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TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE E CULTURA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA DIREZIONE DEL PERSONALE NUMERO marzo 2020 marzo 2020192 dal 1980 dal 1980 STORIE 44 #EVOLUZIONI CON LE FRECCE TRICOLORI } { In questo periodo, parlare di produttività è più importante che mai. Per lasciarci alle spalle incertezza e sfiducia, e ricominciare più forti di prima NON ARRENDIAMOCI Le aziende 23. Esselunga 29. Konica Minolta 32. CIAM

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Offriamo gli strumenti giuridici necessariper tutelare i segreti aziendali.

TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE E CULTURA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA DIREZIONE DEL PERSONALE

NUMEROmarzo 2020marzo 2020192

dal 1980dal 1980

STORIE 44 #EVOLUZIONI CON LE FRECCE TRICOLORI }{

In questo periodo, parlare di produttività è più importanteche mai. Per lasciarci alle spalle incertezza e sfiducia, e ricominciare più forti di prima

NONARRENDIAMOCI

Le aziende 23. Esselunga 29. Konica Minolta 32. CIAM

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con i nostri tessuti formativi

La gestione manageriale

Trasformare gli svantaggiin strategie vincenti

Rischiare consapevolmente

Il potere di una mente

concentrata

Imprenditorialità

La comunicazione nell’incertezza

Gestire imillennials

Nine Minds

Learning Agility

Execo è Formazione, Selezione, Assessment I www.execohr.it/e�cienza-incertezza I [email protected]

Conosci veramente le persone della tua azienda?

Assessment EvolutivoPersone e�cienti nell’era dell’incertezza

Mindsetdigitale eLearning Agility

Attitudine alcambiamento

Stili di comunicazione

Stili dileadership

Antifragilità eresilienza

Intelligenza emotiva

Attitudinecommerciale

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sommario

Direttore Responsabile Maria Emanuela Salati - Direttore Scientifico Paolo Iacci - Coordinamento Redazionale Sonia RausaRubrica Mondo Legale a cura di Paola De Gori - Comitato di Redazione Filippo Abramo • Domenico Butera • Andrea Camera • Lara Carrese • Enrico Cazzulani •

Isabella Covili Faggioli • Paola De Gori • Massimo Ferrario • Julio Gonzalez • Marco Lombardi • Ezio Nardini • Marina Pastorelli • Pietro Santi • Massimiliano Santoro • Gilda Serafini • Giancarlo Traini • Claudio Tronconi • Giuseppe Varchetta • Luca Villani • Elio Vera • Danilo Villa

Proprietà AIDP Registrazione Tribunale di Milano n. 386 del 17 ottobre 1981 - Periodicità trimestraleDirezione Redazione Pubblicità Via Cornalia, 26 - 20124 Milano tel. 02 6709558 - 02 67071293 - email [email protected] Progetto grafico e impaginazione Pub - The Van Group - www.thevan.it - Stampa Rubbettino print - Soveria Mannelli (Cz)

ABBONAMENTIRinnovo Italia 70 euro - Estero 90 euro - Nuova sottoscrizione Italia 80 euro - Estero 100 euro

Arretrati (a copia) Italia 20 Euro - Estero 30 Euro - Gratuita per i soci AIDPCHIUSO IN REDAZIONE A MARZO 2020

DirezionedelPersonale

editoriale02. La produttività perduta di Maria Emanuela Salati05. Rinvio Congresso Nazionale AIDP Impegno e responsabilità di Isabella Covili Faggioli

coverstory 06. Intervista a Tiziano Treu Produttività e sviluppo dell’occupazione in Italia di Angelo Viti 12. Incontro con Giulio Sapelli Il lavoro che ci sarà a cura di Massimiliano Santoro14. Produttività, che fare di Giovanni Costa 17. Intervista a Massimiliano Valerii Il circolo vizioso dell’incertezza di Gilda Serafini20. La sfida della produttività di Francesco Seghezzi22. Esselunga La sostenibilità sempre più nell’agenda dei board di Lorenzo Solimene26. Ciao Italia! di Enzo Riboni29. Konica Minolta Una start up di 140 anni a cura della redazione32. CIAM e l’impresa 4.0 di Katia Pangrazi36. Mondo legale Produttività e contrattazione di secondo livello: la disciplina dei premi di risultato di Francesco Bacchini40. Mondo legale Regime impatriati. Nuove opportunità per le impresedi Vittorio De Chaurand

storie44. #Evoluzioni con le Frecce Tricolori di Gabriele Sannino

strumenti53. Reputazione, istruzioni per l’uso di Rosanna Orlando 55. Dottorato industriale. Un progetto “win-win-win”

idee58. Le parole sono importanti di Giuseppe Varchetta61. GiokaconMe di Marco Lombardi

AIDPnews62. La crescita del Paese attraverso le persone di Cinzia Rossi68. Essere capi con il “nuovo” MbO di Renato Boccalari70. Come l’AI può migliorare la nostra vita e supportare i processi di gestione HR di Umberto Frigelli72. AIDP in breve

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editoriale

Direttore Responsabile

n una famosa conferenza tenuta a Cam-bridge nel 1928 (Economic possibilities for our grandchildren) l’economista Keynes ipotizzava che nel giro di un secolo la pro-

duttività, per effetto dell’avanzamento della tec-nologia, sarebbe cresciuta da quattro a otto volte e che, sempre per lo stesso motivo, si sarebbe la-vorato molto meno, non più di tre ore al giorno (paventando anche in seguito a ciò un possibile “collasso nervoso generale”…).

Alla luce dello scenario odierno si potrebbe dire che la prima ipotesi è stata largamente confermata mentre la seconda è ancora oggetto di dibattito anche se, quantomeno le modalità di lavoro, si

sono profondamente modificate così come si è modificata la percentuale di chi lavora e chi no.

Soprattutto in Italia, infatti, i dati ci dicono che sono ben il 52,2% gli italiani che non lavorano (anche per effetto dell’invecchiamento della popolazione) a fronte del 39,9% che lo fa, a cui si aggiunge il 7,9% di stranieri (dati Istat). Il potere di acquisto nell’ultimo secolo è però almeno quadruplicato e i consumi sono aumentati enormemente non solo per gli aumenti del reddito ma anche per la grande capacità di risparmio delle famiglie italiane che si sono garantite così un reddito da patrimonio a cui si stanno ancora appoggiando i giovani disoccupati.

Questi dati basilari ci restituiscono un quadro di una società quindi non povera ma senza dubbio in stagnazione o, come la definisce Luca Ricolfi nel suo ultimo libro, una società signorile di massa, dove il lavoro non è ugualmente ripartito poiché c’è un’ampia fetta di popolazione

di Maria Emanuela Salati [email protected]{

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LA PRODUTTIVITÀ PERDUTANella nostra epoca, per la prima volta, le persone hanno la sensazione che il futuro non sarà migliore del presente. Un’incertezza che si respira anche nelle organizzazioni, dove l’aumento della burocrazia rischia di frenare la produttività e disperdere le energie

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che consuma ma non produce. Per la prima volta abbiamo la netta percezione che il futuro non sarà migliore del passato com’è stato finora.

Se poi concentriamo la prospettiva e diamo uno sguardo all’evoluzione recente delle nostre organizzazioni non possiamo non notare un calo notevole della produttività, sicuramente imputabile a molti fattori, e inversamente proporzionale alla crescita ipertrofica della normazione di controllo tra certificazioni più o meno obbligatorie, norme anticorruzione, accesso al credito complesso e adempimenti vari.

L’aumento della burocrazia, che non ha dimi-nuito in maniera significativa la corruzione, ha senza dubbio contribuito, insieme ai mancati in-vestimenti e all’aumento delle tasse, a far rista-gnare la produttività e a disperdere molte energie nonché a dirottare capitali da investire all’estero. Nelle organizzazioni questo ha effetto anche sui percorsi di sviluppo che, anche per la presenza di molti più senior al lavoro, si sono fatti molto più lenti, se non inesistenti, frustrando le aspettative dei giovani. Sembra proprio di assistere al noto effetto della rana bollita per cui, senza accorger-cene, stiamo sprofondando in un lento declino nel quale però continuiamo a vivere al di sopra delle nostre possibilità.

In questo scenario negativo alcuni settori come il food, la salute, il fitness (ma anche il gioco d’azzar-do) propri delle società opulente crescono, creando nuovi bisogni e alimentando i consumi. Purtroppo, però, non cresce l’istruzione e in Italia scendono i tassi dei laureati, così come la qualità dell’edu-cazione scolastica secondo i parametri europei (se ne deduce che il maggior tempo libero derivato dalla modernizzazione tecnologica del lavoro non

è stato investito in cultura). A ciò si aggiunge la lettura socio-economica proposta nell’ultimo

rapporto del Censis, nelle pagine a seguire sintetizzata dal Direttore Valerii, che sottolinea in questo scenario anche l’influenza di una narrazione pessimistica e negativa del futuro che deprime le energie realizzatrici e contribuisce a diminuire la spinta imprenditoriale so-prattutto per quanto riguarda la dimensione del rischio.

Proprio Keynes faceva una distinzione fondamentale tra il rischio e l’incertezza. Il rischio è quando le probabilità possono essere conosciute (misurate); l’incertezza esiste quando non si possono conoscere queste probabilità. L’economia keynesiana si costruisce sull’irriducibile incertezza. Dice, infatti, Keynes che sono le “moti-vazioni” e le “intenzioni umane” a rendere impenetrabili al calcolo probabilistico grandi parti del futuro. Sono queste le caratteristiche che spezzano il nesso tra l’economia e la fisica, e che rendono l’e-conomia una scienza “morale”, non “naturale”. Insomma, il futuro è in gran parte imprevedibilmente variabile perché è come noi scegliamo di renderlo.

Questa prospettiva apre ampi spazi di lavoro e di responsabilità per noi che lavoriamo nelle organizzazioni, per i mass media, per le istituzioni educative.

Proprio investire sul sistema educativo è la scelta che hanno fatto Paesi come la Finlandia o l’Irlanda che in questo modo sono riusciti a raggiungere livelli di benessere impensabili fino a un secolo fa.

Noi abbiamo ancora una scuola (più che un’università) che produce cultura e offre una buona gamma di scelta, ma occorre valorizzarla e restituire dignità e senso sociale, orgoglio professionale agli inse-gnanti perché ritornino ad essere la struttura portante di una piccola e media impresa vivace.

Per avere speranza occorre ripartire da qui. Anche utilizzando le difficoltà (e l’epidemia di coronavirus di questi mesi lo è sicuramente) come momenti per ripensare al lavoro, all’educazione dei giovani, ad un utilizzo finalmente sensato della tecnologia e dell’AI (Intelligenza Artificiale). Se ci riuscissimo, Keynes sarebbe finalmente orgoglioso di noi e l’Italia potrebbe tornare a essere un Paese di lavoratori e non di rentrier. n

Un libro rivoluzionario, che pone alcune domande essenziali: l’Italia è un caso unico o anticipa quanto accadrà su larga scala in Occidente? Qual è il futuro di una società in cui molti consumano e pochi producono? Oggi, per la prima volta nella storia d’Italia, ricorrono insieme tre condizioni: il numero di cittadini che non lavorano ha superato ampiamente il numero di cittadini che lavorano; l’accesso ai consumi opulenti ha raggiunto una larga parte della popolazione; l’economia è entrata in stagnazione e la produttività è ferma da vent’anni. Ciò ha aperto la strada all’affermazione di un tipo nuovo di organizzazione sociale, che si regge su tre pilastri: la ricchezza accumulata dai padri, la distruzione di scuola e università, un’infrastruttura di stampo para-schiavistico.

LA SOCIETÀ SIGNORILE DI MASSA DI LUCA RICOLFI

LA SCHEDAEditore La nave di TeseoCollana I fariAnno 2019Pagine 267Prezzo 15,30 euro

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Carissimi,sono giorni inediti e complessi per il nostro Paese. L’emergenza Coronavirus ha sconvolto la quotidianità della vita sociale e lavorativa di ciascuno di noi con evidenti ricadute restrittive sulle normali e naturali attività che un’intera comunità è abituata a svolgere. In questi frangenti difficili siamo tutti chiamati ad agire ispirati al senso di responsabilità verso l’intera collettività. Ciascuno, a qualsiasi livello, è mosso ad operare con consapevolezza ed equilibrio. È un atto doveroso per il bene di tutti. Possiamo affermare che questi valori sono parte fondante dell’AIDP e della nostra comunità di donne e uomini.

Lo spirito di servizio che ci contraddistingue in tutte le circostanze, a maggior ragione, deve ispiraci anche in questi momenti. Per tali motivazioni di fronte alla straordinaria emergenza che vive l’intero Paese, AIDP ha deciso di rinviare il 49esimo Congresso Nazionale che si sarebbe dovuto svolgere a Torino il 22 e 23 maggio di quest’anno. Tale decisione, che riteniamo doverosa e coscienziosa, mostra il senso di responsabilità di tutti noi, in primis verso la società in cui viviamo.

Siamo la comunità di riferimento del mondo Hr e in questa situazione tale decisione la riteniamo moralmente necessaria anche verso i tanti colleghi che si trovano in prima linea nel dare supporto alle aziende e al mondo del lavoro nella gestione dell’emergenza in un contesto arduo.

Ne usciremo più forti di prima. Nel frattempo tutti noi, ciascuno nel proprio ruolo e secondo le proprie responsabilità, garantiremo il nostro contributo e impegno per il superamento dell’emergenza. Siamo certi che, facendo ciascuno la propria parte, saremo capaci di sconfiggere l’epidemia e tornare a vivere nella normalità.

Avremo modo di ritrovarci insieme con rinnovata energia ed entusiasmo per tenere il nostro Congresso annuale dopo l’estate quando la situazione del Paese si sarà normalizzata.

Isabella Covili Faggioli Presidente Nazionale AIDP

IMPEGNO ERESPONSABILITÀDi fronte alla straordinaria emergenza legata al Coronavirus AIDP rinvia il 49esimo Congresso Nazionale che si sarebbe dovuto svolgere a Torino il 22 e 23 maggio

RINVIO CONGRESSO NAZIONALE AIDP

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INTERVISTA A TIZIANO TREUcoverstory

PRODUTTIVITÀ E SVILUPPO DELL’OCCUPAZIONE IN ITALIA

Sono la crescita e la produttività a creare occupazione e “buon lavoro”. In Italia assistiamo a un drammatico spreco di risorse umane, un mismatch tra mondo dell’educazione e mondo del lavoro.Sappiamo cosa fare, ma dobbiamo fare, tutti, di più e meglio: orientamento, apprendistato, alternanza scuola-lavoro e soprattutto formazione continua

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di Angelo Viti{

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poi gli effetti si sono estinti; ma anche gli incentivi strutturali come quelli di oggi, soprattutto per i gio-vani e per il Sud, da soli, se il motore della crescita non funziona, non possono portare occupazione. Inoltre nel nostro Paese portano cattiva occupa-zione: risulta infatti che lavori a breve termine e precari sono ancora in numero elevato. Il lavoro a termine in particolare è a livelli un po’ più alti rispetto alla media europea; però la cosa dram-matica è che le assunzioni dei giovani in questo ultimo caso sono in larga misura a termine, ed il passaggio a tempo indeterminato tarda molto ad arrivare. In altri Paesi europei la trasformazione a tempo indeterminato avviene mediamente nel giro di 2-3 anni. In Italia, abbiamo molti giovani che restano in stato di occupazione precaria anche per 6-7 anni, con effetti perpetui sulla loro vita professionale ed anche personale».

Il rapporto CNEL 2020 fa emergere un dato particolare riguardo l’occu-pazione giovanile: è evidente che, rispetto ad altre fasce d’età, i giovani vengono spesso inseriti in posizioni scarsamente qualificate.

«Corretto. Emerge un doppio fenomeno negati-vo: noi abbiamo molte persone giovani che non sono adeguatamente istruite per ricoprire posti di lavoro qualificati e abbiamo molte vacancies per posizioni tecniche e specialistiche che non sono coperte. Paradossalmente, dall’altra parte, risultano percentuali stimate nell’ordine di oltre il 20% di lavoratori overqualificati: dipendenti che hanno studiato materie non sempre in linea con le esigenze del mercato del lavoro e che ricoprono posizioni inferiori a quelle rispondenti al loro titolo. Abbiamo quindi un mismatch doppio.

Nel rapporto CNEL sul mercato del lavoro ab-biamo analizzato gli strumenti che possono contra-stare tale fenomeno, che è un drammatico spreco di risorse umane.

Uno è l’alternanza scuola-lavoro. Nei Paesi

INTERVISTA A TIZIANO TREU

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rofessor Treu, partirei con un suo commento sull’attuale sce-nario del mercato del lavoro in Italia«Per quanto riguarda l’occupazione, non possiamo certo immaginare che cresca molto: con una produttività piatta e una produzione quasi piatta, è un miracolo che l’occupa-zione dia segnali di crescita. Il dato numerico è in crescita, ma siamo sempre sotto la

media europea. Il tasso al 59% ci indica che il nostro motore umano, come ogni tanto dico, funziona a metà. Quindi c’è da fare di più, e sono convinto (ma ne abbiamo parlato molto anche al CNEL in generale) che per creare lavoro ci vuole più crescita e più produttività. Gli incentivi che abbiamo visto anche da ultimo con il Jobs Act hanno avuto un effetto parziale e solo temporaneo. Una fiammata e

PAngelo Viti Socio AIDP Lombardia dal 2015, HR Director, si occupa di gestione del Capitale Umano, relazioni industriali e diritto del lavoro da quasi 20 anni. Ha lavorato come Direttore del Personale in aziende multinazionali e italiane, in svariati settori: dalla produzione e distribuzione, con Carlsberg, alla gestione dei servizi di ristorazione a bordo dei treni ad alta velocità con Elior, alla gestione dei servizi di check-in e handling sugli scali milanesi con Airport Handling. ➤

Professore ordinario di Diritto del Lavoro in varie prestigiose università italiane, oggi Professore Emerito dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Docente esterno presso l’Università di Leuven (Belgio) e presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parigi (Nanterre), è stato Presidente dell’Associazione Italiana per lo Studio delle Relazioni In-dustriali e Presidente della International Industrial Relations Associa-tion, nonché Presidente dell’ARAN, l’Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni. Lo ricordiamo Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale del Governo italiano dal 1995 al 1998. Dal 1998 al 1999 Ministro dei Trasporti. Senatore della Repubblica Italiana fino all’aprile 2013. In CNEL è stato nominato consigliere nel 2013 e poi Presidente nel maggio 2017.

TIZIANO TREU

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Mi vien da dire che in questo ambi-to anche noi direttori delle risorse umane di aziende private abbiamo qualche responsabilità.«Direi di sì. Sicuramente organizzare un apprendi-stato per bene per tutte le aziende non è facile. È più facile per quelle medio grandi, dotate di strut-ture HR competenti. C’è il rischio che nelle PMI il tirocinio e l’alternanza vengano considerati una seccatura, una cosa inutile.

Si verificano quindi quei fattori di cui dicevo prima: affidamento di attività operative di basso livello a dipendenti overqualificati o incapacità di ricoprire ruoli altamente tecnici. In questo ambito i rappresentanti delle Risorse Umane giocano un ruolo fondamentale. Dove ci sono».

Esatto: dove ci sono e se riesco-no a governare concretamente de-terminati processi. Invero un ruolo fondamentale delle Risorse Umane, spesso poco conosciuto, è quello di mitigare (soprattutto in anni di con-trazione dei mercati, come quelli attuali) il doveroso approccio delle strutture operative rivolto al risultato immediato. Chi gestisce il Capitale Umano, invero, ha l’obbligo di pen-sare agli investimenti sul personale sul medio lungo termine. Non so se è d’accordo.«Non c’è dubbio. Va evidenziato, tra l’altro, che la cosa di gran lunga più importante è l’investimento nella formazione. Tutti gli studi sulle attività del futuro ci dicono che il lavoro avrà, sempre di più, natura cognitiva. I lavori di alta qualificazione resi-steranno meglio all’impatto delle nuove tecnologie. Noi, anche in questo ambito, siamo sotto la media europea, in modo grave, da anni. Questo sia per quanto riguarda i livelli medio alti, sia per quanto riguarda l’educazione terziaria (sia accademica che non, come gli ITS). Questo è un fenomeno che il CNEL evidenzia da tempo. Noi stiamo investendo molto meno del necessario sul futuro: sulle persone e sulle nuove tecnologie. Non solo. Anche laddo-ve riusciamo a formare i lavoratori su una certa tecnologia, spesso ci dimentichiamo che in 5/10 anni interviene l’obsolescenza. L’unica cura è la formazione continua: non la poniamo in essere in maniera adeguata. Qui le Risorse Umane hanno a mio avviso una grande responsabilità».

INTERVISTA A TIZIANO TREUcoverstory

dove l’alternanza scuola-lavoro è praticata da molti anni, i giovani cominciano presto a frequentare le aziende; capiscono quali sono le loro attitudini e si orientano meglio. Questo facilita l’ingresso al posto giusto e riduce il rischio di mismatch. Anche i tirocini, se ben gestiti e coerenti con le esigenze dell’azienda, possono essere una valida opportunità. Infine, l’apprendistato: in Germania, dove è molto diffuso fin dalla scuola dell’obbligo, la disoccupazione giovanile è solo di poco maggiore rispetto a quella nelle fasce di età più avanzata. Da noi è tre volte tanto».

Quali sono gli esempi virtuosi che importerebbe oggi da altri ordina-menti UE per applicarli in Italia per migliorare la produttività?«Non credo che ci sia bisogno di moltiplicare le tipologie di contratto di lavoro. Come dicevo, l’al-ternanza è fondamentale. Fatta bene però.

Secondo, l’orientamento: i nostri colleghi dell’agenzia per il lavoro in Germania, che hanno centomila persone impiegate (non diecimila come in Italia, per altro, numero recentemente rimpol-pato), mi dicono che ogni anno, per tutti i giovani che arrivano alla fine della scuola media superiore, viene organizzato un colloquio personalizzato. Per ciascuno, per spiegare loro qual è la vita futura e le possibili strade percorribili. Da noi questo non accade.

Abbiamo poi i tirocini e l’apprendistato. L’ap-prendistato deve essere un’opportunità per tutti. Perché anche se uno a scuola è formato bene, ha bisogno che ci sia una mediazione con il lavoro vero e proprio. Oggi noi ci siamo dotati dei corretti strumenti legislativi, perché abbiamo l’apprendi-stato di primo livello, quello professionalizzante, e poi addirittura l’apprendistato di alto livello per giovani con studi universitari. Quindi gli strumenti ci sono: negli ultimi tempi abbiamo aumentato gli apprendisti, però non ci siamo ancora.

Il numero di apprendisti è molto meno della metà rispetto al numero dei giovani che si laureano. Qui c’è un problema. Servono incentivi.

In Germania tutto il peso della contribuzione viene abolito: noi l’abbiamo ridotto, ma non abba-stanza. Spesso poi, su questo argomento, lasciamo spazio all’autonomia regionale: alla fine il risultato non riesce ad essere omogeneo. Abbiamo regioni con punte di eccellenza e regioni dove lo spazio di miglioramento è molto ampio».

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cole e medie imprese compongono oltre l’85% del nostro tessuto econo-mico: è molto più difficile applicare qui politiche di un certo tipo, se ci paragoniamo a realtà come Francia o Germania dove la percentuale di medie e grandi aziende è molto più alta. Cosa ne pensa?«Non c’è dubbio. Anzi quando qualche anno fa introducemmo il contratto di rete, avevamo pen-sato che potesse essere una soluzione ideale anche per questo aspetto. È uno strumento destinato a far crescere le piccole aziende, permettendo loro di fare sinergia su argomenti fondamentali qua-li: l’internalizzazione, la formazione e la ricerca applicata. Non siamo ancora riusciti a sfruttarlo abbastanza. In Italia abbiamo oltre 4 milioni di imprese, magari anche unipersonali: o troviamo strumenti che stimolino e incentivino certi pas-saggi, o non ce la faranno mai da sole».

Cambiando argomento, vorrei parlare dell’istituto da lei gestito. Il CNEL, che nei primi anni 2000 aveva avuto un ruolo meno attivo riguardo le politi-che del lavoro in Italia, nell’ultimo quinquennio ha ripreso una visibilità e un peso che sono sotto gli oc-chi di tutti. Quali sono, secondo lei, i principali interventi sul breve-medio termine che il CNEL dovrà porre in essere per supportare le politiche in tema di produttività e sviluppo dell’occupazione?«Io vedo due compiti fondamentali per il CNEL.

Primo: far conoscere in modo sistematico la realtà dei fatti. Nel nostro Paese abbiamo poca dimestichezza con i dati, con le analisi aggregate, con le serie storiche. Noi forniamo oggi una

Vorrei soffermarmi con lei su un al-tro dato interessante che emerge nell’analisi dell’ultimo trimestre del 2019 del CNEL: l’occupazione fem-minile anche a tempo indeterminato è in crescita: i dati ci dicono che si è invertito un trend negativo che aveva connotato anche questa area. È corretto?«Sì è vero: in realtà non solo negli ultimi mesi. La tendenza all’aumento dell’occupazione femminile è avviata da qualche tempo, ma non dobbiamo dimenticarci dove eravamo collocati: su livelli bassissimi, molto lontani – più di 10 punti – dalle medie europee.

Quindi c’è molta strada da fare, sia per quanto riguarda l’occupazione (femminile) sia per quanto riguarda il trattamento economico delle donne che lavorano. Anche sulla parità retributiva, infatti, nonostante ci sia una direttiva europea da molti anni, le retribuzioni delle donne sono inferiori a quelle degli uomini del 15-16%, a seconda dei set-tori. Questo è un male comune a diversi Paesi in Europa. Le donne spesso hanno un trattamento economico inferiore ai colleghi maschi a parità di lavoro. Per non parlare degli avanzamenti di carriera. Le donne ancora oggi non riescono a ri-coprire posizioni di rilevanza. Molti ritengono che ricorrere a strumenti quali la legge sulle quote rosa sia un metodo un po’ rozzo; però credo che se certi processi non avvengono spontaneamen-te, sia giusto intervenire. In conclusione, la posi-zione delle donne nel mondo del lavoro è in fase di miglioramento, ma c’è ancora tanto da fare». C’è chi vede in realtà, riguardo que-sta problematica, anche un peso non indifferente riconducibile alla natura del mondo produttivo italiano. Le pic-

“Tutti gli studi sulle attività del futuro ci dicono che il lavoro avrà, sempre di più, natura cognitiva”

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elementi di fatto e pareri che, ovviamente, speriamo vengano seguiti. Quando ero Senatore, mi sono occupato (10 anni fa) del decreto 81 (d.lgs. 81/08, ndr) ed è essenziale oggi adattarlo alle nuove realtà tecnologiche e alle nuove esigenze.

Il CNEL ha istituito una consulta sulle tematiche della sicurezza stradale. Conoscete sicuramente l’emergenza recente dell’aumento delle vittime di incidenti stradali. La consulta riunisce una serie di autorità: Ministero dei Trasporti, Isfort (Istituto Superiore di Formazione e Ricerca per i Trasporti, ndr), Polizia Stradale, e stiamo cercando di moni-torare l’andamento dei dati. Al riguardo abbiamo condotto una consultazione pubblica on line, per la quale c’è stato un positivo riscontro dei cittadini con decine di migliaia di risposte.

Ora stiamo analizzando i risultati e procedendo alle necessarie analisi. Seguire con attenzione tali tematiche aiuta a trovare le giuste soluzioni. Tale argomento può sembrare lontano dalle tematiche HR, ma ricordiamo che anche gli infortuni in itinere sono fortemente cresciuti. Un altro tema che stiamo discutendo con l’ANPAL, l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro, riguarda l’utilizzo da parte dell’Italia dei fondi stanziati dall’EU per i progetti riguardanti le politiche del lavoro. L’Italia spesso non riesce a utilizzare del tutto tali fondi. Noi monitoriamo i progetti presentati, cercando di evitare sovrapposizioni, e supportando le regioni nell’utilizzo dei fondi. Stiamo aumentando l’attività consulenziale non solo verso Governo e Parlamento, ma anche verso gli enti locali. Abbiamo stipulato una convenzione con ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) e cerchiamo di stimolare tali enti per il miglior utilizzo dei fondi europei. Sempre con i Comuni abbiamo da poco avviato uno studio di alcune aree economiche omogenee, in varie zone d’Italia, per comprendere quali sono le loro “voca-zioni” produttive; questo al fine di indirizzare gli investimenti in maniera mirata, seguendo appunto le eccellenze locali».

INTERVISTA A TIZIANO TREUcoverstory

serie di report, tanto al mondo privato quanto alla Pubblica Amministrazione, che servono a dare la giusta conoscenza delle realtà dell’economia e del lavoro per poter intraprendere le azioni più ade-guate. Prendiamo il reddito di cittadinanza, per esempio. Noi del CNEL abbiamo detto che l’idea è buona, ma non deve ridursi, come sta riducendosi, a semplice sussidio. Ha dato sicuramente un po’ di ossigeno alle fasce meno abbienti, ma così come è oggi non serve a “riattivare” l’occupazione in determinate classi.

Torniamo all’argomento citato prima. Per affron-tare questo problema servono servizi per l’impiego che funzionino bene.

Altro esempio: l’Industria 4.0. Stiamo portando avanti uno studio su come implementare e diffonde-re gli incentivi previsti perché c’è un forte bisogno di renderli accessibili alle piccole imprese. Il CNEL può essere di sicuro supporto come strumento di consulenza, facilitando e accompagnando le pic-cole imprese che vogliono accedervi. È questo il modo per far funzionare al meglio tale riforma. Non parliamo della sanità. Pur se la sanità italia-na è ritenuta abbastanza buona, abbiamo grandi differenze tra regione e regione. Anche qui stiamo dando il nostro supporto sulle modalità di investi-mento e di sostegno economico per i vari progetti. Questo tipo di attività mi sembra essenziale per migliorare il rendimento del Paese.

Secondo: il CNEL è impegnato nel monito-raggio dell’emanazione di norme e all’imple-mentazione di riforme. Il cosiddetto feedback: il legislatore o chi ci governa deve conoscere bene e in dettaglio, l’effetto di determinate azioni. Solo così può eventualmente correggere il tiro.

Abbiamo poi una funzione di consulenza del Governo e del Parlamento. Recentemente sono stato in Parlamento dove ci hanno chiesto un’audizione sulla sicurezza sul lavoro. È in atto una lodevole iniziativa legislativa della Camera dei Deputati su questo tema. Noi possiamo fornire

“Il nostro Paese sta investendo molto meno del necessario sul futuro: sulle persone e sulle nuove tecnologie”

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adeguarci. Basti pensare alla nuova frontiera dei lavori su piattaforma. Anche le imprese, incluso chi fa il vostro lavoro, dovranno fare un salto di qualità in tal senso. Sempre di più dovrete lavorare attraverso piattaforme».

Un esempio è stata la diffusione in questi anni delle piattaforme per il welfare, a lei tanto caro, professore?«Mah guardi per me è importante segnalare che l’idea di tempo e luogo, con riferimento al lavoro, sta radicalmente cambiando. Noi cerchiamo di stu-diare questi fenomeni e tenerci aggiornati: già in passato abbiamo avuto tavoli di lavoro allargati anche ad AIDP; oggi uno dei temi più urgenti da indagare è cosa fare con le nuove tipologie di la-voro e come gestirle. Coordinare un lavoratore a distanza è sicuramente diverso che non gestirlo con il capo squadra di una volta».

È sicuramente interesse anche di AIDP partecipare a tavoli congiun-ti e poter dare un contributo, quale espressione del mondo delle azien-de.«Dobbiamo pensare, noi, con gli altri soggetti inte-ressati, ad avere un confronto continuo su questi argomenti».

In chiusura, professore, quanto sta cambiando il profilo del Responsa-bile del Personale?«Questo dovete dirlo voi... sicuramente una del-le vostre caratteristiche è di curare e valorizzare tutte le attività che si basano sulle relazioni fra le persone. Voi dovete essere più che mai il legame intelligente tra la macchina, sempre più presen-te, e gli uomini che dovranno essere in grado di esprimersi e di interloquire, senza farsi dominare. Secondo me avete un ruolo forse molto più difficile che in passato: una bella sfida». n

Il CNEL oggi quindi ha sempre di più un’impronta da “advisor” per enti nazionali, regionali e locali, al fine di aumentare la produttività. Corretto?«Corretto, anche se tale profilo non è una novità, perché in altri Paesi europei enti similari sono mol-to utilizzati dalle istituzioni. Noi partiamo oggi, pensando che fino a qualche tempo fa l’idea era quella di abolire il CNEL. Certo questa attività di advising meriterebbe di essere tenuta in conto dai soggetti destinatari: speriamo che questo Governo ci ascolti un po’ di più. Il ruolo di un ente come il CNEL, se ci pensiamo, è fondamentale. Perché noi approfondiamo tematiche cruciali non in piazza, con slogan e polemiche, ma attraverso il supporto di esperti del settore, e, soprattutto, con le parti sociali.

Come spesso amiamo ripetere in CNEL: la no-stra è una consulenza informata, sia dal punto di vista tecnico, sia dal punto di vista sociale. Ha una funzione utile per un legislatore che non voglia improvvisare in materia di lavoro ed economia; perché – occorre ricordarlo – la nostra competen-za si estende anche alle tematiche economiche. In ogni caso va evidenziato che stiamo avendo dei segnali positivi: il Parlamento ci interpella molto spesso. Il Presidente del Consiglio ci ha recentemente fatto visita per affrontare il tema della sostenibilità ambientale e sociale, in linea con l’agenda dell’ONU, che ha posto un obiettivo molto sfidante al 2030. Quello della sostenibilità è un aspetto che caratterizza trasversalmente tutti gli argomenti oggi citati. A tal fine, quindi, il Presidente ha coinvolto il CNEL nella cabi-na di regia della Presidenza, costituita ad hoc e denominata Benessere Italia, che vede coin-volti tutti i ministeri e le principali parti sociali che sono presenti al CNEL. La ritengo una cosa molto importante: le tecnologie influiscono su tutti questi aspetti e dobbiamo assolutamente

“Per creare lavoro ci vuole più crescita e più produttività”

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INCONTRO CON GIULIO SAPELLIcoverstory

IL LAVORO CHE CI SARÀQuello che emerge oggi, in generale, è la perdita diffusa del senso di dignità del lavoro vissuto come obbligo necessario dal quale, se possibile, è meglio sottrarsi. Allora prima di parlare di disoccupazione, produttività e navigator, riteniamo importante riflettere su che cosa il lavoro rappresenta per le persone. Per cambiare le cose

a cura di Massimiliano Santoro [email protected]{

catorio, dall’intelligenza tagliente e dall’eloquio tanto ricercato e forbito quanto privo di fronzoli e divagazioni.

Per lui il problema è oggi quello di tornare a di-scutere del senso e del significato del lavoro. Prima ancora di parlare di disoccupazione o di navigator, è importante ricordarci che cosa il lavoro rappresenta per le persone. Abbiamo dimenticato che il lavoro è forse alienazione, ma anche occasione di dignità, un’opportunità che oggi, in Italia, non è concessa a tutti. Tra i Paesi europei l’Italia, più ancora di Grecia e Portogallo, ha la più alta percentuale di inattivi, cioè persone che non lavorano. Solo il 58% della popolazione italiana in età da lavoro (18-65) è occupata (il 39% di quella totale, con le donne diversi passi indietro), con un’incidenza crescente del lavoro a tempo determinato. Questo aumen-to delle persone che non lavorano e non studiano è consentito anche da una rendita parassitaria di una estesa classe media che mantiene i figli e, così facendo, li incentiva a non cercare una dimensione professionale propria che permetta loro una vita autonoma.

Di fatto la contrapposizione non è tra lavoro e non lavoro ma tra dignità del lavoro e opportuni-smo, tra messa in gioco della persona e comodità. Quello che emerge, in generale, è la perdita diffusa del senso di dignità del lavoro che non viene più vissuto come opportunità unica per la realizzazione di sé ma solo come un obbligo necessario dal quale, se possibile, è meglio sottrarsi. Da questo punto di vista il testo di Luca Ricolfi sulla società signorile di massa propone alcuni spunti di riflessione: stiamo degradando verso una società di rendita, tanta o poca che sia, nella quale le persone non hanno più interesse a darsi veramente da fare, avendo perso il senso della sfida e ritenendo le regole di fondo inique e mutevoli, nettamente a favore di un pri-vilegio di casta che lascia poco spazio al merito e alla crescita individuale.

La sottovalutazione, tutta italiana, di ogni forma di formazione al lavoro e di apprendistato toglie, inoltre, energia vitale al lavoro giovanile, lo depri-me, ponendolo in una dimensione negoziale nella quale l’alternativa non è tra dignità del lavoro e umiliazione dell’essere nullafacente ma tra la fa-

o incontriamo nel suo studio alla Fondazione Mattei. Una stanza piena

zeppa di libri, ovunque, impilati sulle sedie e sulla scrivania, in doppia

fila nelle librerie alle pareti. È un fiume in piena di idee, concetti, parole,

rievocazioni di un passato storico spesso vissuto in prima persona. Di lavoro e futuro

parla sempre volentieri questo professore settantenne, dallo sguardo acuto e provo-

L Giulio SapelliProfessore ordinario di Storia economica all’Università degli Studi di Milano ed editorialista del Messaggero, è una delle voci più originali e fuori dal coro tra gli economisti italiani. Intellettuale poliedrico, unisce storia, filosofia, sociologia e cultura umanista in uno stile personalissimo e profondo. Ha all’attivo più di 400 pubblicazioni. Il suo ultimo lavoro Perché esistono le imprese e come sono fatte è in libreria da novembre 2019 per Guerini e Associati

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INCONTRO CON GIULIO SAPELLI

tica del mettersi in gioco sul lavoro e la comodità del divano domestico. Proprio la natura di questo fenomeno ha accentuato e rafforzato una sorta di ambizione collettiva delle famiglie italiane che – vivendo in un sistema di rendita, seppur modesta, e di privilegio – auspicano per i propri discendenti carriere professionali immaginarie e fortemente riconoscibili, non attribuendo più un sano valore ai mestieri tecnici che hanno costituito l’ossatura della piccola media impresa italiana. Ne è conseguita la progressiva perdita di qualità della formazione tecnica professionale fornita dagli Istituti Tecnici e la scomparsa pressoché definitiva, dell’istituzione dell’apprendistato.

Per cambiare le cose si dovrebbe riuscire a ri-dare dignità agli istituti tecnici e professionali, restituendone il senso di importanza e di rilevan-za sociale, creando dei luoghi ambiti dai ragazzi capaci e meritevoli nei quali non si sia abdicato definitivamente alla formazione culturale, non solo industriale, ma anche umana e civile. Un tempo c’era la cultura diffusa dell’avviamento al lavoro (lo stesso Sapelli, prima dell’università ha frequentato una scuola di avviamento professionale) per cui i giovani iniziavano presto a lavorare, e magari studiavano contemporaneamente. Oggi al contrario i giovani ambiscono al liceo e all’università, stu-diano o fanno finta di studiare, e poi si fermano. Anche perché, almeno a livello primario, trovano soddisfatti nella famiglia i propri bisogni di base. All’estremo opposto è crollato il senso del lavoro da parte dei top manager, ai quali non frega nulla di quelli che stanno sotto. L’unico elemento che

conta è l’utile operativo, il fatturato, la finanza. Per questo si spremono le persone e non si investe su di loro.

In questa direzione la politica sembra essere assente disinteressata, incapace di fare, perché non ne ha la volontà né l’interesse di breve pe-riodo di proporre al Paese una dimensione del lavoro non di tipo signorile appunto, ma basata sulla fatica e sull’impegno e sulla costruzione di percorsi di crescita anche più semplici ma utili e responsabili.

Se la politica non fa più nulla sta a noi ripartire dal basso. Non sempre serve la laurea, servono tecnici, imprenditori, operatori, gente preparata e umile che sappia rimboccarsi le maniche e darsi da fare nella pratica e nella concretezza del lavoro. Che è quello che manca, come manca il senso della necessità del cambiamento.

Ciò nonostante il meccanismo va avanti, un meccanismo che, se-condo i canoni classici, non potrebbe esistere, eppure si muove, perché il nostro è uno straordinario Paese. Non a caso, qualche piccolo segno di cambiamento si incomincia a vedere. A Milano, come a Torino e in altre città industriali, si incominciano a rivedere Istituti Tecnici dove si è tornati a parlare di etica del lavoro, di senso di responsabilità, per stimolare lo spirito imprenditoriale e la capacità di fare dei propri stu-denti. Il lavoro è lungo ma sufficientemente avviato per restituirci una certa speranza sul medio periodo.

L’Italia ha fatto il miracolo economico su questi valori, che occorre ritrovare, per restituire ai nostri giovani la voglia di fare impresa, ripar-tendo dalla scuola secondaria appunto e dall’industria manifatturiera che costituisce l’ossatura portante del sistema produttivo del nostro Paese. Per questa ragione dal prof. Sapelli torniamo con un senso di possibilità, di speranza per il nostro Paese, almeno sul lungo periodo. n

Da sinistra: Giulio Sapelli Professore ordinario di Storia economica all’Università degli Studi di Milano e Massimiliano Santoro Antropologo socio-culturale Partner Gruppo Prospecta.

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UN’ANALISIcoverstory

PRODUTTIVITÀ CHE FARE

di Giovanni Costa{

produttivi (capitale e lavoro) e che il brusco arresto di quest’ultima precede di ben cinque anni (1995-1996) quello della produttività del lavoro (2000-2001). Fatta 100 la produttività del lavoro nel 1995, l’Italia, secondo una stima Ocse-Intesa Sanpaolo, è oggi a 106, la Francia a 125, la Germania a 131. Non mancano i volenterosi che con raffinate analisi econometriche cercano di dimostrare che non è vero, che per taluni settori, per talune classi dimensionali, per talune nicchie la produttività è assolutamente allineata se non superiore alle comparazioni inter-nazionali. Probabilmente hanno ragione su specifici punti, ma i dati sul PIL sono a dimostrare che tutto ciò non basta.

Forza produttiva vs intensità di lavoroLa produttività del lavoro è la risultante di: 1) la forza produttiva del lavoro che dipende dalla qualità professionale dei lavoratori (formazione, conoscenze, abilità, competenze) e dal contesto strategico, organizzativo e tecnologico (capitale, in senso ampio);

2) l’intensità di lavoro che dipende dalla quantità di lavoro “immessa”, cioè dal consumo di energia la-vorativa (orari, tempi, ritmi). Se in un processo viene immesso più lavoro in termini di più addetti oppure a parità di addetti di più ore lavorate (straordinario) aumenta l’intensità di lavoro nella combinazione produttiva. A parità di ore lavorate l’intensità di lavoro aumenta anche in funzione del ritmo lavo-rativo e dell’impegno profuso dai lavoratori. In ogni caso l’intensità di lavoro sintetizza il consumo di lavoro nel processo.

Le statistiche sulla produttività basate sul costo orario e numero di ore lavorate non colgono le molte

commentatori e gli economisti attribuiscono alla stagnante dinamica della

produttività il fatto che il PIL italiano quando le cose vanno male cala di più

e quando vanno bene cresce di meno rispetto ai nostri competitori europei.

Luca Ricolfi analizzando l’ultimo quarto di secolo ha osservato che a ristagnare

non è solo la produttività del lavoro, ma anche la produttività totale dei fattori

IGiovanni Costa Università di Padova, Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali “Marco Fanno”

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UN’ANALISI

dimensioni del fenomeno, dimensioni che invece sono importanti per chi nell’organizzazione deve gestire i processi aziendali in senso ampio e non solo quelli produttivi. Ci sono tecnologie che basano gli incrementi di produttività sull’aumento della forza produttiva del lavoro e altre che puntano su una maggiore intensità di lavoro. Le conseguenze sono abbastanza intuitive. Le tecnologie basate sull’intensità di lavoro sono in genere associate a bassi salari, sistemi gerarchici e chiusi, hanno una bassa intensità di capitale, assorbono molta ener-gia fisica e umana, sono poco adattabili, evolvono – se e quando evolvono – attraverso innovazioni di processo.

Le tecnologie basate sulla forza produttiva del lavoro sono associate a salari più elevati, sistemi partecipativi e aperti, hanno un’alta intensità di capitale finanziario (ma anche intellettuale e sociale), assorbono meno energia fisica e umana, necessitano però di molta conoscenza, sono adattabili, hanno un elevato impatto sull’innovazione di prodotto. Nel nostro Paese le performance del passato e del presente sono molto legate all’intensità del lavoro; per farci uscire dalla stagnazione, quelle future dovranno in misura maggiore puntare sulla sua forza produttiva.

Innovazione di processo e competitivitàLa produttività è spesso vista in termini di efficienza dei processi produttivi. Essa andrebbe invece vista in termini più dinamici e complessivi come la ca-pacità di generare valore e di trasferirlo al cliente.

In questa prospettiva, l’efficienza del processo è solo una componente e, probabilmente, non la più importante. C’è chi qualche anno fa ha pro-vocatoriamente fatto notare che un’automobile utilitaria era venduta a circa cinquanta euro al chilo, uno smartphone a seimila euro al chilo; e le proporzioni non sono oggi sostanzialmente cambiate. Un’ora di lavoro impiegata a produrre l’auto ha una produttività di molte volte inferiore a quella spesa per produrre lo smartphone e questo indipendentemente dall’efficienza dei rispettivi processi. Poiché la produttività è data dal rapporto tra l’output e l’input, per migliorare tale rapporto si può lavo-rare sul denominatore o sul numeratore o su entrambi.

Se consideriamo il fattore lavoro, al denominatore si cercherà di con-trollare il costo orario e le modalità di impiego ricercando il massimo di flessibilità che si ottiene rendendo il lavoro un costo variabile. Le recenti misure sul mercato del lavoro avevano in sostanza questo scopo. Il costo orario è diminuito ed è ormai ai livelli più bassi in Europa, la flessibilità d’impiego è aumentata senza che per questo sia aumentata in misura significativa la competitività del nostro sistema produttivo e dell’intero Paese, anche perché si sono create le condizioni per mantenere in vita imprese marginali operanti in settori tradizionali e poco innovativi. Infatti, laboriosità e interventi normativi sul mercato del lavoro non bastano da soli a generare la produttività necessaria per competere sia con Paesi a minor costo del lavoro sia con sistemi industriali più avanzati. Performance managementÈ opportuno notare che anche nelle aziende più evolute, i sistemi di per-formance management stimolano i comportamenti attivi delle persone

“Nel nostro Paese le performance del passato e del presente sono molto legate all’intensità del lavoro; per farci uscire dalla stagnazione, quelle future dovranno in misura maggiore puntare sulla sua forza produttiva”

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“La produttività è spesso vista in termini di efficienza dei processi produttivi, andrebbe invece vista in termini più complessivi come la capacità di generare valore e di trasferirlo al cliente”

attraverso la variabilità retributiva individuale e collettiva. Questi sistemi, che sono stati incentivati dai recenti provvedimenti di alleggerimento fiscale e contributivo dei premi di produttività soprattutto quando erogati sotto forma di welfare aziendale, per contribuire in misura più incisiva alla generazione di vantaggi competitivi dovrebbero essere inseriti in processi di cambiamento strategico.

In questa direzione, per migliorare il numeratore del rapporto si dovrà cercare di aumentare il valore agendo sulla forza produttiva del lavoro miglioran-done la qualità in termini di competenze, abilità, integrazione e potenziando il contesto strategico, organizzativo e tecnologico in cui viene applicato. Si prende così atto che la produttività del lavoro non dipende solo dalle dinamiche del mercato del lavoro ma anche e soprattutto, a parità di altre condizioni, dalla dimensione aziendale, dal capitale investito, dalla posizione occupata dall’azienda nella filiera produttiva e dal modello di business. Questo dovrebbe spingere a considerare contestualmente denominatore e numeratore con un radicale ripen-samento della strategia.

Le filiere si sono negli ultimi tempi significativa-mente allungate e la scelta del posizionamento nella filiera dovrebbe evitare gli opposti estremismi della globalizzazione totale e dell’ancoraggio statico alla prossimità. Il che significa essere in grado di stare in filiere lunghe ed estese internazionalmente senza perdere i vantaggi della prossimità; di partecipare a più filiere – con conseguente capacità di ricombinare risorse e competenze per occupare segmenti diversi e mobili delle varie filiere – conseguendo sia econo-mie di scala produttive sia economie di prossimità. Questo si ottiene con strategie multi-country atte a diminuire la dipendenza da contingenze settoriali,

monetarie e politiche di un solo Paese e cogliere più opportunità. Jacques Attali parla a questo proposito di ubiquità nomade. Produttività 4.0Il tutto deve essere sorretto da una dimensione adeguata che richiede una prospettiva di crescita. Infatti, la crescita sotto questo aspetto è la vera chiave di volta della produttività perché richiede orizzonti di investimento, capacità di affrontare il rischio, risorse finanziarie e competenze manageriali che implicano una struttura finanziaria e sistemi di governance diversi da quelli tradizionalmen-te in uso nelle nostre medie aziende a prevalente conduzione famigliare. Queste hanno contribuito in misura determinante allo sviluppo del Paese ma ora devono cambiare, senza necessariamente sna-turarsi, per affrontare le nuove sfide.

Si sono create molte attese attorno alla tecnologia digitale, che effettivamente può dare importanti stimoli a patto che non sia utilizzata per un mero cambiamento dei processi ma per concepire nuovi prodotti e servizi. Ci sono infatti due differenti ap-procci alla digitalizzazione o, per usare una termi-nologia entrata nel dibattito politico ed economico italiano, all’Industria 4.0. L’approccio efficientista concepisce la digitalizzazione come una modalità per continuare a produrre le stesse cose con meno persone. L’approccio strategico utilizza la digitaliz-zazione come leva di un cambiamento del business model con un coerente ridisegno della catena del valore, aumentando la componente di servizio e, di conseguenza, il valore trasferito al cliente finale o intermedio. Le analisi sulla produttività hanno una chiara origine manifatturiera che male si adatta ai servizi e alla ibridazione prodotto/servizio. n

UN’ANALISIcoverstory

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UN’ANALISI INTERVISTA A MASSIMILIANO VALERIIcoverstory

Gilda Serafini Direttore Operativo - Tivù.Ha lavorato per diversi anni nella funzione Risorse Umane e fa parte del Comitato di redazione della rivista Direzione del Personale.

Massimiliano Valerii Direttore Generale del Censis Dopo gli studi in Filosofia a Roma, si è dedicato alla ricerca sociale, economica e territoriale. Al Censis è stato anche responsabile della comunicazione. È il curatore dell’annuale Rapporto sulla situazione sociale del Paese, considerato uno dei più qualificati e completi strumenti di interpretazione della realtà socio-economica italiana. Ha pubblicato La notte di un’epoca (Ponte alle Grazie, 2019).Twitter: @MassiValerii

come stato d’animo dominante; se a questa percentuale sommiamo i pessimisti, circa il 17%, il resto, la percentuale positiva, è assolutamente residuale (13%). Una società ansiosa di massa, così la definisce il Rapporto Censis!

Questa situazione di stress e ansia diffusa genera sfiducia negli altri, chiusura, diffidenza verso la politica e il suo linguaggio. In conseguenza di ciò, sembrerebbe che circa il 50% della popolazione dimostri di essere sensibile a pulsioni antidemo-cratiche, al cosiddetto uomo forte al potere, per trovare risposte efficaci ai tanti problemi aperti.

Venendo alle dinamiche del mercato del lavoro, questo presenta aspetti contraddittori: a fronte di un aumento formale del numero di occupati, che di fatto ha soltanto riassorbito il calo dovuto alla recessione del 2007, il mercato del lavoro è com-plessivamente più povero, non produce né reddito né crescita. Rispetto al 2007, nel 2018 si contano circa 320.000 unità in più di occupati (+1,4%); dietro questa cifra si cela però una riduzione di 867.000 occupati a tempo pieno e un aumento di occupati a tempo parziale, tantissimi. Il part time non è però volontario ma imposto ed è molto diffuso tra i giovani. Si può dire che un occupato su cinque è part time, involontario.

È crollato il numero di ore lavorate, è aumentato il numero dei lavoratori part time, con un +130%

rendiamo spunto dalla presentazione a dicembre 2019 del 53° Rapporto

Censis per affrontare con Massimiliano Valerii Direttore Generale

del Censis, con informazioni e dati, il tema del cambiamento che è

occorso alla società italiana ed al mercato del lavoro negli ultimi anni.

Dal Rapporto Censis emerge che circa il 70% degli italiani vive l’incertezza

P

IL CIRCOLO VIZIOSO DELL’INCERTEZZA

di Gilda Serafini {

Riflessioni su incertezza e calo della produttività dal 53° Rapporto Censis 2019

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INTERVISTA A MASSIMILIANO VALERIIcoverstory

di part time involontario e più ore di cassa integra-zione, che confluiscono nel monte ore lavoro, ma impropriamente. I redditi da lavoro, inoltre, sono fermi e l’economia complessivamente sembra non voler ripartire.

In sintesi, pur a fronte di un’apparente ripresa occupazionale, l’analisi del mercato del lavoro e dell’economia italiana, mostra un impoverimento complessivo e l’inesistenza di spinte alla ripresa dell’economia reale.

La “ripresa senza salario” caratterizza anche l’andamento economico dell’Unione Europea. Tra il 2013 e il 2018 si è ampliata la forbice tra la cre-scita del PIL e la crescita dei salari reali. Nel 2017 la distanza era di 2,2 punti, nel 2018 a un incre-mento del PIL del 2% ha corrisposto un aumento dei salari pari allo 0,7%. Il tema del lavoro e della sua produttività sembra non essere in cima alla lista delle preoccupazioni nel nostro Paese.

Questa è la prima grande contraddizione della nostra società al momento.

Altro elemento su cui riflettere è il PIL, l’indica-tore più comunemente usato per valutare la salute delle economie industriali.

L’aumento del PIL pro capite degli ultimi quat-tro anni è avvenuto, non perché sia cresciuta la produttività, quanto perché è diminuita la popola-zione. La flessione demografica è un fenomeno gravissimo della nostra società. La diminuzione della natalità e l’aumento delle aspettative di vita (nel 2018 è di 85,2 anni per le donne e 80,8 per

gli uomini, ma diventerebbe di 88 per le donne e 83 per gli uomini al 2041), e più in sostanza del numero di anziani nella nostra società, ci pone come imperativo di ripensare il nostro sistema pensionistico, di vita e di assistenza. Proprio per potere fronteggiare una situazione nuova demo-graficamente ed economicamente. I dati ci dicono che il nostro Paese si sta rimpicciolendo (circa -4,5 milioni di popolazione al 2050) ed il peso demografico di un Paese è la prima variabile da considerare in relazione al valore del Paese stesso nel contesto internazionale.

Un ulteriore elemento su cui riflettere è il fatto che il calo della natalità non è uguale in tutte le aree del Paese, ma si accentua nelle zone maggiormente colpite dalla crisi, al Sud, il mezzogiorno ha perso l’1,5% di abitanti in soli quattro anni, mentre al Nord Est e Nord Ovest tale calo è molto inferiore (rispettivamente 0,1% e 0,3%). A Bolzano, che detiene il dato di PIL pro capite più elevato, c’è un tasso di crescita delle nascite positivo (+2,4%).

Il dato sulla produttività che andrebbe consi-derato è quello del PIL per occupato, che fornisce un indice estremamente chiaro di quanto debole sia la nostra economia: parliamo di uno 0,4% in quattro anni.

Citando dal Rapporto Censis “L’equazione più occupati, meno lavoro condiziona sia la dinamica della produttività, sia quella della disponibilità del reddito. Il PIL per unità di lavoro si riduce tra il 2007 e il 2018 di 339 euro e la diminuzione appa-

31,2% 31,6%

56,3%

9,1%

1959 1979 1999 2019 2039

51,6%

12,8%

42,8%

17,8%

33,8%

22,8%

UNDER 35 OVER 64

UNDER 35 E OVER 64 IN ITALIA - 1959-2039

DATI AL 1° GENNAIO. PER L’ANNO 2039: PREVISIONE ISTAT, SCENARIO MEDIANO FONTE: ELABORAZIONE CENSIS SU DATI ISTAT

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STRUMENTI

re anche più evidente se si prende in considera-zione il PIL per occupato interno: in questo caso gli euro persi in undici anni diventano 3.259 con una variazione reale negativa di 4 punti e mezzo. L’impatto avverso sulle retribuzioni del lavoro alle dipendenze è altrettanto consistente, pari al 3,8%: oltre 1.000 euro in meno”.

Questo è il quadro generale, ora chiediamo al dott. Valerii sintetica-mente cosa servirebbe per invertire queste tendenze, almeno per avere alcuni elementi su cui riflettere. «• Il primo elemento è che se diminuisce il fattore quantitativo di ore lavorate, se diminuisce la pre-senza di soggetti in età lavorativa per effetto del calo demografico, bisogna assolutamente incentivare l’ingresso nel mondo del lavoro di nuove forze, giovani e donne in prima battuta, che sono ri-masti ai margini per molto tempo. In particolare, andrebbero promossi tutti quei progetti ed attività che incentivino ed aumentino la partecipazione al mondo del lavoro e favoriscano la genitorialità, sia nel pubblico che nel privato. Tra questi anche sistemi di welfare aziendale, anche per le PMI che costituiscono un’importante parte del tessuto pro-duttivo italiano. • In secondo luogo, andrebbero promosse misure che contrastano l’incertezza e l’ansia che, ab-biamo visto anche dai risultati del Rapporto, hanno come risultato quello di immobilizzare risorse e decisioni. Ad esempio: lavorare per ridurre tempi ed incertezze della burocrazia costituirebbe un elemento di grande rilevanza sia per gli individui che per le imprese. • Terzo elemento su cui riflettere e lavorare è

il risparmio e l’accumulazione finanziaria. Quest’ultima infatti costituisce un ammontare di enorme rilevanza in termini assoluti. Parliamo di una cifra che si aggira sui mille miliardi di euro e corrisponderebbe alla 6° economia mondiale. Tali importi vengono sottratti ai consumi e all’econo-mia reale. Inoltre, mentre in passato tali risparmi andavano a confluire in investimenti e in BOT o in immobili, l’incertezza e la fluidità degli ultimi anni, hanno fatto fuggire anche da queste scelte e quindi tali importi restano non investiti, liquidi, non produttivi. Anche qui bisognerebbe agire per diminuire l’incertezza e convogliare parte di tali risorse in ambiti redditizi per il Paese.

Sono saltati elementi portanti del Sistema Pa-ese così come lo conoscevamo fino a diversi anni fa: il diminuire del welfare pubblico, il blocco dell’ascensore sociale, l’incertezza nell’investire in immobili o in BOT. Tutto ciò sta venendo meno ma, allo stesso tempo, non è disegnato un nuovo modello sulla base dei nuovi presupposti (calo della natalità, concorrenza di Paesi emergenti, sistema formativo da rivedere). I giovani, e in generale le risorse più qualificate, sono attratti da mercati di-versi dal nostro, che possono garantire maggiori retribuzioni, carriera e welfare per le famiglie. Il capitale umano, formato a ottimi livelli in Italia, viene utilizzato in altri Paesi, anche questo costi-tuisce impoverimento, dispersione.

Il fenomeno dell’over education è sempre più visibile: più di 1/3 delle risorse in Italia ricopre ruoli per cui servirebbe un titolo inferiore. Esiste infine un problema di investimenti e di innova-zione tecnologica, su cui siamo rimasti indietro, si interviene a macchia di leopardo e in settori/ambiti dove la produttività resta bassa». n

PIL PER UNITÀ DI LAVORO (EURO) 73.112 -0,5% -339

2018VAR. %REALE2007-2018

DIFF. ASS. 2007-2018(EURO 2018)

PIL PER OCCUPATO INTERNO (EURO) 69.618 -4,5% -3.259

RETRIBUZIONI INTERNE LORDE 26.839 -3,8% -1.049PER OCCUPATO DIPENDENTE (EURO)(LA VARIAZIONE REALE E LA DIFFERENZA ASSOLUTA REALE SONO CALCOLATE UTILIZZANDO COME DEFLATORE L’INDICE DELLE RIVALUTAZIONI MONETARIE)

MENO RICCHEZZA PRODOTTA, MENO RICCHEZZA DISTRIBUITA PIL PER UNITÀ DI LAVORO E PER OCCUPATO E RETRIBUZIONI INTERNE LORDE PER OCCUPATO DIPENDENTE - 2007-2018

FONTE: ELABORAZIONE CENSIS SU DATI ISTAT

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TECNOLOGIA E CAPITALE UMANOcoverstory

LA SFIDA DELLA PRODUTTIVITÀ

di Francesco Seghezzi www.bollettinoadapt.it{

tempo, ad esempio. Ma è facile capire come oggi siano sempre meno quelle mansioni e quei ruoli per i quali sia così semplice individuare la produt-tività. È celebre l’affermazione del premio Nobel Robert Solow che, in piena rivoluzione informatica, notò come “si possono vedere computer dappertut-to, tranne che nelle statistiche sulla produttività”. Se poi consideriamo che in Italia più del 70% dei lavoratori è occupato nel settore dei servizi dove l’output è spesso poco palpabile è chiaro come sia difficile parlare di produttività oggi.

Ma non è questo il luogo per discutere le diver-se teorie che gli economisti stanno sviluppando da anni per calcolare la produttività in epoca digitale. Quello che sappiamo è che la produttività in Italia è un tasto dolente in quanto stagnante ormai da oltre vent’anni con performance non soddisfacenti sia per quanto riguarda la produttività del lavoro sia per la produttività del capitale. Non tutti i settori sono uguali però, ed è bene ricordarlo. Ad esem-pio, nel settore dell’automotive la produttività ha registrato performance positive sia sul fronte del capitale che del lavoro. In termini più generali

il primo nodo critico è quello degli investimenti in tecnologia e innovazione che, prima del piano Industria 4.0, non hanno brillato, anzi. Perché senza innovazione l’alternativa per accrescere la produttività è aumentare i ritmi di lavoro modifi-cando l’organizzazione, ma questo non può essere fatto all’infinito ed è la modalità meno efficiente per ottenere questo obiettivo. Al contrario la digitaliz-zazione dei processi, il rinnovo del parco macchine e la specializzazione produttiva possono contribuire positivamente. Su questo fronte ad oggi è difficile fornire una valutazione completa poiché i risultati degli investimenti tecnologici facilitati dal piano 4.0

roduttività. Una parola tanto ignorata quanto fondamentale, e allo stesso

tempo una parola difficile da spiegare e da capire nel contesto di tra-

sformazione che stanno vivendo l’impresa e il lavoro contemporaneo.

Spesso identifichiamo la produttività con le categorie dell’immaginario industriale

del Novecento: quanti beni un operaio riesce a realizzare in un determinato arco di

PFrancesco Seghezzi Presidente Fondazione ADAPT

Sembra un paradosso, ma nell’epoca dell’automazione e degli algoritmi la differenza la fanno ancor di più le persone. Per aumentare la produttività servono formazione ed organizzazione

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TECNOLOGIA E CAPITALE UMANO

devono ancora mostrare i loro, eventuali, effetti. Più interessante e stimolante invece rivolgere

l’attenzione alla produttività del lavoro perché apre spazi di riflessione profondamente strategici. E qui, i nodi, sono principalmente due, entrambi centrali per chi si occupa di risorse umane: formazione e organizzazione. Se è vero che è soprattutto la tecnologia a spingere la produttività (in linea te-orica) è l’elevata qualità del capitale umano che garantisce un utilizzo innovativo della tecnologia e la possibilità di introdurla. Potrebbe sembrare un paradosso, ma nell’epoca dell’automazione e degli algoritmi la differenza la fanno ancor di più le persone. Per questo la “manutenzione” delle per-sone attraverso la formazione e la riqualificazione professionale continua è il primo passo per ottenere risultati sul fronte della produttività del lavoro. Formazione non generica ma mirata e allineata sia agli obiettivi aziendali che ai profili delle persone. Infatti, senza una mappatura delle competenze e dei fabbisogni la formazione può risultare un grande inganno, sia per l’impresa che vi investe sia per il lavoratore che ci dedica impegno. Qui entra in gioco il coordinamento tra chi detta la visione strategica all’interno dell’azienda, individua i mercati su cui investire e i modelli di business da adottare e chi si occupa delle risorse umane. Proprio la centralità del capitale umano oggi, infatti, impone di valu-tare quali siano le risorse a disposizione e quali vadano formate e riqualificate prima di avviare nuovi processi.

Il tema dell’organizzazione del lavoro è di-rettamente connesso a quello della formazio-

ne, anche se spesso viene lasciato sullo sfondo e ridotto ad un nodo tecnico-operativo. Senza nuovi modelli di organizzazione infatti il rapporto tra tecnologia e capitale umano, tra persone e mac-chine, rischia di essere inefficiente o, tuttalpiù, di avere un basso impatto. Ed è proprio nell’ambito dell’organizzazione del lavoro che le imprese ita-liane hanno ancora molta strada da fare. I dati OCSE sulla diffusione delle cosiddette High Per-formance Work Practices collocano infatti l’Italia agli ultimi posti. Il riferimento è a quelle modalità di lavoro che cercano di superare la tradizionale organizzazione gerarchico-verticale propria del modello taylorista per raggiungere obiettivi orga-nizzativi di efficienza, flessibilità e ottimizzazione dei processi, oltre che obiettivi legati alla qualità del lavoro e alla valorizzazione delle competenze e delle professionalità dei lavoratori. Esempi sono la presenza di team semi-autonomi, team per il problem solving, rotazione delle mansioni, piani per lo sviluppo individuale, legame tra salario e produttività, ecc. Tutte pratiche che hanno come conseguenza, tra le tante, un possibile aumento della produttività, sia in virtù della velocizzazione e dell’efficientizzazione dei processi, ma anche, e soprattutto, della maggior autonomia e responsa-bilità posta in capo ai lavoratori, che migliora le loro performance insieme alla loro motivazione. Non si tratta d’innovazioni semplici, richiedono tempo e sperimentazione così come confronto con i lavoratori: per questo introdurre forme di parte-cipazione organizzativa può rivelarsi importante. La sfida della produttività sta tutta qui. n

“Se è vero che è soprattutto la tecnologia a spingere la produttività, è l’elevata qualità del capitale umano che garantisce un utilizzo innovativo della tecnologia e la possibilità di introdurla”

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TREND SUI TEMI ESG E IL CASO ESSELUNGAcoverstory

LA SOSTENIBILITÀ SEMPRE PIÙ NELL’AGENDA DEI BOARD

di Lorenzo Solimene [email protected]{

la missione esclusiva delle organizzazioni debba essere massimizzare il solo ritorno per gli azionisti risulta ormai superata: come evidenziato in Italia dal nuovo codice di Autodisciplina e addirittura negli USA dall’iniziativa Business Roundtable (un think tank di 200 CEO nordamericani che nel 2019 hanno firmato un manifesto in cui è condivisa la necessità di creare modelli di business sostenibili). Va invece diffondendosi la convinzione che le aziende debbano creare valore condiviso per gli stakeholder nel lungo termine, innovando l’offerta di prodotti e servizi, ridefinendo la catena del valore e gene-rando impatti positivi per le comunità locali. Le imprese, per essere competitive, dovranno quindi sviluppare un modello di business aziendale che sia in grado di contribuire alla crescita del benessere socio-economico delle comunità. È un percorso ancora agli inizi, ma la strada sembra tracciata e passa indispensabilmente attraverso lo sviluppo di una cultura manageriale condivisa orientata ai princìpi della sostenibilità.

A spingere in questa direzione, non sono solo consumatori e la società civile, ma anche le nuove

generazioni (oltre il 70% dei Millennials e della Ge-nerazione Z è disposta a pagare di più per prodotti sostenibili - The Sustainability Imperative, Nielsen Report), la crescente normativa sul tema (ad esempio il piano d’azione della Commissione Europea sulla finanza sostenibile) e gli investitori istituzionali che non si limitano più a guardare i risultati finanziari di breve periodo. Un chiaro segno dei nuovi tempi lo ha dato Larry Fink, Amministratore Delegato di Blackrock che anche nell’ultima lettera indirizzata ai manager delle imprese in cui ha investito, chiede di pubblicare entro la fine dell’anno un’informa-

o scenario appare ancora molto frammentato, ma la tendenza è chia-

ra: le imprese sono sempre più orientate verso una visione comune

della sostenibilità, quella ispirata al modello del Creating Shared Va-

lue (Strategy & Society: The Link between Competitive Advantage and Corporate

Social Responsibility. Porter, Kramer, Harvard Business Review 2006). L’idea che

LLorenzo Solimene Associate Partner, Sustainability Services, KPMG Advisory

La sostenibilità, variamente interpretata, è ormai stabilmente entrata nell’agenda dei board. Ora bisogna tradurre i princìpi in modelli organizzativi e procedure, premessa indispensabile per dare valore alla nuova visione di impresa sostenibile

Il Codice di Autodisciplina,

pubblicato nel gennaio 2020, integra un

nuovo concetto di “successo sostenibile”

definito come “obiettivo che guida l’azione dell’organo

di amministrazione e che si sostanzia nella

creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli

azionisti, tenendo conto degli interessi

degli altri stakeholder rilevanti per la

società”.

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TREND SUI TEMI ESG E IL CASO ESSELUNGA

LA SOSTENIBILITÀ SEMPRE PIÙ NELL’AGENDA DEI BOARD

INTERVISTA A LUCA LATTUADA DIRETTORE RISORSE UMANE E ORGANIZZAZIONE - ESSELUNGA

tiva contenente le performance sociali e ambien-tali dell’impresa e di approfondire e pubblicare la rendicontazione dei rischi legati al climate change.

In Italia il dibattito nei board si è animato anche a seguito dell’introduzione della nuova normativa sulla rendicontazione non finanziaria, in attuazione della Direttiva Europea 2014/95. Al secondo anno dall’introduzione dell’obbligo di pubblicazione della Dichiarazione non finanziaria, KPMG e Nedcommu-nity hanno condotto una survey sull’applicazione del D.Lgs. 254/2016, analizzando un campione di 205 aziende. Lo studio ha evidenziato un percorso di progressiva integrazione della sostenibilità nei processi decisionali. Infatti, il 36% delle società ha demandato le responsabilità dei temi ESG a un co-mitato endoconsiliare, con un raddoppio rispetto all’esercizio precedente. Nonostante il notevole incremento, circa metà del campione non ha an-cora formalizzato la propria governance a livello consiliare rispetto ai temi ESG.

Le responsabilità assegnate ai Consigli di Ammi-nistrazione, hanno portato a una migliore pianifica-zione e gestione delle tematiche ESG, spingendo le imprese a muoversi verso la definizione di approcci strategici integrati. È stato, infatti, rilevato un incre-mento del 90% dei Piani di Sostenibilità formalizzati e strutturati, trend che riguarda tuttavia ancora solo il 22% delle aziende del campione. Il 53% delle società (+23% rispetto al 2017) dichiara, inoltre, di aver implementato un sistema di identificazione e gestione dei rischi integrato, includendo anche quelli di natura non finanziaria. L’analisi evidenzia, in sintesi, come il trend di crescita dell’integrazio-

ne della sostenibilità nei modelli di business e nei processi organizzativi sia di fatto in progressivo sviluppo. Gestire i rischi e le opportunità indotti dai cambiamenti climatici e da altri fattori ambientali e sociali, oltre che promuovere la trasparenza e una visione a lungo termine nelle attività economiche, rappresenta quindi anche un’opportunità di avere modelli di business più resilienti capaci di creare valore nel lungo periodo per tutti gli stakeholder.

Quali sono gli aspetti che contrad-distinguono Esselunga nel suo ap-proccio alla sostenibilità?«Un primo elemento che ci contraddistingue è sicuramente la nostra natura di Food Company: produciamo nei nostri stabilimenti numerosi pro-dotti delle linee a marchio Esselunga che offriamo nei nostri negozi. Questa caratteristica, unica per il settore nel contesto italiano, ci permette di monitorare tutte le fasi della filiera produtti-va garantendo, in ogni passaggio, il rispetto dei massimi standard qualitativi, sociali e ambientali.

L’obiettivo principale di tutte le attività e le iniziative che mettiamo in atto è sempre la sod-disfazione dei nostri clienti, che entrano ogni giorno nei nostri negozi, affidandosi alla qualità e all’eccellenza dei prodotti che selezioniamo e

Luca LattuadaDirettore Risorse Umane e Organizzazione di EsselungaLaureato in Economia Aziendale presso l’Università Bocconi, ha iniziato la sua carriera in HR nel 1996 in SEA – Aeroporti di Milano. Nel 2000 entra in Esselunga come HR Manager del settore retail e dopo sei anni assume il ruolo di HR Manager dell’Headquarter di Limito di Pioltello. Dal 2008 diventa Responsabile delle Relazioni Sindacali e successivamente ricopre in seno alla funzione HR ruoli di crescente responsabilità, fino ad assumere nel maggio 2015 l’incarico di Direttore Risorse Umane e Organizzazione del Gruppo Esselunga. Dal marzo dello scorso anno coordina anche le attività di CSR del Gruppo.

Il Decreto Legislativo 254/2016, entrato in vigore a partire dagli esercizi con chiusura il 31/12/2017, richiede alle imprese di grandi dimensioni (che sono Enti di interesse pubblico) di produrre un’informativa non finanziaria riguardante i temi ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani e alla lotta contro la corruzione attiva e passiva.

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TREND SUI TEMI ESG E IL CASO ESSELUNGAcoverstory

“Le imprese, per essere competitive, dovranno sviluppare un modello di business aziendale in grado di contribuire alla crescita del benessere socio-economico delle comunità”

produciamo per loro. Vogliamo essere anche pro-motori del benessere dei nostri clienti, contribuen-do positivamente alle loro abitudini alimentari e nutrizionali, guidandoli verso uno stile di vita sano ed equilibrato. Per questo siamo sempre così attenti alla qualità, che inizia già con la scelta delle migliori materie prime, perché sentiamo la responsabilità della fiducia che i nostri clienti ri-pongono in noi.

Ma sostenibilità per noi vuol dire anche molto altro… Significa, infatti, sostenere il territorio favo-rendo un’occupazione di qualità, significa guardare alle nuove generazioni contribuendo allo sviluppo di iniziative che migliorino le loro prospettive, di vita e professionali. Significa collaborare con gli enti e le istituzioni facendoci promotori di picco-li e grandi progetti che favoriscano l’inclusione sociale e la creazione di valore per il territorio. Come i nostri negozi, che spesso nascono in aree riqualificate e donate al territorio, alla comunità.

Significa agire nel rispetto dell’ambiente, ri-ducendo gli impatti derivanti da tutte le nostre attività, attraverso il miglioramento continuo dei processi, gli investimenti tecnologici, la ricerca e l’introduzione di nuovi materiali più sostenibi-li e la promozione di comportamenti rispettosi dell’ambiente.

Ma soprattutto significa mettere al centro del nostro agire le nostre persone». Con oltre 24.000 persone che com-pongono la forza lavoro, Esselunga è sicuramente un’azienda che pone le persone al centro della propria strategia di business… Come riuscite a valorizzare e ad andare incontro alle aspettative delle vostre persone?«Come dicevo, le persone sono al centro dell’agi-re e delle attività della nostra azienda. Passione, talento e spirito innovativo ci consentono di ge-

nerare nuove idee e offrire prodotti e servizi per soddisfare al meglio le esigenze di tutti i nostri clienti, assicurando correttezza ed eticità profes-sionale, princìpi fondamentali ed imprescindibili in Esselunga. Ed è per questo che Esselunga mira ad attrarre e trattenere persone dotate di passione, curiosità, determinazione e iniziativa.

Mettere le persone al centro significa soprattutto promuovere la crescita personale e professionale di ciascuno attraverso percorsi di apprendimento continuo e di valorizzazione delle competenze, riconoscendo il talento e premiando i risulta-ti raggiunti. La formazione diventa quindi una leva fondamentale per sostenere lo sviluppo dei nostri collaboratori e dell’intera organizzazione. Da tempo ci siamo dotati di un vero e proprio Le-arning Center, per accompagnare le persone nello sviluppo di competenze e conoscenze attraverso corsi di formazione sia in aula che on the job. Ogni giorno formiamo veri specialisti di mestiere, a cui trasmettiamo competenze e abilità e soprattutto la passione per il nostro lavoro.

Crediamo in progetti a lungo termine che valorizzino le diversità e le peculiarità di cia-scun collaboratore. Siamo convinti, infatti, che la diversità sia un valore prezioso, che si traduce in maggior varietà di prospettive e permette a ogni talento di esprimersi. Investire nelle nostre perso-ne significa anche dare valore al benessere e alla qualità della loro vita, per questo siamo attenti a costruire modelli di welfare aziendale che offrano servizi allineati ai bisogni di tutti e ci impegnia-mo soprattutto a garantire la sicurezza sul lavoro, attraverso misure di prevenzione e protezione in grado di ridurre al minimo i rischi professionali. Un esempio fra tanti riguarda l’istallazione di defi-brillatori in tutti i negozi e in tutte le nostre sedi, a garanzia di luoghi cardioprotetti, e la conseguente attività di formazione per il loro utilizzo che ha visto coinvolti 1.300 collaboratori». n

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con i nostri tessuti formativi

La gestione manageriale dell’errore

Trasformare gli svantaggiin strategie vincenti

Rischiare consapevolmente

Flessibilità e abitudini

Imprenditorialità

Come comunicare nell’incertezza

Gestire imillennials

Nine Minds

Learning Agility

Execo è Formazione, Selezione, Assessment I www.execohr.it/e�cienza-incertezza I [email protected]

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NOMADISMO POSTMODERNOcoverstory

CIAO ITALIA!

di Enzo Riboni{

possibilità di imparare e crescere professionalmente, di soddisfacimenti delle proprie positive ambizioni.Insomma, non la fuga da una realtà rifiutata, ma la voglia di mettersi in gioco su scenari più globali, dove l’inseguimento delle aspirazioni non sia de-stinato a uno stop prima del traguardo.

Certo che, se si pensa a storie come quella di Francesco A., è difficile non leggerle come fughe vere e proprie. Francesco è un brillante 24enne, appena laureato in Ingegneria con il massimo dei voti al Politecnico di Milano. Riceve una serie di proposte di lavoro, anche se, rispetto alle sue aspettative, non proprio entusiasmanti. La più accettabile viene dalla sede lombarda di una mul-tinazionale francese: uno stage di tre mesi, seguito da un contratto semestrale a tempo determinato a 1.200 euro al mese, alla scadenza del quale una possibile assunzione a tempo indeterminato. Francesco, che è un “post-millennial”, ha la rete come riferimento principe, quindi visita subito il sito del gruppo francese e scopre che, a Parigi, l’azienda offre una posizione identica a quella lombarda con un’assunzione da subito a tempo

indeterminato a 2.000 euro al mese. Ovviamente, fa le valigie e si traferisce in Francia.

Anche la stessa storia di Francesco, però, può essere letta in positivo: un giovane che sa trovare la via migliore per valorizzare la sua prepara-zione e che vede l’Europa, il mondo, non come estero, ma come prolungamento del suo terreno di ricerca. Quindi nessuna nota drammatica da “cervello in fuga”, ma una nuova prospettiva per “cervelli nomadi” in mobilità temporanea.

Anche se, il problema, sta proprio nel grado di temporaneità dei nostri migranti che, stando

uga o inseguimento? Quando si parla di giovani emigranti, soprattutto di

quelli con titoli di studio di alto livello, è ormai uno stereotipo etichettarli

come “cervelli in fuga”.

E se si trattasse invece di un inseguimento? Inseguimento di opportunità poco

presenti in Italia, di futuri più coerenti con la propria preparazione, di maggiori

FEnzo Riboni Giornalista Corriere della Sera

C’è un’emigrazione sana, temporanea, dei nostri giovani laureati che all’estero inseguono futuri più coerenti con la propria preparazione ed ambizione e poi rientrano con un bagaglio di capacità manageriali e gestionali molto salutari per la nostra economia. Ma quando l’emigrazione diventa stabile e l’emorragia di talenti inarrestabile, il Paese si impoverisce

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NOMADISMO POSTMODERNO

ai numeri, risulta essere troppo dilatato se non, addirittura, destinato a trasformarsi in un non ritorno in Patria. I valori assoluti degli expatriate li certifica l’AIRE, l’Anagrafe degli Italiani Resi-denti all’Estero, che nel 2018 ne ha contati 5,2 milioni, il 68% in più rispetto al 2006 quando erano 3,1 milioni. Quegli oltre cinque milioni di connazionali oltrefrontiera sono però oltretutto sottostimati, per esempio perché mancano i gio-vani molto mobili che cambiano lavoro e nazione spesso e non si registrano all’Anagrafe, o quelli che non lo fanno per non perdere l’iscrizione al servizio sanitario italiano.

Nel complesso, sempre secondo l’AIRE, la mag-gioranza degli espatriati (56%) ha tra i 18 e i 44 anni. Il grado di istruzione, poi, si colloca in un trend crescente: il 34,6% ha la licenza media, il 34,8% è diplomato e il 30% è laureato, mentre nel 2013 i laureati erano il 42% in meno. Tutto ciò tenendo conto che la spesa dello Stato per formare un laureato è di 170mila euro e, per un dottore di ricerca, addirittura 230mila. Così, ogni connazionale con alta formazione che se ne va e non torna, produce una perdita significativa, non solo di competenze, ma anche economica. Secondo il Rapporto 2019 sull’economia dell’immigrazione

della Fondazione Leone Moressa, negli ultimi dieci anni la “fuga senza ritorno” verso l’estero dei nostri giovani è costata all’Italia 16 miliardi di euro, più di un punto percentuale del PIL. Si calcola inoltre che ammonti a un miliardo di euro all’anno il danno economico che l’Italia deve subi-re per i mancati introiti dai brevetti registrati dagli italiani espatriati. E la propensione a emigrare con poca voglia di fare marcia indietro continua ad aumentare. Lo certifica l’ultimo Rapporto sulla condizione occupazionale di AlmaLaurea. Nel 2018 i giovani laureati impiegati oltreconfine, hanno manifestato una propensione al rientro in Patria decisamente bassa: il 33,2% ritiene il ritorno “molto improbabile”, il 30,3% “poco rea-listico” e solo il 12,9% “molto possibile”.

Un altro dato recentissimo, infine, rende il qua-dro dei rimpatri degli emigrati con alto titolo di studio molto preoccupante. A partire dal 2010 erano state deliberate facilitazioni fiscali signifi-cative a favore di chi fosse rientrato, soprattutto per ritornare nelle università, negli enti di ricerca o nelle professioni private altamente qualificate. Secondo l’ultimo report del gruppo Controesodo basato sui dati dell’Agenzia delle Entrate, negli ultimi otto anni, su 14mila ritornati in Italia, ➤

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“L’emorragia dei giovani talenti sembra al momento inarrestabile anche a causa della scarsa lungimiranza delle nostre imprese nel valorizzare la formazione dei giovani”

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€ 15.00 (iva inclusa)

101 storie di emigranti del Terzo Millennio. Giovani digitali globa-lizzati alla ricerca di occasioni di lavoro nel Mondo, migliori di quanto l’Italia riesca a offrire.Ragazzi che hanno salutato casa propria non perché disperati dopo aver bussato a mille porte, ma per dare pieno sviluppo alla loro preparazione. Storie di “cer-velli in fuga”, quindi, talenti quasi sempre laureati, spesso con ma-ster o dottorati nelle più presti-giose università del mondo, che sono andati all’estero per libera scelta, per curiosità intellettuale, spinti da un “nomadismo post-moderno”.Uno spaccato sulle tendenze e lo stato attuale dei cervelli in fuga e, per i giovani lettori e le loro famiglie, una preziosa fonte di ispirazione, una guida di fatto ai percorsi di studio e lavoro in-ternazionali.Le storie raccolte in questo libro sono state pubblicate inizial-mente sul Corriere della Sera e qui vengono riproposte in ver-sione aggiornata a oggi.

“Non possiamo non sentire vicine a noi le storie dei ragazzi che vengono presentate in questo libro. Si tratta di giovani che hanno deciso di lasciare le loro case ed emigrare, per vedere mondi nuovi e nuove prospettive, per abbracciare lo stesso desiderio di vita che, nel mito, animava Ulisse. Non li ha spin-ti la necessità economica, ma il desiderio di futuro. Sana ambizione, voglia di imparare e di crescere, vivacità, coraggio e operosi-tà sono le caratteristiche che deve avere un giovane per decidere di lasciare il comfort di una vita tranquilla in Patria e di affrontare il mare aperto di un Paese nuovo e per lo più sconosciuto.”

Dalla prefazione di Paolo Iacci

Enzo Riboni

CIAO ITALIA!101 STORIE DI CERVELLI IN FUGA

Prefazione di Paolo Iacci

ENZO RIBONI, dopo la laurea in Matematica, ha insegnato nei li-cei e all’università. Ha però sem-pre avuto una passione per la scrittura e il giornalismo. Da free lance ha cominciato con Il Mani-festo, poi Il Mondo, Capital, Gen-te Money e, dal 1988, Corriere della Sera, per il quale, nel 2005, ha ideato le pagine Economia & Carriere (ora Trovolavoro), pagine in cui, dal 2008 al 2019, ha curato la rubrica Giovani all’estero. Ha pubblicato Addio per sempre? (Italic Digital Editions, 2013/2015) ed è coautore di Letteratura per manager (Etas, 2008), Le aziende invisibili (Scheiwiller, 2008), Tutto Lavoro 2002 (Etas) e Lavoro in affitto (Zelig, 1999).

101 storie di emigranti del Terzo Millennio. Giovani digitali globalizzati alla ricerca di occasioni di lavoro nel mondo, migliori di quanto l’Italia riesca a offrire. Storie di “cervelli in fuga”, di talenti quasi sempre laureati, spesso con master o dottorati nelle più prestigiose università del mondo, che sono andati all’estero per libera scelta, per curiosità intellettuale, spinti da un “nomadismo postmoderno”.

Dalla prefazione di Paolo Iacci: “Non possiamo non sentire vicine a noi le storie dei ragazzi che vengono presentate in questo libro. Si tratta di giovani che hanno deciso di lasciare le loro case ed emigrare, per vedere mondi nuovi e nuove prospettive, per abbracciare lo stesso desiderio di vita che, nel mito, animava Ulisse. Non li ha spinti la necessità economica, ma il desiderio di futuro. Sana ambizione, voglia di imparare e di crescere, vivacità, coraggio e operosità sono le caratteristiche che deve avere un giovane per decidere di lasciare il comfort di una vita tranquilla in Patria e di affrontare il mare aperto di un Paese nuovo e per lo più sconosciuto”.

IL LIBRO

Titolo Ciao Italia! 101 storie di cervelli in fuga - Autore Enzo Riboni - Editore Mind Edizioni - Anno 2020 - Pagine 175 - Prezzo 15 euro

“Le esperienze lavorative all’estero dei nostri giovani laureati non devono essere viste come tradimento. Anzi, possono dare unamarcia in più una volta rientrati nel mercato del lavoro italiano”

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NOMADISMO POSTMODERNOcoverstory

ben 7mila hanno poi cambiato idea scegliendo di nuovo di espatriare.

In definitiva, si può sostenere che le esperienze lavorative all’estero dei nostri giovani laureati non debbano essere viste come tradimento o mancata riconoscenza verso il Paese che li ha formati. Anzi, compiere periodi di arricchimento della pro-pria professionalità in Paesi esteri, può dare una marcia in più una volta rientrati nel mercato del lavoro italiano, potendo contare su un bagaglio di capacità manageriali-gestionali tra l’altro molto salutari per la nostra economia. Quando però l’emigrazione non è più temporanea ma diventa stabile, la conseguenza per il Paese è un’emorra-gia di talenti che impoverisce ulteriormente una realtà tra le più basse d’Europa per numero di laureati. L’amara conclusione è che l’emorragia sembra al momento inarrestabile anche a causa della scarsa lungimiranza delle nostre imprese

nel valorizzare la formazione dei giovani, prima di tutto in termini economici. Secondo l’indagine “Starting salaries 2019” di Willis Towers Watson, che ha studiato, in 23 paesi europei, lo stato delle retribuzioni dei laureati al primo impiego, non solo gli stipendi dei ragazzi italiani si collocano al 14esimo posto della classifica (28.827 euro lordi annui), ma in più, le lauree non vengono affatto valorizzate rispetto ai titoli di studio inferiori. Un neolaureato italiano, infatti, guadagna in media solo il 12% in più di un neodiplomato. Stesso mo-desto vantaggio anche per un dottore di ricerca: 13% in più rispetto al laureato. Con queste percen-tuali precipitiamo così all’ultimissimo posto della classifica della valorizzazione del titolo di studio. Il confronto è impietoso: un tedesco neolaureato guadagna il 32% in più di un neodiplomato, uno spagnolo il 31%, un francese il 26% e, un britan-nico, addirittura il 41% in più. n

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KONICA MINOLTAcoverstory

digitali, di cui peraltro siamo stati i precursori. Un esempio che fa capire l’importanza della visione strategica. Oggi siamo alla ricerca di una sintesi tra innovazione e continuità. Ci muoviamo in Italia tra la stampa e i servizi di digital transformation. Questa strategia genera uno “stress” sull’organizzazione perché richiede un cambio di cultura e di prospettiva al quale non si accompagna un abbandono del core business. Per noi approcciare il mondo dei servizi implica en-trare in mercati nuovi, con nuovi competitors, nuovi linguaggi con la conseguente necessità di ripensare il nostro modo di comunicare, approcciare il cliente, gestirne la relazione dal prospecting alle attività di delivery e aftersales».

Visto questo piano strategico, quali obiettivi e quale ruolo per la funzione HR? «In questo contesto il ruolo della funzione HR è quello di accompagnare la trasformazione, operando su tre dimensioni: cultura organizzativa, competenze e processi. Testa, muscoli e sistema nervoso per usare una facile analogia. Ovviamente l’elemento più com-plesso, ma anche quello più determinante, è la testa o meglio il mindset: termine forse meno accattivante rispetto a “cultura” ma più maneggevole, volendovi cogliere nella nostra accezione soprattutto un’atti-tudine positiva per la sfida e la fatica. Ci siamo detti che se avessimo “contagiato” il contesto con questo

ual è la sfida principale per Konica Minolta oggi? «Siamo una realtà globale con 140 anni di storia alle spalle, quotata sul mercato azionario di Tokyo. I punti fermi della nostra evoluzione sono sempre stati l’ottica e l’imaging, aree in cui abbiamo accumulato un know-how molto forte: dalle macchine fotografiche, ai sistemi ottici e medicali, a quello che oggi è il core business: tecnologie e servizi per la stampa, la gestione documentale e l’infrastruttura IT. La

nostra storia ci ha costretti a cavalcare la velocità delle onde tecnologiche. Nel 2006, un anno prima dell’arrivo dell’iPhone sul mercato USA, abbiamo ceduto a Sony il ramo d’azienda relativo alle macchine fotografiche, un attimo prima del “big bang” che avrebbe stravolto il mercato e il concetto stesso di fotografia, rompendo tutti gli schemi di business relativi alle macchine

Q

UNA START UP DI 140 ANNI

a cura della redazione{

Un’azienda “costretta” per storia e visione strategica a cavalcare la velocità delle onde tecnologiche. Scopriamo il ruolo giocato dalla funzione HR, tra innovazione e continuità, nell’intervista a Elia Bodellini, HR Director di Konica Minolta

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le sue basi sulla behavioural science che regola i meccanismi di adozione da parte dei manager di nuovi comportamenti da allenare nel quotidiano. Poiché i fattori che influenzano l’individuo nel cambiamento o nell’adozione di comportamenti nuovi sono non solo individuali ma anche sociali e ambientali, stiamo lavorando su più dimensioni. Il progetto è partito dall’ascolto di tutta l’organizzazio-ne che, attraverso una survey, ha aiutato i manager a identificare le aree di miglioramento su cui basare i piani d’azione individuali e prevede un sistema di ingaggio “misto” composto da microlearning, peer coaching, coaching individuale, campagne di comu-nicazione e “spinte gentili” (nudge) che ricordino ai manager quali comportamenti agire. Infine, una app dedicata ci consente di gestire e monitorare in modo smart i piani d’azione dei manager. Questo ovviamente presuppone che ciascun leader dichiari apertamente il proprio piano di sviluppo andando a rinforzare la cultura della condivisione che a propria volta genera maggiore ingaggio.

Questo tipo di formula non è né deve essere one off ma una costante, presente in qualche misura in ogni iniziativa. Cito un secondo progetto C-Lab (Customer Lab) in cui abbiamo dato le chiavi del cambiamento in mano a “subject matter expert” o semplici individual contributor che sono a contatto con i nostri clienti tutti i giorni. Parliamo di persone che tradizionalmente sono escluse dai tavoli decisio-nali e che sono state chiamate a far succedere le cose coordinando nel progetto team interfunzionali con il supporto di alcuni coach di CAVE e di alcune risorse interne. Il progetto ha previsto il coinvolgimento di tutta l’organizzazione italiana per identificare e migliorare comportamenti e processi con l’obiettivo di rafforzare l’approccio customer centric di tutta l’azienda. Le aree su cui deve incidere Customer Lab sono sia la cultura aziendale (che ha una forte influenza sui comportamenti interpersonali e la pro-attività), sia i processi e gli strumenti che generano valore per il cliente. L’approccio usato è quello del design: si disegna una soluzione, si prova, si aggiu-

KONICA MINOLTAcoverstory

mindset disinnescando una manciata di abitudini comportamentali, avremmo davvero prodotto un impatto culturale. Naturalmente questa è la teoria, ma ci è servita a costruire nessi logici tra progetti, iniziative e strategia di business collocando il tutto in un quadro complessivo corredato da una narra-zione che favorisse l’assimilazione e trasmettesse un senso di coerenza. Cerchiamo di non perseguire progetti magari in sé meritori ma non riconducibili alla nostra visione. Il cambiamento ha come peri-metro l’organizzazione tutta (stakeholder esterni inclusi). Per la funzione HR significa esporsi, dialogare, prendere posizione anche entrando in territori in cui si è più fragili, valorizzando la dialettica interna e aprendosi per primi alla cultura dell’errore».

Raccontaci qualche progetto in cui avete sperimentato questi concetti.«Abbiamo incrementato la forza lavoro di circa il 30% acquisendo competenze, esperienze e approcci diversi: una contaminazione culturale, tecnica e generazionale. Anche il semplice processo di recru-iting ha rappresentato una sfida che ci ha spinto a interrogarci su cosa potesse renderci attrattivi, su quali competenze cercare e sul come valutarle. Ma non sempre le cose accadono autonomamente. Vanno smussati gli angoli, colmate le distanze, c’è un grande lavoro di mediazione che non produce risul-tati immediati. Abbiamo così dato il via ad una serie di progetti che ci stanno aiutando ad accompagnare questa trasformazione, progetti in cui il bisogno di “purpose” e di maggior coinvolgimento sono stati gli ingredienti principali. Il primo è un progetto di sviluppo manageriale (Be Effective Manager) per supportare i nostri leader ad acquisire più con-sapevolezza su come i mutamenti sociali abbiano ridefinito le aspettative da parte delle persone nei confronti dei “capi” e su come i metodi di ingaggio siano conseguentemente mutati. Il progetto, svi-luppato in partnership con Mida, non si posiziona come un progetto di learning tradizionale ma fonda

“Cerchiamo di non perseguire progetti magari in sé meritori ma non riconducibili alla nostra visione. Il cambiamento ha come perimetro l’organizzazione tutta (stakeholder esterni inclusi)”

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le diffidenza verso gli slogan come “mettiamo le persone al centro”. Cerchiamo di farlo e basta con iniziative che parlino da sé. Da un punto di vista manageriale, occorre comprendere quando fare un passo indietro e lasciare ad altri i riflettori. Inci-dentalmente questa è anche una buona definizione di lavoro di squadra».

Che impatto hanno avuto simili ini-ziative sul business e la produttività? «A oggi hanno avuto un impatto positivo ma par-ziale. I temi della leadership e dell’empowerment così come le teorie motivazionali stanno aprendo enormi opportunità e rappresentano un volano importante. Ma non dimentichiamoci che questi sono solo alcuni degli ingredienti di successo. Strutture finanziarie, specificità del mercato, qualità del prodotto o soluzione (solo per citar-ne alcune) rimangono comunque determinanti. Certo è che in fase di cambiamento, l’elemento umano è particolarmente determinante. Poi il lavoro non è stato fatto solo sulla testa ma an-che sul fisico. Fuor di metafora, abbiamo reso la struttura più flat accorciando le leve decisionali. Abbiamo agito sul lay-out degli uffici nelle nuove sedi di Milano e Roma, progettando gli spazi in modo complementare ai messaggi che volevamo favorire. Anche il linguaggio ne è uscito conta-minato. Oggi parliamo di employee journey, di presidio di touch point e lo facciamo invitando i nostri colleghi a progettare con noi nuovi pro-cessi in sessioni di design thinking, esattamente come farebbe una qualsiasi azienda che progetta un servizio da offrire al mercato. Le nuove sedi ci agevolano dal punto di vista “culturale” (ospi-tiamo conference ispirazionali con giornalisti, comunicatori, artisti; usiamo ogni metro quadro e ogni superfice per dare messaggi e fare cultura) senza dimenticare lo show-room in cui oltre ai nostri prodotti raccontiamo la nostra realtà in workshop ed eventi, bilanciando sempre hardware e software, come è nel nostro DNA». n

sta il tiro e, se funziona, si diffonde e si applica. Per utilizzare questa metodologia di lavoro è essenziale fare un passo culturale importante: l’errore è con-siderato un sottoprodotto del processo, viene identificato, isolato ed eliminato; ma non viene mai usato per giudicare chi l’ha causato. La caccia è fatta per trovare l’errore e migliorare, non per punire chi sbaglia. Tutto è visibile in corso d’opera: le iniziative identificate, i cantieri di lavoro aperti e i team assegnati sono noti a tutti. La comunicazione è utilizzata come strumento di ingaggio ed è totalmente disintermediata: sono gli stessi protagonisti a raccon-tare i lavori in corso, sia attraverso comunicazioni affisse sui muri dell’azienda, sia tramite racconti diretti in eventi aziendali dedicati. Il cambiamento viene raccontato mentre accade e mentre la nuova realtà prende forma. Questo approccio facilita una “leadership dal basso” e permette a chi ha un’idea in cui crede, di sperimentarla, di avere visibilità e di vedersene riconosciuto il merito. Il salto culturale non è banale, è il diretto interessato che comunica le iniziative in corso nella sua area, non il suo ma-nager funzionale. Quando riusciremo a compiere questo percorso culturale con successo l’impatto in termini di consapevolezza e ingaggio delle persone sarà notevole e pervasivo.

Customer Lab sta dando un nuovo impulso al nostro modo di lavorare sul Change Management, ribaltando i paradigmi classici dell’organizzazione aziendale. Siamo passati dal cambiamento definito e gestito da pochi e comunicato all’azienda che lo deve adottare, a un approccio in cui chi deve cam-biare è direttamente coinvolto nel progetto e ne è il protagonista. I benefici riguardano sia la qualità degli spunti di miglioramento che emergono, sia la motivazione e l’ingaggio di chi deve poi adottare le novità disegnate.

La stessa Academy di Konica Minolta, per i nostri partner, si basa sul principio di potenziamento e preparazione di trainer interni non professionisti con risultati sorprendenti.

Abbiamo ormai tutti sviluppato una natura-

“Poiché i fattori che influenzano l’individuo nel cambiamento o nell’adozione di comportamenti nuovi sono non solo individuali ma anche sociali e ambientali, stiamo lavorando su più dimensioni”

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CIAMcoverstory

CIAME L’IMPRESA 4.0

di Katia Pangrazi{

gelaterie ed imprese di ristorazione. La produzione viene realizzata presso lo sta-

bilimento situato nel Comune di Assisi, con una superficie complessiva di 23.000 mq.

“Io vengo dall’ufficio tecnico, all’inizio dise-gnavo personalmente i prodotti, ora seguo gli sviluppi sin nei minimi dettagli. Sono fiero di quello che – tutti insieme – abbiamo costruito”, afferma orgoglioso Federico Malizia, AD dell’a-zienda, “abbiamo preso giovani, investito sulla loro formazione, con voglia di crescere: crediamo nella risorsa umana che è alla base del lavoro. Ho visto molte scommesse vinte e ho maturato una certezza: nel campo del food noi italiani siamo insuperabili. Nessuno sa fondere come noi il gusto del bello con le proporzioni, l’equilibrio e la funzionalità dei prodotti.

Oggi CIAM Spa rifornisce sia i piccoli gruppi che le grandi multinazionali, come McDonald’s, Autogrill, Illy, Marchesi1824 Prada Group, Grup-po Starbucks, G.M. Le Bon Marchè, La Grande Epicerie Paris. Il segreto è mantenere un approc-cio identico, indipendentemente da chi si ha di

IAM viene fondata negli anni ’70 da Giuseppe Malizia e oggi vede,

nella brillante figura di suo figlio Federico, il prosieguo di un per-

corso fatto di passione, cultura e innovazione.

Con oltre 40 anni di attività, CIAM Spa è oggi leader nella produzione di banchi

e vetrine refrigerate ad elevata tecnologia e design innovativo per bar, pasticcerie,

CKatia PangraziGiornalista

Un caso che racconta come si stiano modificando i parametri di valutazione della produttività e i criteri di valorizzazione delle risorse e come il ritorno degli investimenti sia oggi strettamente correlato all’eticità del modello di business. Rivoluzione ed evoluzione verso un nuovo illuminismo umanista

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CIAM

fronte: qualità e serietà sono punti cardine. A questo si aggiunge una flessibilità che miscela manifattura, tecnologia e risorse umane”.

L’entrata nel mercato internazionale di nicchia, che contempla design, artigianalità, tecnologia, innovazione, intelligenza artificiale, ha reso ne-cessario un cambio di passo dell’organizzazione nella gestione e conoscenza del personale, perno essenziale per la creazione di una produttività singolare e di forte impatto sul nuovo mercato. La competitività di prodotti con specificità, soste-nibilità e qualità di realizzazione personalizzata necessita di squadre di lavoro talent-oriented, apportatrici di innovazione, pronte a sviluppare nuove competenze, con capacità di leadership per ottimizzare costi e ridurre i tempi decisionali.

Per agevolare la transizione l’azienda ha de-ciso di avvalersi di figure esterne avviando, in via preliminare un percorso di ascolto e sintonia con il dipendente.

Nasce così il programma Win to Win introdotto con i professionisti di LOGICAMED che affianca i responsabili HR nella risoluzione dei problemi emersi e sommersi e nei programmi di ripresa e rilancio per incrementare produttività e reddi-tività dell’impresa.

Il percorso permette di individuare e definire, attraverso una scrupolosa ricerca per ogni singolo settore e reparto (oltre 90 aree), tutte le politiche e le campagne da apportare. Il programma aiuta a strutturare i percorsi di sviluppo e valorizzazione delle risorse umane a supporto della sostenibi-lità di un ambiente di lavoro aperto e orientato al progresso. La raccolta dei dati, attraverso il Radar Chart, permette agli HR Director e al Ma-nagement di rendicontare efficacemente lo stato dell’arte e, attraverso la piattaforma dinamica “Care”, focalizzare le strategie terapeutiche.

Le fasi in cui si articola il programma possono così essere sintetizzate:1° identificazione delle soft skills umanistiche di ogni risorsa; 2° misurazione di operatività e produttività per impegno, integrità, responsabilità, sicurezza, idee, passione, responsabilità, ruolo, teamworking, problem solving, flessibilità, carisma, parteci-pazione, ecc…;3° far emergere il percepito identificando tut-te le aree operative (oltre 90) quali migliorabili, critiche e performanti;4° identificare, pesare e misurare tutte le tipo-logie di interventi; 5° integrazione dei processi mirati e a target (spalmati in 90/120 gg);6° misurazione dei risultati ottenuti nell’evolu-zione produttiva suddivisi in percettibili, tangibili ed economici per ogni intervento.

Il programma si sviluppa in cicli replicati (sul principio del PDCA o Deming) ma sempre diversi ogni volta.

Win to Win disegna un sistema centralizzato per orchestrare squadre di lavoro trasversali, efficaci per l’adattamento dei nuovi processi tecnologici alle expertise da sviluppare. Tutto ciò creando mappe interattive del personale per ottenere una visione completa delle competenze, intelligenze, attitudini, talenti ed ogni altra soft skills, con un data mining per operazioni di matching di progetto, di innova-zione e di formazione per ottenere una leadership diffusa. L’innovazione qui sta nel modo con cui si guarda al patrimonio umano. La gestione del per-sonale è intesa come “realtà aumentata” dei profili aziendali: caratteristiche professionali, intelligenze artificiali e umanistiche, competenze, potenziali di crescita, vocazione personale, predisposizione al cambiamento, flessibilità. Il Data Mining permet- ➤

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voluzione del gruppo e la consapevolezza aziendale ha portato CIAM Spa a crescere non solo a livello culturale ma ad anticipare i tempi del mondo in-dustriale puntando sulla fiducia e sulla reciprocità.

L’AD racconta “Si trascorre una buona parte della vita lavorando. Migliorare la qualità di vita anche sul posto di lavoro consente di raggiungere importanti risultati professionali, con ovvie riper-cussioni sulle performance dell’azienda. Non è solo l’aspetto retributivo, per quanto importante, il parametro che rende qualsiasi impiego piacevole a priori. Compito del management aziendale è anche quello di migliorare gli aspetti sociali del lavoro, sempre finalizzato all’incremento della produttività e al raggiungimento degli obiettivi d’impresa. Saper dirimere controversie e mediare tra situazioni e necessità diverse, caratteri dif-ferenti e differenti sensibilità – spesso causa di attriti che nulla hanno a che vedere con i progetti o il core business – è una delle caratteristiche più apprezzabili, parte integrante della capaci-tà di gestione di un’attività imprenditoriale. E più ancora l’abilità nel creare un ambiente di lavoro piacevole”.

Il caso di CIAM racconta come si stiano modifi-cando i parametri di valutazione della produttivi-tà e i criteri di valorizzazione delle risorse e come il ritorno degli investimenti sia oggi strettamente correlato all’eticità del modello di business.

Termini come “ascolto”, “condivisione” e “partecipazione” presuppongono un’intera-zione diretta tra gli attori. L’aspetto sociale dei rapporti umani diventa imprescindibile.

Una filosofia che corrisponde certo alla per-sonalità innovativa e lungimirante del CEO, ma anche alla particolare attenzione ai valori umani-stici di tutte le figure del management dall’HR al Responsabile Amministrazione, dal Responsabile di Stabilimento al Direttore di Produzione. n

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te la lettura integrata delle caratteristiche umane con i sistemi aziendali di produzione. Il sistema di monitoraggio e tracciatura della crescita professio-nale facilita le politiche di engagement & retention, aiutando l’azienda nel perseguire i flussi di change management richiesti dal mercato e da sistemi tec-nologici sempre più performanti. Questo modo di valorizzare il patrimonio delle risorse umane risulta vincente per la sua capacità di coinvolgimento ma, soprattutto, per la sua capacità strategica, portando tassi di partecipazione e di “sincerità” da parte delle HR superiori al 94,8%.

Tra i principali impatti misurati: l’aumento di problem solving, del pensiero critico e lo spirito di collaborazione, l’incremento della produttività. Negli ultimi due anni la forza lavoro è aumentata di 70 unità, un ufficio esecutivo al Dubai Design District negli Emirati Arabi Uniti e un aumento di fatturato, solo nel 2019 del 27%, che ha portato a sfiorare i 25 milioni di euro.

Ulteriori sviluppi: i risultati della Customer Satisfaction ed i colloqui one-to-one hanno dato evidenza dell’alto interesse dei dipendenti al tema del Benessere e della Prevenzione tanto che, dal 2017 sono stati introdotti servizi ed attività dedicate, in primis un percorso di Wellness per il miglioramento dello stile di vita e della salute individuale in azienda, durante l’orario di lavoro. Il percorso vede i dipendenti impegnati in tre ambiti di prevenzione: alimentazione, postura e dermatologia. Il tutto è partito dalla volontà di costruire e consolidare una cultura coopera-tiva in azienda. Riflettendo sui precari equilibri “vita-lavoro”, che costringono spesso il singo-lo alla trascuratezza e alla continua perdita di orientamento, trasmettere buone pratiche per migliorare lo stile di vita, è risultata l’azione Welfare per eccellenza.

La condivisione del tema Salute ha facilitato l’e-

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pubbliredazionale

L’HEAD HUNTER ESCLUSIVAMENTE DEDICATO ALL’INFORMATION TECHNOLOGYUN TEAM DI ESPERTI RECRUITMENT ENGINEER PER SELEZIONARE I MIGLIORI TRA I PROFESSIONISTI E MANAGER DEL MONDO IT

ruoli più richiesti dal mercato del la-voro, oggi, sono quelli inerenti al ramo digitale e tecnologico. Eppure il divario tra domanda e offerta nel mercato del

lavoro IT è ancora ampio: Techyon possiede gli strumenti necessari a colmarlo.

Techyon è la prima società di Head Hunting in Italia esclusivamente specializzata nel seg-mento Information Technology.L’area di azione di Techyon spazia da contesti corporate e manifatturieri a realtà consulenzia-li, cui vengono proposti candidati IT apparte-nenti alla fascia Senior Professional e Middle to top Management, italiani e non solo. Techyon è infatti parte e rappresentante esclusiva per l’Italia del network ERI Executive Resources International, rete di consulenti HR attiva a livello globale. La partnership con ERI offre la possibilità di ampliare il range di ricerca, selezionando candidati anche all’estero.

Il metodo di ricerca dei recruitment engineer di Techyon coniuga gli strumenti tradiziona-li dell’Head Hunting a strumenti innovativi

come Techyon-Search, software con elementi di intelligenza artificiale sviluppato completa-mente In-House dagli sviluppatori di Techyon. I candidati vengono valutati sulla base della loro esperienza e preparazione tecnica, anche con l’ausilio degli assessment forniti da Hogan, di cui Techyon è reseller ufficiale per l’Italia.

Nell’ultimo anno, i recruitment engineer di Te-chyon hanno collocato numerosi professionisti e manager in diverse aziende, tra cui alcuni dei maggiori nomi dell’industria italiana e non solo.

Sul piano interno, il 2019 ha comportato un significativo aumento dell’organico, con un to-tale di 12 assunzioni in 12 mesi; cui si andrà ad aggiungere l’acquisizione di almeno 20 giovani IT recruiter entro la fine del 2020. “Tra gli obiettivi futuri - spiega Federico Cola-cicchi, Managing Partner di Techyon - vi sono lo sviluppo a livello europeo, per arrivare a coprire i principali hub del continente e ul-teriori investimenti su Techyon-Search, per portare sempre più l’attività di recruitment in una dimensione digitale”. n

IFederico Colacicchi Managing Partner di Techyon

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PRODUTTIVITÀ E CONTRATTAZIONE DI SECONDO LIVELLO:LA DISCIPLINA DEI PREMI DI RISULTATO

di Francesco Bacchini [email protected]{

aziende, con la l. n. 208 del 2015 (legge di stabilità per l’anno 2016) e la l. n. 232 del 2016 (legge di bilancio per l’anno 2017) il legislatore reintro-duce, questa volta a titolo definitivo rispetto alla provvisorietà del passato, la tassazione agevolata dei premi di risultato (e non, per precisa scelta normativa, come avveniva in passato, del “salario o retribuzione di produttività”).

Si tratta di quei premi, affidati obbligatoria-mente alla determinazione della contrattazione collettiva di secondo livello, volti a limitare la rigidità salariale, incrementare il trattamento economico dei lavoratori in base a logiche diverse dalla retribuzione ordinaria (costituzionalmen-te proporzionale e sufficiente), permettendo alle imprese di assegnare quote di produttività nel salario, rendere disponibile maggiore ricchezza nei periodi di trend positivo e valorizzare in questo modo l’apporto dei collaboratori, fidelizzandoli e coinvolgendoli nelle performance dell’impresa.

Questo anche nel caso del premio di risultato con opzione welfare aziendale, da intendersi quale “paniere” di benefici economici di utilità

sociale di tipo paramonetario non rientranti nel sinallagma retributivo e, pertanto, detassati e non soggetti a contribuzione, che, sempre e solo il contratto collettivo, può consentire vengano scambiati dai lavoratori, totalmente o parzialmen-te, con il premio in denaro (comunque tassato, ancorché in misura ridotta).

La disciplina dei premi di risultato e della loro fruibilità anche in beni e servizi di welfare aziendale, espressamente riservata, come per il passato, al settore privato, è sancita dai commi

l fine di ridurre il deficit strutturale che condiziona inevitabilmente

la crescita del Sistema-Paese e con essa la tenuta del welfare state,

fonte di disuguaglianze e disagio sociale, di alleggerire il carico

fiscale per sostenere il reddito e, conseguentemente, i consumi delle famiglie

(dei lavoratori), fornendo, contemporaneamente, impulso alla competitività delle

AFrancesco BacchiniProfessore di Diritto del Lavoro Università di Milano Bicocca, Studio Legale “Lexellent”

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MONDO LEGALE

182-191 dell’art. 1, l. n. 208 del 2015, così come modificata dall’art. 1, comma 160, l. n. 232 del 2016, nonché dal d. interm. 25 marzo 2016 con il quale i ministri del Lavoro e dell’Economia hanno definito (in attuazione del comma 188) i criteri per raggiungere gli obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione che possono consistere in: • aumento della produzione• risparmi dei fattori produttivi • miglioramento della qualità dei prodotti e dei processi anche attraverso la riorganizzazione dell’orario di lavoro (con esclusione dello stra-ordinario) • ricorso al lavoro agile.

I criteri dovranno essere misurabili rispetto ad un periodo congruo e verificabili in modo obiettivo con il riscontro di indicatori numerici o di altro genere espressamente individuati.

L’elenco dei criteri di misurazione deve essere specificato nella dichiarazione di conformità del contratto collettivo aziendale o territoriale che necessariamente li pattuisce, la quale è redatta dal datore di lavoro e depositata, unitamente al contratto collettivo, entro 30 giorni dalla sot-toscrizione, presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro. Nel modello che si prevede venga com-pilato sono descritti 20 indicatori di risultato (19 più uno lasciato alla libera determinazione delle parti ad evidente riprova della non tassatività dell’elencazione), fra cui si segnala: • il volume della produzione, il fatturato o il va-lore aggiunto (come da bilancio) divisi il numero dei dipendenti • il margine operativo lordo diviso il valore ag-giunto • gli indici di soddisfazione del cliente • la riduzione degli scarti di lavorazione • il miglioramento dei tempi di consegna• le modifiche dell’organizzazione del lavoro o dei regimi di orario• la riduzione dell’assenteismo• il numero di brevetti depositati• la riduzione degli infortuni • la riduzione dei consumi energetici e altri ancora che possono anche essere libera-mente scelti dalla contrattazione collettiva di

secondo livello purché siano oggettivamente rendicontabili.

È, dunque, il raggiungimento degli obbiettivi di produttività in base ai criteri di misurazione in-dividuati dal decreto e necessariamente negoziati collettivamente, da cui dipende la detassazione dei premi di risultato di ammontare variabile corrisposti ai lavoratori.

Il limite stabilito dal legislatore per la detas-sazione dei premi di risultato è di 3.000 euro lordi annui, mentre il tetto massimo di reddito percepito dal lavoratore per usufruire dell’age-volazione fiscale è di 80.000 euro lordi all’anno.

Con la modifica operata dall’art. 55 del d.l. n. 50, convertito dalla l. n. 96/2017, in forza del quale viene novellato il comma 189 della l. n. 208/2015, non è più previsto l’innalzamento dell’importo del premio di risultato detassabile a 4.000 euro per le aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro, bensì la riduzione del 20% dell’aliquota contributiva a carico del datore di lavoro per il regime relativo all’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti su una quota del premio di risultato non superiore a 800 euro.

In aggiunta, con riferimento alla quota di cui sopra è prevista la corrispondente riduzio-ne dell’aliquota contributiva di computo ai fini pensionistici e sulla stessa non è dovuta alcuna contribuzione a carico del lavoratore. Con que-sto provvedimento ulteriormente incentivante (riconducibile, pur nella sua limitata, ma non irrilevante, dimensione, all’interno della larga-mente inattuata cornice normativa dell’art. 46 Cost.) il legislatore reintroduce stabilmente una fattispecie di decontribuzione complementare alla detassazione, che aveva, inopinatamente, abbandonato già dal 2015.

In base all’art. 4 del d. interm., il vantaggio contributivo discende dalla previsione nel con-tratto collettivo (aziendale o territoriale), ancorché a titolo esemplificativo, di gruppi di lavoro nei quali agiscono responsabili aziendali e lavorato-ri, vale a dire gruppi misti di manager, quadri, impiegati ed operai finalizzati al miglioramento o all’innovazione di aree produttive o sistemi di produzione, con strutture permanenti di ➤

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di produttività reali e non solo di facciata. Inne-gabilmente, attesa la limitata diffusione di tale contrattazione, soprattutto nelle aziende di piccole e medie dimensioni, il rischio è quello che gran parte dei lavoratori restino esclusi dai vantaggi fiscali connessi ai premi di risultato. Con il ma-nifesto intento di allargare la platea dei fruitori dei premi di risultato detassati (e della loro pos-sibile conversione in servizi welfare) anche nelle piccole e medie imprese prive di rappresentanze sindacali, deve leggersi l’Accordo Interconfederale Quadro del 14 luglio 2016 stipulato da Confindu-stria, Cgil, Cisl e Uil, per la definizione di accordi territoriali (a livello provinciale) in materia di agevolazione fiscale dei premi di risultato e di welfare contrattuale.

Secondo i dati del Ministero del Lavoro, al 16/12/2019 sono state compilate 52.588 dichiara-zioni di conformità (moduli): 17.937 si riferiscono a contratti tuttora attivi; 13.912 sono riferite a contratti aziendali e 4.025 a contratti territoriali. Dei 17.937 contratti attivi, 13.714 si propongono di raggiungere obiettivi di produttività, 10.369 di redditività, 8.120 di qualità, mentre 2.046 preve-dono un piano di partecipazione e 9.491 prevedono misure di welfare aziendale. Prendendo, invece, in considerazione la distribuzione geografica, per sede legale, delle aziende che hanno depositato le 52.588 dichiarazioni si evidenzia che il 78% è concentrato al Nord, il 16% al Centro e solo il 6% al Sud. n

MONDO LEGALEcoverstory

orientamento e monitoraggio degli obbiettivi da perseguire nonché di rendicontazione periodica dei risultati raggiunti, all’interno dei quali non rientrano, per espressa previsione regolamenta-re “gruppi di lavoro di semplice consultazione, addestramento o formazione”.

L’imposta, sostitutiva dell’IRPEF e delle addi-zionali regionali e comunali, prevista per i premi di risultato è unitariamente fissata nel 10% delle somme erogate entro i limiti appena richiamati; tuttavia, poiché essa può risultare in alcuni casi svantaggiosa, il legislatore riconosce al lavoratore il diritto di rinunciarvi espressamente con una comunicazione scritta al datore di lavoro o in sede di dichiarazione dei redditi.

Per conseguire l’agevolazione fiscale è, tuttavia, indispensabile, come precedentemente ricordato, che i premi siano erogati in esecuzione di contratti collettivi di secondo livello, aziendali (stipulati da RSU o RSA) o territoriali, in entrambi i casi negoziati con il sindacato maggiormente rappre-sentativo a livello nazionale, così come stabilito dall’art. 51, d.lgs. n. 81 del 2015.

Si tratta di una limitazione comprensibile, tanto nell’ottica di stimolo alla contrattazione di “prossimità” e alla realizzazione di nuovi mo-delli di relazioni sindacali partecipative, quanto nella prospettiva del perseguimento del risultato atteso dal legislatore, essendo il riferimento a tali contratti l’unico che può garantire aumenti

“Per conseguire l’agevolazione fiscale è indispensabile che i premi siano erogati in esecuzione di contratticollettivi di secondo livello, aziendali o territoriali, negoziati con il sindacato maggiormente rappresentativo a livello nazionale”

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pubbliredazionale

UNA NUOVA FIGURA CHIAVE PER IL MIGLIORAMENTO DELLA PRODUTTIVITÀ

IL PAYROLL COME BUSINESS PARTNER

e sentendo la parola cedolino, oneri previdenziali e costo del lavoro pro-vate immediatamente un nodo allo stomaco e pensate subito al vostro

payroll specialist, questo articolo è per voi.

All’interno di un’organizzazione, l’HR ne rappresenta la spina dorsale e il payroll è un elemento decisivo per identificare le risorse più rilevanti. Perché il peso del lavoro di un HR viene dato sì dal numero di risorse che gestisce, ma anche dall’impatto economico che ne deriva sul conto dell’azienda. Basti pensare ai costi del personale che rappresentano tra il 50% e l’80% delle uscite economiche in base al settore di business di un’impresa, e al cuneo fiscale che, in Italia pari al 47,6%, determina sia una trattenuta quasi uguale alla metà della retribuzione lorda in busta paga, sia una minore capacità di investimento in attività strategiche per l’azienda. Calcolare in maniera efficace e pagare le retribuzioni e la contribuzione sono dunque operazioni che richiedono grande at-tenzione e professionalità

Visto così potrebbe valere la pena affrontare, con lo stesso spirito con cui gli HR affrontano questioni altrettanto complesse, questa sfida: far diventare la figura del Payroll un business partner della propria azienda.

Dimenticate le parodie viste nei film di Fantozzi, ritratto di un impiegato marginale sommerso da carte e buste paga, e iniziate a pensare a quanto sarebbe utile per la salute di un’azienda stimolare la curiosità di chi de-

tiene questo importante ruolo, invitandolo ad innovare, proponendogli dei miglioramenti ai quali, pur con la sua grande esperienza, non aveva pensato.

Il Payroll business partner, così come lo immaginiamo noi, è una figura moderna con molteplici compiti e notevoli margini di cre-scita e innovazione. Pensato in questa forma, il Payroll non verrà più misurato rispetto solo a una operazione di calcolo, ma verrà valoriz-zato per la capacità di mettersi in discussione con la finalità di migliorare per partecipare alla grande sfida di ogni azienda: aumentare la produttività.

Con più di 1500 tra le più grandi aziende al mondo, operando da 10 anni al servizio dell’HR e facilitando percorsi di ottimizzazione veicolati dalla funzione Payroll, abbiamo visto crescere notevolmente questa sensibilità. Le persone con le quali abbiamo collaborato sono passate da un atteggiamento volto solo ad ottenere un’analisi di ottimizzazione, a quello di chi si apre con sano approccio di curiosità pronto ad imparare ad innovare ogni giorno.

Il Payroll del futuro sarà sempre più informato, più proattivo e più strategico. Uno degli alleati più importanti per il conseguimento dei risultati aziendali: un VERO BUSINESS PARTNER. n

Fernanda PetersonManaging Director

Fiabilis Consulting Group Italia srlVia B. Rucellai, 37/A, 20126 MilanoT. 02 36576560 - www.fiabilis.it

SFiabilis Consulting Group, è la prima società in Italia ad offrire servizi di consulenza per l’ottimizzazione dei costi del lavoro e consulenza strategica, altamente specializzata in materia previdenziale ed assicurativa, fa parte di un gruppo internazionale nato nel 2009 con sedi in Europa e Sud America. È presente in Italia dal 2013 e nel corso di questi anni ha identificato risparmi per un valore di 26 milioni di euro lavorando per più di 230 aziende.

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MONDO LEGALEcoverstory

REGIME IMPATRIATI NUOVE OPPORTUNITÀ PER LE IMPRESE

di Vittorio De Chaurand [email protected]{

previsto un sostanziale restyling della normativa agevolativa finalizzata ad incentivare il rientro dei c.d. cervelli impatriati.

Il decreto crescita ha infatti ridotto, con effetto dal 2020 (o meglio, in favore di chi trasferisce la residenza in Italia a partire dal 30 aprile 2019 – data di pubblicazione del decreto 34/2019), al 30%, dal precedente 50%, la quota di reddito soggetta a tassazione, e ampliato di molto la platea dei possibili fruitori dell’agevolazione, eliminando le condizioni dell’elevata qualificazione o dell’as-sunzione di ruoli direttivi (condizioni previste dal comma 1 dell’art. 16 del d.lgs. 147 nella versione antecedente la pubblicazione del decreto crescita).

Se quindi il regime impatriati era stato intro-dotto originariamente al fine di attrarre soggetti ad alta qualificazione in Italia, e in questo modo quindi supportare lo sviluppo economico, scien-tifico/tecnologico e culturale del Paese attraverso un effetto di upgrade della forza lavoro domestica, per effetto delle novità introdotte dal decreto crescita il regime perderà in parte l’esclusiva finalità di attrarre dall’estero individui di talento

ad elevata qualificazione.Rimane ovviamente l’obiettivo, attraverso la

leva fiscale, di incentivare l’ingresso o il rientro in Italia di persone fisiche, e questo a prescindere dal contributo (in termini di capacità, specializ-zazioni) che le stesse potranno dare al sistema Paese. La speranza è che il regime impatriati – pur non essendo riservato più solo al personale altamente qualificato – continui in ogni caso ad assolvere all’obiettivo di attrarre personale high skilled, influenzando le scelte di mobilità di questi lavoratori.

Il regime impatriati nella sua attuale formulazioneL’art. 16 del decreto legislativo n. 147 del 2015, nella formulazione attualmente in vigore, dispo-ne che: “I redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, i red-diti di lavoro autonomo (e i redditi d’impresa) prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono

nche quest’anno uno degli argomenti che continua a focalizzare

l’interesse delle aziende che sono chiamate a gestire fenomeni di

mobilità internazionale del personale è rappresentato dall’incentivo

fiscale introdotto, a partire dal 2016, dall’art. 16 del d.lgs. 147/2015 (“decreto in-

ternazionalizzazione”) e rafforzato dal “decreto crescita” (DL 34/2019), il quale ha

AVittorio De ChaurandEca Italia, Technical Director

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REQUISITI DURATA MISURA

MONDO LEGALE

la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 2 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30 per cento del loro ammontare (…)”.

L’art. 16 del decreto internazionalizzazione continua ad individuare sotto il titolo lavoratori “impatriati” due categorie di beneficiari, i soggetti di cui al comma 1 e quelli di cui al comma 2 (in entrambi i casi l’agevolazione a cui si ha beneficio rimane identica).

Cominciando dalla categoria di soggetti be-neficiari individuati dal comma 1 (che è quella che è stata interessata, come accennato, dalle modifiche del decreto crescita), possono accedere al beneficio fiscale i soggetti che soddisfino con-temporaneamente le seguenti condizioni:a) trasferire la residenza fiscale ai sensi dell’art. 2 del TUIRb) non essere stati residenti in Italia nei due periodi di imposta precedenti il trasferimento della residenza fiscale in Italiac) prestare l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano (l’attività lavorativa deve essere prestata nel territorio italiano per un pe-riodo superiore a 183 giorni nell’arco dell’anno)d) impegnarsi a mantenere la residenza in Italia per almeno un biennio. Il lavoratore che, ad esem-pio, trasferisca la residenza fiscale nel 2020 dovrà quindi mantenerla anche nel periodo d’imposta successivo (in caso contrario si provvederà al recupero dei benefici già fruiti, con applicazione delle relative sanzioni e interessi).

Il comma 2 prevede (oggi come in passato) che

l’esclusione da imposizione del 70% dei redditi prodotti in Italia si applichi anche ai soggetti che soddisfino i seguenti requisiti:a) siano in possesso di un titolo di laurea b) prima di rientrare in Italia, abbiano svolto fuori dall’Italia negli ultimi ventiquattro mesi o più continuativamente un’attività di lavoro o studio (conseguendo, in questo secondo caso, un titolo di laurea o una specializzazione post lauream)c) siano cittadini dell’Unione europea o di uno Stato extraeuropeo con il quale risulti in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni ai fini delle imposte sui redditi ovvero un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale d) abbiano trasferito la residenza fiscale in Italia ai sensi dell’art. 2 del TUIRe) siano stati fiscalmente residenti all’estero nei due anni precedenti il trasferimento (la condizione appena richiamata, in realtà, è stata introdotta dall’Agenzia delle Entrate in via interpretativa) f) si impegnino a mantenere la residenza fiscale in Italia per almeno un biennio.

Durata e misura dell’agevolazioneL’agevolazione spetta per cinque periodi di impo-sta e, precisamente, per quello in cui il soggetto trasferisce la residenza fiscale in Italia e per i quattro periodi di imposta successivi.

Inoltre, il comma 3-bis introdotto dal D.L. 34/19 prevede l’estensione della durata dell’agevolazione per ulteriori cinque periodi di imposta (per un periodo complessivo di dieci anni) con possibile innalzamento della percentuale di esenzione fino al 90%, al ricorrere dei seguenti requisiti:

10 anni dall’anno di acquisizione della residenza fiscale in Italia

10 anni dall’anno di acquisizione della residenza fiscale in Italia

Esenzione del 70% per i primi cinque periodi di imposta e 50% per gli ulteriori cinque periodi di imposta

Esenzione del 70% per i primi cinque periodi di imposta e 90% per gli ulteriori cinque periodi di imposta

Avere almeno un figlio minorenne o a carico, anche in affido preadottivo, oessere diventati proprietari di almeno un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia successivamente al trasferimento in Italia o nei dodici mesi precedenti al trasferimento

Avere almeno tre figli minorenni o a carico, anche in affido preadottivo

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Questo premesso, nella circolare 17/E del mag-gio 2017, l’Agenzia aveva affermato che: “tenuto conto della rilevanza del solo dato dell’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente, il sog-getto che non si è mai cancellato da tale registro non può essere ammesso alle agevolazioni in esame”.

L’Agenzia delle Entrate, nel valutare la residen-za fiscale del lavoratore nel periodo precedente il rientro in Italia, sembrava quindi prescinde-re dall’analisi della situazione soggettiva della persona e non considerare le interferenze tra normativa domestica e internazionale.

Questa posizione, particolarmente rigida, che aveva portato l’Agenzia a disconoscere l’appli-cabilità del regime agevolativo ad un gran nu-mero di lavoratori che avevano svolto attività all’estero ma senza iscriversi all’AIRE, è stata superata dall’intervento del DL n 34/19. Il decreto crescita ha portato all’introduzione del comma 5-ter dell’articolo 16 del d.lgs. 147, ai sensi del quale, sarà possibile superare la mancata iscri-zione all’Aire nel caso l’impatriato arrivi da un Paese con convenzione in essere con l’Italia e il lavoratore possa essere considerato fiscalmente non residente in Italia – durante il periodo mi-nimo richiesto dalla norma - in base ai criteri previsti dall’art. 4 dell’accordo contro le doppie imposizioni. n

MONDO LEGALEcoverstory

Un’ulteriore novità del regime impatriati (nella sua versione post decreto) è l’introduzione del comma 5-bis, ai sensi del quale i redditi di la-voro dipendente, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e i redditi di lavoro autonomo e d’impresa prodotti in Italia da soggetti che tra-sferiscono la residenza in una delle regioni del Mezzogiorno, concorrono fin dal primo anno alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 10% del loro ammontare.

La mancata iscrizione all’Aire nel periodo precedente il rientroCome detto, per fruire dell’agevolazione il con-tribuente deve essere stato fiscalmente non resi-dente in Italia per un periodo minimo e aver poi trasferito in Italia la propria residenza fiscale ai sensi dell’articolo 2 del TUIR.

Il citato articolo 2, al comma 2, considera residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta, cioè per almeno 183 giorni, sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.

Le condizioni appena indicate sono tra loro alter-native; pertanto, la sussistenza anche di una sola di esse è sufficiente a far ritenere che un soggetto sia qualificato, ai fini fiscali, residente in Italia.

“La speranza è che il regime impatriati – pur non essendo riservato più solo al personale altamente qualificato – continui in ogni caso ad assolvere all’obiettivo di attrarre personale high skilled, influenzando le scelte di mobilità di questi lavoratori”

storie

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storie{44. #Evoluzioni con le Frecce Tricolori di Gabriele Sannino}

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VERSO IL CONGRESSO #AIDP2020storie

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#EVOLUZIONI CON LE FRECCE TRICOLORI

della rotazione tra le squadriglie/stormi formando diverse pattuglie con relative pattuglie di riserva. Il primo marzo 1961, per meglio razionalizzare le risorse umane e i mezzi, e ottimizzare le competenze maturate nel tempo, si decise di fondare un’Unità

a testimonianza del Comandante del-le Frecce Tricolori, Gaetano Farina, al convegno organizzato da AIDP Emilia Romagna presso l’Audito-rium Ducati il 23 gennaio scorso si

è basata sulle logiche gestionali e di management necessarie per sviluppare sempre più l’eccellenza del Reparto noto in tutto il mondo e ha mostrato una stretta attinenza con il titolo del Congresso #EvoluzioneRivoluzione Nuove organizzazioni per nuove persone. L’intervento si è caratteriz-zato per l’emozionante ricorso ai supporti audio visivi: un conto è parlare della Pattuglia Acrobatica Nazionale (PAN) ed un altro è vederla in azione, sia pure attraverso lo schermo! Consapevole di questo limite, provo qui a restituire, ai lettori della rivista, alcuni stimoli e spunti interessanti raccolti in quella occasione, iniziando con un po’ di storia.

Pattuglia Acrobatica Nazionale (PAN): un po’ di storiaIl richiamo alle origini storiche dell’acrobazia aero-nautica italiana, nata non per mere ragioni “estetiche” o per il gusto del rischio ma per esigenze funzionali di combattimento aereo, mette in evidenza un primo tema di organizzazione. Fino al 1961 si usò il criterio

Gabriele Sannino Consulente HR Fiabilis, S&A Change, La Risorsa Umana,Socio AIDP Emilia Romagna

di Gabriele Sannino [email protected] {

A COLLOQUIO CON IL COMANDANTE GAETANO FARINA

L’acrobazia aerea collettiva è considerata la massima espressione del lavoro di squadra. Qui, l’assoluta fiducia tra i componenti del Team è essenziale. Per questo dedichiamo le storie di questo numero all’incontro con il Comandante Farina, in occasione della tappa di avvicinamento al 49° Congresso Nazionale AIDP, organizzata dal gruppo Emilia Romagna, il 23 gennaio scorso

LTappa di avvicinamento al 49° Congresso Nazionale AIDP organizzata dal Gruppo Emilia Romagna

Un evento straordinario, che ha fatto registrare il sold out, “gui-dato” dalle riflessioni del Tenente Colonnello Gaetano Farina, Comandante delle mitiche Frecce Tricolori, orgoglio, vanto ed eccellenza del nostro Paese. Come location: il prestigioso Auditorium della Du-cati grazie alla collaborazione di Rita Melcarne e alla disponibilità dell’AD di Ducati, ing. Claudio Domenicali. L’evento è stato organizzato con il contri-buto di Fiabilis Consulting Group Italia, presente con il suo AD, José Antonio Garcia de Leàniz e con la fattiva collaborazione del Ca-pitano Riccardo Chiapolino, Speaker e Responsabile Pubbliche Relazioni delle Frecce Tricolori.

23 Gennaio 2020 – BOLOGNA

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VERSO IL CONGRESSO #AIDP2020storie

Speciale di Acrobazia Aerea, fissa, all’aeroporto di Rivolto a pochi chilometri dal prato di Campoformido. Nascono così le Frecce Tricolori, il 313° Gruppo Addestramento Acrobatico dell’Aeronautica Militare Italiana.

Finalità della PANMa la creazione di un’unica squadra acrobatica non trova le sue giustificazioni solo in una logica di razionalizzazione organizzativa. Il Comandante Farina mette in evidenza un altro aspetto altret-tanto importante: quello del fare squadra. Il volo

acrobatico rappresenta “la massima espressione del fare squadra e l’insieme è più somma delle sue parti. Il fare squadra, nel caso della PAN, è particolarmente complesso perché questo obiettivo non si limita solo alla componente piloti (circa una quindicina) ma comprende il personale militare con compiti tecnico amministrativi (circa 90 unità). Il Reparto delle Frecce Tricolori ha il compito di mantenere il livello di performance richiesto e di migliorarlo, e questo avviene grazie all’apporto di tutte e tre le componenti della base aerea: • i piloti, scelti tra quelli con particolari requisiti

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“Xcxcxcxc”

di addestramento ed operatività;• i tecnici, chiamati a tenere in efficienza mac-chine complesse;• gli amministrativi che devono assicurare il cor-retto adempimento delle procedure pubbliche. Il Comandante ha la responsabilità di far sentire tutti una sola squadra e questo è possibile attra-verso un attento esercizio della leadership mirato ad aggiungere valore alle persone.

La leadershipFondamentale risulta quindi l’esercizio della lea-

dership che l’Aeronautica Militare Italiana defi-nisce in questo modo: “Relazione d’influenza tra un capo e un collaboratore, ad ogni livello, volta a conseguire scopi condivisi e ad aggiungere valore alle persone”. Il Comandante Farina sottolinea a tal proposito la differenza tra leadership e mana-gement, che può risultare particolarmente utile a chi si occupa di risorse umane. Secondo il modello gestionale dell’Aeronautica Italiana, il manager è la persona che fa le cose nel modo giusto, gestendo e controllando il presente. Il leader invece è colui che fa le cose giuste e, in tal modo, muove e fa muovere verso la visione essendo proiettato al futuro. Questa parte dell’esposizione del Coman-dante Farina mi fa tornare alla mente l’intervento dell’AD di Dallara, Andrea Pontremoli che, al Congresso Nazionale di Assisi dello scorso anno, si era soffermato sulla differenza tra manager ed imprenditore, dicendo che il manager è colui che guarda agli obiettivi, colui che gestisce mentre l’imprenditore è colui che considera l’azienda come un figlio e, per i figli, si pensa al futuro e non al presente...

La leadership, all’interno delle Frecce Tricolori, si vive a più livelli perché la Pattuglia, durante le esibizioni è solitamente composta da 10 velivoli, denominati Pony, targati ognuno con un numero che va da 1 a 10 (il nominativo Pony fu coniato dall’allora Capitano Zeno Tascio per ricordare il cavallino di Francesco Baracca). La formazione è composta da tre sezioni: la prima da cinque velivoli; la seconda da quattro e l’ultima da un solo velivolo, quella del solista. Si intrecciano, pertanto, più livelli di leadership: quella di ogni sezione, che ha un proprio leader, e quella ➤

A sinistra il poster, con dedica, firmato dalle Frecce Tricolori e donato al gruppo AIDP Emilia Romagna. Sopra il momento della consegna da parte del Com. Farina ai rappresentanti AIDP. Da sinistra: Claudio Galli, Rita Melcarne, Isabella Covili Faggioli, Edoardo Turchini e Rossella Seragnoli.

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VERSO IL CONGRESSO #AIDP2020storie

“Si intrecciano, pertanto, più livelli di leadership: quella di ogni sezione, che ha un proprio leader, e quella generale delle Frecce Tricolori. Un elemento di complessità che si riscontra nella vita quotidiana delle nostre aziende”

generale delle Frecce Tricolori. Un elemento di complessità che si riscontra nella vita quotidiana delle nostre aziende.

Stress, area di panico e rilassatezzaUna formazione acrobatica di nove velivoli che volano “a vista”, ad una distanza di due-tre metri l’uno dall’altro, alla velocità di circa 700 chilometri orari non può non fare i conti con lo stress che, come ricorda il Comandante Farina, è la “reazione psicofisica ad uno stimolo disturbante che mette in moto la propria capacità di adattamento” o, in altre parole, “la risposta psico-fisica dell’or-ganismo, ad ogni richiesta effettuata su di esso e percepita come eccessiva”. Ogni stress comporta una risposta fisiologica, comportamentale, emozio-nale e, in determinate condizioni, può migliorare la prestazione.

Ma come può emergere lo stress in profes-sionisti di altissimo livello come i piloti delle Frecce? Questi arrivano al Reparto acrobatico forti di un curriculum di tutto rispetto: devono essere piloti della linea caccia “combat ready” secondo il ri-goroso standard NATO, devono avere alle spalle un migliaio di ore di volo alla guida dei jet e circa dieci anni di servizio.

Eppure, fa notare il Ten. Col. Farina, lo stress emerge anche in questi professionisti perché, quan-do entrano nel reparto acrobatico, perdono gran parte delle certezze acquisite, le abilità conquistate diventano inadeguate al nuovo ruolo richiesto ed il pilota, ogni pilota, passa dall’area di comfort a quella di panico. È un percorso fisiologico che l’A-eronautica ben conosce e contrasta attraverso uno

specifico piano di addestramento. La formazione e l’auto-formazione di ogni pilota sono elementi assolutamente necessari per “trasformare” un pi-lota di caccia in un pilota delle Frecce Tricolori. L’investimento, in termini di tempo e di risorse è notevole: la stagione addestrativa operativa, per un pilota neo inserito, va da novembre ad aprile e prevede circa 120 ore di volo con due voli al giorno. Si inizia volando da soli poi, via via, si aggiungono gli altri velivoli sino ad acquisire la padronanza del volo in formazione completa.

La ritrovata padronanza di sé nasconde però un pericolo che si può manifestare col tempo e con la ripetizione continua del ruolo esercitato nella Pattuglia acrobatica: quello della troppa pa-dronanza che porta alla rilassatezza e quindi al pericolo di incidenti. Questo meccanismo viene contrastato attraverso una rotazione nei ruoli: ogni pilota della formazione ha un compito ben preciso nell’esecuzione delle figure acrobatiche e quindi la periodica rotazione “di posto”, richieden-do una nuova fase di addestramento, ripropone il tema del riequilibrio tra area di panico ed area di comfort con benefici effetti sull’attenzione e sullo stress “positivo”.

Team e selezione pilotiL’eccellenza delle Frecce Tricolori a livello mon-diale deriva anche dal fatto di aver sviluppato un particolare concetto di team. Questo è basato, come spiega il Comandante Farina, dalla fonda-mentale differenza tra compito ed obiettivo. Ogni membro del team non è vincolato a un compito, che richiama il concetto di fare, ma è stimolato a raggiungere un obiettivo, e questo richiama la

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“La formazione e l’auto-formazione di ogni pilota sono elementi assolutamente necessari per “trasformare” un pilota di caccia in un pilota delle Frecce Tricolori”

categoria del pensare. Si vive quasi un paradosso: viene chiesto ad ogni membro di essere team, e quindi quasi di annullare la propria individualità, ma questo essere team passa necessariamente da un pensare, che è l’attività tipica di ogni essere umano e che fa emergere la propria individuali-tà. La costituzione del team passa attraverso il periodico processo di selezione dei nuovi piloti della Pattuglia: ogni anno uno o due membri del team vengono sostituiti da nuovi ingressi e quindi la Formazione, apparentemente sempre uguale a se stessa, in realtà cambia ogni anno.

Sulla base di quali criteri e con quali mo-dalità si selezionano i nuovi piloti? L’esperienza pluridecennale della Pattuglia ha affi-nato i requisiti richiesti. In linea generale non si cerca, e non si vuole, il “super mostro pilota” ma si cerca di individuare un bravo pilota che abbia la capacità di inserirsi bene nel team. Una persona che abbia il giusto equilibrio ovvero che sia consapevole delle proprie capacità e abbia una speciale attitudine a volerle condividere.

La tabella mostra quali siano i requisiti ben visti e quali quelli indesiderabiliPRO CONTRO PROPOSITIVO ARROGANTEDETERMINATO AGGRESSIVODECISO IRRESPONSABILECOMPETITIVO ESIBIZIONISTAMETODICO INFLESSIBILETEAM PLAYER PASSIVORIFLESSIVO INDECISODISINVOLTO PRESUNTUOSO

È molto importante che il pilota abbia caratteristi-

che di empatia perché il team è a stretto contatto per undici mesi all’anno. Si entra nella Pattuglia per migliorare e migliorarsi. Ma come si entra? Il Ten. Col. Farina spiega che il processo di selezione e scelta non avviene per via gerarchica – come sarebbe normale attendersi in una struttura mi-litare – ma per via “comunitaria”. È il team dei piloti titolari a scegliere, dopo una settimana di permanenza degli aspiranti nel reparto di Rivolto, i nuovi colleghi.

A mio parere si tratta di un criterio quasi “ri-voluzionario” e può essere motivo di specifiche riflessioni per chi ha la responsabilità dei processi selettivi nelle aziende. Quante di queste affidano la scelta di un collaboratore al team di ufficio e non al suo capo? Questo criterio, portato nelle strutture produttive, potrebbe migliorare la qualità delle selezioni?

Tre domande al Comandante Farina sui temi HRComandante, la particolare atten-zione che le Forze Armate dedica-no alle Risorse Umane si esplica, credo, anche in una “modernizza-zione” del rapporto gerarchico che tale certamente rimane ma in una veste diversa dal passato quando si era soliti dire “usi obbedir tacendo e...”. Se la premessa è condivisa, forse il ruolo del Comandante, nel rapporto con i suoi collaboratori è anche quello di Direttore delle Ri-sorse Umane. Quanto le è di aiuto questa “doppia veste” nel suo ➤

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VERSO IL CONGRESSO #AIDP2020storie

“Il processo di selezione e scelta non avviene per via gerarchica ma per via comunitaria. È il team dei piloti titolari a scegliere i nuovi colleghi”

lavoro? «Essere il Comandante delle Frecce Tricolori compor-ta in generale la responsabilità dei cento militari che costituiscono il 313° Gruppo Addestramento Acro-batico. Militari ma innanzitutto persone; ciascuno con i propri bisogni, aspettative e problematiche lavorative, personali e familiari. In questo senso, quello che rivesto è un ruolo molto importante e de-licato. Il mio obiettivo primario è quello di stimolare il dialogo e la comunicazione, a tutti i livelli, facendo sì che tutti si sentano partecipi degli obiettivi, coin-volti nelle attività e informati nella giusta misura delle varie dinamiche e delle eventuali criticità in essere. Solo tramite lo strumento di una comunica-zione efficace e coerente, è possibile raggiungere il necessario livello di motivazione e la dovuta dose di auto-efficacia del proprio personale».

La riconosciuta capacità del suo Reparto, si basa sicuramente su una particolare e attenta gestione degli errori e/o imperfezioni in una logica di miglioramento continuo delle prestazioni. Quali cautele im-pone questo tema nel rapporto con professionisti di altissimo livello? Come analizzare gli errori compiuti senza rischiare fenomeni di demo-tivazione? «Il percorso di addestramento di un pilota delle Frecce Tricolori conduce dei professionisti maturi e già operativi presso altri velivoli jet dei Reparti di provenienza dell’Aeronautica Militare a met-tersi in gioco in un’attività di volo completamente diversa e peculiare. In un periodo di circa 6 mesi i piloti vengono portati a raggiungere il livello di performance necessario per affrontare la stagione acrobatica. Al termine di ogni missione addestrativa di volo avviene una fase molto importante: la visione del filmato dell’attività di volo svolta. Questo è un momento molto importante perché pone ciascun pilota, insieme agli altri, di fronte all’evidenza delle

eventuali imperfezioni commesse ponendolo nelle giuste condizioni psicologiche per poter lavorare sul miglioramento della propria prestazione. La chiave che consente di non generare demotivazione consiste pertanto proprio nella gradualità dell’iter addestrativo; un percorso graduale, opportunamen-te modulato e affinato nei nostri 59 anni di storia che conduce per piccoli passi, con obiettivi sfidanti e raggiungibili, il pilota al livello di preparazione. Questo è il successo di una tradizione che si rinnova stagione dopo stagione».

Comandante, in riferimento ai criteri di selezione dei nuovi piloti ammes-si nella Pattuglia Acrobatica Nazio-nale, desidera sottolineare un par-ticolare aspetto dell’iter selettivo? «L’aspetto principale che tengo a sottolineare è che alle Frecce Tricolori non sono necessari super-uomini. La selezione viene realizzata annualmente facendo trascorrere ai candidati una settimana presso il nostro Gruppo ed è un momento molto importante della vita del nostro Reparto; indivi-duiamo e scegliamo in autonomia, le persone con le quali condivideremo la quotidianità lavorativa e non solo. Essa consiste essenzialmente nella va-lutazione sia dal punto di vista professionale che caratteriale. Per quanto riguarda il primo aspetto si attinge da un bacino già altamente professiona-lizzato costituito dai piloti delle linee jet dell’Ae-ronautica Militare; pertanto la questione è decisa-mente semplificata. L’aspetto che approfondiamo e al quale teniamo particolarmente è quindi quello della valutazione caratteriale; il pilota che entra a far parte delle Frecce Tricolori deve essere una figura bilanciata, sicura delle proprie competenze ma con una spiccata attitudine alla condivisione e ad operare in gruppo. Ciò è inevitabile in un’at-tività, quella dell’acrobazia aerea collettiva, che è considerata la massima espressione del lavoro di squadra e nella quale è essenziale l’assoluta fiducia tra i componenti del Team». n

{53. Reputazione, istruzioni per l’uso di Rosanna Orlando}

{55. Dottorato industriale. Un progetto “win-win-win”}

strumenti

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{53. Reputazione, istruzioni per l’uso di Rosanna Orlando}

{55. Dottorato industriale. Un progetto “win-win-win”}

strumenti

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The

Van

THE VAN group Via Domenico Cucchiari 20/27 - 20155 Milano - 02 33600775 - [email protected] Via Domenico Cucchiari 20/27 - 20155 Milano - 02 33600775 - [email protected] http://www.thevan.it

Se la tua azienda non comunica, lo farà qualcun altro.

“Ho sentito dire che…”

All’interno di un’azienda i processi di comunicazione sono sempre in atto, che lo vogliamo o no. Se l’azienda non comunica, il silenzio sarà interpretato come la prova di un problema. Se la comunicazione è reticente, qualcuno inventerà le informazioni mancanti. Se la visio-ne strategica non viene spiegata, si penserà che non esiste. Per questo la comunicazione interna è importante, più che mai nei momenti difficili. Per unire e motivare. Per indicare gli obiettivi prioritari. Per attrarre e trattenere i migliori talenti. The Van realizza strategie e strumenti di comunicazione interna per aziende grandi e piccole, italiane e multinazionali. Ci piacerebbe farlo anche per voi.

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IDENTITÀstrumenti

Rosanna Orlando Socia Acoté, Studio Associato

Qualche giorno dopo, vede ripubblicata e scher-nita, su di una pagina della stessa azienda, una pro-pria foto in costume da bagno che aveva postato, in vacanza, su Facebook.

In cinquanta anni, siamo passati dall’assenza di esposizione all’eccesso di esposizione: la nostra identità ne esce ogni giorno più frammentata.

Oggi gestire, proteggere e accrescere la nostra reputazione, personale e professionale, in un mondo liquido dove i social fanno la parte del leone, sem-bra aver assunto quasi una dimensione di urgenza.

Quando, un mese fa, abbiamo organizzato nel nostro studio una serata dedicata alla reputazione, si sono iscritte, tra HR e AD, molte più persone del previsto tant’è che abbiamo temuto di non riuscire nemmeno a ospitarle tutte. Avremmo avuto la stessa affluenza se avessimo proposto la serata anche solo due o tre anni fa? Il fatto che la gente si preoccupi così tanto della propria reputazione è indizio di un fenomeno macroscopico che ci coinvolge tutti. Vi-

viamo nell’era della sovraesposizione: se un tempo eravamo concentrati su come acquisire le informa-zioni, oggi ci arrovelliamo il cervello per distinguere, in mezzo alle fake news e alle cortine fumogene che chiunque può stendere sul web, i dati reali.

Per fare le nostre scelte, si tratti di individuare la scuola per i figli oppure un nuovo collaboratore, abbiamo bisogno di garanzie. Per essere scelti, come inquilini, da un nuovo padrone di casa o come colla-boratori di un’azienda, abbiamo bisogno di garanzie. Nel primo caso si tratta di riceverle, nel secondo di darle.

La reputazione, per riprendere le analisi di Giulia Origgi (La reputazione. Chi dice cosa. Università Bocconi Editore, 2016), sociologa italiana che inse-gna all’École des hautes études en sciences sociales a Parigi, ha quindi due fondamentali funzioni: è uno strumento di conoscenza del valore degli altri (siano essi persone o istituzioni) ma è anche uno stimolo importante a mettere in atto una

talia, anni Settanta. Al direttore di un giornale di moda viene proposto

di mettere in copertina la foto di uno stilista emergente, tale Armani. Il

direttore è perplesso: “Ma va!” Esclama. “La gente vuole vedere i vestiti. È

solo un sarto, mica una rockstar.” Stati Uniti, settembre 2019. Una giovane donna

manda il suo curriculum a una società.

di Rosanna Orlando www.acote.it

I{

REPUTAZIONEISTRUZIONI PER L’USOIn un’epoca contrassegnata dall’eccesso di esposizione e dall’egemonia dei social, come possiamo gestire la nostra reputazione, personale e professionale?

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IDENTITÀstrumenti

strategia per definire, esplicitare e comunicare il proprio valore.

La reputazione degli altriEsaminiamo innanzi tutto la reputazione come strumento di conoscenza ovvero di scelta: qui si va dai meccanismi più basilari (devo trovare il dentista e mi rivolgo a parenti e amici per far-mene suggerire uno bravo) a quelli più complessi. Negli ultimi anni sono stati sviluppati sofisticati strumenti tecnologici che consentono alle società di raccogliere velocemente, aggregare e misurare tutti le informazioni di cui hanno bisogno su chic-chessia. Per esempio, su di me che voglio comprare casa e ho chiesto un mutuo.

Ma c’è di più: i ricercatori, in collaborazione con il Reputation Institute, nato nel 1997 a New York e diffusosi in tutto il mondo, hanno provato a “oggetti-vare” la reputazione, specialmente quella aziendale. Il presupposto alla base di ciò sembra essere: visto che la reputazione incide concretamente sul fatturato per cui i suoi effetti sono misurabili, perché non rendere misurabile la reputazione stessa?

Ecco nati così modelli come il Reputation Quo-tient o il Rep Trak Pulse, solo per citarne un paio dei più accreditati. Se l’R.Q. utilizza criteri che vanno dalla qualità dei prodotti alla leadership alla performance finanziaria, l’R.T.P. basa invece le proprie valutazioni su elementi più di tipo emoti-vo come i “sentimenti positivi” testimoniati dagli stakeholder all’azienda, il “rispetto” e la “fiducia”. (L’attrattività emotiva è presente anche nell’R.Q. ma, essendo solo uno degli elementi in gioco, la sua importanza è decisamente ridotta). Il problema è che, a seconda del modello che viene utilizzato, la posizione dell’azienda nelle classifiche può risultare molto diversa. Prendiamo ad esempio la situazione di Google e Amazon in una classifica delle prime dieci aziende americane nel 2011 (cfr. Corradini, Nardelli, La reputazione aziendale, FrancoAngeli,

2015,). Nella classifica dell’R.Q. Google è al primo posto, Amazon all’ottavo. Nella contemporanea classifica basata sull’R.T.P. è Amazon a essere al primo posto mentre Google è all’ottavo.

Chi ha ragione?La domanda non ha risposta dal momento che la

reputazione rimane un fenomeno sostanzialmente percettivo con buona pace di tutti gli sforzi umani per incasellarlo.

La nostra reputazioneAccanto alla reputazione degli altri c’è anche e soprat-tutto la nostra: quella che ci riguarda come singoli individui e quella che ci riguarda come aziende. Senza dimenticare che, più si sale nella gerarchia, più la reputazione personale e quella aziendale tendono a sovrapporsi.

E dunque, cosa pensano gli altri di noi? Quel che si dice di me mi consentirà di entrare in quel circolo a cui ho sempre aspirato? Di ottenere quella posi-zione che desidero da anni? Di prendere al laccio quel certo cliente?

L’importanza di crearsi una buona reputazione è direttamente collegata al fenomeno di cui par-lavamo in apertura: le informazioni in circolo, talvolta a nostra insaputa, sono troppe e ci ren-dono vulnerabili. Chiunque può usare contro di noi una vecchia foto della nostra pagina Facebook, di cui ci eravamo magari dimenticati. Per non parlare di tutto il resto. Secondo l’agenzia per il lavoro Careerbuilder, oggi a New York il 70% dei recruiter usa i social per fare la prima selezione: tredici anni fa li consultava solo l’11%.

Cosa fare allora? Attenzione: non basta più lavo-rare sull’immagine. L’immagine fa parte della repu-tazione ma non è la reputazione. Più importanti di ogni altra cosa sono le nostre azioni e soprattutto la coerenza del nostro agire con i valori che dichiariamo di possedere. n

“Le informazioni in circolo, talvolta a nostra insaputa, sono troppe e ci rendono vulnerabili”

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PERCORSIstrumenti

Riccardo Palumbo Coordinatore del dottorato di ricerca in Business & Behavioural Sciences (Università di Chieti-Pescara).

preparatorio per la carriera puramente scientifica (che spesso, si limitava alla pura didattica universi-taria). Il dottorato in Italia ha subito poi numerosi cambiamenti, ma è stato solo con l’istituzione del dottorato industriale (DM 45/2013) che la figura del dottore di ricerca è riuscita a svestirsi ufficial-mente del suo ruolo puramente accademico e ad allinearsi a quello che è un modello di dottorato intersettoriale già ben diffuso nel mondo anglo-sassone e nel nord Europa.

Tipologie di dottorato industrialeLe forme di collaborazione previste dal dottorato industriale prevedono diversi tipi di convenzioni con le aziende, a seconda che esse vogliano solo collaborare, finanziare una borsa o formare una

risorsa che è già loro dipendente:• il dottorato a borsa industriale si rivolge a laureati magistrali o vecchio ordinamento la cui borsa di dottorato viene finanziata dall’impresa che quindi stabilisce il tema vincolato della ricerca;• il dottorato industriale “executive” è rivolto a un dipendente dell’impresa convenzionata che svilupperà il progetto di dottorato mantenendo il proprio inquadramento;• il dottorato industriale ad alto apprendistato è una forma di dottorato executive ma riserva-

ato solo nel 1980, il dottorato di ricerca “classico” è entrato nel mo-

dello accademico italiano molto tardi rispetto ad altre nazioni; basti

pensare che in Germania esisteva già nei primi anni del dicianno-

vesimo secolo. Con il processo di Bologna (1999), il dottorato iniziò a non essere

più concepito solo come un tirocinio accademico o un momento di formazione

N

DOTTORATO INDUSTRIALEUN PROGETTO “WIN-WIN-WIN”Il dottorato industriale è un percorso di collaborazione tra università e mondo del lavoro, che offre ai dottorandi l’opportunità di integrare l’alta formazione scientifica nei settori extra-accademici, fornendo le competenze necessarie non solo per esercitare l’attività di ricerca, ma soprattutto per integrarla presso imprese che svolgono al loro interno una significativa attività di ricerca

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to a candidati under 30, per i quali sono anche previsti gli sgravi fiscali previsti per i contratti di alto apprendistato.

Per essere eleggibili, le aziende devono svol-gere al proprio interno una significativa attività di ricerca.

La duplice possibilità di inserire figure a vari livelli dell’organigramma aziendale è particolar-mente interessante in quanto entrambe le modalità (inserimento “dall’alto” di un dipendente executive o inserimento “dal basso” di una risorsa nuova) contribuiscono in maniera diversa ad aumentare la consapevolezza dell’impresa rispetto alle po-tenzialità di innovazione e di competitività che la figura del dottore di ricerca può portare, ad ogni livello dell’organigramma aziendale. Un caso di successo che fonde Economia e Scienze ComportamentaliAbbiamo chiesto al prof. Riccardo Palumbo, co-ordinatore del dottorato di ricerca in Business & Behavioural Sciences (Università di Chieti-Pescara) di raccontarci la sua esperienza con il dottorato industriale.

«Il nostro dottorato di ricerca in Business & Be-havioural Sciences (www.bbs.unich.it) ha all’attivo 15 posizioni di dottorato industriale. Si tratta sia di dottorati con borsa finanziata da imprese (Fater), sia di dottorati finanziati da progetti PON e in col-laborazione con atenei stranieri (PWC, Villaggi Blu-serena, Fater, Marramiero Vini, Umana-Analytics), sia infine di dottorati “executive” riservati a dipen-denti delle imprese convenzionate (Fater, Valagro, White Rabbit, Baker Hughes e Visirun).

Elemento comune a tutti i dottorati industriali è che il progetto di ricerca viene sviluppato insieme all’azienda su tematiche di comune interesse e che il piano didattico viene “tagliato su misura” per andare incontro alle esigenze dei dottorandi e della loro ricerca. Si realizza in questo modo una

situazione che definirei “win-win-win”, vincono tutte le parti coinvolte: l’azienda, che beneficia di una risorsa altamente qualificata e orientata all’innovazione o che forma e motiva un suo dipen-dente, l’università, che realizza le sue tre missioni istituzionali (ricerca, formazione e trasferimento) e non da ultimo, il dottorando, che acquisisce al contempo elevate competenze scientifiche e pro-fessionali.

In effetti i benefici non si fermano qui perché con i dottorati industriali si facilita un processo di innovazione e trasferimento tecnologico che è nell’interesse dell’intero tessuto economico di riferimento. Nella sezione di Economia Compor-tamentale e Neuroeconomia in cui operiamo (ndr istituita presso il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Chieti-Pescara), il dottorato in-dustriale ha innescato una reazione a catena: le aziende interessate si sono rese conto di quanto valore sia effettivamente possibile creare portando innovazione e metodo scientifico in vari ambiti di attività, l’università ha compreso l’importanza di saper comunicare, applicare e trasferire il sapere scientifico. Questa mutua presa di coscienza ha dato vita a diversi altri progetti tra i cui punti di forza c’è la collaborazione attiva tra università e impresa. La maggiore esternalità positiva per l’università riconducibile al dottorato industria-le direi che è lo sviluppo di una grande capacità di ascolto. È così che sono nati ulteriori progetti quali il master in Economia Comportamentale e Neuromarketing (www.ben.unich.it), un corso di laurea magistrale internazionale in Economics and Behavioural Sciences e lo spin-off universitario Umana-Analytics (www.umana-analytics.com) in cui, anche con il coinvolgimento attivo dei dot-torandi, sviluppiamo tecnologie per lo studio del comportamento umano basate sulle neuroscienze con le quali ci proponiamo di creare valore nelle imprese». n

“Mettersi in ascolto dei propri dipendenti è un investimento dai molteplici benefici”

BENESSERE IN AZIENDAstrumenti PERCORSIstrumenti

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idee{58. Le parole sono importanti di Giuseppe Varchetta}

61. GiokaconMe di Marco Lombardi}

AIDPnews

{62. La crescita del Paese attraverso le persone di Cinzia Rossi}

{68. Essere capi con il “nuovo” MbO di Renato Boccalari}

{70. Come l’AI può migliorare la nostra vita e supportare i processi di gestione HR di Umberto Frigelli}

{72. AIDP in breve}

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RECENSIONIidee

rimo Levi, chimico, mem-bro della comunità ebraica torinese, partigiano, depor-tato e perseguitato ad Au-

schwitz, era nato nel 1919 (l’anno scorso ne ricorreva il centenario) e muore nella sua casa a Torino l’11 aprile del 1989. Primo Levi è oggi noto e ricordato so-prattutto per la sua attività di scrittore e di testimone della Shoah; meno per l’essere un chimico “innamorato” del-la chimica e in generale della scienza e per essere stato per lunghi anni un operatore aziendale, un manager, fino ad assumere la Direzione Generale di un’azienda imprenditoriale italiana di vernici speciali, operante nel torinese. Meno ancora è Primo Levi noto per il suo contributo ad una prospettiva del-la conoscenza lontana da ogni riduttiva semplificazione, nella consapevolezza che se ogni umano “desiderio di semplifi-cazione è giustificato, la semplificazione non sempre lo è. È un’ipotesi di lavoro, utile in quanto sia riconosciuta come tale e non scambiata per la realtà; la maggior parte dei fenomeni storici e na-turali non sono semplici, o non semplici della semplicità che piacerebbe a noi” (Levi P. I sommersi e i salvati, Einaudi). Per tutta la vita Levi ha cercato di comprendere non solo il mistero della materia, delle forme viventi, vegetali e animali, ma anche di quell’abisso profondo e inestricabile che è ogni animo umano.

P

LE PAROLE SONO IMPORTANTI

Un anno prima della sua morte Levi consegna alle sue lettrici e ai suoi letto-ri un piccolo straordinario libro I som-mersi e i salvati, uno dei libri più alti del pensiero etico del novecento, una riflessione non evitabile tesa a destrut-turare la tendenza dell’animo umano di dividere la realtà tra “noi” e “loro”, tra amici-nemici, una tendenza manichea orientata a colorire di tinte forti ogni realtà capace di suscitare una qualche emozione perturbante la tranquillità del proprio Sé.

Il ritornare a Primo Levi, indicando-ne la peculiarità etico-estetica dentro i chiaroscuri della nostra contempo-raneità, è connesso anche alla lettura di un denso libro di un giovane colle-ga di Levi, Marco Balzano, scrittore (narratore e qui saggista), insegnante in un liceo milanese e, come Levi, at-tratto da un conoscere non riduttivo, nella consapevolezza che il virus della semplificazione sia uno dei guasti del-la nostra contemporaneità, un’orribile trasversalità capace di contaminare la politica, le attività organizzative, i con-testi del lavoro e le relazioni tra le per-sone: la giustificazione consolatoria dell’afferrare l’essenza dei problemi, depaupera in realtà la molteplicità insuperabile della realtà, annacqua il significato dell’evento e abbandona noi protagonisti in una falsa trasparenza, in realtà una dipendenza da forze esogene alla nostra consapevolezza. Quella che

LA SCHEDATitolo Le parole sono importanti. Dove nascono e cosa raccontanoAutore Marco BalzanoAnno 2019Casa editrice Einaudi, TorinoPrezzo 12 euro

DOVE NASCONO E COSA RACCONTANO

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Giuseppe [email protected], consulente di formazione e sviluppo organizzativo e Socio Onorario AIDPPsicologo dell’organizzazione di formazione psico-socioanalitica, socio fondatore e past president di Ariele, dopo una lunga esperienza nell’area della formazione, dello sviluppo organizzativo e della gestione del Personale, è stato professore a contratto presso l’Università Statale Bicocca di Milano, dove ora collabora come cultore della materia. Membro della redazione della rivista Educazione sentimentale, ha al suo attivo molte pubblicazioni in tematiche di formazione e sviluppo organizzativo.

si struttura è una costruzione invisibile che ha reciso tutti i fili tra di noi, ex attori, e gli eventi, e ci lascia dispersi, inconsapevoli.

L’antidoto a tutto questo è il testimo-niare il bisogno di ritornare a pensare, al comprendere di Levi, ora sottolineato in queste pagine utili, quanto perturbanti, di Balzano.

Il nostro autore propone una via, un metodo, attraverso il quale il compren-dere non significhi un atteggiamento di cattura e di riduzione al già noto. La via, solo apparentemente semplice, propo-sta da Balzano è quella del transitare attraverso l’etimologia, proposta come “uno dei contrasti più efficaci contro la decadenza” nel sottolineare come ogni squallore individuale e nazionale sia collegato sistemicamente ad una degra-dazione rigorosamente proporzionata al linguaggio.

L’etimologia è quella disciplina, quel-la materia che ci abitua “a guardare le radici delle parole, a smontarle, a rico-noscerne prefissi e suffissi, derivati e omologhi, a farci scoprire che le parole hanno corpo e si possono maneggiare, a conquistare l’acquisizione di un’abitudi-ne che ci permetterà di trovare le nostre parole, quelle che ci appartengono di più, a cambiare prospettiva: non più partire dal significato di una parola, ossia da un apprendimento statico (lo imparo per saperlo riconoscere e magari usare), ma ascoltare una storia che racconta la vita

timologia della parola confine. Sostiene il Balzano che “il confine è il luogo del viaggiatore, di colui che va, e per questo, anche etimologicamente, non ha senso parlare di e-migranti e di im-migrati, perché chi viaggia migra, attraverso soglie, e nessun viaggiatore può essere racchiuso in uno solo di questi termi-ni. L’attraversamento, infatti, prevede sempre di lasciarsi indietro uno spazio (ex) e di entrare in un altro (in)”. In altre parole continua il Balzano “ogni volta che ci spostiamo siamo semplicemente migranti senza prefissi che sembrano più utili a creare allarmismi sociali che a delineare complesse condizioni uma-ne”. Sono tempi complessi i nostri nei quali giorno dopo giorno sperimentia-mo crescenti difficoltà “a riconoscersi in vecchi confini”. E Balzano sostiene che tale problematica si può affrontare da due prospettive diverse: la prima è la correzione dei vecchi confini, la seconda è superarli. La correzione è illusoria; con quasi assoluta certezza il problema affrontato si ripresenterà verificando la nostra insoddisfazione. Superare i confini all’opposto “non vuol dire cancellarli, ma sapere che siamo tutti troppo grandi e insieme troppo piccoli per privarci di punti d’incontro, di soglie dove ci si possa guardare di fronte. Anzi negli occhi.”

Scuola. Abbiamo già ricordato come il nostro autore insegni in un Liceo mila-nese. Ricordandoci che la parola scuola deriva dal greco skolè, che vuol dire

di quella voce, di quelle che le stanno accanto e di quelle che le sono figlie”.

Marco Balzano, precisate queste pre-messe ci prende per mano e ci accom-pagna in un viaggio attraverso un suo particolarissimo, personale vocabolario di dieci parole, scelte dal suo immagina-rio intellettuale ed affettivo (Divertente, Confine, Felicità, Social, Memoria, Scuo-la, Contento, Fiducia, Parola, Resistenza) sostenendo che “al di là delle ossessioni personali, ciò che più conta è che queste parole hanno attraversato i secoli ac-cumulando complessità, caricandosi di sfumature, ed è per questa loro ricchezza che sono da sempre al centro dei nostri pensieri e dei nostri sentimenti”.

Ogni mestiere, anche il nostro di don-ne e uomini di HR, ha le sue ossessioni, vive tutti i giorni con problemi ricorren-ti: lungo questa traccia si sono scelte tra le tante problematiche proposte dalla scrittura di Balzano tre tema-tiche, peculiarmente organizzative e prossimali alle Risorse Umane: integrazione, scuola, condivisione.

L’analisi etimologica di Balzano, pur andando di volta in volta alla fonte e alla radice delle parole, non si limita a considerare l’etimologia come un’area di scrittura elettiva tra tante, quanto un modo, un’occasione per riflettere insieme su alcune tematiche.

Il nostro autore perviene alle tema-tiche dell’integrazione attraverso l’e- ➤

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“vacanza, riposo, tempo libero”, Balzano sottolinea come scuola sia “quindi il tempo in cui si forgia-no gli strumenti che danno accesso alla lingua, ai sentimenti, al pensiero e, perché no, alla bellezza, ma a patto che andiamo in classe e non ci gettiamo troppo presto nel labor la cui fatica corrompe e ostacola la capacità di apprendere”. Tutto questo quasi all’opposto del tanto decantato rapporto scuo-la lavoro che “è quanto di più lontano possiamo immaginare dalla skolè” fino a diventarne il più esplicito controsenso. Il compito insostituibile della scuola non è una preparazione al lavoro (questa è la responsabilità dell’Impresa), “ma un esercizio continuo della dialettica e della retorica, cosicché lo studente, fuori dalla scuola, sia definitivamente un adulto in grado di partecipare alla vita politica”. La scuola infatti prepara alla vita, o per meglio dire a un’esistenza umana che possa dirsi tale; di essa il lavoro è parte nobile ed essenziale, ma non può essere di un’esistenza il fattore totalizzante.

Il condividere oggi, nella quotidianità delle no-stre organizzazioni, è necessità tanto impellente quanto difficile da soddisfare. Condividere signi-fica “dividere con qualcuno”, significa “privarsi di ciò che terremmo per noi per offrirlo ad altri. Il compagno è appunto uno che condivide perché si toglie il pane di bocca”. Nella rete oggi, osserva Balzano, accade il contrario; nella rete si fotocopia, ci si connette con moltissimi contatti, ma senza in realtà “privarci”. In rete si condivide generando “una moltiplicazione che non fa i conti con nessuna sottrazione”. L’aspetto perturbante non è quanto precisato, ma la circostanza che queste azioni non siano percepite nella loro realtà; in altre parole non c’è alcun processo di senso negli attori che agisco-no oggi in rete, che spesso vivono nell’illusione di agire azioni virtuose.

E il nostro conversare con Balzano potrebbe continuare, al di là della scelta, per certi aspetti

limitante, proposta intorno alle tre fra le dieci pa-role scelte dal nostro autore.

In realtà nell’intenzione di Marco Balzano, o per meglio dire nei suoi auspici, la nostra conversa-zione potrebbe diventare infinita; citando Giorgio Agamben Balzano ci ricorda che ogni opera “non può essere conclusa, ma solo abbandonata e, even-tualmente, continuata da altri”. Un tale invito non può essere rifiutato e noi possiamo, come operatori dell’area Risorse Umane, impegnarci su una paro-la che riempie quotidianamente il nostro tempo: è comune esperienza che la maggior parte degli imprenditori, dei top manager, dei manager, dei capi intermedi ecc... quando si riferiscono in una conversazione, o anche in un documento scritto, alle donne e agli uomini che operano con loro nella comune azienda, nella comune organizzazione, ten-dono a dire “i dipendenti”. Può essere interessante, seguendo il Balzano, ascoltare queste cronache che ci raccontano dove comincia la vita di questa voce. Possiamo scoprire insieme che “dipendente” deriva dal latino dependére “pendere, essere appeso”; in altre parole essere appeso dall’alto verso il basso. Con alta probabilità sia la voce parlante (il manage-ment in generale) che la voce ricevente (coloro che operano, donne e uomini) sono poco consapevoli della storia di questa parola così comunemente e innocentemente usata da tutti noi. Ci si potrebbe interrogare perché anche non si usi, per indicare coloro che quotidianamente lavorano con noi, la voce collaboratori, che deriva dal latino cum (insie-me) laboro, laboras, laborabi, laboratum, laborare, letteralmente coloro che lavorano insieme. E perché invece si riservi questa voce per lo più a coloro che assistono l’azienda/l’organizzazione dall’esterno, con rapporti non continui e sistematici.

Ogni parola è una pietra, con una sua origine e una sua storia, via via sviluppatasi nel tempo delle donne e degli uomini. n

“L’etimologia è proposta come uno dei contrasti più efficaci contro la decadenza: ogni squallore individuale e nazionale viene collegato a una degradazione rigorosamente proporzionata al linguaggio”

RECENSIONIidee

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e professionali. Un romanzo che parla innanzitutto di desiderio e di sesso, ma anche della comune identità la-vorativa: come succede in un grande film di Martin Scorsese, Casinò, il Male costringerà infatti il protagonista a una ripartenza anche a livello di mestiere. O meglio, a fare un passo indietro per cercare di raggiungere l’obiettivo di sempre che, per colpa di un sentiero sbagliato, si era enormemente allon-tanato. n

vete mai chattato, du-rante l’orario di lavoro? magari con davanti il pc acceso che vi stava

ricordando un’imminente scadenza. Certamente sì, ma... quante di quelle chat sono state “oltre il lecito”? e non perché stavate scambiando delle “affet-tuosità” con il vostro partner, piuttosto perché quei contenuti erano diretti a una persona da poco incontrata in rete. Eppure eravate (felicemente?) innamo-rati o fidanzati o sposati...

È questa la più grande minaccia “of-ferta” dalla recente rivoluzione infor-matica, quella della cosiddetta dimen-sione virtuale. Che, pur non essendo “produttiva” da alcun punto di vista, a volte anche da quello del piacere in sé e per sé, intriga così tanto da far vacillare le nostre certezze relazionali, cioè quelle della vita vera. Ed è que-sto il tema del mio ultimo romanzo (o film, visto che in molti lo stanno definendo “quasi una sceneggiatura”) il cui titolo è GiokaconMe: il suo pro-tagonista, Mura, si trova infatti diviso fra una relazione vera e una virtuale, quella con GiokaconMe, una ragazza (o presunta tale: con i nickname tutto può essere) che ha incontrato in Rete giocando a Flick. Il problema è che nel mondo virtuale tutto sembrereb-be più autentico (persino più solare) rispetto al mondo reale… con queste

premesse nasce una vicenda in grado di fare luce sulla vita vera, e su di noi, e sulle nostre insoddisfazioni che, per dirla con un film di Silvio Soldini, ci portano a domandarci “Cosa voglio di più”. Spesso, sempre più spesso, fino a diventare “improduttivi” rispetto alla nostra stessa vita privata.

Il romanzo, edito da L’Erudita, è un noir erotico non privo di grandi col-pi di scena, proprio come succede in tutti i cambiamenti di vita, personali

A

Marco Lombardiwww.cinegustologia.it/giokaconme.htmlcinegustologo, scrittore, critico

idee UN ROMANZO CINEMATOGRAFICO

GIOKACONME

LA SCHEDATitolo GiokaconMeAutore Marco LombardiAnno 2019Casa editrice L’EruditaPagine 202Prezzo 22 euro

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COLLABORAZIONE CON ANCIAIDPnews

LA CRESCITA DEL PAESE ATTRAVERSO LE PERSONE

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Cambio generazionale e competenze al centro della seconda tappa del progetto di collaborazione AIDP e ANCI su “Visioni e pratiche delle risorse umane a confronto”, che si è svolta il 27 giugno a Roma presso il CNEL. Ripercorriamo i temi e le considerazioni più significative emerse durante l’evento

Cinzia Rossi Referente per i rapporti istituzionali AIDP

di Cinzia Rossi {opo l’apprezzamento della prima edizione del 2018, ANCI Associazio-

ne Nazionale Comuni d’Italia e AIDP rinnovano l’iniziativa dedicata

a La crescita del Paese attraverso le persone: visioni e pratiche a

confronto. #Pubblico e #Privato? Insieme si può! Nell’incontro del 27 giugno

scorso presso la prestigiosa sede del CNEL (vedi box nella pagina a fianco) si è

tenuto uno storico confronto fra Responsabili del Personale dei Comuni Italiani

e Direttori Risorse Umane di importanti aziende. Per questa occasione sono stati

scelti i temi del cambio generazionale e delle competenze. Riteniamo infatti che

il processo di crescita economica dell’Italia passi attraverso lo sviluppo armonico

delle persone che lavorano nelle organizzazioni. Tutti i relatori sono stati selezio-

nati in base a competenze d’eccellenza e alla propensione a mettersi al servizio

per il bene comune. Restituiamo con alcuni di loro una sintesi di quanto emerso.

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COLLABORAZIONE CON ANCI

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#Pubblico e #Privato? Per il benessere delle comunitàLa traccia aperta dalla collaborazione ANCI - AIDP, avviata lo scorso anno con la costituzione di un gruppo di lavoro congiunto tra i responsabili HR degli Enti locali e delle Imprese, ha attivato percorsi di approfondimento partico-larmente interessanti e suggestivi. Il secondo evento annuale ha costituito l’occasione per proporre una sintesi del confronto pubblico/privato sui due temi fondamentali: competenze e ricambio generazionale. Nell’esperienza del set-tore pubblico i dati quantitativi relativi

alla riduzione del personale in servizio, al contenimento della spesa imposto con vincoli finanziari protratti nel tempo e al conseguente incremento dell’età media del personale in servizio, manifestano con evidenza la stretta connessione tra i due argomenti.

A questa considerazione empirica deve aggiungersi l’ulte-riore difficoltà data dalla stratificazione normativa e dall’ec-cesso di regolamentazione del settore, dalla pluralità di fonti ermeneutiche con conseguente disomogeneità interpretativa e di prassi. Un’opera di forte semplificazione delle regole che governano la gestione del personale nei Comuni e nelle loro gestioni associate, nelle Città metropolitane e nelle Province è propedeutica a qualsiasi opzione di riforma.

L’evoluzione del paradigma che governa la spesa di personale (dalla logica del turnover a quella della sostenibilità finanziaria) consentirà una rigenerazione degli organici, l’allentamento delle limitazioni normative sulle risorse per l’innovazione e la formazione abiliterà l’investimento sulle competenze e lo sviluppo della propensione al digitale, la diffusione esponen-ziale di modalità di lavoro agile (e in questo la collaborazione tra le amministrazioni territoriali e le aziende gioca un ruolo fondamentale) contribuirà al benessere dei lavoratori, delle organizzazioni e in ultima analisi delle comunità, nella pro-spettiva della transizione verso la città “smart”.

#Pubblico e #Privato? Insieme si può!Oggi è molto chiaro, che la valoriz-zazione delle persone ed il futuro si giocano con attenzione al territorio e questo significa avere un orizzonte temporale molto ampio ed essere at-tenti alla sostenibilità. Quando AIDP ed ANCI hanno pensato a una collabo-razione che portasse le buone pratiche dal mondo dei Comuni al mondo delle aziende e viceversa, non immagina-vano che questo potesse diventare un obiettivo indispensabile per il buon andamento del Paese, delle aziende e per il benessere delle persone. Già

questo sarebbe sufficiente a confermare di aver fatto un lavoro utile, ma la soddisfazione di leggere l’impegno e la condivisione dei direttori del personale di Comuni e di grandi aziende su temi già strategici ci dà la misura del fatto che il lavoro di ognuno non termina con il raggiungimento degli obiettivi e l’orario di lavoro. Si può fare di più sempre, con impegno e un po’ di creatività. Il ricambio generazionale è da tutti considerato con attenzione, si parla di age ma-nagement in molti contesti, qualche azienda ha una silver zone; non vi è dubbio che questo significa lavorare anche sulle competenze, nuove e vecchie, da trasmettere e da imparare. Le ricerche ci dicono che il futuro ci aspetta in modo diverso ma che non ci deve spaventare, e già non ci spaventa, ma che occorre cambiare il modo di cambiare. In AIDP speriamo di essere avanti, di raccontare progetti non banali, di stupire intuendo dove dobbiamo dirigere le risorse con l’umile consapevolezza che se lavoriamo insieme i risultati ci daranno più soddisfazioni. Avere come obiet-tivo le cose che contano e non solo ed unicamente quelle che si contano è un bel modo di lavorare ed un’ipoteca su un futuro più gradevole. Con ANCI andremo avanti per-ché, ne siamo certi, i temi su cui possiamo migliorarci a vicenda saranno tanti e diversi; quello che ci entusiasma è proprio questo. ➤

Isabella Covili Faggioli Presidente Nazionale AIDP

Agostino Bultrini Responsabile Personale e Relazioni Sindacali ANCI

Tiziano Treu Presidente CNEL Agostino Bultrini Responsabile Personale e Relazioni Sindacali ANCI Isabella Covili Faggioli Presidente Nazionale AIDP

I Direttori del Personale: Mariagrazia Bonzagni Comune Bologna, Kristof Breyne CNH Industrial, Margherita Bulzacchelli RFI, Giorgio Colombo Edison, Marco Crescimbeni Comune Verona, Maurizio Fasce Ipercoop, Gabriele Ferraris Comune Vercelli, Valerio Iossa Comune Milano, Valentina Lealini Provincia Ferrara, Aurelio Luglio Vice Presidente AIDP Emilia Romagna, Nadia Magnani Comune Genova, Paolo Mileti Comune Roma, Giancarlo Partipilo Comune Bari, Antonella Pedini Comune Perugia, Annarita Settesoldi Comune Firenze, Luigi Maria Vignali Ministero degli Esteri, Luca Valerio Villa Acciai Speciali Terni, Roberto Zecchino Bosch. Coordinamento lavori: Claudio Lucifora. Organizzazione: Cinzia Rossi AIDP e Flavia Baldassarre ANCI.

TASK FORCE ANCI-AIDP - 27 GIUGNO, ROMA/CNEL

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A causa della crisi economica che ha ridotto negli ultimi 10 anni la possibilità di creare nuova occupazione l’età media del personale nella maggior parte dei luoghi di lavoro si è fortemente innalzata.

Nella divisione ipermercati di Coop Liguria nel 2008 la componente di lavoratori di età compresa tra 22 e 37 anni (l’attuale generazione Y) era del 43%, nel 2018 è scesa sotto il 5%. Nello stesso periodo le persone con età superiore a 57 anni (baby boomer) sono passate dallo 0,4% al 6,54%, cioè sono aumentate 16 volte, mentre è completamente sparita la popolazione con meno di 22 anni di età! Se riuscissimo a bloccare il trend nega-tivo sostituendo ogni prossima persona uscita con un diciottenne, nel 2028 avremo il 44% di baby boomer (100 volte più numerosi che nel 2008!) e solo l’8% di persone con meno di 37 anni. L’età media che nel 2008 era di 39 anni, è passata a 48 anni nel 2018 e salirà ancora a 57 nel 2028. Con quale capacità di dialogare col mercato? Il problema non è tanto la limitazione fisica che la presenza di persone anziane comporta, perché l’innovazione normativa e tecnologica stanno già provvedendo a rendere più adatti ad una popolazio-ne senile l’organizzazione e i carichi di lavoro. Il vero problema è la perdita di prospettiva e di visione che la mancanza di persone giovani comporta.

Con questa preoccupazione, e nella consapevolezza che le risorse per riequilibrare tramite nuove assunzioni sono ben lontane, abbiamo messo in atto politiche di ageing opposte a quelle normalmente presenti, rivolte più a riconquistare una capacità di relazione ed ascol-to con i giovani, rivedendo radicalmente i parametri di comunicazione, gestione della selezione, dell’acco-glienza e della valutazione della prestazione cercando di riappropriarci di un canale di conoscenza con una generazione che è ormai così diversa dalla media del personale presente che, a volte, penso richiederebbe l’aiuto di un mediatore culturale!

Nella pubblica amministrazione locale le misure di con-tenimento della spesa hanno comportato il blocco del turnover e la riduzione degli organici di oltre il 20% negli ultimi 15 anni.

Nel Comune di Bari più del 61% del personale ha un’età compresa tra 50 e 65 anni e oltre; solo l’1% della do-tazione complessiva ha meno di 30 anni e poco meno del 13% si colloca tra i 30 e 40 anni. L’età media è di 56 anni. Nei prossimi 5 anni verrà collocato in pensione un quarto dei dipendenti attualmente in servizio.La riduzione del personale e il progressivo invecchia-mento di quello esistente ha messo in crisi il settore pubblico e, in particolare, gli enti locali. I Comuni, istituzioni di front end dei cittadini a cui il legislatore attribuisce continuamente nuovi compiti e funzioni, non riescono a tenere il passo dei bisogni e delle istanze che quotidianamente affollano i propri uffici. L’età media così elevata mette in crisi quella fetta di dipendenti che non riesce ad utilizzare nel modo più appropriato le tecnologie informatiche e il ridotto numero di dipen-denti non riesce a garantire quegli standard di qualità che i cittadini chiedono.

Solo dal 2018 i Comuni hanno finalmente la possibilità di reclutare un numero di dipendenti pari a quelli che vanno in quiescenza. Negli ultimi 18 mesi il Comune di Bari ha assunto 164 unità con un’età media di 32 anni; una nuova generazione di funzionari pubblici è entrata nei ruoli del Comune di Bari cercando di colmare quel gap di produttività individuale tra il settore pubblico e quello privato che vede proprio nell’età media una delle sue cause.

LE POLITICHE DI RICAMBIO GENERAZIONALE

MAURIZIO FASCE (AIDP) IPERCOOP GIANCARLO PARTIPILO (ANCI) COMUNE DI BARI

COLLABORAZIONE CON ANCIAIDPnews

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In questo senso Quota 100, si è rivelata sino a oggi esclu-sivamente un ammortizzatore utile a ridurre l’organico rispetto alla minore produttività causata dalla crisi eco-nomica; il personale che è stato collocato in pensione non ha potuto essere sostituito se non eccezionalmente e in misura ridotta e ciò comporterà inevitabilmente l’aumento del carico fiscale dello Stato per compensare le minori entrate e le maggiori uscite con le prevedibili conseguenze in termini di riduzione del reddito disponibile e, quindi, dei consumi. Maggiori imposte e minori consumi per le imprese si tradurranno in ulteriore riduzione dell’occupa-zione e, in ultima analisi, riduzione di gettito per i bilanci sempre più precari degli enti locali.

Le diversità più evidenti tra i due settori non derivano da differenti approcci di chi amministra il personale ma sono il risultato delle politiche assunte da chi, a monte, fa le massime scelte. In particolare le diverse politiche fanno sì che nell’organizzazione del lavoro pubblico l’interesse del dipendente sia obiettivamente prevalente su quello del cittadino, scelta opposta a quella dell’imprenditore privato che pone invece al centro della sua missione il proprio cliente. Conformare il servizio partendo dalle esigenze di chi lo eroga, anziché da quelle di chi lo riceve, condiziona strut-turalmente la gestione del personale e sposta l’equilibrio nel sinallagma contrattuale verso i diritti più che verso i doveri, rischiando di favorire rigidità, proliferazione di costi e demotivazione. Un tale contesto rischia anche di vanificare i sacrifici chiesti con le riduzioni di organico, determinati dalla mancata sostituzione del turnover, perché, come noto, i tagli lineari, ancorché a volte necessari, consentono di recuperare efficienza solo se sono accompagnati da una profonda e seria riorganizzazione del lavoro.

Quello dell’invecchiamento del personale è un fenomeno sistemico. Il tasso di ricambio negativo della popolazione attiva, non è forse una forma radicale (e ben più drammatica) di quello che si chiama mancata sostituzione del turnover? La dimensione dell’uno e dell’altro nel nostro Paese vanno oltre le differenze pubblico/privato e le analoghe tendenze di altri Paesi industriali; l’assenza di investimenti a favore della genitorialità e dello sviluppo, la collocazione di risorse prevalente-mente a favore della popolazione non attiva sono uno specifico italiano. Queste politiche sono state bipartisan: se l’attuale Governo ha varato Quota 100, non possiamo dimenticare il governo Prodi che nel 2007 ha finanziato il superamento del c.d. “scalino Maroni” reintroducendo i contributi nei rapporti di apprendistato. Per anticipare di sei mesi la pensione si è ridotto un incentivo all’assunzione e alla formazione dei giovani. Una rappresentazione plastica di come la richiesta alle nuove generazioni di sostenere i costi del prepensionamento di altri sia trasversale al tempo e agli schieramenti.

Esiste un’area di sovrapposizione veramente ampia: stesso stress nel quadrare i conti in ristrettezza di risorse, stessa impotenza di fronte a vincoli sempre più assurdi, stessa consapevolezza di incidere nei livelli di benessere e di sviluppo delle persone. Norme e vincoli diversi, ma visioni consonanti. Ultimamente poi i confini tra l’attività dell’HR nei due settori si incrociano per la drammatica scarsità di risorse economiche e finanziarie che crisi e recessione impongono a tutti i settori e, soprattutto, per il crescente impegno delle imprese private in aree in cui tradizionalmente opera il pubblico; si pensi all’area della Responsabilità Sociale, che si spinge sino a integrare il servizio pubblico nelle misure di welfare.

Dopo anni di restrizioni Quota 100 può rappresenta-re un’occasione per liberare posti che consentano di rinnovare il personale, abbassarne il costo unitario e l’età media, incrementare i livelli di produttività del settore pubblico. Questa opportunità rischia tuttavia di essere vanificata in assenza di una riforma delle procedure di reclutamento che consenta alle Pubbliche Amministrazioni di selezionare rapidamente i futuri dipendenti tra quelli le cui skill siano in sintonia con le richieste di sempre maggiore efficienza che vengono dai cittadini e dal sistema delle imprese.

Le Pubbliche Amministrazioni hanno fatto passi da gigante negli ultimi 20 anni nel rapporto con cittadini ed utenti; gli strumenti di benchmarking e di custo-mer satisfaction sono ormai diffusissimi nel settore pubblico anche grazie al confronto virtuoso con quello che è avvenuto nel settore privato. Oggi si affaccia-no nuove prospettive nel confronto con i colleghi HR delle imprese private che vedranno due temi sui quali confrontarsi e apprendere reciprocamente: quello del diversity management e delle politiche di inclusione e quello delle politiche di retention e gestione dei talenti.Questi sono i temi sui quali un fecondo scambio di pratiche ed esperienze può portare ciascuno di noi HR Manager del pubblico e del privato a crescere recipro-camente a servizio delle nostre organizzazioni e del Sistema Paese.

La funzione HR tra pubblico e privato

L’HR in un ente pubblico da un punto di vista privato

L’HR in un ente privato da un punto di vista pubblico

COLLABORAZIONE CON ANCI

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Le competenzeNon è un caso che nella seconda edizione del con-fronto ANCI - AIDP uno dei temi scelti sia stato quello delle competenze. Non si è mai parlato tanto di competenze come in questi ultimi 2-3 anni. Sia nel pubblico che nel privato. Secondo la Raccomanda-zione del Parlamento Europeo 2008 la competenza è la mobilitazione di conoscenze, abilità e risorse personali per svolgere compiti assegnati, risolvere problemi, gestire situazioni nei diversi contesti, uti-lizzando le capacità metodologiche e relazionali che ciascun individuo possiede in maniera e in misura diversa. Essere competenti è agire comportamenti efficaci ed adeguati al contesto. E i trend globali, economici, tecnologici, socio-demografici rendono oggi il contesto delle organizzazioni, private ma anche pubbliche, sempre più incerto e mutevole e le competenze delle persone più velocemente obsolete.

Siamo dentro alla Quarta Rivoluzione Industria-le, quella innescata e guidata dalle nuove tecnologie digitali.

La trasformazione che stiamo vivendo, pur aven-do le sue specificità e differenze rispetto a quelle che l’hanno preceduta, ripropone alcune chiavi di lettura e dilemmi del passato: il rapporto tra etica, scienza e tecnologia; la relazione tra il lavoro delle macchine e il lavoro umano; la grande paura e lo spettro della “disoccupazione tecnologica” e il grande tema della produttività dei sistemi industriali e dei Sistemi Paese.

Le tecnologie sono sempre state, e sono anche oggi, la scintilla e il motore delle trasformazioni che stiamo vivendo; ma così come già accaduto nel passato, anche oggi saranno le persone, i loro valori e loro competenze, la vera chiave per disegnare e traghettarci verso il futuro e per estrarre valore economico, industriale e sociale dalle nuove tecnologie.

L’utilizzo di tecnologie abilitanti di nuova generazione ri-chiede nuove competenze tecniche specifiche: l’inserimento all’interno di mercati altamente competitivi richiede com-petenze manageriali evolute: la complessità dei processi produttivi e i modelli organizzativi richiedono competenze trasversali nuove.

In un recente rapporto il World Economic Forum ha indi-cato che il reskilling, la nuova “parola magica” del mondo del lavoro, sarà il tema centrale dei prossimi anni.

Nelle imprese, accompagnare le persone a comprendere con-sapevolmente, e soprattutto ad utilizzare, le nuove tecnologie digitali, è la sfida da vincere: da qui passa la più importante o forse l’unica via per vincere la paura ed il rischio della “disoccupazione tecnologica” per gli attuali occupati; da qui

passa il rischio di perdere ulteriore produttività e competitività per l’impresa e, in ultima istanza, per il Sistema Paese: sono rischi che non ci possiamo permettere, sfide che non possiamo perdere. Ma non ci è dato molto tempo per agire: una delle principa-li differenze della rivoluzione digitale che stiamo vivendo rispetto a quelle che l’hanno preceduta è la velocità e viralità con cui si propaga: mai come ora serve tempestività e coraggio da parte delle imprese per investire in infrastrutture digitali e sulle competenze delle persone.

Anche per la Pubblica Amministrazione la sfida per la Trasformazione Digitale non è principal-mente tecnologica ma in gran parte è una sfida po-litica e di visione. Serve una leadership e servono funzionari (che brutto termine!) che comprendano che il mindset “digitale” (e non tanto le tecnologie) deve influenzare il miglioramento dei servizi pub-blici (e l’eliminazione dei processi e delle norme inutili) e non semplicemente digitalizzare processi analogici. Come autorevolmente ha affermato Diego Piacentini, ex Commissario Straordinario per l’at-tuazione dell’Agenda Digitale, “la trasformazione digitale è la reinvenzione del modo in cui i servizi pubblici sono concepiti, disegnati, implementati e gestiti”. Il cittadino ha il diritto di chiedere più semplicità, velocità e trasparenza nella gestione dei servizi pubblici e la PA ha il dovere di dare risposte efficaci. Una PA più efficiente, meno burocratica, e

i cui processi e servizi siano stati semplificati e digitalizzati, è una PA che aiuta il tessuto economico e produttivo a essere più competitivo a livello globale.

La competitività delle aziende italiane dipende, dunque, anche dalla digitalizzazione della nostra macchina ammini-strativa, centrale ma soprattutto locale.

Insomma, lo sviluppo e la crescita del Paese è legato a doppio filo al livello di sviluppo, innovazione e competitività delle imprese da un lato e alla semplificazione e innovazione delle PA dall’altro. E, mai come ora, all’interno delle organizzazioni, pubbliche e private, poggia sulle persone e sulle loro compe-tenze che, pertanto, devono essere oggetto di un importante piano di investimento che preveda assessment e reskilling.

Questo è il “filo rosso” che ci accomuna. È quanto basta per immaginare un’alleanza tra Pubblico e Privato? E per ribadire che #Pubblico e Privato, Insieme si può? Certo le differenze e gli ostacoli non si possono ignorare e cancellare con un hashtag: ma i sogni e le idee camminano sulle gambe, la testa, il coraggio ed il cuore degli uomini. n

Mariagrazia Bonzagni (ANCI) Comune di Bologna

Giorgio Colombo (AIDP) Edison

COLLABORAZIONE CON ANCIAIDPnews

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COLLABORAZIONE CON ANCI

THE INCREDIBLE

Daniel Kahneman

Premio Nobel per l'economia

27&28 Ottobre 2020

wobi.com/wbf-milano

José Manuel BarrosoEconomia

Daniel Kahneman Decision Making

Ram Charan Strategia

Lynda GrattonChange Management

Marshall Goldsmith Leadership

Don TapscottInnovazione

Dave UlrichTalento

Ann HandleyMarketing

Magnus SchevingPerformance

800 93 94 36 [email protected] wobi.com/wbf-milano

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DALLA BIBLIOTECA DEL PERSONALEAIDPnews

ESSERE CAPI CON IL “NUOVO” MBO

di Renato Boccalari [email protected]{

tismo di ritorno” dei suoi utilizzatori, che ne ha impoverito e svuotato la capacità di contribuire al miglioramento delle performance aziendali?

Sono queste alcune delle domande che si sono posti i due autori e che sono alla base della loro decisione di scrivere questo libro sulla Gestione per Obiettivi e su come (tornare a) usarla come uno strumento efficace, sia per il conseguimento delle finalità ultime dell’organizzazione sia per la realizzazione personale e professionale delle persone al lavoro.

L’intenzione dichiarata e meritoria non è quella di scrivere un testo metodologico e concettuale ma qualcosa di molto più pratico e di fruibilità immediata, un vero e proprio “Manuale per l’uso”.

Il lettore ideale è infatti il “capo”, figura a sua volta fortemente messa in discussione nello sce-nario odierno e a cui il libro vuole restituire il fondamento della sua legittimazione, ridotandolo di uno strumento fondamentale (per riprendere la simpatica metafora del sottotitolo) come la Gestione per Obiettivi e le sue fasi fondamenta-li, dal colloquio di pattuizione iniziale a quello

di valutazione finale, passando per i colloqui di feedback, vista come parte di una “cassetta degli attrezzi” più ampia, ovvero di un model-lo di gestione delle Risorse Umane ispirato alla responsabilizzazione e allo sviluppo personale.

Sì, perché essendo l’MbO innanzitutto un modo per calare gli obiettivi complessivi aziendali (di profittabilità, competitività, qualità, innovazione, sviluppo) nei ruoli aziendali e, in ultima analisi, per portare gli individui a farli propri, la Gestione per Obiettivi è anche, se non soprattutto, uno strumento di motivazione e di sense making: rappresenta il modo attraverso il quale il lavoro assume senso e significato per la persona che lo fa, attraverso la sua finalizzazione ad uno scopo, ad un fine dotato di valore riconosciuto.

Ma per passare dal dire al fare, dal princi-pio generale alla sua applicazione concreta non bastano le dichiarazioni ma occorre quella che

a Gestione per Obiettivi ovvero il Management by Objectives è ancora di

attualità nelle organizzazioni, che si trovano ad operare nel contesto di

cambiamento esponenziale che abbiamo tutti davanti agli occhi?

La crisi dello strumento di cui molto si è discusso in questi anni è più dovuta a

ragioni obiettive che ne mettono in discussione l’utilità o ad una sorta di “analfabe-

LRenato BoccalariSenior Advisor HC Innovation, GSO Company

Il terzo volume della collana HR Innovation, nata dalla collaborazione tra AIDP e FrancoAngeli, dopo anni di silenzio sugli strumenti di performance management e MbO, propone un libro di sicuro interesse per tutti gli operatori HR

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DALLA BIBLIOTECA DEL PERSONALE

Aristotele chiamava technè, ovvero un metodo operativo e la capacità di applicarlo con coerenza non fine a sé stessa, ma fedele allo spirito e alla sua finalità fondamentale. La Gestione per Obiettivi in Italia non è stata solo una moda importata da oltre-atlantico, ma un vero e proprio movimen-to di trasformazione in senso manageriale della cultura delle aziende, sia del mondo privato sia del pubblico, in un contesto aziendale italiano ancora ingessato da un’economia a forte presenza della mano pubblica, che stava solo allora apren-dosi al mercato, alle logiche della competitività all’esterno e della meritocrazia all’interno. Ma già allora si vedevano le distorsioni che portarono alla messa in stato di accusa dello strumento per le deviazioni che a volte ne caratterizzavano l’ap-plicazione: il problema in molti casi non è stato tanto nello strumento ma in chi lo ha usato e nel modo in cui lo ha utilizzato, più o meno sensato, più o meno etico, più o meno coerente con il suo spirito e la sua natura di fondo. Per definire un obiettivo ci vuole metodo, è vero, ed il libro ce lo ricorda, ma dentro all’acronimo SMART la lettera che di gran lunga è più importante è la prima, la S che sta per “Significativo”, cioè che rappresenti uno scopo dotato di significato sia per chi dà sia per chi riceve l’obiettivo.

Il metodo dice che un obiettivo deve essere misurabile: ma quando un addetto alle pulizie entra in una stanza tu puoi misurare il numero di volte che muove lo swiffer, obiettivo misura-bilissimo dunque, ma quello dotato di significato è se alla fine la stanza è pulita, e lo misuri pas-sando il dito sui mobili, non con l’efficientistico numero di movimenti dello spolverino. Così come gli obiettivi e il modo di misurarli non sono fissi e rigidi nel tempo, ma devono essere capaci di

cambiare con l’evoluzione del contesto esterno. Un esempio per tutti: il modo di misurare la Qualità deve adeguarsi alla fase del business, al passaggio da fasi in cui i criteri di valutazione sono totalmente interni all’azienda alla fase di Mercato, in cui la Qualità non è più quella del prodotto in sé ma quella percepita dal cliente nella sua esperienza di acquisto. La Gestione per Obiettivi mette dunque a disposizione un meto-do, ma è poi il modo di applicarlo da parte delle aziende e dei loro manager che conta, che fa la differenza, che crea o distrugge senso e valore.

E il libro è senz’altro un valido aiuto in questa direzione, non solo per gli impeccabili richiami metodologici, che ci ricordano l’importanza del back to basics, ma anche per lo sforzo, riuscito, di alleggerire la lettura con aneddoti emblema-tici, riquadri sintetici di takeaways, “tip per i bravi capi”. Importante anche la riflessione sulla possibile sopravvivenza ed evoluzione dell’MbO nello scenario della Digitalizzazione e dell’HR Digital Transformation. Una riflessione utile so-prattutto per chi maneggia più il digitale che le buone pratiche HR.

E non manca un’utile parte finale dedicata a interviste a personaggi a vario titolo coinvolti ed esperti (R. Nacamulli, P. Mercuri, L. Villa), che consente una messa a confronto dei diversi punti di vista, aziendali ed accademici.

Non solo un “Manuale per l’uso”, ma senz’al-tro qualcosa di più nella sua riuscita pratica, un “evergreen” della cultura manageriale che ci aiuta a ricordare l’attualità della Gestione per Obiettivi e i modi per renderla viva ed efficace in questi tempi di cambiamento, una bussola per muoversi in questo mare di incertezza ricordandoci da dove veniamo e la meta da raggiungere. n

LA SCHEDATitolo ESSERE CAPI CON IL “NUOVO” MANAGEMENT BY OBJECTIVES (MBO)Come non usare un cacciavite per piantare un chiodoAutori e curatori Carlo Filippinie Nicola Rizzo ArgomentiOrganizzazione e risorse umaneAnno 2020Casa editrice FrancoAngeli, Hr Innovation-AIDP Associazione Italiana per la Direzione del PersonalePagine 160Prezzo 21 euro

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DAL CENTRO RICERCHE AIDPAIDPnews

COME L’AI PUÒ MIGLIORARE LA NOSTRA VITA E SUPPORTARE I PROCESSI DI GESTIONE HR

di Umberto Frigelli{

quesiti riguardanti più di duemila malattie ed erogare farmaci prescritti con cento categorie di farmaci disponibili o prenotabili. Le cabine sono una delle tante applicazioni di Robot e Artificial Intelligence (AI) evidenziate dal Secondo Rapporto 2019 su Robot, Intelligenza Artificiale e Lavoro in Italia, promosso da AIDP e LabLaw e curato da Doxa e dal Centro Ricerche AIDP. Presentato il 29 ottobre scorso al CNEL, il rapporto 2019 si è concentrato sul mondo dei servizi: ha reso visibile un repertorio di applicazioni e soluzioni innovative in diversi settori dei servizi, ha sondato l’opinione degli italiani rispetto alla diffusione di questi sistemi robotizzati, intervistato un panel di esperti sull’impatto delle nuove tecnologie e infine approfondito casi di applicazioni dell’AI nei processi di gestione delle RU.

Trend watchingNei comparti della ristorazione, della mobilità, del settore finanziario, della sanità e del turismo robot e AI sono oramai diffusi e stanno rivoluzionando il servizio, l’offerta ai clienti e l’esperienza dei consu-

matori. Nella ristorazione l’AI viene oggi impiegata per il riconoscimento facciale del cliente e per ga-rantire un servizio personalizzato, come al Bahista Cafe di Sydney o per navigare e ordinare piatti dal menu. Nel ristorante Robot.he del supermercato Hema di Alibaba a Shangai, per prenotare i piatti, riservare il tavolo, dare istruzioni per cuocerlo e servirlo e infine pagare, l’unico strumento che serve è lo smartphone. Il servizio ai tavoli è assicura-to da robot-navetta, solo la preparazione dei cibi è effettuata da cuochi. Nella mobilità si stanno implementando idee futuristiche come sistemi di gestione del traffico integrati con la realtà virtuale, sistemi di guida autonomi ed evoluti, veicoli auto-nomi come mezzi di trasporto pubblico. In alcuni casi sono stati brevettati sistemi di AI in grado di

entre il “coronavirus” si diffonde, non sappiamo se le cabine

cliniche One-Minute disseminate a Shanghai siano già state

attrezzate per la diagnosi della malattia. Le cabine cliniche

One-Minute di Shanghai si sono dimostrate subito popolari perché permettono

di accedere a dispositivi intelligenti di esame medico in grado di rispondere a

MUmberto FrigelliCoordinatore Nazionale Centro Ricerche AIDP, Psicologo del lavoro e consulente di direzione aziendale, Partner Mading, professore a contratto presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

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DAL CENTRO RICERCHE AIDP

COME L’AI PUÒ MIGLIORARE LA NOSTRA VITA E SUPPORTARE I PROCESSI DI GESTIONE HR

identificare sonnolenza e affaticamento del guida-tore. La sanità è uno dei contesti più promettenti per l’introduzione di AI e robot a supporto dell’at-tività clinica e della chirurgia. Oltre alle cabine di Shanghai c’è per esempio Ada, un’applicazione che tramite l’AI consente alle persone di raggiungere una comprensione più approfondita dei loro sintomi. I medici hanno la possibilità di accedere all’istante a banche dati enormi per facilitare la diagnosi dei pazienti e accelerare la ricerca medica attraverso la combinazione di AI e apprendimento automatico. I robot chirurgici si stanno diffondendo, sia per aumentare la precisione, sia per ridurre l’invasività degli interventi, sia per poter operare a distanza. Anche nel settore finanziario e nel turismo si stanno affermando le nuove tecnologie. Nella finanza, per esempio, attraverso piattaforme e applicazioni che aiutano i risparmiatori a disegnare strategie finanziarie o raggiungere in modo mirato nuovi target di clientela. Nel turismo intervenendo nella prenotazione dei viaggi, nel preparare i bagagli, nel gestire le strutture ricettive e l’accoglienza clienti.

Il futuro non ci spaventaMa come reagiamo a queste innovazioni, che stanno diventando così pervasive nella nostra vita? L’inda-gine di questa edizione si è svolta con un sondaggio demoscopico su un campione di cittadini di circa mille persone, di età compresa tra i diciotto e i sessantaquattro anni. In generale gli intervistati ritengono di essere a conoscenza degli sviluppi di robot e AI. Robot e AI suscitano curiosità, interes-se, e solo in pochi casi preoccupazione: sono per lo più associati a curiosità (64%), interesse (52%) e opportunità (49%); preoccupazione (13%), perplessità (12%) e timore (10%) permangono ma in misura ridotta rispetto alle associazioni positive. I settori in cui si ritiene che robot e AI possano essere più utili sono: la logistica e il trasporto merci (53%), il settore manifatturiero (51%) e i contesti medici e sanitari (50%). Il 43% degli intervistati dichiara di avere avuto esperienza diretta di questi sistemi in diversi ambiti. L’esperienza di utilizzo di sistemi intelligenti e robotici è valutata positivamente dal 90% del campione.

Previsioni sostanzialmente ottimistiche le si pos-sono ritrovare anche nelle interviste, che corredano la survey e il rapporto, che ci hanno rilasciato Gior-gio Metta Direttore Scientifico dell’IIT, Domenico Appendino Presidente dell’Associazione Italiana Robotica e Automazione e David Casalini CEO di StartupItalia.

L’Intelligenza Artificiale entra nei

processi di gestione delle HR Alla luce di questi risultati abbiamo cercato di approfondire quanto le innovazioni digitali stiano entrando nel mondo HR. Lo abbiamo fatto con sette casi di studio raccolti grazie al contribu-to di Andrea Camera e Marcello Chierici di Mondadori, Marco Monga di IIT, Nicola Rossi di Monster, Elena Panzera di SAS, Roberto Ca-scella di Intesa Sanpaolo, Marcello Landolfo di Enel e Gianfranco Chimirri di Unilever. Grazie a loro abbiamo potuto comprendere che le Di-rezioni HR guardano alle tecnologie emergenti come strumenti utili a migliorare la performance, raccogliere dati e informazioni approfondite e significative, prendere decisioni più efficaci, as-sumere un ruolo più strategico, colmare le lacune fra dipartimenti, rendere migliore il processo di gestione dei talenti. Abbiamo compreso anche che la tecnologia AI consente oggi di avere solu-zioni che si possono ricondurre a tutte le aree di pertinenza dell’employee journey. In particolare, nell’ambito reclutamento e selezione: pre-scree-ning dei curricula, video-interviste; social media business oriented per la ricerca dei candidati; chatbot per rispondere a richieste di informa-zioni dei candidati; gamification nella selezione e negli assessment; sperimentazione nell’utilizzo di sistemi di AI di riconoscimento facciale, per una profilazione più accurata dei candidati, tec-nologie di riconoscimento ottico per la gestione del processo di ingresso dei candidati.

Nel Performance Management esistono analytics predittivi per esplorare dati, migliorare la presa di decisioni e gestire l’engagement delle persone; la performance individuale; l’intention to leave e le politiche di retention; i piani di successione all’inter-no dell’azienda; i percorsi di carriera personalizzati.

Workforce management chatbot e assistenti vir-tuali supportati dalle logiche del machine learning si occupano della parte amministrativa del personale e fanno attività di tipo transazionale.

Il Training si sta evolvendo attraverso strumenti per la gamification; App e strumenti per il micro-learning; piattaforme che apprendono le preferen-ze del dipendente e suggeriscono i contenuti che potrebbero essere giusti per le sue esigenze; Tech bar e spazi dedicati all’apprendimento delle nuove tecnologie.

Il futuro anche nel mondo HR sarà sempre più legato all’integrazione tra le varie applicazioni HR Tech, ed è solo con un approccio olistico, che sappia anche modificare struttura e ruoli della Direzione HR, che si potranno massimizzare i risultati otte-nibili con l’adozione di questi strumenti. n

Il Secondo Rapporto su Robot, Intelligenza Artificiale e Lavoro in Italia, promosso da AIDP e LabLaw e curato da Doxa, è disponibile in Area Riservata Soci nella sezione dedicata al Centro Ricerche. Qui trovi anche la prima edizione del Rapporto (2018) e tante risorse utili (articoli dalla stampa internazionale, survey e indagini) messe a disposizione dal Centro Ricerche. L’Area riservata è accessibile dal sito www.aidp.it, con le proprie credenziali associative.

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AIDPnews

CIAO FRANCO

2020 CON AIDP4YOU

INIZIA IL 2020 CON AIDP

Franco è salito al cielo.È uno di noi, è di quella generazione che strutturò la nostra Associazione con serena consapevolezza di ruolo ed etica nei comportamenti.È stato un caro amico e grande consigliere per i più giovani e futuri presidenti.Franco Cerisola coprì la carica di Presidente

Nazionale nei tempi del passaggio da associazione di Dirigenti ad associazione di Professionisti.Con consapevolezza spinse verso il futuro con i piedi ben piantati nel presente.Ciao caro amico, è stato un onore lavorare con te! Luigi Di Marco

Si rinnova nel 2020 il servizio AIDP4YOU riservato ai Soci AIDP, frutto della collaborazione con Corporate Benefits, leader da oltre 15 anni nel mercato delle convenzioni aziendali. Una piattaforma multicanale web e mobile accessibile dall’Area Riservata ricca di agevolazioni e sconti di grandi marche commerciali oltre a proposte esclusive per noi (trovi già la scuola di lingue MyES, tutto il catalogo e-book di FrancoAngeli al 15% di sconto, l’accesso agli spettacoli del Teatro Comunale di Bologna con il 10% di sconto sul biglietto intero e i servizi di The Language Center per l’internazionalizzazione linguistica e manageriale). La sezione è in costante aggiornamento.

Non hai ancora rinnovato la tua iscrizione ad AIDP? Fallo subito, cosa aspetti?Con AIDP puoi contare, sempre, su uno spazio aperto di confronto e discussione in cui condividere le sfide e le responsabilità quotidiane, arricchire di nuovi stimoli la tua carriera e anche la tua comunità professionale, far sentire la tua voce con continuità nelle sedi che contano, e avvalerti di tanti servizi tra cui AIDPore9.30 la tua rassegna stampa quotidiana, le convenzioni di AIDP4YOU, le riviste Direzione del Personale ed HrOnLine, tante risorse messe a disposizione dai colleghi impegnati in ricerche e progetti, un’offerta convegnistica di alto livello per l’aggiornamento delle tematiche HR, la possibilità di partecipare a gruppi di lavoro sui temi che ti stanno a cuore, ma soprattutto... il piacere di stare insieme e ri-trovarsi.

Il 13 febbraio ci ha lasciato Franco Cerisola, Presidente Nazionale AIDP dal 1985 al 1987. Lo ricordiamo con le parole dell’amico Luigi Di Marco Past President AIDP

AIDP E FRANCOANGELIGlobalizzazione e sviluppo tecnologico stanno sollecitando la funzione verso un profondo rinnovamento di ruolo, metodi e senso del proprio agire. Obiettivo di Hr Innovation è favorire il dibattito attorno a questi temi. La Collana AIDP - FrancoAngeli, curata da Paolo Iacci e Luca Solari, di cui in questo numero recensiamo il terzo titolo Essere capi con il “nuovo” Management by Objective (pag. 68) offre le più significative idee, tendenze ed esperienze a livello nazionale ed internazionale che possano aiutare l’innovazione in atto non solo nella funzione HR ma, più in generale, nella gestione e nella crescita delle persone all’interno delle organizzazioni. La collaborazione riserva una convenzione per i Soci AIDP che, attraverso la piattaforma AIDP4YOU, potranno acquistare i titoli della Collana, ma anche tutto il catalogo della saggistica FrancoAngeli, in ebook, al 15% di sconto.

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NUMEROmarzo 2020marzo 2020192

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STORIE 44 #EVOLUZIONI CON LE FRECCE TRICOLORI }{

In questo periodo, parlare di produttività è più importanteche mai. Per lasciarci alle spalle incertezza e sfiducia, e ricominciare più forti di prima

NONARRENDIAMOCI

Le aziende 23. Esselunga 29. Konica Minolta 32. CIAM