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21 aprile 2015 - Biblioteca Sormani (Comune di Milano). Giornata-incontro “Le eroine di carta”
L’immagine dell’universo femminile nel periodo dagli anni ’30 agli anni ’70: dai romanzi rosa, alla stampa
popolare, al cinema fino alla televisione.
Contributo di Cristina Carpinelli - collaboratrice del mensile “Noi Donne”
“Noi Donne” nasce come foglio clandestino alla fine degli anni trenta (1937) a Parigi sotto
la direzione di Marina Sereni. È l’espressione dell’associazione che raccoglie le donne antifasciste
emigrate in Francia, ed è anche lo strumento di collegamento tra le resistenti clandestine in Italia.
Viene alla luce in un momento di acuta tensione politica dopo l’aggressione fascista dell’Italia
all’Etiopia e lo scoppio della guerra civile in Spagna. Nella Parigi del “Fronte popolare”, il foglio si
dedica in primo luogo alla mobilitazione delle donne per la difesa della pace, denuncia la politica
reazionaria e imperialista dei nazionalisti in Spagna e riferisce sul movimento femminile che si è
ormai consolidato ed esteso. Le eroine di “Noi Donne” di questo periodo sono le attiviste e
resistenti, il cui compito è sostenere i volontari antifascisti di Spagna, attivare campagne per
l’adozione di bambini spagnoli rimasti orfani e dedicarsi ad opere di filantropia sociale,
promuovendo colonie estive per i figli degli emigrati italiani in Francia.
Nell’Italia della Resistenza, intanto, crescono e si rafforzano i movimenti antifascisti. Nel
novembre 1943 nascono a Milano i Gruppi di Difesa delle Donne (GdD), grazie ai quali il “foglio”
viene distribuito clandestinamente in alcune regioni dell’Italia occupata dai tedeschi. Sono per lo
più pagine che si presentano sotto forma di copie ciclostilate. Dal luglio 1944 “Noi Donne” esce
dalla clandestinità per impulso di Palmiro Togliatti che incaricò Nadia Spano di organizzare le
prime uscite. I primi numeri li firma come direttora Laura Bracco, ed è stampato prima a Napoli e
poi a Roma. Dal novembre 1945 il giornale è l’organo dell’UDI (Unione Donne Italiane) e rimarrà
tale fino a metà degli anni novanta, quando la Cooperativa Libera Stampa e l’UDI decideranno di
comune accordo di separare i loro destini pur sempre rimanendo in buoni rapporti.
Simbolicamente, negli anni bellici e postbellici, le eroine di “Noi Donne” sono coloro che
partecipano alla lotta partigiana, quelle impegnate nei GAP, le lavoratrici che si organizzano nelle
Commissioni interne delle fabbriche, più in generale le “sfruttate” ed “oppresse” che si
emancipano da una condizione di subalternità (salariate e casalinghe). Particolare attenzione è
dedicata alle lotte delle contadine mezzadre contro la consuetudine feudale delle “regalie” dovute
ai padroni e agli scioperi del bracciantato femminile agricolo del 1949. La rivista dà pure voce alle
eroine del primo Risorgimento - le partigiane del 1848 - paragonate alle eroine del secondo
Risorgimento. Di quest’ultime, spiccano figure come Teresa Noce, Rita Montagnana, Camilla
Ravera, Marisa Rodano, Rina Piccolato, ecc.
In sintonia con i tempi, figure esemplari sono anche le donne che manifestano per il diritto
di voto, perché il lavoro femminile sia retribuito come quello degli uomini, più in generale perché
vi siano migliori condizioni di lavoro nelle fabbriche (e nei campi), e più partecipazione degli
operai (incluse le donne) alla vita aziendale. L’influenza di donne, entrate prepotentemente nella
storia del movimento operario italiano ed internazionale, come A. Kollontaj, K. Zetkin, Rosa
Luxemburg, Anna Kuliscioff, che per prime s’impegnarono in queste lotte, è determinante. La
capacità d’inserire l’obiettivo dell’emancipazione femminile nella lotta politica e sociale dei ceti
popolari, sfruttati ed emarginati, deriva da un approdo alla concezione del socialismo con le sue
idee di uguaglianza e giustizia sociale. Per i movimenti di sinistra delle donne, l’opera di
ricostruzione del paese (terminata la guerra e sconfitto il nazi-fascismo) verso una società
democratica e più equa, si nutre delle idee del marxismo e guarda con interesse al grande
“esperimento sovietico”, con la creazione di un vero e proprio mito bolscevico sulla donna e la
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famiglia, che si radicalizza dal 1949 nel clima della guerra fredda. Da allora, “Noi Donne” ospita
molti articoli dedicati agli “esempi di vita felice delle donne dell’Est”.
I passi compiuti dalle donne negli anni trenta e quaranta sono davvero enormi. Miriam
Mafai, nel suo libro Pane nero, evidenzia come la miseria, la guerra e la resistenza, rappresentarono
per il genere femminile una possibilità di trasformazione e cambiamento radicali delle proprie
condizioni di subalternità: “La fame e la guerra spingono dunque le donne fuori di casa, le obbligano a
cercare un lavoro, a prendere decisioni, ad aiutare coloro che sparano o a sparare loro stesse, le obbligano ad
uscire dal ruolo che era stato loro affidato dal fascismo e dalla Chiesa, di ‘moglie e madre esemplare’. (…) una
volta vissuta la trasgressione incide nella coscienza di tutte, rivelando l’esistenza e la possibilità di percorsi
individuali sconosciuti, certo più accidentati ma anche più gratificanti di quelli che alle donne erano riservati
nel passato. (…) l’apertura di un orizzonte nuovo, di un modo diverso di essere donna e persona” (ved:
“Prefazione”).
Le italiane costruiscono il proprio percorso di emancipazione partendo dalla lotta
resistenziale sino ad organizzare, con la Liberazione e negli anni immediatamente successivi,
azioni politiche e sindacali che hanno al loro centro l’innalzamento delle condizioni morali e
materiali di operaie e contadine, di lavoratrici madri, di casalinghe, ecc. Una serie di rubriche del
giornale, quali Il nostro movimento (in seguito, Vita del movimento) o I nostri problemi sindacali, e
l’editoriale dell’epoca Il nostro compito, accompagnano e favoriscono questo cammino verso
l’emancipazione. Chiaramente, la realizzazione di una democrazia compiuta deve passare
attraverso l’ampliamento dei diritti di cittadinanza della popolazione femminile. L’opera portata
avanti dalle donne che partecipano alle commissioni incaricate di elaborare il progetto di
Costituzione repubblicana si caratterizza per la difesa dei principi della parità dei sessi e del lavoro
femminile, per la tutela della maternità delle lavoratrici madri e la crescita dell’alfabetismo
femminile; principi che devono essere garantiti e rispettati dalla Carta nascente. Con le elezioni del
2 giugno 1946, le eroine di “Noi Donne”, a cui il giornale dedica ampio spazio, sono le c.d. “Madri
costituenti”, cioè le 21 donne elette all’Assemblea costituente (di cui 5 provenienti dalle file
dell’UDI), a cui è affidato il compito di far approvare una Costituzione che affermi la parità
giuridica in ogni campo, il diritto al lavoro e l’accesso a tutte le professioni e carriere. Rimbalza
pure sulle pagine del giornale il progetto CGIL, noto poi come legge Noce, sulle lavoratrici madri.
Non mancano, infine, numeri dedicati ai rapporti delle partigiane italiane con altre resistenti
straniere. “Noi Donne” rivolge un’attenzione speciale al Congresso Internazionale delle donne, che
si apre a Parigi il 24 novembre 1945, nel quale sono presenti i più prestigiosi personaggi femminili
della scena mondiale: dalla spagnola Dolores Ibarruri alle combattenti di Stalingrado, dalle
partigiane jugoslave alle donne che a Londra hanno lavorato sotto i bombardamenti dei V 2.
Volendo caratterizzare il tipo di narrazione dell’universo femminile, che emerge ancora
all’inizio degli anni cinquanta sulla rivista “Noi Donne”, possiamo attingere direttamente ad
alcune sue edizioni, in cui si afferma che la rivista “non racconta di amori impossibili, di lussi
orientali, di sogni pazzeschi facili a realizzarsi: la vita è su ‘Noi Donne’ ancora difficile e dura nel
nostro paese....”. Nel 1950, Maria Antonietta Macciocchi (all’epoca, direttora di “Noi Donne”), in
un opuscolo edito dal periodico, scrive che “stampa cattolica” e “stampa reazionaria borghese”
hanno “il comune scopo di mantenere e rafforzare il regime della borghesia” e che nei venticinque
settimanali a rotocalco della “stampa americanizzata”, con tre milioni di copie di tiratura (di cui
500mila di “Grand Hotel”), “la donna è rappresentata come un essere stupido, ridicolo e
insignificante”.
Nel giugno 1946, il fotoromanzo, una creazione nata dall’incontro tra linguaggio
cinematografico e fumetto, entra a far parte del panorama editoriale italiano come una novità
dirompente: un fumetto per adulti, che guarda principalmente a masse femminili appena
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alfabetizzate. È un successo enorme ed immediato, che porta “Grand Hotel” a conquistare e
mantenere a lungo tirature superiori al milione di copie settimanali.
Ci fu un momento in cui il giornale dell’UDI, con Una donna si ribella, avvia la
pubblicazione di fotoromanzi che, pur con contenuti non assimilabili a quelli della stampa
femminile corrente, cerca di adeguarsi ai codici del feuilleton, inserendosi, dunque, con
sorprendente tempismo, nella scia del successo di “Grand Hotel”. L’uso del fumetto da parte di
“Noi Donne” - allora sotto la direzione di Dina Rinaldi - non è, tuttavia, gradito al PCI. A quei
tempi, il giornale è legato al partito comunista. Dura è la requisitoria sferrata da Nilde Jotti contro
il fumetto sulle pagine di “Rinascita” (rivista dell’intellettualità del PCI) nel dicembre 1951. L’Italia
ha aderito al Patto Atlantico (1949), e i romanzetti d’appendice e i fotoromanzi sono considerati,
dalla sinistra italiana, mezzi attraverso cui l’America cerca di esportare i propri modelli culturali -
oggi, potremmo definirli “strumenti del soft-power americano”. Alla fine, “Noi Donne”,
impegnata a mediare nei confronti di lettrici animate da tensioni opposte - le donne politicamente
più consapevoli, con la loro messa al bando del genere aborrito, e le altre, parte “indistinta” della
massa femminile (seppure da conquistare), con la loro assillante richiesta di romanzi d’amore e
fotoromanzi - decide di stare dalla parte delle prime, e scarta dalle sue pagine il fotoromanzo. Nel
1950, la direzione del giornale passa nelle mani di Maria Antonietta Macciocchi. Per iniziativa di
quest’ultima, nel 1952, attorno alla rivista “Noi Donne”, cresce l’idea di organizzare un grande
evento nazionale sulla stampa femminile. L’idea è segnata dalla forte critica con cui si guarda alla
stampa che si rivolge alle donne accusata di valori “borghesi” e “tradizionali”. “Noi Donne”, in
controtendenza rispetto all’immaginario collettivo che relega la donna in ruoli stereotipati, si
presenta come un giornale di lotta, d’avanguardia, e di rottura polemica con la stampa femminile
corrente.
Negli anni cinquanta, il periodico lega più profondamente il suo percorso al PCI
continuando, tuttavia, a caratterizzarsi come un giornale delle donne in un’ottica che coincide con
quella espressa dalla direzione dell’UDI, associazione di cui è appunto organo. L’ortodossia
marxista che ha permeato in modo significativo il discorso sull’emancipazione femminile è nel
tempo stemperata dalla linea del PCI, guidato da Palmiro Togliatti, attento a che non si delinei una
rottura dell’unità nazionale antifascista, in particolare a causa di una frizione con il mondo
cattolico. In questo decennio, protagoniste di “Noi Donne” sono le contadine e le operaie con le
loro battaglie sociali, sindacali e politiche di riscatto da povertà e arretratezza di tanti territori sia a
sud che a nord del paese. Ecco, allora, comparire articoli sulle lotte delle operaie delle officine
reggiane, delle braccianti agricole ferraresi e delle mondine di Medicina, delle raccoglitrici di olive
pugliesi, ecc. Particolare risalto hanno le “inchieste”, in cui sono affrontati problemi che società e
famiglia dell’epoca impongono: quello del duro lavoro delle tabacchine, delle donne malate di
sifilide perché violentate dagli uomini degli eserciti alleati, delle operaie conserviere di pomodoro
molestate dai padroni, e così via. L’emancipazione marcia a pieno ritmo. Il giornale, con i suoi
reportage, le sue inchieste e la rubrica delle lettere, rappresenta uno degli strumenti più importanti
della vasta campagna di risveglio politico e civile che investe da tempo il paese. Le donne hanno
ormai preso la parola e possiedono uno strumento diffuso su tutto il territorio nazionale, che
dialoga con loro per assicurarne la partecipazione politica e la tutela dei diritti. Pionieristicamente
sono anticipati alcuni argomenti (pianificazione delle nascite e diritto all’aborto) che nel decennio
successivo (anni ‘60) saranno materia fondamentale di dibattito sulla rivista.
Negli anni sessanta (dalla metà di quel decennio, direttora di “Noi Donne” è Miriam
Mafai), il periodico - accanto ai soliti temi come il lavoro femminile (si vedano le inchieste di
Giuliana dal Pozzo sulle condizioni del lavoro delle donne nelle fabbriche) - comincia a dibattere
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su temi (es: aborto1, divorzio, “maschilismo” degli uomini di sinistra, ecc.) che a partire dalla fine
di quel decennio e lungo tutti gli anni settanta, con l’impatto dirompente del movimento del ‘68 e
del femminismo, costituiranno sempre più il leitmotiv di “Noi Donne”. Proprio in questo periodo,
la figura femminile veicolata in precedenza dal giornale subisce una profonda trasformazione. Il
quadro di riferimento non è più simbolicamente la donna “sfruttata” che si emancipa (muovendo
da un punto di vista “femminile” e prepolitico verso uno “maschile” e politico), ma un soggetto
che, facendo perno sulla sua subalternità, cerca di “decostruire” il soggetto astratto, sedicente e
neutro, e nello stesso tempo mira all’individuazione di uno spazio relazionale che dia modo al sé
(femminile) di manifestarsi e narrarsi.
Se per “Noi Donne”, il distacco dal classico emancipazionismo femminile non è radicale,
come lo sarà, invece, per alcuni gruppi femministi, tuttavia, il suo discorso si amplia e assume
connotati chiaramente innovativi, dimostrando coraggio e più lungimiranza rispetto alle dirigenti
del PCI legate - come sono - all’ortodossia della linea del partito. D’altro canto, l’ideologia del PCI
non è mai stata libertaria in questioni sessuali e intime. La liberazione sessuale, il femminismo, il
movimento omosessuale, fioriscono negli anni ‘70 in Italia, al di fuori del partito, che li assorbirà al
suo interno con grandi difficoltà. Lo strappo, sempre più esplicito negli anni a venire, del PCI
dall’Unione Sovietica, alla ricerca di una “terza via”, che coniughi socialismo e conquiste
democratiche occidentali, farà la sua parte nel ridurre la forza della morale convenzionale che da
decenni pesa sui comportamenti dei militanti del partito.
Dunque, accanto al grande sforzo profuso negli anni settanta per la realizzazione della
legge sul divorzio (1970), e la susseguente vittoria del NO al referendum per l’abrogazione di tale
legge (1974), di quella sugli asili nido (1971), della riforma del diritto di famiglia (1974) e sui
consultori familiari (1975), della legge sulla parità di trattamento tra uomini e donne nel lavoro
(1977) e, infine, della legge sull’aborto (1978), il giornale, sensibile alle istanze del femminismo,
incomincia ad interrogarsi e a confrontarsi su argomenti quali il sesso, il corpo femminile, la
differenza tra i sessi, la religione e la sessualità, ecc. “Noi Donne” coglie appieno le sfide della
contemporaneità. Marisa Rodano, in un saggio sull’UDI, afferma che le battaglie di questa
associazione, e quindi anche del giornale, ebbero una rilevanza decisiva non solo per la
collocazione sociale delle donne, ma per la maturazione della loro coscienza e per l’evoluzione del
costume e dei comportamenti del paese.
Contribuisce al mutamento di paradigma la caduta del mito bolscevico sulla famiglia e la
donna. I vari movimenti del ‘68 non nascondono il loro disincanto nei confronti dell’Urss. Proprio
in quegli anni, l’Occidente scopre - attraverso alcune dirette testimonianze - la verità sui Gulag
(campi di lavoro sovietici) e viene a conoscenza della reale condizione materiale e morale della
donna dell’Est. Il lungo racconto di Natal’ja Baranskaja, Une Semaine comme une autre (Éditions des
Femmes, 1976), costituisce ancora oggi uno dei migliori esempi del disagio delle donne negli anni
del comunismo sovietico.
Nel periodo 1975-1978, “Noi Donne” (sotto la direzione di Giuliana Dal Pozzo) si focalizza
su temi quali la sessualità, i comportamenti sessuali, l’educazione sessuale, la contraccezione,
l’aborto, l’omosessualità, ecc. L’inchiesta, la cronaca, la rubrica delle lettere, sono gli strumenti che
da sempre usa il giornale, poiché raccontare le esperienze di prima mano delle donne è il modo
più efficace per informare le lettrici. E proprio le donne, attraverso i loro racconti e testimonianze,
sono le nuove protagoniste della rivista. Fra le varie storie, ci sono quelle di donne che hanno
abortito in clandestinità, che hanno subito processi per aborto - alcune delle quali condannate poi
1 “Noi Donne” è stata la prima rivista a scrivere sull’argomento dell’aborto in Italia con una famosa inchiesta
di Milla Pastorino pubblicata nel 1961.
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al carcere, o a cui è stato negato l’aborto terapeutico. Ci sono storie di donne siciliane che si
ribellano e lottano per una giusta legge sull’aborto e quelle di donne napoletane, romane,
genovesi, che stanche di fare aborti incominciano a sottolineare l’esigenza concreta dell’uso dei
contraccettivi e della loro distribuzione da parte dei medici del servizio sanitario nazionale. Il
giornale fa di queste donne, decise a sconfiggere l’aborto clandestino, le sue nuove eroine.
“Noi donne” continua ad usare le voci delle protagoniste di diverse fasce sociali e d’età per
affrontare le varie questioni. Su un numero speciale della rivista sulla sessualità, intitolato Tre
generazioni di fronte all’amore, tre donne di età diversa raccontano le loro esperienze sessuali e la
psicologa Simona Argentieri le commenta. Con la pubblicazione delle lettere, il giornale prosegue
nella sua storica vocazione pedagogica, dando consigli e informazioni su anticoncezionali,
masturbazione e rapporti sessuali, lesbismo, gravidanza, maternità, menopausa, igiene, ecc. Un
tema scottante che “Noi donne” affronta è quello della violenza contro le donne, attraverso
un’inchiesta condotta in Sicilia nei primi anni settanta (la prima in assoluto, in Italia) da Maria
Rosa Cutrufelli, assieme a Bruna Bellonzi.
Non manca, in conclusione, l’impegno sul fronte internazionale. Le “donne” del giornale,
unite attorno a una comune antipatia per i prevalenti assetti internazionali fondati sulla divisione
tra Est e Ovest e tra Nord e Sud del mondo, sono essenzialmente “terzomondiste”, ostili a qualsiasi
forma di imperialismo e piene di avversione per le armi nucleari e per il militarismo in tutte le sue
forme. Dalla prospettiva di sinistra, esse rappresentano una grande sfida e una grande
opportunità, nel concorrere, insieme con le altre donne del pianeta, ad abbattere il dominio delle
idee conservatrici e del patriarcato maschilista, e nel riesaminare insieme le grandi questioni
dell’agenda mondiale, a partire innanzitutto da quella della discriminazione di genere. A Città del
Messico si svolge nel 1975 la prima Conferenza Mondiale sulle donne. Tre obiettivi chiave
diventano la base per il lavoro in difesa delle donne: la piena uguaglianza fra i sessi e
l’eliminazione delle discriminazioni sessuali, l’integrazione e la piena partecipazione delle donne
allo sviluppo, un maggiore contributo delle donne nel rafforzamento della pace mondiale. Questa
grande mobilitazione spinge i vertici internazionali a proclamare i successivi dieci anni come il
“Decennio delle Nazioni Unite per le Donne” (1976-1985). Nel 1979, l’Assemblea generale delle
Nazioni Unite approva la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione
contro le donne, conosciuta come CEDAW.
Grazie all’impegno straordinario profuso negli anni, e alla diffusione militante “porta a
porta”, “Noi donne” raggiunge negli anni ‘70 il suo apice, con la massima tiratura di copie,
arrivando a punte di 600mila esemplari a numero. Sono davvero i suoi anni “ruggenti”. Negli anni
a seguire, il giornale affronta seri problemi finanziari, rischiando la chiusura della testata. Solo agli
albori degli anni duemila, grazie ad un suo riassestamento interno, ad una sua diversa
ricollocazione nel mercato editoriale, e alla professionalità che tante amiche mettono a sua
disposizione, il periodico, sotto la direzione di Tiziana Bartolini, assume rinnovato vigore. Oggi
“Noi Donne” è un network che edita un mensile cartaceo (pubblicato anche in versione pdf) e un
settimanale on line: NOIDONNE WEEK, ha un sito costantemente aggiornato
(www.noidonne.org), in cui sono pubblicati anche video diffusi attraverso una webtv che
trasmette su piattaforma Streamago. È presente e molto attivo nei social (Facebook e Twitter) e ha
una stretta collaborazione con il gruppo Tiscali.
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