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Diretto da Giors Oneto SPECIALE /354 [email protected] 29. I. 2017 Dai 60 metri ai 50 chilometri di Vanni Lòriga Chiedo scusa al Direttore ed ai lettori di Spiridon per il ritardo con cui assolvo ai doveri di cronista, ma ho le mie buone giustificazioni. La prima è che la forma influenzale che ha colpito un intero Paese non mi ha risparmiato. La seconda è legata ad un presentimento. Mentre mi accingevo a scrivere di un primato mondiale sulla più lunga distanza dell’atletica leggera (cioè del record di Pamich sui 50 chilometri di marcia del 19 novembre 1961) ero in attesa di qualcosa di importante, ma non prevedibile, sulla distanza più breve della corsa. Ed infatti nel primo pomeriggio di oggi, 28 gennaio 2017, Filippo Tortu ha migliorato per due volte il primato italiano juniores sui 60 metri indoor che era stato stabilito, 35 anni fa, da Pierfrancesco Pavoni, mio vicino di casa. Considerato che Tortu ha radici familiari simili alle mie, cioè nel cuore della Gallura centrale, posso affermare che si tratta di faccende di “casa nostra”. E Pamich che c’entra ? Chiarisco i rapporti che a lui mi legano parlando di un incontro di dieci giorni orsono. Ed inizio dicendo che sono grato ai miei amici Abdon Pamich e Roberto Roberti per avermi fatto hanno praticamente rivivere un secolo di bellissime storie di sport italiano. Tutto è successo nella Sala della Giunta del CONI al Foro Italico, con la presentazione del libro “La grande avventura dello sport fiumano” da loro scritto. Con i due autori , memoria storica di vicende vicine e lontane che riguardano il Quarnaro ( che fu e spiritualmente resta nostro estremo lembo e, come ricorda Dante, si com’a Pola presso dal Carnaro d’Italia chiude e i suo termini bagna”) ho convissuto oltre 65 anni di vicende sportive ed umane. Li conobbi quasi contemporaneamente nel 1952. Nominato in quell’anno sottotenente dei bersaglieri, venni provvisoriamente assegnato al 3° reggimento, dove Roberto prestava servizio. E proprio in quel periodo Abdon si

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Diretto da Giors Oneto

SPECIALE /354 [email protected] 29. I. 2017 Dai 60 metri ai 50 chilometri

di Vanni Lòriga Chiedo scusa al Direttore ed ai lettori di Spiridon per il ritardo con cui assolvo ai doveri di cronista, ma ho le mie buone giustificazioni. La prima è che la forma influenzale che ha colpito un intero Paese non mi ha risparmiato. La seconda è legata ad un presentimento. Mentre mi accingevo a scrivere di un primato mondiale sulla più lunga distanza dell’atletica leggera (cioè del record di Pamich sui 50 chilometri di marcia del 19 novembre 1961) ero in attesa di qualcosa di importante, ma non prevedibile, sulla distanza più breve della corsa. Ed infatti nel primo pomeriggio di oggi, 28 gennaio 2017, Filippo Tortu ha migliorato per due volte il primato italiano juniores sui 60 metri indoor che era stato stabilito, 35 anni fa, da Pierfrancesco Pavoni, mio vicino di casa. Considerato che Tortu ha radici familiari simili alle mie, cioè nel cuore della Gallura centrale, posso affermare che si tratta di faccende di “casa nostra”. E Pamich che c’entra ? Chiarisco i rapporti che a lui mi legano parlando di un incontro di dieci giorni orsono. Ed inizio dicendo che sono grato ai miei amici Abdon Pamich e Roberto Roberti per avermi fatto hanno praticamente rivivere un secolo di bellissime storie di sport italiano. Tutto è successo nella Sala della Giunta del CONI al Foro Italico, con la presentazione del libro “La grande avventura dello sport fiumano” da loro scritto. Con i due autori , memoria storica di vicende vicine e lontane che riguardano il Quarnaro ( che fu e spiritualmente resta nostro estremo lembo e, come ricorda Dante, “ si com’a Pola presso dal Carnaro d’Italia chiude e i suo termini bagna”) ho convissuto oltre 65 anni di vicende sportive ed umane. Li conobbi quasi contemporaneamente nel 1952. Nominato in quell’anno sottotenente dei bersaglieri, venni provvisoriamente assegnato al 3° reggimento, dove Roberto prestava servizio. E proprio in quel periodo Abdon si

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affermava nella finale nazionale del Trofeo Pavesi di marcia ed iniziava il suo lunghissimo ed inesauribile cammino.

Roberto Roberti fu uomo di larghissimi interessi e di instancabili iniziative. Nato a Pola da padre napoletano (e mai rinnegò le radici partenopee, innestando fantasia meridionale in rigore operativo mitteleuropeo) si trasferì giovanissimo a Fiume, dove praticò molto sport eccellendo nel calcio. Sport che lo vide bravissimo anche a Roma dove a 17 anni conseguì la maturità scientifica. Decise di frequentare l’Accademia di Modena e fu braccato da Remo Zenobi che, quale Presidente della Lazio, volle indurlo alla rinuncia garantendogli il ruolo di titolare nella sua squadra in Serie A. Roberto fece la sua scelta. Fu presto ufficiale dei Bersaglieri con cui militò nel secondo conflitto mondiale ed infine raggiunse il grado di Generale di Corpo d’Armata. Ci ha lasciato esattamente un anno fa consegnandoci ricordi indimenticabili di

campione polisportivo, di dirigente (fu tra i fondatori del Centro Sportivo Esercito), di innovatore e di storico. Fu la memoria inossidabile dello sport fiumano che viene eternato nel libro scritto insieme ad Abdon. Un altro grande amico, anche lui vicino di casa e soprattutto sodale di sport, praticante la francescana e torturante disciplina della marcia, Specialità che anche chi scrive ha amato e vissuto. Per dare un’ idea dei nostri rapporti farò un esempio di facile comprensione. Paragoniamo il mondo dei marciatori ad un segmento. Da una parte c’è chi scrive queste righe; all’estremo opposto Abdon Pamich con le sue sei partecipazioni olimpiche (un oro, un bronzo, un quarto posto all’esordio); due titoli europei; tre ori ai Mediterranei, dodici vittorie al Giro di Roma, dieci nella Roma-Castelgandolfo, sette a Sesto San Giovanni; record che vanno dal miglio indoor a New York al mondiale sui 50 chilometri il 19 novembre 1961 all’Olimpico di Roma. Avrei tante altre splendide vicende fiumane da raccontare e mi riprometto di farlo al più presto perché lo meritano. Ma , da record a record, adesso mi debbo collegare con Maggingen in Svizzera. Nel giro di poche ore Filippo Tortu ha migliorato il primato italiano juniores che apparteneva a Piefrancesco Pavoni che a Milano il 6 marzo 1982 aveva coperto la distanza in 6”68. In batteria ha corso in 6”67 e nella fnale vittoriosa in 6”64. Sarà l’unica gara indoor dell’anno, una specie di test di verifica del lavoro sinora svolto. Papà Salvino non ha fretta, agisce con la saggezza antica dell’ “adelante, Pedro, con juicio…”. Si torna a casa a lavorare con calma. Filippo (19 anni il prossimo 15 giugno) deve preparare anche la maturità. E’ noto che la sua tesina in filosofia sarà dedicata a Seneca. Che non a caso ammoniva come sia più importante “la qualità piuttosto che la quantità”. E qui siamo tutti d’accordo. Chiudo scusandomi per la scarsa qualità del mio scritto ma rivendicandone la scarsa quantità. Così anch’io sono in sintonia con Seneca.

Dieci chilometri di corsa per continuare a tenere vivo il ricordo e perché certi fatti non avvengano mai più. Non è difficile imbattersi in polemiche, in Italia, quando si devono fare i conti con la Storia, e questo avviene anche quando si tratta di ricordare eventi drammatici come la tragedia delle Foibe e l'esodo delle popolazioni Giuliano-Dalmate. Invece di unire, questi eventi continuano, dopo decenni, a dividere. Fino a non troppi anni fa, l'argomento era, persino tabù sui libri di storia, pochi, pochissimi conoscevano i fatti che hanno insanguinato, martoriato, fino a dover subire l'umiliazione di un esodo, gli Italiani che abitavano quelle terre. Il Giorno del Ricordo é stato istituito un per commemorare quei fatti tragici, e precisamente il 10 febbraio , passi da gigante in nome della veridicità della storia, ma piccoli passi se si pensa che ancora oggi, quello stesso ricordo continua a dividere gli italiani. L' idea di associare quella giornata ad

un evento sportivo nasce proprio dall'esigenza e dalla volontà di vivere quella giornata come un momento di unione. Per questo domenica 12 febbraio 2017, l'ASI Roma organizzerà una gara podistica, in un quartiere simbolo di Roma, Capitale di tutti gli Italiani, il quartiere Giuliano-Dalmata. La gara , inserita nel calendario FIDAL, si svolgerà su un percorso di 5 km da percorrere due volte, per la non competitiva da percorrere una sola volta, parte delle quote di iscrizione verrà data in beneficenza alle associazioni di esuli.

L’iscrizione per la gara competitiva debbono essere fatte tramite

il sito della TDS www.tds-live.com. Le iscrizioni per la non competitiva si possono effettuare presso la sede dell’Asi Comitato Provinciale di Roma Via Valle Viola 20 oppure direttamente prima del via.

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, una squadra cancellata. ovvero la breve stupenda storia di una squadra di calcio italiana "sparita" per colpa della guerra. Fonte: Mariano Messinese.

C’è una profonda differenza tra memoria e ricordo: la prima troppo spesso è solo un contenitore di dati e informazioni, materia inerte, insomma. Ricordare invece significa partecipare e forse anche rivivere. Anche se non si è stati protagonisti o non si era nati. Solo così chi che è stato sepolto in una gola carsica e annegato dal grande fiume dell’oblio storico può riemergere. Oggi infatti si rievoca il massacro degli italiani giuliano-dalmati da parte dei partigiani titini nel biennio ’43-45. Chi erano le vittime? Uomini, donne, sacerdoti, partigiani, fascisti, anarchici. Ma soprattutto italiani. Tutti uccisi e gettati negli anfratti carsici. Ne morirono 5000 o forse 10000. Il numero è incerto. I superstiti lasciarono la terra in cui erano nati per ricostruirsi una vita altrove in Italia. Ma non furono accolti bene: per gli altri italiani erano solo fascisti e nell’ Italia repubblicana e democratica non c’era più spazio per loro. Furono perciò condannati a dimenticare la tragedia che li aveva colpiti.

Tra gli esuli tanti nomi illustri: l’attrice Laura Antonelli, il cantante Sergio Endrigo e il pugile Nino Benvenuti. Oltre a una squadra di calcio: la Fiumana. Ai più questo nome dirà poco. Nell’almanacco del calcio è solo il nome di una squadra che disputò un campionato nella massima serie nel 28-29, l’ultimo disputato a due gironi. Per l’Uefa tutto finisce lì invece esiste il Rijeka, dal nome croato di Fiume, la città tanto cara a D’Annunzio, l’imaginifico che, non moòti forsr lo sanno fu l’”inventore” dello scudetto tricolore dei campioni nazionali. (v.nota relativa) Insomma, cancellata dagli archivi o quasi, come se fosse un cadavere ingombrante. Eppure tra gli anni 20- 30 la Fiumana è stata molto di più di una semplice provinciale, sarebbe più giusto chiamarla una

“stracittadina”. I colori sociali erano il rosso cardinale, blu e giallo, gli stessi dell’ex Stato libero di Fiume. Le partite casalinghe si giocavano allo Stadio del Littorio, (nome per la verità poco fantasioso), in frazione Borgomarina, l’attuale stadio di Cantrida, Per l’edificazione fu sbancato un intero costone di montagna e la capienza massima raggiunse gli 8000 spettatori. Il risultato finale fu eccellente: un catino ribollente di passione affacciato sul mare Adriatico. Meraviglioso.

L’ultima partita giocata dalla Fiumana fu contro il Vittorio Veneto in serie C il 14 marzo 1943. Vinsero i dalmati per 4-1. Ma fu una vittoria senza gioia. Gli eventi successivi travolsero la Dalmazia e L’Istria: l’eccidio della comunità italiana, l’esilio e l’oblio. Il destino si accanì anche contro la Fiumana che si sciolse definitivamente nel 1945, dopo il passaggio della città alla Jugoslavia. Ci sono stati recenti tentativi di rifondarla iscrivendola nel campionato di Lega Pro, ma senza esito.

Ai giorni nostri la Fiumana potrebbe essere paragonata all’Atalanta. Ma non tanto per il valore tecnico, quanto per il suo vivaio. Nella serra dalmata furono coltivati grandissimi giocatori che fecero la fortuna del calcio italiano. Uno su tutti era Ezio Loik, estrosa mezz’ala del Grande Torino. Era chiamato l’uomo dei gol impossibili, ma anche Elefante per il suo precedere lento e al tempo stesso possente. Si dice avesse 4 polmoni, gli servivano per rimpiazzare quelli di Mazzola, troppo geniale per sacrificarsi. Fra i giocatori più talentuosi cresciuti in quella propaggine d’Italia, c’era Rodolfo Volk, idolo della tifoseria

giallorossa. Era un centravanti, una sintesi di potenza e filosofia. Non a caso ripeteva spesso:” Non penso, tiro”.

L’elenco continua con i fratelli Mario e Giovanni Varglien, bandiere della Juve e pionieristici jolly a tutto campo, da far invidia ai todocampisti spagnoli. E infine Marcello Mihalich, considerato da molti il prodotto più pregiato del calcio fiumano. Era una mezz’ala molto tecnica e rapida. E non solo. Marzelin, così lo chiamavano nella sua città, era anche un vero e proprio assist-man Se ne accorsero gli attaccanti Voik e Sallustro, suoi compagni di squadra al Napoli, che segnarono a raffica.

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A Fiume nel 1920 la prima apparizione dello scudetto tricolore La squadra vincitrice del campionato italiano di calcio, oltre al titolo di “Campione d'Italia”, si aggiudica anche il diritto di applicare (nella stagione successiva) uno scudetto tricolore sulle proprie maglie da gioco. Fu il Genoa per primo a portare lo scudetto tricolore sul petto nel 1925. Ad inventare questo simbolo non fu un personaggio a caso ma addirittura il poeta Gabriele d'Annunzio, il quale sembra che in giovane età si divertisse a giocare a calcio con gli amici, sulla spiaggia di Francavilla, vicino alla natìa Pescara (finché nel 1887, durante una partita, perse due denti cadendo e pose fine alla sua carriera da calciatore...). L'occasione per questa particolare innovazione si presentò nel 7 febbraio del 1920, a Fiume, durante l'occupazione della città da parte dei volontari italiani guidati da d'Annunzio. In quel giorno, infatti, fu organizzata una partita tra una squadra di militari italiani e una di civili fiumani. Per l'occasione gli italiani indossarono una maglia azzurra sulla quale il Vate decise di applicare anziché lo scudo sabaudo (come avveniva sulle maglie della Nazionale a quei tempi), uno scudetto (di forma “sannitico antica” secondo la definizione araldica) con i colori della bandiera italiana. E proprio allo scudetto di d'Annunzio, qualche anno più tardi (1924), si ispirarono gli organizzatori del campionato quando stabilirono che da quel momento, la squadra che ogni anno avesse vinto il titolo, nella stagione successiva si sarebbe fregiata anche di un simbolo da apporre sulla maglia. Lo stesso scudetto che vien dato ancor oggi. Ma il vero trionfo calcistico del Vate avvenne quasi dieci anni dopo la sua morte: il 27 ottobre 47 la nazionale Italiana di calcio giocò a Firenze contro la Svizzera, stravincendo nella sua prima partita postbellica: gli azzurri avevano sul petto lo scudetto tricolore di d Annunzio. Sino ad allora la nazionale azzurra aveva portato sul petto la croce sabauda contornata dal fascio littorio. Dunque Gabriele D’Annunzio, eroe, poeta e letterato, era anche un appassionato sportivo. E’ ampiamente noto che sia stato amante delle corse di cavalli, che abbia posseduto dei levrieri, che abbia seguito le gare automobilistiche, anche come tifoso e amico di Tazio Nuvolari. Si racconta che sia stato un ottimo spadaccino. Era un tipo spericolato e avventuriero, tanto che l'amore per il volo gli fece perdere un occhio; era amante del canottaggio e del nuoto, andava volentieri in bicicletta, e in un'occasione a Parigi fu multato perché non in regola con le norme della circolazione. Meno nota, invece, la sua passione per il calcio, che lo portava ad assistere volentieri alle partite. E fu proprio durante la sua permanenza in città, che a Fiume, nel lontano 1920, si verificò un fatto "storico", ormai quasi dimenticato, riportato alla luce in occasione della presentazione del libro "El balon fiuman quando su la Tore era l'aquila", nel quale il milanese Luca Dibenedetto ha ricostruito appunto i primi trent'anni di storia del calcio quarnerino. Parliamo della prima apparizione di un simbolo al quale lo sport italiano, e non solo il calcio, E’ tuttora legato tenacemente: lo scudetto tricolore. All’epoca era in corso in città un campionato con impegnate le società attive già dai tempi dell'Austria Ungheria: Esperia, Gloria, Olympia, Juventus-Enea ed altre. I militari giocavano un loro campionato a parte. Per cementare ancor più i rapporti di fratellanza con la popolazione, le autorità decisero di organizzare una sfida tra una selezione delle squadre cittadine ed una rappresentativa del Comando militare. Secondo i primi accordi le due formazioni avrebbero dovuto indossare le casacche rispettivamente del Gloria e dell’Esperia, ma qualcuno suggerà di far giocare la squadra militare (che simboleggiava l’Italia) con la maglia azzurra, il colore dei nazionalisti. E si volle pure che i militari ponessero all’altezza del cuore uno scudetto bianco, rosso e verde, conformato nella foggia che la terminologia araldica definisce sannitico-antica. La "storica" partita si giocò domenica 7 febbraio 1920 sul campo sportivo di Cantrida. Il terreno in settimana era stato

rimesso in sesto da una compagine di soldati zappatori ed erano state erette delle nuove tribune. La cronaca della “Vedetta d Italia” riportò che sugli spalti accorse una folla enorme di appassionati. "Alle ore 15 giungeva il generale Sante Ceccherini con il suo seguito - ricorda l'articolista -, mezz’ora dopo il Comandante Gabriele D’Annunzio con il suo Stato Maggiore prese posto nella tribuna centrale. La squadra militare si presentò in campo con la maglia azzurra e i calzoncini bianchi, mentre la selezione cittadina vestiva le divise nero-verdi stellate dell’Esperia. Il capitano dei fiumani, Goacci, donò al capitano dei militari uno splendido mazzo di fiori con i nastri dei colori fiumani e

nazionali. "Sorpreso e commosso - sottolineano le cronache dell'epoca -, il capitano avversario, tenente Terrile, abbracciò e baciò il capitano fiumano. L’incontro fu leale e avvincente. Gli “azzurri”, nelle cui file giocavano bersaglieri, arditi, artiglieri, aviatori e reparti d’assalto, tutti fisicamente ben prestanti, ben poco poterono contro i più tecnici fiumani, che grazie alla rete segnata al 30' da Tomag fecero propria la tenzone. Il Comandante assistette alla partita quasi sino alla fine e dopo il primo tempo volle conoscere personalmente i due capitani per congratularsi con loro. I militari chiesero e ottennero la rivincita, fissata per il 9 maggio”. Il 6 maggio a Cantrida si concluse il campionato militare, vinto dal II Battaglione. Gli avvenimenti, però, precipitarono e quello stesso pomeriggio ci fu un sanguinoso conflitto a fuoco tra arditi e regi carabinieri, che stavano abbandonando la città e forzarono il blocco di Cantrida. Questo fatto incrinò ulteriormente i già tesi rapporti tra il Comandante e le forze militari regolari italiane.

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Nei giorni scorsi il nostro amico e collaboratore Pino Clemente è stato insignito della “Quercia al merito atletico”, la prestigiosa onorificenza concessa dalla FIDAL a chi ha ben operato nell’ambito dell’atletica leggera. E mai premio fu altrettanto merito. Il Professore Pino Clemente,è infatti uno dei tecnici di atletica leggera piu' apprezzati a

livello nazionale. Ex calciatore e velocista degli anni 60 ,ha conseguito il diploma all’ISEF di Palemo , la laurea in Farmacia. Per tanti anni scopritore di talenti a Palermo , Bagheria ed Alcamo, l’atletica a Bagheria esiste solo perché il prof .ha insegnato al liceo classico Scaduto ed ha seminato molto bene, portando a livelli mondiale la sua atleta di punta Margherita Gargano(olimpionica a Montreal)ha scoperto Tommaso Ticali inculcandogli la cultura del lavoro e del sacrificio.E’ stato per tanti anni il titolare della cattedra dell’isef e poi di scienze motorie di Palermo.E’ stato il primo allenatore al mondo a capire che le donne potevano correre e bene le distanze di mezzofondo,fondo e maratona,in un convegno di tecnici a Budapest nel 1975 ha esposto la sua teoria e convizione ,lasciando molti dubbi a tutti gli scettici(in quel periodo la distanza piu’ lunga per le donne erano i 3000 metri),dopo quella proposta alle olimpiadi ed ai mondiali hanno inserito la maratona femminile. Il Prof. Clemente ha scritto diversi libri fra cui è “L’atletica leggera”e “La scienza e l’arte dell’allenamento”.Attualmente dirige il mensile di atletica leggera “Corri Sicilia” dove si commentare i risultati e le classifiche delle gare regionali e

nazionali a livello amatoriale ed assolute, famosissima è la rubrica “le chiodate”dove fa sfoggio della sua immensa cultura non soltanto sportiva, raccontando con piglio del grande scrittore e giornalista i fatti salienti dello sport nazionale collegata ai fatti di cronaca politica,bacchettando spesso i nostri rappresentanti del governo nazionale. Da anni è apprezzatissimo collaboratore di Spiridon. Ma soprattutto il Professor Clemente è un galantuomo a cui ci lega una sincera amicizia ed una profonda stima.

CORRERE PER CHI NON PUO' FARLO Partito il 13 novembre da Darwin nel Northern Territory ha attraversando da nord a sud l’Astralia per raggiungere Adelaide (South Australia) naturalmente a piedi in poco meno di cinquanta giorni. E’ la piccola grande impresa realizzata da Michele Evangelisti ultratrailer di Roma . Un’impresa che il protagonista ha sintetizzato nei dati seguenti: KM percorsi: 3.113; Temperatura ambientale: 15° minima 5° massima; Tasso di umidità : min 60%,

max 92%; liquidi bevuti quasi 600 lt. ; KCal/GG: 6/7.000 consumate; Paia di scarpe consumate: 8 ! Poco meno di 50 giorni per circa 3.100Km di corsa nel deserto e di imprevisti incalcolabili… il tutto con una sola finalità, quella di raccogliere fondi a favore di chi non vuole arrendersi alla disabilità, ma vuole far sì che lo sport sia occasione di rinascita e di riscatto: questo sarà l’obiettivo del mio progetto charity, in collaborazione con AUS Niguarda Onlus, associazione che affianca l'Unità Spinale Unipolare dell'Ospedale Niguarda di Milano, che si occupa di cura e riabilitazione delle persone con lesione al midollo spinale e dei bambini nati con Spina Bifida.Una traversata conclusa il 27 dicembre e che Evangelisti ha così commentata: alle ore 17:07,

dopo 3.113Km, entravo in Victoria Square. Ad aspettarmi tanti amici italiani e australiani, la Console Italiana ad Adelaide ed il Sindaco. Emozioni indescrivibili, dopo un'ultima settimana intensa e ricca di momenti speciali. Ho corso 45 giorni con tanta voglia di arrivare, con la determinazione di chi sa di essere tanto fortunato quando responsabile nel momento in cui un'impresa del genere ha lo scopo di far conoscere una realtà tanto importante e nobile quale lo è AUS Niguarda Onlus.

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Qualche lettore mi rimprovera via e-mail o su Facebook di trascurare il blog. E’ vero. Un po’ è la pigrizia senile, un po’ il trauma da trasloco, dal quale stento a riprendermi. Ma non è che non scrivo. A volte scrivo, e poi metto i pezzi lì da parte sul Pc, come faceva mio nonno Federico coi quadri che dipingeva. Mi stupisce sempre il fatto che alla gente interessino le mie opinioni , le mie descrizioni, le mie elucubrazioni. Tanto più che a volte mi sorprendo a scrivere cose strane, come un requiem per un vespasiano.

Bon. Visto che l’ho citato, lo recupero e ve lo propongo Non ci ho pisciato molte volte, nel vespasiano n. 128 detto “del Ponte Isabella” , ma ci ero affezionato. Anni fa gli avevo persino dedicato una delle rubriche surreal-demenziali di Fegato Granata, il mio giornale di satira calcistica: “Fegato turismo, rassegna dei monumenti da salvare nella Torino segreta”. Vi recensivo gli oggetti più impensabili (tombini, strisce pedonali, cartelloni stradali, e quella volta appunto il vespasiano…) per sfottere sia la banalità di certi oggetti e installazioni spacciati per arte moderna, sia il linguaggio complicato e altisonante dei critici che li recensivano. Ora che l’hanno demolito, il mio caro pisciatoio merita qualche parola di ricordo. Nel database del Settore Urbanistica Commerciale, piano servizi igienici della città, si legge: Numero

128. Utilizzato. Gestione: Amiat. Stato di conservazione: buono. Azione: da eliminare. In pratica aveva la sua condanna a morte già firmata, anche se era ben conservato. Dovevano solo decidere quando demolirlo, e l’hanno fatto negli ultimi giorni del 2012. Penso al funzionario anonimo che ha scritto la parola fatale ‘da eliminare’ perché qualcuno in alto aveva deciso che non serviva più. Eutanasia di un cesso pubblico. Fa venire i brividi, la parola eutanasia, se spostiamo il concetto all’uomo, ma anche per un cavallo zoppo o per un albero malato la condanna a morte fa male. Invece quella del vespasiano è stata eseguita nell’indifferenza generale, al massimo col borbottìo di qualche vecchio prostatico come me.

Sit tibi discarica levis, pissor. (Manlio Collino p.g.c.)

Che questo ne sia il successore? Ovvero, Una volta c'era il Vespasiano ...oggi.... „ L'opera è purtroppo senza titolo e l'autore è sconosciuto, ma nella legenda che segue si evidenziano tre principi fondamentali: 1. Orto sul tetto che anticipa le tendenze attuali; 2. Pubblicità - Il writer non dimentica di comunicare a chi volesse imbrattare i propri muri, il suo recapito artistico; 3. W.C. Ambosessi (il Vespasiano era Maschilista) .....forse si tratta di un W.C. chimico. L'ensamble creatosi è sicuramenta da sottoporre alla qualificata attenzione della Commissione di Valutazione Artistico-Critica della prossima edizione di ARTISSIMA

dove opere di questa caratura non possono che incontrare il consenso della critica internazionale.

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Lutto nel mondo del ciclismo: morto Giovanni Corrieri, storico gregario di Gino Bartali

Se ne è andato anche l’ultimo dei grandi del ciclismo pratese. E’ morto Giovanni Corrieri, storico gregario di Gino Bartali ma anche grande velocista. Avrebbe compiuto 97 anni il prossimo 12 febbraio. Corrieri, di origini siciliane ma pratese d’adozione, venne tesserato dall’AC Pratese nel 1939. Nel corso della sua carriera ha vinto sette tappe al Giro d’Italia e tre al Tour de France. Memorabile il successo conquistato nel 1948 nell’ultima tappa del Tour de France, vinto da Gino Bartali.

Ai gemelli Dematteis il prestigioso premio “Brera” Una collezione di medaglie e un gesto che ha lasciato un segno emozionante. 2 luglio 2016, Europei di corsa in montagna ad Arco: due atleti, due gemelli. Bernard Dematteis è in testa, ma sul finale aspetta il fratello Martin affiancandolo fino a pochi passi dal traguardo per poi lasciargli la vittoria del titolo continentale. Una bella storia di sport che probabilmente sarebbe piaciuta anche al grande Gianni Brera. E così stasera a Milano, presso lo storico Teatro Dal Verme, è stato consegnato ai due fratelli piemontesi della Corrintime il premio intitolato alla

memoria del grande giornalista milanese.

Organizzato e promosso dal Circolo Culturale “I Navigli”, il “Premio Brera” da sedici anni assegna trofei e riconoscimenti speciali ad atleti e sportivi che si sono distinti sia per i risultati ottenuti sul campo, con particolare attenzione al modo con cui hanno affrontato le loro sfide, sia per il loro contributo alla promozione dell’immagine dello sport.

Quest’anno la giuria – composta da giornalisti, ex sportivi e personalità – oltre ai due azzurri dell’atletica, ha voluto premiare Silvio Berlusconi, per i trent’anni di successi alla guida dell’Ac Milan; Claudio Ranieri, allenatore del Leicester campi Sassuolo; Fabio Basile, oro nel judo alle Olimpiadi di Rio; Francesca Porcellato, plurimedagliata atleta paralimpica;Federico Arnaboldi, promessa del tennis italiano; Elisa Balsamo, campionessa mondiale di ciclismo juniores; i rappresentanti dell’Hockey Lodi e della Nazionale italiana femminile di pallanuoto (argento alle Olimpiadi di Rio); Daniel Over”.

Fonte fidal.it

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IN OLTRE DIECIMILA A ROMA PER LA

VINCONO I DUE FINANZIERI FLORIANI E CONSOLE

Si è svolta a Roma la 18^ edizione de La Corsa di Miguel, la corsa podistica organizzata dal Club Atletico Centrale

e dall'Uisp per ricordare il poeta-maratoneta argentino Miguel Benancio Sanchez. All'interno dello Stadio Olimpico sono arrivati gli oltre 9500 concorrenti che hanno concluso una delle prove in

programma, la 10 chilometri competitiva e quella amatoriale e quella di soli 4 aperta a tutti.

La prova competitiva ha visto al traguardo 4.415 concorrenti (3.412 uomini e 1.003 donne) mentre le altre due prove hanno visto la partecipazione di oltre 5000 persone, tra le quali gli studenti dei licei romani che hanno ospitato gli studenti delle scuole delle zone terremotate del Lazio, Umbria e Marche e decine di podisti di Norcia e Amatrice.

E proprio alle popolazioni di questi comuni è stata dedicata questa edizione, con una e partecipazione tanto elevata

senza dimenticare diversi campioni di grido anche di discipline diverse

dall’atletica. E' il caso di Massimiliano Rosolino, l'olimpionico del nuoto che all'esordio in una gara di corsa su strada ha chiuso in 47:07, e dell'olimpionica di windsurf Alessandra Sensini, arrivato dopo 51:23 di corsa. Meno di 50 minuti invece per il surfista romano Alessandrò Marcianò e per l'ex fiorettista olimpica Margherita Granbassi, entrambi in gara nella non competitiva sempre di dieci chilometri. In campo maschile si è assistito ad una sfida serrata tra sei atleti, che fino all'ingresso nello Stadio Olimpico sono rimasti praticamente appaiati, tanto da chiudere uno dietro l'altro nell'arco di soli sei secondi. A spuntarla sulla pista dello stadio è stato l'atleta delle Fiamme Gialle Yuri Floriani (29:56), che lo scorso anno arrivò secondo, che ha avuto

la meglio allo sprint sul moldavo Roman Prodius (29:56) e sull'altro finanziere Patrick Nasti (29:57). In campo femminile la vittoria è andata ad un'altra atleta delle Fiamme Gialle, Rosaria Console, la maratoneta azzurra tornata in grande forma tanto da aggiudicarsi la vittoria alla Best Woman e alla Corsa di Miguel in poco più di un mese. Console ha chiuso in solitaria dentro lo Stadio Olimpico (33:04), precedendo Laila Soufyane del CS Esercito (33:13) che aveva vinto la corsa negli ultimi due anni. Al terzo posto l'atleta dell'Aeronautica Militare Martina

Merlo (33:38).