NUMERO 269 in edizione telematica - PIERO GIACOMELLI · 2019. 6. 14. · NUMERO 269 in edizione...

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NUMERO 269 in edizione telematica 11 giugno 2019 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected] …No, non puoi sempre perdere No, non puoi sempre perdere Capita ogni giorno quello che è successo a noi Bisogna saper vincere Bisogna saper vincere Non sempre si può perdere Ed allora cosa vuoi? VOGLIO VINCERE ! Ma quale può essere il Golden del Gala, se non il valore aggiunto del calore espresso dal pubblico in empatia con gli agonisti? Mentre scrivo, assisto al capolavoro delle azzurre del calcio, che mettono sotto le australiane, tirando fuori l’anima nell’ultima azione utile, negli ultimi secondi di match. Mi torna in mente un vecchio motivo in voga dei The Rokes cambiandone le parole e il senso. Bisogna saper vincere. Ecco un esempio di quel che dovrebbero continuare a sostenere i nostri atleti , indipendentemente dal ruolo, soprattutto se considerati gli alfieri di un movimento, che vanta nobilissime tradizioni. E sì, confermo che le sensazioni del prima e del durante l’ultima edizione del “Golden Gala” - intitolato ad un winner come Pietro Mennea - erano finalmente quelle giuste, dopo anni di rassegnata attesa. Il clima era favorevole, tutto sembrava combinare in un contesto pressoché perfetto, fresco e ordinato, con il pubblico in crescendo nello stadio diffusamente gioioso, con le impennate della Curva Sud per le esuberanze di Gimbo Tamberi, la generosa profusione corale di orgoglio nazionale e commozione per l’Inno di Mameli in onore del Signor Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in tribuna, tra Malagò, Giomi e Giorgetti, per fare il punto

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  • NUMERO 269 in edizione telematica 11 giugno 2019 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected]

    …No, non puoi sempre perdere No, non puoi sempre perdere Capita ogni giorno quello che è successo a noi Bisogna saper vincere Bisogna saper vincere Non sempre si può perdere Ed allora cosa vuoi? VOGLIO VINCERE ! …

    Ma quale può essere il Golden del

    Gala, se non il valore aggiunto del

    calore espresso dal pubblico in

    empatia con gli agonisti? Mentre

    scrivo, assisto al capolavoro delle

    azzurre del calcio, che mettono sotto

    le australiane,

    tirando fuori

    l’anima

    nell’ultima azione

    utile, negli ultimi

    secondi di match.

    Mi torna in mente

    un vecchio

    motivo in voga

    dei The Rokes

    cambiandone le

    parole e il senso.

    “Bisogna saper

    vincere”.

    Ecco un esempio di quel che

    dovrebbero continuare a

    sostenere i nostri atleti ,

    indipendentemente dal ruolo,

    soprattutto se considerati gli alfieri

    di un movimento, che vanta

    nobilissime tradizioni. E sì, confermo che le sensazioni del prima e del durante l’ultima edizione del “Golden Gala” -

    intitolato ad un winner come Pietro Mennea - erano finalmente quelle giuste, dopo anni di rassegnata attesa. Il clima era favorevole, tutto sembrava combinare in un contesto pressoché perfetto, fresco e ordinato, con il pubblico in crescendo nello stadio diffusamente gioioso, con le impennate della Curva Sud per le esuberanze di Gimbo Tamberi, la generosa profusione corale di orgoglio nazionale e commozione per l’Inno di Mameli in onore del

    Signor Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in tribuna, tra Malagò, Giomi e Giorgetti, lì per fare il punto

  • SPIRIDON/2

    sul nuovo corso salutistico sportivo

    e seguire la nuova freccia italica, Pippo Tortu. In definitiva, in carenza di nuove opportunità olimpiche, di campionati tricolori, di incontri,

    internazionali bilaterali o a più nazioni, questa rimane l’unica occasione per vedere la grande atletica al Foro Italico, sulle piste e le pedane dell’Olimpico , laddove la storia dello sport ha lasciato più volte il segno. Cosa volete, forse si corre il rischio di passare per nostalgici, ma chi ha provato le vibrazioni emotive degli oceanici “studenteschi” e poi dei gettonatissimi Giochi della Gioventù, dei “tricolori “ nobilitati dalle sfide tra quei giganti sopravvissuti alla Seconda Guerra ed i semidei generati dalla straordinaria energia sprigionatasi dalla XVII Olimpiade, chi è rimasto contaminato dalle gesta di Vladimir Kuts, chi

    ha vissuto la rinascenza atletica degli anni settanta-ottanta, passando per Campionati Europei e Mondiali, anche Master, Coppe Europa e del Mondo, chi ha vissuto trasmutazioni tali da coinvolgere finanche la Polizia a cavallo per arginare le dichiarazioni popolari degli affetti nei confronti delle nostre star, chi ha visto nascere, trionfare e tramontare un gladiatore della pista come Pietro Mennea, sempre con quel dito indice alzato, chi ha condiviso per decenni la filosofia della vittoria, piuttosto che del primato, sa quanto peso abbiano

    lo spirito guerriero e l’idea di vincere. Ecco, se devo e se posso essere onesto con me stesso e voi tutti, in certi contesti, in

    certe occasioni, la massima attribuita al barone olimpico, a Pierre de Coubertin, diventa un non senso, quanto inutili e maniacali possono risultare le statistiche e le tabelle riassuntive di una stagione senza podio. Quel che conta è pur sempre vincere, poter dire e farsi dire: “Primo!”. Non a caso il più grande motivatore o se volete psicologo sportivo di supporto ai nostri vincitori fu proprio uno che nel dubbio si chiamava di nome Primo e di cognome Nebiolo. Prima di lui lo erano stati Ridolfi e Zauli e con lui il manipolo di dirigenti che lo accompagnò nel ventennio del “Rinnovamento”, nel bene ed anche nella fase catartica, sicuramente per eccesso e non per difetto. Ora, che si

    annunciano congiunture favorevoli, occorre non sottovalutare il peso appunto delle motivazioni, diciamo quel che con dei professionisti, sembra con grande successo, è riuscita a fare la Federnuoto, come, diversamente, con la filosofia di appartenenza, continua a mietere successi e medaglie la Federscherma. Insomma, bisogna tornare a vincere a rendere autenticamente

    passionali gli amplessi tra atletica e pubblico, con al centro lo straordinario ruolo dell’immaginario collettivo, alimentato dai media e che

    ama le sfide in “azzurro” e vincerle, magari aspettando l’alba di Tokio, che presto verrà. Ruggero Alcanterini

  • SPIRIDON / 3

    fuori tema

    Auguri, in anticipo, nella sua residenza di Città del Capo, a Marcello Fiasconaro. Settanta a luglio, il diciannove, per un magnifico italiano d'importazione del tutto ignorante della lingua originaria del padre, giunto dalle nostre parti con uno spazzolino per denti infilato in una tasca dei jeans, svegliando l'Italia atletica impegnata in anni di piena rivoluzione provvisto di una potenza di fuoco spettacolare mai vista prima e dopo sulle piste nazionali di Milano, Roma, Firenze, Torino, nelle accese sere d'inverno liguri, nell'Arena del primato mondiale, fino alla mortificazione di Oslo e alla liturgia sacrificale mestamente archiviata sulla pista romana e continentale del millenovecentosettantaquattro. Auguri anche a Filippo Tortu, convinti come siamo che la battuta d'arresto subìta al Golden Gala sia salutare, e non solo per l'equilibrio del ragazzo, che per qualcuno ha avuto la colpa, grave, di essere un giovane baciato dalla natura e da una insolita ed efficace macchina promozionale in una specialità da tempo data per dispersa, ma salutare, oltre che per la mai estinta colonia di quanti – noti ed anonimi, timidamente pensosi o impudentemente esposti – soliti festeggiare per le disgrazie altrui, anche per coloro che ne hanno benevolmente, ma con poco discernimento, enfatizzato ruoli ed attese. A proposito della riunione romana, battezzata da un partecipe presidente della Repubblica e accompagnata da un

    canale televisivo di quarta categoria, due assenze da segnalare: la prima, passata sostanzialmente inosservata, quella della sindaca, bloccata, sembrerebbe, da un severo richiamo da parte del protocollo quirinalizio, e la seconda, variamente premonitrice, del nuovo tenutario delle sorti sportive e fisiologiche dell'intero paese, Rocco Sabelli. Auguri anche alle giovani leve, sparse sul territorio nazionale, per i risultati emersi nell'ultima settimana. Ma è stato troppo spesso necessario usare il filo d'Arianna per recuperare su qualche foglio lo straccio di due righe anche per il sensazionale 2.30 realizzato sulla pedana sabina da un ventunenne piemontese. Salutando la vecchia dizione che ci ha accompagnato per anni, dovremmo estendere l'augurio alla nuova Federazione Internazionale di Atletica. Ma l'inespressività del logo che ha accompagnato con inusuale prudenza mediatica la sofferta palingenesi è lì, disarmata, ad impedircelo. Per contro, non dovremmo mai smettere di augurare complessivamente le migliori fortune all'atletica di casa nostra. Lo facciamo. Ma l'Italica athletica est omnis divisa in partes decem… chiediamo scusa per la fin troppo facile parodia del divino Giulio trascinandolo di peso al tempo d'oggi dall'arcaicità delle vicende belliche che ne esaltarono doti strategiche e di comando. Ma tanti sono i nomi portati dal vento che senza soluzione di continuità, poco curandosi, per la gran parte, di quanto accade sotto i loro occhi, appaiono in un disgraziato panorama preelettorale che nulla ha da invidiare al penoso spettacolo quotidianamente offerto dal mondo politico. Abbiamo ancora ampi margini di rispetto per la nostra disciplina per non riflettere come, salvo l'impudenza, nulla fermi, a un anno e mezzo dai cambiamenti ai vertici federali, l'attivismo di coloro pronti alla rissa finale di cui per carità di patria ci limitiamo ad enunciare l'entità numerica e non, considerata la comicità di alcune proposizioni, l'individualità anagrafica e di stato civile. Da una scarna lettura della realtà appare evidente come margini superiori di credibilità per il futuro prossimo dell'atletica non possano non essere strettamente legati, per semplice realismo, ma anche per rispetto estetico, a una progressiva riduzione della pletora dei concorrenti e dei questuanti di consensi. Altrimenti mai potremmo sottrarci all'idea di quanto cattiva sia, con l'innegabile, trasparente miseria di cuori e di cervelli, la mamma di un'atletica priva di antidoti a cospetto di quei personaggi che l'indimenticabile Massimo Bordin, dai microfoni di Radio Radicale, ebbe in un paio di occasioni a bollare icasticamente come 'gerarchi minori'.

    [email protected]

  • SPIRIDON / 4 fortunata l’atletica che non ha bisogno di “eroi”

    Invece sfreccia Crippa

    Attendi Tortu e Tamberi e invece sfreccia Crippa, vicino a un primato italiano dei 5.000 che sa di

    preistoria e di un fondo italiano ben più competitivo. Il primo Golden Gala visto da un Presidente della Repubblica

    (assente però il sindaco di Roma Raggi, per mera questione di protocollo) ha ribadito il famoso adagio brechtiano.

    “Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi..”. Gli eroi erano i due sopracitati che non sono andati oltre

    prestazioni di routine davanti a un pubblico adorante, convenuto all’Olimpico quasi solo per loro. I due sono rimasti

    ben giù dal podio e con prestazioni che possono essere considerate beneauguranti solo guardando alla lunghezza

    della stagione e del calendario agonistico. Sono stati in buon compagnia perché molti dei comprimari italiani,

    gentilmente assoldati (immaginiamo a costo zero) da D’Onofrio in un cast stellare, hanno perso l’occasione per

    ribadire i propri stagionali o i propri personali. Salviamo e lodiamo i siepisti e Perini ma il blocco degli altri (a partire

    da Strati e Bencosme per approdare al pesista Fabbri, alla Folorunso, alla Malavisi, alla Lukudo) ha sprecato

    un’occasione per ben risaltare in un contesto internazionale. Ma forse bisognava correre in strada (anzi marciare…)

    per cogliere fior da fiore il miglior risultato del week and azzurro. In una 20 chilometri velocissima Stano ha marciato

    a ritmo di primato insidiando il tempo di Schwazer che fu l’inizio della lunga odissea doping del campione olimpico.

    Performance cifrata nella primavera del 2012, insolitamente superba per uno specialista della 50 chilometri, la

    madre di tutti i sospetti delle istituzioni. Stano in un colpo solo toglie minuti alla precedente esibizione con un

    gagliardissimo secondo posto. Ma torniamo agli “eroi” reclamizzati del Golden Gala, utili per vendere molti dei

    biglietti dei 36.000 presenti (stadio pieno a metà, gli omaggi non si contano). Tortu ha galleggiato vicino al personale

    ma molto lontano dall’auspicabile linea di progresso attesa e pronosticabile. Per offrire un’idea Tortu ha preso sei

    metri da Norman (e sarebbe stato staccato di identico gap dal Mennea di Città del Messico), ha visto aumentare la

    forbice da Lyles. Sconfitta indiretta anche col Desalu da 20”13. Giustificazione? Erano due anni che non correva un

    200 metri. La scappatoia dialettica è la giustificazione di un errore. Perché per due anni Tortu non ha battuto i

    sentieri del mezzo giro di posta dove presumibilmente sarebbe molto più competitivo che sui 100? E qui torniamo

    alla gestione del soggetto su cui si accentrano troppe responsabilità. Come se potesse salvare l’atletica azzurra un

    velocista al quale al momento realisticamente non si può prevedere niente di meglio che una possibile finale

    mondiale nel collettivo della 4 x 100, apparendo pallide le possibilità di un tale exploit nella prova individuale. Tortu

    ha corso spalla a spalla con Gulyev che però al momento giusto sarà pronto a sparare il suo 19”80, ne siamo certi. Il

    Tamberi- show ha provocato emozioni nei.. Tamberini. Tutti per lui con maglie personalizzate, barbe a metà per

    qualcosa che esula dallo scenario originario dell’atletica. Il “sei” politico è stato guadagnato con il balzo a 2.28,

    altrimenti la delusione sarebbe stata cocente. Il mondo dell’alto è in piena evoluzione e l’eccellenza si colloca dai

    2.35 in su. Il potenziale di Bondarenko nell’occasione si è dimostrato superiore. Ironia della sorte avrebbe fatto

    meglio di Tamberi il semisconosciuto Sottile. Sei anni di meno e due centimetri in più nella magica pedana di Rieti

    dove si sono svolti i tricolori under 23. Seri centimetri di miglioramento e pass mondiale per Doha: tutto insieme e

    tutto all’improvviso. La rassegna sabina ha mostrato un chiaro fermento anche se la barriera dei 23 anni nell’atletica

    leggera oggi sembra abbastanza ridicola. Leggere per credere l’anagrafe dei principali protagonisti del fondo

    africano. Gli italiani- è vero- maturano tardi ma se li lasci nella bambagia per troppo tempo rischiano di infeltrire. La

    gara che ci è piaciuta di più a Roma è stata comunque il triplo, orfano di Taylor, assente per esosa richiesta di

    ingaggio. Nel dibattito che si è scatenato a seguire ci è sembrata infelicissima l’uscita di Carl Lewis: “Colleghi miei,

    restate a casa fino a che non sarete trattati bene e ascoltati. Si elimini quel sistema comunista che è la IAAF”.

    Trattasi di una definizione unica: nessuno aveva osato definire la IAAF “comunista”. Parliamo di star e di ricchi

    professionisti: invidiatissimi! Che tristezza per l’assenza dei triplisti azzurri, razza competitiva in estinzione.

    Ma non fa male ricordarci che Donato ha 43 anni!

    Daniele Poto

    Due quarti posti al maschile per gli azzurri nei Campionati Mondiali di Trail a Miranda do Corvo, in Portogallo. Il team italiano sfiora il podio a squadre e anche nella gara individuale sulla distanza di 44 chilometri con una prova in rimonta di Francesco Puppi, arrivato a soli dieci secondi dalla medaglia di bronzo. Al femminile Silvia Rampazzo si conferma una delle migliori al mondo, dopo il bronzo di due anni fa. La veneta è sesta in 4h17:52, leader di una formazione azzurra che coglie il quinto posto. (da Olimpiapress)

  • SPIRIDON/5

    Per questo mi chiamo Giovanni In coincidenza con il 27esimo della strage di Capaci, un gradito regalo per il compleanno, un padre che nel libro di Luigi Garlando racconta al figlio scolaro la vita di Giovanni Falcone. La prefazione della professoressa Maria Falcone, sorella di Giovanni, sintetizza l’attualità del messaggio: la vita di Giovanni Falcone è avvicinata ai problemi quotidiani dei ragazzi, che subiscono la violenza e il sopruso di chi è più forte e più grande. Prendendo lo spunto dal vissuto nella Scuola primaria del figlio di nove anni, il padre racconta gli episodi significativi di Giovanni Falcone: il padre severo, i suoi giochi nel Rione della Magione, il ping pong e, a proposito, nostra nota, le sfide con Masino Spadaro, che sarà boss prima del traffico clandestino delle sigarette, in seguito del narcotraffico. Il Giudice interroga don Masino nel carcere dell’Ucciardone, “Signor Falcone, quando eravamo picciutteddi, la battevo a ping pong”. “Mi chiami Giudice e risponda alle domande”. Giovanni Falcone conosceva il gergo mafioso, signore inteso come un dispregiativo, come ‘zu Nuddru’, lo zio Nessuno. Dopo gli studi al Convitto Nazionale, Giovanni frequentò l’Accademia Navale a Livorno. Tornato a Palermo si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza, lo conquistò al diritto penale Rocco Chinnici, ideatore del Gruppo di lavoro specializzato nelle indagini sui poteri economici delle mafie. Il Giudice Chinnici fu ucciso a Palermo il 23 luglio 1983, sotto la casa, in via Pipitone Federico Palermo, Fiat 126 esplosiva, morirono il maresciallo dei Carabinieri Mario Trapassi, l’appuntato Salvatore Bartolotta e il portiere dello stabile Stefano Li Sacchi. Torniamo al pregio del libro di Garlando, il dialogo tra padre e figlio, nella collezione di figurine calcistiche la figurina Falcone, con semplice profondità ed echi deamicisiani da libro Cuore, commisti alle storie di Domenico Starnone, per i tanti Il Salto con le Aste. Si rimane avvinti alle vicende, 154 pagine, l’amore per Francesca Morvillo, l’affetto per i familiari, per i nipoti, la scorta, Agostino Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani, a cui nel 2007 è stato dedicato lo Stadio delle Palme, la passione per il mare, il sodalizio con il collega Paolo Borsellino. L’intervista all’autore delinea la statura morale del Giudice che sapeva di andare incontro alla morte, chi ha paura muore più volte, e illustra la gestazione del libro, le tappe formative di Luigi Garlando, 1962 Milano, firma della Gazzetta dello Sport, erede della rubrica di Candido Cannavò, la coesione della squadra di calcio, vocazione didattica e fumettista delle interminabili partite delle Cipolline, Un Campionato difficile, il Battello a vapore, fantasia e avventura per ragazzi. Giovanni e Paolo mai si compromisero con il potere politico. Quale distanza tra la loro limpidezza e il loro sacrificio, al giorno d'oggi più che mai, quando alcuni alti magistrati del Consiglio Superiore della Magistratura restano inchiodati e coinvolti in una vicenda di corruzione, strada privilegiata per condizionare posizioni di vertice. Pino Clemente Alle recenti World Relays di Yokohama l'Italia è parsa più preparata e più sul pezzo rispetto alla concorrenza, centrando un indubbio successo complessivo che sarà però messo a più dura prova ai mondiali, dalla concorrenza che troverà allora. Delle nostre formazioni, quella di miglior lignaggio è la 4x100 maschile, che per. . . la sua metà si può dire in grado di contendere per una medaglia. Poi c'è l'altra metà, fatta di due specialisti dei 200, con quel Desalu improbabile primo frazionista dopo il sovraestimato “tempone” agli europei di Berlino : trovare due uomini almeno da 10.30 sicuro piuttosto che da 10.50 come a Yokohama farebbe una bella differenza . . Se la Jamaica dello sprint sembra in affano, per quanto possa dirsi in affano una nazione che alle Penn Relays continua ad esibire più quartetti di liceali sotto i 40 secondi, è in tumultuosa ascesa nella stessa 4x100 quel Giappone che a Tokyo potrebbe ripetere l'effetto Braz di Rio. L 'afro-nippo Sani Brown, quello che potrebbe fare la differenza in barba a Stati Uniti e tutto il resto. Meeting “ad personam” a Rieti, più per lo sponsor che per il ragazzo più veloce d'Italia. Filippo Tortu chiude i suoi (e dello sponsor) 100 metri con il miglior tempo di carriera, ma il troppo vento, la troppo buona pista di Rieti ed i troppo pochi centesimi rifilati al canadese Brown (lui sì da finale per Doha, ma sui 200) ancora non dicono di finale mondiale, tantopiù che se a Rieti hanno fatto difetto i metri iniziali, a Roma sono poi mancati quelli finali sui 200. Certo la stagione è giovane, anche se per ora il nostro resta dove era rimasto lo scorso anno - e cioè non proprio da finale mondiale - di tempo ne rimane . . . Come è venuto in mente a Will Claye, numero due al mondo nel salto triplo, di chiedere a Gigi D'Onofrio un bigletto aereo da 10.500 verdoni per venire a Roma ? Dunque: il triplo sparirà presto dalla Diamond League, neanche le briciole resteranno per Claye e compagni e questo anziché accontentarsi di un biglietto da 3-4.000 (da farsi rimborsare prendendone poi uno da 1.000) la spara tanto grossa da restare a secco. Fin da ora . . . Le specialità spariscono, ma intanto è un gran da farsi per spettacolarizzare, per coinvolgere un pubblico sempre più distratto rispetto all'atletica : basteranno i fuochi d'artificio (c'era già arrivato Primetto . . .), le staffette promiscue (neanche Primetto avrebbe avuto tanto pelo . . .) le spie luminose del tempo-record sul cordolo che “corre” con l'atleta, i Jimbo-boys della t-shirt azzurra con piccolo logo puma annesso ? Basteranno simili . . . . . Intanto, siccome al peggio non c’ è mai fine, torneranno presto la Semenya e le sue “sorelle” . . . Mauro Molinari [email protected]

  • SPIRIDON/6

    Animula vagula, blandula... scelti da Frasca

    Tutti i pretendenti al Quirinale giurano e spergiurano che non ci pretendono affatto. L'unico che non ha bisogno di farlo, perché la gente gli creda, è Attilio Piccioni. Se non la sua modestia, certo la sua pigrizia gode di un credito illimitato. E i fatti, da quel che se ne sa, lo confermano. Mi hanno detto che, per dissuaderlo da un preventivo e solenne rifiuto di candidatura, i suoi amici di partito incaricati di "sondarlo" avrebbero svolto questo argomento: che in un caso come quello attuale il tirarsi indietro costerebbe più fatica e procurerebbe più "grane" che il farsi avanti. Piccioni si è stretto nelle spalle con aria rassegnata e, pur senza farsi avanti, ha rinunziato a tirarsi indietro. Lascerà fare; e se tocca a lui, accetterà. Tuttavia la sua neutralità e buona fede sono talmente lampanti che Moro gli ha affidato il delicato compito di cercare un punto d'incontro fra le varie e contrastanti tendenze del partito in modo ch'esso si presenti unito su un nome, e non in ordine sparso come l'altra volta. Queste sono le incombenze che più convengono a Piccioni e che più volentieri, o meno malvolentieri, egli assolve. Non ci sono né impegni d'ufficio, né scadenze d'orario, né lettere da scrivere, né discorsi da preparare. Ci sono soltanto delle passeggiate da fare sottobraccio con tizio o con Caio per tastarne le opinioni, per scambiare delle idee. Piccioni ha l'inestimabile vantaggio di disarmare le diffidenze perché con lui non c'è da temere ch'egli parli e manovri pro domo sua. Notoriamente non fa parte né di correnti né di consorterie. Perfino nell'interno di quel partito concimato solo di rivalità e di sospetti a lui si riconosce una imparzialità solidamente ancorata su una totale mancanza, anzi su una assoluta incapacità di ambizioni, di passioni e di rancori. Ma è proprio per questo che sulla sua testa incombe,

    come una spada di Damocle, l'elezione al Quirinale. Piccioni è l'unico candidato che potrebb'essere votato all'unanimità il giorno in cui gli altri si bloccassero a vicenda come è probabile che avvenga. Non si tratta nemmeno di "nominarlo", ma solo di "riconoscerlo" presidente perché lo è di già. Lo è del partito, lo è in tutti i congressi; lo diventa perfino, automaticamente, a tavola se qualche volta si va a cena con lui. Credo che il giorno (speriamo fra cent'anni) in cui defungerà, Piccioni non sarà il protagonista, ma il presidente delle proprie esequie. Eppure, non era così. Anzi. La gioventù di quest'uomo è stata dura, faticata e tribolata. Per superare il muro di miseria che gli sbarrava la via degli studi, Attilio dovette ricorrere a vere acrobazie. Una storia eroica, la sua, fatta di digiuni e di borse di studio vinte a furia di veglie a lume di candela. Lavorava di giorno per guadagnarsi il pane, sgobbava di notte per conquistare una laurea; ma la fame, il freddo e la disperazione li ha conosciuti di persona. Non tutti sanno che è stato un interventista nel '15, un volontario di guerra e un coraggiosissimo e brillante ufficiale: sono cose che nessuno ricordò quando sulla sua persona si abbatterono le ondate del più vergognoso, ignobile e infame scandalo che la stampa e la pubblica opinione abbiano mai scatenato contro un innocente. Quell'episodio ci restituì un altro Piccioni, la cui parabola non è difficile da ricostruire. Credo che ancora adesso egli ignori, come tutti ignoriamo, come e da chi venne promosso quel tentativo di linciaggio morale. Se ne sono fornite varie versioni, ma nessuna è stata provata. Ciò che non ha bisogno di prove perché era lampante nei fatti era la sadica voluttà di sporcizia e di distruzione con cui il modesto "affare Montesi" venne gonfiato fino a conferirgli le proporzioni di una grande fatto di costume nazionale. Piccioni si trovò solo a difendere suo figlio. Uno ad uno anche gli amici più fedeli come Scelba, che non aveva mai dubitato dell'innocenza di Piero, dovettero abbandonarlo sotto i clamorosi assalti della indignazione popolare. Così duramente colpito, cominciò a persuadersi non di essere la vittima del figlio, ma che suo figlio era la vittima sua. Nessuno, egli pensava, avrebbe fatto il nome di Piero, se Piero non fosse stato il figlio di Attilio, il più intimo e fedele collaboratore di De Gasperi, il n. 2 del partito italiano n. 1. Egli non rimproverò mai a suo figlio di aver fornito con le sue leggerezze pretesto ad accuse che in realtà miravano a distruggere il padre. Rimproverava a se stesso di aver suscitato rivalità e invidie di cui ora il ragazzo faceva le spese. La colpa di Piero non era di aver ucciso la Montesi, ma di chiamarsi Piccioni; e il responsabile ne era lui, Attilio, per vie delle sue ambizioni. Da Lungara 29, Il caso Montesi, di Leone Piccioni, l'articolo di Indro Montanelli (Fucecchio 1909-Milano2001), pubblicato sul Corriere della Sera del 21 aprile 1962, Edizioni Polistampa, Firenze 2018. .

  • SPIRIDON / 7 Dal teatrino salesiano ai trionfi del Sistina

    Garinei & Giovannini

    Pietro Garinei (Trieste, 1 febbraio 1919 – Roma, 9 maggio 2006) e Sandro Giovannini (Roma, 10 luglio 1915 – Roma, 26 aprile 1977) per circa trent’anni scrittori ed artefici di commedie musicali di successo. Sotto la storica e riconoscibile insegna “Garinei & Giovannini presentano...” ben 49 i copioni come autori, con l’allestimento di 85 tournée in oltre 20 Nazioni. Entrambi hanno frequentato gli studi primari a Roma, dai Salesiani. Qualcuno obietterà: ma Pietro Garinei è nato a Trieste! Si, ma il piccolo è rimasto nella città solo 39 giorni, risultando tra l’altro il

    primo bambino italiano battezzato nella Trieste italiana. Nato a Trieste vicino al Castello Miramare solo perché il padre, giornalista, inviato del “Secolo”, è sempre impegnato vicino al fronte; addirittura risulta il primo a scoprire la salma di Francesco Baracca (anche lui exallievo di Don Bosco: “Spiridon” n. 233 del 13 giugno 2016, pagg. 8-9, nda), l’aviatore caduto nel 1918 sul Montello. La passione per il teatro? Sono anni in cui si registra il boom del teatro salesiano, delle riviste teatrali scritte e promosse dai Salesiani, delle loro filodrammatiche. Ogni domenica

    numerosi giovani si fanno le ossa proprio in quell’ambito oratoriano, prima di diventare... Garinei & Giovannini. È al “Corriere dello Sport” che i due si incontrano come giornalisti sportivi. Nel 1944 fondano il giornale umoristico “Cantachiaro”, abbinato alla loro prima rivista per Anna Magnani. L’esordio in teatro l’anno successivo con “Soffia so’ ”. Nel 1952 la svolta. Fiutando i cambiamenti di gusto del pubblico introducono in Italia il genere della commedia musicale. Si inizia con “Attanasio cavallo vanesio”,

    protagonista Renato Rascel. Gli spettacoli sono in parte ispirati al modello americano, in parte prendendo spunto dalla rivista.

    Con il marchio “G&G” il sodalizio vede salire sul palco grandi interpreti. Tra i tanti: Totò, Macario, Carlo Dapporto, Alberto Sordi, Nino Manfredi, Aldo Fabrizi, Marcello Mastroianni, Enrico Maria Salerno, Alberto Lionello. “Benedetta Bettina” (1956) evidenzia le qualità di Walter Chiari e di una Delia Scala che è solita soprannominare Pietro Garinei il “tedesco” per l’estrema quotidiana pignoleria. Lo stesso Pietro, abitante in via Beccaria, a chi gli chiede l’indirizzo di casa risponde sempre via Sistina 129, sede del famoso teatro dove ormai è di casa.

  • SPIRIDON/8 Il musicista Gorni Kramer viene considerato il terzo uomo della ditta “G&G”, insieme agli altri compositori Armando Trovajoli, Domenico e Renato Rascel. Non trascurabile l’attività televisiva; dopo l’esordio con “Duecento al secondo”, arriva il

    successo della trasmissione “Il Musichiere”, presentata da Mario Riva. La famiglia Garinei è proprietaria di una delle più antiche farmacie romane, che risale addirittura al 1595? Nella centralissima piazza San Silvestro? Bene. Pietro si laurea in... Farmacia, ma lascia l’incarico specialistico al fratello Paolo; insieme all’altro fratello Enzo si sente affascinato dalla passione per il teatro. Tra le note di colore calcistico, proverbiali le accese discussioni tra lui, romanista, e l’amico laziale Mario Riva. Infine, sempre assiduo alla Messa domenicale. Anche qui un particolare simpatico: dopo la celebrazione, quando il sacerdote scende dall’altare per andare a salutarlo, immancabilmente Pietro scuote la testa e lo accoglie con la frase: «Padre, anche oggi la predica era troppo

    lunga!». Pierluigi Lazzarini Exallievo e Storico di Don Bosco

    Davanti alle rampogne di Bruxelles non so se andremo a nuove elezioni, ma anche fosse non cambierebbe niente. I mali che affliggono l’Italia sono sempre gli stessi, da anni e anni. 1) Una classe politica miope e rissosa che, china sui propri interessi di bottega e sui tornaconti elettorali a breve, per non scontentare nessuno finisce per scontentare tutti. 2) Una magistratura in larga parte politicizzata ed esibizionista, corporativa e poco produttiva (e sorvolo sull’odierno scandalo Palamara-Csm). 3) Una grande industria affetta dal “morbo dell’Avvocato” (utili alla famiglia, perdite allo Stato). 4) Una piccola imprenditoria polverizzata e in progressiva scomparsa perché oppressa dalla crisi, dal fisco e dalla burocrazia. 5) Una Pubblica Amministrazione inefficiente e costosissima (col triplo dei dipendenti necessari, tutti intrasferibili e illicenziabili). 6) Scuola e Università in “codice rosso” (cioè in coma da overdose di ’68 scaduto). 7) Una spesa pubblica fuori controllo, fra sprechi, assistenzialismo e corruzione. 8) Un debito pubblico mostruoso che ci fa svenare negli interessi. 9) Intere regioni al sud e molti settori anche al nord in mano alla criminalità organizzata. 10) Una burocrazia kafkiana, giungla inestricabile di leggi inutili, regole astruse e competenze incrociate 11) Una totale mancanza di senso civico. Questi i principali vermi che ammalano l’Italia. Tutti, a parole, la vogliono sverminare, ma giunti al dunque chiedono sempre che si cominci “da altri”. Ecco perché le elezioni non serviranno. Come disse Reagan nel discorso d’insediamento alla Casa Bianca, “il governo non è la soluzione dei problemi, il governo è il problema”. [email protected] pgc

  • SPIRIDON / 9

    Da Atletica, settimanale della Federazione Italiana di Atletica Leggera fondato da Bruno Zauli, 1967,

    anno XXXIII.

    22 luglio. Ottoz campione anche a Londra. Eddy

    Ottoz ha vinto senza neppure impegnarsi a fondo i

    110 ostacoli ai Campionati internazionali inglesi. Il

    suo tempo, 14" netti, è modesto, ma va comunque

    rilevato che mai nessuno sulla dura pista di Londra è

    riuscito a fare meglio. Secondo si è classificato

    l'inglese Pascoe in 14"3, terzo l'altro inglese Todd

    con lo stesso tempo.

    29 luglio. Il Comitato d'Europa della IAAF ha formato la squadra europea che incontrerà il 9-10 agosto a Montreal la

    rappresentativa americana (mancano gli atleti sovietici, impegnati nella stessa data in una grande manifestazione in

    URSS). Quattro gli azzurri convocati: Giannattasio sui 100, Ottoz sui 110 ostacoli, Frinolli sui 400 ostacoli, Simeon

    nel lancio del disco. Tra luglio e agosto 260 atleti e 60 tecnici sociali sono impegnati nei Centri di addestramento

    giovanili organizzati con la collaborazione del Servizio tecnico del Coni e l'Ispettorato di Educazione Fisica del

    Ministero della Pubblica Istruzione. Le sedi, Aosta e Campobasso per il settore maschile, Trento e Rieti per quello

    femminile, Marcena di Rumo e Piano di Laceno per velocisti e mezzofondisti.

    5 agosto. Il Consiglio federale ha disposto la concessione, per ogni anno scolastico, di 30 borse di studio

    dell'ammontare massimo di 50.000 lire ciascuna per gli Azzurri che frequentano Istituti Superiori di Educazione

    Fisica riconosciuti dallo Stato. Per la pratica attuazione del Codice di Avviamento Postale si invitano tutti gli Organi

    periferici federali, Società, Dirigenti, Giudici, Tecnici, Dirigenti centrali e periferici a trasmettere i rispettivi numeri

    di codice. Il numero di codice della Federazione è il seguente: 00100 Roma.

    2 settembre. USA spettacolo: Franco Arese, Antonio Ambu e Silvano Simeon le gemme azzurre. A firma di

    Fiammetta Scimonelli: una Viareggio affollata e accaldata di turisti e gitanti, piena di minigonne, di gente più grassa

    che magra, più brutta che bella, più di cattivo gusto che elegante ha accolto il 19 e 20 agosto gli atleti americani e

    spagnoli che dovevano gareggiare con la rappresentativa azzurra nel più importante incontro di atletica leggera

    disputato in Italia dalle Olimpiadi di Roma ad oggi.

    9 settembre. Inaugurata la nuova pista dell'Acquacetosa: Trio 6,12 e Govoni 24"6 le migliori sul rub-kor nuovo di

    zecca con cui sono state rifatte pista e pedane dell'impianto romano. Notevole anche Magalì Vettorazzo sugli ostacoli

    (11"5) battendo Giuli e Battaglia. Discrete prove di Onofri nell'alto, Forcellini nel disco e Mazzacurati nel giavellotto.

    Degni di particolare nota il 58"1 della Ferrucci nei 400 e il 48"9 del quartetto del Cus Roma. Universiadi di Tokyo:

    2 medaglie d'oro, Ottoz (13"9), 4x100 (39"8, Vittorio Roscio, Ennio Preatoni, Ito Giani, Livio Berruti), e 5 di bronzo

    (Giani 10"7 e 21"3, Sergio Bello 46"7, Gianni Del Buono 3'44", Giuseppe Gentile 15,84).

    30 settembre. A Torino, il 24 settembre, Trio 6,52. Maria Vittoria Trio è riuscita finalmente ad esplodere su quella

    misura che inseguiva caparbiamente da diverse settimane e che era notoriamente a portata della sua classe. La misura,

    settima mondiale di tutti i tempi, è a 24 centimetri dal primato mondiale dell'inglese Mary Rand, e nell'anno è stata

    superata solo dal 6,63 della tedesca Becker e dal 6,62 della polacca Irena Kirszenstein. A Cuprjia, Iugoslavia, il 23,

    2'05"8 di Paola Pigni alle spalle della campionessa europea Vera Nikolic (2'04"6) in una giornata di vento e pioggia.

    28 ottobre. Mai finale di Coppa Italia è stata forse così piena di motivi di spettacolo. Filo conduttore della

    manifestazione, il duello ai ferri corti tra Pro Patria e Coin. Primi gli atleti della squadra milanese, e interessante

    l'exploit del Giglio Rosso fiorentino al terzo posto assoluto. A Bruno Poserina della Snia Varedo e a Magalì

    Vettorazzo dell'Aics Verona rispettivamente i titoli nazionali di decathlon, 6.801 punti del primo dinanzi a Rossetti,

    6.738, e di pentathlon, 4.264. Due grandi Azzurri degli anni Venti ci hanno lasciato: Guido Cominotto, sesto nella

    4x400 olimpica di Parigi 1924 con Luigi Facelli, Alfredo Gargiullo ed Ennio Maffiolini, otto titoli nazionali e primati

    su 400 e 800, e Giusto Umek, due vittorie nella 100 km di marcia e nella leggendaria New York-San Francisco: si è

    spezzato un altro anello di quella lunga catena di volenterosi pionieri che illuminarono l'atletica italiana di

    quarant'anni fa, questa la riflessione di berg, sigla riconoscibilissima di Cesare Bergonzoni, un galantuomo,

    componente della Presidenza federale.

  • SPIRIDON/10

    inizia la stagione federale paralimpica nazionale con una pioggia di medaglie Sette ori, quattro argenti, due bronzi e numerosi piazzamenti che valgono il quinto posto nazionale a squadre in Coppa Italia Fisdir, gli atleti toscani di Acsi sbancano il primo appuntamento nazionale in pista a Padova con una due giorni memorabile per la compagine montelupina. Le grandi emozioni iniziano con l’oro di Riccardo Puccini, Davide Sardi e Lorenzo Mazzei che con una prestazione da incorniciare vincono la staffetta 3 x 150-100-50 e il meritato argento di Antonella Piccirillo, Cristina Mancini, Laura Vivoli e Arianna Alderighi nella staffetta 4x50, piazza d’onore bissata da Caterina Siesto, Concetta Ruffo e Valentina Bonuccelli ancora in una staffetta la 3x150-100-50. Nei lanci sono Andrea Mastrocinque , Lorenzo Pertici e Dora Cioffi a colorare di bianco blu il gradino più alto del podio nelle gare del vortex delle relative categorie mentre Niccolò Bianchi e Davide Sardi sono medaglia di bronzo rispettivamente nel vortex e nel getto del peso. Anche nei salti Acsi raccoglie punti pesanti per il ranking a squadre con le prestazioni di Riccardo Puccini e Concetta Ruffo che vincono il salto in lungo seguiti da Valentina Bonuccelli argento e da Niccolò Bianchi quarto. Nelle discipline di corsa ancora un primo posto quello di Lorenzo Mazzei nei 150mt e un altro argento per Valentina Bonuccelli nei 300mt. Infine buoni piazzamenti, tutti tra i primi dieci, per Stefania Terreni, Emma Pratesi e Arianna Alderighi nei 400mt marcia. Il team paralimpico ACSI Atletica Sport Toscana è atteso al Campionato Italiano Assoluto Fisdir di Macerata dove i primatisti bianco blu Leonardo Pucci e Gabriele Chiarito gareggeranno per un posto sul podio rispettivamente nel getto del peso e nei salti in estensione.

    Due quarti posti al maschile per gli azzurri nei Campionati Mondiali di Trail a Miranda do Corvo, in Portogallo. Il team italiano

    sfiora il podio a squadre e anche nella gara individuale sulla distanza di 44 chilometri con una prova in rimonta di Francesco Puppi, arrivato a soli dieci secondi dalla medaglia di bronzo. Vittoria del britannico Jonathan Albon in 3h35:35 davanti al francese Julien Rancon (3h37:48), terzo lo svizzero Christian Mathys (3h40:35) dopo aver condotto per quasi 30 chilometri, mentre il comasco nel tratto conclusivo scavalca l’altro transalpino Nicolas Martin (3h42:28). Tra gli italiani Luca Cagnati riesce a lottare con i big e chiude quindicesimo in 3h49:33, poi Marco De Gasperi dopo una crisi risale nell’ultima parte fino al diciottesimo posto (3h50:30). Più dietro Alessandro Rambaldini, vittima di una caduta e 24esimo in 3h52:58, seguito da Andreas Reiterer, 36esimo con 3h58:43, e Davide Cheraz, 51esimo in 4h03:40. Dominio della Francia a squadre, davanti a Spagna e Gran Bretagna, con l’Italia in quarta posizione. Al femminile Silvia Rampazzo si conferma una delle migliori al mondo, dopo il bronzo di due anni fa. (Fidal)

  • SPIRIDON / 11

    Salto da record per Emma Piffaretti Il tradizionale meeting pentecostale di Zofingen ha regalato nuove emozioni e nuovi primati all’atletica ticinese. Il risultato più esaltante è stato il record di Emma Piffaretti (nella foto) nel salto in lungo, dove la diciassettenne

    dell’US Ascona ha fatto registrare un miglior salto a 6.40 metri, colto al quinto tentativo.. Su tutti spicca di certo il record svizzero U18 e U20, e anche record ticinese U20 dunque, di La nuova misura è giunta alla prima uscita stagionale nella disciplina per la polivalente atleta che, ancora U18, ha migliorato il suo personale di 6.25 metri colto la stagione scorsa, stabilendo come detto il nuovo primato svizzero nelle due categorie giovanili. Sempre nel Canton Argovia, in evidenza pure la velocista dell’US Ascona Ajla Del Ponte che nella sua terza uscita stagionale sui 100 metri ha corso in 11’’59 le eliminatorie e in 11’’50 la finale, vincendo la gara davanti alla compagna di staffetta 4×100 Salomé Kora. Ajla ha poi vinto anche sui 200 metri correndo qui in 23’’60, precedendo Nadja Zurlinden e Emma Piffaretti, terza della prima serie in 24’’35. Sui 200 metri al maschile, in evidenza

    invece Ricky Petrucciani del LC Zurigo che ha chiuso in 21’’69, ottenendo il limite per gli Europei U20, mentre per il GA Bellinzona da annotare le prestazioni di Julian Rüfenacht e Mattia Tajana. Il primo ha corso in 22’’60, mentre lo specialista dei 400 h. ha chiuso la prova con il personale di 22’’38. Sugli 800 metri, personale e limite di partecipazione per i Campionati Svizzeri Assoluti sia per Mirko Tamò (GAB) in 1’56’’71, sia per la U18 Siria Cariboni (pure GAB), in 2’20’’15. Nella stessa disciplina, da segnalare anche i tempi di Luca Innocenti con il personale di 2’02’’35, Nicola Lo Russo sotto i due minuti e il 2’18’’43 per Mara Moser nella serie veloce femminile.

    Giovani ticinesi in evidenza a Basilea Due giorni dopo il meeting di Zofingen, l’atletica nazionale si è trasferita in massa a Basilea per lo svolgimento del

    meeting Memorial Susanne Meier, dove a livello svizzero spiccano i risultati di due atleti di casa: Alex Wilson con 10’’38 sui 100 metri e Salomé Lang con 1.85 metri nel salto in alto. Buone anche le prestazioni ticinesi, sia nel mezzofondo, sia nella velocità e nei salti. Sui 1’500 metri, ulteriore miglioramento per l’ancora U18 Zoe Ranzoni (nella foto) della Virtus Locarno che ha corso in 4’35’’56, chiudendo al 9° rango, ritoccando di oltre cinque secondi il suo personale e avvicinando così il primato cantonale U20 di Daniela Pagani risalente al 1992 (4’30’’80). Nel lungo maschile, vittoria per il campione svizzero U20 indoor Christian Reboldi della SA Bellinzona, che con la misura di 6.75 metri si è riavvicinato al suo personale di 6.82 metri all’aperto ottenuto a fine maggio a Bressanone (al coperto ha un 6.99 m). Al femminile, l’U18 Ulla Rossi, pure della SAB, si è invece inserita all’11° rango con 5.12 metri. Sui 400 ostacoli, miglioramento per Alessio Guidon del GA Bellinzona che ha chiuso con il personale di 56’’37 la gara. Ancora per la SAB, da segnalare sui 100 metri il 12’’11 della U20 Rachele Pasteris, che si è così aggiudicata la sua serie ritoccando

    anche di un decimo il personale risalente alla stagione scorsa. Nella medesima gara, l’ancor più giovane Maëva Tahou (foto a destra) ha corso in 12’’48, non lontana dai suoi migliori crono. Sempre a Basilea ha pure fatto il suo esordio stagionale Filippo Moggi, atleta cresciuto nella SA Massagno e da quest’anno in forza al LC Zurigo. Sul giro di pista ha chiuso alle spalle dei quotati Notz, Flury, Wyss e Flück, fermando i cronometri a 48’’03, non lontano dal personale di 47’’82 colto l’anno scorso e dal limite di partecipazione richiesto per i Campionati Europei U23 (47’’85). Limite invece, però per i Campionati Europei U20, già raggiunto dal compagno di club Ricky Petrucciani sia sui 400 m con il suo 47’’14 siglato a inizio mese a Losanna, sia sabato a Zofingen con il suo 21’’69 sui 200 m. L. Stampano (da FTA) pgc

  • SPIRIDON/12

    STADI, SPORT, SCUOLA ED AMIANTO Nel Salone d’Onore al Foro Italico, per iniziativa dell’Osservatorio Nazionale Amianto (ONA) e del Comitato Nazionale Italiano Fair Play (CNIFP) con gli interventi del Presidente del CONI, Giovanni Malagò, degli “ori olimpici” Daniele Masala e Michele Maffei (Presidenti di Sport contro Droga, dell’Associazione Medaglie Oro al Valore Atletico e del Coordinamento Associazioni Benemerite) e degli stessi Presidenti di ONA e CNIFP, Ezio Bonanni e Ruggero Alcanterini - dopo il primo all’Auditorium delle Federazioni - è andato in onda il secondo appuntamento dello sport con la “lana della salamandra”, l’amianto, rivelatosi uno spietato assassino e ben presente in tutti gli impianti realizzati sino al 1992. Dunque, parto dal ricordo dello Stadio di Domiziano, costruito – come il Colosseo – nell’86 d.C., in laterizi, travertino e malta romana, storica pietra angolare del sistema impiantistico in Italia e nel mondo, primo esempio di stadio moderno e polivalente nell’antichità, della napoleonica Arena a Milano, dello Stadium a Torino e dello Stadio Nazionale a Roma (Flaminio) nel 1911, per le Expo Internazionali in occasione dei cinquant’anni del Regno d’Italia, del Comunale di Firenze di Pier Luigi Nervi, donato 1932 dal Marchese Luigi Ridolfi, del Littoriale a Bologna nel 1927, voluto da Leandro Arpinati, V. Segretario del PNF e Presidente del CONI, della idea di Lando Ferretti di abbinare calcio, rugby e atletica leggera, unendo piste e campi da gioco, ovunque in Italia, del Comunale a Torino, teatro dei Giochi Mondiali Universitari organizzati da Mario Saini nel 1933, degli Stadi della Farnesina, dei Marmi e degli Olmi, poi Olimpico qui al Foro Italico, dei Velodromi dal Vigorelli a Milano, all’Appio e all’Olimpico a Roma, dei Palazzi e dei Palazzetti ricordando gli Olimpici, i Palazzetto in Viale Tiziano e Palaeur, a Roma , il Palalido e quel che fu schiacciato dalla neve sempre a Milano, A San Siro, per non parlare della titanica e illuminata impresa voluta da Bruno Zauli con i 73 Campi Scuola provinciali, realizzati tra il 1958 e il 1973 e le perle, i Centri Federali destinati al ruolo di fulcro a Formia , Tirrenia e Schio. Naturalmente, con il restante del patrimonio storico dell’impiantistica sportiva destinata allo spettacolo con i grandi stadi di Napoli , Bari, Milano, Cagliari etc. con le altre migliaia di campi comunali e palestre scolastiche. Bene, la stragrande maggioranza del patrimonio, comprese strutture e i rifacimenti straordinari per i “mondiali di calcio ‘90” risulta essere stata realizzata prima del 1993, ovvero della entrata in vigore della legge dello stato n. 257 del 27 marzo 1992 ,che ha drasticamente vietato l’uso dell’amianto e ne ha prescritto la debita rimozione o neutralizzazione. OLIMPIADI E CAMPIONATI, GIOCHI. Autentiche opportunità di sviluppo vanno ricordate nel male (tutte quelle perse dal 1908 ai nostri giorni) e nel bene (quelle colte dal 1934 con i Mondiali di Calcio disputati a Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Torino , Trieste e finale a Roma e di nuovo in Italia nel 1990 con un investimento die 2.300 miliardi in conto interessi pe r il rifacimento degli stadi, ai Giochi Olimpici estivi e invernali nel 1956 e 1960 a Cortina e Roma, quindi ancora a Torino, nel 2006 e infine con i Giochi del Mediterraneo, nel 1963 a Napoli , 1997 a Bari e 2009 a Pescara, oltre una infinità di mondiali ed europei per le più diverse discipline, tra cui atletica, ciclismo, nuoto, sci, basket, pallavolo … Coloro che hanno fatto la storia dell’architettura e dell’ingegneria come Piacentini, Del Debbio, Moretti, Ortensi, Nervi… hanno lasciato dunque in eredità forme che sono anche sostanza, purtroppo anche con amianto, ma che abbisognano di amorevole cura, rispetto.LOTTA AL DEGRADO Noi del Comitato Nazionale Italiano Fair Play collegati in rete con le organizzazioni gemelle in altri quaranta paesi europei e centoventi nel mondo nel sistema del Comitato Olimpico internazionale di concerto e intesa ideali con le altre diciotto Associazioni Benemerite Italiane riconosciute, esprimiamo, promuoviamo e tuteliamo valori che hanno grande valenza educativa e sociale, lavoriamo volontariamente con costi quasi zero per la collettività, non abbiamo finalità di profitto economico o ideologico, rispettiamo in primis le Istituzioni e gli orientamenti espressi. In questo caso, ci sentiamo di sollecitare una maggiore attenzione alla qualità della vita da implementare attraverso la pratica dello sport,

    alzando decisamente il livello del rispetto ambientale, partendo proprio dal patrimonio irrinunciabile costituito dal patrimonio impiantistico sportivo, il cui abbandono al degrado non è tollerabile dal punto di vista morale, economico e ambientale. Esempi come quelli dello Stadio Flaminio e dell’Ippodromo Tor di Valle, del disintegrato Velodromo Olimpico all’EUR e della incompiuta “Vela” di Calatrava a Tor Vergata… sono pericolosi e inaccettabili per una società civile degna di questo nome. Il Protocollo sull’ambiente tra Ministero sull’Ambiente. .E’ per questo, che nel salutare con sollievo la firma del Protocollo, abbiamo

    ritenuto di sostenere con l’Osservatorio Nazionale Amianto l’allargamento della sfera d’interesse e azione all’emergenza amianto, un problema di salute gravissimo che deve essere allontanato proprio da chi cerca a scuola e attraverso la frequentazione degli impianti sportivi la conquista di una migliore condizione in termini di prevenzione.Infine, un appello ed una proposta, un impegno del nostro Comitato Fair Play, ovvero quello di restituire sicurezza e dare opportunità di difesa ambientale ai territori extra urbani , ai boschi e alle foreste, ai parchi ed alle aree urbane anch’esse abbandonate e mal frequentate, con piste ciclabili ed aree golenali, bacini lacustri e fluviali che possono uscire dall’inselvatichimento e dal rischio di contaminazioni per discariche abusive, distruzioni dolose, se ci si impegna a renderli fruibili e di fatto vigilati proprio attraverso la presenza degli sportivi, dei camminatori, degli escursionisti, tutti possibili protagonisti di una esponenziale azione di educazione ambientale e potenziali custodi del patrimonio comune fondamentale. (R.A.)

  • SPIRIDON/13

    NOMEN OMEN Un canto del cigno post mortem “Ho provato a parlare. Forse, ignoro la lingua. Tutte frasi sbagliate. Le risposte: sassate.” Ecco un piccolo scorcio della poetica di Giorgio Caproni, un autore quasi anonimo che la maggior parte dei maturandi pagherebbero per poter conoscere. Un poeta, critico letterario e traduttore italiano del novecento che quasi tutti i libri di letteratura si dimenticano di citare, un artista dalla poetica stanca, imprecisa, e che, seppur a tratti affascinante, diventa molto in fretta parte delle conoscenze dimenticate della maggior parte della gente, sempre che qualcuno si sia presa la briga di leggerlo. E’ forse ingiusto pronunciarsi in toni così duri nei confronti di un poeta che ha forse solo avuto poca attenzione, che non è mai stato adeguatamente analizzato e lodato, ma probabilmente una tale severità appare inevitabile nel commentare le scelte dell’autore dell’analisi del testo della maturità di quest’anno, che hanno visto come protagonista proprio il nostro sfortunato anonimo. Ma prima di cimentarsi nella risposta all’impellente domanda che sorgerà un po’ a chiunque -Perché proprio lui?- bisognerà tentar di rispondere a quella che prima o poi coglierà tutti quanti -Ma questo Caproni, chi è? Bisogna pur ammettere che le informazioni scarseggino sul web. Nei portali più conosciuti si trovano quantità esorbitanti di informazioni inutili o comunque poco rilevanti sulla vita privata del poeta, tratte probabilmente da racconti che solo Caproni stesso ha avuto cura di far di sé, che sono facilmente riassumibili così: il bambino livornese -nato nel 1912- che sognava di diventare macchinista, dopo essersi trasferito a Genova ed essersi reso conto di non esser tagliato per la carriera di violinista, decide di darsi alla poetica -pur ammettendo egli stesso di non aver neppure le più basiche conoscenze della letteratura- scrivendo poesie dalla sintassi franta e piena di interiezioni, così ricche di rime interne e enjambement, da poter apparire come semplici frasi dall’ordo completamente distrutto interrotte in modo totalmente casuale sotto forma di pseudo- versi, così lontane da essere opere letterarie da essere respinte da Adriano Grande, direttore della rivista cui erano state proposte, con queste parole “Egregio Signore, la poesia è fatta per tre quarti di pazienza. Abbia molta pazienza e aspetti”. Neppure i tentativi successivi di cambio stilistico indotti da critiche così dure possono far molto per la sua poetica incompresa, al punto da indurlo a comporre, nell’ultima fase della sua carriera, poesie aventi come tema il linguaggio come strumento insufficiente e ingannevole, inadeguato a rappresentare la realtà (l’aspetto che probabilmente gli sfuggiva era che questa definizione poteva andar bene per il suo linguaggio, dato che il da lui tanto odiato Carducci par non aver mai avuto problemi del genere). Nel 1990 la sua intensa attività viene interrotta, e il nostro anonimo abbandona “le sudate carte” -oh, chiedo scusa, quello era Leopardi, un altro poeta- passando ad altra vita. Nei pressi di Genova e di Livorno, uniche città in cui il poeta aveva goduto di una qualche sincera considerazione, gli dedicano alcuni riconoscimenti, dopodiché la letteratura italiana chiude un triste capitolo e il nostro anonimo, piuttosto che un poeta dall’arte incompresa, come fu piuttosto per Leopardi, si rivela un poeta che aveva incompreso l’arte. Ma a quanto pare di Caproni qualcuno si ricordava, e dopo ventisette anni dalla sua morte è risbucato fuori dall’oblio in cui era inesorabilmente (e, si sperava, definitivamente) scivolato, comparendo d’improvviso e contro ogni aspettativa in una delle tracce della maturità di quest’anno, con la poesia Versicoli quasi ecologici. Immediatamente giornalisti e critici letterari gli hanno dedicato tutte quelle buone parole che sino a quel momento lo avevano tenuto lontano come la peste -c’è chi addirittura l’ha definito “Un grande del novecento”- e insomma si è finto che l’anonimato che Caproni aveva vestito tanto egregiamente sino a quel momento non fosse mai esistito, rischiando quasi di dedicargli un posto tra i grandi del passato insieme a Dante, Pascoli e Petrarca. Ma la realtà è che il suo non è stato un affatto lieto ritorno, e il nostro infelice anonimo è stato una volta di più vittima dell’ironia pubblica. La pagina di Wikipedia a lui dedicata è stata subito così hackerata “Giorgio Caproni è stato un poeta, critico letterario, traduttore italiano e il più bestemmiato dagli studenti della maturità 2017”, su twitter abbondavano battute come “Primi commenti dall’aldilà: Caproni dichiara che quella poesia non ricordava nemmeno lui d’averla scritta”, e “L’insegnante diceva ‘Studiate Caproni!’, ma io pensavo che fosse un insulto”. E dopo lo spiacevole episodio di “traccie” sorge quasi il dubbio che quello, più che un refuso, fosse stato un suggerimento da parte di quelli del Ministero dell’Istruzione su chi fosse l’autore scelto per l’analisi del testo: Caproni, come loro. Ma oltre a tanto sarcasmo, ci si è anche domandati sul perché della scelta di questo autore. La poesia vorrebbe essere un richiamo alla situazione ambientale drammatica attuale, al riscaldamento globale che ormai solo i più stupidi posso negare e alla progressiva riduzione della biodiversità mondiale. Un tema molto sentito, è pur vero, ma che avrebbe potuto esser proposto in una traccia per il saggio breve. Quel che forse a chi lavora al Ministero dell’Istruzione sfugge è che in una situazione carica di tensione come la prima prova appare già difficile analizzare le opere di poeti che non rischiano l’anonimato come Pirandello, e che presentar loro un autore sconosciuto come Caproni è un autentico colpo basso. La cosa che vien più spontanea pensare, e che si ha tutto il diritto di credere, è che l’unico logico motivo per cui il nostro Ministro dell’Istruzione ha deciso di proporre un autore del genere alla maturità, è che il Ministro dell’Istruzione, la maturità, non l’ha mai fatta.

    Marilena Carpi de’ Rosmini

  • SPIRIDON/14 continua da Spiridon 267

    Benito alzò il sopracciglio destro, un movimento involontario abituale. Per un attimo i suoi

    lineamenti subirono una lieve mutazione, sufficiente a tracciare sul suo volto un’inesattezza che ne alterava il perfetto equilibrio. La sua reazione fu tutta qui, se avesse aggiunto una sola parola non avrebbe fatto altro che amplificare la gaffe. D’altronde era noto per chi lo conosceva: l’uomo era questo, non amava dilungarsi troppo in spiegazioni o puntualizzazioni.

    Superato l’imbarazzo, Benito notò per la prima volta l’aspetto di quella donna. Eppure era stato nell’appartamento del padre, rimasto disabitato dopo la sua scomparsa, per

    dare un’occhiata ai mobili che lei aveva deciso di mettere in vendita. Alla fine ne aveva scelti due: un bellissimo tavolino da toeletta in noce, modello risalente alla metà dell’Ottocento, e una vera rarità: lo splendido orologio a pendolo anni venti Vedette. Ora stava osservando con interesse una donna attraente, più o meno della sua età, che portava meravigliosamente la sua leggera opulenza, dagli occhi scuri lucenti e dalla capigliatura bruna scompigliata ad arte. Il naso sottile, leggermente aquilino, che svettava sopra gli zigomi alti, conferiva al suo viso triangolare una certa durezza. La bocca vermiglia, carnosa e piuttosto larga, nell’articolare le parole scopriva una dentatura perfetta. L’espressione severa che ostentava in quel momento, gli ricordò una maschera da tragedia greca.

    Benito si sentì a disagio. Avrebbe dovuto tacere riguardo la busta e consegnarla semplicemente. Preso di nuovo dall'imbarazzo mormorò:

    “ Beh… Le rinnovo le mie scuse... Adesso devo proprio scappare! “. Approfittando dell’ingresso di una cliente si spostò verso l’uscita, il saluto di Vanda si disperse

    nel crepitio della pioggia. Benito, al suo rientro si trovò davanti la signora Contini che con un cenno impercettibile gli

    indicò un uomo intento a esaminare il tavolino da toeletta di Vanda. “ Buongiorno, posso aiutarla, signor… “, lo apostrofò Benito mentre si toglieva l’impermeabile. Il

    cliente, che nel frattempo si era voltato verso di lui, era un tipo basso e tarchiato dai capelli folti e brizzolati. Indossava un trench chiaro con la cintura annodata. Se ne stava piantato su due piedi smisurati per la sua statura, con lo sguardo impenetrabile di un mazziere di blackjack. Quella mascella quadrata con una fossetta pronunciata in mezzo al mento, il naso schiacciato e la fronte bassa gli ricordavano qualcuno che aveva già visto… Ma dove?

    “ Bruni, mi chiamo Bruni. Mi interessa questo tavolino, quanto costa? “. Chiese l’uomo rudemente e la sua voce afona non aiutava ad affinare il suo aspetto.

    Benito, dopo una contrazione del sopracciglio, improvvisò: “ Veramente l’ho appena ritirato… Deve ancora vederlo il restauratore. Ripassi magari più

    avanti. Nel frattempo penserò a un prezzo “. La risposta disorientò per un attimo quell’individuo che comunque riacquistò subito il suo modo

    di fare indisponente. Prima di muoversi pesantemente verso l’uscita, si produsse in un brusco accenno d’inchino precisando che sarebbe tornato.

    Benito stava entrando nel suo ufficio quando, alle spalle, gli giunse la voce della Contini: “ Architetto, non mi pare che quel mobile abbia bisogno di un restauro… Non lo vuol vendere?

    Quello era qui da un po’ e mi sembrava molto interessato! Non capisco! “. “ Ci devo pensare, Silvia “, rispose enigmaticamente Benito che aggiunse: “ Nessuna idea per quel rompicapo? “. La Contini scosse il capo ignorando la domanda. Non era abitudine del suo datore di lavoro

    lasciare in sospeso una vendita certa. Quel cliente avrebbe pagato subito e si sarebbe portato via il tavolino senza pensarci su.

    “ Il signor Giovanni non avrebbe approvato! “, sospirò fra sé e sé. Seduto alla sua scrivania Benito ripose il calendario delle aste, quella mattina ne aveva

    abbastanza. Quando la signora Contini gli portò il caffè, lui ne approfittò per chiederle alcune cose che gli premevano. Tra le altre, se per caso suo padre conoscesse il vecchio Vernieri proprietario della libreria, visto che la stessa si trovava appena al di là della piazza; se lei sapesse qualcosa della figlia Vanda e poi... Poi decise di non continuare. Lo fece desistere l’espressione sospettosa che si andava dipingendo sul volto della donna. Tutto ciò che ne ricavò fu che suo padre conosceva il vecchio librario e che Vanda, prima di occuparsi della libreria, faceva l'insegnante di lettere in un liceo di Bologna, città dove risiedeva. Sì, risiedeva, perché era in procinto di ritornare nell’appartamento di famiglia che

  • SPIRIDON/15 stava sopra il negozio, lo stesso ambiente che lui aveva visitato e dove aveva ritirato in conto vendita il tavolino e l’orologio. Sembrava che Vanda stesse infatti sostituendo i vecchi mobili

    con un arredamento moderno. Alla fine gli sorse, spontanea, una riflessione: chissà perché, pur avendola quasi sotto casa ed essendo un lettore accanito, non aveva mai messo piede in quella libreria!

    " Poco fa le ho chiesto se ha pensato a quel rebus...Ma lei non deve avermi sentito “, disse Benito che, cambiando argomento, sperava di fugare le perplessità di una donna analitica come la Contini.

    " No, nessuna novità. Quella frase non mi dice proprio niente… Non ha alcun senso, almeno per me ". Nel frattempo il telefono della sua scrivania si mise a strillare, così la donna uscì domandandosi cosa ci fosse di così importante su quel biglietto da perderci ancora del tempo.

    L’appartamento dell’architetto Benito Marzi si trovava al primo piano dello stesso stabile del suo negozio. Benito, dopo la morte del padre, vi si era trasferito mantenendo pressoché gli stessi mobili; gli unici cambiamenti riguardavano una montagna di libri, alcuni quadri e vari accessori. La decisione di ritornarci ad abitare era avvenuta in un modo abbastanza naturale, visto che la sua attività si svolgeva appena un piano sotto. Senza contare l’ampiezza e la comodità dell'alloggio nel quale aveva trascorso la sua infanzia e parte dell’adolescenza. Insomma, il suo era stato un inevitabile ritorno alle origini che chiudeva il già citato cerchio professionale di famiglia. A volte gli capitava addirittura di pensare che invecchiando quelle stanze avessero acquisito un loro nostalgico e fascinoso carattere.

    Dopo cena, disteso sul divano di fronte al camino, Benito stava riflettendo sulla straordinaria singolarità di alcune coincidenze. Come erano andate le cose per lui, così stava succedendo per quella donna: un ritorno all’attività di famiglia che, guarda caso, includeva pure l’abitazione. Il suo destino gli appariva quasi speculare a quello di Vanda. Vanda… Che nome antiquato! E il suo? Ancor peggio e per ovvi motivi... A scuola quasi si vergognava nel pronunciarlo. Più avanti pensò addirittura di cambiarlo, ma non ne fece mai niente e alla fine prese addirittura a non dispiacergli.

    Benito ricordò la sua giovinezza vissuta tra quelle pareti. Era quello il divano sul quale aveva letto non solo testi scolastici ma conosciuto gli scrittori americani e poi Moravia, Svevo, Bassani, Goethe, Hesse, Mann, Maugham, i grandi romanzieri russi… Ora era un uomo di quarantacinque anni, un po’ stanco e deluso ma non ancora votato a un futuro solitario. Si era reso conto da tempo, guardandosi allo specchio, dei lievi ma implacabili cambiamenti che il tempo stava producendo sul suo volto. Anche il colore dei capelli stava mutando: dal castano al grigio cenere. Non si trattava, tuttavia, di un’inclinazione narcisistica. Benito non era affatto rapito dal suo aspetto ma possedeva un maniacale senso estetico, al punto da non sopportare imperfezioni, sia che albergassero in un oggetto sia sulla propria pelle. Le varie storie sentimentali che si erano succedute non avevano lasciato nel suo cuore ferite importanti, solo qualche saltuario rimpianto: visioni luminose, non poteva negarlo, ma di breve durata. Colto come al solito, nello scorrere questi ricordi, da un sedimento di pudore adolescenziale, Benito si alzò dirigendosi verso il giradischi. Scelse un vinile di musica da camera e lo posò sul piatto.

    Nei giorni che seguirono il tempo cambiò. Smise di piovere e un sole talmente opaco da

    sembrare imprigionato in un involucro di cellophane, si fece strada faticosamente. L’aria diventava giorno dopo giorno più fredda e le giornate sempre più brevi. Nel centro storico il negozio di antiquariato e la piccola libreria, insensibili ai capricci atmosferici, continuavano a guardarsi in lontananza come due vecchie e compassate signore che, pur tenendosi d’occhio per anni, non si erano mai scambiate una sola parola. Tuttavia, al di là delle rispettive vetrine, qualcosa era cambiato. Alla signora Contini non era sfuggita l’insolita e frequente contemplazione della piazza da parte dell’architetto Marzi. Lui girovagava meditabondo nel negozio per poi finire invariabilmente davanti alla porta a vetri dell’ingresso. Questa manovra, insolita e ripetitiva, aveva finito per incuriosire la donna. Di solito, Benito se ne stava rintanato nel suo ufficio oppure controllava gli oggetti esposti e se si dirigeva verso l’ingresso lo faceva unicamente per uscire. Il suo architetto, da un po’ di tempo si comportava in modo strano, a partire dal tavolino che non aveva voluto vendere per arrivare a ripetere regolarmente lo stesso gesto: osservare la piazza. Cosa c’era di così interessante là fuori?

    Due giorni dopo il cambiamento del tempo, a poco più di una settimana dalla sua prima apparizione, si rifece vivo il signor Bruni. In quest’ultima occasione indossava un cappotto color cammello e un cappello a larga falda dello stesso colore; una lunga sciarpa multicolore gli cingeva il collo per poi scendere abbondantemente sotto i larghi fianchi. La signora Contini, che aveva appena aperto il negozio, se lo trovò davanti all’improvviso. La prima cosa che la preoccupò fu che

    il suo principale non era ancora sceso. Normalmente arrivava più o meno mezz’ora dopo l’apertura; questa situazione la trovava impreparata: avrebbe dovuto trattenere quell’uomo o invitarlo, per la seconda volta, a ripassare? Nel dubbio tagliò la testa al toro decidendo di telefonare

  • SPIRIDON/16 a Benito e chiedere istruzioni. Spiegò al cliente che l’architetto Marzi sarebbe arrivato tra breve

    e che le facesse il piacere di attendere un attimo, il tempo di una breve telefonata; poi si diresse nell’ufficio del principale avendo cura di chiudere la porta. Poco dopo, con espressione dispiaciuta, riferì al signor Bruni che purtroppo l’architetto aveva deciso di non vendere più quel mobile.

    “ Cosa! Non è più in vendita! Vi danno fastidio i clienti o avete la puzza sotto al naso, eh? “, sbottò volgarmente il signor Bruni.

    Questa volta non fece nessun inchino ma rimase immobile per alcuni secondi, come un blocco di marmo. Poi, con fare sostenuto, mormorando qualcosa di incomprensibile, girò pesantemente sui tacchi e si avviò verso l’uscita senza salutare. Silvia si accorse di tremare. Quella scenata volgare aveva lasciato il segno: in vita sua non le era mai capitato di subire un simile trattamento da parte di nessuno. Era molto turbata e non solo per il comportamento di quel villano ma anche per quello incomprensibile di Benito che aveva deciso di non vendere quel pezzo. Quando quest'ultimo arrivò, la Contini gli riferì con aria sostenuta l'accaduto. Lui, che nel frattempo si era appoggiato alla stipite della porta a vetri dell’ingresso, le rispose dopo aver gettato una fugace occhiata all’esterno.

    “ Mi dispiace, Silvia, avrei voluto essere presente! Per quanto riguarda quel tanghero… Be’, non gli venderò mai niente! Io l’avevo già visto da qualche parte e a forza di pensarci mi è venuto in mente: è un collega. Era seduto poco distante da me ad un’asta. Ho preso informazioni su di lui e ne ho sentite delle belle: sospetti di ricettazione e connivenze losche. Evidentemente qualcuno gli ha chiesto un articolo simile. Non capisco come sia capitato qui, direi... A colpo sicuro! “.

    Silvia replicò: “ Avrebbe dovuto mettermi al corrente! “. “ Sì, accidenti! Lei ha perfettamente ragione ma me lo sono scordato! “. Benito si scostò dalla porta e si diresse verso il suo ufficio ma prima di entrarci si voltò

    cambiando decisamente argomento: “ Dimenticavo Silvia, nel caso non ci fossi mi faccia una cortesia: se Ruggeri dovesse riportare

    l’orologio a pendolo revisionato gli dica di non metterlo in negozio ma in magazzino e di portarci anche il tavolino “.

    “ Non è più in vendita neppure quello? “, commentò ironicamente la signora Contini. “ Esattamente! “. “ Poveri noi, signor Giovanni… “, si lamentò mentalmente la donna.

    (continua) Ermanno Gelati