"Noi donne": 70 anni di icone al femminile

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1 21 aprile 2015 - Biblioteca Sormani (Comune di Milano). Giornata-incontro “Le eroine di carta” L’immagine dell’universo femminile nel periodo dagli anni ’30 agli anni ’70: dai romanzi rosa, alla stampa popolare, al cinema fino alla televisione. Contributo di Cristina Carpinelli - collaboratrice del mensile “Noi Donne” “Noi Donne” nasce come foglio clandestino alla fine degli anni trenta (1937) a Parigi sotto la direzione di Marina Sereni. È l’espressione dell’associazione che raccoglie le donne antifasciste emigrate in Francia, ed è anche lo strumento di collegamento tra le resistenti clandestine in Italia. Viene alla luce in un momento di acuta tensione politica dopo l’aggressione fascista dell’Italia all’Etiopia e lo scoppio della guerra civile in Spagna. Nella Parigi del “Fronte popolare”, il foglio si dedica in primo luogo alla mobilitazione delle donne per la difesa della pace, denuncia la politica reazionaria e imperialista dei nazionalisti in Spagna e riferisce sul movimento femminile che si è ormai consolidato ed esteso. Le eroine di “Noi Donne” di questo periodo sono le attiviste e resistenti, il cui compito è sostenere i volontari antifascisti di Spagna, attivare campagne per l’adozione di bambini spagnoli rimasti orfani e dedicarsi ad opere di filantropia sociale, promuovendo colonie estive per i figli degli emigrati italiani in Francia. Nell’Italia della Resistenza, intanto, crescono e si rafforzano i movimenti antifascisti. Nel novembre 1943 nascono a Milano i Gruppi di Difesa delle Donne (GdD), grazie ai quali il “foglio” viene distribuito clandestinamente in alcune regioni dell’Italia occupata dai tedeschi. Sono per lo più pagine che si presentano sotto forma di copie ciclostilate. Dal luglio 1944 “Noi Donne” esce dalla clandestinità per impulso di Palmiro Togliatti che incaricò Nadia Spano di organizzare le prime uscite. I primi numeri li firma come direttora Laura Bracco, ed è stampato prima a Napoli e poi a Roma. Dal novembre 1945 il giornale è l’organo dell’UDI (Unione Donne Italiane) e rimarrà tale fino a metà degli anni novanta, quando la Cooperativa Libera Stampa e l’UDI decideranno di comune accordo di separare i loro destini pur sempre rimanendo in buoni rapporti. Simbolicamente, negli anni bellici e postbellici, le eroine di “Noi Donne” sono coloro che partecipano alla lotta partigiana, quelle impegnate nei GAP, le lavoratrici che si organizzano nelle Commissioni interne delle fabbriche, più in generale le “sfruttate” ed “oppresse” che si emancipano da una condizione di subalternità (salariate e casalinghe). Particolare attenzione è dedicata alle lotte delle contadine mezzadre contro la consuetudine feudale delle “regalie” dovute ai padroni e agli scioperi del bracciantato femminile agricolo del 1949. La rivista dà pure voce alle eroine del primo Risorgimento - le partigiane del 1848 - paragonate alle eroine del secondo Risorgimento. Di quest’ultime, spiccano figure come Teresa Noce, Rita Montagnana, Camilla Ravera, Marisa Rodano, Rina Piccolato, ecc. In sintonia con i tempi, figure esemplari sono anche le donne che manifestano per il diritto di voto, perché il lavoro femminile sia retribuito come quello degli uomini, più in generale perché vi siano migliori condizioni di lavoro nelle fabbriche (e nei campi), e più partecipazione degli operai (incluse le donne) alla vita aziendale. L’influenza di donne, entrate prepotentemente nella storia del movimento operario italiano ed internazionale, come A. Kollontaj, K. Zetkin, Rosa Luxemburg, Anna Kuliscioff, che per prime s’impegnarono in queste lotte, è determinante. La capacità d’inserire l’obiettivo dell’emancipazione femminile nella lotta politica e sociale dei ceti popolari, sfruttati ed emarginati, deriva da un approdo alla concezione del socialismo con le sue idee di uguaglianza e giustizia sociale. Per i movimenti di sinistra delle donne, l’opera di ricostruzione del paese (terminata la guerra e sconfitto il nazi-fascismo) verso una società democratica e più equa, si nutre delle idee del marxismo e guarda con interesse al grande “esperimento sovietico”, con la creazione di un vero e proprio mito bolscevico sulla donna e la

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In questo summary paper sono descritti 70 anni di storia della rivista mensile "noi donne". Alcuni di questi anni hanno segnato una svolta epocale nel tracciato editoriale della rivista come conseguenza dell'evoluzione storica del nostro Paese. Il summary paper è stato elaborato in occasione della conferenza "Le eroine di carta", che si è tenuta a Milano il 21 aprile 2015 c/o la Biblioteca Sormani.

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21 aprile 2015 - Biblioteca Sormani (Comune di Milano). Giornata-incontro “Le eroine di carta”

L’immagine dell’universo femminile nel periodo dagli anni ’30 agli anni ’70: dai romanzi rosa, alla stampa

popolare, al cinema fino alla televisione.

Contributo di Cristina Carpinelli - collaboratrice del mensile “Noi Donne”

“Noi Donne” nasce come foglio clandestino alla fine degli anni trenta (1937) a Parigi sotto

la direzione di Marina Sereni. È l’espressione dell’associazione che raccoglie le donne antifasciste

emigrate in Francia, ed è anche lo strumento di collegamento tra le resistenti clandestine in Italia.

Viene alla luce in un momento di acuta tensione politica dopo l’aggressione fascista dell’Italia

all’Etiopia e lo scoppio della guerra civile in Spagna. Nella Parigi del “Fronte popolare”, il foglio si

dedica in primo luogo alla mobilitazione delle donne per la difesa della pace, denuncia la politica

reazionaria e imperialista dei nazionalisti in Spagna e riferisce sul movimento femminile che si è

ormai consolidato ed esteso. Le eroine di “Noi Donne” di questo periodo sono le attiviste e

resistenti, il cui compito è sostenere i volontari antifascisti di Spagna, attivare campagne per

l’adozione di bambini spagnoli rimasti orfani e dedicarsi ad opere di filantropia sociale,

promuovendo colonie estive per i figli degli emigrati italiani in Francia.

Nell’Italia della Resistenza, intanto, crescono e si rafforzano i movimenti antifascisti. Nel

novembre 1943 nascono a Milano i Gruppi di Difesa delle Donne (GdD), grazie ai quali il “foglio”

viene distribuito clandestinamente in alcune regioni dell’Italia occupata dai tedeschi. Sono per lo

più pagine che si presentano sotto forma di copie ciclostilate. Dal luglio 1944 “Noi Donne” esce

dalla clandestinità per impulso di Palmiro Togliatti che incaricò Nadia Spano di organizzare le

prime uscite. I primi numeri li firma come direttora Laura Bracco, ed è stampato prima a Napoli e

poi a Roma. Dal novembre 1945 il giornale è l’organo dell’UDI (Unione Donne Italiane) e rimarrà

tale fino a metà degli anni novanta, quando la Cooperativa Libera Stampa e l’UDI decideranno di

comune accordo di separare i loro destini pur sempre rimanendo in buoni rapporti.

Simbolicamente, negli anni bellici e postbellici, le eroine di “Noi Donne” sono coloro che

partecipano alla lotta partigiana, quelle impegnate nei GAP, le lavoratrici che si organizzano nelle

Commissioni interne delle fabbriche, più in generale le “sfruttate” ed “oppresse” che si

emancipano da una condizione di subalternità (salariate e casalinghe). Particolare attenzione è

dedicata alle lotte delle contadine mezzadre contro la consuetudine feudale delle “regalie” dovute

ai padroni e agli scioperi del bracciantato femminile agricolo del 1949. La rivista dà pure voce alle

eroine del primo Risorgimento - le partigiane del 1848 - paragonate alle eroine del secondo

Risorgimento. Di quest’ultime, spiccano figure come Teresa Noce, Rita Montagnana, Camilla

Ravera, Marisa Rodano, Rina Piccolato, ecc.

In sintonia con i tempi, figure esemplari sono anche le donne che manifestano per il diritto

di voto, perché il lavoro femminile sia retribuito come quello degli uomini, più in generale perché

vi siano migliori condizioni di lavoro nelle fabbriche (e nei campi), e più partecipazione degli

operai (incluse le donne) alla vita aziendale. L’influenza di donne, entrate prepotentemente nella

storia del movimento operario italiano ed internazionale, come A. Kollontaj, K. Zetkin, Rosa

Luxemburg, Anna Kuliscioff, che per prime s’impegnarono in queste lotte, è determinante. La

capacità d’inserire l’obiettivo dell’emancipazione femminile nella lotta politica e sociale dei ceti

popolari, sfruttati ed emarginati, deriva da un approdo alla concezione del socialismo con le sue

idee di uguaglianza e giustizia sociale. Per i movimenti di sinistra delle donne, l’opera di

ricostruzione del paese (terminata la guerra e sconfitto il nazi-fascismo) verso una società

democratica e più equa, si nutre delle idee del marxismo e guarda con interesse al grande

“esperimento sovietico”, con la creazione di un vero e proprio mito bolscevico sulla donna e la

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famiglia, che si radicalizza dal 1949 nel clima della guerra fredda. Da allora, “Noi Donne” ospita

molti articoli dedicati agli “esempi di vita felice delle donne dell’Est”.

I passi compiuti dalle donne negli anni trenta e quaranta sono davvero enormi. Miriam

Mafai, nel suo libro Pane nero, evidenzia come la miseria, la guerra e la resistenza, rappresentarono

per il genere femminile una possibilità di trasformazione e cambiamento radicali delle proprie

condizioni di subalternità: “La fame e la guerra spingono dunque le donne fuori di casa, le obbligano a

cercare un lavoro, a prendere decisioni, ad aiutare coloro che sparano o a sparare loro stesse, le obbligano ad

uscire dal ruolo che era stato loro affidato dal fascismo e dalla Chiesa, di ‘moglie e madre esemplare’. (…) una

volta vissuta la trasgressione incide nella coscienza di tutte, rivelando l’esistenza e la possibilità di percorsi

individuali sconosciuti, certo più accidentati ma anche più gratificanti di quelli che alle donne erano riservati

nel passato. (…) l’apertura di un orizzonte nuovo, di un modo diverso di essere donna e persona” (ved:

“Prefazione”).

Le italiane costruiscono il proprio percorso di emancipazione partendo dalla lotta

resistenziale sino ad organizzare, con la Liberazione e negli anni immediatamente successivi,

azioni politiche e sindacali che hanno al loro centro l’innalzamento delle condizioni morali e

materiali di operaie e contadine, di lavoratrici madri, di casalinghe, ecc. Una serie di rubriche del

giornale, quali Il nostro movimento (in seguito, Vita del movimento) o I nostri problemi sindacali, e

l’editoriale dell’epoca Il nostro compito, accompagnano e favoriscono questo cammino verso

l’emancipazione. Chiaramente, la realizzazione di una democrazia compiuta deve passare

attraverso l’ampliamento dei diritti di cittadinanza della popolazione femminile. L’opera portata

avanti dalle donne che partecipano alle commissioni incaricate di elaborare il progetto di

Costituzione repubblicana si caratterizza per la difesa dei principi della parità dei sessi e del lavoro

femminile, per la tutela della maternità delle lavoratrici madri e la crescita dell’alfabetismo

femminile; principi che devono essere garantiti e rispettati dalla Carta nascente. Con le elezioni del

2 giugno 1946, le eroine di “Noi Donne”, a cui il giornale dedica ampio spazio, sono le c.d. “Madri

costituenti”, cioè le 21 donne elette all’Assemblea costituente (di cui 5 provenienti dalle file

dell’UDI), a cui è affidato il compito di far approvare una Costituzione che affermi la parità

giuridica in ogni campo, il diritto al lavoro e l’accesso a tutte le professioni e carriere. Rimbalza

pure sulle pagine del giornale il progetto CGIL, noto poi come legge Noce, sulle lavoratrici madri.

Non mancano, infine, numeri dedicati ai rapporti delle partigiane italiane con altre resistenti

straniere. “Noi Donne” rivolge un’attenzione speciale al Congresso Internazionale delle donne, che

si apre a Parigi il 24 novembre 1945, nel quale sono presenti i più prestigiosi personaggi femminili

della scena mondiale: dalla spagnola Dolores Ibarruri alle combattenti di Stalingrado, dalle

partigiane jugoslave alle donne che a Londra hanno lavorato sotto i bombardamenti dei V 2.

Volendo caratterizzare il tipo di narrazione dell’universo femminile, che emerge ancora

all’inizio degli anni cinquanta sulla rivista “Noi Donne”, possiamo attingere direttamente ad

alcune sue edizioni, in cui si afferma che la rivista “non racconta di amori impossibili, di lussi

orientali, di sogni pazzeschi facili a realizzarsi: la vita è su ‘Noi Donne’ ancora difficile e dura nel

nostro paese....”. Nel 1950, Maria Antonietta Macciocchi (all’epoca, direttora di “Noi Donne”), in

un opuscolo edito dal periodico, scrive che “stampa cattolica” e “stampa reazionaria borghese”

hanno “il comune scopo di mantenere e rafforzare il regime della borghesia” e che nei venticinque

settimanali a rotocalco della “stampa americanizzata”, con tre milioni di copie di tiratura (di cui

500mila di “Grand Hotel”), “la donna è rappresentata come un essere stupido, ridicolo e

insignificante”.

Nel giugno 1946, il fotoromanzo, una creazione nata dall’incontro tra linguaggio

cinematografico e fumetto, entra a far parte del panorama editoriale italiano come una novità

dirompente: un fumetto per adulti, che guarda principalmente a masse femminili appena

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alfabetizzate. È un successo enorme ed immediato, che porta “Grand Hotel” a conquistare e

mantenere a lungo tirature superiori al milione di copie settimanali.

Ci fu un momento in cui il giornale dell’UDI, con Una donna si ribella, avvia la

pubblicazione di fotoromanzi che, pur con contenuti non assimilabili a quelli della stampa

femminile corrente, cerca di adeguarsi ai codici del feuilleton, inserendosi, dunque, con

sorprendente tempismo, nella scia del successo di “Grand Hotel”. L’uso del fumetto da parte di

“Noi Donne” - allora sotto la direzione di Dina Rinaldi - non è, tuttavia, gradito al PCI. A quei

tempi, il giornale è legato al partito comunista. Dura è la requisitoria sferrata da Nilde Jotti contro

il fumetto sulle pagine di “Rinascita” (rivista dell’intellettualità del PCI) nel dicembre 1951. L’Italia

ha aderito al Patto Atlantico (1949), e i romanzetti d’appendice e i fotoromanzi sono considerati,

dalla sinistra italiana, mezzi attraverso cui l’America cerca di esportare i propri modelli culturali -

oggi, potremmo definirli “strumenti del soft-power americano”. Alla fine, “Noi Donne”,

impegnata a mediare nei confronti di lettrici animate da tensioni opposte - le donne politicamente

più consapevoli, con la loro messa al bando del genere aborrito, e le altre, parte “indistinta” della

massa femminile (seppure da conquistare), con la loro assillante richiesta di romanzi d’amore e

fotoromanzi - decide di stare dalla parte delle prime, e scarta dalle sue pagine il fotoromanzo. Nel

1950, la direzione del giornale passa nelle mani di Maria Antonietta Macciocchi. Per iniziativa di

quest’ultima, nel 1952, attorno alla rivista “Noi Donne”, cresce l’idea di organizzare un grande

evento nazionale sulla stampa femminile. L’idea è segnata dalla forte critica con cui si guarda alla

stampa che si rivolge alle donne accusata di valori “borghesi” e “tradizionali”. “Noi Donne”, in

controtendenza rispetto all’immaginario collettivo che relega la donna in ruoli stereotipati, si

presenta come un giornale di lotta, d’avanguardia, e di rottura polemica con la stampa femminile

corrente.

Negli anni cinquanta, il periodico lega più profondamente il suo percorso al PCI

continuando, tuttavia, a caratterizzarsi come un giornale delle donne in un’ottica che coincide con

quella espressa dalla direzione dell’UDI, associazione di cui è appunto organo. L’ortodossia

marxista che ha permeato in modo significativo il discorso sull’emancipazione femminile è nel

tempo stemperata dalla linea del PCI, guidato da Palmiro Togliatti, attento a che non si delinei una

rottura dell’unità nazionale antifascista, in particolare a causa di una frizione con il mondo

cattolico. In questo decennio, protagoniste di “Noi Donne” sono le contadine e le operaie con le

loro battaglie sociali, sindacali e politiche di riscatto da povertà e arretratezza di tanti territori sia a

sud che a nord del paese. Ecco, allora, comparire articoli sulle lotte delle operaie delle officine

reggiane, delle braccianti agricole ferraresi e delle mondine di Medicina, delle raccoglitrici di olive

pugliesi, ecc. Particolare risalto hanno le “inchieste”, in cui sono affrontati problemi che società e

famiglia dell’epoca impongono: quello del duro lavoro delle tabacchine, delle donne malate di

sifilide perché violentate dagli uomini degli eserciti alleati, delle operaie conserviere di pomodoro

molestate dai padroni, e così via. L’emancipazione marcia a pieno ritmo. Il giornale, con i suoi

reportage, le sue inchieste e la rubrica delle lettere, rappresenta uno degli strumenti più importanti

della vasta campagna di risveglio politico e civile che investe da tempo il paese. Le donne hanno

ormai preso la parola e possiedono uno strumento diffuso su tutto il territorio nazionale, che

dialoga con loro per assicurarne la partecipazione politica e la tutela dei diritti. Pionieristicamente

sono anticipati alcuni argomenti (pianificazione delle nascite e diritto all’aborto) che nel decennio

successivo (anni ‘60) saranno materia fondamentale di dibattito sulla rivista.

Negli anni sessanta (dalla metà di quel decennio, direttora di “Noi Donne” è Miriam

Mafai), il periodico - accanto ai soliti temi come il lavoro femminile (si vedano le inchieste di

Giuliana dal Pozzo sulle condizioni del lavoro delle donne nelle fabbriche) - comincia a dibattere

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su temi (es: aborto1, divorzio, “maschilismo” degli uomini di sinistra, ecc.) che a partire dalla fine

di quel decennio e lungo tutti gli anni settanta, con l’impatto dirompente del movimento del ‘68 e

del femminismo, costituiranno sempre più il leitmotiv di “Noi Donne”. Proprio in questo periodo,

la figura femminile veicolata in precedenza dal giornale subisce una profonda trasformazione. Il

quadro di riferimento non è più simbolicamente la donna “sfruttata” che si emancipa (muovendo

da un punto di vista “femminile” e prepolitico verso uno “maschile” e politico), ma un soggetto

che, facendo perno sulla sua subalternità, cerca di “decostruire” il soggetto astratto, sedicente e

neutro, e nello stesso tempo mira all’individuazione di uno spazio relazionale che dia modo al sé

(femminile) di manifestarsi e narrarsi.

Se per “Noi Donne”, il distacco dal classico emancipazionismo femminile non è radicale,

come lo sarà, invece, per alcuni gruppi femministi, tuttavia, il suo discorso si amplia e assume

connotati chiaramente innovativi, dimostrando coraggio e più lungimiranza rispetto alle dirigenti

del PCI legate - come sono - all’ortodossia della linea del partito. D’altro canto, l’ideologia del PCI

non è mai stata libertaria in questioni sessuali e intime. La liberazione sessuale, il femminismo, il

movimento omosessuale, fioriscono negli anni ‘70 in Italia, al di fuori del partito, che li assorbirà al

suo interno con grandi difficoltà. Lo strappo, sempre più esplicito negli anni a venire, del PCI

dall’Unione Sovietica, alla ricerca di una “terza via”, che coniughi socialismo e conquiste

democratiche occidentali, farà la sua parte nel ridurre la forza della morale convenzionale che da

decenni pesa sui comportamenti dei militanti del partito.

Dunque, accanto al grande sforzo profuso negli anni settanta per la realizzazione della

legge sul divorzio (1970), e la susseguente vittoria del NO al referendum per l’abrogazione di tale

legge (1974), di quella sugli asili nido (1971), della riforma del diritto di famiglia (1974) e sui

consultori familiari (1975), della legge sulla parità di trattamento tra uomini e donne nel lavoro

(1977) e, infine, della legge sull’aborto (1978), il giornale, sensibile alle istanze del femminismo,

incomincia ad interrogarsi e a confrontarsi su argomenti quali il sesso, il corpo femminile, la

differenza tra i sessi, la religione e la sessualità, ecc. “Noi Donne” coglie appieno le sfide della

contemporaneità. Marisa Rodano, in un saggio sull’UDI, afferma che le battaglie di questa

associazione, e quindi anche del giornale, ebbero una rilevanza decisiva non solo per la

collocazione sociale delle donne, ma per la maturazione della loro coscienza e per l’evoluzione del

costume e dei comportamenti del paese.

Contribuisce al mutamento di paradigma la caduta del mito bolscevico sulla famiglia e la

donna. I vari movimenti del ‘68 non nascondono il loro disincanto nei confronti dell’Urss. Proprio

in quegli anni, l’Occidente scopre - attraverso alcune dirette testimonianze - la verità sui Gulag

(campi di lavoro sovietici) e viene a conoscenza della reale condizione materiale e morale della

donna dell’Est. Il lungo racconto di Natal’ja Baranskaja, Une Semaine comme une autre (Éditions des

Femmes, 1976), costituisce ancora oggi uno dei migliori esempi del disagio delle donne negli anni

del comunismo sovietico.

Nel periodo 1975-1978, “Noi Donne” (sotto la direzione di Giuliana Dal Pozzo) si focalizza

su temi quali la sessualità, i comportamenti sessuali, l’educazione sessuale, la contraccezione,

l’aborto, l’omosessualità, ecc. L’inchiesta, la cronaca, la rubrica delle lettere, sono gli strumenti che

da sempre usa il giornale, poiché raccontare le esperienze di prima mano delle donne è il modo

più efficace per informare le lettrici. E proprio le donne, attraverso i loro racconti e testimonianze,

sono le nuove protagoniste della rivista. Fra le varie storie, ci sono quelle di donne che hanno

abortito in clandestinità, che hanno subito processi per aborto - alcune delle quali condannate poi

1 “Noi Donne” è stata la prima rivista a scrivere sull’argomento dell’aborto in Italia con una famosa inchiesta

di Milla Pastorino pubblicata nel 1961.

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al carcere, o a cui è stato negato l’aborto terapeutico. Ci sono storie di donne siciliane che si

ribellano e lottano per una giusta legge sull’aborto e quelle di donne napoletane, romane,

genovesi, che stanche di fare aborti incominciano a sottolineare l’esigenza concreta dell’uso dei

contraccettivi e della loro distribuzione da parte dei medici del servizio sanitario nazionale. Il

giornale fa di queste donne, decise a sconfiggere l’aborto clandestino, le sue nuove eroine.

“Noi donne” continua ad usare le voci delle protagoniste di diverse fasce sociali e d’età per

affrontare le varie questioni. Su un numero speciale della rivista sulla sessualità, intitolato Tre

generazioni di fronte all’amore, tre donne di età diversa raccontano le loro esperienze sessuali e la

psicologa Simona Argentieri le commenta. Con la pubblicazione delle lettere, il giornale prosegue

nella sua storica vocazione pedagogica, dando consigli e informazioni su anticoncezionali,

masturbazione e rapporti sessuali, lesbismo, gravidanza, maternità, menopausa, igiene, ecc. Un

tema scottante che “Noi donne” affronta è quello della violenza contro le donne, attraverso

un’inchiesta condotta in Sicilia nei primi anni settanta (la prima in assoluto, in Italia) da Maria

Rosa Cutrufelli, assieme a Bruna Bellonzi.

Non manca, in conclusione, l’impegno sul fronte internazionale. Le “donne” del giornale,

unite attorno a una comune antipatia per i prevalenti assetti internazionali fondati sulla divisione

tra Est e Ovest e tra Nord e Sud del mondo, sono essenzialmente “terzomondiste”, ostili a qualsiasi

forma di imperialismo e piene di avversione per le armi nucleari e per il militarismo in tutte le sue

forme. Dalla prospettiva di sinistra, esse rappresentano una grande sfida e una grande

opportunità, nel concorrere, insieme con le altre donne del pianeta, ad abbattere il dominio delle

idee conservatrici e del patriarcato maschilista, e nel riesaminare insieme le grandi questioni

dell’agenda mondiale, a partire innanzitutto da quella della discriminazione di genere. A Città del

Messico si svolge nel 1975 la prima Conferenza Mondiale sulle donne. Tre obiettivi chiave

diventano la base per il lavoro in difesa delle donne: la piena uguaglianza fra i sessi e

l’eliminazione delle discriminazioni sessuali, l’integrazione e la piena partecipazione delle donne

allo sviluppo, un maggiore contributo delle donne nel rafforzamento della pace mondiale. Questa

grande mobilitazione spinge i vertici internazionali a proclamare i successivi dieci anni come il

“Decennio delle Nazioni Unite per le Donne” (1976-1985). Nel 1979, l’Assemblea generale delle

Nazioni Unite approva la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione

contro le donne, conosciuta come CEDAW.

Grazie all’impegno straordinario profuso negli anni, e alla diffusione militante “porta a

porta”, “Noi donne” raggiunge negli anni ‘70 il suo apice, con la massima tiratura di copie,

arrivando a punte di 600mila esemplari a numero. Sono davvero i suoi anni “ruggenti”. Negli anni

a seguire, il giornale affronta seri problemi finanziari, rischiando la chiusura della testata. Solo agli

albori degli anni duemila, grazie ad un suo riassestamento interno, ad una sua diversa

ricollocazione nel mercato editoriale, e alla professionalità che tante amiche mettono a sua

disposizione, il periodico, sotto la direzione di Tiziana Bartolini, assume rinnovato vigore. Oggi

“Noi Donne” è un network che edita un mensile cartaceo (pubblicato anche in versione pdf) e un

settimanale on line: NOIDONNE WEEK, ha un sito costantemente aggiornato

(www.noidonne.org), in cui sono pubblicati anche video diffusi attraverso una webtv che

trasmette su piattaforma Streamago. È presente e molto attivo nei social (Facebook e Twitter) e ha

una stretta collaborazione con il gruppo Tiscali.