numero anno quarantaquattresimo maggio 2015 · 2015-12-12 · empi di fraternità donne e uomini in...

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donne e uomini in ricerca e confronto comunitario empi di fraternità Spedizione in abbonamento postale art. 1, comma 2, D.L. 24/12/2003 n.353 conv. in L. 27/2/2004 n. 46 L'Editore si impegna a corrispondere il diritto di resa ISSN 1126-2710 5 numero anno quarantaquattresimo maggio 2015 ... ma la misericordia non è una metafora! Matteo 25, 14-45

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Spedizione in abbonamento postaleart. 1, comma 2, D.L. 24/12/2003 n.353conv. in L. 27/2/2004 n. 46L'Editore si impegna a corrispondere il diritto di resaISSN 1126-2710

5numeroanno

quarantaquattresimomaggio

2015

... ma la misericordianon è una metafora!

Matteo 25, 14-45

empi di fraternità

2 Maggio 2015

EDITORIALEG. Baratta - Giovani: un’altra politica è possibile .................. pag. 3CULTURE E RELIGIONIE. Vavassori - Vangelo secondo Matteo (33) ....................... pag. 6DOVE VA LA CHIESA CATTOLICA?S. Sbragia - Il “parlar chiaro” di papa Francesco ................ pag. 12G.M. - Giubileo: dal documento del papa... ........................... pag. 15M. Meschi - Teologia della misericordia e dell’umanità ........ pag. 16D. Pizzuti - A Papa Francesco voci da Scampia .................... pag. 17IL MONDO VISTO DAGLI OCCHI DEI GIOVANI ........... pag. 25

COSE DALL’ALTRO MONDOG. Monaca - Una voce dall’altro mondo ................................. pag. 20Fam. Ugolini - Pasqua ............................................................ pag. 22PAGINE APERTER. Orizzonti - Fare informazione dal carcere ......................... pag. 10L. Tussi - Per non dimenticare .............................................. pag. 18D. Dal Bon - ... e la speranza continua ... ............................. pag. 30POSTA DEI LETTORI ........................................................ pag. 28

ELOGIO DELLA FOLLIA ................................................... pag. 32

IN QUESTO NUMERO

Il periodico Tempi di Fraternità è in regime di copyleft: ciò significa che gli scritti (solotesto) possono essere liberamente riprodotti a condizione di non apportare tagli o modifiche,di citare l’autore, di indicare il nome della testata e di inviarne copia alla redazione.

Questo periodico è aperto a quanti desiderino collaborarvi ai sensi dell’art. 21 della Costituzionedella Repubblica italiana. La pubblicazione degli scritti è subordinata all’insindacabile giudiziodella Redazione; in ogni caso, non costituisce alcun rapporto di collaborazione con la testata e,quindi, deve intendersi prestata a titolo gratuito.Il materiale inviato alla redazione, anche se non pubblicato, non verrà restituito.

tempi di fraternitàdonne e uomini inricerca e confrontocomunitario

Fondato nel 1971da fra Elio Taretto

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Collettivo redazionale: Mario Arnoldi, GiorgioBianchi, Andreina Cafasso, Riccardo Cedolin,Daniele Dal Bon, Luciano Jolly, Danilo Minisini,Gianfranco Monaca, Davide Pelanda, GiovanniSarubbi.Hanno collaborato al numero: Giovanni Baratta,Comunità San Francesco Saverio Trento, ElisaLupano, Michele Meschi, Domenico Pizzuti,Ristretti Orizzonti, Sergio Sbragia, Laura Tussi,Famiglia Ugolini, Ernesto Vavassori.Direttrice responsabile: Angela Lano.Proprietà: Editrice Tempi di Fraternità soc. coop.Amministratore unico: Danilo Minisini.Segreteria e contabilità: Giorgio Saglietti.Diffusione: Giorgio Bianchi, Andreina Cafasso,Daniele Dal Bon, Pier Camillo Pizzamiglio.Composizione: Danilo Minisini.Correzione bozze: Carlo Berruti.Impaginazione e grafica: Riccardo Cedolin.Fotografie: Daniele Dal Bon.Web master: Rosario Citriniti.Stampa e spedizione: Comunecazione S.n.c.strada San Michele, 83 - 12042 Bra (CN)Sede:via Garibaldi,13 - 10122 Torinopresso Centro Studi Sereno Regis.Telefoni: 3474341767 - 0119573272Fax: 02700519 846Sito: http://www.tempidifraternita.it/e-mail: [email protected]

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QUANDO SI FA IL GIORNALEchiusura giugno-luglio 2015 6-05 ore 21:00chiusura agosto-sett. 2015 1-07 ore 21:00Il numero, stampato in 536 copie, è stato chiuso in

tipografia il 20.04.2015 e consegnato allePoste di Torino il 27.04.2015.Questa rivista è associata allaUNIONE STUNIONE STUNIONE STUNIONE STUNIONE STAMPAMPAMPAMPAMPA PERIODICA ITA PERIODICA ITA PERIODICA ITA PERIODICA ITA PERIODICA ITALIANALIANALIANALIANALIANAAAAA

Il più raro fioreNon solo i frutti maturi, anche i fiori sono belli.Se servano i fiori ai frutti o i frutti ai fiori chi lo sa?Il più prezioso, il più raro fioreè all’amico l’amico.Lontano o vicino, nella felicità o nell’infelicità,l’uomo riconosce nell’altrocolui che fedelmente aiuta alla libertà e a essere uomo.

Dietrich BonhoefferTeologo luterano ucciso nel campo di concentramentodi Flossenbürg il 9 aprile 1945

empi di fraternità

Maggio 2015 3

EDITORIALE

La disoccupazione è un grande problema delnostro paese; quella giovanile è una tragedia.I giovani sotto i 25 anni sono disoccupati al42,6%, quasi un giovane su due, mentre lamedia europea è al 21,1%. La disoccupazione

giovanile non diminuisce e anzi è in crescita.Anche i programmi “straordinari” tentati ultimamente,

come “Garanzia Giovani”, sono stati un fallimento o unflop, come amano scrivere i giornali.

Questo programma (Youth Guarantee) è il Piano Euro-peo per la lotta alla disoccupazione giovanile. Con que-sto obiettivo sono stati previsti finanziamenti per i PaesiMembri con tassi di disoccupazione superiori al 25%, egli investimenti consistono in politiche attive di orienta-mento, istruzione, formazione e inserimento al lavoro, asostegno dei giovani che non sono impegnati in un’atti-vità lavorativa, né inseriti in un percorso scolastico o for-mativo. In sinergia con la Raccomandazione europea del2013, l’Italia deve garantire ai giovani al di sotto dei 30anni un’offerta qualitativamente valida di lavoro, prose-guimento degli studi, apprendistato o tirocinio, entroquattro mesi dall’inizio della disoccupazione o dall’uscitadal sistema d’istruzione formale.

A quasi un anno di distanza dal lancio del programmaeuropeo (1,5 miliardi di euro) che - nelle intenzioni - avreb-be dovuto offrire un lavoro o un percorso formativo aicirca 2 milioni di giovani italiani senza impiego o appenausciti da università e scuole, irisultati sono modesti. Incifre appena 69.811 sono stati gli iscritti a Youth Guaran-tee ai quali è stata proposta un’opportunità. Su un totaledi 502.000 registrati, più della metà è ancora in attesa dieffettuare il colloquio conoscitivo in agenzie o centri perl’impiego. Bottino magro, senza dubbio. In Piemonte, su7.598 iscritti al progetto, sono 2.495 gli assunti e/o inse-riti in tirocini. Questo è meglio di niente, ma certamentenon è un successo se si considera che si tratta di tirocini e/o assunzioni con un forte contributo di fondi pubblici.

Anche il contratto a tutele crescenti previsto dal jobsact prevede forti sgravi fiscali. È presto per sapere sedarà dei risultati e cioè se, a fronte degli aiuti alle impre-se e di ulteriori liberalizzazioni del rapporto di lavorocon diminuzione di diritti, aumenteranno i posti di lavo-

ro e soprattutto i posti di lavoro a tempo indeterminato.È corretto però ricordare che garanzie e diritti per i gio-vani assunti negli ultimi anni già mancavano. Infatti lemolte possibilità di assunzione (a termine, a progetto, acollaborazione ecc.) le avevano azzerate.

Ciò che è certo è che negli ultimi anni i giovani in Ita-lia non riescono a progettare la loro vita: non avendo illavoro non hanno redditi adeguati per costruire, in auto-nomia, il proprio futuro.

Le politiche abitative poi, fatte a tutti i livelli nel no-stro Paese, prevedono un’unica soluzione, quella dell’ac-quisto, che con molti finanziamenti ed interventi legisla-tivi, è stato incentivato. Occorre prendere coscienza cheè cambiato il paradigma degli anni passati che prevede-va dei redditi sicuri, stabili, continui nello stesso posto dilavoro. Questo consentiva la possibilità, viste le garan-zie, di accedere ai mutui per l’acquisto della casa. Nonsarà più così. Ai giovani non solo viene offerto un lavorocon meno garanzie e con stipendi inferiori; viene anchechiesta la disponibilità a cambiare lavoro, la disponibili-tà a trasferirsi. Inoltre, non sono solo diminuiti i redditidei giovani, sono diminuiti i redditi di tutti; la ricchezzasi è ulteriormente concentrata nelle mani di pochi, i po-veri sono raddoppiati, e ormai tutti concordano sul fattoche non è prevedibile che tutto torni come prima, anchese, come tutti auspichiamo, questa pesante crisi verràsuperata.

È necessario cambiare le politiche abitative, cambian-do il punto di vista. Bisogna smettere di mettere al centroil “business” e sostituirlo con i bisogni delle persone. InItalia si è costruito molto, case ce ne sono tante, anchetroppe. È successo perché costruire è sempre stato ungrande affare, il cemento ha sempre messo d’accordo tutti,amministrazioni di destra e di sinistra, senza chiedersispesso a che cosa serviva costruire e per chi.

In Piemonte, ad esempio, a fronte di una popolazionein diminuzione, anche se lieve, negli ultimi anni tre anni,le abitazioni costruite sono aumentate e il loro utilizzodiminuito.In particolare dal 2000 al 2013 le abitazionisono passate da 2.328.109 a 2.762.892 e le famiglie da1.841.916 a 2.015.073 con una capacità di utilizzo caseche è passato dal 79,1% al 72,9%.

di Giovanni Baratta

GIOVANI: UN’ALTRA POLITICA È POSSIBILE

empi di fraternità

4 Maggio 2015

EDITORIALE

Poco prima di andare in stampa riceviamo la notizia della scomparsa del nostro amico e collaboratore Luciano Jolly,all’età di 83 anni. Negli ultimi mesi aveva avuto seri problemi di salute che, purtroppo, non ha potuto superare.Aveva portato nella redazione di Tempi di fraternità la sua esperienza di psicologo nell’ambiente della scuola,

predisponendo articoli e inchieste dedicate all’ambito giovanile.Ricordiamo il questionario "CHI È IL TUO DIO", rivolto ai ragazzi delle scuole medie superiori di Cuneo e dintorni,

che è stato pubblicato nel 2011.Ha collaborato con la prof. Susanna Picatto all’inchiesta sulla condizione giovanile pubblicata a fine 2014 e con Elisa

Lupano alla rubrica “Con gli occhi dei giovani”, in corso di pubblicazione.Lo ricordiamo con affetto, con questa sua bella, breve ed intensa poesia.

BREVITÀFiccante, la poesia:una luce nel crepuscoloimmagine lampanteparola che apre la via.Fuoco d’artificionei sotterranei del lettore.Brevità:Traccia di verità.Luciano Jolly

Diventa decisivo utilizzare il patrimonio di case privateesistenti. Certamente non è semplice perché intervenire sulprivato è particolarmente complicato, ma è possibile fare unapolitica che con incentivi, agevolazioni e pressioni fiscalifavorisca la messa sul mercato dei tanti alloggi vuoti, ovvia-mente a prezzi compatibili per i redditi che abbiamo descrit-to. Non mi dilungo sulle proposte, che in parte si stanno an-che praticando; è certo che con qualche modifica legislati-va, con il controllo degli abusi e delle tante irregolarità pre-senti nel mercato degli affitti e con interventi fiscali questapolitica abitativa sarebbe possibile.

Resta il problema del reddito. Per dare lavoro, e il sinda-cato tutto lo sostiene da tempo, non bastano sgravi fiscali,pure necessari, e diminuzione di garanzie, servono politicheindustriali, investimenti. Il Governo deve fare una politicaindustriale decidendo in quali settori nel nostro Paese è ne-cessario intervenire. Di una politica industriale seria, da moltianni, non si parla nemmeno.

Ma nell’attesa bisogna vivere. Ritengo assolutamente uti-le la proposta avanzata da molti di un reddito minimo garan-tito per tutti, o un reddito di dignità come lo chiama l’asso-ciazione “Libera” nella sua campagna. Scrive l’associazio-ne: “La povertà è la peggiore delle malattie che, in senso so-ciale, economico, ambientale e sanitario, colpiscono il paese.È necessario rimettere lotta alle povertà e welfare al centrodell’agenda politica, per costruire una risposta a problemiche riguardano la dignità e la libertà delle persone, di frontealle diseguaglianze che aumentano, a una povertà fuori con-trollo, con milioni di cittadini coinvolti, una crisi economicache vede il rafforzamento dell’economia criminale e del po-tere delle mafie. Essendo già alcuni disegni di legge in di-

scussione al Senato, chiediamo che in 100 giorni venga ca-lendarizzata, discussa e approvata in aula l’istituzione delReddito minimo o di cittadinanza”. Libera, con la partecipa-zione del BIN-Basic Encome Network e EAPN- EuropeanAntipoverty Network - Italia, promuove la campagna “100giorni per un reddito di dignità”, contro la povertà e le mafie,per chiedere al Parlamento di prendere una decisione impor-tante: si tratta di una misura prevista già da tutti i paesi euro-pei, con l’esclusione di Italia, Grecia e Bulgaria. È dal 16ottobre 2010 che il Parlamento Europeo ci chiede di varareuna legge che introduca un “reddito minimo, nella lotta con-tro la povertà e nella promozione di una società inclusiva”.

Sono passati cinque anni e nulla è successo. Il RedditoMinimo o di Cittadinanza - si legge nell’appello della cam-pagna di Libera - è un supporto al reddito che garantisce unarete di sicurezza per coloro che non possono lavorare o ac-cedere ad un lavoro in grado di garantire un reddito dignito-so o non possono accedere ai sistemi di sicurezza sociale(ammortizzatori socio-economici) perché li hanno esauriti(esodati, mobilità) o non ne hanno titolo o vi accedono inmisura tale da non superare la soglia di rischio di povertà.Questo reddito garantirebbe uno standard minimo di vita pergli individui e per i nuclei familiare di cui fanno parte chenon hanno adeguati strumenti di supporto economico.

Sono completamente d’accordo. Un reddito minimo, ac-compagnato dalle politiche abitative che ho descritto, con-sentirebbe a tutti coloro che sono in difficoltà, e anche aigiovani con lavori precari e redditi bassi, di accedere a unaabitazione e avviare un loro percorso di autonomia e un pro-getto di vita. Dobbiamo sapere che è possibile: serve la vo-lontà politica per realizzarlo.

RICORDO

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Maggio 2015 5

La notizia della morte di Ortensio da Spinetoli ciaddolora per la perdita di un testimone dellasperanza in una chiesa altra e di un fratello

impegnato per costruirla.Ha saputo conciliare il rigore della ricerca biblico-

teologica, a cui si è dedicato, con la disponibilità a con-dividerne i risultati con quanti hanno avuto occasionedi ascoltarlo e leggere i suoi scritti.

Lo ricordiamo in particolare per la sua relazione al-l’XI seminario “Né Padri né Maestri. Percorsi di auto-nomia e responsabilità”, del 1993 nella quale ci chia-mava a riflettere sul rischio delle religioni, ad esserestrumento di potere e di affermazione, e sulle tentazio-ni, per le gerarchie che le rappresentano, ad essere au-toritarie nell’esercizio delle loro funzioni.

Riportiamo nel seguito il ricordo scritto dalla Segreteria tecnica nazionale delle Comunità cristiane di base.

A questa consape-volezza si ispira la lettera da luiinviata a papa Francesco, per invocare un atto di ricon-ciliazione con tutti quei preti, teologi, religiosi, laici,donne e uomini di fede che hanno subìto il clima auto-ritario e repressivo seguito agli anni del fermento postconciliare.

In questa prospettiva di tenace fiducia nella possibilitàche possa costruirsi una Chiesa altra lo ricorderanno leCdb che di tale costruzione hanno fatto il loro obiettivo.

Massimiliano Tosato - Segreteria tecnica nazionaledelle Comunità cristiane di basevia Ferrarese, 4 - 40128 Bologna - www.cdbitalia.org

Cdbitalia - Comunità cristiane di baseUn altro amico ci ha lasciati

La lettera al papa di Ortensio può essere consultata sul sito seguente:http://www.adistaonline.it/index.php?op=articolo&id=54774

RICORDO

La testimonianza di Gesù è sempre la provocazione più sconvolgente che la storia possa registraree il vangelo non è un libro devozionale ma rivoluzionario.Se lo si prende sul serio non si può rimanere a dormire nelle chiese o nei conventi, ma si diventaperturbatori dell’ordine ingiustamente costituito...

Questo Gesù sconosciuto o dimenticato, innanzitutto uomo tra gli uomini, dovrebbe riprendere il suoposto nella vita degli individui e della società se si vuole che la storia di ciascuno e di tutti possacambiare.

Dall’articolo “In Cristo c’è una novità per ogni uomo”Tempi di fraternità - agosto-settembre 1996

Ortensio, un amico, un fratello

Martedì 31 marzo, al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Civitanova Marche, è improvvisamente deceduto,per emorragia cerebrale, fr. ORTENSIO da Spinetoli (alla nascita Nazzareno Urbanelli), all’età di quasi90 anni. Importante collaboratore di Tempi di Fraternità, ricordiamo i suoi articoli sempre acuti e personali.

I suoi contributi sono pervenuti in redazione fino al 2010, quando l’età gliha impedito di continuare la collaborazione.

Abbiamo conosciuto Ortensio grazie a Elio Taretto, lo abbiamo invitato piùvolte agli incontri di Albugnano: fin quando le forze lo hanno sostenuto hasempre detto sì.

Ci ha colpito la sua disponibilità, la pazienza, l’attenzione alle persone.Molti di noi hanno in seguito mantenuto un’amicizia personale che hannoconsiderato un bene prezioso.

Al di là dello studioso, del biblista e teologo che non è sceso a compromessi,del profeta che ha pagato di persona, lo vogliamo ricordare e rimpiangere perla sua umanità, umanità che è segno dei figli di Dio.

Alcuni interventi di Ortensio sono presenti sul sito del giornale:www.tempidifraternita.it/archivio/ortensioweb/ortensio.htm

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6 Maggio 2015

SERVIZIO BIBLICO

di ErnestoVavassori

a cura diGermana Pene

Kata Matthaion Euangelion (33)

Vangelo secondo Matteo

Mt 8, 5-13

Mentre ai versetti precedenti Gesù havoluto presentare l’emarginato al-l’interno della società di Israele, ora

ci mostra un pagano, che rappresenta l’emargi-nato esterno alla comunità di Israele, l’extra-comunitario di allora.

Richiamiamo ancora una volta il contesto incui siamo: Gesù, nel discorso della montagna,presenta il suo programma, tutto centrato sul-l’amore di Dio per l’umanità; una volta scesodalla montagna, Gesù mette in pratica questoprogramma, che, se viene accolto, consenteall’uomo di effettuare una nuova liberazione,sulla falsariga dell’Esodo di Dio con Mosè, main una maniera completamente nuova. MentreMosè, collaborando con Dio, per liberare ilpopolo, compie dieci azioni che portano mor-te e distruzione contro gli avversari e i nemici(piaghe d’Egitto) Matteo presenta Gesù checompirà sì dieci azioni (in relazione alle pia-ghe egiziane) ma anziché comunicare morte edistruzione trasmettono vita pure ai nemici e allepersone che vengono considerate, dal credo re-ligioso, come peccatori e maledetti da Dio.

Per questo il primo incontro di Gesù scesodal monte è con il peccatore per eccellenza, illebbroso, malattia che solo Dio poteva guari-re, perché veniva chiamata lebbra qualunque

malattia della pelle, quindi capitava che qual-cuno guariva e doveva rispettare le prescrizio-ni rituali.

Ora Gesù incontra un pagano, cioè il rap-presentante di tutti coloro che sono esclusidalla salvezza, non appartenendo alla promes-sa di Abramo, e vedremo che costui è doppia-mente impuro. Matteo ci propone due oppo-sti: la salvezza per un figlio di Abramo (il leb-broso), e per qualcuno che non appartiene alpopolo eletto, il centurione.

Entrato in CafarnaoEra un posto di frontiera, sorvegliato da unaguarnigione militare, un luogo doganale, doveGesù aveva una casa (lo sappiamo proprio dalvangelo di Matteo). Gesù ha abbandonato Na-zareth, sulla montagna, ed è sceso a Cafarnao,in riva al lago di Tiberiade e lì ha preso casa;ma come non era stato né accolto né capito aNazareth, così pure non gli andrà bene nean-che a Cafarnao, dove nessuno crederà in lui; equesto perché il messaggio che Gesù porta siscontra con una tradizione religiosa radicatanel sangue della gente.

È un po’ quello che succede anche a noi, difronte al messaggio di Gesù. L’idea di Dio cheabbiamo radicata dentro fa a pugni con l’im-

“Entrato in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo supplicava: «Signore,il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente». Gesù gli rispose: «Ioverrò e lo curerò».Ma il centurione riprese: «Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto,di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch’io, che sono unsubalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Va’, ed egli va; e a un altro: Vieni, edegli viene; e al mio servo: Fa’ questo, ed egli lo fa».All’udire ciò, Gesù ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: «In verità vidico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande. Ora vi dico che moltiverranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco eGiacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelletenebre, ove sarà pianto e stridore di denti». E Gesù disse al centurione: «Va’, ecome hai creduto avvenga a te». In quell’istante il servo guarì.”

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Maggio 2015 7

SERVIZIO BIBLICO

magine di Dio che Gesù è venuto a portare e che ha incar-nato. Questo è il difficile per ogni essere umano: passaredall’idea di Dio che l’essere umano si fa al Dio che Gesù hareso vivo nella sua carne. È questo il peccato originale, cheè originale nel senso che è all’origine, al fondamento dellastruttura stessa dell’essere umano: questa idea di Dio, senti-to un po’ come l’avversario, il contendente, che è lì per ru-barci qualcosa che ci appartiene, un po’ della nostra libertà,felicità. Per questa ragione, passare dall’idea di Dio cheabbiamo dentro, nel dna, al Dio di Gesù, è tutto il percorsoche dobbiamo fare e che il Vangelo chiama conversione.

Conversione non è fare qualcosa in più di quello che sifaceva prima, aumentare preghiere, riti, pratiche religiose,stili di vita, il diventare un po’ più buoni... ma conversioneè cambiare radicalmente la propria idea di Dio. È chiaroche, se cambio la mia idea di Dio, ne consegue che cambioanche il mio stile di vita, ma ciò che è determinante nellaconversione è l’idea di Dio.

Qual è allora il Dio di Gesù? Matteo ce lo indica con unatrovata stilistica. Infatti, in questi brani, c’è un entrare pro-gressivo di Gesù: scende dal monte, entra in una città, e,nel prossimo episodio, entrerà in una casa; c’è un progres-sivo inserirsi di Gesù nel cuore della vita degli uomini,perché lui non è il Dio del tempio, verso il quale bisognaandare e solo chi ne è degno lo può avvicinare, ma è il Dioche abbandona la montagna (nel simbolismo biblico è ladimensione abitativa del divino1) e scende dentro la quoti-dianità della vita, è il Dio della relazione interpersonale.Non assorbiremo mai abbastanza questo: la quotidianitàdella presenza di Dio nella nostra vita. Il Dio di Gesù ècosì, è il Dio del quotidiano, un Dio casalingo, a comincia-re da quell’immagine molto bella che ritorna ogni anno eche è quella della nascita storica di Gesù. Nasce nella par-te più riposta della casa, là dove la donna collocava il pane,nella mangiatoia; infatti, il termine greco che usa l’evan-gelista Luca significa proprio il luogo dove veniva ripostoil pane. È stato poi san Francesco a inventarsi la paglia congli animali intorno, ma nel vangelo non c’è scritto questo.Gesù è il Dio quotidiano, il pane, il Dio che diventa la vitadi tutti i giorni.

Questo è molto importante, perché poi al termine dellasua vita Gesù, per lasciare memoria di sé, lascerà un pane,dicendo: «Prendete e mangiate; questo è il mio corpo»2.

Gli venne incontro un centurioneÈ un ufficiale subalterno, che comanda la guarnigione chepresidia Cafarnao, è un pagano, impuro quindi, al serviziodel dominatore romano, quindi doppiamente impuro (pro-babilmente siriano, perché i Romani reclutavano la mag-gior parte dei soldati dall’attuale Siria). C’erano anche uncerto numero di italiani, fra cui il centurione Cornelio, re-sponsabile della conversione di Pietro. I pagani erano con-siderati esclusi dalla salvezza, e nel diritto ebraico dell’epo-ca si distingueva tra omicidio e malicidio: omicidio era

uccidere un giudeo, malicidio invece uccidere un pagano(quindi togliere un male), quindi né un peccato né un reatoma qualcosa di positivo; e nella speranza giudaica era atte-sa la sottomissione di tutti i pagani al Tempio di Gerusa-lemme, come leggiamo in Isaia:

“Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore saràeretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; ad essoaffluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno:«Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio diGiacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo cammina-re per i suoi sentieri». Poiché da Sion uscirà la legge e daGerusalemme la parola del Signore”3. Poi il testo continuacon quell’immagine che la liturgia usa nel tempo di Natale eche noi interpretiamo come la conferma per il romanticismodei nostri presepi: “Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dro-medari di Madian e di Efa, tutti verranno da Saba, portan-do oro e incenso e proclamando le glorie del Signore”4, main realtà il profeta si riferisce a quest’idea che aveva Israeledi sottomissione di tutti i popoli pagani.

Nella speranza giudaica c’era quest’attesa e al tempo diGesù questa sottomissione veniva interpretata nel senso didistruzione; infatti, anche il Battista aveva ancora in testaquest’idea, perciò andrà in crisi anche lui di fronte a Gesùe dovrà compiere la sua conversione. Gesù, quindi, qui in-contra un nemico del popolo e un pagano.

Lo supplicava: «Signore, il mio servo giace in casa pa-ralizzato e soffre terribilmente»Il termine “servo” si potrebbe tradurre con “garzone”, cioèuno alla completa dipendenza. Notiamo come il centurio-ne sa tutto della attività di Gesù, delle sue azioni benefi-che, anche lui supera i pregiudizi religiosi e va incontro aun giudeo per chiedergli un aiuto.

Come Gesù, incontrato il lebbroso, non lo cacciò, così alcenturione risponde: “Io verrò e lo curerò”.

A noi questa immediatezza di Gesù non dice molto oggi,ma basta pensare alla resistenza che fece Pietro ad andarenella casa del centurione Cornelio che lo aveva fatto chia-mare5 (e siamo già dopo la risurrezione di Gesù, sono pas-sati alcuni decenni), e ritornano in campo subito le separa-zioni, le differenze create dalla religione, dalla morale, dallarazza e dai nazionalismi. Se, dunque, pensiamo alle resi-stenze che Pietro aveva ancora dentro di sé, riusciamo acapire il senso dell’immediatezza con cui Gesù va al di làdei pregiudizi, delle resistenze, delle paure che c’eranonell’aria. Il centurione supera il pregiudizio di un paganoverso un giudeo, ma anche Gesù non ha mai pensato unattimo ad andare al di là di ciò che la cultura religiosa deltempo dava come schema di comportamento: i pregiudizicreati dalla religione, dalla morale, dalla razza e dai nazio-nalismi.

Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tettoÈ molto brutto che questa espressione, in bocca ad un pa-

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8 Maggio 2015

SERVIZIO BIBLICO

gano e rivolta a Gesù, che risente di una mentalità religio-sa che non ha nulla a che vedere con il messaggio di Gesù,sia stata inserita nella celebrazione eucaristica, prima dellacomunione.

Il centurione capisce che non è bene che un ebreo entrinella casa di un pagano, perché poi diventa anche lui im-puro, e gli chiede di dire solo una parola.

La parola di Gesù è il suo messaggio che produce vita elui crede che la parola di Gesù possa portare vita, perchéc’è anche il precedente del lebbroso (“Lo voglio, sii purifi-cato”). Ha talmente fiducia in Gesù che riconosce comenon ci sia bisogno che Gesù vada da lui, perché è la suaparola, il suo messaggio, che è capace di guarire.

Poi ragiona da militare: anche lui è letteralmente “unuomo sotto autorità” e nella sua casa, dove giace questoservo paralizzato, tutto funziona secondo le parole di co-mando del loro padrone, tutti sono sottomessi ai suoi or-dini, nessuno si muove se non c’è il suo ordine (fai e lofa, vai e va), cioè il potere ha soltanto ordini che produ-cono poi la paralisi, cioè minano alla radice la libertà,l’autonomia delle persone; invece di renderle libere, ca-paci di camminare nella vita, le rendono persone esecu-trici di ordini, paralizzate dentro.

L’autorità di Gesù, invece, è un’autorità diversa da quelladi chi detiene il potere religioso (scribi) o politico/militare(centurione), perché è liberante. Autorità che gli aveva rico-nosciuto anche la gente alla sua discesa dal monte.

Udito, Gesù si meravigliò e disse... tale fedePer la prima volta, in Matteo, appare il tema della fede, eper la prima volta viene fatto l’elogio della fede, e non saràmai per un ebreo o un giudeo, ma sempre per i lontani daDio. È una caratteristica di tutti i Vangeli: più le personecredono di essere in contatto con il Signore, immersi in unambiente religioso, e più sono refrattarie alla fede in Gesù;più le persone sono lontane dai luoghi e dagli ambientireligiosi e sacrali, e più sono in grado di percepire Gesù e isuoi segni e di rispondervi prontamente. Questo ci dà uninsegnamento molto importante, spesso dimenticato daicristiani di oggi e cioè la fede non è un dono che Dio dàagli uomini, ma è la risposta a questo dono: lo dico perchéspesso giustifichiamo la nostra incredulità con l’espressio-ne che la fede, essendo un dono di Dio, a me potrebbe nonaverla data.

Il dono di Dio è il suo amore, che Dio rivolge a tutti quan-ti, e coloro che rispondono a questo amore si trovano dentroun atteggiamento di fede. La fede del centurione nasce comerisposta a questa disponibilità, che lui non si aspettava, diGesù di andare a casa sua a guarire il suo servo.

Più si è lontani dalla religione e più è possibile percepirela presenza di Gesù e i segni del suo amore.

Ma Gesù non si limita a elogiare il pagano, ma dà unavvertimento, più che mai attuale, che va preso in seriaconsiderazione dalle comunità cristiane di ogni tempo:

Ora vi dico che molti verranno dall’oriente... siederan-no a mensa nel regno dei cieliI pagani, dice Gesù, non solo non vanno sottomessi (comecredeva quell’autore fanatico del libro di Isaia 2,1ss. e60,1ss.) ma prenderanno il posto degli aventi diritto al ban-chetto della comunità di Dio. Gesù, che non era un prete,quando deve dare indicazioni del regno di Dio, non usamai linguaggio né immagini religiose (a differenza, ad es.di Ezechiele, che, essendo un prete, immagina il regno diDio come il permanere di tutti nel tempio, con liturgie eincensi) ma lo paragona sovente all’unica festa del popoloche non aveva caratteristiche religiose, ed era il banchettodi nozze (che durava dai tre ai sette giorni).

Mentre i figli del regno... di dentiPer “I figli del regno” s’intende gli aventi diritto, gli ebrei,che pensavano che, per il fatto di essere i discendenti diAbramo, Isacco e Giacobbe, avrebbero avuto il posto ga-rantito a questo banchetto.

Gesù dice no: attenti che quelli che voi, in nome di Dio,tenete fuori, costoro hanno preso il vostro posto. Quellecategorie, che la comunità cristiana esclude dall’amore edal rapporto di Dio, per il loro comportamento religioso,morale, o altro, costoro ci precedono nella sfera dell’amo-re di Dio e ne sono già dentro, proprio in quanto esclusi, evoi che escludete ne siete esclusi.

Il primo escluso è Gesù, dal consesso umano, dalla Sto-ria, e la parabola della vita di Gesù, compresa la croce cheè il compimento di questa parabola, dice proprio questo,che nello schema che l’essere umano userà sempre per co-struire il suo convivere con gli altri, la civiltà, la cultura, lastoria di ogni tempo, la figura, l’umanità di quest’uomoche si chiamava Gesù di Nazareth, non ci sta dentro.

A volte rischiamo di immaginare che l’esperienza, laparabola della vita di Gesù sia stato un incidente di percor-so, avvenuto là, in quel momento storico, perché le condi-zioni erano quelle e quelle persone erano più stupide e cat-tive di noi, non erano così evoluti culturalmente, non ave-vano elaborato una gran teologia come poi abbiamo fattonoi, e allora… allora niente! Noi faremmo pari pari la stes-sa cosa! Gesù di Nazareth, con tutto quello che ha detto efatto e con quell’idea di Dio che aveva portato nella Storia,non sta in nessuno schema antropologico, cioè non sta innessuna cultura, non nel senso che non ci sia chi lo acco-glie, perché allora e anche oggi c’è chi lo accoglie, ma nonci sta nel senso ufficiale della parola, non può essere ac-colto in maniera ufficiale, non può stare al centro e al fon-damento della cultura, ma starà sempre fuori, nelle perife-rie dove veniva capito e accolto. Se uno lo accoglie vera-mente, infatti, se i detentori della cultura e chi vive dellacultura imperante accogliessero veramente quest’uomo, im-mediatamente si dovrebbero portare ai confini, in frontie-ra, perché verrebbero buttati in periferia e non potrebberopiù stare al centro, cioè al potere.

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Maggio 2015 9

SERVIZIO BIBLICO

Questa è la perenne rivoluzione che fa Gesù, in coloro ein quelle realtà che veramente lo accolgono.

Il pianto e lo stridore di denti è un’immagine presa dal-l’AT che indica il fallimento e l’esclusione; non sono mi-nacce da parte di Gesù, perché Gesù non minaccia mai, maaccoglie sempre, ma è un avvertimento: se voi escludetequalcuno da questo banchetto, proprio questo rende voiesclusi e la vostra vita è destinata al fallimento.

Questo avviene con i tempi storici, per cui può ancheesserci chi dice “mi basta vivere 70 anni, mi faccio gli af-fari miei, non sono escluso dal banchetto della Storia”; sìcerto se uno ragiona così, appiattito sul proprio ventre, nonvede altri che se stesso, ma se invece uno ha un orizzonteminimamente più ampio e ha dentro una sete diversa, capi-sce che non ha senso vivere così. Questo la Storia ce lo stadicendo in tutti i modi, chiedendoci di riflettere su dove ciha portati il nostro cosiddetto benessere... Se non sarà ditutti, se non troveremo il modo di sederci tutti al banchettodella vita, ne saremo tutti esclusi.

Mentre Gesù, in un crescendo di accoglienza, accoglietutti in nome di Dio e perché lui è Dio, occorre guardarsida coloro che, in nome di Dio, escludono persone dal suoamore, che pensano di possedere la conoscenza della vo-lontà di Dio, e si fanno forti del suo nome per eliminarepersone. Questo l’essere umano lo fa sempre. Infatti, lepeggiori nefandezze che l’uomo ha commesso e commettenella Storia sono in “nome di Dio”. Di questo i cristiani, inparticolare, non chiederanno mai abbastanza perdono, allaStoria prima che a Dio, o meglio a Dio dentro la Storia,perché le due cose non sono scindibili.

E Gesù disse al centurione: Va’, e come hai creduto av-venga a teChe strana espressione! È la stessa risposta che una ragaz-za quattordicenne di Nazareth, trovatasi in una situazioneparticolare, non voluta, darà all’angelo: “Avvenga di mesecondo la tua parola”.

Se Gesù fosse stato un pio ebreo, noi, da persone religio-se quali siamo, ci saremmo aspettati che gli dicesse: Ades-so convertiti, abbandona il tuo mondo pagano, andiamo unattimo qui al lago di Tiberiade, battèzzati, e diventa un cri-stiano, così vedrai che la tua vita sarà migliore.

È scandaloso per noi che Gesù non chieda mai a nessunodi convertirsi, in questo senso religioso, nemmeno al cen-turione lo chiede, e nemmeno di abbandonare il suo lavo-ro, che era un lavoro infame per un ebreo. Questa è un’al-tra caratteristica costante di Gesù: esprime il suo amorealle persone così come sono, anche quando svolgono un’at-tività che agli occhi della religione ufficiale è un’attivitàpeccaminosa, come quella del centurione, appunto, cosìcome quella dell’esattore delle tasse, Matteo detto Levi epoi Zaccheo.

E Matteo sottolinea che la guarigione del servo non èopera di Gesù ma della fede del centurione: come hai cre-

duto avvenga, appunto come Maria che disse: “Avvenga ame, secondo la tua parola”6.

In quella stessa ora fu guarito il servoIl centurione ha capito che è lui che deve andare dal suoservo, mettersi a servizio e rendersi disponibile; allora lì,quando avviene questo, le paralisi cominciano a scioglier-si, le relazioni riprendono, perché è cambiata la strutturarelazionale.

La fede è “l’ora” in cui si passa dalle tenebre alla luce,cioè da un modo di rapportarsi a un altro, in cui si cambiala struttura antropologica che sorregge la società, dove c’èchi dà ordini e chi deve solo ubbidire.

Chi è allora, qui, che guarisce? Guariscono tutti, perchéquando migliorano e cambiano le relazioni, guariscono tutti;infatti il primo paralitico è proprio colui che ha bisogno didare ordini per sentirsi qualcuno, per avere una consape-volezza di sé, il senso della propria dignità. Il centurione,quindi, era il primo paralizzato, solo che per renderseneconto è dovuto passare attraverso la paralisi dell’altro.

Questo è il dono, il regalo che ci fanno i poveri, coloroche noi assistiamo, aiutiamo. Essi sono coloro che, attra-verso la loro paralisi, ci fanno vedere la nostra e quindiliberarcene.

Questo episodio, in realtà, è la guarigione del centurionestesso, che da schiavo del proprio ruolo, diventa figlio efratello.

In un altro passaggio Gesù dirà:“I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il

potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voiperò non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventicome il più piccolo e chi governa come colui che serve.Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non èforse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voicome colui che serve”7.

Questo è il principio di ogni guarigione, il principio te-rapeutico di Gesù: “Tra voi non deve essere così”. Questadovrebbe essere la guarigione che dovremmo cercare diperseguire; infatti, se tenessimo presente, nel senso di vi-verlo, questo principio terapeutico, tutti i mali nella Chie-sa sarebbero guariti.

1 Il monte Sinai, era per gli ebrei il cuore di tutta l’identitàdi Israele come popolo. Il Sinai su cui Mosè riceve le ta-vole della Legge.

2 Mt 26,26.3 Is 2,2.4 Is 60,6.5 Atti 10,1ss.6 Lc 1,38.7 Lc 22, 25-27.

empi di fraternità

10 Maggio 2015

NELLE RISTRETTEZZE DELLE GALERE

a cura dellaredazionedi RistrettiOrizzonti

Rubrica a cura diRistretti OrizzontiDirettore:Ornella FaveroRedazione:Centro Studi diRistretti OrizzontiVia Citolo daPerugia n. 35 -35138 - Padovae-mail: [email protected]

Fare informazione dal carcere:una piccola libertà sempre a rischio

Fare informazione dalle carceri è dav-vero una sfida: perché significa cer-care di “aprire” il luogo più chiusoche esista; perché bisogna tentare difare una informazione onesta e ri-

spettosa delle regole proprio con le persone chesono lì dentro perché le regole non hanno sa-puto rispettarle; perché si deve cercare di par-lare con una società, che è sempre più impau-rita e incattivita, e lo si deve fare dando la pa-rola ai “cattivi”. I giornali dalle carceri com-battono ogni giorno per conquistarsi piccolispazi di libertà, e si difendono da soli con leunghie e con i denti, nella speranza che i “gior-nali veri” e l’Ordine dei giornalisti li “adotti-no” e li tutelino. E oggi c’è un giornale dalcarcere di Piacenza, Sosta Forzata, che ha bi-sogno di essere adottato perché sta rischiandodi essere messo a tacere per sempre.

Scrivere di e dal carcere può sembrareinutile, ma è terribilmente importante

In questi giorni, nelle riunioni giornaliere di“Ristretti Orizzonti”, abbiamo parlato di “So-sta Forzata”, il giornale del carcere di Piacen-za che è stato chiuso o sospeso, non si capiscebene, e non c’è neppure un motivo “ufficiale”.A me dispiace molto quando viene chiuso ungiornale scritto prevalentemente dai detenuti,provo tanta amarezza perché i giornali realiz-zati in carcere, nella maggioranza dei casi, sonotra i pochi che cercano di dare sulle carceriuna informazione equilibrata. E credo che sen-za di loro non si saprebbe quasi nulla di quelloche accade nelle nostre Patrie Galere. A volte inostri governanti ci rimproverano che nei de-tenuti non c’è abbastanza riflessione per i rea-ti commessi, ma spesso sono proprio loro checi imbavagliano perché “l’Assassino dei So-gni” (il carcere come lo chiamo io) sembra

abbia paura del prigioniero che legge, studia,pensa e soprattutto è terrorizzato se scrive perfare conoscere quello che accade dentro. Inquesto modo pochi sanno che in carcere nonsi sconta la sola privazione della libertà, già diper sé terribilmente brutta, ma si sconta la penain un ambiente spesso angusto e malsano, dovele condizioni igieniche sono a volte terribili;pochi sanno che si viene controllati anche inbagno, neppure lì esiste il diritto alla riserva-tezza; pochi sanno che in molte galere manca-no educatori, insegnanti, assistenti sociali innumero sufficiente, e le strutture sono fatiscen-ti, e la promiscuità è la regola. Pochi sannoche per i detenuti i rapporti con l’amministra-zione sono difficoltosi e davvero troppo “di-screzionali”, nel senso che ogni carcere è unmondo a sé.

Il giornale “Sosta Forzata”, in tutti questianni di vita, ha dato spesso voce e luce ai dete-nuti, senza deformare la realtà, e lo ha fattoper rivendicare giustizia, diritti e rispetto del-le regole. E lo ha fatto insieme ad altri giornalidalle carceri, anche per far sapere che il citta-dino prigioniero è spesso impotente di fronteall’Amministrazione, che ha sempre ragione,e lo è doppiamente se non ha una penna e unfoglio di carta dove scrivere per essere letto.

Il giornale “Sosta Forzata” ci ha sempre aiu-tati a fare conoscere l’illegalità che spesso re-gna in questi luoghi. E non dimentichiamo checi sono persino alcuni istituti dove ti proibi-scono ancora di stampare un fiore o una poesiaper tua figlia, o per la tua compagna, con il tuocomputer (capitava a me nel carcere di Nuoroanni fa). Queste “piccole” restrizioni ad alcunipotrebbero far sorridere, ma la vita di un pri-gioniero è fatta anche di cose “inutili”, senzale quali però la stessa esistenza non avrebbesenso. Purtroppo spesso nelle carceri ci si tro-

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Maggio 2015 11

NELLE RISTRETTEZZE DELLE GALERE

va dinanzi ad un potere smisurato e non si può fare nullaper cambiare il corso delle cose, e chi non accetta leregole del potere non può fare altro che soffrire, perchéin molti casi accade che il detenuto ha ragione ma hatorto in quanto detenuto, ed il custode ha torto ma haragione in quanto ha il potere di comandare.

Incredibilmente si vuole che il detenuto, in quantoprigioniero, accetti di non avere voce, perché si vuoleche i prigionieri siano sempre e soltanto ciò che il car-cere li farà essere. Eppure molti di noi hanno tanto datrasmettere e possono far sapere che in carcere convi-vono dolore, prostrazione, fede, abbandono, odio, pen-timento, talvolta brutalità, ma c’è anche un senso infi-nito di umanità e la possibilità che una vita rinasca.Scrivere di e dal carcere può sembrare inutile ma è ter-ribilmente importante che un detenuto possa farlo, per-ché la persona che non parla e non scrive perde la sualibertà proprio nel momento che spera di ottenerla standozitto. Non mi resta altro che ricordare che il carcerenon dovrebbe essere solo un luogo di punizione, madovrebbe anche essere un’occasione di recupero, do-vrebbe rieducare e aiutare chi ha sbagliato a reinserirsinella società, e lo potrebbe fare meglio dando voce aisuoi prigionieri. E sinceramente non capisco il sensodella condanna alla “pena di morte” di “Sosta Forzata”se non in una logica punitiva fine a se stessa. Da cattivoe colpevole per sempre mi permetto di lanciare un ap-pello ai vari direttori di giornali per invitarli a trasmet-tere solidarietà alla loro collega Carla Chiappini, diret-tore di “Sosta Forzata”, e chiedere che nel carcere diPiacenza non si stacchi la spina ad un piccolo giornaledi periferia che dava voce e luce a chi è in carcere.

Carmelo Musumeci

L’Italia, Paese poco educatoal valore dell’informazione

L’Italia, Paese poco educato al valore dell’informazio-ne: potrebbe sembrare un’affermazione provocatoria,se non fosse drammaticamente reale, potrebbe risulta-re, a qualcuno, di secondaria importanza se non inci-desse così profondamente nel nostro quotidiano, soprat-tutto nell’epoca di difficoltà che viviamo. Economica,sì, ma anche di riconoscimento di quei valori fonda-mentali su cui dovrebbe basarsi una democrazia mo-derna. Voglio partire da una storia di “provincia”, in uncerto senso “esemplare”. Succede nel carcere circon-dariale di Piacenza. Succede che il “giornale” dell’Isti-tuto, una voce a volte insostituibile per chi vive questotipo di realtà, da dicembre viene “sospeso” dalla dire-zione, costretto ad un “limbo” di silenzio. “Sosta For-zata”, questo è il nome del giornale pubblicato dallaredazione e dai detenuti/redattori del carcere di Piacen-za, ha una storia decennale. Una parte della società, dellacomunità viva di Piacenza, non può più narrare storie e

pezzi di vita che appartengono a tutti, ma che purtrop-po sono spesso sconosciuti o raccontati male, con sem-plificazioni, con luoghi comuni. Questa storia non fabene a nessuno… Se fossi un cittadino di Piacenza sa-rei profondamente dispiaciuto. Ma lo sono anche comedetenuto, comunque, e come cittadino italiano! Quan-do sono venuto a conoscenza di questa storia mi sonotornate in mente le parole del giornalista Mimmo Càn-dito, della Stampa, in un articolo del 12 febbraio 2015.Nell’analizzare la relazione tra il giornalismo ed il po-tere, il giornalista non nasconde, anzi, ammette chiara-mente come, pur esistendo norme ben precise che ga-rantiscono ampiamente il libero esercizio della profes-sione, nella pratica quotidiana questo viene quasi “si-stematicamente” ristretto dalla consuetudine (cattiva!)delle influenze “dalle minacce più o meno sussurrate,quando non da una repressione che ignora con arrogan-za il dettato costituzionale”. Non voglio credere che ilDipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria vo-glia “restringere” le possibilità per le persone detenutedi fare informazione, e del resto proprio il DAP di re-cente, in seguito ai fatti di cronaca che hanno portatoalla luce tutte le difficoltà e le criticità del sistema car-cerario italiano, ha proclamato una nuova linea di tra-sparenza nella gestione degli Istituti e dei detenuti. Bene,“Sosta Forzata” e la sua direttrice Carla Chiappini, macosì anche tutti i giornali pubblicati nelle redazioni del-le carceri italiane, possono davvero aiutare a persegui-re questa “trasparenza”.

L’ultimo rapporto di “Reporters sans Frontières” faprecipitare l’Italia al 73° posto della classifica mondia-le della libertà di stampa. Ben 9 paesi dell’Africa, quel-li che noi con arroganza chiamiamo “terzo mondo”, ven-gono prima dell’Italia (ultima anche in Europa). Nami-bia (17), Ghana (22), Sud Africa (39), Botswana (42),Burkina Faso (46), Niger (47), Mauritania (55), Sene-gal (71), possono dire di essere società più trasparentidi quella italiana…

Qualcuno potrebbe chiedersi quale influenza ha nellapropria vita la sopravvivenza o meno di questo “gior-nalino” di provincia, per giunta fatto in carcere dai de-tenuti. Ebbene, è come quando si parla della pace. Sì,forse farà sorridere un accostamento così altisonante,ma se pensiamo che la pace sia solo un tema da ONU enon la pratichiamo quotidianamente nella nostra fami-glia, con il nostro vicino, in auto, la società non riusciràmai a conquistarla. Così un valore di tale importanzaper la democrazia moderna, come la libertà di stampa ed’informazione, se non lo si vive, o meglio, non lo sisostiene fin dalle realtà più piccole e per forza di cosemeno “libere” di tutelarsi da sole, avendo la loro sedein un carcere, difficilmente potremo pretendere di vi-vere in una società più giusta e trasparente.

Gian Luca C.

empi di fraternità

12 Maggio 2015

DOVE VA LA CHIESA CATTOLICA ?

Ho avuto modo di leggere il docu-mento Purificare il tempio, cri-teri teologici per una riformadella Chiesa e della curia roma-na, pubblicato lo scorso 7 feb-

braio dal Prefetto della Sacra Congregazioneper la Santa Fede, card. Gerhard Ludwig Mül-ler [testo originale disponibile su http://www.osservatoreromano.va/it/news/purificare-il-tempio e su «Il Regno: Documenti», 60. (2005)06, p. 4-6].

Si tratta di un testo che merita di essere letto eanalizzato in profondità, che si pone in direttarelazione con il Discorso Il corpo curiale e lesue malattie di papa Francesco alla curia roma-na del 22 dicembre 2014, nel quale erano stateposte in evidenza con grande efficacia espres-siva le esigenze pastorali e paterne di curare lepiù gravi “malattie” presenti nel corpo dellacuria romana (anche se non esclusivamente inquesta). Non solo! Papa Francesco non avevaevitato di invitare paternamente a una chiaraazione collegiale per guarire e superare talimalattie e prevenirle per il futuro [testo integra-le del Discorso di papa Francesco consultabilesu http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2014/december/documents/papa-francesco_20141222_curia-romana.html ed èstato pubblicato anche su «Il Regno: Documen-ti», 60. (2005) 01, pp. 7-12].

L’appello natalizio di papa Francesco ci ave-va richiamato, con un linguaggio di alta ispi-razione e coinvolgente, ma allo stesso tempodecisamente chiaro, a inaugurare insieme uncammino di conversione e di adesione all’an-

nuncio della buona notizia della vicinanza delRegno di Dio. Un cammino da fare insieme,che chiede a tutti e a ciascuno di compiere au-tentici passi di conversione.

L’autorevole richiamo di papa Francesco hachiesto chiaramente di essere declinato in unaconcreta riforma della curia romana. E il card.Müller ha inteso proprio fornire un contributoautorevole, col quale ha tentato d’individuarei possibili criteri teologici che potrebbero pre-siedere alla sua realizzazione.

Non ho potuto tuttavia evitare di constata-re la sussistenza di un notevole iato tra il Di-scorso di papa Francesco e il Documento delcard. Müller. Pur avendo tagli molto diversi,investendo i due testi il tema comune dellariforma della curia, era da attendersi una so-stanziale concordanza. Mi sembra perciò giu-sto tentare di porre in luce la notevole distan-za che li separa.

Rapporto chiesa-mondoConcordo con il card. Müller che non è prati-cabile un isolamento della chiesa dal mondo,in una sorta di limbo spirituale disincarnato eallo stesso tempo è altrettanto certo che la lo-gica della chiesa non può essere la logica delmondo. Ma è anche vero che rifiuto della fugadel mondo e rifiuto della logica mondana nonesauriscono la relazione della chiesa con ilmondo. Sull’esempio di Gesù, noi suoi segua-ci, non possiamo non seguirlo lungo i sentieridella Giudèa e della Galilèa, che percorse chi-nandosi solidale sulle sofferenze e sulle lacri-me delle donne e degli uomini che incontrava

Il “parlar chiaro” di papa Francescoe i criteri teologici del card. Müller

di SergioSbragia

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Maggio 2015 13

DOVE VA LA CHIESA CATTOLICA ?

sul suo cammino, ma anche prendendo parte alle gioiegenuine del suo tempo, tanto da attribuirsi, sia pur conuna punta di polemica, l’appellativo di “mangione” e“beone” (cf. Mt. 11,19). La comunità ecclesiale è dun-que chiamata a vivere la lezione conciliare di condivi-dere le gioie e le speranze, ma anche il dolore e le lacri-me dell’umanità (cf. Gaudium et spes, 1). Non solo! Lachiesa è invitata anche a raccogliere la sfida di ricono-scere nella nostra realtà i numerosi semi del Verbo di-vino, che essa, nonostante tutto, contiene.

Questo aspetto, a dire il vero, non sembra sufficien-temente sviluppato nel contributo del card. Müller, men-tre viene di continuo messo in luce dalle parole e daigesti di papa Francesco.

Limidi di analisi storicaIl card. Müller ha poi formulato alcuni giudizi di ordinestorico su alcune specifiche concrezioni dei rapporti trala chiesa e il potere politico prodottesi nei secoli passa-ti, formulando una valutazione fortemente negativa dialcuni sistemi di regolazione delle relazioni stato-chie-sa quali il gallicanesimo, il febronianésimo, il giusep-pinismo e il patronato reale. Le critiche formulate dalcard. Müller verso queste contaminazioni storiche tratrono e altare sono del tutto condivisibili, e inoltre misembra legittimo poter trarre dalla storia e dall’espe-rienza passata le giuste lezioni. Ma tali giudizi sono ri-feriti a contesti politico-sociali lontani nel tempo e pri-vi di ripercussioni sull’oggi, sono adottati con il “sennodi poi” e si rivelano anche un po’ ingenerosi nei con-fronti dei fratelli che in quei contesti, invece, si sonoritrovati concretamente a incarnare la fede. La formu-lazione di giudizi storici diviene fruttuosa, se porta auna conseguente riflessione sullo stato delle relazioniodierne tra “trono” e “altare”. Quest’aspetto purtropponon ho avuto modo d’incontrarlo nel documento delcard. Müller, mentre è pane quotidiano delle prese diposizione di papa Francesco.

Assenza di una tensione ecumenicaNon posso evitare poi di constatare una certa sottova-lutazione della prospettiva del dialogo ecumenico e in-terreligioso. Di certo l’autocomprensione che la chiesaha della propria esperienza religiosa è un connotatopeculiare e singolare, che caratterizza la nostra comu-nità ecclesiale e la differenzia da altre comunità cristia-ne o da altre tradizioni religiose. Ma questo non giusti-fica né la derubricazione delle altre comunità religiosea realtà d’“indole meramente umana”, né la ricondu-zione delle forme di autorità in esse costituite a solemotivazioni di ordine sociologico e organizzativo.

Queste posizioni stridono fortemente con contenutidecisivi della Parola di Dio e con acquisizioni autore-volissime dell’insegnamento della chiesa e della rifles-

sione teologica. Sul piano delle relazioni con le religio-ni non cristiane, il Concilio Vaticano II, riprendendol’antica intuizione della teologia patristica dei semi delVerbo di Dio disseminati nella creazione, ha sottoline-ato che la chiesa riconosce quanto di vero e di santo èpresente nelle altre esperienze religiose (cf. Nostra ae-tate, 2). Com’è possibile definire come meramenteumane delle comunità religiose che, sebbene solo par-zialmente, ricomprendono elementi che la chiesa rico-nosce come buoni e santi? Questi elementi parziali elimitati non hanno comunque origine in Dio?

Se è vero che molte chiese non declinano nello stessomodo la comprensione della natura sacramentale dellachiesa, mi chiedo se il ridurre le forme di autorità rico-nosciute al loro interno a soli motivi di ordine organiz-zativo e sociologico non comporti un sostanziale travi-samento della portata teologica delle parole di Gesù«perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lìsono io in mezzo a loro» (Mt. 18,20). Queste parole diGesù conferiscono a tutte le chiese e comunità cristia-ne uno statuto teologico di un certo spessore, che nonpuò essere misconosciuto né tralasciato nel momentoin cui si affronta un problema quale quello della rifor-ma della struttura della curia.

Il card. Müller richiama, sia pure per sommi capi, glielementi teologici fondanti del ministero petrino, secon-do il quale il papa rende visibile l’unità e l’indivisibilitàdell’episcopato e della chiesa intera e, nello stesso tem-po, presiede alla chiesa locale di Roma. In particolarepassa in rassegna i fondamenti scritturistici e patristiciche fondano sul piano teologico la comprensione catto-lica del ministero petrino. Il punto logico di partenza è lalezione paolina della comunità ecclesiale come corpomistico (cf. 1Cor. 12,12-27), in forza della quale l’inter-dipendenza tra il capo (Gesù) e le membra (la chiesa) èstrettissimo, passando poi alla citazione di alcuni famositesti di Cipriano di Cartagine, Ireneo di Lione e Ignaziodi Antiochia, per fondare la portata dell’interrelazionesussistente tra il pastore e la comunità presieduta e il pri-mato della chiesa di Roma, come presidenza nella carità,in forza della sua fondazione apostolica.

Sono testi autorevolissimi, alla base della compren-sione ecclesiale della tradizione cattolica. Ma è anchevero che, nell’àmbito della cristianità, la loro compren-sione non è univoca. È naturale che, in un contributosulla riforma della curia, venga preso quale riferimentola comprensione che del ministero di Pietro possiede lachiesa cattolica, ma sorprende che nessuna attenzionevenga prestata all’impegno programmatico assunto suquesto tema da papa Giovanni Paolo II (cf. Ut unumsint, 95), ove espresse l’esigenza di trovare una formadi esercizio del primato che, senza rinunciare a nullad’essenziale, potesse aprirsi alla situazione, a una pro-spettiva ecumenica.

empi di fraternità

14 Maggio 2015

Mi sarei legittimamente aspettato almeno lo sforzo inquesta direzione.

Le malattie denunciate da papa FrancescoMa quello che più sorprende è il riferimento al discorsodi papa Francesco sulle 15 malattie curiali, limitato alminimo indispensabile di alcune citazioni indirette,dove, tranne un fugace cenno all’aspirazione per unachiesa povera e per i poveri, si è avuta cura di sceglieresolo i riferimenti inerenti la distinzione tra la logica delRegno e quella del mondo, senza alcun esplicito riferi-mento alla prospettiva ecclesiologica di una “chiesa inuscita”.

Nei dicasteri della curia romana sono e sono statipresenti personalità di alto, altissimo profilo persona-le e spirituale. Sono anche convinto che il papa, permeglio condurre la propria missione per il bene dellachiesa universale, abbia la necessità di una strutturaattiva, collaborativa, agile, efficiente, competente, masoprattutto ricca di spiritualità, amore per la chiesa espirito di servizio. Nell’epoca contemporanea, tutta-via, come già aveva intuito profeticamente l’assiseconciliare, le coordinate delle relazioni tra la chiesa eil mondo sono profondamente mutate. Ha acquisito unprofilo del tutto nuovo, per esempio, la sfera delle re-lazioni con le varie culture e l’esigenza d’incarnare lafede in contesti culturali diversi e, tuttavia, comuni-canti, ma mai omologhi. Le chiese particolari sonocresciute, sono maturate, divenute adulte, capaci diesprimere modalità originali d’incarnare e testimoniarela fede. Tutto questo, e molto altro ancora, chiede agran voce che si ricerchino e si trovino vie nuove perl’esercizio del ministero petrino e, allo stesso tempo,s’individuino funzioni nuove e articolazioni alternati-ve e più rispondenti alle nuove esigenze, delle struttu-re che cooperano per il miglior esercizio della missio-ne universale del papa.

Per fare questo, naturalmente, il punto di partenza èl’onesta considerazione degli errori compiuti, dellestrade sbagliate intraprese, delle valutazioni ingene-rose operate. Cosa questa che non esclude che venga-no poi posti in luce i tesori di esperienza, di studio, didedizione riversati negli anni a servizio della chiesa.In questo ci viene in ausilio la stessa pratica liturgica,che abitualmente apre le sante celebrazioni con l’am-missione delle nostre colpe e dei nostri peccati e ilriconoscimento dell’umana piccolezza, per lasciare poiil passo all’offerta al Signore del frutto del nostro la-voro, sul quale s’invoca la sua paterna benedizione. Èproprio questa pratica, consolidata nella vita ecclesia-le, che rende francamente incomprensibile il silenziodel card. Müller. L’ammonizione paterna di papa Fran-cesco, pur definita un’esortazione spirituale alla con-versione, parla con chiarezza di “malattie” (malattie

naturalmente non solo della curia romana, ma certa-mente “anche” della curia romana), per le quali è, dun-que, necessario individuare le cure più adeguate edefficaci. Il termine “malattia”, utilizzato da papa Fran-cesco, è naturalmente un termine analogo, che carat-terizza non fenomeni episodici e isolati, ma delle atti-vità, delle prassi, dei costumi e degli atteggiamenti chehanno assunto una certa diffusione e che alterano lavita ordinaria dei singoli e delle strutture ecclesiali,analogamente a come una malattia altera la vita fisicae relazionale di una persona e degli ambienti in cuiquesta è inserita.

Operare una giusta diagnosi dei mali, ricercare lecure più adeguate, individuare le più promettenti viedi guarigione, costituisce un autentico servizio agliammalati e a quanti di tali mali soffrono, ma è ancheun campo immenso aperto alla ricerca e alla riflessio-ne teologica. Stupisce quindi che in un documento che,nel proprio complemento del titolo, si propone di ri-cercare criteri teologici per una riforma della chiesa edella curia romana, non abbia dedicato nessun pensie-ro a questo aspetto.

Il card. Müller conclude la sua riflessione invitando arivolgere le menti allo Spirito santo, principio autenti-co di armonia, per ogni comunità, tra i poli, apparente-mente contrapposti, ma in realtà complementari dell’uni-tà e della molteplicità, del particolare e dell’universale,e mettendo in pratica le parole dell’evangelo di Gio-vanni: «lo zelo per la tua casa mi divora» (Gv. 2,17).Tuttavia il card. Müller non riesce a compiere il saltoda una contrapposizione tra la chiesa e il mondo e unacompromissione della chiesa nel mondo. La preoccu-pazione della distinzione tra verità e menzogna, tra benee male, dimenticando che la prima preoccupazione del-la chiesa dev’essere la centesima pecorella smarrita, chela chiesa è chiamata a lasciare tutto per parlare con gliuomini e le donne concrete, per essere loro compagnadi strada, certo per segnalare loro i pericoli disseminatilungo il loro cammino, ma per condividere le loro gioiee i loro dolori e per annunciare loro la gioia del Regnodi Dio.

È in una chiesa compromessa con il mondo, che nonteme di sedere a mensa con i pubblicani e con le prosti-tute, che la curia romana può esprimere la sua dimen-sione autenticamente spirituale solo se sceglie di eleg-gere il valore del “servizio” quale l’elemento primariodella propria missione nella chiesa e nel mondo, mo-strando la propria docilità allo Spirito che le chiede dicooperare alla sua azione di creare armonia tra i polidella molteplicità e dell’unità, della particolarità e del-l’universalità.

Una sfida affascinante che la curia, se accetta la nuo-va ventata primaverile di Francesco, può raccoglierecon entusiasmo.

DOVE VA LA CHIESA CATTOLICA ?

empi di fraternità

Maggio 2015 15

DOVE VA LA CHIESA CATTOLICA ?

REALIZZARE il ConcilioAprirò infatti la Porta Santa nel cinquantesimo anni-versario della conclusione del Concilio Ecumenico Va-ticano II. La Chiesa sente il bisogno di mantenere vivoquell’evento. Per lei iniziava un nuovo percorso dellasua storia. I Padri radunati nel Concilio avevano perce-pito forte, come un vero soffio dello Spirito, l’esigenzadi parlare di Dio agli uomini del loro tempo in un modopiù comprensibile. Abbattute le muraglie che per trop-po tempo avevano rinchiuso la Chiesa in una cittadellaprivilegiata, era giunto il tempo di annunciare il Vange-lo in modo nuovo. Una nuova tappa dell’evangelizza-zione di sempre. Un nuovo impegno per tutti i cristianiper testimoniare con più entusiasmo e convinzione laloro fede. La Chiesa sentiva la responsabilità di esserenel mondo il segno vivo dell’amore del Padre.

AMARE l’umanità interaGesù, dinanzi alla moltitudine di persone che lo segui-vano, vedendo che erano stanche e sfinite, smarrite esenza guida, sentì fin dal profondo del cuore una fortecompassione per loro (Mt 9,36). In forza di questo amorecompassionevole guarì i malati che gli venivano pre-sentati (Mt 14,14), e con pochi pani e pesci sfamò gran-di folle (Mt 15,37). Ciò che muoveva Gesù in tutte lecircostanze non era altro che la misericordia, con laquale leggeva nel cuore dei suoi interlocutori e rispon-deva al loro bisogno più vero. Quando incontrò la ve-dova di Naim che portava il suo unico figlio al sepol-cro, provò grande compassione per quel dolore immen-so della madre in pianto, e le riconsegnò il figlio risu-scitandolo dalla morte (cfr Lc 7,15). Dopo aver libera-to l’indemoniato di Gerasa, gli affida questa missione:«Annuncia ciò che il Signore ti ha fatto e la misericor-dia che ha avuto per te» (Mc 5,19). Anche la vocazionedi Matteo è inserita nell’orizzonte della misericordia.Passando dinanzi al banco delle imposte gli occhi diGesù fissarono quelli di Matteo. Era uno sguardo cari-co di misericordia che perdonava i peccati di quell’uo-mo e, vincendo le resistenze degli altri discepoli, scelselui, il peccatore e pubblicano, per diventare uno deiDodici.

MATTEO 25Non possiamo sfuggire alle parole del Signore: e in basead esse saremo giudicati: se avremo dato da mangiare achi ha fame e da bere a chi ha sete. Se avremo accolto il

forestiero e vestito chi è nudo. Se avremo avuto tempoper stare con chi è malato e prigioniero (Mt 25,31-45).Ugualmente, ci sarà chiesto se avremo aiutato ad usciredal dubbio che fa cadere nella paura e che spesso è fon-te di solitudine; se saremo stati capaci di vincere l’igno-ranza in cui vivono milioni di persone, soprattutto ibambini privati dell’aiuto necessario per essere riscat-tati dalla povertà; se saremo stati vicini a chi è solo eafflitto; se avremo perdonato chi ci offende e respintoogni forma di rancore e di odio che porta alla violenza;se avremo avuto pazienza sull’esempio di Dio che ètanto paziente con noi; se, infine, avremo affidato alSignore nella preghiera i nostri fratelli e sorelle. In ognu-no di questi “più piccoli” è presente Cristo stesso. Lasua carne diventa di nuovo visibile come corpo marto-riato, piagato, flagellato, denutrito, in fuga… per esse-re da noi riconosciuto, toccato e assistito con cura.

LUCA 4Nel Vangelo di Luca troviamo un altro aspetto impor-tante per vivere con fede il Giubileo. Racconta l’evan-gelista che Gesù, un sabato, ritornò a Nazaret e, comeera solito fare, entrò nella Sinagoga. Lo chiamarono aleggere la Scrittura e commentarla. Il passo era quellodel profeta Isaia dove sta scritto: «Lo Spirito del Signo-re è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’un-zione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto an-nuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e aiciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a pro-clamare l’anno di misericordia del Signore» (Isaia 61,1-2). “Un anno di misericordia”: è questo quanto vieneannunciato dal Signore e che noi desideriamo vivere.Questo Anno Santo porta con sé la ricchezza della mis-sione di Gesù che risuona nelle parole del Profeta: por-tare una parola e un gesto di consolazione ai poveri,annunciare la liberazione a quanti sono prigionieri del-le nuove schiavitù della società moderna, restituire lavista a chi non riesce più a vedere perché curvo su séstesso, e restituire dignità a quanti ne sono stati privati.La predicazione di Gesù si rende di nuovo visibile nel-le risposte di fede che la testimonianza dei cristiani èchiamata ad offrire. Ci accompagnino le parole del-l’Apostolo: «Chi fa opere di misericordia, le compiacon gioia» (Rm 12,8).

G. M. (continua)

GIUBILEO: dal documento del papaper riflettere e per praticare la MISERICORDIA (1)

empi di fraternità

16 Maggio 2015

L’annuncio di papa Bergoglio di un Giubileo stra-ordinario sul tema della misericordia va lettoin una chiave ben diversa rispetto a quella ditanti eventi religioso-mediatici, cui la Chiesacattolica ci ha abituati negli anni oscuri del post

Concilio. Per chiarirlo, non trovo di meglio che richiamarealcuni dei concetti espressi in un recente volume del teolo-go José Marìa Castillo, “L’umanità di Dio”, che - alla ma-niera dei testi dei grandi filosofi tedeschi dei secoli scorsi -riesce a coniugare filologia, sociologia, speculazione e te-ologia in una serena divulgazione per esperti e profani, re-ligiosi e laici, credenti ed agnostici.

Come parlare del sovrannaturale, dove cercarlo? Dal li-bro dell’Esodo al Vangelo di Giovanni è possibile rintrac-ciare, quale fil rouge, il tema dell’assoluta inconoscibilitàdel (presunto) Essere superiore, perlomeno secondo i pa-rametri sensibili o cognitivi propri dell’uomo. Ne conse-gue che qualunque “evento” religioso, di per sé “trascen-dente”, nella storia umana è stato tradotto sempre e co-munque secondo i codici culturali di un’epoca e di un luo-go, quindi secondo caratteri meramente “immanenti”, chespesso ne facevano un fatto “numinoso”, - da “numen” -ovvero “sacro”. Laddove quest’ultimo termine, in latinocome in greco, come nella maggior parte delle lingue anti-che, racchiude in sé idee di sublime e nel contempo dimostruoso, di puro ma anche di contaminato, comunque di“tabù” e di intoccabile. Se da un lato ciò è servito alle ge-rarchie religiose a tenere facilmente imbrigliate le masse,dall’altro ha comportato, in chiunque fosse dotato di unminimo di senso critico, grande imbarazzo per la trasfor-mazione di un “concetto assoluto” in una “materia”, ovve-ro della trascendenza nell’immanenza per definizione.

Probabilmente da ciò derivano la crisi della religiositàdel “secolo breve”, la “secolarizzazione” tanto temuta da-gli spiriti conservatori, e non tanto dal “relativismo impe-rante” o dalla degenerazione della ragione umana tantopaventati dal magistero ecclesiastico, Benedetto XVI inprimis. In breve: le chiese si sono svuotate, perché il ritrat-to di Dio preconfezionato dai preti è apparso (finalmente,aggiungo) veramente improponibile. La divinità è statapresentata come onnipotente e di infinità bontà: due carat-

teristiche tra loro inconciliabili, e non serve pensare adAuschwitz o alle catastrofi naturali. Basta vivere la vita ditutti i giorni. A ciò, per dirla con le parole di Yves Congar,si è affiancata una vera e propria “mistica dell’obbedien-za”, nella quale credere alla Chiesa equivaleva a credere inDio e viceversa, in un titanico vortice quasi idolatrico.

Parlando continuamente di misericordia in leitmotiv, papaFrancesco, nel pieno rispetto della tradizione e senza attieclatanti, ricorda semplicemente, a cristiani e non, che ilfondamento del Cristianesimo non è l’ennesimo Libro ispi-rato o dettato, non è un’altra religione, l’ulteriore insieme diriti e rituali. È la vita di un uomo che calcò la sabbia di unadelle terre più vessate del mondo, duemila anni fa comeoggi. Sostenere che il nucleo del Cristianesimo non è un’ideadi Dio, ma la storia di un uomo, significa che il centro dellavera fede non può essere il divino, quanto piuttosto l’uma-no. Non è forse la “kénosis”, cioè la “spoliazione” del sa-cro, la sua riduzione alla condizione di “servitore”, il sensoultimo della lettera ai Filippesi? È come dire, traslando, cheacquisisce dignità divina chi si denuda di se stesso, chi siriduce a servo degli altri, chi si fa realmente uomo rinun-ciando ad ogni forma di potere. La trascendenza, non po-tendosi realmente “spiegare” attraverso l’immanenza, sirende visibile e “tangibile” in essa: “Ti benedico, o Padre,Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascostequeste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate aipiccoli”.

Eleggere la misericordia a parametro di giudizio signi-fica conoscere fino in fondo la finitezza umana e renderlaunico parametro di misura. In questo modo, l’elementocentrale di ogni credo religioso diviene non una presuntaappartenenza religiosa, ma l’“etica universale” al servi-zio della misericordia, ben più importante di ogni singo-la, spesso bigotta morale. Non vi sarà alcun giudizio suquanto correttamente avremo seguito un rito o una rego-la, su quanto avremo obbedito o meno ad una indicazionedi comportamento. Probabilmente il condono finale, co-munque presente, sarà accompagnato dalle timide doman-de: “Hai dato da mangiare? hai dato da bere? hai fornitocura e vestiti? hai accolto lo straniero, vestito il carcera-to?”. In altre parole: ti sei preso cura dell’uomo, anziché

Teologia della misericordia, teologia dell’umanità

DOVE VA LA CHIESA CATTOLICA ?

di Michele Meschi

Un libro per il Giubileo

empi di fraternità

Maggio 2015 17

La visita di papa Francesco, vescovo di Roma, aldi là delle diplomazie ecclesiastiche, come ognivisita è stata una manifestazione di amici-zia verso le comunità cristiane ed i cittadini chesono a Scampia e Napoli. Come tale un incon-

tro fraterno tra amici, in cui ci si può guardare negli occhi,dialogare, esprimere ciò che più sta a cuore. In questo spi-rito con un incontro non plateale di Francesco con la popo-lazione di Scampia e di Napoli, a partire dalle esperienzesociali e culturali vissute da singoli, comunità ed associa-zioni in impegni volontari nel quartiere Scampia, il Comi-tato di cittadini credenti e non “Scampia Felice” laborato-rio di idee e proposte, ha ritenuto di dare un contributo dipensiero a questo evento con una serie di riflessioni rac-colte nel quaderno “A papa Francesco voci da Scampia”che ci auguriamo gli sia pervenuto. Per aiutare ad una co-noscenza delle sofferenze e delle attese degli abitanti e adun risveglio delle comunità cristiane, ma non solo.

Al di là degli aspetti organizzativi prevalenti, occorreriflettere sul significato di questa visita, peraltro breve inconfronto a quella di tre giorni di Giovanni Paolo II° nelnovembre 1990, sull’approccio alla comunità cristiana edalla comunità civile napoletana con i noti problemi eco-nomici ed occupazionali e qualche manifestazione stri-sciante di razzismo. Certo non si è riscontrato nella pre-parazione il clima di entusiasmo e l’attesa che caratteriz-zò quella visita per un parola di speranza ed incoraggia-mento non solo per il volontariato di Scampia.

Il quesito è allora: come si presenta Papa Francesco a que-sta densa conurbazione, e quale messaggio porta nell’indi-rizzarsi al popolo dei fedeli e degli abitanti di questa gran-

Ha lasciato il segno la visita di Bergoglio in questo quartiere di Napolisul quale si raccontano tante cose “nel bene e nel male”

de area metropolitana? Certo come vescovo di Roma chepresiede alla cattolicità nel mondo, ma anche cittadino diquesto mondo, “bianco padre” a maggior ragione per il suostile e l’approccio diretto con coloro che incontra in molte-plici luoghi ed occasioni. Vescovo di Roma e padre univer-sale che, secondo indagini recenti, in Italia, riscuote la mas-sima fiducia da parte degli italiani per i suoi gesti e messag-gi che non riguardano solo il rinnovamento della chiesa inalto ed in basso, ma il riconoscimento di diritti sacri cometerra, casa e lavoro cari ai movimenti popolari non solo del-l’America Latina.

Anche a Napoli Francesco come Pastore, secondo la pa-rola rivolta a Pietro, è stato chiamato in primo luogo a “For-tificare i tuoi fratelli nella fede” (Luca 22, 31-32), fede“cristiana” appunto, con tutte le sue conseguenze nella vitaindividuale e collettiva, una fede non privatizzata o mera-mente cultuale ma aperta al disegno di Dio sul mondo, aibisogni sociali del territorio di appartenenza. Porta con sèl’esperienza delle Chiese del terzo mondo, specificamentedell’America Latina, e dei movimenti popolari. Quando unasocietà ignora i poveri, ha ammonito Francesco nel TeDeum di fine anno, li perseguita, li criminalizza (come èaccaduto in limitati episodi contro Rom ed immigrati an-che a Napoli), quella società si impoverisce fino alla mise-ria, perde la libertà e preferisce la schiavitù del suo egoi-smo, della ricerca strumentale del facile consenso sulla pelledei poveri cristi. Non si è visto finora, per esempio, unchiaro intervento, al di là di quello assistenziale, e solleci-tazione da parte della chiesa napoletana a favore di più ditre mila Rom abitanti - anche da decenni come a Scampia -in condizioni precarie in sette campi ghetto.

pensare a pinnacoli, turiboli e preghiere, anziché omag-giare spazi (“il tempio”) o tempi sacri (“il sabato”)?

Parlando di misericordia, Jorge Bergoglio è realmente“cattolico”, cioè inserito nella pienezza della grande tradi-zione, ossessivamente ricercata dai tanti farisei dei giorninostri. Perché non fa altro che usare parole e idee di Mei-ster Eckhart, che sussurrava: “Chiedo a Dio che mi liberidi Dio, perché il mio essere essenziale sta sopra a Dio, seconsideriamo Dio quale inizio di ogni creatura”. Di sanGiovanni della Croce, col suo: “Non ti trovavo, Signore, di

fuori, perché fuori cercavo male te che stavi dentro”. DiDietrich Bonhoeffer: “È al centro della nostra vita che Dioè aldilà”.

Parlando di misericordia, il papa finalmente torna a darevoce ai grandi teologi del Novecento, padri diretti o indi-retti del Concilio: von Balthasar, Congar, Chenu, De Lou-bac, Bouillard, Daniélou, Kung, Schillebeeckx, e soprat-tutto Karl Rahner: “Ogni uomo, realmente e radicalmenteogni uomo, va visto come l’evento di un’autocomunicazio-ne di Dio”.

DOVE VA LA CHIESA CATTOLICA ?

di Domenico Pizzuti

A Papa Francesco voci da Scampia

empi di fraternità

18 Maggio 2015

DOVE VA LA CHIESA CATTOLICA?

Due messaggi in particolare, a nostro avviso, sono darivolgere alla comunità religiosa e civile napoletana:

- La parola d’ordine della visita di Giovanni Paolo II° erastata “organizzare la speranza”; oggi, di fronte alla fram-mentazione e frantumazione delle realtà religiose su unostesso territorio (clero e religiosi, parrocchie e variegati mo-vimenti e gruppi religiosi, comunità cristiane e comunitàcivile), l’invito pressante è a connettersi, a stabilire ponti,dialoghi per convergere per la risposta ai bisogni sociali disingoli e famiglie e della più ampia comunità cittadina.

- Riscoprire e ridare centralità al “popolo di Dio” checostituisce le comunità cristiane, come au-tentiche “esperienze di fede” e ridare voceper una governance comunitaria secondo lemodalità previste dei Consigli pastorali ri-chiamate più volte dal Cardinale arcivesco-vo, e ad un assuefatto e comodo mutismoquando la chiesa è la casa di tutti. Sembrapredominare una religiosità governata dalclero, che fa comodo in alto ed in basso per-ché esime dal pensare e dal partecipare. Unapiù diffusa partecipazione e presa in caricoda parte dei cristiani delle comunità di ap-partenenza richiede anche una crescita cul-turale nelle materie religiose.

Di fronte ad una religiosità, a tratti acco-modante e tranquillizzante, non farebbe maleuna maggiore apertura alle irruzioni delloSpirito, che non è solo dei profeti dell’AT o

di qualche cosidetto gruppo carismatico, portatore di crea-tività e novità nella chiesa cattolica e nelle chiese, negliindividui, nella società, nel mondo. Si chiede troppo, persuperare una mentalità di destino, fato e rassegnazione e diappiattimento sul presente e sul presente di questa città chead osservatori di ritorno non sembra cambiare volto neltempo se non nel sottosuolo (metrò).

La visita di Francesco può contribuire a riscoprire la spe-ranza e a connettere l’impegno solidale di tanti, credenti enon credenti.

Vieni Papa Franccesco in mezzo a noi con il tuo sorrisoed abbraccio fraterno.

Le “vele” di Scampia

RECENSIONE

di LauraTussi eFabrizioCracolini

Per non dimenticare

L’ultimo appello dei partigianiStéphane Hessel e Albert Jac-quard: “Esigete! un disarmo nu-cleare totale” riguarda, ad avvisodi chi scrive, il problema più im-

portante ed urgente che l’intera umanità deverisolvere: liberarsi dalla minaccia atomica chepuò condurre, nella logica spietata di mecca-nismi incontrollabili, ad una guerra persino percaso e/o per errore.

Esso è contenuto nel pamphlet dal titoloomonimo appena edito da EDIESSE in esclu-

siva per l’Italia, a cura di Mario Agostinelli eAlfonso Navarra e tradotto dallo scienziato ita-lo-francese Luigi Mosca. Sono da ricordareanche le presentazioni di Emanuele Patti, Pre-sidente dell’ARCI di Milano e di Antonio Piz-zinato, Presidente Onorario dell’AssociazioneNazionale Partigiani d’Italia (ANPI).

Il volumetto cita il contributo del Progetto“Per non dimenticare” delle città di Nova Mi-lanese e Bolzano (sito istituzionale: lageredeportazione.org): da tempo collaboriamo in-fatti con le organizzazioni sponsor dell’inizia-

empi di fraternità

Maggio 2015 19

RECENSIONE

Stéphane Hessel,Albert Jacquard

ESIGETE! Un disarmo

nucleare totaleEDIESSE 2014102 pp., 6,00 €pp. 152 - € 9,00

tiva editoriale: Energia Felice, ARCI, ANPI, FIOM,Fermiamo chi scherza col fuoco atomico.

Insieme ci stiamo impegnando per coinvolgere l’in-tera ANPI italiana e quindi l’intero schieramento de-mocratico, per il cambiamento, sul “cammino della non-violenza che dobbiamo imparare a percorrere”, comeappunto Stéphane Hessel titola un paragrafo del suo pre-cedente celebre trattato e best sellers “Indignatevi!”.

Questa indicazione per il ricorso alla forza dell’unitàpopolare, appunto la nonviolenza, da parte del Parti-giano e Padre Costituente Stéphane Hessel è un monitodecisivo per far tesoro dell’imprescindibile appello allapace di Albert Einstein: “L’umanità deve distruggeregli armamenti, prima che gli armamenti distrugganol’umanità”.

Sostanzialmente, due importanti filoni culturali ani-mano il libello che anche noi di “Per non dimenticare”stiamo diffondendo in cooperazione con le organizza-zioni citate. In primis, l’argomento sostanziale è il di-sarmo nucleare, ossia l’assoluto imperativo, innanzituttoumanistico, ancor prima che umanitario: infatti la de-nuclearizzazione dal basso, attuata tramite i referendume l’attivismo nonviolento, deve responsabilizzare tuttiad una cultura di disarmo, di antimilitarismo, di obie-zione di coscienza alle spese militari e nucleari, per unasvolta nonviolenta della Storia.

Altro punto essenziale è la “predicazione” di un nuo-vo antifascismo che “impara a percorrere il camminodella nonviolenza” e attua il programma della “Resisten-za Europea” per contrastare lo strapotere dei mercati del-l’alta finanza, all’insegna del dogma neoliberista e iper-capitalista. “Esigete!” è fondamentalmente uno strumen-to culturale per sensibilizzare la società civile sui valorifondanti dell’Antifascismo e della Democrazia.

Stéphane Hessel rappresenta un ponte tra memoriaantifascista e speranza di futuro, perché fu Partigia-no, Deportato a Buchenwald, Padre Costituente dellaDichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948,e inoltre i suoi scritti ispirano il movimento OccupyWall Street e fu Presidente della Commissione Inter-nazionale Bertrand Russell per la Palestina. StéphaneHessel si rivolge alle generazioni presenti e future peruna nuova Resistenza e per una Rinascita europea emondiale finalizzata ad un nuovo processo di Libera-zione dalla tirannia del capitalismo finanziario e neo-liberista.

L’Autore prospetta l’attualità del programma della Re-sistenza che nel 1945 prevedeva “l’evizione dei grandigruppi di potere economico e finanziario dal controllodell’economia”, per l’attuazione di un orizzonte ecolo-gista e pacifista che rifondi un’utopia concreta, nel col-legamento tra memoria storica e prospettiva di futuro,dove “il cammino della nonviolenza” non significa pas-sività e codardia, ma cooperazione ed interdipendenza

tra tutti i popoli sui diritti umani, come base di un’auten-tica sicurezza, fondata sul concetto di pace, che impedi-sca la corsa agli armamenti nucleari.

La nonviolenza non è passività, ma è unità popolare;è una forza che può reinterpretare il motto “proletari ditutti paesi unitevi”, per disarticolare la catena di con-trollo del sistema di potere e per agire in modo preven-tivo, anche rispetto all’anticipazione dei meccanismibellici, al controllo e alla prevenzione dei conflitti ar-mati, ossia al fine di orientare l’impegno per la messaal bando delle armi nucleari, perché la corsa folle agliarmamenti è un crimine contro l’umanità. Il nucleareha mietuto vittime con Hiroshima, Nagasaki e i moltitest delle bombe e la radioattività continua a produrremorte.

La questione nucleare, nonostante vari referendum,vittoriosi nel nostro Paese, non è definitivamente chiu-sa, perché il contesto europeo è ancora favorevole aireattori a fissione ed è sempre attuale la connessionetra nucleare civile e militare, in un mondo che conti-nua la corsa sfrenata al riarmo e al perfezionamentotecnologico degli armamenti. Dunque gli Autori,Stéphane Hessel e Albert Jacquard, uniscono le lorovoci per fare appello al disarmo nucleare totale, ba-sandosi su un inventario dell’“Osservatorio degli ar-mamenti nel mondo”.

Un obiettivo politico a portata di mano che può sca-turire dalla mobilitazione di base, nutrita da consape-volezza a livello individuale e collettivo, è reso possi-bile dal fatto che, a partire dalla Conferenza di Oslo(marzo 2013) e proseguita con il più recente incontrodi Nayarit (febbraio 2014), da parte di 125 Stati, conadesioni crescenti, è stato avviato, rispetto a quello “sto-rico” delle sessioni del Trattatodi Non Proliferazione, un nuo-vo percorso internazionale“umanitario” per giungere a untrattato di interdizione totaledelle armi nucleari.

Questo accordo ripone l’av-venire dell’umanità non nellacompetizione di tutti controtutti, ma nell’emulazione di altiideali di pace, nella coopera-zione ed interdipendenza tra ipopoli.

Dunque, parafrasando il mo-nito e il testamento di Stépha-ne Hessel alle nuove generazio-ni, noi tutti “Esigiamo! un di-sarmo nucleare totale” e siamoforse ad un passo per conseguir-lo. Non manchiamo questa oc-casione storica!

empi di fraternità

20 Maggio 2015

Ho avuto la fortuna di avere tra lemani e di leggere con crescentestupore un libro di storia di cuiho conosciuto cinquant’anni fal’autore, con il quale ho avuto la

grazia provvidenziale (si dice ancora così?) dicondividere cinque anni di vita, come prete alservizio degli emigrati italiani in Belgio.

Ho conosciuto Francesco alla Missione Cat-tolica Italiana di Seraing, alla periferia del ba-cino carbosiderurgico di Liegi, nel marzo 1965.Abbiamo affrontato la difficile transizione diuna pastorale italiana di timbro pacelliano alladifficile ricerca di un “aggiornamento” teolo-gico-culturale negli anni immediatamente suc-cessivi al Concilio. Francesco è nato nel 1927a Valguarnera, nella profonda Sicilia raccon-tata da Giovanni Verga e non ancora rivelatada Sciascia; tolto dalla scuola in terza elemen-tare per fare la guardia ad un gregge di qual-che decina di pecore e qualche capra, nel 1946va a seppellirsi in una miniera francese di Va-

lencienne, poi in quella belga di Seraing, tra-sportato dalle maree di una disperata ricercadi lavoro e di libertà, ma con una irriducibileconsapevolezza della propria dignità e del pro-prio bisogno di verità.

Lo scorso Natale ho ricevuto il più prezioso“piego di libri” che mai un postino mi abbiarecapitato. Trecentosettantadue pagine di lim-pide lacrime e di fanciullesche speranze, tenu-te insieme da una fede rocciosa e da una tene-ra carnalità, raccontate in una lingua sbalordi-tiva e selvaggia, tra le reminiscenze del maiabbandonato idioma siciliano e gli innesti del-la parlata francofona impastata di dialettismiimprestati dal gergo operaio. Su quelle paginenon è passato il tosaprato di un editore preoc-cupato di confezionare un prodotto gradevoleall’occhio di lettori smaliziati. Ho provato acorreggere le doppie, gli apostofi e gli accen-ti, se non le concordanze, ma ho smesso allaterza pagina, appena mi sono accorto di essereridicolo come se avessi tentato di raddrizzarele prospettive in un paesaggio giottesco. Fran-cesco dichiara ripetutamente di aver comincia-to a scrivere questi suoi ricordi esclusivamen-te per sé, e di essere stato indotto a pubblicarlida una intelligente animatrice culturale belgadi lingua francese che ha intuito la straordina-ria ricchezza di questo documento pur senzaavere gli strumenti tecnici per “correggerlo”con un “editing” adeguato. Fortunatamente,l’“editing” è stato assicurato da alcuni emigratidi grande sapienza (fra cui Claudio Pellegrini,prete operaio, romanziere, poeta) che hannocapito l’importanza di lasciare intatto lo “scan-daloso” e “impresentabile” manoscritto cheforse persino don Milani sarebbe stato tentatodi bonificare, con un residuo timore reveren-ziale per la “professoressa”.

Come le sponde di un carretto siciliano, illibro è illustrato dalle immagini che l'autorestesso ha dipinto, scoprendo nella pittura un

Una voce dall’altro mondo

di GianfrancoMonaca

La stazione ferroviaria di Milano

COSE DALL’ALTRO MONDO

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suo mezzo espressivo supplementare. Come haereditato dalla tradizione dei “pupi” il bisognodi raffigurare i mestieri della vita nella mate-rialità della ceramica dipinta. Un concentratodi millenaria cultura mediterranea rivissuta trale nebbie e il fumo del paese di Ambiorige,l'eroe che fermò l'avanzata di Giulio Cesarenel “De bello Gallico”.

Manomettere l’opera di Francesco Scalzo si-gnificherebbe privarlo di quell’“odore delgregge” che un altro Francesco - anche lui emi-grato, ma di seconda generazione - ritiene in-dispensabile per riconoscere l'autenticità delpastore. Ma qui, oltre all’odore del gregge deimonti siciliani, si respira la vampata sinistradell’acciaieria, la micidiale “pussiera” dei set-tecento metri, le soffocanti esalazioni dei di-sinfettanti nel pronto soccorso. Per ora se lo èstampato in proprio, perciò è praticamente unmanoscritto, ma se un editore accettasse dimettersi in questa avventura dovrebbe capireche si tratta di una lingua diversa da quelle uf-ficiali, accettandone grafìa, grammatica e sin-

tassi. Questo per la forma. Per il contenuto,oltre al valore documentario e di testimonian-za diretta delle condizioni sociali e familiaridell’emigrazione italiana del secondo dopo-guerra, il risultato è talmente avvincente eumanamente coinvolgente da qualificarlocome uno dei capolavori della letteratura mo-derna.

Lo segnalo a tutti coloro che - singoli ogruppi - raccolgono le memorie della gran-de espulsione di braccia che ha pagato ilconto del “miracolo economico”. TDF restaa disposizione per raccogliere gli ordini(€ 20,00 la copia più spese postali, che si ri-ducono in proporzione).

L'indirizzo di Francesco Scalzo è: 8, Ruedes Hédroits, 4100 Seraing (Liège - B).

In caso di contatto diretto si possono ef-fettuare versamenti tramite cod. IBAN for-nito dall'Autore.

Operaio in fonderia

I marciatori della CREPSE

Dei cent’anni della prima guerra mondiale edei settant’anni della liberazione ci si sta ri-cordando in qualche modo. Non bisognereb-

be dimenticare l’anno prossimo (2016) i settant’an-ni della GRANDE ESPULSIONE delle valigie dicartone.

L’emigrazione massiccia dei reduci dalla guerra,dalla prigionia, dalla resistenza ha fornito quel “ri-volo d’oro che deve rimpinguare le casse dello Sta-to” (Luigi Einaudi) come venivano definite le rimes-se degli emigrati. Per ora nessuno ha l’aria di ac-corgersene. Ma il “miracolo economico” e la “rina-scita”, l’autostrada del sole, ecc. sono stati/e resi pos-sibili dalla emigrazione di massa che, inoltre, ha al-

lentato la pressione sociale che stava per esploderein Italia nell’immediato dopoguerra. A mio avvisoc’è una rimozione dovuta a un fondo di cattiva co-scienza di tutti coloro che hanno potuto realizzareun certo benessere rimanendo a casa.

Tutti insieme dovremmo richiamare l’attenzionedelle istituzioni su questo tema, soprattutto in occa-sione dell’EXPO, che almeno servirebbe a qualcosa.Non possiamo far girare questo richiamo tutti insie-me, scrivendo a Mattarella, Boldrini, Grasso e a tut-ti quelli che riteniamo oppportuno? Per ora questoappello è già stato raccolto da Marinella Correggia,notissima volontaria internazionale. L’onda puòmoltiplicarsi dal basso.

COSE DALL’ALTRO MONDO

empi di fraternità

22 Maggio 2015

di Roberto eGabriella Ugolini

COSE DALL’ALTRO MONDO

Mentre vi scriviamo stiamo se-guendo alla televisione quantoaccade a Tunisi. Purtroppo ognigiorno notizie che non vorrem-mo ascoltare si susseguono. È

difficile capire come tutto quello che accadesia possibile quando nel nostro quotidiano sia-mo a contatto con tante persone musulma-ne veramente buone, di vera fede. D’altrocanto ci rendiamo conto di come purtropposi corra sempre più il rischio di generalizzaree confondere il vero Islam con ciò che conesso non ha niente a che vedere. Un pensie-ro: ogni anno in gennaio viviamo la settima-na di preghiera per l’unità dei cristiani. Quel-lo che nel mondo sta accadendo ci fa pensa-re che, però, un’unità c’è già...

...“I nostri martiri ci stanno gridando: ‘Siamogià uno! Già abbiamo un’unità, nello spirito e

anche nel sangue’.Da questo marti-rio, che riguardale varie confessio-ni cristiane, nascel’ecumenismo delsangue”.

La scaladella vitaNon eravamo piùtornati in alcunezone del sud dadiversi anni. L’ul-tima volta è stataper il funerale diP. Luigi, il Vesco-vo. Da quandoperò è iniziata laguerra in Siriaabbiamo sempreavuto il desideriodi vedere più da

PASQUA 2015

vicino - e per quello che è possibile cercaredi capire - la realtà vissuta dai profughi siria-ni. Così la scorsa settimana abbiamo lasciatoVan per andare nella zona dove la Turchiaaccoglie un numero impressionante di profu-ghi. Un nostro amico che vive là si sta ado-perando già da tanto tempo per queste per-sone che hanno sceso tanti gradini nella sca-la della vita e ne hanno scesi veramente tan-ti per trovarsi inchiodati in una povertà in-dotta da follie politiche, economiche, pseu-do-religiose.

Come spesso accade, però, la Vita ci sor-prende e si dimostra più forte della morte.Scriviamo questo perché uno dei primi incontril’abbiamo fatto in una scuola. Si tratta di unascuola particolare; infatti è stata organizzatada un gruppo di esuli siriani che si sono mes-si insieme col desiderio di non far mancare aibambini e ai ragazzi l’istruzione. Hanno affit-tato una casa e in ogni stanza, in ogni spaziopossibile, hanno ricavato delle classi. Questascuola al momento ha 250 allievi! I banchisono dei tavolini, le sedie sono state recupe-rate un po’ dappertutto. Non è questa la solascuola esistente, ce ne sono infatti altre quat-tro (e stiamo parlando di una sola città) enon è certo il profitto economico che le hafatte nascere, dato che tutto è sulle spalle dichi vuole partecipare a creare cultura, man-tenere vive le radici.

Tutto si basa sulla disponibilità di esserci.Insegnanti, affitto, libri, tutto quello che puòessere necessario per far sopravvivere lascuola si basa su una continua ricerca di aiu-ti. Volontariato è una bellissima parola e an-che in questo caso… funziona, ma in pro-spettiva questa scuola ha bisogno di potersigarantire uno spazio di futuro, non solo pros-simo, visto che la realtà oltre confine non fapensare a soluzioni in tempo breve. L’ impe-gno scolastico parte dalla materna per arri-Foto scattata in giardino a Edremit

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COSE DALL’ALTRO MONDO

vare al liceo. Gli insegnanti sono dei siriani laureati nellevarie materie: arabo, storia, geografia, matematica, fisi-ca, inglese.

Al termine di un ciclo scolastico, dei professori esterniche per il momento vengono dalla Libia (!!!) valuterannoil profitto dei ragazzi e rilasceranno un attestato. Parlan-do coi professori e con alcuni ragazzi abbiamo ascoltatole loro speranze di poter frequentare università italiane ocomunque straniere, tramite borse di studio.

Una seconda parte di questo nostro incontro è statacon le famiglie. Purtroppo molte di quelle che abbiamoconosciuto non hanno più il padre, il fratello maggiore,la madre, scomparsi nei gorghi della guerra e per questomotivo ricevono dei pacchi alimentari con generi di pri-ma necessità.

Questo viaggio ci ha permesso di constatare che ladifficoltà, il bisogno vissuto dalle famiglie afghane o ira-niane di Van o da quelle siriane al sud non è diverso. Daparte nostra c’è il desiderio di condividere con voi ciò chequeste parole non potranno mai sufficientemente espri-mere e la speranza di poter organizzare un collegamentotra Van e il sud, e viceversa, per un aiuto reciproco nellesituazioni più difficili.

Chi va chi vieneRientrando a Van dopo la pausa italiana natalizia ci sia-mo trovati a dover cercare una nuova insegnante di in-glese per la ‘scuola’ delle ragazze e signore afghane e

iraniane che va avanti dall’anno scorso. Surreya, l’inse-gnante d’inglese, dopo sei anni di attesa è riuscita a par-tire con la sua famiglia per gli Stati Uniti. Conoscendotante famiglie avevamo dei dubbi sulla facilità di potertrovare tra loro una persona che potesse prendere il suoposto, che fosse donna e di madre lingua farsi. Non èstata invece una ricerca così difficile perché, per qualcu-no che parte, tanti altri continuano ad arrivare. Propriotra loro c’era una giovane signora pakistana, laureata aIslamabad. È arrivata col marito da alcuni mesi e siamofelici che possa essere lei a insegnare perché suo marito,che ha trovato lavoro come sarto, da quando ha iniziatoalcuni mesi fa, con mille scuse, non è stato mai pagato.

Buon AnnoÈ già passato un anno da quando vi abbiamo scritto delCapodanno Iraniano. Il 21 marzo sono entrati nel 1394.Il calendario persiano è considerato il più esatto dal pun-to di vista scientifico, con un margine di errore di ungiorno ogni 141.000 anni, mentre il calendario gregoria-no ha invece un giorno di errore ogni 3.226 anni. I per-siani furono il primo popolo a preferire il ciclo solare alciclo lunare. Nella cultura zoroastriana, che ha dominatoin Persia fino all’avvento dell’Islam, il sole ha infatti avu-to un’importanza fondamentale.

Immagini della scuola: 5 computer per 250 ragazzi Corpi insegnanti, maschile e femminile

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24 Maggio 2015

COSE DALL’ALTRO MONDO

Una giovane signora ci ha raccontato, emozionandosi,questi ricordi: “Dieci giorni prima del capodanno, in tuttele case cominciamo a fare le grandi pulizie, lavare le ten-de, i tappeti, etc. “Khane takani” vuol dire dare una mossaalla casa. Mi ricordo sempre da bambina quando aiutava-mo mia mamma a pulire a fondo la casa e poi, nel cortileo nel giardino mia mamma, come tanti iraniani, piantavasempre i fiori di primavera, le violette, che erano simbolodell’inizio del bel tempo e della primavera. Durante questafesta tutti, grandi e piccoli, indossano cose nuove e anchenoi qualche giorno prima andavamo sempre a comprare ivestiti e le scarpe nuove, per poi andare a fare le visite acasa di parenti e amici per augurare buon anno. Per tradi-zione si fanno le visite prima alle case degli anziani e poidegli altri parenti. Succede che nello stesso giorno si pos-sono incontrare anche per 4 o 5 volte le stesse persone”.

A presto… BejdaBejda è una ragazzina. Avrà più o meno tredici, quattor-dici anni. La conosciamo da parecchio tempo. Quandoera più piccola stava sempre ad un semaforo per chiede-re l’elemosina. È così che l’abbiamo conosciuta. Pianopiano, i giochini degli uovini Kinder e qualche parola scam-biata sono stati la chiave per ‘aprire una amicizia’. Sem-pre estremamente dignitosa non ci chiedeva mai niente.Semmai era Gabri che, pensando potesse farle piacere,le portava ogni tanto un fermacapelli, un braccialettino,qualcosa da indossare. Di volta in volta ci conoscevamoun po’ meglio, perché se il semaforo ci aiutava e il verdenon arrivava subito, ci poteva raccontare qualcosa di lei,della sua famiglia.

Oggi che è cresciuta non sta più al semaforo. Oggi staall’ingresso di un supermercato. Pochi giorni fa l’abbiamovista, ci è venuta incontro e con emozione ci ha dettoche suo padre ha perso il lavoro a Van e con la famiglia sisarebbe trasferita ad Istanbul, per sempre.

Ha chiesto il nostro numero di telefono per poterci diredove sarà…

L’olfattoDue odori, due sensazioniolfattive, mi hanno fatto‘sentire’ che eravamo vera-mente rientrati a Van dopoil Natale a Firenze. Non sospiegarvi perché, infattibastava guardarsi intornoper capirlo. Ma questa voltaè stato il profumo uscito dauna scatolina di cera dascarpe. Un ragazzino lu-strascarpe l’ha aperta pro-prio nel momento in cui glipassavamo accanto e quel-l’odore è come se mi avessedetto: siete tornati!

L’altro odore è statoquello del fumo di carbone

che esce dai camini di tante case. In Italia ormai non sisente più, qui invece è un compagno costante degli invernia Van.

Odori, ricordi del passato. Scatta il collegamento consensazioni di tanti anni fa: l’odore dell’aria il primo giorno

dopo la fine della scuola.L’odore dell’olio della catenadella bicicletta, quello dellevacanze, quello dei bom-boloni e delle schiacciatine,quello del mare, al primobagno dopo un anno diattesa!

A tutti voi i nostri Auguriper una Felice Pasqua diResurrezione!

Roberto, Gabriella -Edremit-Van, Marzo 2015

Medico siriano. Adesso lavora come lavapiatti, nonpotendo esercitare perché straniero. Comunqueeffettua delle visite solo per i suoi connazionali.

La tariffa di visita è di 5 lire turche (1,80 €)La vita continua

Il bagno ed il salottodi una casa

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Maggio 2015 25

IL MONDO VISTO DAGLI OCCHI DEI GIOVANI

Con gli occhi dei giovani

In quale modo i giovani guardano il mondo caotico dei nostri tempi? Le nuove gene-razioni sono le principali vittime del sistema. Sparito (o quasi) il lavoro, si sarebbeportati a pensare che lo vedano come un luogo ostile che induce al pessimismo. Invece,

se permettiamo che si esprimano, abbiamo la sorpresa di trovarli propositivi, fiduciosi,disposti al cambiamento. Un vero antidoto alla malinconia di tanti adulti.

Prosegue questa nuova rubrica scritta proprio da giovani che si alterneranno con quelladi una “voce” più matura, quella di Elisa Lupano, counselor, che guarderà il loro mondocon occhi diversi, in una sorta di dialogo “a distanza” tra due generazioni su tematichesociali e di vita vissuta... - lei sta a Torino, mentre i giovani che abbiamo interpellatostanno a Cuneo, all’Istituto Magistrale Statale “Edmondo De Amicis”, ma anche in altriluoghi d’Italia - e chissà che, tra qualche tempo, non ne nasca una sintonia ed unaamicizia!!!

di ElisaLupano

DARE SENSO ALLA VITA:valori, senso religioso, autostima

C ome andare a scoprire, sotto la scorzadura, l’attesa e la speranza di cui sonoportatori i giovani?

In base ad alcune ricerche che abbiamo ef-fettuato Luciano Jolly ed io sui ragazzi che fre-quentano la Scuola superiore, cercherò di ag-giungere un altro tassello per aiutarci a capirequesto mondo vario e a volte anche contrad-dittorio che sono i giovani, senza pretese, dalpiccolo mondo della mia esperienza.

La maggior parte di loro dichiara di averemolti amici, si riconoscono come capaci dicapire le emozioni dei loro compagni, in par-ticolare le tristezza e la gioia, non sempre sisentono capiti dai loro pari; gli amici, infine,rappresentano uno spazio di rassicurazioneaffettiva, un luogo di maturazione, di respon-sabilità. In qualche caso l’amicizia è un luogodi evasione dai problemi e dalla quotidianità.Anche i ragazzi più grandi, quelli di 18 - 20anni di cui mi sono occupata di più, come iloro compagni più giovani, partecipano poco

alla vita associativa. L’unica attività che qual-cuno di loro fa, è lo sport, che per alcuni è unimpegno quasi quotidiano; sono pochi quelliche frequentano associazioni di volontariato,ma per lo più in modo saltuario, meno di unavolta al mese.

Rispetto al lavoro, sono convinti che l’aspet-to più importante sia lo stipendio, il reddito:vedono il lavoro come strumentale per la pro-pria indipendenza economica, e cercano unlavoro sicuro, stabile, se possibile che piaccia.Poco importa il valore sociale di quello che sifa, che i rapporti con i colleghi di lavoro e coni superiori siano buoni, che sia un lavoro cheporti ad avere molti contatti sociali. Questovuol dire che i contatti sociali si coltivano fuoridel mondo del lavoro? Ma in quali occasioni,se la vita associativa è così scarsa?

Ci verrebbe da pensare che i rapporti virtua-li siano quelli che riempiono di più le loro gior-nate: e i genitori lo sanno, fa parte delle la-mentele più frequenti quando parlano dei loro

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26 Maggio 2015

IL MONDO VISTO DAGLI OCCHI DEI GIOVANI

figli. Ma non arriviamo a conclusioni affrettate, non è diquesto che vogliamo parlare questa volta, affronteremo l’ar-gomento in un’occasione successiva.

Se si chiede ai ragazzi di 18 anni quali sono i problemiche pensano di dover affrontare nel prossimo futuro, indi-cano come prioritari quelli legati allo studio e alla profes-sione, in sostanza quelli relativi al lavoro.

Scarsa attenzione viene data ai problemi di tipo politicoe sociale e a quelli ecologici, dando priorità a quelli piùlegati ai propri bisogni più vicini. Una discreta considera-zione viene data ai problemi di salute, pochissima atten-zione ai problemi di amore e di sesso, ai problemi psicolo-gici e alla solitudine. Ci viene da dire che la maggior partedei ragazzi, come già detto prima, ha intorno un numerosufficiente di amici da farli sentire sicuri e abbastanza sod-disfatti della propria vita sociale. Dichiarare di aver pro-blemi con l’amore e il sesso, anche in un questionario ano-nimo, significa ammetterlo anche a se stessi, così comeper i problemi psicologici: non è certo una cosa facile. E lasolitudine? Chi è solo, è veramente solo, e sa che questoproblema non si risolverà presto, e lo dovrà affrontare an-che più avanti: e questa cosa pesa tanto, nel mondo socialin cui sono capitati.

Altri problemi che i ragazzi sentono come importantisono quelli legati alla propria situazione famigliare. Pro-prio così, i ragazzi si preoccupano per le loro famiglie.Quali sono i problemi familiari di cui i ragazzi si fannocarico? Forse la precarietà degli affetti, all’interno di fa-miglie scomposte e ricomposte, ristrette e allargate? Oforse il lavoro, che nella sua precarietà entra sempre piùcome problema all’interno dei discorsi quotidiani. Pos-siamo solo immaginare quanto questa li coinvolga, quan-te proiezioni rispetto al proprio futuro si facciano, quantosi sentano in qualche modo partecipi al mondo degli adulti.Già qui ci pare che la scorza dura incominci ad incrinarsiun po’.

Per quel che riguarda le scelte di vita, considerano moltograve tradire il partner, non grave abortire, per nulla graveavere comportamenti omosessuali, per nulla grave convi-vere. Pensano che sia importante che i disabili siano pre-senti nel mondo del lavoro, ma sono meno aperti nei con-fronti degli stranieri.

Ma veniamo alla seconda parte dell’indagine, che ag-giunge qualche elemento in più alla fotografia che stiamotentando di dare.

Quale affermazione è più vicina al tuo sentire?Ho chiesto ai ragazzi di indicare quale, tra le definizioni(Credente, Credente praticante, Credente senza appartenen-za religiosa, Non credente, In ricerca, Non so) fosse quellache si avvicinava di più al loro modo di sentire. La metà sidichiara “credente” o “credente praticante”, un piccologruppo si definisce “credente senza appartenere ad alcunareligione”, e altrettanti si definiscono “in ricerca”. Più del-

la metà, infine scelgono di compilare questa seconda partedel questionario, lasciata come facoltativa.

Cercherò di descrivere questo gruppo di ragazzi che de-cide di continuare a rispondere: ragazzi che non si nascon-dono dietro all’immagine di razionali, duri, spavaldi, ni-chilisti, che non credono in niente.

La cosa che mi ha colpito di più, quando andavo nelleclassi a somministrare il questionario, era il silenzio checalava quando si arrivava a questo punto. Se durante lacompilazione della prima parte non mancavano le battute:“Cosa dite?... cosa scrivo, che ho tanti amici?”. “No, quinon posso rispondere, a me nessuno mi capisce”... E civoleva un po’ a ottenere la concentrazione, anche perchécompilare un questionario è un diversivo dalla routine cheviene accettato abbastanza allegramente, più avanti la con-centrazione diventava più forte, a dimostrare che le do-mande relative alla sfera religiosa, alla spiritualità, andas-sero a toccare qualcosa di più intimo, che richiedeva unpo’ più di attenzione.

La maggioranza dice che crede perché è cresciuto in unambiente religioso, alcuni riconoscono che credere è unbisogno dell’uomo. Sono pochissimi che ritengono che lapropria religione sia quella vera, ma molti pensano che lafede possa aiutare ad affrontare i problemi della vita.

Cosa incide nel percorso di fede di questi ragazzi è lafamiglia, e in parte la comunità di appartenenza, per qual-cuno è stata la perdita di una persona cara. Pochi sono quelliche si dichiarano “Convinti e attivi”. La maggior parte è“Convinto, ma non sempre attivo”, e si sentono di apparte-nere alla propria comunità religiosa “a modo mio”, “inmodo critico”, “con riserve”.

La preghiera non è molto praticata, i ragazzi che dichia-rano di pregare lo fanno soprattutto per chiedere aiuto, farechiarezza in se stessi, per avere un momento di raccogli-mento, usando espressioni personali piuttosto che formuleconosciute. Alcuni dicono di non farlo mai. La frequenzaai riti è scarsa, limitata ad occasioni collettive importanticome matrimoni, battesimi, funerali. Quasi la metà nonentra mai in un luogo di culto.

La partecipazione a gruppi di giovani appartenenti allapropria comunità di riferimento non è molto elevata, maesigente: ci si aspetta dal gruppo “rapporti di amicizia esolidarietà”, “esperienze significative”, opportunità di im-pegno che diano senso alla vita. Infatti, l’aspetto priorita-rio della vita di fede è l’impegno in favore di chi ha biso-gno, sentirsi parte di un gruppo e, per pochissimi, averefede costituisce un orientamento nelle scelte di vita.

Qualcosa di più, e qualcosa di menoChi sono questi ragazzi che si dichiarano credenti, che fre-quentano poco la comunità di appartenenza, pur chieden-do di fare “esperienze significative”?

In cosa sono diversi dagli altri, da quelli che non hannocompilato questa parte del questionario?

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Maggio 2015 27

Il primo confronto riguarda la frequenza ad associazio-ni di volontariato: il gruppo che ha risposto al questiona-rio sulla religiosità vi partecipa più attivamente, anche senon sempre in modo continuativo, rispetto ai ragazzi delgruppo che non ha risposto a questa parte. E se l’amiciziaè un valore importante per tutti, per chi si dichiara cre-dente è considerata uno spazio protettivo, dove coltivarerelazioni significative e profonde, un’occasione di cre-scita, mentre per chi si dichiara non credente il gruppo èin maggior misura un luogo dove evadere dalla quotidia-nità e dai problemi.

Altre differenze si possono cogliere riguardo ai compor-tamenti: il gruppo dei credenti dimostra un maggiore sen-so civico: considerano più grave rispetto agli altri sporcaregli ambienti e non pagare i mezzi pubblici, hanno una mag-giore attenzione a scelte legate alla propria vita sessuale(l’aborto, e i rapporti sessuali a 14 anni sono considerati“gravi”). Anche l’eutanasia è considerata in maggioranza“inaccettabile” dal gruppo dei credenti.

Si direbbe che hanno qualcosa in più: i ragazzi, che amodo loro, dichiarano di avere un qualcosa riferibile alsenso religioso, sono un po’ più attenti al mondo intorno,si fanno qualche domanda in più, anche solo parlandonetra loro, in quel gruppo in cui cercano relazioni significati-ve, occasioni di crescita.

Ma facciamo un passo più avanti, non limitiamoci alleprime impressioni.

Nell’ultima parte del questionario, i ragazzi hanno forni-to risposte ad un test per misurare il proprio livello di auto-stima, un test molto lungo, che prevede di misurare nonsolo il livello di autostima generale, ma i diversi aspettiche la caratterizzano: l’autostima sulle proprie capacità aentrare in relazione con gli altri, sulle proprie competenzeemotive, l’autostima scolastica, familiare e corporea.

In generale, i ragazzi tra i 18 e i 20 anni ritengono diavere buone capacità a relazionarsi, si ritengono un po’meno bravi a gestire le loro emozioni, hanno una bassaautostima scolastica, non si piacciono per niente, ma han-no una alta autostima familiare, il cui punteggio supera inmodo evidente quello accumulato negli altri aspetti del-l’autostima.

Cosa vuol dire? Che i ragazzi sono convinti che la lorofamiglia, per quanto disastrata e in difficoltà a tenere insie-me i pezzi, si occupa di loro, pensa alla loro felicità, in so-stanza c’è quando sentono il bisogno di un posto dove esse-re accolti, e da essa si sentono amati e protetti.

Bene, verrebbe da dire. In questa società liquida, la fa-miglia tiene.

Troppo facile. Andiamo più a fondo.Facendo qualche incrocio sui risultati, i ragazzi che espri-

mono un’autostima familiare alta, sono quelli che conside-rano tra i problemi più urgenti da affrontare quelli legatiall’avvenire, allo studio, alla professione, alla salute fisi-ca, dimostrando senso di responsabilità e concretezza, ma

sono anche quelli che non considerano importante un aspet-to fondamentale della vita lavorativa: l’autonomia, la pos-sibilità di prendere decisioni. L’autostima famigliare nonha incidenza significativa sull’autorealizzazione, che po-trebbe essere ben rappresentata dal fare un lavoro che pia-ce e che, attraverso l’interesse per questo, spinge a cresce-re, a formarsi, a diventare più competenti. In sostanza, lafamiglia protegge, fa sentire amati, ma non aiuta a staccar-sene, a camminare con le proprie gambe. È un po’ una cuc-cia calda, da cui si esce a fatica.

I ragazzi che si definiscono in qualche modo credentihanno un’autostima familiare molto alta (la famiglia è an-che ciò che ha inciso di più nel loro percorso di fede), cheperò abbiamo visto incide negativamente sulla propria au-tonomia e sul bisogno di crescere a realizzarsi nella vita.Nella famiglia “affettiva”, che protegge e fa sentire amati,si sta bene, ma si tende a ritardarne l’uscita, la crescita per-sonale, l’indipendenza.

Allora, forse, hanno qualcosa di meno rispetto agli altri?Forse è troppo affrettato trarre delle conclusioni. Lascia-

mo aperta la possibilità di nuovi approfondimenti. Provia-mo almeno a elaborare qualche pensiero finale, che nonchiuda l’argomento, ma caso mai ne apra di nuovi, nel-l’obiettivo comune di andare al di là degli stereotipi.

Più che conclusioni, pensieri apertiI ragazzi che hanno compilato la parte del questionario sulsenso religioso, presentano un punteggio di autostima to-tale più alto degli altri. Forse questi dati ci dicono che,nonostante tutto, mediamente “stanno meglio”: un po’ piùcoccolati in famiglia, o meglio collocati dentro un gruppopiù strutturato, in cui si ritrovano rapporti di amicizia esostegno. Vivono in un ambiente che dà l’occasione di qual-che esperienza di solidarietà nei confronti di chi ha piùbisogno, dove è possibile coltivare una stima di sé che fasentire in pace con se stessi e aiuta a sentirsi migliori sulpiano globale.

Ma i dati raccolti ci lascano un po’ sconcertati. L’im-pressione è quella di una fede “tiepida”, data più dall’abi-tudine e accolta acriticamente, di una fede che segue leconsuetudini della famiglia, piuttosto che una scelta con-sapevole.

Tutto il contesto porta anche a stare meglio: amici un po’più stabili, attività di volontariato anche saltuarie, ma chevengono sentite come esperienze importanti. Quello chedobbiamo chiederci è se chiamarla fede o qualcos’altro,visto che ci pare di aver capito che non è tanto il rapportocon il divino, il sapersi collocare in un mondo di cui sipercepiscono gli aspetti trascendenti, a dare una sorta disostegno, ma è l’ambiente di riferimento e le azioni che sifanno, che aiutano a sentirsi tendenzialmente più sicuri.

E chiederci, per tornare alla domanda iniziale, se non sianecessario fare qualcosa di più per aiutarli a trovare attesae speranza, che diano senso alla loro vita.

IL MONDO VISTO DAGLI OCCHI DEI GIOVANI

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28 Maggio 2015

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

La famiglia fra natura e culturaLa Comunità di S. Francesco Saverio un annofa ha risposto con fiducia alle sollecitazioni delvescovo di Roma ad esprimere le proprie opi-nioni in vista del Sinodo sulla famiglia, elabo-rando il documento “La fede attraverso l’amo-re (e la laicità)”.

Oggi, interpellati dalle nuove domande alle-gate alla Relatio Synodi, abbiamo apprezzatoil fatto che per la prima volta si parli con ri-spetto e attenzione di matrimonio civile, con-vivenze e divorzio, situazioni un tempo defi-nite semplicemente “irregolari”. Abbiamo peròl’impressione che la Relatio riproponga la dot-trina tradizionale del magistero sulla famiglia,e si limiti a chiedere ai fedeli le modalità mi-gliori per farla capire ed accettare. Per questoabbiamo deciso di soffermarci solo sulla “Do-manda previa”, che chiede se “la descrizionedella realtà della famiglia presentata nellaRelatio corrisponde a quanto si rileva nellaChiesa e nella società oggi”. La nostra rispo-sta è negativa, perché, come abbiamo scrittonel nostro primo documento, siamo convintiche la famiglia non sia un “dato di natura”, maun “fatto di cultura”, che cambia nella storia.Oggi non è più accettata, ad esempio, la sotto-missione della moglie al marito, che fino aqualche tempo fa era dottrina ufficiale.

Il sacramento presuppone la dimensioneumana, i suoi valori di base, come onestà, fe-deltà, giustizia. Ad essi va data la priorità. L’in-contro tra due persone, che si riconoscono evivono nell’amore, potrà dar luogo a una ar-monia di coppia, a una relazione capace diunire due persone nello spirito e nel corpo.

Pensiamo che il Vangelo non sia una dottri-na ma un annuncio profetico e che i comanda-menti di Gesù vadano interpretati come tali.Ad esempio, “siate perfetti come è perfetto ilPadre vostro che è nei cieli”, oppure “l’uomonon separi ciò che Dio ha unito”, oppure “ama-tevi gli uni gli altri come io vi ho amati”, non

sono delle leggi giuridiche: sono imperativiprofetici che ammettono una realizzazione pro-gressiva e anche indefinita nel tempo. Alla per-fezione di Dio non potremo mai attingere, mal’orientamento evangelico può guidare la no-stra vita, come l’orizzonte a cui tendere.

Tra le diverse confessioni cristiane, soloquella cattolica ha una posizione rigidamentedogmatica sulla famiglia. Alle origini la Chie-sa ammetteva eccezioni alla disciplina del ma-trimonio per venire incontro alle difficoltà dellecoppie.

Anche l’ecumenismo, quindi,ci invita a con-siderare la disciplina coniugale alla luce dellaregolamentazione vigente nelle altre Chiesecristiane.

Da “chiesa domestica” a “piccola città”Come cristiani consideriamo la famiglia il cam-mino arduo di donne e uomini che, aiutate/ianche dallo Spirito, cercano di realizzare laconvivenza delle differenze, senza sopraffazio-ne. Oggi, nel mondo secolarizzato e globaliz-zato, la famiglia non è tanto una “chiesa do-mestica”, quanto piuttosto una “piccola città”,in cui devono convivere differenze di genere edi generazioni, ma anche di culture e di reli-gioni. È necessario che in essa la condivisionesostituisca l’imposizione, e relazioni amorevoliconsentano di sentirsi pienamente accolte/i,creando lo spazio per la crescita di rapportiprofondi e creativi, che favoriscano la testi-monianza dell’annuncio evangelico.

Come abbiamo superato l’idea di stato cri-stiano, dovremo superare l’idea di famiglia cri-stiana: le istituzioni sociali sono laiche e plu-raliste. I cristiani testimoniano e annuncianola fede anche nelle relazioni familiari, comesono capaci. E quando in una famiglia le dif-ferenze faticano a comporsi, o sfociano in fal-limenti, dobbiamo rispettare la ricerca e lesconfitte, sapendo che nella coppia bisognaanche essere fedeli a un progetto di realizza-

LE FAMIGLIE DI OGGI E DI DOMANIRiflessioni di una comunità di laici per il Sinodo della famiglia.

a cura dellaComunitàS. FrancescoSaverio - Trento

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Maggio 2015 29

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

zione individuale. La proposta evangelica non è fatta dinorme o schemi a cui adeguarsi, ma è piuttosto una spintaa ricercare e creare relazioni umane profonde, libere, au-tentiche.

Dal Vangelo non si può dedurre una ‘dottrina’ sulla fa-miglia, ma indicazioni di ideali cui tendere: fedeltà e re-sponsabilità, rispetto degli altri e del creato, amore reci-proco, generosità nell’accoglienza di figli biologici e difigli adottivi, apertura alla più grande famiglia umana, va-lori propri anche dell’etica laica, arricchita, per il creden-te, dall’annuncio delle Beatitudini.

Se pretendiamo di dedurre dalle Scritture una ‘dottrina’valida per tutte le situazioni, ci si mette nella condizione diessere smentiti dalla storia. L’enciclica ’Humanae vitae èemblematica: la definizione di Paolo VI della contracce-zione come indegna della persona umana ha causato soffe-renze e allontanamenti dalla Chiesa, e l’enciclica ha cono-sciuto una disapplicazione di massa, tanto che il cardinaleSuenens paragonò la condanna della contraccezione al casoGalileo.

Il dualismo tra ‘dottrina’ e ‘pastorale’ , inoltre, introducequel regime di “doppia verità” di cui parlava Pietro Scop-pola, in cui la “norma intransigente” convive nella Chiesacon una “prassi tollerante”. L’incoerenza però educa al-l’ipocrisia: è l’accusa che la cultura laica muove alla cultu-ra cattolica dai tempi della Controriforma. Ma anche dalpunto di vista ecclesiale, come può essere segno di amorefra Dio e l’umanità, fra Cristo e la Chiesa, una vita vissutanell’incoerenza quotidiana?

Le nuove domandeSe il Sinodo sapesse cogliere nel vangelo, non rigide leg-gi, ma ideali da perseguire, potremmo guardare con un al-tro sguardo ai temi controversi:- la comunione ai divorziati risposati sarebbe la piena ac-coglienza nella comunità di persone che cercano di costru-ire un nuovo amore duraturo;- le convivenze e i matrimoni civili non sarebbero modali-tà di vita ‘nel peccato’, ma forme di famiglia, su cui, per ilcredente, un giorno può innestarsi la grazia;- l’orientamento omosessuale da ‘intrinsecamente disor-dinato’ diventerebbe una forma in cui l’amore può manife-starsi;- la contraccezione non sarebbe più indegna della personaumana, ma uno dei modi in cui i coniugi esercitano la ge-nitorialità responsabile.- la vocazione alla famiglia non dovrebbe essere alternati-va alla vocazione sacerdotale: uomini e donne sposati do-vrebbero poter accedere al sacerdozio. In particolare, persuperare ogni discriminazione, va riconosciuta la dignitàdelle donne e la loro totale parità, non solo nel rapportoconiugale ma anche nella società e nelle istituzioni, com-prese quelle religiose;

- anche il celibato dei presbiteri non dovrebbe essere con-siderato un obbligo, ma una libera scelta;- i matrimoni misti non dovrebbero essere considerati condiffidenza o come problema, ma come occasione di dialo-go ecumenico e fra le religioni;- le nuove tecnologie applicate alla fecondazione e allaformazione della vita umana non dovrebbero essere vistecome globalmente negative, ma, pur nella consapevolezzadi possibili rischi, apprezzate per la possibilità che offronoa tante coppie di vivere la genitorialità;- anche il “fine vita”è tema familiare e sinodale. La fami-glia non è solo luogo di gioia per la nascita dei figli, maanche luogo di dolore per la malattia e per la morte deipropri cari: la Chiesa dovrebbe riflettere su modalità serieper concludere la propria esistenza in modo dignitoso e ilmeno doloroso possibile.Il punto finale della Relatio riguarda “la sfida dell’educa-zione e il ruolo della famiglia nell’educazione”. A tal pro-posito, come comunità di credenti e di persone in ricercaauspichiamo:- il superamento del matrimonio concordatario per favori-re una scelta consapevole dei coniugi ed evitare confusio-ne di ruoli fra Stato e Chiesa;- il superamento dell’insegnamento della religione catto-lica nella scuola pubblica, da sostituire, in uno Stato laicoe sempre più multiculturale, con l’insegnamento delle reli-gioni;- la possibilità di scelta in merito all’età del battesimo, chepotrebbe essere decisa non dai genitori ma dai figli quan-do raggiungono la consapevolezza di voler aderire allaChiesa.Alcuni di noi, da anni impegnati nei gruppi famiglia par-rocchiali e nel cammino di preparazione dei giovani al ma-trimonio, ricordano che, a partire dal Vaticano II, c’è statoun fiorire di iniziative per dare impulso alla rivitalizzazio-ne della coppia e della famiglia, partendo da una umanitàpiù ricca, ispirandosi, con atteggiamento critico ma costrut-tivo, al Vangelo. Ritengono però che la Chiesa ufficialenon abbia valorizzato a sufficienza la ricchezza di questeesperienze di “evangelizzazione e promozione umana” edauspicano, per il futuro, un riconoscimento e una collabo-razione maggiori.In conclusione, abbiamo apprezzato la volontà del Sinododi interpellare i laici sui temi in discussione, ma vorremmoun loro maggior coinvolgimento, in quanto il tema dellafamiglia non può essere affrontato e deciso solo da presbi-teri celibatari. Il nostro auspicio, infine, è che il documen-to finale cui il Sinodo giungerà sia luce e conforto per tuttele famiglie del mondo.

Trento, 22 febbraio 2015 - Comunità S. Francesco SaverioTrento - [email protected]

empi di fraternità

30 Maggio 2015

... E LA SPERANZA CONTINUA ...

Aiuti all'Infanzia, all'Adolescenzae alla formazione in Teófilo Otoni

a cura di Daniele Dal [email protected]

[email protected]://danieledalbon.wordpress.com/

Quello che impari, fallo sapere agli altri,perché non è roba tua.

La crisi del nostro tempo,come stiamo lentamente e dolorosamente

cominciando a percepire,è una crisi non delle mani, ma dei cuori.

(Archibald MacLeish)

Le immagini sono realizzate nelle varie realtà realizzate nei progettiDon Giovanni è ritratto nella sua casa Emmaus

Carissimi,

Ormai è stato detto di tutto sul Brasile e lo stato del mon-do. Ora è necessario “concretizzare”. Lavorare con i ra-gazzi /adolescenti e sulla formazione degli animatori.

In Brasile ci sono molti asili: la maggioranza dei bambi-ni alla sera torna dalla sua famiglia; sono dei “doposcuo-la”, in pochi si fermano la notte.

Il Brasile è un continente: non basta una vita per visitaretutti i progetti di solidarietà. Ho vissuto un mese a TeófiloOtoni e ne ho visti alcuni, di cui vi porto a conoscenza.Essendoci meno ragazzi in strada, ci sono problemi esi-stenziali che il capitalismo ha portato tutto il mondo: dro-ga, consumismo, il cellulare, etc.

Don Giovanni Lisa con Daniele Dal Bon

I miei amici in Brasile sono gli animatori delle associa-zioni - gli alternativi, diremmo noi che ai loro figli, e nonsolo - perché talvolta sono insegnanti, psicologi - cercanodi trasmettere una semplicità umana, ricca di sfumature edi vitalità, vivendo in una casa “aperta al mondo”.

empi di fraternità

Maggio 2015 31

Incontri Ecumenici di preghieraGli incontri si terranno il primo sabato del mese alle ore 21. I prossimi appuntamenti saranno:sabato 2 maggio 2015 presso la chiesa ortodossa copta di Santa Maria, via San Donato 17sabato 4 luglio 2015 presso l’Esercito della Salvezza, via Principe Tommaso 8csabato 5 settembre 2015 presso la parrocchia del SS. Nome di Gesù, c.so Regina Margherita 70Chiesa di tutti, Chiesa dei poveriIl quarto incontro, il cui argomento è GIOIA E SPERANZA, MISERICORDIA E LOTTA, si terràsabato 9 maggio 2015, a 50 anni dalla pubblicazione dell’enciclica Gaudium et spes.L’Assemblea nazionale è convocata da gruppi ecclesiali, riviste e associazioni e si terrà pressol’Auditorium di Piazza dello Scoutismo, 1 - RomaMaggiori informazioni sono reperibili sul sito Viandanti, all’indirizzo www.viandanti.org/?page_id=10206Vittorio Bellavite: [email protected] Tel. 02-2664753 - Franco Ferrari: [email protected] Tel. 0521-242479Comunità di base di TorinoDomenica 10 maggio e 14 giugno, alle ore 11, presso la sede dell’Associazione Opportunanda,via S. Anselmo n. 28, la comunità di base celebrerà l’eucarestia, a cui tutti i lettori sono invitati.Informazioni: Carlo e Gabriella 011 8981510.Comunità di base di TorinoVenerdì 22 maggio, alle ore 18, presso la sede dell’Associazione Opportunanda, via S. Anselmon. 28, prosegue la lettura del Vangelo di Matteo guidata da padre Ernesto Vavassori.Informazioni: Carlo e Gabriella 011 8981510.

Torino2 maggio4 luglio5 settembre

Gli appuntamenti dell’Agenda sono consultabili sul nostro sito all’indirizzo:http://www.tempidifraternita.it/applicazioni/agenda/agenda.php

AGENDA

Torino10 maggio14 giugno

Torino22 maggio

Roma9 maggio

Essere entusiasti, e mantenere inalterata la voglia di lot-tare per cambiare qualcosa e dare un’opportunità di vitamigliore alla gente del proprio Paese per creare un altromondo possibile.

Associazione per l’Adolescente Espaço Adolescente([email protected]) di Teófilo Otoni, doveho contattato Marcileine, una psicologa che ha lavoratovent’anni all’APJ da don Lisa.

Centro per l’Educazione per l’Infanzia e l’Adolescente diPavao: ho contattato Suor Antonina della Congregazionedelle Suore della Neve; [email protected]

Casa Nazareth dell’Associazione Uai Brasil di Torino dove,nel 1995, ho conosciuto Anna Maria Poggio che è arrivatain Brasile a Teófilo Otoni e si è fermata per alcuni [email protected] - www.uaibrasil.itVi operano, tra gli altri, Andrea e don Gianmario.

Don Sergio Stroppiana, missionario di Alba, che continuacon il Centro di Educazione al Lavoro:Casa Paroquial 39980-000 Cahoeira de PajeuMinas Jerais - Brasile.

E poi, c’è “l’APJ - Aprender Produzir Juntos” imparare aprodurre insieme, una associazione locale, fondata l’8 lu-glio del 1984 da Padre Giovanni Lisa per l’educazione pre-ventiva, la formazione professionale, la partecipazione allapolitica. Perché in America Latina talvolta gli stessi catto-lici sono militanti sindacali e politici. C’è l’esigenza di fare“memoria” delle “caminhadas” di un popolo che sta facen-do un suo cammino: “camminando si apre il cammino:mons. Pedro Casaldaliga”.APJ - Aprender Produzir JuntosRua Osvaldo Barbosa - Teófilo Otoni/MGtel. (33) [email protected]

empi di fraternità

32 Maggio 2015

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ELOGIO DELLA FOLLIAa cura di Gianfranco Monaca

LE OPERE DI MISERICORDIA CORPORALE: 1 - Dar da mangiare agli affamati, 2 - Dar da bere agli assetati,3 - Vestire gli ignudi, 4 - Alloggiare i pellegrini, 5 - Visitare gli infermi, 6 - Visitare i carcerati, 7 - Seppellire i morti.LE OPERE DI MISERICORDIA SPIRITUALE: 1 - Consigliare i dubbiosi, 2 - Insegnare a chi non sa,3 - Ammonire i peccatori, 4 - Consolare gli afflitti, 5 - Perdonare le offese, 6 - Sopportare pazientementele persone moleste, 7 - Pregare Dio per i vivi e i morti.

Papa Francesco ha proclamato il 2016 Anno Santo, Giubi-leo di misericordia. Le autorità civili si sono allarmate, egiustamente, ma non per un Giubileo di misericordia, che

è una cosa seria; hanno frainteso fin da subito, e si stanno allar-mando per un motivo molto banale: venti milioni di pellegrini inItalia e specialmente a Roma saranno un grosso problema or-ganizzativo (strutture, sicurezza, trasporti ecc.). Il governo è ot-timista: ce la faremo. Ma a far cosa? Hanno capito che cos'è unGiubileo?

Papa Francesco ha voluto chiarire, aggiungendo una spie-gazione che di per sé sarebbe stata superflua: sarà un Giubi-leo di misericordia. La misericordia sta nelle radici bibliche delconcetto stesso di Giubileo: un anno di pausa nelle attività "pro-duttive", per far riposare la terra, gli esseri umani e gli animali.

Un ritorno delle proprietà ai loro naturali proprietari, una resti-tuzione degli schiavi alla libertà. Gli ebrei l'avevano capito be-nissimo, perciò andarono molto prudenti e proclamarono moltoraramente i loro anni giubilari, anzi, non si sa esattamente se equando li abbiano effettivamente celebrati.

Dopo la distruzione di Gerusalemme non se ne parlò più finoa che, dal 1300 in poi, la Chiesa cristiana li ufficializzò con mol-ta disinvoltura a ritmo di due volte ogni cento anni, ma nellasostanza si trattò di un'operazione finanziaria che somigliò mol-to a una scandalosa compra-vendita di "indulgenze" per accu-

mulare montagne di soldi per le grandi opere del regime ponti-ficio, tanto che un monaco tedesco denunciò quello che consi-derava un tradimento del compito primario dei discepoli di Gesùdi Nazareth, l'annuncio del Vangelo che, appunto, è annunciodi misericordia.

Sappiamo come andò a finire, e da allora gli Anni Santi sonodiventati nient'altro che una gestione vaticana della misericordiadivina, tramite pellegrinaggi finalizzati all'acquisto di non benchiarite "indulgenze", per quella parte di cristianità che non ave-va seguito Lutero e i suoi eredi spirituali nella ribellione a Roma.

Nelle proclamazioni degli Anni Santi, nessuno parlò più dimisericordia in senso biblico, ma il concetto non fu dimenticatoe finì in appendice al Catechismo, come una trascurabile curio-sità storica - dopo i Sette Sacramenti, le Virtù Teologali, le VirtùCardinali, i Peccati capitali, i Sette Doni dello Spirito Santo, iCinque Precetti generali della Chiesa - sotto forma di due pic-coli elenchi dal titolo "le sette opere di misericordia corporale" e"le sette opere di misericordia spirituale". In realtà riassumonol'essenza del messaggio evangelico, essendo il programmadell'esame di ammissione al Regno di Dio che Matteo collocaal suo capitolo 25.

Più importanti dei dieci comandamenti, dunque. Bisogne-rebbe dirlo al governo. Magari l'ottimismo calerebbe di tono.Ci sembra un discorso da riprendere, in attesa del 2016.