Norberto Bobbio su La Stampa 8 1 14

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36 . LA STAMPA MERCOLEDÌ 8 GENNAIO 2014 C aro lettore, anche se rispondo con ri- tardo, non ho affatto dimenticato la sua lettera. Il ritardo dipende prima di tutto dal fatto che sono molte le lette- re che ricevo, anche se non rispondo a tutte, in secondo luogo perché avrà ca- pito dalla lettura del mio libro che vi- vo, proprio in quanto vecchio invec- chiato, «al rallentatore». Si dice che ogni giorno ha la sua pena: la mia pena è quella di arrivare alla fine della gior- nata, non solo stanco, ma scontento per tutte le cose che avrei dovuto fare e ho dovuto rinviare al giorno dopo. Alla domanda, che Lei mi pone, ri- sponde Lei medesimo. Per quel che riguarda me, posso dirle che non me la sono mai posta. Prima della Sua lettera, non ci avevo mai realmente pensato. La vita è una sola. Non c’è un prima e non c’è un dopo. Né c’è una possibile ripetizione. Non posso neppure lonta- namente pormi un problema, che per me è inesistente. Questo non vuol dire che la mia vita mi appaia tale da esserne appagato. Tutt’altro! Ma l’accetto così come è stata, con tutte le sue gioie e i suoi do- lori, con tutte le cose buone che posso aver fatto e tutti gli errori, irrimedia- bili. Gli esami di ripetizione purtroppo NORBERTO BOBBIO Il grande filosofo moriva il 9 gennaio 2004. Lo ricordiamo attraverso le sue risposte ai lettori della Stampa In edicola con La Stampa Per ricordare Norberto Bobbio, che fu dal 1976 suo illustre collaboratore, La Stampa ripropone uno degli ultimi libri pubblicati dal filosofo torinese, il De senectute, uscito nel 1996 da Einaudi con altri scritti autobiografici. Il volume si può acquistare nelle edicole di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta a 8,70 più il prezzo del quotidiano, oppure online su www.lastampa.it/shop non ci sono. E poi chi sarebbe mai l’esaminatore, che potrebbe correg- germi e ripropormi una strada diver- sa? Potrei racchiudere il mio pensiero in una breve vecchissima espressio- ne: «Amor fati». Molto belli i brani di scrittori clas- sici che Lei mi cita. Continuo a racco- gliere pensieri e riflessioni sulla vita e sulla vecchiaia, per potermene servi- re alla prossima occasione. Ma se que- sta occasione ci sarà, e quando, non sono in grado di dire. Importante è continuare a vivere, come se... Non escludo, anzi sono certo, che per altri la vita appare completa- mente diversa, come Lei mi suggeri- sce. Ma le mie convinzioni sulla vita e sulla morte sono ormai troppo ra- dicate, per lasciarmi influenzare da coloro che la pensano in modo com- pletamente diverso. La ringrazio ancora della Sua lette- ra e la saluto cordialmente. Norberto Bobbio Torino, 1° maggio 1997 L’età delle avventure è finita Caro Arrigo [Levi], grazie, affettuosamente grazie. Ho passato ore deliziose nel leggere il tuo libro [La vecchiaia può attendere, ovvero l’arte di restare giovani, Mon- dadori, 1998], che è in realtà una sor- ta di preparazione al mio De senectu- te, preparazione che io, più insicuro, più ansioso, più pessimista di te, non ricordo di avere mai fatta, avendo sempre considerato la morte come una compagna di viaggio, un’ombra che mi ha quasi sempre preceduto, più raramente seguito. Intanto c’è una notevole differenza di anni, tra te e me, quasi una ventina. Tu scrivi quando cominci a sentirti vecchio. Io scrivo da vecchio, irrime- diabilmente, irreversibilmente, ineso- rabilmente, vecchio. Tu sei ancora nel- l’età in cui ci si prepara a diventare vec- chi. Io sono nell’età in cui il viaggio è al- la fine, e bisogna, se mai, avere al pro- prio fianco una valigia sempre pronta per affrontarlo. Quando è avvenuto il nostro incontro (storico) a La Stampa, nella tua stanza di direttore, nel set- tembre 1976, avevo 67 anni, più o meno quelli che tu hai adesso. Ero ancora nel- l’età in cui tu dici giustamente che non bisogna smettere di affrontare nuove avventure. L’inizio della mia collabora- zione a un giornale molto diffuso, dura- N orberto Bobbio se n’è andato all’imbrunire di un brutto giorno torinese il 9 gennaio 2004. Aveva compiuto a ottobre 94 anni. Da un paio di mesi aveva perso l’amico di una vita, Alessandro Galante Garrone, da tre anni la moglie Valeria. Nel decimo anniversario lo vogliamo ri- cordare proponendo un aspetto ignoto ai più, ma non secondario, della sua prodigiosa attività, testi- moniata dall’Archivio depositato presso il Centro studi Piero Gobetti di Torino: quasi 500 faldoni che contengono 4560 fascicoli. Tra questi, ben 72 faldoni sono riservati all’epistolario, per un totale di circa tremila fascicoli corrispondenti a altret- tanti interlocutori in ordine alfabetico: dalla A di (Nicola) Abbagnano a Z di (Danilo) Zolo, passando attraverso personaggi come Aldo Capitini, Augu- sto Del Noce, Ludovico Geymonat, Carl Schmitt e tutti i maggiori intellettuali non solo italiani del ’900. Ma molti fascicoli sono intestati anche a nomi del tutto sconosciuti, di persone che per qualche ragione, magari in forma episodica, erano entrate in rapporto epistolare con lui. Una corrispondenza vastissima e impegnativa, tanto più se si considera che altre lettere, non meno di settemila, sono con- fluite nei faldoni tematici, intitolati a argomenti co- me pace, democrazia, diritti dell’uomo, politica na- zionale, Torino ecc. (ma, tra gli altri, ci sono anche un raccoglitore con la dicitura «sciocchezzaio» e un altro dedicato alle «crazie», ossia alle svariate e più sorprendenti ricorrenze del suffisso, da clepto- crazia a fallocrazia a paradossocrazia). Bobbio passava molte ore a scrivere e risponde- re alle lettere, segnatamente dedicandovi la dome- nica mattina. E archiviava tutto, con l’aiuto della moglie e poi del collaboratore Pietro Polito, oggi direttore del Gobetti: articoli di giornale, corri- spondenza, anche semplici biglietti d’auguri, oltre naturalmente alle copie delle proprie risposte. Una miniera che aspetta di essere esplorata. Tra le tante, pubblichiamo due lettere relative al dibatti- to suscitato dalla pubblicazione del De senectute (Einaudi 1996), indirizzate l’una a un lettore, Giu- seppe Palmisani, che gli domanda se, potendo, ri- peterebbe la sua esperienza di vita, e l’altra a un amico, Arrigo Levi, il direttore con cui aveva co- minciato nel ’76 la collaborazione alla Stampa. MAURIZIO ASSALTO Caro lettore... DALL EPISTOLARIO Valeria e io abbiamo sempre passeggiato insieme CULTURA & SPETTACOLI Norberto Bobbio con la moglie Valeria in una foto giovanile in riva al mare

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LA STAMPA

MERCOLEDÌ 8 GENNAIO 2014

Caro lettore, anche se rispondo con ri-tardo, non ho affatto dimenticato lasua lettera. Il ritardo dipende primaditutto dal fatto che sono molte le lette-re che ricevo, anche se non rispondo atutte, in secondo luogoperché avrà ca-pito dalla lettura del mio libro che vi-vo, proprio in quanto vecchio invec-chiato, «al rallentatore». Si dice cheogni giorno ha la sua pena: lamia penaè quella di arrivare alla fine della gior-nata, non solo stanco, ma scontentoper tutte le cose che avrei dovuto faree ho dovuto rinviare al giorno dopo.Alla domanda, che Lei mi pone, ri-

sponde Lei medesimo. Per quel cheriguarda me, posso dirle che non mela sono mai posta. Prima della Sualettera, non ci avevo mai realmentepensato.La vita è una sola. Non c’è un prima

e non c’è un dopo. Né c’è una possibileripetizione. Non posso neppure lonta-namente pormi un problema, che perme è inesistente.Questo non vuol dire che lamia vita

mi appaia tale da esserne appagato.Tutt’altro! Ma l’accetto così come èstata, con tutte le sue gioie e i suoi do-lori, con tutte le cose buone che possoaver fatto e tutti gli errori, irrimedia-bili. Gli esami di ripetizione purtroppo

NORBERTO BOBB I O

Ilgrande filosofomoriva il 9 gennaio 2004. Lo ricordiamoattraverso le sue risposte ai lettori della Stampa

InedicolaconLaStampaPer ricordare Norberto Bobbio, che fu dal 1976suo illustre collaboratore, La Stampa riproponeuno degli ultimi libri pubblicati dal filosofotorinese, il De senectute, uscito nel 1996 daEinaudi con altri scritti autobiografici. Il volume sipuò acquistare nelle edicole di Piemonte, Liguria eValle d’Aosta a € 8,70 più il prezzo del quotidiano,oppure online su www.lastampa.it/shop

non ci sono. E poi chi sarebbe mail’esaminatore, che potrebbe correg-germi e ripropormi una strada diver-sa? Potrei racchiudere il mio pensieroin una breve vecchissima espressio-ne: «Amor fati».Molto belli i brani di scrittori clas-

sici che Lei mi cita. Continuo a racco-gliere pensieri e riflessioni sulla vita esulla vecchiaia, per potermene servi-re alla prossimaoccasione.Ma se que-sta occasione ci sarà, e quando, nonsono in grado di dire. Importante ècontinuare a vivere, come se...Non escludo, anzi sono certo, che

per altri la vita appare completa-mente diversa, come Lei mi suggeri-sce. Ma le mie convinzioni sulla vitae sulla morte sono ormai troppo ra-dicate, per lasciarmi influenzare dacoloro che la pensano in modo com-

pletamente diverso.La ringrazio ancora della Sua lette-

ra e la saluto cordialmente.Norberto Bobbio

Torino, 1° maggio 1997

L’età delle avventure è finita

CaroArrigo [Levi],grazie, affettuosamente grazie. Ho

passato ore deliziose nel leggere iltuo libro [La vecchiaia può attendere,ovvero l’arte di restare giovani, Mon-dadori, 1998], che è in realtà una sor-ta di preparazione al mio De senectu-te, preparazione che io, più insicuro,più ansioso, più pessimista di te, nonricordo di avere mai fatta, avendosempre considerato la morte comeuna compagna di viaggio, un’ombra

che mi ha quasi sempre preceduto,più raramente seguito.Intanto c’è una notevole differenza

di anni, tra te e me, quasi una ventina.Tu scrivi quando cominci a sentirtivecchio. Io scrivo da vecchio, irrime-diabilmente, irreversibilmente, ineso-rabilmente, vecchio. Tu sei ancora nel-l’età in cui ci si prepara adiventare vec-chi. Io sono nell’età in cui il viaggio è al-la fine, e bisogna, se mai, avere al pro-prio fianco una valigia sempre prontaper affrontarlo. Quando è avvenuto ilnostro incontro (storico) a La Stampa,nella tua stanza di direttore, nel set-tembre 1976, avevo 67 anni, più omenoquelli che tuhai adesso.Eroancoranel-l’età in cui tu dici giustamente che nonbisogna smettere di affrontare nuoveavventure. L’inizio della mia collabora-zione a un giornalemolto diffuso, dura-

Norberto Bobbio se n’è andato all’imbruniredi un brutto giorno torinese il 9 gennaio2004. Aveva compiuto a ottobre 94 anni. Da

un paio di mesi aveva perso l’amico di una vita,Alessandro Galante Garrone, da tre anni la moglieValeria. Nel decimo anniversario lo vogliamo ri-cordare proponendo un aspetto ignoto ai più, manon secondario, della sua prodigiosa attività, testi-moniata dall’Archivio depositato presso il Centrostudi Piero Gobetti di Torino: quasi 500 faldoniche contengono 4560 fascicoli. Tra questi, ben 72faldoni sono riservati all’epistolario, per un totaledi circa tremila fascicoli corrispondenti a altret-tanti interlocutori in ordine alfabetico: dalla A di(Nicola) Abbagnano a Z di (Danilo) Zolo, passandoattraverso personaggi come Aldo Capitini, Augu-sto Del Noce, Ludovico Geymonat, Carl Schmitt etutti i maggiori intellettuali non solo italiani del’900.Mamolti fascicoli sono intestati anche anomidel tutto sconosciuti, di persone che per qualcheragione, magari in forma episodica, erano entratein rapporto epistolare con lui. Una corrispondenza

vastissima e impegnativa, tanto più se si considerache altre lettere, non meno di settemila, sono con-fluite nei faldoni tematici, intitolati a argomenti co-me pace, democrazia, diritti dell’uomo, politica na-zionale, Torino ecc. (ma, tra gli altri, ci sono ancheun raccoglitore con la dicitura «sciocchezzaio» eun altro dedicato alle «crazie», ossia alle svariate epiù sorprendenti ricorrenze del suffisso, da clepto-crazia a fallocrazia a paradossocrazia).Bobbio passavamolte ore a scrivere e risponde-

re alle lettere, segnatamente dedicandovi la dome-nica mattina. E archiviava tutto, con l’aiuto dellamoglie e poi del collaboratore Pietro Polito, oggidirettore del Gobetti: articoli di giornale, corri-spondenza, anche semplici biglietti d’auguri, oltrenaturalmente alle copie delle proprie risposte.Unaminiera che aspetta di essere esplorata. Tra letante, pubblichiamo due lettere relative al dibatti-to suscitato dalla pubblicazione del De senectute(Einaudi 1996), indirizzate l’una a un lettore, Giu-seppe Palmisani, che gli domanda se, potendo, ri-peterebbe la sua esperienza di vita, e l’altra a unamico, Arrigo Levi, il direttore con cui aveva co-minciato nel ’76 la collaborazione alla Stampa.

MAURIZIO ASSALTO

Caro lettore...

DA L L’ E P I S T O L A R I O

Valeriae ioabbiamosemprepasseggiato insieme

CULTURA&SPETTACOLI

Norberto Bobbio con la moglie Valeriain una foto giovanile in riva al mare

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LA STAMPA

MERCOLEDÌ 8 GENNAIO 2014 .37

1 0 ANN I DO PO

«La morte si è di-menticata dime!», esordiva,sollevando il caponella penombra.

Ma era un vezzo. Subito dopo, la stan-chezza, il peso della vecchiaia, la sen-sazione di sentirsi fuori posto, in unmondo che non gli apparteneva più,lasciavano spazio alla curiosità, al gu-sto della conversazione, ai lampi di in-telligenzaeaunsorrisoavaro,conces-so con parsimonia da uno consapevo-le di non aver più ragioni per gioire.

Era uscito da questa sofferenzauno dei suoi ultimi libri, ilDe senectuteche gli era valso la strana amiciziatardiva con Gianni Agnelli. Anchel’Avvocato, di tanto in tanto, andava atrovarlo: cosa potesse unire due uo-mini così diversi, a cui era toccata insorte la nomina a senatori a vita, nes-suno lo ha mai saputo. Forse, appun-to, era la torinesità e il sentirsi partedi un’epoca che stava scomparendo.

Quanto a me, prima di frequentarloa Torino, da editorialista e nume tute-lare di questo giornale, lo avevo cono-sciuto a Roma nel ’92, nei giorni in cui,a dispetto di se stesso, era diventato ilcandidato alla Presidenza della Re-pubblica dell’«altra» Italia. Lui ovvia-mente non voleva crederci, resisteva,anche quando, camminando a piccolipassi con me che lo accompagnavo dalsuo albergo al Pantheon verso Monte-citorio, la gente lo fermava per strin-gergli la mano, o tifava per lui - Forza professore! -, manifestandogli così, al-la romana, una simpatia spontanea.

Alla vigilia della caduta della Pri-ma Repubblica, mentre i partiti mo-renti non riuscivano a trovare un no-me per il Quirinale, Bobbio, a sorpre-sa, si era trasformato nel candidatodella società civile, che solo un annoprima, con il referendum elettorale,aveva dato una forte spallata al siste-ma. La sinistra spingeva a suo favore,cresceva a sorpresa, per lui, il consen-so, anche tra i deputati e i senatorichiusi nel Palazzo e costretti a due vo-tazioni al giorno, in odio ad altri candi-dati di peso da trombare, come An-dreotti e Forlani, o nel vano tentativodi ricostruire credibilità di fronte al-l’elettorato preso, già allora, da un’on-data di antipolitica. Dopo nove giorni(le Camere erano riunite in perma-nenza dal 13 maggio), una mattinaBobbio, prendendo una camicia da uncassetto nella sua stanza d’albergo,sbattè la testa su un soffitto spioventee si ferì. Fine della corsa e sollievo delcandidato riluttante, che poteva tor-narsene a casa e ai suoi studi.

Di quest’avventura in cui si era tro-vato quasi senza rendersene conto, ilprofessore aveva conservato un ricor-do indelebile: nel settembre del ’98, ap-pena arrivato a Torino come direttoredella Stampa, ricevetti una sua letteranella quale, anche a distanza di tempo,ripercorreva quelle giornate trascorseinsieme e tratteggiava tutte le sensa-zioni contrastanti che aveva provato,insieme con gli interrogativi che l’espe-rienzagliavevalasciato,aiquali invanoaveva cercato di dare risposta.

Di lì in poi i nostri appuntamenti di-vennero settimanali: si andava in de-legazione, con Alberto Papuzzi, cheaveva da poco ultimato la sua biogra-fia, e con Cesare Martinetti, che diri-geva le pagine culturali della Stampa.Qualche volta sì, qualche altra no, non

c’era una regola, si tornava con l’abboz-zo di un articolo, che Bobbio ci avrebbemandato il giorno dopo, con piccole,preziose, correzioni a mano, di cui sipreoccupava al telefono: «Era tuttochiaro? Occorre rileggerlo?».

Fu in una di questa circostanze, di-venute abbastanza rituali nella vita delgiornale, che ci trovammo a gestireun’altra emergenza, assai lontana daquella del Quirinale. Benché dissuasodal giro più stretto dei suoi amici e dellasua accademia, Bobbio, il 12 novembre’99, aveva accettato di rilasciare un’in-tervista a Pietrangelo Buttafuoco delFoglio. Era un pezzo esplosivo, in cuiper la prima volta parlava di quella par-te del suo passato, legata agli inizi dellacarriera universitaria. Come se volesseliberarsi di un segreto imbarazzantecustodito con vergogna troppo a lungo,Bobbio ricostruiva i tempi della «dop-piezza», in cui era stato «fascista con ifascisti e antifascista con gli antifasci-sti». Si rifiutava di accettare la letturastorica del suo intervistatore, secondoil quale tutti o quasi gli intellettuali ita-liani avevano condiviso un percorso delgenere, ma per citare ad esempio il suomaestro, Gioele Solari, o il suo amicoLeo Valiani, e per far risaltare il corag-gio di chi non si era arreso, finiva col ri-badire le proprie responsabilità.

Dopo la pubblicazione dell’intervistasi scatenò un putiferio. Bobbio essendoil maggiore intellettuale azionista, e unodei più rispettati maître-à-penser dellasinistra, lo sconcerto, nel suo campo,era evidente. SuRepubblicaGad Lernerscrisse che era stato attirato in una«trappola». Nel giro più stretto degliamici torinesi, qualcuno gli suggeriva dismentire il testodiButtafuoco,cheinve-ce aveva riletto e approvato parola perparola. Anche per noi della Stampa ilmomento era complicato. C’era da capi-re perché il nostro più importante colla-boratore, il custode delle radici culturalidel giornale, avesse scelto un altro quo-tidiano per fare le sue rivelazioni. E so-prattutto c’era da trovare la forza dichiamarlo, proprio mentre l’ondata direazioni mediatiche e politiche rompe-va la quiete di via Sacchi. Toccò a me ilcompito. Gli telefonai per informarloche avremmo pubblicato un’intervistadi Alessandro Galante Garrone, l’altrogrande azionista di Torino e come luieditorialista della Stampa, che, contra-riamente a chi ne aveva criticato l’im-prudenza, gli offriva solidarietà. Inoltre,da storico, rilevava il fatto che la tesserafascista fosse obbligatoria per i profes-sori universitari, e solo quattordici, intutto il corpo docente nazionale, si fos-sero rifiutati di prenderla. Gli domandaiperché avesse scelto Il Foglio, e non LaStampa, per fare la sua confessione; mirispose candidamente che noi non glie-l’avevamo chiesta. Insistetti, per saperese intendesse dare un seguito alle pole-miche. Ci pensò su, ma replicò soltanto:«Mi lasci riflettere». La mattina dopo,senza preavviso, mandò un articolo lim-pido, in cui spiegava di non essere statovittima di alcun tranello e di aver avver-tito un autentico desiderio di liberarsidel peso che lo aveva oppresso per tantianni. Concordammo il titolo: «Io e il fa-scismo, lasciatemi dire».

Dieci anni dopo la sua scomparsa, cisarebbero tanti altri episodi da narrare,di un uomo straordinario come Bobbio.Ma questi due racchiudono le principalicaratteristiche del personaggio: laschiettezzatuttatorinese, lasincerità, ildistacco tipico di una grande cultura, esoprattutto il gusto della verità: anchequella, scomoda, che volle rivelare di sé.

V I S TO DA V I C I NO

IldoveredellaveritàAnchesescomoda

MARCELLO SORGI

SEGUE DALLA PRIMA PAGINA

IlCentroGobettivara l’annobobbianoNel decennale della scomparsa di Bobbio, il Centro Gobetti vara a Torino un fittoprogramma che si protrarrà per tutto il 2014. Primo appuntamento il 21 gennaionella Sala Rossa del Comune (ore 17), con interventi tra gli altri del sindacoPiero Fassino e del rettore dell’Università Gianmaria Ajani. Tra gli altri eventi giàdefiniti, in aprile presso il Consiglio Regionale del Piemonte un seminariocon Giuliano Pontara e Massimo L. Salvadori e una mostra fotografica, in ottobre,in concomitanza con l’anniversario della nascita, una serie di «Giornate Bobbio»con un seminario sul suo pensiero giuridico presso il Campus Luigi Einaudi.

ta con una certa continuità venti anni,anche se non sempre con grande con-vinzione, è stata una vera e propria av-ventura, che ha preceduto di qualcheanno una seconda avventura non entu-siasmante ma, per lo meno nei primiquattro o cinque anni, vivificante, dellanomina a senatore a vita. Oggi, l’etàdelle avventure è finita. È l’età in cui cisi ripiega su se stessi. Non si fanno pro-getti, ma si vive alla giornata, in unagiornata in cui l’unica cosa di cui si habisogno sono non i progetti ma gli affet-ti, che a me, sposato felicemente da 55anni, con tre figli e cinque nipoti, fortu-natamente non sono mai venuti meno.

Ti dicevo che non mi sono prepara-to a diventare vecchio, anche perchévecchio sono diventato improvvisa-mente, in una volta sola quando non cipensavo ancora. nell’estate del 1988, a79 anni, attraverso due lunghe e gravimalattie di cui non è il caso di parlare.Da allora, in seguito ad altri incidenti,di cui uno molto grave, ho cominciatoa meditare sulla vecchiaia quale real-mente è, e non sulla vecchiaia cui tu tiprepari, e che ti auguro sia come tu laimmagini. Non ho praticato molto i ge-rontologi, avendo un figlio medico, macondivido la tua opinione espressa inpagine gustosissime. Giusta la tua os-

servazione alla quale non avevo maiseriamente pensato: noi siamo la pri-ma generazione di anziani di massa.Naturale quindi il continuo confrontocon gli altri anziani, come noi o addi-rittura più di noi, e le amare conclusio-ni, che nonostante i progressi dell’artemedica si è costretti continuamente afare: i non malandati sono un’eccezio-ne. Del resto, a p. 123 tu enumeri le ca-ratteristiche dei vecchi «generalmen-te riscontrate», ed io, ti assicuro, le hotutte dalla prima all’ultima. (La battu-ta del «ginocchio della lavandaia» èuna delle mie preferite).

Vi sono nel tuo libro alcune cose chemi hanno incantato: fra queste, l’elo-gio degli alberi. Abbiamo da qualchetempo una casetta sulla collina torine-se immersa in un grande giardino.Dalla finestra del mio studio vedo sol-tanto alberi. Sono uno svago, e insie-me con Valeria, più osservatrice di me.ne commentiamo il variare del coloree della forma col variare delle stagioni.E poi l’elogio del passeggiare. Conquesta differenza, però, che io non homai passeggiato da solo.

Valeria ed io abbiamo sempre pas-seggiato insieme. Per anni, ogni dome-nica andavamo in macchina all’iniziodi una delle valli da cui Torino è cir-

condata, e ne percorrevamo le vecchiemulattiere che un tempo servivano apassare da una valle all’altra. Le va-canze sempre a Cervinia: ogni giornouna camminata. Avevo tracciato unatrentina di percorsi: uno a giorno. Trai quadri che fanno bella mostra di sénel nostro salotto c’è una bella stampadi Luca di Leyda, intitolata La passeg-giata. Ce la siamo comprata qualcheanno fa, come una perpetua testimo-nianza di un’abitudine che ci è statacara. Ora purtroppo non camminoquasi più: la bella stampa ci aiuta a ri-vivere soltanto alcuni bei momentidella nostra vita.

Concludo ma potrei continuare alungo. Tra le «affinità», oltre l’amoredegli alberi e delle passeggiate, ce neè una, cui tengo di più. Mi riferisco auna delle ultime pagine in cui esprimila tua indignazione verso chi nonvuole riconoscere i valori del diverso.Alcuni anni fa ho terminato un libroin cui raccoglievo testimonianze dimaestri e di amici, scrivendo: «Odio ifanatici con tutta l’anima». (Quantoall’amore comune per la corrispon-denza, giudica tu).

Affettuosamente,Norberto

Torino, 1° febbraio 1998

In una conversazione pubblicata su Nuova Antologianell’ottobre 1999 in occasione dei novant’anni, Nor-berto Bobbio elenca le diverse forme di dialogo da lui

praticate. In particolare richiama il dialogo con gli intel-lettuali comunisti all’indomani della seconda guerramondiale condotto sotto l’insegna della Società Europeadi Cultura, che è alla base di Politica e cultura (1955). Qui,inoltre, fa l’elogio del dialogo con le persone che lo anda-vano a trovare a casa (Bobbio riceveva molte persone,«anche noti seccatori»), in particolare amava conversa-re con i giovani, attratto non solo dai loro studi ma anchedalle loro esperienze di vita.

Un’altra forma di dialogo privato molto cara al profes-sore è stata la corrispondenza. Per Bobbio la corrispon-denza era un dialogo a distanza a cui ricorreva quasiquotidianamente, a volte per necessità a volte per dove-re, talora per preparare un articolo o per correggerneuno già fatto, spesso, e sono le lettere scritte più volentie-ri, per rispondere agli amici, ai discepoli, anche a perso-ne ignote che lo interrogavano su argomenti riguardantiil suo mestiere di professore e di studioso.

Accanto a quelle ricordate da Bobbio, c’è un’altra for-ma di dialogo da lui praticata per almeno vent’anni su cuirichiamare l’attenzione e di cui porre in rilievo l’alto valo-re civile: il dialogo coi lettori del suo giornale La Stampa.Un dialogo tra il pubblico e il privato che si svolge sullepagine del quotidiano, ma per lo più rimane nella sferadei rapporti personali.

Tra le migliaia di lettere scritte da Bobbio nella suavita, centinaia sono quelle scambiate con i suoi lettori.Non c’è argomento di cui si sia occupato (la democrazia,la pace, i diritti dell’uomo, la vita politica nazionale) chenon abbia destato accanto al dibattito pubblico la reazio-ne dei lettori. Ne è un esempio significativo l’eco suscita-ta dalla pubblicazione delDe senectute, come testimonia-to dalle due lettere pubblicate in questa pagina, sceltetra quelle mandate in risposta alle decine di lettere distudiosi, colleghi, amici, cittadini comuni, sollecitati dal-l’analisi rigorosa, assolutamente priva di retorica, cheBobbio propone della vecchiaia e dei grandi temi dellavita e della morte.

DirettoredelCentrostudiPieroGobetti

PIETRO POLITO

Unbandoperstudiosiunder35Anche il Circolo dei lettori di Torino rende omaggio al filosofo. Da venerdì sarà lanciatosu www.circololettori.it un bando rivolto a studiosi under 35 per rileggere il pensierodi Bobbio in chiave contemporanea (gli interessati dovranno inviare, entro il 31 maggio,il sommario di una lezione sui temi dell’attualità del pensiero di Bobbio; i quattrocandidati selezionati potranno sviluppare il lavoro e presentarlo in una lezionepubblica). Dal 15 gennaio, inoltre, tutti i mercoledì dalle 18 alle 19, al Circoloprende l’avvio il gruppo di lettura «Capire la Polis», condotto da Jacopo Rosatelli,per interrogarsi, attraversando gli scritti di Bobbio, sul significato attuale di politica.

Unaformaquotidianadidialogoprivato

Norberto Bobbio nel suo studio. Il filosofodel diritto e della politica era nato il 18 ottobre 1909a Torino, dove morì il 9 gennaio 2004[FOTODIMARIOMONGE]