'Non solum alimenta praestari debent'...Alimenta. Il racconto delle fonti, Padova, 2010, p. 25 ss....

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Rivista di Diritto Romano - XIII - 2013 http://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/ 323 ( 1 ) Luigi Sandirocco «Non solum alimenta praestari debent» 1. Diritto personale agli alimenti – 2. Libertus – 3. Patronus – 4. Pater avumve paternum proavumve paterni – 5. Ma- tres et filii – 6. Parenti in linea collaterale: fratres et sorores – 7. Iustae nuptiae: una ipotesi ricostruttiva – 8. Consi- derazioni finali 1. L’articolo 2 della Carta costituzionale, che testualmente recita «La Repubblica riconosce e garanti- sce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e so- ciale», sancisce i principi fondanti di aiuto, assistenza, partecipazione e sostegno ed è alla base del- l’obbligazione alimentare e del conseguente diritto agli alimenti. Il presupposto fondamentale del vincolo è lo stato di bisogno e gli alimenti stessi possono es- sere chiesti, solo da chi versa in detta condizione e non è in grado di provvedere al proprio mante- nimento, a una gerarchia di individui tenuti alla prestazione 1 . Il diritto agli alimenti nella nostra cultura giuridica ha, com’è noto, natura di diritto personale, non si prescrive e non si tramanda, quindi non si può cedere e proporre in compensazione e si di- stingue dal diritto al mantenimento, in quanto si caratterizza per la situazione di bisogno del sog- getto avente titolo, che non è, al contrario, presupposto costitutivo del mantenimento stesso. L’obbligo alimentare, pur dovendo tenere conto delle differenze di posizione sociale, è limi- tato nel quantum dallo stato di bisogno e, quindi, non può eccedere la misura necessaria a eliminare la stessa situazione di indigenza. Il diritto al mantenimento ha, al contrario, un oggetto più ampio e comprende la soddisfazione non solo dei bisogni primari del vivere quotidiano ma anche delle esi- genze legate a un determinato tenore di vita. La misura del diritto alimentare è quindi proporzionata alla situazione di bisogno del richie- dente e alle condizioni economiche dell’obbligato e l’entità del bisogno e l’impossibilità di provve- dere al proprio sostentamento debbono essere valutate in relazione alle capacità psicofisiche dell’indi- viduo, alla sua posizione sociale e alle reali possibilità di svolgere un’attività lavorativa consona allo status della persona. Nel nostro ordinamento esiste inoltre un ordine di gradazione di soggetti passivi tenuti alla prestazione alimentare che si dipana a cascata da coniuge, figli legittimi, legittimati, naturali e adotti- vi e, in loro assenza, discendenti prossimi, anche naturali; genitori e, in loro mancanza, ascendenti prossimi, anche naturali e adottanti; nonché, nei limiti dello stretto necessario, generi e nuore; suo- ceri e suocere; fratelli e sorelle 2 . Anche nell’esperienza giuridica romana esiste, com’è noto, una classificazione di soggetti pas- sivi tenuti alla prestazione alimentare che – con plausibile attendibilità e secondo quanto verrà di seguito spiegato e chiarito attraverso una rilettura delle fonti – sono: i patroni e i liberti; i genitori e i figli; i fratelli e le sorelle; i coniugi, ma questi probabilmente solo a partire dall’età giustinianea. 1 ) Art. 438 cod. civ. 2 ) Art. 433 cod. civ.

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Rivista di Diritto Romano - XIII - 2013http://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/

323( 1 )

Luigi Sandirocco

«Non solum alimenta praestari debent»

1. Diritto personale agli alimenti – 2. Libertus – 3. Patronus – 4. Pater avumve paternum proavumve paterni – 5. Ma-tres et filii – 6. Parenti in linea collaterale: fratres et sorores – 7. Iustae nuptiae: una ipotesi ricostruttiva – 8. Consi-derazioni finali

1. L’articolo 2 della Carta costituzionale, che testualmente recita «La Repubblica riconosce e garanti-sce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la suapersonalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e so-ciale», sancisce i principi fondanti di aiuto, assistenza, partecipazione e sostegno ed è alla base del-l’obbligazione alimentare e del conseguente diritto agli alimenti.

Il presupposto fondamentale del vincolo è lo stato di bisogno e gli alimenti stessi possono es-sere chiesti, solo da chi versa in detta condizione e non è in grado di provvedere al proprio mante-nimento, a una gerarchia di individui tenuti alla prestazione 1.

Il diritto agli alimenti nella nostra cultura giuridica ha, com’è noto, natura di diritto personale,non si prescrive e non si tramanda, quindi non si può cedere e proporre in compensazione e si di-stingue dal diritto al mantenimento, in quanto si caratterizza per la situazione di bisogno del sog-getto avente titolo, che non è, al contrario, presupposto costitutivo del mantenimento stesso.

L’obbligo alimentare, pur dovendo tenere conto delle differenze di posizione sociale, è limi-tato nel quantum dallo stato di bisogno e, quindi, non può eccedere la misura necessaria a eliminarela stessa situazione di indigenza. Il diritto al mantenimento ha, al contrario, un oggetto più ampio ecomprende la soddisfazione non solo dei bisogni primari del vivere quotidiano ma anche delle esi-genze legate a un determinato tenore di vita.

La misura del diritto alimentare è quindi proporzionata alla situazione di bisogno del richie-dente e alle condizioni economiche dell’obbligato e l’entità del bisogno e l’impossibilità di provve-dere al proprio sostentamento debbono essere valutate in relazione alle capacità psicofisiche dell’indi-viduo, alla sua posizione sociale e alle reali possibilità di svolgere un’attività lavorativa consona allostatus della persona.

Nel nostro ordinamento esiste inoltre un ordine di gradazione di soggetti passivi tenuti allaprestazione alimentare che si dipana a cascata da coniuge, figli legittimi, legittimati, naturali e adotti-vi e, in loro assenza, discendenti prossimi, anche naturali; genitori e, in loro mancanza, ascendentiprossimi, anche naturali e adottanti; nonché, nei limiti dello stretto necessario, generi e nuore; suo-ceri e suocere; fratelli e sorelle 2.

Anche nell’esperienza giuridica romana esiste, com’è noto, una classificazione di soggetti pas-sivi tenuti alla prestazione alimentare che – con plausibile attendibilità e secondo quanto verrà diseguito spiegato e chiarito attraverso una rilettura delle fonti – sono: i patroni e i liberti; i genitori e ifigli; i fratelli e le sorelle; i coniugi, ma questi probabilmente solo a partire dall’età giustinianea.

1) Art. 438 cod. civ.2) Art. 433 cod. civ.

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La natura personale del diritto, nonché il riferimento agli obbligati e onerati, allo stato di bisognoe alle condizioni economiche di chi è tenuto alla prestazione e, quindi, al principio del concorso inproporzione allo status patrimoniale degli obbligati, rappresentano elementi in qualche modo comunialla nostra cultura e a quella giuridica romana. Di qui il campo di esplicazione della presente indagine.

Le relazioni umane risultano finalizzate alla garanzia di salvaguardia e prosecuzione della spe-cie, attraverso forme e modalità che garantiscano ai soggetti che, per qualsiasi ragione, attraversinouna qualsivoglia situazione motivata di difficoltà, l’assicurazione delle condizioni materiali indispen-sabili a soddisfare le esigenze di vita 3.

Questo principio socio-evoluzionistico ha avuto una tradizione giuridica variegata e comples-sa, risalente all’esperienza romana che si è occupata e ha fissato le peculiarità dell’obbligo alimentareed è stato oggetto di interessanti ricerche che ne hanno messo in evidenza vari aspetti e differenticaratteristiche 4.

Gli studiosi si sono soffermati in particolare sulla ricca casistica e le implicazioni connesse aivincoli parentali nonché sulle corrette interpretazioni dei testi, e sull’analisi dei presunti interventi diinterpolazione operati dai compilatori giustinianei 5. Quello che la romanistica però parrebbe averrelegato in una sorta di cono d’ombra è una questione interessante che sembra emergere dalle fonti,relativa alla portata e all’ampiezza dell’obbligo alimentare in relazione allo stato di bisogno e alle fa-coltà economiche dell’onerato: un tema destinato ad avere grande sviluppo nella modernità.

3) Anche l’assistenza pubblica, come il vincolo alimentare, garantisce, sebbene con caratteristiche peculiari e

finalità distinte e differenti, situazioni di necessità e congiunture economiche avverse ed è in origine fondata, com’ènoto, essenzialmente su elargizioni private (l’iscrizione di Atina [«CIL.» X.5056] conferma la natura privata dellamunificenza). Solo con l’imperatore Nerva (96-98 d.C.), infatti, ha inizio una forma di assistenza pubblica in favoredei minori, fanciulli e fanciulle, bisognosi (sul punto, cfr. A. GARZETTI, Nerva, Roma, 1950, p. 60 ss., G. PUGLIESE,Assistenza all’infanzia nel principato e «pie cause» del diritto romano cristiano, in «Sodalitas. Scritti A. Guarino», VII, Napoli,1984, p. 3176). Si tratta di un vincolo assistenziale pubblico probabilmente ideato da Marco Cocceio di Narnia maformalizzato, con plausibile attendibilità, dal successore Marcio Ulpio Traiano (98-117) con la tabula di Veleia chemette in pratica il sistema degli alimenti quale programma sociale ed economico di sostegno e beneficenza. L’iscri-zione bronzea traianea (103-112), in particolare, riporta del mantenimento di 300 fanciulli e fanciulle poveri chevengono aiutati con intervento pubblico: coloro che hanno infatti ottenuto in qualità di proprietari o possessori diagri vectigales in territorio di Veleia, Piacenza, Lucca e Parma la distribuzione di una somma messa a contributo, paria 1.044.000 sesterzi, devono restituire l’ammontare ricevuto con il pagamento di un tasso di interessi agevolato delsolo 5% annuo; gli accessori non confluiscono però nelle casse imperiali bensì in quelle municipali e, quindi, adopera dei magistrati locali, vengono devoluti ai giovani bisognosi: 263 fanciulli di età inferiore ai 18 anni e 35 fan-ciulle di età inferiore ai 14 anni (in argomento e circa il dibattito dottrinario sulla tabula, nello specifico, cfr. N.CRINITI, «La tabula alimentaria» di Veleia, Parma, 1991, passim e l’ampia bibliografia ivi riportata): su alimenta e mecca-nismi burocratici dell’apparato assistenziale, nonché sulle fondazioni alimentari private in Italia e nelle provincedell’impero, e quindi sul coinvolgimento delle donne e del loro ruolo attivo di benefattrici, si veda da ultimo I. CAO,Alimenta. Il racconto delle fonti, Padova, 2010, p. 25 ss.

4) In tema di regime alimentare tra i contributi di portata generale, che affrontano con puntualità anchel’argomento specifico, si vedano P. BONFANTE, Corso di diritto romano, I, Diritto di famiglia, Roma, 1925, p. 278-281,P.F. GIRARD, Manuel élémentaire de droit romain 7, Paris, 1924, p. 670-71, G. MANDRY, Das gemeine Familiengüterrecht,Tübingen, 1876, p. 246-266, e S. PEROZZI, Istituzioni di diritto romano 2, II, Roma, 1928, p. 167-171. Tra i lavori desti-nati precipuamente alla materia, invece, cfr. E. ALBERTARIO, Sul diritto agli alimenti, Milano, 1925, passim, ID., Sul di-ritto agli alimenti nel diritto romano e nelle patristiche, in «Studi di diritto romano», I, Milano, 1933, p. 249 ss., A. DE FRAN-CESCO, Il diritto agli alimenti tra genitori e figli. Un’ipotesi ricostruttiva, in «Labeo», XLVII, 2001, p. 29-63, ID., Giudizio ali-mentare e accertamento della filiazione, in «Diritto e giustizia nel processo. Prospettive storiche, costituzionali e compa-rativistiche», Napoli, 2002, p. 93-141, F. LANFRANCHI, Ius exponendi e obbligo alimentare in diritto romano, in «SDHI.»,VI, 1940, p. 2-69, G. LAVAGGI, Alimenti, in «ED.», II, Milano, 1958, p. 19, C. LONGO, Sul diritto agli alimenti, in«AUMA.», XVII, 1948, p. 215-223, R. ORESTANO, Alimenti, in «NNDI.», I, Torino, 1968, p. 482-484; M. ROBERTI,Il diritto agli alimenti, in «Miscellanea Vermeersch», Roma, 1935, p. 26-42, E. SACHERS, Das Recht auf Unterhalt in derrömischen Familie der klassischen Zeit, in «Festschrift F. Schulz», Weimer, 1951, p. 310-363; R. TAUBENSCHLAG, DieAlimentationspficht in Rechte der Papyri, in «Studi S. Riccobono», I, Palermo, 1936, p. 507 ss., M.G. ZOZ, In tema di obbli-gazioni alimentari, in «BIDR.», LXXIII, 1970, p. 323-355, e EAD. Alimenti: tentativo di ordinare in modo sistematico le fontiautoritative citate dai giuristi, in «Mélanges F. Sturm», I, Liège, 1999, p. 595-603.

5) Fra tutti cfr. ALBERTARIO, Sul diritto agli alimenti, cit., p. 14 ss., e ID., Sul diritto agli alimenti nel diritto romano,cit., p. 249 ss.

Luigi Sandirocco

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Nel suo commento alle Pandette, Christian Friedrich von Glück evidenzia come il vincolo aglialimenti comportasse un impegno di spesa utile a quanto esclusivamente essenziale a far fronte alleesigenze primarie: cibo, vestiario, ricovero notturno 6.

Una rilettura delle fonti consente, come vedremo, di rimodulare l’affermazione in una manieraforse più aderente alla portata dei testi, in quanto sia la giurisprudenza sia le disposizioni normativenon sembrano limitare l’obbligazione alle necessità stringenti di sopravvivenza, ma «allargarla» allasoddisfazione di più ampi bisogni, finanche morali e psicologici, attraverso lo sviluppo delle attitu-dini e inclinazioni personali del soggetto beneficiario che, in tal modo, deve poter essere messo incondizione di «realizzare» compiutamente se stesso.

Presupposto del diritto agli alimenti è, in ogni caso, sempre e comunque il bisogno del sog-getto debole, con la conseguenza che la misura dell’obbligo dipende, in linea di principio, dai mezzidell’onerato e il suo contenuto è variabile a seconda dei legami parentali.

Ciò che invece, con un apprezzabile margine di attendibilità, sembra differenziarlo dall’accezionemoderna, sono la misura, la grandezza quantitativa e l’estensione: il vincolo agli alimenti nell’esperien-za giuridica romana si sostanzierebbe non solo entro il limite irrinunciabile della sussistenza, ossia diciò che risulta basilare e necessario in quanto configurabile come determinante e vitale per il sog-getto che versi in stato di bisogno ma, più in generale e nel caso di onerato di famiglia abbiente, an-che di quanto utile a garantire condizioni di vita agiata, includendo, quindi, persino esborsi per l’edu-cazione, la cultura e la formazione dell’avente diritto.

A questo punto è d’obbligo procedere a una accurata indagine su quali cambiamenti e modifi-che si registrino nel corso degli oltre dodici secoli di storia romana in tema di regime alimentarenell’ambito dei distinti rapporti di parentela: in linea retta e in linea collaterale, nonché di coniugio,tutti singolarmente considerati; quindi occorre valutare e ponderare se il vincolo di solidarietà abbiadavvero assolto, come sembra emergere dalle fonti, la funzione garante non solo dell’esistenza mi-nima del soggetto, bensì delle più vaste aspirazioni legate a un’ampia e completa istruzione ed edu-cazione della persona, ossia non solo a quanto esclusivamente essenziale e necessario ma, all’opposto,anche a ciò che è accessorio per una completa formazione psicofisica dell’alimentando: le vie percorsedalla presente indagine si articolano così sulla casistica pervenuta attraverso le fonti e sul contenutodel vincolo alimentare come appare delineato dagli interventi normativi e giurisprudenziali.

2. Ulpiano ci informa del diritto del patrono, che versa in stato di bisogno, ad ottenere dal libertoquanto necessario al proprio sostentamento:

D. 25.3.5.18 (Ulp. 2 off. cons.): Solent <iudices> cognoscere et inter patronos et libertos, si alendis hisagatur: itaque si negent se esse libertos, cognoscere eos oportebit: quod si libertos constiterit, tunc de-mum decernere, ut alant: nec tamen alimentorum decretum tollet liberto facultatem, quo minus praeiu-dicio certare possit, si libertum se neget.

La conseguenza è che il liberto deve nei confronti del patrono non solo obsequium ma anche la cor-responsione di quanto necessario ai bisogni primari suoi o dei di lui discendenti o ascendenti, versoi quali non è comunque tenuto all’obsequium quando lo abbiano accusato ingiustamente di crimina :

D. 25.3.5.20 (Ulp. 2 off. cons.): Utrum autem tantum patroni alendi sint an etiam patronorum liberi, trac-tari potest. Et puto causa cognita <iudices> et liberos quoque patronorum alendos decernere, non qui-dem tam facile ut patronos, sed nonnumquam et ipsos: nam et obsequium non solum patronis, verumetiam liberis eorum debere praestari.

6) C.F. GLÜCK, Ausfürliche Erläuterung der Pandekten nach Hellfeld, ein Commentar, Erlangen, 1790-1892, XXV

(1826), trad. it. – Commentario alle Pandette –, XXV.3 (De agnoscendis et alendis liberis, vel parentibus, vel patronis, vel libertis ),cur. G. BAVIERA, Milano, 1907, p. 149 (§ 1285).

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E ancora:

D. 25.3.5.23 (Ulp. 2 off. cons.): Sed et patroni filium, qui capitis accusavit libertum paterum, negat exhi-bendum.

Secondo il giurista severiano, infine, nel caso di rapporto di patronato ridotto o affievolito il dirittoagli alimenti viene a mancare:

D. 25.3.5.22 (Ulp. 2 off. cons.): Si quis a liberti liberto ali se desideret vel ab eo, quem ex causa fideicom-missi manumisit, quemque suis nummis redemit, non debet audiri, ut et Marcellus scribit, exaequatqueeum, qui mercedes exigendo ius libertorum amisit.

La specifica conseguenza è che nulla è dovuto a titolo di alimenti al patrono del patrono, al patronoche ha manomesso per fidecommesso, al patrono che abbia operato il riscatto con danaro del liberto– ‘servus pecunia sua emptus ’ 7 – o al patrono che abbia preteso pecunia dal liberto per la concessionedella libertà 8.

Settimio Severo (193-211) e il figlio Caracalla (211-217), inoltre, intervengono con un provve-dimento normativo del 204 d.C., nell’anno del consolato di Cilone e Libone, sancendo che il patro-no, in luogo delle prestazioni specifiche puntualmente determinate e formalmente stabilite in occa-sione della manomissione, può pretendere a titolo di alimenti – ‘pro alimentis id extra ordinem peti neces-sitas suaserit’ – somme di danaro periodiche necessarie a far fronte al proprio stato di bisogno:

C.I. 6.3.1: Si tempore manumissionis operae tibi impositae sunt, scis te eas praestare debere. solet auteminter patronos et libertos convenire, ut pro operis aliquid praestetur, licet pretium non possit, nisi quan-do propter inopiam pro alimentis id extra ordinem peti necessitas suaserit, cum, etsi operae non erantimpositae, defectis tamen facultatibus patroni alere eum cogebaris.

Il magistrato, pertanto, avanzata dal patrono la richiesta extra ordinem, accertato e riscontrato il vin-colo di patronato, si pronuncia in merito al diritto agli alimenti nonché al quantum di spettanza.

Lucio Aurelio Commodo (180-192), quindi, secondo quanto si apprende da Modestino, avrebbeprevisto, per il caso di inadempienza grave del liberto all’obbligo alimentare e di contestuali condi-zioni economiche di estrema indigenza del patrono, la possibilità di riduzione del medesimo libertoallo stato servile di origine 9:

D. 25.3.6.1 (Mod. l.s. manum.): Imperatoris Commodi constitutio talis profertur: ‘Cum probatum sitcontumeliis patronos a libertis esse violatos vel illata manu atroci esse pulsatos aut etiam paupertate velcorporis valetudine laborantes relictos, primum eos in potestate patronorum redigi et ministerium do-minis praebere cogi: sin autem nec hoc modo admoneantur, vel a praeside emptori addicentur et pretiuspatronis tribuetur’.

7) D. 40.1.4 (Ulp. 6 disp.): ‘Is qui suis nummis emitur epistula divorum fratrum ad Urbium Maximum in eam condicionem

redigitur, ut libertatem adipiscatur ’.8) D. 38.2.37 (Ulp. 11 ad l. Iul. et Pap.: ‘Iulianus ait, si patronus libertatis causa imposita libertae revendiderit, filium eius a

bonorum possessionem summoveri, scilicet quia nec contra tabulas testamenti liberti bonorum possessionem accipiat, quotiens pater eiusdonum munus operas liberto revendiderit. plane si patroni filius libertatis causa imposita revendiderit, nihilo minus familiam bonorumpossessionem contra tabulas liberti accipere ait, quia filius revendendo libertatis causa imposita fratrem suum non summovet. Si libertusheredem scripserit isque prius, quam de familia quaestionem haberet, adierit hereditatem, patronum ad contra tabulas bonorum posses-sionem non admitti Iulianus ait: debuit enim et patronus liberti necem vindicare. quod et in patrona erit dicendum ’), nonché D.40.9.32.1 (Ter. 5 ad l. Iul. et Pap.: ‘Non prohibentur lege Aelia Sentia patroni a libertis mecedes capere, sed obligare eos: itaque sisponte sua libertus mercedem patrono praestiterit, nullum huius legis premium consequetur ’).

9) Si tenga però presente che la fine del vincolo di patronato avrebbe comportato il venir meno dell’obbligoalimentare del liberto nei confronti del patrono. Sul punto, in particolare, cfr. G. IMPALLOMENI, Le manomissionimortis causa, Padova, 1963, p. 78 ss.

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Il liberto reo di avere abbandonato in stato di assoluto bisogno il patrono deve sottostare al poteredello stesso secondo i termini originari dello ius dominii con la conseguenza che il patrono, previaautorizzazione del magistrato, può disporne sino ad alienarlo a terzi e ottenere così, attraverso lavendita, i connessi benefici economici essenziali a far fronte alle sopravvenute impellenti esigenzealimentari: l’inottemperanza grave all’obbligo legittima l’azione di reductio in servitutem.

Se è il patrono ad essere vincolato nei confronti del liberto 10, la misura e quantificazione deldovuto a titolo di alimenti, in assenza di specifiche previsioni normative, è limitata a un impegnominimo di spesa necessario al sostentamento di colui che versa in stato di bisogno, senza che l’one-rato sia vincolato in proporzione ai propri averi: la parametrazione viene, infatti, solitamente riferita,come sembra emergere da una accurata lettura dei documenti e avremo modo più avanti di vedere,a legami e rapporti di cognazione; nell’obbligo del liberto verso il patrono 11 le fonti lasciano emer-gere, al contrario, che il vincolo non limita al soddisfacimento minimo dei bisogni e a quanto neces-sario ed essenziale per la sussistenza, giacché la solidarietà assolve la funzione garante di tutela dellepiù vaste aspirazioni per un adeguato tenore di vita della persona (‘Alimenta autem pro modo facultatiumerunt praebenda, egentibus scilicet patronis ’) 12: il calcolo del dovuto, come nel caso del figlio verso il pa-dre, è determinato anche in ragione delle esigenze e condizioni personali dell’avente diritto 13.

3. Con la legge rogata del 4 d.C. dei consoli Aelius Cato e Sextius Saturninus viene specificamente sancitol’impegno del patrono ad assistere il liberto con formale vincolo agli alimenti in suo favore nel casoversi in stato di necessità, e viene contestualmente previsto per il patrono il diritto a succedergli 14:

D. 38.2.33 (Mod. l.s. manum.): Si patronus non aluerit libertum, lex Aelia Sentia adimit eius libertatis cau-sa imposita tam ei, quam ipsi ad quem ea res pertinet …

Le fonti peraltro inducono a ritenere che il patrono – più che all’obbligo agli alimenti, quale doveredi comportamento funzionalmente rivolto alla realizzazione dell’interesse particolare facente capo alliberto, correlato al suo diritto soggettivo nell’ambito dello specifico rapporto fattuale – sia tenuto aun onere alimentare, a una condotta, quindi, non obbligata ma certamente posta in essere per con-seguire gli specifici vantaggi connessi e per ottenere i precipui risultati collegati, ossia evitare gli ef-fetti negativi della perdita del patronato 15.

La conseguenza è che il patrono che abbia con negligenza, imprudenza, imperizia gravementedisatteso il suo onere alimentare perde ex lege Aelia Sentia le proprie aspettative successorie, salva lapossibilità di ricevere, al pari dei terzi estranei, per testamento. Sul punto, infatti, il giurista Modesti-

10) D. 25.3.6 (Mod. l.s. manum.).11) D. 25.3.5.18 (Ulp. 2 off. cons.).12) D. 25.3.5.19 (Ulp. 2 off. cons.).13) La circostanza sembra trovare ulteriore conferma nel fatto che Giustiniano raccolga sotto la stessa rubrica

– ‘De agnoscendis et aliendis liberis vel (…) vel patronis vel libertis ’ – l’obbligo agli alimenti da vincolo familiare e di patro-nato (D. 25.3.5, Ulp. 2 off. cons.) e che nell’esperienza giuridica romana la figura del liberto sia sotto molteplici aspettiassimilata a quella del filius familias, con ogni consequenziale effetto sui plurimi e differenti ambiti, alimenti inclusi(sul punto, cfr. C. COSENTINI, Studi sui liberti. Contributo allo studio della condizione giuridica dei liberti cittadini, I, Catania,1948, p. 214 ss.). Quanto al vincolo tra genitori e figli si veda infra, § 4.

14) In argomento di bonorum possessio contra tabulas, si vedano in particolare G. LA PIRA, La successione ereditariaintestata e contro il testamento, Firenze, 1930, p. 277 ss., e P. VOCI, Diritto ereditario, I, Milano, 1967, p. 404 nt. 11.

15) Su vincolo di patronato e di dipendenza nel mondo antico, fra gli altri, cfr. F. CANALI DE ROSSI, Il ruolo deipatroni nelle relazioni politiche fra il mondo greco e Roma in età repubblicana ed Augustea, München - Leipzig - Saur, 2001, p. 33ss., G. MANCINETTI, ‘Et ideo nec volens quis reddere potest’. Osservazioni sulla ‘causa operarum’, in «BIDR.», XLII-XLIII, 2001,p. 397 ss., C. MASI DORIA, ‘Civitas’, ‘operae’, ‘obsequium’. Tre studi sulla condizione giuridica dei liberti, Napoli, 1993, p. 47 ss.,P. PESCANI, Le ‘operae libertorum’. Saggio storico-romanistico, Trieste, 1967, p. 70 ss., W. ECK, La dipendenza come concettoambivalente a proposito del rapporto tra patrono e liberto, in Tra epigrafia, prosopografia e archeologia. Scritti scelti, rielaborati ed ag-giornati, Roma, 1996, p. 165 ss., R. SIGNORINI, Adsignare libertum. La disponibilità del patronatus tra formazione senatoria einterpretatio giurisprudenziale, Milano, 2009, p. 17 ss., e A. WALLACE-HADRILL, Patronage in roman society: from republic toempire, in «Patronage in Ancient society» (cur. A. Wallace-Hadrill), London, 1989, p. 63 ss.

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no così continua:

D. 38.2.33 (Mod. l.s. manum.): … item hereditatem ipsi et liberis eius, nisi heres institutus sit, et bo-norum possessionem praeterquam secundum tabulas.

Marciano, inoltre, riferisce che il patrono che disattende il proprio onere alimentare perde egli stes-so irrimediabilmente il diritto agli alimenti e, con esso, ogni diritto connesso all’obbligo di patrona-to: per la violazione, pertanto, nessuna sanzione personale afflittiva ma solo effetti patrimoniali econseguenze civili 16.

Per tirare le fila del discorso, il vincolo reciproco agli alimenti implica e prevede che:a) in caso di inadempienza del liberto, il patrono possa esperire l’azione giudiziaria e in ipotesi di con-flitto sul dovuto è il magistrato a determinare il quantum di spettanza (C.I. 6.3.1, Severus et Antoninus, a.204); l’obbligato è tenuto in ragione delle proprie condizioni economiche e a salvaguardia delle piùampie esigenze per la realizzazione di un vivere soddisfacente (D. 25.3.5.19, Ulp. 2 off. cons.); la san-zione per l’inottemperanza, purché si tratti di mancanza grave e nel solo caso di assoluta indigenza,incide sullo stato giuridico del soggetto con il carattere afflittivo proprio della riduzione in stato ser-vile dell’obbligato: ‘eos in potestate patronum redigi ’ (D. 25.3.6.1, Mod. l.s. manum.);b) in ipotesi di trasgressione del patrono, venga riconosciuta la tutela processuale dell’avente titoloal beneficio per ottenere, però, solo quanto necessario alla sopravvivenza (D. 25.3.6, Mod. l.s. ma-num.) e sia applicata la sanzione della perdita del diritto successorio e dei vincoli alimentare e di pa-tronato per l’ingiustificata inottemperanza all’onere (D. 38.2.33, Mod. l.s. manum.).

4. Nell’esperienza giuridica romana l’obbligo agli alimenti nasce, secondo la ricostruzione storica, dap-prima nei rapporti di clientela e di patronato per avere quindi applicazione nei legami familiari. Sitratta, più che di un’obbligazione in senso proprio, di un officium derivante dai vincoli di parentela.

In età antica la famiglia è, com’è noto, un organismo «politico-economico» sottoposto al pote-re assoluto del capostipite in vita ed è proprio il legame di soggezione che tiene unito il gruppo. Lafamilia è pertanto vincolata al potere di un individuo di pieno diritto normalmente a capo di una ar-ticolata compagine familiare costituita da esseri umani (moglie in manu, figli del pater con le loroeventuali famiglie nucleari e schiavi, soprattutto domestici) nonché da animali e cose materiali. Ilpater familias non è così soggetto all’altrui patria potestas e, quindi, non ha alcun ascendente diretto perlinea maschile o è emancipato da chi su di lui esercitava il potere potestativo ed è, in tal modo, il ti-tolare dei beni familiari 17.

E’ pertanto probabile che il vincolo alimentare si affermi in ambito familiare solo con il progres-sivo affievolirsi e attenuarsi del legame rigido e subordinato in senso assoluto che congiunge i figli allapotestas paterna 18: il padre inizia progressivamente ad esigere soccorso e sostegno dall’assoggettato e

16) Secondo quanto contenuto in una disposizione normativa di Caracalla: cfr. Marciano (2 inst.), D. 37.14.5.1

(‘Imperatoris nostri rescripto cavetur, ut, si patronus libertum suum non aluerit, ius patroni perdat ’).17) La concezione romana della famiglia eminentemente patriarcale – il pater familias non ha ascendenti vivi ed

esercita la patria potestas sui discendenti, la dominica potestas sui beni ed eventualmente la manus maritalis sul coniuge(sul punto, fra gli altri, cfr. L. CAPOGROSSI COLOGNESI, Ancora sui poteri del ‘paterfamilias’, in «BIDR.», LXXIII, 1970,p. 357 ss., F. GALLO, Osservazioni sulla signoria del ‘pater familias’ in epoca arcaica, in «Studi P. De Francisci», II, Milano,1956, p. 193 ss., e A.M. RABELLO, Effetti personali della ‘patria potestas’. Dalle origini al periodo degli Antonini, Milano,1979, p. 20 ss.) – si richiama, com’è noto, a primitive condizioni sociali, quando le tribù delle origini erano organi-smi indipendenti, autonomi rispetto all’autorità politica con la conseguenza che il concetto di famiglia è essenzial-mente «politico» e non rappresenta un nucleo composto da sole persone legate da vincoli agnatizi e di cognazione,bensì un complesso di soggetti sottoposti a vario titolo al potere del comune capostipite. Sulla struttura e organiz-zazione familiare nell’età delle origini, in particolare, cfr. C. FAYER, La familia romana, I, Roma, 1994, p. 17 ss., G.FRANCIOSI, Famiglia e persone in Roma antica. Dall’età arcaica al principato, Torino, 1989, p. 31 ss., e F. SERRAO, Dirittoprivato economia e società nella storia di Roma, I, Napoli, 1999, p. 181 ss.

18) Il vocabolo ‘potestas ’, com’è noto, individua una classe di potere e la radice del termine, confermata dal ‘po-tis ’, trova origine nel greco ‘posis ’ e nel sanscrito ‘patis ’ (in argomento, cfr. A. ERNOUT, A. MEILLET, Dictionnaire é-

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di converso si preoccupa del suo mantenimento.Il vincolo agli alimenti viene così a poco a poco riconosciuto alla parentela legittima, recipro-

camente fra ascendenti e discendenti, nella linea paterna; quindi alla parentela illegittima nella lineamaterna, e anche a quella legittima nel diritto giustinianeo, che estende l’obbligo alla linea paternanell’ambito della famiglia naturale.

L’impegno reciproco tra pater e liberi alieni iuris nasce quindi solo in epoca imperiale in conside-razione del progressivo imporsi del vincolo di cognazione sul vincolo agnatizio e della sua rilevanzagiuridica ai fini ereditari – ordo unde cognati 19 – nonché in ragione dell’intervenuta autonomia economicadei figli di famiglia titolari di peculio castrense o quasi castrense 20: tramontata la struttura familiare ri-gidamente patriarcale delle età precedenti, si riconosce definitiva rilevanza giuridica agli alimenti con ilconsequenziale diritto-obbligo reciproco tra padri e figli 21. Tale progressiva estensione si realizza an-

tymologique de la langue latine. Histoire des mots 4, Paris, 1967, II, sv. ‘potis ’, p. 528, e A. WALDE, J.B. HOFMANN, Lateini-sches etymologisches Wörterbuch, II, Heidelberg, 1954, sv. ‘possum ’ e ‘potis ’, p. 347-350).

19) L’adgnatio, che com’è noto indica la comune discendenza da uno stesso capostipite maschio attraverso altrimaschi (Iust. inst. 1.15.1 ‘Sunt autem agnati per virils sexus cognationem coniucti ’), quale rapporto che lega tra loro i varicomponenti della famiglia, si computa per gradi determinati dal numero delle generazioni e rileva giuridicamente si-no al sesto: D. 38.10.10.18 (Paul. l.s. grad. et adf.: ‘Hic proximo nomine definitur parentis sui sobrinus, ut Trebatius ait, ratio-nemque nominis hanc reddit, quod ultimi cognationum gradus sobrinorum fiunt ’). Il sobrinus, in quanto secondo cugino, è pa-rente di sesto grado e infatti in argomento Cicerone, coevo del giurista Trebazio, conferma (off. 1.17.54) ‘prima socie-tas in ipso coniugio est, proxima in liberis, deinde una domus, communia omnia …; sequentur fratrum coniunctiones, post consobri-norum sobrinorumque, qui cum una domo iam capi non possint, in alias domos tamquam in colonias exeunt ’. La concezione pa-triarcale della famiglia subisce, col passare dei secoli e l’evolversi della società civile, notevoli mutamenti. In epoca ar-caica, comunque, la lex XII Tabularum esclude qualsiasi rilevanza alla discendenza materna, la cognatio (Iust. inst. 1.15.1:‘…At qui per feminini sexus personas cognatione iunguntur, non sunt adgnati, sed alias naturali iure cognati …’); successivamentequesta assume valore di impedimento al matrimonio e si riconosce la possibilità di donazione tra cognati, mentre inmateria successoria, allo scopo di evitare il passaggio dei patrimoni da una famiglia ad altra, la resistenza alla succes-sibilità dei cognati è più dura; in epoca imperiale, infine, si formalizza la regolare successione tra madre e figli; in etàgiustinianea, da ultimo, la distinzione fra adgnati e cognati è abolita, e con il solo termine di cognati sono chiamati tuttii parenti, sia in linea maschile sia in linea femminile (su adgnatio e cognatio e vincoli di parentela, in particolare, cfr.FAYER, La familia, cit., p. 21 ss., A. GUARINO, Adfinitas, Milano, 1939, p. 33 ss., e R. SALLER, I rapporti di parentela el’organizzazione familiare. Il matrimonio, in «Storia di Roma», IV, «Caratteri e morfologie», Torino, 1989, p. 523 ss.).

20) Su peculio, amministrazione, titolarità, poteri e competenze, cfr. G. LONGO, Il concetto classico e il concetto giusti-nianeo di «administratio peculii», in «BIDR.», XXXVIII, 1930 p. 29 ss., e ID., Appunti critici in tema di peculio, in «SDHI.», I,1935, p. 392 ss. Sulle caratteristiche e particolarità del peculio castrense, diffusosi in età adrianea, comprendente,com’è noto, gli acquisti fatti dal figlio di famiglia durante la vita militare, del quale la prole ha pieno e legittimo go-dimento e può disporne mortis causa per testamento, cfr. E. ALBERTARIO, Appunti sul ‘peculium castrense’, in Studi di di-ritto romano, I, Milano, 1933, p. 157 ss., A. GUARINO, L’oggetto del «castrense peculium», in «BIDR.», XLVIII, 1941, p. 41ss., ora in Pagine di diritto romano, VI, 1995, p. 105 ss., H. FITTING, Das ‘castrense peculium’ in seiner geschichtlichen Entwic-kelung, Halle, 1871, passim, e F. LA ROSA, Ancora in tema di «peculium castrense», in «Studi P. De Francisci», II, cit., p.393 ss. Quanto, invece, al peculio quasi castrense di età costantiniana, che si sostanzia degli acquisti fatti dal figliomentre ricopre pubblici uffici, cariche ecclesiastiche o nell’esercizio di professioni liberali, cfr. infine G. ARCHI, Intema di peculio quasi castrense, in «Studi di storia e diritti E. Besta», I, Milano, 1937, p. 117 ss., e B. LEHMANN, Das «pe-culium castrense» der «palatini», in «Labeo», XXIII, 1977, p. 49 ss.

21) Circa l’obbligo alimentare tra padre e figlio ALBERTARIO, Sul diritto agli alimenti, cit., p. 253, ritiene che ilvincolo tra ascendente e figlio emancipato pubere in età ulpianea sia sancito da «… una norma nuovissima e forseancora contrastata da una parte della giurisprudenza classica». Al contrario, A. DELL’ORO, I libri de officio nella giuri-sprudenza romana, Milano, 1960, p. 54, sostiene che, quanto agli emancipati impuberi, «proprio per tale loro situazio-ne non comportante alcun onere familiare» non vi è alcun dubbio, qualora facoltosi, sul loro obbligo nei confrontidel padre in situazione di seria difficoltà economica (D. 25.3.5.13, Ulp. 2 off. cons.). Il vincolo contrasta, comunque,con la cultura familiare rigidamente gerarchica dell’età delle origini, quando ogni potere è concentrato nelle mani delpater familias che esercita sui figli sia il ius vitae ac necis (drasticamente ridotto nei contenuti, com’è noto, all’iniziodell’età imperiale con la previsione della pena personale afflittiva della deportatio per chi uccide il proprio filius permotivi futili: sulla vitae necisque potestas, in particolare, cfr. B. ALBANESE, Note sull’evoluzione storica del ‘ius vitae ac necis, in«Scritti C. Ferrini», III, Milano, 1948, p. 343 ss., FAYER, La familia, cit., p. 140 ss., FRANCIOSI, Famiglia, cit., p. 55 ss.,e A.M. RABELLO, Il ‘ius occidendi iure patris’ della ‘lex Iulia de adulteriis’ e la ‘vitae necisque potestas’ del ‘paterfamilias’, in «Attidel seminario romanistico internazionale», Perugia, 1972, p. 228 ss.) sia il ius vendendi (che già la lex XII Tabulàrumtenta di contenere e arginare attraverso il limite al numero delle vendite tanto che – tab. IV.2 – ‘si pater filium ter ve-num duit ’ perde la patria potestas : in argomento, cfr. FAYER, La familia, cit., p. 210 ss., e FRANCIOSI, Famiglia, cit., p.

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cor più compiutamente nell’età dei Severi, tant’è che il giurista Ulpiano testualmente riferisce:

D. 25.3.5.1 (Ulp. 2 off. cons.) Sed utrum eos tantum liberos qui sunt in potestate cogantur quis exhibere,an vero etim emancipatos (…) vedendum est.

Allo stesso modo del padre anche i di lui ascendenti hanno, nel predetto contesto storico, diritto eobbligo alimentare: ‘avumve paternum proavumve paterni avi patrem ’ 22. Il diritto e la sua reciprocità si re-gistrano, inoltre, per la madre e il figlio, ma non nelle medesime modalità, poiché la donna, al paridei soggetti liberi sottoposti al potere potestativo, ha titolo agli alimenti in ragione della potestas cheil soggetto investito esercita sulla medesima: obbligato è in primis il marito al quale la moglie è as-soggettata, o il suo pater familias se questi è alieni iuris ; quindi il padre, che la mantiene in potestate, neicasi di matrimonio formalizzato senza conventio in manum. Un simile diritto, invece, nella famiglia le-gittima, non sembrerebbe sussistere, in detti casi, in capo alla madre 23 come lascia intendere

D. 25.3.5.14 (Ulp. 2 off. cons.): Si mater alimenta quae fecit in filium a patre repetat, cum modo eamaudiendam.

Nella famiglia illegittima, al contrario, il diritto agli alimenti nei confronti degli spurii o vulgo concepti èprevisto tra madre e figlio illegittimo, così come è dato ricavare da

D. 1.5.24 (Ulp. 27 ad Sab.): … qui nascitur sine legitimo matrimonium mater sequitur.

Ne deriva che, al pari del padre e degli ascendenti paterni, come stabilito nel caso di famiglia legit-tima, in quella illegittima sono obbligati la madre e gli ascendenti materni. Sul punto, infatti, nel IIsecolo d.C. una costituzione sine die et consule contenuta nel Codice di Giustiniano precisa:

C.I. 5.25.1 (Pius a. 161): Parentum necessitatibus liberos succurrere iustum est.

Il principio è richiamato da Ulpiano in

D. 25.3.5.5 (Ulp. 2 off. cons.): Item Divus Pius significat, quasi avus quoque maternus alere compellatur.

Lo stesso giurista, poi ribadisce:

D. 25.3.5.6 (Ulp. 2 off. cons.): Idem rescripsit, ut filiam suam pater exhibeat, si constiterit apud iudicemiuste eam procreatam.

Si esclude, al contrario, l’obbligo del padre in caso di famiglia illegittima: il pater familias è tenuto solonei confronti dei figli nati da giuste nozze.

Il diritto e l’obbligo reciproco agli alimenti tra padre e figlio viene così ufficializzato e formal-mente regolato in epoca imperiale e nell’età dei Severi; il vincolo di parentela determina l’insorgenzadel diritto agli alimenti, tanto che pretendere quanto necessario per la sopravvivenza, in caso di im-possibilità a procacciarsi l’essenziale, assume rilevanza giuridica, con la conseguenza che la mancataosservanza dell’impegno legittima l’azione giudiziaria straordinaria: un dovere imperativo oggetto di

49 ss. Sull’evoluzione normativa in età tardo antica, invece, cfr.: M. BIANCHI FOSSATI VANZETTI, Vendita ed esposi-zione degli infanti da Costantino a Giustiniano, in «SDHI.», XLIX, 1983, p. 179 ss., P. BONFANTE, Il ‘ius vendendi’ del ‘pa-terfamilias’ e la legge 2 Cod. 4.43 di Costantino, in Scritti giuridici vari, I, Torino, 1916, p. 64 ss., ed E. COSTA, La vendita el’esposizione della prole nella legislazione di Costantino, in «MAB.», IV, 1910, p. 107 ss.), difficilmente conciliabili con laprevisione di un obbligo o impegno alimentare.

22) D. 25.3.5.2 (Ulp. 2 off. cons.).23) Per una più attenta analisi, cfr. infra, § 5.

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regolamentazione normativa imperiale 24, ma in ogni caso un istituto atipico la cui giurisdizione extraordinem è devoluta al console 25.

Ai soggetti legati da vincoli di parentela si riconosce così il diritto-obbligo al sostentamento inragione del rapporto che rende sanzionabile l’ingiustificata condotta omissiva in considerazione delvalore che nel tempo acquista il legame cognatizio 26.

Ulpiano, parlando di obbligo agli alimenti, richiama, infatti, Antistio Labeone che lo avrebbeprevisto in caso di stretti congiunti, lasciando così intendere la sua risalenza temporale al finire del Isecolo a.C. 27 e la definitiva regolamentazione, come detto, solo in età successiva 28.

Il giurisperito severiano chiarisce inoltre che, in linea di principio, contro il padre che riconosce ilfiglio può essere intentato immediato giudizio per gli alimenti; contro quello che, invece, non lo ri-conosce si procederebbe in via preventiva per ottenere pronunzia di riconoscimento di paternità:

D. 25.3.1.13 (Ulp. 34 ad ed.): Idem per contrarium quoque ait, si mulier divortio facto non fecerit ea,quae senatus consulto praecipiuntur, ut liceat patri non agnoscere, non eo pertinere, ut filius natus suumse dicere non possit, sed ad id tantum, ut ita pater alere eum cogatur, si constiterit eum filium esse.

La distinzione tra i figli legittimi, generati in costanza di matrimonio, e figli venuti alla luce dopo loscioglimento del vincolo per divorzio, produce così la conseguenza che la prole nata da giuste noz-ze ha titolo agli alimenti mentre i figli nati decorsi trenta giorni dal divorzio devono essere formal-mente riconosciuti per avere diritto alla prestazione alimentare.

Nel primo caso, nulla quaestio : il figlio di famiglia potrà agire, extra ordinem, intentando unaazione volta a ottenere il sostegno economico; mentre, nel secondo caso, non è escluso che possano

24) Sul punto, in particolare, Pietro Bonfante (Corso, I, cit., p. 279) ritiene che il diritto sorge in età imperiale,nello specifico, sotto il governo dell’imperatore Marco Aurelio, sebbene tracce dell’obbligo siano rinvenibili in etàprecedente. Anche i retori in differenti controversie si occupano, infatti, del tema degli alimenti tra genitori e figli(Sen. Rhet., contr. 1.1, 1.7 e 7.4, Quint., decl. maior. 5.9 e decl. min. 330 e 368). Seneca il Retore nel I secolo d.C. preve-de l’obbligo alimentare del figlio nei confronti del proprio pater familias (contr. 1.1: ‘duo fratres inter se dissidebant. Alterifilius erat. Patruus in egestatem incidit. Patre vetante adulescens illum aluit. Ob hoc abdicatus tacuit. Adoptatus a patruo est. Patruusaccepta ereditate locuples factus est. egere coepit pater; vetante patruo alit illum. Abdicatur ’; 1.7: ‘Quidam alterum fratrem tyrannumoccidit, alterum in adulterio deprehensum deprecante patre interfecit. A piratis captus scripsit patri de redemptione. Pater piratis epistolascripsit: si praecidisset manus, duplam se daturum. Pirataeillum dimiserunt. Patrem egentem non alit ’; 7.4: ‘Quidam, cum haberetuxorem et ex ea filium, peregre profectus est. A piratis captus scripsit de redemptione epistola uxori et filio. Uxor flendo oculos perdidit.Filium euntem ad redemptionem patris alumenta poscit; non remanentem aligari volt ’) e i casi presi in esame attengono, in par-ticolare, alle ipotesi di figli che si impegnano anche nei confronti di coloro verso i quali nulla devono (in argomento,cfr. F. LANFRANCHI, Il diritto nei retori romani, Milano, 1938, p. 274). Certamente è però difficile credere che l’istitutorisalga al tempo in cui la struttura familiare romana è ancora rigidamente organizzata in modo gerarchico piramida-le, sottoposta al potere assoluto del parter familias, quando i componenti del nucleo agnatizio non hanno alcuna au-tonomia patrimoniale e il pater esercita un ius vitae ac necis certamente inconciliabile con il vincolo alimentare.

25) Si ritiene che il competens iudex (D. 25.3.5, Ulp. 2 off. cons.) coincida con la figura del consul (in argomento, fragli altri, cfr. F. DE MARTINO, La giurisdizione nel diritto romano, Padova, 1937, p. 332 ss.). Il console decide summatim(D. 25.3.5.8, Ulp. 2 off. cons.): sul punto, in particolare, cfr. B. BIONDI, Summatim conoscere, in «BIDR.», XXX, 1921, p.244, e F. LANFRANCHI, Ricerche sulle azioni di stato nella filiazione in diritto romano, I, Modena, 1953, p. 25 s.). La giurisdizio-ne, peraltro, non sembra esclusiva del console e nelle propaggini dell’impero le cause per alimenti sono trattate dal go-vernatore (in merito, specificamente, cfr. SACHERS, Das Recht auf Unterhalt, cit., p. 347). Per parte della dottrina, infine,la iurisdictio appartiene a differenti magistrati: i praeses (sulla questione, nello specifico, cfr. S. SOLAZZI, Leggendo i librioff. cons., in Scritti di diritto romano, II, Napoli, 1957, p. 86). Su iudices e funzioni giusdicenti in età tardo antica, da ulti-mo, cfr. S. BARBATI, Studi sui ‘iudices’ nel diritto romano tardo antico, Milano, 2012, passim.

26) In età risalente, come osserva Pietro Bonfante (Corso, cit., I, p. 7 ss.)., il pater è probabilmente abilitato achiedere aiuto economico ai sottoposti in caso di necessità e al contempo sente, in ragione di un principio di dirittonaturale, l’obbligo al sostentamento dei propri assoggettati: ripartire beni familiari e risorse domestiche tra i com-ponenti del nucleo è prerogativa discrezionale del titolare della potestas.

27) D. 27.3.1.4 (Ulp. 36 ad ed.).28) In argomento si ritiene doveroso richiamare il contributo di Emilio Albertario che, negli anni Trenta del

secolo scorso, ha revisionato la portata interpretativa dei testi giuridici romani con l’intento di rappresentare quantoappartiene al diritto dell’età classica e quanto, invece, al diritto di età tardo antica: si veda Sul diritto agli alimenti nel di-ritto romano, cit., p. 14-41.

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aprirsi due possibilità, e precisamente: o il filius sceglie di agire in via ordinaria al fine di acquisireuna pronuncia sulla paternità negata e, quindi, in caso di esito positivo, può procedere, extra ordinem,per gli alimenti, oppure formalizza immediatamente, nei modi e termini consentiti, la richiesta dialimenti alla quale seguirà, incidenter tantum, l’accertamento della paternità 29.

Sul punto, infatti, eloquente è il caso, fatto risalire ai tempi dell’imperatore Claudio (41-54), diuna donna, presumibilmente divorziata, che agisce in nome e nell’interesse del figlio al fine di otteneregiudizialmente gli alimenti in favore del giovane, insieme al riconoscimento di paternità, che il giu-dicante è chiamato ad accertare in via incidentale:

C.I. 5.25.3 (Divi fratres, a. 162): Si competendi iudici eum, quem te ex Claudio enixam esse dicis, filiumeius esse probaveris, alimenta ei pro modo facultatum praestari iubebit.D. 25.3.1.16 (Ulp. 34 ad ed.): Plane si denuntiante muliere negaverit ex se esse praegnatem, tametsi cu-stodes non miserit, non evitabit, quo minus quaeratur, an ex eo mulier praegnas sit. Quae causa si fueritacta apud iudicem et pronuntiaverit, cum de hoc agetur quod ex eo pregna fuerit nec ne, in ea causa es-se, ut agnosci debeat: sive filius non fuit sive fuit, esse suum.D. 25.3.3 (Ulp. 34 ad ed.): Sive contra pronuntiaverit, non fore suum, quamvis suus fuerit: placet enimeius rei iudicem ius facere.

La ex moglie deve denunciare, comunque, al marito, nei trenta giorni successivi allo scioglimentodel vincolo matrimoniale, il proprio stato di gravidanza:

D. 25.3.1.5 (Ulp. 34 ad ed.): Illud notandum est, quod denuntiato a marito non incipit, sed a muliere: sed simaritus ultro custodes offerat et ea non admittat, vel si non denuntiaverit mulier, aut si denuntiaverit qui-dem, custodes autem arbitrio iudicis non admiserit, liberum est marito parentive eius partum non agnoscere.D. 25.3.1.1 (Ulp. 34 ad ed.) Permittit igitur mulieri parentive in cuius potestate est vel ei cui mandatumab eis est, si se putet praegnatem, denuntiare intra dies triginta post divortium communerandos ipsi ma-rito vel parenti in cuius potestate est, aut dominum denuntiare, si nullius eorum copiam habeat.

Accertata, quindi, la veridicità del denunciato status, fatta salva la prova contraria, il concepimentodeve intendersi avvenuto in costanza di matrimonio, con ogni consequenziale effetto sul diritto aglialimenti per la prole. In merito poi alla tardività della denuncia da parte della ex moglie al marito, oal di lui pater familias se alieni iuris, qualora il ritardo non sia alla stessa imputabile, o comunque siagiustificato o giustificabile, non produce effetti diversi da quelli previsti per il caso di comunicazionenel rigoroso rispetto del termine dei trenta giorni.

Quanto infine ai liberi, sia alieni iuris sia sui iuris, non sembrano esistere particolari distinzioniconsiderata la genericità con la quale si richiama la prole nelle previsioni normative – ‘Parentum neces-sitatibus liberos succurrere iustum est ’ 30– e infatti, in argomento, Ulpiano riferisce:

D. 25.3.5.pr.-1 (Ulp. 2 off. cons.): Si quis a liberis ali desideret vel si liberi, ut a parente exhibeantur,<iudex> de ea re cognoscet. Sed utrum eos tantum liberos qui sunt in potestate cogatur quis exhibere,an vero etiam emancipatos vel ex alia causa sui iuris constitutos, videndum est. Et magis puto, etiamsinon sunt liberi in potestate, alendos a parentibus et vice mutua alere parentes debere.

Come si vede, il giurista precisa che il diritto agli alimenti tra genitori e figli è reciproco, con la con-

29) D. 25.3.1.16 (Ulp. 34 ad ed.) sembra evidenziare che la legittimazione all’azione sia attribuita alla madre (tra

l’altro è eloquente: ‘an ex eo pregna fuerit ’) in considerazione del fatto che, com’è noto, nella giurisdizione ordinarianon è consentita l’azione diretta del sottoposto contro il titolare del potere potestativo: impossibile la pretesadell’assoggettato – figlio – avverso il preposto – padre –, con la conseguente interdizione dell’azione di stato del fi-glio avverso il padre (in argomento, cfr. in particolare S. SOLAZZI, Sulla capacità del filius familias di stare in giudizio, in«BIDR.», II, 1898, p. 197).

30) C.I. 5.25.1 (Ant. Pius a. 161).

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seguenza che la pretesa può essere vicendevolmente avanzata quando l’uno o l’altro versano in statodi indigenza. Non emergono dubbi, quindi, sul fatto che il padre sia tenuto tanto nei confronti deiliberi in potestà quanto nei confronti dei liberi sui iuris : il legame di parentela, infatti, rende obbligato-rio il reciproco vincolo alimentare.

Il giureconsulto utilizza, in aggiunta, una locuzione terminologica che invita a operare una pun-tuale riflessione. Nello specifico: ‘an vero etiam emancipatos vel ex alia causa sui iuris constitutos, videndum est ’.Il richiamo è esplicito e lineare quanto ai figli emancipati, ma vale anche per ogni figlio che abbiaacquistato il nuovo status giuridico di sui iuris, con l’effetto che il padre naturale deve prestare quantonecessario a titolo di alimenti pure a detta prole.

La regola che si ricava dal passo è che l’ascendente deve contribuire in caso di necessità in fa-vore di: figli in potestà; figli emancipati; figli che da alieni iuris, per qualunque altra ragione o causa,siano divenuti sui iuris ; figli adottivi e figli dati in adozione nel caso di impossibilità per indigenzadel padre adottivo (almeno per l’età giustinianea, quando con l’adoptio minus quam plena non si inter-rompono legami e vincoli giuridici tra adottato e famiglia naturale) 31.

Ulpiano, comunque, lascia intendere, con il ricorso all’espressione parentes debere, a conclusionedel sopra riportato frammento, che il reciproco rapporto alimentare esisterebbe anche in presenzadel vincolo cognatizio in linea retta madre-figlio. La genitrice e gli ascendenti materni sono così te-nuti nei confronti del figlio in difficoltà, nell’ipotesi il padre versi in stato di bisogno, con il conse-guente e ipotizzabile obbligo alimentare anche del padre naturale in caso di adozione: l’assenzadell’agnazione, infatti, non eliderebbe il rapporto di cognazione al quale, in argomento di alimenti, ildiritto appare dare rilevanza giuridica 32. Chiaro e conseguente, per chiudere, è invece l’obbligodell’adottante nei confronti dell’adottato, sia perché il giurista severiano utilizza una terminologiagenerale, senza operare alcuna distinzione tra figli naturali e figli adottivi, parlando espressamente di‘liberos qui sunt in potestate ’, come si ricava anche da

D. 38.8.1.4 (Ulp. 46 ad ed.): Cognationem facit etiam adoptio: etenim quibus fiet adgnatus hic qui adop-tatus est, isdem etiam cognatus fiet: nam ubicumque de cognatis agitur, ibi sic accipiemus, ut etiamadoptione cognati facti contineantur. Evenit igitur, ut is qui in adoptionem datus est tam in familia natu-ralis patris iura cognationis retineat quam in familia adoptiva nanciscatur: sed eorum tantum cognatio-nem in adoptiva familia nanciscetur, quibus fit adgnatus, in naturali autem omnium retinebit,

sia perché Paolo evidenzia che l’adozione determina l’insorgenza del rapporto agnatizio, che generaquale esito consequenziale il vincolo di cognazione, con ogni conseguente effetto logico-giuridico 33:

31) Nell’esperienza giuridica romana l’adottato, com’è noto, esce dalla famiglia originaria, perde ogni rapportodi parentela nonché diritti e i doveri nei confronti della medesima, per acquistare nuovi legami, diritti e obblighi,verso quella dell’adottante; in caso di bisogno il filius quindi è legittimato a chiedere un sostegno economico al solo pa-dre adottivo (sull’adoptio in età classica, cfr. Gai., inst. 1.97, nonché, sul procedimento di adozione, 1.98: ‘adoptio autemduobus modis fit, aut populi auctoritate, aut imperio magistratus, veluti praetoris ’). In età giustinianea, invece, si distinguono icasi di adozione piena (adoptio plena ) e meno che piena (adoptio minus quam plena ). Nella prima ipotesi – formalizzatadagli ascendenti o parenti dell’adottando: adozione del figlio sottoposto al potere potestativo di un proprio discen-dente emancipato o di un discendente in linea femminile – la capitis deminutio minima dell’adottato lo equipara, ancheai fini successori, ai filii dell’adottante, ma la cognazione tra adottato e padre naturale perdura così come l’impegnoeconomico in caso di necessità della prole. Nell’adoptio minus quam plena – tra estranei – considerato che l’adottantenon acquista la patria potestas sull’adottando e il filius familias non perde i diritti successori nei confronti del padrenaturale e della sua famiglia di provenienza, il rapporto tra adottato e il nucleo familiare originario continua e conesso anche il vincolo agli alimenti in caso di bisogno (cfr. C.I. 8.47.10 [Iustinianus a. 530], e il titolo D. 1.7, ‘de adop-tionibus et emancipationibus et aliis modis quibus potestas solvitur ’). In argomento, in particolare, cfr. M. MIGLIORINI,L’adozione tra prassi documentale e legislazione imperiale nel diritto del tardo impero romano, Milano, 2001, p. 334 ss.).

32) D. 25.3.5.15 (Ulp. 2 off. cons.): ‘A milite quoque filio, qui in facultatibus sit, exhibendos parentes esse pietatis exigit ratio ’ribadisce il principio del vincolo alimentare per il figlio militare, mentre D. 25.3.5.6 (Ulp. 2 off. cons.: ‘Idem rescripsit, utfiliam suam pater exhibeat, si constiterit apud iudicium iuste eam procreatam ’) conferma il principio dell’obbligo agli alimentiin favore delle figlie maggiori legittime.

33) Diversa è l’ipotesi dell’adottato emancipato, poiché il figlio perde ogni legame con il padre adottivo e –salvo quanto previsto in argomento di unioni illegittime dove la situazione giuridica rimane invariata anche una

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D. 38.10.10.4 (Paul. l.s. grad.): Inter adgnatos igitur et cognatos hoc interest quod inter genus et speciem:nam qui est adgnatus, et cognatus est, non utique autem qui cognatus est, et adgnatus est: alterum enimcivile, alterum naturale nomen est.

In età tardo antica, infine, Flavio Valerio Costantino (323-337) con il disposto del 21 luglio 336vieta, per gli ordini superiori dell’impero, ogni forma di elargizione, anche per interposta persona, infavore della concubina e dei figli avuti dalla medesima. Questi, anzi, devono restituire i beni loropervenuti (per donazione, vendita o sotto qualunque forma) ai congiunti di sangue (figli legittimi,genitori, fratelli e sorelle) del convivente della madre o del di lui padre. In mancanza di eredi legit-timi subentra il fisco: la violazione comporta il ricorso alla tortura e una pena che è quattro voltel’importo dell’elargizione 34. La disposizione normativa stabilisce, inoltre, che è colpito da infamia eda perdita della cittadinanza (‘maculam subire infamiam et peregrinos a Romanis legibus fieri ’) il genitore cheprovi a far rientrare i figli frutto dell’unione concubinaria numero legitimorum, sia attraverso adozione(‘aut proprio iudicio ’) sia tramite rescritto imperiale (‘aut nostri prærogativa rescripti ’). La deterrenza trascurail fatto di colpire persone innocenti, cioè la prole, per raggiungere i genitori, sui quali si esercita unapressione affinché riconducano la loro unione all’interno dei canoni del legittimo matrimonio 35.

Successivamente, gli imperatori Flavio Valentiniano (364-375), Flavio Giulio Valente (364-378) eFlavio Graziano (367-383), nel 371, stemperano il rigore mostrato dal loro predecessore consenten-do di elargire ai figli naturali o alla concubina un’oncia (un dodicesimo) delle proprie sostanze inpresenza di ascendenza o discendenza legittima, quota che viene elevata a tre once (quindi un

volta eliminati gli effetti dell’adozione (Gai., inst. 1.58) – cessano impegni e vincoli, compreso quello alimentare nelcaso di bisogno (sulle conseguenze dell’adozione in ambito matrimoniale, in particolare, cfr. BONFANTE, Corso, I,cit., p. 275, E. VOLTERRA, La nozione «dell’adoptio» e dell’ «adrogatio» secondo i giuristi romani del II e del III secolo d.C., in«BIDR.», LXIX, 1966, p. 140 ss., B. ALBANESE, Le persone nel diritto privato romano, Palermo, 1979, p. 228 ss., M.KURYLOWICZ, Die adoptio im klassischen römischen Recht, Warszawa, 1981, p. 30 ss., e C. RUSSO RUGGERI, La datio inadoptionem. Origine, regime giuridico e riflessi politico-sociali in età repubblicana ed imperiale, Milano, 1990, p. 398 ss.).

34) Il provvedimento normativo in C.Th. 4.6.3 (Constantinus a. 336, ancora presente in C.I. 5.27.1) viene in-fine abrogato da parte di Giustiniano (Nov. 89.15 [a. 539]).

35) La concubina, almeno sino alla metà del V secolo d.C., è esclusa dai benefici economici in ipotesi di ne-cessità. Nel 447 d.C. però l’imperatore Zenone (474-475 e 476-491) formalizza la legittimazione della donna con laquale si intrattiene una relazione di fatto per susseguente matrimonio (C.I. 5.27.5 [Zeno a. 477]: ‘…sacratissimam con-stitutionem renovantes iubemus eos, qui ante hanc legem ingenuarum mulierum [nuptiis minime intercedentibus] electo contuberniocuiuslibet sexus filios procreaverunt, quibus nulla videlicet uxor est, nulla ex iusto matrimonio legitima proles suscepta, si voluerint easuxores ducere, quæ antea fuerant concubinæ, tam coniugium legitimum cum huiusmodi mulieribus ingenuis [ut dictum est] posse contra-here …’) e il vincolo diviene così un possibile rimedio allo stato di bisogno. La soluzione della trasformazione delconcubinato in matrimonio riguarda naturalmente le ingenuae concubinae (donne che possono essere mogli sia per ildiritto sia per l’opinione pubblica, ma che l’uomo preferisce tenere come concubine, pur correndo il rischio di essereaccusato di stupro) e le donne che l’opinione pubblica vuole che siano tenute non come mogli ma come concubine,sebbene il diritto non vieti di sposarle (obscuro loco natae e liberte per gli ingenui non di rango senatorio). Nell’epocagiustinianea, da ultimo, la relazione stabile fuori dal vincolo matrimoniale, ormai assunta a rapporto giuridico, cono-sce una rilevante innovazione: è possibile instaurarla anche con una donna ingenua et honesta, purché se ne faccia di-chiarazione pubblica (D. 25.7.3.pr.-1, Marc. 12 inst.: ‘In concubinatu potest esse et aliena liberta et ingenua et maxime ea quæobscuro loco nata est vel quæstum corpore fecit. Alioquin si honestæ vitae et ingenuam mulierem in concubinatum habere maluerit, sinetestatione hoc manifestum facente non conceditur, sed necesse est ei vel uxorem eam habere vel hoc recusantem stuprum cum ea committe-re. Nec adulterium per concubinatum ab ipso committitur. Nam quia concubinatus per leges nomen assumpsit, extra legis poenam est,ut et Marcellus libro septimo digestorum scripsit ’). Il rapporto di fatto, in quanto relazione stabile che prescinde dalla con-dizione sociale della donna, non deve necessariamente contenere gli elementi dell’affectio maritalis e dell’honor matri-monii (C.I. 5.27.10, Iustinianus a. 531). Si richiedono, comunque, perché il rapporto sia lecito i medesimi requisiti delmatrimonio (C.I. 7.15.3.2 [Iustinianus a. 531], Nov. 18.5 [a. 536], Nov. 89.12.4 [a. 539]). La conseguenza potrebbeessere, quindi, una sostanziale equiparazione, per la concubina e la moglie legittima, del regime alimentare in caso dibisogno (in argomento, in particolare, cfr. P. BONFANTE, Nota sulla riforma giustinianea del concubinato, in «Studi S. Peroz-zi», Palermo, 1925, p. 283 ss., R. DANIELI, Sul concubinato in diritto giustinianeo, in «Studi V. Arangio-Ruiz», III, Napoli,1953, p. 178 ss., e C. TOMULESCU, Justinien et le concubinat, in «Studi G. Scherrillo», I, Milano, 1972, p. 319 ss. Quantoallo specifico atteggiamento assunto dalla comunità cristiana sul concubinato, rinvio, invece, al mio contributo, Ilconcubinato nella tarda antichità. Tra legge laica e visione religiosa, in «Labeo», L, 2004, p. 197-230).

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quarto) in mancanza di eredi legittimi per linea diretta 36.Nel 426 Teodosio II (408-450) e Valentiniano III (425-455) stabiliscono formalmente che i fi-

gli della concubina sono ‘liberi naturales ’ invece di ‘spurii ’ o ‘vulgo concepti ’ – ciò comunque sta a signi-ficare non una parificazione di diritto ma una deminutio rispetto ai consueti canoni che configuranola famiglia romana – ed estendono la quota di elargizione a un ottavo del patrimonio 37, mentre dueanni dopo, nel mese di febbraio, con un provvedimento indirizzato al prefetto del pretorio Hierio,richiamano la costituzione di Valentiniano I del 371, pur avvertendo che il rigore della legge restaimmutato (‘nec tamen legis … asperitate … premantur ’) 38.

L’effetto è che le richiamate disposizioni normative dei secoli IV e V d.C. sembrano esclude-re, nei limiti riferiti, conseguenze giuridiche di ordine patrimoniale in favore della filiazione naturale.

Nel VI secolo d.C., da ultimo, Giustiniano (527-565), al contrario, sancendo che solo i figli il-legittimi non hanno diritto agli alimenti, riconosce implicitamente il beneficio a quelli naturali.

Con la Novella 89.15 (a. 539) diretta al prefetto del pretorio d’Oriente Giovanni di Cappado-cia, inoltre, l’imperatore detta una disposizione dal contenuto particolarmente drastico:

Nov. 89.15 (a. 539) Ac primum quidem quisquis ex complexibus (neque enim nuptias vocabimus) nefa-riis vel incestis vel damnatis procreator est, is neque naturalis vocabitur neque a patribus aletur nequecum praesenti lege quicquam commune habebit.

In tema di capacità e di diritti dei figli naturali è possibile legittimarli, con ogni conseguente effettoin ambito successorio e alimentare, mentre si sancisce, diversamente, per i figli nati da unioni illegit-time, la formale preclusione da ogni tutela: vengono esonerati persino dal diritto agli alimenti in ca-so di bisogno.

Il disposto normativo, in particolare, disciplina la capacità di succedere dei figli naturali al pater,prevedendo la loro legittimazione per oblationem curiae (cap. 1-4) e quindi stabilendo il diritto recipro-co agli alimenti tra genitori e figli naturali (cap. 12) e contestualmente imponendo il dovere di dettifigli di ossequio e rispetto nei confronti del padre naturale medesimo (cap. 13) 39.

Il legislatore è indulgente verso i figli nati da matrimoni legittimi, prima o dopo il vincolo contra

36) Il contesto storico è sintetizzato dal dettato normativo dei provvedimenti contenuti in C.Th. 4.6.4 (Valen-tinianus, Valens, Gratianus a. 371): ‘Placuit man(entibus) ceteris, quae de naturalibus liberis Constantinianis legibus c(auta) sunt,haec tantummodo temperare, ut is, qui heredem h(eredes)ve filios ex legitimo matrimonio vel nepotes, qui filioru(m loco) habendi sunt,patrem quoque matremve dimittit, si ex cons(ortio) cuiuslibet mulieris naturales susceperit,unam tant(um bo)norum suorum et heredita-tis unciam naturalibus vel m(ulieri) donandi aut relinquendi habeat facultatem. Si qui(s vero) nullo ex his, quos excipimus, superstitemorietur at(que ex mu)liere, quam sibi adiunxerat, naturalem pluresve d(imit)tet, usque ad tres tantum, si volet, uncias tam in mu-lie(rem) quam in naturales, quo maluerit iure, transcri(bat) ’. La lettura integrale del testo lascia emergere un quadro limitatoin materia di elargizioni e ne deriverebbe di conseguenza l’assenza di un vincolo cogente agli alimenti, per quanto siregistri un ammorbidimento rispetto ai dettami di Costantino del 336.

37) C.Th. 4.6.7 (Theodosius et Valentinianus a. 426): ‘Naturali[um his no]men sancimus inponi, quos sine honesta ce-le[bratione] matrimonii procreatos legitima coniunctio fud[erit in lu]cem; servos autem ex ancillae utero ipso iure gen[erari pat]et, quam-vis per vim naturae ne illis quidem possi[t natura]lium nomen auferri. In hereditariis tamen cor . . . Naturales sane, si ex ancilla natifuerint et non manumittuntur a domino, inter hereditaria mancipia computantur. Quod si aut de ingenua fuerint naturales aut de li-berta aut certe libertina, ultra sescunciam matri cum naturalibus filiis dari amplius non licebit, hac ratione, ut donatio nuptialis in he-reditatis supputatione non veniat, sed de eo, quod supra donationem nuptialem fuerit, inde sescuncia deputata naturalibus iure debetur.Quod si aliquid ultra aut per donationem aut per testamentum aut per suppositam quamcumque personam illis fuerit derelictum, ab heredelegitimo legibus revocetur ’. Le fonti non esplicitano una disciplina specifica e neppure una interpretazione estesa consentedi individuare la sussistenza di un presunto vincolo giuridico alimentare.

38) C.Th. 4.6.8 (Theodosius et Valentinianus a. 428): ‘Naturales liberi eorumque matres nec parentum arbitrio in succes-sionibus ceterisque modis, quibus rei mobilis vel immobilis dominium confirmatur, passim et sine legis distinctione congrua permittantur,nec tamen legis, quae nuper lata est, asperitate premantur, cum satis sit eos secundum priorem constitutionem aut extantibus iustis libe-ris aut etiam non extantibus id tantum consequi, si patris deferatur arbitrio, quod per eam iusta moderatione decretum est, ceteris, quaede eorum matribus libertis libertinisque per novam constitutionem decreta sunt, in sua manentibus firmitate ’. Le quote fissate daldisposto appaiono più come un indirizzo di liberalità che un obbligo, con la conseguenza che in ambito alimentareè improbabile ricavarne una previsione specifica.

39) In argomento di legittimazione dei figli naturali nella legislazione imperiale di età postclassica, cfr. in parti-colare B. BIONDI, Il diritto romano cristinano, III, Milano, 1956, p. 189 ss.

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legem, ed estremamente severo nei confronti dei figli illegittimi. Il fine del provvedimento è quindidissuasivo e preventivo insieme: i soli figli nati da unioni «impure» non posseggono la figura né dilegittimi né di naturali e non hanno diritto agli alimenti. Si nega, in tal modo, la loro esistenza giuri-dica nonché la sussistenza fisica e per l’effetto la legge si pone in contrasto con la praefatio della No-vella 12, che dice che non possono gravare sui figli le malefatte e i crimini dei padri 40.

Con la Novella 115.3-4 (a. 542), infine, Giustiniano stabilisce le giuste cause di diseredazionedei figli e, da parte dei figli, dei genitori, con la conseguenza che in caso di vincolo illegittimo il rap-porto si intende di mera sessualità, anche se stabile, e non di tipo matrimoniale (congiunzione car-nale e non unione coniugale) e la sanzione, che non è personale afflittiva ma patrimoniale, è tale daspogliare l’uomo di ogni mezzo essenziale alla sopravvivenza, alimenti inclusi, come la Novella 89.15dispone nei confronti dei figli illegittimi 41. Ciò in un quadro in cui natura, carità, umanità ed equitàsono richiamate alla base del nuovo e sentito diritto agli alimenti 42.

La tematica, estremamente articolata e complessa sul piano giuridico, riguarda aspetti personalie sociali che incidono in modo determinante sulla convivenza umana e sulle relazioni interpersonaliin ambito strettamente familiare e non solo.

Appare opportuno pertanto valutare, oltre alla ratio legis, come concretamente l’apparato nor-mativo e l’assetto giurisprudenziale intervengono nella definizione dei criteri per la determinazionedel dovuto a titolo alimentare. Nelle ipotesi in cui il vincolo è previsto e sancito, esso sembra tenereconto delle condizioni socio-economiche dell’obbligato e dell’avente diritto, così che tra genitore efigli l’impegno economico viene quantificato in ragione delle possibilità del soggetto tenuto alla pre-stazione: non solo secondo quanto risulta da

C.I. 5.25.3 (Divi fratres, a. 162): … filium eius esse probaveris, alimenta ei pro modo facultatum prae-stari iubebit. Idem, an apud eum educari debeat, aestimabit,

ma implicitamente anche da quanto disposto disposto in

C.I. 5.25.4 (Severus et Antoninus, a. 197) Si patrem tuum officio debito promerueris, paternam pietatemtibi non denegabit. Quod si sponte non fecerit, aditus competens iudex alimenta pro modo facultatimpraestari tibi iubebit. Quod si patrem se negabit, quaestionem istam in primis idem iudex examinabit.

nonché delle facoltà dell’avente diritto secondo quanto emerge da

D. 25.3.5.10 (Ulp. 2 off. cons.) Si quis ex his alere detrectet, pro modo facultatium alimenta constituentur:quod si non praestentur pignoribus capti set distractis.

Dove si registra il vincolo agli alimenti tra ascendenti e discendenti, dall’età dei Severi e sino al VIsecolo d.C., questo non sembra rigidamente connaturato allo stato di puro bisogno, ma va al di làdella sussistenza in vita, esercitando riflessi più ampi; l’obbligo si sostanzierebbe nel limite della so-pravvivenza nonché, più in generale, di quanto utile a garantire migliori condizioni di vita.

40) Nov. 12 (a. 535), Praef.: ‘Leges … antea ab imperatoribus conscriptas non perfectas existimamus, quae quidem eos, qui

incestas nuptas contraxerunt, impunitos reliquant, prolem vero ex iis progenitam quamvis insontem paternis bonis privent: quasi necessesit eos qui peccarunt impunitos esse, insontes autem tamquam peccantes puniri ’. In argomento, in particolare, cfr. S. PULIATTI,Incesti crimina. Regime giuridico da Augusto a Giustiniano, Milano, 2001, p. 202 ss.

41) Cfr. Nov. 115 (a. 542), § 3 (‘Causas autem iustas ingratitudinis has esse decernimus … si novercae suae … sese miscuerit ’)e § 4 (‘Si pater nurui suae … sese miscuerit ’).

42) Cfr. C.I. 6.61.8.4 (Iustinianus a. 531: ‘Ipsum autem filium vel filios vel filias et deinceps alere patri necesse est nonpropter hereditates, sed propter ipsam naturam et leges, quae et parentibus alendos esse liberos imperaverunt et ipsis liberis parentes, siinopia ex utraque parte vertitur ’), D. 34.2.22 (Ulp. 22 ad Sab.: ‘et caritate eius, … modus statui debebit ’), C.I. 8.50-51.20.1(Honorius et Theodosius a. 409: ‘… si quicquam in usum vestium vel alimonie impensum est, humanitati sit praestium ’) e D.25.3.5.13 (Ulp. 2 off. cons.: ‘iniquissimum enim quis merito dixerit patrem egere, cum filius sit in facultatibus ’).

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4. Nella società delle origini la parentela per linea femminile non rileva giuridicamente ai fini giuridi-co-economici e successorii e, pertanto, non sembra ipotizzabile un vincolo agli alimenti.

Il progressivo riconoscimento della capacità giuridica patrimoniale dei figli di famiglia sottopo-sti al potere potestativo e l’individuata rilevanza del vincolo cognatizio – in età risalente significativonella sola sfera del fas e di ostacolo soltanto alle nozze in quanto giudicate «impure» 43 – ai fini suc-cessori (bonorum possessio sine tabulis unde cognati ) rendono progressivamente necessario provvedere inmerito al diritto al sostentamento attraverso l’introduzione del formale principio di reciproco obbli-go alimentare senza suddivisioni tra individui nati o meno da giusto matrimonio 44.

La genitrice e suoi avi sono obbligati nei confronti della prole legittima in via sussidiaria al paterfamilias e, per il solo caso di sua inadempienza, qualora versi in condizioni economiche fortementeprecarie:

D. 25.3.8. (Marc. 1 ad l. Iul. et Pap.) Non quemadmodum masculorum liberorum nostrorum liberi adonus nostrum pertinent, ita et in feminis est: nam manifestum est id quod filia parit non avo, sed patrisuo esse oneri, nisi pater aut non sit superstes aut egens est.

Quando, al contrario, il padre non provvede, pur potendone assumere l’onere, la madre si deve im-pegnare a soddisfare i bisogni del figlio indigente e per questo le viene riconosciuto il diritto di esi-gere dal coniuge quanto offerto al figlio medesimo a titolo di alimenti. Gli imperatori Marco Aure-lio 45 (161-180) e Antonino Pio 46(138-161), in particolare, stabiliscono che la madre, al fine del cor-retto esercizio del diritto di rivalsa nei confronti del coniuge inadempiente, deve però dare al figlioquanto avrebbe dovuto corrispondere il pater, e che, diversamente, non può pretendere indietroquanto offerto, poiché ritenuto omaggiato a titolo di pura liberalità.

In ragione di quanto rappresentato e in considerazione del fatto che il figlio effettua la richie-sta economica per il proprio sostentamento al pater e quindi, per il caso di sua impossibilità econo-mica, alla madre, appare evidente che quella agli alimenti è una obbligazione semplice e non solida-le 47: D. 25.3.5.14 (Ulp. 2 off. cons.: ‘quantum … a patre eius praestari oportet ’) è chiaro nel sancire chel’obbligazione grava essenzialmente ed esclusivamente sul padre.

Si ritiene, pertanto, di potere correttamente concludere sostenendo che in età classica esistecon plausibile attendibilità un reciproco diritto agli alimenti tra madri e figli, sia nati fuori dal vin-colo sia nati da matrimonio legittimo; in questa seconda ipotesi però la genitrice è preceduta,nell’ordine degli obbligati, dal coniuge padre della prole che non versa in stato di bisogno 48. La cir-costanza sembra confermata dalle fonti di età severiana che specificamente riferiscono:- dell’obbligo dell’avo materno, e quindi a maggior ragione dell’ascendente diretta, nei confronti deidiscendenti (D. 25.3.8, Marc. 1 ad l. Iul. et Pap.);- della reciprocità e correlazione del vincolo alimentare, con la conseguenza che, se il figlio non puòabbandonare la madre (D. 27.3.1.4, Ulp. 36 ad ed.: ‘Praeterea si matrem aluit pupilli tutor, putat Labeo im-

43) In argomento si rinvia a PULIATTI, Incesti crimina, cit., p. 1 ss. e nt. 2, nonché all’ampia bibliografia ivi citata.44) Sebbene in assenza di fonti che testimonino la rilevanza giuridica del vincolo di cognazione tra le persone

di stato servile, sembra sostenibile che anche tra madri e figli nati in stato servile sussista un vincolo agli alimenti,ciò almeno dal VI secolo d.C. quando emerge quella sostanziale equiparazione tra cognazione civile e servile (C.I.6.4.4.10 [Iustinianus a. 531]; Iust. inst. 3.6.10 e 3.7.3).

45) D. 25.3.5.14 (Ulp. 2 off. cons.).46) D. 3.5.33 (Paul. 1 quaest.).47) Sulla parzialità e solidarietà della prestazione, fra gli altri, cfr. E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano. Le ob-

bligazioni solidali, Milano, 1948, p. 11 ss., E. BETTI, La struttura dell’obbligazione romana e il problema della sua genesi, Mila-no, 1955, p. 33 ss., A. GUARINO, Diritto privato romano 12, Napoli, 2001, p. 789, C. MASI DORIA, ‘Solidarietà ’, in«NNDI.», XVII, Torino, 1976, p. 832, e M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, p. 533.

48) Dubbi sull’obbligo agli alimenti da parte della madre nei confronti dei figli nati da matrimonio legittimosono prospettati da Emilio Albertario (Sul diritto agli alimenti, cit., p. 251 ss.) sulla base di quanto rappresentato in D.25.3.5.7, 8, 11 e 13-14 (Ulp. 2 off. cons.), visto che nell’ultimo paragrafo si sostiene che la genitrice può richiedere eottenere dal coniuge quanto erogato a titolo alimentare.

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putare eum posse: sed est verius non nisi perquam egenti dedit, imputare eum oportere de largis facultatibus pupilli:utrumque igitur concurrere oportet, ut et mater egena sit et filius in facultatibus positus ’; ai fini cronologici si notiche Ulpiano richiama il giurista di età augustea, allievo di Trebazio, Labeone), questa non può farlonei confronti del figlio (D. 25.3.4, Paul. 2 sent.: ‘… necare videtur qui alimonia denegat ’);- della possibilità della moglie di avanzare richiesta al coniuge di porzione della propria dote al finedi far fronte alle esigenze alimentari della prole avuta da precedente relazione (D. 24.3.20, Paul. 7 adSab.).

Il reciproco e più generale obbligo alimentare tra ascendenti e discendenti, infine, è confer-mato e formalmente provato da molteplici fonti contenute sia nel Codice (C.I. 5.25.1 [Pius a. 161])sia nel Digesto di Giustiniano (D. 25.3.5.5, Ulp. 2 off. cons., e D. 3.5.33-34, Paul. 1 quaest.).

Ulpiano, in particolare, conferma in D. 25.3.5.2 (Ulp. 2 off. cons.) che il vincolo agli alimenti esi-ste sia in presenza di parentela per ramo maschile – ‘avumve paternum proavumve paterni avi patrem cetero-sque virilis sexus parentes ’ – sia al cospetto di quella per ramo femminile – ‘an vero etiam matrem ceterosqueparentes illum sexum contingentes ’ –, sebbene il progenitore per linea paterna venga anteposto a quelloper linea materna, come il padre alla madre.

5. In origine, come detto, la parentela per linea femminile non rileva giuridicamente ai fini economici esuccessorii e il diritto agli alimenti si sostanzia di contenuti giuridici con il progressivo riconosci-mento della capacità patrimoniale dei figli di famiglia, divenendo così necessario provvedere ancheal sostentamento tra parenti in linea collaterale attraverso un formale reciproco vincolo alimentare.

Giuliano ci informa dell’obbligo agli alimenti tra fratello e sorella, inserendo la questione all’in-terno di un più complesso contesto che vede coinvolti un pupillo tenuto agli alimenti nei confrontidella genitrice e della sorella e, in particolare, formalmente stabilisce:

D. 27.2.4 (Iul. 21 dig.): Qui filium heredem instituerat, filiae dotis nomine, cum in familia nupsisset, du-centa lagaverat nec quicquam praeterea, et tutorem eis Sempronium dedit: is a cognatis et a propinquispupillae perductus ad magistratum iussus est alimenta pupillae et mercedes, ut liberalibus artibus insti-tueretur, pupillae nomine praeceptoribus dare: pubes factus pupillus puberi iam factae sorori suae du-centa legati causa solvit. quaesitum est, an tutelae iudicio consequi possit, quod in alimenta pupillae etmercedes a tutore ex tutela praestitum sit. respondi: existimo, etsi citra magistratuum decretum tutor so-rorem pupilli sui aluerit et liberalibus artibus instituerit, cum haec aliter ei contigere non possent, nihileo nomine tutelae iudicio pupillo aut substitutis pupilli praestare debere.

A seguito di decreto di condanna, come si legge nel passo, il tutore ottempera fedelmente al provve-dimento e corrisponde gli alimenti alla madre e alla sorella del pupillo che, a parere del giurista, avreb-be correttamente versato anche in assenza di decisione giudiziale. Circostanza confermata, inoltre,con espresso richiamo a Giuliano, da parte di Ulpiano, che in argomento precisa e ribadisce:

D. 27.3.1.1 (Ulp. 36 ad ed.): Unde quaeritur apud Iulianum libro vincensimo primo digestorum, si tutorpupillo auctoritatem ad mortis causa donationem accomodaveit, an tutalae iudicio teneatur. et ait tenerieum: nam sicuti testamenti factio, inquit, pupillis concessa non est, ita nec mortis quidem causa dona-tiones permittendae sunt.

Il giureconsulto, quindi, sia puntualizza la necessità di ottemperare al dovere alimentare verso ma-dre e sorella, sia sancisce il principio, giuridicamente protetto, alla tutela del vincolo familiare rico-noscendo al pupillo l’azione formale di buona fede – ‘nam cum bonae fidei iudicium sit ’ – contro il tuto-re infedele che omette di ottemperare al proprio ufficio negando immediato soccorso economico aibisogni di ascendente e parente in linea collaterale del giovane sotto tutela 49.

49) Ulpiano (36 ad ed.) in D. 27.3.1.2 rappresenta con chiarezza l’obbligo del tutore di occuparsi degli alimentidella consanguinea del pupillo e, pertanto, prevede che ‘… nonnullos casus posse exsistere, quibus sine reprehensione tutorauctor fit pupillo ad deminuendum, decreto scilicet interveniente: veluti si matri aut sorori, quae aliter se tueri non possunt, tutor ali-

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L’obbligo alimentare garantito e difeso giuridicamente nei confronti di madre e di sorella, per-tanto, risulta ampiamente provato e documentato già dall’età dei Severi come confermato, da ultimoe a fortiori, anche da Paolo che in

D. 23.3.73.1 (Paul. 2 sent.): Manente matrimonio non perditurae uxori ob has causas dos reddi potest: utsese suosque alat (…) parenti praestet alimonia (…) fratrem sororermve sustineat

e in

D. 24.3.20 (Paul. 7 ad Sab.): Quamvis mulier non in hoc accipiat costante matrimonio dotem, (…), sedut liberis ex alio viro egentibus aut fratribus (…) consuleret (…) quia iusta et honesta causa est, non vi-detur male accipere et ideo recte ei solvitur (…),

ove si prevede in costanza di giuste e legittime nozze la restituzione del cespite dotale al fine dipermettere al coniuge di soccorrere i bisogni economici, tra gli altri familiari, anche dei fratelli.

6. Il matrimonio romano si sostanzia, com’è noto, nella seria, palese e riconosciuta durevole unionetra individui liberi di differente sesso; si tratta di un rapporto di fatto con significative e rilevanticonseguenze in ambito giuridico 50 ed è condivisione per tutta la vita di una medesima sorte, comu-nione del diritto divino e umano:

D. 23.2.1 (Mod. 1 reg.): Nuptiae sunt coniunctio maris et feminae et consortium omnis vitae, divini ethumani iuris communicatio.

Due sono quindi gli elementi costitutivi dell’unione che si sostanzia, da un punto di vista materiale,nella coabitazione rispondente ai costumi sociali e, da un punto di vista spirituale, nella reciprocaidea di vivere nel rispetto del principio monogamico come marito e moglie, l’affectio maritalis ap-punto. Presupposti del legame «giusto», cioè idoneo a creare il vincolo agnatizio, sono lo status liber-tatis e il ius connubii, mentre dalle iustae nuptiae derivano quali effetti sia che i figli nati in costanza dimatrimonio siano legittimi e cittadini romani, sottoposti alla patria potestas del genitore o, se questi èa sua volta filius familias, del di lui pater familias, sia che tra coniugi, nonché tra ciascuno di loro e i pa-renti dell’altro, si crei il vincolo di adfinitas 51, sia che, da ultimo, trovino applicazione le norme chepresuppongono il rapporto di coniugio. Non sembra però che sussistano disposizioni normative oprevisioni giurisprudenziali in argomento di obbligo all’assistenza alimentare tra marito e moglie:l’irrilevanza giuridica, almeno per l’età delle origini, del legame parentale per linea femminile ai finieconomici e successori lascia ipotizzare la conseguente assenza di ragguardevolezza giuridica anche

menta praestiterint …’, non lasciando dubbi sulla natura giuridica vincolante dell’obbligo agli alimenti tra fratelli.

50) Sul vincolo e su presupposti ed effetti dell’unione coniugale nell’età delle origini, cfr. in particolare U.BARTOCCI, Le species nuptiarum nell’esperienza romana arcaica: relazioni matrimoniali e sistemi di potere nella testimonianza dellefonti, Roma, 1999, passim, ID., Spondeabatur pecunia aut filia. Funzione ed efficacia arcaica del dicere spondeo, Roma, 2002, pas-sim, e L. PEPPE, L’urnetta n. 2260 di Chiusi ed il matrimonio arcaico: alcuni spunti per una riflessione sulla formazione del diritto,in «Ricerche F. Gallo», II, 1997, p. 97 ss. In merito a disciplina e peculiarità del rapporto matrimoniale nei successivisecoli II-I a.C. e I-II d.C., cfr. in particolare R. ASTOLFI, Il matrimonio nel diritto romano preclassico, Padova, 2002, pas-sim, nonché E. BARAGLI, ‘Matrimonio ’, in «Enciclopedia delle Scienze Sociali», V, Roma, 1995, p. 587, F. FURLAN,Ex tui animi sententia, tu uxorem habes? in «BIDR.», XXXI-XXXII, 1989-1990, p. 461 ss., S. TREGGIARI, Roman Marri-age, iusti coniuges from the Time of Cicero to the Time of Ulpian, Oxford, 1991, passim, e M.V. SANNA, Matrimonio e altre si-tuazioni matrimoniali nel diritto romano classico. Matrimunium iustum - matrimonium iniustum, Napoli, 2012, p. 15 ss. Sul-l’unione in età tardo antica e giustinianea, cfr. da ultimo R. ASTOLFI, Studi sul matrimonio nel diritto romano postclassico egiustinianeo, Napoli, 2012, passim.

51) Il significato di ‘adfinitas ’ nell’età risalente individua, com’è noto, anche una implicazione di tipo territorialequale matrimonio tra aggregazioni confinanti: ed è la stessa semantica (‘adfines ’ da ‘ad fines ’, «presso i confini») chene conferma la derivazione (‘Adfines in agris vicini, sive consanguineitate coniuncti ’: Fest., verb. sign., sv. ‘adfines ’ [L. 158]).Nella medesima accezione territoriale di contiguità si veda ancora «CIL.» VI.32 e 42).

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del rapporto coniugale ai fini del vincolo agli alimenti in caso di necessità. Il carattere patriarcaledella famiglia, infatti, prevede la netta supremazia dell’uomo sulla donna che arriva sino alla ricono-sciuta possibilità di uccidere la moglie per commesso adulterio o per ulteriori illeciti 52:

Aul. Gell., noct. Att. 10.23.4-5: Verba Marci Catonis adscripsi ex oratione, quae inscribitur ‘De Dote’, inqua id quoque scriptum est in adulterio uxores deprehensas ius fuisse maritis necare: ‘vir, inquit, cumdivortium fecit, mulieri iudex pro censore est, imperium, quod videtur, habet, si quid perverse taetrequefactum est a muliere; multatur, si vinum bibit: si cum alieno viro probri quid fecit, condemnatur’. De iu-re autem occidendi ita scriptum: «In adulterio uxorem tuam si prehendisses, sine iudicio inpune necares;illa te, si adulterares sive tu adulterarere, digito non auderet contingere, neque ius est».

La donna entra sotto la mano del marito o del suo avente potestà (filiae loco o neptis loco ) e ne seguela stessa condizione e lo stesso domicilio sebbene la titolarità dei beni rimanga del coniuge, o del dilui pater se alieni iuris, con la conseguenza che il matrimonio è sostanzialmente predisposto al fineultimo del concepimento 53, della formazione e quindi della educazione della prole con ogni conse-quenziale effetto economico:

D. 1.1.1.3 (Ulp. 1 inst.): Ius naturale est, quod natura omnia animalia docuit: nam ius istud non humanigeneris proprium, sed omnium animalium, quae in terra, quae in mari nascuntur, avium quoque com-mune est. Hinc descendit maris atque feminae coniunctio, quam nos matrimonium appellamus, hincliberorum procreatio, hinc educatio.

L’assenza di informazioni sul reciproco obbligo agli alimenti tra moglie e marito, o anche di unilate-ralità del vincolo del marito nei confronti della propria compagna, inducono a ritenere che non sus-sista, almeno sino all’età tardo classica, il concetto di obbligo alimentare tra coniugi 54.

Sintomatica l’assenza nell’ambito del Digesto di Giustiniano – nella parte riservata alla tratta-zione della giurisdizione del console dalla quale si traggono quasi interamente le notizie in argo-mento di obblighi agli alimenti – di riferimenti espliciti alla tutela giurisdizionale extra ordinem delvincolo alimentare in favore del coniuge o, nella forma equipollente, del compagno, consorte, ma-rito, moglie, sposa, da assistere in caso di bisogno tanto da indurre a ritenere che, come per il casodi divorzio, mancherebbe un effettivo obbligo giuridico.

Solo un vincolo di natura morale sembra spingere il coniuge a mantenere l’altro che versa instato di bisogno una volta sciolte le nozze; probabilmente per preservare il legame e tenere il partneral proprio fianco per la durata della vita ci si impegna a sostenerlo in caso di bisogno e a fornirgliquanto utile e necessario per la durata del matrimonio.

Se in verità in origine, nel corso dei secoli, e sino all’età dei Severi, la garanzia giuridica aglialimenti in favore del coniuge non è ufficializzata e l’impegno è probabilmente rimesso all’affetto,cura, protezione e fedeltà economica nei confronti del consorte, progressivamente la necessità disoccorso economico comincia ad essere sempre più avvertita. Nel tempo, quindi, la tutela vieneprogressivamente supportata e garantita secondo quanto sembra trasparire sia in

D. 24.3.22.8 (Ulp. 33 ad ed.): Sin autem in saevissimo furore muliere constituta maritus dirimere quidemmatrimonium calliditate non vult, spernit autem infelicitatem uxoris et non ad eam flectitur nullamqueei competentem curam inferre manifestissimus est, sed abutitur dotem: tunc licentiam habeat vel cura-tor furiosae vel cognati adire iudicem competentem, quatenus necessitas imponatur marito omnem ta-

52) Il potere dell’uomo sulla donna è illimitato, e può ripudiarla nell’ipotesi che avveleni i figli (Plut., Rom. 22.3),

quindi punirla se beve vino (Val. Max., mem. 6.3.9, e Cic., off. 1.17.54) o ha relazioni extraconiugali (Dion. Hal., ant. Rom.2.25.6).

53) C.I. 5.4.9 (Probus): ‘Si vicinis vel aliis scientibus uxorem liberorum procreandorum causa domi habuisti et ex eo matri-monio filia suscepta est, quamvis neque nuptiales tabulae neque ad natam filiam pertinentes factae sunt, non ideo minus veritas matri-monii aut susceptae filiae suam habet potestatem ’.

54) Sul punto, cfr. ZOZ, In tema di obbligazioni, cit., p. 344 ss.

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lem mulieris sustentationem sufferre et alimenta praestare et medicinae eius succurrere et nihil praeter-mittere eorum, quae maritum uxori adferre decet secundum dotis quantitatem. Sin vero dotem ita dissi-paturus ita manifestus est, ut non hominem frugi oportet, tunc dotem sequestrari, quatenus ex ea muliercompetens habeat solacium una cum sua familia, pactis videlicet dotalibus, quae inter eos ab initio nup-tiarum inita fuerint, in suo statu durantibus et alterius exspectantibus sanitatem et <mortis eventum>,

che lascia ritenere possibile per la donna ricorrere al magistrato per il caso di alimenti negati 55, sia in

D. 23.3.73.1 (Paul. 2 sent.): Manente matrimonio non perditurae uxori ob has causas dos reddi potest: utsese suosque alat, ut fundum idoneum emat, ut in exilium vel in insulam relegato parenti praestet ali-monia, aut ut egentem virum <filium ex alio viro> fratrem sororemve sustineat,

che ufficializza, tra l’altro, il diritto del marito al mantenimento attraverso il godimento dei beni delladonna che trova il suo fondamento proprio nel rapporto di coniugio e non certamente nell’istitutodotale le cui sostanze hanno, com’è noto, una differente natura e destinazione: la cura e la soddisfa-zione delle esigenze economiche familiari 56.

Il pretto impegno etico diviene, certamente, formale obbligo giuridico al mantenimento o for-se meglio al soddisfacimento delle ristrettezze del coniuge bisognoso con la Novella 53.6 (a. 537) econ la Novella 117.5 (a. 542), quando l’imperatore Giustiniano, formalizzando la successione neces-saria a vantaggio del coniuge lascia, con una plausibile attendibilità, intendere definitivamente san-cito anche il connesso diritto agli alimenti in caso di bisogno.

Il vincolo alimentare, da ultimo, non sembra configurarsi tra un coniuge e i parenti dell’altroconiuge, gli affini appunto, così come può ritenersi sussistente, al contrario e almeno per l’epocagiustinianea, tra marito e moglie, riguarda comunque ascendenti e discendenti con la richiamata dif-ferenziazione tra nuclei familiari legali e autorizzati e unioni spurie.

7. L’analisi degli elementi sin qui vagliati e ponderati impone a questo punto di focalizzare i risultatidell’indagine sui prospettati cambiamenti e sulle modifiche che si registrano nel corso dei secoli intema di regime alimentare in connessione con la casistica e nell’ipotesi dell’esistenza di un vincolo disolidarietà che abbia davvero assolto la funzione garante non solo dell’esistenza minima del sog-getto, bensì delle più vaste aspirazioni legate a un’ampia e completa istruzione ed educazione dellapersona: un profilo non esclusivamente essenziale e necessario ma, all’opposto, anche accessorioper una effettiva formazione psicofisica dell’alimentato.

I cinque campi d’indagine, che sono la risultante del presente studio, portano a disegnare i se-guenti scenari: dal I secolo a.C. è sancito sia l’onere del patrono di assistenza del liberto in stato dibisogno, sia il diritto del patrono a ottenere dal liberto medesimo, in caso di effettiva necessità,quanto utile al proprio sostentamento. Il liberto è tenuto nei confronti del patrono nonché dei suoidiscendenti o ascendenti, mentre nulla deve a titolo di alimenti al patrono del patrono e nei casi incui il rapporto è affievolito. L’obbligo alimentare, da ultimo, cessa con il venir meno dello ius patro-natus. Il patrono, invece, può pretendere dal liberto somme di danaro periodiche necessarie per farfronte al proprio stato di bisogno e per la sua inadempienza grave può legittimamente ridurlo, nuo-vamente, in stato di schiavitù. Nel VI secolo d.C. sembra pienamente confermata l’identità di disci-plina giuridica in materia di obbligo alimentare tra soggetti legati da vincolo familiare e individuistretti da rapporto di patronato (liberto-patrono).

Ne deriva, quanto alla misura di erogazione degli alimenti, che il patrono verso il liberto è te-nuto a un impegno minimo di spesa necessario al sostentamento e non è evidentemente onerato in

55) Sul contenuto e interpretazione del passo, cfr. ALBERTARIO, Sul diritto agli alimenti, cit., p. 272 ss.56) Albertario (Sul diritto agli alimenti, cit., p. 272) e Bonfante (Corso, I, cit., p. 287) ritengono comunque che

interventi di interpolazione e fraintendimenti abbiano permesso di parlare in presenza di coniugio di un presunto re-ciproco obbligo agli alimenti risalente all’età imperiale. Non si può escludere che il vincolo, almeno del marito versola moglie, possa segnatamente ascriversi però all’età giustinianea.

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proporzione ai propri averi; il principio, in verità, non è sancito da disposizioni normative o deci-sioni giurisprudenziali ma può ricavarsi dal fatto che la parametrazione e, quindi, l’esatta quantifica-zione del dovuto vengono dalle fonti costantemente riferite a legami e vincoli strettamente familiarinon puntualmente attinenti ai rapporti economici tra patrono e liberto: differenza e disparità socialetra onerato e avente diritto impegnano e costringono al minimo utile ed essenziale ai bisogni prima-rii, facendo apparire irrilevanti quindi le reali ed effettive possibilità economiche dell’onerato.Nell’obbligo del liberto verso il patrono, al pari del padre verso i figli, le fonti lasciano emergere, alcontrario, che il vincolo non è limitato al minimo dei bisogni che consente di vivere, ossia che nonè contenuto a quanto necessario ed essenziale per la sussistenza. Sul presupposto che ‘liberto et filiosemper honesta et sancta persona patris ac patroni videri debet ’ 57, gli ‘alimenta autem pro modo facultatium eruntpraebenda, egentibus scilicet patronis: cenerume si sit unde se exhibeant, cessabunt partes <iudicis> ’ 58.

La giurisprudenza sembra così chiarire che l’obbligo agli alimenti implichi il dovere di corri-spondere ben oltre quanto utile ed essenziale per vivere; il vincolo di solidarietà assolverebbe per-tanto la funzione garante non tanto dell’esistenza minima del soggetto, quanto di tutela delle più va-ste aspirazioni legate a una completa formazione della persona: un concetto «allargato» dell’essen-zialità che va ben oltre la pura sopravvivenza.

Il diritto e l’obbligo reciproco agli alimenti anche tra padre e figlio viene ufficializzato e for-malmente regolato in epoca imperiale: nell’età dei Severi poi il legame di parentela determinal’insorgenza di un vero e proprio diritto agli alimenti tutelato con giurisdizione straordinaria intera-mente devoluta al console. Il legame rende coercibile l’ingiustificata condotta omissiva in considera-zione del valore che nel tempo acquista il vincolo cognatizio. Il fondatore, secondo tradizione, dellascuola proculiana però avrebbe già previsto l’obbligo alimentare in caso di stretti congiunti, lascian-do così intendere che il vincolo risalga quantomeno intorno al 45 a.C. 59 Il diritto agli alimenti tragenitori e figli è reciproco con la conseguenza che la pretesa può essere vicendevolmente avanzataquando l’uno o l’altro versino in stato di indigenza. Non emergono, inoltre, dubbi sul fatto che ilpadre sia tenuto tanto nei confronti dei liberi in potestà, quanto nei confronti dei liberi sui iuris : la pa-rentela civile rende obbligatorio il reciproco vincolo alimentare. La regola è che il padre deve con-tribuire in caso di necessità in favore di figli legittimi in potestà, figli emancipati e di tutti i figli cheda alieni iuris divengono sui iuris, nonché dei figli adottivi e dati in adozione, nel caso di indigenza delpadre adottivo. L’obbligo alimentare del padre naturale è ipotizzabile almeno per l’età giustinianea:l’assenza dell’agnazione non elide, infatti, il rapporto di cognazione che in argomento di alimenti as-sume rilevanza giuridica ed effetti consequenziali. Costantino sposa una linea di inflessibilità e in-transigenza imponendo, per gli ordini superiori, il divieto di elargizioni in favore sia della concubina,sia dei figli avuti dalla medesima: per inosservanza o violazione sono contemplate sanzioni personaliafflittive severe nonché sanzioni patrimoniali ingenti, a riprova della gravità del fatto represso 60. Fi-no al I secolo d.C. quindi, le relazioni fuori dal legittimo vincolo coniugale assumono una posizioneparimenti distante dal pieno riconoscimento legale, dalla tolleranza sociale e dalla riprovazione mo-rale. Sostituiscono il rapporto matrimoniale, di cui non possiedono però l’esteriorità formale e, so-

57) D. 37.15.9 (Ulp. 66 ad ed.).58) D. 25.3.5.19 (Ulp. 2 off. cons.).59) D. 50.16.43 (Ulp. 58 ad ed.): ‘Verbo ‘victus’ continentur, quae esui potuique cultuique corporis quaeque ad vivendum

homini necessaria sunt. Vestem quoque victus habere vicem Labeo ait ’. Come si vede Ulpiano, a proposito di legato alimenta-re, riporta ancora l’opinione di Labeone lasciandone al pari intuire contenuti e risalenza temporale.

60) Per tutto il IV-V secolo d.C. sembrano sussistere limitazioni giuridiche di ordine patrimoniale per la filia-zione naturale. Solo nel VI secolo, infatti, Giustiniano da un lato riconosce una sorta di legittimazione al rapportofuori dal vincolo legittimo, purché si manifesti nel rispetto di rigorosi requisiti (C.I. 7.15.3.2, a. 531), dall’altro stabi-lisce che è possibile legittimare i figli naturali con conseguente loro diritto alla successione ed evidentemente ancheagli alimenti in caso di bisogno (in argomento, cfr. P. GIDE, De la condition de l’enfant naturel et de la concubine dans lalégislation romaine, in Étude sur la condition de la femme, II, Paris, 1885, p. 548 ss., e J. PLASSARD, Le concubinat romain sousle Haut Empire, Paris, 1921, p. 17 ss.), mentre ancora nel VI secolo nessun beneficio, alimenti inclusi, è previsto perla prole nata da unioni illegittime (cfr. PULIATTI, Incesti crimina, cit., p. 223 ss).

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prattutto, la forza giuridica, con tutto quel che ne consegue. In tali condizioni, i rapporti stabili manon formalizzati coesistono a lungo in parallelo con il matrimonio legittimo, senza particolari attriti.Ciò è determinato da un vuoto legislativo che, sebbene avvertito nel corso dei secoli, solo in epocaimperiale si sostanzia in interventi continui per dettare una disciplina che ricomprenda non solo lanatura del legame, ma anche ciò che esso comporta in termini di rapporti patrimoniali e successorii,soprattutto in ordine alla legittimazione dell’eventuale prole con ogni connesso effetto sul vincolodi natura alimentare. Nel IV e V secolo d.C. gli imperatori, con un altalenante ricorso a rigore emitezza, riprendono l’argomento dei figli nati fuori dalle giuste nozze con disposizioni normativeche sembrano escludere conseguenze giuridiche di ordine patrimoniale in favore della filiazionenaturale. Nel VI secolo Giustiniano, invece, stabilisce che è possibile legittimare i figli naturali con ilconsequenziale loro diritto a succedere e ad avere titolo agli alimenti; al contrario, i figli nati da altreunioni illegittime sono esclusi da ogni diritto, e quindi dagli alimenti. Sancisce, da ultimo, le giustecause di diseredazione tra padri e figli con la conseguenza che in caso di vincolo illegittimo la san-zione è tale da privare l’uomo completamente di tutti i mezzi di sussistenza, alimenti inclusi.

La ricostruzione consentita dalle fonti lascia comunque orientare verso la tesi che nel determi-nare il dovuto a titolo di alimenti occorre avere riguardo alle condizioni socio-economiche dell’ob-bligato e dell’avente diritto: tra genitore e figli l’impegno economico viene quantificato in ragionedelle possibilità del soggetto tenuto alla prestazione (‘… filium eius esse probaveris, alimenta ei pro modofacultatum praestari iubebit. […], an apud eum educari debeat, aestimabit ’) 61 e delle facoltà dell’avente diritto(‘Si quis ex his alere detrectet, pro modo facultatium alimenta constituentur ’) 62: il vincolo agli alimenti non èquindi rigidamente connaturato allo stato di puro bisogno e l’obbligo tra ascendenti e discendentisembra sostanziarsi anche di quanto utile a garantire le migliori condizioni per un vivere agiato.

Nella società delle origini la parentela per linea femminile non rileva giuridicamente ai finieconomici e successorii e, pertanto, non sembra esistere un connesso diritto agli alimenti. La madree suoi ascendenti sono obbligati nei confronti della prole legittima in via sussidiaria al pater familias eper il solo caso di sua inadempienza quando versa in condizioni economiche fortemente precarie.Se il padre non provvede pur potendone assumere l’onere, la madre si deve impegnare a soddisfarei bisogni del figlio indigente e per questo le viene riconosciuto il diritto di esigere dal coniugequanto offerto al figlio a titolo di alimenti. Al fine di un regolare e corretto esercizio del diritto di ri-valsa nei confronti del compagno inadempiente, la madre deve dare al figlio quanto avrebbe dovutocorrispondere il pater, altrimenti non può pretendere indietro quanto offerto. In età classica esistecon plausibile attendibilità, pertanto, un reciproco diritto agli alimenti tra madre e figli, sia nati fuoridal vincolo sia da matrimonio legittimo: in questa seconda ipotesi però la genitrice è preceduta,nell’ordine degli obbligati, dal coniuge che non versa in stato di bisogno. Dalla reciprocità e correla-zione del vincolo alimentare consegue che il figlio non può abbandonare la madre in stato di neces-sità e così la madre non può fare con il figlio.

Si assiste pertanto a una equiparazione tra le figure genitoriali, per quanto in via subordinata.La determinazione del dovuto tra madre e figli è evidentemente operata secondo i termini e le mo-dalità sanciti per il padre, i suoi avi e i discendenti, mentre la prestazione viene quantificata in ragio-ne delle possibilità del soggetto obbligato e delle facoltà dell’avente diritto (D. 25.3.5.10, Ulp. 2 off.cons., D. 27.2.4, Iul. 21 dig., e D. 27.3.1.2.4, Ulp. 36 ad ed.) e il reciproco obbligo alimentare traascendenti e discendenti è confermato da disposizioni legislative (C.I. 5.25.1 [Pius a. 161] e C.I.5.25.2 [Divi fratres a. 161]) e da interventi giurisprudenziali (D. 25.3.5.5, Ulp. 2 off. cons., D 25.3.3.8,Ulp. 34 ad ed., D. 3.5.33, Paul. 1 quaest., D. 3.5.34, Paul. 1 quaest.). Anche in questo caso, quindi, ilvincolo agli alimenti implica il dovere di corrispondere quanto utile ed essenziale per la crescita e laformazione ampia del soggetto, per consentire la realizzazione delle sue più vaste aspirazioni legatea una completa istruzione ed educazione della persona. Un concetto «allargato» dell’essenzialità che

61) C.I. 5.25.3 (Divi fratres a. 162).62) D. 25.3.5.10 (Ulp. 2 off. cons.).

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va ben oltre la pura sopravvivenza.Con il progressivo riconoscimento della capacità patrimoniale dei figli di famiglia e la rilevanza

che acquisisce nel tempo il vincolo cognatizio in ambito ereditario, diviene necessario provvedere an-che al sostentamento tra parenti in linea collaterale, fratello e sorella, attraverso un formale reciprocovincolo alimentare. L’obbligo agli alimenti tra fratelli è formalmente testimoniato, già in età classica,dalla giurisprudenza che conferma la necessità di ottemperare al dovere e soddisfare i bisogni di madree sorella riconoscendo anche la possibilità di esperire azione giudiziaria avverso ingiusti ostacoli.

Anche in questo caso vengono richiamate le condizioni dell’obbligato e le sue facoltà econo-miche ai fini della determinazione del quantum e, nello specifico, è il tutore a provvedere per il pu-pillo (D. 27.2.4, Iul. 21 dig.: ‘respondi: existimo, etsi citra magistratuum decretum tutor sororem pupilli sui alueritet liberalibus artibus instituerit, cum haec aliter ei contigere non possent, nihil eo nomine tutelae iudicio pupillo autsubstitutis pupilli praestare debere ’). Pure tra collaterali il vincolo alimentare sembra implicare la neces-sità di garantire non solo i bisogni di base ma anche di assicurare una più ampia tutela delle vasteaspirazioni legate a una completa formazione della persona. Per la determinazione del dovuto si su-pera l’essenzialità della pura sopravvivenza e si legittimano le più ampie aspirazioni di ascesa sociale:istruzione e formazione intellettuale.

In origine il reciproco obbligo agli alimenti tra coniugi non sembra ufficializzato e il vincolo èprobabilmente rimesso all’affetto e fedeltà economica nei confronti del partner, la tutela, invece, sem-brerebbe progressivamente garantita per divenire formale obbligo giuridico al mantenimento e sod-disfacimento delle ristrettezze del coniuge bisognoso con la produzione novellare di Giustiniano(Nov. 53.6 [a. 535] e Nov. 117.5 [a. 542]), quando l’imperatore illirico formalizzando la successionenecessaria a vantaggio del coniuge lascia intendere definitivamente sancito anche il connesso dirittoagli alimenti in caso di bisogno.

Le fonti in questa ipotesi però non fanno cenno esplicito alla misura del vincolo alimentarema, considerato e valutato che la regolamentazione dell’obbligo tra coniugi avviene con plausibileattendibilità solo in età giustinianea, è probabile che la quantificazione del dovuto si determini, an-che nel caso di matrimonio (ora nella nuova accezione di ‘nuptiae autem sive matrimonium est viri et mu-liebri coniunctio, individuam consuetudinem vitae continens ’: Iust. inst. 1.9.1), nei modi generali osservati e se-guiti da tempo in ambito familiare: non sola sopravvivenza ma soddisfazione delle più ampie esi-genze della persona.

Per tirare le fila dell’analisi sin qui elaborata, nell’età delle origini e sino al tutto il II secolo a.C.il diritto agli alimenti tra persone legate da vincoli familiari non è oggetto di tutela giuridica: i rap-porti tra anteposto e sottoposto nella giurisdizione ordinaria non sono giuridicamente protetti; nellasocietà agnatizia, e pertanto, la sola cognazione è elusa agli effetti dei rapporti economici. Con ilprogredire della cultura e della società si assiste, a partire dal principato, al superamento della men-talità degli esordi e la cognitio extra ordinem ufficializza la rilevanza giuridica del diritto agli alimenti inambito familiare devolvendone al console e, quindi, nelle province al governatore la giurisdizione.

La casistica sul vincolo alimentare lascia pertanto emergere basi fondative nello specifico rap-porto di parentela sussistente tra il genitore, i suoi ascendenti e i suoi figli, sia legittimi sia adottivi,nonché almeno per l’età giustinianea anche tra il padre e i figli naturali; la madre, i suoi ascendenti ei figli legittimi e la prole concepita e nata fuori dalle giuste nozze; i collaterali di secondo grado, ov-vero fratelli e sorelle.

L’obbligo alimentare sembra sussistere sia in presenza di coniugio, con la conseguenza che ilvincolo reciproco ricorre tra marito e moglie, sia al cospetto del rapporto di patronato, con l’effettoche l’impegno sussiste tra liberto e patrono e l’onere si riscontra pure tra patrono e liberto bisognoso,sebbene la prima ipotesi, ossia il rapporto di coniugio, sembrerebbe corroborata dalle fonti in ma-niera meno incisiva. Quanto invece alle relazioni tenute fuori dal legittimo matrimonio, per lungotempo esse mantengono pari distanza dal pieno riconoscimento legale e dal biasimo e dalla disap-provazione morale: poi si aggiungono al rapporto matrimoniale, di cui non possiedono però il re-quisito formale e, soprattutto, la forza giuridica, con ogni consequenziale effetto. In tali condizioni,

Luigi Sandirocco

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i rapporti stabili ma non formalizzati coesistono a lungo in parallelo con il matrimonio legittimo inconsiderazione del vuoto legislativo che, sebbene avvertito nel corso dei secoli, solo in epoca impe-riale si sostanzia in interventi continui per dettare una disciplina che ricomprenda non solo la naturadel legame, ma anche ciò che esso comporta in termini di rapporti patrimoniali e successorii, conogni prodromico e consequenziale effetto su ipotetici ed eventuali impegni di natura alimentare.

Nel solo caso relativo all’obbligo del patrono nei confronti del liberto, essendo pacifico il diva-rio e il dislivello sociale tra l’onerato e l’avente diritto, parrebbe che il vincolo costringa a versare ilminimo utile ed essenziale ai bisogni primari – alimenti nell’accezione moderna del termine – omet-tendo di valutare le effettive facoltà economiche di colui che è tenuto ad adempiere. Solo in presen-za di relazioni familiari, infatti, l’obbligo si amplia di contenuti economici, come si evince anchedalla lettura della disposizione normativa risalente al 161 d.C. al tempo dei consoli Rustico e Aquili-no (C.I. 5.25.3 [Divi fratres a. 162]).

Tale circostanza si verifica anche per la prestazione del liberto in favore del patrono che versain stato di bisogno (D. 25.3.5.19, Ulp. 2 off. cons.).

Nelle ipotesi diverse dal vincolo tra patrono e liberto, invece, assumono rilevanza sia la condi-zione economica e sociale dell’obbligato, sia quella dall’avente diritto 63. La stima degli alimenti vie-ne invece determinata e ponderata nella misura base che le fonti lasciano intendere sia quella arcaicae risalente della formula ‘Si volet suo vivito. Ni suo vivit, qui eum vinctum habebit, libras farris endo dieis dato.Si volet plus dato ’ 64, secondo quanto asserisce anche Giustiniano che riprende l’insegnamento di Gaio,il quale a sua volta rappresenta quanto già delineato da Ofilio, che stabiliva utile e indispensabile perchi versa in stato di bisogno ‘… et vestimenta et stramenta contineri ’ 65. Imprescindibile, quindi, garantirealmeno cibo e nutrimento, indumenti e una branda, o un pagliericcio, dove giacere per il riposo.

Quanto alla misura e alla quantificazione degli alimenti, però, si ritiene che le fonti lascino in-tendere che, effettuata la parametrazione del minimum, la misura può raggiungere, invece l’optimumdella garanzia di condizioni di agio e benessere con vincolo di copertura piena, ovvero anche dellespese utili per l’educazione dell’avente diritto. Paolo riferisce, infatti – secondo quanto sancito an-che in C.I. 5.25.3 (Divi fratres a. 162): ‘… filium eius esse probaveris, alimenta ei pro modo facultatum praestariiubebit (…) eum educari debeat, aestimabit ’ – l’obbligo di sostenere le spese per la formazione dell’in-dividuo attraverso un percorso compiuto di studi e puntualmente precisa:

D. 37.10.6.5 (Paul. 41 ad ed.): Non solum alimenta pupillo praestari debent, sed et in studia et in ceterasnecessarias impensas debet impendi pro modo facultatium.

Nell’esperienza giuridica romana, pertanto, gli alimenti sembrano implicare anche il dovere di corri-spondere quanto utile ed essenziale per l’educazione con tutti i connessi oneri: il vincolo di solida-rietà – obbligo agli alimenti – almeno del padre nei confronti dei propri figli, del liberto verso il pa-trono, nonché tra collaterali, assolverebbe così la funzione garante non solo dell’esistenza minimadel soggetto ma anche quella di tutela delle più vaste aspirazioni legate a un’ampia e completa istru-zione ed educazione della persona. Un concetto «allargato» dell’essenzialità che va ben oltre la purasopravvivenza, perché abbraccia anche le aspirazioni di formazione e di ascesa sociale.

Un’eredità che nel mondo contemporaneo viene accettata con beneficio d’inventario. Nel no-stro sistema giuridico l’obbligazione che grava sugli onerati di pari grado è di tipo parziario: nel sen-so che ciascun obbligato deve concorrere alla prestazione in proporzione alle proprie condizioni eco-nomiche, così come pervenuto dall’esperienza antica. Anche l’obbligazione alimentare è un’obbliga-

63) La conseguenza potrebbe essere l’ipotesi della sussistenza anche di una obbligazione alimentare di conte-nuto semplicemente aggiuntivo e supplementare da effettuarsi sempre in considerazione delle condizioni economi-che delle parti.

64) Secondo l’antico principio della libra di farro giornaliera delle XII tavole (cfr. supra, §§ 3-4).65) D. 50.16.234.2 (Gai. 1 verb. oblig.): ‘Verbum ‘vivere’ quidam putant ad cibum pertinere: sed Ofilius ad Atticum ait his

verbis et vestimenta et stramenta contineri, sine his enim vivere neminem posse ’.

«Non solum alimenta praestari debent»

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zione di durata e può essere rivista nell’ammontare del diritto agli alimenti, ovvero nella titolaritàpassiva dell’obbligazione con il variare delle condizioni economiche dell’alimentando, del soggettochiamato a prestare gli alimenti o degli obbligati di grado anteriore. E anche questo è un punto co-mune tra il nostro sistema e il diritto romano.

La profonda differenziazione con la disciplina romana sta nella natura stessa dell’obbligo chesembrerebbe non limitato nel suo ammontare: rigidamente connaturato allo stato di puro bisogno,base di partenza del sistema odierno. Gli antichi andavano al di là della sussistenza in vita, con unriflesso spirituale persino sulle aspirazioni a una crescita intellettuale e culturale. Il vincolo agli ali-menti si sostanzierebbe non solo nel limite della sussistenza – ossia in quanto risulta basilare e ne-cessario ed è configurabile come determinante e vitale per il soggetto che si trova in condizioni dinecessità – ma, più in generale, anche in quanto utile a garantire condizioni di vita agiata includendopersino esborsi per l’educazione e la generale formazione del bisognevole.

La lettura delle fonti non sembra consentire, al contrario, di teorizzare che l’obbligo agli ali-menti e il vincolo all’impegno di spesa per fare fronte a istruzione, educazione e crescita psicofisicadel soggetto siano due distinte ipotesi giuridiche: concetti non coincidenti, insomma. Ritenere, in-fatti, estranea all’esperienza giuridica romana la nozione di obbligo agli alimenti nell’accezione unicama dal contenuto «allargato» proprio del vincolo al mantenimento contrasta, tra l’altro, con:1. le fonti che riferiscono dell’obbligo alimentare in ambito familiare secondo parametri variabili enon rigidamente ancorati ai bisogni primari (D. 25.3.5.10, Ulp. 2 off. cons., D. 27.2.4, Iul. 21 dig., D.27.3.1.2.4, Ulp. 36 ad ed., C.I. 5.25.3 [Divi fratres a. 162]);2. le disposizioni che richiamano l’obbligo alimentare nel rapporto tra liberto e patrono evidenzian-done criteri mutevoli e non strettamente legati alla cura esclusiva delle esigenze elementari e prima-rie (D. 25.3.5.19, Ulp. 2 off. cons.);3. le previsioni che non sembrano stabilire azioni processuali autonome e disgiunte per l’ipotesi didisatteso e violato obbligo agli alimenti ed omessa corretta prestazione di spesa per la formazione‘ampia’ del congiunto (D. 27.2.4, Iul. 21 dig.);4. le statuizioni che prevedono che la misura della prestazione, in considerazione delle condizionieconomiche del richiedente, possa cambiare modificandosi nel quantum (D. 25.3.5.7, Ulp. 2 off. cons.);5. le fonti che, da ultimo, trattando in ambito successorio di legato agli alimenti non si limitano a re-gistrare la sussistenza di un dovere di soddisfacimento dello stato di bisogno, non eccedente la mi-sura necessaria a eliminare la situazione di indigenza, con la conseguenza che ‘non solum alimenta …praestari debet, sed et in studia et in ceteras necessarias impensas debet …’ (D. 37.10.6.5, Paul. 41 ad ed.).

Ne consegue pertanto che il vincolo si misura e quantifica in proporzione del bisogno di chiavanza la pretesa (D. 25.3.5.25, Ulp. 2 off. cons., D. 25.3.5.10, 13, 15, Ulp. 2 off. cons.), da intendersinell’accezione «ampia» e «allargata» di soddisfare tutte le esigenze legate a un determinato tenore divita, nonché delle condizioni economiche di chi deve somministrare il dovuto (D. 25.3.5.7, Ulp. 2off. cons.): l’obbligo alimentare non è in tal modo rigidamente connesso allo stato di pura e autenticanecessità.

La persona, in sintesi e da ultimo, sembra divenire già nel corso dell’età classica un unicum dicui vanno tutelati innumerevoli aspetti. L’obbligo alimentare diventa, quindi, lievito a una crescitanon solo fisica, ben oltre il concetto di immediatezza e contingenza. E il concetto stesso passa ma-terialmente attraverso il flusso di risorse necessario e non solo sufficiente: ‘alimenta praestari ’ significapraticamente e semanticamente mantenere. Anche nell’accezione moderna.