Nozioni Sui Sistemi Arma di Atigleria e Missilistici

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ACCADEMIA NAVALE A.N. 2 - 35 NOZIONI SUI SISTEMI D'ARMA DI ARTIGLIERIA E MISSILISTICI a cura del C.F. Paolo CHIARELLI 1994

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Nozioni Sui Sistemi Arma di Atigleria e Missilistici by Paolo Chiarelli.

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ACCADEMIA NAVALE

A.N. 2 - 35

NOZIONI SUI SISTEMI D'ARMA DI

ARTIGLIERIA E MISSILISTICI

a cura del C.F. Paolo CHIARELLI

1994

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PREFAZIONE

Il presente testo ha lo scopo di introdurre gli ufficiali e gli allievi ai concetti nozionistici fondamentali dei sistemi d'arma di artiglieria e missilistici ed è impiegabile per tutti quei corsi di durata pari o superiore ai 10 periodi e fino ad un massimo di 25/30 quali: - Ufficiali Nomina Diretta CM / CP - Ufficiali della Guardia di Finanza - Ufficiali Ruoli Speciali GN - CM - CP - AUC "L" e "D" SM - GN - CM - CP I singoli capitoli in cui è stata suddivisa la materia possono essere mediamente trattati nell'arco temporale di un periodo lasciando spazio al docente, laddove sia possibile e\o necessario, l'integrazione dei singoli argomenti con la visione di filmati su videocassetta e la presentazione di simulacri/componenti dei Sistemi d'Arma disponibili in Aula Modelli.

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INDICE DEGLI ARGOMENTI

INTRODUZIONE IL SISTEMA D'ARMA 1. Il sistema di combattimento pag. I 2. Il sistema d'arma pag. I 3. Classificazione dei sistemi d'arma pag. III

PARTE PRIMA - I SISTEMI D'ARMA CONVENZIONALI CAPITOLO I - LE ESPLOSIONI CHIMICHE E GLI ESPLOSIVI 1. Le esplosioni chimiche pag. 2 2. Gli esplosivi chimici pag. 2 3. La deflagrazione pag. 3 4. La detonazione pag. 6 5. Esplosivi di lancio pag. 6 6. Esplosivi di scoppio pag. 7 7. Esplosivi di innesco pag. 7 8. Requisiti degli esplosivi militari pag 7 CAPITOLO II - IL MUNIZIONAMENTO 1. Introduzione pag. 9 2. Il bossolo pag. 10 3. Il cannello pag. 11 4. La carica di lancio pag. 11 5. Il proietto pag. 12 6. Il detonatore pag. 16 7. La spoletta pag. 17 CAPITOLO III - I DEPOSITI DELLE MUNIZIONI 1. Requisiti costruttivi pag. 20 2. Sistemazioni di sicurezza dei depositi munizioni pag. 20 3. Ronde ai depositi pag. 21 4. Norme di sicurezza pag. 21 CAPITOLO IV - IL CANNONE

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1. La bocca da fuoco pag. 23 2. Classificazione delle bocche da fuoco pag. 24 3. Affusto pag. 25 4. Componenti funzionali del cannone pag. 27 CAPITOLO V - LA BALISTICA INTERNA 1. Introduzione pag. 33 2. Il diagramma delle pressioni pag. 33 3. Variazione della curva delle pressioni al variare dei parametri di caricamento pag. 35 4. Costruzioni delle canne pag. 37 5. Usura della bocca da fuoco pag. 38 6. Tecniche costruttive per ridurre l'usura pag. 40 CAPITOLO VI - LA BALISTICA ESTERNA 1. Introduzione pag. 41 2. Balistica nel vuoto pag. 41 3. La traiettoria nell'aria pag. 44 4. Le tavole del tiro pag. 49 CAPITOLO VII - IL PROBLEMA DEL TIRO 1. Generalità pag. 51 2. Linea di mira e punto attuale pag. 51 3. Linea di tiro pag. 52 4. Strutturazione del problema del tiro pag. 53 5. Gli invarianti del moto pag. 56 6. Il problema della punteria e il problema cinematico pag. 56 7. Il problema della previsione pag. 57 8. Il problema balistico e delle correzioni pag. 58 9. Il problema della parallasse pag 59 10. Lo sbandamento della piattaforma pag. 59 11. Schema a blocchi di una apparecchiatura per la direzione del tiro pag. 60 CAPITOLO VIII - I SENSORI RADAR 1. Principi dei radar pag. 61 2. Trasmissione impulsiva pag. 62 3. Componenti principali di un radar impulsivo pag. 63 4. Trasmissione ad onda continua pag. 67 5. Radar del tiro pag. 67 6. Scansioni di acquisizione pag. 68 7. La punteria pag. 70 CAPITOLO IX - CANNONI IN SERVIZIO

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1. Cannone da 127/54 C OTO MELARA pag. 76 2. Cannone da 76/62 C OTO MELARA pag. 81 3. Cannone da 76/62 SR OTO MELARA pag. 86 4. Mitragliera da 40/70 C BREDA pag. 88

PARTE SECONDA - MISSILISTICA CAPITOLO I - IL MISSILE E LA SUA PROPULSIONE 1. Introduzione pag. 93 2. Costituzione fisica del missile pag. 93 3. La testa in guerra pag. 94 4. La propulsione a getto pag. 95 CAPITOLO II - I SISTEMI DI GUIDA E DI GOVERNO DEI MISSILI 1. Introduzione pag. 101 2. Classificazione dei sistemi di guida pag. 101 3. Guida inerziale pag. 102 4. Guida a comando pag. 103 5. Sistema di guida su fascio pag. 105 6. Sistemi di guida homing pag. 107 7. Sistemi di governo pag 110 8. Sistemi a controllo aerodinamico pag. 112 CAPITOLO III - I LANCIATORI PER MISSILI 1. Il lanciatore come unità del sistema d'arma pag. 115 2. Tipi di lanciatori navali pag. 115 3. I lanciatori in ambito M.M.I. pag. 120 CAPITOLO IV - MISSILI IN SERVIZIO 1. Missile SM-1 (STANDARD ER./MR) pag. 125 2. Missile ASPIDE pag. 127 3. Missile OTOMAT (TESEO) pag. 129

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INTRODUZIONE

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1. IL SISTEMA DI COMBATTIMENTO Per sistema di combattimento si intende un insieme di sottosistemi funzionalmente interdipendenti che, operando in maniera coordinata, svolgono il compito di neutralizzazione dei mezzi nemici, comunemente indicati con il termine "bersaglio". Tali sottosistemi svolgono la funzione di raccolta e di valorizzazione delle informazioni sui bersagli, di localizzazione e di contrasto dei mezzi avversari e di valutazione dei danni a loro inflitti. Una nave, ad esempio, è un sistema di combattimento così come un gruppo di navi che operano congiuntamente. Da ciò scaturisce, quindi, la considerazione che i sottosistemi costituenti un sistema di combattimento possono essere imbarcati sulla stessa piattaforma o ubicati in luoghi distinti. In ogni caso le fasi operative attraverso le quali si concretizza un'azione di contrasto sono in linea di massima le seguenti: −−−− scoperta: percezione della presenza di un bersaglio; −−−− localizzazione: determinazione della posizione del mezzo scoperto; −−−− identificazione: classificazione del mezzo scoperto come amico o nemico e, possibilmente,

definizione delle sue caratteristiche; −−−− scelta del sistema di contrasto: tra quelli disponibili, il più idoneo a neutralizzare il mezzo

localizzato; −−−− azione di contrasto: impiego di un arma convenzionale o missilistica; −−−− valutazione dei danni inflitti per l'eventuale reiterazione dell'azione di contrasto 2. IL SISTEMA D'ARMA Nell'ambito di un sistema di combattimento opera il sottosistema di contrasto comunemente detto "SISTEMA D'ARMA", definito come quell'insieme di organi, che, operando tra loro in modo interdipendente e coordinato, realizzano la distruzione o il danneggiamento della minaccia attraverso l'impiego di un'arma (convenzionale o missilistica). Qualunque ne sia la dimensione, un sistema d'arma è sempre costituito dai seguenti sottosistemi principali: il sensore, il calcolatore, il lanciatore e l'arma. Il sensore svolge fondamentalmente la funzione di percezione e di raccolta dei dati di posizione del bersaglio. Il calcolatore, intimamente associato al sensore, assolve, invece, il compito di determinare gli ordini al lanciatore e all'arma (missili guidati) al fine di realizzare la traiettoria che assicuri l'intercetto nonchè di valutare il risultato dell'azione di contrasto. Il lanciatore ha la funzione di immettere l'arma nella traiettoria determinata dal calcolatore in modo sicuro, efficiente e con la rapidità e frequenza richieste dalla situazione operativa. Tale sottosistema può svolgere, talvolta, anche la funzione di rifornimento, caricamento e conservazione dell'arma. L'arma è il complesso veicolo/testa in guerra che compie una traiettoria aerea sotto l'azione della spinta esercitata dal sistema di propulsione per giungere sul bersaglio e liberare su di esso la sua energia distruttiva. La funzione del veicolo, o sistema strutturale, è quella di contenere e proteggere la testa in guerra e di portarla sul bersaglio. Esso viene progettato per resistere indenne alle notevoli sollecitazioni a cui è sottoposto, dal lancio fino all'intercetto del bersaglio. La funzione della testa in guerra è quella di liberare, nell'area letale per il bersaglio, una certa forma di energia distruttiva (cinetica, di pressione, termica, nucleare, ecc.) o, in casi particolari, materiali (chimici, batteriologici, illuminanti, chaffs, etc..) allo scopo di danneggiare il nemico.

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Essa comprende a sua volta due componenti funzionali: la spoletta e la carica principale. La funzione della spoletta è quella di impedire la detonazione accidentale della carica principale, quando essa può danneggiare la piattaforma lanciante o le forze amiche e di attivarla nell'istante più opportuno per arrecare il massimo danno al bersaglio. La funzione della carica principale è quella di produrre l'energia distruttiva al momento comandato dalla spoletta.

fig. 1

La traiettoria effettuata dall'arma è determinata dalle forze che su di essa agiscono in volo. I tipi di traiettoria più diffusi sono: − traiettoria balistica, durante la quale non è controllabile dal sistema d'arma il vettore velocità del

veicolo; − traiettoria guidata, durante la quale è esercitato il controllo del vettore velocità del veicolo da

parte del sistema di guida.

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3. CLASSIFICAZIONE DEI SISTEMI D'ARMA I sistemi d'arma possono essere classificati in vario modo, prendendo in considerazione, per esempio, il tipo di arma impiegato (missile, proiettile, siluro), oppure il tipo di agente distruttivo dell'arma (energia chimica , energia nucleare, agente chimico/ batteriologico). Il modo di classificazione fondamentale è quello che prende in considerazione : − la piattaforma del sistema d'arma: navale, aerea, terrestre, subacquea; − il tipo di bersaglio, contro cui è destinato l'impiego: antiaereo, antinave, antimissile,

antisommergibile, controcosta; − il ruolo operativo rivestito dal sistema d'arma: strategico e tattico. L'armamento di una nave, che dipende dalla missione operativa che essa deve assolvere, è costituito prevalentemente da sistemi d'arma tattici. Così un incrociatore, preposto all'assolvimento di compiti di scorta e protezione di portaerei e di formazioni navali, è dotato di un armamento polivalente antiaereo, antinave e antisom mentre un aliscafo, progettato per attaccare bersagli navali, è equipaggiato di missili superficie-superficie per l'offesa e di cannoni antiaerei ad elevato ritmo di fuoco per l'autodifesa. I sistemi d'arma tattici navali sono suddivisi in due categorie: quelli per "difesa di area" e quelli per "difesa di punto" (fig. 2 ). I sistemi d'arma per difesa di area sono in grado di operare a grandi distanze dalla piattaforma lanciante e consentono, quindi, la protezione in profondità di una formazzione navale. I sistemi d'arma per difesa di punto sono quelli contraddistinsti da gittate limitate (inferiore a 10 mg) che consentono la sola autodifesa della piattaforma sulla quale sono installati. Mentre tutte le navi militari possiedono sistemi per difesa di punto, solo alcune sono dotate di sistemi d'arma per difesa di area (portaerei, incrociatori, cacciatorpediniere, aliscafi).

fig 2

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PARTE PRIMA

I SISTEMI D'ARMA CONVENZIONALI

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CAPITOLO I

LE ESPLOSIONI CHIMICHE E GLI ESPLOSIVI 1. LE ESPLOSIONI CHIMICHE L'esplosione chimica è una velocissima reazione di trasformazione, altamente esotermica, di un composto chimico o di una miscela di composti chimici, provocata da un opportuno stimolo esterno (urto, sfregamento, calore) mediante cui si ha la liberazione di energia termica, meccanica, luminosa e sonora, nonché produzione di una grande quantità di prodotti di decomposizione prevalentemente gassosi. L'energia sprigionata deriva dalla rottura dei legami interatomici delle molecole del composto originario e dalla conseguente ricombinazione degli elementi in molecole di composti più semplici, che richiedono una minore energia di formazione. I composti chimici che danno origine a tali reazioni di trasformazione sono detti "esplosivi". A seconda del modo in cui si propaga il fronte della reazione chimica e la velocità con cui esso si sposta nell'ambito del composto, le esplosioni sono classificate in "deflagrazioni" e "detonazioni". Nella deflagrazione la reazione chimica si propaga per onda di calore, a velocità dell'ordine dei m/sec o dm/sec. Nella detonazione la reazione chimica si propaga per onda d'urto (onda di detonazione) a velocità dell'ordine dei km/sec. Denominazione dell'esplosivo

Formula bruta Volume GAS l/Kg

Velocità reazione

Sensibilità in cm

Impiego

Nitroglicerina Tritolo Acido Picrico Pentrite Azotidrato Ag Azotidrato Pb Fulminato Hg Stifnato Pb Polvere nera Nitrocellulosa Nitroguanidina

C3H5N3O9 C7H5N3O6 C6H3N3O7

C5H8N4O12 AgN3

Pb(N3)2 Hg(CNO)2

C6H3N3O9Pb Miscuglio

C12H14N6O22

CH4N4O2

715 620 610 700 224

841 895

7600 6500 7350 8400 5600 5000 5500 5000 500

3•10-1 8200

6 80-160 40-60 20-40

8 8 4 9

DET DET DET DET INN INN INN INN DEF DEF DET

2. GLI ESPLOSIVI CHIMICI Gli esplosivi chimici sono classificati in: − bassi esplosivi (detti anche esplosivi di lancio o esplosivi propellenti); − alti esplosivi (detti anche esplosivi di scoppio o esplosivi detonanti). I bassi esplosivi normalmente deflagrano, mentre gli alti esplosivi normalmente seguono il regime della detonazione; però entrambi, in alcune condizioni e in base al tipo di innesco, possono reagire secondo l'altro regime esplosivo. La classificazione è perciò puramente pratica, fatta, cioè, in base al modo in cui gli esplosivi sono comunemente utilizzati.

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I bassi esplosivi sono molto sensibili al calore e poco sensibili all'urto; se innescati per calore deflagrano, liberando la propria energia chimica a velocità sufficientemente bassa da consentire la trasformazione del calore liberato in lavoro, attraverso la macchina termodinamica "cannone", o in energia cinetica di efflusso dei gas dall'ugello, attraverso il motore di propulsione dei missili. Gli alti esplosivi sono molto sensibili all'urto e poco sensibili al calore; se innescati per urto, detonano, liberando la propria energia chimica a così elevata velocità, che la pressione dei gas prodotti determina la rottura del contenitore con la conseguente formazione di schegge e di un'onda di sovrapressione. Gli alti esplosivi sono a loro volta suddivisi in: − alti esplosivi primari, o d'innesco ; − alti esplosivi secondari, o di scoppio . Gli alti esplosivi primari sono molto sensibili sia all'urto che al calore e comunque innescati, detonano sempre. Essi sono utilizzati nella prima maglia delle catene esplosive di innesco (cannelli e detonatori). Gli alti esplosivi secondari sono invece poco sensibili al calore e sensibili all'urto in misura minore di quelli primari. Essi costituiscono la carica principale delle teste in guerra e sono innescati per urto; se innescati per calore potrebbero anche seguire il regime della deflagrazione. 3. LA DEFLAGRAZIONE Gli esplosivi di lancio, confezionati in grani di opportuna forma e dimensione, sono utilizzati per sparare i proietti a mezzo del cannone. La quantità dei grani necessari per sparare il proiettile è chiamata "carica di lancio" che, contenuta nel bossolo, viene introdotta dopo il proietto nella canna al momento dello sparo. Dopo il caricamento, la canna viene chiusa posteriormente da un componente meccanico detto otturatore, cosicché la carica di lancio viene a trovarsi nel contenitore chiuso della camera a polvere della canna stessa. In tale situazione perché la carica di lancio deflagri sicuramente è necessario e sufficiente che: − mediante il cannello venga immessa nella carica un'opportuna quantità di gas molto caldi; − la densità di caricamento ∆, ossia il rapporto tra il peso della carica di lancio "ω" in kg ed il volume

della camera a polvere "c'" in litri, sia inferiore a 0,75 (∆ = ω/c' < 0,75), perché altrimenti potrebbe manifestarsi una detonazione;

− innescata la deflagrazione la pressione dei gas all'interno della canna si mantenga superiore a 20 kg/cm2, perché altrimenti avrebbe luogo una combustione ordinaria.

Non appena la carica di lancio viene innescata, i gas caldi prodotti avvolgono pressoché istantaneamente tutta la superficie libera dei grani, determinando su di essa l'avvio praticamente contemporaneo del processo di deflagrazione. La reazione procede, quindi, per strati paralleli alla superficie libera, verso l'interno dei grani ad una velocità "W" che è direttamente proporzionale alla pressione "P" dei gas nella canna, secondo la relazione:

W = Wo⋅P essendo "Wo" la velocità della reazione alla pressione atmosferica standard. La figura 1 mostra il diverso processo di esaurimento dei grani di esplosivo di uguali dimensioni che seguono i due tipi di reazione, deflagrazione e detonazione, quando questa è innescata nell'identico punto A.

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Fig. 1 Tenendo conto della notevole diversità delle velocità di reazione è chiaro che la deflagrazione è una esplosione controllabile. Infatti operando sulla dimensione dei grani si varia sia la superficie totale libera inizialmente infiammabile, sia lo spessore che il fronte della reazione deve attraversare per consumare ciascun grano. Agendo, invece, sulla forma dei grani si influenza sia la superficie totale libera inizialmente infiammabile, sia il modo in cui varia, nel tempo di deflagrazione, la superficie totale in fiamme. In termini artigliereschi le due predette caratteristiche di granitura sono note come "vivacità" e "funzione di forma". La vivacità (fig. 2) esprime l'attitudine della carica di lancio a deflagrare più o meno rapidamente a parità di pressione ambientale. Essa è legata direttamente alla semidimensione minima del grano.

Fig. 2 La funzione di forma (fig. 3) esprime come varia nel tempo di deflagrazione la superficie totale in fiamme e può essere di tipo "regressivo", "costante" o "progressivo", a seconda che, durante la deflagrazione, la superficie totale in fiamme diminuisca, resti costante oppure aumenti. In campo nazionale le polveri più comunemente impiegate sono del tipo progressivo multifori cilindrico mentre gli USA impiegano un tipo multifori a rosetta.

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Fig. 3 In definitiva attraverso la dimensione e la forma dei grani si può controllare la deflagrazione dei bassi esplosivi e rendere il tempo della combustione della carica di lancio confacente alle esigenze di impiego. Questo tempo non deve essere troppo elevato, per evitare che il proietto esca dalla canna quando la deflagrazione è ancora in atto (perché altrimenti gran parte dei gas prodotti non eseguirebbe lavoro e andrebbe sprecata molta energia), né troppo breve, per evitare che, per effetto delle pressioni dei gas prodotti, si esercitino sulla canna eccessive sollecitazioni incompatibili con la resistenza strutturale della stessa.

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4. LA DETONAZIONE L'esplosione che segue il regime di detonazione avviene a così elevata velocità di reazione che l'esplosivo si trasforma in gas praticamente nel suo stesso volume iniziale. I gas così rapidamente prodotti possiedono elevatissima pressione e producono la rottura del contenitore, generando schegge di elevato contenuto energetico ed una violenta compressione dell'area circostante. Tale compressione genera un'onda d'urto supersonica a cui fa seguito un'onda di pressione provocata dalla espansione dei gas prodotti dalla reazione. A differenza della deflagrazione, non è possibile controllare la detonazione della carica di scoppio, che dipende unicamente dalle caratteristiche chimiche dell'esplosivo impiegato. 5. ESPLOSIVI DI LANCIO La polvere nera, scoperta nel 13° secolo, é stato il primo propellente solido impiegato dall'uomo; costituita da una miscela di carbone, zolfo e nitrato di potassio é ancora impiegata allo stato polveroso nelle micce e nelle salve di saluto. La polvere nera non é più usata per le cariche di lancio, fondamentalmente perché: - non brucia mai completamente generando una notevole quantità di residui incombusti, che si manifestano sotto forma di denso fumo nero; - possiede una elevata velocità di reazione; - possiede una elevata temperatura di combustione. I bassi esplosivi oggi usati nelle cariche di lancio, sono le cosiddette "polveri infumo", perché il fumo prodotto é decisamente inferiore a quello generato dalla polvere nera. Il nitroderivato presente negli esplosivi di lancio è la nitrocellulosa ossia un composto chimico ottenuto per nitrazione della cellulosa. Gli esplosivi che contengono come unico componente esplosivo la nitrocellulosa sono detti "a singola base". Gli esplosivi che contengono, oltre alla nitrocellulosa, la nitroglicerina sono detti "a doppia base". Se contengono anche un terzo nitroderivato, costituito dalla nitroguanidina, gli esplosivi sono detti "a tripla base". Per il lancio dei proietti sono generalmente impiegate le polveri a singola base. Le polveri a doppia base hanno un uso limitato in artiglieria a causa della forte usura che provocano nelle canne in quanto la nitroglicerina, aumentando la sensibilità e la velocità di combustione della polvere, ne eleva anche la temperatura di deflagrazione che è la causa primaria dell'usura. Le polveri a tripla base sono ottime per la propulsione ad impulso, perché la nitroguanidina ha la proprietà di abbassare la temperatura di combustione, compensando l'effetto negativo prodotto dalla nitroglicerina. Ma la nitroguanidina é disponibile in piccole quantità ed é molto costosa, per cui anche le polveri a tripla base trovano un impiego limitato. Nella composizione di un propellente entrano anche numerose altre sostanze, non esplosive, destinate a svolgere varie funzioni come gli stabilizzanti, i plasticizzanti, sostanze antigroscopiche e antivampa. Tutti gli esplosivi di lancio sono molto sensibili al calore, ed è con questa forma di energia che vengono innescati al momento dell'impiego. Ai fini dell'impiego di questi esplosivi è molto importante conoscere la sensibilità al calore, ossia, il livello minimo di energia termica che occorre conferire all'esplosivo per innescare la deflagrazione. Occorre però che tale sensibilità non sia così spinta da dar luogo a processi di decomposizione alle temperature ordinarie di conservazione. La proprietà principale richiesta agli esplosivi di lancio, ai fini della sicurezza di conservazione, è quella di possedere una elevata stabilità chimica nella fascia di temperatura compresa tra 10 °C e 35 °C.

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6. ESPLOSIVI DI SCOPPIO Questi esplosivi, impiegati per costituire l'agente distruttivo delle teste in guerra dei proietti e dei missili, sono prevalentemente costituiti da composti organici, e loro miscele, a base di azoto. Gli esplosivi militari di più comune impiego sono il tritolo (TNT), la pentrite, il tetryl, il T4, l'HBX e l'RDX. Gli esplosivi di scoppio possiedono un'elevata stabilità chimica e non presentano grossi problemi di conservazione. Ai fini dell'impiego è molto importante conoscere di questi esplosivi la brisance (o potenza) e la sensibilità all'urto. La brisance esprime la potenza dell'unità di massa di esplosivo, ossia la rapidità con cui esso libera la sua forza distruttiva sull'ambiente circostante e caratterizza la sovrapressione dell'onda d'urto che viene prodotta dall'esplosione. La sensibilità all'urto, dipendente dalla natura chimica dell'esplosivo e dal grado di compressione della sostanza, esprime il livello minimo di energia meccanica che occorre conferire all'esplosivo per innescare la detonazione. Tale sensibilità è espressa in termini di altezza, da cui occorre far cadere un peso standard per provocare l'esplosione del campione della sostanza in esame. Tale sensibilità può essere ridotta mediante l'aggiunta di particolari sostanze chimiche chiamate "flemmatizzanti". 7. ESPLOSIVI DI INNESCO Gli esplosivi di innesco hanno la proprietà di detonare sia che vengano sottoposti ad urto che a calore e sono impiegati per costituire il primo stadio delle catene d'innesco delle cariche di lancio e delle cariche di scoppio. Ciò in virtù della loro elevatissima sensibilità all'urto, che consente l'utilizzazione di stimoli esterni di lieve intensità per attivarli (stimoli forniti dalla spoletta per il detonatore della testa in guerra e dal congegno di accensione del cannone per il cannello). Gli esplosivi di innesco comunemente usati sono l'azotidrato d'argento, il fulminato di mercurio e l'azoturo di piombo. Ai fini dell'impiego, di questi esplosivi, è molto importante conoscere la sensibilità all'urto che può essere ridotta mediante l'aggiunta di sostanze chimiche dette "flemmatizzanti". 8. REQUISITI DEGLI ESPLOSIVI MILITARI Perché` un esplosivo chimico possa essere utilizzato per scopi militari deve soddisfare particolari requisiti che ne evidenzino l'attitudine all'impiego. I requisiti presi normalmente in considerazione contemplano: disponibilità e costo di produzione, sensibilità, stabilità, potenziale specifico, brisance, densità, volatilità, igroscopicità, tossicità. -Disponibilità e costo. In previsione dell'enorme quantità` richiesta in caso di conflitto, gli esplosivi

militari devono comprendere composti facilmente reperibili in campo nazionale e richiedere processi di fabbricazione semplici, economici e sicuri.

-Sensibilità. La sensibilità si riferisce all'entità minima di energia termica o meccanica, che occorre conferire all'esplosivo per farlo deflagrare oppure detonare (occorre sempre specificare se é riferita all'urto, allo sfregamento o al calore). La sensibilità all'urto é espressa come già noto in centimetri alla berta. La sensibilità allo sfregamento é espressa in termini dell'effetto prodotto sul campione della sostanza in esame da un peso standard, sospeso pendolarmente (1,5 metri), fatto strisciare sopra di esso. La sensibilità al calore é espressa in termini di temperatura alla quale la sostanza si incendia o esplode (é l'analoga della temperatura di accensione dei combustibili).

La sensibilità, che devono avere gli esplosivi militari, dipende dagli impieghi a cui essi sono destinati. L'esplosivo di scoppio di un proietto perforante, per esempio, deve essere pochissimo sensibile all'urto per evitare che esso detoni all'impatto sul bersaglio prima ancora di perforarlo. L'esplosivo per un innesco deve essere invece molto sensibile per poter essere attivato con piccoli stimoli esterni (forniti ad esempio dal congegno di accensione del cannone o dalla spoletta del proietto).

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-Stabilità. La stabilità di un esplosivo esprime quale é la tendenza della sostanza a decomporsi alle normali condizioni di conservazione, nel senso che più un composto é stabile e meno tende a decomporsi. É influenzata dai seguenti fattori:

. composizione chimica, . temperatura di conservazione, . esposizione al sole. Tutti gli esplosivi militari devono essere molto stabili alle temperature comprese tra 15° e 35° C.

Purtroppo ognuno di essi presenta un limite superiore di temperatura di conservazione, oltre il quale la stabilità si riduce. Come temperatura limite di sicurezza ai fini pratici viene assunta universalmente, per gli esplosivi in servizio, quella di 40° C.

-Potenziale specifico (lavoro). Esprime la capacità dell'unità di massa di esplosivo di produrre lavoro sull'ambiente circostante. Esso é definito dalla pressione che avrebbero i gas prodotti se rimanessero racchiusi nel volume originario occupato dall'esplosivo prima della reazione.

-Brisance (potenza) . Esprime la potenza dell'unità di massa di esplosivo e cioè la rapidità con cui esso libera il suo potenziale specifico. Una maggiore brisance significa in definitiva un'onda d'urto (violenta compressione dell'aria operata dai gas di trasformazione) di maggiore intensità.

-Densità. La densità dell'esplosivo é data dalla massa dell'esplosivo contenuto nell'unità di volume. Essa dipende, ovviamente, dalla composizione chimica dell'esplosivo, ma anche dal metodo di caricamento dell'esplosivo nel suo contenitore.

Un'alta densità di caricamento consente di introdurre un maggior peso di esplosivo nello stesso volume di contenitore e quindi, di aumentare il potenziale della testa in guerra. Da precisare che l'aumento della densità di caricamento di un esplosivo ne varia la sensibilità.

-Volatilità. La volatilità esprime la tendenza di una sostanza ad emettere vapori. Essa dipende, oltre che dalle caratteristiche chimiche del composto, anche dalla temperatura di conservazione. Occorre ovviamente che gli esplosivi militari siano poco volatili alle temperature di normale conservazione: una eccessiva volatilità, oltre a provocare un aumento di pressione internamente al contenitore, altera la composizione chimica dell'esplosivo, in modo da incidere anche significativamente sulla stabilità.

-Igroscopicità. Igroscopicità di un esplosivo esprime la sua attitudine ad assorbire acqua. L'umidità é poco desiderabile in quanto, oltre a ridurre la sensibilità dell'esplosivo, ne diminuisce il potere calorifico inferiore (quantità di calore sviluppata dalla combustione dell'unità di massa dell'esplosivo nella considerazione che l'acqua dei prodotti di combustione sia considerata allo stato di vapore) e quindi la forza e la velocità di reazione. Un esplosivo militare deve essere, ovviamente, poco igroscopico.

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CAPITOLO II

IL MUNIZIONAMENTO

1. INTRODUZIONE Per munizionamento si intende l'insieme costituito dal proiettile, dalla carica di lancio e dai dispositivi atti a far avvenire al momento desiderato la deflagrazione della carica di lancio e all'istante più opportuno la detonazione della carica di scoppio. Il dispositivo che comprende la catena di innesco della carica di lancio è detto "cannello". Esso è posto all'interno del bossolo, che a propria volta contiene la carica di lancio; la sua attivazione nell'istante desiderato è determinata dal congegno di accensione contenuto nell'otturatore del cannone. Il dispositivo che comprende la catena di innesco della carica di scoppio è detto "detonatore" e la sua attivazione all'istante più opportuno è determinata da uno speciale congegno detto "spoletta". Detonatore e spoletta sono posti all'interno del proietto. Poichè proietto e bossolo possono essere tra loro uniti o separati, il munizionamento si può classificare in: − "munizionamento per caricamento simultaneo", quello in cui bossolo e proietto sono uniti tra loro

costituendo la cosiddetta "cartuccia" (piccolo calibro); − "munizionamento per caricamento rapido", quello in cui bossolo e proietto sono separati (medio

calibro); − "munizionamento per caricamento ordinario", quello in cui non è presente il bossolo in quanto è

necessario suddividere in più parti (cartoccieri) la carica di lancio (grosso calibro).

Fig. 4

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Una tale diversificazione si rende necessaria poichè i pesi e gli ingombri di carica di lancio e proietto aumentano all'incirca con il cubo del calibro. I cartoccieri erano impiegati un tempo nei cannoni di grosso calibro (fig. 5), in cui il quantitativo di polvere, necessario per imprimere al proietto la desiderata velocitá iniziale, era tanto pesante e voluminoso da non potere essere trasportato, a mano o meccanicamente, in un insieme unico. I grani lavorati a forma di bacchetta, erano avvolti e raccolti tra loro con bande di seta, cosí da costituire il cartocciere.

Fig. 5 2. IL BOSSOLO Il bossolo è il contenitore metallico della carica di lancio di forma leggermente tronco-conica per facilitarne l'inserimento e l'estrazione dalla camera a polvere. Il bossolo è realizzato con metallo molto malleabile (ottone stirato senza saldature) in modo che durante lo sparo, la pressione dei gas prodotti dalla deflagrazione della carica di lancio lo deformi verso l'esterno facendolo aderire alle pareti interne della camera a polvere per assicurare la tenuta dei gas verso culatta. Dopo lo sparo, al repentino diminuire della pressione interna, il bossolo viene riportato alle dimensioni originarie dai movimenti di contrazione elastica della canna. Lungo la circonferenza alla base del bossolo (fig. 6) è riportato un risalto su cui impegnano particolari organi del cannone, gli estrattori, per estrarlo dalla canna dopo lo sparo. carichetta di infiammazione carica di lancio

Fig. 6

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3. IL CANNELLO Il cannello svolge la funzione di innescare contemporaneamente per calore tutti i grani della carica di lancio. Esso è inserito al centro del bossolo e comprende i tre stadi della cosidetta "catena di infiammazione". Il primo stadio, sistemato al centro del fondello del bossolo, è detto "primer" o "capsula incendiva" ed è una maglia costituita da una piccolissima quantità di esplosivo di innesco, il quale detonando, per effetto dell'azione del congegno di accensione del cannone, non trasmette che una trascurabile onda d'urto ed una fiammata di intensitá sufficiente ad innescare la maglia successiva facendola deflagrare. Il secondo stadio, detto "carichetta di infiammazione" è costituito da una piccola quantità di basso esplosivo di opportuna sensibilità, in grado di deflagrare sotto l'effetto dell'esplosione del primer.

Fig. 7

Esso funge, perciò, da maglia di trasduzione di un processo di detonazione in uno di deflagrazione. Il terzo stadio, detto "carichetta di trasmissione", è costituito da una maggiore quantità di basso esplosivo (di minore sensibilità rispetto allo stadio precedente) e svolge la funzione di amplificare la fiammata prodotta per propagarla a tutti i grani della carica di lancio. A seconda del modo in cui sono attivati, i cannelli sono classificati in cannelli "a percussione", "elettrici" e "a doppio effetto (percussione ed elettrico)". 4. LA CARICA DI LANCIO La carica di lancio è la quantità di basso esplosivo, avente particolari caratteristiche di granitura, necessaria ad imprimere al proietto la desiderata velocità iniziale, dando luogo ad un regime di pressione compatibile con la resistenza strutturale della canna. I grani della carica di lancio, generalmente del tipo progressivo a sette fori, sono immessi alla rinfusa nel bossolo. Nel confezionamento dei bossoli occorre verificare scrupolosamente il quantitativo

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totale di esplosivo immesso che deve rispettare le severe tolleranze imposte, allo scopo di ottenere il desiderato regime di pressione all'interno della canna nonchè la velocità iniziale tabulata per quel cannone. 5. IL PROIETTO Il proietto è quella parte di munizionamento che viene espulsa dalla canna sotto la spinta propulsiva dei gas propellenti e che percorre una traiettoria aerea per giungere sul bersaglio, o in vicinanza di esso, al fine di distruggerlo o danneggiarlo. I danni al bersaglio possono essere arrecati o per urto meccanico diretto (trasformazione dell'energia cinetica residua all'impatto in lavoro di deformazione), oppure per effetto dell'onda d'urto prodotta dall'esplosione o per i frammenti dell'involucro del proietto espulsi radialmente all'atto dello scoppio. La forma esterna del proietto è quella ottimale che consente di ottenere determinate caratteristiche di volo, quali stabilità , bassa resistenza all'avanzamento nell'aria, elevato rapporto tra volume di danneggiamento e peso del proietto.

Fig. 8

La parte centrale del proietto è detta "corpo"; esso ha forma cilindrica ed è compreso tra la fascia di centramento e la cintura di forzamento. La sezione del corpo è inferiore al calibro della canna a cui il proietto è destinato, per impedire il contatto diretto con la rigatura. La fascia di centramento e la cintura di forzamento sono, invece, di diametro superiore a quello del corpo, per far sì che esso risulti perfettamente centrato coassialmente con la canna, senza gioco alcuno al suo interno. La fascia di centramento è di acciaio, come il corpo del proietto, ed il suo diametro, sebbene superiore a quello del corpo, è inferiore al calibro del cannone. La cintura di forzamento è costituita, invece, di materiale malleabile, generalmente rame elettrolitico, possiede un diametro leggermente superiore al calibro della canna, cosicchè ad avvenuto caricamento, si realizzi l'intaglio su di essa della rigatura necessaria sia per attuare la tenuta stagna ai gas che agiscono sul fondello, sia per conferire al proietto un movimento rotatorio intorno al proprio asse longitudinale. La cintura di forzamento contribuisce inoltre con la fascia di centramento a tenere in asse il proietto dentro la canna. La parte anteriore è detta ogiva ed ha forma affusolata per realizzare il miglior profilo aerodinamico. La parte posteriore, detta fondello, può riprendere l'andamento cilindrico del corpo oppure il suo andamento è rastremato o tronco-conico (proietti boat-tailed) per diminuire la resistenza aerodinamica dovuta ai vortici di fondello.

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Poichè i bersagli possono differire moltissimo tra di loro, anche i proietti loro destinati presentano notevoli differenze costruttive in quanto ognuno di essi è "specializzato" per un determinato bersaglio . La classificazione generalmente accettata prevede la seguente suddivisione dei proietti: - perforanti - dirompenti - iperveloci - a guida terminale - razzo assistiti - speciali I proietti perforanti (fig. 9) sono realizzati per forare le paratie esterne dei bersagli prima di esplodere. Il corpo è realizzato con acciaio tenace, monoblocco e di notevole spessore. All'ogiva è avvitato il "tagliavento" in lega leggera, che ha la funzione di conferire forma aerodinamica al proietto. L'esplosivo, di scarsa sensibilità, è in quantità ridotta a vantaggio dello spessore dell'involucro mentre le spolette generalmente utilizzate sono ad urto , eventualmente ritardate, ubicate nel fondello per questioni resistenziali.

Fig. 9 I proietti dirompenti sono realizzati per danneggiare il bersaglio principalmente per effetto delle schegge conseguenti la frammentazione dell'involucro e dell'onda d'urto prodotta dall'esplosione. Rispetto ai proietti precedenti, i dirompenti possiedono un involucro di spessore decisamente più sottile e contengono un maggior quantitativo di esplosivo mediamente sensibile (fig. 10). La pezzatura delle schegge può essere casuale o prefissata mediante incisione dell'involucro (proietti preframmentati). Le spolette, generalmente utilizzate in questo tipo di proietti, sono di prossimità poste in ogiva.

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Fig. 10 I proietti iperveloci sono realizzati per ottenere elevate velocità iniziali e, di conseguenza, basse durate del tragitto. Essi si distinguono in proietti alleggeriti e proietti decalibrati. I primi possiedono pari calibro rispetto al proietto normale ma peso inferiore, ottenuto costruendo l'involucro con materiale più leggero e inserendo un minor quantitativo di esplosivo. Sono impiegabili solo per il contrasto aereo ravvicinato a causa della consistente perdita di velocità durante il tragitto e per la ridotta carica di scoppio in essi contenuta. I proietti decalibrati o sabot possiedono, invece, il diametro effettivo inferiore al calibro della canna aderendo a questa mediante un leggero zoccolo che all'uscita si stacca dal vero proietto. Con questo tipo di proietti, realizzati in metallo ad elevata densità (tungsteno o uranio impoverito), si raggiungono velocità iniziali dell'ordine dei 1700 mt/sec (fig. 11)

Fig. 11

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I proietti a guida terminale (fig. 12) hanno, a differenza dei precedenti, la possibilità di variare la traiettoria balistica prederminata dall'orientamento del mezzo di lancio. Questi proietti possiedono, infatti, una cellula sensoria capace di verificare la bontà della traiettoria per la collisione con il bersaglio e quindi fornire dei segnali ad un sistema di controllo (alette o razzi vernieri) per l'eliminazione degli eventuali errori verificatisi durante il volo balistico.

Fig. 12

I proietti razzo assistiti possiedono un propulsore a razzo che si accende non appena il proietto esce dalla bocca da fuoco consentendo gittate molto superiori a quelle di un proietto classico. Per dare spazio al grano di propulsione, in questi proietti, viene limitata la quantità di esplosivo contenibile.

Fig. 13

I proietti speciali sono quelli che non contengono esplosivo di scoppio e sono realizzati per impieghi specifici. Tra questi troviamo: - proietti illuminanti: per illuminare i bersagli di superficie durante il tiro notturno; - proietti incendiari : per distruggere bersagli vulnerabili alle fiamme;

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- proietti chaff: per creare nell'aria nubi di materiali radar riflettenti a scopo di inganno del nemico; - proietti inerti: contengono materiale inerte e sono impiegati nelle esercitazioni di tiro (gunex) e nei tiri

di calibrazione delle batterie di bordo. 6. IL DETONATORE Per innescare la detonazione della carica di scoppio è necessario trasmettere all'alto esplosivo un urto di opportuna intensità generato da un dispositivo: il detonatore (Fig.14) La produzione dell'urto, al livello di intensità richiesta è realizzata attraverso i due stadi della "catena detonante" del detonatore.

Fig. 14 Il primo stadio è detto "detonante" ed è costituito da una piccola quantità di esplosivo di innesco, "primer", e da una quantità maggiore di alto esplosivo secondario, "carichetta secondaria". La sua funzione è quella di fare detonare lo stadio successivo. Il secondo stadio è detto "carichetta innescante" e funge da maglia amplificatrice dell'urto fino al livello necessario a provocare la detonazione della carica di scoppio (stadio non presente nei proietti di medio e piccolo calibro). Gli esplosivi dei due stadi possiedono sensibilità all'urto decrescente, ma ancor meno sensibile all'urto è l'esplosivo della carica di scoppio. Difatti, poichè durante lo sparo gli esplosivi del proietto sono sottoposti alla stessa accelerazione longitudinale, la forza di inerzia che si induce su di essi è direttamente proporzionale alla loro massa. La carica di scoppio, comprendendo la grande quantità di esplosivo necessaria a produrre i danni ricercati, possiede la massa maggiore e perciò, la sua sensibilità deve essere minore; viceversa per gli altri elementi della catena detonante. Il primer difatti, che contiene una piccolissima quantità di esplosivo, può avere un'altissima sensibilità. Corrispondentemente si ha che l'energia elettrica o meccanica che il sensore della spoletta deve fornire al primer per farlo detonare risulta essere minima. Quando poi il proietto collide con il bersaglio o passa in prossimità di esso, il sensore della spoletta produce l'impulso meccanico od elettrico sufficiente ad innescare la catena detonante, portando alla detonazione la carica di scoppio. In definitiva il detonatore è quel dispositivo preposto a far detonare la carica di scoppio nell'istante in cui la spoletta fornisce l'impulso (meccanico od elettrico) d'innesco.

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7. LA SPOLETTA La spoletta è quel particolare dispostivo del proietto destinato ad attivare il detonatore nel momento più adatto per arrecare i danni più consistenti al bersaglio. Il suo funzionamento può essere meccanico o elettrico mentre la sua ubicazione può essere in ogiva o sul fondello del proietto. L'attivazione può avvenire all'atto dell'impatto del proietto contro il bersaglio, ovvero dopo che è trascorso un dato tempo di volo, ovvero quando il proietto passa in prossimità del bersaglio. In relazione a queste considerazioni le spolette si classificano in spolette di ogiva o di fondello, meccaniche o elettriche, ad urto o a tempo o di prossimità. Tutte le spolette sono dotate di "sicurezze" che impediscono l'accidentale attivazione della carica di scoppio del proietto quando questo è in condizioni di arrecare danni alla piattaforma lanciante. Tali sicurezze si disinseriscono automaticamente sotto l'effetto della forza di inerzia longitudinale e della forza centrifuga che agiscono sull'arma all'atto dello sparo. Una spoletta è detta "armata", quando è predisposta per attivare la catena detonante mentre è detta "in sicurezza" , quando sono inseriti i dispositivi che ne impediscono il funzionamento. a. Spoletta a urto Tale spoletta funziona per impatto dell'arma contro il bersaglio, con intervento più o meno pronto a seconda delle esigenze operative (fig. 15).

Fig. 15

Il sensore è costituito da un percuotitoio libero di muoversi in senso longitudinale che si sposta per inerzia all'impatto con il bersaglio, battendo direttamente contro il primer o andando a chiudere un contatto elettrico posto sul circuito di fuoco.

b. Spoletta meccanica a tempo Tale spoletta fa avvenire la detonazione del proietto dopo che è trascorso un determinato tempo di volo, misurato dall'istante di sparo (fig. 16).

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Fig. 16 Il sensore è costituito da un congegno meccanico ad orologeria, che viene predisposto sul valore di intervento, dal graduatore di spoletta del cannone poco prima del caricamento del proietto in canna. Trascorso il tempo di graduazione, contato dall'istante di sparo, il timer libera un percuotitoio a molla che va a battere sul primer del detonatore, oppure chiude un contatto elettrico che consente di scaricare la batteria sulla resistenza che attraversa il primer. Questo tipo di spoletta è normalmente montata su proietti illuminanti, incendiari e chaffs.

c. Spoletta di prossimitá

Questo tipo di spoletta, molto diffusa su proietti impiegati per la difesa antiaerea e antimissile, funziona rilevando un qualche fenomeno connesso con la presenza del bersaglio, senza la necessità che avvenga il contatto fisico con il bersaglio stesso. Essa è costituita principalmente da una unità sensoriale, generalmente ubicata in ogiva, che fornisce il segnale d'innesco al detonatore nell'istante in cui il proietto è nella posizione più opportuna per arrecare danni al bersaglio, per effetto delle schegge e/o dell'onda d'urto prodotta. In base al modo di funzionamento del sensore tali spolette si classificano in: - SPOLETTE TELECOMANDATE - SPOLETTE LASER - SPOLETTE I.R. - SPOLETTE A EFFETTO DOPPLER O RADIOSPOLETTE - SPOLETTE INTELLIGENTI Di tale classificazione quelle che trovano più diffuso impiego sono le radiospolette, costituite da un'ogiva contenente un apparato ricetrasmittente. La spoletta trasmette onde radio di opportuna frequenza (VHF,UHF) e capta le onde riflesse dal bersaglio. In un discriminatore avviene il confronto tra la frequenza emessa e quella ricevuta. Lo scarto doppler ricavato stabilisce inequivocabilmente l'esistenza della componente della velocità relativa sulla congiungente proietto/bersaglio. Solo quando proietto e bersaglio si trovano alla "minima distanza" la frequenza doppler è nulla ed è in tale istante che la spoletta fornisce l'impulso di innesco alla catena detonante. In realtà i circuiti sono realizzati in maniera tale che il funzionamento della spoletta avvenga con un certo anticipo rispetto al momento del passaggio al traverso del bersaglio in modo che la proiezione delle schegge, possa essere sfruttata nel migliore dei modi.

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CAPITOLO III

I DEPOSITI DELLE MUNIZIONI

1. REQUISITI COSTRUTTIVI

A bordo delle unità navali il munizionamento è conservato in appositi locali, chiamati "depositi munizioni". Essi sono generalmente ubicati a centro nave, sotto la linea di galleggiamento (per migliorare la stabilità della nave e facilitare il mantenimento della temperatura ambientale sui valori ottimali di conservazione) e sulla verticale dei cannoni, per agevolare il rifornimento del lanciatore. Essi sono costruiti con accorgimenti atti ad assicurare le condizioni ottimali di conservazione in quanto, al di sopra dei 35°C, gli esplosivi di lancio tendono a decomporsi, alterando sicuramente le loro prestazioni al tiro e liberando vapori nitrosi che rappresentano un serio pericolo per la sicurezza di conservazione. A tale riguardo si verificano situazioni di immediato pericolo per instabilità chimica, quando la temperatura ambientale supera i 50°C. L'assorbimento di umidità favorisce, parimenti, la decomposizione chimica e la formazione dei vapori alterando il comportamento delle cariche di lancio al tiro. Per questa ragione i depositi munizioni sono isolati fisicamente dagli altri locali della nave mediante paratie d'acciaio stagne e termicamente mediante pannelli di coibente applicati sulle pareti. I depositi munizioni sono, inoltre, dotati di sistemi di condizionamento, atti ad addurre aria alla corretta temperatura e tasso di umidità relativa. Per evitare la possibilità di scintille e di cortocircuiti, le linee elettriche di illuminazione sono realizzate con caratteristiche antideflagranti e con interruttori posti all'esterno del locale. Per diminuire l'umidità dell'aria, nei depositi sono posti dei contenitori di cloruro di calcio anidro, sostanza fortemente igroscopica. Per ospitare il munizionamento, nel deposito sono predisposte idonee scaffalature dotate di appositi sistemi di ritenuta. Ogni locale è, inoltre, corredato di una piantina illustrativa, su cui sono riportati il tipo e la quantità delle armi conservate nelle scaffalature nonché l'ubicazione delle varie sistemazioni di sicurezza. 2. SISTEMAZIONI DI SICUREZZA DEI DEPOSITI MUNIZIONI Le sistemazioni di sicurezza previste per i depositi munizioni sono costituite da: - sensori di allarme; - lontantermometri; - sistemi antincendio di nebulizzazione. I sensori di allarme dei dd.mm. sono di due tipi: avvisatori di incendio e avvisatori di acqua in deposito. L'avvisatore d'incendio è costituito da un sensore termico, inserito su un circuito elettrico con sirene, che chiude il circuito ogni qualvolta la temperatura del deposito raggiunge i 35°C oppure il gradiente termico supera il valore di 1°C/sec. L'avvisatore di acqua in deposito è costituito da un dispositivo a cui fanno capo i due terminali di un circuito elettrico con sirene posti sul pavimento del locale. L'acqua, eventualmente presente nel deposito, fa da conduttore tra i due terminali, chiudendo il circuito e attivando l'allarme.

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I lontantermometri sono apparati che consentono l'indicazione a distanza della temperatura presente nei depositi munizioni. Essi sono costituiti da una lamella di metallo che dilatandosi per effetto termico, varia la propria resistenza elettrica e quindi l'intensità di corrente elettrica che circola in un circuito che fa capo ad uno strumento indicatore ubicato generalmente in centrale di sicurezza. I sistemi antincendio di nebulizzazione sono costituiti da nebulizzatori posti al cielo del locale, da cui viene spruzzata acqua di mare in pressione, prelevata dal circuito antincendio di bordo, per raffreddare il deposito o spegnere l'incendio. La tubolatura che alimenta gli spruzzatori si raccorda al circuito antincendio di bordo per il tramite di una serie di valvole, la cui apertura può essere attuata manualmente, oppure automaticamente mediante un circuito pilotato dai sensori termici presenti nel deposito stesso (temperatura >50°C). Le stazioni di nebulizzazione sono indicate da lampade di color verde alimentate dal circuito di emergenza di bordo. 3. RONDE AI DEPOSITI I depositi munizioni sono mantenuti sempre chiusi con lucchetto, per impedire l'accesso del personale non specialistico e sono aperti solo per consentire le ronde periodiche ai locali o per effettuare le manutenzioni alle sistemazioni quando previsto. Le chiavi dei lucchetti, in duplice copia, sono custodite secondo specifiche disposizioni del comando. Una copia è custodita dal personale artificiere che esegue le ronde agli orari stabiliti dal Capo Servizio Armi e, comunque, ad intervalli di tempo non superiori alle 6 ore con unità in porto ed alle 4 ore in navigazione. Essi registrano l'esito della ronda su un apposito giornale, che è portato successivamente in visione all'ufficiale/sottufficiale d'ispezione. Durante la ronda, gli artificieri controllano l'assetto generale dei depositi e dei sistemi di ritenuta del munizionamento nelle scaffalature, verificano che non esistano materiali estranei nei locali, accertano che le "cartine di tornasole" dei provini campione abbiano la colorazione corretta, rilevano i valori forniti dai seguenti strumenti di misura: − termometro ordinario, per la lettura del valore istantaneo di temperatura; − termometro a minima e massima, per la lettura delle escursioni termiche minime e massime, verificatesi

tra una ronda e la successiva; − termometro asciutto/bagnato, per la determinazione dell'umidità relativa; − termografo, per la registrazione su carta dell'andamento settimanale della temperatura nel deposito. 4. NORME DI SICUREZZA Occorre tenere presente che le armi costituiscono sempre un pericolo per la sicurezza della nave e del personale imbarcato e che la gran parte degli inconvenienti, che talvolta si verificano, sono provocati dall'ignoranza delle norme di sicurezza o dalla loro applicazione in maniera superficiale. Tutti i componenti dell'equipaggio devono essere istruiti sulle norme relative alla conservazione e al maneggio degli esplosivi. Nei depositi deve essere precluso l'accesso a chiunque non sia ad essi destinato, a meno di specifica autorizzazione concessa dal Capo Servizio Armi. Ad ogni eventuale visita deve, comunque, sovrintendere il Sottufficiale responsabile dei depositi. I depositi devono essere mantenuti rassettati e puliti. In essi deve essere assolutamente proibito introdurre materiali infiammabili e, a maggior ragione, che possano originare fiamme o scintille (fiammiferi, accendisigari, utensili di acciaio, stracci, carta, stoppa, ecc.). E' altresì proibito conservare nei depositi polveri e artifizi esplosivi che non diano assoluta garanzia di sicurezza: polvere nera sfusa, micce, fuochi da segnale.

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Opportune indicazioni simboliche devono essere apposte sulle porte di accesso ai depositi e su tutte le sistemazioni esterne ad essi e relative agli impianti di sicurezza di detti locali. Inoltre, sulle porte di accesso dei dd.mm. devono essere poste delle lampade color giallo-bruno alimentate tramite il circuito di emergenza di bordo. Apposite norme devono essere compilate e diffuse al personale di bordo in occasione degli imbarchi e sbarchi delle munizioni. In tale circostanza occorre sicuramente evitare di rotolare, spingere e lasciare cadere i contenitori delle munizioni, di fumare in coperta e nelle zone interessate dal transito delle munizioni, di accendere fiamme libere e attivare strumenti elettrici o lampade portatili, di emettere con i radar o con gli apparati radio di bordo sulle frequenze su cuisono sincronizzate le spolette di prossimità.

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CAPITOLO IV

IL CANNONE

1. LA BOCCA DA FUOCO La bocca da fuoco, comunemente chiamata "canna", è quella macchina entro cui avviene la deflagrazione della carica di lancio e la trasformazione dell'energia termica, liberata dalla reazione chimica, in energia cinetica del proietto. È costituita da un tubo metallico, in grado di resistere elasticamente alle sollecitazioni derivanti dalla pressione dei gas prodotti dalla deflagrazione. Come indicato in figura 17 il vuoto interno della canna, detto "anima", comprende la "camera a polvere" e la "parte rigata". La camera a polvere è la cavità troncoconica, a pareti lisce, in cui viene alloggiata la carica di lancio quando è caricata in canna; la parte rigata è, invece, la cavità cilindrica, solcata lungo le pareti da righe, che viene percorsa dal proietto durante lo sparo.

Fig. 17 La sezione retta posteriore della b.d.f. è detta "taglio di culatta", mentre quella anteriore è detta "taglio di volata". Lo spessore della canna decresce da culatta a volata, secondo un andamento strettamente legato a quello delle pressioni che si manifestano al suo interno durante lo sparo. Sulla parte posteriore del profilo esterno sono ricavate le filettature di connessione della bocca da fuoco al blocco di culatta (giunto "a baionetta" fig. 18). La filettatura è discontinua ed è ricavata su settori di 45° sia lungo la superficie esterna della canna che specularmente sulla superficie interna del blocco di culatta. La canna è introdotta con la zona filettata in corrispondenza della zona liscia del blocco di culatta ed è quindi ruotata così da impegnare i propri settori filettati con quelli del blocco di culatta stesso.

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Il profilo esterno presenta un tratto cilindrico verso culatta, detto "cilindro di rinculo", che consente lo scorrimento longitudinale della canna in un apposito alloggiamento detto "culla" durante il rinculo e il ritorno in batteria della canna.

Fig. 18

La parte rigata svolge la funzione di conferire al proietto un moto rotatorio intorno al proprio asse longitudinale, per fargli acquisire le proprietà giroscopiche necessarie alla sua stabilizzazione lungo la traiettoria atmosferica. La rigatura è caratterizzata dal "senso" e dal "passo". Si dice che la rigatura ha "senso" destrorso o sinistrorso allorquando, guardando l'anima da culatta, si osservano le righe ruotare in senso orario o antiorario. Per "passo" della rigatura si intende, invece, lo spostamento longitudinale del proietto, necessario perché esso effettui una rotazione completa intorno al suo asse. In relazione al "passo" la rigatura può essere elicoidale (a passo costante), oppure a spirale (a passo variabile). In figura 19 è indicata la sezione trasversale di una canna. Quando il proietto è spinto dai gas propellenti, la cintura di forzamento, il cui diametro è superiore al calibro della canna, viene costretta a penetrare tra le righe della canna ed è obbligata a seguirne l'andamento, che trasmette al proietto stesso. Essa, inoltre, riempiendo i vuoti della rigatura esercita una tenuta ermetica ai gas che agiscono sul fondello del proietto. 2. CLASSIFICAZIONE DELLE BOCCHE DA FUOCO Tutte le canne sono individuate mediante due numeri che esprimono rispettivamente il calibro e la lunghezza della canna espressa in calibri (40/70, 76/62, 127/54). Il "calibro" è il diametro interno dell'anima misurato tra i pieni della rigatura: è espresso normalmente in millimetri, tranne nelle nazioni anglosassoni in cui è espresso in pollici o centesimi di pollice (1 pollice=25,4 millimetri).

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Fig. 19 La lunghezza della canna è misurata prendendo come unità di misura il calibro stesso. Ad esempio una canna da 76/62 ha un calibro di 76 mm (3 pollici) ed una lunghezza di 62 calibri, cioè di 76x62= 4712 mm. In relazione al calibro, le canne sono classificate in: - grosso calibro, quando il calibro è maggiore di 200 mm; - medio calibro, quando il calibro è compreso tra 100 e 200 mm; - piccolo calibro, quando il calibro è compreso tra 15 e 100 mm; - armi portatili, quando il calibro è minore di 15 mm. In relazione alla lunghezza, le canne sono classificate in: - cannonissimi, se la lunghezza è maggiore di 80 calibri; - cannoni, se la lunghezza è compresa tra 30 e 80 calibri; - obici, se la lunghezza è compresa tra 15 e 30 calibri; - mortai se la lunghezza è inferiore a 15 calibri. 3. AFFUSTO Con il termine di "affusto" si indica l'insieme dei componenti strutturali che sorreggono la canna, consentendone l'orientamento in brandeggio ed elevazione nonché il movimento di rinculo e di ritorno in batteria. Tali componenti, anche se diversi da cannone a cannone, sono fondamentalmente quattro (fig. 20): la "parte fissa", il "supporto della massa oscillante", la "culla"e la "massa rinculante". La parte fissa è il componente strutturale dell'affusto solidale al piano di posa della nave, destinato a sorreggere la massa brandeggiante. È essenzialmente costituita da un anello di acciaio, al cui interno è ricavata la corona dentata di brandeggio, su cui ingrana il pignone trascinato dall'asse del riduttore del motore di brandeggio, posto in parte mobile.

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Fig. 20

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L'interfaccia tra la parte fissa e la piattaforma mobile è realizzata mediante rulli di scorrimento che sostengono la piattaforma mobile e definiscono, con la loro estremità superiore, il "piano di rotolamento" su cui muove in brandeggio l'affusto. Il supporto della massa oscillante è costituito da una coppia di strutture verticali, dette "aloni", e da una "piattaforma mobile" a cui gli aloni sono inferiormente saldati. Gli aloni presentano nella parte superiore due cavità semicilindriche dette "orecchioniere", su cui appoggiano e ruotano due ringrossi della culla denominati "orecchioni". L'asse degli orecchioni costituisce l'asse di rotazione in elevazione della massa oscillante. L'altezza degli aloni è tale da consentire il movimento di elevazione completo della massa oscillante, nonché il movimento di rinculo, senza che si verifichino interferenze con la piattaforma mobile e con gli altri componenti montati sull'affusto. La piattaforma mobile appoggia sulla parte fissa tramite dei rulli orizzontali di scorrimento e dei rulli verticali di centramento; la superficie superiore dei rulli di scorrimento individua un piano, detto di "rotolamento", su cui si muove il cannone in brandeggio. Tale piattaforma ruota in brandeggio sulla parte fissa, trascinando con sé i componenti ad essa solidali; oltre agli aloni, sono infatti fissati alla piattaforma mobile i motori di brandeggio e di elevazione, il sistema di rifornimento delle munizioni, lo scudo esterno di protezione dell'affusto dagli agenti atmosferici marini e fall-out. La culla è il componente dell'affusto entro cui scorre longitudinalmente la massa rinculante, durante il rinculo ed il ritorno in batteria. Lo scorrimento della massa rinculante avviene in opportune guide ricavate nella culla mediante l'interposizione di bronzine (per ridurre l'attrito). Il collegamento tra la culla e la massa rinculante è di tipo elastico ed è attuato dagli "organi elastici" interposti tra la stessa culla ed il blocco di culatta. Lateralmente alla culla sono posti due ringrossi, detti "orecchioni" e, inferiormente ad essa, il settore dentato di elevazione su cui impegna il pignone trascinato dall'asse del motore di elevazione. Sulla culla sono montati il sistema di caricamento nonché il sistema evacuabossoli. La massa rinculante comprende la canna, il blocco di culatta, l'otturatore e il congegno di sparo, ossia tutti quegli organi che al tiro seguono il movimento di rinculo. 4. COMPONENTI FUNZIONALI DEL CANNONE a. L'otturatore L'otturatore è il componente che attua la chiusura della canna a culatta dopo che è stato caricato il munizionamento e ne attua l'apertura a sparo avvenuto, sia per consentire l'evacuazione del bossolo che il caricamento della successiva munizione.

Fig. 21

L'otturatore comunemente usato nei cannoni di medio e piccolo calibro è del tipo "a cuneo con movimento verticale" (fig. 21).

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Esso è costituito da un blocco di acciaio, a forma quasi parallelepipeda, che può scorrere verticalmente entro un vano ricavato nel blocco di culatta, detto alloggio dell'otturatore, e guidato da scanalature poste lungo le superfici laterali. Nella posizione in alto esso chiude posteriormente la canna allineando il congegno di accensione, contenuto al suo interno, con il cannello del bossolo in canna. Nella posizione in basso esso attua la completa apertura della canna allineando la sua faccia superiore, a forma semicilindrica, con la canna per costituire una superficie di scorrimento per il bossolo da espellere e la successiva munizione da caricare. Le guide laterali, su cui scorre verticalmente l'otturatore, sono leggermente inclinate in avanti in modo tale che, salendo in chiusura, avanzi di quel tanto necessario per spingere bene in sede di caricamento la munizione e, scendendo in apertura, arretri di quel tanto necessario per staccarsi dal fondello del bossolo senza manifestare attriti con esso. Il movimento dell'otturatore è sempre sincronizzato con il movimento di rinculo (apertura) e di ritorno in batteria (chiusura). L'energia necessaria per muovere l'otturatore viene generalmente fornita da un congegno elastico (recuperatore) capace di immagazzinare una parte dell'energia di rinculo. b. Gli estrattori Gli estrattori sono i componenti che attuano l'estrazione del bossolo dalla canna dopo lo sparo. Sono costituiti da due leve poste lateralmente all'otturatore e fulcrate sul blocco di culatta. Nella parte interna superiore gli estrattori presentano una sporgenza contro cui va ad impegnarsi il fondello del bossolo quando viene caricato in canna. La rotazione all'indietro degli estrattori è comandata dal movimento in apertura dell'otturatore verso il basso mentre la rotazione in avanti è attuata dallo scorrimento della munizione in canna allorché il fondello del bossolo va a scontrarsi sugli estrattori costringendoli a ruotare in avanti. Un'altra importante funzione svolta dagli estrattori è quella di mantenere in apertura l'otturatore finché non viene calcata la nuova munizione. Infatti, come evidenziato dalla figura 22, l'estrattore ruotando all'indietro aggancia l'otturatore con la sporgenza superiore, impedendone il ritorno in chiusura. Lo sgancio è provocato dal fondello del bossolo, allorché è calcato in canna.

Fig. 22

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c. Gli organi elastici La pressione che agisce sul fondello del proietto nella canna, esercita anche una forza di rinculo, F= P x Ω, sull'otturatore, diretta verso culatta; se la massa rinculante fosse rigidamente collegata alla culla, tale forza si scaricherebbe completamente sull'affusto, tramite gli orecchioni, sollecitandolo intensamente. Poiché la forza di rinculo assume valori massimi dell'ordine delle centinaia di tonnellate, si comprende che è impossibile realizzare un affusto tanto robusto da essere in grado di sopportarla senza deformazioni. Peraltro, se la massa rinculante fosse libera di rinculare, senza alcun vincolo con la culla, il conseguente movimento di rinculo risulterebbe eccessivo, perché solo per un grande spostamento le minuscole forze di attrito tra la culla e la massa rinculante, produrrebbero un lavoro uguale e contrario all'energia cinetica acquisita dalla massa rinculante, allo sparo; soluzione, questa, inaccettabile per i cannoni navali ove lo spazio disponibile è sempre ridotto. Gli organi elastici, mostrati in figura 23, di collegamento della massa rinculante alla culla sono: il freno, il recuperatore e il controfreno. Il freno, infatti, svolge il compito di disperdere in calore, nel breve spazio di rinculo, la maggior parte dell'energia di rinculo, per trafilamento forzato di un fluido idraulico (olio rosso) attraverso luci di efflusso di sezione opportuna. Il recuperatore svolge la funzione di immagazzinare la rimanente parte di energia di rinculo, mediante la compressione di un gas inerte (azoto), o di una molla, da utilizzare a fine rinculo per riportare in batteria la massa rinculante. Il controfreno svolge, invece, la funzione di ammortizzare il movimento di ritorno in batteria disperdendo l'eventuale eccesso di energia di recupero. L'energia immagazzinata dal recuperatore é dimensionata, infatti, per riportare in batteria la massa rinculante alla massima elevazione della canna e risulterebbe eccessiva quando l'impianto è impiegato su angoli di tiro inferiori. Una possibile schematizzazione degli organi elastici è mostrata in figura 23.

Fig. 23

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Il freno è costituito da un cilindro riempito di fluido idraulico, da un pistone e da un sistema di luci di efflusso che collegano tra loro le due zone del cilindro separate dal pistone; il recuperatore è costituito da un cilindro riempito di gas inerte (azoto) e da un pistone pieno mentre il controfreno, normalmente realizzato con la stessa tecnica del freno, è rappresentato in figura da una molla. Durante il movimento di rinculo, il pistone del freno spinge il fluido idraulico attraverso le luci di efflusso ricavate sul proprio corpo attuando la predetta azione di frenaggio; il liquido si riscalda trafilando e in sostanza l'energia di rinculo si trasforma in calore. Contemporaneamente il pistone del recuperatore comprime il gas. A fine rinculo, il gas compresso nel recuperatore si espande riportando il cannone in batteria. Ma essendo, anche a riposo, il cilindro del recuperatore già ad una certa pressione (in quanto c'è da prevedere il caso che il cannone debba essere riportato in batteria anche alla massima elevazione) riporterebbe la massa rinculante in batteria con eccessiva veemenza. L'ammortizzazione del ritorno in batteria è attuata dal controfreno che, comportandosi parimenti al freno, esercita un opportuno sforzo frenante per trafilamento di fluido idraulico attraverso luci di efflusso a sezione variabile (la sezione di queste ultime andrà diminuendo man mano che la massa rinculante rientra in batteria). Allo scopo di limitare lo sforzo di rinculo è avvitato alla volata della canna un organo chiamato freno di bocca (fig. 24). Questi è un cilindro sulle cui pareti sono ricavati dei condotti, opportunamente inclinati all'indietro rispetto all'asse della canna. Allorquando il proietto raggiunge il freno di bocca, i gas propellenti si espandono all'esterno attraverso i condotti, originando, per reazione, una spinta in avanti della canna. Tale spinta si oppone alla forza di rinculo della massa rinculante riducendola all'incirca del 30%.

Fig. 24 d. Il congegno di accensione Il congegno di accensione fornisce la necessaria energia di attivazione della catena di infiammazione, contenuta nel cannello, per far avvenire lo sparo. L'energia di attivazione può essere di natura meccanica, elettrica o meccanico/elettrica. Da qui la classificazione dei dispositivi in congegni a percussione, congegni elettrici e congegni a doppio effetto. Qualsiasi sia il tipo di congegno di accensione esso è sempre sistemato internamente all'otturatore, così da risultare allineato con il cannello del bossolo quando l'otturatore è completamente chiuso. La figura 25 rappresenta schematicamente un classico congegno a percussione; all'ordine di fuoco, se il cannone è in batteria e l'otturatore è chiuso, viene sganciato il percuotitoio che, spinto da una molla batte sul cannello; durante il rinculo, prima che l'otturatore si muova, la leva di riarmo, calettata sullo stesso meccanismo di apertura otturatore, ritrae il percuotitoio e ricomprime la molla.

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Fig. 25

e. Gli asservimenti di posizione Gli asservimenti di posizione gestiscono il movimento in elevazione e in brandeggio del cannone e sono attuati da motori elettrici o elettroidraulici controllati in locale dal Capo Impianto o a distanza dalla ADT (Apparecchiatura per la Direzione del Tiro). Tutti i cannoni prevedono comunque una manovra manuale da impiegare per le esigenze di manutenzione preventiva e/o correttiva. Il controllo è svolto in ciclo chiuso come indicato in fig. 26, laddove viene verificata con continuità, che la grandezza meccanica in uscita (spostamento del cannone) sia conforme con il comando in ingresso (orientamento comandato). Il comando è confrontato con la risposta meccanica dal discriminatore di errore che ne deriva, elaborato e amplificato al livello di potenza richiesto e controlla il motore che fa muovere il cannone.

Fig. 26

f. Il sistema di rifornimento Il sistema di rifornimento svolge la funzione di trasferire le munizioni dal deposito, fino al sistema di caricamento del cannone. Negli attuali cannoni il ciclo di rifornimento è attuato mediante elevatori, giostre e bracci oscillanti che svolgono le proprie funzioni in maniera completamente automatica. g. Sistema di caricamento e di evacuazione bossolo Il sistema di caricamento svolge la funzione di portare la munizione in canna in maniera sicura, affidabile e veloce (fig. 27). La maggior parte di tali sistemi adducono la munizione dal sistema di rifornimento ad un alloggio scorrevole detto "cucchiaia di caricamento", allineata con l'asse della canna. A questo punto la

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munizione è trascinata in canna dall'impulso fornito da un dispositivo detto "calcatoio" agente sul fondello del bossolo che scorre longitudinalmente nella cucchiaia. Il sistema evacuabossoli svolge, invece, la funzione di espellere all'esterno dell'affusto del cannone il bossolo estratto dalla canna dagli estrattori. Tale dispositivo è costituito da una cucchiaia sgombrabossoli e da un condotto evacuabossoli comunicante con l'esterno. In sincronismo con il movimento della cucchiaia di caricamento, la cucchiaia sgombrabossoli è posta alternativamente in asse con la canna durante il rinculo e in asse con il condotto evacuabossoli durante il ritorno in batteria. In asse con la canna riceve il bossolo della munizione sparata espulso dagli estrattori in fase di rinculo; in asse con il tubo evacuabossoli espelle il bossolo della munizione sparata, quando il cannone ritorna in batteria.

Fig. 27

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CAPITOLO V

LA BALISTICA INTERNA

1. INTRODUZIONE La balistica interna studia il moto del proietto all'interno della canna ed i fenomeni ad esso correlati. Specificamente essa si interessa: - della velocità che, punto per punto della canna, assume il proietto e della velocità con cui esso lascia la canna, detta "velocità iniziale"; - della pressione dei gas all'interno della canna in funzione della posizione assunta dal proietto lungo la stessa; - dell'usura della bocca da fuoco; - dei parametri di caricamento che influenzano i valori di velocità del proietto e di pressione dei gas (peso proietto, peso carica di lancio, densità di caricamento, pressione di forzamento, ecc.). 2. IL DIAGRAMMA DELLE PRESSIONI A seguito del caricamento della munizione, il proietto si trova in corrispondenza dell'inizio della parte rigata della canna, con la propria cintura di forzamento impegnata nella rigatura. Al momento dello sparo il cannello, attivato dal congegno di accensione del cannone, infiamma i grani della carica di lancio, che iniziano a produrre gas caldi che vanno ad occupare il volume della camera a polvere. La pressione dei gas all'interno della camera a polvere aumenta rapidamente e quando raggiunge un determinato valore, detto "di forzamento", si determina sul fondello del proietto una spinta che supera in modulo la forza di attrito e lo sforzo di intaglio della rigatura, per cui il proietto inizia a muoversi. Il movimento del proietto offre un volume crescente all'espansione dei gas. Per comprendere come varia la pressione nella canna occorre confrontare la velocità di spostamento del proietto con la velocità di produzione dei gas che dipende dalla superficie istantanea in fiamme e dalla velocità di deflagrazione (W = Wo·P). Il moto iniziale del proietto è lento, a fronte della produzione dei gas, e la pressione cresce. Il valore massimo viene raggiunto quando il volume di canna, lasciato libero dal proietto nell'unità di tempo, eguaglia esattamente il volume dei gas prodotti nello stesso intervallo. Dopo questo istante la velocità del proietto è così elevata da fare diminuire la pressione dei gas, con un gradiente che diviene deciso allorquando la carica di lancio è stata completamente combusta. In figura 28 è rappresentata una curva tipica delle pressioni. Su di essa sono riportati i valori di P0 (Pressione di Forzamento), Pm (Pressione massima), Pfc (Pressione di Fine Combustione), Pb (Pressione alla Bocca). Osservando la curva si distinguono le tre fasi in cui è d'uso suddividere il fenomeno propulsivo: - fase pirostatica (deflagrazione in atto e proietto fermo) è contraddistinta dal tratto delle ordinate, compreso tra l'origine e il punto P0; - fase pirodinamica (deflagrazione in atto e proietto in moto) è contraddistinta dal tratto di curva compreso tra P0 e Pfc; - fase di espansione ( deflagrazione ultimata e proietto in moto veloce) è contraddistinta dal tratto di curva compreso tra Pfc e Pb. Il diagramma delle pressioni consente di ottenere due risultati fondamentali: - la determinazione della velocità del proietto lungo la canna; - la sollecitazione a cui è sottoposta la canna, in ogni suo punto, durante lo sparo.

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Fig. 28 Essendo una rappresentazione delle pressioni in funzione dei volumi, l'area sottesa dalla curva esprime il lavoro totale compiuto dai gas sul proietto e, a meno delle perdite per lavori passivi (per vincere l'attrito della rigatura sulla cintura di forzamento, il peso del proietto, la resistenza aerodinamica agente sull'ogiva) esprime l'energia cinetica E=1/2mv2 acquisita dal proietto alla bocca. Poiché la massa del proietto è nota, dalla conoscenza della curva delle pressioni è possibile risalire alla velocità del proietto.

Fig. 29

Più grande è l'area totale sottesa dalla curva delle pressioni e maggiore è l'energia cinetica finale acquisita dal proietto, e cioè la sua velocità alla bocca Vb.

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3. VARIAZIONE DELLA CURVA DELLE PRESSIONI AL VARIARE DEI PARAMETRI DI CARICAMENTO Appare ovvio che la stessa energia cinetica totale, e quindi la stessa velocità iniziale Vi del proietto, può essere ottenuta con curve di diverso andamento, purché l'area da esse sottesa sia identica. In particolare, l'andamento della curva delle pressioni viene influenzata dalle caratteristiche di granitura, dalla pressione di forzamento, dal peso del proietto, dal peso della carica di lancio e dalla densità di caricamento. Poiché la resistenza strutturale della canna deve essere definita sulla base della curva delle pressioni, si comprende come quest'ultima debba essere opportunamente stabilita per risolvere il problema resistenziale. Per brevità di trattazione vediamo di seguito il modo in cui le caratteristiche di granitura della polvere e la pressione di forzamento alterano la curva delle pressioni. Nel diagramma di fig. 30 sono riportate tre curve ottenute con cariche di lancio di ugual peso, ma con grani che, pure avendo ugual forma, hanno differente vivacità.

Fig. 30 La polvere più vivace (+) deflagra in minor tempo e perciò sale più rapidamente raggiungendo un valore massimo più elevato, mentre la polvere meno vivace (-) brucia in un tempo più lungo e produce un valore minore di Pm. Ne deriva che, volendo ottenere la stessa Vi, la polvere più vivace impone un cannone più robusto e più corto, mentre quella meno vivace impone un cannone meno robusto e più lungo. Similmente, nella figura 31 sono riportate tre curve di pressione ottenute con cariche di lancio di ugual peso, ma con grani che, pur avendo uguale vivacità, hanno forma differente. La polvere regressiva (r) presenta una massima produzione iniziale che fa salire rapidamente la pressione più che nel caso della polvere costante (c) o addirittura di quella progressiva (p); le deduzioni che si traggono sono analoghe alle precedenti.

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Fig. 31

La pressione di forzamento è legata alla malleabilità del materiale costituente la cintura di forzamento del proietto, alla profondità dei pieni della rigatura, all'angolo del loro avviamento all'inizio della parte rigata e al passo della rigatura. Nel diagramma di figura 32 sono riportate due curve di pressione ottenute con identiche cariche di lancio ma con pressione di forzamento differente.

Fig. 32 L'aumento della pressione di forzamento rende più breve il tempo di combustione totale della carica di lancio. A ciò corrisponde un aumento di Pm e uno spostamento verso culatta del punto in cui tale valore si manifesta. In conclusione, i parametri di caricamento intervengono contemporaneamente nell'influenzare la curva delle pressioni e sono stabiliti in maniera opportuna per ottenere l'andamento desiderato della curva delle pressioni stesse.

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4. COSTRUZIONE DELLE CANNE Per dimensionare opportunamente lo spessore della canna lungo il suo sviluppo longitudinale occorre riferirsi alla curva delle pressioni, ricavata dalla balistica interna, acciocchè sopporti elasticamente ed in sicurezza le pressioni che al suo interno si manifestano. Dalla curva delle pressioni è facilmente ricavabile la curva dello sforzo massimo di compressione sulle pareti interne della canna che presenta un valore massimo costante (Pm) dal taglio di culatta fino al punto della parte rigata in corrispondenza del quale si verifica la Pm. Questo aspetto è giustificato dal fatto che la pressione che agisce sul fondello del proietto è la stessa che agisce sulle pareti della canna verso culatta La resistenza elastica non può essere esattamente definita sui valori della curva dello sforzo massimo di compressione, perchè altrimenti si costruirebbe una canna al limite della resistenza, non in grado di sopportare eventuali variazioni dei valori reali di pressione rispetto a quelli calcolati. Occorre anche considerare che, durante la vita di servizio della canna, la curva delle pressioni subisce modifiche dovute all'usura, con spostamento verso volata del punto in cui si manifesta il valore massimo. Per queste ragioni la resistenza elastica della canna è definita sulla base della curva di resistenza elastica, ottenuta dalla curva dello sforzo di compressione massimo moltiplicando ogni valore per un "coefficiente di sicurezza", generalmente compreso tra 1,25 e 1,5 ed estendendo di 2 ÷÷÷÷ 3 calibri verso volata la posizione della Pm. La curva di resistenza elastica, il cui andamento è rappresentato in fig. 33 definisce quindi lo spessore della canna in ogni punto.

Fig. 33

Per ciò che riguarda la costruzione, in considerazione dei notevoli progressi fatti dalla metallurgia in campo resistenziale/strutturale delle speciali leghe adottate, le canne sono dei semplici tubi senza particolari trattamenti e di spessore decrescente a partire dalla Pm. Attraverso l'ausilio di un tornio speciale che impiega utensili ad impronta viene effettuata la rigatura e la sagomatura della camera a polvere. La figura 34 mostra la configurazione di una moderna canna (da notare i fori per la circolazione di un liquido di raffreddamento utilizzato per diminuire la temperatura durante il tiro che è la causa principale dell'usura.

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Fig. 34 5. L'USURA DELLA BOCCA DA FUOCO Le superfici interne della camera a polvere e della parte rigata sono lavorate con estrema precisione per operare nel modo desiderato. Nel tempo e con l'uso esse subiscono un deterioramento progressivo, che, quando raggiunge certi limiti, determina la fine della vita di servizio della canna.

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Questo processo di deterioramento è chiamato usura e le cause principali che lo determinano sono, la corrosione chimica, l'erosione e l'ostruzione. a. La corrosione chimica deriva dalle reazioni chimiche che si manifestano tra il metallo della canna ed i

prodotti di combustione, favorite dalle elevate pressioni e temperature dei gas all'interno della canna durante lo sparo. Tali reazioni alterano le caratteristiche meccaniche del metallo, rendendolo più vulnerabile all'azione erosiva. Inoltre non sempre i prodotti della combustione vengono completamente espulsi dopo la partenza del proietto, ed i residui solidi che si depositano all'interno della canna, proseguono l'azione corrosiva anche dopo lo sparo. Per ovviare a quest'ultimo problema subito dopo il tiro è conveniente lavare l'anima con una soluzione di acqua e soda applicando poi una sottile patina protettiva d'olio.

b. L'erosione consiste nell'asportazione delle particelle di metallo dell'anima prodotto dall'attrito del proietto contro la rigatura e dal flusso gassoso che percorre la canna allo sparo. L'erosione è favorita: - dalla corrosione chimica;

- dall'intenso riscaldamento delle superfici interne della canna, che favorisce l'asportazione del metallo da parte dei gas;

- dalla vorticosità del flusso gassoso nella zona di raccordo tra camera a polvere e rigatura ed alla bocca (in queste zone l'usura si manifesta maggiormente);

- dalla penetrazione dei gas propellenti entro le microlesioni che si verificano sulle superfici interne durante la dilatazione della canna.

L'erosione, come sopra accennato, si manifesta maggiormente all'inizio della rigatura. Il proietto, quindi, caricato in sede prima dello sparo, va ad alloggiare in posizione sempre più avanzata rispetto a quella occupata a canna nuova. Conseguentemente cresce il volume della camera a polvere e diminuisce la densità di caricamento.

Ciò si riflette in una alterazione del diagramma delle pressioni (fig. 35 ) nel senso che la curva

Fig. 35

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sottende un'area inferiore a cui corrisponde una diminuzione del lavoro termodinamico compiuto dai gas e, quindi, della Vi acquisita dal proietto in quanto l'usura produce: - l'aumento del volume " c' " della camera a polvere, a causa della maggiore penetrazione verso volata

del proietto in sede di caricamento; - la diminuzione della pressione di forzamento " Po ", in conseguenza di un più graduale inizio della

rigatura della canna rispetto a canna nuova; - la diminuzione della pressione dei gas, in ragione delle maggiori sfuggite di gas a volata per la

peggiore tenuta della cintura di forzamento, della diminuzione della pressione di forzamento e della densità di caricamento.

La vita di servizio della canna è sempre espressa in funzione dei colpi sparati. Essa ha fine allorquando l'usura per erosione è tale da apportare una riduzione alla velocità iniziale del proietto pari al 10% di quella a cannone nuovo. La vita di una canna varia da calibro a calibro ed è normalmente più lunga nelle bocche da fuoco di calibro minore. A parità di calibro inoltre i cannoni con ritmo di fuoco elevato presentano una maggiore usura in quanto è minore il tempo che ha a disposizione la canna per raffreddarsi tra un colpo e l'altro.

c. L'ostruzione della canna è dovuta principalmente ai depositi di rame lungo la parte rigata dovuti

principalmente alla parziale vaporizzazione delle cinture di forzamento. Tali depositi si manifestano preferibilmente nelle zone della canna in cui il flusso gassoso è meno turbolento, e cioè al centro della parte rigata. Questi depositi di rame all'interno della canna possono alterare il corretto passaggio del proietto all'interno della canna e mettere in discussione la sicurezza nel tiro.

Per questo motivo occorre verificare periodicamente il diametro interno della bocca da fuoco con un particolare strumento (cilindro verificatore) e se necessario attuare un procedimento chimico per l'asportazione dei depositi di rame (deramatura).

6. TECNICHE COSTRUTTIVE PER RIDURRE L'USURA L'usura dipende fondamentalmente dalla temperatura elevatissima raggiunta dai gas propellenti e dal tempo in cui i gas restano all'interno della canna, prima di fuoriuscire all'esterno. Per limitare l'erosione l'anima della canna è rivestita da uno strato di cromo e molibdeno e le cariche di lancio sono confezionate con una limitata percentuale di nitroguanidina (polveri fredde). Per abbassare la temperatura della bocca da fuoco, inoltre, ogni canna è corredata di un impianto di raffreddamento, generalmente ad acqua, fatta circolare in condotti esterni alla canna, oppure nebulizzata e spruzzata dentro l'anima tra colpo e colpo.

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CAPITOLO VI

LA BALISTICA ESTERNA

1. INTRODUZIONE Dall'istante in cui il proietto fuoriesce dalla canna esso percorre una traiettoria la determinazione della quale è compito della Balistica Esterna. La Balistica Esterna è pertanto quella scienza che si propone di determinare la legge del moto del proietto, di peso e forma noti, nell'aria sotto l'azione del campo gravitazionale terrestre. È anche detta "balistica esterna piana" se, come normalmente avviene, data la modesta estensione spaziale della traiettoria del proietto, sono accettate le seguenti ipotesi semplificative: - superficie terrestre piana e fissa rispetto alle stelle (assenza del movimento di rotazione); - accelerazione di gravità costante al variare della quota interessata dalla traiettoria; - sistema terra/proietto isolato. Per avere un'idea sulla traiettoria di un proietto in aria è d'uso analizzarla nell'ipotesi ancor più semplificativa di considerare l'assenza di atmosfera (e quindi proietto soggetto alla sola forza di gravità). 2. BALISTICA NEL VUOTO Nel vuoto, l'unica forza cui è sottoposto il proietto è la forza peso, applicata al centro di gravità e costantemente verticale. La traiettoria del proietto si sviluppa perciò nel piano verticale contenente il vettore velocità iniziale e la forza peso. È pertanto possibile riferire tale traiettoria ad un sistema di coordinate cartesiane ortogonali, aventi per origine il punto di lancio, per asse x delle ascisse l'intersezione del piano verticale contenente il vettore velocità iniziale con il piano orizzontale passante per l'origine e per asse y delle ordinate la verticale zenitale (Fig. 36).

Fig. 36

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Le coordinate del generico punto P della traiettoria risultano essere:

x V t y V t sen g ti i= ⋅ ⋅ = ⋅ ⋅ − ⋅ ⋅cosϕ ϕ 1

22

Da cui, ricavando la t dalla prima espressione e sostituendola nella seconda, si ottiene l'equazione della traiettoria nel piano. Tale traiettoria risulta essere una parabola:

y x tg gx

Vi

= ⋅ −⋅

ϕϕ

1

2

2

2 2cos

Analizzando quest'ultima relazione si nota che la traiettoria nel vuoto dipende da due sole grandezze, che sono: - l'angolo di proiezione ϕϕϕϕ cioè l'angolo verticale che l'asse della canna forma con l'orizzonte al momento dello sparo; - la velocità iniziale Vi cioè il valore di velocità lineare con cui il proietto lascia la bocca da fuoco. Una volta fissate tali due grandezze, la traiettoria del proietto risulta determinata in ogni suo punto: esse vengono pertanto chiamate i "parametri caratteristici della traiettoria nel vuoto". a. Considerazioni sul punto di caduta Il punto di caduta é quello in cui la traiettoria del proietto interseca l'asse delle ascisse. Il tempo T che impiega il proietto a percorrere la traiettoria è detto "durata del tragitto" e la distanza lungo l'asse x percorsa dal proietto è detta "gittata orizzontale". La gittata orizzontale dipende dai soli due parametri Vi e ϕϕϕϕ e vale:

xV

gsen

V

gseni i= ⋅ =

2 2

2 2ϕ ϕ ϕcos

A parità di ϕϕϕϕ , la gittata orizzontale aumenta con il quadrato della velocità iniziale del proietto. Nel vuoto ha quindi una gittata maggiore il cannone che è in grado di sparare un proietto con la Vi più elevata. Tale gittata, per le ipotesi semplificative ammesse, prescinde dal peso, dimensione e forma del proietto.

Fig. 37

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A paritá di Vi, la gittata aumenta al variare di ϕ da 0°°°° a 45°°°°; uno stesso cannone cioè, ha nel vuoto una gittata che aumenta, con l'aumentare dell'angolo di proiezione da 0°°°° fino a 45°°°° La legge con cui varia la gittata in funzione di ϕ è di tipo sinusoidale (fig. 37). Nel grafico in figura si nota che la gittata

orizzontale massima vale x Vg

m i=2

e che tutte le gittate inferiori a quella massima sono ottenibili

sparando con angoli di proiezione ϕ tra loro simmetrici rispetto a 45°, cioè con: ϕ ϕ ϕ ϕ2 1 1 290 90= − = −° ° e Le due traiettorie paraboliche passanti per lo stesso punto di caduta sono dette "traiettorie coniugate" e rispettivamente "traiettoria tesa" quella realizzata con ϕ < 45° e "traiettoria curva" quella realizzata con ϕ > 45° (fig. 38).

Fig. 38

Nel tiro navale, ad esempio, è ovvia la preferenza della traiettoria tesa poiché: - presenta una durata del tragitto T inferiore e, quindi, consente un tiro più preciso, avendo il bersaglio

minor tempo a disposizione per modificare il punto futuro, variando i suoi elementi del moto; - presenta un angolo di caduta inferiore e quindi un angolo di impatto contro le paratie del bersaglio

prossimo a 90°, con beneficio nella perforazione delle corazze da parte del proietto; - aumenta la probabilità di colpire un bersaglio che presenti sviluppo delle sovrastrutture in altezza. Quest'ultimo vantaggio è comprensibile osservando la figura 39: utilizzando la traiettoria tesa è possibile compiere un errore nella determinazione della distanza del bersaglio pari a OB per colpirne ugualmente le sovrastrutture, mentre con la traiettoria curva l'errore massimo ammissibile è pari a OA.

Fig. 39

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43

b. Linee ed angoli caratteristici delle traiettorie Con riferimento alla figura 40 si definiscono di seguito le linee e gli angoli caratteristici della traiettoria. La "linea di tiro", corrispondente all'asse longitudinale geometrico della canna al momento dello sparo; essa è la tangente alla traiettoria nell'origine. L'"angolo di proiezione" ϕϕϕϕ è l'angolo sotteso tra la linea di tiro e il piano orizzontale passante per l'origine. La "linea di mira" è la semiretta congiungente l'origine con il bersaglio. Essa coincide con la linea di traguardo del bersaglio da parte di un sensore che fosse posto nella stessa posizione del cannone. L'"angolo di sito" εεεε è l'angolo sotteso tra la linea di mira e il piano orizzontale. Esso vale 0° se il bersaglio giace sull'asse delle x.. L'"alzo" A è l'angolo sotteso tra la linea di tiro e la linea di mira. Esso coincide con l'angolo di proiezione se il bersaglio é posto sull'asse delle x . L'alzo è in altri termini l'angolo di cui occorre sopraelevare la linea di tiro rispetto alla linea di mira per compensare l'effetto dell'abbassamento della traiettoria prodotto dalla gravità. L'"angolo di caduta" ωωωω è l'angolo sotteso tra la tangente alla traiettoria nel punto di caduta e il piano orizzontale passante per l'origine.

Fig. 40

c. Traiettoria passante per un punto "P" posto a sito εεεε > 0°°°° Similmente a quanto fatto in precedenza è possibile dimostrare che per un punto P posto a sito ε > 0°: - esiste un'unica traiettoria passante per il punto, se questo è posto alla "gittata massima sul sito" e che

questa traiettoria si ottiene sparando con ϕϕϕϕ ==== 45° ++++ εεεε////2 ; - esistono due traiettorie (una tesa e una curva) passanti per il punto se questo è posto a distanza sul sito

inferiore alla gittata massima sul quel sito e che queste traiettorie si ottengono sparando con angoli di proiezione simmetrici a 45° ++++ εεεε////2, rispettivamente:

ϕ ϕ ε ϕ ϕ ε2 1 1 290 90= °− + = °− + 3. LA TRAIETTORIA NELL'ARIA Nell'aria agisce sul proietto, oltre alla forza di gravità, anche la forza aerodinamica. Solo conoscendo il valore di tale forza, in modulo e direzione, è possibile risalire alla traiettoria del proietto.

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44

Della forza aerodinamica interessano le tre componenti così definite: - forza di resistenza, quella che agisce lungo la tangente alla traiettoria nel punto considerato; - forza di portanza, quella che agisce lungo la normale alla tangente alla traiettoria, giacente nel piano

verticale; - forza deviatrice, quella che agisce lungo la normale alla tangente alla traiettoria, giacente nel piano

orizzontale. Lo studio di queste tre componenti è lo scopo dei prossimi paragrafi. a. Effetto della forza aerodinamica sul proietto non stabilizzato A causa della forma affusolata ogivale, il proiettile è per sua natura instabile, perchè presenta il proprio centro di gravità G in posizione posteriore al punto di applicazione C della forza aerodinamica.

Fig. 41

Al momento in cui il proiettile lascia la canna (fig. 41), la tangente alla traiettoria coincide con la linea di tiro e le pressioni aerodinamiche, essendo simmetricamente distribuite sulla superficie ogivale rispetto all'asse del proiettile, danno una risultante che ha la propria linea d'azione coincidente con la tangente alla traiettoria. L'unica componente di tale forza è quella di resistenza, che è perciò chiamata "resistenza diretta".

Fig. 42

Ma non appena il proietto si allontana, la traiettoria inizia ad inclinarsi verso il basso per effetto della gravità e, corrispondentemente, la tangente alla traiettoria si abbassa di un angolo dαααα rispetto all'asse longitudinale del proietto, che tende per inerzia a mantenere l'orientamento originario (fig. 42).

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45

In conseguenza di ciò si verifica una disimmetria nella distribuzione delle forze aerodinamiche che fa cambiare il valore dell'orientamento della risultante applicata in C. La situazione dinamica a cui è sottoposto il proiettile è facilmente determinabile se nel suo baricentro si riportano due forze, uguali e contrarie, corrispondenti in modulo e direzione alla forza aerodinamica F. Osservando la figura 43, si può dire che agiscono sul proiettile, riferite al suo baricentro: - una forza di portanza

RP ,

- una forza di resistenza RR (di intensità maggiore della resistenza diretta),

- una coppia di rovesciamento R R

M F d= ⋅ .

Fig. 43

Per effetto della coppia di rovesciamento, il proietto ruota con il proprio asse longitudinale verso valori crescenti di α. Ciò causa un ulteriore aumento di P, R ed F⋅⋅⋅⋅d. Il proietto, quindi, oltre a risultare fortemente frenato, finisce con il capovolgersi. b. Stabilizzazione giroscopica La stabilizzazione giroscopica del proietto ha come scopo quello di far tendere a zero l'angolo α durante tutta la traiettoria, mantenendo quindi allineato con continuità l'asse del proietto con la tangente alla traiettoria. Al tendere di α a zero, la portanza e la coppia di rovesciamento tendono a zero e la resistenza tende al valore minimo della resistenza diretta. La stabilizzazione giroscopica è ottenuta imprimendo al proietto attraverso la rigatura della canna, una rotazione intorno al proprio asse longitudinale (destrorsa per tutti i cannoni esistenti), e si dimostra che dimensionando opportunamente i momenti d'inerzia rispetto ai vari assi e la velocità angolare ω, si ottiene un continuo pratico allineamento fra l'asse longitudinale del proietto e la tangente alla traiettoria. Conseguenza negativa di questa stabilizzazione è purtroppo la nascita di una forza deviatrice che procura uno scostamento laterale (peraltro di modesta intensità) verso destra e di valore proporzionale alla durata del tragitto. Tale scostamento laterale prende il nome di "derivazione". Non c'è dubbio che fra i due "mali", la derivazione risulta essere un inconveniente decisamente più accettabile del ribaltamento del proietto in volo ed è una quantità facilmente correggibile da parte del calcolatore del tiro. c. Resistenza diretta Nello studio della traiettoria nell'aria vengono supposte assenti la forza di portanza e la forza deviatrice, per cui le uniche forze agenti sul proietto in volo sono quelle di gravità e di resistenza diretta.

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46

Nello studio della traiettoria del proietto in aria, si assume come modulo della resistenza diretta l'espressione:

( )vFiag

R ⋅⋅⋅∆

= 2

In tale relazione, ∆∆∆∆ esprime il peso specifico dell'aria, a il calibro del proietto, i un coefficiente numerico che tiene conto della forma del proietto, ed F(v) una "funzione resistente" legata alla velocità del proietto. La resistenza diretta è ricavata in galleria del vento, sottoponendo il proietto da esaminare ad un flusso d'aria di ∆ noto. Dalla conoscenza di R è possibile ricavare la decelerazione prodotta sul proietto di massa m, detta "ritardazione":

( )( ) ( )

p

vFia

gm

vFia

m

Rvf

⋅⋅⋅∆⋅=

⋅⋅⋅∆==

20

2 δ

essendo ∆∆∆∆0 il peso specifico dell'aria a temperatura e pressione standard e δδδδ la densità relativa. Si definisce "coefficiente balistico" l'espressione, contenente tutte le variabili aerodinamiche del proietto:

ca i

p=

⋅ ⋅∆02

E perciò: f(v) = δ ⋅ c ⋅ F(v) In conclusione, attraverso l'ausilio della galleria del vento è possibile ricavare la F(v) e mediante il coefficiente balistico c, risalire alla f(v) a propria volta indispensabile per la determinazione della traiettoria in aria. d. Traiettoria balistica nell'aria Come per la balistica nel vuoto, anche la traiettoria in aria si sviluppa (derivazione a parte) nel piano contenente il vettore Vi . In questo caso però, la traiettoria sarà caratterizzata non solo dai due parametri Vi e ϕ, ma anche dal coefficiente balistico c.

Fig. 44

Ciò significa che, a parità di Vi e ϕ, è più estesa la traiettoria del proietto che presenta un coefficiente balistico inferiore. In ogni caso, per quanto piccolo possa essere il coefficiente balistico del proietto impiegato, la traiettoria in aria risulta essere abbondantemente meno estesa di quella nel vuoto ottenuta con gli stessi parametri Vi e ϕ.

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47

Osservando la figura 44, si nota che nell'aria: - l'angolo θ, coincidente con ϕ nell'origine, assume nel punto di caduta un angolo ω di entità maggiore

di ϕ ; - la velocità V, coincidente con Vi nell'origine, diminuisce nel ramo ascendente; poi, superato il vertice,

la velocità del proietto riaumenta assumendo però nel punto di caduta un valore Vr (velocità residua), inferiore in modulo a Vi .

e. Equazioni differenziali della traiettoria nell'aria Se oltre a conoscere la legge secondo cui varia l'ordinata y in funzione dell'ascissa x, interessasse conoscere della traiettoria del proietto anche le relazioni che legano tra loro le variabili V (velocità del proiettile in modulo), θθθθ (angolo formato dalla tangente alla traiettoria con l'asse delle ascisse), t (tempo di volo misurato dall'istante di sparo), occorrerebbe: - ricavare quattro equazioni differenziali comprendenti le cinque variabili x, y, V, θ, t, basandosi sulle

leggi del moto; - integrare dette funzioni per ottenere quattro equazioni comprendenti dette variabili espresse in termini

finiti. Queste equazioni sono immediatamente ricavabili osservando la figura 45 e consentono di risolvere tutte le possibili traiettorie.

Fig. 45 Per ogni cannone è nota a priori la velocità nominale Vi con cui esso spara e il coefficiente balistico nominale c del proiettile impiegato. Quindi, se si vuole colpire un bersaglio posto a sito εεεε e a distanza sul sito X sparando con un cannone di Vi nota, basta imporre la condizione che la traiettoria passi per il punto di ascissa x = X cos εεεε e di ordinata y = X sen εεεε Così facendo le incognite del problema risultano essere ϕϕϕϕ, t, V e θθθθ e il sistema risulta essere di quattro equazioni in quattro incognite ( e quindi risolvibile). Da tale risoluzione si ricava: - l'angolo di proiezione ϕ del cannone necessario per far passare la traiettoria sul punto P; - la durata del tragitto T che impiega il proiettile per arrivare sul bersaglio; - il modulo e l'orientamento del vettore velocità V del proiettile all'impatto.

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4. LE TAVOLE DEL TIRO Sulla base delle equazioni ricavate nel paragrafo precedente si possono quindi costruire delle tabelle che, in funzione delle ε ed X significative a cui può essere posto il bersaglio, forniscono il valore del parametro ϕ ed i rimanenti elementi della traiettoria V, θ , t. Tali tabelle sono dette "Tavole del Tiro" (fig. 46). Oggigiorno comunque le T.T. sono ricavate attraverso l'ausilio del calcolatore utilizzando particolari algoritmi che consentono di pervenire con maggior speditezza ai risultati finali, la bontà dei quali è controllabile mediante particolari radar che posti in punteria automatica sul proietto ricavano tutti i possibili parametri inerenti la traiettoria. È però impensabile che il cannone possa sparare nelle condizioni teoriche di: - velocità iniziale nominale, - coefficiente balistico nominale, - assenza di vento, - valore nominale della densità dell'aria. Nella pratica esistono delle variazioni alle condizioni teoriche che modificano la traiettoria standard e che, perciò devono essere corrette rispetto all'angolo di proiezione teorico . Nello schema seguente sono riportate le possibili variazioni pratiche esistenti. ∆∆∆∆p\p per variazioni percentuali del peso del proietto. BALISTICHE ∆∆∆∆Vi per usura della bocca da fuoco; per variazioni del peso della carica di lancio; per variazioni del peso del proietto; per variazioni della temperatura di conservazione della carica di lancio. W ' per presenza di vento sul piano di tiro. AEROLOGICHE ∆∆∆∆δδδδ\δδδδ per variazione della densità relativa dell'aria Dalle equazioni della traiettoria è possibile ricavare e riportare sulle tavole del tiro le variazioni in gittata provocate dalle condizioni di riferimento non nominali. La conoscenza della variazione in gittata consente di ricavare la correzione in ∆ϕ necessaria a compensare l'alterazione della traiettoria e colpire ugualmente il bersaglio. A titolo di esempio nella pagina seguente, si è riportato uno stralcio di T.T. relativa a un generico cannone di Vi e c nominali noti. L'interpretazione della tavola è immediata. Ad esempio per colpire un bersaglio posto alla distanza di 7.000 metri, in condizioni di riferimento standard occorre sparare con ϕ=5° 51'. Così facendo la durata del tragitto T è di 14,35 sec e la derivazione di 11 metri. Se però il cannone spara con lo stesso ϕ ma con un ∆Vi = -10 m/s, la gittata diminuisce di 90 m. Per compensare la diminuzione di Vi e colpire ugualmente il bersaglio a 7.000 m occorrerà sparare con un ϕ= 5°51'+9' = 6°00'. Analogamente si procede per le altre variazioni. Per stabilire infine il segno della correzione in ∆ϕ che occorre apportare, basta considerare se la variazione alla condizione di riferimento allunga o accorcia la gittata: se la allunga il ∆ϕ è negativo, se la accorcia il ∆ϕ è positivo. Per ciò che riguarda lo scostamento della traiettoria nel senso trasversale al piano di tiro, basta precisare che tale scostamento è influenzato dalla derivazione (funzione a propria volta della distanza futura) e dalla componente trasversale del vento relativo.

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CAPITOLO VII

IL PROBLEMA DEL TIRO 1. GENERALITÀ Il problema del tiro consiste nella determinazione degli angoli di brandeggio ed elevazione da conferire al cannone (rispetto al piano di coperta della nave), tali da immettere il proietto così sparato nella traiettoria aerea di collisione con il bersaglio. Per risolvere il predetto problema, il calcolatore dispone dei seguenti dati: - posizione del bersaglio rilevata con continuità dal sensore; - dati ausiliari per il calcolo, quali ad esempio

RVp (velocità propria),

RW (intensità e direzione del vento),

informazioni sull'entità istantanea dello sbandamento nave, ecc.; - dati balistici e meteo che possono provocare alterazioni della traiettoria seguita dal proietto rispetto a

quella standard (quali ∆∆∆∆Vi e ∆∆∆∆δδδδ /δδδδ), e che devono essere introdotti nel calcolatore immediatamente prima del tiro.

È da notare infine che se i cannoni condotti dalla Apparecchiatura di Direzione del Tiro sono in grado di sparare munizionamento spolettato a tempo, è compito del calcolatore del tiro determinare, in aggiunta all'orientamento del mezzo di lancio, anche il valore "G" della graduazione di spoletta. 2. LINEA DI MIRA E PUNTO ATTUALE Definiamo come piano di coperta il piano rispetto al quale il sensore compie i propri movimenti di brandeggio (piano di rotolamento). Per costruzione i piani di rotolamento dei vari elementi costituenti la batteria (ADT, Cannoni, etc.) sono tra loro paralleli ed individuano un'unica giacitura. Riferendoci alla figura 47, definiamo linea di mira (L.M.) la congiungente sensore-bersaglio. Il piano normale al piano di coperta e contenente la L.M. è detto piano di mira. Nell'ipotesi, che per ora supporremo sempre verificata, di assenza di moto ondoso e di altre cause che incidano sulla stabilità della nave, il piano di coperta sarà orizzontale e di conseguenza il piano di mira sarà un piano verticale. Dicesi brandeggio " αααα " del bersaglio l'angolo, misurato nel piano di coperta in senso orario, compreso fra la direzione della prora e il piano di mira. Dicesi sito " εεεε " del bersaglio l'angolo misurato nel piano di mira, compreso fra il piano di coperta e la L.M.. α ed ε costituiscono gli angoli direttori della L.M., in quanto ne definiscono univocamente l'orientamento nello spazio. Si definisce distanza sul sito " X " la distanza sensore-bersaglio misurata lungo la L.M.. Questa grandezza è misurata direttamente dal sensore, sia esso un radar, un telemetro o una apparecchiatura di altro tipo. La distanza misurata sul piano orizzontale (e quindi per l'ipotesi fatta, sul piano di coperta) che intercorre fra il sensore e la proiezione della posizione del bersaglio sul piano orizzontale è detta distanza orizzontale " D "; mentre la distanza fra bersaglio e piano orizzontale è detta quota " Q " del bersaglio. Fra X, D e Q intercorrono le seguenti semplici relazioni:

D = X cosεεεε Q = X senεεεε

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La posizione istantanea del bersaglio rispetto al sensore è detta punto attuale " Pa " ed è definita in coordinate polari dalla terna αααα, εεεε ed X. Il calcolatore risale alla misura delle coordinate attuali del bersaglio sfruttando i dati di posizione forniti dal sensore.

Fig. 47 Le coordinate del Pa possono peraltro essere determinate anche sotto forma di coordinate cilindriche ( αααα , D e Q) oppure cartesiane rispetto ad una prefissata terna di assi di riferimento. Ogni tipo di calcolatore del tiro impiega per i propri calcoli il tipo di coordinate che meglio si adatta alla sua logica di funzionamento. In generale la L.M. non rimane fissa nello spazio. Se esiste un moto relativo tra nave e bersaglio (a meno di casi particolarissimi), anche la loro reciproca posizione varierà nel tempo e quindi anche l'orientamento stesso della L.M.; pertanto, anche le coordinate del Pa sono funzione del tempo e dipendono dal moto relativo esistente fra nave e bersaglio. Da qui la necessità che il sensore misuri le coordinate del bersaglio non solo con precisione ma anche con continuità. 3. LINEA DI TIRO Dicesi "linea di tiro" (L.T.) la direzione secondo cui è necessario orientare il cannone per far sí che la traiettoria del proietto collida con il bersaglio (fig. 48). Il piano normale al piano di coperta contenente la L.T. è detto piano di tiro. Come la L.M., anche la L.T. è individuata da due angoli direttori: - Brandeggio totale " Bt ": angolo misurato in senso orario sul piano di coperta, compreso fra la direzione della prora e l'intersezione del piano di tiro sul piano di coperta; - Elevazione totale "Et": angolo misurato nel piano di tiro, compreso fra il piano di coperta e la L.T.. Con queste definizioni, il problema del tiro potrebbe anche essere enunciato nella seguente forma: "Noto che sia l'orientamento istantaneo della L.M. (ossia αααα ed εεεε ) e la distanza X del bersaglio, determinare gli angoli direttori Bt ed Et della L.T. ". È da notare infine che la L.T. non può mai coincidere con la L.M., in quanto, come è noto dalla balistica esterna, la traiettoria seguita dal proietto è una curva sghemba con la concavità rivolta verso il basso. Pertanto anche in caso di moto relativo nullo fra nave e bersaglio e nel caso (ideale) di assenza di perturbazioni balistiche ed aerologiche, sarà comunque necessario sopraelevare la L.T. rispetto alla L.M. della quantità angolare A (alzo) e correggere il brandeggio della quantità d (derivazione).

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Fig. 48 4. STRUTTURAZIONE DEL PROBLEMA DEL TIRO Il problema del tiro a propria volta è suddivisibile in quattro sottoproblemi logicamente così concatenati: - problema della punteria - problema cinematico - problema della previsione - problema balistico e delle correzioni a. Problema della punteria. È necessario anzitutto sapere esattamente e con continuità dove sia il bersaglio rispetto alla nave, ossia conoscere le coordinate attuali. Per far questo è indispensabile risolvere il problema della punteria, ossia far sí che il sensore sia in grado di mantenersi continuamente puntato sul bersaglio. b. Problema cinematico. Una volta note le coordinate del Pa è chiaro che non si potrà dirigere il tiro su quest'ultimo. Infatti nel tempo T (durata del tragitto) che il proietto impiegherà per giungere nel Pa il bersaglio si sarà spostato da quest'ultimo di una quantità pari a Vn ⋅⋅⋅⋅ T, ove Vn è la velocità assoluta del bersaglio. Il secondo passo da compiere per risolvere il problema del tiro è dunque quello di individuare la velocità del bersaglio e la sua direzione di spostamento basandosi unicamente sulle variazioni che subiscono nel tempo le sue coordinate attuali. In altre parole il problema cinematico consiste nella determinazione del vettore velocità nemica Vn in modulo e orientamento. c. Problema della previsione. Una volta determinato Vn il problema successivo che si presenta è quello di prevedere le coordinate del punto in cui dovrà avvenire la collisione fra proietto e bersaglio. Tale posizione, detta punto futuro (Pf), può anche definirsi come il punto in cui verrà a trovarsi il bersaglio dopo un tempo pari alla durata del tragitto T del proietto. Analogamente a quanto detto a proposito del Pa e della L.M., valgono le seguenti definizioni (fig. 49): - Linea di mira futura (L.M.F.): congiungente sensore - Pf ;

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- Piano di mira futuro: piano normale al piano di coperta, contenente la L.M.F.; - Brandeggio futuro (ααααf): angolo misurato nel piano di coperta, in senso orario, compreso fra la

direzione della prora e il piano di mira futuro; - Sito futuro (εεεεf): angolo misurato nel piano di mira futuro, tra il piano di coperta e la L.M.F.; - Distanza futura sul sito (Xf): distanza sensore-punto futuro; - Distanza futura orizzontale (Df): distanza sensore-proiezione punto futuro sul piano orizzontale; - Quota futura (Qf): distanza punto futuro-proiezione punto futuro sul piano orizzontale. Gli incrementi angolari che consentono di passare dalle coordinate attuali αa , εa e Xa alle corrispondenti coordinate future αf , εf e Xf sono detti rispettivamente "cursore cinematico orizzontale (Co)" e "cursore cinematico verticale (Cv)". Tali incrementi sono detti "cinematici" in quanto dovuti unicamente all'esistenza di un moto relativo fra nave e bersaglio. Sarà dunque: αf = αa + Co e εf = εa + Cv d. Problema balistico e delle correzioni. Una volta risolto il problema della previsione delle coordinate del Pf, e quindi aver determinato la linea di mira futura, dovremo opportunamente orientare rispetto ad essa la L.T. in modo che il proietto collida con il bersaglio proprio nel Pf. Si tratta quindi di applicare quanto noto dalla balistica esterna circa l'impiego delle Tavole di Tiro.

Fig. 49

Dovremo cioè sopraelevare la L.T. rispetto alla L.M.F. delle seguenti quantità angolari: - A (alzo): che tiene conto dell'incurvatura della traiettoria dovuta all'accelerazione di gravità; - ∆ ∆ϕ Vi :correzione in angolo di proiezione che tiene conto della alterazione longitudinale della

traiettoria dovuta alla variazione della Vi del proietto rispetto al valore standard (per usura e per differenza di temperatura di conservazione delle cariche di lancio);

- ∆ ∆ϕ δ δ/ : correzione in angolo di proiezione che tiene conto della alterazione longitudinale dovuta a variazioni della densità relativa dell'aria rispetto al valore standard;

- ∆ϕ ′W : correzione in angolo di proiezione che tiene conto della alterazione prodotta dall'eventuale presenza di una componente del vento lungo il piano di tiro.

Quindi in definitiva avremo:

E A At f Vi W f= + ± ± ± = + ±′ε ϕ ϕ ϕ ε ϕδ δ∆ ∆ ∆ Σ∆∆ ∆ /

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È da notare che la correzione A è di segno sempre positivo perchè implica senz'altro un aumento dell'elevazione dell'arma rispetto alla L.M.F.. Le altre correzioni possono essere positive o negative a seconda dei casi. Per quanto riguarda il brandeggio conferito all'arma, esso varierà, rispetto al valore αf , delle seguenti quantità: - d (sempre negativa per cannoni a rigatura destrorsa): correzione in angolo di brandeggio che tiene conto

dell'effetto della derivazione sulla traiettoria. ∆α ′′W (positiva o negativa): correzione in angolo di brandeggio che tiene conto dell'influenza sulla

traiettoria della componente laterale del vento. Sarà dunque:

B dt f W= − ± ′′α α∆

Il problema sopra esposto della determinazione degli angoli direttori della L.T. (Et e Bt ) una volta note le coordinate del Pf è detto dunque Problema Balistico e delle Correzioni. Alla luce di quanto sopra esposto e fatte salve le ipotesi iniziali, possiamo individuare le sezioni logiche di un qualsivoglia calcolatore del tiro ed il flusso dei principali dati interessanti le sezioni stesse (fig. 50).

Fig. 50

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5. GLI INVARIANTI DEL MOTO Il problema cinematico e quello della previsione sono generalmente risolti presupponendo la costanza del moto del bersaglio. Il calcolatore ammette cioè che il bersaglio non vari i parametri del moto proprio (Vn) non solo per il tempo necessario alla sua determinazione, ma anche per tutto il tempo necessario al proietto per raggiungere il bersaglio nel Pf. L'ipotesi di invarianza del moto nemico è in prima approssimazione abbastanza "lecita" in quanto: - la traiettoria di volo degli attuali aerei e/o missili, in fase di attacco, è piuttosto "rigida", ossia si distacca

poco dalla traiettoria rettilinea uniforme; - i bersagli navali possiedono, al contrario, una manovrabilità assai maggiore; tuttavia anche ammettendo

variazioni di moto durante la durata del tragitto del proietto, la brevità di questa (pochi secondi) e la lentezza del tipo di bersaglio, fanno si che l'errore che ne derivi sia nel complesso trascurabile e comunque spesso inferiore alla naturale dispersione del tiro.

Ogni calcolatore del tiro tradizionale parte dunque dal presupposto fondamentale che il bersaglio si muova di "moto rettilineo uniforme". Il Vn viene elaborato dalla sezione cinematica sotto forma di componenti, per poter essere poi agevolmente impiegato nelle sezioni successive. Ma è indispensabile che le predette componenti soddisfino ad una condizione essenziale: devono essere esse stesse costanti nel tempo, nell'ipotesi accettata, che il bersaglio si muova di moto rettilineo uniforme. Queste componenti assumono pertanto il nome di "invarianti del moto". Con l'avvento, però, negli ultimi anni di bersagli sempre più sofisticati (missili e velivoli), in grado di compiere manovre d'attacco seguendo profili curvilinei, l'ipotesi: Vn= costante è divenuta sempre meno accettabile. Questo spiega perchè, nelle Apparecchiature di Direzione del Tiro più moderne (Dardo, Dardo-E) il calcolo del Pf può avvenire anche secondo tipologie di traiettorie non lineari (contrasto su missili weaving o sea - skinner ). 6. IL PROBLEMA DELLA PUNTERIA E IL PROBLEMA CINEMATICO Il sensore di punteria non è idoneo, da solo, a risolvere il problema della punteria in quanto, contrariamente a quanto si possa pensare, non è adatto a fornire direttamente le coordinate di un bersaglio. Esso è in grado di rilevare unicamente l'errore di punteria, ossia di quanto angolarmente la sua linea di punteria si discosta dalla linea di mira e di quanto la distanza su cui è posizionato il sensore differisce dall'effettiva distanza sul sito del bersaglio. Per risolvere in maniera adeguata il problema della punteria è necessario, pertanto, ricorrere ad una particolare tecnica a ciclo chiuso consistente in un "aiuto" da parte del calcolatore al sistema di punteria e denominata "rigenerazione della punteria". Questa particolare tecnica consiste essenzialmente nel far in modo che sia il calcolatore stesso a determinare istante per istante le coordinate attuali del bersaglio, mantenendo poi puntato su tali coordinate il sensore e consente la risoluzione contemporanea del problema cinematico e della punteria. Supponiamo difatti, in prima istanza, che la sezione cinematica del calcolatore all'inizio della punteria fornisca in uscita un vettore velocità nemico prestabilito (differente per bersaglio aereo o navale). Una volta note le coordinate del bersaglio all'istante di inizio punteria to e nota la legge del moto relativo secondo cui il bersaglio è visto spostarsi rispetto alla nave supposta ferma, è poi possibile risalire, mediante calcolo diretto, alle coordinate relative riferite ad un qualsiasi istante t successivo a to .

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Fig. 51 Avverrà quindi che essendo errato Vnc risulteranno errate anche le coordinate su cui è via via posizionato il sensore, determinando, specialmente nel transitorio iniziale, un errore (anche molto elevato) di punteria. Ebbene negli attuali calcolatori del tiro è proprio questo errore di punteria e(Pa) che viene sfruttato nella sezione cinematica per correggere il calcolo di Vnc sino a portarlo a coincidere con il Vn effettivo. A mano a mano che ci si approssima sempre più al valore esatto, anche le coordinate del punto attuale determinato dal calcolatore, e perciò denominato "calcolato" (Pac), su cui viene mantenuto puntato il sensore, risulteranno sempre più precise, finchè a regime, sarà:

e P Va n( )R R R

= =0 avremo: Vnc In definitiva la presenza di un errore di punteria viene interpretata dalla sezione cinematica come un errore in Vnc e "stimola" il calcolatore ad affinare continuamente i parametri del moto del bersaglio fino al completo annullamento dell'errore stesso. Ma quando ciò sarà avvenuto, anche le coordinate calcolate saranno esatte ed il sensore si manterrà perfettamente in punteria. In definitiva la rigenerazione della punteria permette di conseguire un duplice vantaggio: - risolve il problema della punteria in maniera teoricamente esatta; - mantiene costantemente sotto controllo il Vnc elaborato nella sezione cinematica in maniera da aggiornarlo automaticamente qualora si verifichino variazioni nel moto del bersaglio. 7. IL PROBLEMA DELLA PREVISIONE Il problema della previsione consiste nella estrapolazione delle coordinate del punto futuro ( αf , εf , Xf ) disponendo: - delle coordinate attuali calcolate (Pac) , - del vettore nemico relativo Vr , - del valore della durata del tragitto T.

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Mentre, come abbiamo già visto, i primi due elementi sono resi disponibili dalla rigenerazione della punteria, il terzo viene elaborato nella sezione balistica. Le coordinate del Pf saranno allora calcolate, secondo la relazione:

P P V Tf a r= + ⋅

8. IL PROBLEMA BALISTICO E DELLE CORREZIONI a. Generalità

La sezione balistica di un calcolatore del tiro non rappresenta altro che un sistema di "lettura" automatizzata delle Tavole del Tiro. Come già visto precedentemente, la soluzione del problema balistico consente di determinare gli angoli Bt, Et e la durata del tragitto T, una volta disponibili le coordinate del Pf . È da notare che il valore della durata del tragitto T, necessario alla sezione previsione per calcolare le coordinate del Pf viene proprio elaborato nella sezione balistica, in funzione di Xf ed εf. Come è possibile dunque determinare il Pf se inizialmente non è ancora noto il valore di T e viceversa? Il problema è risolto con un procedimento di calcolo iterativo a ciclo chiuso tra sezione Balistica e sezione Previsione delle coordinate del punto futuro e della durata del tragitto T partendo dalla conoscenza del Pa e della Vr . Data la prontezza di esecuzione dei moderni calcolatori, il valore delle coordinate future e della durata del tragitto è disponibile in maniera praticamente istantanea in quanto dopo un certo numero di cicli, i valori convergono verso valori limite. La sezione balistica è composta da due distinte sottosezioni. - trasformatore balistico: ha il compito di determinare gli angoli direttori della linea di tiro (L.T.) e della durata del tragitto T in condizioni standard (assenza di vento, ∆Vi = 0 temperatura e pressione atmosferica uguali a quelle messe a calcolo per la compilazione delle Tavole di Tiro, ecc.). - correttore balistico: ha il compito di apportare ai valori precedentemente trovati le opportune correzioni che tengano conto dei fattori alterativi della traiettoria.

b. Il trasformatore balistico

In assenza di fattori alterativi della traiettoria, gli angoli direttori della linea di tiro sono:

Bt = αf - d Et = εf + A Il proietto così sparato giungerà nel punto futuro dopo pari a T. Le grandezze A, d e T sono dette "funzioni balistiche" e sono ricavabili dalle Tavole del Tiro in funzione di Xf ed εf . L'andamento delle funzioni balistiche è memorizzato in speciali componenti di calcolo (condensatori o potenziometri non lineari nei calcolatori analogici, oppure memorie in quelli digitali) e la determinazione del loro valore è pressochè immediata. Una volta ricavato il valore delle funzioni balistiche, se non esistessero cause di alterazione della traiettoria del proietto, il problema balistico risulterebbe completamente risolto. Purtroppo questa situazione ideale non si verifica mai; ecco dunque la necessità di disporre di una opportuna sezione di calcolo capace di modificare i valori delle funzioni balistiche a seconda delle reali condizioni a cui il proietto è sottoposto nella sua traiettoria verso il punto futuro.

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c. Il correttore balistico In presenza di fattori alterativi della traiettoria del proietto, dunque, dovranno essere calcolate le opportune correzioni angolari sul piano verticale e sul piano orizzontale, nonché la correzione alla durata del tragitto (Tc=T±DT). Tutte queste correzioni, come le funzioni balistiche, oltre che di Xf, εf, sono funzione di αf e la loro determinazione avviene in speciali circuiti in relazione ai dati forniti dalle Tavole di Tiro.

9. IL PROBLEMA DELLA PARALLASSE Il calcolatore risolve il problema del tiro utilizzando le coordinate attuali misurate dal sensore; ne deriva che anche gli angoli Bt ed Et sono calcolati rispetto all'organo di punteria. In altri termini detti angoli risulterebbero idonei a posizionare correttamente il cannone qualora l'ubicazione del sensore coincidesse con quella del cannone. Normalmente ciò non si verifica se non in casi di installazione molto peculiari; ecco allora che si origina un particolare tipo di errore detto "errore di parallasse". L'errore di parallasse è dunque tanto maggiore quanto maggiore è la distanza che intercorre fra sensore e cannone; inoltre a parità di ogni altra condizione, esso è inversamente proporzionale alla distanza. Per la determinazione delle correzioni da apportare ai valori di elevazione totale e brandeggio totale si definiscono due basi parallattiche, e cioè la parallasse orizzontale (bo) e quella verticale (bv). Attraverso l'elaborazione di queste quantità lineari, il calcolatore del tiro correggerà i valori di Bt ed Et, in funzione delle coordinate future del bersaglio e del valore delle predette basi relativamente a ciascun cannone (Btπ ed Etπ). 10. LO SBANDAMENTO DELLA PIATTAFORMA Le considerazioni prodotte fino ad ora si sono basate sull'ipotesi semplificativa della completa assenza di moto ondoso e di qualsiasi altra causa perturbatrice capace di far variare la giacitura del piano di coperta rispetto al piano orizzontale. Certamente è pura utopia pensare di eliminare il continuo ed imprevedibile moto di oscillazione della nave, anche se tutte le unità oggigiorno sono provviste di stabilizzazione idrodinamica. Vediamo allora gli inconvenienti che si produrrebbero sulla risoluzione del problema del tiro se non si attuassero efficaci sistemi di "correzione". Innanzitutto si verificherebbe l'impossibilità di risolvere il problema cinematico. Difatti il sensore muovendosi sul piano della piattaforma misura errori di punteria "sbandati"; conseguentemente se tali errori fossero direttamente inviati nella sezione cinematica senza essere sottoposti ad una preventiva trasformazione per riferirli a piani dritti, essi non sarebbero più direttamente correlabili con l'errore di calcolo in Vn. La loro entità dipenderebbe infatti, oltre che dall'errore in Vn, anche dall'imprevedibile movimento di sbandamento della nave. D'altra parte il calcolatore interpreterebbe l'errore di punteria come dovuto esclusivamente ad errato calcolo di Vn e la sezione cinematica sarebbe di conseguenza sollecitata continuamente a variare il proprio calcolo. Ma siccome, come già detto, le variazioni nel tempo dell'errore di punteria sarebbero in effetti dovute anche alla oscillazione caotica della piattaforma del sensore, agli occhi del calcolatore tutto avverrebbe come se il bersaglio si muovesse di moto variamente accelerato anzichè rettilineo uniforme. Verrebbe così a cadere l'ipotesi fondamentale di invarianza del moto del nemico e di conseguenza sarebbe impossibile ricavare il corretto valore di Vn tramite il ciclo chiuso della rigenerazione. Un secondo inconveniente sarebbe quello dell'impossibilità di risolvere il problema della punteria, in quanto anche se per assurdo fosse comunque disponibile con esattezza il Vnc , il calcolatore fornirebbe al sensore un punto attuale calcolato (Pac) in termini di α , ε ed X riferiti a piani dritti

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mentre invece quest'ultimo si muove sul piano della piattaforma che è continuamente mobile. Ne deriverebbero quindi errori geometrici di punteria continuamente variabili nel tempo in funzione diretta dei valori di sbandamento del piano di coperta. Un terzo e non meno importante inconveniente sarebbe quello relativo al posizionamento del mezzo di lancio in quanto gli angoli Btπ ed Etπ calcolati rispetto al piano orizzontale non sarebbero idonei a posizionare un organo che compie tali rotazioni su piani sbandati. In definitiva lo sbandamento della piattaforma crea una serie di inconvenienti che, se non risolti, renderebbero del tutto impossibile la soluzione del problema del tiro. Il problema viene risolto mediante delle operazioni di "trasformazione di coordinate" effettuate in funzione dei valori angolari di sbandamento istantaneo (Rollio e Beccheggio); questo modo di procedere prende il nome di "stabilizzazione in spazio" e lo strumento impiegato per la misura dello sbandamento della piattaforma è denominato "datore di verticale." 11. SCHEMA A BLOCCHI DI UNA APPARECCHIATURA PER LA DIREZIONE DEL TIRO.

Fig. 52

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CAPITOLO VIII

I SENSORI RADAR

1. PRINCIPI DEI RADAR Il radar (RAdio Detection And Ranging) è in estrema sintesi, un apparato elettronico per la "scoperta" e la "localizzazione" di oggetti presenti nello spazio circostante. Esso consente non solo di vedere nell'oscurità più assoluta, nella nebbia o nella pioggia, ma è in grado di misurare con esattezza incomparabile rispetto all'occhio umano, la distanza degli oggetti. Fondamentalmente un radar può impiegare l'energia elettromagnetica in due possibili modalità: trasmissione impulsiva e trasmissione continua (da cui ha origine la suddivisione: radar impulsivi e radar a continuos wave). Il principio base di un radar impulsivo (fig. 53) è il seguente: un oscillatore locale genera una radiazione elettromagnetica sotto forma di brevi impulsi di adeguata potenza; attraverso un'antenna, tale energia viene irradiata nell'etere secondo un predeterminato lobo di trasmissione. Durante il periodo in cui il trasmettitore è a riposo gli eventuali echi di ritorno possono essere elaborati dalla sezione ricevente e visualizzati da un opportuno sistema di rappresentazione.

Fig. 53 Qualora (come avviene nella generalità dei casi) venga impiegata una stessa antenna sia per la trasmissione che per la ricezione, il radar viene detto "monostatico". Per radar "bistatico" si intende invece quel radar in cui è presente un'antenna di trasmissione e una di ricezione separate fra loro da una distanza non trascurabile rispetto a quella di scoperta. Nel secondo tipo di radar, il trasmettitore invia nello spazio un segnale in onda continua (fig. 54).

Fig. 54

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Se nel lobo di trasmissione c'è una superficie riflettente ferma rispetto alla sorgente, la frequenza dell'onda riflessa sarà la stessa del segnale trasmesso e pertanto non sarà possibile rilevarne la presenza; viceversa, la superficie riflettente sarà rilevabile. La grande limitazione di questo tipo di radar risiede nella sua incapacità a misurare la distanza degli oggetti, a meno di adottare particolari accorgimenti. 2. TRASMISSIONE IMPULSIVA Il sistema impulsivo di localizzazione è in pratica impiegato in quasi tutti i radar. In questi sistemi, il trasmettitore permane nella fase "attiva" per un brevissimo periodo, mentre resta disabilitato per un periodo decisamente più lungo (anche 1500 e più volte rispetto al periodo di emissione). Quando l'impulso urta un oggetto, parte dell'energia riflessa ritorna al ricevitore dove, dopo un'opportuna manipolazione elettronica, viene evidenziato e rappresentato su un tubo a raggi catodici. Poichè il trasmettitore è disabilitato dopo ogni impulso, non può e non deve interferire con il ricevitore. I principali parametri in grado di per sè, di esprimere le prestazioni di un radar impulsivo sono: - Forma dell'impulso: tale parametro influenza la precisione della misura della distanza. La forma

dell'impulso ideale è quella rettangolare, con fronte anteriore e posteriore esattamente verticali. In pratica, però, tutti gli impulsi realizzabili presentano un "tempo di salita", per raggiungere la massima ampiezza, più o meno lungo.

- Durata dell'impulso (ττττ): tale parametro incide sulla portata del radar e definisce la distanza minima di localizzazione e il potere separatore in distanza. L'energia dell'impulso trasmesso può essere aumentata agendo sulla potenza di picco oppure sulla durata dell'impulso; poichè la potenza di picco non può superare certi limiti imposti dalle caratteristiche tecniche del trasmettitore torna comodo aumentare la durata dell'impulso. Ma ciò provoca due conseguenze negative. La prima è che la distanza minima di localizzazione del radar aumenta; infatti più è grande la durata dell'impulso e più a lungo il ricevitore è escluso dalla ricezione. La seconda conseguenza è che peggiora il potere separatore in distanza, ossia la distanza minima a cui possono trovarsi due bersagli perchè il radar riceva distinti i due echi da essi riflessi. Molti radar sono progettati per poter variare la durata dell'impulso in relazione alle esigenze operative.

- Frequenza di ripetizione degli impulsi (P.R.F.): tale parametro esprime il numero degli impulsi trasmessi in un secondo e definisce la massima distanza non ambigua del radar. Il suo inverso, detto "tempo di ripetizione degli impulsi "P.R.T.", esprime l'intervallo di tempo esistente tra la partenza di un impulso e il successivo. Se la PRF è alta, e quindi il PRT è basso, può succedere che l'eco riflesso da un bersaglio molto lontano venga ricevuto dopo che è stato trasmesso l'impulso successivo e che il radar si trovi nell'ambiguità di stabilire a quale impulso riferire l'eco e cioè di determinare la distanza del bersaglio. Più bassa è la PRF e maggiore è la massima distanza non ambigua del radar. Molti radar moderni sono progettati per variare la PRF.

- Frequenza di lavoro (f0): tale parametro esprime la frequenza di modulazione dell'impulso trasmesso ed influenza la portata e la direttività dell'antenna. All'aumentare della frequenza di lavoro, diminuisce la lunghezza d'onda (λλλλ = c/f) e conseguentemente le dimensioni fisiche dell'antenna necessarie per ottenere la direttività di irradiazione/ricezione desiderata. A parità di dimensioni fisiche dell'antenna, al crescere della frequenza di lavoro, aumenta la direttività dell'antenna e quindi la precisione nella misura delle coordinate angolari del bersaglio. La frequenza di lavoro influisce anche sulla portata nel senso che l'assorbimento/dispersione operata dall'atmosfera è maggiore per le frequenze più elevate; frequenze basse consentono portate maggiori e viceversa.

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- Potenza di Picco (Pp); tale parametro indica la potenza contenuta nel singolo pacchetto impulsivo. Maggiore è la potenza di picco a parità di durata dell'impulso e più estesa è la gittata ottenibile.

- Potenza Media (Pm): tale parametro indica, invece, la potenza trasmessa in un intero ciclo di lavoro (impulso di trasmissione più intervallo di ricezione).

Per quanto attiene l'accuratezza nella determinazione della distanza di un sistema radar impulsivo, questa dipende innanzitutto dall'abilità del sistema a misurare la distanza in termini di tempo. Difatti la radiazione em viaggia nello spazio alla velocità costante di 300.000 Km/sec, pari a 300 m/µµµµs. Quando essa viene reirradiata da qualche ostacolo, non vi sono perdite in velocità, ma solamente una reirradiazione di contenuto energetico ovviamente inferiore. Ebbene, la distanza è determinata dal tempo richiesto dalle onde em per effettuare il percorso di andata e ritorno dalla sorgente al bersaglio; cioè:

Rc t

=⋅

2

Per poter impiegare una tale relazione è necessario misurare con estrema esattezza il tempo. Per la misurazione del tempo di ritardo nella ricezione dell'eco rispetto all'impulso che lo ha generato i radar utilizzano il tubo a raggi catodici " trc "( da questo tempo si può risalire direttamente al dato di distanza a cui è posto il bersaglio). 3. COMPONENTI PRINCIPALI DI UN RADAR IMPULSIVO I radar variano considerevolmente fra loro a seconda delle particolari funzioni che essi sono destinati a svolgere, anche se i principi di base sono essenzialmente gli stessi. Un tipico radar impulsivo comprende sette componenti base, oltre il sistema di alimentazione: generatore di sincronismo, modulatore, trasmettitore, duplexer, sistema antenna, ricevitore, indicatore. Le interconnessioni logiche fra i predetti componenti sono illustrate in figura 55, mentre nel seguito ne saranno considerate le funzioni.

Fig. 55

Da notare comunque che una tale schematizzazione è puramente indicativa; difatti non sempre sono con evidenza distinguibili, nei complessi schemi generali dei radar moderni, le parti in cui è stato, per comodità didattica, suddiviso un tipico radar impulsivo.

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a. Generatore di sincronismo Il generatore di sincronismo o pilota di cadenza è un complesso elettronico che ad intervalli di tempo prefissati e pari a PRT, genera impulsi di "trigger" di durata praticamente infinitesima. La cadenza di questi impulsi è strettamente legata alla distanza alla quale il radar deve operare e pertanto l'intervallo fra un impulso ed il successivo può essere opportunamente variato (anche in maniera caotica per questioni legate alle contromisure elettroniche). Tali impulsi di trigger sono inviati contemporaneamente sia al modulatore che all'indicatore, e ciò per consentire, da un verso, la trasmissione dell'impulso em a radiofrequenza, dall'altro la partenza della base dei tempi sul trc.

b. Modulatore

È il primo stadio del sistema trasmettitore e sovrintende alla formazione di un impulso (generalmente rettangolare) di elevata potenza. Ciò si verifica ogni qualvolta riceve in ingresso un impulso di trigger. La durata dell'impulso di modulazione sarà poi direttamente proporzionale al contenuto energetico del singolo "pacchetto em" in partenza dall'antenna. Potenza elevata e forma d'onda rigorosamente rettangolare sono parametri di bontà di un modulatore. Il primo parametro determina il valore della potenza di picco, il secondo determina la precisione nella misura della distanza.

c. Trasmettitore

L'onda quadra in uscita dal modulatore perviene ad un generatore di potenza a r.f.. Questo oscilla per tutto il tempo che gli viene applicata la tensione e fornisce in uscita un treno d'onde em di elevata intensità che attraverso un opportuno condotto (guida d'onda o cavo coassiale), è inviato in antenna. Il cuore del trasmettitore è dunque un oscillatore di potenza. Il magnetron è stato per molto tempo il capostipite degli oscillatori di potenza; ma agli inizi degli anni '80 ha dovuto cedere il passo al Travelling Wave Tube (TWT) di caratteristiche ben superiori. La frequenza di lavoro dei radar può essere compresa fra 1 Mhz e 100.000 Mhz, ma in pratica la stragrande maggioranza dei radar lavora fra 1.000 e 10.000 Mhz. Il limite minimo di frequenza è legato alle dimensioni dell'antenna (a parità di caratteristiche di irradiazione, minore è la frequenza di lavoro e maggiore è la dimensione dell'antenna), mentre quello massimo è prevalentemente limitato dal fenomeno dell'assorbimento e attenuazione da parte dell'atmosfera. Per ciò che riguarda la potenza di picco essa varia grandemente a seconda del tipo e delle caratteristiche del radar e cioè da frazioni di kilowatt a centinaia di kilowatt.

d. Duplexer

L'energia a r.f. prodotta dall'oscillatore di potenza viene inviata al sistema antenna; ma allo scopo di averne una sola che funga alternativamente da elemento ultimo di trasmissione e da elemento primo di ricezione, è impiegato un dispositivo chiamato duplexer. Questo dispositivo consente in definitiva il transito di tutta la potenza del trasmettitore verso l'antenna (bloccando la via al ricevitore) e subito dopo, "commutandosi", raccogliere l'eventuale potenza in ricezione ( le potenze in ricezione sono dell'ordine di 10-12 watt). Ne esistono fondamentalmente di due tipi, detti "Balanced duplexer" e "Circolatori a ferrite".

e. Sistema antenna

È costituito essenzialmente da giunti ruotanti e dall'antenna vera e propria. I giunti ruotanti sono necessari in quanto hanno lo scopo di assicurare il collegamento fra l'antenna e la rimanente parte dell'apparato che è fissa; purtroppo la presenza di questi giunti è causa di attenuazioni dell'energia a r.f. tutt'altro che trascurabili.

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Fig. 56

A seconda del tipo di radar possiamo trovare zero, uno o due giunti rotanti. Difatti nei radar di scoperta esiste normalmente il solo giunto di brandeggio (fig. 56b) (in quelli tridimensionali la scansione in quota è fatta elettronicamente), ma vi sono recenti radar le cui antenne non hanno alcun movimento e ambedue le scansioni principali avvengono elettronicamente (fig. 56a); nei radar del tiro normalmente ci sono due giunti rotanti: uno per il brandeggio e uno per l'elevazione (fig. 56c). L'antenna vera e propria è, in estrema sintesi, un trasduttore fra propagazione guidata (guida d'onda) e propagazione nello spazio libero, ed oltre a permettere la direttività della emissione, è normalmente impiegata sia per la trasmissione che per la ricezione. Per direttività di un antenna si intende la capacità di concentrare l'emissione a r.f. in un angolo solido. Tale parametro caratteristico è chiamato guadagno di direttività e quantizza il grado di concentrazione dell'energia em in una direzione preferenziale.

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Si dimostra inoltre che a parità di frequenza di lavoro, il lobo è tanto più stretto in un determinato piano, quanto più le dimensioni dell'antenna (in quello specifico piano) sono elevate: ad esempio, osservando una tipica antenna di un radar di scoperta, il lobo di emissione sarà più sottile nella dimensione più larga dell'antenna e più largo nella sezione più stretta dell'antenna ("fan beam" o fascio a ventaglio).

f. Ricevitore È quel complesso elettronico che gestisce ed elabora il debolissimo segnale d'eco pervenuto all'antenna per renderlo idoneo alla rappresentazione video sull'indicatore. La potenza dell'eco ricevuto (10-12 Watt) è microscopica rispetto a quella del segnale trasmesso (105 watt), ma il ricevitore è così sensibile da riuscire a rilevarne la presenza, discriminando il segnale dal rumore. Esso, infatti, per massimizzare il rapporto tra l'ampiezza del segnale e quella del rumore (signal/noise - S/N) amplifica in modo selettivo solo nella banda di frequenza in cui é contenuto il segnale.

g. Indicatore

Elemento di interfaccia uomo-macchina, l'indicatore, normalmente costituito da un trc, riceve in ingresso sia il segnale di sincronismo, che stabilisce l'attimo di partenza dell'impulso a r.f., sia l'eventuale segnale d'eco proveniente dall'uscita del ricevitore e fornisce all'operatore le opportune informazioni sui bersagli.

Fig. 57

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Vari sono i tipi di rappresentazione possibili e la scelta è per lo più motivata da fattori legati ai particolari parametri operativi che si vogliono evidenziare. La rappresentazione tipo "A" (fig. 57a) evidenzia in ascisse la distanza ed in ordinata l'ampiezza degli echi. Una variante molto usata nelle apparecchiature di direzione del tiro è l' "A/R" (fig. 57b) in cui la selezione della distanza è individuata da una deflessione in basso del pennello elettronico in corrispondenza della distanza del bersaglio, mentre un particolare dispositivo tecnico realizza l'espansione di un tratto della distanza a cavallo del gradino. La rappresentazione tipo "B" ha in ascissa l'azimuth ed in ordinata la distanza (fig. 57c). La rappresentazione tipo "E" ha in ascissa la distanza ed in ordinata la quota (fig. 57d). Una variante è la "E/RHI" dove l'eco può essere individuato anche in coordinate polari (fig. 57e). La rappresentazione "PPI" (Plan Position Indicator) (fig. 57f), è la rappresentazione di gran lunga più diffusa, e dà una visione panoramica tipo "carta geografica". Del bersaglio in ultima analisi si ricavano le informazioni di distanza e di rilevamento. In questo tipo di rappresentazione l'asse dei tempi ruota alla stessa velocità dell'antenna in modo tale che, istante per istante, la direzione della traccia del pennellino elettronico sia coincidente con l'asse principale di irradiazione.

4. TRASMISSIONE A ONDA CONTINUA Qualora si operi in emissione continua e cioè senza interruzione nell'emissione di energia a r.f., non sarà in generale possibile la misura della distanza dal bersaglio; in compenso si potrà rilevare con esattezza il valore della componente della velocità relativa sulla linea di mira. Tale importante parametro si ottiene in virtù dell'effetto Doppler, che come noto è causa di uno spostamento della frequenza di emissione in funzione della velocità relativa sulla linea di mira (figura 58). Si dimostra che questo spostamento in frequenza vale:

FdVr

= ±⋅2

λ

dove λ è la lunghezza d'onda di lavoro ed il segno dipende dal senso di Vr (bersaglio in allontanamento o in avvicinamento). Questo termine sarà di segno positivo o negativo a seconda che il bersaglio sia in avvicinamento o in allontanamento.

Fig. 58

5. RADAR DEL TIRO Compito primario di qualsiasi radar è la percezione conseguente la comparsa di una nuova entità (bersaglio, oggetto, fenomeno atmosferico, ecc.), nonchè la determinazione della esatta posizione, rispetto ad un sistema di riferimento convenuto, dell'oggetto di interesse. In prima approssimazione

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tutti i radar hanno il compito sopra esposto; pur tuttavia esiste una netta distinzione fra sensori che si occupano esclusivamente di scoprire i bersagli nell'intero arco dei 360° e sensori che hanno come incarico principale quello di intervenire su un singolo bersaglio alla volta. Ecco che allora risulta giustificata la dizione: radar di scoperta e radar del tiro. È chiaro che quest'ultimo tipo di sensore non potrà che avere una figura di irradiazione altamente direttiva e una volta "visto" il bersaglio ne fornirà le coordinate in maniera continua. Per contro i sensori di scoperta oltre ad avere delle figure di irradiazione più grandi forniranno le coordinate del bersaglio in maniera discreta. Dato che chi conduce un'arma è il radar del tiro in quanto ottimizzato per svolgere questa funzione, si presenta il problema di far si che esso faccia proprio (ovverosia acquisisca) il bersaglio già individuato dal sensore di scoperta. Il procedimento tramite il quale avviene il travaso di informazioni fra apparecchiature di scoperta e radar del tiro, prende il nome di "designazione" e viene attuato in forma automatica o semiautomatica da particolari consolle di valutazione poste in Centrale Operativa di Combattimento (COC) o in Stazione Controllo Armi (SCA). La designazione consiste dunque nel far si che il radar del tiro si posizioni sulle coordinate misurate dal sensore di scoperta.

Ma l'imprecisione di cui sono affette le coordinate designate è tale che, a causa della elevata direttività del proprio lobo, un radar del tiro ben difficilmente riuscirebbe a "vedere" il bersaglio. È quindi necessario che esso, all'atto della designazione compia una particolare scansione, in elevazione e brandeggio, a cavallo delle coordinate designate, atta a rendere più probabile l'avvistamento del bersaglio. Questa operazione di presa sotto controllo del bersaglio da parte del radar del tiro si chiama "acquisizione". 6. SCANSIONI DI ACQUISIZIONE La figura di scansione dipende dal tipo di designazione ricevuta e cioè da quali coordinate sono disponibili, nonchè dal loro grado di precisione.

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I principali tipi di scansione di acquisizione sono: - scansione a otto rovesciato - scansione a TV. a. Scansione a otto rovesciato

La scansione a otto rovesciato è impiegata in tutti i casi di designazione nei quali è disponibile il valore del sito del bersaglio (radar tridimensionale, radar tiro, apparecchiature di punteria ottica). Essa viene ottenuta sovrapponendo ad un moto oscillatorio in brandeggio dell'antenna, un moto oscillatorio in elevazione del feeder d'antenna. Il periodo dell'oscillazione in brandeggio è doppio di quello in elevazione, per cui la figura risultante è simile ad un otto rovesciato (fig. 59). La scansione così ottenuta è centrata (in elevazione ed in azimuth) sulle coordinate angolari designate. Le dimensioni dell'otto rovesciato specificate in figura sono quelle normalmente adottate nei nostri radar tiro. Esse sono statisticamente tali da compensare le imprecisioni in sito e Rlv della fonte di designazione. Mentre l'antenna radar descrive la scansione ad otto rovesciato, la "porta in distanza" (ovverosia la distanza selezionata dal radar) viene posizionata in corrispondenza della "X" designata (quando tale dato non è disponibile essa è mantenuta ad un valore fisso predeterminato). Non appena il radar scopre l'eco del bersaglio, il moto di scansione viene automaticamente bloccato ed il sistema è pronto per un continuo ed autonomo controllo di quel bersaglio (inseguimento automatico).

Fig. 59

b. Scansione TV

La scansione TV è impiegata in quei casi in cui non è disponibile il dato di sito del bersaglio (designazione da radar di scoperta bidimensionale, oppure apparecchiatura di G.E.). In questo caso è chiaro che l'ampiezza della figura di scansione dovrà essere molto cospicua in senso verticale, in modo da compensare la non conoscenza del valore del sito del bersaglio (fig. 60). Questo tipo di scansione è ottenuto bloccando l'antenna sull'azimuth designato e facendole descrivere una lenta oscillazione in elevazione, a cui si sovrappone una rapida oscillazione del

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"feeder d'antenna" in brandeggio (le dimensioni effettive della figura sono in effetti leggermente superiori, a causa della copertura elettrica del lobo).

Fig. 60

La geometria risultante è detta appunto "a TV" in quanto lo spazio viene esplorato per righe parallele, come avviene in una scansione televisiva. Anche in questo caso l'acquisizione del bersaglio ed il successivo passaggio in punteria automatica avviene non appena al radar perviene l'eco del bersaglio. L'essenziale, sia nel caso di scansione ad otto rovesciato che in quello a TV, è che l'ampiezza angolare della figura descritta sia tale da compensare le imprecisioni delle coordinate designate dall'apparecchiatura di scoperta. 7. LA PUNTERIA Il problema principale che deve risolvere un radar del tiro è quello di mantenersi costantemente puntato sul bersaglio oggetto di interesse. Ciò consente in definitiva, attraverso l'utilizzo di un calcolatore, di ricavare quegli elementi indispensabili per consentire al lanciatore (cannone o lanciatore per missili) di assumere l'appropriato orientamento acciocchè l'arma lanciata, proietto o missile, colpisca il bersaglio. Normalmente è consuetudine suddividere questa problematica in due sezioni: punteria angolare ed inseguimento in distanza. a. La punteria in angoli

Mantenere il radar puntato in angoli sul bersaglio significa poter discriminare istante per istante gli errori angolari di punteria, ovverosia di quanto angolarmente la linea di punteria si discosta dalla linea di mira. Mediante delle particolari tecniche di ricerca il radar del tiro ricava, istante per istante, l'errore angolare esistente tra la linea di punteria e la linea di mira per fornirlo al calcolatore associato allo scopo di annullare tale errore angolare. Queste tecniche di ricerca vengono denominate "scansioni di punteria".

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Le scansioni di punteria più usate sono: - la scansione sequenziale (o a commutazione di lobi); - la scansione conica; - la scansione monoimpulso (o monopulse). Di queste, la scansione sequenziale è impiegata solo in alcune applicazioni (radar di inseguimento installato sui missili Sup.Sup., dove interessa il solo errore in azimuth) e consiste nel commutare il fascio di irradiazione alternativamente fra due posizioni (fig. 61).

Fig. 61

La differenza di ampiezza dei due segnali d'eco ottenuta nelle due posizioni, rappresenta una misura dello scostamento angolare del bersaglio dalla direzione di riferimento, ovverosia il valore del segnale errore angolare di punteria. I. La scansione conica

Un dato bersaglio che si trovi all'interno del lobo di emissione radar, dà luogo ad un eco di intensità tanto maggiore quanto più la sua posizione è prossima all'asse di simmetria del lobo. Viceversa, quanto più il bersaglio è spostato verso la periferia del lobo, tanto minore risulta il livello del segnale riflesso. Questo perchè l'energia em irradiata tende a propagarsi preferenzialmente lungo l'asse principale del lobo (in corrispondenza del quale si ha la massima densità di energia), mentre a mano a mano che ci si allontana dalla direzione di propagazione preferenziale, la densità di energia diminuisce progressivamente.

Fig. 62

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Supponiamo ora di sfalsare di un certo angolo (detto di squint) l'asse del lobo radar rispetto all'asse di simmetria (o geometrico dell'antenna) e di imprimere meccanicamente al terminale della guida d'onda (feeder), e quindi al lobo di irradiazione, una certa rotazione angolare (≅≅≅≅100 Hz). Così facendo l'asse del lobo descriverà nello spazio un cono di semiapertura Θ, con vertice nel centro dell'antenna, il cui asse di simmetria diventa anche asse della scansione (fig. 62). Consideriamo ora un bersaglio (fig. 63) che si trovi esattamente sull'asse geometrico dell'antenna (bersaglio perfettamente in punteria). In questo caso l'aereo, irradiato ad ogni impulso sempre dalla stessa quantità di energia, darà luogo ad echi riflessi tutti della stessa intensità. L'uscita da un ipotetico rivelatore di inviluppo risulterà dunque essere un segnale continuo di ampiezza costante (assenza di errore di punteria angolare).

Fig. 63

Se invece il bersaglio non si trovi lungo l'asse di scansione conica (fig. 64), l'ampiezza degli echi riflessi sarà massima quando il lobo radar si troverà nel punto più vicino al bersaglio (come in figura), mentre sarà minima nella posizione opposta. Quando il lobo si troverà in qualsiasi altra posizione intermedia, anche il livello del segnale assumerà valori intermedi. Se ora esaminiamo come variano nel tempo le ampiezze degli echi riflessi troveremo un andamento di tipo sinusoidale la cui frequenza sarà ovviamente quella della scansione conica stessa. Se dunque indichiamo con A l'ampiezza della profondità di modulazione, l'errore di fuori punteria sarà e=k⋅⋅⋅⋅A, dove k rappresenta una costante di proporzionalità dipendente dalle caratteristiche del radar (squint-angle, ampiezza del lobo, ecc.). Ma non è solo questo il dato necessario per individuare con esattezza l'errore di fuori punteria; è difatti indispensabile anche la conoscenza della direzione verso la quale si è verificato questo errore.

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Questo è ottenuto attraverso la comparazione fra la fase del segnale ricevuto e la fase di due segnali sinusoidali di riferimento (sfasati tra loro di 90°) forniti da un generatore bifase. Tali comparazioni forniranno l'errore in azimuth e l'errore in elevazione.

Fig. 64

II. La scansione monopulse Le tecniche che realizzano l'estrazione dell'errore angolare da un singolo impulso sono dette "monopulse" ed utilizzano simultaneamente più fasci di emissione. Tale tecnica, applicata nell'ambito dei radar del tiro, impiega quattro fasci d'antenna parzialmente sovrapposti per ottenere l'errore angolare sia in elevazione che in brandeggio. I quattro fasci sono generati illuminando un unico riflettore con quattro radiatori (feed-horns) disposti simmetricamente rispetto all'asse geometrico dell'antenna in maniera tale che dalle quattro trombe escano contemporaneamente quattro sub-impulsi di uguale contenuto energetico. Se il bersaglio si trova sul prolungamento dell'asse geometrico dell'antenna, il segnale riflesso si distribuirà in egual misura nelle quattro trombe e pertanto le potenze di segnale ricevute dai canali A, B, C e D saranno tutte di egual livello. Se viceversa il bersaglio non si trova in punteria esatta, l'energia ricevuta da ciascun feed-horn varierà in funzione della posizione del bersaglio stesso all'interno del lobo (fig. 65). All'atto pratico i segnali entranti nei quattro feed-horns vengono inviati ad un circuito comparatore in guida d'onda che provvede ad estrarre le seguenti informazioni: - segnale "somma" S = A + B + C + D - segnale "differenza verticale" Dv = (A + C) - (B + D) - segnale "differenza orizzontale" Do = (A + B) - (C + D).

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Gli errori di punteria vengono poi ricavati rapportando i rispettivi segnali differenza al segnale somma S complessivamente ricevuto. Si avrà cioè:

∆ ∆ε α= =Dv

S

D

S

0

Fig. 65

b. Inseguimento in distanza È ovvio che un radar del tiro debba inseguire il bersaglio oltre che in angoli anche in distanza; ciò per fornire al calcolatore associato i parametri necessari per la risoluzione del problema del tiro. La tecnica, ormai generalizzata, che consente l'automatico inseguimento in distanza di un bersaglio, consiste nella generazione di una cosiddetta "porta in distanza". Il punto di mezzo di questa "porta" (in genere larga temporalmente tanto quanto la durata dell'impulso) rappresenta il valore di distanza su cui l'apparecchiatura risulta collimata (fig. 66). Allora accade che, se il ricevitore viene abilitato a ricevere solo nel punto in cui è sistemata la porta in distanza, sarà ricevuto il segnale d'eco solo se l'eco stesso cade entro questo "gate". In tale particolarissimo caso esiste la coincidenza fra distanza su cui l'apparecchiatura risulta collimata e la distanza effettiva del bersaglio. In realtà il gate di distanza è suddiviso in due semi-gate di egual durata: - il primo semi-gate inizia nell'istante di attivazione del circuito e termina nell'istante di generazione della marca mobile; - il secondo semi-gate inizia all'istante di generazione di quest'ultima per terminare all'istante di disattivazione del circuito.

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Fig. 66 È evidente che, se la marca mobile della distanza è esattamente collimata sull'eco del bersaglio, la parte di energia riflessa che entra nel circuito discriminatore di errore durante il primo semi-gate sarà esattamente uguale a quella che vi entra durante il secondo semi-gate. Se invece la marca mobile della distanza non è collimata sull'eco del bersaglio, sottraendo la quantità entrata nel primo semi-gate da quella entrata nel secondo, è possibile risalire in entità e segno al valore dell'errore in distanza. All'atto pratico l'effetto complessivo del circuito è analogo a quello di "suddividere" l'eco in due parti: - la prima parte (quella entrante nel I° semi-gate) viene fatta passare con la propria polarità; - la seconda parte (quella entrante nel II° semi-gate) passa con polarità negativa. Nel circuito discriminatore di errore il segnale negativo viene sottratto a quello positivo, dando quindi in uscita un segnale errore nullo, positivo o negativo a seconda che il bersaglio sia centrato o meno sulla marca mobile in distanza. Durante la fase di tracking automatico, l'ampiezza del gate è pari alla durata dell'impulso; durante la fase di acquisizione invece (precedente alla fase di inseguimento), il gate di distanza ha valori notevolmente maggiori (circa 1500 m), e ciò allo scopo di facilitare l'operatore nella collimazione iniziale dell'eco.

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CAPITOLO IX

CANNONI IN SERVIZIO

1. CANNONE DA 127/54 C, OTO MELARA a. Introduzione

Il cannone da 127/54 Compatto è costruito dalla società nazionale OTO MELARA, che ne iniziò la produzione dal 1971. È un cannone idoneo al tiro antinave contro bersagli di medio e piccolo tonnellaggio, al tiro controcosta di appoggio/interdizione e contro aerei e/o missili di medie prestazioni. Le caratteristiche principali sono le seguenti: - Affusto : Peso complessivo con tutte le munizioni 37,1 t Peso totale senza munizioni 34 t Munizioni di pronto impiego 66+3 colpi Ritmo di fuoco massimo 45 colpi/min - Massa rinculante : Lunghezza della canna 6,86 m Pressione massima 2750 Kg/cm2 Velocità iniziale del proietto 808 m/sec Lunghezza massima del rinculo 400 mm Raffreddamento ad acqua 1 Lt/sec Gittata max/Ordinata max 24,6 Km/14 Km - Brandeggio: Arco di brandeggio 330° Velocità massima 40°/sec Accelerazione massima 45°/sec2 - Elevazione: Arco di elevazione da -15° a + 85° Velocità massima 30°/sec Accelerazione massima 40°/sec2 - Munizionamento : Peso complessivo 47,1 Kg Lunghezza complessiva 1553,8 mm Tipo proietto granata dirompente proietto inerte Peso proietto 31,7 Kg Tipo propellente SPD-SPDF Peso carica di lancio 8,050 Kg Spoletta (di ogiva) a urto radiospoletta/urto tempo/urto - Operatori: 1 operatore alla consolle del C° Impianto più eventuali rifornitori in numero da 4 a 8 in relazione al ritmo di fuoco.

b. Considerazioni di massima

Il cannone da 127/54 è stato progettato per soddisfare i seguenti requisiti tecnico/operativi:

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- struttura compatta in lega leggera di alluminio, per ridurre le dimensioni e il peso dell'affusto e consentirne la sistemazione a bordo sia di unità di medio, che di piccolo tonnellaggio;

- elevato ritmo di fuoco, selezionabile a comando in relazione alle modalità di impiego; - cospicuo numero di colpi di pronto impiego, per assicurare un'azione di fuoco prolungata, senza

doverla interrompere per esigenze di rifornimento; - elevate prestazioni degli asservimenti, in modo tale da ottenere grande manovrabilitá, prontezza di

intervento e precisione nella risposta; - possibilità di sparare vario tipo di munizionamento, senza dover attuare alcun preventivo

accorgimento in fase di rifornimento dal deposito; - tenuta stagna all'acqua e al fall-out atomico; - alta affidabilità di funzionamento, ottenuta aumentando il grado di automazione e adottando

microinterruttori di prossimità per i consensi logici; - completo automatismo delle operazioni di rifornimento, caricamento e sparo, compresa la selezione

automatica dei colpi da sparare. c. Descrizione generale dell'impianto

Il 127/54 (fig. 67) è un cannone che con i suoi 66 colpi pronti al tiro può attuare una immediata e possente azione di fuoco con l'intervento del solo operatore alla consolle. Lo scudo dell'impianto, in fibra di vetro, è a tenuta stagna e protegge tutta la massa brandeggiante. I due portelli laterali consentono l'accesso di personale per interventi di carattere manutentivo. L'impianto è normalmente telecomandato dall'ADT, ma per esigenze particolari il fuoco può essere eseguito anche localmente dal C° Impianto attraverso una consolle, ubicata in prossimità delle tre giostre. Attraverso l'impiego di segnalazioni luminose, la consolle visualizza gli assetti dei principali componenti dell'impianto, la situazione istantanea del ciclo di rifornimento e di caricamento delle munizioni e, mediante appositi comandi, predispone l'attuazione di tutte le fasi di funzionamento normali e di emergenza. Con cannone pronto al tiro, basta la presenza del solo C° Impianto per effettuare all'istante, con un'isteresi di soli 5 secondi dall'ordine di telecomando, una possente azione di fuoco con i 66 colpi predisposti sulle giostre. Se poi sono in funzione anche le norie di rifornimento dai depositi, è possibile sparare un numero continuo di colpi limitato solo dalla vita della canna. Da precisare che il ritmo di fuoco normale di 45 colpi al minuto, può essere ridotto su comando del C° Impianto fino al colpo singolo.

d. Affusto

La piattaforma mobile poggia sulla parte fissa dell'affusto tramite rulli di scorrimento. I movimenti di brandeggio sono attuati da due gruppi motoriduttori, uno per lato, ciascuno azionato da quattro motori elettrici a magneti permanenti, i cui pignoni di uscita sono accoppiati alla corona di brandeggio della parte fissa. Sulla piattaforma sono montati i due aloni, su cui appoggiano gli orecchioni della culla. La massa oscillante è costituita dalla culla e dalla massa rinculante. Sulla culla è installato il sistema di caricamento, il calcatoio ed il recuperatore. I movimenti di elevazione della culla e quindi della canna sono attuati da un gruppo motoriduttore, azionato da tre motori elettrici montati sull'alone sinistro. Al pignone terminale del gruppo é accoppiato il settore dentato di elevazione solidale alla culla. La massa rinculante è alloggiata nella culla ed è composta dalla canna e dal blocco di culatta che incorpora due freni idraulici disposti simmetricamente rispetto alla canna. Quest'ultima, dotata di un freno di bocca, è avvitata al blocco di culatta ed avvolta da una "camicia" entro cui fluisce l'acqua di raffreddamento. Il blocco di culatta contiene principalmente l'otturatore (di tipo a cuneo con movimento di apertura verticale verso il basso), gli estrattori ed il congegno di accensione che è di tipo elettrico (doppio, per una maggiore affidabilita` di accensione). La canna è di acciaio fucinato e monoblocco.

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Fig. 67

Gli organi elastici si compongono di due freni e controfreni oleodinamici (uno superiore ed uno inferiore), e di un recuperatore oleopneumatico. I due freni, del tipo ad asta e controasta, sono contenuti nella culla, con una estremità dell'asta fissata al blocco di culatta. Il recuperatore è montato sulla culla ed è costituito da un cilindro diviso in due camere da un pistone separatore entro cui è contenuto azoto da un lato e olio dall'altro. L'energia cinetica della massa rinculante durante il ritorno in batteria che è in eccesso, viene dissipata in calore attraverso le luci di strozzamento dei controfreni.

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Il sistema di rifornimento comprende le giostrine, le norie, le cucchiaie di travaso, le giostre, l'elevatore, il traslatore ed i bracci oscillanti. Le due giostrine di rifornimento sono sistemate in deposito munizioni, ciascuna costituita da un corpo rotante con tre alveoli sfasati tra loro di 120° (fig. 68), di cui due affacciati alle feritoie e l'altra alla noria.

Fig. 68

Ad ogni passo di 120° della giostrina, un servente colloca la carica nell'alveolo di una feritoia mentre un secondo servente carica il proietto nell'altra feritoia sopra la carica che nel frattempo gli si è presentata: il terzo alveolo invece presenta alla noria una munizione completa per il successivo prelievo. Le due norie attingono alle due giostrine e provvedono al trasporto delle munizioni dal deposito fino al piano delle giostre. Ciascuna noria è costituita da una catena, che trascina una serie di carrelli e di selle di prelievo cartucce, che muovono entro un tubo fisso di guida. Le munizioni arrivano sul piano delle giostre (fig.69 e 70) e attraverso opportuni dispositivi vengono collocate negli alveoli delle giostre stesse ognuna delle quali può contenere 22 cartucce. In posizione centrale alle tre giostre è situato l'elevatore che preleva la cartuccia dalla giostra su cui è selezionato, e la trasferisce sulla piattaforma mobile dell'affusto in potere di un altro organo chiamato "traslatore".

Fig. 69 Il traslatore è formato da due cucchiaie, che si muovono solidali in senso orizzontale fra una posizione centrale, ove alternativamente ricevono le munizioni dall'elevatore, e una posizione laterale, in cui cedono la cartuccia al braccio oscillante.

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Fig. 70

I due bracci oscillanti sono fulcrati sull'asse degli orecchioni ai due lati della massa oscillante. Essi ruotano alternativamente ed in senso inverso per trasferire le cartucce dal traslatore alle cucchiaie di caricamento (poste ai lati della culla). L'ampiezza della rotazione dei bracci è definita automaticamente in funzione dell'elevazione della canna. Le cucchiaie di caricamento oscillano tra la posizione di prelievo della cartuccia dal braccio relativo, fino alla posizione di caricamento in asse con la canna. Tali cucchiaie muovono in senso inverso tra loro ed in sincronismo con i bracci, cosicchè quando la cucchiaia piena è in posizione di caricamento, quella vuota è pronta a rifornirsi dall'altro braccio. Inoltre, durante la fase di fuoco, entrambe le cucchiaie si trovano in posizione laterale; una vuota e l'altra rifornita della munizione pronta per essere caricata in camera a polvere. Il calcatoio è posto sopra la posizione di caricamento delle cucchiaie. Esso si compone di due catene parallele fra loro dalle quali fuoriescono due sporgenze che spingono la cartuccia in sede di caricamento. Da notare l'esistenza di un circuito scacciafumo che inietta nella canna aria compressa (dopo ogni colpo sparato), allo scopo di espellere i residui gassosi. Un sistema sgombrabossoli infine entra in funzione dopo ogni sparo. Esso si compone di una cucchiaia sgombrabossoli e di un tubo evacuabossoli che mossi da opportuni levismi espellono il bossolo all'esterno dell'impianto. L'energia idraulica necessaria al funzionamento dell'impianto è fornita da quattro centraline oleodinamiche, autonome e sostanzialmente uguali. Due centraline alimentano gli organi idraulici della parte fissa, mentre le altre due alimentano i vari levismi della parte mobile.

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f. Ciclo automatico di rifornimento, caricamento e sparo Il sistema automatico dell'impianto è formato da una concatenazione ciclica di movimenti, durante la quale ciascun organo compie il proprio ciclo in debita fase con gli altri , tornando poi allo stato iniziale. Conviene dunque seguire passo passo il percorso che le cartucce seguono dal deposito munizioni alla canna: - nel deposito munizioni, le cartucce sono collocate a mano su due norie che le sollevano fino al piano

delle giostre; - le due cucchiaie di travaso prelevano le munizioni dalle norie e riforniscono le tre giostre, per

complessivi 66 colpi; - l'elevatore centrale preleva le cartucce da una delle tre giostre e le consegna al traslatore posto in

parte brandeggiante; - i due bracci oscillanti prelevano alternativamente le cartucce dal traslatore e le portano alle due

cucchiaie di caricamento, poste sulla massa oscillante; - le due cucchiaie portano alternativamente le cartucce in asse con la canna, mentre essa rincula e

l'otturatore si apre; - il calcatoio spinge le cartucce in canna, mentre la massa rinculante torna in batteria; - con otturatore chiuso e arma in batteria avviene il fuoco (qualora i consensi di fuoco siano tutti

chiusi); - avvenuto lo sparo l'arma rincula: l'otturatore si apre e gli estrattori scagliano il bossolo nella

cucchiaia sgombrabossoli in asse con la canna; - mentre il cannone ritorna in batteria e carica una nuova munizione, il sistema sgombrabossoli scaglia

il bossolo fuori dall'impianto. 2. CANNONE DA 76/62 C, OTO MELARA a. Introduzione Il cannone da 76/62 compatto è prodotto dalla OTO MELARA, che lo progettò nel 1964 (sulla base del precedente modello MMI) e di cui ne iniziò la produzione nel 1969. Dalle caratteristiche principali dell'impianto si comprende chiaramente perchè questo cannone sia stato considerato in campo mondiale uno dei prodotti migliori realizzati nel decennio 1970/80. È un cannone che è stato adottato da numerose Marine (fra cui quella USA, che lo produce su licenza dal 1975), e che è valido sia per il contrasto antiaereo che antinave. Le caratteristiche principali sono le seguenti: - Affusto : Peso complessivo con tutte le munizioni 8,5 t Munizioni di pronto impiego 80 colpi Ritmo di fuoco massimo 85 colpi/min - Massa rinculante : Lunghezza della canna 4,7 m Pressione massima 3600 Kg/cm2 Velocitá iniziale del proietto 925 m/sec Lunghezza massima del rinculo 370 mm Raffreddamento ad acqua 40 Lt/min Gittata max/Ordinata max 16,4 /11,1 Km - Brandeggio: Arco di brandeggio illimitato Velocitá massima 60°/sec Accelerazione massima 72°/sec2 - Elevazione: Arco di elevazione da -15° a + 85° Velocitá massima 35°/sec Accelerazione massima 72°/sec2 - Munizionamento : Peso cartuccia 12,358 Kg Lunghezza complessiva 907,5 mm

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Tipo proietto dirompente preframmentato perforante inerte Spoletta (di ogiva) ad urto di prossimitá combinata - Operatori: Nessuno (oppure 1 op. alla consolle per ragioni di sicurezza)

Fig. 71

b. Considerazioni di massima

Il cannone (fig. 71) è stato progettato per essere idoneo soprattutto al contrasto ravvicinato di bersagli aerei e missilistici. I criteri base sono stati i sequenti: - affusto di peso ridotto e di limitato ingombro, cosí da poter essere imbarcato anche su navi di piccolo

tonnellaggio; - elevato ritmo di fuoco; - elevato numero di colpi di pronto impiego; - elevata velocità di brandeggio e di elevazione allo scopo di conseguire una elevata prontezza di

intervento; - massimo grado di automazione.

c. Descrizione generale dell'impianto

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Il cannone da 76/62 è completamente automatizzato. È composto da un affusto (dove trovano sede il sistema di rifornimento, il sistema di caricamento/evacuazione dei bossoli) e da un elevatore con giostrina di rifornimento. Affusto ed elevatore costituiscono un unico assieme e brandeggiano su un unico piano di rotolamento: uno sopra coperta e l'altro sotto coperta. L'affusto è realizzato con uso estensivo di strutture in lega leggera di elevata resistenza. L'affusto è coperto da uno scudo monoblocco in fibra di vetro che protegge le strutture contro colpi di mare e fall-out. I sistemi di rifornimento, di caricamento e di evacuazione bossoli, sono completamente automatici. La canna è munita di sistema di raffreddamento ad acqua dolce. Con impianto completamente rifornito possono essere sparati 80 colpi senza intervento di personale e a ritmo di fuoco variabile (da colpo singolo fino a 85 colpi/minuto). La logica di funzionamento dell'impianto (consensi, comandi e segnalazioni) è elettrica con stadi di controllo elettronici.

Fig. 72

d. Affusto

Il piano di rotolamento é costituito da sfere di scorrimento comprese fra la parte fissa (con corona dentata di brandeggio solidale al piano di posa), e la piattaforma mobile del supporto della massa

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oscillante. Fra i due componenti, parte fissa e piattaforma mobile, esiste un sistema di tenuta che impedisce infiltrazioni d'acqua dall'esterno. Gli asservimenti di brandeggio e di elevazione sono elettrici a magneti permanenti e a diodi controllati di tipo modulare (due motori per il movimento in brandeggio e uno per l'elevazione). La trasmissione degli ordini e la discriminazione dell'errore di risposta è attuata a mezzo di componenti sincronici. La massa oscillante è costituita dalla culla, internamente alla quale trova alloggio la massa rinculante, il tamburo di caricamento, il sistema di caricamento/evacuazione dei bossoli, il dispositivo di sgancio e quello di riarmo. La massa rinculante, all'interno della quale sono incorporati gli organi elastici, è composta dalla canna, dal blocco di culatta e dall'otturatore. A volata della canna (di tipo monoblocco) è inserito il freno di bocca che, come noto riduce lo sforzo di rinculo del 35%. A metà della camicia esterna entro cui fluisce l'acqua di raffreddamento, è ricavato il sistema scacciafumo "bore - evacuator".

Gli organi elastici sono costituiti da due freni ad asta e controasta (con pistoni fulcrati sulla culla), e da un recuperatore posto sulla culla stessa.

Il sistema di sgancio è costituito da un complesso di leve poste sul blocco di culatta, attraverso le quali la massa rinculante è liberata dalla posizione di fine rinculo ("cannone ai ganci"), per la fase di ritorno in batteria al momento dello sparo. Il sistema di rifornimento e di caricamento automatico è composto essenzialmente dalla giostrina di rifornimento, dall'elevatore a coclea, dai bracci oscillanti, dal tamburo di caricamento, dalla cucchiaia di caricamento, dal calcatoio, dal tubo sgombrabossoli e dal sistema di sgancio.

Fig. 73

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La giostrina inferiore (fig. 72), fissata alla virola e brandeggiante con essa, ruota in senso orario, trascinando due anelli concentrici con 35 alveoli ciascuno. L'anello interno comunica con l'elevatore a coclea ed a ogni passo, una cartuccia viene prelevata e spinta verso l'alto all'interno di uno dei tubi verticali che compongono l'elevatore. L'elevatore è costituito da nove tubi, entro cui salgono le cartucce spinte da appositi carrelli e trascinati da una catena. I nove tubi della coclea ruotano in senso orario ad ogni passo, per cui la cartuccia, spinta verso l'alto, esegue di fatto uno spostamento elicoidale fino alla "stazione superiore di presa bracci". Ad ogni passo di salita dell'elevatore, corrisponde un passo di rotazione della coclea ed uno della giostrina nello stesso senso. I bracci oscillanti sono sistemati sull'alone sinistro e fulcrati sull'asse degli orecchioni. Essi trasferiscono alternativamente, ad una ad una, le cartucce dalla stazione superiore dell'elevatore, al tamburo di caricamento posto sulla massa oscillante. Quando un braccio consegna la cartuccia all'alveolo del tamburo, l'altro "pinza" la cartuccia sulla stazione dell'elevatore. Il movimento dei bracci (fig. 73) è sincronizzato con quello del tamburo e, ad ogni passo di rotazione di questo, avviene un passo dei bracci (uno in salita e l'altro in discesa). L'ampiezza della rotazione dei bracci è determinata automaticamente in funzione della elevazione della canna. Il tamburo di caricamento, posto sopra alla cucchiaia, si compone di sei alveoli e trasferisce, passo a passo, le cartucce prelevate dai bracci fino alla "stazione di attesa" (fig. 74), per il travaso sulla cucchiaia di caricamento. Il trasferimento sulla cucchiaia avviene quando la massa rinculante si trova ai ganci. L'arrivo della cartuccia sulla cucchiaia di caricamento determina lo sgancio della massa rinculante, il suo ritorno in batteria e quindi lo sparo. Nella successiva fase di rinculo, mentre la cucchiaia di caricamento sale in posizione per ricevere una nuova cartuccia dal tamburo, la cucchiaia evacuabossoli si presenta in asse con la canna, pronta a ricevere il bossolo sparato estratto dalla camera a polvere.

Fig. 74

Durante il ritorno in batteria per lo sparo del colpo successivo, la cucchiaia di caricamento si allinea con l'asse della canna, la cucchiaia evacuabossoli si allinea con il tubo evacuabossoli e, mentre il calcatoio spinge in canna la nuova cartuccia, con un'appendice inferiore costringe il bossolo sparato nel tubo evacuabossoli a fuoriuscire in coperta.

e. Ciclo automatico di rifornimento, caricamento e sparo.

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Se sono attuate le condizioni iniziali (cannone alimentato) massa rinculante ai ganci, catena di rifornimento/caricamento completa di cartucce: 70 in giostrina, 4 in coclea, 2 in elevatore, 1 nel braccio in alto, 3 sul tamburo), all'ordine di allarme, teleavviati i circuiti elettrici ed idraulici, il complesso viene puntato nella direzione comandata dalla ADT, pronto a sparare, nel tempo complessivo di pochi istanti. Se è premuto il pedale di fuoco, il tamburo lascia cadere sulla cucchiaia di caricamento una cartuccia. Tale trasferimento libera dai ganci la massa rinculante, che viene spinta in batteria dal recuperatore ad opera della pressione esistente. Durante il ritorno in batteria, il calcatoio spinge la cartuccia in canna e contemporaneamente spinge fuori dall'affusto il bossolo presente sulla cucchiaia sgombrabossoli. L'otturatore si chiude e, poco prima che il cannone sia completamente in batteria, avviene il fuoco. In effetti non appena la cartuccia cade sulla cucchiaia di caricamento, si realizza una concatenazione ciclica di avvenimenti che coinvolgono rispettivamente il tamburo, i bracci, l'elevatore a coclea e la giostrina; inoltre le cose sono predisposte in maniera tale che ad ogni colpo sparato si presenti sempre una nuova cartuccia sull'ultima stazione pronta per un nuovo ciclo di calcata e sparo.

3. CANNONE DA 76/62 SR , OTO MELARA a. Introduzione

Per rispondere in maniera efficace alla gravissima minaccia rappresentata dai missili antinave del tipo sea-skimmer la OTO MELARA ha concepito e messo a punto l'impianto da 76/62 Super Rapido partendo dal notissimo COMPATTO adottato da più di 40 marine e già prodotto in 600 esemplari. Il concetto fondamentale su cui è basata la filosofia della OTO MELARA in merito alla difesa antimissile verte sul postulato che è necessario colpire il bersaglio il più lontano possibile dalla nave facendo ricorso ad un'arma impiegante munizionamento con spoletta di prossimità e ad effetto terminale molto grande e dispersioni al tiro estremamente ridotta. In tal modo si può far fronte ad attacchi di saturazione effettuati anche con 4 ordigni contemporaneamente in quanto si ha il tempo di ingaggiarli uno dopo l'altro. Ciò non è assolutamente il caso delle armi a corta gittata (CIWS) funzionanti ad impatto diretto poiché essendo efficaci tra 1500 e 4000 metri, la loro capacità di abbattimento non può essere superiore ad un missile per affusto. Per far questo la OTO MELARA è intervenuta sull'arma da 76\62 in tutte e tre le sue componenti fondamentali e cioè: la bocca da fuoco con il suo relativo sistema di alimentazione, la munizione e la spoletta. Il cannone è stato reso in grado di sparare con una cadenza di 120 colpi\min. (durante le prove in balipedio sono stati comunque raggiunti i 139 colp\min.) grazie ad una serie di accorgimenti quali la riduzione della lunghezza del rinculo, del tempo di estrazione bossolo e del tempo di calcata della cartuccia. Il sistema di alimentazione è stato poi completamente ridisegnato tenendo ben presente il fatto che non si deve lanciare la munizione nella calcata a velocità eccessive per evitare di danneggiare il proietto e il cannello. Un'altra caratteristica che è stata notevolmente migliorata è la precisione. Nel Super Rapido le masse in gioco che disturbano la precisione sono molto più leggere ed hanno molto meno coppia. La cucchiaia di caricamento che è la componente che muove trasversalmente alla canna, nel COMPATTO compie uno spostamento di 280 mm. e pesa 50 Kg, quindi ha una certa coppia di disturbo. Nel SUPER RAPIDO muove di 140 mm. e pesa 18 Kg generando quindi una coppia di disturbo nettamente inferiore. Per quanto riguarda il munizionamento, questo è stato notevolmente migliorato grazie all'introduzione del proietto prefragmentato a cubetti di tungsteno.Tale proietto, pesante quanto quello tradizionale, ha efficacia fino a 10 mt di distanza. A 10 mt dal punto di scoppio ci sono infatti varie migliaia di schegge su 360° capaci di bucare 10 mm. di duralluminio.

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b. Affusto L'impianto da 76/62 S.R. è composto da un affusto sul quale sono sistemati: il sistema di alimentazione, il sistema di caricamento, il sistema evacuabossoli, l'elevatore delle munizioni aggregato alla giostrina di rifornimento. I sistemi di rifornimento e di caricamento sono azionati oleodinamicamente mediante una centralina installata sull'affusto, mentre la logica dell'impianto (consensi, comandi e segnalazioni) è elettronica, con stadi di controllo digitale a microprocessori. I bracci di caricamento sono fulcrati sull'asse degli orecchioni, tra la massa oscillante e l'orecchione sinistro. I bracci trasferiscono le cartucce, ad una ad una, dall'elevatore a coclea ("stazione di presa bracci") al tamburo di alimentazione sulla massa oscillante. I bracci di caricamento sono due e si muovono sincronizzati con moto alterno (un braccio con cartuccia sale per rifornire il tamburo, l'altro scende scarico per prelevare una cartuccia dall'elevatore); essi trattengono le cartucce mediante due pinze (una di ogiva e l'altra di fondello) e la loro escursione angolare varia in funzione dell'elevazione della massa oscillante.

Fig. 75

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Il tamburo di alimentazione, trasferisce, passo a passo, le cartucce dalla posizione finale di braccio in alto, all'ultima stazione prima del travaso sulla cucchiaia di caricamento. Il tamburo è sistemato sul lato sinistro della culla e si muove in sincronismo con i bracci . Il sistema di alimentazione comprende la cucchiaia di caricamento ed il sistema evacuazione bossoli ed è la causa primaria dell'incremento del ritmo di fuoco di questo impianto rispetto al compatto. Come si deduce dalla sequenza rappresentata in figura 75, la cucchiaia è sistemata all'interno della culla alla quale è connessa attraverso un sistema articolato di leve che la collegano anche alla massa rinculante. La cucchiaia ha un movimento pendolare dall'alto in basso: quando è in alto è pronta a ricevere la cartuccia dal tamburo di alimentazione e quando è in basso è allineata con la canna, predisposta per la calcata della cartuccia. Durante la discesa per allinearsi con la canna, la cucchiaia aziona il calcatoio e guida la cartuccia durante la calcata. Il movimento verso l'alto della cucchiaia è provocato dalla massa rinculante durante la corsa di rinculo del cannone mentre il movimento verso il basso è provocato dalla cartuccia stessa quando viene travasata sulla cucchiaia. Varie altre migliorie sono state apportate a questo impianto che rappresenta sicuramente una delle macchine più efficienti e affidabili, a parità di calibro, oggi esistenti in campo mondiale.

4. MITRAGLIERA BINATA DA 40/70 C, BREDA a. Introduzione

La mitragliera binata da 40/70 C è un impianto completamente automatico che possiede i seguenti requisiti tecnico/operativi: - comando e controllo operativo a distanza; - servosistemi di elevate prestazioni, che consentono brevissimi tempi di reazione; - affusto a struttura compatta, con peso e dimensioni ridotte; - elevato ritmo di fuoco (600 colpi al minuto; 900 colpi al minuto nel tipo " fast forty"); - elevato numero di cartucce di pronto impiego; - elevata affidabilità e manutenibilità. L'arma è stata progettata per attuare il contrasto ravvicinato di bersagli missilistici, in particolare sea-skimmer, e bersagli aerei di elevate prestazioni. La mitragliera può sparare, fra l'altro, proiettili prefragmentati. Il proietto prefragmentato è il più idoneo per l'impiego antimissile; la radiospoletta di prossimità lavora sull'effetto doppler ed è provvista di un regolatore automatico di livello di soglia che impedisce l'attivazione prematura per effetto degli echi del mare quando si spara contro bersagli a bassissima quota. La figura di frammentazione e la pezzatura delle schegge sono ottimizzate per danneggiare bersagli missilistici. Le caratteristiche principali della mitragliera sono le seguenti:

- Affusto : Peso complessivo con tutte le munizioni 7,3 t Peso totale senza munizioni 5,5 t Munizioni di pronto impiego 736 colpi Ritmo di fuoco massimo 300 c/min per canna Fast Forty 450 c/min per canna - Massa rinculante : Lunghezza della canna 2,8 m Pressione massima 4430 Kg/cm2 Velocità iniziale del proietto 1050 m/sec Lunghezza massima del rinculo 250 mm Raffreddamento ad acqua pressurizzata Gittata max 12.5 Km - Brandeggio: Arco di brandeggio illimitato

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(260° con cavi a torsione) Velocità massima 90°/sec Accelerazione massima 120°/sec2 - Elevazione: Arco di elevazione da -13° a + 85° Velocità massima 60°/sec Accelerazione massima 120°/sec2 - Munizionamento : Peso cartuccia 2,55 Kg Peso proietto 0,880 Kg Lunghezza complessiva 535 mm Tipo proietto granata dirompente preframmentato inerte Spoletta (di ogiva) ad urto di prossimità combinata. - Operatori: nessun operatore, con arma rifornita ed elettricamente alimentata.

Fig. 76

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b. Affusto La massa brandeggiante è costituita dalla piattaforma mobile, che appoggia sulla parte fissa tramite due serie di rulli di scorrimento e da due aloni, che sostengono, tramite gli orecchioni, la massa oscillante. Sulla piattaforma sono sistemati i servomotori di elevazione e di brandeggio e i motori del sistema di rifornimento. Sotto la piattaforma sono fissati il tamburo di rifornimento automatico e i due elevatori inferiori ad esso associati. La massa brandeggiante è esternamente protetta dallo scudo stagno in vetroresina (fig. 76). La massa oscillante poggia dunque sulle orecchioniere dei due aloni e comprende due culle, due sistemi di caricamento automatico, due meccanismi di fuoco, due sistemi di raffreddamento, e due masse rinculanti. La culla contiene gli organi elastici e porta inferiormente il settore dentato su cui impegna il pignone del motore di elevazione. Essa supporta fra l'altro i caricatori automatici ed i calcatoi. I caricatori automatici, uno per canna, funzionano in sincronismo con il rinculo della massa rinculante e trasportano, passo per passo le cartucce, dall'elevatore superiore del sistema di rifornimento fino ai calcatoi disposti in asse con le canne. I calcatoi spingono le cartucce in canna durante il ritorno in batteria della massa rinculante. I meccanismi di fuoco, uno per ogni canna, sono costituiti da elettromagneti che liberano i calcatoi allorquando è premuto il pedale di fuoco (in ADT) e sempre che tutti i consensi, posti sul circuito di fuoco, siano inseriti. Le masse rinculanti, una per canna, comprendono le canne, i blocchi di culatta, gli otturatori, i freni ed i recuperatori. Le due canne sono di tipo monoblocco, collegate al blocco di culatta mediante giunto a baionetta. La rigatura è a passo variabile, decrescente da culatta a volata. A volata delle canne sono fissati due convogliatori conici di fiamma per limitare l'apertura del cono di vampa. I blocchi di culatta sono di acciaio lavorato a forma di prisma e contengono i meccanismi relativi all'apertura e chiusura degli otturatori. Gli otturatori sono del tipo a cuneo, con movimento di apertura verticale verso il basso. Al loro interno è sistemato il congegno di accensione del cannello, del tipo a percussione. Gli organi elastici sono costituiti da molle, montate coassialmente intorno alla canna. I servomotori di brandeggio e di elevazione sono costituiti da motori elettrici in corrente continua di elevate prestazioni. Sull'asservimento di controllo dei motori sono inseriti i fine corsa elettrici, che disalimentano i motori in corrispondenza dei limiti di ingombro geometrico delle canne in elevazione ed in brandeggio. L'alimentazione elettrica può essere inviata sull'affusto mediante cavi a torsione, che consentono i movimenti dell'impianto entro un settore di brandeggio ampio 260°, oppure mediante connettori rotanti che consentono una rotazione illimitata in brandeggio. Il sistema di rifornimento automatico provvede all'immagazzinamento in un tamburo di ben 736 cartucce di pronto impiego e al loro trasferimento fino ai caricatori automatici, tramite due elevatori dell'impianto. Il sistema è suddiviso in due sezioni indipendenti, ciascuno operante per il rifornimento della propria canna. Il sistema è costituito da un tamburo, suddiviso in due sezioni, da due elevatori inferiori, da due elevatori superiori, da due ventagli di trasferimento e da due motori elettrici.

c. Ciclo automatico di rifornimento

Le due sezioni del tamburo occupano ciascuna 180°. Ogni sezione è suddivisa verticalmente in sette guide di scorrimento orizzontale delle munizioni. Le cartucce sono rifornite in clips di 4 colpi ciascuna e inserite a mano in due opportuni scomparti del tamburo, posti all'inizio delle sette guide. Ogni qualvolta gli scomparti sono riempiti, le clips ruotano di 4 passi sulle sette guide trascinate dai meccanismi del traslatore orizzontale. In tal modo si presentano agli scomparti degli alloggi vuoti su cui possono essere predisposte le nuove clips da rifornire. Ad ogni passo di ciascun traslatore, le cartucce, che si presentano alla parte terminale delle sette guide, sono prelevate dal proprio elevatore inferiore e trasportate verticalmente sul corrispondente elevatore superiore.

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Con un unico movimento, che si manifesta ad una velocità sette volte più alta di quella del traslatore, le sette cartucce sono portate sull'elevatore superiore. Ogni quattro passi del traslatore e dell'elevatore inferiore, le clips terminali si svuotano e cadono automaticamente a terra liberando la propria guida. In sincronismo con il funzionamento del ventaglio, l'elevatore superiore esegue lo spostamento verticale di un passo e porta le sette cartucce (in successione), in presa del ventaglio. Ad ogni colpo sparato il caricatore compie un passo verso il calcatoio e presenta un alveolo vuoto alla stazione di arrivo del ventaglio. Il ventaglio compie un passo in sincronismo con il calcatoio prelevando una cartuccia dall'elevatore superiore, che a propria volta si sposta di un passo verso l'alto. Quando l'elevatore superiore si svuota, avviene lo spostamento verticale dell'elevatore inferiore che deposita contemporaneamente sette cartucce sull'elevatore superiore. In sincronismo con l'elevatore inferiore, il traslatore del tamburo compie un passo. Dalle caratteristiche su esposte emerge che la mitragliera binata da 40/70 é un impianto di elevate prestazioni che sono state ulteriormente esaltate dal modello "fast forty" capace di sparare fino a 900 colpi al minuto. La scelta di questo impianto da parte della MMI risiede principalmente nel fatto che la attuale tecnologia consente l'inserimento della spoletta di prossimità in calibri non inferiori ai 40 millimetri.

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PARTE SECONDA

MISSILISTICA

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CAPITOLO 1

IL MISSILE E LA SUA PROPULSIONE 1. INTRODUZIONE I missili comparvero per la prima volta sulle unità navali per sopperire alle limitazione di gittata e di precisione delle armi convenzionali. I primi sistemi missilistici tattici navali erano antiaerei a medio raggio, associati a sensori di scoperta e di punteria capaci di localizzare a debita distanza (e comunque in tempo utile per svolgere tutte le operazioni di approntamento e di lancio) i bersagli aerei attaccanti a media/alta quota. In un recente passato sono stati realizzati missili tattici navali superficie-superficie, a medio/lungo raggio, specificatamente finalizzati per il contrasto di bersagli navali. Una nave da guerra moderna comprende perciò sia sistemi missilistici tattici antiaerei a corto e medio raggio, sia sistemi missilistici antinave a medio e lungo raggio. 2. COSTITUZIONE FISICA DEL MISSILE Il missile è un’arma auto-propulsa dove la spinta è determinata da un getto di gas caldi che fuoriescono ad alta velocità da un condotto opportunamente sagomato detto “ugello”. Tali gas sono generati dalla combustione di un propellente in un vano detto “camera di combustione”. A seconda che il missile sia in grado o meno di modificare la propria traiettoria durante il volo, è rispettivamente definito “missile guidato” (comunemente detto missile) o “missile non guidato” (comunemente chiamato razzo). In questa sede ci occuperemo solo dei missili aerodinamici guidati. In questi la variazione di traiettoria è realizzata generalmente mediante l’orientamento di superfici aerodinamiche comandate dal sistema di guida e/o di governo. La struttura portante di un missile deve essere opportunamente leggera per permettere elevate velocità di volo ma sufficientemente robusta per resistere alle forti accelerazioni longitudinali, che si manifestano nella fase di partenza, e trasversali nella fase di attacco. In generale dunque saranno impiegate leghe in alluminio o in fibra di carbonio non esclusi materiali ceramici laddove le temperature , per surriscaldamento aerodinamico, risultassero tali da compromettere l’integrità del carico pagante. La struttura portante è convenzionalmente suddivisa in tre parti: “naso” o sezione anteriore, “corpo” o sezione centrale, “coda” o sezione posteriore. Il naso ha un profilo aerodinamico atto a conferire al missile le migliori caratteristiche di penetrazione nell’aria alla velocità cui è destinato ad operare. Se questo è propulso con un reattore, sul naso è sistemato il diffusore (talvolta il diffusore è ricavato sul corpo) alla radice delle ali. Il corpo è suddiviso in sezioni, al cui interno hanno sede i componenti del missile, tra i quali principalmente si distinguono: la testa in guerra (o carico pagante), il sistema di guida, il sistema di governo (o autopilota) ed il sistema di propulsione (fig. 77).

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fig. 77

La coda di forma cilindrica rastremata contiene l’ugello o gli ugelli di efflusso di scarico del sistema di propulsione. Tutti i missili tattici, poiché operano nell’atmosfera, dispongono in generale di superfici aerodinamiche (ali o pinne), che si estendono oltre la struttura postante, necessarie a realizzarne la stabilizzazione ed il controllo. Le superfici di stabilizzazione sono fisse rispetto alla struttura del missile, mentre quelle di controllo sono orientabili e mosse dal sistema di guida e/o di governo. 3. LA TESTA IN GUERRA La testa in guerra è la componente del missile contenente l’agente distruttivo del bersaglio ed è attivata dalla spoletta. Le spolette, di tipo analogo a quelle impiegate per i proietti, hanno il duplice compito di far avvenire l’attivazione della carica principale nel momento più opportuno della traiettoria per distruggere o danneggiare il bersaglio e prevenire l’attivazione quando l’esplosione sarebbe in grado di arrecare danni alla piattaforma lanciante. Ovviamente la spoletta a tempo non è usata in campo missilistico, poiché il tempo di volo non è prevedibile al momento del lancio, potendo e dovendo il missile manovrare per colpire il bersaglio. Le teste in guerra maggiormente impiegate sono quelle ad effetto dirompente, continous-rod, perforante, per uso speciale. a. Testa a frammentazione Questa testa sfrutta gli effetti dannosi prodotti sul bersaglio dall’energia cinetica residua dei frammenti del contenitore dell’esplosivo generati dopo lo scoppio. Se l’involucro è pre-inciso, così da dar luogo a schegge di voluta e studiata pezzatura, la testa è detta “pre-frammentata”. La testa a frammentazione è molto efficace contro bersagli aerei e missili, in quanto la distruzione può avvenire anche senza l’impatto diretto con il bersaglio ma semplicemente con i soli frammenti della testa in guerra (armata ovviamente con spolette di prossimità). b. Testa “continous-rod” Questa testa sfrutta l’effetto dannoso prodotto sul bersaglio dall’energia cinetica residua di sbarrette metalliche incernierate alle estremità, che sistemate opportunamente lungo l’involucro della testa in guerra violentemente in fuori dallo scoppio (fig. 78). c. Testa in guerra perforante È specificatamente utilizzata (fig. 79) nei missili antinave laddove è necessario che la munizione esploda non al momento dell’impatto con il bersaglio ma dopo alcuni istanti e cioè quelli necessari alla carica di scoppio per raggiungere i locali interni della nave.

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d. Le teste per uso speciale Sono così definite quelle impiegate per i lanci di addestramento, di valutazione o di sperimentazione. La testa può essere inerte (“dummy”) oppure telemetria. Entrambe sono prive di esplosivo ma hanno dimensioni, peso e forma identiche a quelle in guerra. In particolare la testa telemetria comprende una unità radiotrasmittente che comunica alla nave lanciante gli eventi operativi che accadono sul missile in volo e determinanti alla fine di valutarne l’efficacia.

4. LA PROPULSIONE A GETTO a. Premessa Nella propulsione a getto, l’energia chimica è sfruttata in maniera diretta per portare la massa gassosa dei prodotti di combustione ad alta temperatura, cosicché la sua eiezione all’esterno attraverso l’ugello provochi il moto del veicolo in senso opposto. Il motore può bruciare il combustibile trasportato dal veicolo stesso impiegando come comburente l’aria esterna ed è detto motore a reazione o esoreattore; oppure può bruciare un propellente trasportato dal veicolo comprendente sia la funzione combustibile che quella comburente ed è detto motore a razzo o “endoreattore”.

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Ovviamente gli endoreattori comprendendo già in se il comburente, possono funzionare sia in atmosfera che nel vuoto. b. motori a razzo o endoreattori Nella propulsione a razzo dunque, il missile porta con se un propellente che comprende sia la funzione combustibile che quella ossidante. Tali propellenti possono essere sia liquidi che solidi. I propellenti liquidi sono classificati come monopropellenti 8quando l’ossidante e il combustibile sono contenuti in una fase liquida) ovvero come bipropellente (quando l’ossidante e e il combustibile sono immagazzinati separatamente e miscelati in camera di combustione al momento dell’impiego). Inoltre possono essere criogenici, se in condizioni ambientali standard sono allo stato gassoso; non criogenici, se alle condizioni normali sono già allo stato liquido. I bipropellenti, a propria volta possono essere ipergolici, se le due fasi venendo in contatto tra loro in condizionui di riferimento standard si accendono spontaneamente, viceversa diergolici se è indispensabile un sistema di accensione (candela elettrica, filamento arroventato, carichetta di propellente solido, iniezione di propellente iperbolico, ecc.). I propellenti solidi si distinguono invece in omogenei e compositi. I propellenti omogenei sono analoghi alle polveri di lancio impiegate nel confezionamento delle polveri deflagranti e sono costituiti da uno o più composti chimici la cui molecola contiene, sia elementi con funzione ossidante che elementi con funzione combustibile. I propellenti compositi sono costituiti da un composto chimico con funzione ossidante omogeneamente disperso in un altro composto chimico con funzione combustibile e legante della miscela. Motori a razzo propellente solido Questi motori sono molto semplici, in quanto sono costituiti da una camera di combustione (comprendente il grano propellente), da uno o più ugelli di scarico e da un sistema di accensione. I motori impiegano generalmente un unico grosso grano propellente nel quale, innescata l’accensione la combustione si mantiene autonomamente sostenuta. Il grano propellente è appoggiato su corono circolari oppure è aderente alle pareti, a seconda che le superfici esterne del grano debbano o meno essere infiammate durante la combustione. La forma del grano è solitamente stabilita in modo da mantenere costante (anche ricoprendo alcune parti della superficie esterna con sostanze inibitrici) il quantitativo dei gas prodotti nell’unità di tempo. Ciò in quanto la spinta dipende direttamente dalla superficie istantanea in fiamme e deve generalmente rimanere costante durante il volo. Se la superficie in fiamme è vasta la spinta è elevata e, viceversa, se la superficie in fiamme è ridotta.

Fig. 80

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Per ottenere forti spinte iniziali di breve durata e raggiungere rapidamente la velocità operativa, molti missili adottano motori bistadio. Altri missili, per lo stesso scopo, adottano motori monostadio del tipo DTRM (Dual Thrust racket Motor). In tale motore (fig. 80), la forma del grano propellente e l’uso di sostanze inibitrici fanno si che, durante la combustione, la superficie in fiamme vari grandemente tra la fase iniziale e quella di crociera in maniera che la spinta sia notevole all’inizio e modesta successivamente. Il risultato è analogo a quello del missile bistadio. L’accensione del grano è generalmente attuata per mezzo di una carichetta di polvere nera entro cui è immersa una resistenza elettrica che viene percorsa da corrente al momento dell’attivazione. II. Motori a propellente liquido Gli endoreattori a propellente liquido sono più complessi di quelli a propellente solido. Essi comprendono: uno o più serbatoi, uno o più impianti di alimentazione del propellente, una camera di combustione, un sistema di accensione, uno o più ugelli. Se il motore impiega un monopropellente, necessita di un solo serbatoio e di un solo sistema di alimentazione. Se il motore impiega un bipropellente, i serbatoi e i sistemi di alimentazione sono doppi. Questi ultimi svolgono la funzione di alimentare il propellente in camera di combustione secondo il corretto rapporto di miscelazione e la portata programmata. In figura 81 due fra i numerosi sistemi di pompaggio. Da rimarcare che spesso prima dell’immissione, l’ossidante è fatto circolare intorno alle pareti della camera di combustione allo scopo di raffreddarne le superfici e per aumentare la propria energia potenziale con il calore ricevuto. Il sistema di accensione è presente solo quando il propellente non è di tipo perbolico, ed è normalmente posizionato in prossimità degli iniettori in maniera da interessare opportunamente la miscela. III. CONFRONTO Per quanto concerne le prestazioni, i propellenti liquidi hanno per lungo tempo il campo. La possibilità di conservare il combustibile e il comburente in serbatoi separati ha consentito e consente tuttora l’adozione di combinazioni fortemente energetiche, anche se instabili e molto sensibili in condizione di miscelazione ottimale.

Fig. 81

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Per confronto i propellenti liquidi oltre che costosi da produrre, sono molto volatili, corrosivi, tossici, ed il loro immagazzinamento ed impiego impone grossi vincoli di sicurezza. Il peso del motore, a fronte di quello della testa in guerra, il costo e la complessità, il tempo di approntamento al lancio e la pericolosità derivante dall’impiego dei propellenti liquidi, sono i fattori principali per cui i motori a propellente liquido sono impiegati poco o nulla in campo militare (almeno nel settore tattico). Tali motori sono invece molto usati per voli spaziali, missioni scientifiche e in campo strategico. I propellenti solidi, per contro, offrono facilità di maneggio e di conservazione, sicurezza a basso costo di produzione; sono inoltre semplici, poco costosi e molto affidabili, senza contare il fatto che l’approntamento al lancio consente di realizzare bassissimi tempi di intervento richiesti in campo militare. c. Motori a reazione I motori a reazione utilizzano come ossidante del combustibile trasportato l’aria prelevata all’esterno da un diffusore posto anteriormente o sul corpo del veicolo stesso. Considerando che l’unico elemento dell’aria con azione ossidante è l’ossigeno e che esso è contenuto per circa il 21% del volume complessivo, si comprende facilmente che la quantità di aria da prelevare dall’esterno per far avvenire la combustione completa del combustibile deve essere notevole, soprattutto se la spinta richiesta è molto elevata. È necessario dunque procedere ad una compressione dell’aria. È proprio in base al metodo adottato per eseguire la compressione dell’aria dall’esterno che vengono classificati i motori a reazione. I. Turboreattore Il turboreattore, o turbojet, sfrutta i gas di trasformazione, in uscita dalla camera di combustione, per muovere una turbina sul cui asse è accoppiato un compressore assiale o centrifugo posto a valle del diffusore (fig. 82)

Fig. 82

Tale motore è molto adottato per la propulsione dei missili da crociera a velocità subsonica, perché a tale velocità esso presenta in massimo rendimento. Con rendimenti inferiori il turbojet può lavorare a velocità supersonica (fino a Mach 2), ma in tal caso devono essere adottati diffusori aventi un opportuni avviamento delle sezioni interne per far si che sul compressore la velocità del flusso sia subsonica. La quota limite di impiego è di 15 Km in relazione alla velocità del veicolo e delle caratteristiche del compressore. La camera di combustione è normalmente costituita da più celle, dette “bruciatori”, alimentate in parallelo dagli iniettori di combustibile e tra loro collegate da un tubo regifiamma che consente la trasmissione della combustione dalla camera provvista del sistema di accensione alle altre.

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La turbina è posta a valle della camera di combustione. La spinta prodotta dipende dall velocità di rotazione della turbina e dalla velocità del veicolo, che definiscono il flusso d’aria in ingresso e quindi la quantità di combustibile bruciato. L’avviamento è attuato per mezzo di un motorino ausiliario che porta a regime la turbina. È evidente che il turboreattore consente la partenza del missile anche da fermo. Per incrementare la spinta a basso rendimento, il motore turbojet dispone dei “post-bruciatori”. Questi sono degli scomparti dotati di iniettori, interposti tra la camera di combustione e l’ugello, all’interno dei quali viene attuata l’accensione di combustibile addizionale sfruttando i prodotti parzialmente ossidati in uscita dalla camera di combustione. II. Turbofan Il questo motore (fig. 83) il compressore avvia l’aria, oltre che in ingresso al propulsore, anche in un condotto che avvolge le pareti esterne della camera di combustione fino all’ugello. Gli scambi termodinamici che si verificano sono complessi ed analiticamente onerosi da sviluppare. In questa sede basti dire che l’energia termica acquisita dall’aria che non lavora in turbina aumenta il rendimento del motore e quindi la spinta.

Fig. 83 III. Statoreattore Nello statore la compressione dell’aria è ottenuta a spese dell’energia cinetica dell’aria in ingresso (effetto RAM da cui i motori ramjet). Attraverso il diffusore, l’aria viene rallentata e compressa in maniera esattamente opposta a quanto avviene ai gas di combustione attraverso l’ugello (ove sono accelerati ed espansi) (fig. 84). La camera di combustione è interposta tra il diffusore e l’ugello e porta gli iniettori di combustibile. La pressione dell’aria a valle del diffusore costituisce una barriera che non consente la sfuggita dei gas a proravia del motore. Sottostante la figura 84 è riportato l’andamento della velocità del flusso d’aria/gas combusti, nonché l’andamento delle pressioni. Lo statoreattore è un motore di semplice concezione ed è molto leggero e affidabile per l’assenza di organi rotanti. L’inconveniente principale sta nel fatto che non può funzionare con veicolo fermo e che a velocità diverse da quelle di progetto ha un rendimento molto basso. La quota massima operativa è di circa 30 Km, mentre la velocità limite è di circa Mach 5.

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Fig. 84

d. Confronto tra i motori a razzo e a reazione I motori a razzo (con propellente solido) sono preferibilmente usati in campo militare, per la propulsione dei missili superficie-aria, mentre quelli a reazione (il combustibile è generalmente kerosene) per la propulsione dei missili superficie-superficie. Ciò perché, per la difesa antiaerea ed antimissile, il sistema di propulsione deve assicurare la prontezza al lancio e la rapida assunzione di elevate velocità operative, anche a discapito dell’estensione della traiettoria propulsa; mentre contro i più lenti bersagli navali, il sistema di propulsione deve assicurare una estesa traiettoria propulsa, anche a discapito di un più alto tempo di approntamento e di una più bassa velocità operativa. La gran parte dei missili superficie-superficie da “crociera” o “sea-skimmer” (che realizzano una traiettoria di volo propulso a bassa quota per sfuggire il più possibile alla scoperta radar del bersaglio attaccato), sono infatti dotati di motori turbofan. Difatti la bassa quota di volo, anzichè l’alta velocità favorisce il fattore sorpresa dell’attacco. Alla velocità di Mach 0,9 peraltro, il rendimento del turbojet è ottimizzato e con soli 80 litri di kerosene tali missili sono in grado di percorrere distanze propulse di oltre 200Km.

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CAPITOLO II

I SISTEMI DI GUIDA E DI GOVERNO DEI MISSILI 1. INTRODUZIONE Come oramai noto, per missile guidato si intende un veicolo propulso a getto, non presidiato, capace di trasportare, oltre che un carico utile, i sistemi di controllo della traiettoria allo scopo di modificarla, se necessario, per collidere con il bersaglio. Da questa definizione appaiono evidenti le due funzioni che caratterizzano un'arma di questo tipo rispetto ad un proietto convenzionale: la guida (sistema che confronta la posizione effettiva del veicolo rispetto alla posizione attesa e calcola la giusta traiettoria di intercetto con il bersaglio) ed il governo (l'insieme delle apparecchiature necessarie per mantenere il missile stabile nell'assetto previsto per realizzare la traiettoria calcolata dal sistema di guida). Per attendere alle funzioni di verifica e di correzione della traiettoria di volo del missile, cosicchè essa possa coincidere con la traiettoria desiderata, è necessario che il sistema di guida ed il sistema di governo operino congiuntamente ed in "armonia". In effetti il primo opera sul missile considerandolo come punto materiale in movimento; il sistema di governo invece opera per mantenere il veicolo nel giusto assetto e cioè con gli assi di riferimento missile correttamente orientati. Tanto i comandi di governo che quelli di guida sono applicati in ingresso agli asservimenti di posizione degli organi di controllo (alettoni, deviatori del getto, ecc.), che si muovono per realizzare le rotazioni del missile intorno al baricentro. Da quanto sopra espresso si può rilevare che il sistema di guida comprende apparecchiature (sensori, componenti di calcolo, trasduttori di segnale, ecc.), imbarcate sul missile e/o ubicate esternamente ad esso, mediante cui è possibile: - determinare la traiettoria seguita dal baricentro del missile rispetto al prescelto sistema di riferimento (inerziale o terrestre); - confrontare la traiettoria in atto con quella teorica che realizza la collisione (programmata o calcolata durante il volo); - computare i comandi necessari a realizzare le correzioni di traiettoria desiderate. Il sistema di governo (o autopilota), comprende invece apparecchiature, tutte imbarcate sul missile, mediante cui è possibile: - determinare le indesiderate rotazioni angolari del missile rispetto al suo baricentro; - computare i comandi necessari a mantenere o riportare gli assi di riferimento missile sugli orientamenti prefissati realizzando la traiettoria calcolata dal sistema di guida. Da precisare infine il compito degli organi di controllo o attuatori (alettoni, deviatori del getto, ecc.), che è quello di concretizzare gli ordini ricevuti, in forme e modalità opportune, dal sistema di guida e da quello di governo. 2. CLASSIFICAZIONE DEI SISTEMI DI GUIDA I sistemi di guida attualmente impiegati sono numerosi, e vengono scelti nella maniera più opportuna per adattarli convenientemente al tipo di missione da svolgere: in realtà, anche nell'ambito di una identica missione, possono trovar luogo, all'interno del veicolo, più sistemi di guida (indipendenti o interdipendenti fra di loro). Occorre precisare come la scelta di un sistema di guida dipenda da una miriade di fattori, quali ad esempio, la mobilità o meno dell'obiettivo, la distanza più o meno elevata fra base e bersaglio, l'ubicazione della piattaforma, ecc..

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Nei paragrafi successivi vengono descritti i principi di funzionamento dei sistemi di guida, normalmente utilizzati dai missili tattici: "inerziale", "a comando", "su fascio", "su fascio modificato", "homing o autoguida". 3. GUIDA INERZIALE Il sistema di guida inerziale è di gran lunga il sistema più impiegato per quei missili destinati a portare il carico pagante a distanze medie o elevate (comunque solitamente al di fuori della portata ottico-radar della piattaforma lanciante) e contro bersagli generalmente fermi. Tutti gli apparati costituenti il "modulo di guida" sono contenuti a bordo del veicolo ed operano in questo ambito. In estrema sintesi, tali sistemi elaborano in un calcolatore le informazioni provenienti da sensori particolari detti accelerometri, ed in base ad integrazioni successive, effettuate rispetto ad un sistema di riferimento convenuto e materializzato da una "piattaforma inerziale", si ricavano le informazioni di posizione e di velocità occorrenti alla navigazione. Le caratteristiche intrinseche degli accelerometri risultano essere quindi basilari nei riguardi del grado di precisione raggiungibile dal missile. Lo sviluppo tecnico di questi sensori negli ultimi anni è stato tale che i risultati pratici ottenuti in termini di precisione, hanno rivelato errori contenuti nell'ambito dei cento metri. Il principale vantaggio della guida inerziale è quello di essere assolutamente insensibile ad eventuali contromisure o interferenze elettroniche; tale importante caratteristica discende dal fatto che il sistema di navigazione inerziale è completamente autonomo ed utilizza dispositivi contenuti, come prima detto, unicamente a bordo del missile. Uno schema di larga massima di questo tipo di guida, potrebbe essere ad esempio, quello di figura 85.

Fig. 85

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Ad un computer/discriminatore, difatti, pervengono i dati memorizzati dalla traiettoria programmata e quelli relativi alla posizione effettiva del missile rilevati attraverso i sensori accelerometrici. I segnali errori in uscita, opportunamente elaborati, gestiranno le necessarie correzioni di traiettoria. Nel sistema di navigazione inerziale dunque, viene eseguita la misura diretta delle componenti di accelerazione del mobile secondo un prescelto sistema di riferimento per poi giungere, attraverso successive integrazioni, alla determinazione delle componenti del vettore velocità e degli spazi percorsi. Tale tipo di guida, a base accelerometrica, richiede una accurata misura delle componenti di accelerazione in quanto, un errore seppur lieve in questo dato, provoca una imprecisione in spazio che dipende dal quadrato del tempo trascorso. In definitiva la guida inerziale si attua rilevando e misurando le componenti di accelerazione del baricentro del missile rispetto ad un riferimento prescelto. In tal modo si perviene alla determinazione della velocità e della posizione del missile. Un sistema di guida inerziale comprende perciò: - un sistema di accelerometri, per il rilievo delle accelerazioni del missile rispetto agli assi coordinati; - un sistema di giroscopi, per la definizione ed il mantenimento dell'orientamento degli assi sensibili degli accelerometri con quelli della terna del sistema di riferimento (riferimento inerziale); - un calcolatore, per il computo della posizione istantanea del missile rispetto al sistema di riferimento, per la verifica della aderenza della traiettoria in atto con quella programmata e per il calcolo degli ordini di guida. 4. GUIDA A COMANDO Si definisce guida a comando, quel sistema in cui tutte le istruzioni di guida provengono da una sorgente esterna al missile, all'interno della quale vengono elaborati e attuati gli ordini necessari affinchè il missile possa seguire la traiettoria necessaria all'intercetto con il bersaglio. Sul veicolo sarà sistemata quindi una strumentazione in grado di ricevere ed attuare le istruzioni inviate dalla piattaforma di lancio. A seconda delle modalità e dei mezzi impiegati per la trasmissione degli ordini, si distinguono tre tipi di guida a comando: - Guida a Comando Radar, - Guida a Comando Radio o Teleguida, - Filoguida. a. Guida a comando radar

Nella guida a comando radar il sistema di guida comprende due radar di punteria: uno di essi è utilizzato per inseguire il bersaglio, mentre l'altro è impiegato per inseguire il missile e per trasmettergli i comandi di guida (fig. 86). Le coordinate di posizione del bersaglio e del missile giungono al calcolatore che determina come varia nel tempo la posizione del bersaglio rispetto al missile. Confrontando la traiettoria in atto con quella necessaria all'intercetto, il calcolatore computa l'errore di traiettoria ed elabora gli ordini di guida, che vengono trasmessi al missile mediante un'opportuna variazione di uno dei parametri di funzionamento del radar di track missile (frequenza di lavoro, frequenza di ripetizione degli impulsi, durata degli impulsi, ecc.)

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Fig. 86 b. Guida a comando radio o teleguida

Esiste una elevata similitudine fra la guida a comando radar e radio. Ambedue sono basate sul fatto che un trasmettitore (in questo caso radio) è allocato nella base di lancio ed il ricevitore nel missile. Il trasmettitore invia una frequenza portante modulata in qualche modo in accordo con il comando desiderato fornito dal calcolatore, al quale pervengono al solito i segnali di posizione del missile e quelli del bersaglio. Il ricevitore radio attiva i circuiti di controllo del missile in modo da fornirgli quelle correzioni di volo necessarie per l'impatto. Lo schema di un tale sistema di guida è essenzialmente analogo a quello precedentemente visto. Fra i sistemi teleguidati vi è infine da annoverare la guida ottica e quella televisiva. La guida ottica è impiegata contro bersagli relativamente lenti o fermi, e non eccessivamente lontani; tale sistema consiste, in sintesi, nella manovra a distanza dei timoni dell'arma eseguita da un operatore che dalla stazione di lancio, osserva contemporaneamente il missile (generalmente munito di fuoco indicatore) ed il bersaglio. Per poter fare ciò, l'operatore ha a disposizione un piccolo trasmettitore il cui organo di comando è costituito da una semplice cloche. Spostando tale manopola, l'apparato trasmette un opportuno segnale che viene rivelato dal radioricevitore posto sull'arma e quindi attuato dagli organi di controllo. La guida televisiva è tecnicamente più complessa ma ha possibilità ben superiori rispetto alla precedente. In questo caso il missile trasmette alla stazione di lancio le immagini del bersaglio "visto" dal missile stesso; l'apparecchiatura di teleguida consiste essenzialmente di una telecamera trasmittente sistemata sulla parte ogivale del veicolo, e di uno schermo televisivo posto vicino al puntatore, il quale osservando ciò che l'arma vede è in grado di guidarla sul bersaglio. Originariamente questo sistema di guida era fortemente influenzato dalle condizioni di luce (la guida notturna non era possibile) ed atmosferiche (presenza di nebbia e piovaschi). Attualmente, però, grazie all'impiego di sensori televisivi ad intensificazione di luce questi inconvenienti sono stati superati.

c. Filoguida

La caratteristica principale è che i comandi al missile vengono inviati attraverso una sottilissima coppiola di conduttori di elevate caratteristiche resistenziali e di bassissimo peso.

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Questo sistema di guida ha il grosso pregio di essere inattaccabile dal disturbo/inganno nemico. Le portate sono però ovviamente limitate e connesse con la difficoltà di disporre di una matassa di conduttori (d'ingombro limitato) e di un idoneo sistema per lo svolgimento del cavo. In conseguenza delle basse gittate realizzabili, il sensore generalmente associato al sistema è di tipo ottico o IR. Il principio di funzionamento è analogo alla guida ottica. Come si comprende facilmente, il successo finale della missione dipende grandemente dall'abilità dell'operatore; la probabilità di colpire diminuisce comunque in modo rilevante, a mano a mano che la velocità del bersaglio aumenta.

5. SISTEMA DI GUIDA SU FASCIO (BEAM RIDER) Il concetto di base del sistema di guida beam rider o a fascio direttore, è quello di cercare di mantenere il missile, istante per istante, sulla congiungente sensore-bersaglio. A differenza dei sistemi di guida a comando, nel beam rider è il missile stesso, che in base a create dissimmetrie di un campo elettromagnetico, può ricavare i segnali errori in direzione, senso ed intensità per riportarsi correttamente sulla congiungente sensore-bersaglio. Si nota però che per distanze limitate, il fascio di guida è ancora sufficientemente stretto (le aperture del lobo sono dell'ordine del grado) e le imprecisioni nella guida sono conseguentemente modeste; ma, a mano a mano che le distanze aumentano, il fascio comincia ad essere di dimensioni via via crescente e tale da causare una proporzionale imprecisione nell'intercetto. a. Guida su fascio direttore propriamente detto

É stato uno dei primi sistemi di guida contro bersagli aerei di certe prestazioni ad essere stato realizzato (intorno al '55) e gode di una probabilità di colpire abbastanza modesta. Necessita di due antenne e rende possibile la guida contemporanea di più missili sullo stesso bersaglio in quanto ciascuno di essi manovra indipendentemente per restare al centro del fascio diretto sulla posizione attuale del bersaglio. Per tale scopo, tenuto conto dell'estrema direttività dell'antenna radar, per quanto accurato possa essere il calcolo dell'orientamento del lanciatore, bassa è la probabilità che il missile, al termine della fase booster, durante la quale non è guidato, venga a trovarsi esattamente all'interno del lobo di guida. Come si nota dalla figura 87, è necessario disporre di una apparecchiatura capace di dirigere il missile dal punto di lancio all'asse del lobo di guida. Ciò può essere ottenuto mediante un'altra emissione elettromagnetica che abbia un diagramma di irradiazione decisamente più ampio del lobo di guida. Questo lobo, per così dire secondario, e precisamente detto di cattura, ha il compito di "accompagnare" il missile sull'asse del lobo principale che sappiamo essere diretto, istante per istante, sulla posizione attuale del bersaglio. La cattura e la guida, in riferimento alla conformazione del fascio di onde e.m., sono l'una rispetto all'altra di caratteristiche antitetiche. Difatti: - per assicurare la guida il fascio deve presentare una apertura molto ridotta onde fornire un

quoziente accettabile della profondità di modulazione al variare della distanza angolare del missile dall'asse del cono di esplorazione. La probabilità quindi, che il missile lanciato nello spazio, cada al termine della sua breve fase di moto non guidato, all'interno del fascio, è molto ridotta;

- per assicurare la cattura, ossia per aumentare la probabilità che il missile sia all'interno del fascio all'atto in cui deve iniziare la guida, è ovviamente necessario che l'apertura di questo sia sufficientemente grande. Per risolvere il problema occorre realizzare allora una sovrapposizione coassiale di due fasci di diversa apertura, e rispettivamente: - un fascio stretto, con elevato gradiente del segnale per la guida del missile;

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- un fascio largo, con basso gradiente (e conseguente ampia apertura), per la cattura del missile.

Fig. 87

L'ordine di grandezza dell'apertura del fascio di guida è dell'ordine del grado, mentre quello di cattura è dell'ordine della decina di gradi. Il missile dunque, penetrato nel fascio largo, riceve informazioni dello stesso tipo di quelle che otterrebbe nel fascio di guida, ed è quindi costretto a dirigersi verso l'asse del cono di esplorazione; ciò facendo cade all'interno del fascio stretto che ne completa, con maggiore precisione, la guida fino all'intercetto. Il sistema di guida su fascio è ritenuto ormai superato, fondamentalmente per le dimensioni degli apparati necessari a realizzare i due fasci radar per la guida ed inoltre per l'imprecisione che presenta alle medie e grandi distanze di intercetto. Tenuto conto della condizione da realizzare per la guida, la traiettoria seguita dal missile è definita curva dei tre punti in quanto è necessario che sia sempre verificata la condizione di allineamento sensore- missile-bersaglio, come mostrato in figura 88.

Fig. 88

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Da notare che le massime accelerazioni trasversali si hanno al lancio, durante il volo, o in prossimità dell'impatto a seconda se il bersaglio è in allontanamento, a cavallo del traverso o in avvicinamento. b. Guida su fascio direttore modificato É un sistema di guida dove sono impiegati due radar distinti: il primo per il track del bersaglio ed il secondo per la guida del missile sul fascio, quest'ultimo tenuto costantemente in direzione del punto futuro (fig. 89). Con questo sistema si ha il notevole vantaggio di minimizzare le accelerazioni trasversali cui è soggetto il missile.

Fig. 89

Il punto di collisione, viene determinato da un apposito calcolatore, in funzione degli elementi del moto del bersaglio ricavati dal radar di punteria. Questo sistema, presenta comunque un grosso svantaggio, e cioè quello di poter controllare un solo missile alla volta. 6. SISTEMI DI GUIDA HOMING Per autoguida o guida homing, si intende quel sistema di guida in cui il missile contiene a bordo apparecchiature tali da permettergli di rilevare direttamente la propria posizione rispetto al bersaglio, verificare la cinematica in atto ed elaborare gli ordini di guida per la correzione della traiettoria. A seconda che la sorgente di energia sfruttata per la guida sia il bersaglio stesso, il missile, o la piattaforma lanciante, si distinguono tre tipi diversi di guida homing: - passiva - attiva - semiattiva a. Guida homing passiva In questo tipo di guida il sensore del missile utilizza direttamente una data energia em emessa dal bersaglio stesso. A bordo del missile dunque non è presente alcun trasmettitore, ma esclusivamente un'unità ricevente (in grado di rilevare la presenza del bersaglio) ed un'unità elaborativa capace di determinare direttamente gli elementi cinematici per l'intercetto (fig. 90). Fra tutte le varie frequenze di energia em in "partenza" dal bersaglio, quelle che maggiormente vengono sfruttate per la rivelazione dello stesso sono costituite dalle radiazioni nel campo dell'infrarosso.

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Fig. 90

I sistemi homing passivi possono anche utilizzare una radiazione elettromagnetica generata da eventuali trasmettitori radio o radar installati sul bersaglio (Anti Radiation Missile). In questo caso, naturalmente, si avranno problemi specifici di tecnica elettronica che riguardano la ricerca del segnale proveniente dal bersaglio, la elaborazione dell'informazione relativa alla direzione di provenienza della radiazione, ecc.. In ogni caso il problema più arduo da risolvere è quello relativo alla elevata dinamica che il ricevitore deve possedere nella banda di frequenza e nella ampiezza del segnale da intercettare, in quanto il ricevitore stesso, deve operare nell'ambito di bande di frequenza dei segnali generalmente molto imprecisate. b. Guida homing attiva È quella in cui a bordo del missile è installato un vero e proprio radar impulsivo avente il compito di illuminare il bersaglio e ricevere da questi il segnale riflesso (fig. 91).

Fig. 91

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Uno dei problemi da risolvere per il progettista è quello relativo al limitato spazio disponibile; ciò influisce in definitiva sulle massime portate del radar stesso in conseguenza dell'esigua potenza disponibile del trasmettitore (mediamente 10 Km.). Nel contempo però si ha l'innegabile vantaggio (come anche nel sistema passivo), che il missile agisce come un'unità del tutto indipendente dal suo lanciatore. Ciò è utile, se non necessario, nelle applicazioni in cui il lanciatore è a bordo di un aereo. In questo caso difatti, l'aereo lanciatore, una volta effettuato il lancio del missile, é libero di svolgere una qualsiasi manovra di disimpegno per sfuggire ad una eventuale reazione da parte dell'avversario (sistemi launch and forget). Qualora sia invece necessaria una gittata più elevata si potrebbe guidare il missile con un diverso sistema di guida (ad esempio inerziale) fino a che possa efficacemente entrare in funzione la guida attiva per l'ultima parte di traiettoria. c. Guida homing semiattiva È quella in cui l'energia, con la quale il bersaglio viene illuminato, è irradiata dalla piattaforma lanciante. In questo sistema quindi, il missile sarà dotato del solo ricevitore, analogamente al sistema homing passivo. La sostanziale differenza che incontriamo fra i due sistemi, attivo e semiattivo, è che in quest'ultimo il missile non può essere indipendente dalla unità lanciante, poichè le informazioni di guida in questo caso provengono dall'energia irradiata da un punto esterno al missile (fig. 92). Nel sistema attivo, a causa delle restrizioni imposte dalle dimensioni del missile, il sistema di guida deve necessariamente essere a corta gittata. Da questo punto di vista per contro, il sistema di guida homing semiattivo, può avere caratteristiche molto superiori. Prendendo ad esempio un sistema missilistico superficie-aria, si può osservare che, poichè la stazione emittente è dislocata in superficie, l'entità della potenza trasmessa e la superficie dell'antenna possono essere considerevolmente aumentate rispetto al caso del sistema attivo.

Fig. 92

La piattaforma lanciante, oltre al fascio di track ed al fascio di illuminazione, genera un terzo fascio radar detto di "rear reference", angolarmente più aperto degli altri due, entro cui l'emissione presenta caratteristiche analoghe a quelle del fascio illuminatore, anche se la potenza è molto più ridotta. L'onda continua dell'illuminatore (mantenuto puntato sul bersaglio dal radar di track) viene riflessa dal bersaglio in ogni direzione e, quindi, anche verso il missile in volo che la riceve mediante un'antenna prodiera detta "seeker antenna". Contemporaneamente il missile riceve l'emissione di rear reference con un'antenna poppiera detta "rear antenna".

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Mediante un confronto di codice fra le due radiazioni ricevute, il missile è in grado di selezionare il proprio bersaglio, dagli altri eventualmente ingaggiati contemporaneamente da missili lanciati da altre piattaforme, così come di distinguere l'emissione di illuminazione dalle altre emissioni radar che investono contemporaneamente il bersaglio. Inoltre, sulla base della frequenza doppler (differenza in frequenza tra il segnale di illuminazione riflesso dal bersaglio ricevuto dalla seeker antenna e il segnale di riferimento ricevuto direttamente dalla rear antenna) il missile determina la velocità relativa missile-bersaglio. Dopo il lancio, e al termine della fase booster, l'antenna seeker si posiziona automaticamente sull'orientamento comandato e il canale di track in velocità del ricevitore sulla frequenza doppler impostata prima del lancio. Se entro un prefissato intorno temporale il missile manca l'aggancio del bersaglio, il calcolatore di guida inizia una scansione di ricerca in angolo e in velocità, a cavallo dei dati memorizzati. Se ancora dovesse mancare l'acquisizione, il missile si autodistrugge. L'autodistruzione del missile, per motivi di sicurezza, oltre che avvenire per mancata acquisizione del bersaglio, è anche provocata dall'improvvisa mancanza del segnale di riferimento sull'antenna di coda. Quindi per distruggere il missile in volo è sufficiente spegnere il radar di rear reference. Classici esempi di missili ad autoguida semiattiva sono: - Il missile STANDARD E.R. imbarcato sull'incrociatore Veneto; - il missile STANDARD M.R. imbarcato sulle unità tipo Audace e Durand de La Penne; - i missili SEA- SPARROW e ASPIDE imbarcati sulle unità classe Lupo, Maestrale e Minerva. Da rilevare che la guida homing semiattiva consente alla piattaforma lanciante di contrastare un solo bersaglio alla volta, con la possibilità di lanciare su di esso salve di più missili. 7. SISTEMI DI GOVERNO Si definisce sistema di governo di un missile il processo di stabilizzazione e di assetto con riferimento ai possibili disturbi che possono agire sul missile stesso durante il volo (vento, disallineamenti casuali della spinta, ecc...). Per raggiungere tale scopo, vengono impiegati, come già noto, gli stessi organi attuatori di cui si serve il sistema di guida per soddisfare le proprie esigenze. In altre parole, per "Sistema di Governo" o Autopilota si intende quel complesso di apparecchiature poste a bordo del veicolo che hanno la funzione di controllare il moto del missile intorno al proprio baricentro; cioè a dire quello di effettuare il controllo delle variabili angolari e delle loro derivate nei tre assi di imbardata, rollio e beccheggio (fig. 93).

Fig. 93

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Da puntualizzare che l'autopilota agisce anche in assenza dei segnali provenienti dal sistema di guida. Uno dei requisiti fondamentali di ogni sistema di governo, è la sensibilità dei propri componenti sia nel percepire che nell'attuare i più lievi comandi di cui il missile ha bisogno per mettersi nel proprio giusto assetto. In figura 94 è mostrato un diagramma a blocchi di un sistema di governo.

Fig. 94

I sensori normalmente utilizzati nell'ambito dei sistemi di governo sono: - i girostati liberi (free gyro), per la rivelazione degli errori angolari di assetto, - i girostati di velocità (rate gyro), per la rivelazione delle velocità angolari intorno a detti assi. I girostati liberi, normalmente tre (uno per ogni asse coordinato), sono orientati secondo tre direzioni mutuamente ortogonali, e definiscono il sistema di riferimento prescelto.

Fig. 95

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Per rendere più stabile e preciso l'autopilota (secondo i dettami della teoria dei controlli automatici), oltre che degli errori angolari occorre disporre delle velocità angolari di assetto. In tal caso i tre girostati di velocità vengono orientati lungo gli assi di rollio, beccheggio e imbardata del missile per il rilievo delle velocità angolari di sbandamento intorno ai predetti assi. Normalmente gli assi di rollio, beccheggio e imbardata del missile, sono così definiti: - per il rollio, l'asse longitudinale del missile, orientato nella direzione di volo; - per il beccheggio, l'asse passante per il baricentro e normale all'asse di rollio, orientato verso destra; - per l'imbardata, l'asse normale all'asse longitudinale del missile e all'asse di beccheggio passante per il baricentro, orientato verso l'alto. Il concetto di utilizzazione delle misure di velocità è noto dalla teoria dei controlli in ciclo chiuso e consiste nel sommare il segnale di velocità con quello di posizione in modo tale che il veicolo ritorni nel proprio giusto assetto il più rapidamente possibile senza peraltro subire eccessive oscillazioni. Come si nota dalla figura 95, al calcolatore pervengono sia i segnali di governo che i segnali di guida. Il segnale errore, elaborato ed opportunamente amplificato, è inviato all'attuatore, che a propria volta restituisce, attraverso una maglia di retroazione, la posizione istantanea delle superfici di controllo al calcolatore. 8. SISTEMI A CONTROLLO AERODINAMICO I sistemi a controllo aereodinamico consentono di determinare una variazione del vettore velocità, rispetto ad un prefissato sistema di riferimento, mediante l'impiego di superfici aereodinamiche. Tali sistemi sono quelli impiegati nei missili tattici la cui traiettoria si sviluppa interamente nell'ambito dell'atmosfera terrestre e si distinguono dai sistemi a controllo di spinta che invece sfruttano l'orientamento della spinta termodinamica per ottenere una variazione del vettore velocità. I fattori preminenti che incidono maggiormente sulla progettazione della configurazione delle superfici alari di controllo sono: - il modulo della velocità di crociera; - le accelerazioni massime trasversali sostenibili dalle strutture del missile; - il tipo di guida; - le distanze massime raggiungibili. I. Configurazioni alari longitudinali Le configurazioni alari longitudinali di un missile, possono essere suddivise in quattro tipi principali in relazione alla posizione lungo il corpo del missile delle superfici di controllo e di quelle di portanza (o stabilizzazione). Mentre le superfici di stabilizzazione sono fisse rispetto alla struttura del missile, quelle di controllo sono orientabili e mosse dal sistema di guida e/o di governo. Queste sono: - Configurazione Canard; - Configurazione a controllo di Ala (wing control); - Configurazione a controllo di Coda (tail control); - Configurazione Tailles. Il controllo tipo Canard (fig. 96) è caratterizzato dall'avere una piccola superficie di controllo posizionata verso la parte anteriore del corpo del missile, mentre la principale superficie di stabilizzazione è sistemata verso la parte posteriore. I movimenti del missile sono ottenuti mediante opportune rotazioni delle superfici di controllo anteriori. In questa configurazione, le suddette superfici, sono deflesse nel senso positivo anche per ottenere un volo orizzontale del missile.

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Fig. 96 Un inconveniente nasce dal fatto che per variare la direzione del missile sono necessari grossi angoli d'attacco, e quindi i tempi di risposta degli asservimenti devono essere brevissimi. Un altro svantaggio è che le alette fisse, devono avere superfici abbastanza estese con evidenti aumenti di resistenza aerodinamica. La configurazione a controllo di ala o Wing Control (fig. 97) è quella in cui le superfici di controllo sono ubicate in prossimità del baricentro, e sono anche le principali superfici portanti.

Fig. 97

Questo tipo di configurazione ha il vantaggio di produrre rapide manovre senza richiedere grosse inclinazioni dell'angolo di controllo. Le potenze richieste per il movimento delle superfici alari, nonostante la loro maggiore grandezza rispetto alle canard, sono minori, soprattutto in relazione alla bassa velocità di rotazione richiesta delle alette intorno al fulcro. Nella configurazione con le superfici alari di coda o Tail Control, il compito della stabilizzazione è affidata alle superfici fisse ubicate nella parte centrale. La deflessione delle superfici di coda è opposta all'angolo di attacco del corpo del missile. Anche in questo caso le velocità di rotazione delle superfici mobili, devono essere elevate quanto quelle a configurazione Canard. Uno svantaggio consiste nel fatto che la vicinanza dei servomeccanismi, alla camera di combustione, può procurare inconvenienti a tali dispositivi in relazione alle alte temperature in gioco (fig. 98).

Fig. 98

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La configurazione Tailless ha il vantaggio di essere molto compatta. Il più ovvio svantaggio è dovuto alla breve distanza fra il centro di gravità e le superfici di controllo. Ciò impone elevati problemi di stabilità durante il volo del missile e quindi complessità nel sistema di controllo; in compenso, la resistenza aerodinamica, assume valori notevolmente più bassi rispetto a tutti i casi precedenti (fig. 99).

Fig. 99

II Configurazioni alari trasversali Le configurazioni trasversali più frequentemente adottate in un missile a controllo aerodinamico, sono quelle indicate in figura 100. Le superfici di controllo monoalari, sono generalmente associate a missili a lunga gittata (esempio tipico è il missile di crociera), mentre gli altri due tipi sono adottati per missili di alte prestazioni per ciò che concerne la manovrabilità (SAM o AAM). I missili a configurazione cruciforme, che rappresentano la maggior parte dei missili attualmente in servizio, rispondono con maggiore rapidità ai segnali di accostata, in quanto possono manovrare in ogni direzione senza sbandamenti o derive.

Fig. 100

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CAPITOLO III

I LANCIATORI PER MISSILI 1. IL LANCIATORE COME UNITÀ DEL SISTEMA D'ARMA Il lanciatore è quel componente del sistema d'arma che provvede al supporto statico e dinamico del missile, sia prima che durante il lancio. L'orientamento per il volo iniziale è fornito al veicolo, orientando gli assi del lanciatore nella direzione necessaria per ottenere la traiettoria desiderata e quindi, costringere il missile a seguire all'inizio del volo quella particolare traiettoria. I lanciatori possono essere rigidamente fissati alla piattaforma oppure ruotare rispetto ad essa (su uno o due assi). I lanciatori fissi sono solitamente semplici, leggeri e affidabili, ma talvolta limitano la flessibilità tattica della piattaforma. Esempi di lanciatori fissi sono quelli che si trovano sotto le ali degli aerei o sui sommergibili e in alcuni casi sulle Unità Navali. I lanciatori ruotanti sono in genere più pesanti e più complessi. Vengono usati quando la piattaforma lanciante è molto grande, lenta e le sue restrizioni tattiche sono tali da non permetterle di fornire l'opportuno orientamento al lanciatore. Normalmente un lanciatore ha la forma di una rotaia o di una struttura tubolare in modo da provvedere al sostentamento ed all'orientamento dell'arma prima e durante la fase di lancio. Il lanciatore inoltre deve essere sufficientemente robusto da sopportare le forze in gioco durante il lancio ed il peso del missile, in quanto sede di forze statiche e dinamiche derivanti sia dal movimento della piattaforma che dal mezzo nel quale la piattaforma si muove. 2. TIPI DI LANCIATORI NAVALI I lanciatori navali appartengono alla vasta categoria dei cosiddetti "Lanciatori a reazione". Un lanciatore a reazione è quel tipo di lanciatore passivo nel quale la forza necessaria al distacco lanciatore-arma è insita nell'arma stessa. L'energia di separazione può essere fornita sia dal sistema di propulsione del missile stesso, che da una unità ausiliaria di propulsione agganciata all'arma. Sebbene i lanciatori a reazione siano di molti tipi e dimensioni, tutti hanno due funzioni a comune, e cioè, provvedono sia al supporto statico dell'arma quanto al suo orientamento iniziale. Il sostentamento è ottenuto attraverso sezioni meccaniche che mantengono l'arma fermamente agganciata al lanciatore fino al momento del lancio, mentre l'orientamento è ottenuto installando il lanciatore alla piattaforma e muovendolo fino a quando il suo asse non coincida con la direzione di lancio desiderata. Nei sistemi di lancio verticali l'orientamento del missile è fisso. In questo caso il sistema di guida deve essere in grado di attuare repentinamente l'orientamento della traiettoria in volo subito dopo il lancio. I lanciatori devono essere robusti a sufficienza, da tenere saldamente agganciata l'arma in relazione ai movimenti della piattaforma. Inoltre devono resistere alla spinta del missile finché questa non ha raggiunto valori sufficienti ad auto sostenere il missile in volo. Sappiamo difatti, che i missili sono dotati di superfici alari tali da permettere il proprio sostentamento in volo; ora, se durante lo sviluppo della spinta, il veicolo fosse libero di muoversi lungo il lanciatore, non potrebbe ricevere certamente la spinta sufficiente per lasciare la rampa e vincere la forza di gravità; conseguentemente potrebbe ricadere sulla coperta della nave che lo sta lanciando, o disorientarsi completamente prima di iniziare il volo. Perchè questo non avvenga, il missile è trattenuto sulla rampa fino a che non si sia raggiunta una spinta sufficiente a tale scopo.

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I lanciatori navali sono composti sostanzialmente da una ferroguida che sostiene il missile. Al momento del lancio il missile, per effetto della spinta ricevuta, percorre un tratto di ferroguida pari a 8 ÷ 10 cm prima di liberarsi dal sostegno della rampa e continuare la sua traiettoria aerea. L'aggancio del missile alla rampa è realizzato mediante due aggrappamenti (anteriore e posteriore) che scorrono su due ferroguide coassiali ognuna delle quali è percorsa da un singolo aggrappamento. In tale modo i due aggrappamenti abbandonano contemporaneamente il lanciatore evitando vibrazioni indesiderate dell'arma (fig. 101).

Fig. 101

I lanciatori navali, possono essere suddivisi, in quattro distinte categorie: - Lanciatori a rampa orientabile; - Lanciatori a canister; - Lanciatori verticali: - Lanciatori a piattaforma. a. Lanciatori a rampa orientabile Questi tipi di lanciatori sono composti da una ferroguida che sostiene il missile e da una struttura per il sostegno e l'orientamento della ferroguida nella direzione desiderata. Questi lanciatori possono essere realizzati sottoforma di rampa singola o binata (fig. 102).

Fig. 102 I missili sono sistemati in un deposito posto sottocoperta su due tamburi e mediante un opportuno sistema di caricamento (elevatori e sistemi a catena) e dopo che sia stato instaurato il collegamento meccanico fra

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la parte fissa e quella mobile del lanciatore, il missile viene inviato sulla rampa che potrà muoversi in brandeggio ed elevazione non appena sia stato rimosso il collegamento di cui sopra. Qualora in fase di contrasto il missile non dovesse partire per qualche suo inconveniente, questi lanciatori possono essere immediatamente liberati a mezzo di un pistone che scaglia il missile ad una cinquantina di metri dall'unità (Dud-Jettison). I lanciatori a rampa orientabile hanno rappresentato fino agli anni '80 gli unici sistemi di lancio dei sistemi missilistici superficie/aria laddove occorreva un preciso orientamento iniziale dell'arma. A causa delle dimensioni e del peso elevato nonchè della complessità delle apparecchiature costituenti il lanciatore nel suo insieme questi sistemi trovavano impiego solo su unità medio/grandi. b. Lanciatori a Canister Questi tipi di lanciatori, impiegabili solo nell'ambito dei sistemi missilistici sup/aria a corto raggio, sono costituiti da 4, 8 o più celle, ognuna delle quali contiene un missile. In effetti è come se uno pseudo deposito missili avesse la possibilità di muoversi in brandeggio ed elevazione (fig. 103). Ciò è ovviamente possibile in quanto la leggerezza delle celle (in vetroresina), e il limitato peso dei missili consentono adeguate velocità ed accelerazioni del complesso. Ogni cella è dotata di un adeguato impianto di sicurezza e l'isolamento con l'esterno è assicurato da portelli posteriori ed anteriori a frantumazione. In alcune realizzazioni esiste la possibilità del ricaricamento delle celle vuote del lanciatore a mezzo di un apposito caricatore in posizione retrostante il lanciatore stesso. Tali tipi di lanciatori consentono, dunque, la reiterazione dei lanci con ridottissime isteresi d'intervento e sono adottati nell'ambito dei sistemi missilistici sup-aria ALBATROS e SEA-SPARROW.

Fig. 103

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c. Lanciatori verticali Per quanto riguarda i sistemi missilistici superficie/aria a medio/lungo raggio, in tempi recenti è stato rilevato che i dispositivi di lancio orientabili imbarcati non consentono di fronteggiare in modo adeguato la minaccia. Questi, difatti, devono venire riarmati con sistemi automatizzati sempre più complicati e quindi soggetti a mal funzionamenti nei momenti critici. I sistemi missilistici difensivi con rampa orientabile si dimostrano di conseguenza pesanti, troppo lenti (la cadenza massima di tiro è di circa un missile ogni 10 secondi) e coprono settori troppo limitati per poter risultare efficaci contro i missili da crociera. Inoltre il numero dei missili ospitabili nei depositi è ritenuto insufficiente. Un sistema di lancio verticale presenta, invece, le seguenti caratteristiche migliorative: - Elevata potenza di fuoco (nello stesso spazio occupato dal sistema di lancio orientabile sono ospitati il

50% di missili in più); - cadenza di lancio di circa un missile al secondo; - tempi di reazione estremamente brevi; - possibilità di operazioni contemporanee multi-modali (AAW, ASW, ASUW) grazie al fatto di poter

contenere e lanciare una vasta gamma di missili; - Migliori caratteristiche complessive. I contenitori/lanciatori ed i missili sono protetti sotto il ponte

corazzato e sono in grado di espletare tutte le funzioni della sequenza di lancio; - Bassi costi di realizzazione e manutenzione. In questi sistemi di lancio (fig. 104) i missili sono immagazzinati in posizione verticale all'interno di un contenitore di acciaio; il ponte sovrastante ed i boccaporti corazzati di ciascun modulo costituiscono un complesso separato.

Fig. 104

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Il contenitore del missile funge anche da rampa di lancio; ciò consente di evitare le complesse operazioni richieste per portare i missili dal deposito al lanciatore. I missili risultano quindi tutti pronti al lancio. Per i numerosi vantaggi sopra descritti i lanciatori verticali sono quelli generalmente adottati sulle nuove costruzioni navali. Le unità USN classe TICONDEROGA e BURKE sono equipaggiate con tali complessi di lancio da 29 e 61 celle in grado di lanciare missili superficie-aria STANDARD SM-2, missili antisom ASROC, missili anti-nave HARPOON e con opportune modifiche anche i missili da crociera TOMAHAWK. Il sistema missilistico sup-aria italo-francese SAMP-N, in corso di realizzazione, che impiegherà i missili ASTER 30 e ASTER 15, sarà dotato di sistema di lancio verticale a 64 celle. Tale sistema costituirà l'armamento principale delle nuove fregate ORIZZONTE. d. Lanciatori a piattaforma I missili balistici a grande gittata sono lanciati in genere verticalmente, in modo che essi possano uscire dall'atmosfera il più presto possibile, allo scopo di ridurre le perdite di velocità dovute all'attrito aereodinamico. In tale modo essi possono raggiungere maggiori velocità finali e quindi, a parità di altri parametri, gittate più elevate (fig. 105).

Fig. 105 Poichè questi missili sono molto grandi, pesanti e massicci, non possono essere lanciati attraverso ferroguide in quanto queste verrebbero deformate gravemente. È questa la ragione per cui sono lanciati da piattaforme. Un lanciatore a piattaforma è di costruzione semplice, e può essere sistemato anche con qualche grado di inclinazione, in quanto alcuni piedi d'appoggio inseriti nella piattaforma stessa, provvedono ad alzare, abbassare e livellare il piano di lancio. Una piastra deflettrice del getto, devia i gas di scarico del motore a razzo orizzontalmente, lontano dal lanciatore, in modo da evitare danni al missile e violente turbolenze di aria sotto il lanciatore.

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3. I LANCIATORI IN AMBITO M.M.I. a. Sistema di lancio binato per missili SM - 1 ER È un sistema di lancio, le cui rampe terminali sono del tipo a lunghezza zero (con tale termine sono definiti i lanciatori che sono provvisti di un tratto di ferroguida di scorrimento del missile al lancio di lunghezza inferiore a 8 cm.) e nel quale i missili sono sistemati su due tamburi orizzontali posti sottocoperta. I missili vengono sollevati mediante l'ausilio di due pistoni per ciascuna delle due ferroguide (fig. 106).

Fig. 106 Attraverso un opportuno sistema a catena e dopo che sia stato instaurato il collegamento meccanico fra la parte fissa e quella mobile del lanciatore, il missile viene inviato sulla rampa che quindi può muoversi in brandeggio ed in elevazione non appena sia stato rimosso il collegamento di cui sopra. Un altro collegamento di carattere meccanico/elettrico è inserito fra lanciatore e missile attraverso il quale vengono inviati ordini ed informazioni fra base lanciante e missile. Qualora in fase di contrasto il missile non dovesse partire per qualche inconveniente, la rampa può essere immediatamente liberata a mezzo di un pistone che scaglia meccanicamente il missile in mare facendolo cadere ad una cinquantina di metri dall'Unità.

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La figura 107 mostra una vista trasversale dove si intravedono i due tamburi su cui sono sistemati i missili ed i pistoni di sollevamento.

Fig. 107

b. Sistema di lancio singolo per missili SM - 1 MR È mostrato nelle figure 108 e 109. I missili sono sistemati su due corone concentriche di celle: quella interna contiene 16 missili mentre quella esterna 24. Il braccio del lanciatore di figura 108 (che è la rampa vera e propria) può essere posizionato in maniera tale da prelevare il missile dall'anello esterno o da quello interno. Dispositivi simili a quelli del sistema di lancio analizzato precedentemente trasferiscono il missile dal deposito delle celle sulla rampa; quindi una volta rimossi i collegamenti meccanici che permettono il trasferimento del missile dal deposito al braccio del lanciatore, quest'ultimo è libero di assumere il brandeggio e l'elevazione comandati dalla Apparecchiatura di Direzione del Lancio. Un "contattore" inserito in prossimità dell'ugello consente il travaso fino ad un istante prima del lancio di ordini e/o informazioni fra base lanciante e missile. Opportuni sistemi di sicurezza intervengono qualora dovessero essere raggiunte temperature elevate a causa di incendi in locali adiacenti (CO2, sprinkling), o per improvvisa (quanto improbabile) accensione di un booster in deposito ("nozzle" di soffocamento booster). Anche in questo sistema di lancio esiste la possibilità di "liberarsi" di un missile in avaria in caso vi sia l'estrema necessità di sgomberare immediatamente la rampa. Da precisare che il dispiegamento delle alette è completamente automatico mentre invece l'operazione inversa deve essere fatta manualmente. Nel caso dell'ER, le alette del booster, essendo di dimensioni molto elevate, devono essere inserite nel corpo del missile solo al momento in cui il vettore è fuori dal deposito e sta per essere trasportato sulla rampa. In effetti le superfici di controllo, per l'elevato spazio che generalmente occupano, sono per quasi tutti i missili, ripiegate su se stesse e si dispiegano al momento che il missile è caricato sulla rampa o addirittura dopo che è stato lanciato.

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Fig. 108 Fig. 109 c. Lanciatore a canister per missile Aspide/Nato Sea Sparrow È un lanciatore ad 8 celle che si presenta come in figura 110 (esiste anche la versione a 4 celle in linea). In effetti è come se tutto un pseudo-deposito missili avesse la possibilità di muoversi in brandeggio ed elevazione. Ciò è ovviamente possibile in quanto la leggerezza delle celle (in vetroresina) e il limitato peso dei missili consentono adeguate velocità ed accelerazioni del complesso, tali da soddisfare le esigenze che scaturiscono dall'attuale configurazione della minaccia. Tale tipo di lanciatore consente dunque la reiterazione dei lanci con isteresi d'intervento pressochè nulle. Ogni cella è dotata di un impianto di sicurezza a CO2 e l'isolamento con l'esterno è assicurato da portelli posteriori ed anteriori a frantumazione. Esiste la possibilità di un ricaricamento delle celle vuote del lanciatore a mezzo di un caricatore a 16 celle posto sottocoperta e retrostante il lanciatore stesso. Creatasi la necessità di un rifornimento delle celle, una piastra del ponte di coperta si apre e, stabilito un allineamento fra braccio e traliccio di caricamento, i missili possono essere trasferiti sul lanciatore vero e proprio mediante l'uso di apposite catene.

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Fig. 110

d. Contenitore - lanciatore per missile Teseo/Otomat È fatto in fibra di vetro rinforzato con strutture metalliche ed è disponibile sia nella versione che prevede il missile con alette fisse (fig. 111), sia nella versione con ali ripiegate (fig. 112). In ogni caso le funzioni che il contenitore/lanciatore è designato a svolgere, sono le seguenti: - servire da rampa di lancio; - servire da involucro di contenimento e da deposito del missile sia a bordo che a terra, per un'agevole esecuzione delle operazioni di imbarco/sbarco/trasporto ed un'adeguata protezione alle varie condizioni ambientali d'impiego; - realizzare il collegamento elettrico di interfaccia fra missile e sistema di lancio; - realizzare tutte le operazioni previste per il lancio del missile.

Fig. 111

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Da precisare che opportuni dispositivi, trattengono il missile qualora non si attivino entrambi i boosters o qualora la spinta sia inferiore ad un certo valore. Inoltre particolari convogliatori posti a valle del contenitore deviano i gas di scarico del turboreattore e dei boosters verso una direzione libera dalle sovrastrutture della nave. Infine il primo movimento del missile abilita un dispositivo a staccare il connettore di accoppiamento della "presa ombelicale", attraverso il quale avviene il travaso degli ordini/informazioni fra base lanciante e missile.

Fig. 112

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CAPITOLO IV

MISSILI IN SERVIZIO 1. SM - 1 (STANDARD ER/MR) È il missile superficie-aria per antonomasia non soltanto perchè è impiegato da un elevato numero di nazioni (U.S.A., Australia, Francia, Germania, Giappone, Italia, ecc...) ma perchè supera di gran lunga, per gittata ed efficacia, tutta la famiglia dei missili SAM esistenti. In realtà è già operativa una versione ampiamente migliorata (SM-2) in dotazione alla Marina degli S.U. d'America. Come si evince dal titolo esistono del missile Standard due versioni le cui caratteristiche principali sono sotto riportate: SM-1 MR SM-1 ER SM-2 ER (Audace, Mimbelli) (Veneto) (Ticonderoga) RIM - 66B RIM - 67A RIM - 67B . Lunghezza 4,44 m 7,97 m 7,99 m . Diametro 34,3 cm 34,3 cm 34,3 cm . Apertura alare 91,5 cm 91,5 cm 91,5 cm . peso 500 kg 1360 kg 1354 kg . velocità 2 M 2,5 M 2,5 M . gittata efficace 38 km 64 km 120 km

a. SM-1 MR (Medium Range) È un missile a guida homing semiattiva o passiva il cui aspetto esterno è mostrato in figura 113. Il controllo è assicurato dal movimento di quattro superfici aerodinamiche in configurazione "tail control", mentre la propulsione del tipo DTRM (Dual Thrust Rocket Motor) a propellente solido a singolo stadio, fornisce in sequenza sia la forte spinta per la fase di "accelerazione iniziale" sia quella moderata per la fase di "sostentamento". Per descriverne il funzionamento seguiamo gli eventi del sistema d'arma in maniera cronologica. La scoperta del bersaglio avviene normalmente ad opera di un radar tridimensionale ed una volta ultimata la fase di identificazione, avviene il trasferimento dei dati di posizione del bersaglio all'Apparecchiatura di Direzione del Tiro Missilistico. Questa è composta essenzialmente da un radar di punteria e da un illuminatore (CWI) montati sullo stesso supporto asservito d'antenna e con gli assi geometrici coassiali. Il missile è caricato sul lanciatore e colloquia con la nave mediante un "contattore" attraverso il quale passano le informazioni principali necessarie alla guida. L'azimut e l'elevazione del lanciatore sono controllati attraverso il computer aggregato al radar di inseguimento e guida, in maniera tale che il missile lanciato in quella direzione sia allineato lungo la rotta di collisione con il bersaglio. In realtà l'angolo di elevazione a cui viene posizionato il lanciatore è più grande di quello strettamente richiesto per la collisione; ciò per immettere il missile rapidamente in un'atmosfera più rarefatta e quindi ottenere una discesa durante la fase finale del volo che ne migliori le prestazioni tattiche (curva tipo "up and over").

Poco dopo il distacco dal lanciatore entra in funzione il sistema di guida homing semiattivo che porterà il veicolo, attraverso la realizzazione della cinematica a rilevamento costante, all'intercetto.

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Fig. 113

Le deviazioni da questa rotta di collisione possono essere dovute o a manovre del bersaglio o a variazioni del vettore velocità missile; il sistema di guida opererà allora in maniera tale da rielaborare una nuova rotta che realizzi nuovamente la costanza, istante per istante, del rilevamento missile-bersaglio. Normalmente l'intero arco di volo viene suddiviso in tre fasi e cioè la fase booster, la fase di acquisizione e la fase di homing. Durante la prima fase il missile è stabilizzato in rollio ed il sistema di guida utilizza una piattaforma radar ricevente stabilizzata in spazio (antenna seeker) per mantenere una traiettoria di volo in linea retta. Questa fase termina dopo tre secondi dal lancio ed il missile raggiunge la sua velocità operativa (700-720 metri al secondo). Durante la seconda fase avviene l'orientamento della seeker nella direzione dove si dovrebbe trovare il bersaglio e l'attivazione dei circuiti di ricezione del segnale di illuminazione riflesso dal bersaglio. Contemporaneamente, un segnale di riferimento trasmesso dalla nave lanciante è captato da apposite antenne poste dorsalmente al corpo del missile. Come ormai noto il missile, attraverso l'elaborazione di questi segnali (terza fase), individua la traiettoria da svolgere per la collisione con il bersaglio. Qualora sia sottoposto a contrasto ECM da parte del bersaglio, il missile passa automaticamente in guida passiva (Anti Radiation Missile). Lo scostamento doppler fra i segnali ricevuti dalla seeker (illuminazione riflessa dal bersaglio) e quelli ricevuti dalle antenne dorsali (illuminazione diretta) altrimenti detta "rear antenna" è usato per determinare la velocità di avvicinamento missile-bersaglio e per modificare il valore della costante di navigazione proporzionale "N". La fase homing dura fino alla detonazione della testa in guerra. Qualora perdesse l'eco del bersaglio, il sistema di guida ritorna alla fase di acquisizione ed il missile continua su una rotta di collisione con l'ultimo punto di intercetto noto e fino a che il segnale del bersaglio non sia di nuovo disponibile. Il volo ha termine quando il missile si avvicina sufficientemente al bersaglio da innescare la spoletta di prossimità o quando il missile contatta fisicamente il bersaglio innescando la spoletta ad urto. Entrambe le situazioni procurano la detonazione della testa in guerra del tipo "continuos rod". Una sicurezza impedisce la detonazione della testa in guerra fino a che il missile non sia sottoposto ad una prefissata accelerazione longitudinale la cui soglia definisce inequivocabilmente la condizione di partenza del vettore.

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b. SM-1 - ER (Extended Range) Sostanzialmente si tratta di un missile avente le stesse caratteristiche di base ma con una gittata ben superiore al precedente, frutto di un motore a razzo (booster) che si separa dal vettore (sustainer) dopo che lo ha accelerato alla velocità di circa 850 m/sec. La configurazione esterna è presentata in figura 114. Da notare che le alette del booster per le loro elevate dimensioni vengono inserite manualmente quando il missile è fuori dal deposito e sta per essere caricato sulla rampa. A proposito di quest'ultima, mentre per i MR il lanciatore può essere singolo (in uso nella nostra Marina) o binato, per gli ER il lanciatore è sempre binato.

Fig. 114

2. ASPIDE

È un missile superficie-aria monostadio (esiste anche il tipo aria-aria) a corto raggio (13-15 km) di produzione nazionale in grado di contrastare efficacemente sia missili da crociera che bersagli aerei (con possibilità anche antinave). Esternamente si presenta come in figura 115 ed è molto simile ad un analogo missile costruito in ambito NATO e cioè il Nato Sea Sparrow.

Fig. 115

Le maggiori caratteristiche sono riportate nella tabella di pagina 128. L'Aspide ha un sistema di guida homing semiattivo e la propulsione, assicurata da un motore a razzo a propellente solido (tempo di spinta pari a 3 sec.), gli consente di raggiungere rapidamente i 2,5 Mach. La testa in guerra è preframmentata e la configurazione alare è del tipo wing control.

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L'alimentazione interna gli è fornita da un esplosivo propellente che azionando una turbina calettata ad un alternatore fornisce sia l'alimentazione elettrica per le varie sezioni, sia l'energia primaria per il funzionamento di una pompa idraulica per il movimento delle superfici di controllo e degli asservimenti d'antenna. La seeker a propria volta riceve il segnale riflesso dal bersaglio (fig. 116) e lo compara con il segnale di riferimento per l'estrazione del segnale doppler. Questo segnale contiene tutte le informazioni relative al bersaglio che il ricevitore elabora sia per mantenere continuamente la seeker antenna puntata sul bersaglio, sia per correggere l'assetto del missile in maniera tale che seguendo una curva a rilevamento costante possa intercettare il bersaglio nel punto futuro.

Fig. 116

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Il gruppo antenna seeker è del tipo monopulse e consente: - l'estrazione della velocità relativa nella direzione missile-bersaglio; - l'estrazione dei segnali di guida; - l'elaborazione di tali segnali per il sistema di governo; - il rilievo di eventuali contromisure elettroniche; - l'abilitazione all'innesco della testa in guerra. Per correggere, quando necessario, la propria traiettoria (che come già noto è quella a rilevamento costante), il valore della costante di navigazione viene fatta variare secondo la seguente legge: N = N' • Vc/Vm dove: N' è mantenuto uguale a 4, Vc è la componente della velocità relativa misurata sulla congiungente missile-bersaglio ("Close Velocity") Vm è la velocità del missile. In pratica per fare in modo che il missile sia efficace contro bersagli aventi differenti velocità e direzioni, il fattore di navigazione proporzionale viene fatto variare in funzione del fattore Vc/Vm.

3. OTOMAT (TESEO)

a. Generalità È un missile superficie-superficie a guida ibrida (inerziale, comando radio, homing attiva) che può essere lanciato sia da terra che da bordo di una unità navale. Ha le seguenti caratteristiche fisiche principali: - lunghezza 446,2 centimetri; - diametro del corpo 40 cm (eccettuata la sezione del turboreattore che è di 46 cm); - peso al lancio 780 Kg; - configurazione alare cruciforme "tail control" ripiegabile; - sistema di propulsione composto, e cioè: . due boosters a propellente solido per i primi 3,5 secondi di volo, . turboreattore a compressione assiale-centrifuga per il volo di crociera; - gittata massima 180 Km. (con assistente esterno aereo o navale); - gittata minima 10 Km. Le prestazioni di questo missile sono da ritenersi elevate anche in considerazione che l'arma:

- può sfruttare in caso di silenzio radar, le indicazioni azimutali (senza distanza) degli intercettatori radio-radar passivi di bordo oppure di qualsiasi altra informazione circa la posizione del bersaglio, ancorchè approssimata, proveniente da qualsiasi fonte esterna;

- può essere lanciata senza la necessità di far accostare la nave e quindi senza fornire al bersaglio alcuna indicazione dell'imminenza e/o dell'avvenuta esecuzione del lancio; - mantiene un silenzio assoluto fino a quando non è giunta a circa 20 secondi dall'impatto, tempo che si ritiene critico per dar vita ad una valida reazione attiva; - non lascia a "boosters sganciati" (4,2 sec. dopo il lancio), alcuna scia visibile; - dà poche possibilità di avvistamento da parte del nemico perchè durante la fase di avvicinamento vola a bassissima quota (quota che si riduce ulteriormente durante la fase di attacco); - possiede una testa in guerra che ha una capacità distruttiva di elevata efficacia anche in caso di semplice sorvolo del bersaglio (ciò può accadere con le unità sottili che, con mare grosso, possono trovarsi nel cavo dell'onda nel momento del sorvolo); - è inserita in un sistema a controllo di funzionamento completamente automatizzato.

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b. Descrizione e funzionamento del missile

Il corpo del missile si può considerare ripartito in cinque tronchi principali (fig. 117), ossia: - sezione della testa radar; - sezione della testa in guerra; - sezione dei componenti elettronici; - sezione del serbatoio di carburante; - sezione del motore di crociera. La sezione prodiera contiene un radar ad impulsi per la ricerca, acquisizione e inseguimento del bersaglio e possiede una adeguata resistenza ai disturbi o inganni elettronici (due frequenze di lavoro) con possibilità di "track on Jam".

Fig. 117

Nella testa radar si distinguono fisicamente tre parti, cioè: - l'antenna, ubicata dietro il radome; - il radar vero e proprio; - l'asservimento dello stesso radar (del tipo ad un solo asse, in quanto la ricerca si effettua soltanto orizzontalmente). Al radar detto anche "autodirettore" fa seguito la testa in guerra. Questa ha un peso complessivo di 210 chilogrammi, di cui 61 sono di esplosivo del tipo Compound B. Mediante un particolare sistema di ritardo, l'esplosione si verifica dopo l'impatto, cioè quando la testa è penetrata all'interno della nave colpita.

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Inoltre gli effetti dell'esplosione sono focalizzati all'indietro e in basso, per compensare la velocità del missile e concentrare i danni sotto la linea di galleggiamento del bersaglio. La testa in guerra è dotata, oltre che di spoletta ad impatto anche di spoletta di prossimità. Il segnale di attivazione di quest'ultima spoletta è reso disponibile da una particolare circuiteria che rileva il passaggio del missile sopra l'unità vittima in termini di brusca variazione di quota segnalata dal radar-altimetro (la cui precisione nella misura è di circa 30 centimetri). Nella terza sezione del missile (detta dei componenti elettronici), sono ubicati vari altri dispositivi, fra i quali: - la piattaforma inerziale; - la scatola girometri; - il ricetrasmettitore di teleguida; - l'autopilota. La piattaforma inerziale, costituita principalmente da due girostati liberi e da due accelerometri, fornisce al calcolatore e all'autopilota gli angoli di sito, di rollio e di imbardata del missile, nonchè le accelerazioni verticali e trasversali. La scatola girometri, associata alla piattaforma inerziale, è costituita essenzialmente da tre girostati vincolati, orientati parallelamente ai tre assi del missile, e fornisce al calcolatore e all'autopilota, le tre corrispondenti velocità angolari. Il calcolatore, in relazione alla fase in atto, gestisce varie funzioni ed elabora gli ordini per la guida programmata in sito (fig. 118), la teleguida, e la fase homing.

Fig. 118

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In particolare la teleguida ha due modalità di esecuzione: - teleguida uno, nel caso di lancio diretto, e cioè quando la nave lanciante vede con il proprio radar di bordo il bersaglio da battere; - teleguida due, o lancio con assistente, quando il bersaglio è fuori la portata del radar di bordo ed il tratto di percorso che ancora manca al missile per l'intercetto è gestito da un velivolo o da una nave (detta perciò "assistente"). Il ricetrasmettitore di teleguida o trasponder assolve alla funzione di ricevere, identificare e decodificare i messaggi di teleguida e di trasmettere alla nave una risposta codificata che le consenta di individuare, in azimut e distanza, il missile lanciato. I messaggi di teleguida posseggono, per ovvi motivi di sicurezza, particolari caratteristiche logiche. L'autopilota, altro componente inserito nell'ambito della sezione "componenti elettronici" è un organo che elabora gli ordini di guida in azimut, sito e rollio, provenienti dal calcolatore, e li trasforma in comandi elettrici che agiscono: - sui due deflettori del getto, dal momento del lancio al momento in cui il missile ha raggiunto una certa velocità di sostentamento (1,8 sec); - sui due deflettori del getto e sui quattro governi aerodinamici, da 1,8 a 4,2 secondi dal lancio; - sui soli governi aerodinamici dai 4,2 secondi dal lancio fino al momento dell'impatto. La quarta sezione del missile è costituita dal serbatoio del carburante ed è ubicata in corrispondenza delle ali. Il serbatoio contiene 78 kg di kerosene, immerso in una spugna molto porosa che evita "sballottamenti" del liquido. Come quinta e ultima sezione del missile troviamo il suo motore. Questo è un turboreattore (fig. 119) costituito da un compressore assiale e centrifugo, da una camera anulare di combustione, da una ruota di turbina, da vari accessori ausiliari e nella parte anteriore da un serbatoio di olio lubrificante. Il motore può attuare due regimi di funzionamento, cioè: una velocità di crociera ed una velocità di extrapotenza. Nel primo caso il motore funziona a 32.300 giri al minuto, con un consumo costante di 465 litri/ora, ed imprime al missile una velocità di circa Mach 0,8. In extrapotenza invece, i giri salgono a 33.500 al minuto e la velocità a circa Mach 0,9.

Fig. 119

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Tale regime viene attuato automaticamente in tre casi e cioè: - al momento del lancio, per accelerare il missile; - durante le accostate, per compensare la maggiore resistenza aerodinamica che il missile incontra; - durante l'ultima fase di volo (quella di attacco), per portare al massimo la velocità dell'impatto. Come organi esterni al corpo del missile troviamo principalmente i due boosters, sistemati uno per lato, con i loro ugelli angolati di 15° rispetto all'asse longitudinale del missile. Essi bruciano il loro propellente solido nel tempo di tre secondi e mezzo, portando la velocità del missile fino a circa 250 metri/secondo. Poi, a 4,2 secondi dal lancio, due capsule esplosive tranciano i bulloni di attacco dei boosters, che perciò cadono in mare. Sul prolungamento dei getti dei boosters, si trovano due deflettori. La loro inclinazione, controllata dall'autopilota, governa il missile in sito e in rollio quando i governi aerodinamici non hanno ancora la dovuta efficacia. I governi aerodinamici, pure controllati dall'autopilota, sono ubicati all'altezza del turboreattore mentre le quattro ali sono innestate a croce, sopra le sue prese d'aria. Il contenitore-lanciatore è formato da un cassone in vetroresina, lungo circa 4,70 metri. Il cassone è asportabile ed è imbullonato su sostegni che lo tengono inclinato di 15 gradi rispetto al piano di coperta della nave ed è chiuso da due portelli. Il cassone ha il compito sia di conservare il missile, sia di costituirne la rampa di lancio. Per garantire la perfetta conservazione del missile, i portelli sono serrati su membrane gommose mediante bulloni esplosivi. Infine opportuni congegni meccanici di ritegno e sgancio, trattengono il missile all'interno del contenitore nel caso di accensione accidentale dei boosters e nel caso in cui al lancio sia fallita l'accensione di un boosters o che la spinta dei boosters accesi sia inferiore ai 1000 kg.