Numero Zero - Il Magazine Di Maratea N4 Maggio Speciale S.Biagio

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Numero Zero - Il Magazine Di Maratea N4 Maggio Speciale S.BIagio - Arte, Musica, Spettacolo ,Sport , Cucina e Paesaggio in un unico canale multimediale: NUMERO ZERO, il magazine di MARATEA

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“Numero Zero”: cos’è? A cosa serve?Il nostro è un ambizioso progetto, nato per volontà, idea ed iniziativa di un volonteroso gruppo diragazze e ragazzi di Maratea, che vogliono valorizzare tutte le potenzialità del proprio paese ed in particolare quelle inerenti alle arti grazie al potente mezzo della stampa e quello, ancor più forte, di internet. Informazione, curiosità, ricerche: qui troverete tutto questo e altro ancora. Il web ci offre la possibilità di realizzare questo nostro progetto e di distribuirlo gratuitamente ovunque, sfruttando anche gli strumenti dei vari social network presenti sulla rete, e di farne la voce di una comunità ha tanto da dire.Allora, pronti? Si comincia!

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Photo : Luca Luongo © 2013

Photo : Riccardo Polcaro © 2013

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Riccardo Polcaro nasce a Firenze nel 1985, mamma lucana e padre originario di Maratea. Si diploma presso l’istituto tecnico industriale professionale di fotografia, studia fotografia all’accademia di belle arti di Firenze L.a.b.a. Lavora come fotografo professionista.

Numero Zero nasce un po’ per caso, per gioco, per volere di una testa matta che un bel giorno ha avuto l’idea di voler parlare di Maratea, perché di talenti e di cose belle ce ne sono tante, ma ben nascoste. Bisognerebbe solo imparare a valorizzare un po’ di più quelle che sono le risorse della bella Maratea.

Riccardo PolcaroFounder Of NumeroZero

Riccardo Polcaro

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Editorial

Francesco Fontana

Luca Luongo Chiara Graziano

Luca Corazzini

Luca Luongo, nato nel1989 a Maratea, studia cinema e teorie e pratiche della comunicazione di massa a Roma. Si occupa per passione della storia locale di Maratea e della Basilicata.

Chiara Graziano è nata nel 1994 a Maratea, dove frequenta l’ultimo anno del Liceo Scientifico. Si occupa di arte cultura e territorio.

Luca Corazzini, nato a Maratea nel 1989, inizia ad avvicinarsi all’escursionismo nel 2006 facendo delle uscite amatoriali in montagna .Nel 2011 diventa socio del C.A.I si occupa della rubrica di escursionismo.

Francesco Fontana, nato a Maratea nel 1995, frequenta il liceo scientifico. Appassionato di sport, collabora con diversi quotidiani e magazine lucani e cura la rubrica sportiva del lunedi’ sera su Marateawebradio, e ovviamente si occupa di Sport.

NumeroZeroMagazine

Cos’é?Numero Zero è un ambizioso progetto informativo che nasce come web-magazine dall’idea di alcuni ragazzi di Maratea con la voglia di valorizzare e informare il proprio paese.

Chi siamo?La redazione è composta da 7 ragazzi, tutti originari di Maratea.

Quali sono gli argomenti trattati?Ogni mese verranno trattati argomenti diversi quali arte, cucina, sport, musica (con interviste a band locali), attualità e spettacolo.

Dove ci puoi trovare?NumeroZero TwitterNumeroZero Facebook

[email protected]

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NumeroZeroMagazine

Editorial

Maria Cerrato nata a Maratea nel 1984. All’età di 14 anni inizia ad appassionarsi al mondo della radio grazie al padre. Diventa speaker di Radio 91 Maratea, dove cura anche la rassegna stampa. Collabora con Radio LatteMiele Rete Sud Audio e Radio Tour Basilicata. Nel 2007 si iscrive all’Albo dei Giornalisti Pubblicisti  della Basilicata.

Maria Cerrato

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Photo :Luca Luongo © 2013

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Photo : Luca Corazzini © 2013

Una risonanza patria

La festa di S. Biagio di maggio è per noi marateoti un avvenimento paragonabile al Natale ed alla Pasqua. La si aspetta con la stessa gioia e trepidazione. Capita però che qualcuno ci chieda come mai, dato che il giorno che la Chiesa ha fissato per ricordare il santo armeno è il 3 febbraio, a Maratea si festeggi anche a maggio.In realtà, la festa di maggio di Maratea sta a celebrare l’anniversario della traslazione delle reliquie del santo dall’Armenia alla nostra terra.Originariamente la festa durava solo due giorni, il sabato e la prima domenica di maggio. Si svolgeva a Maratea Castello, in cima al monte, dove alla processione si affiancava la fiera, accordata, a mo’ di mercato franco, dalla regina Giovanna d’Angiò, con suo privilegio, nel 1428. Soltanto sul finire del XVII secolo, i nostri antenati decisero di allungare di altri sei giorni i festeggiamenti, con una deliberazione del sindaco di Maratea inferiore – una delle due amministrazioni comunali in cui Maratea è stata divisa fino al 1808 – il cui verbale originale, in latino, sottoscritto dal notaio Giovanni Pietro Lombardi, è purtroppo andato perduto.Ne conserviamo solo delle copie, alcune delle quali sono a stampa. Sperando di fare cosa gradita a tutti i fedeli ed agli appassionati di storia patria, pubblichiamo sulle nostre colonne la fedele traduzione italiana della copia latina conservata nell’archivio parrocchiale di Maratea. In essa c’è il cuore, la radice, l’alba della festa che noi, dopo tanti secoli, ancora oggi, con tanto amore e con tanta devozione, celebriamo.

Come nasce la festa

Luca Luongo

Di San Biagio

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Luca Luongo

Di San Biagio

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Photo : Danilo Cernicchiaro © 2013

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«In nome di Dio, amen. L’anno 1695 dalla Circoncisione di N. S. Gesù Cristo, il giorno tre del mese di Maggio della terza Indizione, nella Città di Maratea superiore e propriamente nella Cappella SS. e gloriosissimo S. Biagio nostro Patrono, dopo averne ottenuta la venia, a cagione del giorno festivo della Invenzione della S. Croce di nostro Signore. Regnando il Serenissimo e Cattolico Signor nostro Carlo II per grazia di Dio difensore della fede e Re di tutte le Spagne, delle Indie, di Gerusalemme, dell’Ungheria, della Dalmazia, della Croazia, del Portogallo, delle due Sicilie, ecc.; nel trentesimo anno felicemente regnante. E sotto il pontificato del SS.mo Signor nostro Innocenzo XII per divina provvidenza Papa; nel quinto anno felicemente regnante, ecc.Costituiti personalmente innanzi a Noi gli onorabili e magnifici uomini A. D. Dott. Federico Riccio, odierno Sindaco e pubblico amministratore dell’Università di Maratea inferiore, e gli spettabili uomini Nicola Ruggio, Girolamo de Ieno, eletti nel governo di detta Università, nonché gli egregi e magnifici uomini Francesco Sifanni, Onofrio Ginnari, a. m. Dottori Antonio de Sanctis, Biagio Remida, Urbano Grilluccio e Diego de Crescentiis, deputati dalla predetta fedelissima città a quest’atto, come appresso.I medesimi magnifici, Sindaco, eletti e deputati, come sopra, con il presente pubblico istrumento dichiarano pentirsi di vero cuore delle loro passate mancanze,e di quelle dei loro maggiori, e detestano la trascuraggine e l’abbandono della loro divozione verso l’invittissimo e gloriosissimo Presule, lume splendidissimo della fede, santo martire Biagio cui siano obbligati per tanti benefici ed incessante protezione che da per tutto ci ha accordato, facendosi nostro scudo e difesa e norma dl credere. Costui che illustrò l’Armenia, che resse Sebaste, e che è venerato da tutto il mondo, si scelse per sua patria diletta questa nostra città di Maratea. A questa stessa città fu come oste schierata in campo e come muro si appose ai suoi nemici, e, combattendoli apertamente, li sbaragliò.Di quanto i nostri antenati gli erano debitori, noi altri posteri veniamo a compiere, e, chiedendo venia delle passate trascuratezze, promettiamo volergli prestare per l’avvenire quell’ossequio, quella servitù e quel culto che gli è dovuto.Egli venne a noi con fausti auspici, e, attraversando un mare immenso, mutò la patria terra, e la nave beata che era arricchita di sì prezioso tesoro, approdò a questi nostri lidi, e, quasi sospirando per Maratea, stette immobile, e benché munita di ampie vele, gonfie da impetuoso vento, che doveva velocemente spingerla nella sua corsa, pur non si mosse di un sol grado, trattenuta come per misteriosa forza!

Anno Domini 1695. Quale ostacolo, qual calamita, tra tanti impulsi, trattiene la nave? Era la nave del mercadante prevista dal Sapientissimo Salomone che da regioni lontane portava il pane che doveva render felice la nostra Patria, illustrando le sue mura con luce celeste, adornandola di novelli splendori, poiché l’invitto Pontefice, dichiarato da Cristo lucerna e sole, dovette collocarsi non già sotto il moggio, ma sul candelabro di questa nostra città. Ed appunto perciò il nostro gloriosissimo Protettore venne tra noi colle sue Reliquie, e, per disposizione del Cielo, ci fu dato come Patrono per confermarci nel bene e conoscere la divina volontà. E siccome per lume soprannaturale i Re d’Oriente una volta conobbero il noto Re dei Giudei, e, guidati da una Stella si recarono ad adorarlo, così anche S. Biagio, coi medesimi lumi conobbe che era volontà di Dio dover essere nostro Padre; a questo nostro Protettore quindi si può appropriare il detto d’Isaia: “Super montem excelsum ascende tu, huic sublimitas huius montis in requiem, et ostensionem Gloriae dedicata est.”Che Egli stesso abbia scelto questa Città per sua dimora, lo ha sempre dimostrato con infiniti miracoli. Difatti quando l’armata dei Francesi stava per mettere piede nella nostra fortezza, essendo addormentate, le sentinelle, Egli che vegliava per noi, le destò dal profondo sonno, percuotendole nel viso a ceffate ad avvisandole così del pericolo le eccitò alla pugna. Di più, questo nostro mare coperto di navi Turche che minacciavano trarre tutti in misera schiavitù, il solo Biagio comandò ai venti e al mare, e, facendosi credere come seguito da un grosso esercito, volse in fuga il nemico respingendo la flotta e facendo giustamente tingere col sangue della vergogna la luna di Maometto. Un sì gran Protettore dunque ci fu largito dal Cielo, e ci era necessario per difendere ciò che gli apparteneva, colle armi, coll’assistenza, coll’aiuto del consiglio.Tralasciamo tante altre passate beneficenze e parliamo di alcuni favori più recenti.Scelleratissimi uomini, ladroni di pubbliche strade, nel cupo silenzio della notte, scorrazzando pel paese, assordavano e impaurivano tutti coi loro e col frastuono delle armi, e tanto più erano terribili in quanto che, insieme alle ricchezze ad allavita dei cittadini, minacciavano l’universale sterminio. E certo avrebbero compiuta l’opera nefanda se pochi inesperti al maneggio delle armi, invocando l’aiuto del Santo Protettore, non avessero preso coraggio, e, fatti baldi dalla fiducia del Santo, non si fossero posti intrepidi a dar la caccia a coloro che prima tanto temevano; e così, nel nome Suo, riportando piena vittoria. Tanto è vero che gli stessi uomini catturati e quelli che semivivi erano caduti per le vie della città, confessarono che era stato loro tolto l’ardire e la fuga ed erano stati stramazzati al suolo da un Vecchio di bella presenza, di aspetto venerando, con occhi, voce, gesto ed armature minacciose..

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Photo : Riccardo Polcaro © 2013

Photo : Luca Luongo © 2013

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LUCA LUONGO

Ma i benefici maggiori con i quali dimostrò di amare la

sua patria adottiva furono quelli di mantenere nei cuori dei

cittadini sempre intatta la fiaccola della fede contro le eresie

dei Novatori, infondendo in essi la vera pietà e conservando

fino ai giorni nostri puri e illibati i principi religiosi: difatti come

mai dov’è presente S. Biagio possono esistere costumi e istinti

selvaggi e barbari se Egli, per virtù di Dio, mansefece le fiere

tanto che gli lambirono i piedi e le mani? Egli è la nostra

pace ed unisce in un sol cuore anche i più schivi. Tra noi non

tumulti di popolo, non discordie civili, insomma siam tutti di

un un sol cuore, di una mente sola. Di più S. Biagio vinse la

morte, allontanò le carestie, accrebbe la carità nei nostri petti,

perché la carità del Martire che risplende tra noi ci serve

d’esempio; con ragione dunque possiamo ripetere col reale

Profeta: posuit fines suos pacem, et adipe frumenti satiat te.

Di grazia, quali contagi, quali disastri ci han mai contristati?

Noi stessi siam testimoni de’ suoi favori, noi stessi vedemmo

rifiorire l’età dell’oro quando militammo sotto un Santo Patrono!

Beata quella città il cui re è magnanimo, da lui apprendiamo

ad esserlo anche noi; e mentre che S. Biagio col suo sangue

tiene in mano lo scettro di questa nostra patria, c’insegna ad

attingere da lui i fiori della beatitudine e dei buoni costumi,

la perfetta santità e la gloria dell’empireo. Possiamo perciò

gloriarci dei suoi meriti, dal perché discendenti dal seme di

Abramo, siamo liberi di quella libertà che il nostro Santo Martire

ci ha dato, essendo Maratea l’unica e sola città del regno

che è vergine di servitù né fu mai venduta a tirannico dominio.

E come mai poteva vendersi, non potendo nessuno valutarne

il prezzo, avendosela Egli prescelta a sua patria e per diritto

di adozione, e per diritto di patrocinio, e per diritto di difesa,

e per autorità di un amore tutto singolare, e con tanta gelosia

che, coloro i quali osarono alzare la bocca contro il cielo,

meritamente la loro lingua gli si strozzò in gola? E chi rimase

consunto per lenta febbre o ucciso da sinistro accidente; anzi a

chi avesse ardito di darla in dono, o venderla schiava, il nostro

Difensore fece esperimentare la potenza del suo braccio,

affliggendolo col mal di gola: insomma Egli di continuo combatte

per noi, per la nostra libertà. Gran dono adunque è la libertà!

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Inoltre la liberalità del nostro Martire, che versò il suo

sangue per la fede, ci stabilisce nella pace, e ciò baserebbe

a intenerire i nostri durissimi cuori. Ma i suoi benefici

si moltiplicano a dismisura, diciamo a gloria di Dio, a

gloria sua e a confessione stessa dei nostri maggiori.

Difatti, come gl’Israeliti venivano saziati abbondantemente

dalla Manna, di quella rugiada celeste che pioveva

nel deserto, così pure questa vena perenne della S.

Manna che fluisce dalle ossa e dal Tempio del nostro gran Santo,

serve a noi di consolazione negli affanni, anzi il Sacro Liquore

è medicina pel corpo, è pegno di salvezza in ogni circostanza!

Orribili terremoti scuotevano la terra e per ogni dove si

levavano gemiti ed alte grida: tremò il regno, fu desolata

la Sicilia, l’America meridionale fu privata di varie provincie,

città illustri ebbero le mura e le fortezze adeguate al suolo. In

quel tempo, mentre l’ira di Dio si era scatenata a punizione

di tutti, inaspettatamente stillò il Sacro Umore, e, sudando il

S. Martire per difendere la nostra causa presso il Giudice

Eterno, con tali indizi manifesti, dimostrò di aver aggiudicata

a sé la causa della nostra sicurezza e restammo incolumi.

Soffiò di nuovo lo Spirito di Dio sulla terra, di nuovo scaturì

la Sacra Manna, e, mentre dovunque traballava il suolo e le

genti cadevano lungo le vie, tra noi non cadde nemmeno una

pietra. Sentimmo tanti eccidi altrove avvenuti, ed a noi che

cosa accadde di triste? Qual grande beneficienza non ci è

stata largita dal nostro Santo? Abbiamo forse bisogno di altri

chiari argomenti per conoscere quale vale il Suo patrocinio?

Ma v’ha ancora di più. Fra gli altri popoli regna la

discordia, non così in mezzo a noi, essendo avvertiti

dal reiterato scaturire della grazia celeste, della

Manna, di questa sorgente miracolosa che si conserva

incorrotta che dobbiamo amarci con scambievole amore.

E dobbiamo notare che in quest’anno appunto nella Domenica

Laetare, mentre si annunziava colla predica la letizia della

Chiesa, incominciò a scaturire profusamente, e tal prodigio

durò continuo fino alla seconda feria di Pasqua; e nella

festa plenaria di Maggio ne scaturì in maggior copia.

Chi può mai dunque, o Santo Patrono, enumerare e descrivere

gli obblighi immensi che abbiamo verso di te? Per te vediamo

abbonacciato il mare, sol che vi si getta il pane benedetto

nel Tuo nome; e come mai potranno perire lungo i viaggi

coloro che portano addosso questo pane celeste? Tua

mercé si sedano le più orribili tempeste, e noi medesimi ne

siano testimoni, perché coi propri occhi vedemmo quegli

che cadde nel mare, e, tra le furie dei cavalloni giganteschi

spumeggianti che minacciavano sprofondarlo negli abissi,

ne uscì incolume, come se avesse passeggiato all’asciutto, e

ciò con versarvi la Manan che portava addosso, potendo

meritatamente dire col Salmista: Salvavit me dextera tua!

Di vantaggio, se la Manna si versa nel fuoco, ne doma la forza,

ed è come salvaguardia agli oggetti che ne sono bagnati,

come avvenne in una terra a noi vicina chiamata Carbone;

quivi tirandosi al bersaglio, come segno si posero due cappelli

uno sovrapposto all’altro; ma nel tirarsi i colpi, il piombo perforò

completamente quello che stava al di sotto, rimanendo

del tutto illeso quello che era al di sopra, e con grande

meraviglia di tutti gli astanti, si osservò che in esso, dentro

una carta eravi avvolta una tela bagnata di sacra Manna.

E oh! Quanti mali non cessano alla sola invocazione del nome

di S. Biagio! Le stesse pietre cedono alla sua potenza e vi resta

impressa la sua figura! Difatti, dalle mani di un fanciullo che se

ne ritornava da questo Tempio, cadde un pane benedetto,

portante l’immagine del Santo, sopra un sasso v restò l’impronta!

I nostri cuori, o gloriosissimo Martire, si sarebbero

induriti a guisa di macigni se non fossimo ricorsi a Te per

gustare la fragranza de’ Tuoi Unguenti! O Potentissimo

nostro Patrono, noi per Te viviamo, per Te sospiriamo, ed

essendolo Tuoi, tu liberasti colla tua mano i nostri concittadini

naviganti che trasportavano la tua Statua, dalle mani dei

Turchi, interponendo una nube, togliesti la vista al nemico.

Tu doni la sanità agl’infermi, raddrizzi gli sforzi, dài l’udito ai

sordi, la favella ai muti. Tu solo sei la difesa della nostra città,

a te solo ricorriamo qual dispensatore dei carismi celesti: Tu sei

asilo di fortezza, aiuto nei pericoli, Tu il difensore dei pellegrini,

che a Te ne vengono con fiducia da lontane contrade.

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LUCA LUONGO

Photo : Luca Luongo © 2013

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Anche i Grandi esperimentano il Tuo patrocinio: il nostro Re, cui auguriamo un regno lungo e felice, per Tua intercessione ricuperò la salute, fa che, per i tuoi meriti, percepisca il frutto della benedizione; a Te l’Austriaco Monarca edificò questo tempio, rafferma adunque la sua casa, prosperandolo nella prole.Per tutte queste cose e per altri innumerevoli benefici ricevuti per i meriti venerarono sempre come singolar Patrono, noi uniamoci ad essi e correggiamo ciò che trascurarono per ignoranza, protestando che in ogni anno nella Domenica prima o nella seconda dopo la festa plenaria di Maggio, con vera contrizione e con tutta solennità si dovrà portare processionalmente per tutta questa città il Simulacro del nostro S. Protettore, e, in segno di dominio e di riconoscenza, per ciascun anno ed in perpetuo, offrire un cero e dieci ducati.In ultimo, tutti di questa nostra città, umilmente supplichiamolo

che non cessi distendere la sua mano potente su di essa e su tutto il suo popolo, e voglia liberarci dal triplice flagello dell’ira divina, cioè dalla peste, dalla fame e dalla guerra, e, durante la nostra vita, voglia impetrarci la pace, l’abbondanza e la salute, nonché d’istillare nel cuore de’ cittadini la cristiana carità; insomma liberarci da ogni avversità, e finalmente ottenerci tutto ciò che egli crederà espediente per l’anima e pel corpo.Mediante la sua intercessione, speriamo mantenerci fermi in questa volontà che promettiamo e protestiamo di aver sempre verso il nostro Santo.Tutte queste cose, come esposte di sopra, i predetti magnifici Sindaco, Eletti e Deputati da principio nominati e col consenso dell’Ill.mo e Rev.mo Mons. Vescovo di Cassano, come si nota qui appresso, hanno promesso ecc. per qualsivoglia ragione.»

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«Ill.mo e Rev.mo Signore,Il Sindaco ed Eletti della città di Maratea inferiore, a nome loro e di tutta la città e pubblico, in nome di tutti, supplicando, espongono a V. S. Ill.ma e Rev.ma come Domenica 10 del corrente mese di Aprile di quest’anno 1695, invocato il Nome SS. di Dio e del S. Protettore S. Biagio, in pubblico Parlamento, senza nessuno contrario, conchiusero doversi, ad onore del nostro potentissimo Protettore S. Biagio, stabilire in eterno e per sempre una Processione solennissima colla Statua del Santo, da calarsi dal Castello di Maratea superiore il giorno antecedente allaProcessione, collocandola in una di queste nostre chiese, per poi la Domenica seguente, portandola processionalmente per tutta questa città di Maratea inferiore, salirla nel Castello di Maratea superiore, obbligandosi di celebrare questa festa e processione solenne e generale del nostro Santo Protettore

Il testo ufficiale della richiesta al vescovo di Cassano fu:

in ogni secolo, eleggendo la Domenica, o antecedente o susseguente la plenaria di Maggio, secondo che permetterò il tempo, coll’offerta di ogni anno, da ora a sempre, di ducati dieci con sua torcetta al Santo, in segno di sottomissione e dominio.È perché detta Processione essendo generale e di obbligo per essere del Padrone Principale, noi, facendo atto pubblico ed istrumento, abbiamo domandato perdono al Santo della trascuratezza passata; per tanto supplichiamo V. S. Ill.ma e Rev.ma che voglia consolare e secondare i nostri desideri, e, nello stesso tempo, fomentare la devozione al S. Protettore, dandoci il suo consenso, obbligando il Clero regolare alla Processione, conforme di diritto, perché il Clero secolare l’ha già concluso, conforme ancora manderà supplica a V. S. Ill.ma e Rev.ma dal quale lo riceveranno a grazia da Dio, ecc.»

LUCA LUONGO

Photo : Biagio Calderano © 2013

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È da notare che per i primi anni della festa, la statua, nel trasportarsi dal Castello al paese non veniva affatto coperta.Anzi, fu proprio questa particolare processione extra parrocchiale a far nascere la contesa tra due parroci, don Domenico Lebotti e don Francesco Vita Diodati. Lamentandosi il primo di non ricevere pagamento per la processione che terminava giù e di subire le prepotenze del secondo, che millantava di essere parroco di tutta Maratea, si innescò una complicata lite di diritto canonico, che fu trascinata fino a Napoli, dove terminò con l’intervento di un dispaccio reale, emanato il 20 gennaio 1781, che stabilì di abolire «la Processione, che si fa in occasione della restituzione della Statua di S. Biagio alla Chiesa di Maratea superiore, in quella inferiore, la quale restituzione debba farsi privatamente, e senza accompagnamento, e pompa veruna».A sottolineare questo passaggio privato della statua tra le due parrocchie, a qualcuno – ignoto estro – venne in mente di coprire il simulacro con un panno, fatto su misura, color rosso.Ai nostri antenati questa trovata non piaceva. Lo dimostrano i vari tentativi che si ebbero di rimuovere la copertura della statua, ma sempre i vescovi e le altre autorità canoniche preferirono evitare ogni ulteriore possibile nuova lite, e il panno rimase, fino a diventare oggi una caratteristica che è quasi il simbolo più vero della nostra tradizione.

E poi venne il panno rosso...

LUCA LUONGO

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Photo : Danilo Cernicchiaro © 2013

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Photo : Luca Corazzini © 2013

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Photo : Francesco Di Giorno © 2013

Qua descrizione

Photo : Luca Luongo © 2013

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Per secoli i nostri antenati hanno adorato le sacre reliquie del santo patrono senza mai vederle. Chiuse sigillate dentro l’urna di marmo da sempre conservata nella Regia Cappella del santuario al Castello, soltanto la Fede, nel santo e nella tradizione degli antenati, hanno mantenuta viva la devozione e la consapevolezza del tesoro lì custodito. Il 3 maggio 1941, dopo lo spostamento della Cappella dalla navata al presbiterio, dietro l’altare maggiore, avvenne la storica ricognizione delle reliquie. Alzato il coperchio, precedentemente murato tra i marmi della Cappella, si vide che l’urna non conteneva soltanto il torace del santo, come affermava

la tradizione secolare, ma anche un osso del braccio, un femore e un piccolo frammento del frontale.Decisi a non far rimanere più le reliquie in un buio ermetico che poteva dare adito a fastidiose supposizioni di scettici, dal settembre dello stesso anno, l’urna fu scoperchiata e chiusa con un cristallo di 7mm, così da lasciar visibili ai fedeli i resti di S. Biagio, che il parroco pro tempore, don Domenico Damiano, aveva composto ordinatamente in forma piramidale.Questa sistemazione durò fino al 16 novembre 1951, quando si decise, a malincuore forse, di richiudere l’urna con il coperchio di marmo originale, perché si

temeva che l’effetto della luce e la non certa ermeticità della chiusura a vetro potessero danneggiare il sacro deposito. sua cappella.In quel punto, quindi, nel 1932, per iniziativa del cittadino Biagio Vitolo (poi podestà e sindaco) venne eretta una grande croce in ferro battuto, alta quasi cinque metri, offerta dal sig. Biagio Maimone.Dopo otto decenni, la croce è ancora lì, monumentale ricordo della Fede e della memoria tradizionale di una intera comunità.

Reliquie di San Biagio

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Basilica Santuario di S. Biagio - MARATEA (POTENZA) - Statua monumentale d’argento

LUCA LUONGO

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Photo : Riccardo Polcaro © 2013

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Croce su Santo Janni.

Quando viaggiamo sulla strada statale in direzione di Marina e Castrocucco, è difficile che, per qualche tratto di strada, un occhio non ci cada verso il mare e l’isoletta di S. Janni. Sul ciglio più alto dell’isola, si nota facilmente la presenza di una alta e sottile croce di ferro. Non tutti sanno che la presenza di quella croce è legata al culto per il santo patrono S. Biagio.Sulle rocce dell’isola, si trovano i ruderi di un’antica cappella, dedicata a S. Giovanni (dal cui latino, Sancto Johanne, deriva il nome dell’isola), i resti (interrati) di antichissime cetariae (vasche romane di allevamento ittico per la produzione di salse di pesce tra cui il famoso garum) e la croce, che si trova in quasi perfetta corrispondenza con il sagrato dell’antica cappella. Come vuole tradizione, le reliquie di S. Biagio di Sebaste arrivano a Maratea via mare, ed il primo lembo della nostra terra sulla quale furono posate, fu proprio quello dell’isoletta, nei pressi della sua cappella.In quel punto, quindi, nel 1932, per iniziativa del cittadino Biagio Vitolo (poi podestà e sindaco) venne eretta una grande croce in ferro battuto, alta quasi cinque metri, offerta dal sig. Biagio Maimone.Dopo otto decenni, la croce è ancora lì, monumentale ricordo della Fede e della memoria tradizionale di una intera comunità.

LUCA LUONGO

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La festa di S. Biagio di Maratea è una festa secolare. Generazioni di marateoti hanno celebrato la ricorrenza della traslazione delle reliquie dall’Armenia alla nostra terra durante la prima settimana di maggio, ma sempre la nostra comunità è riuscita a mantenere viva questa festa, senza mai cadere nel pur comune tranello di trasformarla in una folkloristica manifestazione, sterile messa in scena in onore di un remoto passato di cui non si capiscono le ragioni ed i sentimenti.

LUCA LUONGO

Può quindi venire incontro alla nostra curiosità l’andare a scoprire come si celebrasse la festa di maggio in passato, in un passato più remoto di quello che possiamo conoscere attraverso il racconto dei nostri più anziani concittadini.Tra le carte dell’archivio di stato di Napoli il secondo archivio più grande e ricco del mondo, preceduto solo da quello vaticano abbiamo ritrovato l’estratto conto delle spese sostenute per la celebrazione della festa di S. Biagio nel maggio del 1802. È un documento di straordinaria importanza, perché da esso possiamo ri-costruire i principali passaggi della festa di quell’anno.La prima cosa che notiamo è che i conti delle spese si rife-riscono solo alle giornate del giovedì, venerdì e sabato, e sono conservate nel bilancio della università di Ma-ratea inferiore, cioè il corpo amministrativo che reggeva gli affari del Borgo (odierno centro storico) di Maratea. Anticamente, quindi, la festa veniva spesata dalle casse municipali, ed ognuna delle due università (cosi all’epoca si chiamavano i municipi) si occupava delle giornate di festa che avvenivano nei loro confini: a quella di Maratea inferiore, da giovedì a sabato, a Maratea superiore, tutto ciò che avveniva a Maratea Castello, quindi le gior-nate del primo sabato e prima domenica del mese, e poi la chiusura delle celebrazioni la seconda domenica.

Tracce del passato: la festa di S. Biagio nel 1802

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Tracce del passato: la festa di S. Biagio nel 1802

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Ciò non ci deve stupire: una compagine che potremmo voler immaginare quale l’odierno comitato era impossibile all’epoca, essendo, in un regno assolutistico come quello borbonico, estremamente limitata la libertà di associazione.La prima preoccupazione era la pulizia della strada lungo la quale sarebbe stata calata la statua. Gli abitanti della Maratea inferiore si preoccupavano di pulire il tratto che da Capo Casale arriva ai Muricelli per capirci, il luogo dove oggi la processione sosta e si impartisce la benedizione al mare , mentre quelli della Maratea superiore pulivano da quel punto a salire, fino alla porta del Castello.La statua, peraltro, non veniva trasportata dagli uomini della confraternita laicale del santo o da persone con altri speciali attributi. Si trattava di comuni cittadini, che, per il trasporto tra le due Maratea, venivano pagati per il servizio. È questa una diretta conseguenza dell’ordine, imposto nel 1781 per le beghe di legislazione ecclesiastica, di procedere al trasferimento della statua tra le due parrocchie in forma privata, senza processione, coprendo il simulacro con l’oggi caratteristico panno rosso.Una volta deposta la statua in chiesa si alternavano periodicamente la Chiesa madre di S. Maria Maggiore e quella della SS.ma Annunziata ad ospitarla , il sagrestano riceveva un compenso extra per fare la guardia al simulacro d’argento. Come leggiamo nel documento ottocentesco, il sagrestano dell’epoca, di nomeCarmine Raele, fu così ligio all’incarico che per i tre giorni di festa si chiuse in chiesa e fece la guardia alla statua anche durante la notte!Arrivato il sabato, si tenevano due processioni e due Sante Messe solenni. Anche in queste processioni, la statua veniva trasportata in spalla da uomini che ricevevano un compenso. Non si trattava, neanche allora, dei confratelli o di altri chierici: la confraternita di S. Biagio era legata alla parrocchia del santo, al Castello, e non avrebbe potuto, per i noti cavilli canonici, “sconfinare” nella parrocchia di S. Maria Maggiore e guidare la processione anche nel Borgo. Durante le processioni, la statua passava tra i vicoli e le vie del paese al suono di mortaretti, che scoppiavano fragorosamente ai bordi delle strade: un apposito capitolo di spesa stipendia i figliuoli incaricati di posizionarli in giro.Alla sera, per tutti e tre le giornate giovedì, venerdì e sabato almeno la piazza era illuminata a festa con delle lampade ad olio. Questo tipo di luminaria è rimasto in uso fino ai primi decenni del Novecento, sostituito poi da quella elettrica.

LUCA LUONGO

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La sera del sabato avveniva l’unico spettacolo della celebrazione: la popolazione si riuniva per assistere allo scoppio. Solitamente con questa parola si indicava il colpo di mortaio che annunciava alla popolazione l’inizio di una processione, ma il suo farsi la sera del sabato (cito dal documento), il pagarsi pure per la colazione alla gente che lo eseguì e la quantità di polvere da sparo impiegata (ben 9 rotoli, pari a 8 kg) possono far pensare anche che si assimili ad esso un modesto spettacolo di fuochi d’artificio preparato da persone che lo facevano per mestiere, magari fatte venire a Maratea per l’occasione.Il documento non ci dice altro. Terminata anche la giornata del sabato, la statua veniva riportata a Maratea Castello, dove la festa di maggio terminava con la Messa nel santuario, coronata, di tanto in tanto, dal dono della Santa Manna.E, allora come oggi, i fedeli di Maratea e quelli giunti a Maratea anche da lontano iniziavano, tornando a casa, a ripromettersi di esserci ancora, l’anno dopo, e quello dopo ancora... e sempre.

LUCA LUONGO

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Photo : Luca Corazzini © 2013

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Photo : Biagio Calderano © 2013

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.Grandi vetrine di novità, appuntamenti di scambio, le fiere affondano le loro radici in tempi lontani, ma si svolgono tutt’ora nelle grandi città e nei paesini in occasione di feste patronali e ricorrenze.La necessità delle fiere è stata chiara fin da subito, per questo motivo i sovrani o i sindaci, ( a seconda del periodo storico), hanno stabilito delle norme per garantire un corretto svolgimento. E’ del 1428 il documento firmato da Giovanna D’Angiò, Regina di Napoli, con il quale si concedeva a Maratea il mercato franco ogni prima domenica di maggio. E’ invece meno datato il documento in cui si stabilivano le modalità di svolgimento delle fiere della Madonna del Rosario e del Santo Patrono: in occasione di tali ricorrenze, tutti i venditori avevano l’obbligo di posizionarsi davanti al locale del Monastero delle Signore Salesiane, altrimenti venivano puniti con una multa. Il secondo sabato di maggio, in occasione dei festeggiamenti di San Biagio, Maratea diventa teatro di una grande fiera che parte da Piazza Mercato e si prolunga fino alla ‘’Porta rossa’’. Una lunga carovana di bancarelle di merce varia, banchi di dolciumi e bontà gastronomiche, occupa la strada che si riempie dello spirito di festa. In alcuni punti della strada è addirittura difficile passare, a causa delle moltissime persone presenti che si fermano a fare acquisti o a chiacchierare, perchè la fiera è soprattutto luogo di incontro e sinonimo di festa.In passato questa fiera era molto attesa da bambini e adulti: era un’occasione imperdibile per conoscere le novità, curiosare, acquistare ciò che non era sempre facilmente reperibile e fare affari. L’importanza della fiera è testimoniata anche da un insolito documento datato 3 maggio 1602; con tale documento i governatori di San Biagio chiedevano al vescovo di Cassano di ordinare all’arciprete di non molestare i mercanti che giungevano per la fiera. Dunque non sembrerebbero esserci molte differenze tra il passato e il presente: la fiera di San Biagio attira ancora moltissime persone, anche nell’era della globalizzazione e degli acquisti online, quando basta un click o basta entrare in un qualsiasi negozio per acquistare ciò di cui si ha bisogno.

Vetrina di novità.

CHIARA GRAZIANO

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Photo : Danilo Cernicchiaro © 2013

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