Genitori felici

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edizioni la meridiana p a r t e n z e Crescere felici con i propri figli Lidia Piatti GENITORI FELICI

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La felicità… bah!!! Pagine e pagine, anzi volumi e volumi scritti da filosofi, psicologi, scienziati, teologi… eppure dimentichiamo che, in fondo, tutti i genitori si pongono domande a partire dalla comune aspirazione alla felicità per sé e per i loro figli. E le risposte non le ritrovano riflettendo sui massimi sistemi, ma solo all’interno della loro vita quotidiana, sperimentando, ad un certo punto, una pienezza della relazione educativa. Queste pagine sono rivolte ai genitori che si ripropongono di vivere la propria funzione con gioia. A coloro che, pur tra alti e bassi, comunque si appassionano al compito di rigenerare continuamente se stessi insieme ai loro figli. Ai genitori che non vedono il loro mandato come un dovere gravoso e non lo vivono come un’abitudine. Piuttosto, lo sentono come una “chiamata” da parte della vita, a cui rispondere con entusiasmo, perché sentono la gratuità della presenza dei figli nella loro vita…

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Euro 13,00 (I.i.)

In copertina disegno di Fabio Magnasciutti

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ISBN 978-88-89197-86-2

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Crescere felici con i propri figli

Lidia Piatti

GENITORI FELICILa felicità… bah!!! Pagine e pagine, anzi volumi e volumi scritti da filosofi,psicologi, scienziati, teologi… eppure dimentichiamo che, in fondo, tutti igenitori si pongono domande a partire dalla comune aspirazione alla felicitàper sé e per i loro figli.E le risposte non le ritrovano riflettendo sui massimi sistemi, ma soloall’interno della loro vita quotidiana, sperimentando, ad un certo punto, unapienezza della relazione educativa.Queste pagine sono rivolte ai genitori che si ripropongono di vivere lapropria funzione con gioia. A coloro che, pur tra alti e bassi, comunque siappassionano al compito di rigenerare continuamente se stessi insieme ailoro figli. Ai genitori che non vedono il loro mandato come un dovere gravosoe non lo vivono come un’abitudine. Piuttosto, lo sentono come una “chiamata”da parte della vita, a cui rispondere con entusiasmo, perché sentono lagratuità della presenza dei figli nella loro vita… E se anche si fossero ritrovatiun giorno ad essere genitori per caso, in seguito hanno scelto di esserlo perdavvero.Questo libro, inconsueto ma indispensabile, accattivante ma denso, è rivoltoa tutti quelli che sono alla ricerca non solo della felicità dei loro figli, maanche del modo migliore per essere genitori, rimanendo se stessi e con lagioia di esserlo.

Lidia Piatti, è counsellor secondo l’Approccio Centrato sulla Persona eformatrice del Metodo Gordon. L’attività di formazione e conduzione digruppi di genitori, insegnanti, operatori sociali sulle diverse tematicheeducative la vede impegnata sul territorio da vent'anni. Svolge attività diconsulenza psicopedagogica sia in studio che presso enti pubblici e privati.Nelle scuole progetta e realizza interventi con i gruppi classe e gestisce“sportelli di ascolto”. Collabora dall’85 con la comunità terapeutica Arca diComo. È stata responsabile dell’èquipe psicopedagogica della coop. soc.Prospettive. È madre “con passione” di due figli, oggi giovani adulti.Con la meridiana ha pubblicato Emozioni in gioco. Carte per educare allecompetenze emotive (2008).

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Lidia Piatti GENITORI FELICI

Crescere felici

con i propri figli

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Indice Prefazione........................................................ 9

La ricerca della felicità ....................................16

Autostima e fiducia ....................................... 29

L’intelligenza del cuore ................................. 48

Educare alla sofferenza e al limite ................ 62

La visione positiva del futuro ....................... 75

Bibliografia .................................................... 81

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Prefazione “E vissero felici e contenti…”

Così solitamente si concludevano le fiabe popo-lari. E chi non ha sognato, almeno una voltaanche da adulto, che questo finale si avverasseper sé e per i propri figli? Di tanti genitori che ho incontrato nelle scuole,nei corsi di formazione, nei colloqui individuali,non ne ho trovato nessuno che, almeno aparole, non dichiarasse di volere la felicità delfiglio e non si adoperasse per fare tutto quelloche era in suo potere per fare di lui, prima unbambino, poi un adulto felice. Prendendo atto di questo desiderio, ho credutoutile proporre ai genitori dei percorsi sulla feli-cità, per confrontarsi sull’idea e sull’esperienzache ognuno di noi se ne è fatta, per interrogarsise e in che misura i genitori possono incideresulla felicità dei figli, cosa significhi nella realtàdi oggi “volere il bene” dei figli e, soprattutto,attraverso quali strategie educative, quali prassi,è possibile tentare di avvicinarsi all’obiettivo.Una parte delle riflessioni che ne sono natesono confluite in questo testo che si proponenon tanto come manuale per garantire e garan-tirsi la felicità, obiettivo ovviamente impossi-bile, ma come indicazione di “piste” da percor-rere gradualmente insieme ai figli. Genitori efigli insieme, dunque, nella convinzione chenon si può dare ciò che non si ha, né preten-derlo dai figli o augurarselo per loro se i geni-tori stessi non sono interessati e non si impe-gnano a cercare di raggiungerlo. Ecco alcune premesse da tenere presentidurante tutta la lettura: • per raggiungere una meta non c’è un’unica

strada; • nessun genitore può delegare ad altri la

fatica di trovare quale sia la sua;• nessuna affermazione contenuta in questo

testo è da intendersi in modo assoluto;• nessuno è “esperto di felicità” (neppure chi

scrive!), né tanto meno può esserlo di quellaaltrui. Stiamo solo cercando insieme, impa-rando da chi la felicità l’ha conosciuta, chil’ha appena intravista, chi l’ha perduta, chi la

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cerca per nuove strade. Lavorare nell’ambito del disagio giovanile offreun’occasione in più di riflessione e suggeriscequalche indicazione per orientare se stessi e ifigli verso quella che chiamiamo “felicità”, cosìcome, progettare e realizzare interventi di pro-mozione del benessere, stimola la ricerca e laverifica sul campo di nuove vie che favoriscanoil benessere dei bambini e dei ragazzi, in fami-glia e a scuola.

Prima madre: “Al parco, stamattina, qualcuno midiceva che mio figlio ha un’aria così felice!”.Seconda mamma: “Effettivamente ha un visosereno, sembra contento!”.Prima madre: “Forse è così. Per ora, almeno. Poichissà… Non sarà sempre così... Tutti sono con-tenti da piccoli. Non appena crescono, però…”.Seconda mamma: “Anche quell’altra signora haun bimbo in braccio all’incirca dell’età del tuo (18mesi). Ma il suo non sembra affatto felice!”.Prima mamma: “È vero, forse non tutti i bambinisono felici”.

Colgo al volo questo scambio di battute tra gio-vani mamme. Mi colpisce la coincidenza e m’in-troduco nella conversazione che mi intrigaalquanto in questo momento e dico:

“Sto scrivendo un libro per genitori interessatialla felicità dei figli e alla loro”.Prima madre: “Davvero?!” (dall’espressionededuco che non le pare vero!).Rivolta all’altra madre: “Senti, senti… Uscirà unlibro sulla felicità, dei bambini e dei genitori…”.Rivolgendosi a me, chiede: “Come si chiama lei?Mi dica il titolo del libro, che lo acquisteròsenz’altro!”.Io, sorridendo: “Si fida così, sulla parola…?”.Insospettita, vuole assicurarsi, tra lo scherzoso e ilserio: “Ma lei ce l’ha una bella mappa con tuttele indicazioni giuste che portano di sicuro allafelicità?”.Io: “Eh sì, sarebbe bello trovare qualcuno cheabbia le indicazioni precise precise da dare… esia in grado di guidare altri lungo una strada,magari comoda e sicura, che vada dritta allameta… Ma siete davvero sicure che sia possi-bile?”.La seconda madre: “Già, forse non c’è nessunamappa… (Dopo un attimo) E poi, si può davveroessere felici? E lei cosa intende per felicità?”.

I dubbi si accavallano, le domande si rincorrono,senza attendere una risposta, finché arriva quellache mi sembra la “domanda-test”, la prova delnove: “Scusi, ma… i suoi figli sono felici?”. Mi viene spontaneo ribattere: “Perché non michiede se anch’io sono felice?!”.

Questo scambio di battute, realmente avvenutonel periodo in cui elaboravo le mie riflessionisul tema, nella sua immediatezza e semplicità,mi pare vada a toccare una parte almeno deitemi intorno ai quali si è sviluppata la miaricerca sulla felicità. Certamente filosofi, psicologi, scienziati, teologisi interrogano, studiano, scrivono intorno ad unargomento che da secoli stimola alla ricerca e alconfronto… ma anche le mamme (e i papànaturalmente), dal loro punto di vista, si pon-gono domande e cercano risposte alla comuneaspirazione alla felicità per sé e per i loro figli. Ele risposte le possono solo trovare e calareall’interno della loro vita quotidiana. Forse ad alcuni di loro piacerebbe anche leg-gere pagine sui massimi sistemi, ma non nehanno il tempo, né le energie, presi come sonoa fare i genitori dei loro figli e ad essere nellapratica il più possibile quelle persone che vor-rebbero essere nelle intenzioni. È a questi genitori che si rivolgono le pagineche seguono, come pure a tutti quelli che, purtra alti e bassi, comunque si appassionano alloro compito, che è quello di rigenerare conti-nuamente se stessi insieme ai loro figli. Quelliche non vedono il loro mandato come undovere gravoso e non lo vivono come un’abitu-dine. Piuttosto, lo sentono come una “chia-mata” da parte della vita, a cui rispondere conentusiasmo e gioia, perché sentono la gratuitàdella presenza dei figli nella loro esistenza… Ese anche si fossero ritrovati un giorno ad esseregenitori per caso, in seguito hanno scelto diesserlo per davvero. Mi rivolgo a tutti quelli che sono alla ricercanon solo della felicità loro e dei loro figli, maanche del modo migliore in cui poter fare igenitori, rimanendo se stessi e con la gioia diesserlo.

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A quelli che, semplicemente, stanno cercandol’occasione per aumentare un poco il gradodella loro consapevolezza, per esprimere megliole risorse che già sentono di avere, per verificareciò che già stanno facendo, per imparare qual-cosa di nuovo, se possibile.

Guida alla lettura

In questo periodo della mia vita ho la fortuna digodere di condizioni generali (quali l’età, lasalute e, non ultimo, l’essere alleggerita dallaresponsabilità di accudire figli piccoli) che mipermettono di prendermi del tempo per assa-porare quanto la vita personale e professionalemi hanno offerto e continuano ad offrirmi, perrielaborare le esperienze vissute, per approfon-dire, anche attraverso l’esperienza di altri, eoffrire quindi ad altri genitori alcuni spunti diriflessione di confronto ed anche qualche indi-cazione pratica.Si tratta di “tracce”, di itinerari percorribili egià percorsi: non sono autostrade comode efacili, né scorciatoie. Richiedono impegno,determinazione, puntano in una direzione pre-cisa e orientano alla meta.Nel parlare di felicità ho tenuto conto natural-mente delle ricerche e degli studi fatti in parti-colar modo negli ultimi anni, ma soprattutto hocercato di tenere presenti i bisogni, i vissuti, gliinterrogativi, i dubbi e le testimonianze raccolteda tanti genitori e tanti bambini/ragazzi incon-trati nella mia vita. Riassumiamo i concetti chiave nei seguentipunti:• La nostra attenzione in questo testo si foca-

lizza sulla famiglia, microcosmo di una

comunità più ampia che rimane tuttaviasullo sfondo.

• Non c’è una definizione unica di felicità, néun unico percorso per raggiungerla. Ognunoha la sua idea di felicità e può trovare la suastrada. Insieme ci si può aiutare, come com-pagni di viaggio.

• Di felicità, almeno di quella possibile inquesta realtà terrena, possiamo parlare soloin termini di qualcosa di relativo, parziale ediscontinuo.

• Facciamo quindi riferimento ad un concettodi felicità intesa come serenità di fondo,come gioia di vivere, come ricerca di signifi-cato, come evoluzione.

• Un punto fermo: l’esperienza della felicità ciappare intrinsecamente legata a quella dell’a-more (per noi stessi e per gli altri, l’amoredato e ricevuto).

• L’ansia di raggiungere a tutti i costi la felicitàce ne allontana. Dopo tutto, lasciarsi andarea vivere è preferibile e più vantaggioso!

• La felicità e le strade per raggiungerlasaranno ancora altro rispetto a tutto quelloche ci saremo detti…

La strada come metaforadell’educare

La metafora della strada e del cammino sipresta bene ad esemplificare il compito dell’e-ducare (e dell’educarsi reciprocamente).Mi piace, cioè, pensare all’avventura dell’esseregenitori come a un cammino in cui padri emadri si muovono e avanzano insieme ai figli,incontrandosi e accompagnandosi di tanto intanto con altri genitori, viandanti come loro.

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Una volta stabilita la meta, è sufficiente nonperdere di vista il punto di arrivo, tenere d’oc-chio i punti di riferimento e fissare in modo nonrigido le tappe intermedie. Incoraggiandosi a vicenda e condividendo ledifficoltà del cammino, i due genitori accompa-gnano i figli lungo la strada, adeguano il ritmo,distribuiscono il carico secondo l’età, i ruoli, laresponsabilità, alimentano i corpi ma anche glianimi, si concedono il riposo e soprattutto colti-vano il piacere dello stare insieme e del proce-dere. E quando si perde la strada, sono i genitoristessi ad orientare e a decidere la direzione,magari consultando le carte geografiche, chie-dendo indicazioni agli esperti del luogo o a chiha già percorso quel tratto di strada... A volte si rende necessario sorreggere inbraccio chi ha mosso solo i primi passi, a volteprendere i figli per mano e guidarli, a voltesostenerli con le parole, a volte incoraggiarli acamminare con le proprie gambe. Genitori abbastanza attenti e sensibili sannocapire quando è il momento di sostare per farriprendere il fiato, quando fermarsi ad aspettarechi rimane indietro, quando precedere chi siattarda o sospingere con delicatezza o con forzachi si arresta. Rialzano e consolano il figlio che è caduto e si èfatto male, lo spronano a proseguire, indican-dogli la meta e facendogli pregustare quantoessa sia appetibile e desiderabile, lo rassicuranosui pericoli e le difficoltà che potrà incontrare,offrendogli la certezza di poter contare sempresu papà e mamma in caso di bisogno. Gli insegnano anche a guardarsi indietro, ognitanto, per provare la soddisfazione per il cam-mino già fatto e per alimentare la fiducia nellesue forze… Lo aiutano a scoprire, ad utilizzaree misurare le sue capacità, fino ad incontrarsicon i limiti personali e a non averne paura.Tutto questo finché il figlio avrà imparato acamminare con le sue gambe, sarà adeguata-mente dotato degli strumenti e dell’attrezzaturanecessaria per far fronte all’impegno, agliimprevisti e alle prove del cammino e sembrerà

ragionevolmente capace di utilizzarli…A quel punto avrà in mano la bussola della suavita, potrà proseguire da solo e potrà decidere asua volta quali mete darsi, al di là del punto rag-giunto con i genitori.

Che cos’è la felicità?

Alcune domande affiorano non appena ci acco-stiamo all’argomento: cosa intendiamo quandoparliamo di felicità? Quale felicità è possibileper noi e per i nostri figli? Fin dove arriva ilnostro potere, come genitori, di rendere i figlipiù o meno felici? Tenteremo di tracciare alcune risposte.Come esseri umani tendiamo naturalmente aricercare la felicità. Dal momento però che par-liamo appunto come esseri finiti, abbiamo dellafelicità un’esperienza e un concetto necessaria-mente limitati al nostro orizzonte umano e per-sonale. Se la ricerca accomuna tutti, non c’è tut-tavia un unico modo di concepirla e definirla,né un’unica strada per raggiungerla.Ognuno di noi se ne è fatta un’idea, per averla“assaporata” in qualche circostanza, più spessoper averla immaginata o sognata. In realtà,ognuno può arrivare semplicemente ad averneuna certa consapevolezza e a dire che “esserefelice, per me, in questo momento della miavita, significa questo…”.Sappiamo anche, se abbiamo maturato unavisione abbastanza realistica della vita, che nonè possibile godere di una felicità in senso asso-luto, piena, totale, ininterrotta. L’assoluto non èalla nostra portata (almeno su questa terra!).

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La felicità in pillole

“Uno stato di benessere caratterizzato da unarelativa permanenza, da emozioni prevalente-mente piacevoli, che possono variare da unasemplice contentezza ad una gioia di vivereintensa e profonda, e un naturale desiderio chequesto stato permanga nel tempo” (Cavalli-Sforza, 1998).Stato di pieno appagamento. Stato perfetto del-l’anima. Estasi.Per alcuni è “avere tutto, possedere”, per altri“essere” nel senso più pieno del termine.Per altri è il semplice intervallo tra due dolori:“La sospensione della pena” di Leopardi.Per gli spot pubblicitari la felicità sembra stia nel-l’avere quella cucina, quella crema, quell’auto…Per la gente comune è star bene, sentirsi bene.“La felicità spesso è associata al sentimento digioia che si prova nei momenti di divertimentooppure nell’eccitazione dell’innamoramento. Mala vera felicità è molto di più di queste sensazionipiacevoli: è la serenità che ci pervade quandosiamo veramente in pace con noi stessi. È l’appa-gamento spirituale che proviamo quando sen-tiamo di essere in armonia con gli altri, con lanatura, con il mondo intero”.È quel senso di sicurezza che ci rende tranquilliquando non abbiamo problemi economici. È la spinta che deriva dal perseguire obiettiviimportanti e la soddisfazione che proviamo nelraggiungerli”1.

In questo contesto preferiamo usare il termine“felicità” per indicare uno stato di benessere difondo, di armonia con se stessi e con la realtàcircostante. Tale stato di benessere (fisico e psi-cologico) presuppone che i bisogni fondamen-tali trovino un’adeguata soddisfazione. In realtà pensiamo che non si tratti di una que-stione così semplicemente liquidabile: adesempio saper affrontare le perdite e i limiti,una delle piste proposte (vedi il capitolo Edu-care alla sofferenza e al limite), significa riusciread essere abbastanza sereni anche in mancanzadi qualcosa di importante, pur non avendo sod-disfatto adeguatamente i bisogni fondamentali.Significa non vincolare necessariamente la feli-

cità o il senso della vita al fatto che i nostribisogni siano soddisfatti… Le cose umane,almeno così mi sembra, non sono così determi-nate. La persona umana attinge a risorse invisi-bili. La vita sorprende con occasioni inaspettatee sovverte ragionamenti e previsioni. La felicitàa volte non ha spiegazioni, la si prova e questo ètutto. Diciamo, in qualche caso, che è indici-bile.

I genitori hanno il potere direndere felici i figli?

A maggior ragione riconosciamo che nonrientra del tutto nelle nostre possibilità renderefelice qualcun altro, almeno in modo continua-tivo e completo. Neppure quando questo altroè un figlio!Infatti, pur con tutto l’amore di cui i genitorisono capaci nei confronti dei figli, con tutto ildesiderio di felicità che nutrono per loro e isogni che coltivano, dobbiamo riconoscere inpiù occasioni la loro (e nostra) impotenza! Omeglio, prendere atto che dispongono di unpotere limitato.Non è neanche vero, infatti, che i genitori nonpossano fare nulla per la felicità dei loro figli.Creare condizioni favorevoli alla felicità nelpresente e nel futuro, gettare le fondamenta delbenessere fisico e psicologico dei figli dipendeanche da loro. Anzi, quanto più i figli sono pic-coli, tanto maggiore è il potere di papà emamma di influenzare positivamente il loro svi-luppo.Grande è quindi il potere di chi educa, perquanto parziale esso sia e non del tutto determi-nante!

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1. Descalzo in Giusti, Perfetti, 2004, p. 36.

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È la bellezza dell’essere genitori, condizionepotenzialmente carica di soddisfazione e capacedi arricchire di significato la vita. Ma è anche una responsabilità seria, cherichiede impegno e “sacrificio”. Una parolascomoda quest’ultima, relegata oggi tra quelletabù, ma da recuperare, riteniamo, in quantointrecciata indissolubilmente con quell’altrasulla quale stiamo ragionando, “felicità”,appunto.

Obiettivi educativi e felicità

L’operazione da compiere, preliminare ad ognialtro discorso, è quella di interrogarsi sulle fina-lità del proprio agire e di condividere, possibil-mente all’interno della coppia, quali siano lemete, gli obiettivi, dell’azione educativa in fami-glia. I genitori hanno il diritto e il dovere di dare laloro risposta a questo interrogativo, a mioparere ineludibile, e lo faranno in base ai valoriche guidano la loro vita, tenendo conto delleloro storie personali, dei limiti esterni e internie delle risorse di cui dispongono. Il discorso delle mete naturalmente si intersecacon la declinazione che la coppia fa del terminefelicità: se ritiene, ad esempio, che essere per-sone autonome in età adulta sia una delle con-dizioni (necessaria ma non sufficiente) peraumentare le probabilità di essere felice, è pro-babile che l’acquisizione graduale dell’auto-nomia da parte dei figli sia una delle mete che lacoppia terrà presente nel crescere i figli. E sefavorire l’autonomia, tenendo conto dell’età edelle diverse variabili di contesto, è uno deicompiti educativi che la coppia si dà, rappre-

senterà anche un criterio di scelta dei compor-tamenti da adottare volta per volta nelle diversesituazioni che si presenteranno. Così la coppiao il singolo genitore ritrova all’interno di sé (enon all’esterno) i punti di riferimento in base aiquali agire.

Vivere in prima persona

“Le parole insegnano, gli esempi trascinano. Solo i fatti danno credibilità alle parole”.

(S. Agostino)

Dal momento che, come tutti sanno, non si puòdare ciò che non si possiede e nessun valorepuò essere trasmesso se non è vissuto da chivorrebbe trasmetterlo, è evidente che i genitoritrarranno più frutto dalla lettura del testo e dalloro intervento educativo se, prima ancora dicercare di far fare ai figli, tenteranno di fare lorostessi.È solo vivendo in prima persona ciò che consi-deriamo un valore e facendolo respirare in fami-glia che noi accresciamo le probabilità che inostri figli se ne innamorino e lo facciano pro-prio. In nessun altro ambito come in quello educa-tivo, infatti, conta non tanto ciò che si dice,quanto ciò che si vive e si fa nella vita quoti-diana. I nostri figli ci guardano vivere e impa-rano da noi, dalle nostre azioni, più che dalle“prediche”, dai rimproveri, dai lamenti, dallesuppliche e dagli ordini, ecc., per quanto ricor-renti essi siano. Imparano imitando comporta-menti, gesti, sguardi, parole, toni, silenzi… Nulla è più potente del modello che offriamoper testimoniare modi di essere e valori.

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Ma è anche vero che è educandoli che noi arric-chiamo noi stessi e cresciamo con loro. Un motivo in più per essere grati ai figli, che“avendoci resi genitori” ci hanno coinvolto inquesta avventura dell’educare educandoci!

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La ricerca dellafelicità

“La felicità nasce dall'infelicità. L'infelicità sinasconde in seno alla felicità”.

(Lao Tseu)

Ragionare tra sé di felicità, parlarne con ilpartner, con i figli, con altri genitori, significagià mettersi sulle sue tracce e volgere lo sguardoverso la meta. Questo primo capitolo è dedicato proprio aduna riflessione sulla felicità, quella personaledei genitori e quella che vorrebbero per i figli, esul come tentare di avvicinarla.Abbiamo provato ad immaginare qualepotrebbe essere il dialogo che un genitoreintrattiene con se stesso nel momento in cui siapre alla riflessione sulla felicità in relazione aifigli: le speranze, le attese, gli interrogativi, idubbi che lo attraversano e gli atteggiamentiche intende assumere coerentemente con gliobiettivi di felicità che si è posto.

Vorrei tanto che mio figlio fosse felice. Magaripiù di quanto sia riuscito ad esserlo io.So che la possibilità che avrà da adulto di viverein modo sereno, sentendosi, almeno per la mag-gior parte del tempo, in armonia con se stesso econ gli altri, gustando le piccole-grandi gioie chela vita può offrire, dipende, almeno in parte, danoi genitori. È come se, mentre lui cresce, noiandassimo preparando un bagaglio da dargli indote.

Sento tutta la bellezza e la responsabilità del mioruolo e questo un po’ mi fa felice, un po’ mi spa-venta. Ma so anche che una parte di responsabi-lità sarà nelle sue mani. Dipenderà anche da lui essere più o meno felice.Oltre che da quel pizzico di imprevedibilità,ingrediente essenziale che insaporisce la vitaumana.

Fintanto che sarà bambino, renderlo felice ci saràrelativamente facile (se tutto andrà mediamentebene). Sarà “sufficiente” soddisfare, al megliodelle nostre possibilità, i suoi bisogni materiali eaffettivi. Ci capiterà allora di sentirci gratificatida nostro figlio, “potenti”, efficaci e soddisfattidi noi stessi. Basterà contemplare la sua espres-sione beata dopo la poppata o lasciarci conta-giare dalla gioia che sprizza dal suo corpo nelmomento in cui giochiamo con lui… Non appenasarà diventato più grandicello, però, ci scopri-remo un po’ meno in grado di influire sui suoistati d’animo. Non basterà più, per farlo con-tento, sfamarlo, coccolarlo, leggergli un libro,elogiarlo, passare insieme del tempo… Entre-ranno in gioco altri fattori, meno riconducibilialle nostre azioni. A quel punto io, incarnato nel mio ruolo dimadre/padre, riuscirò ad accettare che la felicitàdi mio figlio non dipenda più tanto da me? Riu-scirò a tollerare che “la mia creatura” sia a voltefelice, a volte anche infelice? Resisterò alla tenta-zione di ritenermi l’unico responsabile del suobenessere o del suo malessere? Saprò mettere unlimite al mio desiderio di farlo “star meglio adogni costo” e alla mia ansia nel darmi da fare per“aggiustare le cose” e “rimediare” al posto suo,quando qualcosa andrà storto?Inoltre, dato che una vita felice non è affattoscontata, quali messaggi realmente importantiper nostro figlio possiamo comunicare nel corsodella nostra vita insieme, perché si assuma laparte di responsabilità che gli compete nelcostruire la sua felicità futura?

Il messaggio che vorremmo lui ricevesse è innan-zitutto questo: “Noi siamo contenti se tu cerchidi essere felice. Crediamo infatti che sia tuodiritto e dovere cercare di vivere in modo sano,armonico, piacevole, piuttosto che triste e dolo-roso”.Poniamo, per un momento, di essere riusciti acomunicargli, con i fatti prima ancora che con leparole, questa sorta di “permesso”, un’autoriz-zazione al diritto di cercare la felicità. Il nostrodialogo interiore potrebbe continuare così: “Ti

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illuderò, figlio mio/figlia mia, che la felicità sia lìa portata di mano, quasi che sia sufficiente allun-gare il braccio per afferrarla e farla tua persempre? Ti lascerò credere che sia un tuo diritto,acquisito con l’atto di nascita, e dunque che tispetti automaticamente?Non lo farò: proprio perché ti voglio bene, nonvoglio ingannarti.La felicità non ti verrà data gratuitamente. Néper sempre. Forse non sarà mai piena. Non potraisemplicemente attendere che altri te la procu-rino, né pretenderla, ma neanche farla dipen-dere troppo da avvenimenti esterni. Sarai soprattutto tu l’artefice della tua felicità.Essa sarà il frutto, almeno in parte, di un tuodesiderio, di una tua decisione e di un tuoimpegno paziente.Anche se nemmeno così te la potrai garantire.Noi cercheremo di farti partecipe della nostragioia di vivere, ti inviteremo a fare qualche“assaggio” della nostra felicità.Come meglio sapremo, ti indicheremo qualchetraccia di una via, che tuttavia sarà solo la nostrapersonale via”. In fondo, ci sembrerebbe già un ottimo risultatose nostro figlio, durante la sua crescita, arrivassea dire: “Desidero essere felice, per quanto siapossibile nella realtà. Riconosco questo come unmio bisogno legittimo. Sono disposto a lavorareper conquistare la mia felicità e a difenderla qua-lora fosse necessario. Non voglio essere felice aspese di altri, ma possibilmente condividereinsieme ad altri la felicità che riuscirò a cogliere ea costruire, perché questo avrà l’effetto di molti-plicarla”.

Con ciò non stiamo certamente esaltando ilbisogno e “il diritto” alla felicità come l’unico,l’assoluto, quello prioritario su tutti gli altri…Al contrario, lo consideriamo un punto di par-tenza: la ricerca del piacere muove l’individuofin dal suo nascere e ne garantisce la sopravvi-venza. È un desiderio che lo accompagna tuttala vita, una meta forse mai del tutto raggiunta inmodo stabile nella realtà umana. Un punto diarrivo, forse. Per i genitori, è un obiettivo sul quale focaliz-zare l’attenzione e orientare l’impegno educa-tivo.“Essere felice” non deve e non può essere tra-smesso come un ordine di papà e mamma (e

come potrebbero dare l’ingiunzione di esserefelici?) né può essere “preteso” dai genitori,magari per compensare la loro infelicità.Non è neppure un ricatto (che suonerebbepressappoco così: “Tu devi essere felice perforza, altrimenti papà e mamma si sentono deifalliti”). Guai se i figli dovessero rendersi contoche mamma e papà dipendono per la loro per-sonale felicità da quella dei figli! Che responsa-bilità tremenda sarebbe per loro! Se è vero cheogni individuo, crescendo, deve assumersi laresponsabilità, per quanto gli compete, del pro-prio star bene o star male, ancora più lo è per igenitori che, in quanto adulti, hanno il doveredi separare ciò che provano (sia il senso di sod-disfazione personale, la gratificazione, sia la fru-strazione derivante dal successo o dall’insuc-cesso del raggiungimento dei loro obiettivi) daquelli che sono gli stati d’animo, i comporta-menti, le vicende della vita dei figli. Infatti, perquanto importanti essi siano, i figli sono esseridistinti la cui vita inevitabilmente influenzaquella dei genitori ma non la determina.Intendo dire che non la condiziona al puntoche la responsabilità di come i genitori si sen-tono ricade sui figli.

La felicità dei genitori

Se vi state inoltrando nella lettura di questotesto e vi siete sentiti sollecitati oppure anchesolo incuriositi dall’interrogativo di fondo (“Èpossibile crescere felici, insieme, genitori efigli?”), probabilmente è segno che non siete iltipo di genitori a cui sta a cuore esclusivamentela felicità dei vostri figli, magari a scapito dellavostra (modello oblativo-sacrificale), e neppure

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siete di quelli che pensano unicamente al vostrobenessere, ignorando quello dei figli (modelloegocentrico). Se così foste, infatti, non vi por-reste neppure l’interrogativo se i vostri figlisono felici, se e come la loro felicità possaespandersi e farsi più profonda in sinergia conla vostra. Diceva un giovane papà che partecipava ad unpercorso per genitori incentrato sulla ricercadella felicità in famiglia: “Sono venuto a questiincontri perché sicuramente mi interessa il fattoche i miei figli stiano bene, ma altrettanto vorreistar bene io con loro. Sono interessato tanto almio come al loro benessere”. Proprio così: nessuno dovrebbe uscire penaliz-zato in famiglia da questa ricerca di felicità cheè un bisogno legittimo di tutti i suoi compo-nenti, pur nella differenza di ruoli e nell’asim-metria del rapporto genitori-figli.Un genitore che “sta bene nella sua pelle” ed ècontento della sua vita ha buone probabilità diessere una persona che espande gioia, distri-buisce amore e immette semi di felicità nei suoifamiliari.Da dove cominciare, dunque?Un buon inizio per i genitori potrebbe esserequello di chiedersi se sono felici e quanto ten-gono alla loro felicità. Quanta energia, adesempio, sono disposti ad investire e quantotempo ad utilizzare per cercare di viveremeglio?Capita spesso, infatti, che si impieghino molteenergie per realizzare obiettivi esterni a sé (pro-gredire nella carriera, acquisire determinatistatus symbol, assicurarsi una rendita…), manon altrettante per cercare di raggiungere unamaggiore felicità interiore.Questa, sebbene tragga indubbi vantaggi dalraggiungimento di alcuni obiettivi materiali(vedere soddisfatti i bisogni fondamentali disopravvivenza fisica, la sicurezza economica),risulta essere il prodotto complesso di diversifattori. Qualcuno forse non si pone neppure il pro-blema, perché non crede sia possibile goderedella felicità. Qualcun altro non crede di poter

influire positivamente sulla propria felicità.Oggi, invece, anche le neuroscienze hannodimostrato che è possibile contribuire ad accre-scere il livello di felicità personale, agendo adesempio su pensieri e stati d’animo.Verità chesecoli di saggezza orientale avevano peraltro giàscoperto.Dunque si può fare qualcosa, anzi molto! Daqui in poi ognuno si prenda la sua responsabi-lità riguardo almeno ad una parte di felicità o diinfelicità: queste, infatti, non sono date in sortedal destino, in maniera automatica e definitiva.Se fosse così, saremmo autorizzati a sentirci piùo meno fortunati/sfortunati e a rassegnarci inuna fatalistica passività.Questa “nuova” consapevolezza invece stimolae rafforza la fiducia nella possibilità di diventarepiù recettivi alla felicità e di sostenere ilpaziente, ma anche gratificante, lavoro per ren-dere più frequenti e intense le occasioni di pia-cere, di benessere e di gioia.Vi sono altre insidie, tuttavia, che potrebberoostacolare il genitore che intende prendersicura della sua felicità.Condizionamenti educativi e culturali, malintesiprecetti morali possono influire negativamentesui genitori tanto da essere vissuti come fosseroin contrasto con l’aspirazione di ogni essereumano ad essere felice (indipendentemente dalfatto che tale obiettivo sia facilmente e piena-mente raggiungibile nella realtà).

Dal momento che la risposta è tutt’altro chescontata, non è quindi inutile chiedersi questo:Consideriamo la ricerca della felicità personaleun obiettivo legittimo? Ci sentiamo autorizzatia perseguirla? Quello che qui sosteniamo è che la scelta daparte dei genitori di “lavorare” per la propriafelicità personale e per quella della coppia nonsolo è psicologicamente sana, ma anche etica-mente auspicabile. In primo luogo perché sarebbe un vero peccato(questo sì!), uno spreco di ricchezza, rinunciarea stare meglio, quando possibile. Vivere inmodo più gioioso porta ad apprezzare di più la

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vita stessa e dispone più facilmente ad amare glialtri.In secondo luogo, la felicità dei figli è troppointrecciata, almeno inizialmente, a quella deiloro genitori perché questi possano permettersidi disinteressarsene. E lo è nei due sensi: nonsolo lo stato d’animo di fondo dei genitoriinfluenza quello dei figli, ma anche quello deifigli ha le sue ricadute e le sue ripercussioni suquello dei genitori.Ciò detto, data l’influenza che luoghi comuni ecredenze esercitano nel distogliere da una sanaricerca della felicità, cominciamo con il pren-derne in considerazione alcuni.

Luoghi comuni

Passiamo in rassegna alcune delle convinzionipiù diffuse nella nostra cultura, quelle cheabbiamo, per così dire, assorbito senza quasiaccorgercene, magari male interpretando inostri “maestri”, e che continuano in misuradiversa a condizionarci. Almeno finché non nediventiamo consapevoli e non le sottoponiamoad una riflessione critica. Analizzandole una peruna, proviamo anche a vedere le cose da unaltro punto di vista. I luoghi comuni sono qui presentati, per esi-genze di sintesi e di efficacia, in forma un po’estremizzata, quasi come slogan; siamo consa-pevoli tuttavia che ogni affermazione contieneun frammento di verità e meriterebbe di esserediscussa, insieme alla sua opposta, più a fondo.Alcune di esse infine vengono approfondite inaltri passi del testo.• “Siamo al mondo per soffrire”. Non è vero:

di sicuro la sofferenza è parte della vita, ma

lo sono anche la gioia e il piacere. Dipendeanche da noi scegliere su cosa posare losguardo e focalizzare l’attenzione.

• “Nella vita non si può mai essere contenti!”.Non è vero. Possiamo “darci il permesso” diesserlo in qualsiasi momento. Dipende piùda noi, che da autorizzazioni esterne.

• “Come si può essere felici, dal momento chetutto finisce?”, “Come posso lasciarmiandare a godere, se una disgrazia può col-pirmi da un momento con l’altro?” o addirit-tura: “Perché investire nella ricerca della feli-cità, dal momento che alla fine c’è la mortead attenderci?”. È vero che la morte è inelut-tabile e, più in generale, che il limite segnaogni realtà umana, ma potremmo anche dire:“Proprio perché una disgrazia è sempre pos-sibile, è importante vivere la felicità attuale eanche cercare di essere felici il più possi-bile”. L’esperienza del limite dà ancora piùsignificato alla felicità, così come apprez-ziamo di più la luce del giorno, proprio incontrasto con il buio della notte.

• “Sono abbastanza contento ma… Facciamogli scongiuri!”, “Sono felice? Sì, ma… nondiciamolo a voce alta!”. Riconoscere divivere un periodo di serenità sembra quasiuna colpa da nascondere, un valore da smi-nuire o un’eventualità a cui è difficile darecredito. Si teme quasi che l’ammetterlaaumenti il rischio di perderla. Si attribuiscecosì alle parole un potere che non hanno,quello di compromettere ciò che stanno adindicare e si attribuisce al “passare sottosilenzio” un potere scaramantico, di prote-zione.

• Riconoscersi e mostrarsi felici è pericolosoperché qualcuno potrebbe invidiarti e tra-mare per “punirti” (l’invidia degli uomini oquella degli dei nell’antica Grecia!). Certotollerare la differenza (“io ora sono felice,qualcun altro no”) e tollerare l’eventuale

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invidia di qualcuno (che non ha, o crede dinon avere, quello che tu hai in quelmomento) può anche non essere facile, manon è un buon motivo per astenersi dalmostrare la propria gioia e dal farne parte-cipi altre persone.

• “Sorprenderti” ad essere felice (oppureanche solo a ridere) non va bene. “Vergo-gnati! Pensa a tutti coloro che soffrono…” tirimprovera una voce interna! Ora, dob-biamo riconoscere che, in realtà, ai sofferentinon verrà risparmiata neppure una lacrimasolo per il fatto che qualcun altro ha spentola sua gioia. A dare ascolto a questa ingiun-zione, infatti, alla fine tutti sarebbero piùtristi e nessuno avrebbe un sorriso da rega-lare agli altri.

• “Chi troppo osa, verrà punito”. Secondoquesto luogo comune, vietarsi di essere felici,di apprezzare quello che si è e godere di ciòche si ha… equivarrebbe quasi a stipulareuna polizza di assicurazione contro i rischi.Ma non è vero che ci garantiamo contro ledisgrazie e gli insuccessi, se ci imponiamo divivere solo parzialmente i doni di cui dispo-niamo, se soffochiamo i nostri slanci, se cen-suriamo le nostre aspirazioni a “volare alto”!

• “La felicità va sempre meritata”. Sottinteso:“attraverso l’infelicità”. Ma chi l’ha dettoche, se ci condanniamo ad una vita infelice,se ci mostriamo tristi, “guadagneremo piùpunti” e avremo diritto ad un premio piùgrande o a maggior quantità di amore daparte degli altri?

• Esiste il detto “mors tua, vita mea” come adire “la tua vita (la realizzazione di te stesso,la tua felicità) si oppone alla mia”. Anzi lanega. Se sei felice tu, non posso esserlo io. Eviceversa. Le due realtà sarebbero in con-traddizione e in alternativa. Credo che pos-siamo tranquillamente mettere in dubbioqueste affermazioni, almeno nella maggio-

ranza dei casi. Non è affatto detto adesempio che se i genitori “negano se stessi” erinunciano a perseguire il loro bene, met-tendo sistematicamente tra parentesi i lorobisogni, questo porti significativi vantaggialla realizzazione e alla felicità dei figli, nécrediamo che la felicità dei figli vada neces-sariamente contro quella dei genitori. È piut-tosto vero il contrario: cioè le cose in fami-glia funzionano tanto meglio, quanto piùognuno dei suoi membri sta bene con sestesso. Perciò potremmo così riformularel’affermazione iniziale: “Vita mea, vita tua,vita nostra”.

• “Cercare la propria felicità è segno diegoismo. Chi non si sacrifica per gli altri, chicerca una realizzazione personale nel rap-porto, non ama veramente” (questa e altresimili affermazioni trovano spazio nel para-grafo Felicità e altruismo a p. 24).

La felicità dei genitori fa bene ai figli

Ai figli non può fare altro che bene constatareche mamma e papà “tengono” al loro benesserefisico e psicologico e se ne occupano (almenotanto quanto si occupano di quello dei loro cari).Mamma e papà sanno come fare per divertirsi,per godere momenti piacevoli, conoscono qualisono le attività che li ricaricano e le cercano atti-vamente, si concedono del tempo per pensare,per riposare, per parlare, per sognare…Mantengono delle relazioni “nutrienti” confamiliari, ma anche con amici e con altri genitori.Cercano di rigenerarsi nel rapporto con lanatura. Curano la salute fisica, evitando di assu-mere comportamenti dannosi, cercano un’ali-mentazione sana, ecc.

Ogni genitore rappresenta un modello per suofiglio e, avendo cura di sé, volendo bene a sestesso, gli invia questo messaggio–permesso fon-damentale: “È bene volere il proprio bene: papàe mamma lo fanno, quindi sono autorizzato afare altrettanto anch’io”.

E ancora: “I miei genitori sono contenti seanch’io mi occupo del mio benessere e della miasalute. Mi sento incoraggiato e spronato a pren-

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dermi cura di me. Del resto loro per primi si sonopresi cura di me fin dalla mia nascita e conti-nuano ad occuparsi di me anche ora. Segno ine-quivocabile che sono importante per loro, hovalore. Quindi sono persona degna di cura, diattenzione e di rispetto, da parte di tutti, acominciare da me stesso/a”.

Inoltre i genitori, quando si prendono cura di sestessi, inevitabilmente pongono qualche limitealla loro disponibilità nei confronti dei figli.Quando ad esempio un padre o una madre sentedi non avere l’energia sufficiente per fare frontealla richiesta del figlio di giocare insieme e glidice: “In questo momento sono troppo stanco,ho bisogno di riposare. Giocherò con te dopopranzo, quando mi sarò ripreso”, così facendo,favorisce nel figlio la consapevolezza del fattoche i genitori, come tutti gli esseri umani, vivonouna vita propria, hanno bisogni e desideri loro enon sempre vogliono o possono soddisfareimmediatamente i desideri e i bisogni dei figli. Il rispetto di sé da parte del genitore facilita nelfiglio l’esperienza di essere altro da lui, separatoe non confuso con lui (per approfondire vedi ilparagrafo Il dolore: un’occasione di crescita a p.66).

Il percorso verso la felicità

Cercare le occasioni che fanno starbene

Vivere, è innegabile, comporta fare l’esperienzadel dolore, con il quale è indispensabile impa-rare a convivere, attribuendogli per quanto pos-sibile un senso. Ma vivere porta con sé anchel’esperienza del piacere, del benessere e dellagioia dei quali è massimamente importanteimparare a godere. Infatti la possibilità di gustare la gioia di tanto

in tanto, di ricrearsi, appassiona alla vita,motiva all’azione, sostiene nello svolgere idiversi compiti legati al ruolo di genitori, com-pensa i momenti di frustrazione e di dolore erende più forti nell’affrontare le difficoltà. Una prima tappa del percorso, a livello perso-nale, potrebbe consistere dunque nello scopriree coltivare passioni, interessi, hobby, nel darsi iltempo per gustare momenti di relax, di gioco,di riso, investire tempo ed energie per relazionisignificative e nutrienti.I genitori dunque si autorizzino a scoprire checosa piace loro, quali sono le loro fonti di rica-rica, in quali circostanze si trovano a loro agio,con chi si sentono bene, quali attività funzio-nano nel loro caso come autocura, in qualisituazioni si sentono sereni, leggeri, soddisfatti.Analogamente potrebbero interrogarsi su cosainvece li fa star male, quali situazioni o compor-tamenti di altre persone procurano lorofastidio, disagio, sofferenza per imparare,quando possibile, ad evitarle e a limitarle e,quando non è possibile fare altro, a sopportarlesenza farsene troppo condizionare. Lo scopo di questa ricerca personale?Conoscere le attività, le situazioni, le personeche soggettivamente sono occasione di sensa-zioni e sentimenti positivi permette ai genitoridi goderne con maggiore consapevolezza almomento presente e di impegnarsi attivamentenel cercarle anche in futuro, quindi di intensifi-carne la frequenza e moltiplicarne gli effettipositivi.La proposta di ricerca è valida anche per lacoppia e può essere estesa alla famiglia nel suocomplesso: quando genitori e figli apprezzanoin modo particolare lo stare insieme? Cosarende caldo, piacevole, intenso il clima fami-liare? Cosa fare insieme quando c’è bisogno diricaricare le pile? Cosa progettare per levacanze, per i giorni di festa perché sianomomenti piacevoli e di svago per tutti? Tra l’altro, tali momenti vanno a costituire unasorta di deposito e riserva di ricordi felici allequali genitori e figli potranno attingere anche infuturo.

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Autostima e fiducia

“Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuoconsenso”

(E. Roosevelt)

Perché parlare di autostima?

Partire da se stessi per essere felici, trovare alproprio interno, piuttosto che all’esterno, lechiavi che aprono le porte sui segreti della feli-cità significa, per cominciare, avere un buonrapporto con se stessi, considerarsi personadotata di dignità e di valore, accettarsi e amarsi. I sentimenti che proviamo e coltiviamo neinostri riguardi, l’opinione che abbiamo di noistessi, costituiscono la base dell’autostima einfluenzano molto la nostra vita, il nostrobenessere fisico e psichico, le nostre relazionicon gli altri. Chi ha un buon livello di autostima infatti hapiù fiducia in se stesso, tende a sentirsi il piùdelle volte adeguato nelle diverse circostanze edè più contento di sé, degli altri e della vitarispetto a chi invece non nutre sentimenti posi-tivi nei propri confronti e si valuta in modo nonrealistico.Ognuno di noi nel suo intimo può vacillarenella certezza di avere valore, ma chi ha unabassa autostima ondeggia frequentemente trasenso di adeguatezza e senso di inadeguatezza.È più soggetto ai giudizi degli altri, più vulnera-

bile alle critiche, è affamato di riconoscimentidall’esterno, ha più paura di sbagliare, affrontameno rischi, in diverse occasioni rinuncia a rea-lizzare le sue potenzialità e finisce quindi anchecol raccogliere meno successo e soddisfazioni.Cade inoltre più facilmente nella sensazione diesser “sbagliato” e di sentirsi in colpa. È diffi-dente nei confronti degli altri ed è meno dispo-nibile a stringere relazioni. Crede di non esseredegno di stima e di amore, di non contare, dinon godere di rispetto e finisce col creare lecondizioni perché tutto questo si avveri. Sicomporta cioè in modo che proprio ciò cheteme diventi realtà e questo conferma e rinforzail suo senso di insicurezza che, a sua volta, va adinfluire sul concetto di sé e il senso di autoeffi-cacia.Avere fiducia in se stessi, tenersi in giusta consi-derazione, godere di una sicurezza interiore inmodo abbastanza stabile sono condizioni chepossono veramente fare la differenza nella vita. Ecco perché ci occupiamo, quasi all’inizio delnostro viaggio, dell’autostima come una delle“piste” praticabili in direzione della felicità,quella dei genitori o quella dei figli. Se si considera, infatti, che la famiglia è il primoe più importante spazio relazionale nel quale lepersone “imparano” chi sono e come essere,allora si comprende come sia anche lo spazioprivilegiato per la costruzione e lo sviluppo del-l’autostima.

“Quanto vorrei, io che sono sua mamma/suopapà, riuscire a dotare mio figlio/mia figlia diquel sano amore per se stesso che gli permette direalizzarsi al meglio, senza troppi blocchi epaure. Ma come infondergli il senso del propriovalore, senza che si senta per forza inferiore osuperiore a qualcuno? Come far nascere in lui ilrispetto di sé, senza farne un individuo egoista,impegnato ad affermarsi a costo anche di schiac-ciare gli altri? Io so che, se si sentirà accolto,amato, rispettato innanzitutto in famiglia, saràportato a provare i medesimi sentimenti nei con-fronti di altre persone e ad instaurare relazionipositive con loro. Cerco di immaginarmi qualisiano le tappe intermedie: arrivare a conoscerese stesso, nel modo più autentico possibile, neisuoi limiti e nelle sue risorse; scoprire le affinità

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che lo avvicinano agli altri, ma anche le caratteri-stiche sue proprie che lo distinguono e fanno dilui un essere assolutamente unico e originale;imparare a guardarsi con benevolenza e com-prensione, accettando ciò che non può cambiare,ma impegnandosi a modificare in meglio ciò cheinvece è nelle sue possibilità cambiare. So che gliocchi con cui imparerà a guardarsi saranno i mieiocchi, quelli con cui io l’ho guardato fin da pic-colo: sarà uno sguardo di accoglienza, di apprez-zamento, di incoraggiamento o uno sguardosevero, esigente, fortemente critico? Me lochiedo e intanto camminiamo insieme, giornodopo giorno, e ogni parola, ogni gesto, ognisguardo che intercorrono fra noi diventano itanti mattoncini con i quali lui va costruendoimpercettibilmente la sua identità.All’inizio fragile e incerta, nel tempo diventeràabbastanza forte e sicura?Non conosco la risposta. So per certo che la suaidentità sarà influenzata da una serie infinita dicircostanze ed esperienze, più o meno favore-voli, che gli capiteranno. Ma sono consapevoleche io avrò un peso in tutto questo. Giocherò lamia parte e vorrei farlo in modo consapevole. Laposta in gioco è alta, ma ho fiducia: in me, nellanostra famiglia e anche in chi ci sta intorno.Cerco di avere fiducia soprattutto nelle suerisorse, quelle che già si vedono e quelle cheaffiorano appena, e sarò contento/a se riuscirò atrasmettergli un po’ della mia fiducia, così chediventi anche la sua. Sarà anche grazie a me seun giorno mio figlio sarà un giovane abbastanzasicuro di sé da valutare secondo i suoi criteri diriferimento, da fare le sue scelte (anche diversedalle mie), così libero da prendere le distanze danoi (in senso fisico e non), così fiducioso in sestesso da trovare la sua strada e seguirla, indi-pendentemente dal fatto che sia anche la stradadei suoi genitori. Quel giorno sarò fiero/a diavere contribuito alla nascita e al consolidarsidella sua autostima. E tutto questo avrà per me ilsapore della felicità”.

Che cos’è l’autostima2

L’autostima è l’atteggiamento che ciascuno dinoi ha nei confronti di se stesso e comprende:

• l’aspetto cognitivo: ossia le opinioni che ognunoha di sé e che riguardano il suo aspetto fisico, lesue emozioni, la sua vita affettiva e sociale, lesue conoscenze, la sua professione, la sua mora-lità, il raggiungimento degli obiettivi prefissati,in altre parole la sua autorealizzazione;

• l’aspetto emotivo ossia cosa la persona prova neipropri confronti, come ad esempio: affetto,indifferenza, ostilità;

• l’aspetto comportamentale ovvero come la per-sona si comporta nei suoi riguardi: se ha rispettodi sé, se soddisfa i suoi bisogni, se sa creare dellecondizioni soddisfacenti per se stessa, se cura lasua salute, ecc.

L’autostima non va confusa con un atteggia-mento di superiorità, infatti può essere posta alcentro di un continuum alle cui estremità sonocollocate le due manifestazioni estreme (vedi fig. 1).

[…] La persona che ha un sano amore per sestessa ammette con serenità sia i suoi pregi che isuoi limiti, cercando di migliorare. La frase chiavedi una persona che si stima potrebbe essere:“Amo me stessa per quello che sono, ma possomigliorare”.

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Sottovalutazione di sé

La persona vede solo i suoi difetti

2. Strocchi, 2002, p. 11.

Sopravvalutazione di sé

La persona vede solo i suoi pregi

fig.1

Autostima

La persona vede sia i suoi pregi sia i suoi difetti

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Identikit della persona con una buona autostima3

La persona che ha un livello di autostima buono, né basso né troppo alto, ma fondato su una sufficienteconoscenza della realtà di se stessa, ha più probabilità di altre di poter affrontare e superare le prove, di tol-lerare la frustrazione, di reggere gli attacchi esterni e interni. Vive con maggiore libertà e gusto la vita,perché non è troppo condizionata dal giudizio degli altri e non dipende in misura eccessiva dai riconosci-menti delle diverse “autorità” che si succedono nella sua vita. Non si sente schiacciata dai sensi di colpa(non si attribuisce la responsabilità per ogni errore o situazione) e non dà neppure sempre la colpa all’e-sterno, non attribuisce ad altri il potere che invece le spetta (come ad esempio quello di dire chi è, se stabene o se sta male, cosa le dà piacere e cosa dispiacere o il potere di scegliere e decidere, ecc.). Non vivecostantemente nell’ansia o nella paura (di entrare in relazione con gli altri, di non essere all’altezza dellasituazione, di sbagliare), nell’indecisione del cosa fare, come fare, oppure nella tristezza e nella delusioneper il fatto di non essere riuscita a realizzare desideri o raggiungere obiettivi. Non si sente né inferiore né superiore agli altri, ma riconosce dignità e valore a se stessa come ad ogni altrapersona. Con gli altri è disposta a confrontarsi, riconoscendo le differenze, senza pretendere di convinceregli altri ad essere uguale a sé, ma senza necessariamente sacrificare se stessa per essere d’accordo con glialtri.La persona che si stima, ha fiducia in se stessa e si sente sicura e a proprio agio nella maggior parte dellesituazioni. Vive in maniera sciolta, immediata, autentica. Entra in relazione con gli altri con naturalezza. Sariconoscere i suoi bisogni, è la prima a rispettarli e li fa rispettare. È in contatto con ciò che prova, sia con leemozioni positive sia negative, le accetta e, quando è il caso, le esprime. Allo stesso modo riconosce ibisogni e i sentimenti delle altre persone, il loro punto di vista, anche diverso dal proprio, sa rispettarli etenerne conto, senza avvertire questo come un rischio, quasi come fosse un attentato alla propria identità.Vive essenzialmente nel presente, senza farsi condizionare troppo dal passato, né preoccuparsi eccessiva-mente del futuro. Ha i suoi valori e i suoi criteri di riferimento che la orientano nelle scelte della vita e dei comportamenti daassumere giorno per giorno. Dal momento che impara dall’esperienza, è disposta anche a rivedere le sueposizioni e i suoi principi, qualora si rivelino inadeguati rispetto alla conoscenza che ha in quel momentodella realtà (sia la propria interna, sia quella esterna). È flessibile e capace di adattarsi al cambiamento. Puòconcedersi di non essere perfetta e di sbagliare. Non ha difficoltà a riconoscere i propri errori, a chiederescusa, a sorridere dei propri difetti. Perché sa di essere una persona, comunque, degna di stima, di rispettoe di amore.Alla base di tutto ciò, infatti, ha la certezza di poter essere amata, così come è (non da tutti, ovviamente, enon in senso assoluto!). Sa che è possibile voler bene ad una persona come lei, non perché “se lo merita” operché si è conformata ad essere quello che altri vorrebbero che fosse, ma perché sente di valere per quelloche è. Questa sicurezza le appartiene profondamente, grazie al fatto che ha potuto fare l’esperienza nella vita,almeno con qualcuno, almeno una volta, di essere accettata e amata senza condizioni, gratuitamente. Ed è qui che entrano significativamente in gioco i genitori, in qualità di adulti naturalmente preposti adaccompagnare i bambini nella fase più delicata della loro vita (i primi anni dopo la nascita). È a loro (o a chine fa le veci) che è data la possibilità di fare il regalo più grande che un bambino possa ricevere nella suavita: la consapevolezza di essere amato incondizionatamente, di essere accolto così com’è, e la conseguente,relativa, sicurezza interiore. A loro soprattutto compete il compito, a loro spettano l’onore e l’onere di gettare le fondamenta nel bam-bino per una buona stima di sé (il più possibile realistica) e un sentimento di sé positivo.

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3. Una persona così fatta non esiste. È puramente ideale, quindi bisognaevitare confronti e autovalutazioni troppo severe.

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In copertina disegno di Fabio Magnasciutti

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ISBN 978-88-89197-86-2

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Crescere felici con i propri figli

Lidia Piatti

GENITORI FELICILa felicità… bah!!! Pagine e pagine, anzi volumi e volumi scritti da filosofi,psicologi, scienziati, teologi… eppure dimentichiamo che, in fondo, tutti igenitori si pongono domande a partire dalla comune aspirazione alla felicitàper sé e per i loro figli.E le risposte non le ritrovano riflettendo sui massimi sistemi, ma soloall’interno della loro vita quotidiana, sperimentando, ad un certo punto, unapienezza della relazione educativa.Queste pagine sono rivolte ai genitori che si ripropongono di vivere lapropria funzione con gioia. A coloro che, pur tra alti e bassi, comunque siappassionano al compito di rigenerare continuamente se stessi insieme ailoro figli. Ai genitori che non vedono il loro mandato come un dovere gravosoe non lo vivono come un’abitudine. Piuttosto, lo sentono come una “chiamata”da parte della vita, a cui rispondere con entusiasmo, perché sentono lagratuità della presenza dei figli nella loro vita… E se anche si fossero ritrovatiun giorno ad essere genitori per caso, in seguito hanno scelto di esserlo perdavvero.Questo libro, inconsueto ma indispensabile, accattivante ma denso, è rivoltoa tutti quelli che sono alla ricerca non solo della felicità dei loro figli, maanche del modo migliore per essere genitori, rimanendo se stessi e con lagioia di esserlo.

Lidia Piatti, è counsellor secondo l’Approccio Centrato sulla Persona eformatrice del Metodo Gordon. L’attività di formazione e conduzione digruppi di genitori, insegnanti, operatori sociali sulle diverse tematicheeducative la vede impegnata sul territorio da vent'anni. Svolge attività diconsulenza psicopedagogica sia in studio che presso enti pubblici e privati.Nelle scuole progetta e realizza interventi con i gruppi classe e gestisce“sportelli di ascolto”. Collabora dall’85 con la comunità terapeutica Arca diComo. È stata responsabile dell’èquipe psicopedagogica della coop. soc.Prospettive. È madre “con passione” di due figli, oggi giovani adulti.Con la meridiana ha pubblicato Emozioni in gioco. Carte per educare allecompetenze emotive (2008).

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