si tratta solamente di quella geometrica, poiché siparla di trasformazioni dell’energia, chimiche, fisicheecc. Un punto fondamentale da chiarire è che il concettodi trasformazione si applica sempre a un soggetto e,quindi, quando parliamo di una trasformazione, va sem-pre identificato il “soggetto” che ha una forma inizial-mente e che, nel processo considerato, la modifica e perquesto tale soggetto si “trasforma”.Consideriamo un caso semplice in cui il soggetto e la suaforma sono intuitivamente chiari: un triangolo (soggetto)rettangolo (forma). Vi sono operazioni su tale triangoloche non ne modificano la forma, per esempio aumen-tandone della stessa proporzione tutti i lati in modo da ot-tenere un nuovo triangolo rettangolo. Quest’operazionenon è una trasformazione per il triangolo perché nonmuta la sua forma. Se, invece, l’operazione modifica lasua forma facendolo diventare un triangolo non più ret-tangolo, tale operazione è una trasformazione per il trian-golo.Anche in un caso così semplice si può notare una carat-teristica essenziale. Affinché un’operazione sia una tra-sformazione per quel soggetto tale operazione non devemodificare il soggetto (il triangolo) ma solamente la suaforma. Diverso è il caso di un’operazione che facesse di-ventare il triangolo un quadrato (Figura 1). In questo casovarierebbe sia il soggetto (alla fine dell’operazione nonesiste più il triangolo) sia la forma (non è più una figura

ChimicaGiovanni Villani

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 103

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con un solo angolo retto) e l’operazione non sarebbe unatrasformazione del triangolo. Tale operazione potrebbe inogni caso essere chiamata “trasformazione”, ma ora bi-sognerebbe assumere un altro soggetto che nell’opera-zione resti invariato, per esempio “poligono regolare” o“figura piana”. In questo caso, infatti, l’operazione lasce-rebbe invariato il soggetto (sia il triangolo sia il quadratosono poligoni regolari o figure piane) modificandone so-lamente la forma (in questo caso “triangolo” e “quadrato”diventano le “forme” dei poligoni regolari). Se l’opera-zione portasse il triangolo in una figura irregolare, alloraquest’operazione sarebbe una trasformazione rispetto alsoggetto “poligono” o anche “figura geometrica”.

I concetti di sistema e stato del sistemaIl concetto di sistema e quello del suo stato sono due con-cetti generali nella scienza. Un corpo, un pezzo di realtà,è identificato da un’ennupla n di proprietà. Alcune diqueste non cambiano e sono usate per definire il sistema;altre si modificano e sono usate per definire il suo stato.Il caso della meccanica classica è quello più semplice echiaro. Consideriamo una particella di massa m a un datoistante iniziale t. In meccanica classica la massa di uncorpo è una costante e questa costante definisce il sistemache stiamo studiando: una particella di massa m. Lo statodi tale sistema deve invece fornire le caratteristiche chepossono variare in una trasformazione meccanica. Es-sendo quest’ultima nient’altro che lo “spostamento” dellaparticella, cioè la variazione della sua posizione spa-ziale, lo stato del sistema in ogni istante deve identificarela sua posizione, per esempio nelle tre coordinate carte-

siane [x, y, z]. Chi sa un po’ di meccanica si rende contoche non è sufficiente conoscere la posizione spaziale altempo iniziale per sapere dove sarà la particella in un al-tro istante, ma occorre conoscere anche la sua velocità[Vx(inz), Vy(inz), Vz(inz)] a quell’istante. Le tre coordinatespaziali e le tre componenti della velocità, si chiamano“gradi di libertà” del sistema e ne identificano la suacondizione meccanica, il suo stato.Diverso è il caso della termodinamica. Un sistema ter-modinamico è una parte dell’universo separata dal resto(ambiente) da una ben precisa superficie di separazione.Affinché il sistema possa essere studiato nella termodi-namica classica, occorre che esso si trovi in equilibrio conil suo ambiente. Se il sistema, come nella stragrandemaggioranza dei casi, nel trasformarsi raggiunge con ra-pidità un equilibrio con 1’ambiente è sufficiente che sianofissate poche proprietà perché tutte le altre proprietà sianosimultaneamente definite. In termodinamica, al contrariodella meccanica, è necessario fare un’importante separa-zione tra le variabili che si modificano nel corso delle ope-razioni che subisce/compie il sistema. Esisteranno varia-bili di stato o funzioni di stato, ossia quelle variabili chedipendono unicamente dallo stato attuale del sistema, manon dalle trasformazioni da esso subite prima di trovarsiin quello stato. Ad esempio, il volume, la temperatura, lapressione sono variabili di stato di un sistema omogeneo.Altre variabili, come il calore e il lavoro, non sono va-riabili di stato e per queste proprietà è necessario speci-ficare il cammino attraverso il quale il sistema dallo statoiniziale arriva allo stato finale quando il sistema è soggettoa una trasformazione.

Figura 1.

Dissezione di un

triangolo

equilatero in un

quadrato di area

uguale.

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Che cosa ci dicono questi due casi considerati rispetto alproblema originario del concetto di trasformazione? Ci di-cono che la “forma” è nient’altro che lo stato del sistema.La trasformazione della particella m (sistema) in mecca-nica consiste unicamente nella variazione della sua posi-zione e della sua velocità (che definiscono il suo statomeccanico) mentre, ad esempio, la trasformazione di gasperfetto (sistema) in termodinamica consiste in una mo-difica della pressione, della temperatura e del numero dimoli, tutte grandezze che definiscono il suo stato termo-dinamico.L’esempio termodinamico ci dice che non tutte le pro-prietà del sistema possono essere usate per definire ilsuo stato, ma solamente quelle che sono “variabili distato” perché la trasformazione di alcune variabili in ter-modinamica può dipendere dal percorso con cui si passadallo stato iniziale a quello finale e non solo dagli stati.Inoltre, la termodinamica classica ci dice anche che nontutte le condizioni del sistema possono essere studiate nelsuo ambito, ma solamente quelle di equilibrio. Oggi-giorno la termodinamica studia anche il sistema in con-dizioni di non-equilibrio e queste, nella realtà naturale,spesso sono le più “interessanti”. Consideriamo un esserevivente, esso è immerso in un flusso di energia e di ma-teria di un ambiente a temperatura variabile. Nonostantequesto, la sua temperatura difficilmente si allontana moltoda quella di 37 gradi. Tale condizione si definisce “sta-zionaria”. I sistemi di non-equilibrio sono essenziali perstudiare gli organismi viventi, ma in questo lavoro gene-rale sulla trasformazione non possiamo procedere oltre.

Il mondo chimicoLa Chimica si muove su due piani: quello macroscopicoe quello microscopico. Il mondo macroscopico della Chi-mica è costituito da molte sostanze differenti, ciascuna conla sua individualità (specifiche proprietà macroscopiche)e a cui attribuiamo un nome e una formula (livello sim-bolico) che indica i rapporti dei costituenti. Nel mondo mi-croscopico abbiamo atomi, ioni, molecole ecc. e la formulaci dà gli atomi presenti all’interno della particella consi-derata e quella di struttura indica quali atomi sono legati.Per fare alcuni semplici esempi, sono sostanze chimicheil metano, l’ammoniaca, l’acqua, l’acido acetico ecc. Conil nome “metano” e con la formula CH4 s’identifica siauna sostanza macroscopica che ha, per esempio, una tem-peratura di fusione di –182,7 ºC sia la molecola con 1atomo di carbonio e 4 d’idrogeno e con gli atomi d’idro-geno disposti in maniera tetraedrica rispetto all’atomo dicarbonio. Similmente, con il nome ammoniaca e formulaNH3, acqua e H2O e acido acetico e CH3COOH. Interes-sante è l’esempio dell’acido acetico nella cui formula

abbiamo separato i primi 3 atomi d’idrogeno, che sono le-gati all’atomo di carbonio, dall’altro atomo d’idrogeno, le-gato all’atomo d’ossigeno, evitando di scrivere la formula“bruta” C2H4O2. In pratica, una molecola può essere vi-sta come un insieme strutturato di atomi, dove per “strut-turato” possiamo intendere, in prima approssimazione,che ogni atomo non è legato a tutti gli altri, ma le intera-zioni di legame che esistono all’interno di una molecolasono specifiche per ciascun atomo. Anche nel caso sem-plice della molecola d’acqua, costituita solamente da treatomi, due d’idrogeno e uno d’ossigeno, esiste una strut-tura molecolare nella quale i due atomi d’idrogeno sonolegati all’atomo d’ossigeno, ma non sono tra di loro legati.Per la Chimica, ogni pezzo di realtà va scomposto, “ana-lizzato”, in termini di (sostanze chimiche)/(particelle mi-croscopiche strutturate) e delle loro proprietà statiche e di-namiche. Pensiamo a una foglia. Se volessimo“comprendere” questo “oggetto” dal punto di vista chi-mico, dovremmo “tirare fuori” da essa tutte le sostanze co-stituenti, identificarle (sia a livello macroscopico sia inquello microscopico) e conoscere come interagiscono nellafoglia (a quali trasformazioni danno vita). Questa com-prensione chimica della foglia non esaurisce tutto quelloche la biologia “conosce” della foglia. Per esempio, alladomanda biologica «quale funzione svolge la tale sostanzanella foglia», la Chimica può dare un contributo identifi-cando le reazioni e i cicli di reazione in cui una tale so-stanza è coinvolta, ma non può dire nulla sul concetto di“funzione” all’interno di un organismo vivente. Il discorso,quindi, del riduzionismo che vorrebbe ridurre la Biologiaalla Chimica, la Chimica alla Fisica ecc. mette in ombra laricchezza della realtà a ogni livello d’interpretazione.Fino a qui abbiamo descritto il mondo della Chimicacome un mondo statico. La situazione reale è molto piùcomplessa perché in alcuni processi sia le sostanze chi-miche nel livello macroscopico sia le molecole in quellomicroscopico possono “distruggersi” o “generarsi”. Sonoquesti i processi che noi identifichiamo come quelli chedanno luogo a una trasformazione chimica della materiae li chiamiamo “reazioni chimiche”. In pratica, nel casodi una reazione chimica (trasformazione chimica) nelmondo microscopico i soggetti su cui opera il processosono le particelle e la “forma” che si modifica in questatrasformazione è la loro determinazione specifica, quellache ci fa assegnare un nome particolare, la loro strutturamolecolare. Nel mondo macroscopico, invece, il sog-getto è la sostanza chimica e la forma la sua determina-zione specifica (proprietà/formula) che caratterizza que-sta sostanza. A questo punto, una precisazione è necessaria. In Chimicageneralmente si dice che «le molecole/gli ioni/le particelle

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strutturate si trasformano nelle reazioni chimiche». Que-sta frase è apparentemente in contraddizione con l’ana-lisi generale sul concetto di trasformazione fin qui fatta,perché lì abbiamo detto che il soggetto deve restare in-variato e solamente la sua forma varia. Come abbiamodetto, in una reazione chimica cambia la struttura delleentità microscopiche presenti: portando alla “distruzione”di alcune entità e alla “generazione” di altre. Dire, invece,che una molecola si è “trasformata” in questo processosembra evidenziare una “continuità” che non è presentein questo processo. L’espressione corrente che parla dellatrasformazione delle molecole nelle reazioni chimiche haun senso solo se s’intende che il sistema iniziale e quellofinale sono “simili” perché siamo, e ci continuiamo amuovere, all’interno di un mondo molecolare, dove ognisoggetto è al tempo stesso specifico (tipo di molecola cuiè possibile assegnare un nome proprio) e generale (sitratta sempre di molecole). È questa spiegazione della re-altà di tipo “orizzontale” che la differenzia dalla Fisica eche caratterizza la Chimica: il suo muoversi sempre al-l’interno di un mondo molecolare. In Fisica, invece, ci sipropone di spiegare il comportamento del mondo mate-riale muovendoci, per così dire, in “verticale”, cercandola spiegazione dei fenomeni sempre più in profondità, siareale sia concettuale, dal mondo delle galassie al mondosub-atomico.

Il concetto di trasformazione nelle scienzeRiassumiamo ora come abbiamo caratterizzato il con-cetto di trasformazione in scienza e vediamo i punti sa-lienti che individuano la specificità della trasformazionechimica e la sua differenza da quella fisica e da quella bio-logica.La trasformazione è un processo che, operando su di unsoggetto, ne modifica la sua forma. Questo implica che ilsoggetto debba esistere prima e dopo la trasformazione eche solamente una sua caratteristica (la forma) si sia mo-dificata. Abbiamo visto che secondo il soggetto conside-rato, la stessa operazione può essere considerata o notrasformazione (esempio delle operazioni che modifi-cano una figura geometrica). Abbiamo visto due differenticasi fisici, quello più semplice della meccanica classica equello complesso della termodinamica. In questi casi, laFisica non “determina” enti specifici, il soggetto è “unpezzo di realtà” al quale non attribuiamo un nome. Infine,ci siamo soffermati sulla Chimica che, invece, identificamilioni di enti macroscopici/microscopici differenti. Nona caso, esistono milioni di “sostanze chimiche” e “mole-cole differenti”, ma solamente “una sostanza fisica o ma-teria”. Il chimico si propone di spiegare il mondo che cicirconda e le sue modificazioni tramite le proprietà stati-

che e dinamiche sia delle entità macroscopiche (sostanzechimiche) sia di quelle microscopiche (principalmentemolecole, ma anche ioni ecc.). La spiegazione offertadalla Chimica si applica a tutto il mondo materiale, nelsenso che ogni oggetto può essere studiato in questomodo, dal punto di vista chimico. Non si pretende, tutta-via, che questa spiegazione sia esaustiva, nel senso che ap-pare ovvio che lo stesso oggetto materiale possa esserestudiato sotto altri aspetti, per esempio in termini mecca-nici di posizione e velocità o in termini biologici, se è un“pezzo” di un organismo vivente. La trasformazione ditipo chimico identifica nella sostanza/(particella struttu-rata) il soggetto costante (il sistema) e nella sua determi-nazione specifica (ad esempio sostanza/molecola di me-tano) la forma che si modifica, si trasforma.Differente è il caso delle trasformazioni di stato in fisicanelle quali il sistema considerato è una certa quantità disostanza (per esempio una quantità di acqua), il cui statopuò essere solido, liquido e gassoso. Sono queste ultimele “forme” che variano nel passaggio di stato, mentre lasostanza e la molecola specifica, in questo caso l’acqua(determinazione della sostanza/molecola), resta invariata.La situazione in biologia è ancora differente. Le specie vi-venti, il mondo plurale della biologia per alcuni versi so-miglia a quello della chimica delle differenti sostanze/mo-lecole. Esiste, tuttavia, una notevole differenza. Le speciechimiche si trasformano per interazione tra di loro (sep-pure in un ambiente definito). Le specie biologiche si tra-sformano per interazione (adattamento) con l’ambiente.Da questo punto di vista, le trasformazioni biologichesono più simili a quelle del sistema fisico trattato dalla ter-modinamica, dove le trasformazioni sono indotte dal-l’esterno, ossia dall’ambiente. Una conclusione più generale può essere fatta. Nel mondodi tutti i giorni, interpretato delle scienze umane e sociali,le trasformazioni sono simili a quelle chimiche. Esistonodelle categorie generali (per esempio, quella di “nazione”)e delle determinazioni specifiche (la tale o tal altra na-zione). Come nell’ambito chimico, nel corso delle “tra-sformazioni sociali” le categorie generali restano inva-riate, mentre le loro determinazioni si modificano, sitrasformano e tutto questo avviene per la loro intera-zione. Né la spiegazione di tipo fisico (non esistono de-terminazioni specifiche) né quella di tipo biologico (esi-stono determinazioni specifiche, ma si trasformano soloper interazione con l’ambiente) sembrano adatte al mondoumano. La spiegazione di tipo chimico, invece, calza apennello.

Giovanni Villani

Istituto di Chimica dei Composti Organolettici,

ICCOM-UOS Pisa - Area della Ricerca del CNR

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PROGRAMMAZIONE

1. A. Thurston. Thinking as Communicating: Human Development, the Growth

of Discourses and Mathematizing, C.U.P., Cambridge 1990, p. 847.2. NCTM, 1989; Sowder - Schappelle, 1989; Fey, 1990Sowder, 1999 cit. in A.Arcavi (1994), Symbol Sense: Informal Sense-making in Formal Mathematics,«For the Learning of Mathematics», vol. 14, 3, FLM Publishing Association,Vancouver, pp. 24-35.

Insegnare matematica è bello e difficile, e richiedecoraggio, il coraggio di chi si trova continuamente adover scegliere un percorso sapendo di abbandonarne

un altro, con tutto ciò che comporta didatticamente tale ri-nuncia. Da un lato vi è il rischio di tradire la disciplina nelsuo oggetto formale, nel suo metodo, nei suoi scopi, nellesue peculiari caratteristiche conoscitive, dall’altro quellodi scegliere un itinerario che minimizzi il pericolo di in-durre negli allievi quella caduta motivazionale conse-guente agli insuccessi di apprendimento. Da qui la ne-cessità di impostare una didattica che sia adatta agli allievied efficace, ma che al contempo rimanga fedele allo spes-sore epistemologico della disciplina, senza tradirla conpercorsi corrivi o eccessivamente stravaganti e fuorvianti,mantenendo cioè chiari alcuni “bersagli” il cui raggiun-gimento permetta di creare una fitta ragnatela concet-tuale che sia struttura dell’apprendimento degli allievi.Nelle Nuove Indicazioni Nazionali per i Licei Scientificiinfatti si legge: «Il Profilo e le Indicazioni costituiscono,dunque, l’intelaiatura sulla quale le istituzioni scolastichedisegnano il proprio Piano dell’offerta formativa, i docenticostruiscono i propri percorsi didattici e gli studenti rag-giungono gli obiettivi di apprendimento e maturano lecompetenze proprie dell’istruzione liceale e delle sue ar-ticolazioni». Nel progettare la programmazione un do-cente dovrebbe quindi tentare di ridurre la complessitàprocedendo per compressione di conoscenze. SecondoWilliam Thurston «la matematica è incredibilmente com-pressibile, si può lottare a lungo, lavorare passo passo at-traverso processi o idee con differenti approcci ma unavolta giunti alla comprensione e alla conquista di una vi-sione globale di essa la nostra mente percepisce una tre-menda compressione mentale. Puoi archiviarla, richia-marla in modo rapido quando ne hai bisogno, e usarlaall’interno di altri processi mentali. L’intuito che giungecon tale compressione è una delle vere gioie della mate-

matica»1. Io penso che si possa realizzare tale compres-sione concentrandosi sui quattro bersagli che ben riassu-mono e descrivono il “saper fare matematica”: Il senso del

numero, il senso del simbolo, il senso dello spazio e il pen-

siero funzionale. Il disegno dei percorsi didattici e delleattività che li compongono va pensato come la definizionedel processo con cui si realizza la collimazione di un fa-scio di particelle: vengono selezionate nel fascio inizialesolo le particelle che viaggiano in una certa direzione, conbasse velocità trasverse, in modo che il fascio risultantenon si disperda in altri piani rispetto alla direzione pre-scelta. Dunque, nodi concettuali come particelle che op-portunamente collimate rendano significativa la figura diinterferenza finale che è poi competenza.Il senso del numero è da intendersi come percezione nonalgoritmica del numero, una sana comprensione della suanatura e della natura delle operazioni. La necessità dianalizzare l’attendibilità e la coerenza dei risultati, la ca-pacità di reinventare modi di operare con essi che nonsiano quelli ripetitivi e imparati a memoria2. Un possibilepercorso didattico a esso dedicato nasce dalla prima classee si sviluppa fino alla quinta attraverso attività che pre-vedano stime numeriche di situazioni reali e valutazionidi ordini di grandezza, per arrivare ai metodi di analisi nu-merica, spesso accantonati nonostante l’indiscussa va-lenza educativa.Il senso del simbolo può essere definito attraverso i se-guenti comportamenti: la capacità di leggere un’espres-sione algebrica al fine di effettuare la stima di un modellorappresentato in forma numerica o grafica; abilità di ef-fettuare confronti consapevoli di ordini di grandezza confunzioni di potenze: n, n2, n3,…, nk, …; abilità nell’osser-vare una tabella di valori di una funzione o di un graficoal fine di identificare la corretta forma algebrica che ne siaun modello appropriato; abilità di analizzare operazioni al-gebriche in modo da predirne il risultato o giudicare la pro-babilità che esso sia corretto; abilità di determinare qualifra diverse procedure equivalenti sono le più appropriatea risolvere una particolare situazione problematica.

Matematica

I tre sensi di unadisciplinaArianna Coviello

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 107

PROGRAMMAZIONE

Mi soffermo in particolar modo sull’acquisizione del senso

dello spazio, proponendo un percorso didattico che vuoleessere esempio di una possibile scelta di contenuti e atti-vità. Il calcolo infinitesimale e integrale è studiato solo nel-l’ultimo anno di liceo, ma se pensiamo alle sue origini ealle competenze necessarie a quadrare una superficie, cirendiamo conto che il problema del calcolo di un’areaqualunque potrebbe essere affrontato molto prima, vale adire già dai primi anni della scuola secondaria di secondogrado. L’uso di software digitali di geometria dinamica,GeoGebra, o anche di software cartacei (origami) permet-terebbero di far quadrare o di verificare equivalenze di fi-gure piane o solide a studenti in “giovane età”. Penso chesia possibile accompagnare l’allievo al calcolo inte-grale/infinitesimale con una consapevolezza coerente al-l’età e in crescita con essa, così che si possa accostare conanimo consapevole e sereno al mondo dell’analisi, all’ac-quisizione di un pensiero funzionale e alle “strane aree” chele funzioni generano. Un’altra cosa di cui ci si rende contonegli anni di insegnamento è che gli allievi sono interes-sati alla storia delle idee, più che alle idee, alle persone chehanno fatto la storia della matematica e che hanno ragio-nato senza dispositivi di qualunque tipo se non la propriamente. Ed è proprio studiando la storia delle idee che siscopre che i ragionamenti che hanno condotto a esse sonopiù semplici di quelli che vogliamo far fare ai nostri stu-denti fornendo loro solo i risultati, o modelli preconfezio-nati. È un po’ come vedere un film o leggere un libro par-tendo da metà. L’idea didattica che segue è dunque unpercorso che sviluppi il senso della forma e l’abilità di cal-colare aree senza il vincolo dell’abitudine a utilizzare figurenotevoli e formule preconfezionate, è anche simulazionedel percorso mentale presente storicamente nell’evolu-zione delle idee matematiche. In questo lavoro la storiadella matematica e l’uso delle tecnologie sono i principalicollimatori del fascio ovvero i veicoli di competenze.Un lavoro di questo genere ha le seguenti finalità: recu-perare la pratica geometrica, ultimamente molto trascurata;sviluppare la capacità di congetturare, astrarre e genera-lizzare partendo dal concreto; progettare, manipolare e co-struire con materiali diversi; fare uso intelligente dellatecnologia digitale; acquisire un metodo scientifico labo-ratoriale per risolvere un problema; acquisire abitudine astudiare sulle fonti; costruire il più presto possibile signi-ficati corretti e stabili. Queste invece le competenze ber-saglio: fare stime; creare modelli concreti finalizzati alladeduzione di formule generali; divenire gestori consape-voli di software digitali; leggere e interpretare testi storici.Lo schema operativo si compone di sei laboratori neiquali il ruolo docente-allievo si modifica a seconda delcontesto:

● Laboratorio 1: Aree di figure piane - Euclide 300 a.C.● Laboratorio 2: Volumi

● Laboratorio 3: Archimede di Siracusa (III sec a.C.)● Laboratorio 4: La scodella di Galileo (XVII sec.)● Laboratorio 5: Bonaventura Cavalieri (XVI sec.)● Laboratorio 6: La cicloide (XVII sec.)

Laboratorio 1: Aree di figure piane - Euclide300 a.C.Torniamo in Grecia (300 a.C.), Il metodo di esaustione diEuclide permetteva di trovare aree o volumi di regioni esolidi a contorno curvilineo mediante approssimazionisuccessive con l’uso di poligoni inscritti o circoscrittidei quali era semplice calcolare area o volume. La lineadi pensiero è sempre stata la stessa: poiché non si riescea calcolare l’area racchiusa da una superficie curva sitende ad approssimare tale area con un certo numero diaree che sappiamo calcolare.

Simulazione del metodo di esaustione di Euclide

(Scuola secondaria di secondo grado, biennio + classe

quinta: l’allievo come utilizzatore di software di geome-

tria, esegue semplici costruzioni e fa deduzioni.)La differenza tra la somma delle aree dei rettangoli in-scritti e circoscritti e quella del cerchio è percepibile an-che visivamente quindi questo modulo laboratoriale èutilizzabile già nel biennio con l’uso di un software car-taceo (Figura 1). Successivamente, usando GeoGebra, laquadratura del cerchio può essere visualizzata come limitedelle successioni delle aree dei poligoni inscritti e circo-scritti a n lati (Figura 2).

Fig. 1.

Fig. 2.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV108

PROGRAMMAZIONE

Integrazione numerica con il metodo dei rettangoli

(Classe quinta: l’allievo gestisce autonomamente il soft-

ware, esegue costruzioni geometriche, dimostra la con-

vergenza di successioni di infiniti termini a un numero fi-

nito.)Con un foglio di calcolo (ad esempio Excel, Calc, Geo-Gebra) si può impostare il calcolo dell’area del trapezoidecome limite delle aree degli scaloidi inscritti e circoscritti(Figura 3), e rappresentare poi i grafici delle funzioniaree. Anche con GeoGebra si ottiene la quadratura del tra-pezoide come limite delle successioni delle aree degli sca-loidi inscritti e circoscritti. Uno slider può essere usato peraumentare/diminuire il numero dei rettangoli che com-pongono gli scaloidi e apprezzare la diminuzione del-l’errore nella quadratura (Figura 4).

per sdrammatizzare la difficoltà di situazioni geometrichedifficili da proporre per la loro complessità. L’abitudineal “gioco” favorisce l’uso della fantasia che è elementofondamentale nello studio della matematica, e che negliallievi di secondo biennio di secondaria superiore e classiquinte è spesso “dimenticata”.

Origami per la costruzione di solidi platonici

(Scuola secondaria di secondo grado: classi quinte.)

GeoGebra 3D per visualizzare l’inscrivibilità dei solidi pla-tonici nella sfera (Figura 6). Lo scopo è di costruire unasfera di raggio assegnato (gestibile con slider3) entro cuiinscrivere i diversi solidi. La soluzione sviluppata, validaper tetraedro, cubo, dodecaedro, icosaedro, è stata calco-lare analiticamente la lunghezza dello spigolo; generare unpoligono regolare di tale lato sul piano di riferimento xy

(quello tradizionale del 2D) con centro nell’origine; farpassare due rette perpendicolari al piano xy (versore 0,0,1)passanti per due estremi dello spigolo; intercettare la sferacon il segmento ottenuto e quindi generare i solidi. L’ot-taedro più semplicemente si può realizzare generando duepiramidi a base quadrata (il quadrato generatore è posi-zionato sul piano xy ed è calcolabile per via analitica).

Laboratorio 2: VolumiI laboratori seguenti sono dedicati ai volumi: l’uso disoftware cartaceo e digitale è finalizzato non tanto al cal-colo, quanto a una migliore percezione della terza di-mensione. L’uso degli origami (Figura 5) è importante

Fig. 3.

Fig. 5.

Fig. 6a.

Fig. 4.

3. Slider: componente grafico con il quale è possibile modificare dei valori muo-vendo il cursore posto su una scala graduata.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 109

PROGRAMMAZIONE

Laboratorio 3: Archimede (III sec a.C.)Archimede di Siracusa (287 a.C.-212 a.C. ) percorse lastessa strada di Euclide ma con superfici più complesse:segmento parabolico ed ellisse. Relativamente all’area delsegmento parabolico, Archimede diede due dimostra-zioni: una meccanica e una geometrica.● Scuola secondaria di secondo grado (biennio): labo-

ratorio meccanico per calcolare l’area di strane fi-

gure mediante pesate (carta, forbici, bilancia). Obiet-

tivo nascosto: Principio di Cavalieri

● Scuola secondaria di secondo grado (secondo bien-

nio/classe quinta)

Area di un segmento parabolico: dimostrazione mec-

canica

La bellissima dimostrazione meccanica, ritrovata in un li-bro a Istanbul nel 1906, merita di essere proposta agli al-lievi di un secondo biennio o di classe quinta. La costru-zione della bilancia di Archimede viene fatta fare passopasso con GeoGebra che aiuta la comprensione della di-mostrazione (Figura 7). Per visionare il protocollo di co-struzione del file si rimanda al link del GeoGebra Book4.

Laboratorio 4: La scodella di Galileo(Scuola secondaria di secondo grado: classe quinta.)

Bonaventura Cavalieri, allievo di Galilei, fu avviato daquest’ultimo a occuparsi di problemi di calcolo infinite-simale. Egli elaborò un metodo geometrico che ritro-viamo nella sua opera Geometria indivisibilibus conti-

nuorum nova quadam ratione promota. Egli consideraun’area come costituita da un numero indefinito di seg-menti paralleli equidistanti e un volume come compostoda un numero indefinito di aree piane parallele, i fo-glietti, questi elementi sono gli indivisibili di area e vo-

lume, cioè i moderni infinitesimi.Cavalieri scrive nella sua Geometria degli indivisibili:

aprite, di grazia, gli occhi […] e scorgete chiaramente che il con-tinuo è divisibile in parti sempre divisibili sol perché consta d’in-divisibili; imperò che se la divisione e la suddivisione si ha dapoter continuar sempre, bisogna necessariamente che la molti-tudine delle parti sia tale che già mai non si possa superare; esono dunque le parti infinite, altrimenti la suddivisione si fini-rebbe; e se sono infinite, bisogna che no siano quante, perché in-finiti quanti compongono un quanto infinito, e noi parliamo diquanti terminati; e però gli altissimi ed ultimi, anzi primi com-ponenti del continuo, sono indivisibili infiniti.

Una volta definita la scodella di Galileo come solido ot-tenuto dalla differenza tra un cilindro circolare retto equi-latero e la semisfera in esso inscritta, si dimostra che la

scodella di Galileo è equivalente al cono che ha come

base e come altezza rispettivamente la base e l’altezza del

cilindro. Si propone GeoGebra 3D con cui è ottenibile lavista in sezione generata da un piano secante parallelo allabase (Figura 8 a p. 112), si può mostrare l’equivalenza trail cerchio e la corona circolare tratteggiate in figura tra-mite il comando GeoGebra del programma “misura area”.In questo modo si può dimostrare come ogni figura pianapossa essere pensata come la totalità di corde/fili/indivi-sibili aventi una comune direzione.Per la costruzione della scodella nell’ambiente 3D si èscelto di utilizzare la vista del piano xy in modo prefe-renziale costruendo sfera, cono e cilindro in modo taleche il piano di intersezione fosse sempre proprio ilpiano principale di riferimento. Uno slider gestiscequindi la traslazione dei solidi che allontanandosi o av-vicinandosi al piano xy ne modificano la porzione in-tercettata; alcuni indicatori forniscono i valori delle su-perfici calcolate.

Fig. 6b.

Fig. 7.

4. Si rimanda al GeoGebra Book dell’autore per visionare i file presenti nel-l’articolo in forma di immagine e i relativi protocolli di costruzione:http://www.geogebra.org/book/edit/id/Ju3zW5zR#bookcontent

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV110

PROGRAMMAZIONE

Laboratorio 5: Bonaventura Cavalieri (Scuola secondaria secondo grado: classe quinta.)

In questa attività l’interfaccia dello studente con la tecno-logia e il docente si modifica in funzione delle capacità edella consapevolezza dell’allievo. L’uso dello slider inGeoGebra servirà ad aumentare il numero dei foglietti e averificare che l’area dello scaloide inscritto tende all’areadella figura piana. La figura è dinamica e permette di ap-prezzare la variazione dell’errore via via che il numerodelle figure inscritte aumentano. L’allievo costruisce au-tonomamente il foglio GeoGebra per la comprensione delmetodo di esaustione che contiene implicitamente l’idea diCavalieri della suddivisione di una figura in foglietti.Quando il numero delle suddivisioni aumenta i foglietti di-ventano gli indivisibili. Lo slider è fondamentale per ren-dere espliciti i passaggi chiave quali: il concetto di limiteall’infinito del numero delle suddivisioni, la convergenzadi una somma di infiniti termini a un numero finito, l’ideadi indivisibili di Cavalieri (Figura 9).

lungo una retta e dimostrò che tale area è tre volte quelladel cerchio generatore. Nella Figura 10, i segmenti BB’,CC’, DA’ sono rispettivamente rettificazioni degli archiAB, AC, AD.

Se DA’ = �r, allora CC’ e BB’, che sono la metà e laquarta parte di AD, misureranno rispettivamente 1/2�r e1/4�r. Facendo slittare i segmenti suddetti verso sinistrain modo che i loro estremi sinistri vadano a posizionarsisul diametro, gli estremi destri descrivono un luogo geo-metrico chiamato “compagna della cicloide” (curva blunella Figura 11).

Le due superfici rigate sono equivalenti per il Principio diCavalieri (Figura 12).

L’area sottesa a un arco di cicloide è la somma delle areedel cerchio generatore e della parte di piano sottesa alla“compagna”, dunque lavorando su metà figura otterremoche (Figura 13):

Fig. 8. Fig. 10.

Fig. 11.

Fig. 12.

Fig. 9.

Laboratorio 6: La cicloide (XVII sec)(Scuola secondaria secondo grado: secondo biennio,

classe quinta.)

Torricelli quadrò anche l’arco di cicloide, generato da unpunto di una circonferenza che ruota senza strisciare

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 111

PROGRAMMAZIONE

Ora utilizziamo una triangolazione:come si vede in figura 14 la ½ cicloideè equivalente al triangolo che ha comelati il diametro del cerchio generatore,la circonferenza rettificata e la diago-nale del rettangolo ottenuto conside-rando due posizioni successive e omo-loghe del cerchio durante ilrotolamento. La superficie in Figura

14, se il raggio è 1, è �.L’area delimitata da un arco di cicloide

e dalla sua base è

il triplo dell’area del cerchio generatoredella curva (Figura 15).

Arianna Coviello

Docente, liceo G. Galilei, Alessandria

Formatore, docente ricercatore, Università

di Torino

� BIBLIOGRAFIA �

E.T. Bell, I grandi matematici, Sansoni, Firenze 1996.C.B. Boyer, Storia della matematica, Oscar Mondadori, Milano 1990.E. Castelnuovo, La matematica nella realtà, La Nuova Italia, Firenze 1988. A. Coviello, A. Galasco, Quadrature, Convegno DIFIMA 2013, Torino.D. Tall, Teachers as mentors to encourage both power and simplicity in active mathematical learning, «Proceedings of the Third AnnualConference for Middle East Teachers of Science, Mathematics and Computing», 2007, pp. 13-27.Appunti Convegno Storia della Matematica, Ivrea 2013.

� SITOGRAFIA �

http://www.fisicamente.net/FISICA/STORIA_CALCOLO

Fig. 13.

Fig. 14.

Fig. 15.

Semicerchio + ½ Compagna = ½ Cicloide

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV112

PROGRAMMAZIONE

Nel processo di insegnamento/apprendimento dellamatematica capita spesso di affrontare contenutidi complessità anche notevole che richiedono sa-

peri di base per essere gestiti e risolti correttamente daparte degli allievi. Saperi che gli allievi dovrebbero co-noscere e mobilitare nei diversi contesti reali o ideali chevengono proposti fin dalla scuola primaria e per i quali sidà per scontato, nei livelli scolastici successivi, che l’ap-prendimento sia avvenuto. L’analisi dei risultati delle prove Invalsi permette di ap-profondire lo studio di tale fenomeno, facendoci capirecome molti comportamenti non siano casuali, ma na-scondano, invece, misconcezioni nella mente degli allievianche di scuola superiore e ostacoli profondi di diversanatura.Sempre più, negli anni, si è venuto a delineare un si-gnificato condiviso del termine “misconcezioni” comecause di errori o meglio ancora cause sensate di errori,cause che sono spesso ben motivabili e, a volte, con-vincenti1. In un testo del 19982, Rosetta Zan parla pro-prio di misconcezioni come “causa di errori”: «Le con-

vinzioni specifiche scorrette (“misconceptions”) sullamatematica sono quelle responsabili di errori, che si pre-sentano in forme diverse e in contesti diversi. Si trattaspesso di convinzioni implicite, di cui cioè il soggettonon è consapevole, e per questo agiscono in modo an-cora più subdolo e sottile».Le misconcezioni possono, in alcuni casi, derivare dallescelte didattiche effettuate dai docenti ed essere quindiconsiderate come evitabili3, è questo, in parte, il casodell’altezza. Questo concetto viene infatti spesso mal-destramente definito alla scuola primaria senza che visia una vera costruzione del sapere da parte degli allievie poi non ripreso solitamente nei livelli scolastici suc-cessivi. Una delle classiche definizioni da libro di testo per le trealtezze di un triangolo è «il segmento che “parte” da unvertice e “cade” perpendicolarmente sul lato opposto osul suo prolungamento», tale definizione cambia poi a se-conda del poligono considerato. Sarebbe formativo invece

cercare di rispondere, insieme agli allievi dei diversi livelliscolastici, alle seguenti sollecitazioni e cercare una defi-nizione idonea di tale concetto: l’altezza è davvero un seg-mento o una distanza? Come può un segmento “partire”e “cadere”? Supponendo che un segmento possa “partire”,lo deve fare per forza da un vertice? Il segmento che rap-presenta un’altezza deve per forza essere verticale? Siparla di altezza solo per determinate figure? Quante al-tezze ha un poligono?4

L’altezza rappresenta, quindi, un concetto all’apparenzasemplice ma che nasconde al suo interno notevoli com-plessità.

Item a confrontoSi è scelto di riportare di seguito tre item delle prove In-valsi somministrati due nel biennio della scuola secon-daria di secondo grado e uno al terzo anno di scuola se-condaria di primo grado, dai quali emerge una difficoltàdiffusa nel mobilitare in diverse situazioni il concetto dialtezza.

Primo item. L’item è stato somministrato nel 2013 aglistudenti della classe seconda della scuola secondaria di se-condo grado.

Il caso dell’altezza.Un sapere fondanteEmanuela Botta, Silvia Sbaragli

1. B. D’Amore, S. Sbaragli, Analisi semantica e didattica dell’idea di ‘miscon-

cezione’, «La matematica e la sua didattica», 2, 2005, pp. 139-163.2. R. Zan, Problemi e convinzioni, Pitagora, Bologna 1998.3. S. Sbaragli, Misconcezioni ‘inevitabili’ e misconcezioni ‘evitabili’, «La ma-tematica e la sua didattica», 1, 2005, pp. 57-71.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 113

PROGRAMMAZIONE

Nella Guida alla Lettura delle prove è riportato quantosegue:

L’item è esplicitamente basato sulla nozione di area di untriangolo e in particolare sulla conoscenza e mobilitazionedel concetto di altezza, così come si evince anche dalcommento Invalsi. Le percentuali ottenute dalla sommi-nistrazione al campione statistico sono le seguenti:

I risultati mettono in evidenza le difficoltà degli studentinell’identificare la risposta corretta, dimostrando di nonaver acquisito criticamente la nozione di area di un trian-golo. In particolare, emergono le difficoltà nell’indivi-duare che la distanza del vertice C da AB è la stessa neidue triangoli, che corrisponde a comprendere la con-gruenza delle altezze dei triangoli, e che AH = HB. Si può osservare come tale difficoltà sembra essere indi-pendente dall’indirizzo di studi, infatti le percentuali discelta delle varie opzioni di risposta sono simili nei diversiindirizzi, a differenza di quanto avviene in altri quesiti pre-sentati nelle prove Invalsi, in cui tale differenza è spessorilevante. Quasi la metà degli studenti concentra l’attenzione sul-l’opzione di risposta C, che individua come altezza co-mune dei due triangoli il segmento CH, che corrispondein realtà alla mediana. Va tenuto in considerazione che Hè di solito la lettera usata per indicare il “piede dell’al-tezza” e che molti allievi potrebbero essere stati ingannatida questo aspetto. Nel presentare un concetto in matematica, si è costretti afare ricorso a rappresentazioni realizzate per mezzo di se-

gni, ossia alla semiotica: «In matematica l’acquisizioneconcettuale di un oggetto passa necessariamente attra-verso l’acquisizione di una o più rappresentazioni se-miotiche»5. Tuttavia, dovendo fare i conti con la semio-tica di un concetto, potrebbe accadere che lo studenteconfonda la semiotica con la noetica (acquisizione con-cettuale), associando le caratteristiche peculiari della spe-cifica rappresentazione al concetto stesso. Questo fa ri-flettere sul fatto che creare fissità nella nomenclatura enelle rappresentazioni proposte agli allievi può portare amisconcezioni nella mente degli allievi, che le percepi-scono come univoche e vincolanti. Risulta invece impor-tante didatticamente variare convenzioni per permetteredi riflettere ogni volta sui concetti in gioco. La scelta deisegni non è neutra o indipendente; come sostiene Rad-ford6: «I mezzi semiotici di oggettivazione offrono pos-sibilità diverse per svolgere un compito per designareoggetti ed esprimere intenzioni. […] Occorre quindi sa-per individuare i mezzi semiotici di oggettivazione per ot-tenere oggetti di coscienza», tale individuazione va gestitacon forte senso critico da parte dell’insegnante7.

Secondo item. L’item è stato somministrato nel 2015agli studenti della classe seconda della scuola secondariadi secondo grado.

4. B. Martini, S. Sbaragli, Insegnare e apprendere la matematica, Tecnodid, Na-poli 2005, p.143.5. B. D’Amore, Le basi filosofiche, pedagogiche, epistemologiche e concettuali

della Didattica della Matematica, Pitagora, Bologna 2003.6. L. Radford, La generalizzazione matematica come processo semiotico, «Lamatematica e la sua didattica», 2, 2005, p. 204.7. S. Sbaragli, Il ruolo delle misconcezioni nella didattica della matematica, inB. Bolondi, M.I. Fandiño Pinilla I quaderni della didattica. Metodi e strumenti

per l’insegnamento e l’apprendimento della matematica. Edises, Napoli 2012,pp. 121-139.

Risposta

corretta

A

Commento Per rispondere correttamente è sufficiente che glistudenti conoscano la formula per il calcolo dell’areadi un triangolo e sappiano identificare la misuradell’altezza relativa a una base come la distanza tra ilvertice da cui è condotta l’altezza e il lato opposto atale vertice. Il distrattore C può essere molto attrattivoper studenti che leggono con poca attenzione: lostudente, infatti, deve riconoscere che CH non è ingenerale altezza, ma mediana e quindi concludere chel’affermazione contenuta nell’opzione C è falsa.

Mancate

risposte

Opzioni

A B C D

Generale 4,0% 22,7% 18,8% 46,4% 8,1%

Licei 4,0% 29,2% 16,3% 44,8% 5,7%

Tecnici 3,7% 18,3% 20,7% 49,3% 8,0%

Professionali 4,6% 17,1% 20,7% 45,0% 12,6%

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PROGRAMMAZIONE

Nella Guida alla Lettura delle prove è riportato quantosegue:

Questo item è solo indirettamente legato al concetto di al-tezza, necessario per individuare le aree dei poligoni cheformano il quadrilatero. Le percentuali ottenute dallasomministrazione al campione statistico sono le seguenti:

La strategia risolutiva descritta nel commento è illustratanella figura seguente:

I risultati mettono in evidenza come la nozione di area diun triangolo non è stata acquisita criticamente in modotale da poter essere applicata anche nei casi in cui ci si al-

lontana dagli stereotipi rappresentati dalle figure tradi-zionali, usualmente rappresentate nei libri di testo.In particolare, parlando di altezza, concetto fondamentaleper calcolare le aree dei poligoni, dall’analisi di circa250 fascicoli a campione emerge come nessuno studenteabbia scelto esplicitamente di individuare un segmentoesterno come altezza del triangolo BDC; scelta che sem-brava a priori come la più naturale.Dai protocolli analizzati emerge come il non riconoscereun segmento esterno e disposto in posizione non standardcome altezza del triangolo, spinga la maggior parte deglistudenti a cercare strategie alternative a quella ipotiz-zata, preferendo strade lunghe, complesse o inadatte, cherisultano spesso fallimentari. Tra queste, la più frequente è risultata quella di ipotizzareche il triangolo BDC fosse isoscele e che di conseguenzal’altezza rispetto al lato BC avesse come estremo il suopunto medio.La scelta di tale procedimento può essere in parte attribuitaalla misurazione, in fase esplorativa, dei lati DB e DC; ilfatto che la differenza fra i due lati sia solo di un millime-tro, può infatti aver confermato l’ipotesi errata che il trian-golo BDC fosse isoscele. Un altro fattore che può aver in-fluenzato tale scelta è la familiarità degli studenti con iproblemi relativi ai triangoli isosceli, molto presenti nei li-bri di testo e quindi utilizzati frequentemente dai docenti.I risultati mettono inoltre in evidenza come gli studenti chedispongono di conoscenze più ampie tendono spesso a sce-gliere una strategia di risoluzione complessa, con esito nonsempre positivo, come attesta il seguente protocollo.

Risposta

corretta

9 cm2

Commento Spesso nei test Invalsi compaiono domande di questotipo, in cui il calcolo delle aree può essere effettuatoper composizione o scomposizione di figure. Qui èpiù semplice calcolare l’area del quadrilatero ABCDcome somma delle aree dei triangoli ABD e BDC,quindi come 0,5 · (3 · 4) + 0,5 · (3 · 2) = 6 + 3 = 9 cm2.Spesso gli studenti si trovano in difficoltà di fronte aquesiti simili, che dovrebbero essere abituati adaffrontare già dalla scuola secondaria di primo grado.

Mancate risposte Corretta Errata

Generale 23,0% 30,6% 46,4%

Licei 17,4% 40,5% 42,0%

Tecnici 23,1% 28,5% 48,3%

Professionali 34,5% 12,8% 52,7%

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 115

PROGRAMMAZIONE

Anche dall’analisi dei protocolli utilizzati dagli studentiche hanno dato la risposta corretta emerge la scelta fre-quente di applicare strategie alternative a quella ipotizzata,tese a ricondurre il problema al calcolo dell’area di figurepiù familiari, quali quella classica della differenza fraaree di figure note, rettangolo e triangoli rettangoli oquella del completamento del triangolo BDC in un pa-rallelogramma.Alcuni studenti, non ritenendo lecito rappresentare altezzeesterne, approssimano l’area oppure dopo diversi tentativirinunciano a risolvere.

Le difficoltà rilevate da questi due item e legate al con-cetto di altezza derivano dai livelli scolastici precedenti;in una ricerca effettuata con allievi di V primaria emergecome la grande maggioranza non considera un’altezza diun poligono un segmento che, pur avendo un vertice in co-mune con il triangolo, sia esterno alla figura; ciò derivadalla consuetudine didattica di rappresentare esclusiva-mente l’altezza di una figura con un segmento totalmenteo in parte interno.Alla domanda se il segmento qui sotto rappresentato in-dividua un’altezza del triangolo, rispondono in questomodo: «Non è un’altezza perché finisce fuori dal trian-golo».

Anche l’ormai classico studio di Hershkowitz8, citato an-che da Zan9, effettuato su studenti di 14 anni ha eviden-ziato come per la maggior parte di loro l’altezza debba es-sere sempre interna al triangolo (66% dei casi, 8% dirisposte mancanti). Tali difficoltà riscontrate in letteraturadiversi anni fa, sembrano rimanere costanti negli stu-denti di oggi, come rivela anche il seguente item.

Terzo item. L’item è stato somministrato nel 2011 nellaclasse terza della secondaria di primo grado.

Nella Guida alla Lettura delle prove è riportato quanto se-gue:

Risposta

corretta

● D6a Risposte comprese tra 4,5 cm2 e 5,7 cm2

● D6b Lo studente deve mostrare di aver misuratocorrettamente almeno un lato e l’altezza relativa eapplicato la formula dell’area (oppure tutte e tre ilati nel caso abbia applicato la formula di Erone).

Commento Lo studente deve misurare, eventualmentetracciandola, l’altezza relativa ad uno dei lati (sinoti che in questo caso due delle altezze sonoesterne al triangolo), e poi effettuare calcoli connumeri decimali. La risposta è considerata correttaall’interno di un intervallo (area compresa fra 4,5cm2 e 5,7 cm2) che dipende dalle misure prese edalle approssimazioni effettuate. La domanda sipresta ad una riflessione sull’approssimazione nellamisura.

8. R. Hershkowitz, The acquisition of concepts and misconceptions in basicgeometry – or, when “a little learning is a dangerous things”. Proceedings of the

Second International Seminar on Misconceptions and Educational Strategies in

Science and Mathematics. Ithaca, NY, vol. 3, 1987, pp. 238-251.9. R. Zan, Difficoltà in matematica. Osservare, interpretare, intervenire, Sprin-ger-Verlag, Milano 2007, pp. 85-86.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV116

PROGRAMMAZIONE

� BIBLIOGRAFIA �

Rilevazioni Nazionali degli apprendimenti 2010 – 2011 RapportoTecnico, Invalsi, Roma 2011.Rilevazioni Nazionali degli apprendimenti 2013 – 2014 RapportoTecnico, Invalsi, Roma 2014.Rilevazioni Nazionali degli apprendimenti 2014 – 2015 RapportoTecnico, Invalsi, Roma 2015.Servizio Nazionale di Valutazione a.s. 2010/11 Guida alla letturaProva Nazionale di Matematica – Scuola secondaria di I grado,Invalsi, Roma 2011.Servizio Nazionale di Valutazione a.s. 2013/14 Guida alla letturaProva di Matematica Classe seconda – Scuola secondaria di IIgrado, Invalsi, Roma 2014.Servizio Nazionale di Valutazione a.s. 2014/15 Guida alla letturaProva di Matematica Classe seconda – Scuola secondaria di IIgrado, Invalsi, Roma 2015.

Le percentuali ottenute dalla somministrazione al cam-pione sono le seguenti:

Dai risultati emerge che la nozione di area di un triangolonon è stata acquisita, in particolare dall’analisi di 120 fa-scicoli presi a campione emergono le difficoltà degli stu-denti nell’individuare un’altezza del triangolo. Diversistudenti rappresentano un segmento verticale, che perònon rappresenta una delle altezze.

Anche la scelta didattica diffusa di rappresentare esclusi-vamente l’altezza verticale rispetto al punto di vista del-l’osservatore può quindi creare misconcezioni, favorite

Item Mancate risposte Corretta Errata

D6a 19,6% 29,0% 51,4%

D6b 22,0% 24,9% 53,1%

anche dall’esplicitazione da parte dell’insegnante dellafrase che ricorda la direzione della forza di gravità: «…che “cade” perpendicolarmente rispetto alla base» (di-sposta di solito orizzontale) e da un’insidiosa prassi di-dattica che ha favorito per anni l’uso del filo a piombo perindividuare le altezze, generando così segmenti verticalirispetto al punto di vista dal quale tradizionalmente si os-serva il mondo. Altri studenti scelgono due lati consecutivi come possibililato e relativa altezza del triangolo o applicano in modoinopportuno il teorema di Pitagora.

Abbiamo voluto evidenziare come a concetti all’appa-renza semplici e considerati di base per la scuola del-l’obbligo siano legate diverse misconcezioni che perdu-rano nei livelli scolastici successivi. Risulta quindiimportante lavorare per il superamento di tali misconce-zioni legate a saperi fondanti che possono incidere sul-l’acquisizione di competenze da parte degli studenti. Oc-corre consentire agli studenti di ripensare e comprenderei diversi oggetti della matematica nella loro “essenza” ecomplessità dal punto di vista matematico, analizzandocon elasticità e criticità le loro peculiari caratteristiche indiverse situazioni significative.

Emanuela Botta, Invalsi, Area Ricerca e Valutazione

Silvia Sbaragli, Dip. Formazione e Apprendimento –

SUPSI, Locarno

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 117

ITINERARI DIDATTICI PER LE LINGUE STRANIERE(a cura di Giovanni Gobber - Università Cattolica, Milano)

Inuovi media hanno portato cambiamenti nei modi dielaborare i testi. Oggi è possibile modificare, inte-grare, correggere un testo con rapidità: si decide e si in-

terviene. In questo modo lo scritto condivide una caratte-ristica dell’orale: è effimero e suscettibile di ristrutturazionesistematica. La pianificazione perde di importanza, poichéil testo non è costruito per restare nel tempo: viene menola permanenza, qualità costitutiva della scrittura.Un testo che non sia fatto per durare perde valore. I ma-teriali didattici (anche quelli orali) invecchiano molto piùrapidamente che in passato. Questo cambiamento incideanche nella percezione dei testi fatti per durare oltre l’ef-fimero: un’opera classica non è più distinta da un instant

book qualsiasi; un sapere consolidato nella tradizione è re-cepito allo stesso modo di un prodotto banale e sciatto. Iltempo per la lettura è ridotto, si rinuncia a “contemplare”il testo. La componente estetica è offuscata, ha la megliol’aspetto utilitaristico: del resto, per il senso comuneun’opera letteraria o un saggio, anzi, la cultura in gene-rale “non serve” e per questo si tralascia. Certe tendenze nella vulgata didattica sembrano asse-condare tale andamento: è ignorata la possibilità che l’ap-prendimento delle lingue sia fattore essenziale per la cre-scita culturale e per lo sviluppo del senso estetico. Alcuniritengono che la letteratura e le arti debbano lasciare spa-zio all’apprendimento secondo obiettivi formativi. Forsel’idea di “obiettivo formativo” deve essere arricchita e in-tegrata. Forse è utile riflettere sul ruolo che l’apprendi-mento linguistico può avere nella crescita della persona.

Recuperare l’unità del sapere linguistico eculturale A ben vedere, una lingua si manifesta nei testi (scritti odorali) che vivono in una comunità di parlanti. È cosa na-turale che nell’apprendimento linguistico si prenda avvioda eventi comunicativi concreti. Così facendo si pongonole basi per una competenza comunicativa adatta a funzio-nare nella realtà. Ora, gli strumenti didattici più diffusisono orientati in prospettiva funzionale: le strutture dellalingua sono presentate nei loro usi entro azioni comuni-cative ben delineate. Peraltro, nell’apprendimento di unalingua in contesto scolastico la comunicazione si sviluppa

nella dimensione del verosimile, che simula curiosità, in-teressi, bisogni per i quali si comunica nell’esistenza quo-tidiana. È un allenamento in vista di una comunicazione ef-fettiva, che non è ancora esperienza autentica.Ma che cosa si comunica? Può l’apprendimento di una lin-gua essere ridotto all’ambito delle necessità quotidiane edegli scopi pratici, eludendo le grandi categorie culturali,elaborate entro una tradizione testuale costituita a ridossodelle domande radicali che muovono l’esistenza umana?Max Weber ha insegnato a distinguere l’agire umano chemira agli scopi (zweckorientiert) da quello orientato ai va-lori (wertorientiert). Anche la comunicazione linguistica– in quanto azione umana – ha questi caratteri. Gli obiet-tivi formativi devono tenerne conto. Non si comunica soloper conseguire scopi materiali, ma anche per andare afondo nell’animo umano, per trovare risposte al bisognodi senso – un bisogno che muove l’esistenza umana. I te-sti classici di una tradizione letteraria e culturale propon-gono uno sguardo sul significato dell’esistenza e sonoadatti alle esigenze di un’istruzione che sia anche forma-zione (Bildung). Ed ecco che la lezione di lingua e cultura, di lingua e let-teratura si rivela capace di attivare un interesse esistenzialeche può motivare l’apprendimento della lingua più diogni altro scopo materiale. La prospettiva di una comu-nicazione orientata ai valori, nella sua radicalità, offre ri-sposte alle domande cruciali che ogni giovane si pone eche non trovano soddisfazione in una dinamica limitataagli scopi quotidiani. La lettura di un testo letterario o diun saggio tuttavia si scontra, non di rado, con il muta-mento radicale delle forme di manifestazione dei testi. Unlibro di fattura tradizionale non invita alla lettura chi siaabituato alla gestione della lingua secondo le dinamichedei social media. È allora necessario promuovere una“fruizione” attiva del testo. Si può affiancare la paginascritta a una versione orale, facilmente recuperabile dalworld wide web – per esempio, un sito come librivox.orgoffre una messe di documenti che abbracciano vari generitestuali. Invitare all’ascolto ripetuto, dapprima affiancatoalla lettura, poi senza ricorrere alla pagina scritta, serve perattivare la memoria e invitare gli studenti a riproporre oral-mente una pagina scritta. Le opere per il teatro possono es-

Lingue straniereGiovanni Gobber

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV118

LINGUE, CULTURE E LETTERATURE

sere impiegate per l’apprendimento della lingua, la ri-flessione sui contenuti e la rappresentazione in scena daparte degli studenti, che possono accedere al documentoorale ovunque vi sia la connessione al web. Un’integra-zione proficua può essere data dalla ricerca e consulta-zione di rappresentazioni teatrali accessibili in rete. Aben vedere, si tratta di sfruttare appieno le potenzialità of-ferte da strumenti disponibili ovunque. Per apprendere untesto si continua a ricorrere alla versione scritta. Sarebbepiù fruttuoso l’impiego della versione orale. «En linguis-

tique […] toute vérité entre par les oreilles, toute sottise

par les yeux», scriveva Henri Frei. La voce ha più com-ponenti della traccia scritta. L’ascolto coinvolge ancheemotivamente e la capacità mnemonica ne è rafforzata.Per motivare i discenti a un apprendimento efficace è es-senziale far vedere il nesso inscindibile fra le competenzelinguistico-tecniche, i contenuti culturali e il significato chehanno per il destino e l’esistenza di ciascuno. Quanto piùlo studente riesce a cogliere nei testi una – seppur parziale– risposta a domande esistenziali di fondo, tanto più l’ap-prendimento meramente tecnico riceve nuovo impulso. Aben vedere, la padronanza completa di una lingua è legataalla capacità di comprendere l’umanità della comunica-zione. Studiare lingue aiuta a maturare come persone.

Per un nuovo atteggiamento critico verso il sapereForse la riflessione appena svolta rischia di passare per dé-

modé. Riconosciamo tanta importanza alle forme classi-che del testo, proprio ora che i nuovi media stanno cam-biando la natura della comunicazione, che vienespersonalizzata e scarnificata, virtualizzata, in un’esalta-zione gnostica della mente senza corpo.I testi prendono forme nuove. I libri digitali sono semprepiù diffusi e l’organizzazione in successione, propria delmezzo cartaceo, è integrata da strutture ipertestuali che sisviluppano lungo una dimensione verticale, gerarchica. Lepotenzialità del mezzo digitale permettono questa espan-sione del testo: la linea sintagmatica – asse della succes-sione – si accompagna alla linea paradigmatica – assedelle associazioni, dei rimandi, delle connessioni tra ele-menti. Il lettore opera a ridosso del testo proposto dal-l’autore e, servendosi dei “link”, costruisce linee di letturaulteriori. A ben vedere, queste operazioni sono possibilianche con i formati cartacei tradizionali, ma la forma deinuovi mezzi rende più veloce e “creativo” il viaggiolungo il testo. La lettura è plasmata in base alle capacitàe agli interessi del destinatario.Tale mutamento cambiamento delle strategie di fruizionedei testi influisce anche sui manuali. Vince l’interesse en-ciclopedico, erudito; ne escono indebolite le architetture

fondamentali della testualità, sviluppata in percorsi nar-rativi, descrittivi e argomentativi, e l’interazione dialogicache fonda il rapporto interpersonale. In particolare, i tipifondamentali di andamento testuale si manifestano inuna successione di elementi organizzati temporalmente elogicamente: per esempio, un racconto è articolato infasi, e queste fasi si riconoscono per i rapporti che le le-gano tra loro; un enunciato può mostrare natura di “ar-gomento” perché nel testo si lega a un altro enunciato chefunziona da “conclusione” (la tesi sostenuta). Questi le-gami di senso operano localmente – nella pagina o nel ca-poverso – e legano le parti in un progetto globale. L’av-ventura ipertestuale pone in secondo piano l’architettura

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ITINERARI DIDATTICI PER LE LINGUE STRANIERE

logico-semantica del testo e consente al lettore di istituirenuovi percorsi, dominati per lo più da associazioni libere,proprie del sapere enciclopedico che rinuncia a “farsi te-sto”, ma si sfalda in una catasta di dati. Il mondo risultanon più come lettura dell’esperienza, cioè capacità dicollegare i dati da interpretare, ma come una serie di fe-nomeni liberamente associati fra loro.A perdere è la testualità, intesa come capacità di costituireatti comunicativi complessi, coesi e organizzati per unoscopo riconoscibile (così, almeno, nella comunicazionepalese). In breve, ne va della capacità di costituire e in-terpretare il lógos, il discorso portatore di senso. I processi“logici” sono conquistati dalla mente umana con un la-voro impegnativo di analisi – anche autobiografica. Unodegli aspetti fondamentali della testualità è l’impegnoontologico. Il mittente dichiara la sua “onorabilità” e il de-stinatario apre una linea di credito, cioè concede fiduciaall’autore. Per esempio, quando si racconta o si descriveun evento, valgono implicitamente alcune massime,come: “quello che ritengo falso o di cui non ho prove ade-guate, non va presentato come un fatto” (riformulo cosìalcune massime di Qualità secondo Grice). Possiamo partire da questo aspetto: l’onestà delle fonti.Prima di coinvolgere l’allievo nell’apprendimento di qual-cosa, occorre fargli capire che lui stesso deve chiedersi dadove venga quello che legge; e deve interrogarsi ancora:chi ne è l’autore? E quel che è scritto, è documentabile?Certe affermazioni, come sono motivate? Nella conquistadella capacità di riconoscere la realtà bisogna partire dalmetodo. Un atteggiamento critico invita a collocare ogniaffermazione nel contesto di cui fa parte. Soprattutto nellescienze umane è importante che l’allievo impari a colle-gare un’affermazione a un punto di vista, cui non di radoè possibile opporre un altro punto di vista. Purtroppo, datala condizione della manualista scolastica, i libri di testofanno volentieri uso dell’argomento di autorità. Ma anchenella pratica didattica si fa valere tranquillamente la com-

munis opinio – un prodotto del senso comune (che a fa-tica va d’accordo con il buon senso). Sulle pagine web sono disponibili grandi quantità di datiche offrono spunti per elaborare e approfondire ognitema. Ma è chiaro che i contenuti dei materiali sonospesso inaffidabili e, in ogni caso, è sempre necessaria unaverifica accurata delle fonti, quando siano indicate. L’at-tendibilità delle fonti vale tanto per le pagine web quantoper i manuali scolastici e, in generale, per ogni strumentoimpiegato nella didattica. Bisogna che gli studenti sianocapaci di sfuggire alla manipolazione. Il problema del cre-

dito, della pistis verso l’interlocutore si ripropone in ogniesperienza di comunicazione. Vale la pena fidarsi di chinon conosciamo?

L’esame di maturità deve attestare anche il raggiungi-mento di una sana prospettiva critica. La prova di maturitàchiamata “saggio breve” dovrebbe documentare propriotale capacità. Invece, avviene spesso che il “saggio breve”non sia redatto in modo saggio. Vale anzi l’inverso. Lo stu-dente applica tecniche sommarie di “cut and paste”, taglia

e incolla. Potrà uscirne un bell’impasto di informazioni ri-cavate da varie fonti, ma con poca attenzione all’attendi-bilità delle fonti. Questa copiatura istituzionalizzata fastrame dell’atteggiamento critico. E quando lo studentegiunge all’università, tenderà a usare la stessa tecnica perelaborare un testo accademico. Sarà impresa faticosa ap-prendere i “fondamentali” di un testo scientifico. Forse è bene che anche nella scuola secondaria (almenodi secondo grado) si apprenda l’atteggiamento criticoverso le fonti. E qui occorre far comprendere un fatto cru-ciale: altro è l’atteggiamento critico, altra è la competenzain un dato ambito del sapere. Non occorre essere espertiin un settore; bisogna saper vedere un testo per quello cheè: è un testo, non è un fatto del mondo! È un testo – equindi ha un autore, il quale svolge riflessioni, fa affer-mazioni, indica le fonti (oppure no), ha una tesi da soste-nere e a volte opera in modo poco trasparente... Ed eccoche anche la prosa del “saggio breve” può essere orien-tata in modo adeguato. Un procedimento semplice e prezioso può essere l’usodelle coordinate cartesiane. Sull’asse orizzontale si col-locano, per esempio, gli storici Tizio, Caio, Sempronio.Sull’asse verticale si pongono elementi del contenuto, peresempio x (il ruolo degli Alleati nella fase finale della Se-conda guerra mondiale), y (il comportamento della mo-narchia sabauda dopo il 25 luglio 1943), z (il ruolo dei par-tigiani prima e dopo il 25 aprile 1945...). Per ciascunautore, si registrano le affermazioni in merito ai contenuti,facendo attenzione alle espressioni impiegate. È un primoapproccio all’elaborazione di uno status quaestionis, chepotrà essere incompleto e sommario, ma per il metodosarà di cruciale importanza: confrontare le fonti permettedi vedere somiglianze e differenze e allena lo studente ascoprire la pluralità dei punti di vista – e, a volte, la ma-nipolazione, sia inconsapevole sia deliberata. Si tratteràpoi di imparare a scegliere le espressioni adatte a dosarel’attendibilità o l’autorevolezza delle fonti riportate. Inogni caso, mai si deve prendere per oro colato quel che silegge in pubblicazioni altrui! Certamente, questa praticaallena lo studente a porre interrogativi anche ai docenti,i quali non possono esimersi dal riconoscere l’impor-tanza della sospensione del giudizio in assenza di proveaccettabili – e, anche qualora queste vi siano, occorre ri-conoscere che un’indagine più accurata può far scoprirecontroprove... Certo, una scuola che alleni a questi pro-

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LINGUE, CULTURE E LETTERATURE

As the American linguist Walter Ong was fond ofsaying, “Sound is a unifying sense. A typical vi-sual ideal is clarity and distinctness. The auditory

ideal, by contrast, is harmony, a putting together” (Wal-ter J. Ong, Orality and Literacy: The Technologizing of

the Word). When approaching the learning and teaching of a foreignlanguage, one never betrays the language if priority isgiven to orality. Immersing oneself in the sounds of a lan-guage, listening even without understanding, is vital togetting to the heart of the language. Savouring the sounds,feeling the expressiveness of a pause or variation inrhythm and volume, all these features are keys to gettinginside the identity of the language, which remains un-known if unheard, unpronounced. It is through soundthat one can feel in harmony with the language.In a digital era, where sound is reproduced with an easehitherto unknown, there is no rhyme nor reason to thewritten bias that persists in schools. The following articletakes us in the opposite direction, focusing on improvingthe oral feedback skills, namely back-channelling, in in-termediate learners of English.

Helping intermediate-level learners of English improve their ability to usebackchannelling in primarily interactional discourseHow often have we noticed that our intermediate learners’conversations in English sound non-spontaneous, evenwhen utterances are acceptably accurate and fluent? Of-ten, very often. Are we sure that we provide them withenough opportunities to learn conversational skills? It istrue that we have little time for this, owing to the limitednumber of lessons per week, and we usually try to com-pensate for this lack by using English as much as possi-ble when teaching. However, there is a deep difference be-tween “practising” and “teaching” conversation. As amatter of fact, research has shown that classroom dis-course is generally not a good preparation for real life con-versation and, since improvement of interactional skills isone of our intermediate learners’ main goals, we could

Orality andLanguageFlavia Zappa

cedimenti non sfornerà individui privi di interesse versola realtà o privi di difese critiche nei confronti delle pra-tiche manipolatorie e di agenda setting in voga nel mondodella comunicazione contemporanea.

Percorsi di riflessione Per l’anno nuovo proponiamo contributi che invitano adapprofondire alcuni aspetti della discussione qui proposta:

1) per l’Italiano lingua seconda, si presenta il modellodella grammatica valenziale e si offre una prima valu-tazione dei dati che emergono da una sperimentazionein atto in contesto scolastico;

2) per il russo, si offre una serie di materiali didattici perl’insegnamento dell’ordine dei costituenti;

3) per la linguistica applicata, si dedica particolare atten-zione alla didattica della punteggiatura. Saranno pre-sentati gli interventi di una giornata di studio svolta dalCentro di Linguistica dell’Università Cattolica;

4) per la didattica delle lingue si discutono i metodi di se-lezione di materiali didattici “in the mobile era”: il temaè applicato all’insegnamento dell’inglese, ma è perti-nente anche per le altre lingue;

5) per la letteratura inglese, si elaborano approfondi-menti su singoli autori (un esempio è la rivisitazionedel contributo di Emily Dickinson) e su periodi lette-rari degni di attenzione (come le figure autorevolinell’epoca vittoriana);

6) per la lingua inglese, si propongono interventi sulle tec-nologie e la loro importanza per sviluppare scrittura eoralità. La presentazione generale è accompagnata daesempi di buone pratiche;

7) una serie di sguardi comparati sulle letterature e le cul-ture del primo Novecento, alle prese con i rivolgimentipolitici e antropologici tra le due guerre mondiali;

8) si ripercorrono le vicende dell’ebraismo in Europa at-traverso le sorti di due lingue: lo yiddish degli ashke-naziti e il ladino della tradizione sefardita;

9) si considera l’uso della musica per l’insegnamento dellapoesia: è una sfida, e qui si spiega come affrontarla.

Giovanni Gobber

Università Cattolica, Milano

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ITINERARI DIDATTICI PER LE LINGUE STRANIERE

start by exploring “backchannelling”, which they seem touse unsuccessfully. First, we will focus on the waysspeakers use to give feedback in conversation and reflecton aspects of form, meaning and use which represent aproblem for learners. Then, we will try to develop aware-ness of the difficulties of teaching conversation and reflecton possible solutions.

Analysis and IssuesPrimarily Interactional DiscourseSpeech is characterized by phonology (sounds, stress,intonation), spoken grammar (e.g. coordination, ellipsis),dysfluency effects (e.g. hesitations, repetitions), low lex-ical density, and strings of chunks of language (Thornbury& Slade, 2006). According to its communicative pur-pose, talk can be distinguished in: - “primarily interactional” , whose primary function is “to

establish and maintain social relations”, which is “lis-tener-oriented” (Brown & Yule, 1983:23)

- “primarily transactional”, whose primary function is to“convey information” , which is “primarily message-ori-ented” (ibidem).

This affects the structure of discourse, i.e. “the behaviourof participants in talk and […] patterns which recur overa wide range of natural data” (McCarthy, 1991). Primarilytransactional discourse involves a sequence of exchangesthat is, to a certain extent, pre-determined, e.g. buying tick-ets, and which may display asymmetrical initiating rights,e.g. an interview. On the other hand, primarily interactionaldiscourse, i.e. casual conversation, seems to be muchmore complex: participants share symmetrical rights; turn-taking may occur by selection or nomination, but more of-ten by self-selection; there is frequent overlapping, inter-ruption and feedback; topic-management is freelyco-constructed (Thornbury & Slade, 2006). In contrast, the analysis of typical classroom discourseshows that this is often limited to the initiation/re-sponse/follow-up or IRF exchange pattern (Sinclair andCoulthard, 1975). The teacher asks a question (initia-tion), the learner gives an answer (response), and theteacher offers feedback (follow-up), which, in the lan-guage classroom, is more often on language than on con-tent. It is evident that, due to the asymmetry of rights,classroom discourse is hardly good preparation for realconversation.

Feedback or BackchannellingFeedback or backchannelling corresponds to the wayswhich listeners use to show they are following the con-versation and speakers to check on the attention of the lis-teners. It conveys agreement, disagreement, interest and

attention (Thornbury & Slade, 2006). Misuse of or fail-ure in using and recognizing backchannelling will makethe conversation less smooth and cohesive, create mis-understanding or even conversation breakdown.The following analysis is based on Thornbury and Slade(ibidem) and McCarthy (2003). However, it is essential tonote that research does not totally agree on the boundariesbetween backchannelling and turn-taking (ibidem). Inthe present analysis, backchannelling is interpreted as allresponses that show understanding of the incoming talkand keep the backchannel open (ibidem).

A) Continuers

Continuers are used by the listener to signal the speak-ers’ right to continue holding the floor, e.g. “mmhm, uh,huh”.

● Issues (Form) As they are non-lexical items, theywould not seem to represent a real problem, but they arevery difficult to use spontaneously. Some learners mayuse continuers which are typical of their native language(e.g. in Italian “ha ha” or “ah”), which, while not a prob-lem in a monolingual classroom context, can causemisunderstandings in a different context, e.g. the cur-rent speaker may think the listener is expressing dis-satisfaction or is ridiculing him/her.

B) Acknowledgments

Acknowledgments are used by the listener to showagreement or understanding and they can be non-lexical,e.g. “mm”, or lexical items, e.g. “yeah” “right”, evenclauses “I see”.

● Issues: Similar to those of continuers.

C) Assessments

Assessments are used by the listener to appreciate insome way what has been said. They may express bothpositive or negative appreciation. They include:a. lexical items, e.g. “Wow”, usually adjectives, e.g.

“Wonderful!”, b. echoing questions: negative statements with a rising in-

tonation which express some degree of surprise oreven annoyance, e.g.:

Speaker: “So I told her a lie.”;Listener: “You didn’t tell her a lie?”;

c. phrases “How terrible!”, “What a bad day!”;d. whole clauses “That sounds interesting!”.

Assessments are highly interpersonal, as they may com-municate a range of feelings, such as excitement, sym-

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV122

LINGUE, CULTURE E LETTERATURE

pathy, interest, (see respectively examples a. and b., c., d.above). They have a relevant function in keeping theconversation coherent, as they may determine the contentand register of the next utterance.

● Issues (Form and Meaning)

Learners maya. make a grammar mistake, e.g. *“What terrible!”

b. use incorrect intonation, e.g. an echoing question witha falling intonation;

c. mispronounce words, e.g. bad */bed/;d. use the incorrect adjective, e.g. *Terrific! instead of

“Terrible”;e. use an incorrect phrase, e.g. * How happy! instead of

“What a happy story!”.

News markers

News markers are used by the listener to mark thespeaker’s turn as news and may take the form of lexicalitems, such as an adverb, e.g. “Really?, or of a clause, e.g.“Really, is it!”, “(I) didn’t know”.

● Issues (Form) - Learners may make a grammar mis-take, e.g. *I didn’t knew”.

Questions

The listener uses questions to indicate interest by askingfor details, e.g. ”What time was it?” or to repair misun-derstandings through “other repairs” (Richards, 1990:72),i.e. repairs initiated by the hearer”, e.g. “What?” (famil-iar) “What time did you say?” (neutral) or “Sorry, wouldyou mind saying that again?” (formal).They may include ( Leech & Svartvik, 2002): a. tag questions, e.g. “You like your job, don’t you?”

with a fall intonation to ask for confirmation, where theexpected answer is “Yes” if the statement is positiveand “No” if the statement is negative;

b. yes-no questions (typically with a rise or fall-rise in-tonation), e.g. “Did you know about that?”, often inshort form, e.g. “Did you?”, which omit repeatedmatter;

c. statements with a fall-rise intonation, e.g. “ You had aproblem then?” (expected answers as for tag ques-tions);

d. short informal wh-questions, e.g. “Where? Who with?”,which omit repeated matter;

e. full wh-questions (typically with a falling intonation),e.g. “Where did you meet her?”, used for greater po-liteness;

f. questions with positive statement, positive question,and fall-rise intonation, e.g. “He was tired, was he?”,

which are used to check the conclusion the listener hasarrived to, sometimes with an ironic tone.

● Issues (Form) - Learners may make morphologicalmistakes, e.g. use of the second form after the auxiliary“did”, and intonation mistakes, e.g. of tag questions.

Collaborative completions

Collaborative completions occur when one participantfinishes or repeats another’s utterance, for example:

Speaker: “I was trying to draw his attention… but he….he went on…”.Listener: “… went on talking to his girlfriend”.

● Issues (Form) – learners may make grammatical mis-takes, e.g. *“… went on to talk to his girlfriend”.

Non-verbal vocalizations

Non-verbal vocalizations correspond to behaviour such aslaughter and sighs, which communicate the listener’semotional participation.

● Issues (Use) - Learners may overuse some behaviourwhich may sound impolite, e.g. frequent laughter whennot justified as a response to jokes or reports of funnysituations.

Overview of Learning IssuesThe problems which intermediate learners usually meetare not restricted to form, but they also, and primarily, re-gard use:

- Learners may not use backchannelling because theydon’t know the grammar or lexis to express it, becausethey are intent on decoding the message, because theyare shy or because they are not used to it in their own L1,e.g. Finns (McCarthy, 1991), and expect an explicitquestion.

- Learners may overuse the same type of backchannellingor the same lexical items because they have limitedknowledge of grammar and/or lexis. (e.g. “Wow” “Ter-rible”).

- Learners may not know the register of some assess-ments and their utterance may sound impolite, e.g. usethe exclamation “Gosh” in a formal context.

- When holding the floor, some learners may not noticethat their listeners do not show attention and will not en-act strategies to make their turn more interesting. Theymay not understand their interlocutors’ feedback eitherand continue in an incoherent way.

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 123

ITINERARI DIDATTICI PER LE LINGUE STRANIERE

- Some talkative learners or from talkative cultures maytend to interrupt the speaker continuously.

Consequently, when planning a lesson the teacher is likelyto face the following problems:

- creating opportunities for real/realistic conversation,which in fact should be spontaneous per definition

- devising an effective series of activities which focuseson spontaneous use but caters for the learners’ needs tocope with accuracy too.

Suggestions for TeachingPrimarily interactional discourse is difficult to teach be-cause of its complexity and spontaneity (Brown & Yule,1883). In his analysis of how to teach conversation,Richards (1999) points out the benefits of:a. a direct approach, which implies explicit instructionencouraging learners to categorize discourse features inorder to notice them;b. an indirect approach i.e. “teaching conversationthrough interactive tasks” (ibidem:77) which assumes thatin using conversation to interact, learners should developsuitable discourse strategies. This process should be sup-ported by massive listening to authentic conversations. Classroom experience demonstrates that both approachesalone offer little opportunity to develop interactionalcompetence in English, as the learners may respectively- not have enough time or opportunities to internalize the

backchannelling features and tend to fall into commoncultural behaviour and/or reliance on the L1 to keep theconversation going

- fail to notice the backchannelling features or make mis-takes in form/meaning/use.

Instead, learners may benefit from what Thornbury andSlade (2006:278) advocate, i.e. an “indirect approach

plus”, which alternates practice with periodic explicit in-struction. Research in coursebooks and methodology booksallows investigation of the “plus” element and of possiblesolutions to the learning issues already mentioned.Firstly, the teacher has to choose suitable topics related toanecdotes or gossiping, which are typical forms of con-versation (ibidem), that are of some interest for the stu-dents and involve language which matches their level,otherwise interaction is not feasible. Secondly, the teacherhas to provide some good model to be worked on in a se-quence of activities promoting appropriate use ofbackchannelling. However, to do this, the teacher is likelyto have to select some back-channelling phrases accord-ing to the learners’ level and needs and provide languageanalysis as well as some practice promoting accuracyand internalization. A typical lesson seems therefore to include the followingstages, though not necessarily in this order:

1. Noticing Use: the crucial issue is to make learnersaware of the use of backchannelling, provide a goodmodel and avoid the listener’s silence or frequent in-terruptions due to cultural/personal tendency. Noticinguse may be promoted in various ways, (see lessons be-low).

2. Noticing Form and Meaning: the unknown struc-tures and lexis, or which the learners don’t use cor-rectly, will need form analysis, preferably inductivelyto promote effective learning (e.g. intonation and formof questions or question tags, adjectives describing sit-uations).

3. Practising Form, Meaning, and Use: written practiceor oral drilling of grammar and intonation as well as oflexical chunks should be helpful to promote internal-ization, which is a step towards correct and appropri-ate use. This should be done in response to other ut-terances, so that they are not per se but in relation tobackchannelling. These activities will be simply men-tioned as “controlled practice” in the following pro-posals.

4. Free oral practice: learners should be given ample op-portunities to practise backchannelling in situationswhich are to a certain degree realistic. Practice couldmove from conversations about given situations, to al-

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV124

LINGUE, CULTURE E LETTERATURE

low learners to focus more on backchannelling, to freeconversations in which the learners are engaged ac-tively both as listeners and speakers.

Here are some examples of lesson from published mate-rials:1. The lesson focuses on the meaning and use of

backchannelling and asks learners to identify from a listof scrambled exclamations (words or phrases) the an-swers to good news and the ones to bad news. The ex-clamations are then practised as lexical chunks in re-action to news given by each partner. This procedureseems suitable for noticing and practising meaningand use of backchannelling with simple grammaticalstructures and whose lexis is generally known to thelearners, but the intonation will need to be demon-strated. (Thornbury, 1997).

2. Learners are asked to underline the phrases (acknowl-edgements, assessments, news markers) from an au-thentic conversation listened to, to notice the intonationand try to use it in controlled practice, and then act aconversation (Cunningham and Moor, 2005). Instead ofunderlining phrases, the learners could reconstruct awritten conversation by filling the gaps with backchan-nelling given in scrambled order. Learners will have toreflect on the function of the utterances, which is suit-able for reflectors or activists.

3. Learners focus on a discourse feature (question tags) bymeans of a listening gap-fill activity and by formulat-ing the grammar rules inductively, then by written con-trolled practice of morphology, explication and con-trolled-practice of intonation, and finally oral practicein a meaningful context (Puchta and Stranks, 2007).This approach is suitable for features with complexmorphology/ syntax/intonation or for learners whowant grammar most.

4. In this lesson (Thornbury, 2005) learners compare twodifferent versions of the same conversation, one withoutand one with backchannelling. Analysis follows. Learn-ers are then given in pairs an anecdote to turn into con-versation by choosing where to position the kind of ut-terances they have earlier identified. This is a writtenactivity and pairs then read their conversations aloud.Comparison and exchange of versions to be read aloudfollow. This approach offers practice without the pressureof time which is typical of speech. As it focuses on tim-ing and quantity of backchannelling, it should be suitablefor non-talkative or excessively talkative speakers.

5. A task-based-approach can help learners notice theirgap (Willis, 1996): they perform a conversation andthen compare their performance to a similar conversa-tion containing backchannelling. This should givelearners a cultural and linguistic model to notice. Theanalysis stage, followed by some controlled practice,can help consolidate grammar structures, relevant lexisand intonation. The task is repeated, possibly morethan once, in order to encourage internalisation. Asbackchannelling in authentic conversations is varied,this approach is more suitable for learners interested ininteraction rather than form.

Generally speaking, massive exposure to the spoken lan-guage, although it is good practice, does not seem to pro-mote, if alone, a significant improvement of conversa-tional skills. Since learners often aim to improve them,which is one of our learning goals too, teaching backchan-nelling can prove useful at intermediate level, when in-teractional skills may not have been developed yet. Thisinvolves focusing on features implying various issues,from form and meaning to use itself, the latter of whichcan be culturally- or personally-oriented. The various ap-proaches should promote noticing appropriate use asso-ciated with meaning and features of form, offer opportu-nities for internalization and correct use, and encourageor reinforce spontaneous interaction in realistic situa-tions. After all, it might not be so different from what weusually do when we teach other skills.

Flavia Zappa

Docente I.I.S. “Carlo Beretta”, Gardone Val Trompia (BS)

Università Cattolica di Brescia

� BIBLIOGRAFIA �

Brown, G., Yule, G. (1983) Teaching the Spoken Language.

Cambridge: CUP.Leech, G., Svartvik, J. (2002) A Communicative Grammar of

English. Harlow: Pearson Education Limited.McCarthy, M. (2003) “Talking back: ‘small’ interactionalresponse tokens in everyday conversation”, Research on

Language in Social Interaction, Special Issue on Small Talk, 36(1), 33-63.Thornbury, S., Slade, T. (2006) Conversation: From Description

to Pedagogy. Cambridge: CUP.

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(Introduzione di Mauro Ceruti eLuisa Damiano, Postfazionecritica di Mario Castellana)Studium, Roma 2016,pp. 206, € 16,50

Ogni pensiero del soggettoderiva da azioni, in precedenzacompiute; questesuccessivamente si trasformanoin operazioni tramite progressivainteriorizzazione, per mezzo diun’astrazione che ne riflette lecomponenti strutturali e lecolloca in un contesto più ampiosempre ulteriormentegeneralizzabile. In tutte lediscipline (dalla logica a quellematematiche, fisiche, biologicheed umanistiche), non occorreritenerle derivate da eventualientità date, siano queste dinatura fisica od umana, bensìcollocarsi nell’ambito delleazioni che il soggetto, da cheviene al mondo, inizia adesercitare sugli oggetti nei qualisi imbatte e coi quali si rapporta.Ne consegue che la risposta aiquesiti, che tali problematichepongono, deriva dallo studiodell’intelligenza nella suainterazione e nel rapporto colmondo fisico e sociale, nel qualeogni individuo vive ed agisce enon già dal solo esamedell’intelletto del soggetto o delmondo fisico.Tale rapporto, è euristicamentepiù ricco e produttivo seanalizzato e colto nei momentidella sua genesi e formazione:ed è questo il motivo per cuiPiaget affronta lo studio dei

soggetti dal momento della loronascita sino a quello delraggiungimento della completaevoluzione. La quale è definitasecondo l’assuntodell’isomorfismo tra evoluzionebiologica e cognitiva, che agrandi linea termina attorno ai13-14 anni, periodo della vitanel quale il soggetto possiedepotenzialmente tutti glistrumenti ed è in grado diesercitare tutte le funzionispettanti all’essere umano.I vari capitoli del lavoro,rimandano ad una serie diinterrogativi, apertisi a seguitodella grande produzionepiagetiana e ovviamente sonopassibili delle più diverse lettureed interpretazioni ed ovviamenteanche osservazioni critiche. Èrilevante segnalare che gliargomenti trattati nel presentetesto sono di naturaspecificatamente epistemologica:in virtù di ciò inevitabilmentecomportano riferimenti adifferenti discipline, ma tuttaviase ne differenziano. Non solo maquesta epistemologia è definitagenetica, in quanto volta adanalizzare la genesi e laprogressiva costruzione delleconoscenze. Tutto ciò conduceanche a risultati che altre formedi analisi, quali quella positivistao neo-positivista od intuizionista,escludono, come ad esempiol’intima connessione fra entitàlogico-matematiche ed attivitàsoggettive. Si evince da ciò chel’analisi genetica può aiutare acomprendere la storia delleconoscenze, se questa verràaffrontata con la metodologiastorico-critica, argomentando ecorroborando l’affermazione chepsicologia e filosofia, lungidall’escludersi vicendevolmente,necessitano di una costruttivaintegrazione.Segnaliamo altresì che l’ancordel tutto attuale messaggiooffertoci da Piaget in questo pursintetico lavoro, rimandaall’incommensurabile vantaggioche una ricerca, affinché siaricca e produttiva, necessiti diprendere avvio da ipotesi globalie assolutamente generali, quasi

ovvie, in quanto illimitato è ilventaglio di possibiliapprofondimenti, che unadinamica dialettica nell’ambitodelle conoscenze scientifichefornisce.(Emilio Gattico)

Jean Piaget

Logica e conoscenza scientifica

(Traduzione a cura di EmilioGattico),Studium, Roma 2016, pp. 480, € 35,00

Il volume “Logica e conoscenza

scientifica” di Jean Piaget,scritto nel 1967 ma solo oggidisponibile in lingua italianagrazie alla accurata traduzione acura di Emilio Gattico,costituisce un importantecompletamento della traduzionedelle opere dell’Autoreginevrino nel contesto culturalee accademico italiano.Il problema della costruzionedelle conoscenze costituisce ilfulcro dell’intensa attività di JeanPiaget, che da semprerappresenta un punto diriferimento fondamentale per chisi occupi di psicologia dellosviluppo. Questo non significacerto ridurre Piagetsemplicemente a uno psicologodello sviluppo, dal momento chei suoi interessi scientifici eculturali hanno travalicato iconfini della psicologia. Eglistesso, del resto, ha semprepreferito presentarsi soprattuttocome epistemologo genetico(ovvero come chi risponde alladomanda “come nascono le

conoscenze scientifiche checontraddistinguono tutte ladiscipline, a partire dallalogica”). Infatti, questo volume èstato il primo in cui il ginevrinoha presentato le sue ideecostruttivistiche Piaget, ovvero lasua concezione costruttivisticadelle conoscenze scientifiche chenascono da un rapporto tra ilsoggetto che conosce(psicogenesi) e l’oggetto daconoscere (sociogenesi) mediatodall’azione. Come scriverà in untesto del 1975 (L’equilibrazione

delle strutture cognitive) leconoscenze “non derivano nédalla sola esperienza degli oggettiné da una programmazioneinnata e preformata nel soggetto,ma da costruzioni successive concostante elaborazione di strutturenuove”.In particolare, in questo testoPiaget tratta la questionedell’epistomologia in differentidomini dellaconoscenza scientifica: logica,matematica, fisica, biologia,scienze umane. Rispetto aqueste ultime, “tutto quello checi insegnano sull’uomo puòessere naturalmente volto adistruirci sui meccanismi dellaconoscenza”, come leggiamo apag. 337. Nelle scienze umanenel senso stretto del terminePiaget annovera la sociologia,l’antropologia culturale, lapsicologia, l’esteticasperimentale, la linguistica,l’economia politica ol’econometria, la demografia, lacibernetica e la logica simbolicae l’epistemologia scientifica. Inquesta classificazione,all’analisi delle singolediscipline, già per sé moltointeressante, Piaget affianca lostudio delle relazioniinterdisciplinari, dando spazioalla riflessione sui rapporti cheintercorrono tra la psicologia ele altre discipline delle scienzeumane. Si tratta di uno sguardooggi più che mai attuale, intempi di parcellizzazioni –talvolta piuttosto rigide – deisaperi insegnati in Università inbase ai settori scientifico-disciplinari, che rischiano di far

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV 127

LIBRI

perdere di vista quello sguardosulla complessità cosìimportante per lo studio dellapersona e dei processi diconoscenza e socialità in cui èimpegnata sin dalle prime fasidello sviluppo.Un volume che ci restituisce,ancora una volta, la levaturascientifica e culturale di ungrande Autore del secolo scorso.(Ilaria Castelli)

Loris Zanatta

La nazione cattolica. Chiesa e

dittatura nell’Argentina di

Bergoglio

Laterza, Bari 2016, pp. 280, € 20

La dittatura argentina è nota almondo per i desaparecidos.Poiché i militari si dichiaravanocattolici, il ruolo della Chiesanel legittimarli è stato causa discandalo e polemica. L’ascesaal pontificato di un vescovoargentino, che di quell’epoca èstato protagonista, riproponeoggi all’attenzione l’una el’altra. Come è potutoaccadere? Perché Chiesa ereligione hanno svolto un ruolocosì rilevante da finire al centrodi ogni accusa appena quei fattivengono evocati? In realtà sia laviolenza del regime militare siala funzione di pilastroideologico dell’ordine politicodella Chiesa hanno profonderadici nelle vicende argentine.Illibro indaga l’intreccio di storiapolitica e religiosa in Argentina,dagli anni Sessanta finoall’ultima dittatura militare, e

scopre che all’origine della suastoria è il mito di una nazionecattolica. Un mito divenutopresto una camicia di forza; unmito che, nato per unire, hadiviso fino all’odio fratricida:cattolica si proclamava ladittatura del 1966, cattolica ecresciuta nelle parrocchie era laguerriglia, cattolico ilperonismo tornato al potere nel1973, cattoliche le sue fazioniin guerra tra loro, fino al regimecattolico che pretesero diincarnare i militari giunti alpotere nel 1976. Solo allora,dinanzi alla tragedia, una partecrescente della Chiesa e degliargentini iniziò a scoprire levirtù della laicità, dellademocrazia politica e delloStato di diritto.

Luisa Muraro

L’anima del corpo.

Contro l’utero in affitto

La Scuola, Brescia 2016,pp. 88, € 8,50

L’“esser madre” richiama ununiverso o meglio – alla luce deirecenti dibattiti sull’estensionedella maternità alle pratiche di“utero in affitto”, accantoall’inseminazione artificiale ealle adozioni per coppie etero eomosessuali – un pluriverso disignificati nel quale è difficiledistricarsi. Il nuovo libro diLuisa Muraro, nota autrice disaggi sulla “differenza digenere”, intitolato L’anima del

corpo. Contro l’utero in affitto

(Editrice La Scuola) vi si

cimenta affrontando il temacontroverso della maternità“surrogata” dal punto di vistaetico e della dignità della donna.Dapprima elabora una criticaalla logica di scambio sottesa apratiche in via di diffusione manon per questo sostenibili senzariserve. Poi, individua alcunicontroeffetti di una“disponibilità” illimitata sullavita. Il più evidente: diventaregenitori a tutti i costicommissionando ad altre lagravidanza e il parto, persterilità ma anche, legalizzata laprocedura, semplicemente perpreferenza, può non tradursi inun destino felice nel vissuto delbimbo/a, della madre acquisita edi quella negata. E ancora: ildesiderio coltivato senza freni,come la libertà senza limiti,introduce una cattiva infinitàfino a rendersi vittima di sestesso, muto e non piùdesiderante. Muraro riconducetali incoerenze tra mezzi e fini aun nucleo originario, fondativo,in cui si trovano le “ragioni” diuna scelta o di un divieto: è larelazione madre-creatura tantomisteriosa quanto preziosa, chesegna l’argine “naturale” dellecose in senso non ideologico maprimordiale. È il grado zerodell’esistenza, la qualeattraverso la relazione maternadiventa pienamente umanagrazie al nutrimento del corpo edell’anima, nel delicatopassaggio dal cibarsi di curematerne fisiche e verbali, chetrovano corrispondenza neivagiti dell’infante,all’apprendimento delle primeparole. Una relazione unica pernatura o “indisponibile”: così vadifesa e non ridotta asurrogazione e mercificazionenella misura in cui “procede conla vita che diventa umana:desiderante, libera, parlante”.Anche il desiderio va ricondottoalla sua misura naturale:“rinnovare le barrieresimboliche che proteggonol’essere umano in quantodestinato alla felicità” lopreserva e lo alimenta. (Sara Bignotti)

Luciano Corradini

Sentieri rivisitati. Ricordando

discepoli e maestri

Armando Editore, Roma 2016pp. 190, € 18,00

Se, come diceva Hannah Arendt,l’uomo è un essere che nonesiste al singolare, LucianoCorradini è riuscito a dare unaforma a queste parole. Al centrodel volume, infatti, quel tipounico e particolare di dialogo chesi instaura tra maestri e allievi, eche in qualche modo ha lasciatoun’impronta indelebile inognuno di noi. «In fondo,loquaci o silenziosi, noiosi oedificanti, siamo tutti compagnidi viaggio» scrive Corradini, cheaffronta il tema da ex studente,ma anche da ex insegnante,tracciando un dialogointergenerazionale perenne econsapevole, che si faconfidenza e «di cui, in fondo,hanno bisogno tanto i giovaniquanto gli adulti e i vecchi». Unpercorso quello dell’oggiottantenne professore emerito diPedagogia generale che partedalla personale esperienza come“maestro” nelle scuole medie,nei licei, nelle università, nelMinistero enell’associazionismo, per poiaffrontare quella come“discepolo” di grandi comeNosengo, Agazzi, Scurati, maanche di compagni di viaggioquali, tra gli altri, Scalfaro,Mattarella, Carlo Maria Martini.Un itinerario nella memoria,condotto con l’aiuto di lettere,ricordi, immagini e unpatrimonio di messaggi e didialoghi che l’autore ritiene utile

Nuova Secondaria - n. 1 2016 - Anno XXXIV128

LIBRI

condividere, facendo di questolibro un’esplorazione personale,quasi un diario che traccia lecoordinate di una vita, ma allostesso tempo offre spunti diriflessione, aspetti antropologici,pedagogici ed etici. È a questoche serve la metafora dei sentierievocati nel titolo, ad indicare unavia alternativa al disperdersidegli affetti, di quei sentimenti distima, rispetto, ammirazione egratitudine che a volte sfumanofra le urgenze del presente. Unavia che segna il possibileritrovarsi fra le persone chehanno vissuto relazioni educativee che l’autore vuole fissare persempre. Come a dire che infondo non è mai troppo tardi.

Ugo Finetti

Botteghe oscure. Il Pci di

Berlinguer & Napolitano

Edizioni Ares, Milano 2016, pp. 322, € 15

La vicenda del Pci, la suaprevalenza tra le forze disinistra, è stata la principale“anomalia” italiana nel quadroeuropeo. L’autore esplora icaratteri del dibattito interno alPartito che si sviluppava durantele riunioni della direzione,seguendo come traccia le “viteparallele” di Enrico Berlinguer edi Giorgio Napolitano, i due“cavalli di razza” che si sonoalleati e combattuti nel corso dialmeno tre decenni. Centralenell’analisi sono il rifiuto dellasocialdemocrazia – consideratainaccettabile perché

rinunciataria – e i tentativi diaggirare attraverso accordi conla Dc e il Pri il problema diun’intesa con il socialismoitaliano, una volta tramontatadopo il 1956 la tattica delfrontismo. L’interesseparticolare dell’esame relativoall’andamento delle riunionidella direzione comunista nascedalla conoscenza delle realidivergenze interne al gruppodirigente, tenute celate allora aimilitanti e all’opinionepubblica, e che proprio per lalibertà assicurata dallasegretezza si sono espresse incontrapposizioni talora radicali.Il fatto che poi, nei rapporti conl’esterno e con la base, questedifferenze risultassero attenuatee mimetizzate fino a quasiscomparire, fa sorgere domandeche si riverberano anche sullapolitica attuale, talmente espostaalle curiosità da nascondereproprio nell’eccesso delleesternazioni la sostanza deicontrasti e degli accordi. SiaPalmiro Togliatti sia EnricoBerlinguer nella fase inizialedella loro segreteria sepperousare le tendenze divergenticome strumenti per sondare econsolidare rapporti con altrisettori politici, mantenendo unaforte egemonia del “centro”identificato quasi misticamentecon la figura del segretario.Nella fase finale della lorosegreteria, terminata solo con lamorte, ambedue persero questacapacità e ripiegarono su unagestione affidata più a unapparato di segreteria cheall’equilibrio tra i temperamentidiversi. La questione che haappassionato di più gli storici, ilrapporto del Pci con il Pcus,viene esaminato nella suaevoluzione con l’apporto didocumenti finora non pubblici equesto consente di chiarirsi leidee su una fedeltà idealeaccompagnata dalla tendenza,già forte in Togliatti, diesercitare una funzione originalee non solo di subireun’egemonia indiscutibile.L’altro punto interessante è la

questione della sintonia del Pcicon i cambiamenti delle realtàsociali del paese. Se si verificauna maggiore capacità del Pci didare uno sbocco politico alleinquietudini del ’68 studentescoe del ’69 operaio, rispetto a unPartito socialista unificato cheproprio in quel versante finì coldisperdere nuovamente le sueforze, si vede al contrario comedi fronte alle novità del decenniosuccessivo fu Bettino Craxi ainterpretare meglio le esigenzedi rinnovamento, mentreBerlinguer finiva – dopo ilfallimento della solidarietànazionale – per rifugiarsi in unapredicazione moralistica che finìcol creare la rottura conNapolitano e con l’area di destradel Pci.

Mauro Magatti

Prepotenza, Impotenza,

Deponenza. È possibile un’altra

narrazione del nostro futuro?

Marcianum Press, Venezia 2015,pp. 53, € 7,00

Viene qui delineato il ritratto diun Io che fagocita epadroneggia, questa èl’immagine dell’individuocontemporaneo che,instancabile, agisce in potenza,esponenzialmente. Nell’epocache Mauro Magatti denomina“tecno-nichilista”, il sistematecno-economico risponde allacostante e sempre maggiorerichiesta di volontà di potenza daparte dei cittadini “liberi”, liberi,ma mai abbastanza. La libertà èconsiderata un bene passibile di

espansione infinita: c’è sempreun ulteriore elemento dicostrizione da abbattere, dadebellare, grazie alla potenzadella tecnica. La tecnicadovrebbe affrancarci perchépermette l’aumento di efficienza,di velocità, di ottimizzazione, latecnica comprime e perfeziona, enon ci sono limiti finché ci sonopossibilità.L’autore ci descrive così lahybris dell’uomocontemporaneo, imbrigliato inun circuito di potenza e volontàdella stessa, un uomo che rischiadi limitarsi cancellando ognilimite. Attraverso una riflessioneche connette la nostraconcezione di libertà ai problemicontemporanei, M. Magatti ciparla del motivo per cui taleconcezione è un algoritmo direstrizione che non permette diuscire dal binomio potenzaattiva e sovrana/impotenzapassiva e vergognosa. Laproposta di superamento di unatale dicotomia consistenell’assunzione di una posizionecapace di portarci verso unanuova concezione di libertà, chetenga conto delle dimensioniplurime appartenenti allarelazione tra il soggetto e il suomondo, la sua realtà, ma ancheal suo legame con gli altrisoggetti che aspirano alla stessalibertà.(Eleonora Florio)

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