Noir, Ale C., Claude, Fra, Juls, Medea Knight, DustAngel...

252
Traduzione a cura di The Books We Want To Read Revisione di Noir, Ale C., Claude, Fra, Juls, Medea_Knight, DustAngel Link pagina: https://www.facebook.com/The-books-we-want-to-read- 258712084286861/ Link sito: http://thebookswewantoread.altervista.org/

Transcript of Noir, Ale C., Claude, Fra, Juls, Medea Knight, DustAngel...

Traduzione a cura di The Books We Want To Read

Revisione di Noir, Ale C., Claude, Fra, Juls, Medea_Knight, DustAngel

Link pagina: https://www.facebook.com/The-books-we-want-to-read-

258712084286861/

Link sito: http://thebookswewantoread.altervista.org/

Per la mia cara amica Tess Sharpe, che mi ha insegnato ad accettare le mie storie

cupe e a raccontarle al mondo.

Indice

Capitolo 1 ...................................................................................... 5

Capitolo 2 .................................................................................... 13

Capitolo 3 .................................................................................... 18

Capitolo 4 .................................................................................... 23

Capitolo 5 .................................................................................... 26

Capitolo 6 .................................................................................... 31

Capitolo 7 .................................................................................... 36

Capitolo 8 .................................................................................... 41

Capitolo 9 .................................................................................... 48

Capitolo 10 .................................................................................. 55

Capitolo 11 .................................................................................. 60

Capitolo 12 .................................................................................. 66

Capitolo 13 .................................................................................. 71

Capitolo 14 .................................................................................. 78

Capitolo 15 .................................................................................. 85

Capitolo 16 .................................................................................. 93

Capitolo 17 .................................................................................. 98

Capitolo 18 ................................................................................ 102

Capitolo 19 ................................................................................ 110

Capitolo 20 ................................................................................ 115

Capitolo 21 ................................................................................ 125

Capitolo 22 ................................................................................ 131

Capitolo 23 ................................................................................ 135

Capitolo 24 ................................................................................ 143

Capitolo 25 ................................................................................ 150

Capitolo 26 ................................................................................ 155

Capitolo 27 ................................................................................ 163

Capitolo 28 ................................................................................ 172

Capitolo 29 ................................................................................ 175

Capitolo 30 ................................................................................ 182

Capitolo 31 ................................................................................ 187

Capitolo 32 ................................................................................ 197

Capitolo 33 ................................................................................ 205

Capitolo 34 ................................................................................ 210

Capitolo 35 ................................................................................ 214

Capitolo 36 ................................................................................ 226

Capitolo 37 ................................................................................ 232

Capitolo 38 ................................................................................ 236

Capitolo 39 ................................................................................ 244

Glossario .................................................................................... 247

Ringraziamenti .......................................................................... 252

5

Capitolo 1 Traduzione: Veru

Correzione: Medea_Knight

Ricordo che l’aria intorno a me sembrava bruciare di cenere. Ricordo la sua spada

tagliarmi la pelle della gola e un caldo rivolo di sangue scendermi sul collo. Che la

guerra intorno a me era sembrata calmarsi e rallentare, come se il tempo si fosse

fermato.

Eravamo solo io e Lonnrach, la mia vita appesa alla punta della sua spada. Una

piccola spinta…

Buio.

Le mie palpebre sono pesanti e bruciano. Nella mia mente scorrono rapidamente

immagini della battaglia, di quei momenti preziosi che avevo per risolvere il rompicapo

del dispositivo delle Falconiere per intrappolare di nuovo le fate sottoterra, prima che

fosse troppo tardi. Lo scudo di luce che mi circondava che cominciava a indebolirsi,

disintegrandosi sotto la forza degli attacchi delle fate.

Una risata mi strappa ai miei ricordi. Altre voci si intermezzano alle immagini. Dove

sono? Intorno a me riecheggiano accenti melodiosi come quello di Kiaran, dolci parole

sussurrate che non conosco e non capisco.

Apri gli occhi, mi ordino. Apri gli occhi. Il panico mi costringe a svegliarmi, vedo

un minuscolo lampo di luce prima che mi spingano di nuovo giù, una mano intorno

alla mia gola e un dolore lancinante alla tempia.

«Non ho detto che puoi muoverti.» Le parole escono in un sibilo, vengono

pronunciate tra fila di denti affilati contro il mio collo.

Mi paralizzo. Resto immobile, anche quando qualcuno mi graffia il braccio con

unghie abbastanza affilate da farmi uscire sangue. Una risata profonda e vibrante. Un

sussurro nel mio orecchio, un alito caldo contro la mia gola.

Hai perso. Ora sei mia.

Poi sogno di nuovo. Ricordi della mia vita precedente, delle volte in cui sono quasi

morta. Una serie di esperienze quasi fatali, una dietro l’altra. La prima volta, quando

Kiaran mi aveva salvata dallo spirito marino. Le molte volte successive: centinaia di

fate senza nome che avevo massacrato e che, a loro volta, avevano lasciato il loro segno

su di me. La prima che mi aveva lasciato una cicatrice. La prima che avevo ucciso con

Kiaran, quando la sua espressione aveva mostrato qualcosa di simile all’orgoglio.

Le uccideremo tutte, mi aveva detto con il fantasma di un sorriso sul volto.

Il ricordo svanisce come fumo. D’un tratto, sono di nuovo sul campo di battaglia. La

mia armatura è così pesante che ciascun movimento è un’agonia. Il corpo immobile di

Kiaran è accanto a me, da sotto la bruciatura che ha sulla guancia s’intravede un osso

scintillante. È morto?

6

No, non è morto. Non può essere morto. Gli urlo addosso, prendendolo a pugni.

Svegliati. Svegliati! Svegl…

Apro gli occhi di scatto e li richiudo altrettanto in fretta davanti alla luce. Prendo un

respiro e sussulto per il dolore martellante che mi trafigge il cranio. Mi premo la base

del palmo della mano contro la tempia.

È bagnata.

Ritraggo la mano e sbatto le palpebre fino a schiarirmi la vista annebbiata. Ho le dita

cosparse di sangue, residui viscosi della mia ferita.

Non ho detto che puoi muoverti.

La mia armatura è sparita. Vedo che ho degli schizzi di sangue secco sul petto che

portano a tre segni distinti di artigli che risaltano sul mio braccio. La pelle è appena

lacerata, come se fosse una minaccia. Un avvertimento.

Hai perso. Ora sei mia.

Il terrore m’invade, ma scuoto la testa per respingerlo. Concentrati. Orientati.

Questo pensiero ha la voce di Kiaran, una delle sue lezioni pratiche. Il solo pensare a

lui quasi mi ostacola, una rapida successione di dov’è è morto i miei cari sono morti,

ma il suo consiglio pratico mi ferma di nuovo. Osserva ciò che ti circonda.

Contengo le mie emozioni, soffocando il panico rovente per far spazio alla fredda

razionalità. Indosso una sottoveste come quella di Sorcha: aderente e elegante.

Accarezzo il tessuto setoso… ma non assomiglia per niente alla seta che conosco io. È

più liscia, lucida e calda. Come se avessero intrecciato piume di corvo e fiori per creare

questo indumento. Le maniche mi stanno larghe sui polsi, il tessuto scivola quando

sollevo le braccia. Ai piedi ho delle scarpette delicate, fatte di orchidee scure e perline

di metallo cucite insieme.

Dopo un rapido esame delle mie ferite, alzo lo sguardo per vedere dove sono. Oh,

Dio. La paura filtra nella calma distaccata e sistematica che avevo raggiunto. Non può

essere vero. O sì?

Sono su una lastra di pietra nera che brilla come ossidiana e fluttua su una valle di

rocce sporgenti, un crepaccio che si estende ben oltre la mia visuale. È come se la terra

si sia spaccata al centro in due metà, e delle piattaforme come la mia si librino sullo

spazio vuoto come foglie trascinate dalla corrente.

Sulle altre lastre sospese si ergono degli edifici, tra i quali c’è un castello posizionato

su una roccia; la pietra dentellata sul fondo è affilata come delle lame. Il castello è

magnifico, la più bella struttura che abbia mai visto. Sembra fatto di un metallo puro e

scintillante, c’è solo un luccichio che rivela la sua origine ultraterrena. Anche da questa

distanza ha la lucentezza variopinta dell’opale. Ai lati del castello ci sono delle torri

frammentate che circondano una cupola colorata di rosso, oro e azzurro, simile ad

ammassi di stelle.

Altri edifici fluttuano sulle loro piattaforme sotto il castello che vola più in alto,

sospesi nel vasto spazio tra le scogliere torreggianti. Alcuni hanno dei tetti a cupola

fatti di metallo e altri di roccia scintillante, come ricavati da zaffiri purissimi.

Al contrario, le scogliere ai miei lati sono monocromatiche, senza una singola traccia

di colore a spezzarne l’uniformità. Anche gli alberi sembrano fatti di vetro, con dei

rami sottili e a punta che sembrano abbastanza affilati da poter uccidere. Sotto gli

7

alberi, lungo la facciata della scogliera, brillano dei fiori e dei delicati boccioli di

ghiaccio iridescente.

Quando inspiro, l’odore gelido dell’inverno mi fa dolere il petto. È lo stesso odore

della spiaggia dopo una nevicata. Come sale e ghiaccio nel vento, con un accenno di

qualcosa simile a mirra.

Sto sognando. Deve essere un sogno. Premo i palmi contro la roccia fredda ai miei

piedi, passando le dita sulla superficie lucida. Sui bordi della piattaforma ci sono delle

piccole schegge che si conficcano nella mia pelle, lasciando segni rossi e doloranti.

Non è un sogno. Non è un sogno. Un respiro dettato dal panico mi scaturisce dai

polmoni. Ritraggo la mano con uno scatto e mi alzo in piedi, fermandomi al limitare

della piattaforma.

Commetto l’errore di guardare giù.

Mi si contorce lo stomaco. Sotto di me c’è solo buio, un scarpata che finisce nel

vuoto. Dall’oscurità sottostante non filtra alcuna luce e non c’è niente a cui possa

aggrapparmi in caso di fuga. Non ci sono altre piattaforme vicino, né rocce su cui

saltare, e gli edifici fluttuanti sono troppo distanti.

Questa è una prigione e l’unica via di fuga è un salto mortale. Dove diamine mi

trovo?

«Bene. Sei sveglia.»

Mi giro e vedo Lonnrach su una piattaforma più piccola della mia. Distratta come

sono, non mi sono nemmeno accorta del sapore del suo potere, il languido tocco dei

petali di fiori contro la lingua e il dolce sapore del miele e della natura. La sua armatura

scintillante da fata è sparita. È vestito come un essere umano, con un paio di pantaloni

grigio fumo e una camicia bianca di cotone. I suoi capelli bianchi come il sale sono

tirati all’indietro, raccolti sulla nuca.

Tiene gli occhi sulla ferita che ho alla testa. «Speravo che non ti causasse danni

permanenti.»

Perché? Faccio per chiedere, ma il solo vederlo in vita mi riempie di rabbia. Sposto

lo sguardo sul segno che ha sulla guancia, quello causato dalla mia spada. Avevo

l’opportunità di ucciderlo e non l’ho colta. Non rifarò quell’errore.

«Dove siamo?» chiedo. La mia voce è roca, la gola secca. Calma. Stai calma.

«Nel Sìth-bhrùth, in quello che un tempo era il Regno degli Unseelie.» Mentre lo

sguardo di Lonnrach indugia sulle rocce sporgenti ai nostri lati, la sua espressione si

indurisce. «Quello che ne resta.»

Se fossimo in una sala da ballo e non sapessi che Lonnrach non è umano, direi che

è estremamente bello. Magnetico. Ma questo fa parte del suo fascino fisico, della sua

capacità di sedurre facilmente vittime umane; un’abilità che possiedono tutti i daoine

sìth. Quel potere mi ha tentata sul campo di battaglia, ma ora è solo il bastardo che mi

ha ferito, mi ha fatto sanguinare, mi ha catturato e….

«Se hai fatto qualcosa alla mia terra…» La mia voce si abbassa, pericolosa. «Ti

uccido.»

Ti ucciderò lo stesso. Solo che farò con comodo.

Lonnrach inclina leggermente la testa. Le sue labbra si sollevano lentamente in

segno di divertimento, come se ci trovassimo ad un incontro e lui intraprendesse un

8

tentativo di seduzione. Il suo sorriso è irritante. Allude a io so qualcosa che tu non sai

e di qualsiasi cosa si tratti riesce a spezzare il controllo che avevo raggiunto a fatica.

«Ah, sì?» chiede.

Mi mordo la lingua per impedirmi di chiedergli di Kiaran, di tutti i miei cari. Non

posso fargli capire che ho paura che siano tutti morti. Devo fingere di non provare

nulla.

Sfioro con le dita la mia collana di seilgflùr, intrecciato in un unico filo. Il soffice

cardo è letale per la specie di Lonnrach, abbastanza efficace da bruciargli la carne.

«Potrei stringertelo intorno al collo, se volessi. Non è una morte veloce. L’ho visto in

azione.»

Lonnrach si infila le mani nelle tasche dei pantaloni e sono sicura che se sulla sua

piattaforma ci fosse qualcosa su cui appoggiarsi, lo farebbe. Freddo, disinvolto,

nemmeno un po’ preoccupato.

Forse anche lui è bravo a mentire. Come me.

«Non sei nella posizione di fare minacce» dice piano, guardando il punto più basso

e scuro del crepaccio.

Cerco di impedirmi di guardare anch’io. Anche se riuscissi ad uccidere Lonnrach,

sarei in trappola. Spingerlo giù non è un’alternativa: probabilmente sopravvivrebbe alla

caduta, accidenti al suo corpo indistruttibile da fata.

Calmo la mia espressione per apparire fredda, distaccata. Mi ci vuole tutto il talento

nell’inganno che ho acquisito da quando ho scoperto che le fate sono reali e che una di

loro ha ucciso mia madre. Con le fate, è tutto un gioco. Persino il dolore. Se gliene

dessi occasione, Lonnrach lo userebbe contro di me, per tormentarmi. Devo giocare

anch’io.

Un respiro, due, per calmarmi. «Come faccio a sapere che non è un inganno?» La

mia voce è quasi scherzosa, un rimprovero. È calma come un ruscello di montagna.

Sono una bugiarda magistrale. Dopotutto ho imparato dal migliore. «Questo posto.»

L’espressione di Lonnrach non cambia. «Non lo è.»

Penso al suo sorriso fugace e alla possibilità che tutto ciò a cui tengo non ci sia più.

In tal caso non ho davvero niente da perdere, se agisco in modo avventato.

Ma Lonnrach sì. C’è ancora una cosa che gli serve: io. Se così non fosse, sarei già

morta.

È ora di metterlo alla prova. Mi avvicino al bordo della mia piattaforma più vicino

a lui. «Quindi se faccio questo…» Mi reggo su un piede solo, sulle punte, vicinissima

alla sporgenza. «E cado, mori…»

Prima che possa anche solo battere ciglio, Lonnrach è già saltato dalla sua

piattaforma. Il suo corpo cozza contro il mio, facendomi cadere con tanta forza che

temo cadremo dall’altra parte e io finirò lo stesso per morire.

Non succede. Alla fine mi tira su, la sua mano mi stringe dolorosamente il braccio.

I suoi occhi argentati brillano di rabbia. Sono sorpresa da questo sfoggio di emozione.

Le fate sembrano sempre controllate, tutti i loro sentimenti perfettamente celati.

«Sei una ragazza sciocca» dice.

Ora lo so per certo. Lonnrach ha dimenticato la regola principale del nostro piccolo

gioco: mai far capire al nemico quanto ti serve qualcosa. Gli servo viva, non come una

9

semplice prigioniera di guerra. Per questo aveva paura che la mia ferita alla testa

potesse causare danni permanenti.

Ma non posso concentrarmi su questo. Non posso. La domanda che desidero davvero

fargli – se ha ucciso tutti i miei cari – mi resta impigliata alla gola. Perciò provo a farne

un’altra. «Dov’è Kiaran?»

Non mi sfugge che Lonnrach distoglie brevemente lo sguardo, come se prima

cercasse di controllare la sua espressione. «Sua sorella ha ucciso i miei uomini per

salvarlo.» Il suo sorrisetto è crudele, mi colpisce dritto al cuore. «Evidentemente non

pensavano valesse la pena salvarti.»

Un altro ricordo di Kiaran sul campo di battaglia mi attraversa la mente. Del suo

corpo immobile e del suo volto bruciato. Svegliati. Svegliati! Non riuscivo a farlo

muovere. Non aveva nemmeno mosso le ciglia.

Lonnrach mi aveva detto che Kiaran era vivo, ma, se fosse stato vero, non mi avrebbe

mai abbandonata. Non poteva averlo fatto.

«Provi qualcosa per lui.» Le dita di Lonnrach mi stringono il mento, costringendomi

a guardarlo. «Ti ha fatto credere che tenesse a te.» Sembra quasi dispiaciuto per me,

ma so che deve essere un inganno. «A Kadamach non frega niente di nessuno, te meno

di tutti.»

Fingi che le sue parole non ti tocchino. Ci provo, ma poi le parole di Kiaran di quella

notte mi sussurrano nella mente. Ti ho mai detto il giuramento che fa un sìthiche

quando si impegna con un altro? Un bacio leggero come una piuma, poi due parole

contro le mie labbra che avevo sentito fin dentro l’anima. Aoram dhuit.

Io ti venero.

Le crudeli parole che Lonnrach pronuncia dopo interrompono il mio ricordo: «Non

sei il primo giocattolo umano che butta via.»

Prima che possa fermarmi, mi sottraggo alla presa di Lonnrach e gli tiro un pugno

in faccia. Lui barcolla all’indietro. Gli do una ginocchiata sulla pancia e gli tiro un altro

pugno. E un altro ancora. Mi ritraggo per continuare a colpirlo, ma lui mi prende per il

polso e mi piega dolorosamente il braccio all’indietro. È alle mia spalle, il suo respiro

mi solletica il collo.

«Ti servo viva.» Deglutisco per separare il dolore dalla mia voce. Mi dimeno per

liberarmi dalla sua stretta, ma lui mi tiene ferma. Ogni mio movimento è straziante.

«Perché?» Vedendo che non risponde, insisto. «Perché?»

«Sei in grado di sbloccare un oggetto che cerco. Questo è il tuo unico scopo.»

Capisco il significato sottinteso delle sue parole: e quando avrò ciò che voglio, ti

ucciderò.

Tiro indietro la testa e gli colpisco il naso. Lo schiocco appagante della cartilagine e

la sua imprecazione sorpresa nella lingua delle fate mi fanno sorridere. Lo aggiro, ma

lui è troppo veloce. Mi stringe in una morsa, le dita che si conficcano nel polso della

mano con cui impugno la spada. Se faccio un movimento improvviso me lo spezza.

Guarisco più in fretta di un normale essere umano, ma preferirei non scoprire quanto

impieghino le mie ossa a ritornare a posto.

Aumenta la presa in un avvertimento velato. Stringo i denti per sopportare il dolore.

«Se sapessi cosa stai cercando, lo distruggerei piuttosto che fartelo avere.»

10

Sento il suo corpo fremere di rabbia. «Proprio non capisci, vero? Credi sia solo una

guerra. La tua specie contro la mia.»

Questo mi sorprende. «Non è così?»

«Guardati intorno, Falconiera.» Fa un gesto con la mano libera, un rapido

movimento che include tutto il paesaggio. «Credi che sia sempre stato così? Il Sìth-

bhrùth un tempo era tinteggiato da un migliaio di colori diversi che i tuoi occhi da

umana non hanno mai visto. La terra era unita e ora è spaccata al centro. Sta cadendo

tutto a pezzi.»

Mi tira più vicino, allentando un po’ la pressione che esercita sul mio polso. «Ti ho

portata qui per mostrarti questo baratro. È un promemoria del fatto che un giorno non

molto lontano tutto questo diventerà polvere. I regni stanno morendo e il trono che si

trova qui sta svanendo. Ha già cominciato.»

Non posso evitare di guardare le scogliere ai nostri lati, osservando che il paesaggio

è costituito da sfumature di grigio e nero. Che gli edifici che fluttuano al centro sono

gli ultimi rimasugli del luogo che sta descrivendo Lonnrach. «Non capisco cosa c’entri

io in tutto questo.»

«Ciò che cerco potrebbe salvare il Sìth-bhrùth. Tu sei la chiave per trovarlo.»

Mi soffermo su queste parole. Non che a me importi qualcosa del Sìth-bhrùth, ma

forse a Kiaran sì. Ovviamente mi ha parlato ben poco del regno delle fate. Una volta

mi ha detto che era bello e brutale, che lo amava e lo odiava allo stesso tempo. Mi

chiedo se valuterebbe la possibilità di salvare questo luogo.

Ma prima c’è una cosa che devo sapere. Faccio la domanda che ho evitato finora:

«Perché dovrei salvare la tua casa invece della mia?»

Il silenzio di Lonnrach è assordante; smisurato, eterno. Non avrebbe reagito così, a

meno che… a meno che…

Non ho più una casa da salvare.

Mando giù il nodo che ho in gola. «Fammi vedere.» Vedendo che esita, sbotto.

«Subito.»

Lonnrach mi lascia andare il polso. Prima che possa muovermi, porta le sue dita tra

i miei capelli, premendole contro la ferita che ho sulla tempia.

Poi sbatto le palpebre… e mi ritrovo nell’inferno.

Mi è impossibile cogliere tutto, quasi non riesco a concentrarmi. Dal cielo piove

cenere, che scende volteggiando come neve. Tutto intorno a me ci sono edifici distrutti,

come se qualcosa li avesse colpiti con una forza tremenda. I sassi sono frantumati, le

strade sono a malapena visibili attraverso lo spesso strato di cenere. Faccio fatica a

vedere al di là degli edifici che mi trovo davanti, il fumo è troppo intenso. Sento l’odore

del legno bruciato, di metallo e di pietra, e sento i polmoni comprimersi.

I turbinii di polvere e fuliggine si placano quanto basta perché capisca dove mi trovo.

Princes Street. Ciò che ne rimane. Dei negozi che fiancheggiavano un lato della strada

non ne resta quasi nessuno. Lo Scott Monument, il bel monumento color avorio che

avevano completato qualche mese prima della battaglia, giace a terra su un fianco. La

statua di Scott è stata ridotta in polvere.

Sono stata io. Sono stata io è colpa mia sono morti ed è tutta colpa mia. «Basta.» La

parola mi esce in un sussurro soffocato, a malapena udibile. «Ho detto basta!»

11

D’un tratto sono di nuovo nel regno delle fate. Sono in ginocchio sui resti acuminati

di ossidiana. Calde lacrime mi annebbiano la vista mentre faccio dei respiri soffocati.

Com’è potuto succedere tutto questo in così poco tempo? Mi porto le dita sulla ferita

che ho sopra l’orecchio. È ancora bagnata. Cerco disperatamente il taglio che mi ha

causato Lonnrach quando ha premuto la spada contro la mia gola sul campo di

battaglia. È infiammato, brucia ancora. Non ho ancora cominciato a guarire.

«È un inganno» dico. Deve essere così. Le fate non avrebbero potuto distruggere

Edimburgo tanto velocemente. «Le mie ferite sono ancora fresche.»

Lonnrach non si muove, nemmeno per inginocchiarsi accanto a me. «Sei nel Sìth-

bhrùth» dice semplicemente.

Chiudo gli occhi. Oh, Dio. Ho dimenticato la regola più semplice di tutte: il tempo

scorre più in fretta nel mondo umano. Anche se ero da poche ore nel regno delle fate,

lì erano passate settimane. I giorni qui avrebbero potuto essere mesi.

«Da quanto sono qui?» sussurro, odiando il terrore che ho nella voce. Odiando il

fatto che abbia mostrato a Lonnrach questa piccola debolezza. «Là fuori. Quanto è

passato?»

«Non so come funzioni il tempo per gli umani.» Sembra indifferente, incurante.

«Giorni. Settimane. Mesi. Anni. Significano ben poco per me. A me importa solo

trovare l’oggetto nascosto nel vostro regno. E tu mi aiuterai a farlo, volente o nolente.»

Non riesco a togliermi le immagini di distruzione dalla testa. L’ho causata io. Ho

contribuito. Cos’avranno pensato di me Derrick e Gavin, alla fine? Catherine? Avranno

pensato che sono morta o che li ho abbandonati. Che ho smesso di lottare.

Nuove lacrime mi bruciano sulle guance quando guardo Lonnrach. «Quindi hai

distrutto tutto nel tuo tentativo di ricerca. Hai sacrificato il mio regno per salvare il

tuo.»

L’espressione di Lonnrach non cambia. «Parli come se avessi avuto scelta. Tu ci

avresti massacrati tutti per salvare loro. I tuoi umani.» Ora si inginocchia. Il suo volto

è vicinissimo al mio. «Tu uccideresti per proteggere la tua specie. Vale per entrambi.

Siamo uguali, noi due.»

Il sussurro di Kiaran risuona nei recessi della mia mente. Ti ho resa uguale a me.

Una creatura notturna. Un demonio. Un mostro che gioca con la morte e la

distruzione. Siamo uguali, noi due.

E sia. Incateno lo sguardo a quello di Lonnrach e vedo un lampo di vulnerabilità…

paura. Ottimo. Fa bene ad avere paura di me. «Spero che il tuo regno marcisca. Lo

ridurrò in cenere io stessa.»

L’espressione di Lonnrach diventa dura, arrabbiata. «Ancora minacce. Potrei

lasciarti qui per tutto il tempo che voglio. Potrei metterti in una scatola a tenuta stagna

e gettarti nel mare qui sotto, lasciandoti lì finché non mi servirai. All’esterno

potrebbero passare mille anni e tu resteresti comunque giovane come il giorno in cui ti

ho portata qui. Sei alla mia mercé.»

Nel mare qui sotto. Ecco cosa c’è sul fondo delle scogliere. Per questo mi sembra di

sentire un respiro. Sono le onde che s’infrangono sulla roccia, colpendo le pietre contro

il fondale della scarpata.

12

Prima che possa rispondere, Lonnrach è già tornato sulla sua piattaforma, un salto

di almeno sei metri, un salto che io non potrei mai sperare di riuscire a fare. Lui torna

a guardarmi. «Non hai scelta, Falconiera. Se questo posto brucia, tu morirai con noi.»

13

Capitolo 2

Traduzione: Ella

Penso a migliaia di potenziali modi per scappare. Provo ad usare il mio peso per

spingere la piattaforma più vicino alla scogliera. Faccio un salto e i miei piedi

colpiscono il terreno di onice così forte da mandare una scossa attraverso il mio corpo,

ma non tanto da muovere la piattaforma.

Invece fluttua costantemente nella gola come se l’aria fosse un fiume. Il castello e

gli altri edifici sono alla stessa distanza di prima; né più vicini né più lontani.

Passano minuti o ore, non saprei dirlo. Ora so perché Lonnrach ha rimosso il

concetto di tempo; non esiste qui. La luce è sempre uguale: una grigia, nebbiosa foschia

dall’atmosfera molto simile a quella a cui sono abituata a casa. Le pesanti nuvole di

pioggia non si muovono mai, anche se la piattaforma scorre lungo lo spazio vuoto e i

paesaggi cambiano.

Non ho mai visto un’altra fata; neanche l’ombra di una figura nei maestosi edifici

fluttuanti nello spazio. Questo posto è desolato, vuoto. Se avessi urlato, nessuno mi

avrebbe sentito.

Questa deve essere la strategia di Lonnrach: isolarmi, rendermi inoffensiva, usarmi,

e poi uccidermi.

Mentre la mia piattaforma continua a muoversi, cerco qualche mezzo di fuga,

qualsiasi. Ma la gola è sfiancante, costantemente in mutamento e tuttavia senza fine.

Passo in uno scenario in continua evoluzione di montagne e foreste, tutte dello stesso

nero monocromatico. Fluttuo attraverso campi di fiori di vetro e foreste di alberi di

metallo nero che sono così scuri e fitti che non riesco a vedere la luce oltre essi.

È come se il paesaggio fosse un disegno a carboncino. Le scarpate su entrambi i miei

lati sono incise nel buio, tratti aggressivi, la roccia aspramente sporgente su entrambi i

lati.

La terra era unita, e ora è spaccata proprio in mezzo.

Mentre il tempo passa, noto che sempre più spesso delle rocce si staccano dai dirupi

frastagliati e precipitano nella fenditura. Questo posto si sta sfaldando pezzo per pezzo

e trasformando in polvere.

Proprio come Edimburgo. Tutti quegli edifici ridotti in macerie sulla strada.

Scomparsi. Proprio come…

Chiudo con forza gli occhi e mi stringo le ginocchia al petto, seduta sulle rocce

pungenti. Provo a bloccare tutto, le immagini. I miei ricordi. I miei sentimenti.

Molto sotto la mia piattaforma, il mare respira. Ascolto il calmo inspirare espirare

inspirare espirare dell’acqua contro la Terra e fingo di essere in qualche posto là.

Scozia. Il regno degli umani. Fingo che ci sia ancora un posto da salvare. Che le persone

a cui tengo siano sopravvissute.

Fingo di non essere l’unica rimasta.

14

Quando mi sveglio, il respiro delle onde lontane di un oceano sono sparite e tutto è in

silenzio. La brezza fredda invernale si è calmata.

Apro gli occhi e mi rendo conto di non essere più nella gola. Non sono più distesa

sulla roccia affilata della piattaforma, ma piuttosto su un pavimento liscio e freddo.

L’unico promemoria di quel posto sono delle macchie rosse sulle mie braccia dove

l’ossidiana aveva premuto sulla mia pelle e lasciato delle impronte, destinate a sparire

presto. Un promemoria temporaneo.

Rotolo sulla schiena, sussultando ad un pensiero improvviso, che mi colpisce come

la lingua guizzante di un serpente.

Non importa dove sei. Sei sola adesso perché hai lasciato morire tutti. Non li hai

salvati. Tu…

Affondo le unghie nel mio palmo. Il dolore mi fa concentrare; un trucco che ho

imparato per mettere a tacere il senso di colpa dopo l’assassinio di mia madre. Tutto

ciò che serve è un pizzico, un piccolo schizzo di sangue, e il è colpa tua è colpa tua è

colpa tua viene spinto in fondo al mio petto dove lo tengo sempre, una dolorosa ferita

interna. È sopportabile, almeno per un po’.

Quando il pensiero è passato, apro gli occhi. E ora dove sono?

Sopra di me arcate a volta fatte di specchi che sono tutte concentrate al centro della

stanza dove giaccio io. Il pavimento sotto di me è ricoperto con vivide viti verdi,

appiattite contro il terreno come se fossero cresciute così. È il primo segno di un colore

della natura che vedo nel regno delle fate; l’unica cosa che non fosse vetro o pietre nere

o metallo. È cresciuta lungo l’intero pavimento e serpeggia su per i muri in mezzo agli

specchi.

Sono in mezzo al fogliame, i ricci color rame dei miei capelli desolati contro la

vegetazione. Addirittura dal soffitto riesco a vedere le lentiggini sulle mie guance e

l’inizio delle mie spalle dove la sottoveste lascia la mia pelle scoperta.

Il sangue è sparito, pulito via come se le mie ferite non fossero mai esistite. Premo

una mano sulla tempia, il mio collo. Sono entrambi guariti, cicatrici fini come aghi

dove la punta della spada mi ha trapassato la carne.

Fremo di disgusto al pensiero che loro mi hanno toccata, curata e lavata mentre ero

addormentata. So che non lo hanno fatto per gentilezza.

Tu puoi trovare un oggetto che cerco. Quello è il tuo unico scopo.

Devo andarmene da qui. Potrei non avere una casa in cui tornare, ma Kiaran è ancora

lì fuori. Forse Gavin e Derrick sono sopravvissuti fuggendo con il mio ornitottero.

Forse forse forse. Forse sono morti.

Spingo via il pensiero e mi alzo in piedi. Quel che all’inizio ho creduto una camera

è in realtà una stanza vasta come una sala da ballo, coperta fino al soffitto di specchi.

Mi guardo attorno, cercando una porta, qualche via di fuga, ma mi fissa di rimando

solo il mio riflesso.

Ogni riflesso è diverso. Uno con una sottile espressione beffarda. Uno con

un’espressione caria di dolore. Uno con la pelle macchiata di sangue e occhi di un verde

15

lampante e vivido come quelli di un diavolo. Quella Aileana mi terrorizza più di tutte;

il suo sguardo è pesante, tagliente come il filo di una lama.

Come se volesse strapparmi il cuore e godesse nel farlo.

Faccio un passo indietro ma lo specchio sembra solo avvicinarsi. Lo sguardo

dell’Aileana violenta trattiene il mio. Un brivido si diffonde per il mio braccio,

tagliente come mille spilli.

E poi sorride.

Corro. Più veloce che posso con queste dannate scarpette che indosso. Mi sembra di

aver passato mille specchi, mille versioni diverse di me, e di non aver mai raggiunto la

fine della stanza. Anche se la parete laterale si schiaccia, la stanza si estende in

lunghezza. Quell’ultimo specchio sembra essere sempre più lontano.

L’Aileana violenta è vicina, il suo riflesso sovrasta tutti gli altri. La sua presenza è

tangibile come unghie che graffiano a sangue la mia schiena mentre corro, inesorabili

e affilate. La sua immagine indugia nella mia mente come se stessi ancora guardando

nello specchio, i suoi occhi uno scintillante peridoto come quelli di Sorcha, la fata che

ha ucciso mia madre. È mostruosa, inumana. È la morte.

Lei è tutte le volte che ho ucciso e ne ho provato piacere. Il rosso ti dona.

Qualcosa si spezza dentro di me, scatenando un torrente di ricordi che non riesco a

controllare. Mia madre, la notte del mio debutto, che mi abbraccia così forte che mi

fanno male le costole. Mia madre stesa sulla strada, morta. Io, che urlo il suo nome e

nessuno mi sente.

Colpisco un muro di specchi, le mie dita graffiano sulla superficie. Colpisco con un

pugno lo specchio più vicino per romperlo, solo per scoprire che non è vetro.

È roccia.

Dannazione dannazione dannazione. Agitando il pugno dolorante, torno indietro.

Due mani mi afferrano le spalle, girandomi rudemente.

Lonnrach.

Il mio primo istinto è quello di combattere, di spingere il mio tacco nella sua rotula,

ma i miei piedi si aggrovigliano nelle viti lungo il pavimento. Le piante si alzano,

avvolgendosi intorno alle mie gambe mentre lotto. Provo a scalciare, a fare qualcosa,

ma non riesco neanche a muovermi. Provo a raggiungerlo con le mani, ma le viti si

stringono attorno ai miei polsi.

«Più combatti, più cresce velocemente.»

Il mezzo sorriso di Lonnrach è beffardo. Si è cambiato. In questo momento è vestito

tutto di nero, dai pantaloni alla camicia. Persino la sua giacca lunga e fatta su misura

non ha un accenno di colore.

Continuo a muovermi e, ovviamente, la vite ferma la sua ascesa sui miei fianchi.

«Quindi, è questa la mia nuova prigione?» Provo ad imitare il suo tono pungente. Mi

piego in avanti con il mio sorriso beffardo, pura spavalderia, ma dal modo in cui serra

la mascella, è abbastanza efficace. «Suppongo che fosse diverso un tempo. Più bello o

colorato. Solo un altro esempio di come il tuo regno stia andando in rovina.»

Spero che questo posto bruci. Spero di riuscire a bruciare questa caverna degli

orrori.

16

Il viso di Lonnrach si indurisce. Le sue dita sono sul mio collo, scendendo in basso.

Indietreggio, e il movimento non fa che incitare la vite a crescere più su sulle mie

braccia. «Non vedo l’ora di vedere da quale ricordo fuggi.»

Un ricordo. L’Aileana violenta era il simbolo di un ricordo. Anche se è sparita dagli

specchi, la sento ancora nei recessi della mia mente. La presenza degli spilli non è

ancora sparita completamente. La sua immagine mi è talmente impressa nella mente

che potrei disegnare in ogni particolare il suo sguardo feroce.

«Che cosa intendi dire?» Provo a mantenere la voce calma, anche se il sussurro di il

rosso ti dona mi sfiora la mente come il colpo veloce di una lama.

«Avevamo scoperto che potevamo estrarre delle informazioni dai ricordi dei nostri

nemici.» Lonnrach fa un passo indietro. Ora si sta togliendo lentamente la sua giacca,

piegandola. «Questa stanza amplifica le immagini e permette loro di prendere forma.

Dal momento che Kadamach è scivolato via dalla mia portata prima che potessi usarla,

dovrò provarla con te.»

Dio. Il primo frammento di paura mi ha fatto rabbrividire. Sorcha aveva già usato i

miei ricordi contro di me, forzandomi a rivivere cose che avrei voluto dimenticare.

«Qualsiasi cosa tu stia cercando, non so dove sia.»

Lonnrach poggia la giacca a terra. Poi arrotola una manica, scoprendo la pelle liscia

e brillante del suo avambraccio. Come se avesse paura di sporcarsi.

«È affascinante il modo in cui funziona la mente umana.» Dice casualmente. «La

mia specie può ricordare senza problemi, i nostri ricordi sono perfettamente intatti. Gli

umani ricordano a tratti. A tutto viene dato un ordine di importanza e il resto viene

represso.» Ora l’altra manica, sempre lentamente. «Ovviamente, questo significa

un’estrazione più lenta, che richiede molto più tempo. La tua mente si romperebbe

troppo facilmente.»

Estrazione più lenta. La tua mente si romperebbe più facilmente. L’avrebbe

fratturata comunque, pezzo dopo pezzo, per trovare ciò che vuole. Posso anche essere

una Falconiera, ma sono comunque umana.

«Se fossi a conoscenza di un oggetto che possa aiutare le fate, me lo ricorderei.»

Dico velocemente, provando a calmare la situazione. E l’avrei trovato e distrutto.

Gli occhi di Lonnrach incontrano i miei. «Hai passato un anno ad allenarti con il mio

nemico e con quella canaglia di un pixie. Suppongo che abbiano parlato spesso di cose

che non capivi.»

Stringo le labbra prima di dire un’imprecazione. Kiaran e Derrick amavano le frasi

enigmatiche, accennando a cose del loro passato di cui entrambi si rifiutavano di

parlare. A volte utilizzavano direttamente un’altra lingua, il Gàidhlig o una lingua delle

fate che gli somigliava, sapendo dannatamente bene che non potevo capirli.

«Anche ciò che tu hai capito potrebbe essere utile.» Continua, «Le loro debolezze.

Le tue debolezze.» Prima che potessi dire qualcosa, Lonnrach è improvvisamente

davanti a me, col mio polso in mano. «Voglio sapere tutto.» Sussurra, con i suoi occhi

grigio acciaio che brillano. «Prenderò ogni ricordo che hai, se è questo ciò che serve.

Devo solo usare il tuo sangue per vedere.»

Il tuo sangue.

17

Un ricordo improvviso di mia madre mi colpisce. Lei nella stretta di Sorcha, i denti

di Sorcha gocciolanti di sangue. Il sangue di mia madre.

No. No no no. La vite si stringe al mio sforzo, afflosciandosi soltanto sul mio braccio

per permettergli di tirarlo su, verso le sue labbra.

Lonnrach apre la bocca e sopra i suoi denti perfettamente bianchi e dritti, scendono

due file di zanne affilate come rasoi.

Proprio come quelli di Sorcha.

Mi immobilizzo, morta dentro. Non avrei potuto muovermi neanche se ci avessi

provato. Anche lui è un baobhan sìth. Una fata simile ad un vampiro, uscito da un

incubo.

Lonnrach pronuncia quattro parole sopra il mio polso, un sorriso lievemente

accennato, e le parole escono in un sibilo: «Questo farà veramente male.»

Poi morde.

18

Capitolo 3 Traduzione: Alecs

Il morso di Lonnrach è come veleno che scorre nel mio corpo, che brucia nelle mie

vene e lungo la mia spina dorsale. Provoca un dolore così intenso che mi fa sentire tutto

e niente nello stesso istante: la mia pelle tesa sopra le ossa, il mio sangue che scorre e

pulsa attraverso le mie membra, i miei muscoli che si bloccano.

Lonnrach alza il capo, solo per un attimo. La sua bocca è imbrattata con il mio

sangue. I suoi occhi sono chiusi. Poco prima che io senta nuovamente il tocco delle sue

zanne, sussurra, «Hai il sapore della morte».

I ricordi esplodono nella mia testa, le immagini scorrono così veloci che non riesco

neanche ad afferrarle. All’inizio sono solo pensieri insignificanti, un replay di quando

mia mamma era ancora in vita. Quando le mie giornate erano piene di galateo, tè,

lezioni di ballo e serate passate ad inventare con lei.

Riesco a sentire Lonnrach che le scarta, considerandole insignificanti.

La risata di mia mamma mi risveglia dal mio stupore. Sto quasi per urlargli di

smetterla, ma tutto ciò che mi permette è di vedere un millisecondo del suo sorriso,

così vivido che sembra che lei sia nella stanza con me. Come se lei fosse proprio qui.

La fragranza del suo profumo all’erica riempie i miei sensi, per poi andarsene in fretta.

Sono rapita. Le immagini mi inondano senza nessuna logica. Le notti prima della

battaglia quando io e Kiaran cacciavamo insieme, quando correvano per la città come

vigilanti. Le immagini sono un torrente di cacce, inseguimenti, morti e addii.

Posso sentire Lonnrach che tenta di portarli a sé in un piccolo ruscello, di rallentare

i ricordi così da poterli ispezionare meglio. Sta tornando all’inizio, alla notte prima che

incontrassi Kiaran.

Non farlo!

Prima che io possa fermarlo, mi ritrovo all’improvviso nel giardino sul retro delle

Stanze dell’Assemblea. Indosso il mio abito di seta bianca con il suo pizzo e i ricami

floreali. Le mie belle scarpette si intravedono sotto l’orlo del vestito, con i boccioli di

rose accuratamente cuciti e visibili sotto il chiaro di luna. Il vin brulé è caldo nel mio

stomaco e la mia visione oscillante e instabile per aver bevuto.

Non farmi ricordare questo, dico a Lonnrach attraverso i miei pensieri. Non c’è

niente qui che ti possa aiutare. Ma le mie proteste lo incoraggiano solo ad aggrapparsi

più forte al mio ricordo. Il quale continua.

So esattamente cosa viene dopo. L’ho rivissuto nei miei incubi notte dopo notte. Per

primo arriva il silenzioso respiro dall’altra parte del giardino che mi spaventa. Mi sto

per voltare e tornare dentro quando sento qualcos’altro – un urlo strozzato, intrappolato

in un sussulto.

No no no. Guardo me stessa che attraversa il giardino verso il cancello che dà sulla

strada. Nonostante tutte le volte che lo ricordi, spero sempre che il finale sia diverso.

19

Spero di andare a cercare aiuto. Spero di tirare fuori un pugnale e combattere. Spero

che qualcuno venga. Spero spero spero.

Ma è esattamente lo stesso. Lo è sempre.

Sento che Lonnrach sta guardando. Guardiamo sua sorella con la faccia premuta sul

collo di mia madre. Sorcha alza la testa per rivelare i denti luccicanti sotto il chiaro di

luna, sporchi del sangue di mia madre che gocciola. Sentiamo la risata di Sorcha,

profonda, delle fusa roche che mi attanagliano lo stomaco. La guardiamo mentre

strappa via il cuore di mia madre con un unico, preciso movimento.

Vicino a me, Lonnrach si irrigidisce nel vedere come il ricordo comincia ad

appannarsi per via del panico. Come io non riesca a prendere abbastanza ossigeno nei

mie polmoni, come i miei pensieri scorrano mentre Sorcha scappa nella notte. Come il

mio ricordo dell’evento sembri accelerato e oscurato fino al momento in cui mi ritrovo

vicino al corpo di mia madre, premendo le mani sul suo petto.

Guardiamo mentre io urlo il suo nome finché non perdo la voce.

Senza nessun avvertimento sono nuovamente nella stanza degli specchi. Lonnrach

mi sta ancora tenendo il polso, la sua bocca sopra i segni che i suoi denti hanno lasciato

sulla mia carne. Le sue labbra sono bagnate dal mio sangue; gocciola sulla sua gola.

Proprio come nel mio ricordo di lei.

Sorcha.

Non riesco a fermare il suono che mi esce dalla gola. Quando lo sguardo di Lonnrach

incontra il mio, il suo respiro è spezzato e sono sorpresa dal barlume di sentimento che

vi trovo lì.

In un attimo, lui si volta. Alza il braccio per pulirsi la bocca, sparge il mio sangue

sul suo polso come un marchio. «Per adesso può bastare».

Lonnrach prende il suo cappotto da terra e cammina a grandi passi attraverso lo

specchio più vicino, scomparendo come se fosse acqua. Ondeggia, diffondendo

increspature su tutti gli specchi, prima che si ristabilizzino sul mio riflesso.

Sono di nuovo sola. Le piante rampicanti si ritraggono nel pavimento e sono

circondata dalle diverse versioni di me stessa.

Solo allora realizzo che le mie guance sono bagnate di lacrime.

Dopo quella volta, Lonnrach non mi parla più quando viene a visitarmi. Fa di tutto per

evitare il mio sguardo, mantenendo la sua espressione perfettamente composta. Cauto.

All’inzio resisto. Divento abbastanza disperata da attaccarlo – per girargli il seilgflùr

attorno al collo – ma le piante si attorcigliano attorno ai miei arti così in fretta che sono

costretta ad arrendermi. Nei giorni a seguire, la debolezza fisica dovuta alla perdita di

sangue e al veleno ha la meglio su di me e smetto del tutto di combattere.

Comincio a vedere il mio tempo con Lonnrach come un incubo da cui non riuscirò

mai a scappare. Quando infilza i suoi denti dentro di me, chiudo gli occhi e riesco quasi

a convincermi che sto sognando e non c’è niente di vero. Che lui non sia vero.

Dopo un po’ mi abituo così tanto al dolore dei suoi morsi che li sento a malapena.

Adesso è solo una veloce puntura dei suoi denti attraverso la pelle e un leggero

pizzicore del veleno nel mio sangue.

20

Lonnrach guarda i miei ricordi e se ne va come un ladro con il suo bottino. Ogni

immagine con Derrick e Kiaran è esaminata nei minimi dettagli, riprodotta in modo

deliberatamente lento.

Attraverso le sue esplorazioni, rivivo l’ultimo anno della mia vita. Odio il modo in

cui sono arrivata a vedere il suo morso, come una tregua dalla solitudine dei miei

riflessi. L’Aileana violenta non ha più attaccato, ma continuo a sentirla sotto le altre.

Che aspetta, osservando. La vedo come il bagliore veloce del sorriso di un mostro, un

promemoria che Sorcha si nasconde ancora nei miei ricordi - e poi scompare.

All’inizio avrei usato il momento di tregua da lei per poggiare i miei palmi sulla

roccia riflettente. Ho provato troppe volte a passarci attraverso come faceva Lonnrach,

ma la superficie è sempre solida, dura. Conto gli specchi –

millequattrocentosessantasette – e sono tutti senza via di uscita. Durante giorni

particolarmente brutti, colpisco gli specchi fino a farmi sanguinare le mani. Fino a

rimanere con lividi sui pugni.

Più a lungo Lonnrach mi priva del sangue , più divento debole. Miglioro di poco

dopo che inizio finalmente ad accettare il cibo che mi lascia: porzioni di pane,

formaggio e frutta. Kiaran mi ha sempre detto di non accettare cibo o bevande dalle

fate, perché dà loro un maggior controllo sugli umani. Accentarlo rappresenta la mia

tacita rassegnazione a rimanere nello Sith-bhrùth fino a che Lonnrach non decida di

lasciarmi andare.

Piuttosto mi ucciderebbe prima.

Ho memorizzato la forma dei suoi denti improntati nella mia pelle. Le mie dita

seguono le tracce che hanno lasciato mentre ritorna ogni ricordo che ha evocato ed

esaminato.

Trentasei denti umani. Quarantasei sottili zanne, affusolate come quelle di un

serpente. Insieme formano due lune crescenti, scanalature coprono entrambe le braccia

e i lati del mio collo, ancora e ancora e ancora.

Ventisette volte.

Alcune sono macchiate di sangue secco. Alcune si sono cicatrizzate velocemente per

via del veleno di baobhan sìth. Ero solita chiamare le mie cicatrici, distintivi, ognuna

guadagnata da una fata che avevo ucciso. Ma queste … non sono distintivi. Non sono

marchi di vittoria.

Sono dei promemoria di come io abbia perso tutto.

Oggi Lonnrach passa al setaccio i flussi più lunghi dei miei ricordi. Si ferma su quelli

prima della morte di mia madre, quelli che dovrebbe trovare insignificanti. Mi chiedo

se si sia accorto che ho notato come rallenta le ore che ho passato con lei a costruire o

i giorni in cui ho preso il tè con la mia amica Catherine. Ricordi insignificanti di pura

gioia prima che sentissi il morso della sofferenza.

Come se fosse imbarazzato, Lonnrach avanza nel tempo. Guardo una serie di

immagini che scorrono fino a fermarsi sul ricordo di me e Kiaran al Queen’s Park.

Anche se si trattava della notte della battaglia, sembra passato così tanto tempo. Kiaran

era determinato a prendere il posto di sua sorella se mai fossero riusciti ad intrappolare

le fate ancora una volta. Ho pensato che non lo avrei mai più visto.

21

Un tempo avrei resistito all’intrusione di Lonnrach in questi ricordi, ma ora lo lascio

fare. Sono disperata di provare ancora qualcosa, almeno attraverso le emozioni che

rivive la mia memoria. Mi ricordano chi ero e che sono ancora umana.

Solo per un altro po’, penso. Così che io abbia qualcosa a cui aggrapparmi.

Percepisco la sorpresa di Lonnrach quando io e Kiaran ci baciamo, quando lui mi

afferra il cappotto per attirarmi a sé. Questo è uno degli unici ricordi che rimane intatto,

completo. Quel bacio è impresso nella mia mente: la pressione delle labbra di Kiaran,

le sue dita sulla mia pelle. Conosco quel bacio a memoria.

Nel mio ricordo, mi tiro indietro. «Vattene». Riesco a sentire la disperazione nella

mia voce. «Hai ancora tempo. Salvati..»

Un altro bacio, come se Kiaran mi stesse dicendo che questo è un addio. Come se

memorizzasse le mie labbra. «Ti ho mai parlato della promessa che un sìtiche fa

quando si lega a qualcun altro? Aoram dhuit. Io ti venero».

Lonnrach esce dai miei ricordi così in fretta che barcollo. Siamo tornati nella stanza

degli specchi e si sta già pulendo le labbra con il fazzoletto bianco che ha portato.

Sempre uno diverso. Il mio sangue li macchia tutti.

Le gambe non mi reggono. Precipito per terra in mezzo all’edera mentre Lonnrach

si volta, dirigendosi silenzioso verso lo specchio più vicino.

«Aspetta». Sono sorpresa dalla mia voce. Sembra passata un’eternità dall’ultima

volta che ho parlato. La voce roca, la mia gola secca per via del disuso.

Lonnrach si ferma. Neanche si volta. «C’è qualcosa di cui hai bisogno?»

È passato così tanto tempo anche da quando ho sentito la sua voce. Non ha più

nessun bisogno di deridermi, di spezzarmi con le sue parole. Ho accettato da mangiare

e da bere. Lui si è preso il mio sangue. Ha rubato i miei ricordi. Cos’altro c’è da dire?

Eppure…quel ricordo mi ha fatto desiderare ancora. Passione. Dolore. Una volta che

sarò sola, scomparirà tutto e mi ritroverò nuovamente a poggiare le mie dita sui marchi

insanguinati dei suoi denti, sperando di rievocare tutto di nuovo.

«Voglio solo parlare». Deglutisco una volta. Buon Dio, non riesco a credere a quello

che sto per fare. Lo ucciderei se potessi.«Tutto qui».

Questa volta Lonnrach si gira e mi guarda. L’intensità del suo sguardo mi schiaccia,

mi valuta. «Perché?»

Perché non voglio più stare da sola. Perché non so da quanto tempo sono qui.

Perché non mi è rimasto più nessuno. Perché abbiamo condiviso più di un anno dei

miei ricordi. Perché hai lasciato duemiladuecentoquattordici singoli segni di denti

sulla mia pelle, che non mi permetteranno mai e poi mai di dimenticare che ho perso

tutto per colpa mia.

Mi mordo la lingua così da non far trapelare nessuna di queste parole. Forse un

giorno diventerò abbastanza disperata da pronunciarle. Ma non ancora. «Perché hai

visto i miei ricordi eppure mi hai detto così poco di te».

«I tuoi ricordi servono ad uno scopo». Fa un altro passo e poggia la mano sullo

specchio. «I miei no».

Ci provo di nuovo. Non accenno al modo in cui estrae gli insignificanti ricordi della

mia vita prima che incontrassi la mia prima fata, quelli che non hanno alcuno scopo.

«Perché odi Kiaran?»

22

Le mani di Lonnrach si stringono a pugno. Insisto, probabilmente contro ogni buon

senso. «Mi hai detto che mi pentirò di non averlo ucciso. Voglio sapere il perché».

Lonnrach si volta lentamente. I suoi occhi sono affilati e color ardesia; il suo sguardo

cade sui segni di morsi che ha lasciato sul mio polso.

Mi porto immediatamente le ginocchia al petto in segno di difesa.

Proprio quando inizio a pensare che mi avrebbe fatto qualcosa per farmi pentire delle

mie parole, finalmente risponde. «Il tuo Kiaran è un traditore della peggior specie, e

sua sorella non è tanto diversa da lui. Adesso tocca a me sistemare i loro sbagli». Il

modo in cui mi guarda manda un messaggio molto chiaro: ciò include anche te.

Me. Mi considera uno sbaglio. Perché Kiaran mi ha reso come lui.

«E salvare il tuo regno?» Cerco di dirlo in modo delicato, ma non riesco ad evitare

l’asprezza che tinge le mie parole. Hai sacrificato il mio regno per salvare il tuo. «Il

tuo monarca è morto?»

Lonnrach sembra irrigidirsi, come se fosse sorpreso dalla mia domanda. «Forse».

Sceglie le sue parole con precisione. «Nessuno ha più visto i Cailleach da migliaia di

anni. Gli eredi che ha lasciato a governare erano…indegni. Senza un monarca, il Sìth-

bhrùth appassirà. Qualcuno deve prendere il suo posto».

«E pensi di essere tu quello degno». Suona proprio come un’accusa, ma sto cercando

di capire perché abbia passato così tanto tempo ad esplorare scrupolosamente i miei

ricordi.

Mi lancia uno sguardo profondo, come se riuscisse a leggere i miei pensieri. «No.

Ma lo sarò».

Lo chiamo per nome quando si volta per andarsene. Vedo la rigidezza delle sue

spalle, come se avesse paura della mia prossima domanda. «Com’era essere

intrappolati sotto la città?»

Era come qui? Anche tu hai smesso di combattere?

Lonnrach risponde cautamente, privo di ogni emozione. «I primi cent’anni li

abbiamo passati a cercare una via di fuga fino a che le nostre unghie non hanno scavato

la roccia sotterranea. L’energia che rubavamo agli occasionali umani che riuscivamo

ad ammagliare attraverso gli scudi della prigione bastava a malapena per tenerci tutti

sazi. Quel posto divenne una tomba».

Dal suo profilo noto la mascella rigida, come se stesse trattenendo la propria rabbia.

«Non dimenticherò mai che sono stati i tuoi simili a rinchiuderci lì. Che il tuo prezioso

Kiaran e sua sorella hanno aiutato». Sposta lo sguardo sui miei specchi, alle mie

centinaia di riflessi diversi. La mia gabbia. «Adesso sai esattamente come ci si sente a

essere così indifesi.»

23

Capitolo 4

Traduzione: Sherm

Sto cominciando a dimenticare la mia vita più facilmente ora. Sono passati

giornisettimanemesianni – non lo so con precisione – da quando ho visto qualcuno che

non fosse Lonnrach. Non riesco più a rievocare i ricordi che mi ha rubato.

Per ricordare, devo premere bene le dita sopra i segni lasciati dai suoi denti, finché

non si formano degli altri segni, in questo caso miei, a forma di mezzaluna sopra le

cicatrici dei suoi morsi. Devo chiudere gli occhi così violentemente che vedo le stelle

attraverso le palpebre.

Ogni volta che riesco a rivivere dei bei momenti con le persone che amo provo un

impeto di sollievo. Non posso evitare di soffermarmi a pensare a Kiaran, anche se ero

ancora ferita dalle parole di Lonnrach. Non avevano neanche cominciato a svanire.

Ti ha fatto credere che tenesse a te. Non sei il primo giocattolo umano che butta via.

Sussulto e cerco di reindirizzare i miei pensieri per allontanarli da Kiaran. Devo

dimenticarlo. Mi ha piantato in asso. Sono stata nel Sìth-bhrùth, con Lonnrach e i suoi

morsi. Durante ore e giorni o forse settimane passate da sola con il mio riflesso.

Contando gli specchi e le foglie d’edera. Mi ha buttata via. Sono…

«Kam.» Il mormorio del mio soprannome da parte di Kiaran prende possesso dei

miei pensieri. Ho quasi i brividi a sentire pronunciarlo. Come se amasse quel suono.

Come se fosse una parola privata, una promessa.

Ci provo di nuovo. In preda alla disperazione, cerco di fissarmi un’altra immagine

di mia madre in testa. Il suo sorriso, la sua risata, il modo in cui faceva sempre…

«Kam.» Ancora la voce di Kiaran, questa volta più forte. Più definita.

«Vattene» sibilo. Sotto la manica della sottoveste, premo più forte sui morsi. Le mie

unghie sprofondano nella carne. Concentrati. Ricorda.

Il suo impaziente accento delle Highlands scozzesi distrugge la mia concentrazione.

«Maledizione, apri gli occhi e guardami.»

Ma che…? Spalanco gli occhi. Oh, signore. La mia immaginazione non gli rende

giustizia. È davanti a me, i capelli nero inchiostro lunghi abbastanza da sfiorare il

colletto del suo maglione di lana bianca. I miei ricordi non erano mai riusciti a

immortalare il modo in cui la luce dia alla sua pelle un bagliore rossiccio o il fatto che

i suoi occhi siano radiosi e intensi come un lillà in piena fioritura.

Non posso farne a meno, il mio sguardo si posa sulla sua guancia, dove lo scudo di

luce l’aveva gravemente ustionato, al punto che si vedeva l’osso spuntare dalla pelle.

Tutte le sue ferite si sono rimarginate e al loro posto si è riformata la solita pelle liscia

e priva di difetti.

Non può essere reale. Lo sto solo immaginando. Non è reale. «Avevi detto che non

potevi entrare nel Sìth-bhrùth» dico, convincendomi. Lonnrach deve averlo creato per

torturarmi. Sta cambiando strategia. «Non senza morire, almeno.»

24

Con uno sguardo impaziente, Kiaran mi porge la mano. Quando la sfioro – senza

averci nemmeno pensato – le mie dita attraversano la sua pelle. La attraversano

completamente. Come se fosse un maledettissimo spettro.

Allontano la mano. «Quindi Lonnrach ti ha davvero creato per me. Beh, non

funzionerà.»

Lui impreca sottovoce, il che fa molto Kiaran. Lonnrach è bravo in queste cose.

«Riesco a proiettare il mio corpo qui senza morire» dice Kiaran, sembrando

infastidito. «Se sono disposto ad usare un’estenuante quantità di potere.»

Sono comunque diffidente. «Allora perché non sei mai venuto?»

«Lonnrach ha imposto delle barriere che ha reso difficile rintracciarti e ci vuole

tempo per abbassarle. Mia sorella sta ancora cercando di distruggere quella che

conduce a questa stanza.» Indica sé stesso. «L’ha abbassata il necessario perché questa

proiezione riuscisse a passare mentre finisce di abbatterla definitivamente.

Soddisfatta?»

Se permetto a me stessa di credergli… no. Non posso. Lonnrach ha preso possesso

della mia mente. Ho bevuto il suo sangue. Può farmi vedere qualunque cosa. «No. Non

ti credo.»

«La tua ostinazione è ammirevole, dico davvero» dice Kiaran seccamente. «Sono

contento che tu non l’abbia persa.»

«Visto? È proprio per questo che devi essere una creazione di Lonnrach.» Agito il

dito verso di lui. «Kiaran ha sempre odiato la mia ostinazione.»

«Detto sinceramente, al momento mi è difficile non scambiarla per stupidità.»

Lo guardo. «Essendo frutto della mia immaginazione, ti ordino di smettere di

insultarmi.» Premo di nuovo le dita negli incavi dei morsi e chiudo gli occhi. «E

vattene.»

Resta in silenzio così a lungo che sono sicura che se ne sia andato. Mi rifiuto di

aprire gli occhi per scoprire se è vero.

«Kam.» Questa volta quando Kiaran dice il mio nome, percepisco un pizzico di

emozione che riesce a stento a contenere.

Quando apro gli occhi, mi sta fissando… no, non me. Sta fissando il punto in cui le

mie unghie sono infilate nella pelle. La manica della sottoveste ricade all’indietro,

mostrando l’avambraccio. Lo osservo mentre percorre con lo sguardo le mie nuove

cicatrici, le croste sulle ferite e su fino al collo dove un’altra dozzina di segni sono

raggrinziti e cicatrizzati. L’ultima, leggermente sopra la clavicola, sta ancora

sanguinando.

Non penso di aver mai visto il suo volto così freddo e brutale. Non così. Lonnrach

non sarebbe stato capace di rimuoverlo dai miei ricordi. Questo è il vero Kiaran.

Kiaran. Non mi ha abbandonato. È qui per me.

Kiaran si inginocchia di fianco a me. Questa volta, quando mi sfiora, il suo tocco è

concreto, solido. Non ci credo. Sono passati giornisettimanemesianni da quando sono

stata toccata da qualcuno che non fosse Lonnrach e mi ero quasi dimenticata come

fosse la delicatezza. Non mi allontano. Neanche quando mi circonda il polso con le

dita per guardare meglio il mio braccio.

25

Mi vergogno dei segni sul mio corpo. Adesso sa che ho smesso di lottare. Che non

ho opposto resistenza. «Lui voleva… lui…»

«So cosa voleva.» La voce di Kiaran è aspra, piena di rabbia. Lui passa un dito sulle

mie cicatrici, come se stesse memorizzando la loro forma. «Lo ucciderò per averti fatto

tutto questo.»

«No» dico, in modo un po’ enfatico. Kiaran mi guarda, sorpreso. «Lo farò io. Devo

farlo io.»

Voglio che lui capisca. Lonnrach avrebbe potuto spezzarmi. Praticamente ci è

riuscito. Tutto ciò che mi rimaneva erano i miei ricordi, i miei sentimenti, e una volta

persi quelli… sarei stata sua. Devo farlo io.

«Molto bene» dice Kiaran semplicemente.

Non è abbastanza. «Promettilo.»

Kiaran mi accarezza il polso con il pollice… una, due, tre volte. Si ferma quando

raggiunge la parte di pelle in cui molte ferite si sovrappongono tra loro. «A una

condizione.» Lui sostiene il mio sguardo. «Lascia che ti procuri io l’arma.»

«Sì» mormorai.

Lui mi capisce. Siamo andati a caccia insieme. Abbiamo perso una battaglia insieme.

È un tipo di legame che dura per sempre.

Kiaran annuisce. «Andiamocene da qui.»

Avevo fantasticato di sentire quelle parole mille volte e avevo immaginato che sarei

stata forte e in grado di combattere. Nella mia mente riesco a stare in piedi senza

problemi. Ma la verità è che, quando Kiaran aiuta ad alzarmi, il mondo intorno a me

comincia a oscillare a causa della perdita di sangue e dall’incessante quantità di veleno

data dal morso di Lonnrach. Le mie ginocchia cedono quasi subito.

Kiaran mi afferra per le spalle… o almeno ci prova. Le sue mani attraversano il mio

corpo e io riesco a malapena a cercare di stare in piedi.

«Ascoltami.» La sua voce è leggermente ovattata, come se stesse parlando da

lontano. «Questo specchio» – indica quello più vicino a noi – «ti condurrà da mia

sorella. La barriera che ti impediva di scappare dovrebbe essere già scomparsa ormai.»

«Tu non vieni?» Cerco di non far trasparire l’emozione dalla mia voce. Ho appena

riavuto Kiaran. Non posso perderlo di nuovo.

«Non posso mantenere questa forma a lungo.» La sua figura sta già svanendo e verso

l’esterno il suo corpo sembra sfocato.

«Aspetta! Non…»

Aggrappandosi ai suoi ultimi brandelli di forza, Kiaran mi posa le mani sulle guance.

Le sue dita sono calde, così calde. «Ti aspetterò dall’altra parte.»

26

Capitolo 5

Traduzione: Noir, Alecs

Una volta attraversato lo specchio, batto rapidamente le palpebre a causa

dell’improvvisa abbondanza di luce naturale. La vista si schiarisce, e sono sorpresa di

ritrovarmi sul ciglio di una piattaforma collocata al di sopra del crepaccio del Sìth-

bhrùth. Le altre piattaforme fluttuanti mi risultano familiari, e mi rendo conto che sono

le stesse che avevo visto quando Lonnrach mi aveva condotto lì. Sembra si tratti di

molto tempo fa adesso, qualcosa che appartiene a una vita totalmente diversa.

Lancio un’occhiata al palazzo che si trova sulla mia stessa piattaforma. La cupola a

specchio si erge al di sopra le dense nuvole di pioggia, rilucendo grazie ai raggi di luce

che la attraversano. Vi riconosco la medesima cupola scintillante a forma di stella e

l’opulenta struttura del magnifico palazzo che avevo notato al mio arrivo. Quindi non

si trattava affatto di una residenza reale… ma di una prigione.

Mi prendo un momento per chiudere gli occhi e respirare profondamente. I polmoni

mi si riempiono di aria invernale, fresca e frizzante.

Più tardi, mi dico. Una volta che sarò al sicuro.

Scruto il bordo della piattaforma; c’è un breve stacco tra il muro del palazzo e il

profilo delle rocce che discendono nell’oscurità sottostante. La sorella di Kiaran non si

vede da nessuna parte.

Dannazione. Mi avvicino ulteriormente e guardo verso il basso. Lo stomaco mi

precipita fino ad arrivare all’altezza dei piedi. Istintivamente mi accovaccio contro il

pavimento, i palmi delle mani contro la polvere. No, non c’è nulla laggiù. Nemmeno

una piattaforma sulla quale atterrare.

«Io non lo farei» dice una voce, appena un momento prima che io venga colpita dal

gusto del potere. Petali di rosa sulla mia lingua, giù per la gola.

Volto di scatto la testa e vedo una fata accovacciata sulla propria piattaforma

rocciosa, a un tiro di schioppo dal castello. Anche da quella distanza, la sua bellezza è

del tipo che ti fa sentire immediatamente inadeguata. I suoi lunghi capelli scuri

risplendono persino in quel grigio panorama. Li tiene legati in una treccia che

raggiunge la sua vita sottile. Occhi color dell’argento fuso incontrano i miei, e si scorge

una scintilla di interesse in essi, come se mi stesse soppesando.

Indossa pantaloni attillati e stivali alti con fibbie d’ottone. Un cappotto di scarsa

fattura le pendeva giù dalle strette spalle, talmente lungo da avvolgerla alla stregua di

una coperta.

E’ la sorella di Kiaran? Scrutai il suo volto alla ricerca di qualche somiglianza, e lei

immediatamente dice: «Mi stai fissando. C’è qualcosa che non va nella mia faccia?»

Mi schiarisco la gola. L’avevo effettivamente fissata con grande intensità. «Scusa.

Kiaran ha detto…»

«Chi?»

«Kiaran». E’ sorda? «Ha detto che…»

27

«Mmm.» Riflette per un momento. «Temo di non conoscere nessuno con quel

nome.»

Mi avvicino al castello, allontanandomi da lei. Forse è una guardia di Lonnrach,

mandata lì per assicurarsi che non ce la faccia ad andarmene da lì viva.

Cerco la piattaforma più vicina. Se questa fata è uno dei soldati di Lonnrach, non

posso restare ad aspettare la sorella di Kiaran. Mi toccherà fuggire o combattere, e

considerando il mio stato attuale, la fata potrebbe accartocciarmi come un foglio di

carta.

E fuggire sia.

«Stai pensando di saltare?» Chiede la fata.

Indurisco il tono. «No.» Non sono sopravvissuta a tutto questo e arrivata così lontano

soltanto per saltare.

«Perché non sarebbe una buona idea. Andresti a finire dritta dritta contro il fondo.»

Batte le mani una contro l’altra. «Splat. Scaricata nel mare dall’altra parte del Sìth-

bhrùth. Un umano, natualmente, non sopravviverebbe mai a una cosa del genere.»

«Probabilmente no» rispondo seccamente. Perciò Lonnrach ha mandato una fata

pazzoide a farmi la guardia. Doveva essere davvero certo che non ce l’avrei mai fatta

a scappare.

Forse la sorella di Kiaran si trova dall’altro lato del castello. Mi alzo in piedi e inizio

a camminare, lasciandomi quasi sfuggire un grugnito quando la piattaforma sulla quale

si trova la fata mi segue. Devo confonderla.

«Hai del sangue sul collo. E’ tuo? L’avevi notato?»

Mi blocco. Le dita percepiscono immediatamente il segno del morso, l’ultimo che

Lonnrach mi ha inflitto.

La paura mi fa accelerare il passo. Devo andarmene prima che ritorni. Non posso

ritornare lì. Non posso.

Cerco di darmi una calmata in modo da non inciampare, ma mi tremano le ginocchia.

Resta calma. Riuscirai a scappare. Non tornerai lì.

«Allora lo è?»

Per l’amor di dio. Mi volto verso di lei. «E’ cosa?»

Fa un cenno in direzione del mio collo. «Tuo.»

Stringo gli occhi. «Ti è per caso sfuggito che sono a un passo dal saltare e colpirti

alla gola?»

Posa immediatamente la mano sul suo petto. «Oh. Ma io tengo molto alla mia gola.»

Forse se la ignoro andrà via. Continuo a girare attorno al castello, arrivando infine

dall’altra parte. Sospiro. Non c’è nessun altro lì.

Riprendo la mia ispezione di quel lato del castello. Mi fermo dinnanzi il burrone e

guardo nuovamente verso il basso.

«Continui a guardare verso quel punto.» Digrigno i denti al suono della sua voce.

Evidentemente ignorarla non funziona. «Se saltare non è quello a cui stai pensando,

c’è qualcosa che ti serve?» Mi domanda. «Qualcosa che hai perso?»

«Se proprio vuoi saperlo» rispondo seccamente, «sto cercando di scendere da questa

dannata piattaforma.»

«E’ un sollievo» replica. «Temevo che la cosa che avevi perso fosse così importante

28

da doverla andare a recuperare nel fondale del mare.»

Prima ancora che io abbia il tempo di battere le ciglia, la piattaforma della fata si

trova esattamente di fronte a me, e la creatura mi sta agguantando per il polso con

l’intento di trascinarmi a bordo. Cado in avanti con un verso di protesta. Quando riesco

finalmente a rimettermi dritta, la nostra isoletta di roccia si è già allontanata dal castello

e si muove sopra il burrone.

«Cosa diavolo credi di fare?»

La fata solleva semplicemente un dito, lo lecca con la sua rapida lingua dardeggiante,

e lo solleva in aria. «Controllo il vento. Con le giuste condizioni sarò in grado di aprire

una porta tra i due mondi senza che Lonnrach se ne accorga.» Mi rivolge un lento

sorriso. «E’ un regalo.»

Stringo gli occhi. «Allora tu sei la sorella di Kiaran». E sei fuori come un balcone.

«Eh?» Non mi sta guardando. Il dito ancora sospeso per aria, i suoi occhi si sono

rabbuiati, le iridi color dell’argento fuso vorticano e vorticano ancora. «No, devi aver

commesso un errore. Sono la sorella di Kadamach. Questo Kiaran mi sembra uno che

porta guai.»

Oh, al diavolo. «Kiaran. E’. Kadamach.»

«Ah.» Sventola il dito controllando il vento, senza mai perdere lo sguardo di

profonda concentrazione. «Bene. Questo spiega sicuramente perché continui a

menzionarlo» replica assentemente. «Sono Aithinne. Tu devi essere la Falconiera che

mi ha fatto passare le pene dell’inferno alla sua ricerca. Piacere di conoscerti.»

Finalmente noto una vaga somiglianza tra Aithinne e Kiaran. Hanno gli stessi capelli

di un nero splendente, la stessa pelle, chiara e brillante come il chiaro di luna. E i loro

occhi, nonostante siano diversi nel colore, condividono la stessa intensità. Quando si

concentra, corruga le sopracciglia allo stesso modo. Per il bene di Kiaran, e il mio,

suppongo di dover essere gentile. «Sono contenta che tu sia riuscita ad uscire dalla

collina», dico, senza riflettere.

Non appena le parole escono dalla mia bocca, me ne pento. Noto l’irrigidirsi del suo

corpo, come la sua concentrazione sembri vacillare e la luce dei suoi occhi svanisca

leggermente.

«Sì» dice Aithinne delicatamente. «Ce l’ho fatta». Finalmente mi guarda. Il suo

sguardo cade sulle mie cicatrici, su quella che prima aveva visto sanguinare. «E ce la

farai anche tu».

E adesso sai esattamente come ci si sente a essere così indifesi.

A differenza di Aithinne non ho avuto un migliaio di fate nella stanza degli specchi

per torturarmi. Non dimenticherò mai che sono state le tue simili a metterci là dentro.

Che il tuo prezioso Kiaran e sua sorella li hanno aiutati.

Lei è rimasta intrappolata lì per più di due mila anni con il nemico in una catacomba

senza vie di scampo. Non riesco neanche a immaginare cosa abbia passato.

Come se si rendesse conto che la sto osservando, Aithinne fa un respiro profondo e

si concentra più intensamente. Dopo un paio di momenti di silenzio, dice, «Non posso

aprire un portale qui. Il vento tira nella direzione sbagliata e non possiamo aspettare».

Appoggia il palmo sulla piattaforma. «Dovremo trovarlo».

Sta parlando per indovinelli, per quello che riesco a capire. «Trovare cosa? Il vento?»

29

Forse la mia sanità mentale? Penso di aver perso seriamente qualcosa, dopotutto.

Aithinne fa segno oltre la mia spalla e io mi volto per guardare. Oh, cavoli!

Sopra la scogliera si erge uno dei folti e oscuri boschi che avevo visto appena

arrivata. Questo qui è così fitto che neanche un filo di luce riesce a filtrare in mezzo

alla marea di rami. Le ombre sono come un sipario che nasconde tutto alla vista. Gli

alberi di un metallo scuro si ergono alti, l’area attorno a loro immersa in una foschia

che raggiunge i bordi della scogliera.

Non sono al meglio delle mie forze per potermi difendere, e lei sta suggerendo di

passare da lì?

«Diavolo», borbotto. Più forte: «Non potresti aprire un portale da un’altra parte?»

«Potrei aprirne uno ovunque», risponde lei, senza sembrare neanche un minimo

preoccupata. «Ma se non vogliamo che Lonnrach mandi un esercito alle nostre

calcagna in pochi secondi, dobbiamo passare da lì. È lì che il vento cambia».

Realizzo solo ora che Aithinne sta facendo muovere la nostra piattaforma in

sincronia con altre rocce ed edifici. Ci alziamo sopra l’oscuro burrone, sempre più su,

fino a raggiungere il livello delle scogliere. Da qui ho una visuale migliore del bosco.

Se non altro, è ancora più spaventoso dall’alto. Almeno da lontano non sembrava che

gli alberi fossero capaci di uccidermi. I rami sono affilati e a punta, con spine che

puntano in tutte le direzioni, e così affilate che il solo sfiorarle potrebbe risultare fatale.

Luccicano nere e lisce come il calcedonio. Nonostante la loro superficie semiriflettente,

non sono attraversati da nessuna fonte di luce.

La piattaforma raggiunge il bordo della scogliera e Aithinne aspetta che io scenda.

Le mie scarpe toccano il terreno. Le rocce sotto i miei piedi brillano come gemme

levigate e perfettamente tagliate. Forse diamanti. In qualsiasi altro momento, mi sarei

fermata per ammirarle. Invece, guardo gli alberi con terrore.

«Qualsiasi cosa tu faccia, non allontanarti», mi avvisa Aithinne, muovendosi per

venire vicino a me. «Ruaigidh dorchadas. Le ombre sono delle creature viventi. Mi hai

capito?»

«Non tanto». Ho visioni di morte per mano degli alberi. È piuttosto raccapricciante.

Aithinne si raddrizza. «È molto semplice in realtà», dice, guardando i rami. «Cerca

di non morire là dentro. Non ti fidare dell’oscurità. Non agitarti. Non riuscirò mai a

capire come abbiano fatto gli uomini a sopravvivere dai tempi delle grotte ai tempi dei

palazzi, senza sapere niente di tutto ciò».

Mi irrito, offesa per conto della mia specie, ma non ho pensato anche io la stessa

cosa? Mi sono già meravigliata che l’umanità, che è stata ridotta quasi all’estinzione a

causa delle fate, avesse lasciato che il suo buon senso fosse ridotto a banali storie per

bambini. Metà delle storie sono cose senza senso e decisamente fuorvianti, e l’altra

metà è chiaramente spazzatura. La follia degli umani è veramente sorprendente.

«Le persone sanno delle fate dalle storie», le dico, ascoltando i rami degli alberi

cantare e fischiare grazie alla brezza che sfreccia tra di loro. «È solo che non ci credono

più».

Mi osserva silenziosamente, per parecchio tempo. Non mi perdo il barlume di

compassione che attraversa i suoi lineamenti, che sparisce velocemente.

«Ti sbagli», mi dice. «Direi che ci credono, adesso».

30

Penso alle scene che mi ha fatto vedere Lonnrach, che sembrano così lontane.

Princes Street in rovina. Cenere che piove dal cielo. Ho vissuto con quelle immagini

come compagne nella mia prigione di specchi. Sono impresse nella mia memoria. Ad

un certo punto ho dovuto smettere di domandarmi se Gavin, Derrick e Catherine

fossero sopravvissuti. Ho dovuto smettere di immaginarmi le loro possibili morti. Se

non l’avessi fatto, Lonnrach avrebbe trovato un modo per usare quei ricordi contro di

me. Mi avrebbe fatta a pezzi.

Se qualcuno è sopravvissuto, avrà nuove storie da incubo da raccontare ai propri

figli. Su come un giorno un esercito di fate attraversò la Scozia e distrusse tutto. Non

sapranno niente della ragazza che li ha delusi tutti.

«Sì», dico con delicatezza. «Suppongo che tu abbia ragione».

Insieme entriamo nel bosco.

31

Capitolo 6

Traduzione: Ametista

Superati i primi alberi, il buio cala nella foresta, opprimente, quasi un peso tangibile.

La temperatura si abbassa. Improvvisamente l’aria è così fredda che inizio a tremare

nella mia leggera sottoveste.

Nella foresta si sente odore di cenere, di fumo e braci provenienti da un fuoco spento

da poco. C’è un sentore di potere, molto forte, secco come fuliggine, con un persistente

odore di torba. È abrasivo, ruvido come pietra pomice.

Sento dei deboli gemiti da qualche parte nelle vicinanze, come unghie che graffiano

sul metallo. Riecheggiano nella foresta, provenendo da chissà dove. Porto le mani alla

vita – dove di solito tengo un’arma – ma afferro solo l’aria. Ovviamente non c’è niente;

Lonnrach se n’era assicurato. «Cosa diavolo era?»

«Mara» dice Aithinne a bassa voce, sussurrando. «Credo che quelli della tua specie

li chiamino demoni».

Da qualche parte in mezzo all’oscurità della foresta sento il suono di denti che si

serrano in un morso feroce, seguito da un lieve lamento. Imprecando, mi avvicino a

Aithinne, quando sussulto a causa d’un improvvisa esplosione di luce. Una sfera

luminosa delle dimensioni di un pugno appare tra le sue mani. Vortica e diventa sempre

più splendente fino a quando non sono costretta a distogliere lo sguardo. La lancia in

aria ed esplode al di sopra delle nostre teste, spargendo stelle scintillanti nel cielo sopra

gli alberi.

Le ombre fuggono. Fuggono, balzando dietro gli alberi per nascondersi dalla luce.

Anche se non c’è n’è abbastanza per illuminare i loro corpi, riesco a vedere che la loro

pelliccia è lucente e spessa. Più lontano, nella foresta, altre ombre si incurvavano lungo

i rami. Migliaia di occhi ci osservano dall’oscurità.

Le ombre che si trovano qui sono creature viventi. Riesci a comprenderlo?

Adesso sì – riesco a comprenderlo. Non ho mai incontrato un’altra fata in tutto il

tempo che ho passato nel Sìth-bhrùth, nemmeno di sfuggita quando sono arrivata.

All’epoca mi domandavo se non fosse disabitato eccetto per me e Lonnrach. Se lui

avesse fatto in modo che io fossi ancora più isolata.

Sembra che alcune creature siano qui da molto tempo, imprigionate nel crepaccio.

Queste fate sono selvagge. I loro sguardi sono inquieti, intensi, e famelici. Giuro che

riesco a sentirle leccarsi i denti, e le loro mascelle muoversi per la fame.

Resto vicino a Aithinne mentre corriamo tra gli alberi. La nostra andatura è rallentata

da rami simili a spade che spuntano da tutte le direzioni, a malapena visibili nella

penombra. Non appena l’ultimo globo si dissolve, Aithinne prepara un’altra sfera di

luce.

Sento un ringhio alla mia sinistra. Anche se sono riuscita, con tutta la mia forza di

volontà, a superare lo stordimento provocato dal veleno di Lonnrach, non ho una spada

per difendermi dai mara.

32

«Non hai un’altra arma, vero?» dico a bassa voce, schivando un lungo ramo. Non

posso evitarlo; passo la punta del ramo sulla mia pelle ed è come se l’avessi punta con

la lama di un pugnale. Il mio dito è bagnato di sangue.

Beh, questo dimostra che la mia teoria è vera. Questi alberi potrebbero davvero

uccidermi.

Aithinne si ferma. Sorride, subdolamente. Apre il soprabito e vedo che indossa due

cinture, una per ogni spada. Ne sfodera una e me la passa. «Io sono sempre preparata».

La sorella di Kiaran inizia a piacermi.

Mi porge una piccola borsa presa dalla sua tasca. «E questo è per le emergenze».

Seilgflùr. Beh, ora inizio ad adorare la sorella di Kiaran.

Scelgo qualche testa di cardo e le attorciglio per legarle al mio collo, lasciando il

resto nella borsa legata alla mia vita. Non solo il cardo è mortale per le fate tanto da

bruciarle se tocca la loro pelle, ma mi dà anche la capacità di poterle vedere. Se i mara

o persino Aithinne lo volessero, senza il cardo, potrebbero scomparire dalla mia vista

da umana e io non saprei più dove si troverebbero.

Una volta legata la collana, mi tolgo dalla faccia il groviglio che sono i miei capelli

per stringermi la cinta della spada ai miei fianchi.

Aithinne sorride. «Sai», dice sovrappensiero, «i tuoi capelli assomigliano a un

polpo». Dopo, come se volesse rassicurarmi: «Io amo i polpi».

E Aithinne è chiaramente un po’ fuori di testa, ma nessuno è perfetto.

Prepara un’altra sfera di luce affinché possiamo continuare a muoverci. Anche se

continuiamo a correre tra gli alberi, inizio a chiedermi se questa foresta abbia una fine.

Dall’altra parte non si vede nessuna luce, solo un infinito numero di alberi.

Sussulto quando sento un rumore dietro di noi. Metto una mano sull’elsa della mia

spada. «Loro ci vedono come… un pasto, non è vero?» Non trovo un modo più delicato

per dirlo. Dannazione, queste fate mi vogliono per cena.

«No, no» dice Aithinne. «Loro vogliono mangiare te, non me. Io non ho un buon

sapore per loro».

«Confortante», dico ironicamente. «Molto confortante».

Avrò anche un’arma, ma dubito che riuscirò a dare il meglio di me. È passato troppo

tempo dal mio ultimo allenamento; il mio corpo è più esile rispetto a prima. Ma posso

correre. Almeno posso correre.

«Non preoccuparti», dice Aithinne, creando un’altra sfera. «Resteranno

nell’oscurità».

«Sono degli Unseelie, dunque?»

I libri umani suddividono sempre le fate in due regni distinti: luce e oscurità. Seelie

e Unseelie. I Seelie sono delle fate considerate non troppo malvagie. Sono descritte

come seducenti e bellissime, e si dice che cavalchino cavalli splendenti. Gli Unseelie,

al contrario, sono creature dell’oscurità. Sono descritte come fredde e brutali da ogni

umano abbastanza sfortunato da incontrarle. Si dice che rendano schiavo o addirittura

uccidano chiunque rapiscano nel nostro mondo, mentre I Seelie – considerandosi

migliori – restituiscono gli umani al loro mondo, anche se dopo secoli dal loro

rapimento.

Questa è la cosiddetta pietà degli immortali. Sono tutti dei bastardi.

33

«I mara erano devoti alla nostra prima monarca», dice Aithinne. «Non alle corti».

Anche se andiamo a passo svelto, i piedi di Aithinne non fanno rumore mentre

cammina accanto a me. Io sono goffa in confronto, le mie scarpe scricchiolano sul

suolo di pietre preziose.

Ricordo le parole di Lonnrach. Nessuno vede la Cailleach da migliaia di anni. Gli

eredi che ha lasciato per governare erano… immeritevoli.

«La Cailleach?»

Aithinne non risponde subito. Lancia in aria un’altra sfera che sfrigola mentre si

disperde. Le ombre saltano tra gli alberi tra scie di pelo lucente e occhi di fuoco. Sono

talmente veloci che riesco a malapena a vedere il loro aspetto, ma riesco ad indovinare

la loro altezza, più imponente di un normale lupo.

Alla fine il suo sguardo si posa su di me, la sua espressione indecifrabile. «Si.

Quando la Cailleach se ne andò, i mara scelsero di non schierarsi con nessun regno»,

mormora. «Questa foresta appartiene a loro, ora».

Sento un ringhio basso dietro di noi, un suono profondo e rimbombante. Tutti i peli

del mio corpo si rizzano e rabbrividisco. Camminare in questa foresta è come vagare

nelle Highland di notte, con i gatti selvatici che stanno in agguato nell’oscurità e sono

solo in attesa, pronti a piombarti addosso.

So con certezza che i mara ci stanno osservando e stanno aspettando che la luce di

Aithinne si affievolisca abbastanza, allora mi prenderanno. Non mi riporterebbero

nemmeno da Lonnrach. Mi divorerebbero, fino alle ossa.

Aithinne è talmente veloce da renderlo impossibile. Non appena le stelle brillanti

sopra di noi iniziano ad affievolirsi, lei aggiunge altra luce. Scintillano, numerose e

bellissime, come se stessimo guardando il cielo stellato sopra gli alberi anziché della

luce creata da lei. Come se ci trovassimo al centro di una galassia privata.

«Sbrigati, Falconiera».

Aithinne aumenta la sua andatura già veloce. A questo punto riesco a malapena a

tenere il suo passo. I muscoli delle mie gambe stanno già tremando. È passato molto

tempo dall’ultima volta che ho corso così tanto.

Respiro con difficoltà, tremando tutta. Il veleno di Lonnrach ha quest’effetto se passa

molto tempo tra un morso e l’altro. Ho i crampi allo stomaco per la nausea.

Tento di ignorarlo e continuare, ma inciampo e perdo l’equilibrio. Ansimando, mi

rendo conto che sono a pochi centimetri dallo schiantarmi contro uno di questi dannati

rami. «Aspetta», la chiamo, schivando i rami con più attenzione. «Rallenta».

Anche se nessuna emozione attraversa il volto di Aithinne, riesco a percepire la sua

fretta. «Va bene». Rallenta un po’, quanto basta perché io la possa raggiungere. Anche

se continuiamo a velocità sostenuta, riesco a tenere il passo di Aithinne con meno

difficoltà. Il dolore è sopportabile.

Lancia in aria un’altra sfera, che esplode sopra gli alberi. Questa mi ricorda

Edimburgo di notte quando il cielo è chiaro. I pomeriggi d’inverno senza luna trascorsi

in giardino quando le stelle sono brillanti e numerose.

Non posso evitarlo. Accarezzo uno dei marchi che Lonnrach ha fatto sul mio polso

e immagino l’Edimburgo che mi ha mostrato lui. La mia casa non c’è più, e al suo

posto solo rovine e distruzione. Forse sto solo lasciando un incubo per trovarne un

34

altro.

«Aithinne? Com’è il reame degli umani ora?» Quando lei esita, dico «so cosa è

successo subito dopo la battaglia. Che Edimburgo era distrutta».

Quasi le chiedo quanto sia durata, ma la domanda mi si ferma in gola. Non ci riesco.

Non ancora.

Sembra reticente. Nella sua mano a coppa vortica una sfera di luce. «Le cose non

sono facili là fuori», dice con cautela. «Ma almeno sarai con quelli della tua specie».

Smetto di respirare per la sorpresa e mi fermo. Sarai con quelli della tua specie. Di

certo non intende…?

Allungo una mano e le afferro il polso. «Ci sono dei sopravvissuti?»

Aithinne sembra sorpresa dalla forza delle mie parole. «Beh, sì.»

Esplodo. Non posso evitarlo. Quando prova ad allontanarsi, la mia stretta si rafforza.

La speranza è una bastarda traditrice e io sto lasciando che arrivi dritta al mio cuore.

«Catherine, Gavin. Di cognome fanno Stewart. Uno di loro potrebbe avere con sé un

giovane pixie. Ti suona familiare?»

Qualcosa si accende nel suo sguardo mentre prova a liberarsi dalla mia presa. «Non

saprei dirlo».

Impreco sottovoce, un insulto ignobile che ho imparato da Kiaran. Non me ne frega

un accidenti se Lonnrach scopre che sono fuggita, e neanche dei mara che ci

circondano. Devo sapere. La speranza ha già affondato i suoi artigli dentro di me, in

profondità. Dopo tutto questo tempo passato a credere di essere l’unica sopravvissuta,

Aithinne mi ha donato l’unico mio desiderio e ora non posso far altro che porle le mie

domande.

Forse io e Lonnrach siamo uguali. Forse sono malvagia, mostruosa e senza

possibilità di redenzione esattamente come lui. È l’unica ragione che trovo per la quale

affondo le mie unghie nella sua pelle fino a quando le faccio male. Metterei la spada

alla gola di Aithinne, se avessi una mano libera per prenderla.

Provo soddisfazione nel vederla trasalire. «Dimmelo», dico con voce minacciosa.

Nel suo sguardo non c’è paura. Non ho mai incontrato una fata che non si sentisse

almeno un po’ minacciata quando si rende conto che potrei far sanguinare la loro pelle

di fata impenetrabile.

«Non giocare con me. È una domanda semplice. Catherine. Gavin. Un pixie di nome

Derrick. Hai mai sentito questi nomi?»

Affondo di più le mie unghia. Ignoro l’improvviso ricordo di una Aileana Violenta

che si guarda allo specchio, ignoro la felicità che proverebbe. Come mi guarderebbe

con orgoglio in questo momento. Soffoco il disgusto per le mie azioni e continuo. «E

nessun indovinello da fata. Non sono dell’umore».

La luce sta svanendo. Zampe invisibili si mischiano sul terreno attorno a noi. Lo

sguardo famelico e insistente delle fate predatrici si posa sulle mie spalle. Respirano

come se fossero un unico essere, e sembra di stare in una foresta che ha una vita propria.

L’aria attorno a noi si riscalda, diventando appiccicosa e umida. Ma non posso lasciare

andare Aithinne. Non ancora. Fin quando non parlerà.

«La luce sta scomparendo», dice, con indifferenza.

Alzo lo sguardo per vedere l’ultima traccia delle stelle. Se non la lascio andare i

35

mara ci attaccheranno, e io sono ancora debole a causa della prigionia di Lonnrach.

Impreco per la frustrazione e la lascio andare.

Aithinne crea velocemente un’altra sfera e la lancia. Le ombre che ci circondano si

disperdono nuovamente, i loro ululati agonizzanti riempiono il silenzio. I mara tornano

a guardarci dalle tenebre, i loro ringhi impazienti e risentiti.

Aithinne si tiene il braccio, il sangue scorre dai tagli che ho fatto con le mie unghie.

Lo guardo. Siamo uguali, tu ed io. Le parole di Lonnrach riecheggiano nella mia

mente. Faccio un passo indietro e mi premo un palmo sul collo, dove ci sono gli ultimi

marchi che legano lui e me. Ancora sanguinanti. Ancora doloranti. Siamo uguali.

Anche io ho marchiato Aithinne. Nonostante guardi la sua pelle guarire diventando

liscia e intatta, voglio ancora farlo. Quando Lonnrach mi ha distrutto, forse ha riempito

il vuoto dentro di me con frammenti di sé stesso.

«Mi dispiace», sussurro. Non riesco a distogliere lo sguardo. «Mi dispiace tanto».

Aithinne mi guarda a lungo e con attenzione, l’empatia sul suo volto. Questa volta,

sceglie le parole con cautela. «Se Lonnrach dovesse scoprire ciò che dico, darà loro la

caccia. Lui ha spie dappertutto. Kadamach non lascerà che ti dica nulla per

proteggere…»

All’improvviso la sua voce si stozza, un suono orribile, come se si fosse lasciata

sfuggire qualcosa. Si piega in due, il volto contorto dal dolore. «La mia promessa»,

dice a fatica. «Scritta sulla mia lingua».

Se Lonnrach dovesse scoprire ciò che dico, darà loro la caccia. Lui ha spie

dappertutto. Kiaran è pragmatico, sbaglia di rado. Sapeva che avrei chiesto risposte

che avrebbero potuto mettere le persone in pericolo – in particolare se si stanno

nascondendo dall’esercito delle fate.

«Ti ha fatto promettere di non dirmelo?»

Annuisce. «É molto generico. Non posso rivelare la maggior parte delle cose che

succedono là fuori, niente di ciò che lo riguarda».

«Lo so», dico mentre la rabbia di prima svanisce. «So come funzionano le promesse

delle fate».

Non c’è da stupirsi che si sia quasi soffocata con le parole. Una promessa delle fate

non è qualcosa da prendere alla leggera, come un gioco. Una volta Kiaran ha promesso

di non uccidere mai un umano. Se dovesse mai spezzare la promessa, morirebbe

lentamente e dolorosamente. Se Kiaran ha fatto fare una promessa a Aithinne… la

situazione nel mondo degli umani deve essere disperata.

Riesco a vedere Edimburgo distrutta. A sentire la cenere che cade prima di ricacciare

il ricordo nei recessi della mia mente e chiuderlo a chiave. Non pensarci ora. Scappa

da Lonnrach.

Mi sforzo di parlare. «Andiamocene da qui».

36

Capitolo 7

Traduzione: Lis

Io e Aithinne attraversiamo la foresta con passo rapido e costante per un tempo che

sembra interminabile, forse per ore.

Imito il movimento del suo corpo per evitare gli scuri arti metallici degli alberi, quei

rami affilati come rasoi. Si impigliano nella parte inferiore della mia sottoveste,

strappandola.

Faccio un altro passo e sussulto quando un ramo mi taglia la gamba, provocando una

ferita lunga e sottile, superficiale ma dannatamente dolorosa. Intorno al taglio compare

del sangue che mi cola fino ai piedi. Dannazione.

Gli acuti ululati di una miriade di mara echeggiano improvvisamente per la foresta.

«Aspetta» dice Aithinne con tono brusco. «Non ti muovere. I mara hanno un olfatto

molto sensibile. Se in tanti sentono l’odore del tuo sangue potrebbero rischiare di essere

bruciati dalla luce.»

I mara camminano attraverso le ombre, tra i rami scricchiolanti. Sobbalzo quando

vedo qualcosa muoversi con la coda dell’occhio. Maledizione. Oh maledizione. Si

stanno avvicinando. Persino con la luce sopra di noi si spostano nelle ombre tra le

stelle, sempre più vicini. In attesa, in attesa.

Sento un respiro caldo vicino al mio piede, così afferro l’elsa della spada. Sento un

ringhio provenire da sinistra e tiro fuori la lama senza pensarci. I miei muscoli fremono

in risposta, ma non ci presto attenzione. «Scappare o combattere?»

Il sorriso di Aithinne è feroce, selvaggio. «Entrambe le cose.» Ha la sua lama in

mano prima che io possa sbattere le palpebre. «Decisamente entrambe.»

Mi fermo. «Accidenti. Sei davvero la sorella di Kiaran.»

Un attimo dopo mi sta facendo strada e iniziamo a correre tutte e due. Come prima,

imito i movimenti del suo corpo per evitare i rami affilati. Non sono aggraziata. I miei

arti sono impacciati per mancanza d’uso, ma mi spingo a proseguire. Vai avanti. Puoi

farcela. Vai avanti.

Le ultime luci sopra gli alberi iniziano a svanire; una dopo l’altra si spengono come

delle candele. Il fruscio tra gli alberi si fa più forte, più frenetico. Un ululato risuona

da qualche parte alla mia sinistra. I mara stanno correndo verso di noi, aspettando il

momento giusto.

Aithinne si ferma sul bordo dell’ultimo cerchio di luce. Mi afferra la mano e mi gira

volutamente per poter appoggiare la sua schiena alla mia. «Affrontane quanti più puoi»

dice a bassa voce. «Poi scappa e lascia che io distragga gli altri.»

Annuisco, asciugandomi il sudore dalla fronte. Il mio respiro è irregolare, debole.

Sto tremando, nauseata dalla corsa. Ma sono troppo vicina alla fuga perché me ne

importi.

Poi le ultime stelle svaniscono e piombiamo nell’oscurità.

Ascolto le ombre, il fruscio delle pellicce e dei corpi intorno a me. Un fiato caldo mi

37

soffia sul viso e rabbrividisco a causa della puzza.

Dei denti scattano. Colpisco con la spada, prendendo pelle e pelliccia. Un ululato

acuto riempie il silenzio pieno di ombre. Poi sento dei piedi, decine di piedi, che

galoppano verso di me. I mara cambiano il modo in cui le ombre si propagano nella

foresta al crepuscolo, in modo molto rapido.

Non esito. La mia spada fischia attraverso l’aria, tagliando, sferzando. Combatto nel

modo in cui Kiaran mi ha sempre insegnato: seguendo l’istinto. Ogni mio senso è

amplificato, affinato dalla privazione della vista. Il sapore del potere dei mara, del

fumo e del calore mi brucia le labbra e la lingua, a indicare quanto sono vicini.

I miei muscoli si ricordano come si combatte. Il mio corpo lotta come se fosse facile

come respirare. Benché i miei colpi siano poco precisi, compenso con una grande

tenacia. Ogni uccisione mi rinvigorisce fino a quando non riesco finalmente a tenere il

passo con Aithinne. La sua schiena continua a premere contro la mia, i nostri respiri

sincronizzati.

Siamo una squadra notevole.

Degli artigli mi tagliano il braccio e serro i denti. Il mio sangue li fa impazzire ancora

di più. Proprio mentre ne abbatto uno, un altro mi viene addosso, poi un altro ancora.

Inarco la spada colpendo della pelliccia che cede sotto la lama. Del sangue mi

schizza sul volto. I poteri dei mara morti fluiscono dentro di me, pesanti come il calore

soffocante del più caldo giorno d’estate.

Normalmente mi verrebbe da esultare. Li abbatterei tutti con un’euforia esplosiva,

ma non questa volta. Non sento quella brama, quel piacere che deriva dall’uccidere.

Solo la necessità e il bisogno di sopravvivere.

Quest’epifania mi rallenta per un solo secondo, ma è abbastanza per i mara. Uno di

loro si attacca al mio braccio, affondando i denti proprio sopra al mio polso. Ansimo

dal dolore, fendendo la lama verso il basso per tagliargli la testa con un solo rapido

colpo. I suoi denti mi lacerano il braccio mentre cade a terra.

«Preparati a correre, Falconiera.»

La sfera di luce prodotta da Aithinne è enorme, grande almeno quanto la ruota di una

carrozza. I mara che ci circondano guaiscono, cercando riparo nelle ombre fuori dalla

sua portata.

Tirando indietro le braccia per darsi lo slancio, Aithinne lancia la luce verso il cielo.

Esplode, le stelle cadono intorno a noi. Rischiarano la foresta, illuminando grandi

creature dal pelo scuro, con occhi brillanti e denti come coltelli. Fuggono con urla

assordanti, lasciandosi dietro il terribile odore di manto bruciato.

Aithinne indica un’apertura tra gli alberi. «Da quella parte. Non guardarti indietro.»

Corriamo di nuovo affannosamente per la foresta. Odio la mia debolezza, quanto il

corpo mi faccia male dopo una battaglia così breve. Lo sforzo necessario a evitare i

rami affilati non fa che peggiorare le cose. La parte inferiore della mia sottoveste si

strappa, incastrandosi fra le spine. Riesco a liberarmi e mi lancio dietro a Aithinne.

I ruggiti gutturali dei mara echeggiano intorno a noi. Capisco solo in quel momento

quanto stiano sanguinando i tagli sulle mie braccia. L’odore li starà probabilmente

facendo impazzire.

Le luci sopra di noi si stanno spegnendo, svanendo rapidamente. Corriamo più in

38

fretta, le gambe che scattano. I muscoli mi bruciano per lo sforzo, il petto mi fa male.

«Laggiù» dice Aithinne con un sussulto.

Proprio davanti a noi c’è una luce fioca oltre gli alberi. Ci siamo quasi. Ci siamo

quasi. L’oscurità sta piombando intorno a noi. Il calore dei mara che ci inseguono mi

scivola giù dalla schiena. Stanno ringhiando, ansimando, le loro zampe pesanti

rimbalzano tra i rami dietro di noi.

Sbrighiamoci, sbrighiamoci, sbrighiamoci. Le luci al nostro fianco sono

completamente spente, con l’eccezione del bagliore davanti a noi che ci fa strada.

Pianifico la mia fuga. Memorizzo il sentiero in mezzo agli alberi, privo di spine.

Mi spingo a proseguire, ignorando il dolore alle gambe, la fatica. Ci siamo quasi.

Le ultime stelle si spengono. Qualcosa mi afferra la gamba, graffiandomi la pelle.

Non perdo la rotta. Rimango sulla mia strada. Proprio quando sento il calore dei mara

insopportabilmente vicino, salto verso l’uscita della foresta.

Il mio corpo urta contro il terreno, e mi rotolo sull’erba. Chiudo gli occhi per

ripararmi dalla luce improvvisa del giorno, non aprendoli neanche quando sento il

guaito di un mara sofferente dietro di me.

Qualche attimo dopo, altri ringhiano dalla foresta. Emettono gemiti e lamenti di

frustrazione.

Non preoccuparti. Rimarranno tra le ombre. Significa che sono al sicuro.

Finalmente.

Resto stesa per terra, respirando profondamente. Gli alberi intorno a me gemono, le

foglie svolazzano nella fresca brezza. Non voglio muovermi mai più.

Al passo pesante di alcuni stivali sull’erba, apro gli occhi. Aithinne si china con un

gran sorriso. «Non sei morta. Visto? Te l’avevo detto che sarebbe stato facile.» Mi

porge una mano e la prendo, alzandomi precariamente in piedi.

«Sono stata morsa da una creatura demoniaca dei boschi. Le mie gambe sono state

fatte a pezzi da alberi affilati come rasoi. Siamo quasi morte. Facile? Hai bisogno di

un dizionario.»

Controllo il mio braccio sanguinante. La ferita taglia in due cinque dei marchi fatti

da Lonnrach, e ciò mi fa sentire inspiegabilmente fiera. Bene. Meglio sostituire i vecchi

e brutti ricordi con dei nuovi marchi. Ricominciare.

«Un dizionario» ripete. «Cos’è, un dolce?»

Ma per l’amor del… «È un libro che spiega il significato delle parole.»

«Oh. Sembra terribilmente noioso. Avrei preferito un dolce.»

Spero di essere ancora sana di mente alla fine di questo salvataggio.

Osservo il bellissimo panorama intorno a noi. Il prato è sopra una dorsale, un

paesaggio tranquillo con un chiaroscuro ancora più accentuato rispetto all’area intorno

al crepaccio. Le nuvole sono nere e cariche di pioggia.

Ogni parte di quella terra è aspra. Vicino a noi c’è una cascata che scende dalle rocce

verso il canyon sottostante. Il fiume in fondo al canyon è scuro; assomiglia più alla

lava di cui avevo letto delle descrizioni, con quella consistenza densa creata dalle

rapide.

Sembra un quadro dipinto da una mano esperta. Come se l’artista avesse

delicatamente sfregato un carboncino per ottenere la consistenza giusta. L’ombra

39

giusta. Ogni dettaglio impresso da precise pennellate. Una volta il Sìth-bhrùth era

colmo di migliaia di colori sconosciuti agli occhi umani.

Questo posto doveva essere ancora più straordinario prima che i colori sbiadissero.

Dall’espressione nostalgica mista a tristezza sul viso di Aithinne capisco che sta

pensando alla stessa cosa. Il suo sguardo è perso nel vuoto, come se stesse ricordando

com’era un tempo.

«Che aspetto aveva prima?» non posso fare a meno di chiedere. «Era bello?»

«È sempre stato bello» dice meccanicamente. «Non è mai stato questo il problema.»

«E allora qual era?»

Aithinne sembra scuotersi, richiudendosi in se stessa come fa sempre Kiaran.

«C’erano molti problemi.» Guarda verso di me. «Stai di nuovo sanguinando.»

Senza preavviso, Aithinne mi afferra il braccio. Prima che possa chiederle cosa sta

facendo, fa scorrere un dito sulla mia ferita e lecca via il sangue con un solo scatto della

lingua.

«Ah!» la fisso scioccata. «Hai leccato… hai appena… Dio mio, rivoglio indietro gli

ultimi cinque secondi della mia vita.»

Il suo volto si contorce in una smorfia. «Veleno di Baobhan sìth. Ce l’hai addosso,

riesco a sentirlo.»

Mi irrigidisco. Lonnrach ha marchiato il mio corpo. Mi ha rubato i ricordi. Ovvio

che avrebbe anche corrotto il mio sangue.

Voglio sapere tutto. Devo solo usare il tuo sangue per vedere.

Sono contaminata. La mia pelle non è mia e il mio sangue non è mio e la mia mente

non è mia. Non c’è una sola parte di me che non abbia reclamato o preso con la forza,

eccetto la mia volontà. E si era quasi preso anche quella.

Aithinne nota la mia espressione. «Falconiera, non volevo dire questo. Io…»

«Ma certo.» Sento il bisogno di pulirmi. Di togliermi di dosso il suo odore. «Va tutto

bene.»

Allenta la presa intorno al mio braccio. «No, non è vero» mi dice. «Non va bene.

Quello che ti ha fatto» preme le dita sul mio polso, dove Lonnrach mi aveva morso più

volte, «non va bene per niente.»

Non avevo mai visto Aithinne così seria. Come se sapesse. Come se ci fosse passata.

Forse era così.

Le dico quasi grazie. Sono tentata di infrangere la regola, dato che alle fate non piace

essere ringraziate. Perché lei potrà anche essere una di loro, ma io ho passato

giornisettimanemesianni senza parole gentili, salvo quelle che esistono nei miei

ricordi.

Gli occhi di Aithinne non si distolgono dai miei. «Posso guarirti. Il veleno deve

sparire da solo, ma posso eliminare i suoi effetti.»

Sì. Sì sì. Sbarazzarsi dei tremori agli arti e del fiato corto e qualcosa che porti via il

dolore. Sì.

Al mio cenno del capo, Aithinne mi mette le mani sulle orecchie. Attutisce i suoni

fino a che tutto quello che sento è quel rumore simile alle onde del mare.

Poi arriva il dolore lancinante. Sussulto, ma ci sono talmente abituata che non mi fa

quasi più effetto. Le mie ginocchia non si piegano come un tempo. I miei occhi non si

40

riempiono di lacrime. Lo considero come un indicatore del fatto che sono qui e sono

viva e posso ancora sentire e non puoi portarmi via tutto questo.

Apro gli occhi proprio quando il taglio sul mio braccio si ricuce sotto il sangue. Le

ferite sulle mie gambe svaniscono, lasciandole completamente lisce. Il dolore ai

muscoli sparisce, la debolezza che mi portava a tremare indifesa si dissolve e anche

l’agonia se ne va insieme a tutto il resto.

Ora rimangono solo le cicatrici

Aithinne allontana le mani e sorride. «Meglio?»

Al diavolo le consuetudini delle fate. Non mi interessano. «Graz…»

Poi lo sento. Il suono distante di zoccoli sul terreno, che attraversano la campagna

vicino a noi. Troppo lontani perché io possa assaporare il loro potere, ma abbastanza

vicini da farmi capire che ce ne sono almeno una dozzina, e che sono diretti verso di

noi.

41

Capitolo 8 Traduzione: ohmahgawdtawny

Revisione: Veru

Aithinne borbotta qualcosa di volgare. «Dovremo usare il sentiero.» Lo indica con un

cenno del capo. «Il passaggio è proprio sotto la cima della rupe. Finché rimangono

quassù non possono vederci.»

Osservo il sentiero che ha indicato e lo stomaco mi si stringe. Il dirupo che porta al

fiume qui sotto è tortuoso e cosparso di rocce che terminano con un ripido salto nel

vuoto. Un po’ come i sentieri di montagna dei Cairngorm. Sono maestosi da vedere,

ma c’è una ragione se dicono che quelle maledette strade sono infestate, ed è perché

ogni anno qualche esploratore parte e non torna più.

Se cadiamo, lei sopravviverebbe. Io, citando Aithinne, mi spappolerei.

Faccio subito un passo indietro. «Ah? Non potremmo…»

«No» Aithinne mi interrompe con il tipico tono di Kiaran.

Reprimo un’imprecazione e la seguo per il prato. Proseguiamo fino al punto in cui

lo stretto crinale si allunga sotto la cima del dirupo, fuori dalla visuale dei cavalieri. Le

rocce sono ruvide come scoria e colorate di un rosso così scuro da sembrare nere.

Odorano di cenere, come se avessero acceso un fuoco di recente. In questo punto, non

c’è niente sotto di noi: solo un gran bel salto fino in fondo, senza ostacoli.

Senza riuscire a trattenermi, mi avvicino al bordo e do un’occhiata giù. Come vorrei

non averlo fatto. La testa inizia a girarmi come se fossi in un vortice e la nausea mi

prende lo stomaco.

Non sono certo una che ha paura dell’altezza, ma non sono nemmeno così matta da

buttarmi da lì per sfuggire alle fate. Il sentiero è largo quanto basta per tenerci i piedi;

non è altro che una sottile sporgenza di roccia che potrebbe franare e rotolare giù da un

momento all’altro.

Esamino il sentiero in cerca di qualche ramo a cui aggrapparmi nel caso dovessi

cadere. Nessuno.

Il rumore degli zoccoli tra gli alberi si avvicina. Sono quasi arrivati al prato. Se non

ci muoviamo, mi vedranno e mi rimetteranno nella prigione con gli specchi.

Lonnrach mi ruberà di nuovo i ricordi. Mi punirà per essere scappata e magari sarà

anche peggio dell’altra volta. Non tornerò lì. Potrei non avere mai più una possibilità

del genere.

Quando Aithinne inizia a scendere il sentiero davanti a lei, non esito. Faccio qualche

passo sulla strada rocciosa. Recito mentalmente il mio incoraggiamento, il mio mantra.

Ci sei quasi. Ci sei quasi, ci sei quasi. Sei quasi al sicuro. Quasi a casa. Quasi libera da

lui. Ogni passo è un quasi quasi quasi.

Quando sento le fate raggiungere il campo sopra le nostre teste, cerco di camminare

42

silenziosamente, come Aithinne. Le rocce sono troppo instabili. Le mie pantofole non

hanno quasi aderenza.

A metà strada, scivolo e cado graffiandomi sulle rocce. Apro la bocca per gridare,

ma Aithinne mi ci mette una mano sopra e mi tira su, al sicuro. Ci fa schiacciare contro

la parete ruvida, un dito sulle labbra. Poi mi lascia e indica verso l’alto. I cavalieri sono

sulla cresta proprio sopra di noi.

«Avete detto di qua?» sento chiedere Lonnrach.

Il mio battito aumenta. Me lo immagino nella sala degli specchi, con i denti sul mio

polso. Farà davvero male. Mi ha fatto male ogni volta.

Ci sei quasi. Riprendo la mia cantilena disperata, il pensiero rassicurante che vedrò

Kiaran una volta fuggita. Ti aspetto dall’altra parte.

Ci sei quasi.

Sono così distratta dai miei pensieri che, quando guardo Aithinne, sono sorpresa di

vederla paralizzata. I suoi occhi sono sbarrati e pieni di panico. Quando le tocco le dita,

mi accorgo che sono gelate.

«Hanno attraversato la foresta» dice un’altra voce che non riconosco. «Ci sono due

tracce di energia. È stata aiutata.»

Un cavallo è così vicino al bordo che fa crollare un po’ di terra e roccia sui nostri

piedi. Aithinne non sembra accorgersene. Il suo respiro si fa instabile, ansante. Forte.

Sopra di noi, il cavallo si avvicina di più al bordo. Le fate sono silenziose… troppo

silenziose e immobili. Sono raggelata da un principio di terrore. Stanno cercando di

sentirci. Il respiro di Aithinne si è fatto pesante, come un ruggito nel silenzio.

Le metto una mano sulle labbra per calmarla, ma lei non reagisce. Il suo sguardo è

vuoto, lontano. È persa in un ricordo.

«È Aithinne» dice Lonnrach, la voce tirata. «È con la Falconiera.»

Aithinne rantola contro la mia mano, gli occhi serrati.

«Non può essere» dice l’altra fata. «Non può essere passata senza che ce ne

accorgessimo…»

«Oh, sì che può» dice Lonnrach. «Ma con poteri limitati, le servono i giusti requisiti.

Starà cercando una via d’uscita.»

Aithinne sta ansimando contro la mia mano, le sue labbra si muovono. Mi avvicino.

Riesco a sentire cosa dice tra le mie dita, le sue labbra formano parole contro la mia

pelle. Sono tre. Tre parole come dita gelate lungo la mia spina dorsale. «Non fa male.»

«Shh.» Cerco di respirare piano come l’aria. Non so come rassicurarla e farla

riprendere, non senza parlare. Se continuo a toccarla, potrebbe reagire male.

«Attraversa la foresta» dice Lonnrach. «Cerca di recuperare le tracce da lì. Noi

torniamo indietro per vedere se ci siamo persi qualcosa.»

I cavalieri ripartono, i loro passi sono pesanti sulla cresta sopra di noi. Ascolto finché

non torna il silenzio e allontano la mano dalla bocca di Aithinne. Ha ancora gli occhi

chiusi, il suo petto si alza e si abbassa rapidamente, e lei ripete sempre quelle tre parole:

non fa male.

«Aithinne» sussurro. «Se ne sono andati. Va tutto bene.»

Non va bene. Quello che ti ha fatto non va bene per niente.

Smette di ripetere la sua cantilena, ma ci vuole ancora un bel po’ prima che il suo

43

respiro si calmi.

Io ce l’ho fatta. Ce la farai anche tu.

È colpa di Lonnrach. Per forza. Aithinne ha reagito così nel momento in cui ha

sentito la sua voce. Ha passato duemila anni con lui nel tumulo. Duemila anni in cui le

ha fatto quello che ha fatto a me.

«Ti ha…» Non riesco a dirlo. Perciò le porto le dita sui segni che mi ha lasciato. Ha

provato a marchiare anche te? Anche se non ci è riuscito, ci ha provato? Ti ha rubato

la mente come ha rubato la mia? «Ti ha fatto questo? Come ha fatto con me?»

Aithinne apre gli occhi. Non sono più di un argento fuso. Ora sono immobili come

l’acciaio, non privi di emozioni, ma freddi e intorpiditi. «Peggio» dice, la sua voce dura

mi trafigge. «Ha fatto di peggio.»

Adesso sai esattamente come ci si sente ad essere così indifesi.

Non faccio domande. Non voglio sapere cosa potrebbe essere peggio per una

persona a cui non rimangono cicatrici e non può morire.

Aithinne si rimette in piedi, reprimendo le sue emozioni. Si pulisce la giacca dalla

terra con movimenti rigidi. «Dobbiamo muoverci.» È brusca, fredda e distaccata. Come

se non fosse successo niente. «Prima che cambi il vento.»

Prima che possa dire qualcosa, ricomincia a scendere il sentiero. La seguo. Anche se

non posso vederla in faccia, vedo che i muscoli delle sue spalle sono ancora tesi. Le

sue dita sono strette a pugno. Valuto la possibilità di dire qualcosa, di fare qualche

chiacchiera inutile per riempire il silenzio, ma sto zitta.

Anche io preferisco il silenzio. Mi dà il tempo di osservare il paesaggio, il sole che

inizia a tramontare sul lago dall’altra parte, dove si getta il fiume. Le stelle prendono

posto tra le nuvole, il paesaggio si è imbrunito da quando siamo arrivate. Sento il vento

soffiare tra gli alberi sopra di noi, facendo muovere rami e foglie.

Aithinne procede velocemente e io cerco di starle dietro. Rimango concentrata sul

sentiero senza mai osare guardare giù dal dirupo. Se lo facessi, tornerebbero le

vertigini, quindi mi limito a mettere un piede davanti all’altro, senza fermarmi.

Aithinne, al contrario, sembra in piena padronanza della situazione. I suoi passi non

esitano un secondo. Non parla, nemmeno per rivolgermi domande irritanti. È chiusa in

se stessa, in una perfetta indifferenza.

Improvvisamente, alza di scatto la testa nello stesso istante in cui percepisco

distintamente il potere di Lonnrach sulla lingua. Oh, accidenti.

Ci voltiamo contemporaneamente. Lonnrach è all’inizio del sentiero, in sella a un

cavallo di metallo, con una decina di fate dietro di sé.

Ci vede. Sento i suoi occhi su di me. È nella mia mente, inquisitore, insistente, cerca

di entrare… tutto perché ho accettato il suo cibo e la sua acqua. Sussurra una parola

soltanto: Falconiera.

È un ordine, quella parola. Un semplice ordine. Torna da me.

Faccio un passo avanti, come se non avessi più il controllo del mio corpo. Della mia

mente. Sì, dice. Così. Così.

Adesso sai esattamente come ci si sente a essere così indifesi.

Indietreggio di scatto al ricordo delle parole di Lonnrach, interrompendo l’influenza

che ha su di me. «No» ringhio.

44

Mi giro per non guardarlo più. Dietro di me, Aithinne è paralizzata dalla sua

presenza. Non ho tempo per consolarla, per dirle parole dolci e farla riprendere. La

afferro per la giacca e la trascino per il sentiero con me. La tengo così stretta che le

nocche mi diventano bianche.

Ma Aithinne è ancora troppo distratta, e basta questo. Scivola. Sta per cadere oltre il

ciglio del burrone, ma le prendo il braccio. Pianto i talloni nel terreno e tiro con tutta

la forza che ho, usando il mio peso per spingerla indietro.

Aithinne si riprende abbastanza da recuperare l’equilibrio e cominciamo a correre.

Percorriamo velocemente il pericoloso sentiero con le fate dietro di noi. Sono scese da

cavallo per poterci seguire su questa strada così stretta.

Intorno a noi, la cresta rocciosa inizia a tremare. Le rocce si sbriciolano, rumorose

come colpi di cannone. Il sapore del potere delle fate è viscido nella mia gola, brucia e

fa male. Sono loro. Sono loro che fanno tremare la terra sotto di noi.

Si forma una crepa ai nostri piedi, il terreno si spacca. Perdo l’equilibrio. Aithinne

mi prende per un braccio, tirandomi violentemente in salvo.

«Non colpite la Falconiera!» urla Lonnrach, la sua voce rimbomba nel canyon. «Mi

serve viva.»

Le scosse smettono appena raggiungiamo la fine del sentiero. Con il respiro

affannoso, ci arrampichiamo sulle rocce, fino a raggiungere la cima della rupe. Non

riesco a sentire altro che i passi rapidi e determinati che ci seguono. Non ci vorrà molto

prima che ci raggiungano. Saranno qui tra qualche minuto se non facciamo qualcosa.

In cima alle rocce, Aithinne si ferma così bruscamente che a momenti la travolgo.

Improvvisamente, un pesante sapore di ferro mi invade la bocca come un abbondante

fiotto di sangue, così intenso da farmi quasi vomitare.

Riconosco il sapore. Sorcha.

Giro intorno ad Aithinne e Sorcha sorride. «Falconiera» mi saluta. «E Aithinne.

Cavolo, cavolo, che sorpresona.»

Indossa una sottoveste come la mia, solo che il tessuto della sua brilla come un cielo

nero stellato. La bellezza della baobhan sìth è sbalorditiva, terrificante. Guardo i suoi

canini abbassarsi sui denti, allungandosi tanto da raggiungere le sue labbra piene. Il

suo sorriso si allarga, un orrido sogghigno fatto di denti aguzzi.

Normalmente ripenserei a mia madre la notte del suo omicidio. Vedrei Sorcha

sovrastare il suo cadavere, leccarsi via il sangue dalle labbra come dopo un pasto

soddisfacente.

Ma adesso riesco solo a paragonare i suoi canini a quelli di Lonnrach. I suoi

ottantadue denti assomigliano a quelli che mi hanno lasciato questi segni. La verità è

che sia Lonnrach che sua sorella si sono appropriati di una parte di me. Lonnrach si è

preso il mio corpo e la mia mente, e Sorcha… lei si è presa parte della mia umanità.

Me l’ha strappata via, riducendomi a quella violenta ragazza degli specchi.

Stringo l’elsa della spada così forte che la mano inizia a farmi male. Reprimo i

ricordi quel tanto che basta per parlare. «Sei fortunata che Kiaran abbia fatto quel voto»

dico a Sorcha. «Se le vostre vite non fossero intrecciate, ti infilzerei questa spada nel

petto e ti strapperei il cuore.»

Proprio come hai fatto con mia madre. Ti farò sentire come si è sentita lei. Morirai

45

allo stesso modo.

«Occhio per occhio, giusto?» sibila Sorcha mostrando i canini. «Mi piacerebbe

molto vederti provare.»

«Basta così.» Aithinne l’attacca con il suo potere, veloce come un fulmine. Vedo un

taglio aprirsi sul viso perfetto di Sorcha.

Il sangue inizia a colarle sulla pelle color alabastro. «Strìopach» ringhia. Non

conosco il significato di quella parola, ma sono sicura che non è un bell’appellativo.

«Sono venuta ad aiutarvi ed è così che mi ripagate?» Storce la bocca. «Vorrei che ti

avessero ucciso nei tumuli.»

Aithinne si irrigidisce. Con la coda dell’occhio vedo la sua mano stringersi a pugno.

«Tu non aiuti la gente» dice freddamente. «Non lo hai mai fatto.»

Sorcha, venuta ad aiutarci? Non può veramente pensarci così stupide da crederle. È

più plausibile che ci stia distraendo per non farci scappare. Sento Lonnrach e i suoi

soldati avvicinarsi. Saranno a metà strada ormai, sempre più veloci.

«Vuoi aiutarmi?» dico. «Levati di mezzo.»

Sorcha sembra divertita. «Oh, credimi. Non c’è cosa che desidero più di vedere

Lonnrach spezzarti quel bel collo.» Guarda Aithinne. «Devi aprire un portale qui. Non

si chiuderà abbastanza in fretta e Lonnrach vi seguirà. Sono qui per far sì che questo

non succeda.»

Gli occhi di Aithinne diventano due fessure. «E perché dovrei fidarmi di te?»

«Beh» Sorcha dice con dolcezza. «Hai due possibilità: o ti fidi, o te la vedi con mio

fratello.» Sorride tagliente, crudele. «E so che siete entrambe a conoscenza dei suoi…

speciali metodi di inquisizione.»

Voglio sapere tutto. Mi basta il tuo sangue per vedere.

Non riesco a trattenermi. Faccio un passo avanti, tirando fuori la mia spada…

Aithinne mi mette una mano sulla spalla per fermarmi. «Non oggi» sussurra, troppo

piano perché Sorcha possa sentirla. Poi le rivolge un cenno di assenso. «D’accordo.»

Vedendo lo sguardo compiaciuto di Sorcha, aggiunge: «Ma se ci tradisci, ti appendo

per le budella che al confronto l’eterna punizione di Prometeo sembrerà una

passeggiatina nei boschi.»

Per la prima volta, vedo un lampo di paura nell’espressione di Sorcha. Ha paura di

Aithinne. Sorcha mi lancia un’occhiata e, come se si fosse accorta che l’ho notato, il

suo sguardo si indurisce. «Userò i miei poteri per trattenere Lonnrach il più possibile,

senza che mi veda.» Per tutta risposta allo sguardo tagliente di Aithinne, Sorcha

sogghigna mostrando i canini. «Non vorrei farmi nemico mio fratello.»

Aithinne scuote la testa e prosegue sulle rocce, lasciandosi alle spalle l’altra fata.

«Ah, Aithinne?» la chiama Sorcha. Aithinne si ferma ad ascoltare. «Giusto per

mettere in chiaro le cose: questo non cambia niente tra di noi. Io sono fedele a lui.

Come lo sono sempre stata.»

Aithinne serra la mascella e io aggrotto la fronte davanti alla sua reazione. Prima che

possa analizzare le sue parole, Aithinne riprende a camminare e io mi vedo costretta a

seguirla. Non possiamo rimanere a vedere come distrarrà Lonnrach e le altre fate; non

abbiamo tempo.

Aithinne si dirige sull’altro versante della cresta rocciosa.

46

Siamo sopra il lago e la sua acqua scintillante. Le onde lambiscono le rocce ruvide.

Si ferma sul ciglio e guarda giù «Qui. Devo aprirlo qui.»

Il mio cuore salta un battito. Non intenderà mica saltare? Sarà un’altezza di almeno

centoventi metri, abbastanza da farmi spappolare sulle rocce in caso di caduta.

«Qui dove siamo, vero?» dico cautamente, temendo la sua risposta. Ti prego, di’ di

sì. Ti prego, di’ di sì.

Aithinne scuote la testa e le mie speranze vanno in frantumi. «Laggiù, circa a metà

della caduta.» Fa un piccolo sorriso in risposta al mio suono di protesta. «Le regole

sono semplici e sempre le stesse. Non lasciarmi andare. Non precipitare. Molto

probabilmente moriresti. Visto? Semplice.»

La fisso. «Dobbiamo davvero rivedere la tua definizione di quella parola. Non credo

significhi…»

Prima che possa reagire, Aithinne mi stringe e voliamo nel vuoto. Mi sfugge un grido

indecoroso e mi aggrappo alla sua giacca così forte che le mani iniziano a farmi male.

L’aria scorre assordante intorno a noi. Precipitiamo sempre più giù finché non mi sento

leggerissima, finché non mi sembra di volare e una foschia cresce intorno a noi, fitta e

di un bianco accecante.

L’atterraggio è molto più soffice di quanto mi aspettassi, come un guizzo leggero.

Rotolo giù per un piccolo pendio erboso e, quando apro gli occhi, vedo un cielo grigio

e nuvoloso.

Un vento gelido sferza il tessuto leggero della mia sottoveste. È ancora inverno,

dunque. Mi sembra di essere stata via una vita. C’è odore di pioggia, le gocce si

attaccano come ghiaccio alla mia pelle.

Casa. C’è odore di casa. Ce l’ho fatta. Ce l’ho fatta.

Apro gli occhi con un sorriso, finché non vedo il versante piatto alle spalle di

Aithinne. Aggrotto la fronte. Una volta lì c’erano le rovine della cappella di St.

Anthony. No? Mi alzo lentamente, ignorando le vertigini mentre il sangue mi va alla

testa.

«Qualcosa non va» sussurro, una sensazione di disagio cresce dentro di me. «C’è

qualcosa di sbagliato.»

Non sembra casa mia.

Queen’s Park è cambiato dalla battaglia. Il paesaggio è diverso. Ci sono pendii nella

collina e buche nel terreno che prima non c’erano. Il sentiero sterrato che attraversava

il parco non c’è più, l’erba l’ha ricoperto, fatta eccezione per delle pozze di terra nera

bruciata dove l’erba non è ricresciuta; resti della battaglia avvenuta qui. Adesso ci sono

delle rocce frastagliate al posto del prato pianeggiante sotto Arthur’s Seat.

Sapevo che sarebbe stato diverso. Mi ero preparata. Mi ero detta che, se mai fossi

scappata, avrei dovuto essere preparata alla vista della nuova Edimburgo di cui

Lonnrach mi aveva solo dato un assaggio.

Non lo sono. Non sono pronta, e dubito che mai lo sarò. Ma devo vedere il resto.

«Falconiera, io…»

Aithinne prova a parlare, ma il giuramento glielo impedisce e io non aspetto che ci

riprovi. Mi metto a correre. Risalgo velocemente il pendio per guardare la città.

Nel mentre ripenso a quello che Lonnrach mi ha mostrato. Mi preparo alle emozioni

47

che mi trafiggeranno, perché ciò che mi ha mostrato non era altro che un accenno della

distruzione. I miei pensieri sono una litania di rassicurazioni. Mi dico che l’ho visto.

Che mi sono preparata. Che ce la posso fare.

Inciampo e cado. Rocce appuntite mi feriscono le gambe nude, ma mi rialzo e

continuo. Arrivare in cima è il mio unico obiettivo. Non mi soffermo sul freddo, né

sulle mie pantofole che aderiscono a stento al terreno bagnato. Scivolo e vado avanti.

Uso le unghie, le affondo nel fango e mi arrampico. Quando le pantofole rimangono

attaccate nella melma, le lascio lì e proseguo scalza. Tutti i miei pensieri ora li esprimo

ad alta voce, tra un respiro e l’altro. Andrà tutto bene. Andrà tutto bene. Andrà tutto

bene, perché sei al sicuro e…

Raggiungo la cima e cado in ginocchio. La cantilena mi si strozza in gola. Non fa

nessuna differenza, perché per quanto pensassi di essermi preparata, non sono pronta a

quello che vedo.

Sotto di me, la città di Edimburgo giace in rovina.

48

Capitolo 9 Traduzione: Fae

Pre-Revisione: DustAngel

Non posso fare altro che guardare in basso.

Interi edifici sono stati distrutti; alcuni completamente abbattuti, altri ancora in piedi

solo in parte. Quelli che una volta erano gli alti palazzi dell’Old Town e di Holyrood

sono stati rasi al suolo, lasciando nient’altro che cumuli di detriti.

Un tempo, il castello di Edimburgo, una fortezza sopravvissuta assedio dopo assedio

nella storia di questo paese, era una presenza imponente in cima alla medesima altura

al centro della città. Adesso, era stata lasciata in uno stato patetico, solo la batteria di

cannoni disposti a semicerchio restava al suo posto nella parte antistante.

Più in basso, i danni alle zone nuove della città, dove vivevo una volta, sono meno

estesi; alcuni edifici sono rimasti interi, altri si trovano in vari stati di abbandono.

La battaglia è terminata da un pezzo, da tanto che la natura ha cominciato a

rivendicare la città. Piante infestanti, erba e muschi sono cresciuti dappertutto, segno

del trascorrere del tempo. Qui, il disastro, la Caccia Selvaggia, non è recente. La città

è stata abbandonata, infestata dalla vegetazione e lasciata in rovina. I

giornisettimanemesianni che avevo passato con Lonnrach nel Sìth-bhrùth erano

trascorsi molto più lentamente rispetto a qui. Non oso immaginare quanto tempo sia

trascorso davvero.

Non ero preparata a questo. La visione di Edimburgo mostratami da Lonnrach

rifletteva la face subito successiva il termine della guerra: una pioggia di cenere dal

cielo e il fumo intenso degli edifici in fiamme ne erano la prova. Non era che un mero

assaggio del caos.

La solitudine è tornata, un dolore che scava un vuoto dentro di me. Mi trovo nella

sala degli specchi insieme alle varie me stessa, le mie dita premono sui segni,

riportando alla luce ogni ricordo lasciato da ottantadue denti. Perché è questo tutto ciò

che mi rimane di questo luogo com’era prima che deludessi tutti i miei amici. Le

lacrime mi pungono gli occhi e tracciano un cammino rovente lungo le mie guance.

Distolgo lo sguardo dalla vista che mi si dispiega davanti e serro le palpebre.

Aithinne si porta al mio fianco: «Non ho potuto avvisarti.»

«Te l’ho detto, lo sapevo già. Lui me l’ha mostrato,» ribatto, deglutendo a vuoto

quando la voce minaccia di spezzarsi.

«Sapere non è come vedere,» continua con calma Aithinne. Mi posa una mano sulla

spalla. «Non devi per forza guardare. Possiamo…»

Mi libero della sua presa. «No. No, devo.»

Completamente fuori di me, mi slancio verso la città. I miei piedi calpestano la

polvere e l’erba mentre mi faccio strada tra le rocce. Aithinne mi chiama. La sua voce

mi giunge trasportata dal vento, il suo potere si diffonde come una carezza affettuosa

sulla mia nuca. Faccio una smorfia a quel breve tocco inumano, mi ricorda che lei è

una di loro, e loro hanno distrutto tutto.

49

Non li ho mai odiati così tanto.

Calpesto le pozzanghere disseminate lungo la discesa del dirupo. Le cataratte del

cielo si sono aperte, riversano sulla terra una pioggia improvvisa che rende la mia pelle

scivolosa e ostacola la corsa.

Quando finalmente raggiungo le strade che una volta circondavano Queen’s Park e

Holyroodhouse, ho la sottoveste grondante d’acqua. Le gambe mi dolgono per via dei

graffi e dei lividi, ma quasi non me ne rendo conto, mentre accelero lungo la via

principale ormai invasa dalle erbacce.

Persino il palazzo è stato raso al suolo, le sue torri, un tempo così belle, abbattute.

Tutto quel che ne resta sono mattoni anneriti dal fumo e qualche sezione delle mura

della corte interna ancora in piedi. Frammenti della navata della splendida abbazia che

prima abbelliva la proprietà giacciono sparsi sul terreno, ricoperti di erba e muschio.

Mi lascio tutto alle spalle, scattando verso quello che un tempo era il centro della

città. I miei piedi calpestano polvere e sassi, ma non mi fermo, nemmeno per

soffermarmi oltre su quella distruzione. Se mi fermassi anche solo per un istante, sarei

costretta a ricordare il mio fallimento. Io e Kiaran avevamo tentato di evitare tutto

questo, ma non ci eravamo riusciti, io non ci ero riuscita. E l’esercito di Lonnrach ha

spazzato via tutto.

Hai sacrificato il mio regno per salvare il tuo.

Ora non è rimasto altro che macerie tutt’intorno, una città che è stata demolita e

lasciata in rovina. La terra è tornata a rivendicarla, muschio e rampicanti avvolgono

ogni cosa.

Casa. Devo andare a casa. Il North Bridge è ancora in piedi solo per metà, il risultato

del mio combattimento contro i Berretti Rossi. I manovali non avevano avuto il tempo

di ricostruirlo.

Non ci pensare. Va’ avanti.

Imbocco la lunga strada in salita che in passato era Hugh Street, supero gli edifici in

pietra abbattuti dell’Old Town e mi faccio strada tra le rocce alle pendici del castello. I

miei piedi sono stanchi e inzuppati di sangue, inciampo in un sasso ad ogni passo.

Faccio una pausa solo quando arrivo alla New Town, nel punto dove prima si trovava

Charlotte Square. Sulla piazza grava un silenzio mortale, nessun uccello o animale si

aggira tra le macerie. Ci sono solo io, il corpo tremante, il respiro affannoso per la corsa

a perdifiato.

La mia casa… Dio, la mia casa. È ancora in piedi, ma vuota, abbandonata. Le

fondamenta gemono mentre mi avvicino, come se la struttura potesse cedere da un

momento all’altro.

È troppo rischioso entrare, ma mi accosto comunque all’edificio circondato da un

colonnato bianco. Scivolo tra l’erba incolta che fa capolino tra l’acciottolato. La porta

principale è accostata; quando la spingo verso l’interno, la polvere cade e i cardini

protestano.

Distrutto. È tutto distrutto, come se qualcuno si fosse aperto la strada con una forza

sovrumana. Schegge di legno sono disseminate sul tappeto persiano che una volta

faceva bella mostra di sé nell’anticamera, ora rovinata dalla polvere, dalla fuliggine e

dallo sporco. I quadri di mia madre, le vedute mozzafiato della costa scozzese,

50

giacciono in pezzi sul pavimento, macchiati e quasi invisibili sotto lo strato di muffa.

Non sa di casa. L’odore di mio padre è scomparso, anche quello del fumo di pipa

che impregnava costantemente il corridoio, nonostante le lunghe assenze. Casa mia sa

di vuoto, come se nessuno ci vivesse da anni. Come se nessuno ci entrasse da anni.

Percepisco la presenza di Aithinne dietro di me, pur senza sentirla avvicinarsi. Cerco

di respingere l’improvvisa essenza del suo potere fatato. È così silenziosa, proprio

come Kiaran. Non la sento neanche respirare.

Sono pronta a chiedere. Devo farlo. «Per quanto tempo sono rimasta nel Sìth-

bhrùth?» Cerco di mantenere salda la voce, ma ci riesco a malapena.

I giornisettimanemesianni si erano trascinati tanto che, come Lonnrach, avevo perso

la concezione del tempo. Non c’era niente per misurarlo, nessun orologio che ne

indicasse lo scorrere. Anche se l’intervallo trascorso con Lonnrach era stato breve,

indipendentemente dalla mia percezione, i giorni sarebbero trascorsi molto più

velocemente qui.

Aithinne sospira. «Dovrebbero essere state solo alcune settimane per te, laggiù. Sette

o otto al massimo.»

«Non farlo,» le dico bruscamente. «Non fingere di non capire. Quanto tempo è

passato qui, Aithinne?»

«Lo sai che non saprei dirlo non esattezza.»

«Allora trova un modo per farlo. Le piante là fuori non possono essere cresciute

dall’oggi al domani, di questo ne sono certa.»

«Il collegamento tra i Daoine sìth e la terra è più stretto rispetto a quello della

maggior parte dei sìthichean,» dice. «Quando gli altri sono fuggiti dai colli, potrebbero

avere influenzato la natura senza voler…»

«Aithinne.» Serro le mani a pugno. L’Aileana Violenta è nella mia testa, sorride e

incoraggia la mia rabbia. Provo a respingerla, a rimetterla al suo posto. «Ho detto, trova

un modo per dirmelo.»

«Mesi,» dice in un soffio. Anche così, la sua voce trema a causa del giuramento.

Questi alberi non avrebbero potuto crescere tanto in pochi mesi, neanche sotto

l’influsso delle fate. I rampicanti non avrebbero potuto ricoprire interi edifici.

Sarebbero dovuti trascorrere degli anni… ma gli anni sono composti da mesi. Le fate

sono delle maestre nel giocare con le parole.

«Niente giochetti.» Non mi curo di nascondere il tono tagliente della mia voce. Sono

stufa marcia di giuramenti fatati, indovinelli e segreti. «Niente mezze verità. Quanto

tempo?»

Poi, mi giro verso di lei. Lascio libero sfogo alla rabbia. L’Aileana Violenta.

Lonnrach ha visto dentro di me. Siamo uguali, io e te. Sono oltre la ragione, oltre il

discernimento. Sono la cosa inumana che ha visto, il riflesso della sua. Ora so che il

dolore ha scavato delle parti del mio animo, rendendole vuote. Ha lasciato entrare

l’oscurità e ha marchiato le mie ossa. Una bestia addormentata.

Le do un ordine secco: «Conta. Conta quanti anni.»

Il silenzio di Aihinne sembra durare un eternità, la sua espressione è incerta.

Finalmente comincia. «Uno.» Le trema la voce, il respiro si spezza. «Due.» La parola

le si blocca in gola e sono quasi sul punto di fermarla. «Tre.» L’ultima parola. Una

51

semplice parola che la lascia piegata in due, a tossire finché il sangue non le schizza

sulle brache.

«Tre anni,» mormoro. Dovrei aiutarla, accertarmi che stia bene. Non posso.

L’Aileana Violenta si ritrae, lasciandomi in preda allo shock. Tre anni. Tre. Anni.

«Falconiera,» rantola. «Aspetta.»

La sento appena. Tutta la mia attenzione è appuntata davanti a me mentre salgo le

scale scricchiolanti. Il chiodo a cui una volta era appeso il quadro di famiglia è ancora

al suo posto, in cima alla scala, si staglia netto contro la carta da parati impolverata e

strappata.

Calpestando i ritratti distrutti dei miei antenati, raggiungo la porta della mia stanza.

Sembra che sia stata saccheggiata. I frammenti di vetro dei lampadari ingombrano il

pavimento in mezzo alla polvere e alla sporcizia; lo stesso soffitto è in parte collassato

proprio sul mio letto. Ha lasciato campo libero agli elementi, la puzza di muffa è

ovunque. Nemmeno i piccioni si degnerebbero di vivere in un posto così orrendo.

In un angolo, in pezzi sul pavimento, giace il timone di una vecchia goletta che una

volta era appeso al muro di fondo. I mobili sono fracassati e abbandonati tutt’intorno,

il colore originale scurito dalla muffa.

«Lonnrach ti starà cercando,» dice Aithinne, la voce roca. Si porta al mio fianco,

asciugandosi il sangue sulle labbra. «Dobbiamo andarcene. Non è sicuro rimanere qui.»

Sento le sue parole, ma riesco appena a registrarle attraverso il velo di confusione

che mi avvolge. È come se mi stesse parlando dall’altra estremità di un’ampia vallata.

Mi avvicino all’armadio, in cui sono gettati alla rinfusa i resti stracciati dei miei

vestiti di seta, il tessuto è liso e lacerato. Dagli strati di polvere e vecchi tessuti si

sprigiona un tanfo di rancido. Coperto da tutto il resto, individuo l’angolo del baule

chiuso a chiave.

Getto tutta quella vecchia stoffa disgustosa da parte e il tessuto per poco non mi si

sfalda tra le mani, faccio scattare la serratura. Ti prego fa che sia ancora qui. Ti prego

fa che sia ancora qui.

Ho gli occhi inondati di lacrime quando apro il coperchio e vedo la fusciacca di

tartan appartenuta a mia madre. È ancora lì, integra e protetta dentro il contenitore

ermetico. La tiro fuori e il sentore di lana grezza è sempre lo stesso, la polvere non l’ha

contaminato.

Una traccia del fumo della pipa di mio padre mi riempie i sensi e mi lascio andare.

Cado sulle ginocchia e combatto contro le lacrime. Non piangere, mi dico come

sempre. Non piangere.

Serro la presa sul tartan e me lo premo sul viso. Cerco di ricordare. Ci provo con

tutta me stessa, ma non riesco a evocare le immagini della mia vita precedente. È solo

quando gratto con le unghie i segni lasciatimi da Lonnrach sul braccio che si affaccia

alla mente il volto di mia madre. Questo è il suo sorriso. Questa è la sua risata. Questi

sono un migliaio di brevi momenti, parole e azioni che dicevano ti voglio bene e Sei

un tesoro e Sei importante.

E, da sola, non riesco a ricordarne nessuno.

«Non riesco a ricordare,» dico a Aithinne, consapevole della sua presenza dietro di

me. «Non da sola, non più.»

52

Senza proferire parola, Aithinne si inginocchia al mio fianco e getta un’occhiata nel

baule. «Oh, bene. Abiti che fanno al caso nostro.» Allunga una mano per tirare fuori le

brache, la casacca, il soprabito e gli stivali che vi tenevo dentro. La mia vecchia tenuta

da cacciatrice di fate. «Indossa questi. Dobbiamo andare. Kadamach si starà chiedendo

perché non siamo più uscite dal portale dove avremmo dovuto.»

Questa casa è tutto ciò che mi rimane di mia madre e della mia vita passata. Se i miei

ricordi stanno svanendo, non mi rimarrà niente per rievocarli. Ho già perso tutte le

persone che amavo e i cimeli custoditi in questa casa sono gli unici oggetti rimasti.

Quando me ne sarò andata…

«Non ancora,» dico. «Ancora qualche minuto.»

Aithinne mi lancia uno sguardo impaziente, che la fa somigliare molto a suo fratello.

«Non abbiamo tempo per questo».

Tende la mano verso di me, ma mi ritraggo. «Non farlo,» le intimo seccamente. «Non

toccarmi.»

Anche Lonnrach mi si avvicinava così, mi afferrava la spalla con forza quando non

mi spostavo abbastanza velocemente.

Non mi sfugge l’espressione ferita che le si riflette negli occhi, come se riuscisse a

leggermi nel pensiero. «Devo curarti,» mi dice con cautela, tenendo le mani levate

come se si stesse avvicinando a un animale feroce. «I tuoi piedi sanguinano, ti sento di

nuovo addosso l’odore di veleno e dobbiamo muoverci in fretta.»

Io devo sempre muovermi in fretta. Non c’è mai un attimo di pace. Lonnrach si è

impresso nella mia vita, così come sua sorella. Può anche essere stata lei ad uccidere

mia madre, ma è lui il mostro che si cela nell’oscurità. Mi sta rubando l’anima un pezzo

per volta, erodendo la mia vita fino a quando non rimarrà niente.

Ora sai perfettamente cosa si prova ad essere inermi.

«Perché non riesco a ricordare?» domando ad Aithinne, non mi muovo mentre mi

preme le mani sulle tempie. Il suo tocco è delicato, attento, lo stesso che si potrebbe

usare per un uccello ferito.

«Puoi farlo,» mi dice. I suoi occhi sono fermi, calmi. «Ma lui ha lasciato un’impronta

nella tua mente. Ogni ricordo è sbiadito a causa del suo ascendente. Se vuoi, posso

aiutarti.»

«Aiutarmi?»

Il dolore pungente che accompagna la sua guarigione comincia a farsi sentire.

All’inizio sussulto, ma poi lo lascio invadermi il corpo, è una sensazione pacificatrice.

Ancora qui. Ancora viva. Questo è mio. Ho ancora questo. Posso creare nuovi ricordi

da quelli vecchi.

Dopo che le mie ferite sono guarite e il morso del veleno si è affievolito, Aithinne si

ritrae. Respira con difficoltà, una linea sottile di sangue le riga il mento a causa della

tosse provocata dall’incantesimo.

«Aileana.»

Pronuncia il mio nome. Solo il mio nome. Era da tanto tempo che non lo sentivo,

quasi avevo dimenticato di averne uno. Lonnrach mi chiamava sempre Falconiera.

Fino a quando quella parola è stata l’unica cosa ad appartenermi. Falconiera, un

insulto. Falconiera, una cosa. Falconiera, un dovere. E sono una ragazza. Sono solo

53

una ragazza. Aileana Kameron. Kam.

Aithinne continua, «Posso aiutarti a dimenticare.» Alla mia muta domanda,

risponde, «Quello che ti ha fatto Lonnrach. Il posto in cui ti ha imprigionata.» Lancia

uno sguardo ai segni che mi porto addosso. «Posso fare in modo che tu creda di esserteli

procurati in battaglia.»

Che Dio mio aiuti, sono tentata. Non declino l’offerta, né a gesti né a parole.

Nemmeno quando mi prende nuovamente il viso tra i palmi, affondando le dita nei miei

capelli, e chiude gli occhi.

Il suo potere è un calore che si diffonde sotto la pelle, rassicurante, confortante. I

ricordi di quel luogo cominciano a sbiadire, i contorni si offuscano come vetro avvolto

dalla nebbia. Li sta assorbendo dentro sé, rubandomeli, proprio come Lonnrach.

Voglio sapere tutto. Farò mio ogni ricordo che possiedi se sarà necessario.

«Fermati.» Mi strappo via dalla sua presa e, all’improvviso, sono di nuovo qui, tra

le rovine di casa mia. «Sono i miei ricordi, io devo portarne il peso,» le dico. «Non tu».

Aithinne si terge di nuovo il sangue dalle labbra, premendovi contro la manica.

L’incredulità le si dipinge in volto. «Pensi di meritare quello che è successo, vero?»

Stringo la fusciacca tra le mani incrostate di fango, mi torna in mente la ragione per

la quale l’avevo lasciata nel baule prima della battaglia. Avevo la sensazione che mia

madre non avrebbe apprezzato la persona che ero diventata. Una parte di me sperava

di salvare la città e alla fine, alla fine, di essere degna di indossarla.

Mi sono sentita in colpa per tanto tempo dopo il mio fallimento nella notte della

Caccia Selvaggia. Una parte di me continua ad esserlo.

Prima di riuscire a rispondere, Aithinne dice, «Non hai passato nulla che non abbia

già sopportato anch’io. Lonnrach ha avuto duemila anni per distruggermi e non ci è

mai riuscito.»

Prova di nuovo a toccarmi. Anche quando mi allontano, continua a tenere la mano

tesa, il palmo rivolto verso l’alto. Un’offerta. Un’assoluzione. «Sei stata catturata

mentre svolgevi un compito che non avresti mai potuto svolgere da sola. Non sei

responsabile di quello che abbiamo cominciato io e Kadamach. È per questo che mi sto

offrendo di portare questo peso al posto tuo.»

Sono sul punto di chiederle cosa intenda, ma le parole non escono. Fisso la sua mano

tesa e per poco non la afferro.

Ora sai perfettamente cosa si prova ad essere inerme.

Ecco perché non devo mai permettere a me stessa di dimenticare. Non sarò più

inerme, mai più. «No.» Deglutisco il groppo che ho in gola. «Non ti farò niente di

simile.»

Ti ha fatto questo? Come ha fatto con me?

Peggio. Ha fatto di peggio.

«Tu,» mi dice, il suo sguardo non si distoglie dal mio, «sei incredibile.»

Sulle mie labbra affiora un sorriso beffardo, forzato. «Per essere un’umana?»

Lei ricambia il sorriso. «È solo che ora capisco perché Kadamach voleva che

muovessi mari e monti per trovarti.» Mi passa i vestiti e gli stivali. «Ora vestiti.

Dobbiamo sbrigarci».

Si allontana dall’armadio, chiude quel che resta della porta per offrirmi una parvenza

54

di intimità.

Ora capisco perché Kadamach voleva che muovessi mari e monti per trovarti.

No, adesso non riesco a pensare al significato di queste parole. Il rapporto tra me e

Kiaran è un altro dei problemi che non posso neanche cominciare ad analizzare.

Velocemente, mi tolgo la sottoveste lacera, il tessuto leggero come un sussurro sulla

pelle nuda. Nonostante tutto quello che ha passato, il tessuto fatato è ancora morbido

come sempre, perfetto per ricavarne delle bende in caso di bisogno. Lo piego e lo infilo

nella tasca del soprabito.

La casacca di cotone che mi infilo è così ruvida in confronto, le brache e in soprabito

di lana grezza sono anche peggio. Ma preferisco di gran lunga indossare i miei vestiti,

ruvidi e lisi come sono, piuttosto che il tessuto delicato che mi ricorda fin troppo

Sorcha. Dopo un attimo di esitazione, ripongo in tasca anche la fusciacca di mia madre.

Non posso lasciarla qui.

Mi siedo sulle umide assi del pavimento per infilarmi gli stivali. Li allaccio e afferro

l’unica arma contenuta nel baule, il mio archibugio automatico, ancora infilato nella

bandoliera a tracolla. È stata una delle prime armi che ho creato per uccidere le fate,

perfetta per una ragazza priva di addestramento. Finché mi mantenevo vicina al

bersaglio, il proiettile aveva un raggio d’azione più ampio e non mancavo mai

l’obbiettivo, anche quando mi tremavano le mani.

Rimuovo i resti del seilgflùr dal calcio dell’archibugio. Il cardo all’interno non

potrebbe mai essere ancora efficace dopo tre anni.

Tre anni tre anni tre anni-

Concentrati. Tiro fuori dalla piccola sacca che porto al polso il seilgflùr datomi da

Aithinne avvolto nel tessuto e separo abilmente rimuovo i petali per metterli in un

alloggiamento dell’archibugio modificato. Poi chiudo il calcio e ripongo l’arma nella

bandoliera, regolandola affinché la cinghia mi aderisca perfettamente al petto.

Boom. Vengo distratta da un rumore in lontananza, come lo sparo di un cannone.

Premo le dita sul pavimento, sorpresa di sentirlo vibrare leggermente. La pozzanghera

d’acqua vicino la porta è attraversata da increspature.

«Aithinne?»

Proprio mentre la chiamo, i rumori sordi in lontananza cominciano a crescere di

intensità e a farsi ogni secondo più vicini. La stanza inizia a tremare, la struttura geme.

Boom. Boom. Boom boom boom. I vecchi abiti sussultano appesi alle grucce. Dall’altra

parte della porta, qualcosa cade per terra e si frantuma.

Aithinne si precipita nella stanza e per poco non scardina la porta. I suoi occhi sono

accesi mentre mi spinge fuori. «Sono qui. Dobbiamo andarcene ora.»

BOOM. BOOM. Adesso è l’intera casa a tremare. La polvere cade tutt’intorno a noi

dalle travi indebolite. In fondo alla camera, un pezzo di muro cade a terra e si rompe.

«Cos’è quello?» chiedo mentre la seguo fuori dalla stanza. Le esplosioni sono così

forti che riesco appena a sentire la mia voce. Mi aggrappo alla balaustra per rimanere

in equilibrio e la sento oscillare sotto la mia mano mentre scendiamo le scale.

Uno schianto terribile copre la risposta di Aithinne. Pietre e legno si spaccano sopra

di noi e il soffitto collassa.

55

Capitolo 10 Traduzione: Claude

Pre-Revisione: Medea_Knight

Aithinne sbatte con contro di me con tutto il peso del suo corpo. Rotoliamo per terra,

le schegge cadute scavano dei solchi nella mia schiena. I detriti piovono su di noi. Una

lastra di pietra colpisce Aithinne così forte che le sue ossa andrebbero in frantumi se

fosse umana.

Ci ritroviamo premute contro l’edificio, sepolte sotto le macerie. Una lastra

incurvata, parte della scalinata ormai crollata, impedisce che il soffitto caduto mi

schiacci. Non vedo altro, se non qualche spiraglio di luce tra le macerie.

Passa un momento di silenzio, freddo e pesante. Niente più rimbombi lontani,

nessun’altra caduta di pietre.

«Aithinne» sussurro. «Stai…»

Poi lo sento, sembra un fruscio meccanico. Qualcosa emerge con fragore dalle

macerie e mi toglie Aithinne di dosso.

«Scappa!» urla.

Alzo lo sguardo, i muscoli già pronti per uno scontro e mi blocco. In nome di Dio,

cos’è quella cosa?

Una creatura meccanica, alta almeno nove metri, torreggia sui resti di Charlotte

Square. Somiglia a un redcap, con il corpo tozzo e le braccia lunghe e penzolanti, ma

sembra essere fatto di quel metallo scuro che ho visto nel Sìth-brùth, tutto levigato e

semi riflettente, con un liquido ebano che scorre nelle vene delle sue gigantesche mani.

Indossa un’armatura nera, le piastre luccicanti come se fossero di ossidiana levigata.

Tra le fibbie dell’armatura, sul petto della creatura, pulsa una luce azzurra, come un

cuore che batte. Quando avvicina la sua mano verso di me, riesco a vedere un

meccanismo ronzante al centro del palmo, i cui pezzi si muovono velocemente,

splendendo di una luce accecante.

Con un grido acuto, Aithinne riesce a liberarsi dalla sua morsa mentre il cappotto le

si strappa all’altezza della schiena. «Scappa!» mi urla di nuovo. «Sta attivando la sua

arma!»

Ci facciamo strada tra le macerie, scavalcando un muro crollato della casa fino a

ritrovarci nel giardino sul retro. Il ronzio cresce di intensità, un brusio fisso nelle

orecchie.

La creatura è proprio dietro di noi, le sue enormi falcate ci fanno tremare il terreno

sotto i piedi. Mi volto nell’esatto momento in cui allunga la mano disarmata verso di

noi e spingo via Aithinne giusto in tempo, tirandola tra le rovine di una casa vuota sulla

strada.

La creatura le distrugge con facilità, alzando un gran nuvolone di polvere e mattoni.

Aithinne e io voliamo veloci tra le pietre.

Aithinne prova a gridare qualcosa, ma il ronzio è assordante. Arranchiamo tra gli

56

arbusti incolti e superiamo il muro del giardino.

L’arma dev’essere quasi pronta ormai, perché oltre al ronzio sento le parti scattare e

bloccarsi in posizione.

Aithinne grida di nuovo, questa volta portando le labbra vicine al mio orecchio.

«Dobbiamo trovare un riparo per bloccare il colpo. Ora!»

Il suo potere mi risulta grezzo in bocca. Non si tratta dei soliti petali di fiori e miele,

ma di spine e fumo. Forte e opprimente. Anche lei sta preparando qualcosa.

All’inizio della strada, vedo un muro di pietra ancora in piedi. Laggiù!

Tiro Aithinne con me, indicandole il muro. Il pavimento sotto di me trema e perdo

quasi l’equilibrio. Ci lanciamo dietro il muro e mi raggomitolo con le ginocchia al petto

e la testa tra le gambe.

Aithinne mi circonda con un braccio. Resto stupita al vedere i suoi occhi, lo scintillio

argentato nelle sue iridi che diventa sempre più brillante.

Mima con le labbra qualcosa e questa volta non ho bisogno di sentirla per capire.

«Tieniti forte.»

Il potere di Aithinne brucia sulla mia lingua e il fuoco si fa strada lungo la mia gola.

Non ho mai provato niente di simile. Si intensifica mentre polvere, sporco e detriti

volano intorno a me. Trattengo il respiro, reggendomi più forte. Il muro dietro di me

vibra e si indebolisce. Il mio udito è smorzato, un rimbombo mi risuona nelle mie

orecchie.

Poi, il silenzio. Una calma pesante. Il potere di Aithinne si dissolve, lasciandomi un

senso di secchezza in bocca. Alzo la testa. Sono completamente sporca e ricoperta di

una polvere molto fine.

Affacciandomi, do un’occhiata oltre il muro e sussulto. Non c’è nulla. Nulla. Ogni

edificio della piazza è stato distrutto dall’arma della creatura. Tutto ciò che rimane sono

pile fumanti di mattoni e crateri di sporcizia annerita dove una volta si trovava la mia

casa.

La creatura morta è a terra tra le macerie, sbalzata via dalla forza dell’esplosione.

«Cos’hai fatto?» sussurro ad Aithinne.

Aithinne si rimette in piedi, togliendosi via la polvere dai vestiti. «Ho ridiretto il

colpo lontano da noi e usato la sua stessa arma contro di lui.» Osserva la distruzione.

«Facile.»

«Ah, sì» mormoro, cerando di controllare le emozioni che mi pervadono nel vedere

la mia casa d’infanzia distrutta. «Il fratello di Semplice, Facile. Non riesco neppure a

immaginare il livello di caos che verrebbe fuori da una visita dei loro cugini Chiaro ed

Elementare.»

Le membra della creatura cominciano a contorcersi, le ossa di metallo si risistemano

al loro posto. Faccio per prendere l’archibugio dietro la schiena, ma Aithinne è già

davanti a me. Ha già la spada in mano, ancor prima che io possa battere ciglio.

«Se vuoi scusarmi…»

Si avvicina alla creatura. Con un singolo, fluido gesto di spada le trafigge il collo.

La creatura smette subito di muoversi. Quindi torna verso di me mormorando. «Quel

dannato bastardo di Lonnrach. Non posso credere che abbia mandato un mortair…»

Un’altra distante esplosione. Ci voltiamo e vediamo un altro mortair correre verso

57

di noi a incredibile velocità. Fa rotolare le pietre del castello, le lunghe braccia gli

oscillano lungo i fianchi. A ogni suo passo, i vecchi edifici sulla sua strada finiscono in

polvere. Il suo corpo enorme distrugge muri come se fossero di carta. Ci sarà addosso

nel giro di qualche secondo.

«Andiamo!» Aithinne mi tira a sé. «Non smettere di correre.»

«Cos’è quella cosa?» Riesco a malapena a sentire la mia voce tra il frastuono

prodotto dalla creatura dietro di noi.

«Mortair» sussulta. «Hanno un solo scopo: trovare e uccidere.»

Non siamo abbastanza veloci. O meglio, non lo sono io. Aithinne rallenta per tenere

il mio passo. La mia velocità umana non potrebbe mai eguagliare la sua, o quella del

mortair. Sta guadagnando terreno, il terreno trema al suo avanzare. Il ronzio della sua

arma si trasforma in un trillo agitato e lancio un’occhiata dietro di me proprio mentre

alza la mano e il metallo della sua mano si trasforma in una luce accecante mentre

prende la mira.

Il colpo diretto prende in pieno Aithinne. BOOM. La luce ci circonda e il terreno

sotto di noi si crepa e si crepa per l’impatto. Vengo sbalzata all’indietro dal colpo e

vado a sbattere contro i ciottoli. Rotolo con violenza, la mia spalla atterra

dolorosamente sul frammento di un mattone. La spada di Aithinne finisce per terra,

fuori dalla mia portata.

Alzo lo sguardo e torno a vedere nitidamente. Aithinne è a terra, ferita e sanguinante.

Ha gli occhi velati dal dolore.

Non ne posso più. Mi rimetto in piedi, sfilo l’archibugio dal fodero senza nemmeno

pensarci. È la cosa più facile al mondo. Da’ la caccia e uccidi, il gioco a cui ho giocato

fin dalla morte di mia madre.

«Falconiera, non farlo!»

Aithinne mi raggiunge, ma eludo la sua presa. La creatura sta ancora avanzando

verso di noi, muovendosi talmente veloce da togliere il fiato. Ha raggiunto le rovine di

Charlotte Square, di corsa per venirmi a prendere.

Con Aithinne ferita, il mortair non userà ancora la sua arma, non se Lonnrach mi

vuole viva. Questo lo rende vulnerabile: io lo posso ferire, ma lui non può ferire me.

Lascerò che Lonnrach lo trovi. Un messaggio: Non sono tua. Non ti appartengo più.

La prossima volta che ci incontreremo ti renderai conto che sono quella che ti ucciderà.

Lascio che sia la creatura a venire da me. La terra trema mentre stabilizzo

l’archibugio sulla spalla e miro alle sue gambe. Espiro lentamente per calmarmi. Più la

creatura si avvicina, più devo risistemare la mira, sempre più in alto.

Ecco. Appena prima che mi raggiunga, premo il grilletto.

Il rinculo dell’archibugio è abbastanza forte da lasciarmi un livido sulla spalla. L’aria

tra me e il mortair si riempie di fumo. Lo guardo mentre i frammenti di metallo

intrecciati di seilgflùr si aprono e colpiscono l’armatura del mortair.

Il fumo si dirada e la creatura è ancora in piedi. Non c’è neppure un segno sulle

piastre di ossidiana che gli coprono il petto. Cristo, l’archibugio non gli ha fatto

neppure un graffio con il seilgflùr. Avrebbe dovuto. Avrebbe dovuto funzionare. Il

mortair alza l’arma e la punta contro di me… «Oh, cavolo» sussurro, indietreggiando.

La mia mano raggiunge l’elsa della lama e la tiro fuori, pronta a combattere. «Cavolo.»

58

«Ti ho dato una semplice istruzione» dice Aithinne, dietro di me. «Non farlo. Il che

significa Non farlo; è una cattiva idea. Niente può trapassare quell’armatura, a parte la

mia spada.»

«Cosa?»

Il meccanismo diventa sempre più luminoso, un sole accecante nel centro della mano

del mortair.

Niente può trapassare quell’armatura, a parte la mia spada. Quindi la mia unica

alternativa è quella di mettere fuori uso l’arma del mortair. Prima che la creatura si

muova, rimetto la spada nel fodero e raccolgo da terra quella di Aithinne.

Sono in piedi, vado verso il mortair. Prendo la mira per troncargli il braccio armato,

ma la creatura si sposta all’ultimo secondo. La spada colpisce l’altra mano, tagliandola

di netto all’altezza del polso con un unico colpo secco. Il pezzo di metallo vola in aria

e finisce a terra con un forte tonfo.

Il mortair ruggisce, un lamento meccanico terribilmente acuto. La mascella si apre

così tanto da far vedere la struttura meccanica di metallo che ha in gola e i suoi denti

acuminati.

Con una pedata fa volare dei pezzi di muro che riesco a schivare per un pelo.

«Falconiera!»

Il mortair approfitta della mia distrazione. Si allunga per colpirmi, ma Aithinne si

frappone tra noi. Il mortair la butta per terra tra i resti di un edificio in pietra dall’altra

parte della piazza. Dei mattoni le cadono addosso.

Il mortair avanza verso di me, la luce nel suo palmo è sempre più brillante. Presto

farà fuoco e sarò in trappola; non posso andare da nessuna parte. Mi preparo, mi giro

verso il mortair, brandendo in aria la spada nel tentativo di tagliargli di nuovo il braccio

armato.

Il metallo cede sotto la mia spada, ma il mio colpo non è abbastanza alto da riuscire

a troncare l’arto. Con un ringhio, il mortair mi colpisce. Rotolo per terra, e sfrutto lo

slancio per atterrare in piedi. Mi allontano velocemente dalla portata del mortair,

continuando a compiere affondi con la spada e riuscendo a tagliare un dito della mano

armata all’altezza della nocca. Lo stridio del metallo tagliato risuona nella piazza e il

dito atterra sull’erba incolta.

Prima che possa riprendersi, mi lancio verso la creatura, salendo sulle piastre della

sua armatura. Il mortair si agita e cerca di buttarmi a terra, ma è troppo indebolito per

riuscire ad afferrarmi. Un ringhio si fa strada nella sua gola meccanica, un suono che

gli fa tremare tutto il corpo.

La spada per poco non mi scivola dalle mani, ma mi riprendo, usando il movimento

del suo corpo per fare leva e salire ancora.

Aithinne grida, «Devi tagliargli la gola!»

Il mortair punta un edificio e si lancia contro le macerie nel tentativo di schiacciarmi.

Scivolo via all’ultimo istante e afferro una piastra dell’armatura sotto il suo braccio

proprio mentre il mortair va a impattare. L’armatura assorbe l’impatto, distruggendo il

muro laterale dell’edificio.

Mentre è occupato, afferro saldamente l’armatura, scalando una piastra alla volta.

Sento i muscoli in fiamme per la fatica, il corpo che trema nello sforzo di mantenere la

59

presa. Le piastre sono calde sotto le mie mani, sembrano roccia grezza piuttosto che

liscio metallo.

La creatura si dimena per farmi cadere, ma io riesco a sollevarmi fino al suo pettorale

sinistro. I congegni che ronzano dentro il suo corpo sono assordanti, un brusio di

meccanica sotto i miei palmi. La luce blu tra le piastre è calda e accecante mentre mi

arrampico tra le crepe della sua armatura.

Alla fine raggiungo la spalla del mortair. Rimango appesa con una mano, mentre

miro al suo collo. La spada colpisce e affonda in quella che sembra pelle tra le piastre

dell’armatura.

Non mi fermo. Continuo a spingere la lama finché il metallo non cede e anche allora

non mollo la presa. La creatura ondeggia sotto di me. Mi fermo solo quando cade,

mantenendo la presa anche mentre finisce tra l’erba e la sporcizia della piazza sotto di

noi. Continuo il mio assalto. Colpisco altro metallo. Continuo ad affondare la lama fino

a quando non mi manca il respiro, fino a quando non sono ricoperta di viscoso sangue

nero. Fino a quando le lacrime non mi rigano il volto e i miei muscoli non fanno male.

Fino a quando la testa del mortair non giace in un cumulo di resti, recisa e distrutta.

Poi tiro fuori la stoffa fatata dalla tasca del cappotto e ne taglio un lungo pezzo. Lo

lego sotto una delle piastre dell’armatura del mortair cosicché la stoffa copra la sua

faccia come un sudario.

Sarà la prima cosa che Lonnrach vedrà quando verrà.

Questo è il mio messaggio. Me lo immagino quando troverà il mortair abbattuto e

mutilato. Non ti appartengo ora e non ti apparterrò mai. Ho passato

giornisettimanemesianni a immaginare questo momento e non aspetto altro. Attenderò

te. Quando ci rincontreremo me la godrò fino in fondo.

Perché la mia voglia di ucciderti arriva a tanto.

60

Capitolo 11

Traduzione: Noir

Pre-Revisione: Medea_Knight

Aithinne mi raggiunge in silenzio. Sangue nero sgocciola dalle mie dita, è schizzato

sui miei abiti come inchiostro. L’odore di ferro e metallo bruciato è così forte, sembra

che sia stata la spada a bruciare mentre affondava.

La testa del mortair è ai miei piedi. I pezzi meccanici continuano a brillare, il metallo

fatato è persino più lucido e brillante del metallo più liscio che esista. Del corpo non è

rimasto nulla se non il cumulo dell’armatura di ossidiana. Un tempo ne avrei ammirata

la finezza. Avrei desiderato abbastanza talento da riuscire a costruire una cosa del

genere.

Adesso invece, non penso all’abilità che ci è voluta per creare il mortair. Non mi

importa di averlo ucciso, neanche un po’. Non me ne frega niente.

Tutto quello che posso fare è riassemblare le parti interne del mortair: i suoi pignoni,

gli ingranaggi e i rivetti. Lo riconosco. È lo stesso splendido metallo del sigillo

costruito da Aithinne. «Sei tu ad averli creati, non è vero?» Domando pacatamente. «I

mortair.»

Aithinne è perfettamente ferma, come se non stesse respirando affatto. «Sì.» Ha un

tono di voce è del tutto casuale, come se avesse appena terminato una passeggiata al

parco.

«Lonnrach ha appena inviato una delle tue invenzioni per attaccarci» commento, «e

tu non sembri minimamente preoccupata dalla cosa.»

«Sa che i mortair sono degli impareggiabili segugi.» Lo guarda con affetto. «Non li

ho resi proprio intelligenti, ma sono abbastanza utili. Una volta gli ho fatto massacrare

più di una dozzina di soldati in pochi secondi. Sono compagni molto leali.»

La fisso in stato di shock. «Ricordami di non farti mai arrabbiare.»

Aithinne sorride serenamente. «Ero una formidabile» - si blocca improvvisamente,

come se fosse sul punto di dire qualcosa che non deve, poi continua - «inventrice.»

Cosa diavolo stava per dire?

Come se percepisse la mia tacita domanda, Aithinne comincia a camminare, anche

se rallentata dalle ferite. «Dobbiamo continuare a camminare. Lonnrach non può essere

molto lontano e dobbiamo incontrare Kadamach fuori città.»

Kadamach. Penso a com’è baciare Kiaran, il disperato scontro delle nostre labbra.

Al solo pensiero mi si scaldano le guance. La seguo, il rumore dei miei stivali è attutito

dal muschio che ricopre l’acciottolato. «Credevo che a Lonnrach servissi viva. Perché

inviare un assassino?»

«Era qui per neutralizzare me e trovare te» puntualizza Aithinne. «Hai interferito

con la sua seconda missione quando mi hai protetta.» Lancia uno sguardo a ciò che

rimane della sua invenzione, al sangue nero inchiostro schizzato sulle macerie.

«Mandarmi contro la mia stessa arma era un messaggio. Una dichiarazione per me.»

61

«Che sentimentale» rispondo, mentre ci facciamo strada lungo il viale principale che

conduce alla parte più ovest della città. «Ho particolarmente apprezzato la parte in cui

ti ha preso a calci in culo e ti ha fatto schiantare contro un palazzo.»

«Culo.» Il volto di Aithinne si apre in un sorriso. «La vostra lingua è molto

espressiva, specialmente le imprecazioni. Adoro la parola caz…»

«Oddio!» Le lancio un’occhiata. «Cosa diavolo ti ha insegnato Kiaran?»

«Quella» risponde Aithinne orgogliosamente, «l’ho imparata nei bassifondi. Dei tizi

si trovavano al piano terra di una locanda per giocare e cantavano canzoni volgari con

quella parola. Puoi mettere via la spada, adesso.»

Non avevo realizzato di averla ancora in mano. La lama semina gocce di sangue

nero lungo la strada mentre scendiamo per la lunga collina che conduce al Villaggio di

Dean e alle Acque di Leith. Lo stato di distruzione è meno avanzato in questa parte

della città; già prima della Caccia Selvaggia si era ricoperta di alberi e piante

rampicanti.

Porgo l’arma ad Aithinne dalla parte dell’elsa, ma lei scuote la testa. «Tienila tu»

dice. «Avrei dovuto dartela prima.»

«Perché?» È un’arma troppo potente da dare via con tale leggerezza.

All’improvviso mi stringe forte il posto, obbligandomi a fermarmi. Il suo sorriso è

svanito, così come la conversazione piacevole e per un attimo avevo dimenticato,

seppur per un momento, che siamo circondati dalle rovine della mia città.

Ha uno sguardo intenso, simile a quello di Kiaran appena prima di entrare in

battaglia. Nonostante il suo corpo da umana, resta sempre una fata e la furia di una fata

può sopraggiungere rapida e violenta come una tempesta. A volte, quando sono in

compagnia di Kiaran, mi dimentico di questo aspetto; adesso ho fatto lo stesso con sua

sorella.

Non dovrei mai dimenticarlo. Per il mio bene, non posso commettere questo errore.

Cerco di divincolarmi, di ignorare il modo in cui il mio cuore ha iniziato ad

accelerare. Mi trattiene per il polso. Per il polso. Non riesco a non immaginare

Lonnrach che apre la bocca per snudare i denti, la sua presa ferrea, le dita contro il mio

battito.

Farà davvero male.

Come capendo ciò che sto pensando, la presa di Aithinne si allenta. Obbliga le mie

dita ad aprirsi, finché il palmo della mano non è visibile. Sulla mia mano, sporca del

mio sangue, c’è anche quello nero inchiostro del mortair.

«Fuil nan aiteam chathach» mi dice con fermezza, senza distogliere lo sguardo dai

miei occhi. Come se mi chiedesse di comprendere. «Questo è il sangue della tua

discendenza. Ho creato lame per tutti i Falconieri e adesso questa è l’ultima del suo

genere… esattamente come te.» Mi preme l’elsa nella mano e vi chiude attorno le mie

dita. «Consideralo un modo per scusarmi».

«Per cosa?»

«Per tutto» risponde pacatamente.

Detto questo, lascia la presa e si allontana zoppicando leggermente. La seguo e

adesso anche le mie ferite iniziano a far male.

Ho domande da porle, così tante che non so davvero da dove o con cosa iniziare. Più

62

tardi, decido. Quando saremo fuori pericolo e avrò tempo per pensare.

Se mai accadrà.

Rimango in silenzio mentre attraversiamo il villaggio di Dean, dove l’erba tra i

ciottoli raggiunge le ginocchia e spessi rampicanti ricoprono gli edifici distrutti che ci

circondano. La natura si è riappropriata del villaggio un tempo pittoresco, come se gli

umani lo avessero abbandonato secoli fa. Senza nessuno lì ad addomesticare l’edera e

il fogliame, le piante e gli alberi hanno prosperato liberamente.

I pochi edifici rimasti sono totalmente alla loro mercé, il marmo e la roccia crepati

o sul punto di rompersi sotto il peso di rampicanti e radici. Tutta la fatica che Edinburgh

aveva fatto per rendere la città pulita e immacolata era stata inutile.

Quando raggiungiamo le Acque di Leith sono esausta. Il posto è circondato da

pittoreschi cottage di pietra, irti al di sopra delle banchine e annidati nella valle dove il

fiume scorre. Adesso le case non ci sono più e tutto ciò che rimane sono alberi e qualche

traccia di vecchi muri.

Qui è dove ho incontrato Kiaran. Ero andata ingenuamente a caccia per la prima

volta e avevo trovato la vittima prescelta, un each-uisge. Attaccai il cavallo d’acqua

con una lama di ferro, il metallo che scoprii poi essere inutile contro le fate. La creatura

per poco non mi fece affogare. Senza l’aiuto di Kiaran sarei morta quella notte e la

discendenza dei Falconieri si sarebbe estinta con me.

Proprio lì. Rimango sorpresa dal ricordo, uno in meno portatomi via dall’influenza

di Lonnrach. L’acqua mi scorre sugli stivali, ma non vi presto attenzione. È qui che è

successo.

Non venivo più qui da quella notte, ma riconosco la forma delle rocce, il modo in

cui fuoriescono dall’acqua vicino a una delle cascate. Il cavallo d’acqua mi aveva

attaccato lì. Sento ancora il sapore dell’acqua del fiume in gola, la sabbia sporca contro

la lingua, mentre combattevo.

«Falconiera?»

Ignoro Aithinne e lentamente mi avvio lungo la banchina, finché non raggiungo il

punto in cui il cavallo d’acqua aveva cercato di farmi annegare. Ignoro i muscoli

indolenziti e mi accovaccio vicino la roccia poggiando le dita sulla sua superficie

frastagliata. Sono passati quattro anni da quella notte, eppure i bordi sono ancora molto

affilati. Ricordo con vividezza come il each-uisge mi trascinava nel fiume, la pelle

della schiena che mi si lacerava contro i bordi affilati della roccia.

Giuro di poter ancora vedere il segno lasciato dal mio sangue sulla roccia, ormai

diventato parte di essa, color della ruggine e sbiadito. La ferita di quella notte, richiusasi

dopo un sacco di tempo grazie ai punti meccanici.

Ho ancora la cicatrice, dal collo fino al fondoschiena. Il simbolo della mia

sopravvivenza. Il primo. Non sono mai più tornata alla mia vecchia vita dopo quel

momento. È il mio marchio, una rivendicazione della mia anima. Falconiera.

«Qui è dove ho cercato di uccidere il mio primo essere fatato, appena dopo che

Sorcha uccise mia madre» spiegai ad Aithinne. «Per poco non sono morta.»

Aithinne si accovaccia nell’acqua accanto a me, totalmente a suo agio nonostante il

freddo. Sembra che non noti nemmeno l’acqua scorrerle tra gli stivali e inzupparle i

pantaloni. Il suo sguardo è uguale a quello di Kiaran, così intenso e impressionante.

63

Da vicino, noto una cicatrice sulla sua fronte, appena sotto la riga dei capelli. Lungo

e sottile, il segno è così sbiadito da essere a malapena visibile. Mi domando cosa possa

averlo causato.

«Da dove provengo» dice Aithinne, poggiando la mano sulla roccia, appena sopra il

segno del sangue, «la prima caccia viene considerata una prova. La chiamiamo là na

cruaidh-chuis, il giorno dell’avversità. Prima di acquisire i poteri, ciascun daoine sìth

deve recarsi nella foresta e uccidere un cervo senza usare armi, senza la nostra forza o

velocità e senza collegarsi alla mente dell’animale.»

Inizio a realizzare quante cose Kiaran non mi ha mai detto a proposito delle fate.

«Non ne avevo idea.»

Il sorriso di Aithinne è rapido, fugace. «Nessun umano lo sa» risponde. «Durante la

mia caccia, ho visto attraverso gli occhi del cervo. Un mondo in rapido mutamento,

con pochi colori, ma scalpitante di vita. Abbiamo corso insieme. Bevuto dal ruscello.

Per quel giorno sono stata un’indomita creatura selvaggia. Poi però è arrivato il

momento in cui ho dovuto ucciderlo.»

Chiude gli occhi, ricordando. «Avevo le mani attorno al suo collo e sentivo tutto ciò

che sentiva lui, la pressione delle mie dita, lo sforzo che faceva per respirare. Non

scorderò mai il momento in cui ha affondato i denti nella mia spalla, riuscendo in

qualche modo a squarciarmi la pelle. Non avevo mai visto il mio sangue prima.»

Aithinne si blocca e mi domando se proseguirà col racconto. Trattengo il respiro.

«Cos’è successo dopo?»

«Ho capito il vero scopo della prova, della mia prima caccia.» Solleva gli occhi per

incontrare i miei. «Ci insegna cosa significa essere cacciatore e preda. A fare una scelta

tra uccidere o essere uccisi.» Con presa ferma Aithinne tira verso il basso il vestito per

scoprirsi la spalla: e lì c’è la cicatrice, il segno dei denti impresso sulla sua pelle

perfetta. «Adesso portiamo entrambe i segni di quella lezione, non è vero, Falconiera?»

Si alza in piedi e io la seguo lungo il fiume. «Esistono fate che non superano la

prova?»

Aithinne cammina con le mani in tasca. Adesso che le ferite riportate dallo scontro

con il mortair sono guarite, si muove tra le rocce con aggraziata velocità e agilità. «Sì.

Altre la superano ma ne escono peggiorate.» Mi guarda. «Molti sìthichean temono la

morte, eppure considerano la mortalità una debolezza. Una cosa che dovrebbe essere

riservata soltanto agli umani e alle creature di questo reame. Loro imparano la lezione

sbagliata.»

«Qual è quella giusta, allora?» Chiedo, ormai incuriosita.

«In fin dei conti siamo tutti cervi» risponde con semplicità.

Continuiamo a scendere lungo il corso del fiume. Le mie ferite mi rallentano, ma

Aithinne è paziente. Restiamo entrambe in silenzio per un lunghissimo tempo. Sembra

che trascorrano ore. Il sole invernale è basso adesso all’orizzonte e lascia filtrare le sue

ultime stille di luce attraverso i rami scheletrici.

Continuiamo a non parlare. Il nostro viaggio è accompagnato dal ruggito dell’acqua

che scorre sulle rocce e dalla docile pioggerellina che si scontra con la roccia e i nudi

alberi. Kiaran e io avevamo l’abitudine di camminare così, persi nei nostri pensieri,

felici di quel silenzio.

64

La presenza di Aithinne è molto diversa dalla sua, meno intensa. I suoi occhi

scrutano il paesaggio come se stessero memorizzando ogni roccia, albero e ramo, come

se bramassero di vedere altro.

Non ho mai visto un essere così affascinato. I suoi passi hanno una delicatezza che

Kiaran non ha mai posseduto. A volte un breve sorriso compare sulle sue labbra, come

alla vista di una cosa piacevole. Le sue dita accarezzano i rami quando vi passiamo

accanto, indugiando sui tronchi degli alberi.

Dopo tutto il tempo che Aithinne aveva trascorso alla barriera, circondata dalla

sporcizia, deve essere meraviglioso per lei camminare di nuovo sul terreno. Sono

sorpresa del fatto che essere stata tenuta prigioniera con fate nemiche non abbia avuto

su di lei lo stesso effetto che ha avuto su di me. E sono sorpresa del fatto che offra di

liberarmi dei miei ricordi, come se il loro peso per lei fosse pari a zero.

Non c’è nulla di quel che tu hai affrontato che io non abbia già provato. Lonnrach

ha avuto a disposizione duemila anni per spezzarmi e non c’è mai riuscito.

«Come fai a sopportare ciò che Lonnrach ti ha fatto?» Sussurro. Impiego un attimo

per realizzare che ho parlato ad alta voce e sobbalzo.

Aithinne mi ha sentita. Si blocca nel bel mezzo di un salto e perde la presa del piede

su una roccia, atterrando nella fredda acqua del fiume. Vedo la sua espressione scossa,

il modo in cui serra ai fianchi le mani chiuse a pugno, con una presa così forte da far

sbiancare le nocche.

«Aithinne?» Quando non risponde cerco di scusarmi. Ma che mi prende? «Mi

dispiace. Non avrei mai…»

«No» scatta. Il suo respiro irregolare taglia l’aria tra noi. La osservo lottare contro i

ricordi, senza sapere cosa fare. Vorrei sapere cosa fare. «Non avvicinarti.»

Plop. Plop. Oddio, dai suoi pugni serrati scola del sangue che colpisce le rocce ai

suoi piedi. Plop. Plop.

L’afferro per le braccia. Il sangue colpisce le rocce più veloce adesso, scorrendo tra

le sue mani.

«Aithinne.»

Aithinne mi fissa. «Sto bene.» La sua espressione è diventata fredda, priva di

emozioni, ermetica. «Non fa male» aggiunge meccanicamente, come se avesse ripetuto

quelle parole ogni giorno della sua vita. Non fa male, ricordo di averla sentita sussurrare

lungo il sentiero. Il suo mantra.

La fisso stupidamente per un momento, poi le afferro le mani e le apro le dita. Non

posso fare a meno di sobbalzare davanti ciò che vedo. Il palmo è deturpato da segni a

forma di mezzaluna, incisi così profondamente nella pelle che quasi se ne viene via. Il

sangue di è concentrato lì, così scuro in contrasto con la sua pelle chiara.

Mentre lo osservo, la pelle inizia a guarire, non lasciando altro che sangue. «Guarisce

sempre» dice con quella terribile voce smorta. «Vedi? Guarisce sempre.»

Non dico nulla. Non ci riesco. So per esperienza personale che mentiamo per

confortare noi stessi, per confortare gli altri, in modo che non sappiano mai fino a che

siamo spezzate in realtà.

Le mie cicatrici sono tutte visibili; ciò che ho subito è in bella mostra al mondo. Le

cicatrici di Aithinne sono nascoste così bene che è quasi riuscita a ingannarmi.

65

La verità è che i ricordi hanno un grandissimo peso. Ciascuno di essi pesa sulle ossa

sempre un po’ di più finché il loro carico non è tale da consumarti. Adesso so che ci

sono cicatrici così profonde da non rimarginarsi mai.

66

Capitolo 12 Traduzione: Alecs

Pre-Revisione: Fra

È passato parecchio tempo dal tramonto e noi siamo oltre i confini della città.

Camminiamo in mezzo all’erba alta dei campi che una volta erano dei terreni agricoli

prosperosi. In inverno i terreni al di fuori di Edimburgo erano sempre spogli, pronti per

essere arati prima della stagione della semina.

Mi ricordo di come i corvi si radunavano sopra il terreno, tutte quelle ali nere che

sbattevano e quel loro gracchiare. Ora il colza e le erbacce sono così trascurati che mi

arrivano ai fianchi. Nessun animale fruscia tra i campi; siamo circondate dal silenzio,

fatta eccezione per il leggero ticchettio della pioggia.

Seguo attentamente i passi di Aithinne. L’unica luce nel campo proviene dalla luna

che si intravede tra le fitte nuvole di pioggia. Il suo alone illumina le nuvole,

colorandole di un rosso ruggine. Cerco di non pensare a quanto questa visione della

rievochi in me la battaglia, e i saluti che feci ai miei cari.

Non ho mai pensato che sarei stata la responsabile di … questo. Tutto questo. Prima

della battaglia cercavo di non pensare troppo a come sarebbe diventato il mondo degli

umani se avessi perso. Ho sempre dato per scontato che non sarei sopravvissuta per

assistere ad un mondo comandato dai fatati. Che sarei morta prima di permettere che

ciò accadesse.

Hai sacrificato il mio regno per salvare il tuo.

Mi si stringe il cuore. Smettila di pensarci, dico a me stessa. Continua ad andare

avanti. Prima un piede avanti. Adesso l’altro. È così che riesco a trattenere tutto dentro,

ogni briciolo di rimpianto. Un passo e poi un altro ancora, e così via.

Aithinne si ferma per un attimo, passando le dita sulle punte delle erbacce. È stata

così silenziosa dopo il fiume. Si è lavata il sangue dalle mani e non mi ha parlato da

allora. Adesso ha la testa inclinata come se stesse ascoltando qualcosa. C’è una tale

oscurità che non riesco a distinguere la sua espressione. Fa un respiro profondo, poi un

altro.

La sua voce mi spaventa. «Proprio davanti a noi.»

Prima che io possa chiederle qualcosa, è già andata avanti a passi svelti. La seguo,

facendomi strada tra l’erba alta.

Non c’è niente davanti a noi oltre alla nebbia, così fitta che l’umidità preme contro

la mia pelle, la mia faccia, gocciola dalle mie ciglia. Riesco a malapena a vedere avanti

di qualche passo.

C’è la sagoma di qualcosa nella nebbia, tre figure nel buio – animali. Cavalli? Non

appena noto la luce che emanano, mi fermo di colpo.

I cavalli delle fate sono belli come la notte in cui il loro esercito marciò su

Edimburgo. Sono illuminati da dentro, il metallo che li tiene uniti così liscio e delicato

che sembra trasparente. Sotto di esso, sangue dorato brilla scorrendo attraverso spesse

67

vene che si intrecciano a pezzi meccanici che producono un leggero ticchettio. Avvolto

al loro interno c’è un vero cuore che batte ad un ritmo stabile.

I cavalli respirano all’unisono, fitto fumo che esce dalle loro narici e si riversa

sull’erba scura.

La notte della battaglia, il mio primo istinto fu quello di toccare uno di questi cavalli.

Di far scorrere le mie dita sulla loro superficie liscia e assaporare il metallo così

levigato da sembrare pelliccia. Volevo creare anch’io qualcosa di così sopraffino.

Ora riesco solo ad immaginarmi Lonnrach in sella al proprio cavallo nel canyon, i

suoi occhi che incontrano i miei.

Torna da me.

Voglio lanciare seilgflùr misto a ferraglia contro i cavalli così che Lonnrach li possa

trovare morti. Voglio lasciare una scia di fatati dietro di me, ognuno di essi un

messaggio per lui. Questo sarebbe: vi ucciderò tutti. Il secondo è: vieni a cercarmi.

Quello dopo ancora: ti sfido.

Inizio ad andare avanti, afferrando l’archibugio per tirarlo fuori dalla fondina alle

mie spalle. Sarò veloce. Avrò pietà. Non come loro.

«Falconiera.» La voce di Aithinne è così tagliente che mi blocco.

«Sì?» Cerco di tenere la mia rabbia sotto controllo, nascondendola nuovamente nel

profondo. Non riesco a pensare liberamente quando ne sono preda. È quello che mi ha

portato in questo posto desolato.

«Togli le mani dalle armi» dice con tono gentile.

Sto per fare come dice lei – si è guadagnata almeno questo, se non la mia fiducia –

quando intravedo un’altra sagoma nella nebbia. La mia bocca è improvvisamente

attaccata dal potere di fata e agisco senza pensare. L’archibugio è nelle mie mani, il

calcio poggiato sulla mia spalla.

«Aspetta» dice Aithinne.

Ho già premuto il grilletto. L’archibugio va a sbattere contro la mia spalla e il colpo

rimbomba attraverso il campo. Il fumo si avvolge a spirale in mezzo a noi.

Una voce familiare urla, «Maledizione!»

Abbasso l’archibugio. «Kiaran?»

Avanza attraverso il fumo e la nebbia così che io possa finalmente vederlo

chiaramente – e trattengo il respiro. Il suo sguardo è così intenso che non riesco a fare

a meno di pensare al nostro bacio. Senza volerlo, il mio pollice sfiora il segno di quel

ricordo all’interno del mio polso. È un breve, vivido ricordo delle sue labbra delle sue

mani del suo bacio e sì, di più.

Le mie guance vanno a fuoco quando si dirige direttamente verso di me, gli occhi

che sono due fessure. Tra le sue dita insanguinate tiene un pezzo di ferraglia intrecciata

a seilgflùr proveniente dall’archibugio – un colpo che avrebbe ucciso ogni altra fata.

«Sul serio?» dice lui.

«Stavi girovagando in un campo con bassa visibilità mentre i nemici sono in giro,»

dico in mia difesa, sperando che non riesca a vedere che sto arrossendo. «Cosa ti

prende?»

Aithinne ridacchia e Kiaran le lancia un’occhiataccia. «Non è divertente.»

Sua sorella cerca di trattenere una risata ma non ci riesce molto bene. «Mi dispiace»

68

dice lei. «È solo che tu … non ti mai visto in condizioni così pietose.»

Kiaran la fissa con uno sguardo serio. «Ed entrambe avete l’aspetto di due che hanno

fatto tre round con una banda di gatti selvaggi. Direi che siamo pari.»

«Pari? Ma per favore.» Aithinne inizia a contare sulle dita. «Finora io e la Falconiera

siamo scappate attraverso una foresta di alberi spinati, combattuto il mara, siamo

sfuggite ai soldati di Lonnrach e sconfitto due mortair. Ti ha solo sparato per sbaglio

con un’arma composta da un bastone di legno con una canna all’estremità…»

«Un archibugio» la correggo gentilmente. Kiaran mi riserva uno sguardo che dice,

Tu da che parte stai?

«…per cui direi che ho vinto questo round.» Finisce lei con una sorta di sorriso

arrogante che fa capire che questa è una competizione che va avanti da molto.

Sembra che la rivalità tra fratelli non sia riservata solo agli umani.

Se dovessi indovinare lo sguardo di Kiaran, direi che sta contemplando cinquanta

modi diversi per uccidere sua sorella. «Non dimenticare,» gli sussurro «l’omicidio è

mal visto nella maggior parte delle società.»

«Non nella mia,» dice brevemente Kiaran. «È fortunata che io le voglia bene.» Mi

prende l’archibugio e lo ispeziona. Poi sblocca la sicura e fa cadere tutto il contenuto

nell’erba.

«Dannazione!» Faccio per afferrare l’arma ma lui me lo impedisce con fare esperto.

«Stai sprecando munizioni perfettamente funzionanti…»

«Sto facendo un favore al prossimo bastardo a cui sparerai, che potrebbe benissimo

essere uno dei tuoi amici umani.» Mi rifila nuovamente l’archibugio. «La prossima

volta che hai intenzione di uccidere qualcuno, aspetta almeno finché non riesci a

vederlo.»

«Ti meriti di peggio per aver –» Poi comprendo a pieno le sue parole. «Chiedo scusa,

hai detto amici umani?»

Aithinne aveva detto che c’erano stati sopravvissuti, ma poteva riferirsi a …? No,

non sperare. Non. Sperare.

«Quel Veggente insopportabile e compiaciuto, la sua tollerabile sorella, e il loro

gruppo di umani,» dice lui «nessuno dei quali, sono piuttosto certo, sopravvivrebbe ad

un colpo di quella dannata arma che stai brandendo.»

Mi porto una mano alla bocca. «Sono vivi?»

«Sì,» dice in modo secco. «È stata una sorpresa anche per me. Il pixie li ha condotti

a Skye per stare in quello che rimane del suo vecchio regno. È lì che siamo diretti.»

Sono così vicina al pianto che non credo di riuscire a fermarmi. Sono vivi. Sono vivi

e nient’altro ha importanza. Le lacrime stanno già iniziando a bruciarmi gli occhi,

velandomi la vista.

Kiaran mi guarda con un’espressione che non gli ho mai visto addosso. Mi serve un

attimo per realizzare che è orrore. «Kam. Kam, non farlo. Non piangere. Non –»

Scoppio a piangere e lui mi circonda con le braccia nel modo più imbarazzante e

rigido che io abbia mai visto. E ne adoro ogni secondo.

Aithinne parla da dietro di noi. «Ammetto di non capire la funzione delle lacrime

umane,» dice. «Quindi siamo tristi riguardo a questo? Dovrei minacciare qualcuno?»

A mo’ di risposta, l’unica cosa che riesco a far uscire è una mezza risata, mezzo

69

singhiozzo, perché sono vivi e non mi sono sentita così da molto tempo.

«Per l’amor del cielo, Aithinne,» dice Kiaran, la voce vibrante nel suo petto, «metti

via la lama. Non infilzerai gli amici idioti di Kam.» Poi, dopo un momento:

«Ripensandoci, il Veggente non ha nessuna utilità …»

«Oh, zitto.» Guardo in alto verso di lui, spazzando via le lacrime dalle mie guance.

«Non rovinare tutto questo. Sarebbe d’aiuto che non parlassi.» Poi premo nuovamente

il viso contro il suo petto. «E che la smettessi di vedere il mio abbraccio come una

tortura.»

Kiaran fa qualche tentativo di rilassarsi, ma non gli farebbe male qualche lezione di

abbracci. Finisce per mettermi una mano tra i capelli mentre con l’altra mi tira delle

pacche sulla schiena, ma è il pensiero che conta.

«Oh, non fare quella faccia,» dice a sua sorella. «Aithinne. Smettila.»

Quando apro gli occhi, Aithinne ci sta guardando con la testa inclinata, un sorriso

ebete sulla faccia. «Non fate caso a me,» dice lei alzando le mani in segno di difesa.

«Non è cosa da tutti i giorni vedere il mio tetro, imbronciato fratello che conforta

qualcuno. Penso che sia splendido. Vi prego continuate.»

Ora capisco perché Kadamach abbia voluto che muovessi cielo e terra per trovarti.

Oh signore, le mie guance sono di nuovo in fiamme. Se la terra si aprisse e mi

inghiottisse, non penso che obietterei.

Kiaran si rivolge a denti stretti. «Quando vuoi, Aithinne. Puoi iniziare a stare zitta in

qualsiasi fottuto momento.»

Questo mi fa tornare in mente che Aithinne ha ancora la promessa delle fate scritta

sulla lingua. Mi tiro indietro e Kiaran sfila le dita dai miei capelli. È riluttante? Non

riesco a capirlo. «Libera Aithinne dalla sua promessa,» dico. «Adesso. Ha sofferto

abbastanza.»

S’intravede un briciolo di rimorso nel suo sguardo e ne sono sorpresa. Che io sia

dannata. Non ha mai rimorsi per niente. Guarda sua sorella. «Ti libero dalla tua

promessa.»

Il suo sorriso è sparito. Aithinne si piega in due, la lingua le esce dalla bocca assieme

ad un suono di dolore, il suo respiro tremolante. Le sue spalle delicate si piegano in

avanti.

Non ho mai assistito all’annullamento di una promessa di questo genere. Se fa cosi

male, non oso immaginare come sarebbe se la fata la infrangesse.

Kiaran guarda intensamente Aithinne, come se verificasse che fosse tutto apposto.

Quando il corpo di Aithinne sembra rilassarsi, si rigira verso di me. La maschera di

controllo che ha sempre indossato, che mantiene le sue emozioni così pacate, è

scivolata via. Si sta preparando per dirmi qualcosa, e questa volta non sono buone

notizie.

Sto quasi per dirgli di aspettare. Voglio rimanere ancora avvolta in un felice bozzolo

di gioia. Voglio che lui mi avvolga tra le sue braccia ancora per un po’ prima che mi

dia le brutte notizie. Ma metterle da parte non le fa sparire, e non diventa neanche più

facile quando arriva il momento.

Hai pensato che tutti i tuoi amici fossero morti. Hai fatto i conti con la distruzione

di casa tua. Qualunque cosa sia, la puoi sopportare.

70

Mi faccio forza per questa rivelazione. «Che c’è?»

«C’è un’ultima cosa che dovresti sapere.» Aspetta, sto per dire. Aspetta. Non dirlo.

Ma lui lo fa. «Non siamo riusciti a trovare tuo padre, Kam.»

Non mi aspettavo che facesse così male, che lo sentissi così tanto. Mi volto di scatto,

così che Kiaran non possa vedere che i miei occhi si stanno nuovamente riempiendo di

lacrime. Perché questa volta non sopporterei un abbraccio.

«Oh,» dico piano, incapace di proferire altro.

Io e mio padre non siamo mai stati vicini. Non eravamo affettuosi, neanche dopo la

morte di mia madre. Passava così tanto tempo in giro per il paese che anche quando

tornava, stavamo nella nostra casa di Edimburgo come dei fantasmi che infestavano i

nostri luoghi familiari. Quando mi parlava, lo faceva sempre in tono brusco, al limite

dell’irritato, e ho sempre pensato che mi trattasse così perché non ero il figlio che

desiderava così disperatamente.

Dopo la morte di mia madre, l’indifferenza di mio padre nei miei confronti non fece

che peggiorare. Era costretto a sopportare una figlia e non aveva nessuna speranza di

un figlio a meno che non si fosse risposato. Stando alla legge scozzese, io ero la sua

erede.

Non riesco a scordarmi della notte in cui lo salutai. Quando mi disse, Assomigli così

tanto a lei. A lei, mia madre. Prima che morisse, ero un costante promemoria di tutti

gli anni in cui cercarono di avere un figlio. Dopo, ero un costante promemoria che

l’aveva persa e non sarebbe tornata. Che ero una mediocre sostituta. Non ero mai

abbastanza gentile o paziente o altruista. Ero sempre la figlia che lui non voleva.

Eppure speravo – ho sempre sperato – che mio padre iniziasse a volermi bene. Ho

continuato a farlo, anche dopo essere andata a combattere. Ora sono una vera orfana,

entrambi i genitori persi per mano delle fate.

«Potrebbe essere ancora vivo,» suggerisce Aithinne gentilmente.

Con la coda dell’occhio vedo Kiaran scuotere la testa in direzione di sua sorella. Sa

bene quanto me che non può essere vero. Molto probabilmente mio padre è morto.

Probabilmente la notte in cui l’ho mandato via dalla città; durante l’assalto delle fate,

lui non sarebbe nemmeno riuscito a vederle.

Cerco di bloccare le immagini che si stanno creando nella mia testa – di mio padre

che muore, ucciso da uno di loro.

«Dovremmo andare» dico, nessuna emozione nella mia voce. «Sono sicura che ci

siamo trattenuti qui già troppo a lungo.»

71

Capitolo 13 Traduzione: Lis

Pre-Revisione: DustAngel

Cavalchiamo attraverso la campagna sui cavalli fatati portati da Kiaran. Ne avevo

montato uno per poco soltanto una volta, durante la battaglia. Non ricordavo che

fossero così veloci; la creatura, che Kiaran ha chiamato Ossaig, sfreccia lungo il

paesaggio come una lama affilata.

Non ci fermiamo per un tempo infinito. Quando i cavalli raggiungono l’acqua,

galoppano nell’aria, con la loro solita grazia. Gli zoccoli sono un’ombra sull’acqua,

talmente leggeri da sfiorarne la superficie. È come se stessimo volando. Gli zoccoli

battono ritmicamente sul terreno come le ali di un colibrì, come una canzone nel vento.

Ma l’aria intorno a noi è ferma, come se ci stessimo muovendo tanto velocemente

da fermare il tempo. Come se fossimo congelati in un singolo istante, ma non è così.

Anche se sembra che siano passati solo pochi minuti, il crepuscolo si trasforma in una

scura notte stellata, che a sua volta sfuma nel mattino, mentre il sole sorge sulle

montagne. L’intera campagna è illuminata, le nuvole cariche di pioggia tinte d’oro

dalla luce sfolgorante.

Il panorama intorno a me è stupefacente. Non ho mai visto un paesaggio così

animato, così vivo. Proprio come a Edimburgo, la libertà delle fate ha permesso alla

flora di crescere, molto più velocemente del normale. I cavalli corrono attraverso

foreste che prima non esistevano e su colline sorte durante la mia assenza. La campagna

scozzese è stata rimodellata, ricreata attraverso la battaglia. La terra a sud delle

Highlands, un tempo un pianeggiante terreno coltivato, è stato reso aspro da crateri,

valli e fiumi.

Sfrecciamo lungo un campo e giù per una collina, dove troviamo un’altra città in

rovina. Il mio cuore batte all’impazzata. Glasgow.

Non vedevo la nostra città rivale da anni, da quando mio padre vi portò me e mia

madre per controllare una delle sue proprietà. La città ora non è altro che un cumulo di

edifici distrutti, rocce accatastate e fitti arbusti; i danni sono decisamente più

significativi rispetto a Edimburgo.

Passiamo tra palazzi in rovina, cumuli di pietre cadute. Cerco di chiudere gli occhi

per ignorare quella vista, ma non riesco più a sopportarla. «Fermatevi.»

Il mio cavallo si blocca e scendo per andare in mezzo alle macerie, così luminose

sotto i raggi del tardo pomeriggio. Come a Edimburgo, ci sono sporadiche case ancora

in piedi, ma le fate hanno distrutto tutti i bellissimi edifici moderni di Queen Street. E

per il resto… voragini si aprono in mezzo a tutta quella devastazione, nuove valli tra

le strade. Come se le fate stessero giocando mentre distruggevano tutto.

Serro i pugni mentre sto in piedi tra l’erba fitta e sul suolo infangato. Qualcosa spunta

dalla terra. Lo tocco con un piede. Quando non si sposta, mi piego per raccoglierlo dal

fango. Uno stivale. Uno stivale da bambino.

Lo lascio cadere e mi allontano, sentendo che Kiaran e Aithinne si sono fermati

72

dietro di me. «È così in tutta la Scozia, vero?» Riesco a malapena a dirlo. La gola quasi

mi si chiude.

All’improvviso Kiaran è di fianco a me. È così vicino che il suo braccio sfiora il

mio. «Non solo in Scozia» dice sommessamente.

Non riesco a respirare. Come se riuscisse a capire come mi sento, Kiaran avvolge un

braccio intorno alle mie spalle e mi stringe a sé. Sono stupefatta. Kiaran non è

affettuoso. Prima del nostro primo bacio si era sempre tenuto lontano. Mi aveva toccato

soltanto in battaglia.

Le sue parole risuonano nella mia testa e mi feriscono come una spada. Non solo in

Scozia non solo in Scozia non solo…

Mi allontano da Kiaran. Non riesco a sopportare la sua vicinanza, non ora. Non

quando vorrei solo potermi vendicare. L’Aileana Violenta degli specchi avrebbe

iniziato a uccidere. Avrebbe strappato via i loro cuori e ne sarebbe stata contenta.

Ma era stata sepolta da qualcosa di ancora più pericoloso: il senso di colpa. Perché

avrei dovuto salvarli. Era il mio compito. Ma ho fallito e ora sono loro ad averne fatto

le spese.

«Non pensavo potesse esistere un luogo peggiore di quello in cui mi teneva

Lonnrach» dico con voce vuota. «Mi sbagliavo.»

Ho una certa dimestichezza con le prigioni e questa potrà anche non essere una

stanza degli specchi angusta e chiusa a chiave, ma la sostanza è la stessa. È comunque

una gabbia. Solo, costruita con le ossa dei morti.

Un duro pensiero rivolto a Kiaran mi passa per la testa prima che io possa fermarlo:

Mi hai salvata da una prigione senza renderti conto che mi stavi rinchiudendo in

un’altra.

Kiaran mi fissa e potrei giurare che mi abbia letto nel pensiero. Si allontana

bruscamente. «Fermiamoci qui. Vado a cercare un posto dove riposarci per la notte.»

Gira i tacchi e se ne va, come se non potesse allontanarsi da me abbastanza in fretta.

Ora capisco perché Kadamach voleva che muovessi cielo e terra per trovarti.

Sto quasi per richiamarlo, ma le parole mi muoiono sulle labbra. Lo guardo

andarsene, invasa da un pesante senso di colpa.

Dopo un po’, Kiaran ritorna e ci guida verso un edificio col tetto parzialmente intatto.

Dentro, il soffitto del secondo piano è crollato sui pavimenti di pietra, vecchi e

impolverati. I tappeti al piano terra sono coperti di fango e sporcizia. Dei vestiti sono

disseminati in giro, sporchi e divorati dalle tarme.

Trovo un angolo in cui sdraiarmi. Premo la guancia contro il braccio, avvolgendomi

nel cappotto intorno a me.

Non avevo mai vissuto in condizioni così disagiate. Al termine di una caccia, avevo

sempre un letto caldo ad aspettarmi in una casa immacolata. C’erano sempre lenzuola

pulite, un camino acceso e le mie invenzioni per allontanare gli incubi. Lavavo via il

sangue dai vestiti e tornavo agli agi della mia vita da signora, facile come cambiarsi un

cappotto. Mi rilassavano, questi rituali. La mia casa era un luogo sicuro. La mia stanza

era un luogo sicuro. Dopo tutto quello che era successo, ci contavo. Ci facevo

affidamento. Davo per scontato che ci sarebbe sempre stata.

73

Ora non c’è più nessun luogo sicuro. Ci sono solo delle ore sicure passate in rifugi

devastati dove un tempo vivevano i morti.

Osservo Kiaran portare dentro i cavalli, gli zoccoli che schioccano sulla pietra

mentre camminano per mettersi dalla parte opposta.

Lo sguardo di Kiaran incontra il mio, ma chiudo gli occhi e gli do le spalle. Fingo di

dormire, anche se le sue parole mi riempiono la testa. Non solo in Scozia.

Porto le dita sulle mie cicatrici, il mio nuovo rituale notturno. E ricordo. Ricordo

quando ero al sicuro. Ricordo il calore. Mi avvolgo in questi ricordi come se fossero

una vecchia coperta che mi riscalda e conforta. Sono tutto ciò che mi rimane.

Mi sveglio più tardi col calore del fuoco e l’odore di legna bruciata. Sono sorpresa

di essere riuscita ad addormentarmi, ma ero esausta dopo la fuga e la lotta insieme ad

Aithinne.

Apro gli occhi e trovo Kiaran seduto di fianco a me, intento a dare in pasto alle

fiamme altri ciocchi. Ha messo su un cerchio improvvisato di pietre prese dagli edifici

vicini. Un mucchietto di legna da ardere è impilato lì vicino.

«Dov’è Aithinne?» domando.

«Fuori a perlustrare la zona.» Kiaran mi lancia un’occhiata. «Abbiamo sentito uno

sluagh qualche ora fa.»

Sluagh. Non dimenticherò mai la volta in cui una di quelle creature mi è passata

attraverso, come un fantasma che ha invaso il mio corpo e coperto le mie interiora di

ghiaccio. Kiaran mi aveva detto che quando i regni Seelie e Unseelie erano ancora in

piedi, gli sluagh erano delle perfette spie aeree, veloci, efficienti e spietatamente

devastanti in caso di bisogno.

«Perché non mi hai svegliata?»

«Perché» Kiaran colpisce il fuoco con un ramo, facendo volare della cenere, «non ti

riposi mai, anche quando dovresti. Quando è stata l’ultima volta che hai dormito?»

Non mi ricordo. Nella stanza degli specchi non dormivo, più che altro… restavo

distesa. Costantemente in uno stato tra sogno e dormiveglia.

Quando non rispondo, Kiaran dice, «Come pensavo.»

Mi metto seduta per sistemarmi i capelli, legando a fatica i riccioli ramati e ribelli

con un pezzo di spago abbandonato sul pavimento. Dopo esserci riuscita in modo

approssimativo, mi avvicino al fuoco, fermandomi solo quando mi accorgo che la mia

coscia sta ora sfiorando quella di Kiaran. Accidenti.

Istintivamente, premo il pollice su uno dei marchi del mio polso. Riesco a evocare

con esattezza la sensazione delle sue labbra. Avevo contato i secondi del nostro bacio.

E memorizzato la sua forza.

Aoram dhuit. Le sue parole sussurrate svolazzano come le ali di una falena nella mia

memoria. Ti venererò.

Il nostro secondo bacio era stato ancora più disperato, proprio nel mezzo della

battaglia. Le mie dita risalgono oltre la clavicola, dove si trova la cicatrice irregolare e

raggrinzita causata dai denti di Lonnrach; era più profonda delle altre. Quel ricordo

scintilla nella mia testa, veloce come un battito. Era un bacio che diceva, Hai tagliato

via una parte di me e l’hai riempita con una parte di te e ora hai intenzione di

abbandonarmi per sempre.

74

Devi lasciarmi andare, aveva detto.

Volevo solo stringerlo ancora di più a me.

Kiaran attizza di nuovo il fuoco e io torno velocemente al presente. Devo scostarmi?

Se ne accorgerebbe? Le mie guance sono in fiamme e grazie a Dio non può capire che

è a causa dell’imbarazzo.

«Non ti ho mai ringraziato» dico alla fine. «Per non aver mai smesso di cercarmi.»

Vorrei prendergli la mano, ma non lo faccio. Le mie dita si chiudono sul palmo. «E per

avermi trovata.»

Nonostante i pensieri di prima, preferisco essere qui che nella stanza degli specchi.

Almeno qui ho una possibilità di sopravvivere. Almeno posso combattere Lonnrach

come voglio io, non intrappolata dall’edera e indebolita dal suo veleno.

Kiaran fissa le fiamme, la sua pelle illuminata dalla luce. Non mi era mai sembrato

così bello. «Se fosse successo a me avresti fatto lo stesso.»

«Certo» rispondo sommessamente. Il tepore del fuoco mi riscalda attraverso il

cappotto, anche troppo. Sbottono il pesante abito di lana.

Non mi sfugge il modo in cui gli occhi di Kiaran si soffermano sui marchi che ho

sul collo, gli unici non coperti dal cappotto. O il modo in cui fa una smorfia e si volta

verso il fuoco, la mascella serrata.

«Dovresti riabbottonarti» dice, il tono duro. «Prima che ti venga il raffreddore.»

Non riesco a non provare un certo dolore. Odia le mie cicatrici. Non sono un motivo

di vanto. Non le ho guadagnate lottando. Le ho guadagnate nel modo in cui un animale

in trappola viene sgozzato: legato e incapace di difendersi. Una preda; non un

predatore.

Ora sai perfettamente cosa si prova ad essere inermi.

Qualcosa dentro di me scatta. Salto in piedi e mi tolgo il cappotto per gettarlo per

terra. Tiro su le maniche per mostrare le mie braccia. Apro il colletto della camicia fino

quasi a strapparlo. Kiaran non aveva visto la reale entità delle mie cicatrici. La mia

sottoveste aveva nascosto le peggiori. Voglio che le veda.

«Guardami» gli dico.

Non lo fa. Noto che la sua mandibola si irrigidisce. «Smettila, Kam.»

«No. Guardami.»

Kiaran si alza con il mio cappotto tra le mani. Vedo quella luce nei suoi occhi, la

stessa della stanza degli specchi. Quella rabbia dura e fredda che non avevo mai visto

in lui.

Mi ficca il cappotto fra le mani. «Il tuo messaggio è stato recepito» dice. «Ora le ho

viste.»

Quando indietreggia, l’Aileana Violenta degli specchi torna a galla nella mia mente.

Un minuto, sono in piedi vicino al fuoco. Quello dopo, ho bloccato Kiaran contro il

muro, il mio braccio premuto contro la sua gola. Il cappotto è abbandonato sul

pavimento.

«Pensi che non me ne vergogni? Mi hai allenata a resistere e ci ho provato» dico,

sibilando le parole. «Fino a quando un giorno ero troppo stanca per continuare a

combatterlo e l’ho lasciato fare.» La mia voce è arrochita dalla rabbia. «L’ho lasciato

fare e adesso devo conviverci. Non hai il diritto di giudicarmi per questo.»

75

Appena lascio andare Kiaran e mi allontano, è lui che mi afferra per le braccia e mi

spinge contro il muro, dove prima c’era lui.

Non parla, nemmeno mentre ripercorre con le dita i segni all’interno degli

avambracci, per poi tornare di nuovo sul collo. Il suo tocco è leggero come una piuma,

lento. Come se stesse memorizzando ognuna delle mie cicatrici.

Il suo sguardo è intenso quando incontra il mio. Come se stesse fissando la mia

anima, estraendo tutti i segreti e le emozioni che ho faticato tanto a seppellire.

«Ti sbagli» dice infine.

«Davvero?» Penso alla sua smorfia, a quanto mi ha fatto soffrire.

«Pensi che non riesca a sopportare di guardarle, pensi che io creda che significhino

che sei debole.» Le dita di Kiaran raggiungono il punto in cui si può sentire il mio

battito, poi scivolano in basso, verso la clavicola. «Non potrebbe essere più lontano

dalla verità.»

Kiaran si china e le sue labbra sfiorano la cicatrice sulla spalla. Non sa che quello è

il ricordo del nostro secondo bacio. Proprio. Lì. «Quando le vedo sono tentato di

infrangere la mia promessa e ucciderlo per quello che ha fatto. Voglio farlo io, non tu.»

«Perché non me l’hai detto?»

Continua ad esplorare l’altra spalla. Dove ci siamo incontrati, quando siamo stati

legati per la prima volta. Chiudo gli occhi quando si ferma. Non fermarti, gli dico quasi.

È passato troppo tempo. Non fermarti.

«Perché sto ancora imparando» dice in un sussurro.

«Imparando cosa?»

«Come provare sentimenti.» Rabbrividisco mentre Kiaran fa librare le dita lungo il

mio braccio. «Come empatizzare.» Mi guarda negli occhi. «Come non comportarmi

quando sei turbata. Niente di tutto ciò è facile per me.»

Non posso più resistere. Lo tocco, tracciando le vene sul dorso della sua mano e

desirando trovare la cosa giusta da dire. Un tempo credevo che le fate fossero creature

semplici, prive di sentimenti e pericolose. Sto imparando anch’io. Proprio come lui.

«Perché Aithinne è così diversa da te?» domando. Sua sorella potrà anche non capire

le lacrime, ma è molto più disposta a mostrare le sue emozioni rispetto a lui. Non le

nasconde.

«Io e mia sorella siamo stati cresciuti separatamente, in regni diversi.»

Faccio scorrere la mano lungo il suo polso. La pelle è liscia, così liscia. «In quale

regno sei cresciuto?»

È silenzioso. Come se si stesse preparando alla mia reazione. «Unseelie» dice.

Unseelie. Le fate dell’oscurità che massacrano indistintamente. Che usano gli umani

come giocattoli.

Non sei il primo animale domestico che Kadamach ha gettato via.

Sussulto e allontano quasi la mano, ma qualcosa del tocco di Kiaran mi ferma. Non

è Kadamach, mi dico, premendo il palmo contro il suo. Non è più Kadamach.

«Nel Regno Seelie» prosegue, «ad Aithinne non hanno insegnato a reprimere le

emozioni. A lei non hanno insegnato che le emozioni sono una debolezza.»

«E che mi dici di me?» chiedo. Non riesco a trattenermi. «Pensi che io sia debole

perché provo dei sentimenti?»

76

Perché ho smesso di lottare?

«No. Mai.» Kiaran mi tocca la guancia. «È quello che ti rende Kam.»

Trattengo il respiro. Le sue labbra sono così vicine. «MacKay» sussurro. «Io…»

Kiaran si allontana bruscamente, mettendo una fredda distanza fra noi. Solo qualche

secondo più tardi, i passi di Aithinne echeggiano segnando il suo ritorno. «Mortair»

sussurra urgentemente. «Appena oltre le colline.»

Neanche a farlo apposta, un tuono rimbomba in lontananza, spaventandomi. Grosse

gocce di pioggia iniziano improvvisamente a battere contro il tetto ad un ritmo costante,

rumorose quasi quanto il tuono. Sento uno stridio provenire da fuori, acuto e lamentoso.

Ricordo quel richiamo dalla battaglia a Queen’s Park. Sluagh.

«Dannazione» dice Kiaran. Allunga il braccio verso il fuoco. Le fiamme si spengono

in un attimo e il fumo viene risucchiato nel suo palmo. Per un istante la puzza di

bruciato si rafforza, prima di dissiparsi completamente.

Aithinne si accovaccia per premere il palmo sul pavimento di pietra. Riesco

improvvisamente a sentire il suo potere sulla lingua. «I mortair possono percepire

anche il calore, Kadamach.»

«Shh» dice.

Cerco di stare in silenzio, non osando neanche muovermi. Quello che pensavo fosse

un tuono è un altro mortair, i suoi passi sempre più forti, sempre più vicini. Le pareti

vibrano. Dello sporco cade dalle travi e l’intera struttura cigola e trema. La pioggia

batte sul pavimento, forte e rapida. In fondo alla stanza, i cavalli sono immobili; non

battono nemmeno le palpebre.

Un altro sluagh emette uno stridio, questa volta più vicino. Ci stanno cercando tra le

macerie. Porto automaticamente la mano all’elsa della spada, pronta a estrarla e a

combattere.

Kiaran è improvvisamente vicino a me con la schiena contro il muro. «No.» Ignoro

il brivido che mi attraversa a causa della sua vicinanza. «Se ci trovano, avvertiranno

gli altri. Non muoverti, Kam.»

Gli altri?

I passi del mortair scuotono la struttura. Serro le labbra per soffocare un sussulto

sorpreso.

È qui. Il mortair è qui. Proprio al di là del muro. Il meccanismo rotante del suo

interno a orologeria ronza mentre mette in funzione la sua arma. La vibrazione

dell’arma diventa più veloce, più forte, più forte.

Chiudo gli occhi, il cuore che batte talmente forte da farmi male.

«Il tuo cuore» sussurra Aithinne.

Imprecando a bassa voce, Kiaran mi si avvicina immediatamente. «Posso?» chiede.

Mi sta chiedendo il permesso? Sono così sorpresa che annuisco.

Preme la mano sul mio petto (ah, ecco perché) e sento una gentile scarica del suo

potere, che calma e rassicura. Il mio respiro si rilassa. Il mio cuore rallenta. Assorbe la

mia energia, quell’ansia dovuta al pericolo, fino a lasciarmi tremante. Il suo potere mi

avvolge, una traccia di petali nella mia gola.

A questa si unisce il tenue sapore di quello di Aithinne. La guardo e rimango

stupefatta. Le sue luminose iridi argentate si adombrano per diventare un vortice di

77

metallo fuso, vasto e profondo. L’aria intorno a noi diventa talmente densa a causa del

caldo da rendere difficile respirare.

Lo sluagh stride di nuovo e il mortair fugge via. La terra trema sotto il suo peso e la

mia mano si serra intorno all’elsa della spada mentre mi preparo al peggio, ma si sta

allontanando, i suoi passi sempre più deboli. Fino a che tutto è immobile intorno a noi,

silenzioso. Persino la pioggia è diminuita.

Aithinne emette un lungo e lento respiro. «Ho rilasciato un flusso di potere verso

un’altra direzione» dice, «ma non gli ci vorrà molto per capire che è finto.»

Kiaran non risponde. La sua mano è ancora contro il mio cuore, le sue labbra contro

il mio orecchio. Questa volta il suo respiro è irregolare, come se stesse cercando di

riprendere il controllo.

Improvvisamente, più veloce di un battito di ciglia, è al centro della stanza. Il calore

del suo corpo è sparito e la sua espressione è calma, persino fredda. A lei non hanno

insegnato che le emozioni sono una debolezza.

«Preparo i cavalli» dice, la voce vuota. «Dobbiamo andarcene in fretta.»

78

Capitolo 14 Traduzione: Sherm, Noir

Revisione: Veru

Una volta usciti da Glasgow, mi rendo conto che non sono mai stata così a ovest rispetto

a Edimburgo.

Le persone parlano sempre molto rispettosamente delle Highlands scozzesi, come se

fossero un posto magico, quasi ultraterreno. Ora capisco perché. Non ho mai visto delle

montagne così imponenti, caratterizzate da rocce così ripide e frastagliate. Le nuvole

si depositano attorno alle vette, coprendo la catena montuosa con un velo di foschia

bianca. La neve si accumula più in basso, estendendosi fino a toccare la base delle

montagne, creando una distesa simile a ragnatele intorno le rocce.

Al di sotto delle montagne si trovano dei prati la cui erba si è tinta di marrone, verde,

oro e rosso; un vastissimo caleidoscopio di colori invernali. L’odore di pioggia e legno

invade i miei sensi. Sorpassiamo cascate che hanno origine tra le rocce sporgenti e

acuminate e ricadono sui prati.

La nebbia ci circonda, rendendo la mia pelle fredda e appiccicosa. È magnifica, la

nebbia delle Highlands. Sembra quasi elettrica.

Non avevo mai associato l’inverno al mio ideale di bellezza, con la sua oscurità e la

sua fredda sterilità. Ma non avevo ancora visto un panorama così magnifico, la cui

bellezza, al sol vederla, mi procurasse dolore.

Ora capisco perchè questo posto cambia le persone. Perché tutta la gente dalle

Highlands diceva che Edimburgo non reggeva il confronto. Perché dicevano che qui la

magia non era morta. Ad ogni respiro la sento arrivare fino ai polmoni e scorrermi nelle

vene e nel sangue. Credo che la magia sia nata qui.

Sono così rapita dal panorama che non mi accorgo neanche che Aithinne si è fermata

finchè Kiaran non fa girare il suo cavallo, avvicinandosi per sfiorarmi il braccio.

Rallento. «Cosa succede?»

Aithinne scuote la testa. «Percepisco qualcosa.»

«Io no» dice Kiaran.

Sua sorella lo guarda. «Ma è ovvio, idiota che non sei altro. Non ci riusciresti

neanche se ti fosse attaccato al culo.»

Ridacchio e, dopo un’occhiataccia di Kiaran, dico: «Sei tu che le hai insegnato a dire

parolacce, mica io.»

Lui apre la bocca per rispondere, ma di colpo si volta verso la nebbia. Ora anche lui

percepisce qualcosa. Poi una familiare sensazione si deposita sulla mia lingua: spezie

e pan di zenzero, tutte cose che mi ricordano casa mia.

Mi si forma un sorriso sul volto mentre Derrick emerge dalla nebbia. «Sei viva!»

urla di gioia.

In un attimo balzo giù da cavallo e corro verso l’alta erba del pascolo. Derrick

sfreccia verso di me in un flusso di luce dorata. Battendo forte le ali, si fionda sulla mia

spalla. Lo abbraccio (per quanto sia possibile abbracciare una creatura così piccola)

79

con le dita strette attorno al suo corpicino.

Le ali intrappolate di Derrick sussultano contro il mio palmo. «Aileana.» Tossisce.

«Quelle sarebbero le mie costole. Mi stai schiacciando le costole.»

Lo lascio andare, ma continuo ad accarzzargli le ali setose. Sembra che sia passata

un’eternità da quando l’ho visto l’ultima volta, in Charlotte Square, appena prima di

andare in guerra. Non avrei mai pensato che l’avrei rivisto. Non avrei mai pensato che

saremmo sopravvissuti. Derrick si avvinghia alla mia spalla, facendo scorrere le dita

tra i miei capelli. Ne inala l’odore, le ali che continuano a sbattere.

«Maledetto folletto» dico piano. «Come hai fatto a trovarmi?»

«Ero in perlustrazione e ho percepito una Falconiera» balbetta Derrick, sventolando

le ali così velocemente che sembrano sfocate. «Dovevi essere tu, così sono corso a

vedere se era veramente così, perché pensavamo tutti che fossi morta dopo tutto questo

tempo…»

«Anch’io pensavo che tu fossi morto» dico sommessamente.

Derrick mi attorciglia i capelli. «Non avresti mai pensato di rivedermi. Tu mi vuoi

beneeeee e ti sono mancaaaaato. Tu…. Dannazione» dice, stupito, sventolando le ali.

«Sono lacrime quelle? Stai piangendo?»

«Ho solo qualcosa negli occhi» dico, battendo forte le palpebre. Maledizione.

Derrick mi guarda, anche lui con gli occhi umidi. «Hai ragione» dice, toccandosi le

guance. «Neanch’io sto piangendo. È la pioggia, di sicuro. Sta piovendo davvero forte

qui. Io…»

In contemporanea ci ricordiamo di non essere soli. Kiaran ha l’aria alquanto

disgustata dal nostro scambio, mentre la testa di Aithinne è inclinata di lato,

manifestatamente interessata.

Aithinne si rivolge a Kiaran: «Che carini. Non sono carini? Tu non mi hai accolto

così quando ti ho salvato.»

«Ero svenuto» le ricorda Kiaran.

«Ah. Giusto.»

«Tu!» Derrick vola via da me, librandosi al di sopra della nebbia e del prato. Le altre

due fate sollevano lo sguardo. «Non tu» bercia contro Kiaran. «Di te mi occuperò più

tardi. Quella che ha detto torno subito con la Falconiera ed è ritornata tre dannatissimi

anni dopo. Cosa diavolo è successo?»

Aithinne sembra soppesare la questione per un momento. «No, no. Ho detto che

sarei ritornata a breve. Ho trascorso solo due mesi dall’altra parte…»

«O l’equivalente di tre anni umani, stupida sciocca. Non far finta di non saperlo.»

«Derrick» lo riprendo in tono tagliente.

«Che c’è?» Derrick mi sfreccia intorno. «Mi ha lasciato credere che fossi morta. Non

ti ho vista per anni e non si è nemmeno sprecata a fare parola del fatto che fossi viva…»

«Non è stupido» risponde Kiaran a bassa voce, «non sapere con precisione quanto

tempo occorra per smantellare quanto costruito da Lonnrach nel Sìth-bhrùth senza

venire scoperti. Tu non ne saresti stato in grado.» Muove un passo avanti. «Aithinne

ha riportato Kam indietro. Piantala di lamentarti.»

«Obbligami» ringhia Derrick. «Ti faccio le viscere a pezzettini prima che tu possa

farle ricrescere.»

80

«Kam» dice Kiaran, senza mai distogliere lo sguardo da Derrick. «Tieni a bada il

tuo pixie.»

«Tenermi a bada?» La mano di Derrick è improvvisamente occupata da una piccola

lama. «Io ti sbudello, brutto figlio di…»

«Non penso proprio» replico, afferrando Derrick per le ali. Quest’ultimo, nel

momento in cui riesco a chiudergliele, strilla per la sorpresa. Ho impiegato moltissimo

tempo a imparare questo trucco, e lo utilizzavo soltanto quando cercava di andare a

caccia di gatti nel giardino sul retro.

Resta così, inerme, le braccia conserte e un’espressione omicida dipinta sul volto.

«Non ho intenzione di scusarmi» afferma tetro.

«Non ti chiederò di scusarti» rispondo. «Ma metti via la lama.» Non ha l’aria di

volerlo fare, perciò dico con fermezza: «Derrick. La lama.»

Derrick rifodera la lama nella custodia che gli pende dalla vita con un sibilo. «Ecco.

Soddisfatta adesso?»

Lo piazzo sulla mia spalla e poggio la guancia contro le sue ali. Il contatto fisico

riesce sempre a calmarlo, anche quando è furioso. «Grazie.»

«Non fare così» replica inflessibile, spostandosi, ma io non demordo. «Smettila. Non

mi farai calmare. Non ce la fai. Non ce… oh, dannazione.» Incrocia nuovamente le

braccia. «E va bene. Scusa, Aithinne» mugugna. Poi guarda Kiaran. «Scusa ma non mi

scuso, bastardo.»

«Beh» dice Aithinne. «È bello vedere che alcune cose non cambiano mai.» Si

avvicina a me. «Sono migliaia di anni che litigano.»

«Non osare dirlo in quel modo» scatta Derrick, improvvisamente di nuovo

arrabbiato. «Come se si trattasse di una stupida rivalità. Sai che non è così, e anche

lui.»

Aithinne si blocca. «Certo» sussurra. «Lo so.»

Cosa diavolo è appena successo? Tutti rimangono in silenzio. Kiaran fissa Derrick

con quel suo sguardo imperscrutabile, come se volesse dire qualcosa ma non lo farà

comunque. Di qualsiasi cosa si tratti, non prova abbastanza rimorso.

«Kiaran…»

«Lascia perdere, Kam» replica rigidamente, e si muove in direzione del cavallo per

afferrarne le redini. «Al fine di evitare future riunioni come questa, vado avanti per far

sapere agli altri che non sei morta.» Parla senza incrociare il mio sguardo, perché si

tratta di una dannata mezza verità da fata, e lo sa bene. «Aithinne vi guiderà per il resto

del tragitto.»

Aithinne si fa da parte mentre Kiaran slancia il suo agile corpo per montare a cavallo,

sistemandosi perfettamente sulla sella. «Kadamach, non devi…»

«Sì che devo» risponde concitamente. «Il pixie e io non siamo mai stati bravi a

socializzare tra noi e poi lui può nascondere la vostra presenza a Lonnrach meglio di

me.» I suoi occhi si posano per un attimo su di me, e vorrei che mostrasse nuovamente

le sue emozioni. «Ci vediamo presto.»

Incitando il cavallo, parte al galoppo, così veloce che il tempo di battere le palpebre

ed è già sparito nella nebbia come un fantasma. Restiamo in silenzio, l’unico suono

udibile è il battito delle ali di Derrick.

81

«Qualcuno sarebbe così gentile da dirmi cosa diavolo è successo?»

«Non voglio parlarne» risponde Derrick seccamente. «Ma sono contento che se ne

sia andato. Se ti avesse rivolto l’ennesimo sguardo da cerbiatto, avrei vomitato tutto il

miele…»

Sguardo da cerbiatto? Assolutamente no.

Aithinne guarda con tristezza verso la direzione che ha preso suo fratello.

Nonostante tutto quello che abbiamo passato insieme, ho ancora la sensazione di dover

mettere insieme il lungo passato delle fate, le loro relazioni, i loro nemici. Si tratta di

una storia molto vasta e contorta.

«Penso che dovremmo fermarci qui a riposare» dice piano Aithinne. «Al momento

non sono dell’umore adatto per continuare il viaggio.»

Prima che io possa replicare, si allontana nella nebbia.

Dopo aver ascoltato il racconto di Derrick sul regno abbandonato dei pixie, le

palpebre mi diventano pesanti. Mangio il coniglio selvatico che ha catturato e cucinato

per me, e mi sistemo accanto ai cavalli nel prato deserto. Derrick si posa sul mio

stomaco, le ali che sbattono dolcemente a tempo col suo respiro calmo.

Il fatto che le fate non dormano è semplicemente un mito. Molto spesso Derrick si è

addormentato in questo stesso modo, il corpo raccolto sotto le mie costole. Ha un’aria

davvero pacifica, con le ali che fremono e un lieve sorriso sul volto. Mi domando

spesso che cosa sogni.

Aithinne è sparita da ore. Derrick ha suggerito di sfruttare l’opportunità per riposarci

in vista dell’intera giornata di viaggio di domani.

Trascorro il tempo a osservare il cielo sopra le nostre teste. Sono sdraiata sul mio

cappotto appallottolato, il calore di Derrick che mi scalda come una fiamma, lieve e

rilassante. Osservo le stelle fare capolino dalle spesse nubi, più luminose e numerose

di come le abbia mai viste. Qui, senza luci urbane a diminuirne la luminosità, si

estendono all’infinito e il cielo riflette quel che rimane dei tenui colori del tramonto.

Passo le unghie su una cicatrice che ho sull’avambraccio, e mi lascio pervadere dal

ricordo di mia madre. Per la prima volta da molto tempo, la sento vividamente, senza

pensare subito alla sua morte. Mi sai dire i loro nomi, Aileana? Ripeti dopo di me,

forza. Polaris. Gamma Cassiopeiae. L’Aratro.

Mi ricordo il suo volto. Quanto era contenta quando riuscivo a individuare

correttamente ogni costellazione. Chiudendo gli occhi vedo la scena con grande

vividezza. Il modo in cui diceva Sì, e questa? finchè non finivo di recitarle alla

perfezione.

Un urlo riecheggia in lontananza, e io sobbalzo, ascoltando con attenzione. E poi di

nuovo, non un urlo: un grido di dolore. Derrick continua a dormire profondamente sul

mio stomaco: quando le fate dormono, dormono sul serio. Quasi nulla è in grado di

svegliarle.

Sollevo Derrick con attenzione e lo posiziono vicino ai cavalli e, prima di andare a

cercare la fonte del rumore, prendo il cappotto. Il campo è illuminato unicamente dalle

stelle. Le sommità delle montagne in lontananza sono scure, nebulose e profetiche.

Mentre cammino in direzione del rumore, la nebbia rende difficile distinguere le cose.

82

Afferro l’elsa della spada. Se una fata dovesse sbucar fuori dalla nebbia, devo farmi

trovare pronta.

Il prato è silenzioso adesso, immobile, eccetto per una leggera brezza. Sento un altro

sussulto, questa volta più vicino. Stringo l’elsa con maggior forza mentre attraverso il

fiume, attenta a mantenere il passo leggero e silenzioso. L’elemento sorpresa potrebbe

salvarmi la vita.

Poco dopo, però, vedo una figura giacere sul prato, i familiari capelli scuri e la pelle

pallida e luminosa. Lascio la presa sulla spada e sospiro di sollievo. È solo Aithinne.

Non appena inizio a rilassarmi, la sento gemere, come se stesse soffrendo.

«Aithinne?» Mi avvicino, fermandomi poco distante da lei.

«Non farlo» dice in un sussurro che mi colpisce nel profondo. «Non ti avvicinare.»

Mi torna in mente un ricordo prima che possa fermarlo. Aithinne e io sulla banchina

delle Acque di Leith, le sue mani strette a pugno. Il sangue che scorre rapidamente,

fino a colpire le rocce sottostanti. Drip drip drip drip.

Non farlo. Non ti avvicinare.

Un altro ansito disperato mi strappa via dai ricordi. La tocco. «Aithinne.» Le scuoto

la spalla.

Mi afferra il polso e mi fa cadere indietro. Improvvisamente mi ritrovo sdraiata sul

prato, senza fiato, con Aithinne protesa sopra di me. Ha gli occhi spalancati e vuoti.

«Aithinne!» la chiamo urlando, ma lei mi tiene per la gola.

La sua presa si rafforza, stringendo con violenza. La mia vista si riempie di puntini

neri, mentre lotto per cercare di respirare.

Cerco disperatamente di usare le mie poche capacità motorie per afferrare la mia

collana di seilgflùr e premerla contro la pelle del suo polso.

Lo sfrigolìo di carne bruciata dura solo un attimo, prima che Aithinne mi rilasci con

un sussulto sorpreso. «Falconiera?» Il suo volto si contrae in una smorfia. «Hai il suo

stesso odore.»

Rotolo sull’erba per mettere un po’ di distanza fra noi, per poi premere la guancia

contro la terra fredda e umida. La vista rimane ancora offuscata e deglutire mi fa male.

Hai il suo stesso odore.

Non mi libererò mai dell’odore di Lonnrach, del suo veleno. Non bastava che mi

marchiasse. Ora ce l’ho anche nel sangue. Non importa che sono fuggita, scappata.

Resto comunque sua prigioniera.

Di fronte alla mia espressione sconvolta, Aithinne si protende verso di me. «Ecco,

lasciami…»

«No» rispondo. La mia voce somiglia a un gracidio. «Niente guarigione.» Non lo

sopporterei, il dolore. Non adesso.

Aithinne si allontana, ma noto lo sguardo ferito che le si disegna in volto. «Mi

dispiace.» Apre la bocca, e potrei giurare che è sul punto di dire qualcos’altro. Invece

sussurra di nuovo: «Mi dispiace.»

Mi trascino a sedere con un sospiro. «Brutto sogno, immagino?» chiedo, la voce

rauca.

«Sono sempre brutti» sussurra.

Rimaniamo entrambe in silenzio mentre penso a un milione di domande. Alcune

83

gocce di pioggia mi colpiscono il naso, e mi stringo di più nel cappotto. La nebbia si è

dissolta, rendendo il freddo più penetrante. Il prato davanti a noi è vasto, circondato ai

lati dall’ombra delle montagne. Sembra davvero che io e Aithinne siamo le uniche due

persone al mondo.

«Che cosa sogni?» domando piano. Lei serra i pugni e io le stringo forte la mano.

«Non ti sto chiedendo di dirmi cosa ti è successo nei tumuli» le dico, cercando di

mantenere un tono calmo. «Ti sto chiedendo cosa sogni.»

Mi lancia un’occhiata, il respiro visibile nell’oscurità della notte. Mi auguro così di

darle la possibilità di aprirsi con me, di vedere la cosa come un sogno e non come un

ricordo.

«Mi uccide» sussurra. «Nel mio sogno. In mille modi diversi. Forse di più.

Inizialmente solo per assicurarsi che sia morta.» Tira i lembi sfaldati dei suoi pantaloni,

che iniziano a rompersi all’altezza del ginocchio. «Poi per farmi a urlare.» Tira più

forte, il tessuto si strappa. «Poi per cercare di spezzarmi, per implorarlo…»

Ti ha fatto questo? Come ha fatto con me?

Peggio. Ha fatto di peggio.

Premo la mano contro la sua. «È un sogno» dico. Sento che l’emozione sta per farmi

incrinare la voce, perciò deglutisco. «Solo un sogno. Lui non è qui.»

Ricordo il dolore provocato dai denti di Lonnrach, la pressione necessaria ad

imprimermi ottantotto segni perfetti sulla pelle. Il modo in cui ogni volta affondava le

zanne un po’ più in profondità per rendere la cosa più dolorosa.

Dopo aver finito, guardava i segni con orgoglio. Più sanguinavano più sorrideva.

Chiudo gli occhi. Io e Aithinne stiamo in silenzio per quelle che sembrano ore.

Combattiamo entrambe contro i ricordi. Ho relegato i miei in un piccolo

scompartimento del cuore; li ho gettati lì e chiusi a chiave. Ma anche così riesco ancora

a sentirne l’eco provenire dalle profondità.

È questo l’effetto delle prigioni. È questo che accade quando qualcuno ti strappa un

pezzo d’anima finché non riesce a prenderne il posto. Puoi seppellirlo, ma resta

comunque lì. Lui è sempre lì.

Aithinne attacca improvvisamente a parlare. «Ogni giorno una morte diversa»

continua lei. «Alcune peggio di altre, ma tutte strazianti. Sono…»

La sua mano stringe così forte la mia che quasi mi si rompono le ossa, ma non grido.

Non lo farò. «Non devi dirmi nulla che tu non voglia.» Mantengo la voce calma, in

modo che non capisca quanto mi stia facendo male.

Non va bene. Quello che ti ha fatto non va bene per niente.

«Senza entrare nei dettagli, allora» dice freddamente, «tutti hanno partecipato, ma

lui è quello che ha fatto di più.»

Combatto contro le mie emozioni. Cerco di controllare la mia reazione in modo che

non la noti. Ma la rabbia cresce dentro di me, si accende, mi brucia nelle vene.

Era intrappolata con quasi un migliaio di fate nemiche dentro quelle mura. Un

migliaio. Non riesco ad arginare il dolore che si espande nel mio petto, i ricordi di

Lonnrach che emergono nonostante li abbia relegati in un angolo. Lui è quello che ha

fatto di più.

Lo odio. Non penso di aver mai odiato qualcuno più di così.

84

«Dopodiché» continua lei, «aspetta che io guarisca. Guarisco sempre. A volte vorrei

che non succedesse.»

Guarisco sempre. Le sue ferite, le sue morti. Non c’è da meravigliarsi se è rimasta

di gelo quando nel sentiero del Sìth-bhrùth le ho chiesto come facesse a convivere con

i suoi ricordi. Deglutisco, cercando di calmare i miei pensieri.

Ho immaginato la morte di Lonnrach migliaia di volte. L’ultima cosa che gli dirò.

L’ultima che dirà lui. Nei miei momenti di maggiore crudeltà, ho sempre sperato che

alla fine mi supplicasse di ucciderlo.

«Ti riportavano in vita di proposito?»

«No» dice lei. «Soltanto tu e Kadamach potete uccidermi.» La guardo fissa. Sono

sul punto di chiederle spiegazioni, quando si volta verso di me. «Perché non hai

accettato la mia offerta?»

La mia offerta.

Posso aiutarti a dimenticare. Tutto ciò che ti ha fatto Lonnrach. Il posto dove ti

teneva.

I miei pensieri a sfondo omicida si dissolvono. La versione violenta di Aileana torna

nello sfondo e finalmente riesco a pensare lucidamente. Ricordo i

giornisettimanemesianni nella stanza degli specchi, dove vorticavano tutti insieme

finché non vi era un inizio né una fine. Ricordo come Lonnrach fosse diventato la mia

costante. Misuravo il tempo in base a quando si presentava e a quanto tempo impiegavo

per guarire dopo che se ne andava. Ricordo che, nonostante tutto, mi aveva spezzata

così profondamente che gli avevo chiesto di restare.

«Non voglio dimenticare ciò che ha fatto» dico. Non riesco a trattenere l’emozione

nella voce. «Non permetterò mai più a nessuno di farmi sentire così indifesa.»

Aithinne mi fissa a lungo. «La penso allo stesso modo» risponde.

Smetto di trattenere il respiro e non replico. Non le dico quanto sto lottando contro

la rabbia per ciò che mi ha fatto Lonnrach. Non le dico che lasciar perdere è la cosa più

difficile che abbia mai fatto, dato che ho passato ore e ore a immaginare il modo esatto

in cui lo guarderei morire.

Voglio essere io. Devo essere io.

Serro gli occhi. Lonnrach non è il mio bersaglio, non lo è mai stato. Appartiene ad

Aithinne.

«Gliela faremo pagare» le prometto. «Ti aiuterò.»

Preme la mano contro la mia e io capisco. Insieme.

85

Capitolo 15 Traduzione: DustAngel

Il giorno dopo, viaggiamo fino a quando il sole non è basso sull’orizzonte. Nel cuore

delle Highlands, il terreno è completamente coperto di neve fresca, che luccica sui

rami, scricchiola sotto gli zoccoli di Ossaig quando avanziamo tra gli alberi. L’aria è

così pungente da bruciarmi le guance.

Derrick è seduto tra le orecchie di Ossaig, le sue mani minuscole si tengono

strette alla sottile pelliccia metallica per permettergli di mantenere l’equilibrio.

L’andatura è così veloce che non riesco a spiegarmi come faccia a non cadere giù.

«Eccola lì,» esclama Aithinne gesticolando.

Proprio davanti a noi, si dispiega l’arco della baia, laddove finisce la terraferma.

Skye si trova esattamente al di là di quelle acque scintillanti. Laggiù, le montagne sono

avvolte nella nebbia, il profilo smussato dalla neve candida. Avevo sentito dire che la

deforestazione selvaggia aveva spazzato via la maggior parte dei suoi boschi, eppure

l’isola di fronte ai nostri occhi è ricoperta di alberi imbiancati dai tronchi scuri.

Nessuna foresta avrebbe mai potuto crescere tanto velocemente, non senza

l’influenza di una qualche magia. Così come era stato per le rocce frastagliate sorte nel

Queen’s Park a Edimburgo, le fate dovevano avere alterato il paesaggio e riportato in

vita le antiche foreste. Prima del loro imprigionamento, l’isola di Skye doveva essere

stata interamente ricoperta da boschi.

«Ce la faranno i cavalli a raggiungere l’isola?» domando.

Secondo le leggende, le fate che abitavano la terraferma non potevano

attraversare l’acqua. Era uno dei modi suggeriti agli Scozzesi per sfuggire loro, se mai

si fossero imbattuti in una squadra di cacciatori. Le fate non avrebbero potuto seguirli,

altrimenti i loro poteri si sarebbero indeboliti. Ossaig aveva già guadato fiumi e

ruscelli, ma forse per gli specchi d’acqua più profondi era diverso.

Aithinne mi sorride. «Certo che sì. Ma ci sono altri modi.»

Certo che sì. «Tutti quei racconti sulle fate inventati dagli umani sono solo una

massa di idiozie,» borbotto.

Derrick emette una risatina. «Sarei proprio curioso di sapere chi è stato a

diffondere quelle voci ridicole. Gli esseri umani sono davvero dei creduloni.»

Strabuzzò gli occhi. «Pensate che se gli dicessi che il miele respinge le fate, me ne

lascerebbero un po’ fuori dalla finestra?»

«Sei pessimo,» lo apostrofo.

«No, no, no,» ribatte con un sorriso pacato. «Sono un genio. Mi piace questo piano.

È un buon piano.»

Gli scocco uno sguardo affilato. «Quali sono, dunque, questi altri modi?»

Aithinne arresta il cavallo e smonta. La imito, aspettando che Derrick si sposti dal

punto che occupava tra le orecchie di Ossaig alla mia spalla. Distrattamente, sollevo

una mano per toccargli le ali, un gesto che ormai è diventato un’abitudine.

86

«C’è un portale che conduce da qui a Skye e che non può essere individuato da altri

sìthichean,» dice Derrick. «Sluagh ha sorvegliato l’isola dall’alto, mentre i soldati di

Lonnrach hanno setacciato le foreste, perciò i cavalli non possono attraversare senza

che vengano scoperti.»

Raggelai. «Davvero?» Lonnrach lo avevo appreso da me, aveva sentito Derrick

menzionare Skye nei miei ricordi e aveva rubato l’informazione per cercare di trovare

i miei amici.

Hai passato un anno ad allenarti con il mio nemico e con quel pixie rinnegato.

Suppongo che abbiano parlato spesso di cose che non capivi.

Con mano tremante, premo il pollice sulla cicatrice che mi attraversa

l’avambraccio, nascosta sotto il cappotto. Il ricordo risaliva a poco dopo il mio incontro

con Derrick quando il pixie aveva deciso di installare la sua dimora nel mio armadio.

Un ricordo all’apparenza talmente irrilevante, che mai avrei creduto di dover

considerare fondamentale.

«Carino l’armadio,» aveva esclamato. «È della misura giusta. Non è grande

come quello che avevo a casa, a Skye, ma andrà bene.»

«Andrà bene?»

«Come nuova casa. È perfetto. Mi piace. Lo prendo.»

Dopo aver visto quell’episodio, Lonnrach sapeva dove Derrick avrebbe

probabilmente condotto gli altri. Dove quasi sicuramente mi sarei rifugiata anch’io,

una volta scappata dalla sua stanza degli specchi. Avevo rivelato la loro posizione senza

nemmeno volerlo.

«Aileana?» La voce di Derrick mi distoglie bruscamente dai miei pensieri.

Quando nota la mia espressione, la fraintende. «Non preoccuparti,» dice, dandomi una

colpetto sulla mano. «Non sono ancora riusciti a trovarci, quegli stupidi bastardi. È

stato creato per rimanere nascosto.»

«Derrick…»

«Ti piacerà, vedrai. Abbiamo del buon cibo.»

Cercando di mettere a tacere il mio senso di colpa, osservo Aithinne avanzare

fino al limitare del precipizio. «Perché, allora, hai abbandonato il tuo regno?» gli

chiedo distrattamente. «Mi hai raccontato che i pixie avevano riparato in Cornovaglia.»

Le sue ali si immobilizzano. «Lo hanno scoperto, una volta, molto tempo fa.»

Non mi piace il suo tono, il dolore che lo permea. «Ma ho ricostruito le difese due anni

fa. Stanno tenendo.»

Il modo in cui lo dice mi dissuade all’indagare oltre. È un chiaro Non voglio

parlare di chi lo ha trovato, in quali circostanze o perché siamo fuggiti. Bene, sembra

che non sia cambiato nulla durante la mia assenza. Le fate restano riservate come loro

solito.

Aithinne appoggia un palmo sull’erba sul ciglio dello strapiombo, gli occhi

spalancati, senza nemmeno un battito di palpebra. All’improvviso, sento il suo potere

invadermi la bocca, sulla lingua, il forte gusto di petali di fiori e terriccio.

Sono quasi sul punto di chiederle cosa stia facendo, quando affonda il pugno nel

suolo. La terra intorno a me viene attraversata da crepe e inizia a tremare. Indietreggio

di un passo, pregando con tutta me stessa che non abbia appena distrutto questa parte

87

del dirupo. La caduta in acqua sarebbe lunga.

Poi, il mio sguardo sbigottito viene catturato dalle radici che hanno iniziato a

germogliare dalle spaccature del suolo. Avevo già assistito a uno spettacolo simile la

volta in cui Kiaran aveva aperto un portale verso il Sìth-bhrùth, quando aveva

manipolato la flora perché si trasformasse in un passaggio. Le radici crescono, si

contorcono, si attorcigliano, ci sollevano e ci circondano da ogni lato, si ispessiscono

come cespugli di rovi abbandonati all’incuria. Si piegano e si intrecciano gli uni con

gli altri, assumendo le sembianze di un albero che si innalza verso il cielo, tendendo i

grossi rami appuntiti, fatti di un materiale scuro che luccica come un prato. Somiglia

fin troppo a quelli della foresta del Sìth-bhrùth per i miei gusti.

«Aithinne,» dico con tono incerto, mentre i rami cominciano ad avvolgersi

intorno ai miei piedi.

Non mi guarda. I suoi occhi sono ancora spalancati, le iridi vorticano come

mulinelli di argento fuso. «Abbandonati a loro,» dice.

Abbandonarmi? Le radici si stanno richiudendo su di me, sempre più spesse e scure.

L’aria si è fatta opprimente. Come se avesse percepito la tensione nel mio corpo,

Derrick mi tira un orecchio e cerca di sussurrarmi qualcosa, ma non riesco a sentirlo a

causa delle radici che si fanno sempre più vicine.

All’improvviso, mi si chiude la gola. Afferro una delle radici vitree dell’albero e

le do uno strattone, ma questa non cede di un millimetro. Mi guardo intorno per trovare

un’altra via di fuga, cerco di raggiungere un buco in mezzo a quelle radici troppo

cresciute, ma si richiude davanti a me.

Sono dappertutto, ovunque, e io sono in trappola. La materia che le compone è

liscia e semiriflettente, proprio come uno specchio.

Ora sai come ci si sente a essere completamente indifesi.

Ogni pensiero razionale mi abbandona. La mia spalla entra in collisione con

quella sostanza dura, l’impatto mi lascia addosso un livido. Prendo dei respiri profondi,

ma non riesco a incamerare aria a sufficienza. Le radici si richiudono sopra le nostre

teste e il cuore prende a galopparmi impazzito nel petto. Il panico monta finché non

riesco a sentire il sangue pulsarmi nelle orecchie. Non riesco a respirare.

«Aileana!» Derrick mi sta chiamando, le sue unghia minuscole affondano nella

pelle del mio collo. Non riesco a sentire la sua voce, sovrastata com’è dal panico. Non

riesco a elaborare alcun pensiero se non questo. Non riesco a respirare. Artiglio le

radici al punto da farmi sanguinare le unghie.

Ma continuano ad avvicinarsi, a stringermi, finché intorno a me c’è solo il buio.

Nero come la notte.

Chiudo gli occhi. Proprio quando credo che l’albero stia per stritolarmi, gli

schiocchi delle radici in crescita tacciono. Emetto un rantolo e cado in ginocchio.

Quando li riapro, c’è luce, una luce intensa. Abbagliata, tutto ciò che riesco a mettere

a fuoco sono immense rocce torreggianti, l’entrata buia di una grotta e… e…

«Gavin.»

Non mi soffermo nemmeno a pensare. Un momento sono in ginocchio sul terreno

ricoperto di neve, quello dopo, in piedi, le mie braccia strette intorno a lui. Mi riempio

le narici del suo odore: whisky, fumo e un sapone pungente. Placa i battiti folli del mio

88

cuore, il ritmo veloce e affannato del mio respiro. Tutt’a un tratto, mi sento al sicuro,

una sensazione di calore si diffonde dentro di me.

È vivo. È davvero vivo.

«Aileana,» mormora Gavin, il suo corpo è stranamente rigido tra le mie braccia.

Il modo in cui pronuncia il mio nome è cauto, come se lo stesse soppesando sulla

lingua. «Aileana,» ripete nuovamente, con tono incerto.

Non mi soffermo ad analizzare la sua reazione. Seppellisco il volto nel calore

del suo collo. Sa di sicurezza. Sa di casa. Sa di mille desideri espressi nella sala degli

specchi, quando avevo pregato di poterlo rivedere e abbracciare così.

«Be’, diavolo,» sento borbottare Derrick, cercando di districarsi tra noi due. Le

sue ali mi sfiorano la pelle mentre si allontana in volo. «Questo è imbarazzante. Ehi!

Aithinne! Piantala con quello sguardo da matta da legare e va’ a cercare tuo fratello.»

Una pausa. Poi: «Benissimo, allora. Io sarò in quell’albero. Proprio laggiù. Chiamatemi

quando avrete finito.»

Le ali di Derrick sono percorse da un fremito e i passi di Aithinne si perdono

dentro la caverna. Io mi tengo stretta a Gavin per un altro istante, notando che,

nonostante si sia leggermente rilassato, le sue spalle sono ancora tese.

Com’è diverso ora dall’ultima volta che l’ho visto. Prima della battaglia, mi

aveva abbracciata come se sapesse di dovermi lasciare andare e non fosse pronto a

quell’eventualità. Come se non avesse dovuto rivedermi mai più.

Come se pensasse che stessi andando incontro alla morte.

Mi allontano per chiedergli cosa c’è che non va… e trasalisco. «Cristo,»

sussurro.

Il suo occhio destro è circondato da cicatrici che somigliano ai segni lasciati da

artigli sulla pelle. Un’altra, lunga e frastagliata, si estende dalle labbra allo zigomo,

arrestandosi poco sotto le ciglia.

Le cicatrici non tolgono nulla ai suoi lineamenti. Sono gli occhi di Gavin a

colpirmi. Il loro blu intenso, sempre così brillante e familiare, è adombrato dal ricordo

della battaglia. Mi guarda come se non ci fossimo mai visti prima. Come se non fossimo

cresciuti insieme, non avessimo combattuto le fate fianco a fianco o non fossimo stati

quasi costretti a sposarci a causa di un fraintendimento.

Allungo una mano per accarezzargli le cicatrici. Un tremito lo attraversa, ma non

si ritrae. Faccio scorrere le dita sui solchi incisi sulla sua pelle. «Com’è successo?» La

mia voce si spezza senza che possa fare nulla per impedirlo.

Percorro con le dita il segno più lungo e Gavin mi afferra la mano con la sua.

«La notte in cui te ne sei andata, hanno cercato di strapparmi gli occhi.» La sua voce è

vuota. «È stato il tuo pixie a salvarmi.»

Deglutisco a fatica. Avrei dovuto essere io a salvarlo. Non Derrick. «Mi dispiace

così tanto.»

Gavin fa un passo indietro e mi osserva per un lungo istante. «Credevo che fossi

morta. Lo pensavamo tutti. Dopo tre anni, avevo dato per scontato che anche Aithinne

ci avesse lasciati.»

«Mi hanno condotta nel Sìth-bhrùth,» dico. «Kiaran non te l’ha detto?»

Per me, Gavin è sempre stato un libro aperto. Lo conosco da tanto tempo che

89

ogni parte di lui mi è familiare: il suo viso, le sue espressioni, i suoi sentimenti. So cosa

gli piace e cosa detesta. So che quando ha perso suo padre, ha seppellito le sue emozioni

in profondità dentro di sé, proprio come feci anche io quando mia madre morì.

Questo Gavin… dopo tre anni, è quasi irriconoscibile. Il suo modo di essere è

diverso, il suo corpo in tensione, come se si aspettasse un attacco da un momento

all’altro. Non mi sfugge il modo in cui i suoi occhi esaminano con attenzione

l’ambiente che ci circonda.

«Aye, me l’ha detto.»

Le fronde che ci circondano stormiscono e lo sguardo di Gavin scivola alla mia

sinistra, alla mia destra. Gli alberi si innalzano sulla caverna, gettando ombre sul suolo

innevato. La foresta è fitta e scura, non lascia nulla alla vista tranne l’entrata della

grotta. Riesco a percepire il potere che la ammanta, mi grava sulla lingua, proprio come

il portale a cui mi aveva condotta Kiaran. Questo posto è certamente nascosto agli occhi

dei soldati di Lonnrach.

Un tremito si diffonde nuovamente tra i rami e la brezza mi scompiglia i capelli.

Il corpo di Gavin si irrigidisce, come se fosse in ascolto di qualcosa. Dopo un istante,

parla. «Sei stata via per molto tempo, anche per il regno delle fate. Sei identica a

com’eri.» Il suo sguardo, adesso, è appuntato dietro di me. Per accertarsi che non fossi

seguita? «Non hai nemmeno una cicatrice addosso.»

Faccio un passo indietro. «E questo cosa dovrebbe significare?»

Le cicatrici lasciatemi da Lonnrach sono celate sotto i miei abiti, ma il volto è

rimasto intatto, non vi ha mai lasciato alcun segno. E, a differenza di Gavin, non sono

invecchiata. Avevo diciotto anni quando ero stata condotta nel Sìth-bhrùth… e diciotto

sono rimasti.

Gavin ne ha ventiquattro, adesso. Le sue spalle si sono fatte più ampie. Il suo

corpo è più snello, più muscoloso. Noto le piccole cicatrici raggrinzite che gli

attraversano il collo, poco sopra bavero del cappotto.

«Ho incontrato gente trascinata da loro nel Sìth-bhrùth,» dice a denti stretti.

«Nessuno torna indietro com’era prima. Fingono di essere chi erano, la hanno lealtà è

alle fate. Ci hanno già tradito, in passato.»

Sono quasi sul punto di dirgli che non sono più la stessa. Che anche una parte di

me è tornata indietro spezzata. Che dentro di me c’è un buco che ha i contorni di

Lonnrach e che non so se riuscirò mai a riempirlo con i pezzi di me che ho perduto.

Mi prudono le dita per l’impulso di tirarmi su la manica. Per mostrargli le mie

ferite. Non sono intatta. Non sono intera. Sto ancora tentando di rimettere insieme i

pezzi di me stessa.

Ma non lo faccio. Poso il mio palmo tremante contro la sua guancia per

costringerlo a guardarmi. «Pensi che sia così anche per me?» Quando la risposta non

arriva, continuo, «Non ti tradirei mai.»

Serra le mascelle. «Non posso saperlo.»

Devo convincerlo. Gavin è il prodotto di questo mondo che mi sono lasciata alle

spalle quando sono stata catturata. Lonnrach si era limitato a mostrarmi un accenno

della rovina di Edimburgo, poco dopo che questa era avvenuta, eppure si era incisa a

fuoco nella mia memoria. Lui aveva assistito a tutto.

90

«Aye, sì che puoi.,» ribatto. «Volevi che ti facessi una promessa, prima della

battaglia. Ricordi?» Scuote il capo. «Volevi che ti promettessi di non morire.»

Gavin si sottrae al mio tocco. «Ma tu non lo facesti. Me ne rammento.»

Non potei farlo. Non prometto mai nulla che non possa mantenere, e una parte

di me era convinta che non sarei sopravvissuta per vedere l’alba del giorno dopo. Se

così fosse stato, avrebbe significato che ero riuscita a salvarli. Se fossi morta, sarebbe

stato perché avevo fallito. Non c’erano vie di mezzo, nessun’altra possibilità.

Ora non sono più così ingenua.

Prima che abbia il tempo di rispondere, Gavin dice, «Dimostramelo. Che sei

ancora Aileana.» Il modo in cui lo dice mi fa esitare. Il tono è basso, calcolatore.

«Dimostrartelo?» Faccio un passo avanti, ma lui indietreggia. «Gavin, sono qui

davanti a te. Sono viva. Che altra prova ti serve?»

«Gli umani sono facili da manipolare. Perché dovrei crederti?»

Sto cominciando a capire che qualsiasi cosa abbia passato ha fatto in modo che

diventasse così, che non si fidasse più di nessuno. Nemmeno di me. «Perché sono una

Falconiera,» rispondo semplicemente.

L’espressione di Gavin non vacilla. «Quella baobhan sìth è già entrata nella tua

testa in passato. Il fatto che fossi una Falconiera non gliel’ha impedito, allora.»

Serro le labbra e stringo i pugni. Il fatto che fossi una Falconiera non gliel’ha

impedito, allora.

Non ha torto. Non l’ha impedito nemmeno a Lonnrach. È riuscito comunque a

entrare nella mia testa e rubare i miei ricordi, come se non ci fosse niente di più

semplice. Una volta, Kiaran mi aveva detto che non avevo ancora sviluppato appieno

tutte le mie capacità di Falconiera; nonostante fossi in grado di combattere le fate e di

muovermi rapida come loro, non riuscivo a vederle senza sieglflur e, tuttora, ho

difficoltà a sottrarmi al loro potere psichico.

L’unica differenza tra me e qualunque altro essere umano che abbia fatto ritorno

dal Sìth-bhrùth sta nel fatto che le mie doti di Falconiera mi hanno dato la forza di

sopportare un dolore fisico più intenso. Il che significava che Lonnrach poteva

torturarmi più a lungo e che i morsi che mi infliggeva sarebbero stati quasi del tutto

rimarginati alla sua prossima visita.

Guariscono sempre. Vedi? Guariscono sempre.

Respingo i ricordi che minacciano di riaffiorare in superficie. «Cosa posso fare per

convincerti?»

Gavin richiama Derrick, che si libra dal suo trespolo in un albero vicino,

spandendo nell’aria una scia dorata. «Avete finito di abbracciarvi, perché non ce la

faccio a… ehi. Qualcuno, per caso, ha preso a calci un gattino? Che è successo?»

«La porto di sotto,» dice Gavin a denti stretti. «Va a cercare Daniel.»

«No,» ribatte Darrick con voce secca, l’aura che lo avvolge si vena

improvvisamente di rosso. «Non credo che lo farò.»

«Deve essere fatto,» replica Gavin. «Lo sai il perché.»

Potrei giurare che, in questo momento, la foresta stia trattenendo il respiro. Gli

alberi sono completamente immobili intorno a noi. Persino la brezza è calata.

Derrick rivolge una lunga occhiata a Gavin, come se stesse riflettendo

91

attentamente su cosa dire. «Lei non è come gli altri. Lei è…»

«Una Falconiera,» complete Gavin, il suo sguardo si solleva per incrociare il

mio. «Lo so.»

Oh, per l’amor di Dio, ne ho abbastanza di questa faccenda. «Lei è qui davanti a

voi,» sbotto, «e vorrebbe una spiegazione.»

«È una prova,» dice Derrick. Vola sulla mia spalla, come a mostrarmi che è dalla

mia parte contro Gavin. Le sue ali mi sfiorano la guancia. «E anche piuttosto

spiacevole, per dimostrare che non sei sotto il controllo dei sìthichean. Non

l’affronterai.»

Gavin gli scocca un’occhiata di fuoco. «Aileana è ancora umana. Le fate l’hanno già

influenzata in passato e non si fanno eccezioni. Sei stato tu a stabilire questa regola.

L’hai dimenticato?»

Le ali di Derrick continuano a sbattere velocemente contro la mia pelle. «Ne

faremo una per questa volta, tu…»

«Lo farò.» Le parole vengono fuori quasi con un grido. Grazie al cielo, smettono

immediatamente entrambi di battibeccare. Le ali si fanno immobili. «Lo faro,» ripeto

più calma. «Non ho niente da nascondere.»

Dopo un istante di silenzio, Derrick mi sussurra all’orecchio. «Non vuoi farlo.

Non sei costretta.»

Il modo in cui lo dice può significare solo una cosa: Farà male. Serro gli occhi

per un momento, prima di rispondere. «Se è questo il prezzo da pagare per guadagnarmi

di nuovo la sua fiducia, allora devo.»

Derrick sospira. «Non mi è permesso venire con te, ma farò in modo che Daniel

venga a prendermi quando sarà finita. Va bene?» Vola via dalla mia spalla e si libra

davanti alla faccia di Gavin. «La prova che attende Aileana sarà diversa dalle altre.»

«Come, prego?»

«La sua natura di Falconiera la renderà peggiore. Non me ne andrò finché non

mi farai una promessa.» Derrick incrocia le braccia. «Una volta. Non di più.»

«D’accordo,» concede Gavin controvoglia.

Derrick annuisce. «E voglio che tu sappia quanto ti disprezzo, in questo

momento,» aggiunge. Vola via, prima che Gavin possa ribattere. La sua aura rischiara

l’entrata della caverna per un istante appena, prima di venire risucchiato dalle tenebre.

«Suppongo che non mi piacerà quello che accadrà,» dico, cercando di mantenere

un tono pacato. «Che cosa prevede, esattamente?»

Sei sopravvissuta a giornisettimanemesianni con Lonnrach. Puoi superare

anche questo.

Gavin aspetta che anche il battito delle ali di Derrick svanisca, prima di dire,

addolcendo leggermente la sua espressione. «Uno di loro dovrà assaggiare il tuo

sangue.»

Cerco di tenere a bada la reazione istintiva del mio corpo, l’impulso di ritrarmi.

Il mio sangue. Il mio sangue corrotto, avvelenato dalle fate. Cosa succederebbe se

questo influenzasse il risultato? Il volto di Lonnrach mi attraversa la mente come un

lampo. Le sue parole sussurrate, una promessa di dolore. Ho solo bisogno di usare il

tuo sangue per vedere.

92

Devo rischiare. Se mi sottraessi, Lonnrach mi scoverebbe di nuovo. Non sono

pronta a combatterlo, non ancora.

Come se riuscisse a percepire i miei pensieri, Gavin dice, «Se sei davvero la

ragazza con cui sono cresciuto, allora mi dispiace per te.»

93

Capitolo 16 Traduzione: Lis

Revisione: DustAngel

Vengo bendata con il foulard di Gavin. Mi conduce silenziosamente attraverso un lungo

corridoio, poi mi fa scendere talmente tanti gradini che alla fine perdo il conto. La sua

stretta intorno alla mia mano è gentile e paziente. Scendo lentamente per non cadere,

cercando di capire dove stiamo andando.

L’unico suono a parte i nostri passi è quello dell’acqua che gocciola

ininterrottamente. La temperatura si abbassa mano a mano che ci inoltriamo sotto terra;

l’odore stantio delle rocce è schiacciante.

Quando raggiungiamo la nostra destinazione, Gavin mi fa sedere su una delle rocce

umide. «Dammi le mani» mormora.

Faccio come mi dice e, prima di poter reagire, fa scattare delle pesanti catene ai miei

polsi. Vengo presa dalla paura. «Cosa stai facendo?»

«Te l’avevo detto che non ti sarebbe piaciuto» dice. Mi tocca la spalla; è un tocco

delicato, come se rimpiangesse quello che sta per accadere. Ecco il Gavin che conosco.

«Aspetta…»

Si allontana, i suoi passi spariscono su per scale. Quando non arriva nessun altro, il

mio corpo inizia a tremare per il freddo e la paura. Non riesco a vedere niente attraverso

la benda, e avere le mani legate rischia di riportare a galla troppi ricordi.

È solo una prova. Una sola. Puoi farcela.

«Gavin?» chiamo. Aspetto. Da qualche parte dietro di me l’acqua continua a cadere

per terra con un secco plic, ma a parte quello non sento un bel niente.

Tutto resta silenzioso per troppo tempo e alla fine non ce la faccio più. Scuoto

violentemente la testa per rimuovere la benda. Si abbassa solo di qualche centimetro.

Ci riprovo, getto di nuovo indietro il capo, fino a quando la benda non mi scivola sulla

bocca. Poi uso i denti per strapparla del tutto, e riesco a sbarazzarmene.

Sono in una caverna, piena di muffa per lo sporco e l’umidità. Sono contro delle

rocce diverse da tutte quelle che io abbia mai visto. Un raggio di luna splende attraverso

un’apertura del soffitto, illuminando le inserzioni nelle pareti. Brillano come stelle

intrappolate in gruppi, lucide e splendenti. Riesco ad abbassare la mano al mio fianco

per sentire quanto è liscio, come una roccia vulcanica scolpita, lucidata e levigata fino

a raggiungere la perfezione.

«Vedo che ti sei liberata della benda» dice una voce.

Guardo nella sua direzione, sforzando gli occhi. Non l’avevo neanche sentito

arrivare, a meno che non sia rimasto lì tutto il tempo, a fissarmi. È in piedi proprio oltre

il raggio di luna, dove è troppo buio per vedere altro a parte la sua sagoma.

La sua alta figura è appoggiata contro i massi dall’altra parte della stanza. Dopo un

attimo, entra nel cerchio di luce e sono in grado di vederlo in viso.

L’uomo ha un certo fascino rude, un naso che è stato rotto in passato, ed è ancora

94

più muscoloso di Gavin. Ha combattuto delle battaglie, questo è ovvio. Uno dei suoi

occhi è coperto da una benda.

«Deduco che Gavin non tornerà» dico.

«Esatto. Starà bevendo per dimenticare, immagino» dice l’uomo, l’occhio che mi

scruta con fare scaltro. «È un po’ una tradizione ogni volta che dobbiamo fare tutto

questo.»

Il suo forte accento è un tratto distintivo; ricordo di averlo sentito quella volta in cui

mi ero accidentalmente allontanata dai miei genitori ed ero finita in una delle zone più

povere di Glasgow. Papà aveva passato l’intero pomeriggio a sgridarmi.

La sua cadenza e la sua pronuncia sono diverse dall’accento parlato dai miei pari

facoltosi di Edimburgo e Glasgow. Le lezioni di dizione impartiteci da bambini erano

deliberatamente improntate a farci eliminare la cadenza scozzese, in modo da parlare

più come l’alta società inglese; era un modo per mostrare la nostra ricchezza e il nostro

status sociale. A differenza di me, ogni sua parola è pronunciata con una marcata erre

vibrante.

«Tu devi essere Daniel» dico, cercando di sembrare cordiale. «C’è un titolo ufficiale

con cui posso chiamarti?»

«Nessun titolo» dice con tono burbero. «Non qui. Vorrai poter maledire il mio nome

di battesimo.»

Provo una fitta di paura. Le catene mi stanno già mordendo la pelle, facendo

riaffiorare ricordi indesiderati.

Cerco di calmarmi. «Se per te è uguale» dico, «preferirei chiamarti con il tuo

cognome. Se non ti dispiace.»

Preoccuparsi del galateo quando si è incatenati al muro di una caverna buia sarà

anche un po’ sciocco, ma se c’è una cosa che posso controllare in questa situazione è

come chiamarlo.

«Signor Reid, allora» dice Daniel con un inchino esagerato. «My lady.»

Ignoro il sarcasmo e sollevo la spessa catena che mi tiene legata alla roccia. «C’è un

motivo per cui sono incatenata a questa parete come una prigioniera?» La mia voce è

ferma, più calma di come mi sento. «Sono qui di mia spontanea volontà. Non

scapperò.»

D’istinto, do uno strattone alle catene per vedere quanto sono ben attaccate. Se

potessi scardinarle anche solo di poco, se avessi almeno un po’ di controllo, riuscirei a

tenere a bada i brutti pensieri. Il mio battito è già irregolare, il panico aumenta.

«Le catene non servono a trattenerti contro la tua volontà» dice Daniel, con un

sussulto nella voce che non capisco. «Sono lì così non ti farai male.»

Sto per chiedergli cosa intende quando emette un fischio, un suono acuto che

riecheggia nella caverna. Mi immobilizzo completamente, trattenendo il respiro, in

attesa, spaventata. Il mio cuore sembra singhiozzare, le mie guance si surriscaldano.

Qualcosa fruscia sul fondo della caverna. È un suono distinto, come un battito d’ali.

Sento un sapore sulla lingua, dolce e soffice come il miele. Poi una luce, ancora più

luminosa di Derrick, vola verso Daniel. Si ferma e libra di fronte a lui. Le piccole ali

sul suo dorso scattano e sbattono mentre dice qualcosa nella sua lingua, con una voce

musicale e melodiosa come il suono delle campane.

95

L’aura della fata è così luminosa da nasconderne i tratti, ma è più piccola di quella

di un pixie, non più alta di un dito. Teine sionnachain, un fuoco fatuo. La piccola

creatura è esattamente come Kiaran l’aveva descritta. Abitanti delle zone rurali,

provano un innato disprezzo per le luci e il rumore della città. Non ne avevo mai visto

uno. Sono sempre rimasti al di fuori dei confini cittadini, nascosti dentro ad alberi o

caverne.

Daniel fa un cenno nella mia direzione e si rivolge alla fata. «Sai cosa fare» dice.

Allora il mio accompagnatore è un Veggente. Questo spiega l’occhio mancante; una

fata deve averglielo strappato.

Qualunque cosa abbia detto al fuoco fatuo di fare… inizio a dimenarmi, tirando con

forza le catene. Stridono sotto i miei sforzi. Tiro di nuovo, ma non cedono

minimamente, non cigolano neanche per indicare che sono riuscita ad allentarle.

Non posso restare alla mercé di nessuna fata, non così. Mai più.

«Aspetta» dico. Non riesco a mettere insieme una frase coerente. Non riesco a

pensare. «Aspetta, non…»

La fata vola verso di me; do uno strattone alle catene, sforzandomi di allontanarmi

dalla creatura. Dannazione. «Stai ferma» dice il fuoco fatuo con quella voce melodiosa.

Si ferma sulla mia coscia, e la sua luce si affievolisce per rivelare un piccolo essere

umanoide con orecchie appuntite e grandi occhi neri. La sua pelle è scura e liscia come

l’onice, illuminata da quelli che sembrano granelli di mica. Delle ali con vene dorate

come quelle di una libellula sventolano sulla sua schiena.

La creatura sembra innocua. Ma io so la verità. Anche le fate più piccole sono in

grado di uccidere un umano o di causare seri danni.

Se sei davvero la ragazza con cui sono cresciuto, allora mi dispiace per tutto questo.

Il fuoco fatuo appoggia la mano sulla mia coscia, e il suo potere scorre su di me

come caldi raggi di sole. «Questa mi piace, taibhsdear» canta rivolto a Daniel,

accarezzandomi il polso. «Il suo odore sembra fuoco. Posso tenerla?»

«Abbiamo una tregua» dice Daniel. «La tua razza non può tenersi degli umani.»

La fata mette il broncio. «Potrei offrirti qualcosa in cambio. Un desiderio, ma

thogras tu. Qualunque cosa tu voglia.»

«No» risponde aspramente.

La fata abbassa le ciglia, ma non prima che io riesca a scorgere il lampo di rabbia

che attraversa i suoi lineamenti. Non le piace ricevere ordini da un umano. Che razza

di posto è questo, in cui una fata fa quello che le dice un Veggente? Perché hanno questo

accordo tra di loro?

«Gavin ha detto che non si fanno eccezioni per questa prova. Perché?» dico. La mia

voce trema. Odio che stia tremando.

«Abbiamo commesso l’errore di far entrare indiscriminatamente nella nostra ultima

sede gli umani sopravvissuti» dice Daniel, guardando con disapprovazione il fuoco

fatuo mentre questo si sposta per accarezzarmi il braccio. «Non lo faremo di nuovo

qui.»

Sobbalzo quando il fuoco fatuo mi gira il palmo e mi lecca la mano, dal polso alla

punta delle dita. «Sa di cenere» mormora. «Come se fosse in fiamme.»

Mi immobilizzo. L’unica cosa a cui riesco a pensare sono le labbra di Lonnrach sulla

96

mia pelle, la sua bocca macchiata con il mio sangue. Sai di morte.

Chiudo gli occhi, ma solo per un momento. Non sei là. Non sei là. Non sei sua.

«Non sono sotto il controllo dei sìthichean» gli dico. «Giuro che non lo sono.»

«Gavin ha detto che sei stata nel Sìth-bhrùth. Per tre anni.» Sono così poco abituata

all’aspro accento di Daniel che mi ci vuole un attimo per capirlo.

«Aithinne mi ha salvata…»

«Potrebbero averti lasciata fuggire. Le fate catturano gli umani e entrano nella loro

testa. Poi li mandano a scovarci, sperando che offrire loro un rifugio ci faccia tradire la

nostra posizione. Ma c’è un modo per verificare l’influenza di una fata» mormora,

guardandomi. «Lasciano una traccia nel sangue. Fa in modo che un umano provi solo

piacere da una fata, mai dolore.»

Divento fredda. Ricordo la mano di Lonnrach sul mio polso, il suo dito che mi

scivolava sulla guancia. Voglio sapere tutto. Devo solo usare il tuo sangue per vedere.

No, non posso essere sotto il suo controllo. Non posso esserlo, non…

Le fate catturano gli umani e entrano nella loro testa.

Il mio corpo si paralizza. Avevo accettato il suo cibo. Avevo accettato da bere. Era

stato nella mia testa, aveva bevuto il mio sangue, si era preso i miei ricordi, aveva

lasciato la sua impronta su di me.

Hai perso. Ora sei mia.

«Non è andata così» bisbiglio.

O forse sì? Potrei giurare che ero quasi stata sotto il controllo di Lonnrach sulla

strada per uscire dal Sìth-bhrùth. Avevo fatto quel passo avanti contro la mia volontà.

Per un solo istante, non ero più io a controllare il mio corpo. Era lui.

«Non posso correre questo rischio.» Daniel indietreggia per appoggiarsi di nuovo

contro la roccia, lontano dalla luce. Tutto quello che riesco a vedere è la sua sagoma e

il modo in cui scrolla le sue larghissime spalle. «Ma se non sei stata condizionata dalle

fate» dice semplicemente, «allora mi dispiace. Ti farà male.»

Avevo già sentito questa frase.

Il fuoco fatuo fa un ampio sorriso e urla di gioia, scoprendo lunghi denti appuntiti

che non dovrebbero entrare in una bocca così piccola. Prima che io possa sbattere le

palpebre, affonda quei denti affilati come rasoi nel mio palmo.

No no no. Non di nuovo.

Il morso brucia. Improvvisamente sono completamente consapevole del dolore, di

come il fuoco fatuo squarcia la mia pelle fino a far colare il sangue giù per la mia mano.

Non grido. Non lo faccio. I giornisettimanemesianni sono acqua passata. Non avevo

gridato allora. Non avevo dato questa soddisfazione a Lonnrach. Era l’unica cosa che

avevo. Non gridare non gridare non gridare.

«Fermati» dico. Imploro Daniel con lo sguardo. La fata mi morde all’improvviso

ancora più forte, i denti che affondano nella carne, squarciandola. «Fermati!»

«Assicurati che non stia fingendo» dice Daniel con tono calmo al fuoco fatuo.

Proprio in quel momento, la fata si stacca e mi alza la manica. «L’hanno già morsa

in passato» dice a Daniel con quella voce dolce. Mi rivolge un piccolo sorriso in

segreto, le parole seguenti solo per me: «Molte, molte volte. Il primo morso aveva il

sapore di lui.» Poi affonda di nuovo denti, attaccandosi a una vena.

97

Guardo con orrore la creatura che si allontana e che mi fissa con occhi scuri e

cavernosi, la sua bocca macchiata dal mio sangue. Bisbiglia una sola parola che mi

mette i brividi. «Seabhagair.»

Seabhagair, mi aveva sussurrato Kiaran quel giorno nel parco da cui sembra siano

passati secoli. Falconiera. Ora sa cosa sono.

Il fuoco fatuo emette un urlo acuto e spaventoso. La sua bocca si spalanca; la

mandibola gli cade fin quasi ai suoi piedi, per diffondere un richiamo assordante che

echeggia per la caverna. Sento delle ali che sbattono in risposta. A centinaia. Le loro

urla risuonano all’unisono e in poco tempo la caverna si riempie con i loro strilli acuti.

Quel sapore di miele si fa strada a forza giù per la mia gola, denso sulla mia lingua.

Daniel incespica in avanti. «Ma che diavolo succede?» mormora, guardando dietro

di me verso il fondo della caverna.

Il mio cuore sbatte contro il mio petto. Strattono le catene, stremata dallo sforzo di

scardinarle dalla roccia. «Sanno che sono una Falconiera» dico a Daniel. «Liberami.

Ora!»

Scatta verso di me, allungando il braccio verso le catene, ma è troppo tardi. I fuochi

fatui sono qui. Volteggiano intorno in gruppo, centinaia e centinaia di luminose stelle

in movimento. Piombano verso di me tutti insieme, spingendo via Daniel con la loro

forza sovrumana.

Non ho neanche il tempo di preparami. Di tornare in quel posto in cui non provavo

niente, dove andavo durante le visite di Lonnrach, solo per poter sopportare il dolore.

Tutto questo è ancora peggio del suo morso. È peggio della stanza degli specchi. Non

è una sola bocca, un morso, una fata, ottantadue denti, ma centinaia.

Non riesco a trattenermi. Grido.

I fuochi fatui mi strappano i vestiti, mordendo, squarciandomi la pelle. I loro denti

bruciano, le loro unghie graffiano e fanno sanguinare. Si attaccano alle mie vene e

iniziano a succhiare. Il sangue cola dalla mia pelle, dalle mie unghie, giù sulla roccia

con un continuo plic pic plic plic. I fuochi fatui continuano a mordere ancora e ancora,

e proprio quando penso che sverrò per la perdita di sangue, che il dolore si attenuerà,

sento l’agonia sorgere nuovamente.

Attraverso il rumore delle loro ali, sento che Daniel sta chiamando qualcuno.

Biascica un fiume di imprecazioni mentre cerca di rimuovere le fate dalle mie braccia,

dai miei vestiti, ma i loro denti non fanno altro che serrarsi ancora di più. La mia voce

è rauca, la gola mi fa male a forza di gridare.

Proprio quando penso di non poter più sopportare il dolore, sento un potere, forte e

familiare. Kiaran.

Tutti i fuochi fatui vengono improvvisamente strappati via da me, e i loro corpi

luccicanti sbattono contro le pareti della caverna intorno a noi. Ora urlano, le ali che

sbattono, e fuggono verso il fondo della caverna con delle grida che riecheggiano come

fantasmi.

98

Capitolo 17 Traduzione: Claude

Non riesco a sollevare la testa. Sono crollata in avanti contro le mie catene, piegata in

due a causa del veleno dei fuochi fatui che brucia nelle mie vene. Improvvisamente

Kiaran è accanto a me, le sue dita calde mi sollevano il mento.

Dio, quegli occhi. I meravigliosi occhi di Kiaran studiano il mio viso e scendono

lungo il collo dove i fuochi fatui affondano nell’arteria, e ogni momento che passa la

sua espressione diventa sempre più fredda. Non a causa della rabbia, non a causa di

qualche emozione. Solo calcolata determinazione.

Come se si stesse preparando per un massacro.

Cerco di avvicinarmi a lui, ma le catene me lo impediscono, sferragliando contro le

pietre.

Kiaran le vede, e non credevo sarebbe stato possibile per la sua espressione diventare

ancora più brutale. Chiude le mani intorno al metallo ai miei polsi. Sento il suo potere

crescere, e il metallo si disintegra in cenere.

Con nient’altro a trattenermi, cado in avanti. Kiaran mi afferra e io emetto un sibilo

in preda al dolore, la mia visione che si annebbia.

«Riesci a muoverti?» mormora. Ha un tono gentile, ma c’è una nota di violenza nella

sua voce che mi fa esitare.

Fletto le dita e metto alla prova il mio corpo, e trasalisco per la sofferenza. «Penso

di sì.» È doloroso anche parlare.

Le mie braccia sono interamente coperte di piccoli morsi sanguinanti, alcuni più

profondi di altri. La maglia, i pantaloni e l’impermeabile sono tutti strappati. La stoffa

pende a brandelli.

«Così lei è tua» dice una voce dietro di noi. Daniel. «Avevo pensato ci dovesse essere

una ragione per spingerti a tanto per salvare un’umana.» Non si preoccupa di

nascondere il disgusto. «È il tuo animaletto.»

Lo sguardo di Kiaran è rivolto verso di me, ma mi accorgo di come il suo corpo si

irrigidisce alle parole di Daniel. Le ceneri nelle sue iridi fiammeggiano e io sento il suo

potere nella bocca.

Mi chino verso di lui. «Non farlo. Qualsiasi cosa tu stia pensando, non farlo.»

«Stai mettendo alla prova i limiti della mia pazienza.» La voce di Kiaran taglia il

silenzio, fredda come il vento invernale. «Non ti farò alcuna promessa, Kam. Non

questa volta.»

Per una volta riesco a leggere nella sua mente. Conosco i suoi pensieri. Distruggerà

i fuochi fatui, e anche se la sua promessa non gli permette di uccidere Daniel, gli farà

male. Molto male.

La temperatura improvvisamente scende sotto la soglia di congelamento. Il mio

respiro diventa visibile nell’aria e la pelle d’oca mi scuote per il dolore. Fa così freddo

che si brucia.

Kiaran studia ancora i miei morsi, uno ad uno, come se stesse calcolando quanti ne

99

dovrà uccidere.

«MacKay» lo chiamo. Il mio corpo sta soffrendo il freddo; riesco a malapena a

prendere aria per formulare le parole. «Basta.»

Kiaran è i piedi, la mano sul coltello che porta al fianco.

Faccio la prima cosa che mi viene in mente. Gli afferro il polso e ho appena

abbastanza forza da tirarlo verso di me. Lo bacio.

All’inizio è solo per distrarlo ma poi… dio. La temperatura torna normale, e non

riesco più a pensare. Ci sono solo le labbra di Kiaran sulle mie, la forma che ho

memorizzato alla perfezione. È la pressione del suo bacio, perfettamente corretta. È il

modo in cui emette quel suono con la gola, quel basso ringhio che mi fa rabbrividire.

E poi sono tra le sue braccia, mentre lui strattona il mio impermeabile come se me

lo volesse togliere. Sta tirando i bottoni e le sue mani scendono e…

Ansimo dolorante contro la sua bocca. Ha toccato una delle mie ferite.

Kiaran si tira indietro, come se avesse improvvisamente capito perché l’ho baciato.

«Bel diversivo» dice, con un filo di voce. «Non mi ricordo di avertelo insegnato io.»

«Ho improvvisato. Dovevo ottenere la tua attenzione.» Riesco a malapena a superare

un flebile sussurro. «Nessuna violenza. L’ho fatto volontariamente.»

Riduce gli occhi a due fessure. «Hai permesso che i fuochi fatui banchettassero con

te?»

Non gli rispondo; non la prenderebbe bene. «Non fare del male a Daniel.»

Kiaran mi rimette in piedi. Mi fa scivolare un braccio intorno alla vita, capendo che

sono troppo dolorante per reggermi da me. «Mi stai scambiando ancora una volta per

un umano, Kam.» Questa volta quando parla le sue labbra sono sul mio collo, le parole

sussurrate tra i baci. «Da dove provengo, non pratichiamo la compassione. Se non fosse

per la mia promessa, lo ucciderei senza pensarci due volte a quello che ti ha fatto.»

Prima che possa rispondergli, sposta lo sguardo verso Daniel. «Kam ha passato il

tuo test» dice mortalmente calmo. «Adesso troverai un posto dove possa dormire e

guarire.»

Lo sguardo di Daniel incontra quello di Kiaran, senza mascherare la sua ostilità.

«Non lascio entrare umani nella mia città che abbiano rapporti intimi con le fate.»

«La tua città?» chiede Kiaran, fingendo un sorriso. «Mi assicurerò di riferirlo al

pixie.» Mi indica. «E subito dopo lo informo ce la sua compagnia umana non è

benvenuta.»

Le mani di Daniel si richiudono in dei pugni lungo i fianchi, come se fosse pronto

per combattere. «Non mi importa chi è; per me è come una qualsiasi altra puttan…»

Prima che possa sbattere le palpebre, Kiaran tira fuori la sua lama, che percorre un

arco in aria. Strappa la stoffa della maglia di Daniel e colpisce la pietra dietro di lui con

un rumore sordo, evitando per un soffio un colpo mortale alla schiena. «Finisci la frase»

lo invita Kiaran, «e il prossimo finisce diritto nella tua gola.»

«Ho sentito delle voci che non puoi uccidere gli umani» dice Daniel, tirando fuori il

pugnale dalla pietra con un colpo secco. «È vero?»

«Non ho bisogno di ucciderti» dice Kiaran con quella sua terrificante voce da fata.

«È incredibile quello che il corpo umano riesce a sopportare senza morire.»

Daniel emette un ringhio e tira il pugnale. Kiaran mi lascia andare e lo afferra

100

facilmente senza neppure battere ciglio. «Il primo tiro era una cortesia, Veggente. La

prossima volta non ti mancherò.»

«Signori, per favore» dico con affanno. «È abbastanza.» La mia visione comincia a

essere invasa da piccole macchie e con un gemito mi accascio addosso a Kiaran. Sento

la testa galleggiare, leggera, piena d’aria. È come se stessi fluttuando.

«Dannazione, Kam» Kiaran si affretta verso di me quando comincio a cadere in

avanti. Non sono sicura di riuscire a camminare. «Stai sanguinando dappertutto.»

La mia voce viene fuori gracchiante. «Neppure io ne sono troppo felice.»

Kiaran mi guida lentamente con passo sicuro verso un passaggio che porta verso la

fine della caverna. La voce di Daniel ci raggiunge nell’oscurità. «Ti ho detto che non

l’avrei ammessa nella città, fata. Riportala indietro da dove siete venuti.»

Kiaran si ferma e si volta lentamente. «Immagino che tu tenga al tuo occhio

rimanente, Veggente. Un’altra parola, e ti acceco.»

«Daniel, sei qui?» Una voce familiare chiama dal passaggio in fondo alla caverna.

«Gavin ha detto…»

Catherine si blocca quando vede me e Kiaran. A vent’anni, i tratti della mia migliore

amica sono maturi, anche più belli. I suoi capelli sono tirati indietro e raccolti in

un’unica treccia che le arriva alla vita. Invece dei vestiti che indossa di solito, sempre

all’ultima moda, ha dei pratici pantaloni scuri e una maglia di lana grezza.

Mima con le labbra il mio nome, come se non riuscisse a credere che sono davvero

io. «Sei viva.»

Poi mi raggiunge a grandi passi e le sue braccia mi avvolgono e mi stringe forte a

sé. Emetto un suono dolorante e lei si allontana, come se non si fosse accorta neppure

che sto sanguinando.

«Oh, dio.» I suoi occhi incontrano i miei. «Ti hanno messo alla prova?»

«È stato tuo marito» rispnde Kiaran bruscamente, «e quell’idiota di tuo fratello ha

aiutato. Sono sorpreso che non lo sapessi.»

Marito? Aveva sposato Daniel? Buon dio, è come un incubo senza fine.

Cerco di allontanarmi, ma barcollo a causa del sangue che ho perso. Senza sprecare

altro tempo, Kiaran mi prende tra le braccia. Va molto meglio questa volta dell’ultima

volta in cui mi ha preso in braccio, quando stavo male. Mi fa scivolare con attenzione

mentre il sangue continua a colare dalle centinaia di morsi.

Apro gli occhi. Catherine indica bruscamente le mie ferite. «Nessuno mi ha detto

che fossi viva. Nessuno.» Distoglie lo sguardo, quindi lo indirizza verso suo marito.

«Daniel, credo che dovremo scambiare qualche parola.»

«Cat…»

«Nello studio. Di’ a Gavin di venire anche lui. Adesso.» Attende fino a che il rumore

dei suoi passi non scompare prima di rivolgersi a me con più gentilezza. «Alcune tue

ferite sembrano profonde.» Passa una mano su una delle cicatrici sul mi braccio e io

mi mordo la lingua. «Sarei stata qui con Daniel per aiutarti, se lo avessi saputo. Sarei

venuta ad accoglierti.»

Lui è suo marito? Davvero?

Catherine sembra così sconvolta che non riesco a fare a meno di dire, «Va tutto

bene.»

101

«No, non è vero» rispondono lei e Kiaran nello stesso preciso istante.

Lei alza lo sguardo verso Kiaran e noto come si irrigidisce, come la sua voce trema

leggermente quando parla. «Dove intendi portarla?»

La mia visione si annebbia e la mia testa comincia a pulsare. Non sento la risposta

di Kiaran. Dice qualcosa riguardo una porta. Che porta? Apro la bocca per chiedere,

ma appena prima che lo faccia, il capogiro diventa insopportabile. L’ultima cosa che

ricordo è Kiaran che mi culla gentilmente tra le sue braccia.

102

Capitolo 18 Traduzione: Lis

Revisione: Noir

Perdo e riprendo conoscenza. Potrei essere sdraiata qua da ore, o da giorni. Per un

tempo infinito è come se i miei arti fossero di piombo, troppo pesanti per muoversi. Mi

sento come se tutto il mio corpo bruciasse dall’interno.

Nel mezzo di questa confusione riesco ad aprire gli occhi. Abbasso lo sguardo sulle

braccia e trovo centinaia di morsi ormai diventati cicatrici. La pelle è eccessivamente

arrossata, come se avessi passato troppo tempo al sole, e umida per la febbre. Persino

sfiorarla con la punta delle dita fa male.

A volte ci sono persone nella stanza, voci che riconosco. Cerco di aprire gli occhi,

ma sono troppo pesanti. Sempre pesanti. Le mie labbra si muovono per chiamare

Aithinne, per ricevere la sua cura dolorosa, ma non riesco a parlare.

Mi fa male tutto, tranne quando lui è vicino. Kiaran. Il sapore del suo potere mi

permane sulla lingua, il suo nome appena accennato sulle mie labbra. Potrei giurare di

averlo sentito sussurrarmi qualcosa nella lingua delle fate, che ha un suono tanto dolce

e musicale da sembrare una ninna nanna. Voglio che mi ripeta quelle parole, quelle che

mi aveva detto prima della battaglia.

Aoram dhuit. Ti venererò.

Ma non le pronuncia mai. Appena mi sveglio sono sul punto di chiedergli di farlo,

gli occhi che si aprono dolorosamente poco per volta. Poi capisco che non è Kiaran

quello seduto accanto a me a sussurrare dolci parole incomprensibili. È Catherine.

«Ciao» le dico. La parola è poco più di un gracidio.

Catherine alza la testa. Ha gli occhi stanchi, come se fosse sveglia da ore. «Ciao»

risponde.

Mi guardo intorno, cercando di ignorare quanto siano caldi i miei occhi, e come

riesca a malapena a tenere le palpebre sollevate. Sono in una stanza. La mia stanza.

Tutto è come lo ricordo. Le pareti di teak, con centinaia di piccole lampadine inserite

tra i pannelli di legno. Il timone di una nave che ho recuperato da una vecchia goletta

appeso al muro più lontano, vicino a una mappa delle Ebridi Esterne. Alcuni ingranaggi

ticchettanti lungo i bordi del soffitto che si collegano con la torre dell’elettricità nel

cuore di New Town.

Casa. Sto sognando? Stavo sognando? La testa mi pulsa, la vista inizia di nuovo ad

appannarsi e a oscurarsi ai margini.

«Casa?» domando, le labbra che si muovono appena.

Vedo la sua esitazione. Catherine mi prende la mano. «Shh. Torna a dormire. Sarò

qui quando ti sveglierai.»

Sogno casa mia. Non la mia vecchia vita, fatta di feste e balli. Solo il posto. Nel mio

sogno sono con mia madre e siamo sedute sull’erba dei giardini di Princes Street.

103

È estate, e i fiori sono in piena fioritura. I miei preferiti sono sempre state le lobelie,

che coprono delicatamente il terreno con vividi boccioli viola. Durante questo periodo

dell’anno, i fiori perenni sono sparsi lungo i giardini formando bellissime chiazze di

colore. Ricoprono le colline sotto il castello con i loro gialli, rossi, viola e rosa, e l’erba

non è mai stata così rigogliosa.

Il sole è caldo sul mio volto. Il mio cappello è rialzato per permettermi di sentire il

calore dei raggi. Indosso un vestito da giorno azzurro, fatto di una mussola abbastanza

leggera da permettermi di sentire la paradisiaca brezza estiva.

«Non è bellissimo?» Chiede mia madre. Chiude gli occhi, la pelle dorata sotto il sole

del pomeriggio. «Mi manca.»

«Anche a me» dico.

«Dobbiamo andare sulla costa più tardi. Solo io e te.»

«Mi piacerebbe» dico, con un sussulto nella voce. Il mio posto non è qui con te.

Madre sposta lo sguardo su di me. «Qualcosa non va?»

«È solo che… vorrei poter restare.» Strappo i petali della lobelia. Uno per volta.

«Perché non dovresti?»

Come glielo spiego delicatamente? «Devo andare da un’altra parte. Ci sono persone

sotto la mia responsabilità.»

La risata di mia madre mi provoca un brivido lungo la schiena, come venir carezzata

da dita gelate e bagnate. «Che cosa sciocca da dire» dice. Quando sposta il cappello

ancora più indietro, i suoi capelli rossi e occhi verdi sono un po’ troppo luminosi. Lo

sono sempre stati? «Nessuno è sotto la tua responsabilità.»

Il modo in cui lo dice risveglia qualcosa in me. Sembra sprezzante. Madre non è mai

stata sprezzante. «Ma…»

«Dovremmo costruire qualcosa di nuovo, cara. Qualunque cosa tu voglia. Non ti

piacerebbe?»

Qualunque cosa tu voglia. Non ti piacerebbe?

«No» dico. Qualcosa non va.

Una risata acuta e gracchiante attira la mia attenzione. Dei corvi si radunano

sull’erba intorno a noi, a centinaia. Prima non c’erano. Ma ora le loro ali d’inchiostro

ricoprono il suolo, i loro becchi affilati sono rosso acceso per qualcosa che cola.

Sangue?

La mamma mi afferra la mano così forte da farmi sussultare. «Io ti troverò.» Quando

il mio sguardo incontra il suo, mi congelo sul posto. I suoi occhi sono neri come la

pece, come una notte senza stelle. Potrei annegarvici dentro. «Ovunque tu vada, io ti

troverò.»

«Minnie?» sussurro, chiamandola col soprannome che le avevo dato così tanto

tempo fa. No. Non è lei.

Mentre continuo a guardarla, il suo volto comincia a sciogliersi, la sua pelle si

squama fino a rendere visibile il cranio. Con un urlo acuto, cerco di strappare la mia

mano dalla sua presa, ma continua a tenermi stretta.

Prima che me ne accorga, il sole è sparito. Il cielo si è oscurato velocemente, non

lasciando nient’altro che nuvole nere. I fiori intorno a noi appassiscono e muoiono.

Diventano polvere. I corvi ridono tra starnazzi acuti e ali che sbattono.

104

«Lasciami andare.» Sto tirando così forte da farmi male. La sua stretta è così ferma

che le sue dita rischiano di lasciarmi lividi sulla pelle.

«Dopo questo non ti rimarrà molto tempo, Falconiera» mi dice. La sua voce si

deforma fino a diventare irriconoscibile. Mi attira a sé e mi sussurra all’orecchio: «Ci

rivedremo presto.»

Mi sveglio di soprassalto, gemendo per il dolore. Mi sento come se tutto il corpo mi

andasse a fuoco. Mi aggrappo alle coperte, alla mia pelle. Fa male.

«Aileana.» Delle mani mi spingono dolcemente le spalle. «Va tutto bene. Sei al

sicuro.» Catherine.

Apro gli occhi e la trovo chinata su di me. Sembra ancora più esausta dell’ultima

volta in cui mi sono svegliata; mi chiedo da quanto tempo sia qui.

«Troppo caldo» rantolo.

Catherine aggrotta le sopracciglia, premendo il palmo sulla mia guancia. «Hai

ancora la febbre. Dammi un secondo.» Prende qualcosa. Sento un rumore di acqua e

poi la vedo alzare un panno bagnato. Lo piega e me lo mette sulla fronte.

L’acqua fredda attenua il calore, e sospiro con sollievo. «Grazie.»

Mi riprende la mano. «Va meglio?» La risposta mi muore sulle labbra quando mi

accorgo di dove sono. Allora quella parte non era un sogno. Sono nella mia stanza. A

casa.

Lascio cadere la testa sul cuscino e fisso gli ingranaggi sul soffitto, le luci sopra di

me. Avevo visto quella parte del muro crollare con un buco in mezzo. I mobili marcire.

Questo posto non esiste più, non com’era prima. È un cumulo di macerie, distrutto dalle

fate. E ciò che era rimasto della stanza che tanto adoravo, che avevo progettato con

cura insieme a mia madre, è stato completamente raso al suolo dai mortair. Eppure qui

sembra tutto così… perfetto, di sicuro non me lo sto immaginando.

Tocco il copriletto, così simile a quello che avevo, la seta liscia sotto il mio palmo.

«Ma è reale?» sussurro. Sto ancora sognando?

Non è così. Le mie braccia sono ancora coperte da morsi di fata ormai guariti, la

pelle ancora rossa e infiammata.

«Dipende da cosa consideri reale» mi dice Catherine. Preme la mia mano contro la

struttura di legno del letto. «Questo ti sembra reale?»

Le scanalature sotto le mie dita lo sembrano. E anche gli intagli sulla testiera. Alzo

la testa abbastanza da vedere il modo in cui le mie dita premono sul legno. Percepisco

la sua consistenza, nonostante il mal di testa pulsante che mi sta venendo.

Alla fine fa così male che devo di nuovo sdraiarmi. Chiudo gli occhi per fermare il

dolore. «Dove sono?»

«Sei ancora nel regno dei pixie. Ti racconterò tutto quando ti sentirai meglio» dice.

«Aithinne tornerà presto per guarirti di nuovo.»

Le mie labbra sono secchissime. «Cos’ho che non va?»

«Ha detto che il vecchio veleno nel tuo corpo sta avendo una brutta reazione con

quello nuovo.» Sento le dita di Catherine sulle cicatrici del mio polso. «Proveniva da

queste?» chiede.

Mi fa questa domanda con leggerezza, ma mi accorgo che sembra che sta trattenendo

105

l’emotività. «Sì» dico, vicina a riaddormentarmi. «Sono di quando ero nel Sìth-

bhrùth.»

«Mi dispiace non essere stata lì per te» sussurra.

Rafforzo la stretta della mia mano nella sua. Non capisco se si riferisce a quello che

è successo con Lonnrach o con i fuochi fatui. Riesco a dire solo quattro parole:

«Dispiace anche a me.» Mi dispiace che questo sia il mondo in cui ti ho lasciata.

Quando mi sveglio la volta successiva mi sento più vigile, più all’erta. Quando mi

volto per vedere se Catherine è ancora lì, sono sorpresa di trovare Gavin seduto su una

sedia di fianco al letto, intento a leggere un libro. Alza lo sguardo quando mi muovo.

«Sembra che tu stia meglio.» Chiude il libro e lo mette da parte.

Qualcuno mi ha cambiato i vestiti. Indosso una maglia di lana bianca e pulita che è

il doppio di me, e dei pantaloni che non mi calzano molto meglio. Le mie ferite sono

tutte guarite grazie al lavoro di Aithinne. I morsi più superficiali non hanno lasciato

quasi nessuna traccia; quelli più profondi sono piccoli, poco più che segni circolari tra

i morsi di Lonnrach.

Delle cicatrici sconosciute mi avvolgono i polsi. Capisco che sono dovute alle

manette. Quando i fuochi fatui hanno attaccato, ho lottato così tanto per liberarmi da

affondarmi i legacci nella pelle. Non me ne ero neanche accorta.

Serro la mascella. «Dov’è Catherine?»

«È stata con te per quattro giorni» dice Gavin. «Ora è il mio turno.»

«E se non volessi che tu avessi un turno?»

Gavin distoglie lo sguardo. «So che sei arrabbiata.»

«Non sai affatto quello che provo.» Fisso di nuovo le cicatrici. Ero riuscita a non

resistere all’edera nella stanza degli specchi. Non ho mai avuto qualcosa che me lo

ricordasse. Ora ce l’ho.

Gavin fa una smorfia quando vede le cicatrici. «Avrei dovuto dirti di…»

«Non mi hai detto neanche dei fuochi fatui» dico aspramente. «Se l’avessi fatto, ti

avrei detto che possono capire dal mio sangue che sono una Falconiera. La mia energia

è inebriante per loro proprio come quella di un Veggente, Gavin.»

Il senso di colpa si palesa nel suo sguardo. «Non lo sapevo.»

«Perché non l’hai mai chiesto!» Apre la bocca per parlare, ma io sono più veloce.

«Derrick ti aveva detto che ero diversa e che essere una Falconiera avrebbe reso le cose

peggiori. Gli hai mentito quando gli hai detto che ci saresti andato piano con me, non

è vero? Hai cercato di uccidermi.»

Gavin indietreggia. «No. No, non è vero. Ti giuro che non è vero.» Sembra che voglia

toccarmi, ma le sue mani ricadono al suo fianco. «Dato che sei una Falconiera non ero

sicuro che potessi sopportare più di un umano il dolore del loro morso. Santo cielo,

Aileana, ti ho visto combattere con ferite che avrebbero ucciso chiunque altro.»

Getto via la coperta dalle mie gambe. «Non sono proprio dell’umore adatto per

sentire le tue scuse.» Quando mi sposto per alzarmi, Gavin mi afferra il polso. «Non ti

sei ancora ripresa.»

Mi libero dalla sua presa con uno strattone. «Non mi toccare.»

Alza le mani. «Aithinne avrà anche curato i morsi dei fuochi fatui, ma ti stai ancora

106

riprendendo dall’energia che ti hanno sottratto.»

«E come pensi di tenermi qui, esattamente?» Chiedo freddamente. «Vuoi

ammanettarmi di nuovo?»

Gavin trasalisce, ma non demorde. «Non stai bene» ripete più risolutamente.

«Sto abbastanza bene da romperti quel bel naso che ti ritrovi se ti avvicini di nuovo

a me.»

Quando si allontana, colgo l’occasione per balzare fuori dal letto in moda da mettere

distanza tra di noi. «Vattene. Dì a Catherine o a Aithinne di tornare, o fai venire Kiaran

se riesci a trovarlo. Se deve esserci qualcuno qui a tenermi d’occhio, preferirei che

fosse chiunque tranne te.»

Gavin resta immobile. Ci fissiamo, una silenziosa battaglia di volontà. Abbassa lo

sguardo per primo, ma non se ne va. «Me lo merito» dice. Noto che i suoi occhi

ritornano sulle mie cicatrici. «E per quanto riguarda quello che ti ho detto prima, non

avrei dovuto presumere che…»

«Che non mi avessero torturato? Che non fossi stata marchiata?» Ribatto, rigida.

Guardo le mie braccia. «Come cambia la tua opinione tutto questo?»

«Me li fa solo odiare di più» risponde brusco. «Li odio, Aileana. Li odio.»

Non mi sfugge il modo in cui la sua espressione mi prega, mi supplica di capirlo, ma

non posso. Non adesso.

Vado verso la finestra. Charlotte Square è completamente intatta, immacolata. La

mia macchina volante è parcheggiata nel giardino centrale, come sempre. Vederla lì mi

fa male al petto, perché niente di tutto ciò esiste più. La vegetazione è rigogliosa come

nel pieno della primavera, e il sole splende tra le nuvole con raggi di luce che si posano

sull’erba. Il tempo è troppo bello, troppo invitante.

Mentre il mio umore si oscura, il sole sparisce completamente. La luce se ne è

andata. L’erba si secca fino a diventare marrone mentre si radunano nuvole

temporalesche. Guardo la neve che cade sui ciottoli, fermandosi fino a ricoprire del

tutto la strada.

«Ti prego, vattene» dico a Gavin quando viene a mettersi vicino a me.

«Lasciami spiegare» dice sommessamente. «E se poi vorrai ancora che me ne vada,

allora lo farò.»

Chiudo brevemente gli occhi. «Prima parlami di questo posto.» Mi appoggio alla

finestra, scivolando fino a sedermi sul freddo pavimento di legno. «Non è reale, vero?»

Ora che osservo più attentamente la stanza, noto che non c’è alcun segno della mia

presenza. È solo una copia, una ricostruzione di tutte le cose a me care in questo mondo,

la stanza che mia madre e io avevamo progettato insieme.

Non c’è segno neanche della sua presenza. Non c’è niente che appaia diverso, ma

tutto sembra vuoto. È tutto immacolato, come se nessuno ci avesse mai vissuto. Mia

madre e io non abbiamo creato questo posto insieme.

Prendo il cappotto che Catherine ha lasciato sul davanzale e cerco nelle tasche il

tartan di mia madre. Lo stringo talmente forte da farmi venire male alla mano. Come

se potessi far ricomparire tutto. Come se potessi far ricomparire lei.

«È un’illusione» dice Gavin sedendosi vicino a me, appoggiando le braccia sulle

ginocchia. «Il tuo pixie chiama questo effetto cruthaidheachd, la creazione. La sua

107

razza lo ha usato per costruire i loro mondi. Ora lo usiamo noi per ricreare le nostre

vecchie case partendo dai nostri ricordi.»

Allora è come una tortura. Uno spazio vuoto senza significato se non per le parti che

ricordiamo. «Potrei creare qualunque cosa?»

«Potresti. Ma ci circondiamo delle cose che desideriamo vedere. Di quel posto che

è predominante nella nostra testa.» Un sorriso amaro compare sulle sue labbra.

«Immagino che questa fosse la tua stanza?»

«Già» dico.

Mi manca tanto da farmi male. Questo posto non ha lo stesso odore, non mi dà la

stessa sensazione. «È un’imitazione» dico. «Ha tutti i pezzi, ma non sono giusti. Non

significano niente.»

«Non sono d’accordo.» La sua voce è flebile. «I nostri ricordi significano tutto, non

trovi?»

Mi appoggio al muro e chiudo gli occhi, dato che hanno ripreso a bruciare. «E se la

cosa che voglio di più non fosse la mia stanza, ma una città?» Deglutisco. «O una

persona cara?»

«Non possiamo riportare in vita i morti» dice. «Nemmeno qui. Credimi, più di uno

di noi ci ha provato.»

A questo punto lo guardo. Lo guardo davvero, non come la prima volta che lo vidi e

fui semplicemente contenta che fosse vivo. Vedo l’uomo che è diventato, così diverso

dal ragazzo con cui sono cresciuta. I suoi lineamenti sono così familiari, per niente

diversi se non per le cicatrici. Ma noto anche altre cose.

I suoi capelli sono leggermente più lunghi da come li ricordavo, appena oltre le

orecchie. Non si fa la barba da almeno un paio di giorni, così insolito per il Gavin che

conoscevo. La maglia che indossa è di lana ruvida, scollata, come i miei vestiti da

caccia. C’è una cicatrice alla base della sua gola, bianca e sottile, come se una lama lo

avesse ferito con un colpo netto.

«Quando eravamo fuori mi hai guardata come se fossi un’estranea» dico. «Come se

non mi conoscessi neanche. Perché?»

«È questo che hai pensato?»

«Cos’altro avrei dovuto pensare?» Poggio la testa contro il muro e sospiro piano.

«Sei stato così freddo. Non ti avevo mai visto così. Hai mentito a Derrick. Mi hai

mandata…»

Mi hai mandata a farmi torturare.

«Sono passati tre anni, Aileana» dice Gavin. «Sono cambiato. Ho dovuto adattarmi

per sopravvivere. E tu…» mi scruta il volto. «Tu non eri lì con noi. Né durante la caccia

né durante il crollo delle città. Non sai che cosa abbiamo passato.»

Perché salvare la tua casa invece della mia?

Mostramelo. Ora.

Vedo solo il fumo e i palazzi. La distruzione e la cenere mentre i palazzi bruciavano.

Non ero qui per vedere tutte quelle persone massacrate dall’esercito delle fate. Non ero

qui quando i sopravvissuti hanno raccolto i pezzi.

«No, non lo so» dico. Gavin si guarda intorno alla stanza. Non l’aveva mai vista

prima che venisse distrutta. L’avevo cambiata dopo la sua partenza per l’università.

108

Una volta lo avevo fatto sgattaiolare su nella mia vecchia stanza…

Mi rendo conto che posso ricrearla per lui. Proietto il ricordo nella stanza; basta

semplicemente immaginarlo nella mia testa per farlo apparire. La vecchia carta da

parati oro e cremisi con motivi a forma di vaso, le delicate tende color crema tirate via

dalla finestra. Un tappeto persiano abbinato sul pavimento di legno massiccio.

I mobili erano tutti rivestiti di teak, i cuscini oro e avorio. Quelli erano i miei colori

preferiti. Quando ci avevo fatto sgattaiolare Gavin la prima volta avevo nascosto le mie

bambole; mi vergognavo così tanto di quelle dannate bambole. Non volevo che Gavin

le vedesse. Ma adesso sono qui, sulla mensola del camino dove erano sedute prima che

mio padre mi dicesse che era ora di smetterla con le cose infantili e le desse via.

Gavin osserva la mia vecchia stanza, la sua espressione che oscilla tra lo stupore e

la freddezza. «Falla tornare come prima.»

Alzo un sopracciglio, ignorando il suo tono. È da molto tempo che ho a che fare con

Kiaran. Gavin non è nulla in confronto, persino quando è così scontroso. «I ricordi

significano tutto» rispondo, citando quello che aveva detto, «non trovi?»

«Cosa vuoi farmi ricordare?» chiede, con quella voce spenta che non riconosco.

«L’ultima volta che sono stato in questa stanza mi hai baciato. O te ne sei dimenticata?»

In un istante, la stanza torna a essere quella che avevo progettato. I pannelli di teak

lasciano posto alla liscia carta da parati con i suoi motivi, e il tappeto svanisce tra le

assi di legno. I mobili spariscono, tranne il sofà, macchiato dalle mie dita grasse e unte

che lo avevano toccato mentre mi riposavo dopo aver lavorato con i metalli.

«È stato molto tempo fa» dico. «Ho solo pensato che saresti stato più a tuo agio.»

«Non è passato così tanto per te.»

«È passato abbastanza, Galloway» dico a bassa voce. Sussulta, fissandomi con uno

sguardo sorpreso. «Cosa c’è? Ho detto qualcosa di sbagliato?»

Gavin scuote la testa, appoggiandosi al davanzale della finestra. «Mi hai chiamato

Galloway. Era da tanto che qualcuno non mi chiamava così.» Di fronte la mia

espressione confusa, mi spiega: «non ho più un titolo, Aileana. Non ho più terre. Dopo

tutto quello che è successo, sembrava solo una sciocca formalità.»

«Hai detto che mi avresti raccontato tutto» dico. «Cos’è successo mentre ero nel

Sìth-bhrùth?»

Gavin fissa gli ingranaggi sul soffitto che fanno funzionare l’elettricità, ormai non

più connessi a nulla. Passa molto tempo prima che parli di nuovo, dei minuti. «Dopo il

loro arrivo, all’inizio abbiamo abitato nelle rovine abbandonate dei villaggi. Abbiamo

radunato tutti i sopravvissuti. Le fate hanno trovato alcune persone e le hanno

influenzate per fargli rivelare dove eravamo.» La sua voce trema, e Gavin deglutisce.

«Ogni volta che ci spostavamo, arrivavano nei nostri villaggi di notte per massacrare

la gente. Quelli senza la Vista non potevano prevederlo.»

Gli guardo le mani, come giocano con il materiale della sua maglia mentre parla.

«Così hai fatto il test.» Cerco di non lasciar trapelare alcuna emozione dalla mia

voce. Potrò anche capire il perché, ma non sono ancora pronta a perdonarlo. Non per

quello. «Con i fuochi fatui.»

Annuisce. «Gli umani si fanno influenzare facilmente dalle fate. Un altro assalto

avrebbe lasciato la nostra popolazione decimata.»

109

Studio le cicatrici sulla sua faccia; sembra che una fata gli abbia afferrato l’occhio e

scavato la pelle intorno. Le cicatrici sono ora quasi scomparse, così pallide sulla sua

pelle.

«Orribili, vero?» La sua voce mi spaventa, e mi accorgo che devo essere stata in

silenzio per un po’. Noto il modo in cui serra la mascella.

Scuoto la testa. «Non per me.» Non riesco a trattenermi dall’alzare il braccio, per far

passare le dita sulle quattro cicatrici frastagliate sopra il suo occhio. Infine, su quella

che gli deturpa la guancia. «Le tue cicatrici non sono difetti, Galloway. Non sono

imperfezioni. Sono storie scritte sulla tua pelle.»

«Storie?» Sembra che trovi l’idea sciocca.

«Certo» dico. «Raccontano la storia di come sei sopravvissuto. Non te ne devi

vergognare.»

A questo punto mi guarda. «E quali storie raccontano le tue?» mi chiede. «Di come

sei sopravvissuta anche tu?»

Mi allontano di scatto. Dietro di lui noto la mia mappa, quella della Scozia sul muro

più lontano. I fili rossi annodati intorno alle puntine a indicare le uccisioni di Sorcha.

Avevo bruciato quella mappa tempo fa, disseminando le puntine sul pavimento. E

adesso è di nuovo lì, completa e intatta.

Una volta avrei detto a Gavin che le mie cicatrici raccontavano la storia di come

avevo ucciso ogni fata. Di come mi ero allenata per le fate che più volevo vedere morte.

Le avrei mostrate con orgoglio; erano simboli della mia vittoria. Le mie cicatrici

raccontavano la storia di una ragazza che si era sbarazzata delle parti della sua vecchia

personalità fino a quando non era rimasto altro che la cacciatrice vendicativa degli

specchi.

Ma le cose che alla fine mi importavano di più nella mia prigione non avevano nulla

a che fare con la vendetta, o con l’uccidere le fate, o con l’essere una Falconiera. Erano

i balli. Le risate. Il dolore e l’amicizia. Gli abbracci strettissimi e gli addii difficili. I

baci rubati sotto una luna di sangue.

«No» dico a bassa voce. «Queste cicatrici raccontano di come sono tornata di nuovo

umana.»

110

Capitolo 19 Traduzione: Claude

Dormo per un altro giorno. Anche se sto ancora tremando quando riesco a scendere dal

letto, riesco a camminare sicura fino all’armadio. Premo l’orecchio contro l’anta e

ascolto, sorridendo quando sento Derrick canticchiare un motivetto sconcio. La sua

voce viene sovrastata dall’occasionale fruscio della stoffa.

Busso due volte prima di aprire l’anta. Ed eccolo lì, accomodato su una montagna di

sete multicolore, ago e filo in mano. «Aileanaaaa» canta, le ali che sventagliano dietro

di lui. «Stai meglio! Sei sveglia! Sembra che una carrozza ti sia passata di sopra e poi

tu sia stata buttata nel fiume.»

Appoggiandomi allo stipite dell’anta, dico, «Dovevi proprio aggiungerla l’ultima

frase, vero?» Fletto i muscoli; fanno ancora male. «In ogni caso, giuro che questo è

peggio. I fuochi fatui sono terribili.»

L’aura dorata di Derrick si colora di rosso al ricordo. «Avrei dovuto capire che il

Veggente stava mentendo. Se non fossi stato tuo amico, lo avrei scuoiato vivo e preso

la sua pelle come trofeo.» Solleva un drappo di seta, di un profondo royal blu. «Ma dal

momento che tu sembri dar valore alla sua vita, ho soltanto morso il bastardo sul

braccio. Pan per focaccia. Ha il gusto della miseria.»

«E noto che sei tornato direttamente nel mio armadio, subito dopo.»

Derrick utilizza un ago che è quasi lungo la metà di lui. «Sono così felice che tu

l’abbia creato per me! Ho dormito nella mia versione del tuo guardaroba per gli ultimi

tre anni, ma non aveva lo stesso odore. Solo legno. Odio l’odore del legno.» Solleva lo

sguardo verso di me. «Hai fatto in modo che tornasse a profumare di rosa. E favolose

cascate.» sorride pigramente. «E di signora.»

Gli sto per dire che quell’armadio non l’ho creato apposta per lui, ma sembra così

felice che dirglielo mi farebbe sentire una distruttrice di gioia. Quindi mi limito a

sospirare dentro e do un colpetto a un drappo di seta con il piede. «Che cos’è?»

«Sto cucendo dei vestiti. Quando sono arrivato, questo guardaroba sembrava

l’inferno.»

«Vuoto, suppongo?»

Derrick sbatte le palpebre guardandomi come se fossi improvvisamente diventata

stupida. «Ovviamente, ridicola umana. A che serve un guardaroba vuoto? Per come

stanno le cose, te ne andrai in giro con quegli orrendi vestiti che ti ha prestato la tua

amica addosso, e tutti quei succhiotti dei fuochi sulla pelle.» Succhiotti dei fuochi?

Santo cielo. Ricomincia a cucire, con movimenti così veloci che tutto quello che riesco

a vedere sono scie di luce. «Ti ho persino preparato la seta. Immensamente meglio di

quella umana, non che tu me l’abbia mai chiesta prima.»

Lo guardo con sospetto. I pixie di solito si muovono velocemente, ma si muove a

scatti come quando… «Qualcuno ti ha dato il miele?»

«Aithinne me ne ha dato un bicchierino piccino.» Avvicina indice e pollice, pochi

111

millimetri l’uno dall’altro. «Un goccetto. La amo. Dovrei farle un vestito.»

Oh, santo cielo. Il miele rende Derrick produttivo all’inverosimile. Cucire, pulire,

lucidare. Potrebbe creare un guardaroba intero con una giara. «Non abbiamo bisogno

di vestiti. Non ci sono né balli né assemblee, ricordi?»

Lui si ferma e mi guarda. «Quindi solo perché la fine del mondo è vicina non ci si

può più vestire eleganti?»

Sospiro. Dev’essere uno scherzo. Esiste una risposta giusta per questa domanda?

«Be’, no, ma…»

«Bene! In ogni caso, ho fatto questi anche per te.» Derrick mi lancia dei vestiti, e

sono ancora troppo dannatamente lenta a causa dei morsi dei fuochi per riuscire ad

afferrarli. Cadono a terra in un cumulo. «Abiti da caccia. Adesso togliti quegli orrendi

vestiti da malata, manda via quell’odore nauseante di bava di fuoco fatuo, e mettiti

questi.»

«Fantastico» ribatto asciutta. «Lo farò.» Abbasso lo sguardo sui vestiti che mi ha

messo Catherine. Non sembrano suoi: saranno almeno due taglie più grandi e potrei

annegare nella camicia. Probabilmente sembro ridicola.

«Va bene anche se hai un brutto odore» commenta Derrick serenamente. «Sei

comunque la mia preferita.»

Torna a canticchiare la canzoncina sconcia che stava cantando prima che arrivassi

io, un invito per me a chiudere l’anta e a lasciarlo in pace. Rispetto il suo volere e mi

chino per raccogliere il cumulo ai miei piedi.

Appoggio i vestiti sul letto. La lana è tessuta meravigliosamente; non pensavo che

fosse possibile per questo tipo di lana di risultare così soffice. I punti sono dati alla

perfezione, naturalmente. Quel pixie non potrebbe mai fare qualcosa che risulti meno

che impeccabile.

Lentamente mi tolgo i vestiti che mi sono stati prestati, sussultando per il dolore ai

muscoli. Mentre mi svesto, noto delle nuove ferite su gambe e braccia. I minuscoli

morsi dei fuochi sono ormai cicatrizzati.

Lo specchio ovale posto in un angolo della camera mi mostra ogni angolo del mio

corpo. Anche prima che diventassi una cacciatrice, non avevo mai corrisposto all’ideale

di bellezza richiesto dalla società; la mia pelle era considerata troppo lentigginosa,

tanto che la mia governante una volta mi aveva suggerito di ricoprire la mia pelle di

uno spesso strato di crema per ottenere un compatto colorito avorio. Adesso i miei pari

avrebbero considerato me troppo muscolosa, le mie cicatrici e i solchi derivanti dalle

ferite poco femminili e, nelle loro menti, indesiderabili.

Ma dopo tutto quello che ho passato, sono orgogliosa di avere un copro forte, che

sopporta il marchio di tutto quello che ho affrontato. Indipendentemente da quanto

siano dolorosi quei ricordi.

Mi do una veloce pulita nella bacinella e mi vesto, coprendo le nuove cicatrici.

Proprio mentre sto sistemando la maglia nei pantaloni, la porta della camera si apre.

«Oh!» esclama Catherine, fermandosi di botto. Ha un vassoio tra le mani. «Sono

terribilmente dispiaciuta, credevo fossi ancora a letto.» Aggrotta la fronte, chiudendo

la porta dietro di lei. «Dovresti essere a letto.»

«Sono sveglia da cinque minuti e già devo beccarmi la tua ramanzina?» chiedo,

112

sollevando un sopracciglio. Do un’occhiata più attenta al piatto fumante che ha portato.

«È cibo quello?»

Lei alza gli occhi al cielo e mi passa il vassoio, che appoggio. Una bistecca di

qualche tipo con una salsa bianca che sembra stranamente poco familiare. Non

esattamente quello che sono abituata a mangiare al mattino.

«Che cos’è?» Sono così affamata che non mi interessa poi molto. Mi ci butto,

infilandomi in bocca quella carne magra. Potrebbe trattarsi anche di un cibo insulso

come gli scones, ma sarebbe comunque il migliore pasto che abbia mai consumato.

«Carne di cervo. Le fate cacciano in questa zona e ci portano la carne.»

Per poco non lascio cadere la forchetta. «Le fate?»

Catherine si mostra paziente. «Li apprezzo anche meno di te, ma abbiamo siglato

una tregua, e la onoriamo, almeno finché non uccidono un umano.»

Quindi questa tregua va oltre il lasciare che le fate torturino la gente in una caverna

per provare che non siano sotto la loro influenza. Suppongo di non dover esserne

sorpresa. È una città di pixie, dopotutto. È stata creata per le fate, non pensata per

lasciare spazio agli uomini. Sembra il minimo che siamo costretti a condividerla con

loro.

Derrick emette un suono da entro l’armadio che sembra proprio una parola

assolutamente inappropriata, parte dell’anatomia maschile. Catherine fissa l’anta.

«Mio dio, cosa sta facendo?»

«Cuce» rispondo, infilandomi un’altra forchettata di carne in bocca in maniera molto

poco signorile. Poi realizzo quello che è appena successo e la fisso. «Aspetta… tu lo

puoi sentire?»

Catherine si solleva una manica della camicia. Lì, appeso al polso, si trova un sottile

filo di seilgflùr, il raro cardo che permette agli umani di vedere le fate. «Tutti in città

ne devono indossare uno.»

«Dove lo hai trovato?» Non avevo mai saputo dove Kiaran coltivasse il cardo. Era

sempre lui a procurarmi la mia scorta, che in parte utilizzavo per le mie armi. Senza,

non sarei mai stata capace di combattere contro le fate. Non sarei neppure stata capace

di vederli.

«È stato un gesto di benevolenza. Aithinne mi ha spiegato come coltivarlo prima che

venisse a cercare te» dice Catherine. «Così anche chi di noi non ha la Vista può avere

qualche speranza di sopravvivere.»

Avrei dovuto saperlo che era stata Aithinne. Kiaran non avrebbe mai rivelato una

cosa simile a un umano. «Quindi ha insegnato a tutti come coltivarlo?»

«No» risponde Catherine distrattamente, continuando ad ascoltare il canto di

Derrick. «Solo a un umano. È successo che abbia scelto me.» Il suo sguardo indugia

sull’anta dell’armadio per un momento. «Quindi tu semplicemente… vivevi con uno

di loro così?»

Cerco di non mostrarmi offesa dal suo tono. Derrick fa uscire fuori l’animo

protettivo che è in me, suppongo. È stato la prima fata a cui mi sia affezionata, colui

che mi ha insegnato che non tutti le fate meritano di morire.

«È mio amico» replico brevemente.

Catherine abbassa lo sguardo, l’ombra di un rossore che le affiora sulle guance. «Mi

113

dispiace. Non volevo che suonasse in quel modo. Ci ha salvato tutti permettendoci di

rimanere qui.» Sospira. «Solo… ho qualche difficoltà a fidarmi di loro.»

La sua voce si affievolisce mentre lei si guarda attorno. Osserva i pannelli di legno

lungo le pareti e il tavolo da lavoro accanto a lei; noto solo ora che mancano tutti quei

pezzi di metallo che utilizzavo per creare le mie invenzioni. Un altro promemoria della

falsità di questo posto.

«Mi fa piacere rivedere la tua stanza» dice lei con dolcezza. «Mi fa sentire come

se…»

«Come se fossimo di nuovo lì» finisco per lei. «Come se fosse appena passata

l’undicesima ora?»

«Mi mancano il tè con i biscotti» una breve risata illumina il suo volto. «A discutere

di sciocchi balli e dei nostri pretendenti.»

«A proposito di pretendenti… ti sei sposata.» Lo dico con leggerezza, prendendo un

altro morso di carne.

Annuisce. «Daniel. Mi ha salvato la vita, sai? Madre e io eravamo appena fuori

Glasgow quando le fate hanno preso la città.»

Mi blocco. «Dev’essere stato terrificante.» Non riesco neppure a immaginarmelo.

Non essere capaci di vederli, e guardare le persone morire intorno a sé. L’avrei dovuta

preparare meglio. Dannazione, l’ho soltanto mandata via…

«Potevamo sentire le urla.» Traccia con le dita i bordi del tavolo da lavoro. «Non

eravamo vicini, ma anche dalla strada potevamo…»

Abbasso la forchetta producendo un forte rumore. Le parole di Lonnrach sono

ancora così vivide nella mia memoria.

Distruggere ogni cosa.

E le fate hanno fatto esattamente quello che lui aveva comandato. Avevano ridotto

la Scozia a nient’altro che macerie e cenere, e Catherine si era ritrovata nel mezzo. Non

c’ero stata per proteggerla.

«Le fate hanno circondato la carrozza» continua Catherine. «Non potevamo vederli,

ma i loro artigli graffiavano le porte. Daniel si è fatto strada combattendo dentro la

carrozza e ci ha permesso di fuggire.» Si esibisce in quella che è l’ombra di un sorriso,

leggero e triste. «Si è assicurato che non potessero trovarci.»

«Lady Cassilis» dico. «Sta…»

«È morta lo scorso anno» mi interrompe Catherine, piuttosto bruscamente. «Non ha

resistito alla chiamata delle fate.»

Sto per dirle che mi dispiace. Malgrado quello che Aithinne mi ha raccontato, non

posso fare a meno di incolpare me stessa. Nella mia mente scorrono di nuovo quegli

ultimi momenti con il sigillo, e ogni secondo diventa un avrei dovuto. Avrei dovuto

capire prima il meccanismo. Avrei dovuto essere più forte quando Sorcha mi è entrata

nella mente. Avrei dovuto premere quell’ultimo simbolo invece di voltarmi verso

Kiaran un’ultima volta perché avrei voluto salvarlo così disperatamente.

Alla fine non avevo salvato nessuno.

«Mi manca non averla qui» ammette Catherine, avvicinandosi alla finestra. «Non

importa quanto tempo sia passato, alle volte penso ancora che si tratti di un sogno. Che

non è reale.»

114

«È quello che pensavo anche io dopo quello che è successo a mia madre» dico,

finendo il cibo. MI avvicino a lei. «Che mi sarei svegliata un giorno e lei sarebbe stata

viva e che la mia vita sarebbe tornata a essere festicciole pomeridiane e assemblee. Ma

poi mi chiedevo se fossi davvero fatta per quella vita.»

«Che sciocca che sono» le sue guance si imporporano, come se fosse imbarazzata.

«Tu sapevi cosa c’era lì fuori mentre io parlavo di pretendenti e balli. Ti sarò sembrata

una stupida.»

«Mai» le dico. «Non per me.»

Da qualche parte si avverte una porta sbattere e sento un grido dal forte accento

scozzese. Catherine sembra seccata. «Quello sarebbe mio marito che vince a carte»

borbotta. «Sembrerebbe sia necessario che parli di nuovo con lui di questo

comportamento ripugnante. Non potrò mai scusarmi abbastanza per quanto successo.»

«Non è colpa tua» dico con fermezza. E potrebbe essere terribilmente inappropriato

prendere a pugni in faccia il marito della mia più cara amica per quello che ha fatto, e

non dire nulla del modo in cui mi ha quasi chiamata.

«Stronzate.» Fisso Catherine senza parole; non l’ho mai sentita usare quella parola

prima d’ora. «Hanno giocato con la tua vita. Avresti potuto morire, e l’ho detto anche

a quel folle di mio fratello. Avrebbe dovuto sapere che una Falconiera non aveva

bisogno di essere messa alla prova. Saresti capace di resistere all’influenza di una fata

come un Veggente.»

Mi blocco. Avevo confidato a Catherine di aver ucciso creature fatate, ma non le

avevo mai rivelato nulla sulla mia identità di Falconiera. «Lo sai?»

«Certo che lo so» dice facendo un cenno con la mano. «Se pensavi che si trattasse

di un segreto che Gavin avrebbe tenuto per anni… quell’uomo non riesce neppure a

nascondermi dove tiene il suo whiskey migliore. Magari il suo bluff funziona con tutti

gli altri, ma io credo che sia un terribile bugiardo.»

Altre risate ci raggiungono dall’ingresso e io fisso la porta che dà sulla città dei pixie.

Quando immagino il regno di Derrick, immagino un posto che potrebbe contenere la

sua statura minuta, non certo con edifici pensati per gli umani. «Com’è?»

Catherine segue il mio sguardo. «Oh, la città?»

Sollevo una mano per interromperla. «Prima che tu dica qualcos’altro, non mi dire

che ci troviamo in un minuscolo reame pixie su Skye. Noi ridotti alle dimensioni di

scarafaggi, o qualcosa del genere.» All’occhiata incredula di Catherine, aggiungo, «È

il mio modo assurdo di prepararmi.»

«No, no, niente del genere» mi rassicura. «Siamo ancora nel regno degli umani. I

pixie hanno costruito la città sottacqua, tra la terraferma e Skye. Hanno eretto dei tunnel

che viaggiano tutto intorno all’isola…» si interrompe, mostrando un sorriso subdolo,

proprio come quando eravamo bambine. «Credo che te lo mostrerò semplicemente, va

bene?»

115

Capitolo 20 Traduzione: Veru

Quando Gavin e gli altri avevano definito il regno dei pixie una città, pensavo che lo

avessero chiamato così quando erano venuti a viverci; una parola familiare per un posto

sconosciuto. In realtà è una città. Una vera città. Una città così imponente che faccio

fatica a credere sia rimasta nascosta sottacqua per tutto questo tempo.

La mia stanza è al quarto piano di una struttura torreggiante a forma di alveare che

si trova sotto il mare. Delle colonne alte e curve formano l’impalcatura, situata nelle

fondamenta della rete di grotte sottomarine. Queste colonne sembrano fatte di quarzo.

Da un’analisi più attenta, vedo che la roccia scintilla e c’è un motivo simile alla felce

lungo la superficie. Sporge formando file su file di balconate con un’entrata ad arco,

ognuna delle quali conduce a delle porte individuali… ce ne sono a centinaia. Queste

danno origine ad una struttura che si incurva verso la superficie dell’acqua tra l’Isola

di Skye e la terraferma.

Sopra di noi, alcune luci brillano come stelle mentre altre sfrecciano tra i balconi più

alti. Mi ci vuole un po’ per capire che non sono stelle: sono fate. Altri fuochi fatui. Mi

porto immediatamente la mano sui morsi più profondi che ho sul collo, che ora sono

guariti formando una spessa cicatrice.

Il sorprendente rumore di chiacchiericcio riporta la mia attenzione a terra. Le strade

somigliano tanto a quelle di una città scozzese: le vie selciate sono affiancate da

lampioni che le illuminano. Gli edifici sono alti, torreggianti e sottili come caseggiati.

Tra di essi ci sono case fatte di un perfetto marmo bianco. Altre sono fatte della pietra

delle grotte che ricorda un’ossidiana scintillante.

E ci sono persone, centinaia di persone, che camminano sorridendo, ridendo e

chiacchierando. Girano tra le strade, per quello che sembra un mercato con tanti

prodotti agricoli e cibo.

Da qui vedo cartelli con su scritti nomi di cose che non ho mai visto né assaggiato:

arance egiziane, cocchi delle Indie occidentali… Le fate posso coltivare e recuperare

tutto ciò che un umano possa desiderare. Potrebbero creare cibo dal nulla, se volessero.

Tutto questo fa parte della tregua con gli umani?

Catherine si mette accanto a me. «Straordinario, vero?»

Mi giro a guardare di nuovo i fuochi fatui e li vedo intrecciarsi tra loro come

centinaia di lucciole. Ricordo la pressione dei loro morsi, il dolore lancinante. La mia

mano desidera trovare un’arma con cui possa proteggermi, anche se i fuochi fatui non

sembrano accorgersi della mia presenza. «Sì. Straordinario.»

Catherine deve aver sentito la nota rigida nella mia voce, perché mi guarda subito

preoccupata. «Tutto bene?» Nota dov’è rivolta la mia attenzione; ancora ai fuochi fatui.

«Se ti fanno del male qui infrangeranno la tregua, ma se vuoi rientrare lo capisco.»

Non posso fare a meno di sentirmi a disagio. Ho ucciso le fate per un anno prima

che Lonnrach mi rinchiudesse in quella prigione. Il mio rapporto con le fate è

contraddistinto dalla violenza. Non mi fido di loro, nemmeno con la tregua.

116

La voce di Lonnrach è spietata nei miei ricordi. Una derisione crudele ai danni della

ragazza impotente nella sua prigione. Adesso sai esattamente come ci si sente ad essere

così indifesi.

«No» dico, più brusca di quanto volessi. «Sto bene.»

«Aileana…»

«Mi stavi parlando della città. Ti prego, continua.»

Catherine sospira e si appoggia contro la balaustra. «L’abbiamo ricostruita quasi

tutta. Quando siamo arrivati, gli edifici erano quasi completamente distrutti.» Fa un

mezzo sorriso. «E ovviamente quelli che restavano non andavano bene per gli umani.

Abbiamo mantenuto la struttura, ma il resto è opera nostra.»

C’è orgoglio nella sua voce mentre guarda gli edifici. Odio non poter condividere

con lei quel sentimento. Ho mentito quando ho detto di stare bene.

Concentrati, mi dico. Calma. Infilo le mani in tasca, dove di solito tengo delle

piccole invenzioni con cui giocare, ma non ne trovo nessuna. Perciò stringo il bordo

della mia giacca. «Avete costruito tutto questo in pochi anni?» La mia voce è flebile e

spero non se ne accorga.

Se ne accorge. Lo capisco dal modo in cui si avvicina, come per confortarmi. O,

forse, per prepararmi a quello che sta per dire. «Ci hanno aiutato le fate» dice con voce

ferma. «Faceva parte della tregua. Non saremmo mai riusciti a finire così in fretta… e

qui il loro potere è più forte, ovviamente. La città è costruita su una neimhead.»

«Neimhead?» Non conosco la parola, non faceva nemmeno parte delle lezioni di

Kiaran.

«Un luogo sacro di potere. Per loro.» Fa un cenno verso le fate che brillano sopra di

noi. «Dicono che sia la più antica di tutte.»

Guardo di nuovo i fuochi fatui. Quelle creature meschine danzano spensierate.

«Possiamo scendere?» chiedo, perdendo il controllo. Non ce la faccio. Se resto ancora

un po’ quassù, vicino alle fate, potrei finire per ucciderle. Preferirei non iniziare una

guerra essendo appena arrivata.

L’espressione di Catherine è comprensiva. «Certo.»

Tira la leva accanto a lei e il balcone comincia a scendere. Mi sporgo sulla superficie

di pietra per studiarlo meglio. C’è un meccanismo sotto che gli permette di raggiungere

gli altri piani, fermandosi all’altezza di ognuno, fino a posarsi sulla strada selciata.

Catherine rimette la leva a posto, così aprendo una porzione del balcone (una porta di

ferro), e mi porta in strada.

La città mi ricorda Edimburgo di notte, prima che installassero l’energia elettrica:

l’illuminazione dei lampioni, il fuoco che sfarfallava nelle loro sfere di vetro. I coni di

luce creati dal fuoco fanno brillare i ciottoli, ricavati dalla stessa roccia delle grotte di

cui sono fatte le mura esterne della città. Quaggiù non mi sento soffocare, non ci sono

l’umidità e i gocciolii tipici delle normali grotte. L’aria è diversa, fresca come una

giornata d’autunno. L’odore di fuoco e pioggia si mischia al gusto estremamente dolce

del potere delle fate: dal caprifoglio allo zenzero, fino ai sapori più forti di polvere nera

e cenere.

Un crepitio su di noi mi coglie di sorpresa. Alzo lo sguardo e vedo le nuvole

raccogliersi in cima alla struttura, la luce che scintilla al loro interno. La pioggia

117

comincia a cadere sugli edifici e sulla strada. Guardo la gente fermarsi da quello che

stavano facendo e alzare la testa verso il cielo per sentire la pioggia sul viso.

«Cosa stanno facendo?» chiesi. Siamo in Scozia, dopotutto. Fermarsi a guardare la

pioggia sarebbe come fermarsi ad ogni fruscio di rami.

Catherine apre il palmo della mano per catturare le gocce di pioggia. «La maggior

parte della gente qui non esce da anni. È facile sentire la mancanza di cose che un

tempo davamo per scontate.»

Cercai di nascondere la sorpresa. Per quanto sia bella la città, non riesco a

immaginare di restare intrappolata qui per così tanto tempo. Questo clima è come le

stanze, una riproduzione perfetta e troppo sterilizzata. Manca qualcosa, quel qualcosa

che non saprei definire e che ti fa sentire vivo quando esci di casa. Che ti fa respirare a

fondo e assaporare l’aria nei polmoni.

«E se uscissero?» chiedo. «Cosa succederebbe?»

Catherine si mette le mani nelle tasche dei pantaloni. «Potrebbero non tornare.»

Quindi li prenderebbero le fate. Morirebbero o, peggio, verrebbero portate nel Sìth-

bhrùth, dove resterebbero finché i loro carcerieri non si stancheranno di loro e se ne

libereranno.

Mentre io e Catherine percorriamo la via affollata, attiriamo lo sguardo di diversi

curiosi. La strada profuma di frutta, farina, pioggia e foschia, una combinazione che

mi ricorda Edimburgo il giorno del mercato, quando per le strade c’era lo stesso viavai.

A parte lo splendore delle luci della città e la pulizia delle strade, la gente qui è

diversa rispetto ad Edimburgo. Indossano capi di lana morbidissima, dei colori della

terra. I loro pantaloni e le loro giacche sono di così buona fattura (forse opera dalle

fate) che non c’è alcuna distinzione di classe apparente. Non si riesce a distinguere un

cittadino comune da coloro che sono cresciuti nell’aristocrazia, come me e Catherine.

Alcuni hanno la pelle più scura – una gamma di diverse sfumature di diversi posti – e

sento dei sussurri in lingue che non conosco.

Come leggendomi nel pensiero, Catherine si avvicina e mormora: «Non sappiamo

granché di quello che è successo altrove, ma le fate hanno preso gente da tutte le parti.

Derrick è riuscito a salvare alcune persone prima che venissero incantate.»

Non solo la Scozia.

Lonnrach aveva dilaniato la Scozia per cercare l’oggetto in grado di salvare il Sìth-

bhrùth, ma la distruzione degli altri luoghi ha un altro scopo: ricostruire lo splendore

dell’impero delle fate una volta salvata casa sua. I suoi soldati stanno conquistando

nazioni intere.

Cosa mi aveva detto Kiaran una volta? Non abbiamo conquistato il dominio di tutti

i continenti con l’etichetta.

C’erano riusciti cancellando tutti gli esseri umani esistenti.

Superiamo un’altra bancarella che vende pane dal profumo paradisiaco e alcuni

clienti smettono di parlare per guardarmi mentre gli passo davanti.

«Non lasciarti intimidire» mi dice Catherine, rivolgendogli un sorriso disarmante. È

sempre stata più brava di me a socializzare e a farsi amici. «Sono solo curiosi. Era da

molto che non arrivava uno sconosciuto.»

«Sono abituata agli sguardi della gente» dico. «Ricordi?»

118

Tutti i balli a cui avevamo partecipato dopo la morte di mia madre erano stati un

disastro. Mi avevano trovata seduta accanto al suo corpo la notte dell’omicidio e molti

miei coetanei pensavano che c’entrassi qualcosa, o che fossi la diretta responsabile.

Catherine si era dedicata molto a difendermi dalle dicerie e dai sospetti.

«Gavin mi ha raccontato cos’è successo a tua madre» dice, girando intorno ad un

gruppo di giovani che mi sorridono esitanti. «Aileana, mi dispiace tantissimo.»

«Non dispiacerti» dico, non volendone più parlare. «Tu sei rimasta dalla mia part

quando nessun altro lo ha fatto. In ogni caso, come potevi saperlo?»

Ci fermiamo accanto ad un bellissimo edificio di marmo e passo il palmo della mano

lungo la colonna vicino alla porta. No, non è marmo. È liscio come il vetro e l’interno

della roccia assume colori che cambiano in base al modo in cui si muove la luce dei

lampioni a gas. Dall’avorio al rosa, al color lavanda… e poi da capo.

Catherine non distoglie lo sguardo da me. Non sembra accorgersi della gente saluta

lei con grandi sorrisi e me con apprensione. Come se non sapessero perché mi trovo

qui dopo aver passato tanto tempo all’esterno, o se sono pericolosa. Mi chiedo quante

altre persone sono venute qui dimostrando di non essere incantate. Non molte,

immagino… almeno, non dopo tre anni. Gli umani dei dintorni non avrebbero mai

potuto resistere tanto a lungo senza farsi uccidere o rapire dalle fate.

Finalmente Catherine parla. «Avrei dovuto dare retta a quella parte di me che ha

sempre saputo che mi nascondevi qualcosa.»

La guardo sorpresa. La sua voce è ferma, più rigida di quanto l’abbia mai sentita.

Comincio a rendermi conto che durante la mia assenza Catherine ha imparato a

padroneggiare la quieta forza che ha sempre avuto. Anche quando sta in piedi non

assume più la posa umile, con le mani unite, che ci avevano insegnato durante le nostre

lezioni di etichetta. Ha l’andatura di una leader, di una donna che ha lottato per

sopravvivere.

«Era palese, vero?»

Non avevo mai pensato di recitare la parte della debuttante alla perfezione. Sono

sicura che ci fossero sempre incongruenze nella mia performance, delle crepe nella

maschera indossavo per presenziare a feste e balli. Ombre del mostro dentro di me che

potevo saziare solo uccidendo.

Catherine alza le dita per fare il conto. «Intendi a parte i mal di testa, le sparizioni

durante i balli, l’olio sulla punta delle dita, le malattie misteriose, la…»

«Grazie» dico sardonica. «Ottima osservazione.»

«Accetta la realtà, ti conosco troppo bene. Sei ancora peggio di Gavin a mentirmi.»

Catherine fa un gran sorriso e mi prende sotto braccio. «Ora vieni. Ti faccio vedere il

resto.»

La pioggia batte sui ciottoli di pietra ad un ritmo costante. Seguo Catherine verso la

periferia della città, dove si staglia l’enorme parete della grotta. È piena di tunnel,

alcuni illuminati ed altri così bui che non riesco a vedere al loro interno.

Catherine sceglie uno stretto passaggio. Ci sono delle lanterne attaccate su entrambe

le pareti rocciose, al cui interno balugina la luce del fuoco. Le macchioline nella roccia

riflettono la luce e brillano quando passiamo.

Rabbrividisco nel mio nuovo cappotto. Nemmeno la lana di Derrick riesce a tenere

119

lontana l’atmosfera fredda e umida della grotta mentre scendiamo nelle profondità

della terra, giù per i gradini rocciosi e irregolari.

Ad un certo punto non ci sono più lanterne. La grotta brilla di luce propria, come un

bagliore sotto l’acqua, e ci sono delle ombre che si allungano per le pareti. Scendo i

gradini con molta cautela.

I movimenti di Catherine sono molto più sicuri dei miei. Deve scendere spesso qui

sotto. Una volta raggiunto il fondo del passaggio, la roccia brilla intorno a noi come se

ci trovassimo nello spazio, circondate da milioni di stelle.

Davanti a noi c’è un vasto terreno, illuminato dalla sola luce interna della grotta. Un

sentiero di pietra si estende nel prato, tra file e file di piante. Le punte azzurre intense

dei fiori risaltano immediatamente e io li guardo incantata. «Seilgflùr» sussurro.

Il cardo è alto e i fusti sono immobili. C’è silenzio intorno a noi, in questa parte della

grotta non si sente nemmeno il gocciolio dell’acqua. Non c’è sentore di creature che

vivono tra le piante. È tutto calmo e tranquillo.

Mi avvicino ai fusti, sfiorando il cardo, soffice come una piuma, con le dita. L’odore

del terreno è intenso, simile a fuoco, cenere e roccia… vulcanica. Il suolo che ho sotto

i piedi è morbido e umido.

Persino l’aria è diversa. Quando inspiro, riconosco tracce di legno di sandalo,

amamelide, ferro e persino fiori e dolci. È come se ogni briciolo di potere fatato che

abbia mai assaggiato fosse stato unito in un unico odore.

«A volte mi piace venire qui a pensare» dice Catherine camminando accanto a me.

«È tranquillo. Sicuro.»

Capisco perché un posto simile possa essere un rifugio. «Non sono mai riuscita a

coltivare il seilgflùr» le dico. «Ci ho provato per mesi.»

Non ero riuscita a coltivare nemmeno un ramoscello. Con l’acqua appassivano e

morivano. Persino schiacciando una pianta tra due vetri ermetici questa perdeva

rapidamente forza e lucentezza. L’abilità della Vista donata dalla pianta e la sua

efficacia come arma venivano meno dopo solo un paio di settimane.

«È una pianta alquanto difficile, vero?» chiede Catherine toccando delicatamente

uno dei fusti.

Sorrido leggermente. «Credo tu non possa dirmi come si coltiva, vero?»

Catherine fa una pausa. «Posso. Dovevano essere le Falconiere ad occuparsi del

cardo.» Strappa un fiore e se lo gira tra le dita. «Aithinne mi ha affidato questi campi

solo fino al tuo ritorno.»

Oh, signore. Non ero per niente brava a coltivare le piante. «Li ucciderei tutti. Ti

ricordo che credevo che l’erba fosse un fiore e i fiori…»

«Fossero erba.» Ride. «Me lo ricordo.»

«Ma sono comunque curiosa.»

«Il seilgflùr si può coltivare solo al buio e su una neimhead, per sfruttarne il potere.

E deve essere fertilizzato con sangue di fata.»

La guardo sorpresa. «Come hai detto, scusa?»

Le sue labbra si piegano in un lieve sorriso. «Ah. A quanto pare non lo sapevi.»

Certo che no. Doveva essere per questo che Kiaran me l’aveva tenuto segreto; per

questo si era rifiutato di farmi coltivare una pianta tutta mia. Doveva aver pensato il

120

peggio: che avrei trovato una neimhead per creare un campo come questo e che avrei

usato il sangue delle mie vittime come fertilizzante.

Avrei ucciso di più per occuparmi della mia scorta e tenere vive le piante.

Completamente ignara del fatto che con le mie uccisioni indicavo a Sorcha la mia

posizione. Sarei diventata un mostro peggiore di quanto già non sia.

«Da dove prendi il sangue?» le chiesi con voce roca.

«Fa parte della tregua» risponde piano. «Rispettano la loro parte del patto fornendoci

sangue e servigi.»

Cosa gli promettete in cambio?

Proprio in quel momento una bassa luce dall’altra parte del campo attira la mia

attenzione e la domanda mi si spegne tra le labbra. Lì c’è una porta il cui contorno è

illuminato. È alta almeno tre metri ed è fatta di un legno pesante e bruciato. Nei pannelli

sono incisi dei simboli che mi ricordano quelli che ho visto sul sigillo di Aithinne.

Faccio vagare lo sguardo su quelle incisioni intricate. Mentre mi avvicino vedo che la

porta è leggermente aperta, la luce al suo interno balugina come se appartenesse ad un

fuoco. Da dentro riecheggiano delle risate, dopodiché parte un lento e forte suono di

tamburo. Al ritmo si aggiunge una cornamusa e le sue note basse riecheggiano dai muri.

La canzone è bellissima, non ho mai sentito un suono di cornamusa tanto pulito; ogni

nota forma una ninna nanna continua.

Chiudo gli occhi e dare un senso alla canzone. Ecco, sembra un ricordo perduto da

tempo. Mi viene in mente una notte passata in campagna da bambina. I falò accesi

prima dell’ultimo giorno dell’anno, quando la gente portava con sé torce per tutto il

villaggio. Suonavano la cornamusa e cantavano, mentre io li guardavo da una finestra

della tenuta.

Mi avvicino un po’ e il sapore dei poteri delle fate che si mescolano tra loro è così

forte che non riesco a distinguere nemmeno una specie. Quando raggiungo la soglia,

poggio i palmi sulla porta pesante. L’energia dei simboli è così forte da farmi

rabbrividire.

«Aileana!»

Catherine mi tiene saldamente per un braccio. Trasalisco. La musica è sparita

improvvisamente, come se non fosse mai esistita. La porta davanti a me è ben chiusa e

tra le fessure nel legno non si vede nessuna luce.

«Che diamine è stato?» Ho la lingua impastata, brucia di potere.

Catherine mi tira via. «Noi non entriamo lì.» Stringe la presa. «Non ci entriamo mai.

Hanno giurato che non ci faranno del male se si trovano dalla nostra parte, ma non

saremmo protetti se visitassimo la loro.» Mi scuote, sfogando la sua preoccupazione.

«Hai capito?»

Per poco non le dico che non ho capito un bel niente, ma il potere è ancora così

travolgente che faccio fatica a parlare e a concentrarmi su altro. Do un’occhiata alla

porta e il sapore ritorna, questa volta sotto forma di un leggero e persistente tocco di

petali di fiori sul mio palato, meno potente. Giurerei che le incisioni sulla porta pulsano

e brillano.

Tocco di nuovo il legno e il potere batte più forte. «Li percepisco. Santo cielo, in

quanti vivono lì dentro?»

121

«Centinaia, forse migliaia. Hai sentito la musica?» Al mio cenno d’assenso,

Catherine mi tira di nuovo per il braccio e lascio che mi allontani dalla porta fino al

sentiero relativamente sicuro. «È diversa per ogni persona. Rievoca un ricordo

piacevole, di modo che non si possa resistere.»

Ricordo improvvisamente le storie secondo cui la gente era convinta di sentire una

musica tra le colline o nelle rocce sporgenti. Non c’è nessuna musica, è solamente uno

dei tanti modi che usano le fate per manipolare gli umani. Sorcha una volta mi ha fatto

credere di sentire mia madre cantare.

«Sì» dico aspramente. «In passato una fata ha usato questa tattica con me.»

«È così che prendevano la gente quando vivevamo nelle rovine» mi dice Catherine.

«Sentivamo la musica quasi ogni notte. Alcuni riuscivano a resistere – i Veggenti sono

quasi completamente immuni – ma la maggior parte no.» Sospira e mi lascia andare.

«Mia madre non ci è riuscita.»

Forse Daniel e Gavin fanno bene a non fidarsi di me. Non riuscendo ad attingere alle

mie piene capacità da Falconiera sono rimasta vulnerabile all’influenza di Sorcha e

poco fa le fate avrebbero potuto manipolarmi e farmi oltrepassare la loro porta.

Lonnrach ha già usato due volte questa stessa debolezza contro di me e ho appena

spezzato il nostro legame.

«Come fai?» chiedo a Catherine. Kiaran l’aveva incantata con facilità ad Edimburgo.

No so come abbia fatto a proteggersi senza possedere alcun tipo di resistenza naturale.

«Come hai fatto a resistere così a lungo?»

Catherine serra la mascella. Senza dire niente, si alza la manica della pesante maglia

di lana e scopre la parte inferiore dell’avambraccio. Lì, incisi sulla pelle, ci sono dei

graffi. Alcuni sono lunghi e frastagliati, alti sono delle mezze lune ben impresse nel

suo braccio. Alcuni sono sbiaditi, cicatrici che sembrano vecchie di anni. Altri hanno

la crosta e sono punteggiati di sangue secco, come se risalissero a pochi giorni fa.

«Santo cielo» sussurro.

Si abbassa la manica e non mi sfugge il tremore delle sue dita. «Non gli permetterò

di controllarmi» dice risoluta. «Se il dolore tiene a distanza il loro ascendente, allora

farò il necessario per sopravvivere. Non farò la fine di mia madre.»

Non farò la fine di mia madre. Ho perso il conto di quante volte ho fatto la stessa

promessa. Ho giurato a me stessa che non mi avrebbero uccisa come era successo a

mia madre: per strada, a pezzi e insanguinata. Il mio cuore sarebbe stato un trofeo per

la fata che fosse riuscita ad uccidermi.

Come posso dire a Catherine di smettere di fare ciò che l’ha fatta sopravvivere?

Dopotutto non sono un gran bell’esempio per lei. Visto che ciò che è successo a mia

madre mi ha resa un’assassina.

Guardo di nuovo la porta e chiedo: «Perché gli permettete di restare? Sono

pericolosi.»

Catherine sospira stancamente. «Perché abbiamo bisogno di loro. Il loro sangue tiene

in vita il cardo. Cacciano per noi, coltivano il cibo e ci aiutano a costruire le case.

Inoltre impediscono alle fate all’esterno di percepire la nostra presenza qui. Non

avremmo voluto questa alleanza, ma non possiamo sopravvivere là fuori.»

«Ma vogliono sempre qualcosa in cambio» sbotto. «Non è nella loro natura aiutare

122

senza essere ripagati.»

«Aileana…»

«No. Credo di capire.» L’effetto del potere delle fate è ancora così forte che mi dà

un senso di nausea. «Il motivo per non ci sono protezioni che impediscano agli umani

di superare la porta. Il motivo per cui la tregua non tocca la loro musica.» Fatico a dirlo.

«Se qualcuno la sente e non riesce ad impedirsi di venire qui, voi lo lasciate fare, non

è vero? Fate finta di non vedere in cambio di quello che sono disposti a darvi.» Davanti

al silenzio di Catherine, mi allontano di un passo. «È… non ci posso credere.»

Catherine chiude la bocca di scatto. «Non guardarmi così. Non credi mi tolga il

sonno la notte?» Distoglie lo sguardo. «Ho messo il campo qui di proposito, per tenerli

al sicuro. Finché restano nella città, il cardo gli impedisce di sentire la musica.»

«Allora cos’altro gli date?» rido aspramente. «Perché non puoi dirmi che le fate si

accontentano di avere vittime umane sporadiche.»

«Un rifugio» risponde Catherine duramente. «Protezione.»

Emetto un verso disgustato. «Non gli serve alcuna protezione. Santo cielo, sono loro

ad uccidere gli umani. Probabilmente stanno tramando la nostra rovina, cercando un

modo per aggirare la tregua. Non ci si può fidare di loro.»

«Non lo sai, vero?» chiede, improvvisamente comprensiva. «Hanno dato la caccia

anche a loro.»

Sussulto sorpresa. «Come, scusa?»

«È una promessa che facciamo prima della Caccia Selvaggia.» La voce di Kiaran

risuona forte alle nostre spalle.

Mi giro. Kiaran è sul sentiero di pietra, tra le scorte di seilgflùr; un posto rischioso

per lui. Se dovesse anche solo sfiorare la pianta, il cardo gli brucerebbe la pelle. Indossa

dei pantaloni neri e una camicia bianca pulita con il colletto slacciato.

Gli occhi di Kiaran si incatenano ai miei. Quello sguardo è molto intimo.

«Marbhaidh mi dhuibh uile» dice piano. «Li ucciderò tutti.»

Come se lui ne sapesse qualcosa. Come se l’avesse già detto prima.

Catherine, accanto a me, s’irrigidisce. Vedo che infila la mano sotto la manica per

conficcare le unghie nella pelle. Sussulto.

«Perdonate la maleducazione» dice. «Credo che abbiano bisogno di me altrove.»

Prima che possa protestare, Catherine si allontana a grandi passi. Supera Kiaran e si

sposta tra le scorte del cardo, mettendo più distanza possibile tra loro. Scompare nel

tunnel da cui siamo venute.

«Cos’hai fatto a Catherine?» chiedo. Mi viene in mente una cosa. «Non dirmi che si

ricorda della volta in cui l’hai incantata per sbaglio nel parco?»

Le sue labbra hanno un tremito. Il quasi-sorriso di Kiaran. Il solo vederlo mi fa

perdere un battito. «Quello resta un nostro segreto.»

«Allora perché ti guarda come se volesse avere i mezzi e l’opportunità di ucciderti?»

«La mia specie ha assassinato quasi tutte le persone che conosceva» risponde. «Non

si fida di me.»

«Beh, hai minacciato di mutilare suo marito.»

So che anche io non dovrei fidarmi di Kiaran dopo tutto quello che ha fatto. Ma la

verità è che non ricordo un preciso momento in cui ho deciso di fidarmi di lui. È…

123

successo e basta. Così come sono arrivata a tenere così tanto a lui. Tra i nostri momenti

di caccia, uccisioni e baci, ha lasciato il suo marchio nelle mie ossa.

Ora capisco perché Kadamach ha smosso mari e monti per trovarti.

Non dico a Kiaran che nella prigione di Lonnrach i ricordi che avevo di noi erano

quelli a me più preziosi. Che passavo ore a cercare di ricordare ogni dettaglio del suo

bacio, ogni emozione, ogni parola, per dimostrare che non ero un animale abbandonato.

Che non significava nulla.

Mi giro dall’altra parte. È meglio se non lo sguardo. Provo già troppe cose che vorrei

non provare. «Hai detto che è una promessa che fate. Vuol dire che anche tu l’hai

fatta?»

D’un tratto è vicino a me. Sento il calore del suo corpo, i suoi muscoli tesi come

quelli di un predatore pronto ad attaccare. Ho il suo respiro su collo, le sue labbra sono

abbastanza vicine da sfiorarmi la pelle. «Sono stato il primo a fare quella promessa.»

Non oso muovermi. È intollerabile quando diventa così, in parte seducente e in parte

pericoloso.

Con un movimento istintivo, avvicino la mano alla cintura dove tengo la mia arma.

Maledizione. L’ho lasciata nella mia stanza. «Quando?»

«Quando la prima Caccia Selvaggia depredò la terra e uccidemmo tutto ciò che si

trovava sul nostro cammino.» Sto per allontanarmi, ma Kiaran mi ferma stringendomi

le dita con le sue. «Chi credi abbia portato la città dei pixie alla rovina?» Le sue labbra

sono vicine al mio orecchio, un bacio posato sulla curva sensibile del mio collo.

Rabbrividisco. «Io.»

Mi allontano di scatto. Maledizione, l’avevo dimenticato di nuovo.

Un tempo Kiaran era Kadamach: uno spietato assassino, tra i peggiori delle fate. È

stato il suo amore per un’altra Falconiera a cambiarlo, a farlo schierare dalla parte degli

umani. Ma questo non significa che sia buono o innocuo. In fondo tutti credono che i

tassi siano innocui, e poi ti mordono.

«Hai ucciso la famiglia di Derrick» dico con voce piatta.

«La sua famiglia, i suoi amici.» Gli occhi di Kiaran brillano nella luce tenue del

campo, straordinariamente intensi e straordinari. «Quasi tutti i suoi cari.»

Santo cielo. Parla di uno sterminio con tanta freddezza, come se mi stesse spiegando

come usare una nuova arma. Il suo scarso interessamento accende in me la rabbia.

«Perché?»

«Perché?» Kiaran serra la mandibola. «Perché tu dormi, provi sentimenti e fai le

cose tipiche degli umani senza pensarci due volte? Li ho uccisi perché per me era come

respirare.» Cerca di avvicinarsi per toccarmi, ma io indietreggio. Abbassa le mani sui

fianchi. «Sono stato creato per questo.»

Riesco ad immaginarlo facilmente in quelle vesti. Sono quelle che indossa quando

andiamo a caccia insieme, come se amasse le battaglie più di ogni altra cosa al mondo.

L’affondo di una spada, una lama che attraversa tendini e ossa… il ritmo di

un’uccisione.

Ti ho resa uguale a me. Io cacciavo perché era il mio modo di esistere. Un’uccisione

dopo l’altra. Come fanno i mostri.

«Te ne penti mai?» sussurro. «Di tutto quello che hai fatto?»

124

Il suo sguardo è vuoto. Non c’è traccia di rimorso o pentimento. «Non me ne faccio

niente dei rimorsi.»

«Non hai risposto alla mia domanda.»

Kiaran sorride. È quel sorriso bello e finto che mi fa stringere il cuore. Il suo volto è

una maschera, perfetta e immacolata, senza traccia di passione ed emozioni. Persino le

statue sono più vive.

«Cerchi ancora del buono in me, Kam?» Prende il fiore di un cardo tra le dita, come

per ricordarmi che effetto ha. Trasalisco nel vedere la sua pelle ustionarsi e bruciare

quasi immediatamente. Non lo lascia andare, non mostra alcun segno di dolore.

«Continui a desiderare che io sia rispettabile?»

Allungo una mano e gli stringo forte il polso. «MacKay, basta.»

Kiaran lascia andare il cardo. Il suo sorriso finto è sparito. «Quanto ancora devi

sapere del mio passato per capire che non c’è nessuna parte umana in me?»

«Tu non sei Kadamach» sbotto. «Non più. È da migliaia di anni che lo non sei più.»

C’è un’ombra di emozione nel suo sguardo che sparisce in fretta. «Pronunci quel

nome come se sapessi cosa significa.» Indica qualcosa alle mie spalle. «I sìthichean

dietro quella porta hanno una memoria lunga. Anche il tuo pixie. Per loro sarò sempre

Kadamach.»

«Eppure quando hai lottato al mio fianco per proteggerli il tuo passato non contava.»

Mantengo il suo sguardo e riduco la voce ad un sussurro. «Quando mi hai baciata non

contava.»

Eccola, un’emozione dietro quello sguardo solitamente freddo e distaccato. Non

volendo vederla sparire, mi avvicino come ha fatto lui. Sento il suo respiro fermarsi…

solo un momento, ma me ne accorgo comunque. Sento la sua mano stringersi nella mia

e qualcosa di simile al desiderio attraversa la sua espressione.

Poggio il dito sul battito del suo polso e apprezzo il modo in cui si fa più veloce.

«Per me sarai sempre Kiaran.»

Emette un suono dal profondo della gola e mi stringe la maglia. Preme le labbra sulle

mie, morbide e insistenti. Bramose. Di più, voglio di più. Approfondisco il nostro

bacio…

E poi il suono forte e meccanico di una sirena risuona tutto intorno a noi, facendomi

staccare dalle sue braccia.

«Che diavolo è?»

«Il sistema di allarme.» Kiaran respira affannosamente. «Significa che ci sono dei

sìthichean nel territorio.»

125

Capitolo 21 Traduzione: Ella

Pre-Revisione: Noir

Kiaran mi conduce per le vie della città. Osservo le persone affrettarsi verso i propri

appartamenti e le loro camere con balcone nella struttura ad alveare.

Battenti e porte vengono sbattute intorno a me. Sono affascinata dal silenzio,

dall’assenza di panico. Se qualcuno parla, lo fa in sussurri sommessi, incoraggiando a

darsi una mossa. Le persone della città si muovono con un passo efficiente e affrettato,

come se lo avessero già fatto molte volte prima. Devono averlo fatto, quando vivevano

nelle rovine che ha descritto Gavin.

Mi chiedo se almeno realizzino che queste mura non li proteggerebbero se le fate

facessero breccia nella città. Per quante protezioni Derrick potesse erigere, non

sarebbero durate a lungo. Sarebbero morti in un istante.

«Questo posto è sotto assedio spesso?» Chiedo, mentre una coppia ci sorpassa di

gran corsa per raggiungere la propria dimora.

«No.» Kiaran mi guida lungo una vicolo così stretto che le luci dei lampioni della

strada non lo raggiungono. «Non hanno trovato la città. Di solito c’è qualche soldato

isolato che perlustra la foresta qui vicino.» Questi allarmi sono per qualcosa di così

innocuo? Si accorge della mia espressione sorpresa. «Siamo estremamente cauti per un

motivo.»

Mi ricordo delle parole di Gavin. Un altro attacco lascerebbe la nostra popolazione

decimata.

Appena prima di mettere piede fuori dagli edifici, le luci della città si spengono e

l’allarme improvvisamente si spegne. Uno a uno, i lampioni si spengono e noi veniamo

lasciati al buio. Guardo in alto. Persino i fuochi fatui hanno cessato di danzare sopra di

noi. Questi ultimi si dirigono, in una scia luminosa, verso un passaggio nel retro della

caverna e le loro luci sfavillano mentre fuggono. Le nuvole sono sparite. Non c’è niente

a eccezione del vivace brillare delle rocce e il suono regolare dei nostri respiri.

«Tieni il passo, Kam.» Dice Kiaran da sopra la sua spalla.

«Vedo che la tua pazienza non è aumentata» mormoro, raggiungendolo. Questo mi

ricorda le nostre cacce, come dovessi sempre adeguarmi al suo passo affrettato tra le

strade di Edimburgo. «Quindi, dove stiamo andando?»

Kiaran mi afferra la mano, premendo il palmo contro il mio mentre ci dirigiamo

verso un altro vicolo buio. «Quando il sistema di sicurezza è innescato, i Veggenti si

incontrano per valutare la minaccia.» Mi guida lungo un’antica rampa di scalini di

pietra. «Devi partecipare.»

L’aria intorno a noi si fa più fredda, come se anche il sistema di riscaldamento della

città fosse stato spento. «Veggenti? Intendi dire che ce ne sono altri oltre a Gavine e al

marito di Catherine?»

«Altri due matti da legare. Insieme, hanno lo stesso buon senso della gamba di una

126

sedia.»

Curvo le labbra in un sorriso. «Sono davvero l’unica umana che sopporti?»

«Hai un certo fascino. Col tempo ha avuto effetto.»

Non riesco a trattenermi dal ridere. «Ti prego, non sforzarti con i complimenti.»

Rimane in silenzio per un po’. Non so dire se stia ancora sorridendo. Il suo tocco mi

stupisce, le dita si intracciano alle mie. «Kam» dice, la sua voce poco più che un

sospiro, «Ba mi gad ionndrainn.»

Il suo tono è così serio che non posso impedirmi di fermarmi. «Cosa significa?»

Lui si avvicina e mi bacia una sola volta, dolcemente. «Mi sei mancata.»

Io arrossisco, le guance in fiamme. Gli sono mancata? Gli sono mancata. Non so

nemmeno cosa pensare.

Kiaran mi lascia e si volta. Sento lo scatto di un chiavistello prima che lui apra una

porta che non avevo nemmeno notato. Delle luci dorate fluiscono nel vicolo buio.

Mi fa cenno di entrare e lo seguo dentro un’imponente stanza così lussureggiante

da togliermi il respiro.

Il pavimento è rivestito di mogano lucido che riflette la luce del lampadario in alto.

Le pareti sono coperte da arazzi, intricati nei loro dettagli, cuciti con filigrane che

splendono al pari dell’interno di una conchiglia.

Gli arazzi descrivono battaglie epiche tra le fate e tutti mostrano i pixie come

vincitori. Alcuni raffigurano i trofei che i pixie hanno conquistato: le teste cadute dei

loro nemici. Le battaglie hanno luogo davanti un castello di vetro appuntito, una

mostruosità che torreggia sopra ogni cosa.

Noto un viso familiare tra i ricami. Derrick, con la spada in mano. Derrick coperto

di sangue. Derrick in piedi vittorioso sopra una pila di cadaveri di fate. Derrick…

«Che diavolo ci fanno loro qui?»

Guardo là dove Daniel sta in piedi con le mani strette a pugno contro i fianchi, lo

sguardo colmo di pura rabbia. Catherine e Gavin sono dietro di lui, e gli altri due

devono essere i Veggenti che Kiaran mi ha appena menzionato. Il dannato pixie in

questione sfreccia intorno a Daniel in una scia dorata.

Vedendomi, Derrick si slancia verso la mia spalla e vi si siede sopra. «Bene, ora che

siete qui possiamo scoprire chi se ne va a zonzo qui fuori. Ignora il Ciclope arrabbiato.»

Daniel si avvicina in modo altero, gli stivali pesanti contro il tappeto tessuto d’oro.

Sento le imprecazioni mormorate di Catherine mentre lo segue. «Daniel, fermo.»

Lui non la ascolta. Ora che siamo in piena luce studio meglio i suoi lineamenti.

Daniel non è bello in nessun modo convenzionale, il mento è coperto da una barba di

due giorni, e l’occhio che gli rimane ha lo sguardo tagliente di un falco.

Daniel possiede una sicurezza che è innegabilmente carismatica. Tuttavia devo

ammettere di essere un tantino sorpresa dall’attrazione che Catherine nutre per lui. Mi

era sempre sembrato che preferisse uomini che fossero la perfetta definizione di

gentiluomo: ben istruiti, ben vestiti, ben educati, e, mi permetto di dire, uomini che non

sottopongono le donne alle torture delle fate.

A ogni modo, immagino di dover pur sforzarmi un pochino di essere gentile, dal

momento che è suo marito.

Daniel si ferma davanti a me. «Vattene» dice. Il suo occhio corre su Kiaran. «E porta

127

quella cosa con te.»

Beh, non c’era motivo di disturbarsi a essere gentili, allora.

«Daniel» lo aggredisce Catherine.

«Ehi, zoticone!» le ali di Derrick colpiscono il mio orecchio con rabbia. «È la mia

amica quella con cui sei scortese. Dì un’altra parola e…»

«Se viene fuori che il motivo dell’allarme è qualcosa di più serio di un soldato in

esplorazione» lo interrompe Daniel, senza mai distogliere lo sgaurdo da me, «come

facciamo a sapere che lei non ne è responabile? Potrebbe averli condotti direttamente

da noi.»

Derrick digrigna i denti. «Non lo sappiamo. Ora, calmiamoci.»

Ma Daniel non sta ascoltando. Si avvicina a Kiaran. «E questo bastardo

probabilmente li lascerà ucciderci tutti.»

Gli occhi di Kiaran lampeggiano di una luce indescrivibile. «Ne sarei tentato.»

Sto per intervenire, ma Catherine arriva prima di me. Mette una mano sul petto di

Daniel. «Smettila.»

«Stanne fuori» ringhia.

Se Catherine era arrabbiata prima, ora sembrava presa da una furia omicida. «Ho

detto. Smettila.» Dal momento che lui non si muoveva, Catherine gli afferra con forza

il braccio. « Ti devo parlare. Subito.» Mi guarda. «Torniamo tra un minuto.»

Se ne va con Daniel, sbattendo la porta dietro di lei con uno schianto che riecheggia

nella stanza. Dopo di ciò, tutti rimaniamo in silenzio. Poi mi ricordo della presenza

degli altri tre uomini che sono evidentemente inebetiti; Gavin e altri due che non ho

conosciuto.

Gavin si schiarisce infine la voce per colmare il silenzio imbarazzante. «Tavich,

Lorne. Permettetemi di presentarvi…»

L’uomo robusto, Lorne, ride ed è un profondo suono rombante. «Permettetemi.

Mister Lord-borioso-io-posseggo-una-contea.»

«Non fare lo stronzo, Lorne.» Dice Tavish. «C’è una signora presente, per l’amor di

Dio, amico.» Poi mi guarda. «Sono Tavish, ehm, Mister Grey.» Colpisce il suo amico

sullo stomaco, il quale si lascia scappare un vigoroso oof. «E questo maleducato figlio

di puttana è Mister Candish.»

«Se mi chiami Mister Candish» risponde Lorne, «non mi disturberò a rispondere.»

«Bene» commenta Gavin, «Dopo questa inverosimile presentazione…» Fa un cenno

verso di me. «Lei è Lady Aileana Kameron.» Dopo si volta verso Kiaran, con riluttanza.

«E avete già visto Kiaran, che…»

«Se ne sta andando» lo interrompe Kiaran, bruscamente. «La mia soglia di tolleranza

per gli umani è stata appena superata. Mandatemi il pixie nell’eventualità in cui io

debba pugnalare qualcosa.»

Con ciò, Kiaran gira sui tacchi ed esce a grandi passi dalla stanza. Dannazione a lui.

«Le fate sono un po’ brontolone, vero?» Commenta Lorne pensierosamente. Poi

lancia un’occhiata a Derrick. «Senza offesa.»

«Signori.» la voce di Catherine riecheggia per la stanza. Daniel entra dopo di lei e

ha l’aria di… beh, di un uomo che ha appena ricevuto una fustigazione verbale. «Per

quanto adori ascoltare voi tutti bisticciare come bambini, abbiamo una situazione da

128

affrontare.» Annuisce in direzione di Tavish. «Siete pronti?»

Tavish occupa la sua sedia. Muove la testa da una parte all’altra e scuote le dita come

per calmarsi. Con un lungo respiro si sistema meglio.

Lancio un’occhiata verso la mia spalla per vedere Derrick fissare Tavish con

insistenza. «Che sta facendo?» Sussurro.

Le ali di Derrick mi sfiorano l’orecchio mentre si avvicina. «I Veggenti hanno abilità

differenti» spiega a voce bassa. «Molti, come Gavin, possono vedere il futuro. Tavish

può proiettare se stesso fuori dal proprio corpo per vedere le cose che si verificano in

altri luoghi.»

Guardo Tavish con maggiore interesse. Il suo corpo è immobile, le dita si

contraggono e rilassano sul bracciolo della sedia. Il suo respiro si fa più profondo, e

ancora più profondo, finchè il suo petto non si espande sempre di più a ogni respiro.

«Ci sono quasi» respira, «ci sono quasi.»

Tutta la stanza è in silenzio; nessuno parla o si muove, e osservo mentre il respiro di

Tavish accelera, sempre più veloce come se stesse correndo.

Improvvisamente i suoi occhi si spalancano. Sono interamente bianchi, lisci come il

marmo. Espira lentamente, poi è come se non respirasse affatto. «Sono al confine

ovest» dice. La sua voce è calma, meccanica, a malapena umana. «Cinquanta, almeno.

Si sparpagliano tra gli alberi.»

«Dobbiamo prepararci a combatterli?» Non riesco a trattenermi dal chiedere,

temendo la risposta.

Lonnrach potrebbe essere là fuori a cercarmi, e non sono ancora pronta ad

affrontarlo. Ho bisogno di più tempo.

Daniel alza un sopracciglio. «Noi?»

Gavin si sposta per mettersi in piedi accanto a me. Si avvicina, così che gli altri non

sentano. «Non pensarci nemmeno» dice, «prima di attirare l’attenzione su di noi e

mettere in pericolo più vite aspettiamo finchè non ci sia una minaccia imminente.»

Prima che io possa rispondere, si rivolge a Tavish. «Sono semplicemente di

passaggio?» Domanda con leggerezza, ma c’è una tensione nella sua voce. Mi chiedo

se in passato abbiano perso persone quando le fate erano semplicemente di passaggio.

«Così sembra» afferma Tavish. La tensione abbandona il suo corpo. «Sembra solo

una normale perlustrazione. Dovrebbero essere fuori dal territorio in pochi minuti.»

Un improvviso movimento di Derrick cattura la mia attenzione. Sembra essere

profondamente concentrato, le ali che sbattono veloci come quelle di una libellula. Le

sue dita spingono un po’ troppo contro la mia pelle e la sua aura diventa più brillante,

il sapore del suo potere mi cresce sulla lingua.

«E le protezioni sono ancora in piedi» dice. «Bene, ora posso tornare a…»

«Cristo» ansima Tavish, la colonna vertebrale si irrigidisce mentre si raddrizza sul

posto. «Stanno cominciando a scavare.»

Daniel mi scruta scrupolosamente. So cosa sta pensando: stanno cercando me.

Lonnrach mi sta cercando.

Tutto quel che mi importa è trovare l’oggetto nascosto nel tuo reame. E tu mi

aiuterai, volente o nolente.

Trattengo l’imprecazione che mi sta per sfuggire dalle labbra, il mio corpo si tende.

129

«La loro postazione è sopra a qualche tunnel della città?» Chiede Daniel.

«Aye. Sono proprio sopra il lungo passaggio nel centro dell’isola. Se continuano a

scavare, lo troveranno.»

Daniel chiude brevemente l’occhio. «Quindi dobbiamo condurli da un’altra parte.»

Guarda Catherine, il suo viso si addolcisce per la prima volta da quando l’ho incontrato.

«Sai cosa fare se abbattono le difese. Guida tutti attraverso i tunnel e non aspettarmi.»

Li guardo abbracciarsi, e ho un’improvvisa sensazione che non dovrei essere qui

mentre si dicono addio. È troppo intimo. Troppo definitivo.

Derrick mi strattona l’orecchio. «Non stare lì a fissare. Fa’ qualcosa.»

Faccio un passo avanti per afferrare il braccio di Daniel. Si volta verso di me,

sorpreso. «Non puoi andare là fuori.» Gli dico.

«Non c’è nulla di cui preoccuparsi» dice, burbero, probabilmente perché sto

mostrando una qualche preoccupazione per lui. «Lo abbiamo fatto dozzine di volte,

prima.»

«Per l’amor di Dio, Ciclope» esclama Derrick dalla mia spalla. Le sue ali colpiscono

il mio orecchio. «Dalle ascolto.»

Daniel lancia uno sguardo a Derrick; Derrick gli restituisce l’occhiata. Anche se

Daniel sa che le fate stanno venendo per me, è comunque disposto a rischiare la vita

per allontanarli. Non posso lasciare che accada. Posso non essere pronta a combattere

Lonnrach, ma che io sia dannata se avrei permesso a qualcun altro di morire per me.

«Allora verrò con te.» Affermo.

Riconosco allora lo sgaurdo che mi lancia Daniel: è la stessa espressione che gli

uomini mi riservavano durante i tè delle cinque o i balli quando cercavo di parlargli di

scienza e ingegneria. Lo stesso sguardo educato e superiore di un uomo che vuole

ringraziarmi per aver contribuito alla conversazione, ma che sostanzialmente non crede

io sappia cosa diavolo stia facendo.

Le ali di Derrick stanno ronzando così velocemente che mi fanno male all’orecchio.

«Aye. E verrò anche io.» Dice. Di fronte lo sguardo tagliente di Daniel, Derrick

risponde, «Cosa? Sono immortale e lei una Falconiera. Abbiamo più possibilità di

tenerli lontani che il resto di voi. Ti ho visto con una spada. Fai schifo.»

Daniel è irremovibile. «Nel sottosuolo ricordo che lei aveva urlato qualcosa a

proposito di una Falconiera, e non significa assolutamente nulla per me.»

«E non fa alcuna differenza. Lei non verrà.» Gavin si unisce a noi, con

un’espressione dura. «Aileana rimane con Catherine. Tavish rimarrà qui e guarderà da

lontano; vi avvertirà se succede qualcosa.»

Cosa diavolo sta facendo?

Daniel, Gavin e Lorne si voltano e raggiungono a grandi falcate l’uscita. Catherine

lancia un’occhiata alla schiena del fratello. «Non ascoltarlo. Dovresti essere lì fuori

anche tu.»

Annuisco. «Derrick, dammi un momento.»

«No» dice Derrick. «Non ti voglio da sola con lui dopo quello che ti ha fatto.»

Continuo comunque a non fidarmi di Gavin. Non riesco a sopportare il dolore del

suo tradimento ogni volta che lo guardo, anche dopo che mi ha spiegato perché non mi

ha detto nulla dei fuochi fatui.

130

Con una carezza veloce alle ali di Derrick, dico: «sarò sempre in vista. Lo prometto.»

Vola via dalla mia spalla con riluttanza e io mi affretto a seguire gli uomini.

Trattengo Gavin per la stoffa della sua camicia prima che possa sfuggirmi.

«Lasciami andare» mi dice.

«Sei diventato stupido? Tu sai cosa sono.»

Gavin incrocia le braccia. «Ed è per questo che resti.»

«Chiedo scusa?»

«Se vieni là fuori con noi, non si fermeranno finchè non ti avranno. Chiameranno

rinforzi e noi potremmo non farcela a uscirne vivi.» Tiene la voce bassa così Catherine

non può sentire. «Stiamo cercando di allontanarli, non di scatenare una battaglia.»

«Non li combatterò» replico. «Lasciami soltanto essere lì in caso succedesse

qualcosa.»

«Ho detto di no» Gavin parla così bruscamente che quasi indietreggio. «Non posso

fidarmi della tua parola sul fatto che non comincerai a sterminarli. Ti ho visto uccidere.

Io ero lì. Cos’è che mi dicesti? Tu ti diverti.» Scuote la testa, «Anche se manterrai la

tua promessa, non farai altro che dargli un incentivo in più per trovarci.»

Le sue parole mi feriscono. Non ho bisogno di scoprire dove Lonnrach avesse

marchiato quel ricordo. Non ho bisogno di vederlo per ricordare la soddisfazione che

una volta provavo per un’uccisione, la fame di uccidere ancora. Era ciò per cui vivevo;

era il mio scopo. Mi crogiolavo nella caccia come se ne necessitassi per vivere.

«Tu non ti fidi di me» dico, conoscendo già la risposa.

La verità è che non lo biasimo. Ti ho resa come me, disse una volta Kiaran. Come

me. Ora mi chiedo se intendesse se stesso come Kiaran, o se intendesse Kadamach.

I lineamenti di Gavin si fanno pià dolci, come se avesse letto i miei pensieri. «Non

è questo. Quando verrà il giorno in cui avremo bisogno di combattere, tu sei quella che

vorrò al mio fianco.» Mi afferra per le spalle. «Mi fido di te. Davvero. Solo non su

questa cosa.»

Questa volta quando se ne va, lo lascio andare.

Gavin non sa della stanza con gli specchi. Non sa che quella mi ha privata

dell’insaziabile bisogno di uccidere, il bisogno che mi ha fatto uscire ogni notte con

una costante voce sussurrante che diceva caccia uccidi mutila.

Non sa che ho visto quella parte di me in uno specchio, e che mi ha terrorizzata a

morte.

Percepisco Catherine arrivare alle mie spalle. «Cosa ti ha detto?» Sento la rabbia

nella sua voce, il suo essere protettiva, anche ora che sa cosa sono.

«Niente che non mi sia meritata.»

131

Capitolo 22

Traduzione: Valeria7692

Pre-Revisione: Noir

Catherine suggerisce di aspettare nella mia stanza, nel caso in cui abbia bisogno di

prendere un’arma e scappare velocemente. Ha fatto sedere Tavish sul divano, mentre

lui osserva Gavin e gli altri nella sua visione. Tavish è tranquillo, i suoi occhi di marmo

sono spalancati e vetrosi.

Catherine e io siamo sedute sui cuscini del davanzale della finestra, osserviamo la

tempesta che imperversa nell’Edimburgo immaginaria. Una pioggia vorticosa mista a

granelli di ghiaccio colpisce la finestra con una forza tremenda. Nonostante sia a

malapena il crepuscolo, tutti i lampioni sono già accesi lungo la strada.

Vorrei aprire la finestra, ma ho paura che l’illusione possa andare in mille pezzi. Ho

paura che l’Edimburgo della mia immaginazione possa sparire e lasciare il posto alla

roccia lucida della città sotterranea.

E adesso…sono tentata di provarci. Sarei in grado di esplorare un’Edimburgo

costruita interamente nella mia immaginazione? Nient’altro che me nel posto che ho

contribuito a distruggere.

«Potresti far splendere il sole» osserva Catherine, appoggiando la schiena contro la

parete mentre guarda con me la pioggia, «o far spuntare l’arcobaleno. Magari anche

due o tre se volessi.».

So che me lo sta chiedendo solo per distrarsi da quello che potrebbe succedere a

Daniel, Gavin e Lorne. Come se cambiare il tempo in un qualcosa di più sereno potesse

essere di conforto, anche se per poco. Voglio provarci, solo per lei, ma sono trattenuta

dal bisogno di tenere Edimburgo esattamente come la ricordo, rovesci vento e tutto il

resto.

«E se non volessi gli arcobaleni?» Le chiedo, percependo il freddo ogni volta che il

vento fa infrangere la pioggia contro la finestra. È così reale che mi è difficile credere

che non siamo lì. «E se volessi ricordare le tempeste di Edimburgo esattamente per

com’erano? Duravano giorni, ricordi? A volte addirittura settimane. »

Posai poi lo sguardo su Tavish, i cui occhi di alabastro restavano fissi. È ancora

dentro la visione, interamente concentrato sul posto dove esercita la sua Vista. Potrei

agitargli una mano davanti al viso o urlargli contro, ma lui non se ne accorgerebbe

neanche. C’è bisogno del contatto fisico per riportarlo alla realtà.

La sagoma di Tavish è incorniciata dal portone aperto che porta alla città delle fate,

intorno a lui le luci di mille altre porte, come in cima a una struttura ad alveare. Tutte

portano verso mille mondi, verso alcuni frammenti delle nostre vite passate. Mi chiedo

fino a che punto la magia di questo posto possa reggere prima di piegarsi e rompersi

rivelando la realtà: niente di tutto ciò è reale.

132

«Sì» replica Catherine asciutta, «quando c’era vento, non potevo mai uscire senza

rompere un ombrello.»

«Che cosa hai creato dietro alla tua porta?» Le chiedo, non ho voglia di continuare

a parlare di ombrelli o arcobaleni. Serve soltanto a distrarci dal mondo in cui viviamo

adesso, dove le persone che amiamo sono costantemente in pericolo. «Anche tu la tua

stanza?»

Gavin dice che non posso riportare indietro i morti, che non posso vivere in un

mondo immaginario dove mia madre è ancora viva, ma se aprissi la finestra e la falsa

Edimburgo non sparisse? Potrei entrarci e non uscirne più?

«A volte» risponde Catherine dolcemente, «oppure immagino il giardino della nostra

tenuta ad Ayr durante la primavera, quando le campanule ricoprivano il prato.» Fa una

pausa. «In questo momento ho creato una barca nel mezzo del Mediterraneo, caldo e

tranquillo, con le onde che sciabordano intorno a me. È sempre il tramonto lì. Lascio

che il cielo si tinga di un rosso acceso.».

Sorrido della sua descrizione. «Non sei mai stata nel Mediterraneo».

«No.» Il suo sorriso è triste. «Leggevo il diario di papà e immaginavo di essere lì.

Una volta scrisse di quanto lì fosse caldo, di quanto raramente piovesse, sarei voluta

andarci un giorno.» Con il dito segue le incisioni tracciate da Derrick sullo stipite della

finestra quando pensava che non me ne accorgessi, quelle tracciate nell’altra stanza,

nella mia vera stanza. «Adesso mi chiedo se ci sia ancora una Cipro o se le fae hanno

ucciso tutti anche lì.».

«Magari c’è ancora» replico, sentendomi subito in colpa per averle fatto pensare a

tutto ciò.

Catherine mi aveva chiesto di creare un arcobaleno, ma io le avevo ricordato tutte le

cose che aveva perso. A volte mi chiedevo se Lonnrach mi avesse portato via dalla

stanza che ora copiavo per rubarmi la speranza, per quanto lieve potesse essere, nello

stesso modo in cui mi aveva rubato i ricordi.

Cercai di resistere, solo per Catherine. «Forse le fae hanno ignorato un’isola così

piccola.».

«Forse.» Dice, forzando un sorriso per me. Come se avesse esattamente capito quello

che stavo cercando di fare. Sapevamo entrambe che probabilmente Cipro era sparita,

esattamente come tutto il resto.

«Non speri mai di poter restare sulla barca. Senza mai uscire?» Non riesco a

trattenermi dal chiedere, «nella tua Cipro immaginaria?».

«Gli umani non possono sopravvivere a lungo nel mondo che creano» dice, «siamo

in grado di costruire paesaggi con la nostra mente, ma solo i fae hanno il potere di

decidere cosa succede dietro alle loro porte. Ne approfittano per fornirci cibo e risorse.»

«Per noi, l’acqua si trasforma in cenere nelle nostre bocche. Il cibo diventa pietra.

Persino quello che ci portiamo da fuori, deve essere mangiato in fretta, prima che vada

a male. Alcuni vanno nei luoghi da loro creati solo per morirci. Lo trovano più facile

di…» si volta di colpo verso Tavish, le sue guance arrossiscono. Ma lui è ancora nella

sua visione, con gli occhi spalancati ma ciechi.

«Cosa c’è?»

133

«La moglie di Tavish» risponde a bassa voce, quasi un sussurro, «Hanno perso il

figlio quando hanno distrutto Aberdeen. Quando arrivò qua, giurò che lo avrebbe

riportato indietro e creò un mondo dietro alla porta, dove avrebbero potuto vivere tutti

insieme. Tavish andò in quel mondo per tirarla fuori, ma non riuscì a trovarla. Aveva

creato una campagna di miglia e miglia.».

Deglutisco con difficoltà. «Se non è riuscito a trovarla, come fa a sapere che è

morta?».

Catherine guarda di nuovo fuori dalla finestra. I suoi occhi sono umidi, ma le lacrime

non scendono. Forse, come me, ha imparato a non piangere. «Quando moriamo, i posti

che abbiamo immaginato tornano a essere roccia, e quelli che si trovavano al loro

interno non sono più nascosti.».

Oddio. La pioggia colpisce improvvisamente la finestra. Mi ero dimenticata

dell’effetto delle mie emozioni qui. La tempesta aumenta, sbatacchiando la stanza

finché il vetro s’incrina e la cornice della finestra si tende.

Catherine si avvicina e mi mette le mani sulle spalle, nello stesso modo in cui faceva

quando eravamo bambine.

Non dice nulla, non ce n’è bisogno. Mi conosce meglio di chiunque altro.

L’ansito teso di Tavish ci coglie di sorpresa. «Dannazione.» Si alza di scatto, poi si

risiede talmente velocemente che i piedi del divano scricchiolano.

Al mio fianco, il corpo di Catherine si tende. Il suo respiro aumenta. «Tavish?» Si

alza in piedi, toccandogli il braccio. «Cosa c’è?».

Non la sente; è di nuovo troppo preso dalla visione. «No, sono troppo vicini, così

finirete per andargli addosso. Non…»

Catherine gli stringe il braccio con più forza. «Tavish!» Lui sbatte le palpebre, i suoi

occhi sono di nuovo normali, dello stesso verde intenso che avevano la prima volta che

l’ho conosciuto.

Si alza in piedi così in fretta che barcolla. Si regge al bracciolo del divano, sembra

nauseato e debole.

«Stanno finendo in una trappola. I fae li isoleranno appena avranno raggiunto il

burrone.».

Sono già in piedi, prendo la spada che mi diede Aithinne, allaccio la cintura intorno

alla mia vita e la assicuro. «Non preoccuparti» dico a Catherine, «li riporterò a casa.».

Tavish alza lo sguardo. «Tu cosa?»

Vado verso l’armadio e busso due volte prima di aprirlo. Derrick alza lo sguardo da

una pila di vestiti. «Ma guardati. Spada fissata al fianco, espressione omicida. Stai

andando a fare una carneficina?».

Faccio una smorfia. «Vado a salvare delle persone.»

Derrick si alza di fronte a me. «Un cambiamento di stile per te» sogghigna, «mi

piace. Di cosa hai bisogno?»

«Devi trovare Kiaran per me» dico, «digli che avrà la chance di pugnalare qualcosa.»

Derrick arriccia il naso. «Speravo in un compito più interessante ma ok, va bene.

Andrò a cercare il bastardo.»

134

Se ne va così velocemente che l’unica cosa che riesco a vedere è un lampo di luce

fuori dalla porta. Lo seguo, afferrando il mio fucile appena caricato mentre esco dalla

porta. Mentre mi lancio la fondina sulle spalle, Tavish mi ferma. «Non andrai là fuori.»

«E vorresti fermarmi? Come?»

Tavish alza un sopracciglio. «Ascolta, calmati. Capisco che tu voglia aiutare, ma

non c’è niente che tu possa fare.».

La risata di Aithinne viene dalle nostre spalle. «È così bello, ma non molto

intelligente» dice amorevolmente, come se si trattasse di un cucciolo. «E ancora non

ha imparato a non sottovalutare una donna con una spada e un’arma da fuoco.».

Mi giro per guardare Kiaran e Aithinne che vengono verso attraversando il balcone,

Derrick subito dietro di loro.

Aithinne rivolge a Tavish il suo sorriso migliore, che risulta un po’ terrificante.

«Eilà!» Dice serenamente a entrambi. «Siamo cui per salvare le chiappe ai vostri

amici.» fa una pausa, «In realtà non posso promettere che le loro chiappe saranno salve,

ma sicuramente una buona parte di loro…»

«Quello che mia sorella sta cercando di dire» la interrompe Kiaran, «è che

riporteremo indietro i vostri amici. E probabilmente tutti interi.» Mi piace il modo in

cui mi guarda, con aspettativa e la traccia di un sorriso. Dio quanto mi era mancato.

«Pronta?»

Sì. «Sempre.» Ignoro l’espressione sbalordita di Tavish e chiedo: «Dove dobbiamo

andare?».

135

Capitolo 23

Traduzione: Valeria7692

Pre-Revisione: DustAngel

Cavalchiamo alla volta degli scogli sulla parte ovest dell’isola. Ossaig va a tutta

velocità, zigzagando nella campagna. Skye è ricoperta di ghiaccio in inverno; i cristalli

sottili che ricoprono i rami e i prati crocchiano sotto gli zoccoli di Ossaig mentre

raggiungiamo la cima delle colline.

Gli alberi lungo la scarpata sono caduti, i loro rami scricchiolano e gemono intorno

a noi. Non posso fare a meno di ammirare il modo in cui Kiaran cavalca al mio fianco.

Ci sono una tale compostezza, una tale calma nel modo in cui si regge in sella, nel

modo in cui fa ogni cosa.

Mi sforzo di concentrare l’attenzione sulla strada che taglia la foresta. La neve cade

sul terreno ghiacciato, si scioglie a contatto con le mie guance. Ossaig crea

un’atmosfera calda mentre corre. La sua pelliccia emette vapore, così come i miei

vestiti e la mia pelle. Appoggio le mani sulla calda e soffice pelliccia del suo collo e

gli sussurro un’unica parola: Veloce.

Accelera. Non si stanca; nemmeno la sento respirare. Avverto il movimento delle

sue membra meccaniche contro le cosce, percepisco il pompare costante del liquido

dorato nelle sue vene.

Perfino il panorama nevoso di Skye è bello, ultraterreno. Le colline sono ammantate

di bianco, i prati erbosi ricoperti da una sottile coltre di brina. Avanziamo tra gli alberi

fino ad arrivare in un’area del bosco talmente fitta che quasi non si riesce a vedere

oltre. Un intrico di rami scheletrici, ricoperti di una neve talmente fresca da non essere

stata ancora toccata.

I rami mi strattonano i capelli e il cappotto, spezzandosi intorno a me. Ossaig corre

silenziosa, i suoi zoccoli quasi non toccano il suolo della foresta. Lancio un’occhiata

dietro di noi e non ci sono impronte sulla neve. Resta candida, come se ci fossimo

volati sopra.

«Dirigiti a nord.».

La voce di Kiaran mi coglie alla sprovvista. Mi giro verso di lui. «Cosa? Ma Tavish

ha detto…»

«Ha ragione.» dice Aithinne, «li sento appena al di là delle colline.» Lancia un

sorriso a Kiaran e ci raggiunge velocemente, incitando la sua giumenta. «Quindi non

sei così distratto dopotutto, fratellino.».

Lui non la guarda. «Essere più vecchia di quaranta secondi non ti da il diritto di

chiamarmi fratellino.».

Non riesco a sentire nulla, solo mormorii e rami che si spezzano. Non sento

nemmeno gli uccelli o il fruscio di qualche animale.

136

Nonostante ciò, accarezzo dolcemente la criniera di Ossaig e la sprono a seguire

Kiaran e Aithinne. Sul nostro sentiero ci sono degli alberi con grossi rami scossi dal

vento. Oltre gli la barriera di alberi, di fronte a me, riesco a scorgere una luce. Ossaig

si dirige in quella direzione e finalmente usciamo dal bosco. Si ferma su di un alto

scoglio. Sotto di noi, il mare s’infrange violento contro le rocce. Una leggera pioggia

mi colpisce il viso e aderisce come ghiaccio alla mia pelle.

Scandaglio gli scogli e mi accorgo di alcune figure in lontananza, tre, con un gruppo

di fae alle loro spalle. Una cinquantina in totale. Che diavolo!

Ci fermiamo e Kiaran dice ad Aithinne, «È passata un’eternità dall’ultima volta che

hai assistito a una battaglia. Pensi di esserne all’altezza?».

Aithinne sembra compiaciuta. «Certo che ne sono all’altezza. Sono in perfetta

forma. Sono sempre stata la guerriera migliore.».

«La migliore a barare.» borbotta Kiaran guardando le Seers che sfrecciano verso di

noi con le armi sulla schiena.

«Ma per favore. Accusarmi di barare è una scusa da perdenti, fratellino.» gli sorride.

«Devi lavorare sul tuo gioco di piedi. È terribile.»

Non sembra minimamente colpito. «Non ti credo.»

È incredibile il modo in cui entrambi restano calmi. Io, prima di ogni battaglia, mi

sento elettrizzata. Il mio cuore batte forte contro il petto e quasi non riesco a stare

ferma. L’energia mi riscalda la pelle, sciogliendo il ghiaccio.

Mi riporta in vita. Non come prima, non piena di vendetta, rabbia o furia, ma con

volontà. Voglio che i soldati di Lonnrach mi vedano così, non come la ragazza che

hanno derubato dei suoi ricordi. Quando Lonnrach verrà informato della loro morte,

voglio che sappia che siamo state io e Aithinne insieme. Voglio che sappia che non è

mai riuscito a distruggerci.

Ho già il fucile in mano, è carico e pronto a sparare, la sua gittata può ferire un

gruppo di fae in maniera molto più grave di quanto una spada possa fare all’inizio di

una battaglia. Conserverò la spada per il corpo a corpo.

Da dietro la spalla di Aithinne, Kiaran incrocia il mio sguardo. Scorgo una scintilla

di anticipazione. Ama questo momento tanto quanto l’amo io. La calma prima della

tempesta.

Aspettiamo finché le Seers non sono più vicine. I tre uomini si fermano, i loro cavalli

fatati di metallo protestano per la frenata improvvisa. «Cosa pensate di fare?» il viso

di Daniel è arrossata, una ferita sanguina sulla sua fronte.

L’anticipazione mi calma. Dev’essere questo il modo in cui si sentono Kiaran e

Aithinne: nessuna emozione, solo la prontezza.

Lo voglio. È una cosa semplice. Non c’è spazio per la paura o il panico. C’è posto

solo per la presa salda della mia mano sull’arma, per il modo in cui il mio corpo si

risveglia al pensiero della battaglia. È davvero diverso da quell’insaziabile voglia di

uccidere qualcuno.

«Siamo qui per salvarvi il culo,» dico. «Andate in città e rimaneteci. Li tratterremo

abbastanza da impedirgli di seguirvi.».

137

Lorne ringhia, non è un suono piacevole. «Stai dicendo sciocchezze,» dice. Fa un

cenno verso Aithinne e Kiaran. «Loro sono immortali, se vogliono combattere, lasciali

fare. Ma non c’è posto per una ragazza sul campo di battaglia.».

Aithinne sembra divertita. «Dice l’uomo che scappa dal campo di battaglia. Hai

paura, Seer?».

Lorne distoglie lo sguardo. È sicuramente paura.

«Lorne ha ragione.» Daniel tende una mano verso di me. Una tregua, si sta offrendo

di proteggermi. «Non dovresti essere qui. Non è un posto sicuro.».

Secondo Daniel e Lorne, per un umano, affrontare un’armata di fate, specialmente

se si tratta di una donna, equivale a un suicidio. Daniel sta cercando di salvarmi. Proprio

come ha fatto con Catherine.

Prima che possa rispondergli, Gavin dice tranquillamente, «Lasciala fare.».

Daniel si volta sorpreso. «Come, scusa?»

«Lei non è quello che pensi,» continua Gavin. Daniel e Lorne lo guardano come se

fosse impazzito, ma gli occhi di Gavin non lasciano i miei. «Assicurati di tornare questa

volta. Non penso sarò ancora vivo fra tre anni.»

Gavin volta il cavallo e se ne va. Daniel e Lorne lo segueno riluttanti. Sono sicura

che abbiano lasciato delle persone indietro prima d’ora. Io stessa ho dovuto imparare

la lezione: non si può salvare tutti.

Kiaran, Aithinne e io guardiamo le fate discendere lungo colline innevate. Quando

ci vedono, lanciano grida assordanti che echeggiano nel campo.

Un urlo di guerra. Lo stesso che Lonnrach lanciò quando io e Aithinne eravamo nel

Sìth-bhrùth.

Vengono verso di noi, più forti e più veloci. Mi ricordo di quando le ho viste al

Queen’s Park.

Questo è il momento in cui i nostri due gruppi s’incontrano, uno spazio tra battiti

quando tutti siamo ancora fermi, calmi e pronti.

«Smontate, » ordina Aithinne.

Kiaran scende dal dorso del suo cavallo, io lo seguo. In una battaglia tra umani, stare

a cavallo ci darebbe il vantaggio dell’altezza, ma contro le fate, i redcaps sarebbero in

grado di ucciderli in pochi secondi.

Sento in bocca il potere di Aithinne mentre manda via i cavalli. Scappano verso gli

alberi in un turbinio di zoccoli; un battito di palpebre e sono spariti.

«Resta in guardia,» dice rivolta a me. «Punteranno sicuramente su di te, cercando di

spezzare questa sezione di roccia. Quando lo faranno, resta immobile.» Sembra che

sappia cosa sta facendo, come se avesse già comandato un esercito.

«Va bene.»

Il suo sorriso è fiero. «Non ti preoccupare; sarò un fenomeno.»

«Lo credi?» Oh, mio Dio, sto per morire, non è vero?

Punto lo sguardo nella sua stessa direzione e vedo le fate avanzare verso di noi. Sono

un turbine di ghiaccio e vento, cavalli con cavalieri daoine sìth, fate bellissime, letali e

potenti. Cù sìth e redcaps in prima linea, la forza bruta, come sempre.

«Ricordati, sono più forti di quando sono fuggiti dalle montagne,» mi avverte

Kiaran.

138

I redcaps alzano i loro martelli e li sbattono a terra tutti assieme. La terra si crepa.

Maledizione! Cerco di restare ferma, anche quando Kiaran e Aithinne rotolano via.

La terra sotto di me inizia ad affondare nel mare.

Non mi muovo. Nemmeno quando le mie gambe tremano e lo stomaco si chiude.

Nemmeno quando il pezzo di roccia dove mi trovo si stacca dalla scogliera.

Poi sono un peso morto, precipito nel mare violento sotto di me. Trattengo un urlo,

quando i redcaps e una dozzina di altre fate si tuffano per catturarmi mentre cado.

Non sono abbastanza veloci. Prima che possa sbattere le palpebre, Aithinne arriva

al mio fianco e mi tira dolorosamente verso di sé. Giriamo su noi stesse, colte nel

vortice di un potente vento. È lei che lo genera, arrestando la nostra caduta con un

potere così forte che quasi vomito.

Poi siamo sputate fuori dal mulinello e colpiamo il suolo. Stringo i denti e cerco di

non rotolare giù dalla nuova scogliera. Guardo in alto, appena in tempo per vedere le

fate che avevano cercato di raggiungermi, schiantarsi contro le rocce sottostanti.

Ho appena un attimo di tempo per ammirare l’operato di Aithinne, che le fate ci sono

nuovamente addosso, scendono dai cavalli e ci corrono incontro. Io, Kiaran e Aithinne

corriamo a nostra volta. Sono rilassata, scattante e pronta per la battaglia.

Mi fermo appena prima che le fate ci raggiungano, miro a un gruppo di sìthichean

con il fucile e sparo. L’arma rincula contro la mia spalla. Polvere scura viene rilasciata

nell’aria, l’odore tento acre da pungermi dolorosamente le narici. L’esplosione

spedisce alcune fate lontano dai loro cavalli, il metallo le brucia attraverso i vestiti. Il

sangue cola sui loro corpi. Non urlano nemmeno mentre muoiono.

Mi accorgo di tutto il potere che mi circonda. Dio, il sapore del potere dei daoine

sìth è fortissimo, mi incendia la pelle, mi prende la gola. Un forte miscuglio di ferro

incandescente, neve e sale. Faccio fuoco con il fucile e ne colpisco altri.

Il metallo ferisce altre fate e il sangue schizza sulla mia camicia. Improvvisamente

mi sento come a Edimburgo, quando assaporavo il gusto della morte.

Il modo in cui il loro potere mi avvolge e mi scorre nelle vene mi calma. Sparo.

Fulmini spaccano il cielo e nuvole tempestose si avvicinano. L’aria è elettrica,

pesante. Sono i daoine sìth che li creano e li controllano. Il loro potere s’innalza e le

nuvole rilasciano acqua e ghiaccio. La grandine mi bersaglia, è abbastanza affilata da

tagliarmi la guancia. Il dolce sapore del sangue mi bagna le labbra.

I fulmini saettano e colpiscono il suolo attorno a noi, bruciando la neve, ancora e

ancora.

Cerco di schivarli, ma sono troppi: non appena mi riprendo, un altro colpisce. Un

altro ancora. È come se l’isola si scuotesse e tremasse a causa della forza dei due poteri

combinati.

«Kam!»

Kiaran mi si butta addosso subito prima che un altro fulmine si infranga al suolo. Il

suo corpo rotola sul mio e, da sopra la sua spalla, riesco a scorgere il cratere profondo

almeno dieci piedi che si è appena formato. Potevo esserci io, al suo posto.

Sussurra una parola che mi fa sorridere. «Insieme.».

Metto il fucile a tracolla ed estraggo la spada dal fodero. Io e Kiaran combattiamo

fianco a fianco, un valzer mortale lieve e bellissimo. Siamo dei professionisti. Siamo

139

solo io e lui, come sempre. Colpisce le fate, leggero e aggraziato. Quando cercano di

contrattaccare, le blocca e annulla il loro potere, a quel punto io finisco il lavoro. La

mia lama fende, taglia e uccide.

È come se fossimo uno l’estensione dell’altra.

Continuiamo la nostra danza. Prendo la sua mano e lui mi lancia verso un gruppo di

fate, io colpisco. Mi fa girare e colpisco ancora. Il suo potere mi avvolge come una

calda brezza sopra il vento autunnale.

Lui sa di primavera. Sa di oceano e di qualcos’altro, selvaggio e disperato.

Quando le fate cercano di tenderci una trappola, per separarci, rinfodero la spada e

appoggio di nuovo il fucile contro la spalla. Sparo un altro colpo, che si diffonde largo

e potente.

Il vento e la pioggia intorno a noi peggiorano in una tempesta spaventosa di nuvole

nere. La temperatura scende e la pioggia gelata continua a colpirci così forte che

l’acqua mi entra negli occhi e rende la mia pelle insensibile.

Il vento colpisce con una forza tale che quasi mi spinge all’indietro.

Kiaran contrattacca con il suo potere, ma non è abbastanza, non può farlo mentre

combatte. Quando le fate lo prendono di mira, il suo controllo sul tempo cala. Vengo

spinta lontano e finisco sulla neve verso il limitare della scogliera.

Aithinne mi raggiunge immediatamente, schivando, fendendo e tagliando. Dopo un

secondo per riprendermi, sono al suo fianco. Per un momento, mi sento come se fossi

di nuovo al Queen’s Park durante la notte della caccia selvaggia, una creatura

leggiadra, come una fata, com’ero quella notte. Ballo come se fossi in un salone, i miei

piedi volteggiano sulla neve. Colpisco con la mano che stringe la spada ogni volta che

schivo.

Sento tutto. La percezione peculiare dei loro poteri si diffonde come fumo nella mia

bocca, come aria fredda nei miei polmoni. Una volta mi sarei soffermata su quel sapore.

Avrei goduto delle uccisioni, della vendetta.

Adesso è solo una necessità. Siamo io e Athinne che urliamo al mondo, che urliamo

a Lonnrach, che siamo vive. Che possiamo ancora combattere e uccidere. Che non

siamo distrutte. Combatto per fare una dichiarazione: non sto fuggendo.

Poi la vedo. I suoi capelli, neri come la pece, svolazzano intorno a un viso talmente

bello da far paura. Quegli occhi verdi e luminosi incontrano i miei e le sue labbra si

distendono in un sorriso.

Sorcha.

Il tempo si ferma. Siamo solo io e lei. Sento il suo potere, denso come il sangue sulla

mia lingua, che si spinge a forza , sempre più giù per la mia gola.

È nella mia testa, mi controlla contro la mia volontà. Da un unico comando: Fermati.

La mano della spada si ferma a mezz’aria e le fate intorno a me, ad eccezione di Kiaran

e Aithinne, si fermano. Come se fossimo delle statue, immobili come la pietra. La

battaglia si blocca, congelata dal potere di Sorcha.

Lascia solo una pulsazione regolare nella mia testa, come per dire: Ti ho in trappola.

La odio. La odio. Cerco di mandarla via ma è così forte, così potente. Io sono solo

una come tanti, incapace di combattere contro il suo potere, non importa quanto ci stia

provando.

140

Quando Kiaran la vede, le sue mani si contraggono sulla spada. «Sorcha.»

Aithinne si ferma proprio al mio fianco, respirando affannosamente. «Tu.» Espira

lentamente. «Non so se te l’ho mai detto, ma ogni volta che ti vedo ho una fortissima

voglia di tirarti un pugno in faccia.».

Sorcha sorride semplicemente verso Aithinne, mostrando i denti aguzzi. «Credimi,

il sentimento è reciproco. Ma ti sembra questo il modo di trattare chi viene ad aiutarti?

Di nuovo?» guarda le fate. «Ho solo poco tempo per cancellare i loro ricordi, quindi

non lo sprecate.».

«Ancora con questa storia? Sembra ancora meno convincente della prima volta.».

Athinne scuote la testa e finalmente si rende conto che io sono come gli altri, non riesco

a parlare.

Piega un dito verso di me e sento il suo potere, una corrente calda che irrompe nel

controllo ghiacciato del potere di Sorcha. Aithinne sa di fumo, di povere da sparo, di

sangue e di fiamme.

Sorcha le fa resistenza, mi tiene così forte che devo mordermi la lingua per non

urlare. Il potere di Aithinne avvolge quello di Sorcha. Lo brucia.

Mi libera dall’influsso di Sorcha così all’improvviso che quasi cado in avanti.

Riprendo fiato e finalmente posso guardarmi intorno. Tutte le altre fate sono

immobilizzate. I loro occhi vacui fissano il vuoto, immobili, come statue nella neve.

Kiaran stringe ancora la spada. Noto che le sue mani serrano ancora più strettamente

l’elsa. «Perché sei qui Sorcha? Dimmi la verità.»

Se non le tenessi gli occhi puntati addosso, sicuramente mi sfuggirebbe il modo in

cui Sorcha posa lo sguardo su di lui. «E se ti dicessi che sono dalla tua parte Kadamach?

Che voglio che sconfiggiate mio fratello?».

«Non crederei a nessuna delle tue maledette parole.».

Sorcha schiocca la lingua in segno di disapprovazione, ma non distoglie lo sguardo

da lui. «Una volta eravamo amici.» Sbatte le ciglia. «Più che amici. Ti fidavi di me.»

Amici? Erano amici? Anche Aithinne emette uno strano suono sentendo

quest’affermazione.

La faccia di Kiaran si rabbuia, il suo sguardo è freddo e distaccato. «È questo che

credevi? Hai forse dimenticato quanto sono bravo a fingere?».

Le parole di Lonnrach mi tornano in mente. Ti ha fatto credere di tenerci a te. A

Kadamach non importa niente di nessuno.

Le labbra di Sorcha si arricciano. Attacca con il suo potere e posso sentirlo, forte e

nauseabondo. Kiaran lo blocca con la mano, una piccola traccia di sangue appare sul

suo palmo. In un attimo guarisce.

«Non puoi deludermi, Kadamach,» dice Sorcha amareggiata. «Non da quando sei

legato a me.» Kiaran contrae la mascella, ma non dice nulla. «È proprio per via del

nostro legame che ti sto avvisando. Mio fratello vuole il trono dei Seelie e degli

Unseelie.».

«Non farmi ridere, non ha alcun potere,» dice Aithinne. Sento una certa durezza

nella sua voce, non riesce a nascondere del tutto la paura con la nonchalance. «E poi

non è più un Seelie, non ha alcun diritto…».

141

«Quando troverà un modo per rubare il potere della Falconiera, avrà fatto un passo

avanti in quella direzione.» Spiega, sorridendomi in modo arrogante.

Il mio? Come avrebbe potuto aiutarlo il mio potere?

«Non sarà poi così difficile, visto che la vostra piccola umana non può nemmeno

affidarsi al suo potere per sconfiggerlo.».

Nemmeno rispondo al suo insulto. Sto riflettendo. Cosa mi aveva detto Lonrach nel

Sìth-bhrùth?

Puoi aprire un oggetto che io sto cercando. È il tuo unico scopo.

Doveva essere convinto che solo il mio potere era in grado aprirlo, come l’attrezzo

creato da Aithinne

Senza un monarca, i Sìth-bhrùth si sarebbero indeboliti. Qualcuno doveva occupare

il posto vacante.

Come avrebbe potuto aiutarlo a rubare il trono, il mio potere? Come se Sorcha mi

avesse letto la domanda sul viso, sorride con fare di scherno. «Oh, mia piccola cara.

Non sei ancora consapevole di cosa puoi essere capace di fare? Che spreco.»

Una traccia della vecchia rabbia mi serpeggia sottopelle. Lonnrach non è destinato

a me, ma posso uccidere Sorcha. Un giorno troverò il modo per trapassare il suo cuore

senza uccidere Kiaran, facendolo. Non importa quanto ci metterò. Lei è mia.

Sorcha stringe i denti. Vieni a prendermi.

Lo farò, le prometto. Lo giuro.

Aithinne si avvicina. È in quel momento che mi rendo conto di avere estratto la

spada. «Lonnrach non può rubarle il potere senza il giusto rituale, e anche se ne fosse

a conoscenza, non è abbastanza forte da farcela.»

«Beh,» commenta Sorcha, distogliendo finalmente lo sguardo da me. «Sembra aver

trovato un modo per aggirare il problema.».

Puoi sbloccare un oggetto che mi serve. È il tuo unico scopo.

L’oggetto. Sarebbe stato l’oggetto a rubare il mio potere. Lo dico quasi ad alta voce,

ma chiudo la bocca appena ricordo che Sorcha è qui. Non posso rivelarle di sapere già

tutto.

Kiaran la prende in giro. «Non si fidava abbastanza da dirtelo, vero?».

«Non prenderti gioco di me, Kadamach. Ti sto parlando rischiando l’ira di mio

fratello,» sussurra Sorcha, talmente piano, che quasi non riesco a sentirla. «Rischiando

la sua ira.»

Quella di lui? Ma Kiaran le sta già rispondendo. «E ancora non mi hai detto il

perché.».

L’espressione di Sorcha è così vulnerabile, anche Kiaran ne sembra sorpreso. «Se

mio fratello riesce a trovare quello che cerca, sarà in grado di ucciderti.». Si ricompone,

alzando il mento in aria di sfida. «Si chiama istinto di sopravvivenza, Kadamach. Devo

tenerti in vita se voglio vivere a mia volta.».

Ma per favore. Questa è Sorcha. Ha ucciso mia madre. Sta tradendo suo fratello e

potrebbe tradirci altrettanto facilmente. Perchè dovremmo ascoltarla?

«Se vuoi aiutarci, dicci tutto quello che sai,» dico, cercando di mantenere un tono

calmo.

142

Sorcha mi guarda come se anche lei volesse uccidermi. «Qualunque cosa gli serva,

si trova su quest’isola. È tutto quello che so.».

Quindi Lonnrach non sta solo cercando me e la città. Derrick ha detto che i suoi

soldati pattugliavano l’isola da prima della mia fuga. Questo significa che ciò di cui ha

bisogno per rubarmi il potere e diventare re dei Sìth-bhrùth è qui a Skye.

«Ti sei allenata per un anno con quel maledetto folletto e con il mio nemico.

Immagino che parlassero spesso di cose che non riuscivi a capire.».

Se Lonnrach aveva capito dove mi trovavo leggendomi nel pensiero, poteva voler

dire una cosa soltanto. Sospettava che Kiaran o Derrick sapessero dove mi trovavo.

Kiaran fa un passo in avanti. «Se stai mentendo…»

«Oh Kadamach, sai benissimo che non possiamo mentirci,» lo interrompe Sorcha,

sorridendo beffarda. «Ora, devo continuare la mia farsa e lasciare che creda che gli sia

ancora leale.» I suoi occhi verdi brillano. I denti affilati luccicano quando sorride.

«Farete meglio a sbrigarvi.».

Sento improvvisamente il suo calore, come se fosse la fonte di un fuoco

scoppiettante. Il suo potere mi riempie la bocca, forte e inflessibile. Ferro e sangue

sulla mia lingua, giù per la mia gola in una corrente infinita.

Poi lo sento. Il colpo distante che è diventato simbolo di terrore.

Il mortair, sta chiamando il mortair.

143

Capitolo 24 Traduzione: Ella

Pre-Revisione: Claude

Posso appena sentire il terreno scuotersi e rompersi attorno a noi. Raggiungendo la

vetta della montagna proprio oltre il fiume si trova la fata di metallo, diretta verso di

noi al comando di Sorcha. I mortair squarciano il paesaggio con i loro enormi corpi. Il

terreno cede sotto di loro mentre corrono, lasciando giganteschi crateri nella terra.

Ci sono altre creature dietro di loro, mostri metallici di tantissimi tipi diversi,

creature simili ad uccelli con lunghi becchi e corpi affilati come quello di un airone.

Corrono su gambe fine che terminano in enormi artigli. Alcuni sono come gatti con

lunghe orecchie e corna che si alzano a spirale verso il cielo.

Mentre attraversano il fiume, posso vedere i grossi meccanismi di metallo nelle loro

coscie ruotare così velocemente da far sembrare che le loro interiora siano in fiamme.

Sono creazioni bellissime della stessa ossidiana nera dei mortair… e al contempo, sono

anche orribili.

Aithinne è accanto a me, i suoi occhi sono stretti e determinati. «Quelli piccoli

attaccano in gruppo, quindi eliminali uno alla volta. Cerca di non farti accerchiare.»

dice, sguainando la sua spada. Poi mi rivolge un sorriso. «È tutto semplice. Lineare.»

Oh, non l’ha detto davvero. «Sul serio, Aithinne?»

Le gambe delle creature guadagnano terreno velocemente. Molto velocemente. Sono

quasi qui, solo un’altra collina…

La mia spada è sguainata. Sono pronta. Ora. Corro sotto la struttura di un mortair

simile ad un gatto, i suoi arti torreggiano su di me aggraziati come quelle di un vero

animale. Mi infilo tra i suoi arti, muovo un fendente con la mia spada nel metallo per

abbattere la bestia.

È meraviglioso come si muovano rapidamente le creature. Un minuto sto vagliando

le mie opzioni, quello dopo vedo dozzine di esse che si dirigono verso di me. Scatto

tra di loro e le colpisco alle caviglie facendo rovinare a terra intorno a noi. Quando

colpiscono il terreno, la neve si alza e aderisce alla mia pelle, ma mi sto muovendo così

velocemente che il freddo a malapena mi scalfisce.

I mortair si schiantano a terra, le loro zampe crepano il terreno intorno a noi.

Barcollo e cerco di ritrovare l’equilibrio, ma il terreno è accidentato, inarcatosi sotto i

miei stivali.

«Kam!»

Alzo lo sguardo verso la chiamata di Kiaran ed impreco. Dietro di lui ci sono anche

più mortair, che corrono attraverso gli alberi e le colline dal confine ovest dell’isola. I

loro arti si squarciano la foresta, facendo saltare rami e interi alberi con la forza dei

loro corpi. È un esercito intero. Se Aithinne inventò i mortair per resistere alla maggior

parte delle armi, non avevamo alcuna possibilità contro quella moltitudine.

«Dobbiamo saltare.» mi dice Kiaran afferrandomi un braccio.

144

Corro con lui. Le creature fatate ci stanno seguendo battendo il paesaggio ghiacciato.

Aithinne salta per colpirne un altro con la spada.

Kiaran mi guida sul pendio ghiacciato della roccia verso la scogliera, i nostri stivali

si fanno strada tra la neve.

Fa così freddo che le mie dita si stanno intorpidendo; posso a malapena correre

ormai. Kiaran mi spinge in avanti mentre le creature meccaniche ci si avvicinano. Una

volta che raggiungiamo il ciglio della scogliera guardo in basso verso le onde che si

infrangono. È una lunga caduta.

Kiaran mi guarda con determinazione. Oh, Cristo, ha davvero intenzione di saltare.

«Al tre.» mi dice tirandomi verso di sé.

Stringo le mie braccia attorno a lui. Accanto a noi, Aithinne dice, «Ci vediamo in

fondo!»

Che Dio mi aiuti.

Aithinne lancia un urlo di gioia e salta dalla scogliera con un solo balzo, facendo un

tuffo aggraziato. Nemmeno sono riuscita a vederla entrare in acqua; Kiaran mi sta

tenendo troppo stretta. «Qualsiasi cosa tu faccia,» mi dice, «Non lasciarmi.»

Il terreno trema per i mortair. Potrebbero arrivare da un momento all’altro. I tremori

già stanno staccando pezzi di roccia sgretolata lungo la scogliera. «Io, lasciarti? Non

me lo sognerei mai.»

«Ragazza sveglia. Pronta?» Kiaran spinge la sua guancia sulla mia e sussurra.

«Uno…due…»

Al tre, ci lancia di sotto. L’aria gelida fischia intorno a noi mentre sfrecciamo verso

il mare. Sotto di noi, tutto ciò che vedo è la roccia frastagliata che si staglia dal fondo

del precipizio. Le scogliere in questa parte di Skye sono molto alte, e le onde

dell’oceano così violente, il salto è tutt’altro che sicuro. Verremo scagliati contro gli

scogli… se la caduta non mi uccide prima.

Kiaran mi sposta così che possa tenere la mano, con il palmo aperto, verso il mare lì

sotto. Il suo potere ci circonda all’improvviso, una scarica nauseante che mi avrebbe

colpita doppiamente se fossi stata in piedi. Poi realizzo che Kiaran ci sta rallentando,

usando il suo potere così da farci cadere per raggiungere il fondo alla metà della

velocità. Per me; lui lo sta facendo per me. Le rocce mi avrebbero distrutto se fossimo

scesi a tutta velocità. Kiaran sarebbe sopravvissuto, ma il mio intero corpo si sarebbe

distrutto.

«Stringi più forte le braccia attorno a me» sussurra, il suo respiro caldo sulla mia

guancia.

Premo le mani sulla sua schiena e lo tiro più vicino a me. Cadiamo più lentamente,

sempre più lentamente, poi è come se stessimo fluttuando più che precipitando. Siamo

senza peso sopra il mare furioso, l’aria intorno a noi non è più violenta di una brezza

gelida che mi scompiglia i capelli. Il calore di Kiaran mi circonda, il suo potere pulsa

e scivola sulla mia pelle, soffice come seta. La fredda foschia marina spruzza tutto

intorno a noi, inumidendomi attraverso la giacca, lisciandomi la faccia. Rabbrividisco

quando Kiaran mi tira più vicino per posare le sue labbra sul mio collo.

Colpiamo l’acqua. Dio, nemmeno il Forte era così freddo quando ci saltai dentro

dopo una battaglia contro lo sluag. La corrente non era così forte, così impetuosa. Il

145

freddo mi strappa il respiro e le viscere sussultano mentre affondiamo sotto la

superficie. Onde violente ci spingono sotto, ma il potere di Kiaran le respinge di colpo,

rallentandoci prima di farci sbattere contro la scogliera.

Ci allontana dalla rupe, spingendoci attraverso l’acqua con una combinazione di

potere e colpi potenti delle sue gambe e braccia. Un’onda ci colpisce e ci trascina sotto

l’acqua. La sua presa su di me si spezza e vengo trascinata via dalla forza violenta

dell’ondata. Vado nel panico, agitando le mie braccia sotto l’acqua per trovarlo, ma

non riesco a vedere. Aria, ho bisogno di aria. Non riesco a respirare.

Kiaran afferra le mie braccia, tirandomi su. Torniamo in superficie e spingo l’aria

gelida nei miei polmoni. È doloroso, come se l’atmosfera fosse solida. Mi spingo

contro di lui, sforzandomi di respirare, di calciare, ma i miei arti sono paralizzati e

scoordinati. Lui quasi perde di nuovo la presa su di me, ma le mie unghie affondano

nella sua giacca, le mie membra tremano.

«Kam!» preme le sue mani sul mio viso così sono costretta a guardarlo negli occhi.

Calmo, è così calmo. Il suo potere mi sta riscaldando, calmando. «Devi nuotare.» dice,

tirandomi contro di sé. Si sforza per non perdermi con un’altra ondata violenta. «Okay?

Nuota, Kam.»

Non ho mai sentito il suo tono così dolce. Poggia la sua fronte contro la mia,

trattenendomi da un’altra onda. «Sarò proprio qui con te» dice.

Annuisco una volta e scalcio. Lo sfozo di nuotare è come cercare di muovere un

masso in salita, come se ogni movimento non servisse a nulla. Ansimo per lo sforzo.

Kiaran nuota con me, facendo la maggior parte del lavoro. I suoi colpi sono forti, sicuri,

come se non fosse minimamente toccato dalle correnti o dalle onde o dal freddo

pungente. Mi tiene il braccio in una stretta sicura anche quando la corrente minaccia di

separarci.

Sono certa che la sua mano mi lascera dei lividi a forma di dita dopo tutto questo.

L’acqua si scontra con noi e la ingoio. Ugh. Il sapore troppo salato mi fa soffocare.

Tossisco e tossisco, ma continuo a scalciare in avanti.

I nostri progressi sono lenti, agonizzanti. Anche con il potere di Kiaran a scaldarmi,

il freddo mi trapassa. Sono un groviglio di brividi e movimenti scoordinati. I pantaloni

e la giacca aderiscono alla mia pelle, e i miei stivali mi appesantiscono. Il mio corpo è

pesante, come una roccia pronta ad affondare sul fondo del mare.

Io balzo in avanti e Kiaran tira. Appena vedo una piccola spiaggia annidata sotto la

scogliera torreggiante, la determinazione mi spinge a muovermi più velocemente, ad

ignorare il dolore nei polmoni, lo sfinimento, tutto.

Finalmente, finalmente, raggiungiamo una spiaggia coperta di rocce perfettamente

rotonde. Mi lascio cadere sopra di esse e mi sdraio. Grazie a Dio non sono più in quella

dannata acqua. Appena sopra la scogliera, sento i passi battenti dei mortair e mi

irrigidisco. Non penso che riuscirei a combattere ora. Non riesco neppure a stare in

piedi.

Anche Kiaran lo sente, ma si siede accanto a me sulle rocce, posando le braccia sulle

ginocchia. «Se Sorcha stava dicendo la verità, dovrebbe mandarli indietro.» esamina la

scogliera, come per esserne certo. Dopo un po’, sembra rilassarsi. «Aithinne deve

146

essere andata nell’insenatura dall’altro lato della scogliera. Aspetteremo qui finchè non

ci troverà.»

Mi siedo sui ciottoli duri, sussultando per quanto sforzo richieda. «Credi a Sorcha?»

Le fate non mentono, ma ho imparato che hanno molte vie per eludere la verità. Sono

dei maestri nelle omissioni o nel dire una verità, tralasciando l’informazione più vitale

per indurre gli umani con l’inganno a fidarsi di loro.

Kiaran valuta la mia domanda. «La verità può essere detta in frammenti. Se

Lonnrach avesse davvero trovato un modo per impadronirsi dei tuoi poteri, starà

cercando quella conoscenza per sé stessa.» Si stende appoggiandosi sulle sue mani,

sembrando a proprio agio, nonostante il vento gelido. «Sembra che suo fratello non si

fidi totalmente di lei, dopotutto.»

Le onde si infrangono attorno a noi, la loro forza fa sfregare le rocce insieme ancora

e ancora. Nonostante il freddo, Skye è calma. È tranquilla ora che i mortair se ne è

andato.

Gli occhi di Kiaran sono chiusi. L’acqua gocciola dai suoi capelli fino al punto in

cui la sua camicia è aperta sulla gola. Non riesco a non pensare alle parole mentre mi

tirava attraverso le onde.

Sarò proprio qui con te.

Kiaran lapre un occhio. «Mi stai fissando.» Sembra che non si opponga.

Non volto lo sguardo. «Devo dirti una cosa.»

«Suona vagamente infausto.»

«Qualsiasi cosa Lonnrach stia cercando» dico, «Lui, lui ha saputo di trovarlo a Skye

da me. Dai miei ricordi.» parlo velocemente prima che Kiaran possa ribattere. «Derrick

mi ha detto che la sua casa era qui sull’isola, così ho creduto che Lonnrach stesse

cercando la città.» Alla fine, sposto lo sguardo. «Non ho realizzato che potesse essere

qualcos’altro finché Sorcha non ce lo ha detto.»

Qualsiasi cosa gli serva per impadronirsi dei tuoi poteri è su quest’isola. È tutto

quello che so.

Kiaran rimane in silenzio per un po’. Poi mi stringe dolcemente il polso per tirarmi

su la manica. Le sue dita corrono sui solchi dei segni di morsi. Quasi vorrei mostrargli

i ricordi per ognuno di essi. Ce ne sono così tanti di noi due.

Le nostre cacce impresse sulla mia pelle, una storia di come siamo passati da

compagni riluttanti a… questo. Qualsiasi cosa sia.

Concentrati. «Pensi che Derrick sappia cos’è?» gli chiedo.

«No.» Dice Kiaran. «Qualcosa che può rubare il potere dovrebbe essere antico.

Anteriore alla sua nascita.» Le sue dita scivolano sul prossimo morso. «I Pixie una

volta erano protettori di alcuni cimeli. Erano gli unici sìthichean abbastanza forti da

proteggere gli oggetti, ma non da usarli. Pochi sapevano dove vivevano, e si diceva che

avessero seppellito i loro cimeli su tutta l’isola.» Alza lo sguardo per incontrare il mio.

«Quel che sta cercando Lonnrach è la vera ragione per cui sono venuto qui migliaia di

anni fa. Ho distrutto la casa del tuo pixie per trovarlo.»

Scatto via dal suo tocco. Non posso sopportare la colpa di tenere a qualcuno che ha

fatto così tanto per far del male a qualcuno che amo. Kiaran non è più Kadamach. Non

147

lo è. Ma non riesco a non sentire che tenere a Kiaran signichi tradire Derrick. Come

se lo stessi ferendo anche io.

«Che cos’è allora?» il mio tono è addirittura brutale.

Non mi perdo come l’espressione di Kiaran si faccia gelida, come se sentisse che mi

sto allontanando. Adesso anche lui si sta tirando indietro.

«Tra la mia specie,» dice, quasi meccanicamente, «Ci sono storie del primo regno

sìthichean, uno costruito prima che un reame diverso esistesse per noi. Era un posto di

immenso potere, creato da una magia antica che non esiste più eccetto tra le Cailleach.»

Le Cailleach. Il nome mi fa rabbrividire mentre ricordo ciò che Lonnrach mi ha detto

nella prigione.

Nessuno ha visto le Cailleach per migliaia di anni.

Kiaran parla ancora prima che possa continuare a pensare. «L’ostilità tra le fazioni

culminò in una guerra che distrusse il regno e condusse alla creazione di un reame

diviso. Dicono che un cristallo del palazzo sia ancora qui, nascosto da qualche parte.

Pieno di antica magia.»

«L’hai mai trovato?»

Scuote la testa. «Ma se Lonnrach scopre dove si trova, lo userà per rubarti i poteri e

uccidere i monarchi Seelie e Unseelie.»

Gli eredi che lei ha lasciato per regnare sono… indegni. Senza un monarca, il Sìth-

bhruth appassirà. Qualcuno deve prendere il suo posto.

Devo sapere. «Perché stavi cercando il cristallo?»

Kiaran non risponde immediatamente. «Ero un Unseelie, Kam. Cosa pensi?» i suoi

occhi sono selvaggi, feroci. «Lo volevo per uccidere la regina Seelie.»

Il mio respiro si ferma. Prima che possa rispondere, sento Aithinne. «Quindi voi due

ve ne starete lì seduti tutto il giorno o ce ne torniamo in città? Perché ho fame.»

Mi volto giusto nel momento in cui Aithinne balza giù da una roccia che sporge sotto

la scogliera. Atterra con un tonfo leggero, apparendo molto soddisfatta di sé. I suoi

vestiti sono bagnati, i capelli sgocciolanti, ogni millimetro del suo corpo è coperto di

sabbia. E non sembra curarsene minimamente.

Aithinne si fa strada attraverso le pietre più grandi della spiaggia verso di noi, i suoi

movimenti sono aggraziati. «Sembrate devastati.»

«Ho freddo e sono bagnata.» dico, «Mi sento orribile, e il mio archibugio è

probabilmente distrutto dalla nuotata. Non c’è bisogno di affermare l’ovvio.»

Lancia un’occhiata a suo fratello. «E immagino che la tua faccia sia semplicemente

bloccata in quel modo?»

Kiaran si alza in piedi ed io faccio lo stesso. «Quel che vedi è l’incessante, grave

sguardo di qualcuno che possiede una sorella.»

«Ha ha.» Aithinne concentra la sua attenzione su di me, inclinando la testa. «Sai,

avevo una kyloe che mi guardava esattamente in questo modo una volta. I suoi peli

erano di un colore simile e tutto il resto.»

Le lancio un’occhiataccia. «Tu non mi hai appena paragonato ad una mucca.»

«No, no. Io ho paragonato la tua espressione. Le mucche sono veramente delle

creature maestose, no?» con un sorriso abbagliante, dice «Non preoccuparti, ti darò

subito una sistemata.»

148

Prima che io possa protestare, la sua mano è sulla mia spalla. Il suo potere è

inaspettato, così forte che mi scombussola lo stomaco. Mi piego in due alla dolcezza

esagerata e sgradevole sulla mia lingua. Non appena si ritira, mi accorgo che i miei

vestiti sono asciutti, i miei capelli sono asciutti, e sono calda, come se fossi appena

stata sotto i raggi del sole in una calda giornata d’estate.

Chiarisco con uno scherzo, «Avresti potuto chiedere.»

Aithinne comincia a camminare su un sentiero che porta tra le scogliere e Kiaran ed

io la seguiamo. «Avresti detto di no per mera ostinazione umana, e ti saresti ammalata

di… di… come la chiamate voi?»

«Esaurimento.» dico, scalando il sentiero. «Credo di aver bisogno di un pisolino.»

Lei non sta ascoltando. Scrocchia le dita. «Polmonite! Ecco. In ogni caso, ti saresti

ammalata e saresti morta e poi dove saremmo finiti noi? Prego.»

Beh, vedo che non è molto diversa da Kiaran nell’uso della sottile arte del tatto.

Strattono la mia giacca nuovamente asciutta e spazzolo via la sabbia con un colpo della

mano. «E tu? Ti asciugerai?»

Aithinne alza le spalle. «Mi piace l’acqua. Mi ricorda casa.»

Con la coda dell’occhio, vedo che Kiaran si irrigidisce alle sue parole. Un leggero

movimento, visibile solo perché mi è ormai così famigliare il modo in cui sta in piedi,

come si comporta. Quando parla, la sua voce è fredda come il vento. «Dovremmo

tornare indietro.»

Passiamo attraverso un passaggio nella foresta. Si estende sotto il mare, solo uno dei

tanti tunnel attorno all’isola che portano alla città delle fate. Sopra di noi, riesco a

sentire le onde infrangersi e sciabordare contro la riva mentre noi proseguiamo

attraverso le nere e brillanti rocce. Il tunnel ci porta fino al confine tra la parte fatata e

umana della città: il campo di seilgflùr è una linea di difesa, un modo silenzioso di

ricordare agli umani che attraversando quel campo si troveranno nel territorio delle

fate.

Dopo che Aithinne attraversa la porta delle fate, Kiaran si attarda con me lungo il

percorso attraverso i seilgflùr. Non abbiamo più parlato dalla spiaggia. Vorrei sapere

cosa dirgli; vorrei che i miei sentimenti non fossero un groviglio di desideri, bisogni e

attrazione.

«Vuoi che venga con te?» mi chiede Kiaran quando ci fermiamo alla scalinata che

porta alla parte principale della città. «Non mi fido del buon senso dei Veggenti.»

Temo il pensiero di affrontarli, ma non glielo dico. «Lo apprezzo, ma non sono

proprio certa che la tua presenza migliorerebbe la situazione.»

«No» dice, «Ma non mi piace che tu rimanga sola con loro. Non dopo quello che ti

hanno fatto.» Scuote la testa. «Non ero lì per te in nessuna delle due volte. Non lascerò

che accada di nuovo.»

Sto quasi per dirgli che non ho dimenticato Gavin nemmeno io. Non ancora. «Ti

importa?» faccio un lungo respiro. So che è così, ma devo sentirlo dire da lui. Ho

bisogno di sentirglielo dire.

A Kadamach non importa niente di nessuno, tantomeno di te.

149

Vorrei poter tenere le parole di Lonnrach fuori dalla mia testa. Vorrei non aver

passato tanto tempo nella stanza specchiata convincendo me stessa che erano vere. Che

il motivo per cui Kiaran non mi aveva trovata era perché non mi stava cercando.

Chiudo gli occhi quando Kiaran poggia una mano sulla mia guancia. «Kam,» dice,

«Ho salvato il Veggente, sono saltato giù da una scogliera, ho nuotato attraverso acque

gelate con te tra le braccia.» Poi prende il mio viso tra le sue mani a coppa. «Cos’altro

devo fare per dimostrartelo?»

Scuoto la testa. «Ho paura di aver bisogno di ulteriori prove.»

«Ulteriori prove?» Kiaran alza un sopracciglio. «Non includono dichiarazioni o

drammi, giusto? Devo segnare il limite da qualche parte.»

«Niente drammi. Niente dichiarazioni.» mi alzo in punta di piedi e sussurro al suo

orecchio. «Solo un bacio.»

Poi le sue labbra sono sulle mie e potrebbe essere benissimo una dichiarazione. Per

un momento, il suo passato scompare, così come il mio. Mentre mi lascio andare al suo

tocco mi sento improvvisamente come se niente importasse a parte questo. Solo lui.

Soltano noi.

Rallento il bacio finché non è soltanto uno sfiorarsi delle mie labbra con le sue. Con

ogni tocco gli dico, Grazie. E tengo anche io a te. E che Dio mi aiuti, ma mi fido di te.

Quando mi allontano, spero che abbia capito tutto quel che significava. «Devo

andare» sussurro.

Vedo la sofferenza sul suo viso mentre si allontana. «Se provano a fare qualcosa,

manda il pixie.»

Annuisco e comincio a salire le scale. Quando mi volto di nuovo, lui è già passato

attraverso la porta delle fate.

150

Capitolo 25 Traduzione: Valeriuccia7692

Le strade sono tranquille. Alcune persone si sono avventurate fuori dalle loro case, ma

le luci sono ancora spente. Sono tornate le nuvole, questa volta accompagnate da una

luna scintillante. I ciottoli della strada luccicano sotto la sua luce, ancora bagnati dalla

pioggia del pomeriggio. Ripercorro il percorso di Kiaran, attraverso le aree buie che

portano ad una stanza piena di arazzi rappresentanti le vittorie dei pixie.

Inspiro ed entro, tutti si zittiscono e si girano verso di me. Dio, sembra quasi che

abbia fatto qualcosa di terribilmente sbagliato. La porta si chiude alle mie spalle con

un tonfo. Sembra uno sparo.

Nelle retrovie Lorne e Tavish mi guardano con palese sospetto, forse anche un po’

di paura. L’espressione di Gavin è incomprensibile, tracce di… rimorso? Catherine

invece sembra arrabbiata e preoccupata allo stesso tempo. Appena mi vede corre

attraverso la stanza.

«Catherine, non farlo.» dice Daniel. Sorpresa, sorpresa.

Lei lo ignora e mi prende per un gomito. «Vieni con me. Ignora gli idioti

nell’angolo.»

Ignorarli? Vedo che la preoccupazione di Kiaran non era del tutto infondata.

Daniel ci sta già raggiungendo. «Lascia che ci pensi io» le dice.

Cathrine lo guarda in malo modo. «Non penso proprio. Spostati.».

Daniel sospira. Questa volta guarda verso di me, ma non con il sospetto e l’accusa a

cui sono abituata, sembra stanco. Molto stanco. Non si è nemmeno cambiato i vestiti

che aveva addosso quando è andato a cavalcare.

«Posso parlarti?» mi chiede diretto. Catherine cerca di protestare, ma lui alza una

mano. «Da soli, se non ti dispiace.»

Faccio un passo indietro. «Preferisco di no. Penso tu possa capire il perché.»

Daniel si passa una mano tra i capelli. «Ascolta non voglio farti del male, voglio solo

parlare con te.»

Guardo Catherine. Esita un attimo prima di farmi cenno che va tutto bene. Suppongo

che Daniel ed io avremo una conversazione civile, dopotutto.

Catherine mi lascia andare e si alza sulle punte per sussurrare qualcosa all’orecchio

di Daniel. Daniel alza gli occhi al cielo, lei sorride e gli da un bacio sulla guancia.

Bene, bene…

Non riesco a controllare l’improvviso imbarazzo nei confronti della loro pubblica

dimostrazione d’affetto. Sembra così intima.

Catherine annuisce verso di me in segno di incoraggiamento mentre suo marito mi

accompagna in una stanza buia. Apro la bocca per parlare, ma Daniel mi interrompe.

«Non qui.» dice con il suo marcato accento. «Molto probabilmente mia moglie sta

origliando da dietro la porta.» Nota la mia riluttanza e aggiunge, «Ho promesso che

non ti avrei fatto del male. Per favore.»

151

«Va bene.»

Senza altre parole, si gira e inizia a scendere lungo il corridoio e non ho altra scelta

che seguirlo. Vedo a malapena dove stiamo andando, è così buio. Anche la luce della

finta luna sopra la mia testa non riesce a filtrare completamente attraverso il casermone

che ci circonda.

«Che cosa ti ha detto Catherine?» chiedo facendo molta attenzione a dove metto i

piedi.

«Mi ha raccomandato di comportarmi bene.»

Sorrido. Non può essere la sola cosa che gli ha detto. «E se non lo fai?»

«Quella parte è privata.»

Mi guida verso una pesante porta di quercia circondata da edera. Stride sui cardini

quando la apre. Non riesco a vedere nulla; solo oscurità impenetrabile. Non mi fido

abbastanza di lui per entrare in una stanza in cui non vedo nulla. Per quanto ne so

potrebbe essere un’altra imboscata.

«Cos’è che intendi fare che non vuoi che Catherine senta?» gli chiedo.

La sua espressione si indurisce, come se lo avessi offeso con la mia domanda.

«Voglio solo parlare.»

«Di cosa?»

«Lo vedrai.» Mi fa cenno di entrare.

Andando contro ai miei principi, attraverso la porta. Appena entro, la stanza cambia.

È davvero l’officina di un fabbro? Sì, lo è. Il forno che scalda il metallo è in un angolo.

Sparsi per tutto il tavolo di legno e per il pavimento ci sono pezzi di metallo, spuntoni

d’acciaio e uncini e alcuni meccanismi costruiti a metà.

Un’incudine nell’angolo, martello e scalpello appoggiati lì vicino. C’è odore di

carbone bruciato, come nel piccolo cottage nel giardino della tenuta di mio padre, dove

lavoravo i metalli. Quando eravamo in città, dovevo pagare qualcuno affinché facesse

il lavoro per me.

Il solo guardare questi oggetti mi fa tornare la voglia di lavorare il metallo, di

smontare i meccanismi e di costruirci qualcosa di nuovo. Sento la mancanza dell’olio

sulle mie dita e del lavoro nelle notte insonni. Mi manca quel senso di orgoglio per

l’aver completato qualcosa e per averlo fatto funzionare esattamente come volevo.

Istintivamente tocco l’incudine e sento i segni lasciati dai colpi del martello. Guardo

Daniel. «È tuo questo posto?»

«Sì.» Daniel si siede sulla sedia da lavoro, e incrocia le sue lunghe gambe all’altezza

delle caviglie. «L’ho costruita uguale a quella di mio padre.»

Quindi è il figlio di un fabbro. Prima della Grande Caccia Catherine non avrebbe

mai potuto sposare un uomo del suo stato sociale. Il matrimonio non era dettato

dall’amore, ma dalla proprietà. Era qualcosa per cui le ragazze venivano plasmate,

qualcosa che dovevamo semplicemente accettare.

«Deve essere di conforto per te avere qualcosa che te lo ricorda» dico, cercando di

essere carina.

Non so che cosa avrei potuto creare io per avere un buon ricordo di mio padre. Sì, la

sua morte era ancora un tasto dolente; mi sentivo ancora in colpa pensando a quello

che avrebbe potuto esserci tra di noi. Nemmeno quando ero una bambina mio padre mi

152

aveva abbracciato o detto qualche parola affettuosa. Le sue parole erano sempre state

poche, abrasive, dette solo per convincermi ad andarmene. Anche da adulta una parte

di me continuava a sperare che avrebbe imparato ad amarmi. Non c’era mai riuscito.

Era una cosa che mi sarei sempre portata dentro.

Daniel ride amareggiato. «Per niente proprio. Mio padre era un maledetto figlio di

puttana.» Apre il colletto per indicare una cicatrice subito sotto la clavicola, il segno a

cinque punte lasciato da un proiettile. «È grazie a questa che me lo ricordo. È così che

sono morto e mi sono poi unito ai Sight.»

Cavolo, cosa avrei potuto dire di una cosa del genere? Volevo dire che mi dispiaceva,

ma non sembrava abbastanza. «Perché hai creato questo posto allora?» gli chiesi.

«Per ricordarmi di quello che ho dovuto fare dopo, appena tornato dall’Aldilà.

Quello che ho dovuto fare perché mio padre non uccidesse anche mia madre.» Il suo

unico occhio si posa su di me. «Quello che devo continuare a fare per proteggere le

persone che amo.».

«Stai parlando di me?» chiedo con calma.

«Non sei umana» risponde immediatamente Daniel. Non è un’accusa, solo una

constatazione. «E non fare a finta di non capire. Tavish ha guardato la battaglia, e so

che cosa ha visto sulle colline.»

Non sei umana. Né umana, né fata. Non appartengo a nessuno dei due regni, né a

quello di Catherine, né a quello di Kiaran. Almeno, prima che succedesse tutto questo,

potevo consolarmi nella finzione. Potevo fare a finta di essere normale, solo una

debuttante come tante. Potevo circondarmi di bugie e nessuno sapeva che vivevo in

una finzione. Non c’è più quel bozzolo di disonestà a proteggere il mio segreto.

«Mr. Ried…»

Daniel alza una mano per interrompermi. «Non ho bisogno di spiegazioni. Rispondi

solo a questa domanda: Ti stanno cercando?»

Alzo il mento e incrocio il suo sguardo. «Sì.»

Daniel impreca a bassa voce. «Era quello che temevo.» chiude l’occhio. Sono

sorpresa quando non lo riapre immediatamente. Invece tamburella con le dita sul

tavolo. Non un ritmo pensato, ma un deliberato uno due, uno due.

«Ho aspettato per più di tre anni.» sussurra.

«Per cosa?» Che cosa sta facendo?

«Ho aspettato la ragazza il cui dono porta il caos.» Tap tap. Tap tap. «La morte è

nelle sue vene. La segue ovunque vada. Si dice che possa salvare il mondo o

distruggerlo del tutto.»

Il mio petto si stringe. Ogni parola che dice e un colpo. Uno più doloroso dell’altro.

Si dice che possa salvare il mondo o distruggerlo.

Sta parlando di me. «Chi lo dice?» riesco finalmente a chiedere.

Daniel riapre finalmente il suo occhio. Sembra vitreo, spento. «Non so da dove

provengano le voci, e non mi importa poi molto. È solo quello che si dice.»

«Riesci a vedere il futuro come Gavin?»

«No» dice Daniel, «Non ho visioni. Sento solo dei sussurri, parlano di te. Sono

iniziati più di tre anni fa e sono ricominciati quando eravamo nella gola.» Mi studia da

vicino. «Quando ti guardo non si interrompono, diventano più forti.»

153

La morte è nelle sue vene. La segue ovunque vada.

Sono la ragazza il cui dono porta il caos.

«Quando sono iniziati esattamente?» Glielo chiedo anche se conosco già la risposta.

«Prima che le fate distruggessero tutto.» Esita prima di chiedere. «Immagino tu fossi

lì quella notte.»

Capisco al volo quello che vorrebbe dire in realtà. Dovevi fare in modo che non

succedesse.

Normale che Daniel non mi voglia in questa città, che mi abbia parlato con tanta

ostilità dal giorno in cui sono arrivata. Sapeva esattamente chi fossi. Sono la ragazza

che ha lasciato che le città cadesse. Sono la ragazza che ha finito il mondo.

Sono la ragazza che porterà con sé morte e distruzione. Sempre. Sempre.

«Sì, c’ero» dico. Il mio respiro trema mentre espiro. «Quindi vuoi che me ne vada.»

Daniel è calmo, come se stesse considerando con attenzione le sue prossime parole.

«Ti ho trattato ingiustamente. Non c’era bisogno che salvassi la mia vita, e non

dimenticherò mai quello che hai fatto per me. Ti sono debitore, ma non posso mettere

in pericolo le persone che amo permettendoti di restare.»

Non lo voglio nemmeno io. Le persone che ama sono le stesse che amo io. Ho già

danneggiato abbastanza le loro vite. Lonnrach mi sta cercando, e non si fermerà finché

non mi avrà trovata, mi avrà rubato i poteri e uccisa.

«Era per questo che non volevi che Catherine ci sentisse?»

«No, non volevo che sentisse delle mie premonizioni sul tuo conto. Mi avrebbe detto

che non contavano nulla.» Sposta i capelli neri all’indietro in segno di frustrazione.

«Dovevo convincerti della loro importanza in modo che tu possa convincerla a

ragionare.»

Penso di capire esattamente dove sta andando a parare. «Non dirmi che mi stai

chiedendo di mentire a Catherine.»

«Non è quello che ti sto chiedendo» dice. «Non le mentirei mai. Ma so che la

prenderà meglio se le spiegherai il motivo per il quale devi andartene.» Daniel sorride.

«È davvero testarda quando si parla di te, non so se lo hai notato.»

Annuisco, cerco di immaginare cosa potrei dirle. L’ho già mandata via in passato

perché temevo per la sua vita. Sono responsabile se Catherine si trovava in quel posto

quando le fate hanno attaccato. Daniel voleva salvare lei non me.

La morte è nelle sue vene. Dovunque lei va la segue.

Mi seguirà qui. Lonnrach mi troverà e li ucciderà tutti. E potrei non avere il potere

necessario per proteggerla…

Le parole di Kiaran mi tornano in mente. Si dice che un cristallo del palazzo sia

ancora nascosto qui. Pieno di magia antica.

«C’è una cosa che dovresti sapere» dico velocemente, poi mi fermo. Ho deciso di

fidarmi di lui, di mettere a rischio quel poco che so. In fin dei conti ha salto la vita a

Catherine. Gliene sono ancora molto grata, «Dovresti sapere che non stanno cercando

soltanto me. Le fate vogliono anche qualcos’altro.»

«Sai di cosa si tratta?»

«Stanno cercando un cristallo, un cristallo magico che dovrebbe essere nascosto su

quest’isola. Ne sai qualcosa?» scuote la testa. «Devo trovarlo prima che lo trovino

154

loro» dico. «Ma Derrick vorrà venire con me, e non sarà qui a fare la guardia se per

caso vi attaccano.»

«Che cosa proponi di fare?» chiede.

«Devi dare a Derrick del tempo per addestrarli prima di partire.» È esitante. «Un

paio di giorni, è tutto quello che chiedo.»

«Va bene, un paio di giorni» Sembra riluttante. «E poi…»

«Poi me ne andrò.»

155

Capitolo 26 Traduzione: Valeriuccia7692

Il giorno seguente, sono di nuovo davanti alla finestra, guardo la neve che cade sulla

falsa Edimburgo. Solo alcuni giorni. Non sono certa di dove troverò un riparo. Non che

mi sia mai sentita a casa qui nella città di pixie, ma l’illusione della mia vecchia camera,

della mia vecchia casa, mi rende difficile andare via.

Mi illudo, solo per un paio di ore, che sia tutto reale, che sia di nuovo lì. Sono di

nuovo a casa, prima che cominciasse la battaglia, quando tutto sembrava più semplice.

Derrick vola sulla mia spalla, spaventandomi con la sua presenza improvvisa.

«Ascoltami» dice in tono duro. «Questa è casa mia, non te ne vai da qui. Di’ solo una

parola e prenderò il Ciclope a calci in culo.»

Ho aspettato tre anni.

Per cosa?

Per la ragazza il cui dono porta il caos.

La morte mi segue; mi segue dal giorno della morte di mia madre. Sono un pilota

che cerca di evitare i fulmini in una tempesta. «No. Non lo farai» dico dolcemente. «La

sua premonizione non era sbagliata, Derrick. E devo comunque ancora trovare il

cristallo del vecchio regno. Lo sai che lo devo fare.».

«Potrebbero volerci secoli» dice lamentoso. «I miei antenati hanno bruciato tutto.

Diavolo, hanno bruciato i trofei delle loro vittime. Ci sono milioni di scheletri su

quest’isola. Lonnrach dovrà disseppellirli tutti.»

«E se i sussurri di Daniel fossero tornati per un motivo?»

«Non mi importa» sbotta. La sua aurea è rosso fuoco, riluccica come fiamme.

«Finalmente ho di nuovo il mio guardaroba. Ho di nuovo te. Sta rovinando tutto.» Fa

una pausa. «Pensi che Catherine si offenderebbe se gli strappassi un orecchio?».

Lo sposto sul palmo della mia mano, alzo la mano in modo da poterlo guardare negli

occhi. «È davvero questo il problema? Perdere il tuo guardaroba?»

«Certo.» Mi guarda con gli occhi spalancati, fa lo sguardo innocente. È tutto fuor

che innocente. «Quale altro problema dovrebbe esserci?»

«Kiaran mi ha detto tutto. Della tua famiglia, della tua casa.»

Immediatamente la luce di Derrick scompare e nasconde le ali. Sento l’umidità del

suo respiro e lui distoglie lo sguardo. «Era ovvio che te l’avesse detto.»

Derrick aveva perso il suo regno e tutti quelli che amava, e adesso, quando partirò,

dovrà scegliere tra me e la casa che ha appena ritrovato. Non lo biasimo per essersi

affezionato a ciò che orami è diventato familiare. Sono cose così semplici. Il suo

guardaroba, quella montagna di vestiti. Me. Questa camera. Ho dormito nella mia

versione del tuo guardaroba per tre anni, non ha mai avuto questo odore. Anche se

questa stanza è un’illusione, devo restare qui perché sia vera per lui. È questo che fanno

le famiglie: portano casa con sé. Io e Derrick siamo diventati una famiglia.

156

Passo le dita su una sua ala, poi sull’altra. «Vorrei poter odiare Kiaran per te» gli

dico. «Vorrei poterlo odiare nello stesso modo in cui tu odi il baobhan sìth che ha

ucciso mia madre.»

«Non te lo chiederei mai» dice. Posso sentire il suo dolore. Non importa quanto

tempo sia passato dalla perdita della sua famiglia, il dolore brucia ancora. «Ho avuto

più di mille anni per piangere la mia famiglia. Ma c’è una cosa di cui sono sicuro: non

passa giorno in cui io non pensi a quanto Kiaran ti sia inferiore. Dovrebbe baciare la

terra dove cammini, dovrebbe ringraziare che qualcuno abbia potuto pensare che

meritasse di essere trattato con gentilezza.»

«Cosa ti ha fatto cambiare idea?» gli chiedo seria. «Perché non vuoi più che io lo

uccida?».

Derrick resta zitto per un po’ di tempo, sbattendo leggermente le ali. La sua aurea

dorata sta pian piano tornando.

«Ho visto il modo in cui ti guarda.»

Deglutisco, ho paura della sua risposta. «E come mi guarda?»

«Come se desiderasse di essere mortale.»

Sbatte le ali per scivolare sul mio palmo. «Me ne torno a cucire. Così mi calmo.

Lancerò un altro incantesimo di difesa questa notte, ma di’ a quello scemo senza un

occhio che avrà bisogno di molta fortuna per trovare un altro sìtiche che possa cucire.»

Con uno sbuffo, si barrica nel suo guardaroba e chiude la porta dietro di sé con un

tonfo.

Come se desiderasse di essere mortale.

No, non posso preoccuparmi di questo adesso. Guardo di nuovo la neve fuori dalla

finestra, e questa volta ho preso la mia decisione. Voglio uscire, vedere la città come

l’immagino prima di essere esiliata e legata ad un destino incerto di fuga dalle fate.

Butto indietro le spalle e tiro di lato il pannello vicino alla finestra. Il bottone che

stacca questa parte di parete è qui, sul pannello di legno. Proprio dove lo avevo messo

nella mia vera camera, una possibilità di fuga per andare a caccia durante la notte.

Lo schiaccio trattenendo il fiato. Una parte della parete si abbassa, come se fosse un

ponte per il giardino, i suoi ingranaggi di metallo cigolano mentre si abbassa.

Rabbrividisco, l’aria è fredda, come anche i fiocchi di neve, e aspetto che il pannello

vicino alla parete torni al suo posto.

Mentre scendo in giardino, chiudo gli occhi e immagino un clima leggermente più

caldo, con la pioggia e un vento leggero. Il tempo si trasforma esattamente come lo

avevo immaginato, abbastanza fresco per tenere addosso la giacca.

La pioggia cade sui rami senza foglie degli alberi mentre attraverso il sentiero che

porta al cancello sul retro. Si apre e si richiude come ha sempre fatto, con un forte

cigolio. Le mie dita si fermano sul metallo quando esco in strada. I lampioni lungo la

strada vuota sono tutti accesi, i ciottoli bagnati riluccicano nella luce del crepuscolo.

Non ho mai visto la città così tranquilla, così vuota, nemmeno quando uscivo a

cacciare di notte. Anche gli edifici che mi circondano hanno le luci accese, la servitù

si raggruppa nelle cantine a chiacchierare dopo aver finito le loro faccende. Adesso

cammino lungo la strada desolata e c’è solo silenzio, nessun rumore oltre la pioggia e

157

i miei passi. Gli edifici sono fatti di mattoni e pietre bianchi, uno a fianco all’altro, non

c’è un’anima ad abitarli. Charlotte Square è un posto arido e pieno di case abbandonate.

Scendo lungo Princes Street, fisso nel buio, riesco a vedere i resti del castello e il

suo parco erboso. Non rimane nulla se non la facciata principale; il resto delle pietre

giace disordinato nell’erba.

Chiudo gli occhi e m’immagino il castello esattamente com’era nei miei ricordi di

prima. Era una struttura così prominente, troneggiava al centro della città. Era bello, le

sue fondamenta alo facevano sembrare un edificio scavato direttamente nella roccia.

Quando riapro gli occhi il castello è intero. Completo. Di nuovo bello. Quasi piango

nel vederlo. Non è reale, ricordo a me stessa. È un’illusione.

Il panorama avverte il mio umore e guardo il castello dissolversi, come se dell’acqua

fosse stata lanciata su di un dipinto. Le componenti dell’edificio si sgretolano e si

ritrasformano in rovine.

Trattengo le lacrime e passeggio per le strade dell’Edimburgo immaginaria. È così

fredda e vuota che inizio a pentirmi dell’esserci venuta. Non potrei mai essere una delle

persone di cui mi ha parlato Catherine, quelle che attraversano le porte per un ultimo

assaggio del posto che amavano prima di morire. C’è così tanto dolore qui, un dolore

intrecciato troppo stretto al mio senso di colpa.

Inizio a rendermi conto di quanto sembri falso, di quanto la mia immaginazione sia

limitata. Più mi allontano dal centro, più i miei ricordi iniziano ad annebbiarsi, e lo

stesso succede agli edifici.

Appena arrivo in Holyrood, i casermoni sfavillano come se fossero sott’acqua,

seguono quello che mi sembra di ricordare. Tutto quello che ricordo è l’altezza delle

case, ma non le loro fattezze, quello che le rendeva diverse una dall’altra. Adesso si

somigliano tutte. Una lunga fila di case tutte uguali. Cerco di cambiarle, di mettere alla

prova la mia memoria e di concentrarmi sulle notti in cui percorrevo queste stesse

strade per andare a caccia, ma non ci riesco. I mattoni e le pietre si mescolano per

costruire più o meno sempre la stessa cosa.

Perdo l’illusione. La lascio andare e m’immagino gli edifici esattamente com’erano

quando ero tornata dal Sìth-bhrùth. I muri si trasformano in mattoni sgretolati,

completamente ricoperti da muschio e edera.

È un promemoria, un messaggio che devo accettare. Questo è quello che ti sei

lasciata alle spalle. Non c’è nient’altro.

Chiudo gli occhi. È colpa mia. È tutta colpa mia. Tutto ciò che avrei dovuto fare era

riattivare il sigillo e tutto sarebbe stato ancora qui. Sarebbe rimasto tutto esattamente

come prima.

Quando riapro gli occhi sono a Queen’s Park. L’erba è del colore ambrato di ogni

inverno. Il sentiero fangoso che porta al Trono di Artù davanti a me, le rovine della

Cappella di St. Anthony dietro di me. Respiro l’aroma del parco, l’odore è proprio

quello di quella notte: fuoco, cenere e pioggia.

La battaglia è ferma intorno a me, un ricordo perfetto. I soldati delle fate mi hanno

circondata. Ognuno di loro è fermo nell’esatta posizione in cui erano quando cercarono

di attraversare lo scudo di luce del sigillo che mi circondava.

158

Ai miei piedi c’è il sigillo, esattamente come nella battaglia. Cado in ginocchio e

stringo le mie dita intorno alla custodia esterna, intorno al quadrante dell’orologio,

intorno ai pezzi della bussola, poi le passo sui simboli che Kiaran mi aveva fatto

disegnare. Gli ingranaggi scintillano, ticchettano in un piacevole ronzio.

«Aileana.»

Mi guardo le spalle e vedo Gavin; non l’ho sentito mentre camminava lungo il

sentiero. Indossa gli stessi vestiti di quando andava a cavalcare, coperti di fango e di

macchie di sangue sbiadite. Non posso farne a meno; il mio sguardo si concentra sulle

sue cicatrici, sui nuovi tratti di un viso che ho memorizzato lungo gli anni. Adesso devo

lasciarlo un’altra volta.

«Che cosa vuoi, Galloway?» La sua attenzione è sulla battaglia intorno a me e sulla

città in rovina alle mie spalle. Lo guardo mentre studia i resti dei casermoni. Si

irrigidisce appena realizza come ogni soldato si fermo in posizione d’attacco, pronto

ad attaccare me.

La ragazza il cui dono porta il caos.

«Perché sei venuta qui fuori?» Chiede. «Non farti questo.»

Mi concento di nuovo sul sigillo. Non sembra così bello come lo era un tempo, forse

solo perché è un prodotto della mia memoria, non la creazione meravigliosa delle fate

che morivo dalla voglia di ricreare.

«Farmi cosa?» chiedo piatta.

«Circondarti di questo.» Gavin allunga una mano verso la vista della città. «Cavolo,

posso capire la tua stanza, ma per quale diavolo di motivo devi ricostruire l’intera

maledetta città?»

«L’ho immaginata perché è l’unica cosa a cui riesco a pensare.» Trattengo la mia

rabbia, la mia irritazione. «Come hai fatto trovarmi?».

«Facile» sbotta Gavin. «Ho seguito le tracce del senso di colpa. Che a quanto pare,

assomiglia a intere strade di edifici distrutti.».

«Sei entrato nella mia porta. Mi hai seguita fin qui» gli ricordo. «Per quale motivo?».

Gavin si siede a fianco a me sull’erba fredda. Non parla a lungo, guardo il suo petto

mentre respira, mentre inspira piano e poi espira. Finalmente dice «Dovevo spiegarmi.

Dovevo spiegarti il perché ho detto quelle cose prima di andarmene via.»

Alzo una mano. «Non ce n’è bisogno. Lo capisco.»

«No, tu non capisci» dice a denti stretti. Vedo quando sia in conflitto con sé stesso,

come se si stesse chiedendo se dirmi tutto o meno. «Ho trascorso gli ultimi tre anni a

cercare di convincermi che era tutta colpa tua.» Finalmente riesce a guardarmi negli

occhi. «Ti ho dato la colpa di tutto questo. Ogni giorno.»

Mi fermo. Il dolore al petto torna. «Davvero?» Parlo con una voce calma, con una

voce che non rispecchia minimamente come mi sento adesso.

Sono diventata brava a fare a finta di non provare emozioni, di non provare più

niente. Ma in questo posto il clima non mente. Non sono abbastanza brava a fingere

per fare in modo che non venga condizionato dal tumulto che ho dentro. Le nuvole si

scuriscono, nere e fitte.

L’attenzione di Gavin non si scosta da me. «Non sei rimasta per il dopo» dice. «Non

hai dovuto guardare mentre trucidavano ogni persona che conoscevamo, e non eri qui

159

quando abbiamo dovuto vivere in rovine che sapevano di morte. Preparavamo le

valigie ogni mattina, ci spostavamo nella speranza che non ci trovassero. E te ne ho

dato la colpa. Ho incolpato te ogni maledetto giorno. Avevamo bisogno di te e tu non

c’eri.»

Non riesco a respirare. Ho paura che se lo faccio inizierò a piangere. Mi bruciano gli

occhi. Le nuvole si aprono e inizia a piovere, grosse gocce che cadono sui miei capelli

e sui miei occhi. Non sento nemmeno il freddo. Sono vuota. «Gavin…»

«No, lasciami finire.» la sua rabbia sembra svanire. «Quando ti ho vista fuori dalla

città non eri invecchiata di un giorno, e allora ho capito… Cristo.» Il respiro di Gavin

si fa pesante, il suo corpo trema a causa del freddo che non riesco a controllare. «Sei

soltanto una persona e ti ho incolpato di non aver salvato il mondo.»

Guardo le gocce di pioggia scivolarmi lungo le dita e sul sigillo. Come posso far sì

che capisca? Come posso spiegargli che Lonnrach mi ha rapita e che ho pagato per

questo?

Prima che possa rendermene conto, i miei pensieri hanno cambiato di nuovo il

paesaggio. Le colline del parco spariscono come su una tela slavata e un nuovo posto

si forma intorno a noi. Una stanza arcuata….

«No!» sussurro, indietreggiando così velocemente che sbatto contro uno specchio.

«No, no, no.»

Mi giro e sbatto contro lo specchio con i pugni abbastanza forte da crearmi un livido.

Inarco le dita delle mani. Non riesco a pensare. Respiro così velocemente che non

riesco ad incamerare ossigeno.

«Aileana!»

Delle mani mi stringono, ma mi allontano. «No, non avvicinarti.»

Questo farà davvero male.

«Aileana.» la voce tranquilla di Gavin interrompe il mio panico. Dice di nuovo il

mio nome, e si acquatta al mio fianco. Lo sussurra più e più volte, come volesse

ricordarmi chi sono.

Non ho mai sentito il mio nome in questo posto. Prima ero la Falconiera, poi non

ero più nemmeno quello. Non ero niente. Non ero nessuno.

Gavin appoggia le mani sulle mie braccia, mi scosto ma lui ci riprova, in modo

gentile. «Va tutto bene» dice; lascio che mi abbracci. Nascondo il viso sulla sua spalla

in modo da non dovermi guardare intorno. Sto tremando. «Va tutto bene.»

Non va tutto bene. Quello che ti ha fatto, non va tutto bene.

«Pensa soltanto a respirare» mi dice. «Respira.»

Gavin mi stringe mentre cerco di ritrovare il controllo. Tengo gli occhi chiusi. Porto

le dita ai segni di morso che ho sul collo. Sotto le cicatrici avverto il battito del mio

cuore. Cerco di concentrarmi solo sul suo ritmo. Ogni battito mi ricorda che sono viva,

che non sono davvero lì. Questa è un’illusione.

Il tuo nome è Aileana Kaameron e sei viva.

Quando mi sono calmata abbastanza, Gavin mi lascia andare. «Che cos’è questo

posto?»

«È la prigione in cui mi teneva rinchiusa Lonnrach nel Sìth-bhrùth.»

160

Non ho bisogno di guardare Gavin per avvertire la sua sorpresa. Posso sentirla dal

suo abbraccio, dal modo in cui resta immobile. Apro gli occhi. Ora sono in grado di

guardare quelle che è stata la mia prigione e di nascondere la paura. Il soffitto ad archi

è altissimo sopra di noi, l’intera stanza è ricoperta di specchi. Gli specchi non rifletto

Gavin, riflettono solo me, seduta sul pavimento, con le unghie sui segni lasciati sul mio

collo dai denti di Lonnrach, che mi sforzo di ricordare.

Mentre cerco di ricordare mi allontano da Gavin in modo da poter sentire le due

cicatrici gemelle sul mio braccio. Sento la pelle ruvida sotto le mie dita. Ottantadue

denti. Duemiladuecentoquattordici cicatrici. «Gli specchi servivano ad amplificare i

miei ricordi» gli spiego tenendo un tono di voce calmo. «Lonnrach veniva qui per

rubarmi i ricordi, voleva informazioni. Lui…» Alzo le mie maniche. «Mi ha ridotta

così, diceva che gli serviva il mio sangue per vedere.»

«Aileana…».

«Aithinne ha detto che mi ha tenuta qui solo per un paio di mesi del tempo delle fate,

ma mi è sembrato molto di più. Non riesco a ricordare…» mi fermo, sono arrivata ai

ricordi che potrebbero prendere il sopravvento su di me.

Quando ricomincio a parlare, uso un tono volutamente freddo. «Riesci a capire

perché non posso perdonarti Galloway? Mi hai riportata qui. Dopo tutto quello che ho

fatto per cercare di scappare, mi hai costretta a rivivere il tutto.»

Gavin sembra ferito. Questa volta non cerca d’abbracciarmi. Non cerca di toccarmi.

Lo guardo mentre si rende conto delle mie nuove cicatrici, di quelle minuscole che si

mescolano a quelle di Lonnrach. Cicatrici di cui Gavin è responsabile. «Non so dirti

quanto mi dispiace» mi dice. «Non ci sono parole. Non ci sono scuse per quello che ti

ho fatto.»

Anche se non lo ho ancora perdonato, le sue parole mi calmano. Mi calmano

abbastanza affinché la stanza con gli specchi si dissolva, e siamo di nuovo a Queen’s

Park. Non siamo più circondati dai soldati. Siamo soli, separati solo dal sigillo.

«Devi sapere che mi sono incolpata anche io» dico. «Credevo foste tutti morti e

pensavo che quello che era accaduto con Lonnrach fosse la giusta punizione. Ho

ripensato mille volte agli ultimi momenti della battaglia. Avrei dovuto essere più

forte…»

«No» mi interrompe Gavin, stringendomi la mano. «Non ti ho mai detto della mia

visione. Di quello che ho visto.»

«Cosa hai visto?» sussurro.

«Quando sono riuscito a collegare tutti i pezzi, ho visto che avresti attaccato Sorcha.

Avrebbe vinto, tutto questo sarebbe comunque successo. Doveva andare così. Ero solo

troppo arrabbiato per ammettere che non era colpa tua. O almeno non solo.»

Non gli dico quello che penso, non gli dico che secondo me le sue visioni sono una

maledizione che ci tortura con un futuro che non possiamo cambiare. Non ho potuto

evitare la disfatta della Scozia nonostante i suoi avvertimenti. A cosa serve riuscire a

vedere il futuro se non puoi fare niente per cambiarlo?

«E quindi eccoci qu.» dico con una risata amara.

«Eccoci qui» ripete Gavin. Guarda le nostre mani. «Alcune cose non possono essere

evitate. Avrei dovuto capirlo prima, quando avevo ancora il dono.»

161

Quello che dice attira la mia attenzione. «Avevi?»

«Non ho più avuto una visione da quando te ne sei andata.»

Cerco di dare un’espressione neutra al mio viso, non voglio che sappia che ho

pensato alle sue visioni come ad una specie di maledizione. «Mi dispiace.»

Gavin sorride di un sorriso forzato, «Bugiarda.» Si guarda di nuovo attorno. Questa

volta, senza i soldati, mi rendo conto di come la sua attenzione sia concentrata sul

paesaggio. «Non mi hai detto perché sei venuta qui.»

Perché, anche se si tratta solamente di un’illusione, sono comunque i miei ricordi.

Perché non ho più una casa. Le fate me l’anno portata via. «Volevo solo rivedere

questo posto prima di andarmene» dico.

«Daniel mi ha detto tutto, mi ha detto anche delle voci.»

La morte scorre nelle sue vene. La segue ovunque lei vada.

Vorrei non aver mai sentito la premonizione di Daniel. Vorrei poter dimenticare

quelle parole.

«Non voglio mettervi in pericolo.»

«Che cosa farai lì fuori?»

Lonnrach non smetterà mai di darmi la caccia. Un essere immortale può permettersi

di essere paziente; deve solo catturarmi e riportarmi al Sìth-bhrùth. Questa volta mi

chiuderà a chiave e mi terrà legata. E quando avrà trovato quello che cerca tornerà per

uccidermi e rubarmi il potere.

«Non lo so» confesso. «Se Lonnrach dovesse riuscire a trovarmi mi riporterebbe di

nuovo in quel posto. Non posso permetterglielo…»

Adesso sai benissimo che cosa si prova ad essere impotenti.

Non posso tornare in quelle condizioni. Non tornerò ad essere la ragazza che Gavin

ha visto accasciata sul pavimento, non tornerò a rivivere ricordo dopo ricordo, a cercare

di ricordare che cosa si prova ad essere umani. Ad essere amati. Questa volta Lonnrach

non mi lascerebbe mai scappare. «Cercherà di trovarmi, di uccidermi e di rubarmi il

potere. E io non so come poter usare il mio potere per difendermi.» Gavin mi guarda

come se avesse appena avuto un’idea. «Che cosa c’è? A cosa hai pensato?»

«Non ti piacerà.»

«Nel caso non te ne sia accorto, non ho molte alternative.»

Gavin esita. «Coi veggenti funziona così, rafforzano le loro capacità quando

muoiono e poi riescono a tornare, è quello che è successo a me quando ero malato.

Forse i poteri funzionano allo stesso modo.»

Prendo in considerazione le sue parole. Derrick mi aveva detto che quando si muore,

si attraversa il velo. Se il dono della Vista scorre nel tuo sangue e riesci a tornare

indietro, ritorni al mondo con la capacità di vedere.

Ovviamente molto tempo fa Derrick mi aveva anche detto che solo gli uomini

potevano avere la Vista.

Non c’era alcuna garanzia che sarei tornata indietro in modo diverso, ma se fosse

successo Lonnrach non sarebbe più stato in grado di tenermi prigioniera, avrei avuto il

potere di bloccarlo fuori dalla mia mente. Non avrebbe più potuto manipolarmi. Non

avrebbe potuto spezzarmi. Avrei avuto tutto ciò che mi serviva per aiutare Aithinne ad

ucciderlo.

162

Valeva la pena morire per tutto questo.

«Che cosa si prova?» chiedo a Gavin, «Cosa si prova a morire?»

Gavin s’irrigidisce. «Vorrei davvero poterlo dimenticare.»

«È così terribile?» avevo sperato che la morte fosse più tranquilla.

«Quando attraversi il velo non è…» fa un attimo di pausa. «È come un Purgatorio,

creato apposta per attirarti e obbligarti ad andare verso la fine, ovunque essa sia.»

«Hai visto tuo padre?» non posso fare a meno di chiederglielo. Sarebbe un altro

valido motivo per farlo. Lo farei ancora più convinta se potessi vedere mio padre

un’ultima volta.

«No» risponde tranquillo. «Sicuramente era arrivato in quel posto. È questa la

ragione per cui la maggior parte delle persone resta morta. Quando sei nell’aldilà, tutto

lotta per tenerti lì.»

Improvvisamente un pensiero mi colpisce. «E cosa succede se hai qualcuno in grado

di riportarti indietro?»

Gavin fa una pausa, i suoi occhi cercano i miei. «Allora potrebbe essere meno

rischioso.»

163

Capitolo 27 Traduzione: Ella

Dopo aver lasciato la mia Edimburgo immaginaria, sono in piedi davanti alla porta

dell’armadio ed espongo a Derrick il mio piano. Lui cuce un cappotto mentre io parlo,

ricevendo a malapena un segno del fatto che mi stia ascoltando, ad eccezione di un

occasionale cenno del capo. Alla fine, lui rimane in silenzio.

«Beh?» rimbecco.

«Vediamo…» picchietta con le dita sul mento, «Pieno di pericoli. Possibilità di

successo incerte. Personalmente, penso sia una terribile idea. Ho sentito che la morte

sia estremamente sgradevole.»

Non pensavo che Derrick avrebbe approvato, ma almeno avrebbe potuto farlo

presente prima che gli esponessi l’intero dannato piano. «Ti dispiacerebbe

approfondire, per favore?»

«È spiacevole perche tu devi morire, ecco perché» dice cucendo una tasca sulla

giacca. Guarda Gavin. «Non ha preso questa schifo di idea da te, vero? Perchè sto

ancora cercando una ragione per mozzare una delle tue appendici dopo ciò che le hai

fatto, e questa sembra la scusa perfetta.»

«Per l’amor del Cielo» mormoro.

Gavin indietreggia con le mani alzate. «Non dare la colpa a me. Potrei aver

presentato l’idea, ma è lei quella che se ne è uscita con questo sproloquio.»

Derrick stringe gli occhi. «Aileana, è vero?»

«Sì» lo aggredisco, «beh non lo sproloquiare. Io non sproloquio.»

«Questo… questo significa che posso tenermi le mie appendici?» chiede Gavin.

«Per ora» dice Derrick, tenendo l’ago in una chiara minaccia.

Ispeziono il mucchio di stoffa sul quale sta seduto e noto che non è solo la mia

immaginazione – sta davvero diventando più grande. Come se avesse compensato tre

anni di sartoria con un intero guardaroba tutto in una volta. Dio, l’ha già fatto! Sta per

creare un armadio di cose che non posso indossare o portare con me.

Gavin lancia un’occhiata alla pila di vestiti. «Quindi stai organizzando un ballo, o

questo è solo qualcosa che i pixie fanno per divertimento?»

Derrick gli lancia uno sguardo truce. «È qualcosa che faccio per distrarmi, stupido.

Sono stato costretto ad abbandonare il mio armadio perché il tuo amico Ciclope ha

avuto qualche dannata premonizione.» Atterra su un abito, con un guizzo d’ali. «Non

so nemmeno perché stiamo ascoltando cos’hanno da dire qualche voce non identificata,

comunque» borbotta, «ora dovrò bruciare il suo intero guardaroba prima di iniziarne

uno nuovo da qualche altra parte.»

«Derrick, abbiamo già parlato della questione vestiti.»

Generalmente provo a non mettermi mai in mezzo ad un pixie ossessivo e alla sua

fabbricazione di abiti, ma Derrick potrebbe davvero bruciarli tutti se si sente offeso. È

164

sempre stato protettivo nei confronti delle sue creazioni, ed io non ho mai dovuto

rifiutarle prima.

Derrick sputa un ago da cucito e solleva un suntuoso pezzo di spesso broccato

bordato di pelliccia. Vola da me con l’indumento, le sue ali brillanti e scintillanti d’oro.

«Bene, niente più abiti. Metti questa nuova giacca.»

Rassegnata, mi tolgo il mio cappotto di lana sbrindellato, e macchiato di sangue.

«Ho bisogno di trovare Aithinne. Dov’è?»

«Non lo so. Alza il braccio.» Sospiro e lascio che mi sistemi la giacca intorno. è

bellissimo, un capo attillato che si stringe sulla mia vita e mi fa sembrare più piccola e

delicata di quanto non sia in realtà.

«Perché hai bisogno di Aithinne?»

«Perché lei può guarirmi e riportarmi indietro.»

«Oh, vedo che stai ancora considerando questa ridicola idea.»

Resto in silenzio mentre raddrizza le pieghe sul davanti del cappotto. Derrick deve

sapere cosa è successo con Lonnrach, ma non penso che abbia realizzato quanto ciò mi

ha segnata. Come mi ha cambiata.

«Lo sai perché» sussurro, «sai perché devo farlo.»

Si ferma sulla mia spalla, improvvisamente serio. «Lo so» dice con calma, «ciò non

significa che debba piacermi o approvarlo.»

«Allora accettalo soltanto» provo a dire lievemente.

Derrick mi fissa a lungo, guardo le emozioni oscillare attraverso il suo viso prima

che torni a lisciare le pieghe alla fine. «Bene» dice con riluttanza, «Se facciamo questa

cosa, è molto più complicato di avere Aithinne che ti rattoppa. Anche se avesse la

capacità di resuscitarti, non significa che sarebbe in grado di trovarti nell’altro lato. A

che serve il corpo senza anima?»

Gavin prende in considerazione questa cosa. «Ha senso. Te l’ho detto: tutto combatte

per tenerti lì.»

«Qualche idea, allora?» chiede Derrick.

«Se insisti nell’andare avanti con il tuo piano incosciente» dice, tornando indietro

ad ispezionare il cappotto, «avrai bisogno di qualcosa per indirizzare Aithinne dopo

aver attraversato il velo.»

Mi sfreccia intorno così velocemente per controllare le cuciture che mi arrendo a

cercare di rintracciarlo. «Tipo cosa?»

«Brìgh, forse» dice, «i Sithichean lo usavano in passato per intrappolare l’essenza

umana nel bulbo della pianta da nutrire in seguito. Se intrappoliamo un po’ della tua,

Aithinne potrebbe essere in grado di utilizzarla per rintracciarti.» Si ferma a pensare,

le sue ali ronzanti. «Ma comunque, potrebbe non funzionare.»

«potrebbe non funzionare?»

Derrick alza le spalle. Inizia a disfare i punti sulla mia spalla, poi fissa con uno spillo

e cuce di nuovo. «Non posso esserne sicuro. Potresti semplicemente morire e non

tornare per niente.»

D’aiuto. Molto d’aiuto. «Dove potremmo trovarne qualcuno?»

«Ho sentito che crescono lungo il fiume dall’altra parte della porta, ma io non ci

vado.»

165

Non andiamo lì dentro. Non andare mai lì dentro.

Come se mi leggesse nel pensiero, Gavin dice, «No. Non pensarci nemmeno.»

Suppongo non sarebbe saggio sottolineare l’ovvio: che Gavin non avrebbe alcun

problema a dire alla fae oltre la porta di torturarmi non appena arrivo.

Stringo la mascella e guardo lontano da lui. «Possiamo chiedere ad Aithinne di

recuperarlo, allora.»

«Non vorrei che fosse lei a farlo» dice Derrick, «rischi che la sua energia interferisca

con la tua nel brìgh. Potrebbe oscurare il tuo percorso attraverso il velo.»

«Allora dovremo attraversare la porta noi.»

Derrick si ferma, finendo un punto. «Non stavo neanche suggerendo questo.»

«Hai un piano migliore?»

«Beh, no.» guarda verso Gavin, come a dire, potresti aiutarmi, per favore?

Gavin alza le mani. «Non guardare me per delle idee. Devo solo mantenere le mie

parti del corpo intatte.»

Derrick lo guarda male. «Bene» mi abbottona, «ecco. Ora non sei più così orrenda.»

Sospiro. «Puoi trovare Aithinne?»

«È probabilmente dietro la porta con gli altri. Ha lasciato una scia laggiù che

profuma di bucaneve e mattine piovose.» sembra rassegnato quando vede il mio

sguardo. «Bene. Andiamo.»

Derrick volteggia fuori dall’armadio, mi passa vicino e segue la traccia di Aithinne

attraverso i buoi e labirintici tunnel verso la porta fatata oltre il campo di seilgflur.

Quando raggiungiamo la porta, fa scorrere le dita sugli intagli e annusa. «Aye» dice,

«è decisamente qui dentro. Dio, è un piano terribile.»

Mi avvicino alla porta e appoggio l’orecchio su di essa, ma non sento nulla,

nemmeno la musica cullante che mi ha attirato la prima volta. Ora che sono vicina,

realizzo che i simboli sembrano essere impressi a fuoco nel legno. Respiro l’odore della

cenere e afferro la maniglia della porta.

«Aspetta» dice Gavin, «forse Derrick dovrebbe entrare per primo e controllare che

ci sia via libera.»

Derrick svolazza accanto a me e lo squadra. «Oh, capisco. Gettiamo il Pixie nella

tana dei lupi, eh?» all’espressione confusa di Gavin aggiunge, «non è sicuro nemmeno

per me lì dentro, scandaloso idiota. Loro pensano che sia un traditore per avere Aileana

come amica e per lasciare gli umani stare qui. Buon dio, non sai niente?»

«Signori» li richiamo bruscamente. Assicuro la spada al mio fianco e lancio

un’occhiata a Gavin. «Sto entrando. Se non ve la sentite, fate un passo indietro.»

Derrick plana subito sulla mia spalla e ci si siede sopra. «Vengo anche io. Giusto nel

caso in cui questo stupido piano fallisca.»

Gavin si avvicina a me con riluttanza. «Suppongo io debba venire con te per

assicurarmi che non dai inizio a una guerra» mi guarda severo, «niente uccisioni. Se

uccidi uno solo di loro, annulli il patto. È l’unica cosa che frena loro dal cacciare

chiunque in città.»

Odio il promemoria del trattato. Ciò che Catherine mi ha detto continua a non

renderlo giusto. È come ospitare un leone con la porta della gabbia spalancata. «Bene.»

«Promettimelo.»

166

Promettimelo. Non posso credere che mi stia chiedendo questo. «A differenza tua»

dico fermamente, «io ho sempre mantenuto la mia parola.»

Gavin trasalisce.

«Ahia» sussurra Derrick, «te lo sei meritato, Veggente.»

Un lampo di dolore attraversa il viso di Gavin. «Se succede qualcosa, scappiamo»

dice, «le persone della città che sono entrare non ne sono più uscite.»

Accantono la paura suscitata dalle sue parole e annuisco. Poi raddrizzo le spalle e

giro il pomello.

È silenzioso e buio mentre entro. Troppo buio. Troppo silenzioso.

«Vedi niente?» sussurro a Derrick. Le fate hanno una vista migliore della mia.

Prima che possa rispondere, le luci si accendono improvvisamente. Come se fosse

stato spinto un solo interruttore e tutto, ogni edificio, viene improvvisamente illuminato

dall’interno. Catturo tutto, l’architettura di metallo splendente, le strade di marmo

scolpito, gli alberi nodosi e contorti, e non posso fare a meno di sentirmi intimorita

dalla bellezza. È ancora più grande della città umana. Ogni struttura è stata

attentamente edificata con simboli e vortici scolpiti nel metallo, con disegni e

rappresentazioni pittoriche di alberi e fiori.

Gli edifici sono appuntiti e altissimi. Ognuno ha degli archi sopra le entrate, molto

simili a quelli che ho visto fuori dalla prigione nel Sìth- Bhrùth.

Sotto la cupola di vetro che attraversa l’intera città, le luci brillano e turbinano. No,

non le luci. Quello che illumina la città non è elettricità, ma fuoco. Fiamme tremolanti

che fluttuano sotto bulbi di vetro sospesi in tutta la città. Si alzano verso il cielo,

gettando ombre sulle strade.

Le strade stesse sono fatte di quello che sembra marmo bianco, ma lo so bene. Il

marmo non brilla così. Il marmo non sembra che abbia incastonato al suo interno

gemme scintillanti.

Gavin impreca piano. «Non posso dire che me lo aspettassi.»

«Shhh.»

Non ci sono fate in vista. Faccio un cauto passo avanti e un rumore alla mia sinistra

mi prende di sorpresa.

Quando guardo, non c’è niente. La mano di Gavin afferra improvvisamente la mia.

Il suo palmo è caldo, appiccicaticcio.

«Non mi piace.» sussurra Derrick, «Non mi p…»

Prima che possa battere ciglio, le fate sono ovunque. Ovunque. Scendendo

lentamente dagli edifici, volando attraverso le strade, strisciando attraverso il marmo,

arrivano verso di me. Centinaia. Alcuni con scintillanti denti di rasoio e altri con ali

che sembrano affilate abbastanza da tagliare l’acciaio. I loro occhi brillano di una luce

misteriosa mentre mi ringhiano, avvicinandosi in gruppo.

Ci sono fate che non ho mai visto, di tutti i diversi tipi. Ad attraversarmi la mente ci

sono le lezioni di Kiaran per identificarle tutte. I miei occhi risalgono su fate con gli

occhi neri, del colore del fango e con abiti grigi. Grandi felini delle dimensioni di lupi

con due file di denti che lampeggiano quando ringhiano. Fate che strisicano come

ombre sul terreno.

167

«Ve lo devo dire» mormora Gavin, «rimpiango davvero questa decisione.» Fa un

salto quando una fata dalle fattezze feline salta da una finestra di un edificio vicino a

noi e atterra senza problemi sulle zampe. «Davvero… la sto rimpiangendo davvero

tanto.»

Non riesco a trattenere la mia risposta istintiva. Sfodero la mia spada e la stringo al

mio fianco. «Non farlo» sussurra Derrick, «ricorda quel che ha detto Gavin.»

Dannazione. Chiudo brevemente gli occhi ma non metto via la spada. Potrei aver

bisogno della minaccia di un’arma per tenere a bada le fate.

«Due umani smarriti» dice una delle creature d’ombra. Un brollachan,

all’apparenza. È una creatura senza struttura, una cosa informe.

La guardo strisciare vicino a Gavin. lui si irrigidisce, le sue dita si stringono a

formare dei pugni. «Mi piace lui» sussurra. Si avviluppa alla gamba di Gavin. «Vieni

con me. Posso tenerti con me.»

Un’altra fata appare e mi sorride con denti affilati. L’acqua goccia dai suoi capelli e

dai vestiti mentre i suoi occhi neri mi scrutano.

Improvvisamente, si piega in avanti, la sua lingua sguscia fuori a lasciarmi una scia

umida lungo la guancia. Mi ritraggo e lei mi afferra il polso in una stretta ferrea prima

che io possa allontanarmi. «Questa profuma» sussurra con una voce che mi fa

rabbrividire.

Derrick salta subito su dalla mia spalla e ringhia. «Stai indietro, torbida megera.»

La megera in questione sibila di rimando. «Pixie traditore.» Le altre fate ringhiano

sentendo l’insulto. Tutti sanno chi è. «Potrei prendere la tua umana» sussurra, «la

mangerei e ti lascerei le sue ossa.»

Ansimo quando le unghie squarciano la stoffa dei miei pantaloni e la mia pelle. Una

fata mi guarda con occhi profondi come smeraldi e ali come rami neri e nodosi. Non

mi ricordo questa fata dalle lezioni con Kiaran.

Lecca il sangue dalla mia gamba. «Falconiera» sibila.

Le fae sfoderano le zanne, i denti che lampeggiano mentre si avvicinano. Con un

rapido oscillare della spada, spingo la spada sul collo della fata che mi ha tagliata.

«Fallo di nuovo e ti squarcio la gola.»

Gavin si irrigidisce dietro di me. Non realizza che è una minaccia che non ho

intenzione di portare avanti, ma nemmeno le fate lo sanno.

«Dannazione, Aileana» mormora Gavin.

«Uccidete la Falconiera» sibila una delle fate dalla folla.

«Prosciugatele il sangue» sussurra un’altra, «mangiamoli entrambi.»

«Aileana…» ripete insicuro Derrick.

Mi allontano dalla folla, per quanto mi sia possibile, ma avanzano lentamente sempre

più vicino. Sono già pronti ad attaccare.

«Prendi Gavin e trovate Aithinne» dico a Derrick, «seguiranno me. Correrò e

prendero il brìgh.»

Alcuni iniziano ad accerchiare Gavin, come se sentissero che è più semplice da

abbattere. Ho bisogno di distrarle. Il suo corpo non sarebbe in grado di sopportare i

loro morsi se lo raggiungessero, e non può correre veloce quanto me.

168

«Il fiume è proprio oltre gli edifici» dice Derrick a voce bassa, «il fiore è blu e brilla

leggermente. Non puoi sbagliare. Buona fortuna.» vola verso la spalla di Gavin e gli

sussurra nell’orecchio.

Pronti.

Mi rivolgo alla folla. «Volete il mio sangue?» alzo la spada, taglio il mio palmo e

tengo la mia mano insanguinata e gocciolante in alto. Le creature sibilano e i loro occhi

lampeggiano nel buio. «Provate a prenderlo.»

Si tuffano su di me in una moltitudine di denti e artigli. Mi allontano dalla strada,

rotolando sul marmo liscio. Poi mi rimetto in piedi e corro. Mi infilo in una viuzza buia

tra gli edifici, i fischi e le urla dei fae, fragorosi dietro di me.

Faccio l’errore di guardarmi indietro. I fae stanno strisciando lungo gli edifici da

entrambe i lati accanto a me, gli artigli affondati nel metallo.

Un cat sìth, un enorme felino fatato, si lancia verso di me, con gli artigli spiegati, e

mi strappa la nuova giacca, mancando la pelle di poco.

Derrick mi ucciderà per aver rovinato il suo nuovo lavoro.

Colpisco il terreno, rotolando in posizione accovacciata. Stringo la spada nella mano

e mi lancio in avanti. Proprio quando sto per infilzare la creatura per ucciderla, ricordo.

Se uccidi una di loro, annulli il patto.

Dannazione. Sbatto con forza l’impugnatura della mia spada sulla tempia del gatto

e gli do un calcio sulle costole con il bordo del mio stivale. Lui sibila e urla all’impatto.

Mi guardo indietro per vedere le altre fae che stanno per raggiungermi e stringo il

mio pugno insanguinato così da farlo gocciare sul terreno.

Due di loro si fermano, leccando per terra disperatamente. Le altre ululano, correngo

più veloci all’inseguimento.

Giro intorno ad un altro edificio e scorgo una fila di alberi scuri e contorti. Il fiume.

Mi slancio verso di esso, scattando tra l’erba. Mi spingo tra i rami degli alberi; i

ramoscelli si spezzano nell’impatto. L’acqua ondeggia sopra le rocce sulle rive del

fiume, la corrente è forte.

Il fiore è blu e brilla leggermente. Non puoi sbagliare.

Le fate sono vicine. Posso sentire lo scalpiccio dei loro piedi collettivi, le vibrazioni

attraverso il suolo. Dov’è, dov’è?

Passo in rassegna le rive e osservo chiazze di fiori delicati e brillanti proprio dove

tocca l’acqua. Salto su una delle grandi rocce del fiume e afferro le piante senza

fermarmi. Vengono fuori dalla terra con facilità, le radici ancora attaccate e li spingo

nella tasca del mio cappotto.

È il momento di andarsene da qui.

Faccio uno scatto in direzione della porta e volo lungo una strada laterale vuota, i

miei stivali martellano contro il marciapiede di marmo. Sfuggo tra gli alberi di una

piazza centrale, attraverso un giardino di rovi affilati e rose piene di spine. I miei vestiti

e il cappotto si impigliano e io tiro per riuscire a sfilare via. Le torri della città intorno

a me sembrano senza fine, senza un posto in cui nascondersi.

Proprio quando penso che un vicolo sia abbastanza stretto e buio da nascondermi, le

luci fiammeggianti mi seguono al comando delle fate. Il mio sangue sgocciola dietro

169

di me mentre corro. Le fae si fermano a leccarlo e combattono tra di loro per assaggiarlo

prima di lanciarsi di nuovo verso di me.

Mentre svolto un angolo, Derrick sfreccia giù da un edificio più alto. «Da questa

parte» mi dice, respirando forte. Le sue ali ronzano mentre vola davanti a me. «Verso

la porta.»

Sto ansimando, le mie gambe bruciano mentre faccio uno scatto sotto un arco di

vetro di uno degli edifici. «Dove sono Aithinne e Gavin?»

«Pù avanti.»

Derrick mi guida lungo un’altra strada. I miei muscoli si sforzano per tenere testa

alla sua velocità mentre lui corre attraverso una piazza che non ho ancora attraversato.

Sinceramente, spero che sappia dove sta andando.

Un ringhio dietro di me cattura la mia attenzione. Lancio uno sguardo oltre la mia

spalla per vedere che le fae sono vicine, così vicine che mi stanno praticamente alle

calcagna. Muovo le braccia, cercando di guadagnare velocità mentre riconosco il

vicolo che arriva alla porta. Un po’ più avanti, ci siamo quasi. Corro più veloce, mi fa

male il petto per il respiro affannoso.

Poco prima di raggiungere la porta, vedo Aithinne e Gavin. Aithinne mi afferra per

la spalla, così non le piombo addosso. Sospirando verso di me in modo pungente, mi

spinge delicatamente verso Gavin e si mette tra noi e l’orda in arrivo.

I suoi occhi stanno brillando, diventando argento fuso come quando utilizza i suoi

poteri. Prima che io possa parlare, alza la mano sulle fate, il palmo rivolto verso l’alto.

L’esplosione di potere che proviene da lei è forte, e mi ricopre la gola e la lingua.

Un’onda serpeggia tra la folla, congelando tutte le fate sul posto. Proprio come aveva

fatto Sorcha durante la battaglia. Nessuno di loro si muove. «Siete tutti ridicoli» dice

Aithinne con disgusto, «combattere gli umani come animali. Non c’è da stupisi che ci

odiano.» Chiude la sua mano a pugno e tutti ansimano come se stessero soffocando. Il

suo potere mi fa stringere lo stomaco. «Forse dovrei fare loro un favore.»

«Aithinne» dice bruscamente Gavin, «No.»

«Siamo venuti noi nel loro territorio» dico. Non importa quanto siano pericolose le

fate, Chaterine mi aveva avvertito di non immischiarmi. «Lasciali andare.»

Posso anche odiare l’accordo e il fatto che le fate possano reclamare ogni umano che

si aggiri nel loro territorio, ma questo è il mondo che mi sono lasciata indietro. Questo

è il modo in cui Catherine e Gavin e la loro città sono sopravvissuti. Ho già fatto

abbastanza danni alla loro esile tregua semplicemnete venendo qui e minacciandole

con una spada.

Aithinne mantiene una presa ferrea su tutti loro per un momento in più.

«Tornatevene dentro» dice alle fae.

«Che sia chiaro a tutti. Gli umani vengono via con me.» Li lascia andare e ignora i

loro bassi ringhi di protesta, mentre ci accompagna alla porta.

«Cattiva idea» dice Aithinne, scuotendo la testa mentre ci fa uscire, «questa era una

pessima idea. Se Derrick non fosse venuto a cercarmi, una di quelle sìthichean

probabilmente mi avrebbe portato il vostro intestino da indossare come collana. E non

mi piacciono nemmeno i gioielli.»

170

«Ma ti abbiamo trovata» dice Derrick gioiosamente, «dunque, vedi, missione

compiuta!»

«Un risultato un po’ ridicolo, ma almeno non siete morti» dice, «ora, cosa c’era di

così importante?»

Dico ad Aithinne tutto ciò che ho detto a Derrick, ma non dico quello che penso

veramente. Non le dico che voglio farlo perché se potessi combattere Lonnrach, allora

ne varrebbe la pena. Non le dico che ciò che Lonnrach mi ha fatto mi ha fatto sperare

così spesso nella morte che non mi spaventa più.

Non glielo dico, perché lei lo ha già capito. Lo posso vedere da come mi guarda. Lei

sa. Lei sa perfettamente perché.

Gliela faremo pagare. Ti aiuterò.

Come se avesse letto i miei pensieri, lei annuisce ma sembra comunque esitante. Il

suo sguardo si assottiglia sospettoso verso Gavin.

«Aspetta. Questa è una tua idea?»

Gavin si raddrizza, la sua espressione vacilla. Non l’ho mai visto così guardingo.

«Aye.»

Prima che possa battere ciglio, lei è così vicina a Gavin che i loro corpi praticamente

si toccano.

«Dopo quel che hai fatto ad Aileana, perché dovrei fidarmi di qualsiasi cosa in cui

c’entri tu?»

Gavin abbassa lo sguardo ma non dice nulla. Non ce n’è bisogno. L’improvviso

sentore di petali di fiori sulla mia lingua indica che Aithinne sta usando i suoi poteri

per entrare nella mente di Gavin. Lo sta leggendo con quella espressione aliena delle

fate. La sua mascella si stringe in risposta.

«Continui ad aver paura della morte» gli dice, «la tua esperienza oltre il velo è

qualcosa che non vuoi ripetere, eppure vuoi mandarci la Falconiera. Questo è il modo

in cui espiare quel che hai fatto?» distorce la bocca. «Esigi un alto prezzo per la tua

amicizia.»

Gavin alza il mento. «Se potessi, andrei al suo posto. Se potessi fare in modo che lei

non venga più ferita, lo farei.»

«Non ti credo.»

«Sei già nella mia mente» dice Gavin, e non mi sfugge la sua rabbia, «vedilo da

sola.»

Aithinne lo studia, come se lui la interessasse e disgustasse contemporaneamente. Il

sapore del suo potere si addensa nell’aria, per un momento. Poi si tira indietro e lo

guarda torva. «Ugh! Volevo solo una risposta. Non mi serviva vedere il resto» dice,

«hai una mente ripugnante, Veggente.»

Gavin fa un sorrisetto. «Immaginavo che non ti sarebbe piaciuto quel che avresti

trovato lì dentro.»

La sua espressione si indurisce e sposta la sua attenzione su di me, ignorando la

domanda. «È difficile riportare indietro i morti, ricordatelo.»

Raggiungo la tasta del mio cappotto e tirando fuori il brìgh. «Ho preso questo mentre

ero dentro. Derrick ha detto che avrebbe potuto aiutare.»

171

Ora che siamo dall’altra parte della porta, posso esaminare la pianta in modo

appropriato. È delicata, con un gambo sottile e simile alla vite con petali radi. Il fiore

in cima richiama la forma del lillà, solo con petali più appuntiti. Al centro c’è un

piccolo bulbo che emette un bellissimo bagliore blu.

Aithinne gli lancia uno sguardo. «Un po’ della tua enerigia in quello aiuterà, ma è

del prezzo che sto parlando.»

«Allora lo pagherò» rispondo in fretta.

Derrick mi pizzica e sibila. «Che cosa c’è di sbagliato in te? Non dire certe cose

senza sapere le condizioni. Non ti ho insegnato niente?»

«Non è lei a doverlo pagare, pixie. Sono io» poi Aithinne guarda me, «ma se tu lo

vuoi, lo farò.»

«Allora avrete bisogno di me.» dice un’altra voce. Mi volto a guardare Kiaran

scendere dal sentiero tra i campi di seilgflùr.

Sembra esitante, come se rimpiangesse quel che sta dicendo. Realizzo che ha sentito

tutto. «Sangue chiama sangue, Aithinne» dice a sua sorella, «se tu sei disposta a fare

la tua parte, io farò la mia.»

Il viso di Aithinne si addolcisce in un modo che non ho mai visto. Sembra così

giovane a confronto con lui. «Non avrei mai pensato di sentirti offrire ancora una cosa

del genere.»

172

Capitolo 28 Traduzione: Valeriuccia7692

Il mattino seguente, dopo essermi cambiata e ripulita, Kiaran ci guida fuori dalla città

e attraverso il tunnel che porta al mare. La spiaggia si trova proprio sotto l’alta

scogliera. L’acqua s’infrange sui ciottoli con un ritmo regolare e tranquillo.

Benché sia appena pomeriggio, il sole invernale sta quasi tramontando, tingendo il

cielo di diverse sfumature di blu. Il colore si riflette sull’oceano tingendolo di color

zaffiro.

Con l’arrivo della marea, le rocce sfrecano l’una contro l’altra, e sembra quasi che

il mare borbotti come un vecchietto. Il vento mi punge le guance, e sparge sabbia e sale

sulle mie labbra.

Indosso una sottoveste chiara che mi ha fatto Derrick; soffice, luminosa e calda.

Aithinne mi intreccia i capelli con le genzianelle, i piccoli fiori blu formano una corona

intorno alla mia testa. Quando morirò una parte della mia energia verrà assorbita dai

loro boccioli, un pezzetto della mia forza vitale resterà qui.

Kiaran mi guida lungo la spiaggia, lasciando Derrick, Aithinne e Gavin all’entrata

della grotta. Appena le onde mi sfiorano i piedi nudi, rabbrividisco dal freddo.

Camminiamo piano, entrando nell’acqua. Kiaran mi prende per mano e sento il suo

potere, caldo e tranquillo.

Gli sorrido piena di gratitudine. Non risponde al mio sorriso.

Entrare in acqua indossando la sottoveste e una corona di fiori tra i capelli mi fa

sentire come la vittima di un sacrificio. Osservo il modo con cui mi guarda Kiaran, è

come se anche lui stesse pensando la stessa cosa. Come se stesse per perdermi.

Ma non ho altra scelta.

Kiaran distoglie lo sguardo. Nonostante il suo potere, l’acqua diventa più fredda man

mano che mi allontano dalla riva, è così fredda che mi si stringono i polmoni. Ogni

passo che faccio, divento più insensibile. La neve cade fitta intorno a noi e le onde mi

cingono i fianchi. Kiaran mi stinge la mano e il suo potere mi scalda di nuovo. Il calore

che emana è incredibile, un raggio che spinge contro la mia mano.

«Sono sorpresa che tu abbia accettato questa cosa» dico. Guardo di nuovo verso la

spiaggia. Aithinne sta aspettando insieme a Gavin, e Derrick sulla sua spalla. La neve

li circonda.

«Se ci fosse un altro modo non saremmo qui.» Siamo arrivati abbastanza al largo e

Kiaran mi ferma. Strofina le sue mani su e giù per le mie braccia, come se volesse

scaldarmi. «Ti ho fatto una promessa» mi dice, «e ho ancora tutte le intenzioni di

mantenerla.»

«MacKay, io…»

Sento come se dovessi dirgli qualcosa di importante nel caso in cui non dovessi

tornare. Qualcosa di significativo. Qualcosa che gli faccia capire che è noi che voglio.

Noi e molto di più.

173

Come se mi avesse letto nel pensiero, Kiaran mi bacia dolcemente. Pio si scosta,

vorrei che non l’avesse fatto. «Dovrò allontanarmi all’ultimo secondo, o romperò il

mio voto.»

«D’accordo.» Non posso morire mentre mi sta ancora tenendo sotto, o il voto delle

fate ucciderà anche lui. Solo che la sua morte sarebbe più lunga e più dolorosa.

«Kam.» I suoi occhi sono intensi, come se avesse bisogno che io capisca. «Non devi

vergognarti se vuoi tirarti indietro.»

«Lo so.» Cosa succederà se Aithinne non riuscirà a riportarmi indietro? «Farà

male?»

Mi stringe di più a sé e il calore del suo corpo interrompe il freddo. La neve cade dai

suoi capelli alle sue ciglia, e lì si scioglie contro la sua pelle. I suoi occhi sono così

belli, riflettono il grigio acciaio del cielo, le sue iridi sono del colore della lavanda.

«Non lo so» dice. Mi lecco via il ghiaccio dalle labbra, sono salate. È tutto così

tranquillo qui fuori, si sentono solo le onde che s’infrangono contro di noi. È in

momenti come questo che realizzo quanto il mio tempo con Kiaran sia incerto. In ogni

momento io potrei morire, e lui resterebbe sempre uguale, come il mare.

«Non puoi nemmeno rassicurarmi con una mezza bugia?» chiedo, «non è da te.»

Mi accarezza la guancia con i polpastrelli e io chiudo gli occhi. «Nessuna mezza

bugia» dice, «non voglio nemmeno rassicurarti, solo torna da me.»

Lancio un’occhiata agli altri sulla spiaggia. Aspettano, ci guardano. «Se non potrò

farlo io, tu e Aithinne vi prenderete cura degli altri vero?» gli chiedo, «promettimelo.

Ti chiedo solo un’ultima promessa.»

Abbassa la mano. L’aria intorno a noi diventa in un attimo così fredda che quasi

soffoco. Nevica ancora più fitto. Ogni respiro è doloroso. L’espressione di Kiaran è

passata da dolce a fredda nel giro di un secondo. Il Kadamach è ancora dentro di lui,

nonostante tutto è ancora lì.

«No» dice, i suoi occhi sembrano fuoco. «Non ti darò un motivo per non combattere

con tutte le tue forze nell’aldilà.»

«MacKay…»

«Ascoltami.» È la sua terribile voce da fata a parlare, le parole gli escono dalla bocca

fredde come il ghiaccio, mi fanno rabbrividire «Se non tornerai li lascerò tutti alla

mercé di Lonnrach» sobbalzo, le mie dita si piegano nei suoi pugni.

Maledizione, sta rovinando il mio addio di proposito. «Non lo faresti.»

Kiaran mi guarda con un’espressione fredda e deliberatamente distaccata. La sua

maschera di fata. La parte di lui che dimentico quando accarezza il mio viso, quando

mi sussurra qualcosa nella sua lingua, o quando mi fa delle promesse. La parte di lui

che è sempre in agguato. È questa parte non è dolce. Non è gentile. Il Kadamach che è

in lui si nasconde è nascosto sotto una copertura molto sottile.

«Non significano niente per me.» la sua voce è tranquilla, melodiosa.

«E allora perché hai combattuto al mio fianco? Potevi lasciare che morissero ieri e

non avrebbe fatto nessuna differenza per te.»

«Ma l’avrebbe fatta per te.»

174

La mia rabbia svanisce. Mi avvicino a lui finché i nostri vestiti bagnati non si

mescolano e le sue labbra sono vicino alle mie. «Che cosa sono per te, MacKay?»

sussurro.

Mi stringe a sé, sussurrando parole che mi danno i brividi. «Tha mi duilich» respira

vicino alla mia tempia, così piano che riesco appena a sentirlo, «te lo dimostrerò

quando tornerai.»

«Quindi è una promessa?».

«Sì.» Avverto il suo sorriso, poi le sue labbra sono sulla mia fronte, così leggere.

Fanno quasi male da quanto sono dolci. «Non dimenticare il perché sei lì, quello che

c’è dall’altra parte non vorrà farti tornare. Turas mhath leat. Sei pronta?»

Prendo fiato e annuisco. Kiaran mi spinge sott’acqua.

All’inizio va tutto bene. Poi iniziano a bruciarmi i polmoni. Anche se so cosa devo

fare, non riesco a non fare resistenza. Cerco di liberarmi dalla stretta di Kiaran in modo

da tornare in superficie e respirare, ma lui mi tiene, mi spinge verso il basso con tutta

la forza del suo corpo. Il freddo è impenetrabile, doloroso contro la mia pelle. Apro la

bocca per respirare, ma non ci riesco. Il mio corpo si ferma.

Kiaran mi lascia andare. Mi rendo conto che è la mia ultima possibilità per tirarmi

indietro. Avrei giusto la forza necessaria per tornare in superficie. Fa male. Il dolore

mi si allarga nel petto….

No. Devo farcela. Resto sott’acqua, sento il mio corpo che affonda, la mia schiena

tocca i ciottoli sul fondo del mare. Il mio ultimo ricordo sono le labbra di Kiaran sulle

mie.

175

Capitolo 29 Traduzione: Valeriuccia7692

Sono in una foresta ombrosa. Gli alberi sono tutti altissimi, come delle torri, con rami

appuntiti come spade. Non riesco a vedere dove finiscano, ma vedo le stelle, luccicano

passando dal verde, al blu all’celeste. Il cielo è di un blu vivido e bellissimo, non ho

mai visto nulla di simile. Abbasso lo sguardo ed esamino uno stretto sentiero che si

estende lungo il bosco. Entrambe le estremità del sentiero sono circondate da un arco

formato da alberi, entrambe sembrano portare fuori dalla foresta.

Dopo un momento d’incertezza, decido di correre in una direzione, scattando su un

sentiero soffice e spugnoso. Non c’è alcun suono nella foresta, non sento nemmeno i

miei passi. Nessun animale, nessun fruscio di alcun genere. Continuo a correre verso

l’arco d’alberi, con il respiro affannato. Continuo a correre finché il sudore non mi

bagna le sopracciglia, finché non resto senza fiato.

Gli alberi intorno a me diventano sempre più alti, più fitti e più scuri, ma mi

concentro sul sentiero, voglio raggiungere l’arco. Non può essere così lontano. Sembra

che la fine del sentiero sia vicina, davvero molto vicina. Corro finché i polmoni non

iniziano a bruciarmi, finché il petto non mi duole. Gli alberi intorno a me s’innalzano

sottili verso le stelle. Rallento, ho il respiro affannato. Deglutisco, ma ho la gola

completamente asciutta. Sento un sussurro nella mia testa, la voce di Kiaran. Pensa

solo a tornare indietro.

Quando non ce la faccio proprio più, inizio a camminare. Mi concentro su Kiaran,

sul suo nome, su quello che devo fare. Penso alle sue parole, a quello che ha detto

mentre eravamo in acqua, prima che il freddo prendesse il sopravvento e il mio corpo

morisse. Quello che c’è dall’altra parte non vorrà lasciarti tornare.

Questo sentiero non porta da nessuna parte. Quante anime sciocche lo hanno

percorso? Quante lo hanno preso per non arrivare poi da nessuna parte? Non ho tempo

da perdere. Mi dirigo verso gli alberi fuori dal sentiero, camminando lentamente tra i

tronchi della foresta. Anche se faccio molta attenzione a dove metto i piedi, scivolo su

radici e rami caduti. Ben presto non riesco più a vedere nulla. Sono circondata da

un’oscurità fittissima, non filtra nemmeno un filo di luce.

Tutto d’un tratto sento delle urla. Persone che gridano il mio nome, voci che

risalgono alla mia vita a Edimburgo. Le voci di quelli che sono morti duranti l’attacco

delle fate. Si lamentano, mi incolpano, maledicono il mio nome. Migliaia di voci mi

circondano e non posso zittirle.

Hai fallito. Ci hai lasciati morire. Hai fallito.

Il senso di colpa si trasforma in peso sulle mie spalle e nel mio petto. Mi obbliga a

rivedere gli ultimi attimi della battaglia, quando non ho premuto il simbolo sul sigillo,

quando non ho fatto l’unica cosa che dovevo fare. È stato un attimo, un solo secondo

d’esitazione è tutto era svanito.

176

La morte scorre nelle sue vene, la segue ovunque va.

Proprio quando non ce la faccio più, mi tornano in mente le parole di Gavin. Ti

avrebbe uccisa e sarebbe comunque successo tutto questo. Era così che doveva andare,

è sempre stato così.

Non avrei mai potuto farcela. Sarei comunque finita qui in ogni caso. In questa

foresta.

Non dimenticare perché sei lì.

Mi aggrappo al ricordo di Kiaran e cammino attraverso i rami. Cerco di allontanarmi

dalle voci, ma diventano solo più forti. È colpa tua. Le loro accuse diventano sempre

più forti nel buio. È colpa tua, colpa tua. È colpa mia…

Trattengo le lacrime, concentrati. Mi ricompongo e inizio di nuovo a correre. Mentre

mi faccio strada tra gli alberi inspiro un’aria freddissima, fa quasi male da quanto è

fredda. Mi concentro sulle persone vive che hanno bisogno del mio ritorno. Non le

deluderò di nuovo.

Come se si rendessero conto della mia resistenza, le voci diventano più forti, una

cacofonia senza fine. I rami degli alberi sembrano volermi trattenere. Mi rendo conto

che non so rami, ma mani.

Dita gelate che mi stringono abbastanza forte da provocarmi dei lividi. Il loro tocco

brucia da quanto è freddo. Caccio indietro un urlo e cerco di liberarmi dalla loro presa,

ma stingono forte, davvero tanto forte. Il mio cuore batte sempre più in fretta mentre

cerco di trovare una via di fuga attraverso l’oscurità. Devo continuare a muovermi.

Urlano il mio nome. Mi implorano di aiutarli. Mi graffiano fino a farmi sanguinare.

Altre mani mi afferrano, mi rallentano, ma continuo a camminare.

All’improvviso sparisce tutto; le voci, le mani gelate e l’oscurità. Sono di fronte ad

un fuoco, in mezzo alla foresta. Mi fermo davanti al fuoco.

Mi rendo subito conto di una cosa: il fuoco non dovrebbe essere qui. Non dovrebbe

esserci…

«Ti ho trovata» sussurra una voce dietro di me.

Mi giro. Vedo una figura tra gli alberi nascosta sotto un mantello. Il suo corpo sottile

mi fa capire che si tratta di una donna. I suoi capelli sono lunghi, bianchi come le ossa

e sottili come fili di ragnatela. Le sue ciocche riluccicano alla luce delle stelle come se

fossero di quarzo. Nonostante il buio, i suoi occhi luccicano e mi osservano. Mi guarda

come se stesse esaminando un insetto in un barattolo.

Finalmente si avvicina alla luce emessa dal falò, mi vengono i brividi. Le sue fattezze

sono difficili da riconoscere; per un attimo sembra quasi una bambina con le guance

pienotte e la pelle rosa. Un attimo dopo sembra uno scheletro vecchio e fragile. Il

mantello non è fatto di stoffa, ma di ombre scure e fitte che si arricciano.

Il viso della donna continua a cambiare, vecchia, poi giovane, poi ancora più

giovane. Non parla, si limita a studiarmi con uno sguardo recondito.

Il suo viso mi fa indietreggiare. La riconosco.

L’ho vista nei miei incubi.

Vado a sbattere contro un albero con la schiena, non posso fare a meno di guardarmi

intorno, aspettandomi di vedere dei corvi coi becchi insanguinati. «Ti ho sognata» dico,

177

«chi sei?» parlo con calma, sono consapevole che potrebbe attaccarmi da un momento

all’altro. Ho due opzioni: combattere o scappare.

«Hai letto le antiche leggende Aileana Moira Rossalyn Kameron» dice

avvicinandosi sempre di più alla luce. «Conosci il mio nome, esattamente come io

conosco tutti i tuoi.» La sorpresa che avrei dovuto avere nel sentirla pronunciare i miei

nomi, dei nomi che non sentivo da tempo, dei nomi che non dovrebbe sapere, è subito

sostituita dalla paura appena vedo il suo bastone. Ho il polso accelerato, non posso

smettere di guardare l’erba del vecchio bosco ingiallire e coprirsi di brina ad ogni suo

passo.

Sono passati migliaia di anni da quando qualcuno ha visto la Cailleach per l’ultima

volta.

È lei. La riconosco grazie alle leggende. Lo sento nelle mie ossa.

«Sei la Cailleach» sussurro.

Le sue labbra sottili si piegano in un sorriso, un sorriso caldo e spaventoso allo stesso

tempo. «Aye, mo nighean.»

Rimango immobile, ancora insicura. La Cailleach è la fata più antica, la più potente

di tutte. Qualcuno la crede una dea, ma io so benissimo che gli antichi uomini l’hanno

sempre considerata una divinità da placare.

Una volta era l’unica regina dei Seelie e degli Unseelie. Le leggende dicono che

abbia abbandonato il mondo umano e quello fatato da lei creati, per rifugiarsi in questo

regno…il mondo tra la vita e la morte. La Cailleach ha molte identità; può installare la

gioia nelle persone, ma può anche riempirle di paura. Quando ero piccola ho letto delle

leggende secondo le quali ha creato le montagne e i fiumi con il suo martello e portato

l’inverno con il suo bastone. Se è di buon umore, dà agli uomini terra fertile, fonti

d’acque e tutto il necessario per vivere. Se presa dall’ira, distrugge ogni cosa e uccide

chiunque si trovi sul suo sentiero.

Chiudo brevemente gli occhi. La Cailleach mi vuole sicuramente morta. Non mi

avrebbe dato quel messaggio nel mio sogno se non fosse così. Sicuramente devo essere

stata sul punto di morire a causa del veleno delle fate perché lei potesse invadere i miei

sogni.

«Che cosa vuoi da me?» chiedo. La mia voce non vacilla. Mi rifiuto di sembrare

debole, anche davanti alla Cailleach.

Sono convinta che riesca a capire anche le cose on chieste: Sei qui per distruggermi?

La Cailleach conosce solo due scopi: aiutare o distruggere, non conosce vie di mezzo.

La temperatura precipita, proprio come quando Kiaran si arrabbia. I poteri della

Cailleach lo rendono però un freddo più intenso, un freddo che mi fa sobbalzare e mi

obbliga a cingermi con le braccia per scaldarmi. Le mie dita si intorpidiscono e la mia

pelle inizia a bruciare. Inizio a vedere delle luci e sento il rumore assordante di un tuono

in lontananza.

La Cailleach si abbassa e mi prende il mento tra le mani, le sue unghie mi pungono

la pelle. Con la vista offuscata, incontro i suoi occhi. Sono neri e freddi. Non c’è

umanità nel suo sguardo, non c’è compassione. «Sono qui per fare in modo che questa

volta tu non possa tornare indietro» la sua voce mi fa venire i brividi.

Da adesso hai i minuti contati falconiera. Ci rincontreremo presto.

178

Ha fatto a finta di essere mia madre, ha invaso la mia testa. Al solo pensiero di ciò

che ha fatto la mia pelle inizia a bruciare per la rabbia. Fisso lo sguardo e combatto

contro il suo controllo. Mi raddrizzo. Lascio che il freddo mi scorra addosso. Non ti

permetterò di controllarmi.

Posso quasi giurare sorrida. Lascia il mio mento e la temperatura si alza

immediatamente. Faccio fatica a respirare, mi gira la testa, ma riesco a stare in piedi.

«Perché?» riesco a dire con affanno.

«Sei una falconiera» dice semplicemente mentre si avvicina al fuoco. La luce le

illumina il viso, i suoi zigomi alti e la bocca a forma di cuore. Un viso che ha la stessa

perfezione delle altre fate.

Mi rendo conto del doppio senso nelle sue parole: hai ucciso la mia gente.

Mi guardo intorno, cercando una via di fuga. Se inizio a correre nella foresta potrei

tornare dalle voci. Combattere contro la più antica delle fate potrebbe non essere la

soluzione più saggia…

«Guardami» abbaia. La sua voce è come una lama fredda lungo le mie braccia;

rivolgo di nuovo l’attenzione su di lei. «Mia figlia Aithinne non avrebbe mai dovuto

creare la tua specie» dice, «la vostra esistenza si è rivelata solo una catastrofe, sia per

gli umani che per i sìthichean.» Mi osserva, i suoi occhi neri e profondi. «Te ne sei

sicuramente resa conto.»

La guardo, resto impassibile. Non avrebbe mai dovuto creare i Falconieri.

Creare i Falconieri.

Piano piano metto assieme tutto ciò che so su Aithinne. Ha combattuto al fianco dei

Falconieri.

È caduta prigioniera durante la battaglia delle fate. È capace di curare. È in grado di

ridare la vita ai morti. Il dono della creazione, ereditato dalla Cailleach. Sua madre.

La madre di Kiaran.

«I falconieri sono umani» sussurro, «le fate non possono creare degli umani.»

Improvvisamente mi ricordo delle parole di Daniel. Tu non sei umana.

Gli occhi della Cailleach mi scrutano. Riconosco migliaia di sentimenti nel suo

sguardo, iniziano con la pietà e terminano nel disgusto. Gli umani saranno sempre

inferiori alle fate, sia in forza che in esperienza. Non abbiamo vite di migliaia di anni

che ci hanno insegnato a controllare le nostre emozioni. Noi viviamo al massimo e poi

ci spegniamo. È quello che vuol dire essere umani.

L’ombra del suo mantello si sposta per rivelare le sue dita pallide, lunghe nodose e

macchiate dal tempo. Si piega e appoggia la punta delle dita contro il terreno bagnato,

mentre la guardo la pelle della sua mano diventa sempre più giovane e luminosa.

Una vite cresce dal terreno. Lunga e sottile, come un ramo d’albero, si ripiega su sé

stessa finché non assume la forma di una sedia. I fiori lungo la vite si aprono, i petali

sono di colore celeste.

«Siediti» mi fa cenno la Cailleach, «potrò mostrarti tutto ciò che vuoi.» Ho un attimo

di esitazione. La fata non offre mai qualcosa senza volere qualcosa d’altro in cambio.

«Che cosa vorresti in cambio?»

179

Potrei morire per il freddo emanato dal sorriso della Cailleach. Sento il peso dei suoi

anni, è come se venissi inghiottita dal terreno, come se una forza volesse risucchiarmi

al centro della Terra.

«Ah, mo nighean. Ho già preso quello che volevo» mormora, «ho già la tua vita, non

c’è altro che potresti offrirmi. Potrei trattenerti nella mia foresta per sempre, invece ti

offro la verità. Non è una cosa che faccio spesso.»

La verità che mostra la Cailleach è brutale, non voglio accettare. Se quello che ha

detto prima è vero, sta cercando di farmi perdere tempo in modo che Aithinne non

possa trovarmi.

Se non torni, li lascerò tutti alla mercé di Lonnrach.

Se Kiaran è il figlio della Cailleach, non dovrei prendere la sua minaccia alla

leggera. Gli affiderei la mia vita, ma non quella dei miei amici, non quella di Gavin, di

Catherine o di Derrick.

Loro non sono niente per me.

«E se rifiutassi?» chiedo con prudenza. Posso rifiutare? Offendere una fata vuol dire

incontrare la sua rabbia, e la rabbia di nessuna fata è pari all’ira della Cailleach.

La sua espressione è truce.

«È una tua scelta» dice tranquilla, ma le sue parole non corrispondo all’espressione

del suo viso. «I miei poterei sono sicuramente limitati nel tuo mondo, ma so benissimo

che hai lasciato indietro tutti i tuoi amici. Vuoi salvarli?»

È questo che per lei vuol dire scelta: rifiuta la mia offerta e ucciderò tutti quelli che

ami. Rifiuta la mia offerta e te ne pentirai.

Devo accettare, se sarà necessario troverò un modo per ingannare la Cailleach, ma

adesso non posso rifiutare la sua offerta. «Molto bene.»

Mi raggiunge con una mano scheletrica. Il suo viso cambia di nuovo, è così che

immagino il volto della Morte, scheletrico, con occhi che si perdono nell’abisso.

La Cailleach tocca la corona che porto sul capo e, prima che possa fare qualcosa per

evitarlo, i fiori cadono a terra. I fiori sono morti, come anche il luccichio nei loro bulbi.

I suoi occhi cavernosi incontrano i miei.

«Adesso siamo solo tu e io, mo nighean. Mia figlia non riuscirà mai a trovarti.»

Ora ho paura, le sue dita mi toccano il viso. È come se una lama penetrasse del mio

cranio. Mi mordo la lingua, non voglio urlare.

«Apri gli occhi» mi dice. «Guarda.»

Ubbidisco e mi rendo conto che non siamo più nella foresta, il fuoco è scomparso.

Non sono più seduta in una sedia fatta di viti e fiori. Siamo in un campo, circondate da

morti. Corpi umani sono accatastati ai nostri piedi, sparsi per il prato scuro. La maggior

parte sono corpi di donna. Alcuni hanno le gole tagliate, altri hanno le schiene rivolte

al cielo, come se avessero provato a scappare. Il loro sangue brilla nella luce della luna,

sono circondata dall’odore della morte.

Oh mio Dio. Mi giro, mi viene quasi da vomitare. Qualunque movimento faccia, non

riuscirei mai a mettere un piede sull’erba. «Cosa ha causato tutto questo?»

La Cailleach non tradisce alcun’emozione. «È stato mio figlio.»

Kiaran. Kiaran è la causa di tutto questo. «Perché?»

180

Quasi non riesco a parlare. Penso allo sguardo di Kiaran se mai riuscirò a tornare in

dietro, al modo in cui mi guarderebbe, dicendomi che gli sono mancata. Alle sue labbra

sulle cicatrici lungo la mia gola…

Ho ucciso gli umani ogni giorno della mia vita, poi ho fatto un giuramento.

È stato lui. Lui ha ucciso tutte queste persone.

«La maggior parte degli umani non resiste al richiamo della Caccia Selvaggia»

spiega la Cailleach. «Ogni mandria dev’essere abbattuta, ogni singolo umano. È questo

lo scopo per mio figlio.»

«Non è uno scopo» rispondo furente. «Questo è solo un inutile massacro.»

La Cailleach sembra delusa della mia reazione. «La morte ha sempre uno scopo.»

Si muove tra i corpi con la grazia dell’acqua. Si piega e tocca leggermente il viso di

una giovane donna. La carne della ragazza sparisce dal suo cranio davanti ai miei occhi.

Le sue ossa hanno un sussulto, poi si trasformano in polvere. Dal terreno nasce un

unico fiore, bello e perfetto.

«Mio figlio è il fuoco che distrugge una foresta intera» continua la Cailleach, «mia

figlia la pioggia che fa tornare il verde. È l’ordine naturale che portiamo avanti da

secoli.»

Vorrei dire alla Cailleach che, secondo me, i massacri non fanno parte dell’ordine

naturale delle cose. Che non mi farei mai da parte mentre le fate distruggono la mia

città perché è la sola cosa che sanno fare, che non sarei mai rimasta ferma a guardare

come quando Sorcha ha ucciso mia madre. Gli uomini non esistono solo per essere

uccisi quando le fate desiderano uccidere. Qual è lo scopo in tutto ciò?

Trattengo la rabbia e chiedo «Perché mi stai mostrano questo?»

La Cailleach raccoglie il fiore e lo schiaccia nel suo pugno. Cade dalle sue dita come

cenere. «È qui che tutto ha avuto inizio. Questa Caccia, questo campo, e queste morti.

Kadamach ha dichiarato guerra proprio in questo luogo.»

Guerra? «Allora sono Falconieri.».

«No, gli uomini del loro villaggio avevano tutti la Vista. Le donne che vedi non sono

riuscite a scappare alla furia della Caccia Selvaggia.»

La stretta che provo allo stomaco diventa sempre più forte. Se queste donne non

erano Falconiere, vuol dire che non hanno potuto difendersi. Erano solo delle umane

spaventate che si sono ritrovate in mezzo alla Caccia Selvaggia, e Kiaran li aveva uccisi

tutti come se non valessero niente. Non potevano difendersi, non avevano potere contro

di lui. Gli uomini, i Veggenti, devono essere morti nel tentativo di salvarle.

«E immagino che alle fate non sia importato nulla di loro» dico amaramente.

La Cailleach si gira per guardarmi, ha uno sguardo duro e privo di pietà. «Numerosi

sìtichean sono morti su questo campo fianco a fianco ai tuoi umani.»

Vorrei dire bene, ma non lo faccio. «E le loro morti non sono state altrettanto inutili,

suppongo» dico cercando di tenere un tono di voce piatto.

«Non prenderti gioco di me bambina. È stato necessario per permettere il futuro della

tua specie. Kadamach ha portato a termine il suo ruolo alla perfezione.»

Allungo lo sguardo lungo il campo, guardo le centinaia di umani e donne morti, e

non riesco a controllare i miei pensieri. Mi tornano in mente soprattutto le parole di

Lonnrach, avresti dovuto uccidere Kadamach quando ne avevi la possibilità.

181

Il passato di Kiaran è legato alla morte; i suoi segreti potrebbero riempire lo spazio

tra le galassie. Ha distrutto delle vite umane nello stesso modo in cui i soldati di

Lonnrach hanno ucciso le persone della mia città; la mia famiglia, le persone che

conoscevo da tutta una vita. E, come quei soldati, aveva lasciato migliaia di corpi

marcire nei campi.

«Non riesco a capire. Che parte?»

«Il rivivere lo stesso nei secoli» mormora tra sé e sé, poi si rivolge di nuovo a me,

«siamo tutti creature della guerra, mo nighean, di sicuro Kadamach te lo ha insegnato.

Non è vero? La battaglia ci scorre nel sangue.»

La Cailleach si gira, l’ombra del suo velo si agita come serpenti sul terreno. «È così

che ci siamo sviluppati. È così che siamo diventati conquistatori.»

182

Capitolo 30 Traduzione: Valeriuccia7692

La Cailleach scivola lungo le pile di corpi, appena ne tocca uno questo sprofonda nel

terreno. «Vieni, non abbiamo ancora finito.»

Nel giro di un attimo, ci ritroviamo a camminare lungo un sentiero polveroso.

Piccole capanne di pietra con i tetti spioventi ci circondano, il villaggio è buio e

silenzioso. Non si sentono nemmeno i frusci degli uccellini tra gli alberi. Sta nevicando,

la neve si scioglie appena tocca il suolo. La Cailleach si muove con la camminata

attenta e fragile di una vecchietta, tiene la schiena piegata, i capelli bianchi come il sale

le scendono intorno alle spalle. È di nuovo ridotta a pelle e ossa, una pelle vecchia e

rugosa.

Proprio dietro l’angolo c’è un falò. Le ceneri svolazzano nel cielo e si spengono,

lasciando dietro di loro un aroma di legno bruciato. Tredici donne sono riunite in

cerchio attorno alle fiamme danzanti.

Le loro voci riempiono la notte, alcune sono solo sussurri, altre sono voci tonanti,

parlano tutte una lingua che non ho mai sentito prima. Indossano cappucci dai colori

crudi e indossano abiti pesanti per proteggersi dal freddo.

Riconosco una delle donne. Aithinne. I suoi occhi, alla luce del fuoco, si tingono

d’oro e d’argento. I suoi capelli lisci e neri come l’inchiostro. Sembra una dea,

luccicante alla luce della luna. Un falcone è appollaiato sulla sua spalla nuda.

Nemmeno i suoi formidabili artigli riescono a pungere la sua pelle invulnerabile.

Il falco sembra contento di essere lì, ha le ali ripiegate e la schiena ritta e fiera.

Aithinne alza una mano per imporre il silenzio alle donne che la circondano.

Guardo le loro facce, lacrime, rabbia, dolore. Non ho mai visto un gruppo di persone

così indifese, così prive di ogni speranza.

«Chi sono queste donne?»

«Le prime Falconiere. Le uniche sopravvissute del loro villaggio. Mi figlia cantò il

canto che le condusse qui.»

Mi irrigidisco, mi aspetto il peggio dopo quello che la Cailleach mi ha mostrato nel

campo.

Quando la Cailleach promette di mostrarti la verità, è una verità dolorosa.

È in grado di esibire i segreti più intimi delle persone, li sviscera in modo così

brutale, che la gente vorrebbe non averli mai visti. Vorrebbe non aver mai accettato il

patto con lei.

È stata Aithinne a trascinare qui tutte queste donne. Dopo quello che ho scoperto su

Kiaran, mi aspetto quasi di vederla ucciderle tutte. Non darmi una ragione per odiarti.

Ti prego, non darmi una ragione per odiarti.

Osservo le donne, le tracce di sporco sui loro volti, i loro vestiti macchiati di sangue,

le lacrime che scendono sulle loro guance. Non sono delle guerriere, non sono le

183

Amazzoni delle leggende che ho sempre pensato fossero. Sono solo delle donne

spaventate, hanno appena perso le loro famiglie, hanno potuto vivere sulla propria pelle

la crudeltà delle fate.

Quando Aithinne parla, lo fa in un’altra lingua… ma riesco a capire quello che dice.

È la Cailleach che me lo permette.

«Vi ho chiamate qui per stipulare un accordo.» Aithinne parla con una voce

autorevole, una voce che non ho mai sentito.

Una donna prova a protestare, ma il potere di Aithinne attraversa il falò come un

giavellotto e la zittisce. «Non ti ho dato il permesso di parlare.»

Rabbrividisco, tutto ciò mi ricorda la voce di Lonnrach nelle mie orecchie, i suoi

denti aguzzi. Non ti ho mai dato il permesso di muoverti.

Questa non è l’Aithinne che conosco, l’Aithinne che mi ha salvato la vita. Quella

che si è offerta di cancellare i ricordi di Lonnrach dalla mia testa per alleviarmi il

dolore. Questa Aithinne sembra proprio lui, è come se non le importasse nulla degli

umani.

In più la sua postura è quella di un leader, piena di fiducia in sé stessa: le spalle

all’indietro, il mento dritto e fiero, gli occhi pieni di fuoco. Il falcone sulla sua spalla

spiega e sbatte le ali. Questa Aithinne è una presenza inesorabile, potente e spaventosa,

proprio come sua madre.

Non è l’Aithinne che è stata intrappolata sottoterra per due millenni di tortura.

Prende di nuovo la parola, girando intorno al fuoco e guardando ogni donna con uno

sguardo indecifrabile.

«Nessuna di voi deve temermi. Non sono io quella che ha ucciso le vostre famiglie.»

Si ferma, la sua pelle brilla. È magnifica, spaventosa e così inumana. «Non dovete

temermi, ma non posso nemmeno offrirvi vendetta nei confronti di chi ha ucciso le

vostre famiglie.»

Guardo la Cailleach. La sua espressione si è indurita, gli occhi sono infossati nella

sua faccia scheletrica. Qualunque cosa Aithinne stia per fare, è la fonte della rabbia di

sua madre.

Mia figlia Aithinne non avrebbe mai dovuto creare le Falconiere.

Un’onda d’incertezza colpisce il gruppo di donne. La donna che prima aveva cercato

di parlare ritrova la sua voce, è roca, quasi impercettibile. «È un trucco.»

Mi aspetto di sentire Aithinne rispondere con la stessa durezza di prima. Non è così,

vedo un luccichio nel suo sguardo, un segno di debolezza in quella armatura. Anche

lei soffre. «Nessun trucco. Nessun inganno. Voglio che lo priviate di tutto ciò che lui

vi ha rubato.» Poi un sussurro. Lo riesco a cogliere appena. «Tutto ciò che ha rubato a

me.»

«A cosa si riferisce?» chiedo alla Cailleach. Non vorrei chiederlo, ma ho bisogno di

saperlo. «Che cosa le ha rubato?»

La Cailleach si piega sul suo bastone; il terreno sotto ai miei piedi nudi si ghiaccia.

«Soffre per la morte dei suoi sudditi. Quelli che mio figlio ha ucciso. Mia figlia è

nata troppo sensibile. Chiamare gli umani per combattere una guerra al suo fianco…»

incurva le labbra in segno di disgusto. «L’avrei uccisa con le mie mani se avessi

potuto.»

184

I suoi sudditi? I frammenti stanno trovando il loro posto: riesco a collegare le storie

e tutto quello che so di Kiaran e Aithinne. Tutto quello che ho imparato sulle fate.

Due regni di luce e ombra, ognuno dei due governato da un monarca, e le fate di

ognuno dei due regni servivano un solo scopo: il regno dell’ombre portava morte e

distruzione, il regno della luce portava vita.

Sento il battito del mio cuore risuonarmi nelle orecchie. Le donne intorno al fuoco

si stanno alzando i piedi, ma non riesco più a concentrarmi su quello che stanno

dicendo. Tutto quello a cui riesco a pensare è Kiaran seduto sulla spiaggia di sassi dopo

la battaglia con il mortair.

Perché stavi cercando il cristallo?

Io ero un Unseelie, Kam. Che cosa credi? Volevo uccidere la regina dei Seelie.

«Aithinne è la regina dei Seelie» sussurro, «non è così?» poi dico le parole che non

vorrei pronunciare, la parte di storia che vorrei non fosse vera anche se so con tutto il

mio cuore che lo è. «E Kiaran è il re degli Unseelie.»

«Sì» dice la Cailleach con tranquillità.

Ripenso a tutte quelle volte in cui avevo cercato di scoprire il passato di Kiaran.

Avevo provato ogni combinazione, una più spaventosa dell’altra, ma non avrei mai

potuto immaginare tutto questo. I miei sentimenti per Kiaran mi hanno resa cieca.

Anche se conoscevo un po’ Kadamach, non avrei mai potuto immaginare a pieno tutte

le cose terribili che aveva fatto, questo perché una parte di me non voleva farlo. Non

volevo pensare alle migliaia di migliaia di persone che aveva ucciso.

Il re degli Unseelie non era come le altre fate. Lui viveva e respirava morte. Avrebbe

ridotto il mondo intero a ferro e fuoco.

Sarai per sempre Kiaran per me.

Il suo nome è Kadamach, ed è il re degli Unseelie.

Adesso capisco perché in molti esitano quando la Cailleach offre loro la verità. La

verità non è mai bella come le bugie. Non è attraente. È come una spada nello stomaco,

è ciò che ci ricorda che alcune persone non sono quello che pensiamo.

La verità ci obbliga a confrontarci con le parti peggiori delle persone che amiamo.

Le parti mostruose.

Abbasso lo sguardo. «Ne ho abbastanza.»

La Cailleach non si è mossa, il suo viso è tonato alla sua forma bellissima. Ora che

la guardo di nuovo mi rendo conto di quanto somigli ai suoi figli. Gli stessi capelli

scuri, le stesse fattezze perfette, gli stessi occhi senza fine.

«Hai accettato la mia offerta,» dice picchiettando il bastone contro il terreno. La

neve ci circonda.

Un vento freddo mi soffia sul collo. Rabbrividisco. «Non ho ancora finito.»

«Perché voi che io sappia la verità?» dico innervosita. «Mi vuoi qui, mi vuoi morta.

Mi stai facendo vedere questi ricordi per tenermi qui.»

Il bellissimo viso della Cailleach ritorna uno scheletro solo per un secondo. È un

oceano di segreti, una fata antica come la morte. E adesso… adesso c’è quasi qualcosa

di vulnerabile nel modo in cui mi guarda.

«Questa è solo una parte della verità, mo nighean,» dice con un tono tremolante, con

il tono che userebbe un vecchio umano nelle ore subito precedenti alla sua morte. «Te

185

lo ho detto: ti ho rubato qualcosa. Visto che non posso offrirti la vita in cambio di ciò

che ti ho tolto, ti offro questo. È tutto ciò che mi è rimasto da darti.»

«Mi hai…»

Siamo interrotte da un urlo di dolore. C’è una donna inginocchiata vicino al fuoco.

Le mani di Aithinne sono ai lati della sua testa. Entrambe stanno sanguinando, Aithinne

dalle mani, la donna dai tagli sul suo viso. Il falcone è sparito.

L’espressione di Aithinne e concentrata, con gli occhi chiusi.

La stessa espressione di quando mi ha curata. Dio, se fa male. La donna grida di

nuovo e rimango scioccata quando la sua pelle sembra emanare luce.

«Che cosa sta facendo?» dico. Le altre donne sembrano ugualmente ansiose e

diffidenti, ma restano ai loro posti, formando un semicerchio attorno alle fiamme.

«È il modo in cui anche tu hai ottenuto la capacità di uccidere i miei simili» dice la

Cailleach con un tono che sembra stanco.

Si appoggia al bastone come se non riuscisse più a tenersi in piedi da sola. «Il sangue

di mia figlia scorre in te, come i suoi poteri. Il mio sangue.»

Quindi i poteri non vengono da me. Le Falconiere sono state create perché Aithinne

non sopportava l’idea di uccidere suo fratello. Siamo state create per la loro guerra.

«Quindi sono in parte Seelie. Non sono del tutto umana» dico amaramente.

«Sei abbastanza umana» abbaia la Cailleach.

Guardo Aithinne mentre si allontana dalla donna.

Una alla volta le future Falconiere si inginocchiano di fronte a lei; una dopo l’altra

urlano di dolore. Nessuna si tira indietro. Nessuna decide di andarsene o indietreggia

per la paura. Stanno diventando guerriere. Il dolore è soltanto il primo passo verso la

battaglia.

Penso alle parole di Aithinne mentre l’ultima donna si rialza. Alla fine siamo tutti

prede.

Un suono arriva dalla foresta, poi molto altri. Indietreggio di colpo mentre dei

falconi escono dal fitto degli alberi, le loro ali quasi toccano il fuoco. Ogni uccello ha

righe nere e bianche che corrono da un’ala all’altra lungo il loro ventre piumato.

Puntano verso le donne, ogni falcone ne sceglie una. I loro artigli affondano nella pelle

morbida lasciando tracce di sangue mentre si appollaiano. Le donne ansimano per il

dolore, ma nessuna urla.

Ora tutte hanno un falcone, unito a loro grazie al sangue. Si sono guadagnate il loro

titolo.

Seabhagair.

Falconiere.

L’ultimo falcone vola verso Aithinne e si riappropria della sua posizione in cima alla

spalla di lei. Le mani di Aithinne tremano, il suo naso sanguina, il sangue cola sulle

sue labbra e lungo il suo collo bianco. Non ha più la stessa postura fiduciosa, le spalle

non sono più all’indietro.

La sua pelle ha perso luminosità, non molta, ma si nota.

«Il rituale l’ha indebolita» dico con calma.

La Cailleach mi guarda, la sua faccia ora è vecchia, rugosa e la pelle è spenta e

bianca. I suoi capelli bianchi non luccicano più; sono stopposi e sottili.

186

«Sei l’ultima falconiera, e trattieni in te tutto il potere da lei perso quella notte.

Quando morirai il potere sarà di nuovo suo. Sarà di nuovo completa.»

A meno che qualcuno non lo rubi prima, finalmente realizzo. Tu hai qualcosa che

io voglio, Lonnrach me lo aveva detto il giorno della battaglia. Il sangue di Aithinne

scorre nelle mie vene. Il sangue della Cailleach… magia antica.

Se Lonnrach riuscirà a trovare il cristallo e ad impossessarsi del mio potere, lo userà

per uccidere Kiaran e Aithinne.

Senza un sovrano i Sìth-bhrùth appassiranno. Qualcuno deve prendere il suo posto.

E pensi di esserne degno?

No, ma lo sarò.

Sicuramente qualcosa trapela dal mio viso perché la Cailleach dice, «Adesso capisci

perché non posso lasciarti in vita» si gira, si allontana da me e dal falò e comincia a

camminare lungo il sentiero, il suo corpo fragile così sottile circondato dalle ombre.

«Vieni mo nighean. Ho un’ultima cosa da mostrati.»

187

Capitolo 31 Traduzione: Valeriuccia7692

Siamo nel Sìth-bhrùth, nei pressi dello stesso lago dove mi ha portata Kiaran. Dove ho

visto Sorcha per la prima volta, dove ho cercato di ucciderla. Il posto sembra così

diverso da quando l’ho visto l’ultima volta; verde e lussureggiante. È ancora notte, le

stelle si muovono creando spirali e fasci di luce nel cielo. Gli alberi, che ci circondano

altissimi, sono pieni di foglie di un verde smeraldo; l’ultima volta che li avevo visti

erano pieni di foglie scheletriche, morte. Mi avvicino e guardo i colori della corteccia,

sfumature blu, verdi e rosse, come quelle delle pietre preziose.

Con la coda dell’occhio scorgo una figura. Aithinne. Cammina sull’acqua, ed è come

se camminasse nel nulla, nello spazio tra le stelle. Sembra ancora più umana di quando

abbiamo lasciato il falò. Più dell’Aithinne che conosco.

Si guarda intorno, come se stesse aspettando qualcuno. Un appuntamento? Kiaran

una volta mi aveva svelato che questo posto era una specie di terreno neutrale, l’unico

posto in cui i Seelie e gli Unseelie potevano incontrarsi senza scontrarsi.

Quando Aithinne raggiunge le rocce lungo la riva del lago alza lo sguardo e mi rendo

conto che c’è qualcuno nascosto tra gli alberi, una figura coperta dall’ombra.

«Sei stato tu a volermi incontrare, Kadamach» dice con tranquillità. Sento una nota

d’esitazione nella sua voce. Mi chiedo quanto tempo sia passato dall’ultima volta che

si sono parlati. «Mostrati.»

Trattengo il fiato mentre Kiaran esce dagli alberi, alto e bellissimo, vestito

interamente di nero.

I suoi capelli scuri sono tirati all’indietro, la sua pelle è immacolata e luccicante. I

suoi occhi…quelli non sono i suoi occhi.

Non sono gli occhi di Kiaran. Kadamach.

Pensavo di aver già avuto un assaggio di Kadamach prima, quando lo sguardo di

Kiaran diventava vuoto. All’improvviso, come se avesse sotterrato ogni emozione,

come se le cose potessero far meno male se non ci si pensa.

Kadamach non è così. I suoi occhi non sono solo vuoti; sono desolati e scuri, freddi

come il vento invernale che ti priva di ogni calore corporeo. Non c’è nulla in quegli

occhi. Nulla.

Vorrei quasi chiedere alla Cailleach di andarcene. Non voglio scoprire quello che

succederà, non voglio un’altra verità brutale che mi divorerà dall’interno. Adesso so

perché Kiaran e Aithinne hanno chiuso con il loro passato, so perché hanno dei segreti.

Ognuno è peggio del precedente.

Non ho un passato ammirevole Kam, non ti lascerò mai credere che lo abbia.

Sapere alcune cose che Kiaran ha fatto non è la stessa cosa che vederle.

Solo adesso mi rendo conto che Kiaran sta trasportando qualcosa: una giovane

donna. Stringe il suo corpo scontro di sé, il sangue di lei macchia la pelle delle sue

188

mani. Sanguina in maniera così copiosa che il sangue bagna le rocce ai piedi di Kiaran.

Click, click, click.

L’attenzione di Aithinne è sulle rocce coperte di sangue, sulle mani di Kiaran.

Avverto il suo respiro irregolare, deglutisco. «Vedo che mi hai portato un altro regalo»

sussurra.

Deglutisco a fatica, mi viene la nausea.

«Non condivido il tuo entusiasmo per le uccisioni, Kadamach» dice Aithinne. Le

sue mani sono strette a pugno; tradiscono i suoi sentimenti. Si capisce quanto stia

soffrendo per la donna. «Avresti dovuto chiedere allo sluagh di portarla qui, come hai

fatto con gli altri.»

«Questa volta è diverso» risponde Kiaran. La sua voce mi colpisce come un fiume

d’inverno. Potrei affogare nel freddo del suo tono.

Kiaran si inginocchia e posa la donna sulle rocce. Il suo viso è girato verso di me,

ha gli occhi chiusi.

Non ha la stessa bellezza di Catherine, ma è affascinante; le sue fattezze sono forti

e sottili.

Ha i capelli lunghi, di un biondo così chiaro da sembrare bianco, e ora ricadono sulle

rocce. Il colore dei suoi capelli è in netto contrasto con la pelle molo abbronzata. Delle

cicatrici le segnano le guance, il meno e le sopracciglia.

Anche da morta sembra una guerriera.

Riconosco una traccia d’emozione nello sguardo duro di Kiaran, una traccia simile

alla prima goccia di pioggia in un deserto, un desiderio. Accarezza con un dito la

guancia della donna, lasciando una traccia di sangue.

Oh mio Dio, è lei. Lei. La falconiera di cui si era innamorato.

Non l’ho amata abbastanza.

Aithinne lo guarda visibilmente sconvolta. «Kadamach?»

Lui allontana di colpo la mano dal viso della donna, quasi come se bruciasse.

«Riportala indietro» dice bruscamente.

Chiudo gli occhi. Mi tornano in mente le sue parole. Era morta davanti ai cuoi occhi,

esattamente come ero morta davanti ai suoi occhi anche io.

Aithinne impallidisce. «No, non chiedermi questo.»

Kiaran si erge in tutta la sua rabbia, scura e malefica. Delle ombre si alzano dal

terreno, grosse, pesanti e affamate. È diventato così freddo che le mie dita sono rosse

e intorpidite. Un leggero strato di ghiaccio ricopre il lago. Gli alberi intorno a noi si

ricoprono di brina, così come i ciottoli ai miei piedi.

«Sei stata tu a crearle» la sua voce è un sussurro selvaggio, «le hai mandate a

massacrare i miei sudditi perché non eri in grado di farlo da sola. Ho iniziato io questa

guerra Aithinne» la sua voce diventa un rantolo, «ma tu mi devi almeno questo.»

Aithinne alza la testa di scatto, il fuoco negli occhi. «Non ti devo proprio nulla. Non

sei l’unico ad aver perso quelli sotto la sua protezione. Sei stato tu il primo a versare

del sangue, Kadamach.»

Kiaran guarda il corpo della donna, la sua rabbia si dissipa. «E ho pagato caro per

quello che ho fatto.»

189

Qualcosa si addolcisce in Aithinne. È come se non avesse mai conosciuto questo

lato di lui… o come se non lo avesse visto per tanto tempo.

Si capisce il passato che li lega, gli anni precedenti la guerra. Erano una famiglia una

volta? Prima di tutto questo? Kiaran era disposto ad essere imprigionato a vita pur di

salvare Aithinne. Condividono un passato lunghissimo. Chissà come hanno guarito

certe ferite.

«Non ti ho mai chiesto nulla. Riportala indietro. Riporta indietro la tua dannata

Falconiera.»

«Non posso» dice Aithinne, «mi dispiace. Mi serve…»

«Ti serve il mio sangue» risponde Kiaran in un tono meccanico.

Estrae il pugnale dal suo fodero e passa la lama sul suo palmo.

Sussulto nello stesso momento di Aithinne, guardando il sangue che cola. Guardo il

freddo abbandonare il suo sguardo, resta solo la parte di lui che ho imparato ad amare.

Kiaran.

«Prendilo» le dice. «Prendi tutto il sangue che ti serve.»

Se sei disposta a fare la tua parte, io farò la mia.

Non avrei mai pensato di sentirtelo ripetere.

Il suo sangue. Kiaran lo ha offerto per lei, e ne ha offerto dell’altro per riportare

indietro me.

Questo è quello che separava Kiaran da Kadamach. Voleva provarci, voleva

salvarci.

«Kadamach» la voce autorevole di Aithinne taglia l’oscurità. Non si è scomposta,

ma il suo sguardo è pieno di pietà e dolore. So che vorrebbe aiutarlo.

«Kadamach» ripete, questa volta con un tono più dolce, «ho detto che non posso.»

«Perché?» Parla con rabbia, ma riesco a sentire la sconfitta nel suo tono, ha perso la

speranza.

«Mo bràthair» risponde, «non posso riportare indietro chi hai ucciso.»

Mi manca il fiato. È stato LUI a ucciderla. L’ha uccisa.

Non l’ho amata abbastanza.

Non mi stupisce che mi abbia respinta quando gli ho detto che Kadamach era capace

di amare. Mi aveva definita una sciocca sentimentale. Perché aveva già ucciso la donna

che amava.

«Perché?» non so se lo sto chiedendo a me o alla Cailleach. «Perché l’avrebbe

fatto?»

«Te lo ho detto» mi risponde freddamente la Cailleach. Guarda la scena come se

l’avesse vista un migliaio di volte, senza una briciola di compassione. Come se non le

importasse del dolore di suo figlio, come se trovasse deludente il suo dolore.

«Kadamach non era fatto per amare. Il suo dono è la morte.»

Dimmi, quanto devo raccontarti del mio passato affinché tu capisca che non c’è

nulla di umano in me?

Potrà anche non essere umano, ma mentre lo guardo piangere la donna che ha perso,

la donna che amava, capisco che lei ha lasciato una traccia di umanità nel suo cuore.

Mi ero sbagliata. L’emozione che avevo visto in Kiaran non era desiderio; era

vergogna.

190

La verità è che stiamo entrambi scappando dal nostro destino. Lui è la fata il cui

dono è la morte, il sono la ragazza il cui dono è il caos.

Ci apparteniamo. Come il fuoco e la polvere da sparo.

Ovunque lei vada, la morte la segue.

Mi chiedo se le voci di Daniel stessero parlando delle persone che ho perso o di

Kiaran. Forse lui è la mia maledizione. Forse è la mia debolezza.

Insieme abbiamo lasciato il mondo in rovina.

Kiaran accarezza di nuovo il volto della donna, seguendo le cicatrici che dividono

le sue sopracciglia. Vedo come la desidera. È riuscita a farlo amare e ora la ha persa,

mi sento male per lui.

«Non ho saputo fermarmi» dice. La sua voce è calma, trattenuta, ma il suo respiro è

scosso. «Non ho saputo…»

«Shh. Lo so.» Aithinne si inginocchia vicino a lui. Le loro fronti una appoggiata

all’altra. Per un momento mi immagino loro bambini, seduti in questo modo, mentre si

condividono i segreti, proprio come fanno tutti i gemelli. «Lo so.»

«Faresti una cosa per me Aithinne?» dice Kiaran chiudendo gli occhi per un secondo.

«Nessun’altro è in grado di trasferire i poteri. Toglimela. Qualunque cosa sia che mi

obbliga a cacciare toglila. Non la voglio più.»

Lei indietreggia. Per un momento mi sembra quasi che possa rifiutare, ma so che

non lo farà. Non è così che inizia la loro storia.

«Non posso toglierti tutto il potere, moriresti» dice. Kiaran si volta, come se si

aspettasse un rifiuto, ma lei lo trattiene per un braccio. «Ma posso togliertene

abbastanza perché tu possa scegliere. Una scelta tra chi uccidere e chi no. Non avrai

più bisogno della Caccia Selvaggia per sopravvivere.»

Kiaran annuisce, Aithinne lo guarda. Si vede che gli vuole bene. Non importa quello

che lui ha fatto, non importa quanto la guerra tra di loro sia diventata brutale, vuole

ancora bene a suo fratello. «Devo togliere la parte di te che trattiene il potere.»

«Lo so» le risponde.

«Non Kadamach…» stringe forte la mano di Kiaran. La cosa lo prende di sorpresa,

come se non lo avesse toccato con affetto da molto tempo. «Devi capire. Ciò che ti

rende Unseelie verrà distrutto» dice, «non potrai più entrare nel Sith-bhrùth, dovrai

rinunciare al tuo regno. un solo passo fuori dal territorio neutrale e morirai.».

«Così sia» risponde.

Di colpo ricordo me e Kiaran lungo questo lago, sembrano trascorsi milioni di anni.

Sedevamo su queste stesse rocce, Kiaran guardava con desiderio il lago. Ho fatto un

sacrificio Kam. Non posso più tornarci. Una sua scelta. Ha scelto lui di ricominciare

nel mondo degli umani.

Di colpo io e la Cailleach siamo di nuovo vicino al falò nella foresta. sono ancora

seduta sulla sedia di viti e boccioli blu, la mia pelle è fredda come il ghiaccio. La

Cailleach mi rilascia, sembra più vecchia e fragile che mai, le ossa sottili delle sue

spalle sporgono sotto il mantello di ombre. Si piega sul bastone e guarda nel fuoco, le

fiamme si specchiano nei suoi occhi vuoti.

«Che cosa è successo?» chiedo. «Cosa è successo quando Aithinne lo ha privato dei

suoi poteri?»

191

«Quella sciocca di mia figlia non si ricordò che quando rimuovi un potere, hai

bisogno di un contenitore in cui sigillarlo. Qualcun altro che lo accetti.»

«Altrimenti?»

Il corpo sottile della Cailleach trema. «Si divide, mo nighean. Tu lo sai già per

esperienza. Quando una Falconiera muore i suoi poteri si dividono tra le sopravvissute.

Il potere di mio figlio si divise tra tutti i sìthichean che vivevano nel Sìth-bhrùth. I

Seelie diventarono Unseelie; quelli col potere della creazione iniziarono a ricercare la

morte. Non possono sopravvivere senza uccidere, esattamente come non ce la faceva

mio figlio. Quando mio figlio fece la sua scelta i regni caddero. I miei figli li distrussero

entrambi.»

Ripenso alla stanza degli specchi, quando finalmente interruppi il mio silenzio per

chiedere a Lonnrach il motivo del suo odio per Kiaran.

Il tuo Kiaran è il peggior traditore che si possa trovare, e sua sorella non è da meno.

Ora tocca a me rimediare ai loro errori.

Lonnrach era un Seelie; Aithinne era la sua regina e sacrificò il trono. Così come

Kiaran. Ora capisco cosa intendesse Lonnrach quando parlava dei loro errori. Mi torna

in mente ciò che mi disse Aithinne nella Edimburgo distrutta.

Non puoi darti la colpa di qualcosa che abbiamo iniziato noi.

Sono stati Kiaran e Aithinne a dare inizio al tutto, alle Falconiere, alla battaglia che

ha intrappolato Lonnrach e i suoi soldati nel sottosuolo.

Finalmente so perché ogni fata contro la quale abbia mai dovuto combattere viveva

per uccidere.

Lonnrach una volta disse che il numero di umani che riescono ad attirare sottoterra

è appena sufficiente per saziarle, hanno bisogno dell’energia umana per vivere.

C’è ancora una cosa che voglio capire. Ho davvero bisogno di sentirmelo dire. «Che

cosa intendevi dire quando mi hai detto che ti sei presa qualcosa di mio?» chiedo con

voce tranquilla.

La Cailleach sembra una conchiglia svuotata, magra e incavata. L’orlo del suo

mantello di ombre scivola scoprendo il suo collo. La sua pelle è così sottile che le si

vedono le costole.

«Non penserai mica che la baobhan sìth possa aver ucciso tutte le discendenti delle

Falconiere vero?» dice sussurrando. «Non con mio figlio a proteggerle. I suoi poteri

sono molto più grandi di quelli di lei.».

Giuro che sento il mio cuore fermarsi. Mentre fisso la Cailleach che invecchia,

ritorna in me una forte rabbia. Mi ricordo tutto d’un colpo le parole dette da Sorcha in

cima alla collina, quando aveva congelato tutti quei soldati. Aveva detto che rischiava

la sua rabbia avvisando Kiaran. Quella di una lei.

«Tu la hai aiutata a trucidare le Falconiere giusto?»

«Certamente. Ho usato tutto il potere che mi era rimasto nel tuo mondo per

interferire.» Penso mi stia guardando, ma non riesco a interpretare il suo sguardo.

«L’ho aiutata ad uccidere tua madre.»

Tutto d’un colpo la rabbia che c’è in me scoppia, incontrollabile e irrefrenabile. Mi

ero quasi dimenticata di quello che si prova, di come il calore della rabbia accenda la

192

mia pelle, di come mi sussurri nelle orecchie che esisto solo per vendicarmi. Ciò che è

giusto è giusto.

Mi alzo dal trono di viticci con un movimento lento, con i modi di un assassino.

Non c’è paura nello sguardo della Cailleach. Non c’è nemmeno del rimorso. Mi

viene voglia di ucciderla lentamente. E senza armi. Voglio farlo a mani nude.

Mi lancio verso di lei, vogliosa di stritolare quel collo scheletrico.

Un fulmine colpisce la terra ai mei piedi. Scuote il terreno con uno schiocco

tremendo e la sua forza mi fa cadere all’indietro. Faccio fatica a respirare.

«È così che devono andare le cose» dice la Cailleach avvicinandosi a me. «I poteri

di mia figlia devono tornare interamente nelle sue mani.»

«Non ne sono convinta.»

Mi scaglio contro di lei, cercando di stringerle il collo delicato tra le mie dita, ma si

muove troppo veloce. Mi colpisce al viso con il suo bastone. Sbatto di nuovo per terra,

sul terreno molliccio. Il sangue che esce dalle mie labbra si sparge sul terreno.

La Cailleach mi solleva per la sottoveste, come se non pesassi nulla.

Le sue unghie scavano la mia pelle come artigli.

Vedo l’abisso dei suoi occhi e cerco di colpirla, di fare qualcosa, ma le mie braccia

sono stese lungo i miei fianchi, come se fossero un peso morto. Il sapore del suo potere

è estremamente doloroso, come scosse elettriche che mi colpiscono la lingua.

«Non puoi sopraffarmi» dice, «perciò ti consiglio di accettare la tua fine. Non è più

facile così?»

Mi rendo conto di riuscire a muovere la lingua, le labbra, riesco a borbottare, «Prima

voglio ucciderti.»

La Cailleach sospira e mi lascia andare. Anche se riesco a restare in piedi, non riesco

a colpirla. Sembra di nuovo così fragile, così fragile. Come se si dovesse rompere da

un momento all’altro. Se fossi una donna migliore proverei pietà per la sua debolezza

apparente. Ma io non sono una donna migliore. Preferisco sfruttare la sua debolezza

per avvantaggiarmi.

«Sto morendo, mo nighean» dice con la voce tremate di una donna anziana.

Sento una piccola traccia di paura. La paura di una creatura immortale, viva dai

tempi della creazione delle montagne e di movimenti dei ghiacciai, che finalmente si

scontra con l’incertezza della sua morte.

«Quando ho deciso di riprodurmi ho rinunciato alla mia immortalità. Come fece mia

madre che fu la Cailleach prima di me.» allunga una mano, la sua pelle è di nuovo

rugosa e vecchia. «Questa è la maledizione del mio sangue. Muoio esattamente come

gli uomini, solo più lentamente. E devo trovare qualcuno che prenda il mio posto prima

di andarmene.»

Mi tornano in mente le parole di Lonnrach Sìth-bhrùth.

La terra era intera, ed ora è spezzata a metà. Tutto si sta distruggendo.

Si sta distruggendo… distruggendo…

Senza un monarca il Sìth-bhrùth cadrà, qualcuno deve prendere il suo posto.

La Cailleach, o forse quelle venuta prima di lei, ha creato i mondi, gli oceani e i

paesaggi. Li ha resi reali. Se dovesse morire, morirò anche io. Se il Sìth-bhrùth sta

crollando, vuol dire che potrebbe succedere lo stesso al mondo degli umani.

193

È stata lei a creare entrambi, con il suo martello e il suo bastone.

Improvvisamente tutta la rabbia dentro di me svanisce. Riesco a pensare con più

chiarezza.

«Se io muoio e i poteri di Aithinne tornano interi, non succederà però la stessa cosa

a quelli di Kiaran. Lui non può tornare sui suoi passi. Resterà alterato.»

La Cailleach si alza in piedi, la faccia scura. È tornata giovane, bella formidabile e

forte…è ancora più spaventosa. «Esatto. Questa è la strada che il tuo… Kiaran ha

scelto. Non può essere riparato.»

Riparato, come se fosse rotto.

«Kadamach è sempre stato più forte di Aithinne» dice la Cailleach guardando il

fuoco, «si era dimostrato degno di essere il mio erede. Questo finché non si è

innamorato di un’umana. Il suo sguardo è duro come l’acciaio. «Mia figlia avrà creato

la Falconiere, ma a questo c’è un rimedio. La tua morte. Ma l’amore di Kadamach è

imperdonabile. Debole.» Sputa la parola come se fosse veleno. «Non è fatto per

regnare.»

«Amare qualcuno non è un segno di debolezza. Come non lo è la compassione.»

No. Mai. È questo che ti rende quella che sei Kam.

«Sei una ragazza sciocca.» abbaia la Cailleach, avvicinando il suo corpo al fuoco.

«Le cose vanno avanti così da generazione. Due figli nati per regnare. Ognuno di

loro governa un regno diverso per dimostrare il proprio valore. Il più forte inizia sempre

la guerra per primo e uccide l’altro. Kadamach ha fallito il suo incarico.»

E uccide l’altro.

La voce di Aithinne echeggia nella mia testa, le parole di quel giorno a Edimburgo,

la sua voce triste e troppo consapevole.

Siamo tutti delle prede.

Lei capisce perfettamente il destino. La vita del predatore e la morte della preda.

Questo perché lei e Kiaran sono sempre stati destinati a essere uno e l’altro.

Adesso Aithinne ama il fratello che avrebbe dovuto ucciderla.

«Lasceresti che questo succeda? Lasceresti andare i tuoi figli in guerra?»

I suoi denti si stringono, affilati come lame. «Perché non dovrei? Mia madre fece lo

stesso.»

Mi viene la pelle d’oca.

Il mantello d’ombre della Cailleach si allunga sul terreno, come serpenti intorno ai

miei piedi. «Mia sorella regnava sugli Unseelie prima di Kadamach» racconta la

Cailleach, «l’ho trucidata per unire i regni. È sempre stato così. Una Cailleach dopo

l’altra. Mia figlia dovrà prendere la stessa scelta che ho preso io. Dopo che avrà ucciso

suo fratello le passerò tutti i miei poteri e morirò. Il trono sarà suo.»

Mi rifiuto di pensare che il nostro destino sia già prestabilito. Mi rifiuto di pensare

che Kiaran sia destinato alla morte, io al caos e Aithinne al trono.

Non siamo pedine e questo non è un gioco. Fino a che punto possiamo scegliere?

«Lei gli vuole bene. Questo non significa niente per te? Hai ucciso tua sorella e

adesso vuoi che tua figlia…»

«Non importa» mi risponde la Cailleach, «non può lasciare che Kadamach viva. Se

non lo uccide…»

194

«Che cosa?»

«Dovrà guardare il mondo che ama morire con me.»

Il suo potere mi soffoca, mi scivola in gola come inchiostro nero. «Il costo delle loro

scelte ha già portato alla distruzione di tutto ciò che ami. Presto poterà alla distruzione

dei mondi, del tuo e del mio.

Ora so perché secondo le leggende il mondo dei Seelie e degli Unseelie sono sempre

stati in guerra, perché ogni epoca ha avuto una sua Caccia Selvaggia.

La guerra avrebbe dovuto portare migliaia di anni di pace alle fate. La scelta di

Aithinne però, la creazione delle Falconiere, è stato un primo passo per opporsi al suo

destino, per combattere contro una storia che si è ripetuta nelle generazioni prima di

lei.

Questa scelta ha influito sulla vita di Kiaran, non era previsto che si innamorasse di

una Falconiera. È stata la causa di un effetto onda che lungo i secoli a portato alla

distruzione del nostro mondo.

Ripenso a quello che Gavin mi ha detto nella mia Edimburgo immaginaria.

Alcune cose non si possono prevenire.

«Adesso capisci perché Aithinne deve farlo» sussurra la Cailleach.

«Cosa pensi che sceglierà?» della brina si forma sull’erba toccata dal bastone della

Cailleach. «Lascerà che i regni si riducano in polvere, lascerà vivere il fratello che

avrebbe dovuto ucciderla?»

«Non lascerò che tutto questo succeda.» Ci deve essere una soluzione. Ci deve

essere.

«Non c’è nulla che tu possa fare» dice freddamente, «uno di loro deve morire.» le

sue labbra si arricciano. «E quel qualcuno deve essere Kadamach.»

La disperazione mi dà la forza di combattere contro la sua presa, contrastando il

potere che mi tiene inchiodata qui con lei. Barcolla per il mio slancio improvviso, il

suo giovane viso ritorna un teschio avvizzito.

Corro. La sento urlare mentre scivolo tra gli alberi scuri. Continuo a correre finché

non riesco più a vedere nulla, finché non sono interamente circondata dalle tenebre. Le

voci dei morti mi chiamano di nuovo per nome. Le loro mani mi afferrano, ma oppongo

resistenza, le graffio. Kiaran Kiaran Kiaran Kiaran.

Ripeto il suo nome come una preghiera, una benedizione disperata. Uno dei due deve

morire, e quel qualcuno deve essere Kadamach. Sono di nuovo nella radura. Il fuoco

è ancora acceso. La Cailleach è in piedi di fronte a me, calma e vecchia, circondata dal

suo mantello di ombre. «Non puoi scappare, mo nighean. Non qui.»

Non mi importa, ci riprovo. Scappo tra gli alberi. I rami mi graffiano la pelle delle

spalle e del collo. Mi strappano i vestiti mentre cerco di spostarli. Sto sanguinando, ma

non mi fermo. Devo tornare da Kiaran.

Sono di nuovo vicino al fuoco, vicino a quella dannata Cailleach. Le mie ginocchia

collassano nella polvere ai piedi del suo mantello di ombre e la disperazione comincia

ad impossessarsi di me. Mi terrà qui per sempre, proprio come aveva promesso, a meno

che io non decida di morire.

195

Mi alza il mento con le sue dita. Guardo il suo viso vecchio e rugoso. «Sarebbe così

facile per te lasciarti tutto alle spalle, mo nighean. Basta morti, basta responsabilità.

Potresti ballare a feste meravigliose per l’eternità, se solo volessi.»

No. No. Non voglio balli, o feste, o abiti. Non voglio tradizioni o matrimoni

combinati. Queste cose mi hanno tenuta rinchiusa in gabbia, mi hanno resto una

ragazza troppo fiduciosa, incapace di comprendere il vero pericolo fino a che non se lo

è trovato di fronte e le ha distrutto la vita con denti aguzzi e artigli.

Ma la Cailleach è come una forza che mi attrae. Mi fa venire voglia di dimenticare

le mie responsabilità, mi fa venir voglia di non tornare più in quel mondo dove tutto è

così difficile, dove ogni giorno è una battaglia.

Si piega verso di me e affogo nel suo sguardo. «Potresti rivedere tua madre»

sussurra.

Le parole di Kiaran restano una come un tarlo nella mia testa. Non dimenticare il

perché sei lì, quello che c’è dall’altra parte non vorrà farti tornare.

Non sono più la ragazza che ha perso sua madre, non mi lascio più imbrogliare da

false promesse di rivederla. Non sono più la ragazza accecata dalla voglia di vendetta,

quella che ha il solo scopo di cacciare, uccidere e mutilare.

Non sono più quella ragazza. Non lo sono.

Sono un qualcuno formato in una stanza piena di specchi, resa più forte, come

acciaio forgiato. Non ho bisogno della vendetta. Ho bisogno solo di me stessa. Un

potere familiare mi avvolge, caldo e brutale. Mi sono già sentita così, quando uccidevo

le fate, ma questa volta è più forte, quasi sconvolgente. È pura elettricità che mi scorre

nelle vene, sotto la mia pelle, sto per scoppiare.

Mi allontano dalla Cailleach. «No.»

Poi mi giro, palmo in su e il mio potere esplode. Si schianta contro di lei.

Viene alzata in aria, sbattuta con forza contro gli alberi.

Mi alzo in piedi e mi avvicino lentamente, deliberatamente. Il potere cresce in me

sempre più caldo mentre mi avvicino. Quando la Cailleach mi guarda vedo per la prima

volta paura nel suo sguardo.

«Dimmi come fare per andarmene da qui» dico con voce ferma.

I suoi occhi scintillano. «Mai.»

Alza il bastone per mettermi in guardia, ma io sono più veloce. Afferro il bastone e

glielo strappo di mano. Con un urlo raggelante cerca di riprenderselo, ma sono più

veloce del suo corpo vecchio e fragile. Schivo i suoi movimenti. Senza il suo bastone

sembra ancora più vecchia.

È pelle e ossa, i suoi occhi sono vacui.

Rilascio di nuovo il mio potere. L’esplosione la colpisce così forte che il tonfo

spezza un albero a metà.

Poi sento un rumore, degli stivali che si avvicinano dalla foresta alla mia sinistra. Mi

giro giusto in tempo per vedere Aithinne uscire dagli alberi ansimando. Trema dalla

stanchezza.

«Eccoti finalmente!»

Mi abbraccia e di colpo dimentico la Cailleach e i miei poteri. Riportami indietro,

portami con te.

196

«Dio, sei una donna difficile da trovare» mi dice Aithinne, «le campanule non…»

Le sue parole si interrompono e il suo corpo si irrigidisce. Mi accorgo che la

Cailleach si è rialzata. Sta fissando Aithinne con il suo viso giovane, la pelle liscia e

perfetta. La sua espressione è indecifrabile. «Màthair» sussurra Aithinne.

«Ne è passato di tempo» risponde la Cailleach.

Aithinne la guarda con disprezzo e si alza in piedi. Che cosa la succede?

«Non abbastanza» dice, «avrei voluto passassero almeno altri mille anni prima di

rivedere la tua faccia. Magari duemila.»

«Figlia mia…» la Cailleach cerca di avvicinarla, ma Aithinne si scosta scuotendo la

testa.

«Quindi sono di nuovo tua figlia adesso? Dopo che volevi che Kadamach mi

uccidesse?»

Ride amareggiata. «Come mi avevi chiamata dopo che avevo creato le Falconiere?

Masladh bith-bhuan, mo màthair. La tua vergogna eterna.»

Guardo la Cailleach con odio. Prima volevo solo obbligarla a dirmi la strada per

tornare indietro, ora voglio colpirla con il suo bastone. Per principio.

«Aithinne» dico prima di fare qualcosa di cui potrei pentirmi, «andiamocene.».

Quando ci giriamo per andarcene la Cailleach la chiama per nome. «Se lascerai

morire la Falconiera riavrai i tuoi poteri. Il trono sarà tuo.»

Aithinne singhiozza e mi accorgo che sta tremando. «Oh. Màtahir» la sua voce è

triste, «non sei mai riuscita a capire vero? Non voglio il trono. Penso di non averlo mai

voluto.»

Poi mi prende con gentilezza il bastone dalle mani. In un attimo prende una lama e

si taglia il polso. La sua mano trema talmente forte che il taglio è tutto irregolare. Si

aggrappa al mio braccio e appoggia il palmo insanguinato sulle incisioni del bastone.

«Arrivederci, Màthair.»

«Aithinne!»

Aithinne alza il bastone e lo sbatte contro il terreno. La Cailleach lancia un grido

mentre il ghiaccio che esce dal suo bastone ricopre il terreno ai nostri piedi. Il fuoco si

trasforma in fumo. Sopra le nostre teste si creano improvvisamente delle nuvole, scure

e grosse. Sento in lontananza il rimbombo di un tuono.

Dei fulmini circondano il bastone e io e Aithinne veniamo avvolte dalla luce.

197

Capitolo 32 Traduzione: Valeriuccia7692

Faccio fatica a respirare. Le rocce della spiaggia mi segnano le braccia mentre cerco di

liberarmi dell’acqua inghiottita. Vomito e tossisco, ho male ai polmoni e al torace.

Appoggio la fronte sui sassi freddi e respiro, sono tutta un tremore. La mia sottoveste

è fradicia e si incolla al mio corpo, come se fosse ghiaccio attaccato alla mia pelle.

Avverto una presenza a fianco a me, ma sono troppo debole. Scuoto la testa.

«Eccoci. Sei sana e salva adesso» dice una voce tremate. È Aithinne. Sembra debole

e stanca e il suo naso sta sanguinando. Mi sorride e dice «Facile.».

Prima che riesca a dirle qualcosa, un grido acutissimo riempie l’aria. Derrick si

fionda verso di me, ali, braccia e gambe avvinghiate ai miei capelli. «Sei viva, brutta

idiota! Sei viva!»

Gavin si siede al mio fianco, ha i capelli biondi schiacciati sulla fronte. Si slaccia il

cappotto di lana e me lo avvolge intorno alle spalle. Lo accetto con gratitudine, ho le

dita così intirizzite che riesco a malapena a tenerlo chiuso.

«Ben tornata nel mondo dei vivi,» dice Gavin. Alza le braccia con un sorriso

amichevole. «Sembra che abbia funzionato.».

Mi accorgo che ci sono gocce d’acqua sospese intorno a noi. Luccicano come milioni

di piccoli diamanti, illuminando la spiaggia. Ne tocco una, meravigliata. Oscilla

quando la tocco e poi si rompe in mille goccioline. «È opera mia?» chiedo ad Aithinne.

Mi sorride debolmente. «Ci vorrà del tempo per riuscire a controllarlo. Se espiri con

calma e te le immagini mentre si abbassano…»

Sbatto le ciglia e le gocce cadono a terra con uno scroscio.

«Oppure fai così!» poi aggiunge rassicurante, «Ci hai provato.»

«Scusatemi.»

Gavin ci impiega un attimo a riprendersi, scuote i capelli bagnati.

Regge un filo di seilgflùr. «Forse non sarà così impressionante come riuscire a

sospendere l’acqua, ma penso che non avrai più bisogno di questo.».

Non ne avrò bisogno? Tocco la base del mio collo, mi aspetto che il cardo sia dove

l’ho lasciato, ma non c’è più. Con un fremito raggiungo Derrick e lo stringo tra le mie

dita.

«Ahi! Non stringermi così forte. Sono un pixie, non un dannatissimo fiore.»

Sbuffando si libera dalla mia presa e si siede sul palmo della mia mano, per la prima

volta riesco a vederlo senza l’aiuto del seilgflùr. È tutto così diverso, è come se mi

avessero tolto un velo dagli occhi. Il suo viso è lo stesso di sempre, le sue fattezze

elfiche non sono cambiate, ma è circondato da un’aurea sfavillante che non avevo mai

notato, la stessa che circondava Kiaran quando siamo andati nel Sìth-bhrùth per la

prima volta. Le ali di Derrick luccicano come gocce di rugiada mattutina. Le piccole

venature al loro interno sembrano fili d’oro.

198

Derrick si sposta, è a disagio. «Vuoi continuare a fissarmi?» Fa un cenno verso i

miei vestiti.

«Aithinne ha avuto un sacco di problemi a riportarti indietro.».

Guardo verso il passo e noto che sono ricoperta di sangue, la mia sottoveste ne è

completamente imbrattata. «Diavolo! Cosa è successo?» mormoro.

Derrick vola via e atterra sulla spalla di Gavin. Il silenzio è una cosa insopportabile.

È Aithinne a rispondere. «Dopo che le campanule hanno perso la tua energia, ci ho

impiegato delle ore a trovarti.» La sua voce trema, il tono è freddo.

Ore? Sicuramente la Cailleach, dopo aver strappato i fiori, mi ha portata da un

ricordo all’altro in modo da rendere la ricerca di Aithinne ancora più difficile. Non mi

stupisce che tra tutti i suoi doni abbia scelto proprio la verità.

Aithinne sembra così fragile, come se stesse per svenire. Il sangue le cola dalle ferite

lungo le braccia. Le stanno sanguinando il naso, le mani, i polsi e le braccia. Alcuni

tagli sono sottili e poco profondi, gli altri sono talmente profondi che si intravedono le

ossa.

Sangue in cambio di sangue. Così aveva detto Kiaran. È questo il sacrificio che ha

dovuto compiere per farmi tornare indietro?

Lo chignon di Aithinne non tiene più e i sui capelli neri sono appiccicati al ghiaccio

che le ricopre la fronte. Ha la pelle livida.

«Tieni questo.» Le dico, togliendomi il cappotto di Gavin dalle spalle per avvolgerlo

intorno a lei. Lancio un’occhiata a Gavin, ma lui non mi sta guardando. La sua

attenzione è rivolta ad Aithinne, come se volesse aiutarla ma non sapesse bene come

fare.

Le sue ferite non sembrano rimarginarsi, o non lo stanno facendo con la velocità di

sempre.

Il suo sangue cola sui sassi della spiaggia. «Non stai guarendo.»

Aithinne barcolla, diventando ancora più pallida. «Fa parte del sacrificio,» sussurra.

«Non posso usare i miei poteri curativi e ho dovuto usare molto più sangue di quello

che pensavo.» I suoi occhi sono spenti. «Non credo di sentirmi molto bene. Credo

che…»

«Merda,» mormora Gavin, riesce a raggiungerla prima che cada in avanti. La prende

tra le braccia.

«Aithinne?».

Non risponde; i suoi occhi sono chiusi e la sua guancia è appoggiata al petto di

Gavin. «Devo portarla dentro.» dice. In un attimo la sua camicia è ricoperta del sangue

di lei. «Una delle fate deve ricucirla.».

«No.» urla improvvisamente Aithinne. «Non voglio che nessuno mi veda così.»

«Portala in camera tua, Veggente.» dice Derrick. «Verrò io a ricucirla.».

Un minuscolo sogghigno gli attraversa il viso «Cercherò di essere delicato.».

«Sarà meglio per te.» Sospira Aithinne.

Ora che sembra tutto sistemato mi azzardo a chiedere, «Dove è Kiaran?»

Gavin e Derrick guardano entrambi verso l’acqua. Seguo i loro sguardi dalla

spiaggia fino alle onde. Kiaran è in piedi nell’acqua che gli arriva alle ginocchia,

completamente vestito.

199

Sta guardando verso l’orizzonte. Del sangue cola dalle sue mani nell’acqua dietro di

lui. D’un tratto guarda verso la spieggia e i suoi occhi incontrano i miei. Il mio cuore

sussulta. I suoi occhi. I suoi occhi.

Il suo sguardo mi ricorda Kadamach. C’è un’oscurità buia e profonda in quello

sguardo.

Non c’è speranza.

«Se n’ è andato laggiù quando Aithinne non riusciva a riportarti indietro.» dice

Derrick.

Sto per correre verso di lui quando Aithinne mi afferra per un polso. I suoi occhi

sono ancora spenti, ma in qualche modo riesce a trovare la forza per tirarmi verso di

lei finché le mie orecchie non sono vicine alle sue labbra. Solo io devo sentire quello

che ha da dire. «Quello che è successo oggi gli ha ricordato che un giorno o l’altro ti

perderà.» Avverto un tono di rimpianto nelle sue parole. «Le Falconiere muoiono

sempre giovani. Sempre.».

Perde conoscenza e Gavin la porta dentro.

Il mio sguardo incrocia di nuovo quello di Kiaran ed è come se tutto il mondo

sparisse. Lo so. Voglio dirglielo. So tutto.

Improvvisamente distoglie lo sguardo, come se mi avesse letto nel pensiero. Forse

lo ha fatto.

Prima che possa fermarlo, esce dall’acqua ed entra nella caverna.

Più tardi quella sera, osservo una pila di oggetti ammassati sulla mia scrivania, una

collezione di oggetti che, senza dubbio, Gavin ha ammassato durante i miei tre anni di

assenza. Ci sono pistole a pietra rotte, catene di orologi, pignoni, viti e pezzi di metallo

di vario genere.

«Sono per te. Per lavorarci.» dice Derrick mentre si lamenta con me dopo aver

dovuto ricucire Aithinne.

«Guarda questi come brillano. Sono i miei preferiti.».

Penso che abbia avuto paura per me, anche se non lo ammetterà mai. Aithinne era

riuscita subito a curare il mio corpo, ma ci aveva impiegato delle ore per riuscire a

trovarmi oltre al velo. Mi è sembrata un’eternità, anche se io e la Cailleach abbiamo

continuato a saltellare da un ricordo ad un altro.

«Ho bisogno di stare da sola per un po’.» dico a Derrick. «Devo capire quello che è

successo.».

Le sue ali fremono. «Vuoi che me ne resti in silenzio?».

Sorrido e scuoto la testa. «Sola sola.» accarezzo le sue ali. «Puoi andare a controllare

di nuovo i cortili?».

Non riesco a fare a meno di aver paura della Cailleach. Anche se Aithinne le ha detto

di non volere il trono, non mi è sembrato che la Cailleach fosse una di quelle che

accetta un no come risposta.

I miei poteri potranno anche essere limitati nel tuo mondo, ma so benissimo che tutti

quelli che ti sono rimasti vivono in quel regno sotterraneo. Li vuoi al sicuro vero?

«Bene.» borbotta. «Ma più tardi dovrai raccontarmi tutto.».

Vola via in un raggio di luce. Sospiro e guardo fuori dalla finestra. Sta nevicando di

nuovo tra le rovine della mia Edimburgo immaginaria. La mia casa è l’unica del

200

quartiere ancora in piedi. Da qui riesco a vedere i resti del castello, le mille erbacce che

sono cresciute in quelli che una volta erano i giardini di Princes Street.

Per un attimo prendo in considerazione l’idea spostare la stanza da qualche altra

parte. In Argentina per esempio. O nelle Indie Occidentali.

In un posto caldo. In un posto che non assomigli alla Scozia, un posto dove poter

sentire la sabbia sotto ai piedi e dimenticare tutto per un po’.

Ma poi guardo fuori dalla finestra e vedo la neve cadere su strade che non esistono

più e non desidero più nulla di diverso.

Uno degli ingranaggi ammassati da Derrick rotola sul pavimento con un forte rumore

metallico e interrompe i miei sogni ad occhi aperti. Lo raccolgo e lo metto assieme agli

altri arnesi metallici. Osservo le loro forme, il mondo in cui si incastrano.

Una volta sarei riuscita a rimetterli assieme in un attimo. Non avevo mai bisogno di

un progetto, non avevo mai ripensamenti; costruire mi veniva naturale, come respirare.

Inventare delle nuove armi era come mettere assieme un puzzle complicato,

un’eccitante nuova scoperta. E inoltre riusciva a distrarmi dai mei incubi.

Adesso non ho nemmeno questa consolazione. Oggi le forme mi sembrano strane.

Non riesco a capire come possano relazionarsi. Non so cosa fare, né come farlo.

Prendo un pezzo tra le mani, il quadrante di un vecchio orologio. Cosa potrei farci

con te? Senza volerlo sento il mio potere risvegliarsi. Scorre lungo le vene delle mie

braccia, nei miei polsi e infine esplode dai mei palmi, il suo calore piega il metallo. Le

lancette diventano petali. Le altre componenti si piegano fino a formare lo stelo di un

fiore, un fiore fatto di metallo.

È bellissimo. Lo guardo piena d’ammirazione. Sono stata io a farlo. L’ ho fatto io.

Un leggero bussare interrompe la mia concentrazione e lascio cadere il fiore sul

tappetto.

La porta della camera si apre alle mie spalle e si richiude. «Derrick,» sospiro

girandomi sulla sedia. «Ti avevo detto…».

Di colpo il mio respiro si ferma. È Kiaran. È ancora bagnato a causa delle onde e

della pioggia. I suoi vestiti gocciolano sul tappeto. Ora che ho la Vista, mi rendo conto

di quanto brilli, la sua pelle rifulge di una lucentezza fulva. I suoi occhi sono luminosi,

splendidi. Mi sbagliavo a paragonarli ai lillà. Il fiore è pallido al confronto.

Una striscia di tessuto fascia la sua mano, il sangue di una ferita che non si rimargina

ha intriso il tessuto. Le sue ferite non si rimarginano, proprio come quelle di Aithinne.

Guardo le macchie rosse che si formano sul tessuto bianco e ricordo la traccia di

sangue che lasciò sulla pelle della Falconiera accarezzandole i capelli. Indietreggio e

ritorno agli ingranaggi senza nemmeno vederli.

Che cosa dico? Non so nemmeno da dove cominciare. «Come sta la tua mano?».

Oh per l’amor di Dio!

Kiaran non mi risponde. Sento i suoi stivali muoversi sul tappeto e,

improvvisamente, è vicino a me, così vicino che quasi ci tocchiamo. «Che cosa è

successo dall’altra parte?» chiede.

201

Quando non rispondo, mette una mano sulla mia guancia e gira il mio viso verso di

lui.

I suoi occhi sono così diversi da quelli del passato. Non sono vuoti. «Kam?»

Che cosa gli dico? Gli racconto della verità che mi ha mostrato la Cailleach? Kiaran

si è impegnato così tanto per nascondersi dal suo passato. Ha cambiato nome. Ha

rinunciato al suo trono. Ha rinunciato a tutto, e io non avrei dovuto sapere niente del

suo passato, non fino a che lui non sarebbe stato pronto a raccontarmelo.

Il modo in cui guardava l’altra Falconiera, il modo in cui la toccava…non avrei

dovuto vedere nemmeno quello.

Ero un intruso nei suoi ricordi più intimi e privati. Esattamente come Lonnrach nei

miei.

Mi allontano da lui e guardo la neve cadere in fiocchi massicci ricoprire il terreno e

gli alberi di una coltre bianca. «Mi dispiace.».

«Kam,» la sua voce si indurisce. «Dimmi.».

Non guardarlo negli occhi. «Ho visto la Cailleach.».

Se non stessi ascoltando attentamente, non mi sarei mai accorta del suo improvviso

sospiro. L’aria attorno a noi diventa fredda.

Kiaran si allontana. «Immagino ti abbia offerto qualcosa, non credo sia stata la

vita.».

La neve cade più fitta. Non riesco nemmeno più a intravedere i gradini d’ingresso

della casa.

«Mi ha offerto la verità.».

Il silenzio intorno a noi si fa più pesante; sembra durare delle ore. Se solo riuscissi a

guardarlo, so che vedrei un’espressione fredda e calcolatrice sul suo volto mentre cerca

di decidere come continuare il discorso. Kiaran è così, un calcolatore.

«Capisco.» Dice finalmente.

È sufficiente. Non mi spiega nulla; non ce n’è bisogno. Sa esattamente cosa ho visto

e scoperto.

«Perché l’ hai uccisa?» Concentro il mio sguardo sui fulmini fuori dalla finestra, il

tempo sta peggiorando, quasi non riesco a intravedere le rovine della città. «È l’unica

cosa che non sono riuscita a capire.».

Non ho bisogno di dirgli di chi sto parlando. Lo sa. Posso capirlo dal modo in cui il

suo corpo è teso, da come improvvisamente è diventato silenzioso.

«Niente è mai riuscito a stupirmi come ha fatto lei.» Dice. È in piedi vicino alla mia

sedia e guarda la neve che cade. «Non ho mai pensato di poter provare dei sentimenti

per qualcuno finché non ho incontrato lei. Non ho mai pensato che avrei

potuto…desiderare qualcuno. Non nel modo in cui desideravo lei.»

Ma l’hai uccisa, le parole quasi mi scappano di bocca. Resto zitta; tengo lo sguardo

sulla montagna di neve che si sta formando, riflette l’oro dei lampioni. «Nemmeno

Sorcha?» chiedo tentennante, mi pento subito di averglielo chiesto. È solo una mia

ipotesi. Solo un’ipotesi.

Kiaran si gira di colpo verso di me, ma io non incrocio il suo sguardo. «Ti ha fatto

vedere anche quello?».

202

Vorrei non aver avuto ragione. Non volevo avere ragione. Sento le lacrime formarsi.

«Non ce n’è stato bisogno.» dico.

«Ho visto il modo in cui ti guarda Sorcha.» Io ti guardo nella stessa maniera.

Kiaran stringe le mani in pugni. «Sorcha era la mia sposa.» Dice con voce piatta.

Le mie dita accarezzano la cicatrice che mi ricorda il mio primo incontro con Sorcha,

la prima volta in cui ho capito che lei e Kiaran si conoscevano. Sei ancora legato a me,

hai fatto un giuramento. Feadh gach re. Per sempre.

«Quindi il tuo giuramento…»

«È un’antica tradizione fare un giuramento alla propria sposa. Ho pronunciato il

giuramento che ci ha legati.»

Ti ha fatto credere che tu fossi importante per lui. A Kadamach non importa niente

di nessuno, men che meno di te.

Quanto vorrei che Kiaran mi avesse raccontato tutto questo quando correvamo

insieme lungo le strade per uccidere i mostri di notte. Niente di tutto ciò sarebbe stato

importante perché stavo usando Kiaran per arrivare dove dovevo arrivare. Avevo

deciso di usarlo per ottenere la mia vendetta. Insegnami tutto quello che sai e le

strapperò il cuore. Gliela farò pagare per quello che ha fatto a mia madre. Occhio per

occhio, dente per dente.

Ma ora…ora vorrei che non avesse un passato, che la sua vita fosse cominciata nel

momento in cui mi ha salvata e mi ha sussurrato: Li uccideremo tutti. Se fosse così ora

non sarebbe così doloroso sapere che la fata che ha ucciso mia madre era anche sua

moglie.

«Come hai conosciuto la Falconiera?» Chiedo per non sentire più parlare di Sorcha.

Un sorriso compare sul suo volto. «Ha cercato di uccidermi.»

La maggior parte delle persone rimarrebbe sconvolto da un tentato omicidio, Kiaran

invece sembra considerarlo sia un complimento che un’avance. «E questo ha riscaldato

il tuo freddo cuore da Unseelie.».

«Ovviamente no.» Risponde Kiaran. «Ma dopo numerosi tentativi ho cominciato ad

ammirare la sua tenacia.» Il suo viso si addolcisce. «Era la prima volta dopo secoli che

provavo un qualche tipo di emozione. Volevo conoscerla.»

Qualcosa mi punge dentro, qualcosa che non provavo da molto tempo. All’inizio

faccio anche fatica a riconoscerla, è una cosa così strana: sono gelosa. Sapevo della

altra Falconiera, sapevo che Kiaran l’amava, ma ascoltare lui che ne parla è come una

pugnalata nello stomaco.

Non dico nulla; non sono certa che riuscirei a nascondere la gelosia se parlassi.

«Ci siamo incontrati in segreto per mesi. Questo finché un mio suddito non mi portò

un veggente. Uno dei miei passatempi era quello di togliere loro gli occhi per scoprire

la loro ultima visione.».

Cerco di non immaginare la scena, ma non ci riesco.

«La sua ultima visione ero io che uccidevo lei.» Kiaran ha un tono meccanico, come

se si fosse esercitato a raccontare tutto questo in modo piatto. Non sta guardando la

neve. Sta rivivendo il momento in cui tutta la sua vita è cambiata.

«Pensavo di poterlo evitare smettendo di vederla.» La sua mascella si tende mentre

e guarda verso il basso. «Se avessi smesso di cacciare gli umani.».

203

Si zittisce e mi chiedo se continuerà a raccontare. Capisco all’improvviso perché si

era rifiutato di raccontarmi la visione di Gavin prima della battaglia. Cercheresti con

tutte le tue forze di impedirla e ogni decisione che prenderesti non farebbe altro che

renderla reale.

Kiaran prende fiato. «Senza la Grande Caccia cominciai a morire. Il mio regno iniziò

a deteriorarsi. Quando toccai il fondo, Sorcha mi portò un umano. Stava cercando di

salvarmi la vita…di salvarci tutti.» chiude brevemente gli occhi. «Non sono riuscito a

trattenermi e di tutti gli umani che Sorcha avrebbe potuto portarmi, si premurò di

portarmi…»

«La tua Falconiera.» Finisco la frase per lui. Sono sballottata da mille emozioni.

Tristezza, gelosia, rabbia nei confronti di Sorcha.

E…e…desiderio. Le emozioni sono davvero complicate. Nonostante tutto quello

che Kiaran ha fatto…quello che ho visto…provo affetto per lui. Lo desidero. Lo

desidero esattamente come quando era con me nell’acqua gelata, mentre mi sussurrava

parole di incoraggiamento. Lo desidero come quando, nelle rovine di Glasgow,

tracciava le mie cicatrici come per memorizzarle. Lo desidero adesso, disperato, nudo

e vulnerabile. Lo voglio.

Inizio a chiedermi se ho davvero il diritto di desiderarlo.

«Catriona.» Il sospiro di Kiaran è una morsa al cuore. «Si chiamava così.».

Il suo nome scorre sulla lingua di lui come acqua. Lo pronuncia con reverenza, lo

pronuncia come se lo avesse fatto ogni giorno della sua vita. Catriona, Catriona,

Catriona.

«È un bel nome.» dico cercando di tenere un tono piatto.

Non mi sta ascoltando. È ancora intrappolato nei suoi ricordi. «Avevo giurato che

non avrei più ucciso un umano e quindi chiesi a mia sorella di…» mi guarda. «Il resto

della storia lo sai.».

«Sì.» dico calma.

I regni caddero comunque e lui e Aithinne furano la causa di quella caduta. Dio, il

fardello che devono portarsi dietro è enorme.

Sapere che le loro scelte, diverse dal destino che la Cailleach aveva scelto per loro,

hanno distrutto tutto. Le stesse scelte però, hanno creato Kiaran.

È così vicino, sento di nuovo il suo calore. Cerco di mettere da parte tutto quello che

la Cailleach mi ha mostrato, tutto quello che mi ha appena raccontato. Voglio

dimenticare i suoi sentimenti per Catriona e tutte le cose che ha sacrificato per lei,

perché quel briciolo di umanità che lei gli ha fatto provare. Voglio che lui mi aiuti a

dimenticare.

Mi tocca una spalla e io indietreggio, non posso fare a finta di niente. «No,» dico

dolcemente. «Non sono lei.».

Allontano la sedia dal tavolo. Creo distanza tra di noi avvicinandomi alla porta, ma

non sono lontana abbastanza. «Non sarò il suo rimpiazzo.».

Mi raggiunge in un istante. Mi prende per un braccio e mi fa girare. I suoi occhi

brillano. Hanno un luccichio che non avevo mai notato con la vista umana. È quasi

ipnotico. «È questo che pensi? Pensi di essere solo il suo rimpiazzo?»

204

Cerco di allontanarmi, ma lui mi stringe a sé. «Cos’altro dovrei pensare? Siamo

entrambe Falconiere.».

«Questo non significa niente per me.» dice Kiaran. Appoggia la sua mano calda sulla

mia guancia. «Non mi è mai importato nulla di quello che sei. Io ti desidero perché non

mi sono mai sentito più vivo di quando sono con te. Io voglio te, Kam.».

Poi le sue labbra incontrano le mie. Mi bacia. Che Dio mi perdoni, ma lo bacio anche

io. Stringo il suo corpo al mio e…

No. Devo saperlo. «Mi ami?» sussurro contro le sue labbra. «Mi ami come amavi

lei?».

Kiaran si allontana, e il modo in cui sospira mi dice tutto quello che volevo sapere.

«Kam.».

Mi allontano cercando di ignorare la sorpresa e il dolore sul suo volto. Cerca di

raggiungermi, ma riesco a schivarlo. «Non posso.» sussurro. «Non posso farlo. Devo

andare.».

Esco a grandi passi dalla porta.

205

Capitolo 33 Traduzione Valeriuccia7692

Attraverso la grotta e arrivo sulla spiaggia buia. Ho bisogno di riflettere. Mi sorprende

trovare Aithinne a camminare in acqua; le onde spumose del mare che le accarezzano

appena i piedi. Ha i pantaloni arrotolati e i polpacci scoperti. Il cappotto svolazza dietro

di lei, così come i suoi capelli, lunghi e selvaggi.

La luna illumina le onde e la sua scia arriva fino a Aithinne, la cui pelle sembra

brillare di rimando. Adesso che ho la Vista, mi rendo conto che la sua pelle riluce come

se fosse fatta d’opale.

L’aria è pungente, addirittura più fredda di quando sono stata qui prima di morire. Il

freddo, però, non mi infastidisce; il fremito del mio potere mi scorre nelle vene e mi

tiene al caldo. Il vento si è calmato e tutto è fermo. Ci sono solo le onde e il rumore dei

sassi che sbattono l’uno contro l’altro trascinati dalle onde.

Mi stringo addosso il cappotto e mi siedo sulla spiaggia, non molto lontano da dove

si trova Aithinne, ma a distanza di sicurezza dalla marea. Oggi mi sono già inzuppata

abbastanza.

«Allora dicevi sul serio quando hai detto che adori l’acqua.» le dico.

Aithinne non mi risponde e si limita a buttare indietro la testa, verso la luce lunare.

Finalmente ritorna sulla spiaggia, camminando con grazia sui ciottoli e si siede a fianco

a me.

Non posso fare a meno di notare tutti i punti che ha sulle braccia. Seppure sia stata

ricucita perfettamente (a quanto pare Derrick fa delle suture perfette in ogni

circostanza), il filo scuro risalta, contrastando con il brillante pallore della sua pelle.

Così tanti tagli. Decine.

«Non trovi ci sia qualcosa di speciale nel mare?» mi chiede e la sua voce mi

spaventa. «Il mio popolo ha sempre pensato che potesse rivelare cose nascoste.» si gira

verso di me. «Persino le paure più recondite.».

«Ed è vero?» dico con tono piatto. Vorrei dimenticare la sensazione che si prova ad

affogare, vorrei dimenticare quello che ho visto nell’aldilà.

Le voci che mi chiamavano mi tormentano, come anche le loro mani, che mi

afferravano i vestiti nel tentativo di tenermi intrappolata lì.

«Se fossimo abbastanza coraggiose» dice, «potremmo immergerci nell’acqua e

sussurrare innis dhomh. Dimmi. E l’acqua ci mostrerebbe il nostro passato, il nostro

futuro… i segreti che hanno influito sulle nostre vite. A volte, anche cose che

vorremmo non sapere.»

«Aithinne» le dico io, «stai evitando la mia domanda. Rispondi.»

«Non era una domanda, era solo un’osservazione. Hai un’espressione combattuta da

quando ci siamo incontrate al di là del Velo. All’inizio ho pensato che fosse perché mia

madre aveva cercato di ucciderti, ma…»

206

Guardo l’oceano e cerco di non pensare a Kiaran.

Mi ami? Tanto quanto amavi lei?

Kiaran mi ha segnata. Non un segno fisico, non come quello di Lonnrach. È come

quando mi sono stati cancellati i ricordi e la mia mente si è riempita di immagini di

Kiaran, sentimenti che riuscivano a mantenermi lucida nella sala con gli specchi. Lo

ha fatto senza nemmeno rendersene conto e io non glielo ho impedito. Dio, quanto

vorrei aver fatto qualcosa invece.

«Falconiera?»

«Perché non hai voluto il trono?» le chiedo di colpo.

Fa spallucce. «C’erano sempre e solo battaglie, combattimenti e corte. Voi umani

siete molto più interessanti. Avete mille parolacce, avete le torte…»

«Aithinne. Stai di nuovo evitando di rispondere.»

È calma, guarda le onde andare avanti e indietro, come se l’oceano respirasse. «Ho

sempre saputo che un giorno o io o Kadamach saremmo morti.» dice. «Non riuscivo a

sopportare l’idea di fargli del male. C’è stato un tempo in cui me ne credevo capace,

ma…» fa di nuovo spallucce. «Quindi, ho accettato l’idea che quella a morire sarei

stata io.».

La guardo e non vedo in lei l’Aithinne del falò, la fata che ha detto alle prime

Falconiere di vendicarsi e di farla pagare a suo fratello. Aithinne non è stata indurita

dalla guerra; anzi, l’ha resa più umana. Nonostante tutto quello che Kiaran ha fatto, lei

lo ama ancora. Non ha mai smesso di farlo.

Resto zitta. Ho paura di dire qualcosa di sbagliato o che lei smetta di parlare. C’è

così tanto che voglio sapere del loro passato.

Aithinne rivolge di nuovo il viso verso la luna. «Kadamach e io siamo stati creati

insieme, sai? Una volta le nostre menti erano indistinguibili.» La sua espressione si

irrigidisce. «Poi siamo stati separati, cresciuti in regni diversi e addestrati a distruggerci

a vicenda. Quando uccideva i miei sudditi in battaglia, sapevo perfettamente che prima

o poi sarebbe tornato per uccidere me.».

«E per questo motivo hai creato le Falconiere.» dico.

«Le Falconiere, le mortair,» dice dolcemente. «Ho costruito un esercito da mandare

contro di lui. Solo io e Kadamach avevamo il potere necessario per ucciderci» dice e

con un tono ancora più aspro continua, «ma volevo che il suo regno venisse distrutto,

per tutto il dolore che aveva causato al mio.»

«La Cailleach mi ha mostrato quello che lui ha fatto.» Guardo le onde che si

infrangono e cerco di non ricordare. Non ci riesco. «Come ha iniziato la battaglia.

Vorrei poterlo dimenticare.»

«So quello che hai visto.» dice con calma. «È stato il momento in cui ho deciso di

creare la tua specie.»

«Ma non lo hai mai ucciso. Perché?» Al suo posto, io gli avrei dato la caccia per ciò

che aveva fatto. Avrei goduto nel trovarlo e ucciderlo.

«Non potevo farlo» sussurra, «non lo odiavo abbastanza. Pensavo di sì, ma quando

è venuto a chiedermi aiuto…» Mi guarda. «Avevamo trascorso talmente tanto tempo a

combatterci che non ci ricordavamo altro.»

207

Appoggio la mia spalla alla sua. Mi sorride con gratitudine. «Adesso riesco di nuovo

a sentirlo qui» si tocca la tempia, «e non eravamo in tale armonia da molto tempo.

Dopo tutto quello che abbiamo vissuto assieme, non lo tradirò. Non adesso che è di

nuovo con me. Voglio vivere ancora mille anni assieme a lui, per recuperare tutto il

tempo che abbiamo perso.»

«Troveremo un modo per salvare entrambi i regni, senza che nessuno dei due debba

morire.» è l’unica cosa che riesco a dirle. Non posso dirle di scegliere. Non posso

lasciarla scegliere. «Te lo prometto.»

Sta per piangere? Credo di non essere mai riuscita a far piangere una fata… eccetto

Derrick, ed è stato mentre gli leggevo Canto di Natale e Scrooge smetteva di

comportarsi da bastardo; Derrick disse che aveva qualcosa nell’occhio.

«Davvero?»

«Siamo amiche.» dico con fermezza. «Ti sei ribellata a una madre pazza…»

«Di’ pure omicida» mi interrompe Aithinne. «Perché usare giri di parole?»

«… per aiutarmi. E io ricambio il favore. Devi solo lasciare che ti aiuti. Anche se so

che ti risulta difficile.»

Aithinne sorride. «Voglio che tu sappia che non mi sono mai pentita di aver creato

le Falconiere. Il potere che ho perso… mi ha resa un po’ più umana.»

«Peccato che moriamo sempre giovani.» dico con leggerezza. «Riavrai indietro tutti

i tuoi poteri quando morirò.»

Aithinne non distoglie lo sguardo. I suoi occhi vorticano come acciaio fuso. «Già.

Ed è il mio unico rimpianto.» Sospira. «Avrò ancora bisogno di riposo dopo quest’oggi.

Non mi sento per niente me stessa. Starai bene?»

Annuisco. «Mi servono solo un paio di minuti.»

Aithinne mi lascia sola, sento i suoi passi felpati sulla sabbia mentre rientra nella

grotta.

Resto sulla spiaggia e guardo il respiro delle onde, guardo le rocce che sbattono

dolcemente una contro l’altra, emettono lo stesso rumore dell’acqua che si infrange

contro una barca che oscilla in mare. Il mio potere svanisce da solo, lasciando la mia

pelle di nuovo fredda. Si alza un vento pungente e sono costretta a tornare verso il caldo

della città.

Entro nella caverna e mi accorgo di una silhouette all’imboccatura opposta. Kiaran.

«Fammi indovinare» dico avvicinandomi, «tua sorella ti ha detto dove trovarmi.»

Non riesco a vedere il suo sorriso a causa del buio, ma riesco a percepirlo mentre

parla. «Al contrario.» dice. «Mi ha detto che sembrava avessi bisogno di una boccata

d’aria. Solo quando ti ho visto ho capito che aveva deciso di dedicarsi al suo secondo

hobby preferito.»

«Il sotterfugio?»

«Stavo per dire immischiarsi negli affari degli altri, ma non hai tutti i torti.»

Kiaran fa un passo avanti e io indietreggio prima ancora di rendermene conto.

All’improvviso, ecco che il sorriso che non avevo avuto bisogno di vedere sparisce

completamente… lo percepisco dal modo in cui si è irrigidito. Vorrei poter vedere la

sua espressione, ma è troppo buio, anche per la mia nuova vista.

208

«Kam.»

«Non farlo.» alzo una mano e lo sorpasso per entrare nella grotta. Le lanterne

illuminano sfavillanti il sentiero che riporta in città. «Non c’è davvero nulla da

spiegare.»

Prima ancora che riesca a sbattere le ciglia, Kiaran mi è di fronte e mi blocca la

strada. Dio, sono sempre stati così luminosi i suoi occhi? Così belli?

«Non mi hai lasciato la possibilità di risponderti prima.» dice. «Se lo avessi fatto, ti

avrei detto che non c’era paragone.»

Mi raggiunge in maniera esitante. Le sue dita scorrono lungo il mio collo fino alla

mia spalla. Chiudo gli occhi, mi tocca come se non potesse averne mai abbastanza.

«È tutto?» cerco di mantenere un tono fermo.

Kiaran si avvicina, sposta la mano sulla mia nuca. «Non ho mai combattuto fianco

a fianco con lei. Non ho mai affrontato un esercito meravigliandomi della sua capacità

in battaglia. Non ho mai curato le sue ferite o guardato le stelle con lei, né sono mai

impazzito per cercare di ritrovarla.» Poggia la sua fronte alla mia e io non riesco più a

pensare, a muovermi o a respirare. «Io ti desidero, Kam. E avrei dovuto dirtelo così

tante volte. Avrei dovuto dirtelo nel Sìth-bhrùth.»

Sorrido. «All’epoca pensavo fossi una creazione di Lonnrach, ricordi? Non ti avrei

mai creduto.»

Kiaran sorride a sua volta. «Avrei trovato un modo per convincerti. Per prima cosa

avrei usato la mia lingua, Tha gaol agam ort le m’ uile chridhe, Kam.» Sussurra le

parole contro la mia pelle. «Poi avrei tradotto il tutto e ti avrei detto che ti a…»

Premo forte le mie labbra sulle sue. «Non voglio dichiarazioni o scene teatrali.» Mi

alzo in punta di piedi e gli sussurro in un orecchio. «Mi hai fatto una promessa,

MacKay. Ora mostrami cosa significo per te.»

«In camera tua. Subito.» Sembra quasi senza fiato.

Mi prende per mano e mi riporta in città passando per la grotta, lontano dagli

sfavillanti lampioni, verso la notte. Le strade sono quasi vuote a quest’ora della notte,

proprio come lo erano ad Edimburgo. Il mio cuore batte fortissimo mentre lo guido

verso il mio balcone e poi nella mia camera. La porta si chiude con un click. Grazie a

Dio, non c’è traccia di Derrick.

Kiaran afferra la mia camicia e mi bacia, le sue labbra forti sulle mie. Come se fosse

dimentico persino di sé stesso, continua a sussurrare parole nella sua lingua. Le parole

escono dalla sua bocca con un accento vibrante, che mi fa venire voglia di altro, me lo

fa desiderare.

«Dimmi quello che stai dicendo. Traduci.» sposto le labbra lungo il suo mento,

nell’incavo tra il collo e la spalla. Lo bacerei dovunque.

«Vuoi sapere quello che significhi per me, Kam?» le sue labbra tracciano la curva

del mio collo. «Ogni giorno mi chiedo quando finirà la tua vita da umana e il solo

pensiero della tua morte mi terrorizza.» Le sue parole sono fuoco sulla mia pelle. «Mi

fai desiderare di non essere immortale.»

Le Falconiere muoiono sempre giovani. Sempre. Vorrei che queste parole non

fossero vere. Vorrei che lui fosse umano o che io fossi una fata; vorrei che avessimo

migliaia di vite per fare quello che stiamo facendo in questo momento.

209

Mi circonda il viso con le mani: un tocco più gentile che mai. «Aoram dhuit.»

Ti adorerò per sempre.

«Hai detto che hai fatto un giuramento. Lo devo fare anche io?»

«No, Kam.» i suoi occhi incontrano i miei un attimo prima che le sue labbra si

appoggino lungo la mia gola. Poi, arriva all’orecchio e mi sussurra «Lasciami

mantenere quello che ho promesso.»

Non riesco più a trattenermi. Prima ancora di rendermene conto lo prendo per la

camicia e la mia schiena è contro il muro. Lo bacio, ancora e ancora. Ride sorpreso e

io raggiungo i bottoni della sua camicia… slaccio il primo, poi il secondo, poi il terzo…

finché lui stesso, impaziente, non se la strappa di dosso.

Le sue labbra sono di nuovo sulle mie. Sulla mia guancia, sulla mia spalla, più in

basso. I nostri vestiti cadono a terra e riesco ad intravedere il suo luminoso corpo

muscoloso solo per un attimo prima che mi appoggi contro il muro. Kiaran mi prende

per le cosce e mi solleva per farmi avvolgere le gambe intorno alla sua vita.

Mantiene la sua promessa. Non ne ho mai abbastanza delle sue labbra, dei suoi baci

e delle sue mani che mi toccano ovunque.

E finalmente so cosa vuol dire essere adorata.

210

Capitolo 34 Traduzione: Valeriuccia7692

Durante la notte apro gli occhi e trovo Kiaran addormentato al mio fianco. Uno di

fronte all’altra, le nostre gambe nude intrecciate sotto il piumone imbottito. La luna

piena penetra dalla finestra e gli illumina il viso, la sua pelle perlacea risplende nella

luce lunare.

In tutto il tempo da cui conosco Kiaran, non l’ho mai visto dormire. Il sonno gli

addolcisce i tratti. Sembra più giovane, quasi vulnerabile. Mi stringe tra le braccia, le

sue dita sono intrecciate ai miei capelli e qualcosa in questo gesto mi fa sentire felice e

al sicuro.

Il mio sguardo viene rapito dai segni attorno le sue spalle, lungo le sue braccia. So

per averli seguiti mentre lo baciavo che scendono sul suo torso e gli ricoprono

interamente la schiena, sono dei disegni bellissimi, tante spirali che si allungano sulla

sua pelle come se fossero state intagliate da una lama sottile. Le tocco con la punta

delle dita.

Le labbra di Kiaran si arricciano mentre sorride. «Ti piace quello che vedi?»

Maledizione. Arrossisco, il mio viso brucia, e ritiro la mano. «Come ci riesci? Come

fai a beccarmi sempre mentre ti osservo?».

«Mmm.» Kiaran mi stringe a sé, mi bacia dolcemente sulla fronte, poi sulle guance,

sull’incavo del collo.

Un tocco leggerissimo che mi riporta ai ricordi delle sue mani, delle sue labbra che

scorrono ovunque sul mio corpo. «Sono bravo ad indovinare» mi risponde.

«Davvero? E a cosa sto pensando adesso?».

«Che ti piace quello che vedi» le mani di Kiaran sono sulla mia vita, «che vorresti

restare così con me per sempre.»

Qualcosa nel modo in cui lo dice mi blocca. «Non pensi che sarà così?»

«Kam…»

«Aspetta» gli poggio un dito sulle labbra, «ho cambiato idea. Non rispondermi.»

Kiaran sembra divertito. «Cosa dovrei dire allora?»

«Qualcos’altro. In modo che non debba pensare a te, a me, a Lonnrach o a qualunque

cosa sia quel dannato cristallo. Qual è il tuo colore preferito? Hai un colore preferito?

Quante volte riesci a recitare il pi?»

«Kam.»

«No, non questo. Ricominciamo» appoggio il mento nelle mie mani, «dimmi…» le

labbra di Kiaran sono sulle mie.

«Dimmi…» mi bacia di nuovo, con più ardore. Cosa volevo dire? Non riesco a

ricordarmelo. «Lo stai facendo apposta.»

«L’ho imparato da te» dice Kiaran, «si chiama improvvisare.»

Lo sapevo che avrebbe tirato fuori il bacio dopo l’attacco dei fuochi fatui. «Molto

furbo da parte tua.»

211

«Hai detto di rincominciare da capo.» Kiaran scorre lungo la mia mascella con le

sue labbra. «Possiamo cominciare dall’inizio? Io sono Kiaran.»

Un altro bacio. «Tu sei Kam» un altro, «piacere di conoscerti.»

Scoppio a ridere. «Di solito le presentazioni non includono i baci MacKay.»

«Questa sì.»

«Mi stai rendendo le cose troppo facili» gli dico, «prima dovrei riuscire a sedurti.

Dovrei riuscire a colpirti quando meno te l’aspetti.» Con una mossa rapida sono sopra

di lui, lo intrappolo sotto di me. I nostri corpi perfettamente allineati, vicini. Gli blocco

i polsi con un sorriso trionfante. «Ah! Preso. Sei mio ora, Kiaran Mackay.»

Il modo in cui mi guarda mi mozza il fiato. Mi guarda come se fossi potente. Come

se fossi meravigliosa. Non penso di essermi mai sentita più bella.

Poi scappa dalla mia presa e mi sussurra all’orecchio. «Lo sono» mi dice, «sono

tuo.»

Quando mi sveglio Kiaran è vicino alla finestra. Mi dà le spalle. La luna lo circonda

in un alone di luce. Osservo la forma della sua schiena, i disegni che corrono lungo la

sua spina dorsale, sicuramente sono stati incisi da metallo fatato.

Mi alzo dal letto e lo raggiungo fermandomi dietro di lui. Non dice nulla mentre

traccio con la punta delle dita i disegni lungo le sue spalle. alcune spirali sono

minuscole, altre più grandi. È il capolavoro migliore che abbia mai visto.

«Che cosa significano?» gli chiedo. Seguo le linee all’infinito, disegni minuscoli e

intricati, avverto la pelle rialzata.

«Quando un sìthche fa una promessa, gli viene tatuata sulla pelle. È un promemoria

da indossare per l’eternità. Una forma di penitenza» spiega, «questa è la mia promessa

a Catriona.»

Sento un colpo al cuore, un sussulto. «La tua penitenza?»

Kiaran chiude gli occhi e mi prende la mano, come se avesse estremo bisogno di

contatto. Come se stesi per sparire. «Ogni segno rappresenta una persona che ho

ucciso.»

Trattengo il fiato, I miei occhi osservano la vastità del disegno. Oh mio Dio. Se

cercassi di contare tutte le spirali perderei il conto. Ce ne sono così tante. Non posso

farne a meno, mi alzo in punta di piedi e con una mano accarezzo il disegno che dal

suo polso raggiunge l’interno del braccio.

Kiaran mi lascia continuare la mia esplorazione lungo la sua schiena, sulle sue spalle,

lungo l’altro braccio. Migliaia di spirali. Migliaia.

Quando finalmente arrivo all’altro polso, alla fine del disegno, non riesco più a

respirare. Quando penso al suo passato rivedo quello sguardo scuro e senza speranza.

Kadamach non è fatto per amare. Il suo dono è la morte.

Kiaran porta le su cicatrice esattamente come io porto le mie. Sono ricordi, vergogna

e sofferenza in un colpo solo. Se qualcuno mi chiedesse che cosa succede quando caos

e morte si incontrano, gli risponderei che assieme riescono a sopportare il peso dei loro

doni. Sono un promemoria di quello che succede quando cerchiamo di scegliere il

nostro destino.

«Kam» sussurra.

E basta. Solo il mio nome, come se stesse dicendo: Riesci a capirmi?

212

«Hai scelto un nome umano» dico con dolcezza. Non me ne sono resa conto finché

non lo ho detto. «Kiaran MacKey è un nome umano.».

«Sì.»

«Perché?» seguo i disegni lungo la sua spina dorsale e lo sento rabbrividire al mio

tocco.

«Volevo qualcosa che fosse mio» risponde, «così ho scelto il mio nome.»

L’intera vita di Kiaran è stata organizzata per lui, dal momento in cui è nato, fino

alla sua morte, un percorso, esattamente come lo ha descritto la Cailleach. È

impressionante come una cosa così piccola possa diventare così importante. Qualcosa

che possa dire, Questo sono io. Ho scelto questo. Questo è mio.

Un nome. Solo un nome. Se potessi rincominciare da capo probabilmente non

sceglierei Lady Aileana Kamero, figlia del marchese di Douglas. Non sceglierei

nemmeno Falconiera, la ragazza il cui dono è il caos.

Forse sarei sola Kam, la ragazza che è sopravvissuta.

Trovo un ramo del disegno che è più sottile, ma più intricato e ne accarezzo goni

spirale. Una dopo l’altra.

«Cosa ti ha spinto a combattere i tuoi simili?» gli chiedo. «Me lo sono sempre

chiesta.»

Kiaran sta per girarsi, ma lo fermo. Scorro con le meni sulle sue spalle, sulle vite che

ha distrutto. Sto memorizzando le sue cicatrice, come lui ha fatto con le mie. È il mio

turno.

«Vedevo in loro quello che stavo cercando di distruggere in me stesso.» Le parole

scorrono sulla sua lingua, il suo accento è più forte vista l’emozione. «Perciò li ho

uccisi tutti.»

Mi fermo. Non è quello che ho fatto anche io? Le fate che ho ucciso erano tutte delle

sostitute di Sorcha. Quando le guardavo vedevo lei. Ogni volta che ne uccidevo una,

nella mia testa immaginavo di uccidere Sorcha, di vendicare la morte di mia madre.

Appoggio la fronte alla sua schiena. Sento la sua pelle in rilievo contro la mia e mi

chiedo chi fossero tutte quelle persone.

Il suo dono è la morte.

Ovunque lei vada, la morte la segue.

«Non ti senti mai vittima di una maledizione?» sussurro contro le sue cicatrici. Io sì.

«Ogni giorno» mi risponde.

Kiaran si gira per guardarmi in faccia e non riesco a farne a meno. Bacio il suo collo,

le mie dita scorrono lungo la linea con cui finiscono i disegni. «Fammi vedere la tua

promessa a Sorcha.» È tutto quello che riesco a dire.

Mostramelo. Possiamo mettere a confronto le nostre maledizione tu hai già visto i

segni lasciati dalla mia.

Mi prende una mano e se l’appoggia al petto. Il disegno lungo il suo pettorale è

diverso dagli altri. È composto da line dure e frastagliate. Una specie di ragnatale

proprio sopra al suo cuore.

Non è bello. È un voto obbligato, non dettato dall’amore. Odio il modo in cui Sorcha

ha marchiato il suo corpo. Odio il fatto che lui porti addosso una promessa fatta a lei

solo perché era stato previsto così.

213

«Adesso capisco» sussurro.

«Cosa?»

«Quello che mi hai detto a Glasgow quanto ti ho accusato di volere che coprissi le

mie cicatrici. Guardo il segno che ha lasciato su di te e la odio ancora di più.»

Intreccia le sue dita alla mie. «È un promemoria anche per me.»

«Della tua promessa a lei?».

«No Kam» guarda le mie cicatrici, quelle sulla mia spalla. Uno, due, tre morsi.

Quindi ricordi. «La mia vita intera è stata pianificata prima ancora della mia nascita.

Questi segni rappresentato il percorso che avrei potuto seguire. Sono un promemoria

del fatto che preferisco morire secondo i miei ideali, che vivere l’eternità che ha scelto

per me qualcun altro.»

214

Capitolo 35 Traduzione Valeriuccia7692

Questa sera si festeggia l’Hogmanay, l’ultima festa prima di Capodanno. Presto saremo

nel 1848 e, nonostante il tempo trascorso come prigioniera, è come se fossero ancora

le ultime settimane del 1844. Mi sono persa un sacco di cose, quasi non riesco a credere

che sia passato tutto questo tempo.

Allontano i pensieri tristi dalla mia testa e mi guardo allo specchio, indosso una

gonna che Derrick ha cucito apposta per me. Il rosso cremisi del tessuto fa sembrare la

mia pelle lentigginosa più liscia. Le maniche coprono le cicatrici sulle braccia, lo scollo

ampio lascia intravedere l’incavo delle spalle. Il corsetto, stretto al punto di formare

una curva esagerata, si apre in una gonna ampia decorata con del pizzo bianco.

Sotto gli strati della gonna, indosso stivali e pantaloni come d’abitudine. Ciò

nonostante, sembro uno di quei maledetti alberi di Natale che decorano il centro di

Charlotte Square. Ora ricordo con esattezza perché odio questi eventi.

«Non riesco a respirare» dico a Derrick.

«Sono riuscito a crearti un vestito che può essere strappato in caso d’emergenza e

trasformato in un cappotto, è tu ti lamenti perché non riesci a respirare? Quanta

ingratitudine!» Risponde mentre vola sulla mia spalla e storce il naso. «Ugh! Uuuugh!

E in più puzzi come il doine sìth. Ha lasciato il suo odore su di te, come se avesse

pisciato su un albero.».

«Derrick!».

Vola via dalla mia spalla come se fosse stato cacciato dai mastini infernali, e si

accovaccia sul mio cappotto sporco. Penso che sappia di umido, sudore e di me.

«Adesso non posso nemmeno sedermi sulla tua spalla» piagnucola. «L’ha rovinata.

Non posso crederci. Dopo tutto quello che ti ha detto la Cailleach.».

Lo guardo e ispeziono di nuovo il vestito. Gli ha anche cucito delle tasche nascoste

per le mie armi. Faccio scivolare la spada di Aithinne nell’apposita tasca e l’arma pende

pesantemente lungo la coscia, ma guardandomi non si nota assolutamente la sua

presenza. Dio! Derrick è davvero un genio, difficoltà respiratoria a parte.

«Hai detto che non volevi che io l’odiassi.» Gli faccio notare.

Derrick mette il broncio, le sue ali tremano. «È stato prima che rovinasse il

comodissimo posto sulla tua spalla con il suo odore malefico.».

«Molto bene.» Lo allontano dal mio cappotto, poi prendo in mano il tessuto sporco

e me lo strofino per un attimo sulle spalle. Cerco di non rabbrividire per l’odore. Contro

cosa mi sono appoggiata su quella spiaggia? «Ecco. Ora puzzo di creatura marina. Sei

felice?».

Derrick si avvicina svolazzando e mi annusa. Non sembra del tutto soddisfatto,

anche se si accovaccia sotto i miei capelli. «Può andare. Credo.»

215

Sospiro. «Hai intenzione di rafforzare il potere intorno alle torri di vedetta?

Probabilmente dovremmo partire domani.»

«Certo. Dovrò farlo ancora un paio di volte per essere sicuri che regga.». Svolazza

verso la porta, poi si gira di colpo con un ghigno. «Vuoi venire con me?» vedendo la

mia faccia dice, «Sei morta, sei stata riportata indietro e non sei nemmeno un po’

curiosa di sapere quali altri doni hai ricevuto con la Vista?».

«Certo che lo sono.»

Dopo aver creato quel fiore di metallo, voglio testare i limiti del mio potere. Voglio

vedere che cosa potrò fare a Lonnrach quando lo rivedrò.

Mi guardo allo specchio aspettandomi di vedere qualcosa di diverso. Magari di

vedermi più simile alle fate. Dopotutto il sangue della regina dei Seelie scorre nelle mie

vene. Purtroppo, però, sono sempre la stessa ragazza rossa di ieri, nemmeno un po’ più

luminosa.

«Non mi sento diversa» dico.

«È normale. Eri già nata con il potere, stupidina di un’umana. Avevi solo bisogno di

essere risvegliata.» Vola verso la porta. «Allora?».

«Ho promesso a Gavin che sarei scesa un’ora fa.» Mi chino verso di lui, sussurrando.

«Vieni a prendermi tra quindici minuti, in caso debba essere salvata.»

«E da chi?» Derrick sbatte le ali. «Non dirmi che stai già litigando con Kiaran, non

dopo che tu e lui avete…».

«Per l’amor di Dio» lo guardo. «Non da Kiaran, da Daniel. O forse anche da

Catherine. Non le ho ancora detto che stiamo per andarcene.».

Derrick scoppia a ridere. «Non hai…? Oh, questa non voglio perdermela.».

Lo squadro. «Quindici minuti.».

«Mezz’ora. Ho tutte le intenzioni di fare piazza pulita di tutto il cibo che c’è sulle

tavole.».

«Per quello ti bastano dieci minuti. Te ne concedo venticinque, giusto in caso tu

debba uscire a vomitare tutto.»

Mi guarda soddisfatto. «Abbiamo un accordo.».

Annuisco ed esco dalla mia camera. Vengo immediatamente travolta dall’aroma di

pino, torte alla frutta secca, fuoco e spezie da vin brulé. Mi torna in mente casa, le feste

nelle Assembly Rooms, le sale da ballo illuminate dal focolare. A quel tempo le trovavo

mondane, sciocche e stancanti. Non mi ero mai soffermata ad apprezzare gli aromi, il

calore delle fiamme, il luccichio della sala da ballo.

Lanterne aleggiano intorno a tutti gli edifici, illuminando anche le aree più scure

dietro ai colonnati. Qualsiasi zona d’ombra non raggiunta dalle lanterne, è rischiarata

comunque a sufficienza da le mille lucine appese alle finestre. La città è diventata un

palazzo luccicante, vivo, meraviglioso e luminoso. Un’orchestra suona nel centro della

piazza, i violini intonano una melodia che ricordo dai tempi trascorsi in campagna.

Le persone ballano intorno al fuoco, si sentono risate felici, battiti di mani e gonne

che svolazzano. Tutti sembrano così felici, così gioiosi, come se mai nulla fosse

successo tra queste mura o nel loro passato. Li ammiro per questo.

216

Derrick mi sorpassa svolazzando con un urlo di gioia. «Permesso, penso di aver visto

delle torte alla frutta secca che devono essere mie.» Ammicca verso di me per poi

attaccare con vigore il tavolo delle torte.

Scuoto la testa con un sorriso e mi appoggio alla ringhiera. Canticchio la canzone

che stanno suonando al piano di sotto, ancheggiando al ritmo della musica. Se chiudo

gli occhi posso fare finta di essere nelle Assembly Rooms di Edimburgo mentre ascolto

i ballerini battere le mani, ridere e chiacchierare. I violini continuano a suonare, la

musica si fa più festosa.

Realizzo che vorrei non dover partire. Il tempo trascorso qui non è stato il migliore,

ma ascoltare questa musica, sentire le risate della gente e il suono degli strumenti, mi

fa capire quanto tutto questo mi sia mancato. Quando ero tenuta prigioniera, pensavo

che non avrei mai rivisto un altro essere umano. Non sentivo alcuna musica, non c’era

gioia, non c’erano voci, se non quelle dei miei ricordi.

Se domani me ne andrò, non so quando potrò rivivere tutto questo.

«Vuoi scendere o te ne stai qui a guardare e basta?».

Mi giro e Gavin è dietro di me sul balcone, nelle mani due tazze fumanti. È vestito

esattamente come lo ricordavo, come un perfetto gentleman. Pantaloni neri e un

panciotto di seta, la cravatta blu perfettamente annodata, la giacca piegata in maniera

perfetta. Riconosco quei vestiti. Li indossava la notte della battaglia, quando avrebbe

dovuto portarmi alle Assembly Rooms per annunciare il nostro fidanzamento. Anche i

suoi capelli sono stati impomatati e pettinati. Il tutto in netto contrasto con le sue

cicatrici, unica imperfezione in un’apparenza da gentleman altrimenti perfetta.

Sono proprio le cicatrici che mi ricordano che non è più lo stesso Gavin di una volta.

Nessuno di noi due è più lo stesso.

«Sarei davvero la benvenuta se scendessi?».

Gavin mi porge una delle due tazze. L’aroma del vin brûlé riempie i miei sensi, le

sue spezie, la sua dolcezza. Dio, adoro questo profumo. In inverno mia madre era solita

chiamarci nella libreria per il brûlé.

Lo bevevamo vicino al focolare e giocavamo a scacchi o risolvevamo indovinelli

mentre fuori pioveva. Erano delle giornate tranquille, delle giornate pacifiche. Mia

madre assaggiava il vino e lo dichiarava sempre perfetto.

«Ovvio che lo sei.» Risponde Gavin interrompendo i miei ricordi. «Solo perché te

ne vai, non vuol dire che tu sia mal voluta.».

«La premonizione di Daniel lo ha spaventato.» Osservo. «Non lo biasimo se non mi

vuole qui.».

«Aye» risponde dolcemente, «ma ciò non significa che io non desideri che tu possa

restare qui.».

«Forse dopo che avrò ucciso Lonnrach. Ma prima di ciò…non posso correre rischi.»

Appoggio le braccia alla ringhiera mentre guardo Catherine ballare con suo marito.

«Ancora non so come dirlo a Catherine.».

«È facile. Devi solo pronunciare le parole.».

Daniel si fa spazio nella quadriglia per far roteare Catherine completamente fuori

tempo.

Lei ride.

217

«Facile?» Rido amaramente. «Che cosa succederà quando scoprirà che c’è sangue

di fata in me?».

«Aithinne mi ha raccontato tutto mentre Derrik la ricuciva. Mi ha parlato dei regni,

mi ha parlato di te. Lo sai quale è stato il mio primo pensiero?».

«Cosa?» Ho paura della sua risposta.

Gavin si stringe nelle spalle, un sorriso veloce gli attraversa il volto. «Che finalmente

tutto aveva un dannatissimo senso.».

Lo colpisco ad un braccio. «Sei una canaglia. Mi hai spaventata di proposito.».

Il suo sorriso svanisce. «Aileana. È solo un altro aspetto che ti rende quella che sei.

Come il colore dei tuoi occhi, o le lentiggini che hai sul naso.» I suoi occhi incontrano

i miei. «Pensi che questo ti renda meno sua amica? Che ti renda meno degna?» La sua

voce si abbassa. «Meno umana?».

Distolgo lo sguardo. Non posso fare a meno di ripensare alle parole di Kiaran. Ogni

giorno penso a quando la tua vita umana finirà e la cosa mi terrorizza. Ho sangue di

fata nelle vene, ma un giorno lui mi perderà.

«No» sussurro. «Non mi sono mai sentita più umana.» Perché le Falconiere

muoiono sempre giovani. Sempre. E io ho già imbrogliato la morte una volta. Così

come Gavin. «Non mi hai mai detto cosa hai visto oltre al velo.»

Gavin s’irrigidisce. Vedo i riflessi delle lanterne volanti nei suoi occhi, così luminosi

e belli. La musica dei violini rallenta in un valzer, una canzone che mi stringe il cuore.

Cuachag nan Craobh. ‘Il cuculo nel nido’. Non la sentivo da anni, da quando ero una

bambina.

«No» dice dolcemente. «Non l’ho fatto.».

«Tranquillo.» Guardo le persone sotto di noi, le guardo girare e rigirare al ritmo del

valzer. Le loro risate stonano con il mio umore che si è fatto improvvisamente

malinconico. «Non sei obbligato a farlo.».

Mi chiedo se, nel caso in cui avessi potuto farlo, avrei tenuto per me quello che la

Cailleach mi aveva mostrato. Probabilmente avrei seppellito quei ricordi di Kiaran in

una parte profonda del mio cuore, il posto dove dimora il mio dolore. Non avrei mai

dovuto ricordare i suoi omicidi, i suoi doni.

Avrei potuto baciare Kiaran e lui avrebbe potuto toccarmi e sussurrarmi parole, avrei

potuto fare finta che Kadamach fosse una persona completamente diversa; un

doppelganger, un demonio. Non avrei dovuto riconoscere che una parte di lui è ancora

qui, con la sola differenza che Kiaran ha perso i suoi poteri, ha scelto un nome umano

e ha avuto migliaia di anni per scendere a patti con le vite che ha interrotto.

Gavin e io siamo entrambi in silenzio. Lui guarda i balli al piano di sotto e sorseggia

il vin brulé. La tensione nel suo corpo è visibile dal modo in cui stringe il manico della

tazza.

«Hai mai sentito la storia di Thomas il Poeta?» mi chiede all’improvviso.

Scuoto la testa. Il nome mi dice qualcosa, ma non ho mai letto la storia. Ho smesso

di leggere le storie che gli uomini hanno scritto sulle fate quando è morta mia madre.

Erano storie che raccontavano che il ferro mi avrebbe protetta. Che correre attraverso

corsi d’acqua mi avrebbe salvata. Che se fossi rimasta in città, le fate non mi avrebbero

218

mai trovata. Ci sono delle verità, e poi ci sono le bugie che gli uomini si raccontano

per sentirsi al sicuro dalle fate. Quelle bugie mi hanno quasi uccisa.

«Sir Thomas raccontò che la regina delle fate l’aveva portato per qualche tempo nel

Sìth-bhrùth. Quando era tornato tra gli umani aveva il dono della profezia.» Gavin

sembra amareggiato, come se avesse continuato a memorizzare la storia e l’avesse

odiata sempre di più ogni volta che la rileggeva. «Nelle sue poesie predisse guerra e

morte.» Mi guarda, gli occhi spiritati. «Ho letto le sue poesie quando sono tornato

indietro con la Vista. Mi domandavo se Thomas non avesse frainteso tutto. Se avesse

creduto di essere nel regno delle fate, quando invece era morto.».

Gavin smette di raccontare e, quando sembra che non voglia continuare con la sua

storia, io mi piego in avanti. «Cosa?».

Vorrei potergli rubare questo ricordo. Vorrei poter portare via tutti i suoi ricordi più

brutti e rinchiuderli nello stesso posto dove tengo rinchiusi i miei.

Inghiotte il suo vino. «Il vero Thomas era un bastardo e un bugiardo. Se avesse visto

anche solo una parte delle cose che io ho visto attraverso il velo, non avrebbe scritto

poesie. Avrebbe desiderato restare morto.».

Anche tu vorresti essere rimasto morto? Sto quasi per chiederglielo, ma poi ci

ripenso.

Gavin guarda i ballerini. «Sai, io li ho visti» continua a spezzoni. «Ho visto tutte le

persone che non sono riuscito a salvare dalle grinfie delle fate. Li ho visti morire, i loro

cadaveri mi schiacciavano fino al punto da togliermi il fiato. Ho dovuto scavarmi

un’uscita.».

Esitante gli prendo una mano. È un gesto terribilmente familiare, un gesto che non

sono sicura dovrei fare. Poi le sue dita si stringono attorno alle mie, sento i calli che

non c’erano prima del tempo che ho trascorso nel Sìth-bhrùth.

Le sue mani morbide da gentiluomo, sono diventate ruvide, sono le mani di chi è

sopravvissuto con il duro lavoro. «Non ho raccontato tutto ad Aithinne,» dico. «Ho

evitato di raccontarle di come urlavano il mio nome. Tutti quelli morti a Edimburgo.»

Tocco la faccia di Gavin, poi le sue cicatrici. «Sei molto più coraggioso di me. Tu l’hai

visto accadere. Avrei voluto poter far qualcosa per evitarlo.».

È come se Gavin non sentisse le mie parole. Quello sguardo spiritato non abbandona

il suo volto.

«Parli di coraggio» dice. «Io non mi sono mai sentito coraggioso.».

Sorrido. «Non hai bisogno di sentirti coraggioso per esserlo.»

Finisco il mio vin brûlé. La bevanda mi fa imporporare le guance, ricordandomi i

giorni in cui non combattevo le fate, i giorni in cui ero solo una ragazza che indossava

vestiti bianchi.

Potrei essere di nuovo quella ragazza, solo per qualche ora. Solo per questa notte.

«Hai intenzione di chiedermi di ballare?».

Lo spettro di un sorriso compare sulle sue labbra. «Ho dimenticato le buone maniere

vero?» mi rivolge il palmo della mano. «Posso avere l’onore di questo ballo?».

«Sempre» gli rispondo.

Il balcone ci porta nella città di sotto e Gavin mi porta al centro della piazza. Nessuno

si ferma per fissarmi. Nessuno mi fa sentire indesiderata o a disagio. Non c’è nessuna

219

tensione tra i ballerini, nessun collo teso, nessun mormorio sulla morte di mia madre.

Qui non ho un passato, non ho una reputazione da rispettare. Nessun titolo da onorare.

Io e Gavin cominciamo a seguire la musica scozzese e vengo sommersa dai ricordi

di noi due bambini che danzavamo nel suo studio da disegno. Sono di nuovo la ragazza

vestita di bianco. Rido e faccio le giravolte mentre ondeggiamo tra le coppie di

ballerini. Il sapore forte del vino mi ha dato alla testa e le luci sfavillano. Questa non è

la musica scozzese alla quale sono abituata, così formale. Questo è un ballo di paese,

un ballo gioioso, con violini, applausi e risate.

«Non ti ho più vista ridere così da quando eravamo bambini.» Mi dice Gavin appena

finisce la musica.

Gli sorrido. «Potrei dire la stessa cosa di te.».

Mi prende la mano, si inchina, e mi bacia velocemente il dorso della mano, un bacio

che dice tutto. Perdono, rimorso, rimpianto. Speranza.

Qualcuno dietro di noi si schiarisce la gola. Mi volto e vedo Daniel in piedi dietro di

noi, l’aria insicura. I suoi vestiti non sono eleganti come quelli di Gavin, ma è

comunque ben vestito e bello. Scommetto che c’è lo zampino delle fate nei vestiti che

vedo qui stasera.

«Lady Aileana, possiamo scambiare due parole?» Lancia un’occhiata a Gavin. «Non

ti dispiace vero?».

Fisso Daniel sorpresa, ed è Gavin il primo a parlare. «Ma certo che no, amico.» Lo

colpisce affettuosamente a una spalla. «Devo solo trovarmi un’altra compagna,

giusto?».

Daniel mi offre il braccio. Lo accetto esitante. Mi guida in un angolo tranquillo della

piazza, vicino alle tazze fumanti di vin brûlé, me ne porge una. Sorseggio il vino, mi

aspetto che sia lui a parlare, ma non dice nulla. Come se non sapesse cosa dire.

«Mi dispiace per come mi sono comportato mentre sei stata qui.» Riesce finalmente

a dirmi. «Volevo che lo sapessi.».

«È stata Catherine a chiederti di dirmi questo?».

Daniel guarda in direzione di sua moglie. Gavin passa tra lei e il suo ballerino mentre

fa volteggiare sua sorella attorno alle altre coppie. «Non le ho detto nulla.» Nota la mia

espressione. «Mi pare di capire che non le abbia detto nulla neppure tu.».

«Sinceramente ho cercato di evitarla.» Dico. «Dubito sarà felice del nostro

comportamento.» Del mio in modo particolare.

L’ultima volta che ho lasciato Catherine per proteggerla è quasi morta. «Avevo

intenzione di parlare domani, subito prima di partire.».

Cerco di pensare a dove andrò. Non ho una casa. Devo lasciare di nuovo tutti quelli

che amo per proteggerli. Non è comunque questa la vita di una Falconiera? Non

importa quanto io combatta bene o quanto sia forte; la mia esistenza metterà sempre a

rischio la vita di quelli che amo.

Dopo un attimo Daniel si schiarisce la gola e dice: «Vorrà che tu resti, lo sai.»

Guardo Catherine e il suo vestito lungo, ride mentre balla con Gavin. Nonostante

tutto quello che ha vissuto è ancora la stessa. Il suo cuore non si è indurito, non si è

spezzata, e non ha smesso di avere fiducia in me. Mai. Potremmo non avere la stessa

220

madre o lo stesso padre, ma Catherine è sempre stata mia sorella e sempre lo sarà. Il

nostro legame è più forte del sangue.

«Sappiamo entrambi la verità, signor Reid, non è vero?» dico. «Dobbiamo fare

qualunque cosa per sopravvivere e sacrificare tutto per quelli che amiamo. A volte non

c’è posto per i sentimenti.»

Daniel sorseggia il suo drink e mi accorgo che non è vino; è whisky. Ottima scelta.

«Non credevo avrei mai visto il giorno in cui una debuttante di Edimburgo avrebbe

detto una cosa del genere.» Mi lancia un’occhiata lunga e dura. «Avrei scommesso di

riuscire a cagare oro prima che succedesse qualcosa del genere.».

«Secondo te cosa ci insegnavano alle lezioni di etichetta?»

«Come assicurarvi un marito presumo» risponde con il suo accento severo.

«Ti sbagli» rispondo. «In quel mondo sopravvivevamo sposandoci. In questo

abbiamo imparato ad adattarci. Le debuttanti di Edimburgo imparano l’auto

preservazione fin dall’infanzia. È tutto ciò che sappiamo fare.».

È la prima volta che vedo Daniel colto di sorpresa. «Allora abbiamo qualcosa in

comune, sbaglio?».

Mi torna in mente quello che mi ha raccontato di suo padre. Della sua prima morte.

«Aye. Spero tu ti renda conto della tua fortuna. È una donna meravigliosa e ti considera

l’uomo giusto per lei.».

Daniel sta guardando sua moglie. «Lo è» dice. «E credimi, lo so benissimo.».

Come se lo avesse sentito, Catherine si gira e lo guarda, vedo quanto lo ama. Vedo

come i suoi occhi si illuminano e le sue labbra si incurvano in un sorriso appena lo

vede.

Guardo il mio vino e ne bevo un sorso. «Non ho mai avuto l’occasione di

ringraziarti.».

Il suo volto si acciglia. «Per cosa?»

«Per averle salvato la vita» gli rispondo. «È colpa mia se era in quella carrozza. Se

non avessi…»

«Arrivano in un attimo» mi interrompe. «Colpiscono con la velocità delle ombre.

Avresti potuto rinchiuderla in una cassaforte, e l’avrebbero trovata comunque. Lo sai

qual’è il vero fardello del possedere la Vista?» Guarda Catherine ballare. «È sapere

quanto velocemente riescano ad uccidere. È la consapevolezza che per una persona che

salvi, ne hai condannate cento. È il rendersi conto che ero su quella strada quando la

sua carrozza è stata attaccata invece che su di un’altra. Una strada in cui la gente di

un’altra carrozza non è sopravvissuta. È il convivere con tutto ciò ogni notte. Ne sai

qualcosa anche tu, non è vero?».

«Aye, ne so qualcosa» sussurro.

Un mormorio si alza dalla folla. L’intera città si riduce in silenzio. I violinisti hanno

smesso di suonare e tutti hanno smesso di ballare. Sento alcuni sussurri e cerco la fonte

della loro attenzione.

Trattengo il fiato. Sono Kiaran e Aithinne e sembrano davvero fate di rango reale.

Aithinne indossa un delicato abito lilla che ricade come una cascata sulle sue lunghe

gambe. Niente sottogonna, niente corsetto. Solo un bellissimo vestito che le avvolge le

221

curve e che luccica come se fosse ricoperto di stelle. I suoi lunghi capelli scuri sciolti

e lucenti le arrivano fino alla vita.

E Kiaran… l’avevo già visto vestito elegante prima d’ora, ma mai in questo modo.

Non in abito da sera, con pantaloni scuri, panciotto e cravatta perfettamente annodata.

Poi i suoi occhi incontrano i miei. Non ho mai visto un desiderio così forte. È come se

volesse consumarmi. Potrei annegare nel suo sguardo.

Ora sta camminando verso di me attraverso la folla., finalmente mi raggiunge, la mia

mano è nella sua. Le sue labbra sussurrano al mio orecchio. «Balla con me.»

E poi stiamo ballando, e non c’è altro che importi. La sua mano premuta contro la

parte bassa della mia schiena, i nostri corpi vicini mentre volteggiamo. Come se

fossimo soli. Nient’altro importa. La musica, i sussurri, niente. Ci siamo soltanto io e

Kiaran, e questo è il nostro primo ballo. Ed è aggraziato e in sincronia allo stesso modo

di quando scendiamo in battaglia insieme. Siamo complementari, il mio corpo contro

il suo, la sua guancia premuta contro la mia mentre volteggiamo.

«Non mi avevi mai detto che sapevi ballare.»

Avverto il suo sorriso dolce. «Non è quello che facciamo ogni notte?» Sussurra

contro la mia pelle. «Combattiamo sempre così, come se stessimo facendo un valzer.»

Apro gli occhi e vedo la marea di persone intorno a noi che ci fissa. Non so per

quanto tempo abbiamo danzato senza musica. Potrebbero essere stati minuti.

Potrebbero essere state ore. Non importa.

«Ci stanno guardando tutti» sussurro.

«Ovvio che ci stanno guardando.».

Gli occhi di Kiaran incontrano i miei. Ora che ho la Vista, mi rendo conto di quanto

siano vividi. Al loro interno vedo gli anni trascorsi. Vedo la sofferenza, l’esaltazione,

vedo addirittura delle scintille di Macadam. Ma non importa, lui mi guarda e mi vede,

siamo solo Kiaran e Kam. «Si stanno chiedendo perché sia venuto stasera.» dice. «Si

stanno chiedendo perché abbia scelto te.» Le sue labbra mi accarezzano una guancia.

«Si chiedono perché ti sto baciando.».

«Perché hai scelto me?» È l’unica cosa che posso fare per mantenere l’autocontrollo

quando mi bacia di nuovo. Perché quando Kiaran bacia, bacia con tutto sé stesso.

Volteggia introno a me con una grazia tale da sembrare non richiedergli il minimo

sforzo. «Perché tu mi sfidi» mi dice. Ora non stiamo più ballando. Siamo in piedi l’uno

premuto contro l’altra. Le mani intrecciate. «Ti ho scelta perché sei la mia eguale.».

E poi ci baciamo davanti a tutti. Nulla ha più importanza. Di sicuro non le buone

maniere, o qualunque cosa gli altri stiano pensando. Ci sono solo le sue labbra sulle

mie, una gentile pressione. Solo noi due. E non riesco a fermarmi…

Ed ecco che Derrick sbuca fuori dal nulla, sbattendo contro la mia spalla in un

turbinio di ali e arti. «Ma ciaooooo! Non me ne vogliate, sto solo interrompendo il

vostro momento coccole per portare via la ragazza per qualche minuto.».

Dannazione, non adesso! Mi sto davvero pentendo di non aver dato a Derrick quei

cinque minuti in più. «Derrick» dico a denti stretti. Mi allontano da Kiaran e cerco di

controllare il corpicino svicolante del pixie appeso ai miei capelli. «Non…».

222

«Oh, mio Dio.» Derrick collassa sulla mia spalla. «Ho mangiato troppa torta. Riesco

appena a muovere le ali. Io…» Guarda Kiaran di sbieco e sorride pieno di gioia. «Oh,

ciaooooo, malvagio perdigiorno!».

Kiaran è visibilmente poco stupito. «Hai un pezzo di dolce sulla giacca.».

Derrick guarda il boccone, lo prende e se lo mangia. «Ne stavo soltanto tenendo da

parte uno per dopo.» Ridacchia.

Per l’amor di Dio.

Guardo Kiaran implorante. «Cerca…di conservare quel pensiero. Non andare da

nessuna parte.» Vorrei proseguire con il bacio. «Torno subito…».

«Kiaraaaaaaaaan.» Derrick ridacchia. «O preferisci malvagio perdigiorno? Non te

lo ho mai chiesto.».

Kiaran inarca un sopracciglio. «Dipende dai casi suppongo. Preferiresti dito in

culo?»

Derrick scoppia a ridere. «Culo! Aileana. Ha detto culo.»

«Maledizione» borbotto. «Ci scuseresti per un secondo?».

Non aspetto la risposta di Kiaran. Prendo Derrick con me verso l’ascensore e non

dico nulla finché non raggiungiamo il quarto piano. «Lascia che te lo dica, se qualcuno

ti ha dato del miele, farò…»

«No, no, no,» dice Derrick scivolando giù dalla mia spalla. Adesso sembra lucido in

maniera sospetta. «Mi hai detto di venire a salvarti dopo venticinque minuti e così ho

fatto.».

«Ti avevo chiesto di salvarmi se fossi stata vicino a Daniel e visibilmente in

difficoltà.» Non mentre sto baciando qualcuno in stato di palese estasi.

«Primo, ero io quello in difficoltà guardando te e Kiaran baciarvi, che schifo.» Mi

redarguisce agitando un dito. «E, secondo, non hai detto proprio nulla a proposito di

essere in difficoltà, hai detto…».

«Dimentica quello che ho detto.» Stringo gli occhi. «Mi stai dicendo che di sotto era

tutta una messa in scena?».

Sorride a tutta bocca. «Sarei stato perfetto sul palcoscenico, non è vero?».

«Cielo» borbotto. Almeno non devo prendermi cura di un pixie ubriaco. «Andiamo

a controllare le torri di vedetta va bene?»

Seguo Derrick sulla balconata e schiaccio il pulsante che ci porta su. Mentre saliamo

sopra la città, la musica ci segue fino alla parte più alta dell’intera struttura. La luna di

un cielo sereno illumina la festa, aggiungendo un tocco di luce alle lanterne svolazzanti.

Un’atmosfera da sogno.

Il balcone ci porta ancora più in alto, oltre le lanterne, vicino alla luce della luna.

Lungo tutta la parete, fino in cima, ci sono mensole scavate nella roccia. Non ci sono

porte quassù. Non ci sono nemmeno persone, non c’è nulla tranne alcuni cristalli neri

riposti lungo le mensole, uno vicino all’altro. Variano in grandezza, alcuni sono piccoli

come il palmo della mia mano, altri sono lunghi come tutto il mio braccio.

Mi fermo appena li vedo, pensando immediatamente alle parole di Kiaran. Dicono

che un cristallo del palazzo si trovi ancora qui, nascosto da qualche parte.

Un cristallo. Uno solo. «Cristalli?» Chiedo con circospezione.

223

«Ovviamente sciocchina» dice Derrick svolazzando lungo il balcone. «I cristalli

sono ottimi per ridirigere il potere. Lo sanno tutti.».

Sospiro sollevata e apro il cancello del balcone per seguirlo. Il mio vestito struscia

contro la roccia mentre mi dirigo verso Derrick, che sta svolazzando di fronte ai

cristalli. Nonostante il balcone sia circondato da un parapetto, sono abbastanza in alto

da sentire una fitta allo stomaco.

Derrick appoggia le mani contro un cristallo particolarmente grosso. «Questi sono

collegati al neimhead» dice sorridendo. «La città è costruita in cima ad esso.».

«Catherine me ne ha parlato» rispondo. «Per cosa lo usate?»

«Qui» dice, trascinandomi più vicino ai cristalli.

Mi afferra un dito e lo poggia contro la superficie del cristallo.

All’interno della roccia risplende una luce. La pressione del mio dito fa increspare

la roccia come se fosse acqua. Avverto una corrente elettrica che, dalla mia mano,

arriva fino alla punta dei miei piedi, è talmente ricca di energia che rabbrividisco. Non

è una sensazione spiacevole, ma è calda e potente.

«Lo senti?» E quando annuisco aggiunge: «Questo è il neimhead.»

«Non mi hai mai detto niente di tutto ciò» dico, premendo il dito contro la roccia

con più forza. È come se il cristallo fosse connesso con qualcosa dentro di me.

L’energia scorre nelle mie vene, sotto la mia pelle.

«La maggior parte è stata distrutta dallo sviluppo dell’umanità» dice Derrick.

«Questo regno si erge sulla cima del neimhead più potente che esista. È per questo che

non abbiamo mai avuto bisogno di allearci con gli altri regni per sopravvivere» sorride.

«Non abbiamo bisogno di quei bastardi.»

L’energia del cristallo mi fa sentire debole. Non mi stupisce che le fate abbiano

costruito il loro regno nelle sue vicinanze se davvero i suoi poteri sono così forti. «Di

che cosa è capace?»

Derrick vola fino in cima al cristallo. Si siede. Appena lo tocca il luccichio al suo

interno cresce, come luce al di sotto del pelo dell’acqua. «È la fonte d’energia che

alimenta l’intera città. Ho sentito che può essere usato per molte cose, ma in questo

momento lo usiamo per rafforzare i nostri incantesimi difensivi» sogghigna. «Perché

non provi a colpirlo?»

Indietreggio. «Io?»

«No, l’altra rossa che indossa un vestito grande abbastanza per nasconderci una

mandria.» Mi afferra un dito e mi tira verso il cristallo. Resisto.

«Forza. Non è il momento di avere paura. Non vuoi vedere di che cosa sei capace?».

«Beh, ovvio che voglio saperlo…»

«E allora provaci.» Derrick mi sorride incoraggiante. Non è difficile, è come

respirare.» mi agita una mano davanti al viso. «Ora chiudi gli occhi.»

Inarco un sopracciglio e sospiro. «Davvero?»

Mi osserva «Se non chiudi gli occhi trasformerò il tuo vestito in modo da farti

assomigliare a un agrume peloso prima ancora che tu abbia il tempo di darmi del

bastardo.»

Lo guardo torva, ma faccio come dice. Le sue ali fremono come quelle di un colibrì

e i suoi piedi si appoggiano sul mio polso mentre guida il mio dito verso il cristallo.

224

Lo sento di nuovo, sento il potere dentro di me, lo sento scorrere come acqua sul

palmo. Sono circondata dall’odore del mare, sento il sale, la sabbia e il vento, il tocco

dell’acqua diventa corrente che mi scorre sulla pelle e nelle vene. L’aria intorno a me

si scalda e si fa più pesante. Un forte dolore si irradia nel mio petto.

Anche Derrick respira affannosamente. «Lo senti?» Quando annuisco dice: «Bene.

Questo è il tuo potere.»

Il dolore sboccia e si acuisce. All’inizio cerco di resistere, ma tutto d’un tratto si

dirama lungo il mio corpo, veloce e agonizzante. Trattengo un urlo. «Fa male.».

«È perché il tuo potere è grande.» Taglia corto lui. «Ora spingilo nel cristallo,

sciocchina, prima che tu svenga.».

É come respirare, aveva detto.

Lo faccio lentamente. Con ogni respiro spingo il potere lungo le mie braccia e lungo

la mano. Appoggio il palmo contro la superficie del cristallo. Mi risponde, diventa una

corrente pulsante, come una vampata di fuoco. Mentre respiro, il dolore inizia a svanire

finché finalmente, finalmente, sparisce del tutto. Mi sento come se avessi corso per

tutta la dannatissima campagna.

Apro gli occhi e Derrick sta fissando il cristallo mentre un sorriso si apre sul suo

volto. «Ce l’hai fatta» dice con un gridolino. «Guarda!»

I cristalli risplendono, e quando guardo attraverso loro, è come si ci fossero delle

stelle ruotanti al loro interno. Ho creato delle intere galassie. Tutta la fila di cristalli

risplende con una luce fortissima che illumina tutto come se fosse un faro.

Quando li guardo non sento gioia, o esaltazione, neppure sollievo. La risposta è stata

troppo forte per poterla ignorare. Mi sento come se avessi combattuto contro un

berretto rosso ed avessi quasi perso. C’è qualcosa di sbagliato.

Le parole di Kiaran risuonano nella mia testa in continuazione. Ci sono storie sul

primo regno dei sìthichean.

Un posto pieno di potere; creato da una magia antica che ora non esiste più…

Un posto pieno di potere. Come il più potente neimhead che esiste. «Derrick»

sussurro, il terrore mi attanaglia. «Che cos’è il neimhead?»

Derrick sembra confuso. «Te lo ho già detto, è…»

«No» il mio tono è brusco. «A cosa somiglia? Di cosa è fatto?»

«Non lo so! È qui da fin prima che io nascessi…» Mi immobilizzo. Gli occhi di

Derrick si spalancano, come se avesse improvvisamente realizzato quello che sto

chiedendo. «Stai pensando quello a cui sto pensando io?».

Prima che possa dire un’altra parola mi sto già muovendo, corro per il balcone verso

l’ascensore. Il cuore mi batte nel petto, la paura mi brucia la pelle. Dobbiamo usciere

di qui. Dobbiamo far uscire tutti. Ora.

Derrick mi affianca. «Avrei dovuto capirlo» dice, «avrei davvero dovuto capirlo.»

«Non rimuginarci sopra adesso.» Tiro la leva per portare l’ascensore verso il basso.

«Vai ad avvisare Kiaran e gli altri. Muoviti!»

Vola verso la folla sotto di noi. Non è sparito da nemmeno un secondo che il suono

delle sirene scoppia intorno a me, il frastuono mi perfora le orecchie. Nella città

sottostante la gente ha già cominciato a scappare.

Sono già qui. È troppo tardi.

225

Il balcone si ferma e apro di colpo il cancello. «Kiaran!» Lo vedo mentre si fa largo

tra la folla, chiamando il mio nome. Quando mi raggiunge cerco di parlare nonostante

il fiatone. «È il neimhead. È quello che vuole Lonnrach. Stanno…»

Una fitta improvvisa mi attraversa il cranio e mi fa barcollare. Urlo e mi accascio

sulle ginocchia.

«Kam?»

Falconiera, la voce di Lonnrach risuona nella mia testa facendomi rabbrividire. Ti

ho trovata.

Scappa, cerco di urlare, ma le parole mi restano intrappolate in gola. L’influenza di

Lonnrach non è svanita; mi schiaccia, non riesco a parlare. Cerco di raggiungere i miei

poteri, respirando come mi ha detto di fare Derrick.

La stretta di Lonnrach si fa più forte. È dolorosa, come il suo morso.

La sirena si interrompe di colpo e un potentissimo boom scuote la città, come il colpo

di un fulmine in cima all’alveare. Tutti si zittiscono. Seguo il loro sguardo, è tutto

quello che posso fare, tutto ciò che Lonnrach mi permette di fare.

In cima alla struttura si forma una crepa, un’incisione nella roccia. Mio Dio. Un’altra

esplosione e la crepa si allarga. Il potere dei cristalli, il mio potere e quello di Derrick

stanno trattenendo fuori l’altra fata. Lo sta mettendo alla prova, lo sta deformando. La

fata colpisce ancora.

Urlo dal dolore. Kiaran mi afferra per le braccia, ma riesco a malapena a sentire

quello che mi sta dicendo mentre agonizzo. Sento che i miei poteri vorrebbero liberarsi

dell’influenza di Lonnrach e mantenere alta la guardia allo stesso tempo. La voce di

Lonnrach entra di nuovo nella mia testa Non potrai resistere ancora a lungo. Arrenditi

ora.

L’altra fata si getta ancora contro il muro difensivo. Il mio corpo trema per lo sforzo.

Mi rendo a malapena conto del sangue che mi cola dal naso e delle persone che cercano

di scappare intorno a me. Kiaran sta urlando qualcosa, ma non riesco a sentirlo a causa

del potere che ho in me e che a malapena riesco a trattenere.

Di nuovo.

Sento le gocce d’acqua sul viso. Fredde, proprio come il mare.

«Scappa!» qualcuno grida, mi rendo conto che sono io.

In un ultimo disperato tentativo, spingo il potere fuori di me cercando di indebolire

l’influenza di Lonnrach, così come ho fatto con quella del cristallo. Solo dopo mi rendo

conto del mio errore, la mia forza sulle difese vacilla.

Cerco di stabilizzare il potere per tenere la fata fuori, ma sono troppo distratta dalla

confusione che ho intorno.

Di colpo tutti i presenti al ballo scappano verso il fondo della grotta, spingendosi e

strattonandosi l’uno con l’altro.

Il mio controllo cede e la cima della struttura di roccia crolla. Una montagna d’acqua

marina piomba sulla città.

226

Capitolo 36 Traduzione: Ella

Afferro la mano di Kiaran e corriamo attraverso la piazza della città per sfuggire al

muro d’acqua. Il mare si sta chiudendo. Le onde si infrangono intorno a noi, l’acqua

gelida mi lambisce le caviglie. Il bordo del mio vestito la assorbe, rendendo il tessuto

pesante.

«Kam!» Kiaran ci fa fermare quando siamo abbastanza lontani dalla cascata.

Tuttavia, riesco a malapena a sentirlo sopra il caos causato dai detriti che cadono.

«Dobbiamo far uscire gli umani, adesso!»

Le persone stanno gridando, le loro urla vengono attutite dal rombo della cascata.

Senza esitare, Kiaran ci blocca e stende la mano. L’esplosione di potere che ne deriva

basta a farmi star male.

Poi è come se il tempo si fermasse. Il muro d’acqua rallenta, tutto sopra di noi

diventa calmo. Le persone arrancano e si fanno strada nell’acqua per scappare, c’è

qualcuno che urla ordini e incoraggiamenti.

«Riesci a trattenerlo?» Chiedo a Kiaran.

Sembra che riesca a malapena a rispondere. «Per ora.»

Sfrutto il momento di quiete per strappare il mio vestito, tirando via lo strato

superiore come mi ha fatto vedere Derrick. Poi faccio lo stesso con le sottane,

gettandole nella strada allagata. Il tessuto rimanente si adatta come un lungo cappotto

e mi arriva fino agli stivali. Se dovremo combattere, voglio essere pronta.

Il volto di Kiaran è una maschera di intensa concentrazione, i suoi occhi brillano di

quel violetto inquietante.

«Mi stanno combattendo» dice «non sarò in grado di impedire a tutti loro di

arrivare.»

Annuisco e corro nell’acqua verso Gavin e Daniel, che stanno aiutando Catherine

nel suo abito pesante e zuppo d’acqua. Le persone si sono fermate a guardare Kiaran,

a guardare il muro d’acqua congelato. «Andate!» Li esorto.

Daniel mi guarda mentre mi avvicino, poi lancia un’occhiata alle persone che

corrono fuori dalla grotta. «La galleria conduce al fiume sotterraneo in una delle

caverne più profonde. Si apre sul mare. Le fae ci hanno costruito una nave lì per le

emergenze»

«Prendetela» dico «non fermatevi per niente al mondo. Noi li tratterremo.»

Poi li sento, i rumori in lontananza che più temevo. I mortair. Stanno arrivando, li

sento sopra le nostre teste. Un grosso pezzo di roccia cade dalla cima della caverna e

si schianta nell’acqua pochi piedi più in là.

Oh, dannazione. Stanno distruggendo la parte superiore della struttura così da potersi

intrufolare all’interno.

«Kam!» Il grido di avvertimento di Kiaran riecheggia attraverso la caverna. «Stanno

iniziando a entrare!»

227

Un ronzio cattura la mia attenzione e Derrick vola dalla galleria superiore.

«Aileana» ansima, volando sulla mia spalla. «Lonnrach ha distrutto i cristalli. Non

posso rinforzare i corridoi…»

«Lo so» dico, digrignando i denti. «Non posso trattenerli.» Non riesco a guardare la

faccia di Derrick, non quando so che la sua casa è stata distrutta di nuovo a causa mia.

«Aiuta gli altri a mettersi in salvo.»

«Ma…»

Uno scricchiolio sopra di noi mi fa scattare. Un altro grosso pezzo di roccia si stacca

e sbatte su un palazzo, facendo crollare un muro. L’acqua esplode intorno a me,

provocando schizzi ovunque. Non riesco a vedere…

L’acqua si deposita, e una creatura di metallo simile ad un gatto si erge in tutta la

sua altezza. È elegante e d’argento splendente, gocciola d’acqua mentre sovrasta i

caseggiati attraverso la piazza.

«Correte!» Urlo di nuovo.

Il mortair felino sfreccia verso di noi. Il suo corpo elegante di metallo fende l’acqua

come una spada, creando onde che si infrangono attraverso la città. I suoi ingranaggi

interni girano per muovere in avanti le sue membra splendenti ad una velocità

vertiginosa. Gli altri non riusciranno mai a sorpassare quella cosa. Non ce la faranno

ad arrivare alla nave se non faccio qualcosa.

Estraggo la spada dal fodero del mio vestito trasformato in cappotto e mi precipito

in avanti per incontrare il mortair.

Aithinne appare di fianco a me, come se arrivasse dal nulla. Indossando dei pantaloni

e una giacca nera corta, niente di meno.

«Salve!» Sogghigna. «Non mi sono persa niente di divertente, vero?»

«Dove diamine sei stata?»

«Dovevo assicurarmi che le altre Fae si mettessero in salvo con gli umani. Ora se

vuoi scusarmi…» Aithinne mi fa l’occhiolino «questo è mio.» Solleva una spada che

non ho mai visto, dorata e scintillante. «Ho una nuova arma da testare.»

Prima che io possa protestare, prende la rincorsa in avanti per atterrare sul corpo del

mortair. Elegante e rapida come un predatore, si leva sulla sua schiena e gli taglia la

testa con un colpo solo della sua nuova spada.

Mi fermo ad ammirare come uccida efficientemente. Lavoro dannatamente ben

fatto.

La mia ammirazione ha vita breve dal momento che un altro mortair scivola

attraverso il soffitto, e un altro, e un altro. Non riesco a tenere il passo. Le onde si

ergono alte e mi inzuppano di gelida acqua di mare. Riesco a malapena a restare in

piedi nel mezzo del diluvio; gli schizzi sono così tanti che non riesco a vedere le

creature metalliche.

Una volta che l’attacco furioso si ferma, ho a malapena un momento per riprendermi

prima di correre tra i piedi di due mortair. Inarco la spada per colpirli alle caviglie. La

lama li attraversa facilmente; l’odore del metallo bruciato inebria i miei sensi.

Il metallo geme sotto di me mentre i mortair cadono, i loro arti si schiantano

nell’acqua. Faccio scudo a me stessa per bloccare l’acqua, il sale mi brucia gli occhi.

228

Mi accorgo troppo tardi di un mortair che alza una zampa verso di me. La luce della

sua arma turbina velocemente nel suo palmo.

Dannazione! Mi tuffo nell’acqua, rotolando con forza sulla strada di ciottoli bagnata.

BOOM! I palazzi sopra di me si frantumano e crollano. Le rocce si schiantano sul

pavimento intorno a me. Qualcuno mi afferra il braccio da dietro. Kiaran. Fa scudo al

mio corpo con il suo mentre il muro di un palazzo crolla sulla sua schiena.

Se lo scrolla di dosso con un grugnito irritato. «Odio queste dannate cose.»

«Trattieni soltanto il mare e più fae che puoi. Aithinne ed io faremo il resto.»

Mi lancia un’occhiata. «Trattieni soltanto il mare, dice lei.» Scuotendo la testa,

riprende la sua posizione, con una profonda concentrazione.

Mi riunisco di nuovo ad Aithinne nel combattere i mortair. Lei ed io li inseguiamo,

uno ad uno, e scaturiscono esplosioni che fanno piovere sporco e rocce tutto intorno a

noi.

Kiaran usa il suo potere per proteggerci, ma i mortair continuano ad arrivare. Ce ne

sono almeno una dozzina, che torreggiano sui palazzi della città. I loro grandi corpi

occupano così tanto spazio nella parte centrale della caverna che riesco a malapena a

vedere gli edifici intorno a noi.

La mia vista è occupata da membra metalliche e ingranaggi ronzanti. È soffocante.

Tra l’acqua e i mortair, lo spazio diventa così ristretto, l’odore del metallo bruciato è

così travolgente, che a malapena riesco a sopportarlo.

Il mio potere si dispiega dentro di me, forte e caldo nelle mie vene. Mi fa muovere

più velocemente. Mi tiene concentrata. Il mio corpo è un’arma, aggraziata e rifinita.

Roteo nell’acqua come una ballerina, come una fae, tagliando e squarciando veloce

tanto quanto Aithinne. Insieme li abbattiamo tutti.

Poi alzo gli occhi e vedo uno dei mortair dirigersi dritto verso Kiaran e non penso

neanche. Salto di fronte a lui, un’improvviso ricordo della voce di Cailleach che

lampeggia nella mia mente: tu hai il sangue di mia figlia nelle vene, i suoi poteri. Il

mio sangue.

È il momento di testare ulteriormente i miei poteri.

Guardo il mortair a forma di gatto venire verso di me, i suoi denti, scoperti, di

metallo, affilati come rasoi e i suoi artigli. Porto la mano avanti e il mio potere si

distende dentro di me. Fermo. È tutto ciò che penso. Fermo. E vengo inondata dalla

sensazione di un fuoco ardente dentro le mie vene.

Quando apro gli occhi, sono circondata dalla luce. È dorata e così splendente che mi

brucia gli occhi.

È così diverso da quando ho condiviso i poteri di Kiaran. Non è una forza

sconosciuta, non è qualcosa che sembra fuori dal mio controllo o che non mi

appartiene.

Questa sono io; questo è ciò a cui sono destinata. È il potere nelle mie vene e la luce

nel mio sangue, e la sensazione di poterlo rilasciare a mio piacimento. È mio.

Fermo la creatura. Il forte odore di metallo bruciato mi irrita le narici mentre respiro

profondamente, ricordandomi le parole di Derrick. Basta respirarlo come l’aria.

229

Il mio sguardo incontra quello della creatura, e vedo un accenno di un essere

senziente lì, il dolore che sto causando, e non mi importa. Spingo ancora più luce. Si

riversa fuori da me, pulsando, rafforzandosi, e gli do un solo ordine: brucia.

L’aria tra di noi si scalda, si ingrandisce e brilla come un miraggio. La creatura inizia

ad arrossarsi e si scioglie come metallo gettato nel fuoco. Proprio come ho fatto con il

fiore di metallo che ho creato con l’orologio, avvolgo le sue membra. Le forzo ad

arrotolarsi l’una intorno all’altra.

Faccio muovere l’acqua, tirando le goccioline con la mente finché il mortair non ne

viene coperto, in modo da raffreddare il metallo incandescente. Rilascio una scarica,

un singolo impulso da quel posto nel profondo del mio sangue, una spinta di potere che

distrugge il metallo come vetro.

La creatura collassa nell’acqua, immobile come cenere. Non rimane nulla se non

un’artiglio grande quanto il mio palmo. Fluttua verso di me e lo afferro nel pugno. Un

ricordo. Un tesoro. Un simbolo della vittoria.

Poi, tutto ad un tratto, tutto quel potere torna dentro di me. Sento un doloroso senso

di riempimento, tutta quella luce di nuovo nelle mie vene, fino a farmi girare la testa e

ad offuscarmi la vista. Quando svanisce, barcollo.

Qualcuno mi afferra dalla vita con un grido. Aithinne. «Ce l’hai fatta!» Sembra

orgogliosa, così orgogliosa di me. «Sei stata magnifica.»

Ho sciolto il mortair, usando i miei poteri proprio come le fae. Non come un’umana.

Abbastanza umana, la voce del Cailleach sussurra nella mia mente mentre apro il

palmo e fisso l’artiglio di metallo. Mi ha bucato il palmo e sto sanguinando. Abbastanza

umana.

Kiaran urla il mio nome e io guardo in su proprio mentre altri mortair balzano dalla

cima e atterrano dall’altra parte della piazza. E non solo mortair, ma anche altre fae.

Redcaps e cù sìth e daoine sìth, stanno tutti spingendo contro il potere di Kiaran. Oh

Dio, non posso affrontarne così tanti.

«È ora di scappare.» Dico ad Aithinne. E mi metto in piedi, arrancando nell’acqua.

«Kiaran, andiamo!»

Il muro d’acqua inizia a crollare. Tutti noi corriamo, l’enorme onda che si propaga

attraverso la città ad immensa velocità dietro di noi. Aithinne ci apre la strada mentre

cerchiamo di rimanere davanti alla corrente.

L’acqua scorre tra le nostre gambe, rallentando i nostri movimenti, ma noi

continuiamo a muoverci, continuiamo a correre. Sento gli scatti e il battere delle

membra meccaniche dietro di noi e so che le creature ci stanno inseguendo,

raggiungendoci attraverso l’acqua.

I vestiti aderiscono alla pelle, limitando i miei movimenti e rendendomi la corsa più

difficile. Il mio corpo sta congelando, le mie membra sono fredde e stanche, ma questo

mi fa andare avanti.

Aithinne ci guida attraverso un tunnel, giù per un altro stretto passaggio con la luce

alla fine. In una singola esplosione di potere, fa crollare la parte di caverna dietro di

noi. La corrente dell’acqua si blocca, ma continua a trapelare tra le rocce; presto cederà.

Continua a correre. Penso. Continua a muoverti.

230

È allora che vedo Daniel, Catherine e Gavin ancora nel tunnel, e Derrick che ronza

freneticamente intorno a loro. «Sono feriti» dice Derrick, raggiungendomi. «L'acqua è

entrata dall'altra uscita.» Ho a malapena il tempo di rendermi conto dello squarcio sulla

fronte di Catherine, e del modo in cui sanguina la gamba di Gavin.

Catherine si dimena e Kiaran la afferra tra le braccia.

«Attraverso l’altro passaggio!» urla Daniel.

Dietro di noi, l’acqua esplode nel tunnel, facendo scoppiare la diga di roccia.

Se rallentassimo anche solo un po', affogheremmo tutti. Non ce la faremo. Penso

alla luce, al potere rilasciato con la mia prima morte, e prendo una decisione.

Mi fermo a fronteggiare il muro d’acqua.

«Kam, no!» Sento Kiaran urlare dietro di me.

Gli lancio un’occhiata, poi la lancio a Chaterine tra le sue braccia. «Salvala come

salvasti me.»

E mi volto ad affrontare l’acqua, le creature meccaniche che corrono con essa, e

sussurro «E lasciate che vi dia più tempo.»

Rilascio di nuovo il mio potere. Tutta la luce che ho dentro di me diventa una forza

che colpisce il muro d’acqua e le creature meccaniche con tanta forza che scivolo

indietro. Provo a spingere ancora, ma non ho la forza questa volta. Non abbastanza.

Abbastanza umana. Penso. Troppo umana. Provo a concentrarmi sul trattenere

l’acqua e le fae dietro di essa. Mi stordisco sempre di più. Il dolore di usare tutto questo

potere cresce finchè non grido. Crollo sulle ginocchia, e il primo flusso d’acqua

fuoriesce e scorre intorno a me.

Mi guardo alle spalle per essere sicura che i miei amici siano quasi alla fine del

tunnel. Ci sono quasi. Quasi. Devo solo resistere un altro po’.

L’acqua scorre attorno al mio scudo di luce, sempre più veloce. L’oscurità penetra

ai lati esterni della mia vista e inizia a chiudersi intorno a me in viticci oscuri. Solo un

altro po’.

Poi percepisco un’altra presenza. Aithinne. In piedi accanto a me nonostante tutto.

Afferra la mia mano, e attraverso la mia vista annebbiata, i suoi occhi inquietanti

incontrano i miei.

«Non voglio che tu muoia giovane» sussurra. «Me lo lascerai fare?»

Annuisco, ed è l’unico movimento che riesco a fare.

Il suo potere scorre attraverso di me, un torrente che mi riempie e fa bruciare le mie

vene con un fuoco incandescente, come se mi stesse squarciando. E tutto ciò che riesco

a sentire è la voce del Cailleach nella mia testa, che sussurra abbastanza umana

abbastanza umana abbastanza umana.

«Stai facendo resistenza» dice Aithinne. «Lascia andare tutto il tuo potere.»

Sento il mio corpo barcollare per la stanchezza. Il mio corpo umano. Il mio corpo

che non è mai stato concepito per contenere il potere delle fae o maneggiarlo in questo

modo. Per un umano, il mio corpo è forte. Per un umano, il mio corpo è eccezionale.

Ma non è abbastanza per trattenere il potere di Aithinne. È una conchiglia di mortalità.

Una cosa esausta di pelle e ossa.

Oscillo in avanti. La mano di Aithinne si stringe attorno al mio palmo. «Respira.

Lascia andare tutto.» Sussurra. «Ce la puoi fare. Puoi porre fine a tutto questo.»

231

E lo faccio. Lascio che la luce si incanali fuori da me ed è come se mi stesse

spezzando le ossa. Come se la mia pelle stesse bruciando. Come se fossi distaccata,

senza forma o contorno. Le creature meccaniche ululano, diventano rosse e si

trasformano in cenere.

E le tenebre finalmente calano su di me.

232

Capitolo 37 Traduttore: Claude

Avverto l’odore del fuoco, il crepitare del legno e il calore delle fiamme. Tengo

premute le dita a terra, il movimento più basico possibile, e realizzo di essere stesa su

una spessa coperta di lana, soffice a contatto con le dita.

Ricordo solo di essere scappata dalla grotta con Aithinne. Gli altri che ci aiutavano

ad attraversare la foresta mentre la mia testa cominciava a girare e girare e girare. Non

ricordo di essere collassata una volta trovato un posto per passare la notte. Non ricordo

nemmeno di aver chiuso gli occhi.

Sono completamente dolorante. I miei occhi sono così stanchi e pesanti che ho

difficoltà ad aprirli. E quando finalmente ci riesco, vedo gli alberi che troneggiano su

di me. Sono ricoperti di neve, con i rami scheletrici che scricchiolano e cigolano. La

neve mi cade sulle palpebre e sulle guance, attenuando il calore.

Un fruscio proviene da qualche parte vicino a me, ma non riesco a voltarmi. Il viso

di Catherine entra improvvisamente nel mio campo visivo; ha la fronte aggrottata per

la preoccupazione. «Oh, grazie al cielo. Avevo paura che fossi… beh. Beh, lo sai.»

Lancia uno sguardo dietro di sé. «È sveglia.»

Improvvisamente, un’enorme sfera di luce arriva sfrecciando. Ed ecco Derrick che

si aggrappa al mio collo con le sue manine premute sulla pelle.

Si accoccola lì e sento il tepore delle sue ali su di me. «Vuoi diventare una martire,

non è così? È l’unica cosa che possa spiegare il fatto che ti trovassi nella grotta con

quell’enorme muro d’acqua, umana completamente pazza.» Si attorciglia tra i miei

capelli e le sue ali mi solleticano le orecchie. «Lasciami che ti dica che sei fortunata a

essere un dannato gatto con nove vite, o a quest’ora saresti un frutto di mare.

Bentornata!»

Deglutisco. Ho la gola secca, dolorosamente secca. «Cos’è successo dopo che siamo

scappati dalla grotta?» Le parole mi escono di bocca come un gracchio, un rantolo

appena comprensibile. «Non mi ricordo molto.»

«Niente di che. Hai distrutto quasi tutte le fate nel tunnel, perciò siamo scappati

attraverso la foresta, mentre gli altri si riorganizzavano. Tu e Aithinne ce l’avete fatta

a malapena ad arrivare qui e adesso avete entrambe un aspetto orribile.» Scrolla le

spalle.

Riesco a voltare la testa, movimento che mi provoca una fitta di dolore lancinante,

e vedo Aithinne accanto a me, ancora addormentata. È coperta più di quanto lo sia io e

la sua figura minuta si perde in una marea di coperte. È pallida. Le sue ciglia sono

bagnate da un leggero strato di neve e ha le labbra bluastre.

Non voglio che tu muoia giovane.

233

Aithinne mi ha aiutato così tante volte, ormai. Avrebbe potuto lasciarmi morire

riottenendo così tutta la sua forza, i suoi poteri da Regina della corte Seelie. Avrebbe

potuto tornare ad essere quella fata davanti al falò, alta, orgogliosa e terribilmente bella,

capace di zittire qualcuno muovendo un po’ il polso. Avrebbe potuto lasciare che quel

muro d’acqua si infrangesse contro di me, fare un passo indietro e riprendere il suo

ruolo di monarca. Ma non l’aveva fatto. Non mi aveva lasciato morire.

Qualsiasi potere io abbia perso… mi ha fatto sentire un po’ più umana.

Ignorando i miei muscoli doloranti, allungo la mano sotto le coperte per raggiungere

la sua. Persino sotto il calore della pelliccia le sue dita sono ghiacciate, inerti tra le mie.

Quando le stringo la mano sento il suo potere, nello stesso modo in cui posso sentire il

mio. Stesso sangue. Stessa natura. Come se fossimo l’una l’estensione dell’altra.

Le ali di Derrick si agitano dolorosamente contro la mia pelle sensibile. «Non riesco

a capire come abbiano fatto a trovarci se avevamo le difese alzate.»

«Lonrach avrebbe raso al suolo l’intera isola fino a quando non l’avesse trovato»

rispondo. «Era solo una questione di tempo.»

Mi chiedo se la Cailleach l’abbia aiutato. Non pensavo che potesse avere il potere di

estendere di nuovo la sua influenza oltre il velo, non se mia madre era stata l’ultima

falconiera che aveva aiutato a uccidere. Ma forse aveva fatto un ultimo tentativo.

Osservo Catherine. «Mi dispiace. Per tutto.»

Mi lancia uno sguardo tagliente. «Non è colpa tua.»

Mi devo trattenere dal dirle che Lonrach sapeva che la città si trovava su Skye perché

l’aveva visto nei miei ricordi. Sono stata troppo ingenua nel credere che le difese

avrebbero tenuto tutti al sicuro. Non erano mai stati al sicuro, non per davvero. Non se

Lonrach è ancora vivo.

Catherine torna a guardare il fuoco, gli occhi socchiusi per la rabbia. «La verità è

che hanno semplicemente guadagnato un po’ di tempo prima di trovarci e ucciderci

tutti.»

Sento gli occhi farsi pesanti e li chiudo per un attimo, quindi chiedo, «E gli altri?

Che fine hanno fatto?»

Catherine rabbrividisce e si copre, stringendosi nella coperta. Indossa solamente

l’intimo; il suo vestito dev’essere completamente fradicio e lacerato dalla fuga. La mia

camicia e i pantaloni sembrano essersi asciugati; ringrazio al cielo per questi piccoli

favori.

«Daniel, Gavin e… e… Kiaran…» pronuncia il suo nome come se fosse la prima

volta che lo dice, come se fosse una parola che non è abituata a usare, «… sono andati

in ricognizione. Per essere certi che il posto fosse sicuro. Le fate si sono allontanate

poche ore fa.»

Ho ancora impresse nella mente le parole di Lonrach, la loro malizia e gioia. Eccovi

qui. Scuoto la testa. «E la città? Tutti gli altri?»

«Alcuni hanno preso le barche e hanno lasciato l’isola con le fate alleate. Non hanno

aspettato.» Ha lo sguardo perso. «È sempre stato il nostro piano, fin dall’inizio. Se

234

fossimo stati attaccati di nuovo dalle fate, avremmo attraversato i tunnel, ci saremmo

imbarcati e preso il largo in mare. Neppure le fate riuscirebbero ad aprire un portale in

mare aperto per attaccarle.»

Le ali di Derrick sbattono contro la mia guancia. «È perché non ne hanno bisogno.

Spero solo che i tuoi umani non si imbattano in un sìthichean marino. Creature

riservate, come i folletti. Non fanno parte dei regni. Esseri detestabili. Puzzano, hanno

dei modi pessimi e mangiano le persone.»

Catherine lo guarda assente. «Mio Dio, sai davvero come rassicurare una signora,

non è vero?»

«Oh, so esattamente come rassicurare una signora.»

Catherine socchiude gli occhi verso di lui, quindi sposta l’attenzione di nuovo su di

me. «Siamo stati gli unici a restare indietro, quindi credo che siano riusciti a fuggire

quasi tutti.» Il suo sguardo si fa distante, triste. «Ho visto soltanto alcuni dei più anziani.

Non so che…» Deglutisce a fatica. Noto che ha gli occhi lucidi. «Immagino che

dovremo semplicemente trovare un nuovo posto, no?»

Lo dice con leggerezza, come per cercare di convincersi che non le importi. Ma

riesco a vedere la verità che sta cercando di nascondere. Non avremo mai più un posto

da poter chiamare “casa”. Siamo orfani, vagabondi. In cerca di una casa fino a quando

non verremo catturati uno per uno oppure uccisi tutti insieme.

Restiamo tutti in silenzio. Perché, in effetti, cos’altro si può aggiungere dopo una

tale perdita? Catherine ci è passata così tante volte… trovare un posto, rimanerci per

un po’ e poi vederselo portare via. E ogni volta delle persone muoiono.

Mi allungo verso Catherine e questo movimento mi fa sentire come trafitta da un

migliaio di piccoli aghi. Le mie mani restano sulla coperta, i palmi verso l’alto. In

segno di offerta. Di scuse. Per chiedere perdono. Lei fa scivolare la sua mano nella mia

e la stringe forte. È una sorella, non consanguinea, ma legata a me da un vincolo più

profondo. Non sono queste le sorelle migliori dopotutto?

«Mi dispiace, Derrick» sussurro. «Anche tu hai perso la tua casa.»

Lui si accoccola nello spazio tra il mio collo e la spalla, dove il calore della mia pelle

incontra la spessa coperta di lana. Le sue ali sembrano di seta. «L’ho già persa altre

volte,» mormora, con una voce appena udibile. «Ho vissuto senza una casa per migliaia

di anni. Sono sicuro di farcela.»

Cerca di apparire noncurante, ma riesco a percepire la tristezza nella sua voce. Tutte

le sue cose sono rimaste lì. Il suo armadio. Tutti gli arazzi che ha tessuto, che

raccontano le sue vittorie. La sua vita passata ormai persa per colpa del nemico.

«C’erano troppi ricordi tristi, in ogni caso.»

«Ma anche felici» preciso io, pensando agli arazzi.

«Sai benissimo anche tu quanto possano macchiarsi facilmente anche quelli» dice

lui, pacato.

Non riesco a contraddirlo in alcun modo. Non si sbaglia. «Dove siamo?» chiedo.

235

«Leitir Fura» risponde Catherine. «O, almeno, nelle vicinanze. Papà teneva un diario

in cui raccontava anche dei suoi viaggi qui e io spesso lo leggevo. I frassini non erano

così alti prima dell’arrivo delle fate.»

Prima dell’arrivo delle fate. Guardo le cicatrici che ha sul polso, osservando come

serpeggiano lungo il suo braccio in decine di mezzelune e lunghi graffi. Prima, quando

Catherine non doveva fare di tutto per sopravvivere.

«Presto dovremo spostarci di nuovo» dice Derrick. «Posso tenerci tutti nascosti per

il momento, ma se stiamo nello stesso posto troppo a lungo ci troveranno.»

Catherine annuisce guardando il fuoco. «Naturalmente.» Sento una leggera

inflessione nella sua voce. Sembra turbata, distante. «Catherine?»

Non mi guarda. «Sono stata una sciocca, non è così?» la sua voce è perfettamente

controllata, ma ne percepisco il dolore. Il desiderio. La tristezza. «Speravo che

potessimo finalmente…» sbatte le palpebre e abbassa lo sguardo sulle mani giunte.

«Distruggono tutto, non è vero?»

I suoi occhi incontrano i miei e li vedo ardere. Riconosco quella sensazione come se

mi stessi guardando allo specchio.

«Li odio» sussurra fieramente e le lacrime finalmente le scivolano giù sulle guance.

L’avvolgo in un abbraccio, lei singhiozza sulla mia spalla e le lacrime mi bruciano

sulla pelle. «Li odio così tanto.»

La tengo stretta a me. Non so per quanto tempo continua a piangere. Potrebbe

trattarsi di alcuni minuti. Potrebbe trattarsi di ore. La stringo forte e la lascio sfogare.

E per tutto il tempo le sussurro due semplici parole: «Lo so.»

236

Capitolo 38 Traduzione: Valeriuccia7692

Il mio sonno è pieno di sogni orribili tormentati dalla faccia scheletrica della Cailleach,

dalla sua pelle cadaverica. Nei miei sogni mi sussurra costantemente lo stesso

messaggio. Ora sai perché non posso lasciarti vivere. Ora sai perché non posso

lasciarti vivere.

Nei miei sogni c’è anche Sorcha. Sullo sfondo, dietro la Cailleach.

Sempre presente, sempre lì ad osservare, ad aspettare. Fino al momento in cui la

Cailleach scompare e Sorcha è sola di fronte a me, mentre parla la sua lingua, parole

che sono spesse, gutturali e melodiche.

Poi qualcosa colpisce il mio petto, un dolore acuto che mi fa barcollare. E Sorcha

ride, e ride.

Mi sveglio di colpo annaspando. Sto sudando sotto le coperte di lana, il mio respiro

è irregolare, come il mio battito cardiaco.

«Hai fatto un brutto sogno?»

Mi giro, Sorcha è qui, in piedi tra gli alberi. Indossa un lungo cappotto che sembra

fatto si seta, un collo di pelliccia le avvolge le spalle e il viso pallido. È circondata dalla

neve, le sue labbra sono di un rosso vivido, il verde dei suoi occhi è così forte che quasi

non sembrano veri. Sorcha non mi è mai sembrata così bella, né così pericolosa.

Il rosso cremisi ti dona di più, dice la sua voce nei miei ricordi. Allontano quel

ricordo, lo seppellisco nel profondo, dove nascondo quelle parti di me che mi rendono

più vulnerabile.

Mi guarda con occhi luminosi e pieni di malizia e di voglia di uccidere, sono sola

con lei. Il fuoco si è spento; solo le coperte vuote intorno alla cenere indicano che gli

altri sono stati qui.

La mia mano scorre lungo la mia vita per cercare la spada, ma non c'è. Chiudo

brevemente gli occhi. Dannazione. Sorcha sorride e tira fuori la mia spada da dietro la

sua schiena. «Stai cercando questa?» passa le dita lungo la lama, «è bella non è vero?

Aithinne ha sempre fatto dei lavori bellissimi. Ovviamente, non ne avrai più bisogno.»

La lancia tra gli alberi, la sua forza di fata la manda nel profondo della foresta. Il suo

ghigno soddisfatto mi fa venire voglia di sgozzarla.

«Se farai del male ai miei amici io...»

«Che cosa farai? Mi ucciderai?» chiede ridendo, «li ho mandati tutti a caccia. Mi

chiedo in quanti sopravvivranno. Detto tra noi, io scommetto sull’umana bionda.»

Mi libero ringhiando delle coperte e mi lancio contro di lei, il mio corpo però è

ancora troppo lento dopo aver usato i miei poteri. Prima che riesca a sbattere le ciglia,

Sorcha mi afferra per la gola. Con un ghigno malefico mi sbatte contro un albero.

«Non è stato piacevole vero?» Sorcha mi guarda con attenzione, «guardati. Un po’

meno umana dell'ultima volta che ti ho vista.» Le sue dita si stringono attorno al mio

237

collo mentre cerco di non vomitare. «È così che Lonnrach ha trovato la città, lo sai?

Un’umana che usa i poteri della regina dei Seelie senza avere abbastanza capacità per

nasconderlo.» Fa schioccare la lingua. «Eri come un faro nella tempesta, piccola

Falconiera. Nemmeno lo scudo di quel pixie è stato sufficiente a nascondere un tale

potere.»

Umana a sufficienza, la voce della Cailleach sussurra nei miei ricordi. Derrick deve

aver pensato di essere in grado di nascondermi quando mi ha messa in contatto con il

neimhead, senza in realtà rendersi conto che un po' della mia energia deve essere

fuoriuscita. Un faro nella tempesta. Dannazione. Cerco di darle contro, ma è

dannatamente troppo forte. «Almeno hai messo da parte quella finta del sono qui solo

per aiutare, perché se avessi continuato con le cavolate ti avrei pugnalata con qualcosa

di affilato.»

«Ti stai sbagliando» sussurra Sorcha. Ho su di me il fiato della boabhan sìth, se

volesse potrebbe prosciugarmi il sangue in meno di un minuto. «Non posso dire le

bugie, Falconiera. Io stavo aiutando. Solo che non stavo aiutando te.»

E se ti dicessi che sono dalla tua parte Kadamach? Che mi piacerebbe se tu riuscissi

a sconfiggere mio fratello?

«Kiaran. Hai fatto tutto questo per lui.»

«Ho sempre agito per il suo bene» dice, «a differenza di Kadamach, io non

abbandoni i miei amici.»

Passa una delle sue unghie affilate sul mio collo. «Vedi, se avessi fatto sì che

Lonnrach ti catturasse di nuovo, ti avrebbe rinchiusa dove nessuno avrebbe potuto

trovarti finché lui non avesse trovato il cristallo, nemmeno io. Non potevo correre il

rischio che portasse a termine il rituale da solo, non con la mia vita e quella del mio

sposo in gioco.»

Nonostante le sue mani siano intorno al mio collo, vengo quasi presa dai conati

quando chiama Kiaran il suo sposo. Mi serve tutto il mio allenamento per riuscire a

mantenere un’espressione neutra.

«Non stavi nemmeno aiutando la Cailleach» dico girandomi, «oh per l'amore di Dio,

non trattarmi da stupida. Lo sai benissimo che vuole Kiaran morto tanto quanto lo vuole

Lonnrach.»

«Ah. La Cailleach.» Sorcha ride. «E pensare che una volta facevo parte della sua

crociata per uccidere tutte le Falconiere. Poi ho conosciuto te, l'ultima della tua specie.»

Ora la sua unghia è appoggiata alla mia guancia, quasi mi perfora la pelle. «Volevo

ucciderti, ma Lonnrach mi disse che aveva trovato un modo per privarti del tuo potere

e usarlo per rivendicare il trono per sé.»

«Poi ho capito come io avrei potuto usarti. La Cailleach ha smesso di essere

importante.»

Scopre i denti in un sorriso spaventoso. «Per quanto riguarda Lonnrach, ho solo

dovuto assicurargli che ti avrei catturata mentre lui cercava quello di cui io avevo

bisogno. Mio fratello è così inconsapevole. Sarebbe un pessimo monarca.»

La sua voce non mi fa lo stesso effetto dell'ultima volta che l’ho vista, non è né bella,

né tranquillizzante. Ora che i miei poteri si sono risvegliati, riesco a sfuggire al suo

giogo mentre l’ascolto. La sento nella mia testa, come se stesse cercando di metterla

238

alla prova. Piccoli brandelli del suo potere mi attraversano.

Sorcha cerca di entrare nella mia testa, ma io glielo impedisco. La cosa sembra

piacerle.

Stringo i denti a causa di un dolore improvviso, mi ha infilato un’unghia nel collo,

del sangue inizia a colare. «E come vorresti usarmi?»

«Sorcha vuole i tuoi potere per sé stessa.» Mi giro e vedo Kiaran tra gli alberi, la sua

camicia è macchiata di sangue, dell’altro cola dalla sua spada. Ha il fiato grosso, come

se avesse appena massacrato un piccolo esercito. «Non è così? Tuo fratello stava

cercando il neimhead per poter creare abbastanza energia per un trasferimento di poteri,

e tu stavi solo aspettando che lo trovasse.» Stringe forte la spada. «Nessuno di voi due

prenderà il posto della Cailleach. Vi ucciderò entrambi prima che succeda, anche se

questo significa che morirò anche io.»

Sorcha sorride. «Hai una così bassa opinione di me, Kadamach. Quando tutto sarà

finito mi ringrazierai.»

«Lascia andare Kam, Sorcha» dice Kiaran nel tono che usa subito prima ti affondare

la spada. Potrebbe pugnalare Sorcha, anche se questo non la ucciderebbe.

«Kam.» Sorcha sputa la parola come se fosse veleno. «È così che la chiami?» Le sue

unghie affondano più in profondità nella pelle del mio collo e devo mordermi la lingua

per non gridare. La bocca mi si riempie di sangue e sento il suo sapore pungente. «La

tua ultima piccola Falconiera. Sembra che questa sia una lezione che dovrò spiegarti

un’altra volta, Kadamach.»

Sorcha mi stringe in un rozzo abbraccio e, prima che possa fare qualcosa, mi porta

via alla velocità della luce.

Siamo sulla scogliera vicino al mare, vicino a dove una volta sorgeva la città. Le

braccia di Sorcha mi stringono e poi cadiamo, sempre più giù, sempre più giù.

Atterriamo su uno scoglio coperto di neve, l'acqua sbatte contro le rocce e mi spruzza

il viso. Ci sono delle fate qui, cù sìth, berretti rossi e piccoli mortair, creature

meccaniche con ali e becchi affilati che bucano il terreno.

Stanno scavando tra le macerie che una volta facevano parte della città, i berretti

rossi frantumano le rocce coi loro martelli e lasciano i seguici e le creature metalliche

a scavare il resto.

Un'enorme quantità d'acqua marina li sovrasta, trema, come se potesse sommergerli

da un momento all'altro. Le fate devono aver ripulito ogni edificio della città, o forse

la maggior parte di quelli è rimasta distrutta quando è stata sommersa la grotta

sotterranea. Ora stanno usando i poteri per mantenere il mare a bada mentre cercano i

cristalli.

Mi ricordo Tavish mentre li guardava violare il perimetro poco dopo il mio arrivo.

Stanno scavando. Pensavo, tutti pensavano, che stessero cercando me. Ma Lonnrach

stava cercando questo, stava cercando il neimhead. E io lo ho guidato fin qui.

Lonnrach osserva i lavori con un sorriso soddisfatto. I suoi capelli bianco sale

risplendono nella brezza alla luce del sole che tramonta. Sembra bello. Sembra il Seelie

di una volta.

Poi di colpo mi colpisce un ricordo, prima ancora che possa cercare di fermarlo. La

seconda e la terza fila dei denti affilati di Lonnrach che scendono.

239

Mi immobilizzo. No. No, no no. Non voglio tornare indietro. Non sarò di nuovo una

sua prigioniera. Non lo lascerò prendersi piccoli pezzi di me un'altra volta. Non lo

lascerò privarmi della voglia di combattere.

Sorcha cerca di allontanarmi dalla scogliera e sbatto contro di lei. Perde

momentaneamente le presa e le sbatto il palmo della mio mano in faccia.

«Piccola disgustosa...»

Le afferro un polso. Sciogliti. Espiro il mio potere come mi è stato insegnato. Lo

richiamo. Lo sento ruggire in risposta. Sciogliti. Voglio che muoia come il mortair.

Voglio ridurla in cenere. Voglio...

Le unghie di Sorcha mi penetrano nei capelli. Mi tira verso di sé. Le sanguina il

naso, il contrasto con la sua pelle pallida è fortissimo.

Le sue labbra si incurvano in un sorriso. «Mi hai fatto il solletico.» mi stringe a sé.

«Finché sono legata a Kadamach non puoi uccidermi con i tuoi poteri. Non ne hai la

forza.»

Mi trascina sull’erba per i capelli. Cerco di contrastarla, scalcio e le tiro un pugno

nello stomaco, ma lei rafforza la stretta intorno a mio collo, le unghie penetrano nella

pelle, sanguino. Mi trasmette il suo potere e il dolore è così forte che urlo.

Lonnrach mi sente urlare e si gira. «La mia prigioniera smarrita.» Lancia un'occhiata

a sua sorella. «Ti ce n’è voluto di tempo.»

Odio la sua voce. Odio il modo in cui mi fa sentire, come se fossi di nuovo nella

stanza con gli specchi alla sua mercé. Sono in ginocchio, incapace di combattere. Sto

già tremando, come ogni volta che lui è vicino a me.

«Ho dovuto sistemare tre umani, due vecchi sovrani e un pixie particolarmente

fastidioso» ribatte Sorcha, «avresti potuto fare di meglio?»

Lo sguardo di Lonnrach si posa sui miei capelli stretti da Sorcha. «Non ho mai

dovuto trascinarla da nessuna parte.» Mi mostra i denti, te li ricordi? «Tutti hanno un

punto debole, anche le Falconiere.»

«Non sei riuscito a ferirla davvero, visto che è riuscita a scappare» risponde Sorcha.

Lonnrach assottiglia lo sguardo, poi torna ad osservare le fate che scavano con una

concentrazione e un’impazienza tale da essere completamente inaspettata da parte di

un immortale, ma ha aspettato questo momento a lungo.

Le labbra di Sorcha si arricciano in un sorriso e si siede, vedo uno scorcio delle sue

zanne.

«Guarda Falconiera.»

Seguo il suo sguardo e mi accordo che le fate hanno aumentato la loro velocità.

Stanno ammassando da una parte i resti fangosi, le loro mani e i loro artigli si muovono

velocissime. Stanno portando qualcosa in superficie.

Scavano più velocemente, più in profondità, sempre di più, intorno ad un oggetto,

una roccia nera ed appuntita.

Trattengo il fiato. È il cristallo.

Non pensavo fosse così grande. È un oggetto meraviglioso, non ho mai visto una

gemma simile. Anche il diamante più finemente lavorato non eguaglia la sua bellezza.

Risplende come il mare a mezzanotte di un fuoco innaturale, anche da lontano. Migliaia

di migliaia di fiammelle luccicano, si muovono e girano l'una intorno all'altra. Creano

240

una luce fortissima, come quella di un faro.

«È bellissimo.» Mi rendo conto di aver parlato a voce alta solo quando sento le mie

parole.

Gli occhi di Sorcha sono feroci, l'anticipazione la fa fremere ad un punto tale che le

sue zanne crescono, finché non si crea un'unica piccola gocciolina di sangue sul suo

labbro inferiore.

La lecca. «Dopo tutte quelle storie, finalmente lo abbia trovato» mormora.

È così attratta dal cristallo che la sua presa sul mio collo si allenta e sposta la mano.

Non mi guarda nemmeno. Magari crede che non sia in grado di scappare, o forse è

semplicemente troppo felice. Lo è anche Lonnrach. Il cristallo è immenso, ora è alto

almeno come una delle torri di Edimburgo, e le fate non ne hanno ancora raggiunto la

base.

Sorcha mi guarda, ha ancora lo stesso sorriso infido. «Ed è stata nel regno dei pixie

per tutto questo tempo.»

Mi vengono in mente le tappezzerie di Derrick, le battaglie, il sangue e le morti

dipinte sulla parete. Una figura scura sullo sfondo che pensavo fosse un castello. Non

era un castello. Era il cristallo. Le fate lo stavano proteggendo. E se lo stavano

nascondendo dev'esserci un buon motivo.

Mi allontano da Sorcha, indietreggio fuori dal raggio della sua vista mentre è

concentrata sullo spettacolo sotto gli scogli.

Cerco con la mano nello scompartimento nascosto del vestito di Derrick. Speravo ci

fosse almeno un pugnale, ma non c'è nulla. Dannazione.

Osservo Sorcha e Lonnrach. Hanno entrambi una spada e quella di Sorcha è nascosta

sotto il suo lungo cappotto.

Quella di Lonnrach però è a portata di mano.

Indietreggio di un passo. Due. Piano, piano. Le due fate nemmeno se ne rendono

conto. Il suono assordante del metallo contro la roccia provocato dagli scavi delle fate

per portare il cristallo in superficie, coprono ogni rumore e scricchiolio dei miei stivali

sull’erba.

Aspetto finché il becco di un mortair non colpisce la roccia e sfilo la spada di

Lonnrach dal suo fodero.

Cerca di raggiungermi con un grido, ma la mia mano è veloce. Lo colpisco al torace

con la spada. Il sangue inzuppa le pieghe della sua camicia bianca e Lonnrach cade in

ginocchio. Sto quasi per calare un fendente mortale quando mi fermo.

Non tocca a me ucciderlo.

«Falconiera.»

Sorcha mi afferra per il cappotto, ma le tiro un calcio nella coscia. La sua presa si

allenta e corro verso le fate che scavano, scivolo giù per la roccia, la mia caviglia

sostiene dolorosamente il mio peso. Non mi fermo, nemmeno quando sento Sorcha

urlarmi i suoi avvertimenti.

Le altre fate si girano verso di me, i loro occhi brillano, attaccano.

Il mio potere cresce dentro di me. Una forza brutale che prende il sopravvento e mi

infiamma. La spada che ho rubato diventa un'estensione del mio braccio, brucia tra le

fiamme. Colpisco il primo berretto rosso che mi capita a tiro con un colpo a martello.

241

Nessuno sforzo.

Le creature meccaniche si alzano in piedi, e una si lancia verso di me. La colpisco,

la luce esplode dalla mia lama e fa facilmente a brandelli il metallo.

In quel momento sento un grido sopra di me. È Aithinne. «Distruggi il cristallo.»

Distruggerlo?

Prima che possa risponderle, arrivano all’attacco altre fate. Le colpisco con la mia

spada.

Tutto succede in un unico movimento. Con i miei poteri risvegliati sono più veloce,

più agile e più forte.

Mi rendo improvvisamente conto che Aithinne e Kiaran stanno combattendo le fate

al mio fianco.

Le loro spade fendono l’aria, i loro poteri attraversano le rocce. Vedo delle rocce

spostarsi e una profonda fenditura si apre nel suolo. Una tempesta si abbatte su di noi,

l'hanno creata le fate per rispondere al nostro attacco.

L’acqua sospesa si abbatte violentemente a terra e mi fa inciampare.

Il cristallo. Devo raggiungere il cristallo.

Mi giro e colpisco un’altra fata. I miei movimenti sono veloci, i miei stivali corrono

sul terreno irregolare mentre affondo.

Prima che possa arrivare al cristallo Sorcha mi raggiunge, compie un arco con la sua

spada e quasi mi colpisce. Paro e rispondo, ma lei è agile, molto più veloce di quanto

lo sia io. Affondo una volta ferendole una guancia. Le sue dita toccano la ferita, ha

un’aria sorpresa.

«Così potrai ricordarti di me» le dico.

Mostra i denti, si lecca via il sangue e mi punta. Mi giro, e cerco di difendermi.

Ad ogni affondo della mia spada mi ricordo che, anche se non ho il potere necessario

per uccidere Sorcha, quella spada è fatta di metallo fatato. Il suo corpo non è

invulnerabile come quello di Kiaran. Se riuscissi a ferirla mortalmente, Kiaran

morirebbe con lei per via del legame.

Faccio l'unica cosa che posso: mi difendo dai suoi assalti, la mia spada cozza contro

la sua, rilasciando scintille di potere. Colpisco cercando di allontanarla.

Poi la sento nella mia testa. Una presenza che si fa forza dentro di me. «Potrai anche

avere i poteri Falconiera, ma so come distruggerti.»

Sorcha mi mostra la ragazza che ero, quella dannata ragazza a fianco al corpo della

madre. Cerca di farlo riaffiorare nella mia memoria.

Non capisce.

Non sono più la creatura vendicativa che ero un tempo. Non sono solo la ragazza il

cui dono è il caos. Sono morta e sono tornata indietro. Sono la ragazza che è

sopravvissuta.

La mando a gambe all'aria. Affondo la spada, mirando mortalmente al suo addome...

Ucciderla significa uccidere Kiaran.

La spada cambia traiettoria all’ultimo secondo e la colpisce ad una spalla. Sospiro

per la frustrazione e lei sorride. «Non riesci ad uccidermi Falconiera? Non sei ancora

pronta a perdere Kadamach?»

«Smettila di parlare.»

242

Mi lancio contro di lei, ma si rialza in un istante parando il mio attacco. È veloce. Si

muove con la forza di un grosso felino, schivando ogni mio attacco.

Si fa forza nella mia mate, scavando, scavando, scavando. Questa volta non mi

mostra la ragazza, cerca di trasformarmi in lei. Cerco di resistere urlando per via del

dolore alle tempie.

Mentre sono distratta mi ruba la spada di mano e mira alla mia guancia con la sua.

La ferita punge, e sento il sangue scorrermi lungo il collo, una ferita gemella di

quella che le ho inferto io.

«Così avrai qualcosa per ricordarmi» sussurra. Guarda Kiaran che sta combattendo

contro i mortair. «Speravo venisse in tuo soccorso.»

Mi paralizzo. «Cosa?»

«Sei un’esca» mormora, «parte del piano.»

Un’esca.

Guardo verso Kiaran mentre si fa strada combattendo le fate. Il suo potere tinge la

terra di nero. Un’esca. Lei sapeva che sarebbe venuto in mio soccorso. Apro la bocca

per urlargli di andarsene. «Kia...»

Il pungo di Sorcha mi colpisce il viso. Indietreggio sputando sangue sul terreno

fangoso. Prima ancora che possa recuperare il controllo, mi afferra per un braccio e mi

lancia per terra. Rotolo nella polvere e nel fango fino alla base del cristallo.

«Kam.»

Sorcha non si ferma. Come se capissero le altre fate corrono verso Kiaran e Aithinne

e li circondando. Dozzine di fate li trattengono mentre Sorcha mi prende per il collo.

Mi sbatte contro il cristallo.

«Ho aspettato a lungo questo momento» sibila. «L’ultima Falconiera ha ereditato

abbastanza potere da Aithinne per far sì che si amplifichino attraverso il neimhead.

Abbastanza per superare il suo potere.»

l guardo, lecco via il sangue dalle mie labbra. «Così puoi rubarmi i poteri e uccidere

Aithinne?» dico amaramente.

«No, schiocca di una ragazza. I tuoi poteri torneranno al loro giusto possessore.»

Le sue unghie spingono sulla mia pelle, abbastanza da lasciare i segni.

«Vedi, è stata Aithinne a fermare la parte di Kadamach che lo rende il re degli

Unseelie. E io ho bisogno del suo potere per riportare indietro le cose.»

Le sue labbra si piegano in un sorriso spaventoso.

«Lei ha fatto un grosso errore a mettere i suoi poteri in corpi umani. Corpi che posso

uccidere, fino all’ultimo. E con l’aiuto del cristallo avrai abbastanza del suo potere per

aiutarmi a contrastarlo. Sei la fine di tutto.»

Poi infilza la sua lama nel mio petto e nel cristallo.

Qualcosa si rompe in me.

Le fate smettono di combattere quando Kiaran cade a terra con un urlo che mi uccide

l’anima.

Le ombre si alzano dal terreno avvolgendolo in drappi scuri. Si piega, le sue dita

scavano nella polvere. Le fate intorno a lui si inginocchiano mentre il suo potere le

distrugge. Anche Sorcha sta urlando in agonia.

La mia vista si offusca, ma riesco ancora a vedere il corpo di Kiaran che trema.

243

Il suolo si crepa, un rumore di spaccatura si diffonde nella terra attorno al palmo

della sua mano. Le ombre si inspessiscono e si scuriscono finché non riesco più a

vederlo. Non ha più una forma; lo hanno coperto.

«No» bisbiglia Aithinne correndo verso di me. I suoi occhi si bagnano mentre guarda

impotente verso la spada. «Falconiera. Non posso curare questa ferita» la sua voce si

spezza.

Non riesco a parlare. Mi sento debole e leggera, come se stessi galleggiando.

Combatto per restare viva. Ma non ci riesco. Sento che sto abbandonando il mio corpo,

nello stesso modo di quando Kiaran mi ha tenuta sott’acqua. Galleggio... galleggio.

Le ombre si diradano, Kiaran guarda verso l'alto. Mentre esalo l'ultimo respiro,

incontro il suo sguardo scuro e affamato e so che non è più il mio Kiaran.

È il re degli Unseelie.

244

Capitolo 39 Traduzione: Alecs

Il sole sta tramontando e io mi trovo in cima a una scogliera. Molto lontano, sotto di

me, le onde si infrangono sulle rocce con un ritmo confortante. Gli schizzi mi

rinfrescano la pelle; hanno un profumo intenso, di sale misto all’odore dell’etere

nell’aria. Una distesa di alberi ricopre la cima della scogliera da entrambi i lati. I colori

richiamano quelli dell’autunno scozzese, sfumature rosse e arancioni, solo molto più

vividi. È come se tutta la costa fosse in fiamme.

Dove mi trovo?

Il pensiero è sfuggente, sostituito dalla calma. Qui è tutto così tranquillo e sereno.

All’orizzonte, il mare, di un color turchese scuro, incontra il cielo splendente. La luce

del tramonto tinge le nuvole di un rosso più intenso. Le incredibili sfumature come

grandi pennellate di colore. Chiudo brevemente gli occhi per assaporare il delizioso

calore che emana.

Sento la presenza di qualcun altro alle mie spalle, un’improvvisa e familiare

sensazione di dita fredde che mi scorrono lungo la schiena. Non più minacciosa come

l’altra volta. Un promemoria.

Lei è qui.

Non mi volto mentre lei si avvicina per affiancarsi a me sulla scogliera. Con la coda

dell’occhio, noto che il suo volto non cambia questa volta. Rimane scheletrico, la pelle

vecchia e segnata dalle intemperie. Il mantello di tenebra la avvinghia, ampio e oscuro.

Improvvisamente, mi tornano tutti i ricordi. Sorcha che trafigge me e il cristallo con

la sua spada. Il dolore lancinante che invade il centro del mio petto, dove la spada ha

attraversato l’osso. Premo la mano in quel punto. Lascio che il dolore si spenga, così

da essere in grado di pensare lucidamente.

Kiaran. Il suo sguardo oscuro e famelico, nel momento in cui riacquistava i propri

poteri. Adesso, avrà bisogno della Caccia Selvaggia per sopravvivere ancora.

Non ti senti mai maledetto?

Ogni giorno.

Lui è nuovamente nel regno degli umani a sopportare il peso della sua maledizione

e io … io …

Falconiera. Non sono in grado di guarire questo.

Le lacrime pungono dietro le palpebre. «Non stai visitando nuovamente i miei sogni,

vero?»

«No, mo nighean.»

Rido amaramente. «Suppongo che tu abbia ottenuto ciò che desideravi, non è così?

Sono veramente morta questa volta. Aithinne ha riavuto i suoi poteri. Sei venuta a

gongolare?»

245

«Sono venuta per farti un’offerta,» dice la Cailleach con tono basso. Sembra così

debole, la sua voce tremolante.

«Allora rifiuto,» le dico. «Minacciami quanto ti pareskeletal

. Non voglio la tua verità.»

Questa volta incrocio il suo sguardo antico, gli occhi che richiamano quelli di un

teschio. Sono sorpresa di scorgervi tristezza, disagio. La Cailleach ha vissuto migliaia

di vite. Ha creato queste terre. Ha creato i regni. Eppure sta svanendo, proprio come

me. Come un’umana.

Alla fine dei conti, ci ritroviamo tutti a vestire i panni della preda.

«Non ti offro la verità, mo nighean. Non questa volta.»

Ho quasi paura di chiedere. «Allora cosa?»

«Ho creato il tuo mondo e il mio,» dice. «Quando morirò, i regni subiranno una

frattura. È già successo nel Sith-bhrùth. L’hai visto anche tu.»

«Sì.»

«I miei figli hanno rifiutato i miei poteri,» continua con voce sommessa. «Ho

bisogno di un erede cui trasferirli. E io li sto offrendo a te.»

Le lancio uno sguardo tagliente. Potrei essere sconvolta, se non fossi così diffidente.

Le fate non offrono niente senza chiedere qualcosa in cambio. La Cailleach aveva

minacciato di uccidere la mia famiglia l’ultima volta. Ha provato a uccidermi. «Perché

mai lo faresti?» Perché dovrei fidarmi di te?

Ora sembra più amareggiata. «Sei la mia unica consanguinea.»

«Capisco. Stai morendo e io sono la tua ultima possibilità di riuscire a tramandare la

tua eredità.»

«Sono egoista, mo nighean,» dice lei, in tono secco. «Lo stesso vale per te. Tu

desideri ritornare dai tuoi amici umani e io ti sto offrendo un’altra occasione di vivere.

Hai idea di quanto sia raro, per un umano, tornare due volte dal regno dei morti?»

La Cailleah ha già provato a uccidermi in precedenza. Non posso fidarmi così

facilmente di lei. «Qual è il prezzo?»

Quando distoglie lo sguardo, quasi scoppio di nuovo a ridere. Era ovvio che ci fosse

un prezzo. Ci sono sempre conseguenze quando il normale ordine delle cose viene

turbato. Lo so meglio di chiunque altro. Nemmeno la stessa Cailleah può cambiarlo.

«Posso riportarti in vita,» mi dice, «ma alla fine i miei poteri ti uccideranno.»

«Per cui sarò morta in entrambi casi. Perché dovrei accettare l’offerta?»

Le sue labbra si riducono ad una linea sottile. Noto il tremolio delle sue spalle, come

se riuscisse a malapena a reggersi in piedi. «Chiedi a mia figlia del leabhar cuimhne.

Il libro della rimembranza. Se riuscirai a trovarlo, potrai spezzare la maledizione.

Questo è il mio ultimo regalo per loro.» Il suo sguardo si sposta sull’oceano ai nostri

piedi.

«La maledizione?» chiedo.

«Mia figlia ti spiegherà,» dice a fatica. «Accetta l’offerta, bambina.»

Sarei una sciocca a fidarmi di lei, eppure… Dio mi aiuti, sono tentata. «E se non lo

facessi?»

«I nostri regni saranno distrutti.» Riesco a malapena a sentirla. Ogni parola è

pronunciata con tono sempre più leggero, come se le costassero troppa fatica.

246

Improvvisamente la Cailleah sembra molto più debole. Sta scomparendo in fretta. «Il

libro andò perso quando il vecchio regno cadde. Devi trovarlo,» sussurra, la voce

ridotta a un filo. «I meritevoli posso trovare la porta.»

I meritevoli? «Aspetta. Dov’è la porta. Quale porta?»

Ma sta svanendo in fretta. La pelle si stacca dalle ossa del volto, gli occhi si incavano.

Sta morendo. Il suo corpo si decompone e si restringe come un cadavere.

«Accetta,» mormora la Cailleah. La sua espressione è contorta dal dolore. «Devi

accettare ora.»

Non ho nemmeno il tempo di pensare. Sta scomparendo davanti ai miei occhi. Non

ho scelta; non c’è più tempo per altre domande.

«Molto bene,» sussurro. «Accetto.»

Con l’ultimo briciolo di forze, la sua mano scheletrica afferra la mia. Un dolore

lancinante mi fa cadere in ginocchio. I suoi poteri mi trafiggono, si imprimono nelle

mie ossa e marchiano le mie vene. Grido. Il mio corpo sembra spezzarsi in due, ogni

parte di me ritemprata dalla fiamma della sua magia.

La voce della Cailleah è nella mia testa. «Ho paura, mo nighean.»

Il suo corpo appassito abbraccia il mio. La sorreggo, mentre i suoi poteri mi

distruggono. La sorreggo mentre la sua pelle si disintegra e il suo corpo si decompone.

La sorreggo perfino quando le sue ossa si trasformano in polvere.

Poi scompare e io apro gli occhi.

E sono viva.

247

Glossario

Dagli appunti e osservazioni di Aileana Kameron sulle fate

[Ricreato nel Regno dei Pixie, arricchito di annotazioni e aggiunte. Alcune note non

sono state incluse, comprese quelle fatte da un certo pixie che risiede qui…]

Come ho scoperto, i racconti delle fate della mia infanzia sono il risultato di molti

millenni di storie orali. [Cara me più giovane: non dimentichiamo le mezze verità,

omissioni e stupidaggini inventate.]

Ciò che rimane ora del mondo delle fate non è che l’ombra della sua passata

magnificenza. I Seelie e gli Unseelie – i due regni di fate della luce e fate oscure in

guerra fra loro – un tempo hanno conquistato interi continenti. L’umanità arrivò alle

soglie dell’estinzione a causa di quella che le fate chiamavano la Caccia Selvaggia, un

tentativo sistematico di catturare e uccidere gli umani più forti, soprattutto quelli dotati

della Vista [Stando a quanto dice la Cailleach, il re Unseelie ha bisogno della Caccia

Selvaggia per sopravvivere. Senza, lui e i suoi sudditi si indeboliscono fino a morire.

Aggiungo, ma scelgo di ignorarlo, che ha detto che l’abbattimento selettivo è

necessario per mantenere l’ordine naturale delle cose. Dopotutto è una megera

assassina con un giudizio opinabile.] Fu la guerra infinita fra i due regni a portarli sul

punto della distruzione, e la guerra finale con le Falconiere a finirli entrambi. [Oh,

com’era facile quel periodo in cui ho scritto questo appunto, e ora non so quasi da

dove iniziare.

Il re Unseelie e la regina Seelie posero fine alla guerra, andando contro al destino

che li aspettava sin dalla nascita. Non potevano sapere che quella decisione avrebbe

avuto conseguenze catastrofiche che portarono alla distruzione di entrambi i regni.]

Dopo tutto ciò che Kiaran mi ha insegnato, ho capito che una sola verità ha resistito

al tempo: mai fidarsi di una fata. [Troppo tardi.]

Aileana Kameron, 1844. [Aggiornato al – non posso credere a quello che sto

scrivendo – dicembre 1847]

Baobhan Sìth

[Sorcha:] Fata solitaria (è possibile che in passato appartenesse a un regno) [Fata

non solitaria. L’ex consorte del re Unseelie.] È legata ai daoine sìth, ma è diversa per

via delle sue forti capacità telepatiche. È magnetica, con lunghi capelli scuri e gli occhi

verdi più intensi che abbia mai visto. Il suo sorriso è ammaliante e terrificante al tempo

stesso, una cosa da incubo. Il suo potere ha un sapore pesante, come se mi ficcasse del

sangue in gola. A parte massacrare le Falconiere, ha ammazzato ogni altra baobhan

248

sìth venuta alla luce perché nessuno potesse avere capacità pari alle sue. [Eccetto suo

fratello Lonnrach.]

Punti di forza: estremamente intelligente e scaltra; capacità di uccidere supportata

da poteri mentali che possono ingannare una persona spingendola a incontrarsi con lei

su una strada buia di sua scelta, dove prosciuga le sue vittime di tutto il sangue. [Una

nota a parte su Lonnrach è la sua capacità di estrarre

L’abilità speciale di Lonnrach è

Non sono ancora pronta a parlarne.]

Conteggio delle sue vittime: 20 36 87 103 Troppe per continuare ad aggiornare il

conto. [Ignorare. Il conto, così come la mia errata ricerca di vendetta, non è più il mio

obiettivo principale.]

Punti deboli: Nessuno conosciuto. Ne scoprirò uno. [Sorcha: Kiaran. Non so come

potrò usare questa informazione.]

[Lonnrach: ancora non he ho trovati.]

Brollachan

Di solito è una fata solitaria, anche se quella che ho incontrato io nella città dei pixie

viveva con le altre fate per circostanze di forza maggiore. Una brollachan è una fata

senza forma, un’ombra con gli occhi di un rosso brillante. Questa creatura ruba energia

risiedendo in un corpo umano e consumandone lentamente la forza vitale. Agli occhi

di un qualunque essere umano, sembra una malattia improvvisa.

Punti di forza: la loro consistenza ombrosa rende più difficile ucciderle.

Punti deboli: esposizione alla luce.

Cat sìth

Una fata solitaria, anche se è costretta a vivere con le fate nella città dei pixie. È una

creatura che ricorda un gatto. Come la loro controparte, i cù sìth, i cat sìth sono di una

taglia incredibilmente grande per passare per un animale domestico o un gatto

selvatico, anche se, a differenza dei cù sìth, questa fata non è Unseelie e preferisce

cacciare da sola.

Punti di forza: velocità, taglia, agilità.

Punti deboli: non sono creature molto intelligenti. Sono guidate dall’istinto e non

dall’intelletto.

La Cailleach

Fata che vive in gruppo. La Cailleach è la regina delle fate e la più antica della specie.

Il suo potere era così grande da essere considerata una dea, un tempo. La leggenda

narra che abbia creato colline, montagne e laghi della Scozia con il suo martello e il

suo bastone e che abbia creato sia il mondo umano che quello delle fate. La posizione

e i poteri di Cailleach vengono tramandati di generazione in generazione. Nascono due

fate che governano due regni separati di luce e ombra (Seelie e Unseelie) e che vengono

cresciute in modo da vedersi come contendenti al trono. Il più forte tra i due dà inizio

alla guerra, uccide l’altro, e prende il posto del precedente Cailleach. Se il processo

viene interrotto o alterato, i regni cominciano a spaccarsi e sgretolarsi. Ne ho visto la

249

prova nel Sìth-bhrùh, anche se questo degrado non si è esteso al mondo umano. Non

ancora.

Punti di forza: quando la Cailleach è nel pieno dei suoi poteri, nessuno può fermarla.

Riesce a controllare gli elementi, la sua capacità di influenzare la mente fa sembrare

quella di Sorcha nulla in confronto, ed è abile in battaglia.

Punti deboli: non è nel pieno dei suoi poteri. La sua decisione di avere una prole la

sta facendo invecchiare e morire lentamente, proprio come un essere umano. Deve

trasferire i suoi poteri a uno dei suoi figli prima di morire. Questo non ha fatto altro

che renderla ancora più impaziente di uccidermi.

Daoine Sìth

Fata che vive in gruppo. Seelie e Unseelie (fata della luce e fata oscura). Sono

straordinariamente belle, una razza guerriera nota per la forza distruttiva e per avere

una volta spinto gli umani sull’orlo dell’estinzione (quella che Kiaran chiama la Caccia

Selvaggia). [Vedi inizio]. Un tempo i daoine sìth regnavano non solo sul loro regno

(Sìth-bhrùth), ma erano perfino riusciti a conquistare quasi tutti i continenti della terra.

Kiaran sostiene che in passato ci fosse una differenza fra il governo dei Seelie e quello

degli Unseelie, ma con il passare del tempo entrambe le corti sono diventate altrettanto

spietate e assetate di potere. [La regina Seelie e il re Unseelie sono stati cresciuti in

due regni diversi, sapendo che un giorno avrebbero dovuto uccidersi a vicenda. Solo

uno di loro può sostituire la Cailleach.]

Ovviamente, Kiaran si mantiene sul vago a proposito dei loro punti di forza e dei

punti deboli, però sono riuscita a carpirgli che tra i loro poteri c’è la capacità di

governare gli elementi.

Punti deboli: ? [Gli Unseelie dipendono dall’energia umana per restare in vita.

Quando il re Unseelie è stato privato dei suoi poteri, che poi sono stati assorbiti dalle

fate di entrambi i regni, questa debolezza si è estesa a coloro che in precedenza erano

Seelie.]

Il potere di Kiaran, per lo meno, sa di terra: dolce, floreale, un po’ selvatico. Che è

un sapore incredibilmente delizioso quando lui è piacevole, e nauseante quando non lo

è. [Ancora vero]

Each uisge

Fata solitaria. Un cavallo d’acqua legato ai kelpie, ma più pericoloso e aggressivo.

Attira gli esseri umani verso una fonte d’acqua usando il potere della sua bellezza

ultraterrena, apparendo principalmente sotto sembianze di un cavallo, ma notoriamente

assume anche la forma di un uomo bellissimo. Questa è stata la prima fata con cui ho

combattuto e ho miseramente fallito nell’ucciderla. Ho imparato la lezione: il ferro non

funziona contro le fate.

Punti di forza: in acqua, la sua pelliccia diventa un adesivo a cui è impossibile

sfuggire, cosa che l’aiuta ad annegare le sue vittime. Dubito che sarei ancora viva, dopo

averla attaccata, se Kiaran non fosse intervenuto, e ho ancora le cicatrici che lo

dimostrano.

250

Punti deboli: il suo potere è ridotto sulla terraferma. Tuttavia, aggirano il problema

restando sempre vicino all’acqua.

Mara

In Gàidhlig conosciuti come droch-spiorad. Fate che vivono in gruppo, anche se

hanno scelto di non appartenere a nessuna delle due corti. Vivono in branco nelle

foreste buie del Sìth-bhrùth. Da quello che ho visto, sono creature giganti con il pelo

nero e gli occhi brillanti.

Punti di forza: ci vedono meglio di me al buio.

Punti deboli: con una luce abbastanza forte, si disperdono.

Mortair

Vivono in gruppo, anche se il loro status è un po’ complicato perché sono state create

dalla regina Seelie. Sono fate meccaniche giganti fatte di un materiale quasi

indistruttibile strutturato come le piastre metalliche di un’armatura che gli copre tutto

il corpo. Il nucleo (cuore) di un mortair brilla e alimenta l’intera macchina, compresa

l’arma al centro dei suoi palmi. Aithinne li ha creati come esseri senzienti, ma non sono

molto intelligenti. Il loro scopo principale è trovare e distruggere.

Punti di forza: sono giganteschi e forti. E, visto che non sono intelligenti, non si può

ragionare con loro. Se interferisci nella loro missione, cercheranno di ucciderti.

Lezione imparata.

Puti deboli: la spada di Aithinne è l’unica cosa in grado di trafiggere la loro armatura.

Seconda lezione imparata.

Pixie

In Gàidhlig conosciuti come aibhse.

Piccole fate alate, per lo più vivono in gruppo. I pixie (come altre piccole fate) sono

solo lontanamente legati ai tipi di sìthichean più grossi. Un tempo avevano il loro

regno, terre e Paesi su cui regnavano separatamente da qualche parte sull’isola di Skye,

ma a un certo punto, prima della guerra delle Falconiere con i daoine sìth, emigrarono

in massa in Cornovaglia [i sopravvissuti se ne andarono in Cornovaglia dopo che

Kiaran distrusse la loro città e uccise quasi tutti i suoi abitanti.] Il loro potere rifulge

in un’aureola che li circonda e che può cambiare colore a seconda dell’umore del pixie.

Possono nutrirsi di energia umana come la maggior parte delle altre fate, ma di solito

preferiscono non farlo. Il loro potere sa di zenzero. Sembra che non possano fare a

meno di rubare oggetti scintillanti. [Sono custodi di antiche reliquie preziose per le

fate, che hanno seppellito per tutta Skye.]

Punti di forza: velocissimi nel volo, abili nel maneggiare armi piccole e affilate.

Punti deboli: miele, abiti da ballo strappati [e armadi]

Fuochi fatui

In Gàidhlig conosciuti come Teine sionnachain.

251

Vivono in gruppo, anche se non appartengono a nessuna delle due corti. Il will-o’-

the-wisp è più piccolo di un pixie e ha un aspetto decisamente più ultraterreno, con

degli occhi neri troppo grandi per la sua faccia, le orecchie a punta e la pelle scura

come l’onice. Prima della Caccia Selvaggia, evitavano il contatto con la civiltà,

preferendo vivere nelle grotte delle foreste lontane dalle città scozzesi. Sono una specie

crudele e devo continuare a ricordarmi di non ucciderli a vista dopo che mi hanno

attaccata. Che creature terribili e feroci.

Punti di forza: i loro numeri. Vivono a gruppi di migliaia e attaccano come uno

sciame.

Punti deboli: presi individualmente sono molto fragili. A differenza dei pixie, non

riescono a sopravvivere da soli.

Nota personale: non ucciderli, anche se vorresti farlo. Non qui.

252

Ringraziamenti

È giusto cominciare con il ringraziare la mia amica più di lunga data e collega di critica

Tess Sharpe, a cui dedico questo libro. Condividiamo ciò che scriviamo da talmente

tanto tempo che, ad ogni manoscritto a cui lavoro, diventa sempre più chiaro che ha

influenzato la mia scrittura (e la mia vita) profondamente. Non credo che sarei

diventata l’autrice che sono oggi senza il suo continuo sostegno, la sua gentilezza e la

sua sincerità. Tess, sono felicissima di conoscerti da così tanti anni. Questo è per te.

Spero ti piacciano tutte quelle “scene alla Tess”!

Continuo ad essere grata al mio agente Russell Galen. Sa esattamente quali parole dire

per risollevarmi il morale e non ha mai e poi mai dubitato di me e del mio lavoro,

nemmeno quando pure io non posso fare a meno di dubitare di me stessa. Ricevere le

sue email illumina sempre le mie giornate. E a Heather Baror per aver mandato questi

libri agli editori di tutto il mondo. Amo vedere crescere a livello internazionale il

sostegno per questa serie, e ciò non sarebbe stato possibile senza di lei.

A Gillian, la mia incredibile editor di Gollancz nel Regno Unito. The Vanishing Throne

è stato un libro difficilissimo per me e lei è sempre stata paziente e fiduciosa del fatto

che avremmo fatto la cosa giusta. I suoi consigli intelligenti hanno reso questo libro

qualcosa di cui sono incredibilmente fiera di aver scritto. E a Ginee, la mia editor di

Chronicle negli Stati Uniti, il cui occhio attento fa uscire fuori il meglio della mia

scrittura. Grazie a entrambe.

Alla squadra di Gollancz e Chronicle, non potrei esservi più riconoscente per aver

sostenuto questa serie. Siete stati tutti fantastici ed entusiastici e mi sento fortunata ad

avervi.

Non posso finire questi ringraziamenti senza ringraziare la mia famiglia. soprattutto

mia mamma e mio papà, che mi hanno aiutato a scrivere sia questo libro che la tesi di

dottorato contemporaneamente. È stato il periodo più difficile e stressante della mia

vita e ogni telefonata è stata un’ancora di salvezza.

A mio marito: non mi interessa se non credi alle anime; tu sei la mia anima gemella,

signor May. Per l’eternità. Vieni a darmi un abbraccio quando leggi questo messaggio.