NUMERO VENTI e n a g esprino a - Lions Palermo dei Vespri · La scrittura come ancora di salvezza...

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Lions Club International Palermo dei Vespri - Distretto 108 Y/b - Circoscrizione I - Zona 1

Vesprino Magazine

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1. Editoriale

2. Passaggio della campana ai Club Lions Palermo dei Vespri ePalermo Conca d’Oro di Gabriella Maggio

3. Passaggio della campanaal Leo Club Palermo dei Vespri di Aurora Picone

4. Grande festa al Sea Club di Terrasini di Attilio Carioti

5. San Matteo al Cassaro, si comincia di Attilio Carioti

6. Sotto secoli di polveresulle orme dei BB.Paoli di Carmelo Fucarino

7. A proposito di donne di Renata De Simone

8. Europa. Quale? di Natale Caronia

9. Ricordo di un incontro con Alvaro Siza di Attilio Carioti

10. Ernest Hemingway di Gabriella Maggio

11. Il salotto di Gabrielladedicato a Rosa Balistreri di Carmelo Fucarino

12. Ad occidente del sole di Lavinia Scolari

13. La fiaba di Turandot di Carmelo Fucarino

14. La rivincita della lingua di Gabriella Maggio

15. La forza della poesia di Gabriella Maggio

16. “La città tutta per lui” da I. Calvino a c. di Gabriella Maggio

17. Con l’occhio dei bambini di Gabriella Maggio

18. La scrittura come ancora di salvezza di Patrizia Lipani

19. Incontri d’estate di Patrizia Lipani

20. Mozart al Chiostro di S.Anna di Lavinia Scolari

21. Le ricette letterarie di Marinella

22. Viaggiatori stranieri in Sicilia di Daniela Crispo

23. La vecchia dell’aceto di Gabriella Notarbartolo

24. I “T Q” di Lietta Pasta

25. Il 22 luglio 2011 di Gabriella Maggio

26. Glossario della biancheria intimaLa camicia di Raffaello Piraino

27. Berlino, 13 agosto 1961 di Gabriella Maggio

28. Nel centocinquantesimo anniversariodell’Unità d’Italia di Giuseppina Cuccio

29. Giornata internazionale della commemorazionedel commercio degli schiavi di Giuseppina Cuccio

30. Nel centocinquantesimo anniversariodell’Unità d’Italia di Gabriella Maggio

31. Ogni scuola che si chiude di Carmelo Fucarino

32. Le Madonie orgoglio siciliano di Pino Morcesi

33. Pilipitò, racconti da bagnoper siciliani e non di Lavinia Scolari

34. Viva Santa Rosalia di Renata De Simone

35. Re Artù nell’Etna di Gianfranco Romagnoli

36. Pomeriggio letterario a Prizzi di Attilio Carioti

37. Se la scuola… di Patrizia Lipani

38. Nel centocinquantesimo anniversariodell’Unità d’Italia di Irina Tuzzolino

39. Oh Venezia dell’anima di Carmelo Fucarino

40. Un’altra Spagna di Renata De Simone

41. Uno scenario inquieto verso la chiarezza di Fabio Russo

SOMMARIO

Editoriale di Luglio/Agosto

Tommaso Aiello

Attilio Carioti

Natale Caronia

Daniela Crispo

Giuseppina Cuccio

Carmelo Fucarino

Gabriella Maggio

Marinella

Valentina Mirabella

Raffaello Piraino

Gianfranco Romagnoli

Daniela Scimeca

Comitato di redazione:Gabriella Maggio (Direttore)Mimmo Caruso • Renata De SimoneCarmelo Fucarino • Francesco Paolo Scalia

Hanno Partecipato a questo numero:

Cari amici, Care Amiche, mi pareche questa estate sia stata all’inse-gna della lettura e della cultura ingenerale, musica, danza, canto.Non soltanto su Vesprino, ma sullepagine dei quotidiani che hannopubblicato articoli molto impegna-tivi e hanno offerto una volta allasettimana piccoli libri molto inte-ressanti per pochi soldi; da metteresenza sforzo nella borsa anche pic-

cola o già piena di oggetti. E’ un’inversione di tendenza ?E’ la crisi mondiale della finanza che si trascina dietro la de-lusione per uno stile di vita che sembrava definitivo e cheimprovvisamente mostra tutta la sua fragilità ed inconsi-stenza ? Si cercano risposte, esempi di esistenze perenne-mente in crisi, quelle che la letteratura di tutti i tempi ci haproposto. Il “ vissero felici e contenti” non ha mai interes-sato gli scrittori né i poeti. Dobbiamo, allora, aspettarciuna fioritura di scrittori ? Non credo. Si pubblica facilmentesolo sul web….ed ancora oggi come diceva Marziale nel Isec. d. C. “Litterae non dant panem”, ma soltanto unaspinta per andare faticosamente avanti.

Gabriella Maggio

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lionspalermodeivespri.wordpress.com

Lions Club

Passaggio della campana ai Club LionsPalermo dei Vespri e Palermo Conca d’Oro

Sabato 25 giugno 2011 sulla terrazza del FlorioPark Hotel di Cinisi è avvenuto il tradizionalepassaggio della campana tra l’avv. Giuseppe

Maccarone ed il dott. Gianni Ammirata del Club Pa-lermo dei Vespri.Giuseppe Maccarone dopo avere enumerato le attivitàdel club nell’ambito della solidarietà, del rapporto colterritorio e le istituzioni e con gli altri club lions, ritienepositivo il bilancio dell’anno per i risultati conseguiti eper l’impegno dei soci coinvolti nelle varie iniziative.Tuttavia, dice Giuseppe Maccarone, non ci si deve maiaccontentare dei traguardi raggiunti, ma cercare sem-pre di migliorarli secondo lo spirito lionistico.Il neopresidente Gianni Ammirata ha proposto comeprimo obiettivo dell’anno sociale 2011-12 la celebra-zione, il 22 ottobre p.v. , della XV Charter night a Pa-lazzo Mazzarino, per la cortese ospitalità del MarcheseAnnibale Berlingieri, socio onorario del Club. Con unametafora marinara, avvicinando il Club alla nave, haevidenziato che la navigazione è tranquilla quando ilcomandante conosce e utilizza tutte le caratteristichee le risorse della nave. Allo stesso modo Gianni Am-mirata si propone di guidare il Club dei Vespri, valo-rizzandone le qualità, favorendo l’attuazione delle suepotenzialità in linea di continuità con la tradizione. Nella stessa serata il Club Lions Palermo Conca d’Oro,di cui il Club Vespri è padrino, ha confermato presi-dente dott. Lorenzo Ruisi.Il Presidente, pienamente soddisfatto degli esiti rag-giunti nell’anno sociale appena concluso, ha espressol’intenzione di continuare la collaborazione conl’E.I.S.A. (acronimo di Educazione per l’IntegrazioneSociale degli Autistici) e di realizzare il service Emer-genza Giovani per fornire ai giovani notizie chiare edettagliate sulle opportunità di lavoro.Alla cerimonia erano presenti il prof. GianfrancoAmenta, Secondo Vice Governatore eletto, il Presidentedella Prima Circoscrizione Sig.ra Zina Corso D’Arca,socia del club Palermo dei Vespri, il Presidente della zona1 dott. Claudio Cassarà , che hanno espresso il vivo com-piacimento per l’attività svolta dai club.Hanno partecipato anche i Past Governatori, avv. Mi-chele Capra Pantò, socio onorario del club Palermodei Vespri, il prof. Amedeo Tullio, il prof. Franco Amo-deo.

di Gabriella Maggio

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Lo staff del nuovo Presidente Gianni Ammirata

Lo staff del Presidente Lorenzo Ruisi

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Passaggio di campanaal Leo Club Palermo dei Vespri

di Aurora Picone

Giovedì 7 Luglioha avuto luogopresso il GrandHotel Federico

II l’emozionante passaggiodi campana del Leo Clubdei Vespri. E’ stato bello ce-lebrare insieme ai nostriamici, leo e lions, e al nostroClub Lions padrino, Pa-lermo dei Vespri, il passag-gio della campana, simbolonon soltanto della conclu-sione di un anno sociale edell'apertura di quellonuovo, ma soprattutto testi-monianza di uno sguardocostantemente rivolto al fu-turo, facendo tesoro delleesperienze passate. Durantela cerimonia è stato dato ilbenvenuto come socio ono-rario a Zina Corso D'Arca,che tutti noi abbiamo avutoil piacere di avere quale leoadvisor, apprezzandone latenacia e la grinta; con leiraggiungeremo nuovi ed en-tusiasmanti traguardi. È stato consegnato al Prof. Ci-mador il documento d’ acqui-sto della sonda laparoscopicadestinata al Reparto di Chi-rurgia Pediatrica del Policli-nico di Palermo. Incoraggiantie lusinghieri per il nostro ope-rato sono stati gli interventi delprof. Gianfranco Amenta, secondo vicegovernatore eletto, delPresidente del Club padrino, dott. Giovanni Ammirata, dell’ ad-visor uscente , Sig. ra Zina Corso D’Arca, e del subentrante, dott.Salvatore Pensabene, del Presidente del Multidistretto Leo, Da-vide Brillo. Tutti hanno saputo, con i loro discorsi, spronarci a faresempre del nostro meglio, e sentirci orgogliosi di essere leo. I no-stri Lions credono molto in noi e noi ricambiamo riponendogrande fiducia in loro, ecco perchè daremo il via, con l'inizio delnuovo anno sociale, ad attività dove entrambi saremo protago-

nisti, dando linfa vitale a quello che è il vero spirito lionistico: unitiper servire. Lo scambio dei distintivi tra Claudio Ammirata e Vir-ginia Geraci, ha sottolineato la continuità, ma anche l’impegnodella Presidente a mettersi al servizio del club e della comunitàpalermitana. Le loro parole hanno saputo commuovere gli altrileo ed i nostri ospiti. Ci aspetta un anno di duro lavoro, affermaVirginia, ma all'insegna della reciproca collaborazione! È questol'importante, progredire giorno dopo giorno nel servizio verso ilprossimo e regalando momenti di gioia a chi vorrà prendere partealle nostre attività.

Lo staff dell’anno sociale 2011-12

Tra gli Ospiti era presente il Maestro Madè (a destra nella foto) che ha dipinto l’immagine dei Vespri siciliani per il guidoncino dei leo

Lions Club

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Suggestiva apertura dell’anno sociale del Lions ClubPalermo dei Vespri al Sea club di Terrasini, pro-prio al calar del sole. Il Presidente Gianni Ammi-rata ha dato inizio al suo anno sociale con un tocco

di classe, riunendo i soci del club domenica 10 luglio inuna grande festa in riva al mare.A conclusione della serata grande ballo fino a tarda notte,animato anche dalla presenza degli amici dei soci interve-nuti dopo le 22.30.

Grande festa al Sea Club di Terrasinidi Attilio Carioti

La

cena

Foto di Gianni Ammirata

Foto di G. AmmirataFoto di Attilio Carioti

Foto di Attilio Carioti Foto di Attilio Carioti

Foto di Attilio Carioti

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L’aperitivoFoto di G. Ammirata

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San Matteo al Cassaro, si cominciadi Attilio Carioti

Venerdì 29 luglio 2011 nella Sagrestiadella Chiesa di San Matteo al Cassaro ilLions Club Palermo dei Vespri, presie-duto da Gianni Ammirata, al centro

della foto, ha dato inizio ai lavori direstauro degli arredi lignei . Ilprimo passo, quello della cataloga-zione e della ripulitura, è statofatto da diciotto ragazzi dell’Istitutod’Arte Alfonso Frangipane di Reg-gio Calabria in stage nella Chiesagrazie ad un progetto PON.I lavori proseguiranno con il can-tiere della conoscenza per indivi-duare, con la consulenza del prof.Giovanni Liotta insigne entomo-logo, le specie di insetti xilofagi cheinfestano le suppellettili lignee alfine di debellarli con appropriati in-

terventi. L’interesse del Lions Club per la Chiesa diS.Matteo comincia nel 2008, anno di presidenza diPietro Manzella, che “adotta la Chiesa” su propo-sta dell’arch. Giuseppe Gelardi socio del club, pro-

Nella foto da sinistra: arch. Fr. Mannuccia, arch. G. Renda, mons. Renna, dott. G. Ammirata, ing. A. Carioti, arch. S. Cafarelli, Sig. Zina Corso D’Arca,arch. G.Gelardi, prof. Alberto Felici

I ragazzi dell’Istituto d’Arte Alfonso Frangipane di Reggio Calabria in stage a S. Matteocon i Proff. Antonio Barbera docente di Restauro Pittorico e Salvatore Palmeri docente di Restauro Ligneo

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Arte

San Matteo al Cassaro, si comincia

segue nel 2009 nella presidenza di chi scrivequando viene sottoscritto un protocollo d’intesacon il Rettore Mons. Renna, col quale il Club si im-pegna a sollecitare l’attenzione della pubblica opi-nione e delle Istituzioni ad intervenire in manieraconcreta in un luogo importante e rappresentativodell’arte palermitana, purtroppo in stato di degrado, e nello stesso tempo a promuovere iniziative diraccolta fondi da impiegare in operazioni di re-stauro. Il Rettore dal canto suo si impegna a renderedisponibile la Chiesa per attività lionistiche mirate,come recentemente in occasione del concerto pia-nistico del maestro Calogero Di Liberto, durante lapresidenza di Giuseppe Maccarone. Erano presentiall’incontro anche l’arch. Silvana Cafarelli in rap-presentanza della Sovrintendenza ai BB.CC. di Pa-lermo, l’arch. Gaetano Renda Direttore dell’UfficioBB.CC. della Curia di Palermo, mons. Renna Ret-tore di S. Matteo, il prof. G. Liotta, l’arch. France-sco Mannuccia in rappresentanza dell’azienda

L’Isola laboratorio di restauro srl, sponsor dell’ini-ziativa, il prof. Alberto Felici docente dell’Opificiodelle Pietre Dure di Firenze in rappresentanza dellarivista Kermes, edita da Nardini Press sponsor del-l’iniziativa e partner per i progetti futuri. L’incontrodi queste personalità nella sagrestia di S. Matteo rap-presenta un atto concreto della volontà di attuare uncoordinamento di tutte le istituzioni interessate peruna proficua realizzazione del progetto di restauro.

Rilevamento diagnostico Intervento di pulitura superficiale

Il prof. G. Liotta spiega le procedure da adottarenella disinfestazione degli arredi lignei

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Sotto secoli di polvere sulle orme dei Beati Paoli

di Carmelo Fucarino

Il Lions Club Palermo dei Vespri,sotto l’impulso del Presidente Gio-vanni Ammirata e in concorso conl’impegno di patronato per il restauro

del “Cristo liberatore” di Vito D’Annanella Chiesa di S. Matteo al Cassaro, incontinuità con quanto già avviato dal pastpresidente Attilio Carioti , che ha firmatoil protocollo d’intesa con mons. Renna,rettore di S. Matteo, continuato da Salva-tore Pensabene con una serie di concertiin sinergia con altri club service e l’Asso-ciazione VOLO e proseguito dal past Giu-seppe Maccarone, ha eseguito unapoderosa opera di intervento all’internodella Sacrestia di questa Chiesa. L’esecu-zione è stata affidata all’Istituto Stataled’Arte “Alfonso Frangipane” di ReggioCalabria che da oltre un ventennio, ini-zialmente con la maxisperimentazione“Operatore nel Restauro e nella Conser-vazione dell’Arredo Ligneo e dei Dipinti”e con le successive sperimentazioni delprogetto “Michelangelo II” “Arte e Re-stauro delle Opere Lignee” ed “Arte e Re-stauro delle Opere Pittoriche”, haeseguito, sotto l’alta sorveglianza della So-printendenza dei Beni Culturali della Ca-labria, numerosi interventi conservativi.All’interno del progetto P.O.N (ObiettivoC azione C5, Stage in Italia. anno scola-stico 2010/2011), tra le altre attività pro-grammate diciotto alunni selezionatidalle Terze alle Quinte classi dell’Istituto(indirizzi “Arte e restauro delle opere lignee” ed“Arte e restauro delle opere pittoriche”, ad esauri-mento, secondo la geniale intuizione della Gelmini),hanno partecipato ad uno Stage Aziendale, realiz-zato in convenzione con la società “L’Isola Labora-tori di Restauro” e svoltosi all’interno della Sacrestiadal 18 al 29 luglio, per un complesso di 1728 ore - la-voro. Purtroppo è un danno incalcolabile la cancel-lazione di tali indirizzi, che avrebbero richiesto

invece un’espansione, se si considera l’immenso pa-trimonio artistico italiano, mai toccato da interventie che va cadendo letteralmente a pezzi. Proprio oggila stampa dà notizia dell’ulteriore perdita di pezzidel ponte di Rialto.L’attività è stata di grande rilievo per il recupero di unambiente così prezioso e ricco di opere architettoni-che e pittoriche e per gli originali manufatti. Essa si èsvolta secondo protocolli di ricerca e di intervento e in

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Sotto secoli di polvere sulle orme dei Beati Paoli

funzione delle diverse tipologie di opere, sotto la guidadei docenti Antonio Barbera e Salvatore Palmeri. Pro-pedeutica e necessaria è stata la completa ricognizionedello stato conservativo degli arredi lignei, del Croci-fisso ligneo, del Tabernacolo ligneo e delle decorazionimurali eseguite su tela, risalenti alla seconda metà delXVIII secolo, gli affreschi dei muri e quelli della voltaattribuita a Filippo Randazzo (1742).Data l’ampiezza del locale e degli spazi pittorici, laquantità dei manufatti e il loro stato assai precario diconservazione, che da una superficiale indagine nonpresenta pulizie da almeno un secolo, in considera-zione dei ristretti tempi cronologici del cantiere, inquesta fase, gli insegnanti hanno ritenuto necessarioed urgente un intervento di carattere conservativo eperciò hanno mirato prevalentemente all’obiettivodella manutenzione ordinaria. Dopo una preliminareinventariazione di tutti gli elementi costitutivi del-l’ambiente si è eseguita un’accurata macro e microaspirazione dei depositi superficiali poco coerenti.Per quanto riguarda i manufatti in legno, fra gli altri

gli ampi armadi in noce intagliato dallo scultore Pie-tro Marino nel 1738 con statuette di santi e busti dipapi e vescovi, attraverso l’impiego di una specificastrumentazione scientifica, il DAS, dispositivo per ilmonitoraggio degli infestanti del legno, in dotazioneall’Istituto Statale d’Arte, è stato possibile individuarealcuni focolai di insetti xilofagi, le centinaia di speciedi volgari tarme. È stata di conseguenza predispostoun immediato trattamento antitarlo. Tutte le fasi dell’attività sono state corredate e com-pletate da un’ampia documentazione, che nella partegrafica è stata eseguita attraverso il rilievo delle operee la mappatura dello stato conservativo. Sussidio in-dispensabile è stata la ripresa fotografica, eseguita inmacro foto, sia a luce radente sia a luce ultravioletta,attraverso le quali si sono resi evidenti diversi e gravifattori di degrado presenti nell’habitat.In questa fase di ricognizione di estremo interesse èstato il rilevamento di un’antecedente pavimenta-zione in ceramica, che meriterebbe ulteriori accer-tamenti. È sicuro che un’analisi più approfonditadelle strutture architettoniche e del prezioso mate-riale pittorico potrebbe riservare altre sorprese inuna chiesa dell’antichissima e prestigiosa via delCassaro, secolare centro abitativo e propulsore dellafrenetica vita nobiliare palermitana.Una curiosità per incentivare la visita del sontuosomonumento. In questa sacrestia, sollevando il pianodi un sedile in legno, si apre una botola che condu-ceva, secondo Natoli, alla sala di riunione dei miste-riosi e terribili Beati Paoli.

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A partire da noi stessidi Attilio Carioti

Sul numero del mese di giugno 2011 di LION,Il mensile dei Lions italiani, è stato pubblicato

l’articolo di Pietro Manzella Perché continuaread essere Lions oggi? già pubbli-cato su Vesprino il 29 gennaio2011e leggibile, oltre che sul bolg,nel n.14 di Vesprino Magazine. Inquesti giorni di riposo, che prece-dono la ripresa delle attività,anche di quelle lionistiche, si fannoprogrammi e progetti, e ci si inter-roga sui propri obiettivi e sugliscopi della propria attività. Per iLions naturalmente ci si interrogae si fa un bilancio dell’essere lions.Allora mi sembra utile riproporreai Lettori la riflessione dell’amicoPietro che dopo un’attenta disa-mina della condizione di lions

oggi, spesso non immune da crisi, invita a trovare“la scala per la risalita”, che “alberga sempredentro ciascuno di noi”, e che consiste nell’

”operare” concretamente conumiltà ed amicizia nel proprioclub. Un valido strumento ed unaguida al proprio operato si tro-vano naturalmente nei Principidel lionismo, nel Codice dell’eticalionistica e nella nostra Costitu-zione, di questi testi bisogna “ri-prendere una rilettura attenta”.A questo punto sarebbe auspica-bile un confronto d’idee, una di-scussione sui problemi ancora nonrisolti, su queste pagine di Ve-sprino. Perciò rivolgo un calorosoinvito ai Soci Lions ed agli AmiciLettori ad inviare le loro opinioni.

Aleksandr Isaevič Solženicyndi Gabriella Maggio

Il 3 agosto 2008 Aleksandr Isaevič Solženicyn morivanella sua casa di Mosca. Non so quanti oggi in Italia

si ricordano di questo scrittore coraggioso che ha fattoconoscere al mondo i gulag sovietici, cioè i campi di la-voro forzato dove venivano deportati i dissidenti e doveè stato rinchiuso per oltre dieci anni. Il suo primo ro-manzo - Una giornata di Ivan Denisovič-, pubblicatonel 1962 nel periodo di Kruscěv, narra la giornata tipodel deportato politico Ivan Denisovič, offrendo un’im-magine cruda dei campi di lavoro forzato in Siberia. Ilcampo è un assurdo meccanismo che scatta per causeanche di scarsa importanza, come è accaduto allo scrit-tore che per un’allusione a Stalin nella lettera ad unamico fu arrestato e condannato a otto anni di carcere,prolungati poi di altri tre anni. Il campo sconvolge lavita dell’uomo ed ha come fine lo sfruttamento impla-cabile del lavoro dei prigionieri fino al loro sfinimentofisico e mentale. Unica salvezza è trovare in se stessi laforza e la risolutezza di fermarsi prima di perdersi nel-l’abisso dell’oblio di sé. Uscito dal gulag Solženicyn co-mincia a raccontare queste sue esperienze in tutte lesue opere a cominciare da Una giornata di Ivan Deni-

sovič. Dal 1964, fine del governodi Kruscěv, non riesce a pubbli-care nient’altro in Russia e nep-pure gli viene concesso nel 1970di ritirare il premio Nobel per laletteratura : "Per la forza etica conla quale ha seguito le tradizioniindispensabili della letteraturarussa". Progressivamente si allon-tana dal marxismo e si avvicinaalla religione. Nel 1974 viene espulso dall’U.RS.S. e sitrasferisce negli U.S.A. dove diventa un’icona del dis-senso, ma vi si sente un estraneo. Finalmente dopo ven-t’anni può ritornare in Russia in seguito al crollo delregime sovietico. Solženicyn è quello che si può defi-nire uno scrittore impegnato come si diceva negli annicinquanta e sessanta nella denuncia degli abusi, dellamancanza di libertà dei governi. Già negli anni settantaperò questo ruolo intellettuale comincia a tramontarenella cultura italiana ed è forse questo che ha determi-nato il limitato successo dello scrittore russo, dopo glientusiasmi iniziali.

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Una recente notizia di cronaca relativaalla composizione della giunta comunaledi Roma mi costringe a mettere giùqualche osservazione necessaria a chia-

rire innanzitutto a me stessa un dubbio che da qual-che giorno mi tormenta: ma chi ha ideato, hasostenuto e continua a dar credito a ciò che si defi-nisce con l’orrenda perifrasi linguistica di “quoterosa”, identificando con questa espressione un in-tervento che tuteli l’uguaglianza dei diritti del citta-dino riguardo alla differenza di genere? Come se taleuguaglianza non fosse già autorevolmente sancita,insieme ad altre di cuispesso ci si dimentica, daiPrincipi fondamentalidella nostra Costituzione.Tralasciando la cattiva, in-veterata abitudine di asso-ciare alle donne un colore,il rosa, non sempre a lorogradito e da qualchetempo, nella nostra città,prediletto, forse per motividi appartenenza calcistica,anche da molti rappresen-tanti del sesso maschile, mifa specie vedere assimilarele donne a una sorta di ca-tegoria a parte, deposita-ria di particolareattenzione da parte dellaNazione, quasi a risarci-mento di una ingiustiziasociale perpetrata da secoli. Una categoria protetta,destinataria di una quota, assegnata per legge, di pre-cedenza e di “riserva”, a fronte di una situazione ini-ziale di svantaggio ( stavo per dire invalidità). Tutto ciò è per me fortemente offensivo e parados-salmente gravemente ingiusto.È offensivo privilegiare per un posto di responsabi-lità una donna in quanto donna e non valutarla perquelle capacità che in ugual misura vengono richie-ste a qualunque altro concorrente, senza mortificantisconti legati al genere. Ma è ugualmente mortifi-cante attribuire ancora solo alla donna certe com-

petenze, legate alla organizzazione e gestione dellafamiglia che di fatto la discriminerebbero e la met-terebbero in una situazione di svantaggio nella car-riera lavorativa. Se pur questo è vero, non sarebbe più equo ed im-parziale curare maggiormente i problemi della fa-miglia, l’assistenza ai figli, specie nella primainfanzia, come onere da dividere in coppia, piutto-sto che regalare alla donna una “quota rosa” per ri-compensarla dell’abbandono in cui è stata lasciatanella conduzione familiare e nella cura dei figli? È pur vero che le recenti norme sul diritto di fami-

glia tendono a coinvol-gere entrambi i coniugi,ma di fatto le più pesantiincombenze familiaricontinuano a pesare sulladonna. Ancora più incomprensi-bili sono poi i commentiche ho sentito esprimereda più parti al provvedi-mento in questione. Chiconcorda lo fa per innome di una illuminata, asuo avviso, (o forse sologalante) considerazionedell’universo femminile,chi è contrario, e moltesono donne, ritengono lacategoria “donna” pocoadatta a posti di comandoe di alta professionalità. È

scoraggiante come, nel Terzo Millennio dell’uma-nità, non siano ancora caduti i forti pregiudizi chepesano su una parte consistente e rappresentativa diessa, che pure ha dato ampie dimostrazioni di sé almondo che sembra ancora oggi non ricordarsene. È il paradosso italiano della par condicio, del-l’uguaglianza fittizia professata a gran voce che sot-tende discriminazioni di fatto profondamenteradicate nella nostra cultura, come quella di chi, nel2011, si prende la briga di proteggere una inesistentecategoria umana identificata dal suggestivo e misti-ficatorio colore della rosa.

A proposito di donnedi Renata De Simone

Frida Kahlo - Autoritratto

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Società

Europa. Quale?di Natale Caronia

Nel corso degli avvenimenti umani accadetalora che circostanze, avvenimenti e fattisi concatenino in maniera tale da condi-zionare la storia. Così nell’Europa del se-

condo dopoguerra, dilaniata da recenti lottefratricide, statisti del calibro di Adenauer, DeGasperie Schumann, rappresentarono la luce di speranza peril futuro del vecchio continente, superando le lacera-zioni dell’ultimo conflitto. La CECA (Comunità Eco-nomica per il Carbone e per l’Acciaio, 1951) mettevain comune la produzione di carbone ed acciaio traBelgio, Francia, Germania Occidentale, Italia, Lus-

semburgo, e l’EURATOM (Organizzazione europeaper l’energia nucleare, sino al 1960), furono gli orga-nismi comunitari nati dai primi sforzi di aggrega-zione, anche su sollecitazione statunitense in regime dipiena guerra fredda: la Germania era divisa in due,Vienna occupata da truppe sovietiche sino al 1955, leRepubbliche baltiche sotto il tallone sovietico.CECA ed EURATOM furono precursori del Trat-tato di Roma del 1957, fondatore della C.E.E.Era la prima volta nella storia che il collante comunecontinentale non veniva dalle armi, come al tempodei romani o di Napoleone, ma dalla cognizione co-

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mune europea di rappresentare la più alta concen-trazione di cultura occidentale con potenzialità ag-gregative.Differente tuttavia l’interpretazione che veniva dataa tale embrionaria aggregazione: dall’Europa dellePatrie di Charles DeGaulle, allo scettico distacco ditipo insulare dell’Inghilterra, alla Germania divisain due, col prioritario problema della sua riunifica-zione.E’ prevalso il lato economico, che ha condizionato larealizzazione dell’Unione Europea, i cui Soci si sonoimpegnati a soggiacere a rigide regole di bilancio evalutarie, sotto la spinta principale della Germania,che non ha mai dimenticato la lezione della Repub-blica di Weimar, quando erano necessari miliardi dimarchi per comprare un chilo di pane.Indubbiamente è stato un bene limitare il facile ri-corso alla svalutazione, su cui l’Italia si adagiava perfavorire le esportazioni, facendo pagare un pesantecontributo a pensionati ed al reddito fisso. Le rigideregole valide per tutti gli stati aderenti hanno avutola funzione di predisporre piani di sviluppo plurien-nali armonizzati, cosa in cui l’Italia non ha certa-mente brillato e che le ha permesso di utilizzare, perla sua lentezza burocratica, mediamente soltanto il15% dei fondi europei messi a sua disposizione.L’Unione Europea non è una federazione di stati néun organizzazione cooperativa, ma un insieme distati che unisce la propria individualità e sovranitàper una migliore forza nel contesto mondiale, dele-gando alle Istituzioni comuni il proprio potere indi-viduale.In atto la U.E. si regge sulla cooperazione econo-mica di 27 paesi, con mercato unico, moneta unica(in atto non per tutti e 27) e libera circolazione dipersone e merci. La sua opera si estende dagli aiutiallo sviluppo alle politiche ambientali, promuove idiritti umani, la democrazia. Politicamente, il Parlamento europeo ha poteri nor-mativi, di controllo delle istituzioni comunitarie, di-scute ed adotta il bilancio, ma non ha poterivincolanti sui singoli stati, bensì realizza direttivecomunitarie, cui seguono sanzioni economiche (ri-duzione dei contributi europei) in caso di mancataapplicazione.

Lo stesso vale per la carente armonizzazione dellapolitica estera, per le diverse prese di posizione a se-conda delle convenienze degli stati. Si diceva della Germania di Erhard (1963/1965)che era gigante economico ma nano politico.L’impostazione prevalentemente economica dei rap-porti tra gli stati dell’U.E. e la contemporanea aper-tura dei mercati senza dazi doganali, ha sollecitato lalibera concorrenza. La recente globalizzazione deimercati ha allargato a livello planetario la concor-renza produttivo-commerciale, favorendo quei paesiche non hanno sistemi di sicurezza sociale e bassicosti, sì da produrre con prezzi bassissimi, spiaz-zando le fabbriche similari degli altri paesi. Gene-ralmente, se ciò aumenta per la gente l’ accesso abeni di consumo per i prezzi più bassi, specie in pe-riodo di assenza di miglioramenti salariali della po-polazione, dall’altro si riducono i posti di lavoro perle fabbriche di prodotti a tecnologia medio-bassa,costrette a diversificare o a dislocare in paesi cheproducono a costi più bassi (delocalizzazione delleaziende).Il liberismo selvaggio, che ha creato le recenti bollespeculative e la conseguente recessione che ancora ilmondo sta pagando, rivela come la politica econo-mica non possa prescindere dall’etica, ed ha evi-denziato la necessità del rispetto di regole chedevono temperare gli eccessi della finanza finaliz-zata a se stessa, avulsa dalla produzione e dalla mo-rale.Ritornando alla domanda iniziale, quale Europa?,cosa conviene ai cittadini europei? Vivere in un con-tinente delle Patrie, ovvero pensare ad una UnioneEuropea Federata di tipo statunitense, che limiti,omogeneizzandoli, i poteri degli stati singoli, ma chene aumenti forza e prestigio internazionale?Il nostro Paese riceverebbe benefici da un sistema aconduzione sopranazionale? I politici europei, cuispettano le decisioni in proposito, sono disponibili adelegare parte del loro potere?Questi sono i quesiti a cui prima o dopo si dovràdare risposta ed in tempi non eccessivamente lun-ghi, perchè il mondo corre ed è in ebollizione.Ma pare che quanti sono delegati a provvedere sianoin altre faccende affaccendati.

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Società

Ricordo di un incontro con Alvaro Sizadi Attilio Carioti

Un articolo apparso su “ La Repubblica”del 16 luglio dal titolo UN ARCHI-STAR IN SICILIA parlava dell’archi-tetto Alvaro Siza, ” tornato a Enna per

tenere una lectio magistralis presso l’universitàKore, in un’aula magna gremita da una folla ado-rante di studenti che ha accolto con una autenticaovazione il celebre architetto”. La lettura di quel-l’articolo mi ha fatto ripercorrere come in un ve-loce film quella indimenticabile giornata in cuiconobbi Alvaro Siza Vieria a Lisbona alla fine dinovembre del 1998 quando, nell’ambito dei rap-porti intrattenuti dal Settore Centro Storico delComune di Palermo con altre istituzioni italiane edinternazionali operanti nel campo del restauro,una rappresentanza di ingegneri ed architetti diquell’ufficio, che dirigevo, ci recammo, in Porto-gallo, ospiti delle università di Lisbona e di Oporto,per uno scambio di esperienze. C’incontrammo nelsuo studio al Chado, quartiere di Lisbona, di cuiaveva progettato la ricostruzione, dopo l’incendiodel 1988, mantenendo inalterato, nella ricostru-zione degli isolati, lo stile storico del quartiere. In-dossava una giacca di velluto a coste con le taschedeformate da un uso non accorto, come fanno lepersone che usano le tasche della giacca per infi-

larvi ciò che non possono tenere sempre in mano.Discutemmo di restauro dei centri storici, e so-prattutto di Palermo di cui diceva di avere un ri-cordo indelebile per la sua stratificazione storicache la caratterizza tra le numerosissime città cheha visitato . Questa opinione ribadisce anche nel-l’intervista rilasciata a La Repubblica :”Palermo èstata una esperienza unica , una continua emo-zione visiva, un continuo affastellarsi dei segni dellastoria….” Il suo naturale riserbo che qualcuno atorto scambia per ritrosia svanì quando, accom-pagnandoci per le vie del Chado, si infervorò par-landoci in perfetto italiano di linee minimali e dirazionalità dell’architettura. Rifiutava la defini-zione di architetto razionalista che sovente gli siattribuisce, perché la considerava riduttiva per ilfatto che nel progetto di una nuova opera non vamai perso di vista il contesto in cui l’opera stessaviene inserita ed armonizzata . E con voce calmae suadente già estraeva da una delle tasche dellagiacca, un voluminoso taccuino e dal taschino unamatita per tracciare con veloci linee essenziali,degli schizzi che fissavano con semplici esempi iconcetti che esprimeva. Non mi meraviglio, perciò,anche a distanza di anni da quell’incontro, se oltrePalermo nel 1985, altre università come Valencia,

Losanna, Lima, Santander,Coimbra gli abbiano con-ferito la laurea ad honoreme se numerosi e prestigiosiriconoscimenti gli sianostati tributati quali il pre-mio Mies Van Der Rohe, lamedaglia d’oro della Fon-dazione Alvar Aalto, il pre-mio Pritziker Prize etc. e seancora al’eta di 78 annicontinua ad insegnare ed atenere seminari in ogniparte del mondo. Egli di-mostra di essere uno deipiù importanti maestri del-l’architettura del ‘900.

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Letteratura

Nato a Oak Park, nei pressi di Chicago, nel-l’Illinois, il 21 Luglio del 1899, muore il 2luglio 1961 nella sua casa di Ketchum,nell’Idaho per un colpo partito acciden-

talmente mentre puliva un fucile da caccia, comedisse la moglie Mary alla stampa. Era una bugia. Al-colizzato e depresso si era suicidato a 62 anni. Vinci-tore del Premio Pulitzer nel 1953 per IL VECCHIOE IL MARE insignito del Premio Nobel per la let-teratura nel 1954, ha rivoluzionato la prosa ameri-cana, come dice Derek Walcott, con la sua scritturaessenziale e semplice, concentrata sui nomi e nonsugli aggettivi. Hemingway ha riempito i pomeriggidelle estati calde e noiose della mia adolescenzaschiva. Sdraiata a letto leggevo per ore intere romanzie racconti in edizioni economiche che ancora con-servo, sebbene disfatte e tenute insieme da un elastico.Erano gli Oscar Mondadori dal costo contenuto di £350 a volume, acquistabili anche nelle edicole. Nonerano cuciti, ma a queste raffinatezze sono arrivatapiù tardi. Allora non me ne curavo, volevo il libro ebasta. Avevo fame di vita, diversa da quella quoti-diana, e la trovavo tra le pagine di Hemingway. Cosìho conosciuto la corrida spagnola, Parigi, l’Africa, ifiumi dove si pescano i salmoni, l’inquietudine e lacontinua ricerca di qualcos’altro.

ERNEST HEMINGWAYdi Gabriella Maggio

Non mandare mai a chiedere

Per chi suona la campana.

Essa suona per te ( John Donne)

Letteratura

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Salotto di Gabrielladedicato a Rosa Balistreri

di Carmelo Fucarino

L’ultimo appuntamento pre-estivo del sa-lotto letterario di Gabriella Maggio, or-ganizzato dalla dinamica Maria DiFrancesco, presidente dell’Associazione

Volo, il 30 giugno 2011 ha trovato la sua locationin un luogo della memoria, quella biblioteca co-munale che ci ha visto alla scoperta dei suoi tesorinegli anni gioiosi. Quella sala di lettura in penom-bra, quel silenzio che odorava di carta antica, di-versa dall’ariosità della sala dell’altro sito gesuitico,la Biblioteca, allora Nazionale, del Collegio gesui-tico. Al centro di questo arioso colonnato GabriellaMaggio ha introdotto il genere particolare dellapoesia popolare e la specificità della canzone folk inlingua siciliana, certamente, come ha fatto osser-vare, sacrificata dall’invadenza e dalla preponde-rante fama universale della canzone napoletana,che tra l’altro non è sentita come folklore, ma èvera e propria creazione di cantautori come quellain lingua italiana. Nell’abituale dialogo con l’au-tore del volume Rusidda… a licatisi, Nicolò LaPerna, Gabriella ha analizzato la struttura del-l’opera, articolata in diverse sezioni, temi e aspettidella ricerca dell’autore. Questi, a partire dalla bio-grafia che ha completato con nuovi apporti rispettoa quella tradizionale, scarna e ormai introvabile,ha fornito altra documentazione con testimonianzedi amici e conoscenti della cantautrice. Il libro ècompletato dalle esperienze teatrali e musicali,l’ascesa nazionale con Ci ragiono e canto di DarioFo, il cimento con la Ballata del sale, fino alla Lupa,alla Lunga notte di Medea e alle Eumenidi, è ar-ricchito dai testi e dalle partiture di tutte le can-zoni. L’intervento video di Ignazio Buttitta, letestimonianze di amici, la voce vibrante e accoratadella giovane Francesca Campisi hanno reso pia-

cevole la serata che Gabriella ha tenuto sempre adalto livello culturale.Se mi è permesso, un ricordo strettamente personale.Fu una serata indimenticabile, propiziata dall’amoreper le esperienze letterarie, non solo quelle nazionali,ma anche quelle tipicamente siciliane, del Centro diCultura Siciliana “G. Pitré”, la creatura di Dome-nico Bruno, presidente dal 1973, che amò e guidòcon infaticabile amore insieme a un gruppo attivo difondatori nel 1970, fra i quali mi onoro. Si vollecreare una serata dedicata, in un piccolo teatro, chericordo nella evanescenza della favola e del sogno,forse il Teatro Teatès del compianto Michele Per-riera. E si cominciò con l’arte della parola e del gestoepico, la voce e i movimenti scenici di Mimmo Cu-ticchio, i suoi splendenti paladini, il tradimento delperfido Gano e poi l’amuri di Angelica e i primi ti-midi sacrileghi trasbordi nei miti popolari. Poi si offrìnella sua semplicità, nel volto frastagliato di popo-lana la Rosa, in mezzo a noi, a toccare il suo vestitozingaresco, a percepire i sospiri, i rantoli, le effusionidel suo amore infinito che straripava (allora non eraimperante il letterario “esondare” di originali croni-sti TV) e ci sommergeva tutti, pochi intimi a goderedelle sue creazioni. Fra tutti ricordo quel celebre la-mento, così ricordato da Ignazio Buttitta (20 ottobre1984): “Io ho incontrato Rosa Balistreri a Firenze,circa 22 anni fa, in casa di un pittore mio amico.Quella sera Rosa cantò il lamento della morte di Tu-riddu Carnivali che è un mio poemetto. Quella seranon la dimenticherò mai. La voce di Rosa, il suocanto strozzato, drammatico, angosciato, pareva chevenissero dalla terra arsa della Sicilia. Ho avuto l’im-pressione di averla conosciuta sempre, di averla vistanascere e sentita per tutta la vita: bambina, scalza,povera, donna, madre, perché Rosa Balistreri è un

personaggio favoloso, direi un dramma, un romanzo,un film senza volto”. Tutti citano il rapporto conSciascia, ma la vera simbiosi psichica e sentimentalefu con Ignazio, un dialogo che era in sintonia con laloro anima popolana, lei spigolatrice di Licata, luicommerciante di Bagheria, alla scoperta della pro-fonda e vergine anima popolare. Era l’impegno ci-vile e politico che aveva dettato tanti canti, in registridiversi, dal dolore quotidiano della miseria al temadella condanna mafiosa. Solo per citare qualchecanto: Acidduzzu, La virrinedda, Mirrina, La pam-pina di l’alivu, Cu ti lu dissi, Venniri Santu, alla ce-lebre Mi votu e mi rivotu (cavallo di battaglia diMara Eli, stroncata in un incidente stradale), fino alforte j’ accuse di Mafia e parrini, oppure il terribileCarzari. La giovane Francesca si è cimentata nel-l’ironia smagliante di Me mughhieri unn’avi pila, chesi intriga con la novità della lavatrice. Poco hannoaggiunto gli altri interventi.Con diverso amore amai tra gli anni Sessanta eSettanta la voce calda e passionale di GabriellaFerri (la morte tragica nel 2004 per una caduta dalbalcone, l’improvviso ictus per Rosa), non certoquella di Dove sta Zazà, ma quella che si incana-gliva con la sua Roma popolare (vi ricordate La so-cietà dei magnaccioni del 1971?). Così Lemantellate ricordava Matri chi aviti li figghi a labadia, così tanto saettare di coltelli. Così altre rie-vocazioni malavitose si ripetevano nelle celebriCanzoni della mala di Ornella Vanoni, già nel

1957 con le solite Mantellate e Canto di carceraticalabresi, La Zolfara. Era tutto un fervere di espe-rienze popolari che davano vita ad un’Italia sotter-ranea che era ancora viva e sentita. Quella vitaeccezionale che aveva antiche radici, dal Porta delLament del Marchionn, delle Desgrazi de Giova-nin Bongee e della Ninetta del Verzee fino allaplebe gaglioffa del Belli, ma anche alla vita ecce-zionale degli Scapigliati.Oggi? Si corre il rischio, come giustamente am-moniva Gabriella, di fare archeologia del Fol-klore, di musealizzare questo immensopatrimonio di esperienze di vita. La ragione?Tutta la materia è passata in mano agli addetti ailavori, a quella scienza che purtroppo, nell’in-tento di salvare quella vita, la sta imbalsamandocome un imenottero, parlo, con molto rincresci-mento e sine ira et studio, del laboratorio paler-mitano di Cocchiara, gli studiosi di tradizionipopolari o antropologia culturale. L’amore toutcourt di Pitrè per la tradizione popolare trasfor-mato in scienza. Ma è soprattutto l’assenza digeni dell’affabulazione emotiva, di cantatricicome Rusidda che davano a quei canti di vita ilrespiro dell’anima, dalle semplici ninnananne, aicanti del lavoro (la trebbiatura o la pesca), alleproteste sociali, tutte le ricerche sul campo, cheformano già un’immensa biblioteca di sapere,sono destinate a restare relitti di un passato forseirrimediabilmente perduto.

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Letteratura

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Ad occidente del solee ad oriente della Luna:

la fiaba nordica di Amore e Psychedi Lavinia Scolari

Nelle Metamorfosi di Apuleio, autore la-tino del II sec. d. C., si incontra alla finedel IV libro un lungo racconto mitico-fa-volistico passato alla storia come “la fa-

vola di Amore e Psyche”, che assume in effetti laforma e il tono di quella che noi moderni definiamofiaba. Cìoè qualcosa, nel tema e nella struttura pri-mordiale di questa storia, che ha attraversato le bar-riere delle civiltà, un nucleo mitologico comune,forse, un’idea, un barlume di storia antica e mistica,che è proprio non solo del mondo greco-romano(semplicistica definizione per descrivere un com-plesso storico culturale sfaccettato, distinto e im-menso!). Infatti, a chi sfogli una raccolta di fiabenordiche, può capitare di imbattersi in un raccontodal titolo “Ad occidente del Sole e ad Oriente dellaLuna”, nelle cui righe è possibile riconoscere il temaportante, l’intreccio e i motivi della favola latina.La trama della fabula Amore e Psyche:La bellissima Psyche, ultima di tre figlie, causa l’in-vidia di Venere, che ingiunge al dio Amore di in-fondere in lei un sentimento per l’uomo più abiettodella terra, ma il dio, preso dalla bellezza della fan-ciulla, decide di portarla con sé nel suo palazzo.Ogni notte Psyche è visitata da Amore, e l’incante-simo del castello, dove la giovane è servita comeuna principessa, perdurerà finché ella manterràfede alla promessa e non vedrà il volto del miste-rioso padrone del palazzo. Ottenuto da Amore ilpermesso di ricevere le due sorelle, Psyche vienemal consigliata da queste ultime, invidiose della suafortuna. Le due infatti, la convincono che il suoamante sia un terribile mostro, e una sera, mentreil dio si è assopito, Psyche gli si avvicina per ucci-derlo con un pugnale, ma Amore le si rivela nel suofolgorante aspetto divino e Psyche, turbata, si feri-

sce con la punta di una delle sue frecce divine,ch’ella ha tratto dalla faretra. Subito la fanciulla siinnamora perdutamente del dio, ma questi, delusodal tradimento, fugge via e l’abbandona. Inizia cosìla ricerca di Psyche: in un poema carico di allego-rie e misticismo, la protagonista dovrà affrontaremille prove, perfino la discesa nell’Ade, per poterinfine ritrovare il suo amato, e ottenere da Giovel’immortalità per l’anima della bellissima Psyche.In “Ad occidente del sole e ad oriente della Luna“,però, Amore è sostituito dalla figura di un Orsobianco:Dopo essere arrivata a casa ed essersi coricata,tutto andò come al solito, e qualcuno venne a co-ricarsi accanto a lei. Ma a notte fonda, quandosentì che dormiva, si alzò, accese la candela e loilluminò, e allora vide che era il più bel principeche si potesse vedere, e fu subito presa da lui alpunto che le sembrò di non poter vivere se non loavesse subito baciato: e lo baciò, ma intanto fececadere sulla sua camicia tre gocce di sego bol-lente, e lui si svegliò. “Ah, cos’hai fatto adesso?”chiese lui. “Hai reso infelici entrambi. Se soloavessi resistito un anno sarei stato salvo: ho unamatrigna che mi ha fatto un incantesimo, cosìsono un orso bianco di giorno e uomo di notte.Ma ora è finita tra noi, devo lasciarti per andareda lei, abita in un castello che si trova a orientedel sole e a occidente della luna, e lì c’è anche unaprincipessa con un naso lungo tre braccia, e orame la devo sposare”. La ragazza pianse e si di-sperò ma non c’era niente da fare, lui doveva par-tire. Allora gli chiese se non potevaaccompagnarlo. No, non era possibile. “Se mi dicila strada verrò a cercarti: questo almeno possofarlo?” disse lei. Si, questo poteva farlo, ma non

c’era nessuna strada, era a oriente del sole e a oc-cidente della luna, e lei non ci sarebbe mai arri-vata. La mattina, quando si svegliò, il principe e ilcastello non c’erano più: era coricata su un pic-colo spiazzo verde in mezzo a un bosco scuro efitto, e accanto aveva lo stesso fagotto di stracciche aveva portato da casa.L’episodio della goccia di cera incandescente che

cade sul volto di Amore, svegliandolo, si riverberain questa scena della fiaba nordica (o è forse laprima che si riflette nel racconto latino?). Straor-dinarie e profonde le corrispondenze di un mitoche ha varcato le distanze e ha costruito, con formeappena differenti, una narrazione mossa dallastessa intuizione o, chissà, forse dalla stesso anticosegreto.

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Teatro

La fiaba di Turandotdi Carmelo Fucarino

Siamo al centro della polemica che opponeva la pro-fessione di democrazia e di illuminismo di PietroChiari e la ragionata riforma della commedia diCarlo Goldoni con il suo programmato realismo

contro l’altrettanto ostinata difesa della tradizione dell’an-tilluminista Carlo Gozzi. Perciò la sua fuga dalla realtà nelmondo della fantasia e del sogno, fino al livello dei raccontiper bambini, le sue Fiabe che vorrebbero con altro spiritorisuscitare pure esse la commedia dell’arte e il teatro dellemaschere. Perciò la leggerezza di L’amore delle tre mela-rance o Augellin Belverde, e il populismo consolatorio di Ipitocchi fortunati. Grande fortuna ebbe però il Re Cervo,ma soprattutto la Turandot (1762), apprezzata all’esteroda Goethe a Schiller, a madame de Staël fino a Wagner,ma snobbato in Italia. Si spiega l’amore per le sue fiabe daparte dei romantici, se in questa temperie sarebbero natele celebri Fiabe del focolare dei fratelli Grimm (1812-1822),un capolavoro di scavo nel folklore. A rendere celebre lasua opera fu un altro temperamento bizzarro e stravagante,che cercava situazioni strabilianti, seppure elegiache, tal-volta alla moda come la sorprendente La fanciulla del West(Metropolitan, 1910). Perciò si fece confezionare da G.Adami e R. Simoni il libretto dalla fiaba teatrale di Gozzi.Non ebbe la fortuna di vederla rappresentata, perché unmale inesorabile lo colse a Bruxelles il 1924. L’opera fu ri-presa da Franco Alfano che su suoi appunti la completòcon il duetto e la scena finale e la diede alla Scala il 25aprile1926, diretta da Toscanini. Giunto al terzo atto dopol’aria di Liù Tu che di gel sei cinta, alla battuta «Dormi,oblia, Liù, poesia!», il maestro depose la bacchetta e disse:«Qui il maestro è morto» e lasciò la sala. Fu l’aggravarsi delmale ad impedire il compimento dell’opera o l’incapacitàdi sciogliere quell’enigma d’amore e di morte? «Penso oraper ora – scriveva ad Adami - minuto per minuto a Tu-randot e tutta la mia musica scritta fino ad ora mi pare unaburletta e non mi piace più».La scelta della fiaba era sicuramente emblematica dellostato d’animo di Puccini. Il genere popolare e l’andamentopuerile rientravano in un bisogno di uscire dall’orrore delreale nel mondo del sogno. Il tema della fanciulla, algida ecinica, che spiega l’odio per l’uomo in genere con l’offesasubita dall’ava, «or son mill'anni e mille», «trascinata daun uomo come te, come te straniero», e l’indovinello pu-nitore riprendono temi della cultura classica, nonostantevogliano apparire di impianto favolistico popolare. Bastaper tutti il modello misogino mitico di Artemide caccia-trice e della sua ipostasi terrena di Ippolito, ma anchel’odio del re di Persia per le donne ritenute perfide, il loro

possesso e l’uccisione all’alba (Shahrazād sfugge con l’espe-diente delle novelle delle Mille e una notte). Ma la propo-sta più celebre è l’indovinello della Sfinge e l’incesto diEdipo (non poteva mancare l’indovinello che la Sfinge fa aHarry nel labirinto durante la terza prova in Harry Pottere il calice di fuoco, vol. IV, della Rowling, centone di tuttii miti ad uso di giochetti magici). Così la ripresa simbolicadel numero tre (I soluzione, il fantasma notturno o la Spe-ranza, II, la fiamma o il Sangue, III, il gelo che brucia o lastessa Turandot), lo spergiuro contro la sua profanazionesacra, gli adescamenti dei gioielli, l’inutile sacrificio di Liù,la riproposta, ancora in termini erotici, del quarto indovi-nello di Calaf o il Mistero fino al disvelamento del suonome e all’ipostasi, « Il suo nome è… Amor!».In effetti la favola era quanto mai di distante potesse es-serci dalla sensibilità, in certo qual modo verista, di Puc-cini. Perciò i personaggi sono plasmati e risolti nella piùschietta e complessa umanità, il principe ignoto Calaf -

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Walter Fraccaro (la languida Non piangere, Liù e l’arcanoNessun dorma) e l’applaudita Liù - Rachele Stanisci (Si-gnore, ascolta, Tanto amore, segreto e inconfessato e Tuche di gel sei cinta), ma anche la Turandot - Giovanna Ca-solla (aria In questa reggia), una specialista del ruolo. Ri-torna a Palermo dopo la sua recita nel 2006, in secondoruolo (primo Giorgina Lucakcs), una prima tormentata perle proteste, nell’allestimento del Maggio Musicale Fioren-tino del 1997, con un organico di cento artisti, sontuosamessa in scena di Zhang Yimou (Lanterne rosse), Coro divoci bianche e corpo di Ballo del Massimo assieme allaJilin City Song e Dance Ensemble, scene, costumi e co-reografia cinesi, Calaf il coreano Francesco Hong, sulpodio a dirigere i 90 orchestrali e una banda Nello Santi.Erano venute l’edizione del 1998 nella Città Proibita diZhang Yimou con direzione di Zubin Metha e l’altra del2008 sempre a Pechino per l’inaugurazione del Teatro Li-rico (finale scritto dal cinese Hao Weya). Oggi, come primasoprano, ha affrontato con scioltezza le forti difficoltà tec-niche vocali che si sviluppano in un ampio registro, dal-l’estremo acuto al bassissimo. In certi momentil’amplificazione ha falsato la provenienza delle voci con ef-fetti stranianti. Più chiari i corali, quello iniziale del popoloe dei servi del boia Gira la cote! o l’Invocazione alla luna.La ricerca del folklore che era già nel West ricreato qui simanifesta nel coro di ragazzini Là sui monti dell'est, me-lodia tratta dalla canzone folk cinese Mo Li Hua, ma anchein tanti effetti che dal XVII secolo diedero il nome Chi-noiserie ad una fase dell’arte europea, come della lettera-tura, il gusto per l’oriente (1820, il Divano occidentaleorientale di Goethe, o il Divan del Tamarìt di Lorca nel

1936). Si pensi agli svaghi del nostro Borbone Ferdinandoa preparare ricottine nell’oleografica Casina alla Cineserealizzatagli dal Marvuglia nel 1799. Da altra prospettivaeffetti comici di un certo teatro buffo e di molta musicapucciniana sono evidenti nel terzetto delle maschere, OlàPang! Olà Pong! In linea con il progetto del direttore Cognata per questastagione si è trattato ancora di un nuovo allestimento. Hatrovato una cornice privilegiata nel parco del Teatro dellaVerdura (ultima edizione estiva 1986), realizzata con unascenografia sontuosa ed abbagliante e con costumi ripresidalla tradizione in un alternarsi nelle grandi masse coralie di comparse del bianco e del rosso.Dovuto il ricordo di Roland Petit, uscito il 10 giugno ad87 anni a passo di danza dal palcoscenico, dove lo piangela sua Zizi da sessanta anni compagna di vita e di balletti.A noi rimangono la sua levità di farfalla, le rivoluzionarieed indimenticabili performance coreografiche, ultimo ri-cordo la sua Coppélia ripresa nella scorsa stagione, ilmarzo 2010, con Eleonora Abbagnato e Luigi Bonino.Così ricordo con stupore per la naturalezza e la sponta-neità dei movimenti, allora al Politeama, il suo balletto Labella addormentata nel 1990, Il Gattopardo il 1995, as-sieme ad una sua Carmen.

Edizione 1972 Joan Sutherland, Monserrat Caballé, Luciano Pavarotti,Nicolaj Ghiaurov1982 Katia Ricciarelli, Placido Domingo, Ruggero Raimondi, Herbertvon Karajan.Foto per gentile concessione dell’Ufficio Stampa del Teatro Massimo diPalermo.

Libri

La rivincita della linguadi Gabriella Maggio

FINESTRA SUL MARE di Pietro Manzella da Acetilene, Pungitopo 2010

Il cielo si irradia e si oscuracome finestra sul mare

I tuoi occhi sotto palpebre silenziosebattonoe aprono il dizionariodell’anima

Pulsazionidelicatescandisconoil tempo di lettura.

Ogni poesia è un tentativo di mettere ordine nelmondo attraverso le parole, così come queste sonoordinate nell’immaginario dizionario di Pietro Man-zella. La donna, elemento centrale come indica lasua collocazione nella strofa di mezzo, con gli occhientra nell’anima per leggerla. L‘amore è delicatepulsazioni . Il senso del testo sembra rasserenante sesi trascura la rima, sia pure lontana, oscura - lettura,che apre una parentesi d’ombra che unisce il cieloche si oscura col dizionario dell’anima anch’essaoscura. Il mare che resta confinato solo nella simili-tudine della prima strofa e nel titolo della poesia, co-stituisce l’elemento paesaggistico, che allude alsentimento del poeta come nell’aiku giapponese, esembra suggerire la situazione d’inizio della poesiagrazie anche ad una lontana assonanza che legamare e delicate. L’unico termine che non trova le-gami immediati ed evidenti è il cielo che si irradiama anche si oscura e solo nell’azione di oscurarsi èrimesso in gioco alla fine del testo. Complesso e nondecidibile appare il mondo sentimentale del poeta.

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La forza della poesiadi Gabriella Maggio

La poesia è una forma d’arte coraggiosa perché non ci comunicain maniera immediata il suo significato, legato al nostro essereuomini, ma ci spinge a cercarlo, soprattutto oggi che i punti fermidell’esistenza sono sempre più personali, infatti all’etica si è so-stituita l’estetica, cioè il “ mi piace “. Sempre i poeti hanno par-lato dell’uomo all’uomo. Ebbene colui che oggi scrive poesievuole ricordare a sé stesso ed ai suoi lettori che è un uomo, vuolerivelare la propria umanità, che è capacità di provare sentimenti.Perciò la poesia procede dall’interno verso l’esterno. Da più partisi dice che oggi la poesia è in declino,questo mi sembra un modo semplici-stico per sfuggirla e non affrontare ilproblema che la poesia costantementeci pone davanti , col suo interrogarci.Perciò l’ultima raccolta poetica di Car-melo Fucarino “ Percorsi di labi-rinto”, che viene presentata a Prizzimette a prova la nostra capacità diprovare sentimenti , ci pone davanti aduno specchio per interrogarci. Laraccolta contiene versi, composti tra

il 1982 ed il 2010, alternati a prose proprie o di altri autori: Pla-tone e Borges. Il poeta usa diversi linguaggi: l’italiano, lo spa-gnolo, il francese, il disegno e la fotografia, facendoli dialogarel’un l’altro. Tra i temi emerge quello della natura dell’infanzia aPrizzi come in

LA NUCA NEL PALMO DELLA MANO

Ed insieme la brama O notti di abbandono

di tornare a contare le stelle di spossanti delizie,

nelle notti serene, al centro del mondo,

sdraiato nel campo di grano l’anima immersa

ove il grillo ritma nel profumo di grano.

la sua impazienza. ( 4 giugno 1991)

Sentire il fruscio del tempo

nella stella che svirgola lampi

nell’estremo sussulto,

nel latrare del cane,

ombra che si leva sul pozzo,

echeggiare d’oscuri richiami.

Libri

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Da “La città tutta per lui”di I. Calvino in Marcovaldo -Einaudi

Lettura ferragostana a cura di G. Maggio

..E così a furia di riempire treni e ingorgare auto-strade, al 15 del mese (di agosto) se ne erano andatiproprio tutti. Tranne uno. Marcovaldo era l’unicoabitante a non lasciare la città. Uscì a camminareper il centro, la mattina. S’aprivano larghe e inter-minabili le vie, vuote di macchine e deserte… Pertutto l’anno Marcovaldo aveva sognato di poterusare le strade come strade, cioè camminandoci inmezzo: ora poteva farlo… Così dimenticando la fun-zione dei marciapiedi e delle strisce bianche, Mar-covaldo percorreva le vie con zig-zag da farfalla…La macchina con un gran gnaulio frenò… I giova-notti erano armati di strani arnesi. - Finalmente l’ab-biamo trovato!... l’unico abitante rimasto in città ilgiorno di ferragosto. Mi scusi, signore, vuol dire lesue impressioni ai telespettatori? … Insomma gli fe-cero l’intervista… Tutta la piazza era sottosopra… -Eccola , è arrivata -… da una fuoriserie scoperta,scese una stella del cinema. - Sotto, ragazzi, pos-siamo cominciare la ripresa della fontana! Il regi-sta del “teleservizio” Follie di Ferragosto cominciò a

dar ordini per riprendere il tuffo della famosa divanella principale fontana cittadina. Al manovale Mar-covaldo avevano dato di spostare per la piazza unpadellone di riflettore dal pesante piedistallo… Agliocchi di Marcovaldo, accecato e stordito, la città ditutti i giorni aveva ripreso il posto di quella intravi-sta solo per un momento…

Con l’occhio dei bambinidi Gabriella Maggio

Il disegno esprime un desiderio. Forse in concomitanzadi una stella cadente perché siamo ad agosto. Tra duepalazzoni s’intravede il cielo stellato, illuminato da treriflettori posti sul tetto di un teatro dove si rappresentala “Mitica Aida”. Voglia di conoscenza senza dubbio,ma forse di rinascita , di miglioramento. Per i Paler-mitani Aida è veramente mitica perché ha segnatol’apertura del Teatro Massimo nel 1897 e la sua ria-pertura con la stessa opera lirica nel 1997, dopo unachiusura lunga ventitré anni . Il piccolo artista ne avràsentito parlare….Ancora una volta i bambini rappre-sentano con semplicità quello che i grandi pensano,ma non riescono ancora a realizzare: una nuova rina-scita della città, una riappropriazione del territorio ur-

bano espropriato dalla sporcizia, dall’invadenza di marciapiedi e carreggiate da locali più o meno regolari, dallaviolenza verbale e non solo di concittadini esasperati e resi violenti dall’incultura nella quale sono immersi. An-cora una volta, anche nei giorni della canicola, ripeto che la bruttezza genera bruttezza e la bellezza genera bel-lezza. Impegniamoci a scegliere la bellezza, vivremo meglio.

Scrittura

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La scrittura come ancora di salvezza

di Patrizia Lipani

Il bisogno di raccontarenasce con l’uomo,dalla necessità chequesti manifesta di far

emergere la sua vera es-senza, di tirar fuori il vis-suto, che si presenta talvoltacome la brutta bestia chegiace nascosta nel mondointeriore, di trasmettere adaltri le proprie esperienze ,le emozioni, le sensazioni.Tutto questo perché ci sivuole esprimere, conoscere,o liberarsi semplicemente dal peso del passato chespesso inconsapevolmente, condiziona le azioni delnostro presente. Raccontare diventa spesso confes-sione, nel momento in cui il vissuto, sonnolente neimeandri della nostra memoria, si ridesta e spesso citerrorizza perché proietta a distanza di tempo im-magini più o meno distorte. In questi casi raccon-tare in forma scritta diventa quasi terapeutico, e nonabbiamo bisogno di scomodare i grandi letterati delpassato per trovare conferma di tutto ciò. Quindil’approccio alla scrittura non è casuale nasce da untravaglio interiore e raccontare diventa un’ancora disalvezza, un salvagente in questo mare di inquietu-dine che è la nostra esistenza,un conforto necessa-rio ,un bisogno quasi fisiologico per chi vive nellatempesta quotidiana, nel buio , ma anche una con-divisione per chi nella tranquillità dell’esistenza amacondividere con altri le note di colore della vita. Mala strada da percorrere non risulta aperta a tuttiperché la capacità del narrare, l’arte della parola, odella creatività, del mettere nero su bianco,è un pri-vilegio. Istintivamente le sensazioni ed le emozioni ciispirano,un semplice fatto di cronaca ci induce aduna riflessione,o semplicemente il vissuto perso-nale,eventi semplici e ordinari,non è solo l’originalitào la complessità del racconto ad affascinare ma ilmodo in cui viene articolato ed espresso. Come dire,si possiedono i colori, la tavolozza ma non si sa trac-ciare il disegno con il pennello. Subentra così il

“blocco della paginabianca”. La capacità di concepirediscorsi coerenti, corretti,creativi,abituarsi a pensaree a portare avanti le coor-dinate logiche del pensiero,è possibile impararle conun esercizio continuo, conun allenamento deciso.Non è un caso che ,proprionell’era delle immagini,cisia un revival della scrit-tura, e che stiano nascendo

in Italia, e non solo in ambito scolastico, labora-tori per sperimentare approcci diversi alla scrit-tura stessa. Quando a scuola costringiamo i nostriragazzi a cimentarsi con scritture guidate, saggiobreve, analisi del testo,non facciamo altro che vei-colare il loro pensiero, reprimiamo la creati-vità,ostacoliamo la libera circolazione delle idee,e alla fine penalizziamo ciò che è stato prodottoperché il più delle volte non è consono alla tipo-logia richiesta. Si dovrebbe invece sensibilizzare igiovani alla scrittura libera,e non scoraggiarli,prendendo spunto da tutto ciò che ci circonda. Sa-perlo fare aiuta a superare i momenti critici, è unconforto, è un piacevole passatempo,è uno sfogo eper farlo , basterebbe conoscere gli ingredienti ne-cessari per la migliore riuscita dell’intento e quelliche risultano essere vincenti sono una buona dosedi curiosità,per esplorare il proprio mondo inte-riore e per spingersi poi verso l’esterno,verso glialtri, una buona dose di pazienza per impararel’uso di termini precisi,elaborare strategie peresplicitare pensieri ed impressioni in forma scritta,piccoli esercizi quotidiani, per far nascere inognuno di noi,piccoli e grandi, dietro l’immaginedello scrittore che riesce ad esprimere l’inesprimi-bile, la voglia di liberarsi dal macigno spesso in-contrastato del vivere quotidiano, il desiderio dicrescere, rappresentarsi,integrarsi,o semplice-mente di memoria.

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Incontri d’estate:raffronti di scrittura creativa

di Patrizia Lipani

Arinfrescare lamente dalla ca-lura estiva nonsono mancati

anche quest’anno a Cefalùmomenti di ristoro culturale.Presso la “Corte dellestelle”infatti giorno 17 ago-sto,come da palinsesto, si èsvolta una serata dal titolo“Librandosi a Cefalù”- In-contri d’estate, organizzatadal prof. G. Cristina, ,il cuiintento è stato quello didare visibilità a coloro che in vari campi dell’arteesprimono il meglio di sé. In particolare la serataha visto come protagonisti tre scrittori emergentiche hanno presentato al pubblico non solo il fruttodel loro estro creativo, tre romanzi, ma anche le in-numerevoli difficoltà che una pubblicazione com-porta, diffidenza in campo editoriale e alti costi ,per cui preferisce la forma on line chi manifesta l’esigenza di scrivere. Marco Bonafede, Annalisa Ma-niscalco, Emanuele Miceli sono i tre scrittori inter-venuti nella serata, originari della cittadinanormanna, con qualche esperienza di scrittura allespalle. Il primo è uno psichiatra che da sempre de-dito al fumetto si è dilettato nel disegno e nella sce-neggiatura pubblicando nella rivista Eureka.L’intento del suo romanzo è stato quello di far co-noscere la psicanalisi alla gente attraverso il fumetto.Ultimo romanzo “Scio” edito con il metodo “il miolibro .it” è attualmente visionabile sul sito dellostesso. Si tratta di un romanzo sulla televisione ita-liana che malgrado propini spettacoli orrendi , rie-sce ad ottenere ugualmente il massimo consenso. Ilsecondo romanzo presentato è quello di AnnalisaManiscalco “ le versioni della mezza noce” Perroneeditore. Il romanzo, ancora non visionabile sul car-taceo è nato da un progetto non realizzato di uncortometraggio ideato dalla Maniscalco che ha in-dotto l’editore a credere e a sovvenzionare il ro-manzo che da lì sarebbe nato. L’idea centrale è

quella dell’incrocio,punto incui convergono tre esi-stenze,tre vite. Tre perso-naggi, accomunati dallasolitudine , si incontrano suun vagone della metropoli-tana e sono gli unici che siaccorgono di una noce checade dalle mani di unquarto personaggio e inter-pretano in modo diversol’episodio. Ne vengono fuoritre storie diverse che potreb-bero essere lette come tre ro-

manzi diversi ma che prendono vita solo nel loroincontro. La scrittrice si reputa fortunata per avertrovato l’editore sulla base del cortometraggio. Il terzo romanzo ,che dei tre è l’unico disponibilenelle librerie della cittadina, ha per titolo “Vagan-tes”di Emanuele Miceli e fa riferimento al girova-gare all’interno della psiche per cercare risposte chefacciano luce sulle verità nascoste. L’autore sottoli-nea tra le pagine e lo ribadisce nella serata che gliuomini sono vagantes sempre alla ricerca di qual-cosa, ciò significa intraprendere un cammino manon per questo appare necessario trovare qualcosa.L’esperienza del protagonista del romanzo ,auto-biografica, nasce da un travaglio interiore che ha in-dotto come racconta l’autore stesso a compiere neglianni passati il lungo cammino di pellegrinaggio aSantiago di Compostela. Ma “Vagante”è nel ro-manzo il maestro di Samuel, il protagonista,ma è alcontempo la coscienza, è l’immagine sicura di ogniessere, e nel contempo sono le verità assolute chevengono pronunciate dal saggio. Samuel è un per-sonaggio che appare sicuro di sé, malgrado la ricercadelle verità lo faccia sembrare diversamente. Di Sa-muel viene evidenziata la sua fisicità,il suo corag-gio,la sua abilità nel campo delle arti marziali,esperienza che lo scrittore ha maturato negli anni eche rappresenta il vero leit motiv del romanzo.Arti marziali significano percorso di introspezione edisciplina. Il racconto si articola in una terra asso-

Scrittura

Titolo

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lata, la Sicilia, in una stagione calda, nel mese diAgosto. Samuel è una guida turistica che svolge nel-l’isola la sua attività lavorativa, fa da sfondo il suonodel mare e la voce dei gabbiani. L’azione si svolge inun paese di pescatori nel ridente golfo siciliano,contanto di rocca, cattedrale e torri, in una località il cuinome è volutamente omesso ma è palese che sitratti di Cefalù . Un angolo privato finirà per esserela foresta di bambù,luogo isolato dove Samuel trovaristoro materiale oltre che spirituale. Non manca nelracconto il contatto naturalistico,che ritroviamo nelriferimento al mare verde smeraldo e azzurro, fore-ste ,bosco folto circondato da monta-gne, insomma non vengonorisparmiate le descrizioni di una naturaincontaminata dalla quale Samuel ri-ceve il fascino mansueto che riesce atrasmettere mediante uno spontaneorispetto naturalistico a coloro che usu-fruiscono della sua guida. Tra la pre-senza dei due cani dell’amico Al e ilpiacere della cavalcata sulla giovane ca-valla saura Rugiada,Samuel prova unmelanconico richiamo per una vedova etriste donna , “una sagoma scura,unadonna bellissima” il cui lento incederee la fragranza del profumo conferisceun grande fascino . Amalia dopo l’in-contro diventa il chiodo fisso di Sa-muel, l’apparizione della donna sa dimisterioso, “avanza silente, impalpa-bile”,Da quando la donna entra nellasua vita gli incontri con il suo maestroda cui egli trae la grande esperienzavanno diradandosi , .”Il mio maestro miaveva insegnato ad attendere, racco-gliermi per scattare in un attimo”.Sa-muel trova la sua “pienezza” in lei e lasua condizione di escluso dal mondo , ilvivere e il nutrirsi della filosofia del mae-stro, dei momenti di contemplazione, dimeditazione,di ciò di cui la mente ne-cessita,sembra venir meno non appenal’amore tanto agognato fa capolino, macome tutte le belle storie però il finale

non sempre è a lieto fine. Samuel sa che di fronte altriste epilogo il maestro non l’ha abbandonato “leorme del maestro avanzavano parallele alle mie”,luisolo ne percepisce la presenza costante, “ solo un va-gante può scorgere un altro vagante” per questol’uno non ha perso di vista l’altro. La ricerca all’in-terno del proprio mondo di una verità diventa iltema costante dell’autore il quale , con un con il lin-guaggio chiaro e fluido della sua penna e con losguardo vigile e avvezzo all’osservazione, è riuscito a“fotografare” gli angoli nascosti di una natura in-contaminata.

Incontri d’estate: raffronti di scrittura creativa

Musica

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Già da qualche settimanail Chiostro del com-plesso monumentale diSant’Anna ospita l’ini-

ziativa “Palermo Classica”, I Festi-val Internazionale di arte e musicache sta portando in concerto l’operaintegrale delle musiche per piano-forte e orchestra composte da Mo-zart. Ad arricchire gli spettacoli,iniziati il 30 Luglio 2011 e destinatia continuare fino a Ottobre, si sonoavvicendati e continuano ad alter-narsi maestri provenienti da tutto il mondo, che sisoffermano in uno scenario antico ed elegante. Il cortile del complesso, che è anche la sede dellaGalleria di Arte Moderna, è stato adibito a teatroper l’occasione, con sedie disposte sulla erba e suiviottoli lastricati, in uno spazio incorniciato dalle co-lonne che sorreggono il tetto; l’orchestra suona sottoil cielo stellato della Palermo d’Agosto, mentre suuno schermo una telecamera nascosta proietta le im-magini delle dita dei pianisti che scivolano sui tasti.Sabato 20 Agosto 2011 sono saliti sul palco rialzatoil maestro Wicktor Bockman, formatosi all’Accade-mia di musica di Cracovia e a Monaco di Baviera, ilquale ha girato l’Europa con le sue esibizioni, colla-

borando con le più importanti or-chestre. Germania, Austria, Sviz-zera, Francia, Romania, Russia,Turchia, Polonia: è questo l’elencodelle sue tappe artistiche, che lohanno condotto anche nella nostraPalermo, a dirigere, tra le altre, l’“Ouverture” del Don Giovanni K.527 con sicurezza e spirito.Nella seconda parte della serata salesul palco per sedersi davanti al suomaestoso pianoforte il maestro PaulBadura Skoda. Chi infatti meglio di

un viennese di nascita avrebbe potuto rendere onorea Mozart e al suo spirito? Ma Paul Badura Skodanon è solo questo, è anche considerato a oggi unodei più celebri e talentuosi pianisti viventi, capace diammaliare per l’estro e la vivacità delle sue esibi-zioni. Il festival ha colpito nel segno, l’atrio a cielo apertoè ricolmo di pubblico, nessuna sedia vacante, qual-cuno perfino in piedi, sullo sfondo, ad acclamare un“bis”. Girasoli per i maestri e sorrisi in platea.La musica non è stata solo ascoltata, ma si è vistapulsare nell’aria. Palermo dovrebbe augurarsi unricco proliferare di queste iniziative, che valorizzanoe nobilitano i luoghi dell’arte, rendendoli vivi.

Mozart al Chiostro di Sant’Annadi Lavinia Scolari

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Società

Le ricette letterarie di Marinelladi Marinella

Preparazione:

Tagliare le melanzane nel senso della lunghezza, a fette alte un dito,inciderle a grata con la punta del coltello. Disporre le fette in una tegliacon olio abbondante, passarle nel forno a 220° per 20 minuti. Scolare lemelanzane, farle asciugare sulla carta del pane, disporle a strati su un piattoda portata, salandole via via. Scaldare l’aceto con l’aglio tritato, le foglie diprezzemolo e basilico, versarlo caldo sulle melanzane, e lasciare insaporireper un paio d’ore. Si possono anche surgelare, resistono bene.

Melanzane conciate - Proposta da Clara Sereni in Casalinghitudine, Einaudi- 1987

Tartine alla rughetta:

Melanzane,

olio, aceto,

aglio, prezzemolo,

basilico, sale

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Cucina

Le ricette letterarie di Marinelladi Marinella

Preparazione:

Schiacciare e mescolare energicamente il tonno, le patate, l’aglio tritatofinissimo, il prezzemolo. Dare all’impasto la forma di un pesce, ricoprirlodi maionese. Passare per un quarto d’ora in frigorifero.Altre guarnizioni sono affidate all’estro, alla voglia, al tempo a disposizionedi chi prepara.

Polpettone di tonno e patate Da “Casalinghitudine “ di Clara Sereni - Einaudi

Tartine alla rughetta:

Gr, 300 di tonno sott’olio,

gr.300 di patate lesse,

1 spicchio d’aglio,

2 cucchiai di prezzemolo tritato,

1 tazza di maionese per guarnire.

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Sicilia

Viaggiatori stranieri in Siciliadi Daniela Crispo

Il giorno 2 ottobre 1793 volli fare una scorsa pel li-torale di Palermo verso nord-ovest e meco venneil Sig. Giacomo Tough, cortesissimo e bene istruitouomo in ogni genere di utili cognizioni. Passammo

dalla fertile pianura detta Li Colli , tutta seminata di de-liziose e magnifiche ville ….Bellissimi oliveti ombreg-giano i campi, ed aloe ed opunzie …manifestano laclemenza del beato clima…. A Sferracavallo la strada,per la somma scabrosità dell’acute pietre, ben merita talnome, e qui cominciano i seni verso la marina ed al-zarsi una catena di rupi assai pittoriche….Uno sfa-sciume di antica torre qui sorge sovra l’acuta punta d’unisolato macigno….ed offre uno stupendo esemplare de’capricci della natura e del tempo. Osservammo la ton-

nara e l’isoletta delle Femmine, che è corruzione diFimi, giacchè da Gugliemo II chiamasi Insula Fimi,ossia del fango, e fimini dicono in plurale i Siciliani perfemmine ( nel loro corrottissimo linguaggio, che ab-bonda d’infiniti iotacismi e si tinge di somma barbarie,cosicché parmi gran meraviglia che da sì impura fontederivasse la toscana favella, sì fluida, sì bene accentata elinda…ripiena di grazie. Ma se non varcava lo strettopeloritano la volgar favella e non isvestiva le rozzeforme acquistate nella montuosa Sicilia e non perdevanelle glottidi toscane la saracena e la normanna asperitàe riaccostata alla grecanica e latina sonorità, eleganza epurezza , che da ‘ tre sommi scrittori, Dante , Petrarcae Boccaccio ebbe in dono) .

CARLO CASTONE DELLA TORRE DI REZZONICO - parte sesta

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Service online

La vecchia dell’acetodi Gabriella Notarbartolo

Il 30 luglio del 1789, esattamente 222 anni fa,moriva a Palermo giustiziata sulla forca unadiabolica vecchietta, Giovanna Bonanno, me-glio conosciuta come la vecchia dell’aceto. Fu

l’ultimo processo di stregoneria svoltosi a Palermo,anche se proprio di stregoneria non si trattò e ancheperché il tribunale dell’Inquisizione era stato abolitodal vicerè Caracciolo nel 1782. Giovanna Bonannoera una vecchia megera che si guadagnava da viverevendendo intrugli per pochi spiccioli a povera genteche credeva nelle proprietà di queste pozioni da cuidi solito ricavava un miserevole beneficio. Una po-zione, l’aceto per i pidocchi, invece era molto effi-cace e quindi molto richiesta. Delle proprietàvenefiche di questa pozione la vecchia si accorse soloper caso quando una bambina bevutone qualchesorso per poco non morì. La diabolica megera pensòdi trarre profitto da queste straordinarie proprietàdell’intruglio che lei, tra l’altro, comprava regolar-mente da un farmacista che lo vendeva come curaper i pidocchi. Al composto a base di arsenico epiombo del farmacista la vecchia aggiungeva o delvino bianco o dell’aceto che messo in un brodo ouna minestra era totalmente insapore. L’arsenico,infatti, molto simile al fosforo e altamente tossicoanche nei suoi composti è di solito inodore e ha unaproprietà particolare, sublima, cioè passa diretta-mente dallo stato solido allo stato aeriforme. Un ve-leno perfetto! L’avvelenamento da arsenico inoltreè molto difficile da diagnosticare perché causa mol-teplici sintomi colpendo sia il sistema digerente sianervoso. Molte donne stanche di matrimoni sbagliatie di mariti violenti o traditori si rivolsero a lei chie-dendo il rimedio alle loro sofferenze. Chi se ne an-dava soffrendo però era il povero marito che traatroci dolori si consumava in poco tempo. Quandoil numero delle vittime nel quartiere della Zisa, doveoperava la diabolica megera, cominciava a essere giàun po’ eccessivo accadde un fatto che portò poi alprocesso e quindi alla condanna di Giovanna Bo-nanno. Una donna commissionò una dose di veleno

che doveva essere destinato al marito. La Bonannoconsegnò la pozione e solo dopo seppe che il maritodella donna era il figlio di una sua cara amica. Cer-cando di salvarle il figlio confidò all’amica le inten-zioni della nuora, ma inutilmente, l’uomo morì pocodopo. L’amica della vecchia megera si vendicò ac-cusandola di stregoneria e consegnandola alla giu-stizia. Tragico epilogo di una misera esistenza.L’ignoranza e la superstizione sono due streghe dav-vero paurose. Curiosamente in quello stesso anno,1789, Antoine Lavoiser il chimico francese pubblicò“ le Traitè Elémentaire de Chimie” il trattato di chi-mica elementare.

Palazzo Steri sede del Tribunale dell'Inquisizione a Palermo

Società

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I TQ di Lietta Pasta

In questi ultimi mesi ci sono novità nel mondo della cul-tura : i T Q . Sono scrittori tra trenta e quaranta anni,che si interrogano sul ruolo sociale degli scrittori, dellecase editrici, dei luoghi in cui usualmente si fa cultura. Pro-gettano una nuova fase d’impegno intellettuale dopo annidi assenza. I TQ scrivono in un loro manifesto che “ ilnuovo secolo appare ancora come un Novecento svuotatodi senso. Sono caduti insieme alle ideologie anche gli ideali….la forza del futuro“. La crisi profonda che viviamo inquesti giorni assegna a ciascuno di noinuovi doveri, soprattutto ci imponeuna riflessione sul nostro recente pas-sato, ma anche di lanciare almeno unosguardo verso il futuro per delineare unprogetto di società migliore. La culturanon può sentirsi esonerata. Anzi deveprendere o riprendere il suo ruologuida, uscendo dai luoghi tradizionali,dalle torri d’avorio, dai privilegi garan-titi e “sporcarsi le mani”mescolandosicon la gente, ascoltandone esigenze e

gusti reali. Deve contrastare la rozzezza dei tempi e l’in-cultura troppo diffusa, la logica della quantità che prevalesulla qualità con un progetto di ampio respiro che sia ingrado di suscitare curiosità ed interesse ed avvicinare allacultura quante più persone è possibile. Questi T Q cono-scono bene il mondo della produzione e della divulgazionedella cultura perché ci lavorano dentro, ed è un vantag-gio. Anzi i TQ sono una risorsa, sostiene Nicola Lagioia.Altri al contrario li criticano perché ritengono che il loro

sia un modo piuttosto spregiudicato diindividuare ed affrontare i problemiculturali nei manifesti e nei forum, pro-prio perché sono organici al sistemaculturale. Io credo che una critica chesi fondi su fatti concreti e conosciuti siapreferibile a quella astratta. E siccomemi pare di cogliere in giro una semprepiù diffusa stanchezza di come vanno lecose e una voglia di cambiamento,anche nel mondo culturale, incorag-giamo i TQ al di là dell’anagrafe.

Il 22 luglio 2011di Gabriella Maggio

Il democratico e tollerante Popolo Norvegese è stato offeso dal folle gesto di Anders Behring Breivik , che il 22 luglio 2011 con spie-tata e impassibile determinazione ha ucciso settantasette persone nella città di Oslo e nell’isola di Utøya . Tutte le donne e gli uo-

mini responsabili che hanno fiducia nell’uomo e nella comunità alla quale appartengono sinceramente condannano questo gestoefferato ed esprimono la loro solidarietà al Popolo Norvegese così duramente provato.

Isola di Utøya dopo la strage del 22 luglio

Moda

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Glossario della biancheria intimaCamicia da notte (IV parte)

di Raffaello Piraino

AtQuesto indumento per la notte fa la sua com-parsa soltanto nel tardo Medioevo sotto ilnome di camicia da letto. Prima di allora lepersone dormivano nude o con indosso gli

stessi indumenti tenuti durante il giorno. Le prime cami-cie da notte erano molto larghe ma, per il resto, assomi-gliavano più o meno alle camicie da giorno ricavate daun grande taglio di stoffa con lunghe maniche abbon-danti. La camicia da notte ha avuto una diffusione gene-rale solo nel secolo XIX e in molti paesi ancora più tardi.Spesso le donne indossavano sopra la camicia una giaccada notte. In Sicilia, il 4 dicembre del 1563, si consumò latragedia della baronessa di Carini. La tenace tradizioneorale del popolo ha tramandato la lontana tragedia sici-

liana con parole vestite di poesia e di commossa pietà perla vittima. L’antica ballata popolare infatti narra di unsanguinoso dramma d’amore, consumatosi nell’anticoCastello di Carini. La fanciulla, di nobilissimi natali, unaLa Grua-Talamanca, si era lasciata coinvolgere in unapeccaminosa relazione amorosa con un avventuriero dipochi scrupoli. La sfortunata, fragile ed eterea baronessa,colpevole di aver macchiato l’onore della famiglia, caddetrafitta dalla spada del padre mentre la sua camicia danotte bianca, tutta trine e merletti, si tingeva di rosso. Latradizione popolare tramanda inoltre che la sua manoinsanguinata, appoggiandosi alla parete delle torre, la-sciò un segno indelebile che riappare ad ogni anniversa-rio della sua triste fine.

1800-1900. Camicie da notte della Collezione Piraino

Storia

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All’alba del 13 agosto del1961 i Berlinesi si sve-gliarono divisi tra ested ovest. Edifici e fami-

glie, senza alcuna differenza tracose e persone, vennero divisi indue parti. Così la Germania vennedivisa in due parti: occidentale edorientale, la prima nell’orbita poli-tica degli U.S.A. ,la seconda inquella dell’U.R.S.S. I divieti eranoseveri ad infrangerli si rischiava lavita, perché i soldati della parteorientale avevano l’ordine di spa-rare su chiunque tentasse di attra-versare il confine, subito segnatogià dalle prime ore del 13 agostocon filo spinato. Dopo lunghi anni di avvicinamento tra est ed ovest, cominciato col Cancelliere FederaleWilly Brandt, che nel 1971 ebbe il Nobel per la pace per l’importante opera di avvicinamento tra i due bloc-chi politici, il muro di Berlino cade il 9 novembre 1989.

BERLINO 13 AGOSTO 1961di Gabriella Maggio

Il muro di Berlino ha segnato la storia europea, sia quando è stato costruito che quando è stato demolito. E’ vero che si è parlato pocod’Europa negli ultimi tempi ed oggi se ne parla in termini esclusivamente economici, ma non dobbiamo dimenticare l’Europa degliuomini e delle donne comuni con le loro esperienze. Sono loro che fanno l’Europa.

Società

NEL CENOCINQUANTESIMO ANNIVERSARIO DELL’UNITA’ D’ITALIA

di Giuseppina Cuccio

Nel marzo del 1821 il conte Santorre diSantarosa guida in Piemonte la cospi-razione dei patrioti che lottano per laconcessione della Costituzione. Dopo

aver consultato Carlo Alberto, considerato simpa-tizzante delle idee liberali, l’inizio dell’insurrezioneè dato issando un tricolore ( è incerto se si tratti delnostro tricolore o di quello della Carboneria, blu,rosso, nero) sullacittadella di Ales-sandria. Il colon-nello GuglielmoAnsaldi, che in-tanto ha assuntoil comando dellacittadella e lapresidenza dellaGiunta, emette ilproclama:” Cit-tadini, lo sten-dardo deldispotismo è persempre curvato aterra fra noi. Lapatria che ha ge-muto finora sottoil peso di obbro-briose catene, re-spira finalmentel’aure soavi difraternità e di pace. Cittadini! L’ora dell’italiana In-dipendenza è suonata!” Tra i patrioti della Lom-bardia si diffonde la notizia che l’esercito degliinsorti piemontesi avrebbe invaso e liberato la Lom-bardia dagli Austriaci. Si dava per certo che il 17marzo l’esercito avrebbe varcato il Ticino. Emozio-nato dagli eventi, Alessandro Manzoni comincia acomporre l’ode “ Marzo 1821”, che comincia : “Soffermati sull’arida sponda,/ volti i guardi al var-cato Ticino,/ tutti assorti nel nuovo destino,/ certiin cor dell’antica virtù/ …. Altri forti..rispondeanda fraterne contrade….” Ma il generoso tentativoresta privo di successo, immediatamente subentra

la delusione e lo sconforto, anche per le incertezzedi Carlo Alberto. Ciò nonostante è cominciato unpercorso che non si arresterà se non con la procla-mazione dell’Unità. L’ode di Manzoni è bellissima,dà voce sincera e profonda alla passione di queigiorni, ma tace il sentimento della sconfitta e delladelusione. Però Manzoni ritornerà indirettamentesul sentimento della sconfitta nella tragedia Adel-

chi, in cui il pro-tagonista esprimela delusione del-l’esercizio dellapolitica.E’ un principeleale e giusto, de-sideroso di buonagloria, ma sirende conto chegovernare è“reggere iniqui” ,cioè governare dainiqui; in fin divita dice al padreDesiderio, che glisopravvive , seb-bene prigionierodi Carlo: “Godiche re non sei;godi che chiusa/all’oprar t’è ogni

via : loco a gentile,/ ad innocente opra non v’è: nonresta/ che fare il torto, o patirlo…Una feroce /forzail mondo possiede, e fa nomarsi/ dritto….”. Ladelusione storica si manifesta amara e completa, su-pera gli eventi della storia e dell’invenzione per ele-varsi a dolente considerazione sul senso universaledella storia. La tragedia, composta tra il 1820 ed il1821, riecheggia in maniera chiara, se ne trova, in-fatti, traccia analizzando le diverse stesure di alcuniepisodi riguardanti il “potere”, anche l’amarezzaper i lutti milanesi seguenti la scoperta una “ven-dita “ carbonara e la dura inevitabile repressioneaustriaca.

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Società

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Giornata internazionale della commemorazione del commercio degli schiavi e

della sua abolizionedi Giuseppina Cuccio

“A Santo Domingo (oggi Haiti e Repubblica Domi-nicana), la notte tra il 22 e il 23 agosto 1791 vide il

sorgere della rivolta che avrebbe giocato un ruolo es-senziale nell’abolizione della tratta transatlantica deglischiavi”. Queste parole si leggono in un documentodell’UNESCO che ha proclamato il 23 agosto gior-nata della commemorazione. Per quanto ci sembri lon-tana la data del 1791, ancora oggi siamo ben lontanidalla reale abolizione della schiavitù, che purtroppocontinua ad essere una realtà in molti luoghi del pia-

neta. “Nessun Paese può dirsi immune alle nuoveforme di schiavitù”, dice Gulnara Shahinian, studiosadelle forme contemporanee di schiavitù. L'associa-zione Save the Children pubblica nell’occasione undossier sulla situazione italiana. Ciò che emerge è al-larmante. Nel nostro Paese si pratica la tratta e losfruttamento dei minori a scopo sessuale, ma ancheper l’accattonaggio ed il lavoro o nelle attività ille-gali. Quindi è necessario non dimenticare questa ri-correnza.

Il Centocinquantesimo Anniversario dell’unità d’ItaliaDal GATTOPARDO di Giuseppe Tomasi di Lampedusa

di Gabriella Maggio

Nell’ottobre 1860 a Donnafugata ilsindaco Calogero Sedara annuncia

l’esito del Plebiscito: votanti 512, sì 512.Qualche pagina più avanti, durante labattuta di caccia sulla cima del monteMorco don Ciccio Tumeo argomenta alprincipe Fabrizio le ragioni del suo no e lasua delusione per la mancata considera-zione del suo voto: “ Per una volta che po-tevo dire quello che pensavo, quelsucchiasangue di Sedara mi annulla…..” A sua volta ilprincipe Fabrizio riflette : “….adesso sapeva chi era statoucciso a Donnafugata, in cento altri luoghi, nel corso diquella nottata di vento lercio: una neonata : la buonafede:proprio quella creatura che più si sarebbe dovuta curare,il cui irrobustimento avrebbe giustificato altri stupidi van-dalismi compiuti. Il voto negativo di don Ciccio, cinquantavoti simili a Donnafugata, centomila “no” in tutto il regno,non avrebbero mutato nulla al risultato, lo avrebbero resopiù significativo; e si sarebbe evitata la storpiatura delleanime.” Nel romanzo don Fabrizio è favorevole alla costi-tuzione del regno unitario per ragioni di opportunità e ne-cessità politica e l’Autore variamente sviluppa il tema nelcorso della narrazione. Nel contesto del romanzo, perciò,l’episodio di monte Morco mette in evidenza un’impor-tante osservazione politica, perché con amarezza fa riferi-mento al tradimento dell’occasione di cominciare aformare una coscienza civile schietta e fiduciosa nelle isti-tuzioni, tale da costruire una nazione più moderna e piùcivile. Ancora una volta rileggendo il romanzo di Tomasidi Lampedusa emergono aspetti interessanti, lasciati inombra da letture e giudizi critici che oggi appaiono re-

strittivi. Compresa l’affascinante e sugge-stiva interpretazione del regista Luchino Vi-sconti. Ma questa mia considerazione nonvuole riaccendere vecchie polemiche lette-rarie né cedere all’esaltazione acritica delromanzo, secondo un certo stile siciliano.Vuole soltanto ristabilire un’equilibrata con-siderazione dei temi che Tomasi affronta eche trovano relazione col nostro attuale con-testo culturale, in questa dolente e contra-

stata rievocazione dei centocinquant’anni dell’Unità.Quando il romanzo fu pubblicato da Feltrinelli nel 1958l’orizzonte d’attesa era profondamente diverso da quello dioggi, si cercava sebbene in vari modi un rinnovamento let-terario sia nel linguaggio sia nei temi. Di lì a poco il Me-nabò di E. Vittorini ed I. Calvino, mentre già dal’56 sipubblicava Il Verri di L.Ancechi aperto a nuove espe-rienze letterarie, che troveranno espressione nella neoa-vanguardia ed in un’ideologia antineocapitalistica. IlGattopardo appariva contrastante con quest’orizzonte,fuori tempo come il suo autore, un gentiluomo d’altritempi, di un’eleganza compassata. Quest’atmosfera lette-raria spiega il rifiuto di Vittorini di pubblicare l’operapresso Einaudi e l’interesse di G. Bassani, che insieme a C.Cassola allora veniva definito “Liala della letteratura”.Oggi l’interpretazione è diversa, l’elemento storico acqui-sta valore in quanto richiama il presente e ne dà una let-tura. Il principe Fabrizio è un acuto osservatore delmondo che lo circonda così come lo è del mondo siderale.Ma la differenza è che il mondo delle stelle appare al prin-cipe regolare e preciso, quello degli uomini confuso ecampo di scontro di pulsioni distruttive.

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Società

Ogni scuola che si chiudedi Carmelo Fucarino

«Un anonimo cronista inviò, da-tata il giorno di Ognissanti,un’infervorata accusa contro latrascuratezza, gli doleva dirlo,

della scuola, “questo tempio di educazione, comela chiamò Bovio, questo laboratorio dell’uomo,tanto necessaria nelle epoche di progresso che at-traversiamo”. Anche se parole come progresso tra-discono la parte politica, le ragioni dell’attacco ciappaiono oggi strabilianti. Ad oltre un mese dal-l’inizio dell’anno scolastico, si assisteva al “peno-sissimo inconveniente di vedere la 1a bisfrequentata da 78 alunni, la 2a da 84 e la 3a da80”. Sì, erano proprio tanti i piccoli frequentantiuna classe. Difficile immaginare come potesseroessere stipati in aule piccole e fredde e come unmaestro potesse farsi sentire da tale selva di testo-line vocianti. Se pure a ciò tende il progetto Gel-mini (si dimentica che fu avviato dalla splendidaMoratti), allora era illegale e, come precisava ilcronista, contrario all’art.323 della Legge 13 novem-bre 1889 e all’art. 11 del Re-golamento generale 9ottobre 1895, norme dettatee raccomandate ai prefetticon circolare ministeriale 26novembre 1897, n. 75, cheprescrivevano dei limiti inva-licabili, pur se lo sconto erarisibile: “quando per un de-terminato periodo di tempoin una scuola elementare siaccolgano più di 70 fanciullidebba il Municipio provve-dere dividendo la classe insale separate e con sottomaestri”. Il limite posto nonmetteva in conto la capienzadi locali di privata abitazionepresi in affitto e le umane

possibilità del maestro che doveva educare dei pic-coli in un’età poco suscettibile ai richiami e allostare fermi e in silenzio. Il nostro Municipio, sen-sibile al problema, “vagheggiava” un rimedio“non ammissibile”, sdoppiare la scuola “in modoche ad una parte degli alunni si facesse lezionenelle ore del mattino e all’altra parte nelle ore po-meridiane”. Sembrava una soluzione ragionevolee nella mia esperienza scolastica, fatta proprio neilocali degli odierni uffici amministrativi del Mu-nicipio, allora diversamente disposti – una ripidascala immetteva in fredde e piccole aule - ancheio alternai periodi mattutini ad altri pomeridiani.C’era però una grossa differenza, allora il maestrodoveva essere unico nei due turni. Il cronistaamante della cultura, forse un maestro, più vero-similmente il direttore, data l’estrema competenzadei problemi, aveva ben da ridire con argomenta-zioni in linea di massima giuste, anche se dimen-tiche della vera finalità della scuola, che non era

Società

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certo semplice “deposito” o “custode” della sicu-rezza dei bambini, come purtroppo ancor oggi siritiene da genitori e politici: “ma tal rimedio a pre-scindere dal fatto che stanca l’educatore e non af-fida alcun utile risultato, perde il valore rispetto aldanno morale che incontestabilmente deriva aifanciulli dalla abbreviata convivenza coi proprieducatori e dal troppo lungo abbandono nel qualevengono lasciati fuori dalla scuola, esposti ai peri-coli di ogni specie. Insomma la scuola non servi-rebbe più a sottrarre per quanto è possibile ifanciulli alla deleteria influenza della strada”. Erasenz’altro vero che “le aule delle nostre scuole an-tigieniche per se stesse, frequentate da un così ri-levante numero di alunni, sono focolari diinfezioni e depongono contrariamente a qualsiasinorma educativa”. Secondo il cronista, la sceltanon si poteva giustificare con “una qualsiasi ra-gione di economia, perché, quando l’economia èintesa ad ostacolare la scuola popolare è grettezza,

taccagneria biasimevole”. Il Ministero, comeaveva fatto per altri comuni, sarebbe potuto cer-tamente venire in aiuto del nostro, “occorrendol’apertura di nuove aule scolastiche con l’assun-zione in servizio di altrettanti sottomaestri”. Perciòfaceva appello “all’energia del provveditore per-ché al più presto sia provveduto secondo legge inmodo di togliere le giuste ansie ai numerosissimipadri di famiglia, i quali, continuando le cose inquesto modo si contenteranno meglio di aver deicavallini vivi che dei dottori morti”. A parte que-sta colorita immagine, il cronista, “interprete del-l’opinione pubblica” che muoveva tali lagnanze,concluse con una profonda intuizione sociologicada trasmettere ancor oggi al posto delle interessatee strumentali Pubblicità Progresso, “ripetendo unamassima ormai celebre, ogni scuola che si chiudefavorisce l’incremento di dieci case penali”».

(Estratto da Stratigrafia del comune di Prizzi come metafora della storia del-l’Isola, vol. III, Il Novecento, pp.85-86, ed. Comune di Prizzi, in fase distampa).

Ogni scuola che si chiude

Le Madonie orgoglio sicilianodi Pino Morcesi

Forse a tanti siciliani non sembra possibile, ma leMadonie non sono soltanto un patrimonio del-l’umanità, come le ha dichiarate l’Unesco, ma unavera risorsa economica, perché il loro “marchio”,ovvero il loro brand, secondo la Camera di Com-mercio di Monza e della Brianza, esperta di valu-tazioni dei territori italianidi pregio naturalistico, valeoltre 2 miliardi di euro. Que-sta stima è ricavata da datidel Registro Imprese, del-l’ISTAT, dell’Agenzia delterritorio, della Banca d’Ita-lia e mira alla visibilità ed al-l’attrattiva per imprese eturisti. Spetta quindi ai Sici-liani mettere a frutto nel mi-gliore dei modi questa

situazione, elaborando tecniche di ricezione turi-stica che mirano a mantenere l’interesse del visita-tore, affinché ritorni nei luoghi e se ne facciatestimonial col passa parola. Ed anche sviluppandoimprese che tutelano l’ecosistema e rifuggono daun guadagno rapido, ma dissennato perché alla

lunga dannoso, se non letale,per quei luoghi. Spesso i Si-ciliani cercano un volanoper l’economia isolana, forseè il momento di passare dalleparole ai fatti, dal navigare avista se non sott’acqua, a na-vigare in superficie ed allaluce del sole, evitando i solitimezzucci un po’ loschi chespesso caratterizzano certenostre iniziative.

Libri

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Quattro mila copie in cinque mesi, questavolta i numeri premiano la qualità e ilpiacere di una lettura irriverente e sim-patica: “Pilipintò, Racconti da bagno

per siciliani e non” di Carlo Barbieri, edito dallacasa editrice Zerounoundici di Stefania Lovati, èstata una rivelazione. L’idea è quella già sperimen-tata dalla rivista “Toilet”, ma nuova per una raccoltaautonoma e compiuta di racconti umoristici origi-nali e gaudenti: ogni storia, infatti, ha un “tempo du-rata” di lettura segnalato a inizio narrazione, che larende adeguata anche per l’intimità delle nostre“sale da bagno”. Ma sarebbe riduttivo pensare a Pi-lipintò come una lettura occasionale da toilette. Sitratta di un caleidoscopio di maschere, caratteri, rac-conti fantastici e realistici, dove la “sicilianità” è rac-contata ed espressa in modo graffiante e sorridente,senza patetismi o stereotipi grotteschi, ma con unaverve nuova e appassionante. Ho sempre pensato che il segreto per scrivere unabella storia, (dove all'aggettivo "bella" potete sosti-tuire a piacimento intrigante, divertente, sorpren-dente, geniale, piacevole, simpatica, toccante,originale, unica) fosse quello di seguire un'intuizione.L'intuizione è l'anima delle storie, e, ancor più chedei romanzi, dei racconti e delle novelle. Ebbene, iracconti di Pilipintò sono tutti l'evoluzione narrativadi intuizioni, ognuno di essi è sorprendente, diver-tente, inatteso e forse anche "scorretto". In ogni rac-conto l'autore ammicca, irride, stravolge le regole erovescia gli stereotipi, oppure li porta all'eccesso inun susseguirsi di personaggi animatissimi, vivi, ur-lanti, di invenzioni e di dimensioni fantastiche, chepartono dalla Sicilia e dal modo in cui è vista dafuori e da dentro, per poi sbilanciarsi, deformala, ca-ricarla, addolcirne i tratti, ma molto più spessoacuirli. Si sorride, si ride perfino: "La Ronda" e "ilconferenziere" sono due perle di comicità, o forse diumorismo; ti lasciano il sorriso affianco a una rugadi perplessità, perché raccontano ridendo e scher-zando un frammento del nostro reale, quello che daSiciliana vivo, sperimento, amo e a volte biasimo. Barbieri Non teme di confrontarsi con grandi mo-delli, di giocare con il Montalbano di Camilleri e diporsi in rapporto umoristico-competitivo con lui e

con il suo commissario più celebre, di storpiare nomiche fanno riferimento a realtà vicine, anche troppovicine. Per concludere, parola all’autore, che nella quartadi copertina si presenta così, dicendo tutto sulla suapersonalità, di certo fuori dagli schemi, come i suoiracconti:

“Carlo Barbieri è nato.È chimico, marketer pentito e ha vissuto a Palermo,Teheran, Il Cairo. Ora si è calmato e fa avanti e indietro fra Palermo eRoma senza riuscire a decidersi perché, come moltiPalermitani, ha Palermo nel cuore, ma...”Questa raccolta è stata una folgorante lettura, leg-gera e pensosa allo stesso tempo, un'opera che con-siglio vivacemente.

Pilipintò, Racconti da bagno per siciliani e nondi Lavinia Scolari

Costume

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VIVA SANTA ROSALIAdi Renata De Simone

Togliete tutto ai Palermitani, ma non toccateil festino! Quei tre giorni di allegra profanasregolatezza mista a fiduciosa attesa che laSantuzza interceda presso un Potente al di

sopra di qualsiasi altro terreno protettore, i cui favorinon hanno un prezzo né richiedono alcuna contropar-tita. Liberaci, Santuzza, dal peso dei giorni presenti edal nero addensarsi di ombre che oscurano il nostro fu-turo, come hai liberato la città di Palermo dal flagellodella peste del 1625. Questo grido sembra uscire dallabocca dei devoti insieme al vociare di canti che accom-pagna il percorso cittadino del carro con l’effigie dellavergine eremita. E’ così da secoli. Ai primi giorni di lu-glio Palermo si prepara a festeggiare la sua benefattrice.Gli amministratori della città hanno sempre accolto,anche in tempi critici, il tacito invito dei palermitani acelebrare al meglio la loro patrona. Ecco cosa avvennenel luglio del 1817. Dalla Relazione dei festeggiamenti promossi dal Pre-tore D.Giuseppe Reggio Saladino e dal nobile Senato diPalermo in onore della gloriosa S.Rosalia, vergine pa-lermitana (per le stampe di Filippo Barravecchia, im-pressore dell’Ecc.mo Senato) si ricava un affresco a fortitinte dell’atmosfera cittadina nelle calde giornate difesta, con le vie del centro accese di luci e impregnatedi suoni. Il programma è denso di eventi. Le manifestazioni,della durata di 5 giorni , sono affidate ai noti talenti delSenatore don Simone Tarallo duca della Ferla ; si co-mincia l’11 luglio con la processione del carro dellaSanta, di nuova e sontuosa foggia, accompagnato dacori di musici che diffonderanno ad ogni sosta gradevoliarmonie.La sera il popolo è invitato alla Marina di Porta Feliceper godersi un’illuminazione a giorno, creata da un artifi-cioso viale di piramidi accese e variopinte disposte con ele-ganza sino alla villa Giulia e uno spettacolo di fuochipirotecnici prodotti da una macchina scenica, come si usavain occasioni di feste cittadine. Collocata nel lungomare, rap-presenta Castel S.Angelo, sontuoso Mausoleo dell’Impera-tore Adriano, fiancheggiato da due fontane, eruttanticoloratissimi fuochi.Anche la villa Giulia sarà sfarzosamente illuminata con file dipiramidi accese e ospiterà una Loggia dove verranno ese-guite gradevoli sinfonie.Piazza Vigliena sarà adorna di pitture trasparenti raffigurantile gesta di S.Rosalia; concluderà il percorso di luci unagrande Aquila illuminata.

Nel II, III e IV giorno ci saranno in via Toledo corse dei piùagili destrieri e delle più generose cavalle provenienti da tuttoil Regno allettate da ricchi premi e la sera ancora il Carro inprocessione e fuochi alla Marina.La IV sera luminarie al Cassaro e nella fonte Senatoria e in-fine la cerimonia religiosa con Messa solenne pontificale inCattedrale e processione dell’urna d’argento con le ossa dellaSanta, con grande seguito di Compagnie, Confraternite eComunità Regolari. Poi le luci si spegneranno, i suoni si smorzeranno, nelle stradedi Palermo rimarrà l’odore della cera sciolta, dei fuochi con-sumati e dell’incenso bruciato; negli occhi l’immagine dellosfarzo e nelle orecchie l’eco delle sinfonie. E Palermo ricadrànel quotidiano travaglio di sempre.

Recensioni

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Artù, re dei Bretoni, è il protagonista delle leggende del co-siddetto Ciclo arturiano o della Tavola Rotonda, le cui

prime attestazioni, tra le tante, appaiono nel VI secolo. Sullanatura storica o leggendaria della figura di questo sovrano si èmolto discusso: secondo una delle tante tesi, si tratterebbe di uncondottiero romano-britannico, vissuto tra il V e il VI secolo.La sconfitta dei Bretoni ad opera dei Sassoni, in una battaglianella quale Artù sarebbe rimasto ucciso, diede origine a varieleggende: secondo una di esse, riflettente il desiderio deglisconfitti, il sovrano bretone non sarebbe in realtà morto ma, ri-masto ferito, sarebbe stato trasportato nell’isola incantata diAvalon, dove avrebbe dovuto rimanere, immune dalla morte,per un tempo indeterminato, sino al suo ritorno nel mondoper restaurare il suo regno.A partire dal secolo XII è però documentata una diversa tra-dizione, che fa arrivare Artù in Sicilia, ponendo la sua dimoraincantata in un ameno sito all’interno dell’Etna. Tale tradi-zione è attestata nell’opera Otia di Gervasio da Tilbury, che fuin Sicilia al servizio di re Guglielmo intorno al 1190; da Cesa-rio di Heisterbach, nel suo Dialogus miracolorum, che pure fuin Sicilia al tempo quando l’Isola fu conquistata da Enrico IV(1294) e dal poema francese Florian et Forete, del secolo XIIIo forse del successivo.Il sito magico ove Artù risiede non è, tuttavia, descritto comeinaccessibile ai mortali: le prime due opere citate narrano in-fatti di un garzone di un vescovo o di un diverso alto prelato,che essendogli sfuggito un cavallo del suo padrone lo inseguì findentro il vulcano, giungendo in un sito ameno dove fu ricevutoin uno splendido palazzo da Artù, che gli fece restituire l’ani-male dandogli inoltre ricchi doni per il suo padrone. Il poemafrancese narra invece che nel palazzo alloggiava Morgana, lasorellastra di Artù, che preservò dalla imminente morte il pro-tagonista e la sua sposa prendendoli ad abitare con sè, affer-

mando inoltre che altrettanto avrebbe fatto con Artù quandoquesti sarebbe stato prossimo a morire.Una diversa versione di Stefano di Borbone (morto circa nel1261), pur ricalcando il tema del garzone giunto per caso alpalazzo incantato, introduce invece nella leggenda elementi in-fernali e diabolici.La leggenda di Artù nell’Etna non sembra nata in Sicilia, per-ché non se ne trova traccia in miti locali, tutti improntati al-l’antichità classica, né riscontro nella popolarità del ciclobretone, qui inesistente a differenza del ciclo carolingio dei pa-ladini, fatto proprio dai Siciliani; i quali inoltre consideravanoil vulcano nel suo aspetto terrifico, certamente non adatto aracchiudere siti ameni. Essa presenta, invece, caratteri riscon-trabili nelle leggende germaniche, come i doni offerti all’ospiteed il risiedere all’interno di un monte di grandi personaggi,quali Carlo Magno, Federico II, Carlo V, ritenuti non morti,ma pronti a tornare un giorno tra gli uomini. Ci si chiede allora come tale tradizione sia giunta in Sicilia: po-trebbe pensarsi alla documentata opera dei trovatori, arrivatiin Italia nella seconda metà del secolo XII, ma l’onomasticadel ciclo bretone è qui presente da molto prima. La conclu-sione logica, anche se non supportata da prove documentali, èche la leggenda sia venuta con i Normanni, i quali attribuironoall’intera Sicilia la qualità di isola incantata già propria di Ava-lon e identificarono l’Etna, quale più alto monte dell’Isola,come la sede adatta all’eroe che doveva un giorno tornare nelmondo, conformemente alle leggende germaniche, così fusecon la tradizione precedente.Peraltro, la presenza in Sicilia, non altrimenti spiegabile, di per-sonaggi del ciclo arturiano trova riscontro nel fenomeno an-cora oggi detto della Fata Morgana, visibile in particolaricondizioni sullo Stretto di Messina, al cui centro, in profon-dità, si troverebbe il suo magnifico palazzo di cristallo.

RE ARTù NELL’ETNAdi Gianfranco Romagnoli

Pomeriggio letterario a Prizzi

Martedì 23 agosto nell’ Aula Consiliare del Comune diPrizzi Rosa Maria Ponte ha presentato il suo romanzo “

Nel cuore della notte” , editore La Zisa ; relatori GabriellaMaggio e Antonio Martorana, moderatore Carmelo Fuca-rino. Rosetta Faragi, Irene Ponte, Milena Verga hanno lettobrani significativi scelti dall’autrice. Alla presenza di un pub-blico numeroso ed attento i relatori hanno messo in luceaspetti dell’opera. In particolare Antonio Martorana rileva :”E’ certo che con questo suo esordio Rosa Maria Ponte defini-sce con esiti assolutamente originali un suo domaine tematicoe stilistico, inserendosi come una delle voci più interessanti nelpanorama della narrativa odierna”. Gabriella Maggio nota lacontiguità tra esperienza pittorica e narrativa di Rosa M.Ponte e l’incidenza dei personaggi femminili nel romanzo edin particolare della zia, esperta anglista, che racconta la favoladel Principe Felice di O. Wilde alla nipotina Barbara. Ha con-cluso la scrittrice chiarendo che solo alcuni punti della tramasono autobiografici, in fondo il suo romanzo si è fatto da solo; le relazioni critiche le hanno mostrato prospettive nuove acui non aveva pensato e per questo le considera interessanti.

di Attilio Carioti

Società

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Icorsi per i test d’ammissione agli studiuniversitari che da un po’ di tempo aquesta parte stanno prendendo campocome probabile ed esoso lasciapassare

per le alte sfere degli studi scientifici, tro-vano un terreno particolarmente fertile inSicilia, si estendono a macchia d’olio, simoltiplicano come cellule, attecchisconoladdove le formule statali dell’istruzione fal-liscono. I privati, sembrerebbero avere la“formula che mondi possa aprirti”, serietà,impegno, professionalità,disponibilità, com-petitività,la chiave per il successo e al con-tempo per arginare il problema che dasempre coinvolge i nostri alunni cioè lamancanza, alla fine del percorso di studi discuola superiore, delle competenze necessa-rie per poter accedere agli studi universitari. Non sispiegherebbe altrimenti l’affluenza a tali corsi in cuisi registra il tutto esaurito, con turnazioni antimeri-diane e postmeridiane, da parte dei giovani appena“maturi”, in una stagione afosa, di per sé pesante,provenienti da tutte le parti dell’isola. Un tempo, lafine degli esami di Stato rappresentavano nei mesiestivi il raggiungimento della libertà, erano i mesipiù belli, i più spensierati, si partiva da soli o in co-mitiva, verso paesi lontani la Grecia, la Spagna, leterre della libertà dai vincoli familiari ed era questala prima vera prova di maturità, adesso invece si ri-piomba dopo solo due giorni nel turn over dello stu-dio “matto e disperatissimo”, i ragazzi impiegano illoro tempo migliore e ancora le loro forze e le fa-miglie? Pagano anche loro lo scotto di un assurdo si-stema del quale pur criticandone le forme finisconoper assecondarlo. La causa di tutto questo? Chi didovere e mi riferisco all’organo preposto all’istru-zione, la scuola, senza fare di tutta un’erba un fa-scio, non riesce ad immettere nel mondouniversitario giovani con competenze adeguate incampo scientifico, la matematica,la fisica, la chimica,la biologia appaiono avvolte nel mistero, solo pochile “masticano”. D’altronde se ci confrontiamo gior-nalmente con ragazzi che tra i banchi appaiono de-motivati, disorientati, ragazzi che sembrerebberonon reclamare il diritto al “sapere”, allora il gioco è

fatto, il docente non si attiva più di tanto, lo stipen-dio non gli sarà negato e l’insuccesso del ragazzopoco importa che risulti essere il risultato del falli-mento del docente. Sembra che qualcosa non fun-zioni nel sistema scolastico, la demotivazione non èsolo del discente ma di più ampio raggio, forse ri-guarda anche il docente! Se la scuola in 13 anni dipercorso fosse capace di trasmettere consapevol-mente “saperi”, se la scuola abituasse a stimolare,avivacizzare le intelligenze che spesso appaiono, manon lo sono affatto, spente dietro i banchi, anzichéappesantire con lezioni frontali, cattedratiche, se lascuola insegnasse ai ragazzi a far prendere coscienzadi sé, se la scuola educasse all’onestà e alla serietà, sela scuola riuscisse a cogliere gli aspetti molteplici diogni alunno –individuo e li valorizzasse, alla finedegli esami di Stato, di questa inutile, ( la Commis-sione difficilmente si discosta dal giudizio del Con-siglio di classe di giugno) e costosa macchina,funzionante 15 giorni l’anno, ci troveremmo piùsoddisfatti del percorso effettuato. E quando poi gliAtenei statali siciliani, da come emerge dall’indaginedel “Sole 24 ore”, risultano essere tra i peggiorid’Italia, non c’è da preoccuparsi, è il segnale che ilvirus si sta propagando anche in questi ambienti,equindi, ci penseranno le università private ad of-frirci l’antidoto e chi non ci sta? Non gli resta, se ciriesce, che scappare via dall’isola.

SE LA SCUOLA…di Patrizia Lipani

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Società

NEL CENOCINQUANTESIMO ANNIVERSARIO DELL’UNITA’ D’ITALIA

"Siamo tutti figli della vostra civiltà"Dal discorso pronunciato da JFK nel 1961 in occasione dei 100 anni dell’Unità d’Italia

di Irina Tuzzolino

“Mo l t id e ip r e -s en t i

non sono italiani né persangue, né per nascita, maritengo che tutti noi ab-biamo un grande interesseper questo anniversario.Tutti noi, nel senso piùvasto, dobbiamo qualcosaall’esperienza italiana….E’un fatto storico straordina-rio: ciò che siamo e in cuicrediamo ha avuto originein questa striscia di terrache si protende nel Mediterraneo. Tutto quello perla cui salvaguardia combattiamo oggi ha avuto ori-gine in Italia, e prima ancora in Grecia. Perciò perme come Presidente degli Stati Uniti è un onorepartecipare a questa occasione importantissimanella vita di un Paese amico, la Repubblica Italiana.Il Risorgimento, da cui è nata l’Italia moderna,come la Rivoluzione americana che ha dato le ori-gini al nostro Paese, è stato il risveglio degli idealipiù radicati della civiltà occidentale: il desiderio dilibertà e di difesa dei diritti-individuali…..Lo Statoesiste per proteggere questi diritti, che non ci ven-gono grazie alla generosità dello Stato. ….E’ fontedi soddisfazione per noi sapere che coloro chehanno costruito l’Italia moderna siano stati in parteispirati dalla nostra esperienza, così come noi primaeravamo stati in parte ispirati dalla vecchia Italia.Per quanto l’Italia moderna abbia solo un secolo divita, la cultura e la storia della penisola italianavanno indietro di oltre duemila anni. La civiltà oc-cidentale come la conosciamo oggi, le cui tradizionie valori spirituali hanno dato grande significato allavita occidentale in Europa dell’Ovest e nella comu-nità Atlantica, nata sulle rive del Tevere. A questoruolo storico della civiltà italiana dobbiamo ag-

giungere il contributo dimilioni di italiani che sonovenuti nel nostro Paese harafforzarlo, a farne la lorocasa e diventarne cittadinidi valore.Nel grande anniversariodel 1961 vediamo che an-cora una volta forze nuovee potenti tornano a sfidarele idee su cui si fondano sial’Italia che gli Stati Uniti.Se dobbiamo affrontarequesta nuova sfida, dob-biamo mostrare ai nostripopoli e al mondo che ci

guarda, che chi è disposto ad agire nella tradizionedi Mazzini, Cavour e Garibaldi, come di Lincoln eWashington, può portare agli uomini una vita piùricca e più piena.Questo è l’obiettivo del nuovo Risorgimento, unnuovo risveglio delle aspirazioni più antiche dell’es-sere umano per la libertà e il progresso, e la fiaccolaaccesa nell’antica Torino un secolo fa guida la lottadegli uomini dovunque: in Italia, negli Stati Uniti,in tutto il mondo intorno a noi.

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Sempre ho sentito Venezia in una particolarecondizione di spleen, come nell’inesorabileincipit di Baudelaire da Les fleurs du mal, lecinque strofe martellanti di alessandrini:

Quand le ciel bas et lourd pèse comme un couvercleSur l'esprit gémissant en proie aux longs ennuis,Et que de l'horizon embrassant tout le cercleIl nous verse un jour noir plus triste que les nuits.E poi, quando la terra cambia in umida cella, ove laSperanza come pipistrello sbatte l’ala contro i murie picchia la testa contro il fradicio soffitto, quando lapioggia con le sue immense strisce (Oh! le cinquelinee di pianto di Il pleut di Apollinaire nei suoi Cal-ligrammes) imita le sbarre di una vasta prigione, e ri-pugnante popolo muto di ragni tende reti dentro inostri cervelli ed esplodono urli spaventosi di cam-pane, e spiriti vaganti e senza patria gemono osti-nati,

— Et de longs corbillards, sans tambours ni musique,

Défilent lentement dans mon âme; l'Espoir,

Vaincu, pleure, et l'Angoisse atroce, despotique,

Sur mon crâne incliné plante son drapeau noir.

O forse mi ha steso il suo velo bigio la Malinconia diquei temi struggenti che hanno accompagnato iprimi abbandoni giovanili, quell’Adagio in sol mi-nore (Mi 26) che Remo Giazzotto restituì o verosi-milmente inventò spacciandolo per frammenti di untema di Tommaso Albinoni oppure quell’Anonimoveneziano (1970, l’anno in cui esplose il cult movieLove Story, soggetto di Erich Segal, tema di FrancisLai) che ha inondato le sale cinematografiche di la-crime con la tragica storia di Giuseppe Berto, rivis-suta da Florinda Bolkan e Tony Musante e scanditadal Concerto in Do minore per oboe, archi e bassocontinuo del veneziano Benedetto Marcello. A risa-lire indietro ai diciassette anni quando incontrai il

Oh! Venezia dell’anima!di Carmelo Fucarino

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Goldoni con i suoi tristi amori e con le sue languideinvenzioni, dove anche Arlecchino stillava tristezzaper le sue allucinazioni di servo eternamente in de-bito con la pancia.Perciò mi ha sorpreso questa Venezia dei primi diluglio, abbagliante e stordente nello splendore delleonde ribollenti del Canal Grande, nell’allegria dellebrigate di turisti che l’hanno letteralmente invasa.Così lungo il suo corso quei palazzi dai nomi glo-riosi (ben 170 residenze nobiliari) mi son venuti in-contro come persone a me note per lunga e affabileconnivenza e mi hanno comunicato la pienezzadella loro felicità. È impossibile nominarli tutti, soloqualcuno più nobile, anche con il rischio di dovuti ri-sentimenti: se solo chiamo a destra la Ca’ Pesaro, laCa’ Foscari, la Ca’ Rezzonico, a sinistra la gotica Ca’d’oro, il Palazzo Mocenigo, il Palazzo Grassi, la Ca’Giustinian, gli altri mi gridano i loro nomi gloriosi,

perché tutta Venezia è un’infinita vetrina, fino alla.magnifica pescheria e al suk del mercato. E i ponti,possenti o semplici ponticelli, i noti e gli sconosciuti,l’ultimo arrivato, il chiacchierato Ponte della Costi-tuzione di Santiago Calatrava (2008), possente e in-gombrante culturalmente e tecnicamente. Proprioieri in TV si parlava di spostamenti continui e si met-teva in dubbio la futura stabilità per errore di cal-coli. Poi l’agile merletto di Ponte degli Scalzi el’arcata lignea di Ponte dell’Accademia, eretta prov-visoria in 37 giorni nel 1933 fascista e rimasta tale,si fa per dire, fra tutti il capolavoro universale diRialto, nel suo slancio sublime verso il cielo, che, se-condo me, la vince sul fiorentino Ponte Vecchio, unastradina di bottegucce sull’acqua.In questa solenne toccata e fuga nella città non misono negato la regata (e poteva non essere deludentein nome della spremitura del turista?) con il gondo-

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liere guida da generazioni di antenati. Ho incrociatogondole tronfie di fregi e dorature, ove per la deliziadi tedeschi e giapponesi un complesso di chitarre emandolini strimpellava stornellate e un cantante inun improbabile costume veneziano intonava a pruaal lamento di una fisarmonica addirittura Marechiaro e ‘O sole mio. E la traversata della lagunaesterna, passando per l’Arsenale, e per concluderele vie d’acqua l’aliscafo fino al Terminal aereo inmezzo a Murano e Burano e sperduti e misteriosiisolotti. Tuttavia furono gli incontri casuali quelli che mihanno inondato l’anima di pienezza. In quel piccoloCampo San Fantin la modesta facciata non pro-metteva grandi sorprese. L’esaltazione della celerericostruzione, dall’incendio del 29 gennaio 1996 al-l’inaugurazione di Muti il 14 dicembre 2003, invi-tava alla visita. Qui, il grande choc, si può assisterealle prove del Sogno di una notte di mezza estate (AMidsummer Night’s Dream) di Shakespeare conmusiche di scena per soli, coro e orchestra di Felix

Mendelssohn-Bartholdy. Portato per mano dallaguida audio l’ingresso nello stordente Palco Realeche si è spalancato su quel capolavoro delle sala, ilmiracolo scenico dei palchetti, il cielo di paradisodel soffitto. Un incanto che ti prende l’anima e faringraziare Dio di aver dato all’uomo questa scin-tilla di divino. Non mi disturba la recitazione soprale righe del giovane attore, stoppato dal direttoreGabriele Ferro, mi distraggo anzi nella ripetizionedi passi citati con numeri di scena, mi avvincono ipassaggi dalla recita allo scoppio dell’orchestra alcompleto, all’intervento del soprano Elena Monti.La mia fantasia si perde in quel cielo del soffitto e lafavola delle nozze di Teseo e dell’amazzone Ippolitami giunge a sprazzi mischiata alla vicenda paralleladell’amore di Demetrio e Lisandro per Ermia e lasua fuga nel bosco. È il momento del re degli elfiOberon e della regina delle fate Titania, e poi degliartigiani che vogliono provare la vicenda di Piramoe Tisbe. Non è chiaro se è la musica a prevalere o lavoce recitante. Ce n’è abbastanza per non ascoltare

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i gridi e i miagolii dei giovani inter-preti e seguire i mille fantasmi che siaggirano su quelle scene immortali.Lungo il Canal Grande invita ad unasosta l’insegna del celebre Casinòmunicipale. Sul retro nella strettacalle Nuova un’entrata e un’epigrafeche scompiglia ricordi palermitani, ilGrand Hotel et des Palmes e l’epi-grafe in via Wagner per la conclu-sione del Parsifal nel 1881, qui inveceil sipario che cala con il fulminanteinfarto: «A Riccardo Wagner mortofra queste mura il 13 febbraio 1883».Altra sorpresa andando per campi eponticelli un campanile di mattonirossi un po’ storto e una maestosafacciata nella Salizada San Geremia.È la chiesa dedicata a S. Geremia e,sorpresa, anche a Santa Lucia. Nelmio immaginario la Santa della vistasi identificava con Siracusa, la Santadella Luce che cadeva intorno al sol-stizio d’inverno,oggi il 13 dicembreper effetto del calendario gregoriano,festa solare antichissima come l’Ha-nukkah ebraica. Sull’altare maggiorela sua urna, il corpo offerto agli indi-screti voyeur da dietro l’altare, soloscoperti e mummificati i piedi, il pic-colo corpo di una bambina. E la curiosa, lunga storia di quellemisere spoglie, da Siracusa allora bi-zantina il periglioso viaggio fino aCostantinopoli, ove rimane per annisegno di venerazione, poi la celebre IV Crociata ve-neziana e il dominio sulla città (1204-1261) fino alsaccheggio e altro difficile viaggio verso la laguna,sull’isola di S. Giorgio Maggiore. Nel 1279 in seguitoal naufragio di pellegrini nuovo trasferimento nellachiesa di Cannareggio a lei dedicata e forse ristrut-turata da Andrea Palladio. Napoleone nel 1805 sop-prime l’ordine delle Serve di Maria che lacustodivano. L’editto del sacrilego generale fu nullase si pensa alla sorte che l’attendeva. Era destino che

le sue spoglie non trovassero pace. Per costruire lanuova stazione ferroviaria la chiesa fu demolita tra il1861 e il 1863 (il nostro teatro Massimo atterriscecon dicerie di fantasmi di suore) e il suo corpo fu an-cora traslato e ospitato nella chiesa già di S. Gere-mia. Avrebbe rivisto la sua Siracusa nel dicembredel 2004, ma soltanto per sette giorni, una celere vi-sita per il 17° centenario del martirio.E la fiumana con protesi di valigie carrellate, visi ditutti i colori in fogge turistiche di massa, lombrico sno-dantesi senza interruzione da e verso piazza S. Marco,

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gioiello composito di stili, dal merletto di piani dellafacciata, allo scempio prospettico dello storto campa-nile rosso, al campanile dell’orologio, alle due possenticolonne del Leone, il tetramorfo, forse primitiva Chi-mera, e di San Todaro, il primo patrono (ora mi sov-viene del “sor brontolon” goldoniano), il bizantinoTeodoro (“dono di Dio”) che trafigge il drago, — laterza colonna scomparve in mare con la nave. Per ru-berie coloniali la Serenissima fu in piccolo maestra diLondra, oltre alle colonne e al leone, giunsero i ca-valli della quadriga asportati dall’ippodromo di Co-stantinopoli e collocati in un luogo anomalo e a loroestraneo. Accanto il mio luogo della mente, la caraMarciana, a me familiare per le sigle dei suoi codicigreci, i preziosi codici dei tragici. E svoltando l’angoloil luogo degli incontri culturali, il mitico Caffè Flo-rian, ove risuona ancora la voce del Giacomo, il se-duttore per antonomasia che ammaliava le putee, di

Goldoni che creava le sue damine incipriate (lo mi-sero in posa in Campo S. Bartolomeo con cappello ebastone), Gaspare e Carlo Gozzi che divagava conl’esotica Turandot, e Parini e Pellico e Byron e Foscoloe Goethe e Dickens e il Gabriele D’Annunzio e millealtri affascinati dalle mitiche sale, ignoti come me. E all’altro lato altro luogo del mito, la riva degli Schia-voni, e il merletto del rosso Danieli. E unico, il Pontedei Sospiri, sito dell’immaginario amoroso, il più“scattato” dal Ponte della Paglia e ricreato in stile (aCambridge, a Oxford, a New York al MetLife Tower),attraverso le cui grate si diceva che i carcerati vedes-sero per l’ultima volta il cielo (visuale assente dall’in-terno), passando dalle Prigioni Nuove agli uffici degliInquisitori. Le prospettive della storia, in atto funzio-nali nella vista di un riquadro incorniciato da un im-menso cartellone azzurro tra i due monumenti, iltributo da pagare al regno assoluto del consumismo,

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per un contributo al restauro dato da una collezionedi orologi giocattolo (traduco) alla moda e di costoadeguato alle pietre e ai minerali usati. Così una fac-ciata di piazza S. Marco celata dietro un’altra im-mensa reclame. L’alibi: lo sponsor che nasconde iponteggi. Si può? E ci saranno limiti ai diktat del mer-cato? Meglio i milioni di maschere di ogni tipo, dapiccole spille a preziosi monili, lussuosi abiti d’epoca,uno splendore di colori di un’età rivissuta nel vorticedel commercio. Fino al Pinocchio dinoccolato che unmagrebino ha regalato al suo bambino felice. Perchéil Carnevale è Venezia, ancora oggi, nonostante lafesta turistica, di borghesi e di ricchi, sempre frescodella sua antichità. Il gondoliere mi additò un palaz-zetto rosso e mi narrò di leggende sull’origine del Car-nevale in un ballo in quella casa. Ed io ho ritrovato nelSestiere di S. Marco il Ponte dei Barcaioli o del Cuo-ridoro e ho letto l’epigrafe a Morzart, quindicenne,

ospite di amici, in quella casa ove «soggiornò feste-volmente durante il carnevale 1771», il fanciullo «nelquale la grazia del genio musicale e il garbo settecen-tesco si fusero in una purissima poesia» (II Centena-rio 1971).Alla fine in una sera visitata dalla luna, la profana-zione del mostruoso transatlantico che sconvolge ilsuo ventre: scivolava davanti la galera finta e mi op-primeva la mole di un mostro lussuoso di dodicipiani, che si annunciava come un museo galleg-giante con centinaia di quadri di autore, ma pursempre fuori posto, mentre un altro sostava sfavil-lante nel Canal. Cosa non si fa per il dollaro, anchel’ignoranza dell’inquinamento acustico e ottico,salve pero le gradinate, proibite a poveri e mendi-canti, come alla Basilica del poverello di Assisi (or-dine del priore, all’interno c’è l’urna dove imbucarele offerte).

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Che siamo in Spagna ce lo ricordano legrandi sagome nere di tori che appaionoall’improvviso su un’altura o sul ciglio diuna delle ampie strade che offrono ai turi-

sti su quattro ruote un comodo accesso a realtà ur-bane e rurali di grande bellezza e varietàpaesaggistica. Dall’ampia meseta, per chi venga daMadrid diretto al nord, si passa ad un paesaggio ca-ratterizzato dallo snodarsi di fitte foreste, ondulati elussureggianti crinali, interrotti da improvvisi squarcidi mare che si fanno spettacolari man mano che siprocede ad ovest verso la costa atlantica Si affacciasul golfo di Biscaglia una terra che porta ancora isegni di un antico popolo che la abitò in epoca pre-romana, il mitico popolo dei Celti. Lo percepiamo dalsuono delle cornamuse che ci accompagna nel nostroviaggio con destinazione Santiago, meta ambita diviandanti e pellegrini che a piedi o in bici aspirano al-l’agognato abrazo dell’apostolo Giacomo, di cui siconservano per antica tradizione i resti mortali. Ce loricordano i totem in pietra disseminati per lo più neicentri abitati e i granai costruiti su pilastri, gli horreos,che affiancano le case coloniche.Ce lo ricordano a Vitoria, capitale dei paesi ba-schi, i pittoreschi costumi indossati nei giorni fe-stivi dagli abitanti orgogliosi della loro identitàrappresentata dai copricapo schiacciati sul capo,le morbidissime scarpe in cuoio con lunghi laccilegati fin sotto il ginocchio e i variopinti fazzolettiallacciati al collo, ornamento di uomini, donne,bambini, fin dalla più tenera età.Non diverso è il contesto umano e ambientale se dallaSpagna ci si sposta in territorio francese, come nellavicina Bayonne. Stessa gente ospitale, stessa cucina alsapore di mare, stessa caratterizzazione urbana, fattadi chiese dall’impronta gotica e piccolo artigianato lo-cale. Dal mondo di streghe e folletti che affollano lastoria dei luoghi dove pure la lingua si vuole distin-guere dalla ufficialità del castigliano, seguendo il cam-mino dei pellegrini, attraverso paesaggi mozzafiato siarriva all’imponente Santuario che in un tripudio diori, preziosi retabli e mirabili scenografie scultoreesegna il punto d’arrivo di ogni ricerca umana e delsuo insopprimibile anelito spirituale. Si rimane comefrastornati e sbigottiti da quello che appare un eccessoma che pur sembra giustificare e coronare il desideriodi una lunga ricerca.E’ la definitiva tappa di chi è vissuto per giorni, tal-volta per mesi, nella solitudine, nel silenzio, nella fa-

Un’altra Spagnadi Renata De Simone

Santiago-Danze davanti al santuario

Santiago, il Santuario

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tica di un cammino che richiede l’essenziale, lostretto necessario per affrontare la via, un bastoneper appoggiarsi, una borraccia per bere, una con-chiglia per la propria identità. Santiago è la gioiadell’arrivo, il delirio di ritrovarsi, di sciogliere final-mente ogni angoscia in un continuo, interminabilealleluia di canti, di balli, di bandiere, di abbracci e digirotondi in cui si incontra una variopinta, diversaeppur simile umanità che si riconosce uguale in quellunghissimo interminabile ed emozionante abbrac-cio. Emozionante fino alle lacrime che sono un tutt’unocon il riso e con la gioia, gioia della ritrovata e ri-scoperta identità umana.

Sul Cammino di Santiago La Conchiglia del Pellegrino

Noia - Il porto

Vitoria-Costumi Baschi

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Vi dirò, cari Amici del Vesprino, comein uno scambio di vedute che unasingolare vicenda si snoda ai nostriocchi attraverso più piani con il ro-

manzo di Rosa Maria Ponte Nel cuore dellanotte. Il merito di questo lavoro (compreso ilbel risultato editoriale attribuibile a “La Zisa”)va a una scrittura di tipo scenico corale dovutaa più campi o centri e condotta con tratti di in-dagine introspettiva di forte confidenzialità, avolte da diario inserito nel racconto e da ripercorrimenti diesperienze estesi o brevi, quasi dei flash.Proprio le esperienze sono la materia diretta presente quantorievocata lontana, che guizza nella memoria, ossia nella presadi coscienza e regìa di un “io” narrante più o meno “respon-sabile” dei fatti da muoversi complementarmente in terzapersona oltre alla sua (quella degli “altri”). Una coscienzaquesta che fluisce vigile, come un flusso che talora sembraautomatico per il gioco delle interruzioni in subitanea alter-nanza, da rendere problematica la esplicabilità razionale ditale vicenda, problematica in sé specie in virtù del taglio nar-rativo impresso. Quello di un ritmo cadenzato sui passi diWilde, con il gusto della citazione e insistita sempre sulla suastessa opera, quello di una tecnica spezzettata tesa sapiente-mente alla ricomposizione dell’unitario senso di vivere. Ecco, la regìa di scrittura porta un impianto strutturale e unesito stilistico di forte quanto discreto non invadente avvinci-mento. Più che mai qui si sente stretto il rapporto autore-let-tore, che quasi si sente medesimo o tutt’uno o solidale conl’autore, mentre dal canto suo l’autore si dispone con distaccopersino impersonale, fuori da sé nonostante l’appassiona-mento, da mettere in scacco chi leggendo crede di risolvere ilnucleo ampiamente disteso, lo spessore di non detto, di inco-gnita che dà sapore a questa scrittura, a questo romanzo.Ma è proprio un romanzo?Si capisce non tradizionale, malgrado le apparenze. Nonporta a una conclusione, non si svolge per passaggi chiarifi-catori dei vari episodi, non mostra cronologicamente e psi-cologicamente l’originarsi delle emozioni, non lega gli statid’animo preferendo rompere il meccanismo del prima e deldopo, e giustapporre i risultati emozionali. Romanzo apertoinvece, ben al di là della trama, romanzo a suo modo comediagnosi attraverso campionature, pezzi di mosaico che si ri-compongono in un quadro, dove ogni tranche è dell’interavita, tranche che cerca di essere colta nella sua interezza, nelsuo senso riposto.Cari Amici del Vesprino, continuando, proprio le emozioni,come le esperienze, sono la materia che si muove a un certopunto nel nostro animo, nella misura in cui sappiamo noi in-tenderle in questa scrittura. Qui scorre a pause e riprese lasuggestione del Principe felice di Oscar Wilde nel relativo rac-conto, appunto spezzettato, della Zia alla piccola Nipote, aBarbara che apprende l’infelicità e sofferenza del Principe, enon solo di lui (poi, la malattia e morte della Zia) sull’ondadella Memoria, che non è nostalgia bensì ripercorrimento

spesso amaro di esperienze proprie quanto al-trui, o proprie su quelle di altri e con altri, benoltre quindi le circostanze sul simbolico-allego-rico del Principe non più felice, semmai sullalunghezza d’onda degli stati d’animo volta avolta delusi, e alla fine mortificatori, nello slan-cio d’amore della Rondinella (si spezza il cuoredi piombo di lui, ma non meno quello vivo dellaRondinella, e poi quello di carne di Barbara). Così ci sono pure i piani rievocativi, una Memo-

ria come conoscenza, di questa Nipote ormai adulta che cercadi rintracciare la sua storia non solo su quella della Zia, senzanome, sul racconto fatto da lei, ma su quella del Principe edella Rondinella narratale appunto dalla Zia, per cogliere lapropria all’indietro, rivista in vari momenti con il suo compa-gno d’un tempo, Giulio, poi lasciato (per volere di lui, ancheper rifiuto da “ripiego” di lei). Piani di Attesa di un punto diarrivo che non c’è, esplicito. Che c’è, se vogliamo, in unaforma però di segreto. Nel «cuore della notte» giunge im-provviso l’ospite atteso/inatteso a svelare il mistero, l’incognitadella vita di lei amareggiata di aver detto a lui no, e fiduciosache lui in qualche modo le si annunci e riavvicini (come ladonna per il Tasso nell’Aminta, «Fugge, / e fuggendo vuol chealtri la giunga»). E c’è pure il senso della vita, l’Amore anchenel disagio e nella sofferenza, la Morte (simile al Sonno, nelmotivo di Wilde), la presa di consapevolezza graduale forseprogressiva verso quel chiarimento di sé, così desiderato. Qual è la verità, quale l’ospite, esso stesso simbolico, mameno allegorico e più vivo rappresentativo di quello del Prin-cipe? Quale il senso di un concludersi, se c’è, e dove? Forsenel cuore della coscienza, contravvenendo qui al principio didire ciò che non è detto nell’opera, e dovrebbe rimanere tale.Anche il lettore nella sua presa di posizione critica non do-vrebbe rinunciare al senso dell’ indicibile e del mistero, ma-gari solo fiutando e ipotizzando “soluzioni”, e rinunciandoinvece a facili epiloghi di trame svilite, ad effetto. Qui c’èl’interrogativo della Soglia e della Vita che non va visto intermini di impazienza e tiene invece un tempo di “pazienza”e di Attesa (Paul Valéry), una “sapienza” nel tumultuoso la-birinto dell’esistere nostro, che non centra l’obiettivo.La Soglia (di stati emozionali) come rileva Antonio Marto-rana secondo lo strutturalismo di Genette. Anche come pas-saggio (Lina Galli, con le sue poesie in Un Volto per sognare)vorrei dire a un’altra realtà più alta (Biagio Marin, con I cantide l’Isola e le prose in Gabbiano reale). Non meno così ilVolto delle cose (Rainer Maria Rilke, con in particolare Pontdu Carrousel, e Il cieco) direi, non facilmente decifrabili nellaloro “giusta” immagine, un’idea, più eidòla, un eidolon, unVolto insomma appropriato nell’ordine delle cose terrene.Oltre il terreno, l’arte, il sacro (del pensiero speculativo escientifico il più attento) non danno misure unicamenteumane e dicibili (in termini materiali), e riservano un’imma-gine senza volto (materiale), senza nome, figura “infigurabile”(Giordano Bruno). Riservano un messaggio con il suo signi-ficato da ravvisare.

Uno scenario inquieto verso la chiarezzadi Fabio Russo

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