NOVE ANNI DOPO
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Alessandro Nasciuti
NOVE ANNI DOPO
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Giovedì 6 Luglio 2006 ______________________________________
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L’intenso profumo di gelsomino impregnava l’ambiente.
Un impalpabile filo di fumo, arzigogolando nell’aria, dif-
fondeva quella fragranza innalzandosi da un sottile ba-
stoncino d’incenso, consumato per metà, sorretto da un
apposito supporto in legno riccamente intarsiato che fun-
geva da raccoglitore per la cenere.
Quell’essenza prometteva di regalare: fortuna, amore e
tranquillità. Questo, perlomeno, aveva dichiarato il vendi-
tore rasta presso il quale Chiara aveva acquistato gli in-
censi in occasione della festa “Hard Rock Beer”.
La ragazza dai lunghi capelli castani, aveva lineamenti del
viso perfetti, labbra carnose, occhi scuri, fisico snello e
slanciato. Distesa in posizione prona sul letto, coperto da
un lenzuolo decorato con una stampa raffigurante cuccio-
li di dalmata immersi in un prato fiorito, indossava solo
mutandine e reggiseno neri. Teneva i piedi appoggiati al
soffice guanciale in piumino d’oca e, di tanto in tanto, al-
lungava le gambe per accarezzare con le dita la fresca te-
stiera in tubi d’ottone lavorati. Coccolato in un caldo ab-
braccio un orsacchiotto di pezza consunto dagli anni. Lo
aveva da quando era bambina.
La stanza racchiudeva il riassunto della sua vita sino a
quel momento. Oltre alle classiche foto, di cui la più vec-
chia, incorniciata in argento, la ritraeva all’età di due mesi
e la più recente risaliva a sei mesi prima, vi era una raccol-
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ta di oggetti che avevano scandito i tempi della sua cresci-
ta: bambole, collezioni varie, libri (dalle fiabe ai più recen-
ti romanzi), pupazzi, poster di cantanti ed attori famosi.
Sulla scrivania i libri di scuola ed un concentrato di tecno-
logia: computer, internet key, cellulare in carica, lettore
mp3 collegato a mini altoparlanti, fotocamera e videoca-
mera digitali.
Da alcuni giorni era a casa da sola, i suoi genitori erano
volati a Parigi per lavoro. Imprenditori nel settore
dell’abbigliamento, erano in procinto di definire gli ultimi
accordi contrattuali per la fornitura di vestiario ad una
importante catena distributiva d’oltralpe. Quella collabo-
razione avrebbe fatto fare un ulteriore passo avanti
all’azienda di famiglia.
Costantemente immersi nel lavoro, ignoravano i problemi
e le incertezze che la loro figlia adolescente doveva af-
frontare nel delicato percorso che l’avrebbe portata a di-
ventare una donna adulta.
La nonna, che l’aveva cresciuta come fosse la madre e le
era sempre stata vicina sapendola consigliare e consolare,
era venuta a mancare da oltre un anno. La morte della
donna, unico suo punto di riferimento, le aveva lasciato
un enorme ed incolmabile vuoto: sentiva di essere rimasta
sola.
Alla luce di una lampada a stelo, alla quale era aggrappata
una scimmietta di peluche dalle lunghe braccia, la biro
scivolava sulla pagina del diario lasciandosi alle spalle i
tratti che disegnavano le lettere, che componevano le pa-
role che descrivevano i pensieri di Chiara. Parole da cui
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emergeva voglia di libertà. Libertà da una soffocante si-
tuazione di vita che la opprimeva e la tarpava.
Dopo l’immagine descritta che evocava voglia di prote-
zione, il bozzolo di cristallo, e di fuga, il volare lontano,
proseguì scrivendo: ………………………………………………………… ………………………………………………………… Staccò la penna dal foglio e guardò, con occhi malinconi-
ci e tristi, quella parola ripetuta decine di volte.
Dopo alcuni minuti la sua mano riprese a scrivere: ………………………………………………………… ………………………………………………………… ………………………………………………………… ………………………………………………………… Proseguì con un disegno: un mezzobusto stilizzato trafit-
to all’altezza del cuore da una spada. Dalla ferita scaturi-
vano rivoli di sangue.
L’auto correva veloce sulla strada di montagna che si at-
torcigliava, come un serpente, nel fitto bosco di pini.
Il pilota affrontava le curve in velocità controllando le
sbandate con abili e repentini movimenti del volante ac-
compagnati da sapienti cambi di marcia. Il navigatore fa-
ceva ottimamente il suo lavoro impartendo precise in-
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formazioni sul percorso. Quella tappa del rally avrebbe
potuto decidere le sorti del campionato.
Il minaccioso ciglio di un burrone comparve
all’improvviso sulla destra mentre l’auto si avvicinava ad
un tornante. Il pilota scalò la marcia, il tubo di scappa-
mento emise uno scoppio e la vettura affrontò la curva.
L’auto sembrava non rispondere ai comandi ed uscì di
strada, finendo nella scarpata accompagnata dal rumore
della carrozzeria che si distruggeva. Si schiantò contro il
possente tronco di un albero. GAME OVER.
Gio abbandonò sul pavimento il controller della consolle
di gioco. Aveva lanciato volontariamente l’auto di pixel
fuori strada perché qualcosa di più interessante stava ac-
cadendo intorno a lui.
La rotella zigrinata di un accendino graffiava selvaggia-
mente la pietra focaia generando una fontana di scintille
gialle, simili a fuochi d’artificio, che ghermivano l’aria. Il
piccolo oggetto era manovrato impazientemente da Spy,
che dovette ripetere l’operazione tre volte prima di riusci-
re ad infiammare il gas.
Su un muro bianco della stanza, dove si trovavano Spy e
Gio, era dipinto con vernice nera un enorme ed inquie-
tante teschio dallo sguardo aggressivo. Chi entrava se lo
trovava di fronte, impossibile non vederlo. Spy, autore di
quel disegno, voleva questo.
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Spirali di fumo azzurrognolo si alzavano lentamente ver-
so il soffitto ingiallito dalle tante, troppe sigarette, e non
solo quelle, fumate nella stanza.
Spy inspirò a pieni polmoni e la brace sulla punta dello
spinello si ravvivò. Assaporato profondamente lo stupe-
facente fumo lo espirò lentamente attraverso una fessura
tra le labbra. Di malavoglia passò la canna a Gio. L’amico
diede un ultimo tiro ed infilò il mozzicone in una lattina
di birra vuota e leggermente schiacciata appoggiata a fian-
co del posacenere incrostato di appiccicosa nicotina.
Spy premette il tasto stop del lettore CD. La musica Rap,
che fino a quel momento aveva invaso la stanza con la
sequenza di versi scanditi dal MC sull’uniforme ritmo mu-
sicale, cessò ed il silenzio prese il sopravvento.
Estrasse dal vano il disco su cui erano masterizzati brani
mp3, scaricati illegalmente da internet, e lo ripose in una
custodia trasparente.
Gio e Spy, con l’amico Tom, erano buttati, come mario-
nette prive di fili, su due piccoli divani malconci e spor-
chi.
Completavano l’arredamento della stanza: il mobile dello
stereo, un piccolo e basso tavolino con il ripiano in vetro
e la televisione alla quale era collegata la consolle di gioco
ed un lettore DVD.
La stanza, di sedici metri quadrati, si trovava al secondo
piano del Palazzo Greppi che si stagliava maestoso, con
la sua grandiosa facciata, su un lato della Strada Statale
che attraversava il paese.
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In prossimità del Palazzo un edificio, costruito senza pre-
tese estetiche, ospitava un supermercato, il “Sarabig
Bar”1, un barbiere ed un ristorante pizzeria.
Di fronte al Palazzo, sul lato opposto della Statale, si er-
geva la chiesa parrocchiale dedicata alla Santa che dava il
nome al paese. A fianco di questa un piccolissimo giardi-
no pubblico ed a seguire un edificio sede della banca e
dell’ufficio postale. Poco più in là il massiccio stabile della
scuola elementare. Attorno a questo fulcro vitale si svi-
luppava il paese: un pugno di case immerse nell’immensa
campagna, comune denominatore di quelle terre figlie del
fiume Po.
Spy si alzò lentamente, abbandonando l’apparente como-
da posizione assunta sul divanetto, ed invitò gli amici a
seguirlo:
«Andiamo ragazzi.»
I due compagni sollevarono pesantemente i corpi dalle
morbide sedute dei sofà, sembrava avessero delle zavorre
da sub allacciate in cintura, e raggiunsero la porta. Gio la
aprì e spense la luce. La stanza piombò nel buio, era not-
te.
Spy chiuse l’uscio, l’accompagnò il cigolio dei cardini ar-
rugginiti, e girò la chiave nella serratura.
Sul muro esterno, lato sinistro dell’ingresso della stanza,
era dipinto un teschio uguale a quello disegnato sulla pa-
rete interna.
______________________ 1 dal termine Sarabiga = Zanzara
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Una frase vergata sulle ante di legno della porta, vernicia-
ta in colore grigio perla, recitava: VAGHIAMO NELLA NOTTE. DIVORIAMO LA VITA.
Spy aveva fondato il covo, così i ragazzi chiamavano
quella stanza, all’età di quattordici anni. Decine di ragazzi
e ragazze, allora, si ritrovavano in quel posto per stare in
compagnia, parlare, divertirsi e tanto altro ancora.
Era il luogo di ritrovo ideale per ragazzi di quell’età, lon-
tano da genitori e sguardi indiscreti. Quel rifugio rappre-
sentava la loro libertà.
In quella stanza in molti cominciarono a fumare per sen-
tirsi grandi ed ebbero i primi approcci con il sesso. Un
nastro rosso attaccato alla porta significava che all’interno
si stava consumando un incontro intimo. Alla vista di
quel segnale i frequentatori del posto sapevano di non
dover disturbare.
Spy aveva un carattere duro, risoluto e trasgressivo. Lui
era il capo e tutti dovevano ubbidirgli, imponeva sempre
e tassativamente la sua volontà.
“Le cose si fanno a modo mio. Prendere o lasciare.”
Viveva la vita costantemente al limite. Vedeva la morte
come un elemento naturale dell’esistenza e per questo la
sfidava, quotidianamente, senza paure o timori. Alla fine,
non importava se più prima che poi, avrebbe in ogni caso
vinto lei, la nera donna con la falce.
“Vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo.”
Per questo suo modo di vivere e pensare, nel corso dei
tre anni successivi all’apertura del covo tutti gli amici si
erano allontanati. Solo Gio e Tom gli erano rimasti ac-
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canto. Gio per compatibilità di pensiero e Tom per debo-
lezza di carattere, timido ed introverso trovava in lui una
sorta di naturale compensazione al proprio io.
Come monito del suo pensiero, Spy aveva disegnato il te-
schio all’entrata ed all’interno del covo. Una sorta di:
“Abbandonate ogni pensiero diverso dal mio, voi che en-
trate”.
I ragazzi, usciti dal covo, s’incamminarono sull’ampio
loggione del Palazzo, costeggiato su un lato da arcate, per
raggiungere la scala che conduceva al piano terra e quindi
all’uscita dell’edificio. Gio precedeva Tom, Spy era
l’ultimo dei tre.
Con un’improvvisa, veloce ed inaspettata mossa, Spy
bloccò Tom afferrandolo per il colletto della T-shirt e gli
assestò con un piede un colpo dietro il ginocchio destro.
Tom, un metro e settanta per sessantacinque chili di pe-
so, si ritrovò inginocchiato a terra. La rotula destra aveva
battuto violentemente sulla pavimentazione e gli doleva.
Spy, un metro e ottantacinque, spalle robuste, viso squa-
drato, occhi azzurro ghiaccio e capelli biondi rasati a
spazzola, cinse il collo dell’amico con il possente braccio
sinistro e serrò la presa.
Tom aveva lo sguardo smarrito, non capiva il perché di
quel gesto così violento messo in atto da Spy. Con gli oc-
chi cercò disperatamente Gio, ma non riuscì a vederlo.
L’amico era al di fuori della portata del suo sguardo.
Spy sollevò un lembo della camicia che indossava fuori
dei pantaloni, impugnò il calcio di una pistola e sfilò
l’arma dalla cintola con gesto sicuro e deciso. Fece in
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modo che Tom vedesse la rivoltella prima di calcargli la
fredda canna contro la nuca.
Tom rabbrividì a quel gelido tocco, non sapeva che Spy
possedesse un’arma. Il cuore iniziò a battergli
all’impazzata, gli sembrava di avere dentro la cassa toraci-
ca un martello che picchiava violentemente le costole,
quasi a volerle spezzare. Provava una forte sensazione di
panico. Alzò nuovamente lo sguardo e, finalmente, riuscì
a scorgere Gio. Rimase sconcertato nel vederlo sorridere
con sarcasmo.
“Che cos’hanno in mente? Si sono bruciati il cervello con la merda
che fumano?” pensò.
Con il poco fiato che gli rimaneva parlò a Spy.
«Che co…coss…sa fa…fai Spy. Cooo…sa vvvvuoi faaa-
re!»
Tom soffriva di balbuzie ed inoltre, in quel frangente, re-
spirava con fatica a causa della pressione sulla gola che
Spy esercitava con il muscoloso braccio.
Spy frequentava regolarmente una palestra, pesistica.
Come piaceva dire a lui: “vado ad alzare ghisa.”
Tom sentì premere, con rinnovata forza, la pistola contro
la nuca.
«Cosa si fa con una pistola? Non lo sai?»
Spy attese per qualche secondo una risposta, che non ar-
rivò.
«Si spara», sussurrò all’orecchio sinistro di Tom.
Con il dito indice iniziò a fare forza sul grilletto. Lunghi
secondi di silenzio passarono lenti come ore mentre
Tom, ad occhi chiusi, non poteva credere a quello che gli
stava succedendo.
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“Perché devo morire così, senza motivo?” avrebbe voluto urlare,
ma non riuscì. A malapena respirava.
Spy premette con forza il grilletto dell’arma ed il colpo
esplose nel silenzio della notte.
Le canne argentee dell’antico organo, davanti alle quali
s’innalzava un crocefisso che sorreggeva un Gesù di le-
gno finemente dipinto, intonarono le note della “Toccata
e Fuga ” di Johann Sebastian Bach.
La musica incalzava, con il ritmo scritto secoli prima dal
noto compositore tedesco, mentre le dita dell’organista si
muovevano esperte sulla tastiera dello strumento ed al-
trettanto facevano i piedi sui pedali di legno.
La chiesa era gremita di persone, riunitesi in quel luogo
sacro per assistere al concerto del musicista originario del
paese.
L’artista, un uomo di quarantasette anni, era un orgoglio
per gli abitanti del piccolo borgo in quanto organista co-
nosciuto ed apprezzato a livello mondiale.
Le elevate richieste di partecipazione a quell’evento ave-
vano reso necessario pianificare, grazie alla disponibilità
del musicista, un secondo concerto per la sera successiva.
Il centro culturale si era occupato dell’organizzazione ed
il parroco aveva messo a disposizione la chiesa con
l’antico organo ottocentesco. Un modo perfetto per i-
naugurare lo strumento dopo il recente restauro.