No. 39 – Dicembre 2006 Servir - jrsmena.org · ne al problema dei rifugiati e degli sfollati...

12
Servir Servir Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati No. 39 – Dicembre 2006 In questo numero: contributi dall’Ecuador, dal Kenya, dalla Liberia, dalla Colombia e dallo Sri Lanka. Integrazione locale: molto più che una soluzione di lungo periodo

Transcript of No. 39 – Dicembre 2006 Servir - jrsmena.org · ne al problema dei rifugiati e degli sfollati...

SERVIR No. 39 – Dicembre 2006 1

ServirServir

Servizio dei Gesuit i per i Rifugiati

No

.

39

D

ic

em

bre

2

00

6

In questo numero: contributi dall’Ecuador, dal Kenya,dalla Liberia, dalla Colombia e dallo Sri Lanka.

Integrazione locale:molto più che una soluzione

di lungo periodo

2

EDITORIALE

Lluís Magriñà SJ

Integrazione locale – un dirittoIl contributo di rifugiati e sfollati...

Prodotti venduti

da un rifugiato aNairobi, Kenya,

all’interno delprogetto JRS

di Mikono

per attivitàgeneratrici

di reddito

“Il confinamento nei campi e

l’impossibilità di poter lavorarehanno isolato i rifugiati...”

Esistono tre soluzioni a lungo termi-ne al problema dei rifugiati e deglisfollati interni: il rimpatrio volon-

tario, il reinsediamento e l’integrazione lo-cale. Questo numero di Servir analizzaalcune problematiche legate all’integra-zione locale, sottolineando come un mag-gior rispetto dei diritti dei rifugiati e deglisfollati durante l’esilio possa favorire, an-ziché ostacolare, il rientro volontario.

In linea di principio, l’integrazione localerappresenta una garanzia di protezionedei diritti di rifugiati e sfollati interni, unaopportunità per poter prendere parte allavita economica e sociale della società cheli ospita e di conseguenza una possibilitàper aumentare la propria qualità di vita.

Spesso coloro che fuggono dalle perse-cuzioni e da situazioni di conflitto hannoperso tutto. Poter accedere a istruzio-ne, lavoro e servizi sociali dà loro mag-gior capacità di affrontare il rientro vo-lontario, qualora ve ne sia la possibilità,e di ricostruire le loro comunità. Nondi-meno, quando un numero significativodi sfollati decide di far ritorno a casa,può generare un effetto negativo sul red-dito delle comunità ospitanti, soprattuttonel caso in cui molti di loro siano piccoliimprenditori. È dunque importante chesia gli sfollati sia le comunità ospitantisiano aiutati ad acquisire le capacità gliuni degli altri, rafforzando così l’idea se-condo cui i rifugiati non sono solo un peso,ma anche una ricchezza.

Gli ostacoli all’integrazione non sono solodi natura legale. Come Viracocha e Mo-reno ci spiegano, alla base della discri-minazione nei confronti dei rifugiati vipuò anche essere la mancata conoscen-za dell’altro. Alcune iniziative partico-larmente innovative, soprattutto se rivol-te ai bambini, possono costituire unvalido strumento di lotta ai sentimenti di-scriminatori in entrambe le comunità.

Peeters osserva come in Kenya il man-cato rispetto dei diritti dei rifugiati costi-tuisca un ostacolo all’integrazione. Il con-finamento nei campi profughi e l’impos-sibilità di poter lavorare hanno isolato irifugiati ed esposto i più vulnerabili ai mag-giori rischi. La nuova legge sui rifugiatidovrebbe facilitare il loro accesso ai ser-vizi di base e al mercato del lavoro, eproteggerli dalla detenzione arbitraria.

Gli sfollati interni hanno difficoltà simili airifugiati nel loro tentativo di integrarsi nellecomunità locali, come indicano de Villainee Bustillo. In Liberia hanno bisogno disupporto finanziario, formazione e servi-zi di base per potersi integrare, ma nonbisogna dimenticare che anche le comu-nità locali devono affrontare problemi discarsità di risorse. In questo caso le agen-zie di sviluppo dovrebbero assicurare cheanche le comunità locali abbiano acces-so ai servizi e alla formazione che offro-no agli sfollati, in modo da creare le con-dizioni per un rapporto armonioso tra idue gruppi. In Colombia vediamo comelo Stato non riesce a proteggere i cittadi-ni, non solo ignorandone i bisogni, ma spin-gendoli a rientrare nelle loro regioni d’ori-gine senza adeguate misure di sicurezza.

Newman paragona la situazione attua-le dei rifugiati con quella passata, quan-do non potevano studiare: oggi i rifugiatidello Sri Lanka possono almeno frequen-tare le scuole locali e spesso accederea corsi di formazione. Tutto ciò offre lapossibilità a molti, soprattutto bambine,di diventare autonomi economicamen-te. Sia che decidano di rimanere o diritornare a casa, il loro contributo all’In-dia sarà stato positivo.

La possibilità di offrire soluzioni durevolia rifugiati e sfollati, soprattutto in rela-zione all’integrazione locale, dipende inlarga parte dalla risposta delle comunitàospitanti. Molte volte la Bibbia ci invitaad «accogliere lo straniero come fossenostra sorella o nostro fratello». In que-ste parole va cercata la vera soluzione.

Lluís Magriñà SJ, direttoreinternazionale del JRS

SERVIR No. 39 – Dicembre 2006 3

ECUADOR

José Viracocha e Paola Moreno

SERVIR No. 39 – Dicembre 2006

Il processo ‘Panitas y Parceros’Come il gioco può diventare strumento di lotta contro i pregiudizi

“...hanno avuto la possibilità di cambiare i sentimenti

negativi che nutrivano gli uni nei confronti degli altri...”

Costretti ad abbandonare i loro paesi, i migranti entra-no quotidianamente in contatto con culture diversedalle loro. Per un verso, l’apparente assimilazione

delle minoranze nella cultura dominante nasconde un’espe-rienza quotidiana di razzismo, emarginazione e violenza; perun altro invece, la loro interazione è anche espressione diuna convivenza pacifica basata sul rispetto e sul dialogo.

Questa coesistenza pacifica, che è un aspetto necessariodell’integrazione locale, non è tuttavia sufficiente. L’inte-grazione delle minoranze, in questo caso circa 250.000rifugiati colombiani, nella società ecuadoregna non potràmai essere completa se a questi ultimi viene impedito l’ac-cesso ai servizi sociali di base o agli spazi comuni, fonda-mentali al loro sviluppo individuale.

Per facilitare questo processo di integrazione, il JRS Ecua-dor ha deciso di concentrarsi sull’accompagnamento deirifugiati colombiani che vivono a Quito, soprattutto dei bam-bini. Oltre al bisogno di poter accedere al sistema educa-tivo locale, questo gruppo particolarmente vulnerabile haanche bisogno di sviluppare una serie di atteggiamenti econvinzioni che li aiutino a combattere gli stereotipi nega-tivi con cui spesso i rifugiati vengono additati.

Così, per poter assistere questi bambini, nel 2005 il JRSEcuador decise di lanciare un progetto per la promozionedell’intercultura e della tolleranza, conosciuto come pro-cesso ‘Panitas y Parceros’, parole che significano “amici”rispettivamente nelle parlate colombiana ed ecuadoregna.

Nell’agosto dello scorso anno, più di 50 bambini colombianied ecuadoregni provenienti da cinque quartieri di Quito han-no partecipato a un campo estivo durato due settimane,durante il quale hanno avuto la possibilità di cambiare i sen-timenti negativi che nutrivano gli uni nei confronti degli altrie che costituiscono un grosso ostacolo all’integrazione.

L’iniziativa si rivelò essere un tale successo che nell’apri-le del 2006 il JRS organizzò un incontro ‘Panitas y Parceros’tra ragazzi e gruppi artistici giovanili delle città di Quito eIbarra. I partecipanti all’incontro, più di 90 tra colombiani,

ecuadoregni e peruviani, hanno creato una rete giovanileper la promozione dell’espressione artistica come mezzodi difesa dei diritti dei migranti e dei rifugiati.

Quest’anno, il JRS ha organizzato un corso di formazioneintensivo della durata di tre mesi sulla migrazione, l’asilo e ilmulticulturalismo diretto a un centinaio di formatori, molti deiquali rifugiati. Il corso permetteva di acquisire gli strumentipedagogici e metodologici per la promozione interculturale ela comprensione reciproca, da usare nei futuri campi estivi.

In seguito, i membri di questo nuovo movimento hanno or-ganizzato diversi eventi a carattere artistico con lo scopo dicreare una maggiore consapevolezza in materia di migra-zioni e asilo politico. La ricchezza di queste attività non ri-siede solo nel loro valore artistico, ma anche nel modo cre-ativo e intelligente con cui viene dato spazio alla diversità, adimostrazione del fatto che l’ignoranza dell’altro alimenta ilpregiudizio. Ad esempio, alcuni giovani artisti hanno usatocanzoni hip hop per affrontare l’argomento dell’asilo a Qui-to e il conflitto che essi vivono con la società in generale.

Il processo ‘Panitas y Parceros’, anche se estremamentepositivo, ci dimostra quanto ci sia ancora da fare per mi-gliorare il processo di integrazione. Il JRS riconosce lanecessità di sviluppare ulteriormente metodologie analo-ghe e adeguate all’età dei beneficiari, che incoraggino unapartecipazione consapevole tanto dei colombiani che degliecuadoregni alle attività di promozione dell’intercultura.

José Viracocha ePaola Moreno, JRS Ecuador

Partecipazione di bambini al processo ‘Panitas y Parceros’

4

Durante gli anni ’90, il Kenya ha rice-vuto un numero consistente di rifu-giati. Incapace di gestire flussi così

ampi, il governo del Kenya chiese il suppor-to dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Ri-fugiati (UNHCR), portando all’adozione diuna politica di “encampment”, ovvero di si-stemazione in campi profughi, anche se ilConsorzio per i Rifugiati del Kenya (RCK –Refugee Consortium Kenya) stima che aNairobi vivano tra i 60 e i 100.000 rifugiati.

I campi, situati lontano dalle aree urbane, sonotagliati fuori dalla società keniota e le condi-zioni di sicurezza, soprattutto per quanto ri-guarda la violenza domestica e sessuale, co-stituiscono un enorme problema. Alcunirifugiati vivono nei campi da più di 15 anni,alcuni vi sono addirittura nati. Nonostante ciò,i rifugiati che lasciano i campi vengono con-siderati degli immigrati illegali a cui vengononegati protezione legale e supporto materialeda parte sia del governo che dell’UNHCR.

Anche se il governo è firmatario della con-venzione internazionale sui rifugiati, in Kenya

manca ancora una legislazione che ne sanci-sca i diritti, in quanto ogni disposizione in ma-teria deve passare il vaglio del Parlamentoper diventare operativa. Nel 1991 venne pro-posto un disegno di legge sui rifugiati che nonfu poi approvato. Nel maggio del 2006 è statonuovamente sottoposto all’attenzione del Par-lamento ed è attualmente all’esame di unacommissione parlamentare. Se venisse pro-mulgato costituirebbe uno strumento impor-tante per rimuovere alcuni ostacoli che impe-discono l’integrazione locale dei rifugiati.

Secondo un’inchiesta del RCK condotta nel2005, anche quei rifugiati che sono in pos-sesso dei documenti d’identità rilasciati dallaUNHCR sono passibili di soprusi da partedella polizia, che per lo più non è informatasui problemi dei rifugiati e difficilmente ac-cetta come validi dei documenti di identità chenon siano rilasciati dalle autorità governative.

Nel mese di agosto, il JRS ha organizzato aNairobi una giornata dedicata agli studentirifugiati che beneficiano del programma diborse di studio del JRS. In quel periodo uno

Anne Peeters

L’ingresso del

campo profughidi Kakuma,

nord del Kenya

KENYA

L’integrazione locale dipend

“Alcuni rifugiativivono nei

campi da più

di 15 anni...”

Come le leggi possono fare la differenza

SERVIR No. 39 – Dicembre 2006 5

degli studenti si trovava nel campo di Dadaab,nel Kenya meridionale, dove si era recatoper visitare i genitori durante le vacanze diNatale. Mentre si trovava sull’autobus chel’avrebbe portato all’appuntamento con ilJRS venne fermato per un controllo dallapolizia che sfortunatamente non riconobbecome validi né il permesso di viaggio rila-sciato dall’UNHCR né la sua carta di stu-dente e lo arrestò tenendolo in custodia perdue giorni: per questo studente era impos-sibile ottenere un documento di identità ri-lasciato dalle autorità del paese.

Se dovesse passare il disegno di legge in esa-me, tutto questo cambierebbe. Il progetto pre-vede la concessione ai rifugiati e ai richie-denti asilo politico di carte d’identità o per-messi; prevede inoltre che vengano rilasciatianche dei documenti di viaggio. Se i rifugiatipotessero ottenere delle carte d’identità rila-sciate dalle autorità governative, ciò ridur-rebbe la possibilità di subire soprusi da partedelle autorità e si incoraggerebbero i rifugia-ti ad abbandonare l’anonimato. Sarebbe inol-tre più semplice per la polizia distinguere unrifugiato da un immigrato, migliorando cosìla possibilità di usufruire di servizi educativie sanitari, ma anche di alloggio e di impiego.

Senza una carta di identità facilmente rico-noscibile è praticamente impossibile per i ri-fugiati trovare un lavoro – quelli che lo trova-no sono costretti a rivolgersi al settore infor-male e sono pertanto continuamente a rischiodi essere scoperti dalle autorità e sono talvol-ta costretti a pagare il “pizzo”. I rifugiati chelavorano in proprio devono pagare sommeproibitive ai kenioti che si prestano a regi-strare la loro piccola impresa sotto il proprionome. Il rilascio di carte di identità risolve-rebbe molti di questi problemi. La legge suirifugiati prevede inoltre delle disposizioni spe-cifiche per il lavoro dei rifugiati: con il nuovodisegno di legge potrebbero lavorare, anchese sotto determinate condizioni, e avere lostesso diritto dei kenioti a creare un’impresa.

Il passaggio della legge aumenterebbe il loroaccesso ai servizi, incoraggerebbe l’autosuf-ficienza e promuoverebbe i diritti dei rifugiatiaumentando le possibilità di una loro più com-

Un rifugiato urbanomozambicano

assistito dal JRS aNairobi, Kenya

e dai diritti

pleta integrazione. Tuttavia il disegno di leggeè lungi dall’essere perfetto: alcune delle suedisposizioni impediscono l’integrazione e nonè chiaro che cosa ne sarà delle politiche di“encampment” poiché il governo manterreb-be il diritto a designare i centri di transito e icampi per rifugiati. Anche se bisogna dire chesono comprese delle disposizioni che permet-terebbero ai rifugiati, con un permesso speci-fico, di vivere al di fuori delle aree designate.

Il progetto di legge costituisce comunque unimportante passo avanti per la promozionedei diritti dei rifugiati in Kenya, aumentandola loro potenziale integrazione locale. Essooffre delle opportunità concrete ai rifugiatiche cercano delle soluzioni stabili al loro esi-lio; ma se le autorità del paese si ostineran-no a richiedere che essi risiedano in campidi transito o nei campi profughi questi conti-nueranno a rimanere isolati dalla societàkeniota, il che equivale in pratica a impedirela loro integrazione lasciandoli così dipenden-ti dalle organizzazioni umanitarie per poterfar fronte ai loro bisogni fondamentali comeil cibo, le cure mediche e l’alloggio. Se il di-segno passasse al vaglio del Parlamento, saràimportante vedere come il governo decide-rà di applicare le varie disposizioni. Nel no-stro ruolo di protettori dei diritti dei rifugiatinon abbiamo solo il dovere di pretendere unalegislazione che salvaguardi la loro autono-mia e la loro dignità, ma dobbiamo ancheassicurarci che i loro diritti vengano effetti-vamente rispettati.

“I rifugiati chelavorano in

proprio devono

pagare sommeproibitive ai

kenioti... Il rilasciodi carte di identitàrisolverebbe molti

di questiproblemi.”

Anne Peeters, responsabileregionale per l’advocacy,JRS Africa orientale

5

6

Lo sviluppo locale, basilare

per l’integrazione locale

Lo scorso aprile sono stati ufficialmen-te chiusi i campi che ospitavano lapopolazione liberiana sfollata duran-

te i 14 anni di conflitto civile, completandocosì l’operazione di rientro di circa 320.000persone. Nonostante il governo liberiano ela Missione delle Nazioni Unite in Liberiaabbiano celebrato l’evento come la fase fi-nale del processo di rientro, iniziato nel 2003,un anno dopo l’accordo di pace di Accra, edurato due anni, migliaia di sfollati interninon sono ritornati alle proprie case.

Un’indagine svolta dall’agenzia per i rifugiatidelle Nazioni Unite (UNHCR) ha rilevatoche il dieci per cento circa degli sfollati in-terni continuano a risiedere nei 35 campiprofughi di Montserrado, Margibi e Bong,non lontani dalla capitale Monrovia. In moltihanno scelto infatti di rimanere in questi luo-ghi e di provare a integrarvisi. Le ragioni peruna scelta di questo tipo sono varie: alcuni sisono sposati con persone appartenenti alle

Renaud de Villaine

comunità locali, altri temono il ritorno a casao che non sarebbero in grado di sopravvive-re senza avere accesso a servizi sanitari ededucativi di base, o a un lavoro.

Tre quarti delle scuole sul territorio liberia-no sono state distrutte durante la guerra,così molte famiglie sono rimaste nei campiprofughi per dare la possibilità ai propri figlidi terminare la scuola. Lo stesso è accadu-to per le cure sanitarie: la carenza di infra-strutture nelle regioni di rientro ha spintomolti sfollati, in particolare anziani, malati edisabili, a stanziarsi nei pressi di Monrovia.

Molti fra coloro che sono ritornati a casasopravvivono grazie alla solidarietà dellafamiglia, mentre coloro che non possonocontare su un supporto familiare e non rie-scono a integrarsi nelle comunità locali – inparticolare donne e vedove – spesso han-no scelto di stabilirsi laddove sono stati ingrado di sviluppare relazioni e amicizie.

Gli sfollati interni e l’assistenza di base

Progetto del

JRS per laricostruzione

delle scuole,Liberia

6

“...vi è il rischioreale cheemergano

tensioni fra iproprietari terrieri

e gli sfollati...”

SERVIR No. 39 – Dicembre 2006 7

LIBERIA

La gran parte delle organizzazioni umani-tarie ha seguito la maggioranza degli sfol-lati, che sono tornati a casa – prevalente-mente nelle contee di Lofa, Gparpolu eBomi, nella zona centrale e nord-occiden-tale della Liberia. Spesso però queste or-ganizzazioni non hanno previsto un periododi transizione prima di lasciare i campi pro-fughi. Per incentivare gli sfollati a tornarea casa, alcune hanno addirittura smantella-to tutte le attrezzature che avevano instal-lato nei campi. Qualsiasi siano le ragioni, lecomunità locali che hanno accolto migliaiadi connazionali costretti a fuggire dalla vio-lenza delle fazioni armate e coloro che nonhanno voluto o potuto tornare a casa, oggisono completamente dimenticati.

Il JRS ha costruito una dozzina di scuole nellevicinanze dei campi, nelle contee di Mont-serrado e Bong, ma non è che una goccianell’oceano. Le comunità si trovano infattia competere fra loro per accedere alle po-che risorse, rischiando in questo modo dimettere in difficoltà il già delicato equilibrioesistente. La disponibilità di terra, di servizidi base e di lavoro incide molto sul modo incui viene percepita la presenza degli sfolla-ti interni. Forse il processo di rientro potràanche essere ufficialmente concluso, ma lacomunità internazionale non si deve dimen-ticare della Liberia. La sfida dell’integra-zione degli sfollati è appena iniziata.

Progetto delJRS per la

ricostruzione

delle scuole,Liberia

Un altro elemento che è stato rilevato è chealcuni degli sfollati che erano tornati ai loroluoghi di origine sono rientrati nei campi.Spesso sono stati gli uomini i primi a lasciarele famiglie al campo per andare a verificarela situazione. Trovando condizioni di vita trop-po difficili nei villaggi di origine, hanno deci-so di tornare alle proprie famiglie e ai propribambini. Molti di loro accusano le NazioniUnite di non aver fornito le sementi e gli stru-menti agricoli necessari per ricominciare.Almeno, nei dintorni dei campi, sono nellecondizioni di trovare qualche piccolo lavo-retto, riuscendo così a sopravvivere.

A differenza di molti rifugiati, gli sfollati in-terni hanno, come i loro connazionali, il di-ritto di muoversi liberamente all’interno delterritorio liberiano, ma l’integrazione è qual-cosa di più di un diritto. Qualsiasi siano leragioni per cui gli sfollati scelgono di rima-nere nei campi profughi, il successo dellaloro integrazione locale dipende prima ditutto dalla possibilità di poter lavorare laterra, di poter trovare lavoro, di poter usu-fruire di alcuni servizi di base e di essereaccettati dalle comunità ospitanti.

Sfortunatamente, soltanto in pochi casi glisfollati hanno raggiunto un accordo con iproprietari delle terre che essi continuanoa occupare. Questi ultimi considerano lapresenza degli sfollati sulle proprie terrecome un fatto puramente temporaneo. Senon si troverà un’intesa per il futuro, vi è ilrischio reale che emergano tensioni fra iproprietari terrieri e gli sfollati che deside-rano rimanere. Questa situazione, se lascia-ta irrisolta, rischia di rendere sempre piùtese le relazioni con le comunità locali.

In questo contesto gli aiuti umanitari sonodi primaria importanza. Costituendo un so-stegno allo sviluppo delle comunità locali,di fatto facilitano l’integrazione degli sfol-lati. I bisogni presenti nelle aree in cui sonosorti i campi, di fatto, sono gli stessi cheesistono nelle aree di ritorno. Le case sonoin condizioni precarie e le infrastrutture sa-nitarie ed educative devono essere ricostru-ite. Laddove i servizi offerti agli sfollati ven-gono resi disponibili anche alle popolazionilocali, il loro impatto diventa molto più be-nefico. Quando ciò non succede, invece,possono generare un senso di ingiustizia erisentimento nei confronti dei rifugiati.

“Il JRS ha

costruito unadozzina di

scuole...ma non è cheuna goccia

nell’oceano.”

Renaud de Villaine,responsabile dell’advocacye della comunicazione,JRS Liberia

8

COLOMBIA

8

Juan Manuel Bustillo

La stima del numero degli sfollati in-terni in Colombia varia dai due ai tremilioni e mezzo di persone. La legge

ha conferito loro una protezione specifica;protezione che ha compreso l’accesso a pro-getti lavorativi, finanziamenti per l’avvio dipiccole imprese e l’acquisto di terreni, servi-zi educativi, sanitari e di assistenza domesti-ca. La legge inoltre prevede un’assistenzaparticolare per i bambini, le donne e gli an-ziani. Sfortunatamente, però, esiste un diva-rio enorme fra i diritti degli sfollati scritti sul-la carta e la loro effettiva applicazione.

Sono molti a essere sfollati molti anni fa ein questo tempo poco è stato fatto per faci-litare una loro integrazione nelle aree in cuihanno trovato rifugio. Al contrario sono statifatti migrare con la forza da una città al-l’altra, da un quartiere all’altro, costretti avivere in cambuches sovraffollate (barac-che di cartone, plastica e lamiere), costrettia fuggire, sotto la minaccia di violenze elanguendo ai margini della società.

Nella città di San Pablo, in un’area control-lata dai gruppi paramilitari di destra appog-giati dallo Stato, che ora operano sotto levesti di agenzie di sicurezza private, la mag-gior parte degli sfollati viene dalla vicinacampagna. Sono fuggiti dal conflitto fra leforze governative e i guerriglieri della sini-stra e dagli spargimenti aerei di insetticidiper distruggere le piantagioni di coca e sonoapprodati in un ambiente di paura, caratte-rizzato da un elevato numero di omicidi.

Nel 2003, 32 famiglie che si sono rifugiatea Buga, nella parte occidentale della Co-lombia, hanno fatto domanda all’Istituto Co-munale per la Riforma Urbana e le Abita-zioni, per ottenere dei sussidi per la casa.Dopo un mese sono stati informati che l’Isti-tuto era stato chiuso e che la responsabilitàper le abitazioni degli sfollati era passata alFondo Nazionale per le Abitazioni.

Come risposta hanno allora avviato un’azio-ne legale nei confronti dello Stato. Dopo aver

Abitazione diuna famiglia

sfollata inColombia

L’inattività dello Stato ostacola l’integrazione locale

“...sono stati fatti

migrare con laforza da una

città all’altra...

costretti a viverein cambuches

sovraffollate...”

Ancora nessuna soluzioneAncora nessuna soluzione

per gli sfollati interni

SERVIR No. 39 – Dicembre 2006 9

Le istituzioni pubbliche hanno risposto conlentezza e a modo loro alle raccomanda-zioni della Corte. Molte delle misure messein atto hanno mostrato tutta la loro limita-tezza e hanno soltanto esteso agli sfollati igià deboli servizi sociali ordinari. Spessomanca l’assistenza necessaria per svilup-pare soluzioni concrete: dopo una visitamedica non vengono fornite le medicineprescritte; i bambini sfollati a cui è statoassegnato un posto a scuola non hanno nes-suna garanzia che questo sia permanente ei pochi che hanno ricevuto gli aiuti per l’ac-quisto delle terre, si trovano a condividere iloro progetti con i paramilitari smobilitati.

Recentemente, Walter Kälin, Commissariospeciale per il Segretario generale delle Na-zioni Unite per i diritti degli sfollati interni,ha sottolineato come le raccomandazionifatte nel 1999 dal suo predecessore sianostate ignorate e che oggi le autorità colom-biane non offrono agli sfollati valide alter-native al ritorno a casa, né tanto meno liaiutano a integrarsi in aree più sicure dellaColombia. Solo quando le autorità appliche-ranno la legge e le sentenze della Corte, cosìcome le raccomandazioni internazionali, glisfollati interni saranno in grado di sceglieresoluzioni sicure e dignitose.

COLOMBIA

vinto la causa, dieci di queste famiglie ave-vano perso il titolo per ricevere assistenza,in quanto i loro nomi erano stati cancellatidal Sistema di Registrazione per gli Sfollati(SUR); apparentemente c’era stato “un er-rore nell’immissione dei loro nominativi”.L’anno seguente, le stesse dieci famigliehanno fatto appello contro la decisione chenegava loro gli aiuti, vincendo la causa. Nelluglio del 2006, solo 11 delle 32 famiglie cheavevano fatto richiesta hanno ricevuto un’uni-ca assegnazione di 503 $USA, appena suf-ficienti per acquistare un’abitazione.

In altre aree, sotto la giurisdizione di diverseautorità locali, la situazione è simile. Nell’apri-le del 2006, 345 famiglie appena sfollate nel-la parte nord della città di San Pablo, erano inattesa di essere registrate presso il SUR perricevere gli aiuti statali. Nonostante le prote-ste, cinque mesi dopo la situazione non erastata ancora risolta. Gli sfollati devono aspet-tare mesi interi prima che una qualunque de-cisione, come il semplice inserimento del loronominativo nel SUR, venga presa, e possanocosì ricevere un aiuto di emergenza. Talvoltasono costretti ad aspettare anche un annoprima che i loro bambini trovino un posto ascuola, o prima che possano beneficiare diun sostegno per l’avvio di un’attività o abbia-no accesso a una casa o alla terra.

Di fronte all’inerzia del governo, nel 2003,un gruppo di 80 famiglie sfollate e senzacasa ha occupato un’area sotto la giurisdi-zione delle autorità di San Pablo, oggi cono-sciuta come El Bosque, costruendo dellecambushes. Oggi l’insediamento è cresciuto,anche se le autorità comunali si rifiutano diriconoscere la sua presenza fornendo l’ac-qua potabile, le fognature o l’elettricità.

Nel 2004 una sentenza della Corte Costitu-zionale denunciò la grave e continua viola-zione dei diritti degli sfollati nel paese, comerisultato dell’inattività dello Stato. La Corteha ribadito che non esistono deroghe allaviolazione dei diritti degli sfollati riconosciutidalla Costituzione e alle linee guida delleNazioni Unite sugli sfollati interni: il dirittoalla sicurezza fisica e psicologica, a viverecon la propria famiglia, a condizioni di vitadignitose, a non essere oggetto di discrimi-nazioni, all’educazione e alla possibilità diritornare alle proprie case o di integrarsinelle comunità ospitanti.

Abitazione diuna famiglia

sfollata inColombia

Juan Manuel Bustillo,JRS Colombia

“Talvolta sono

costretti adaspettare anche

un anno primache i loro bambinitrovino un posto

a scuola...”

9

10

In seguito allo scoppio della guerra civilein Sri Lanka nel 1983, ondate di cingalesicercarono rifugio in India. Vi rimasero

fino al 1987 quando vennero rimpatriati, maallorché il conflitto civile scoppiò nuovamente,nel 1990, i rifugiati ritornarono in India, dovefurono accolti benevolmente e trovarono unabuona sistemazione. Questa situazione peròera destinata a cambiare in seguito all’as-sassinio dell’ex primo ministro indiano, RajivGandhi, avvenuto presumibilmente per manodi militanti tamil. In seguito a questo fatto irifugiati cingalesi cominciarono a essere vi-sti come una minaccia e dal 1992 fino al 1996fu impedito loro l’accesso ai servizi di base.

Godwyn, un giovane rifugiato tamil dello SriLanka, ha subìto direttamente le conseguen-

Paul Newman

Bambini

dello

Sri Lankarifugiati

in India

L’istruzione comeintegrazione socialeAiutare i rifugiati ad affrontare il futuro

ze di questo cambio repentino nella politicadi accoglienza. Rifugiatosi in India insiemealla madre e ai suoi tre fratelli, venne tra-sferito in uno dei 102 campi profughi esi-stenti, dove frequentava la scuola con pro-fitto fino a quando, in seguito all’uccisionedi Rajiv, lo stato del Tamil Nadu decise divietare ai rifugiati cingalesi di frequentarele scuole pubbliche. Senza un lavoro e sen-za nulla di cui occuparsi, Godwyn non sa-peva cosa fare. Egli attribuisce la sua tur-bolenza adolescenziale al deterioramentodelle condizioni sociali nel campo e alle dif-ficoltà legate al vivere in un ambiente con-finato e sovraffollato. In quel periodo, l’am-biente sociale in cui vivevano molti giovanirifugiati cingalesi si deteriorò drasticamen-te, come dimostra l’evidenza empirica che

“...le malattiecroniche,

i matrimoni in etàadolescenziale,

le ragazze madri,

l’alcolismo e isuicidi sono

fenomeni inaumento.”

10

SERVIR No. 39 – Dicembre 2006 11

SRI LANKA

associa a bassi livelli di istruzione una mag-giore incidenza di comportamenti anti-sociali.

Fortunatamente, nel 1996 i bambini dei cam-pi furono nuovamente ammessi a scuola eda allora, dopo essere stati sradicati dal pro-prio ambiente e costretti a fuggire, il proces-so di ricostruzione della propria vita in un am-biente totalmente nuovo ha costituito una co-stante della loro esistenza. L’istruzione ha gio-cato un ruolo molto importante nel processodi integrazione culturale, sociale ed economi-ca all’interno della società indiana di questigiovani studenti, offrendo loro la possibilità didare il proprio contributo alla vita locale tra-mite la loro presenza sul mercato del lavoro.

Oltre ad alimentare la loro autostima, di cuihanno grande bisogno, l’istruzione ricevutaha dato a loro e alla loro comunità una buonareputazione. Sebbene generalmente non ab-biano accesso alla formazione professionale,poiché i rifugiati dello Sri Lanka non possonofrequentare gli istituti professionali, alcuni diloro vengono aiutati da dei benefattori a fre-quentare degli istituti privati. La comunità deicingalesi oggi può vantare al suo interno me-dici, ingegneri, avvocati, ricercatori di diver-se discipline e molti tra loro hanno ottenutoun diploma universitario in materie scientifi-che o commerciali. Gli istituti a cui apparten-gono questi studenti sono orgogliosi del loroimpegno, serietà e competenza.

Inoltre, il poter ricevere un’istruzione ha co-stituito un importante diversivo per molti gio-vani rifugiati, aiutandoli a superare il trau-ma dell’esilio e dando loro la possibilità dicontribuire in modo concreto allo sviluppodel paese che li ospita.

Tuttavia, la prolungata permanenza nei campiprofughi ha peggiorato le condizioni di vita dimolti giovani, che sono spesso costretti aconvivere con una situazione di forte disagiosociale: le malattie croniche, i matrimoni inetà adolescenziale, le ragazze madri, l’alco-lismo e i suicidi sono fenomeni in aumento.L’essere costretti continuamente a spostar-si da un campo all’altro influisce negativa-mente sulla coesione sociale e toglie conti-nuità al processo educativo. Questo è unproblema soprattutto per le ragazze che de-vono iscriversi a una nuova scuola ogni vol-ta che cambiano di campo – cosa che spes-so i loro genitori sono restii ad accettare.

Bambini dello

Sri Lankarifugiati in India

Per questo motivo il JRS fornisce servizi dieducazione elementare e superiore avvalen-dosi dell’aiuto di 29 coordinatori volontari,provenienti sia dalla comunità locale che daquella rifugiata, e del lavoro di 258 insegnanti.L’intera squadra fornisce un’ampia gammadi servizi educativi – dalla fornitura di mate-riale e sostegno finanziario alla formazioneper insegnanti, dai programmi di sostegnodurante le vacanze alla formazione tecnica– che hanno l’obiettivo di aiutare la popola-zione rifugiata a integrarsi nella società.

Grihini è un programma del JRS che offreservizi di educazione personale, cucito, ri-camo, maglia e artigianato ed è diretto a unodei gruppi più vulnerabili, quello delle bam-bine che abbandonano la scuola. Spesso de-motivate e socialmente emarginate, molteragazze rifugiate vengono costrette a spo-sarsi in giovane età e per sopravvivere de-vono adattarsi ad attività rischiose. Il pro-gramma Grihini le aiuta a ricostruirsi unavita, migliora le capacità della comunità ri-fugiata femminile, reintegra le ragazze nel-la comunità e le aiuta a trovare un lavoro eottenere un miglior livello di indipendenza.

Sia che rimangano in India o che, come so-gna la maggior parte di loro, ritornino nelloro paese a ricostruire una nazione strazia-ta dal conflitto civile e dagli effetti dello tsu-nami del dicembre 2004, l’educazione avràofferto ai rifugiati la possibilità di essere piùpadroni del proprio destino. Anche se nonpotrà risolvere tutti i loro problemi, senzaun’educazione il loro futuro sarebbe certa-mente più grigio.

“Spesso

demotivate esocialmenteemarginate,

molte ragazzerifugiate vengono

costrette asposarsi in

giovane età...”

PaulNewman,responsabileregionaleper l’attivitàdi advocacy,JRS Asiameridionale

12

www.jrs.net

• Sostenere un rifugiato per unanno nell’area urbana di Kam-pala, Uganda

$22 USA

• Offrire un anno di istruzione aun bambino nel campo di Lainé,Guinea

$40 USA

• Promuovere i diritti di un rifugia-to nel campo di Kakuma, inKenya, per un anno

$45 USA

• Offrire un anno di istruzione aun bambino in Thailandia

$55 USA

• Offrire un anno di istruzione aun bambino in Costa d’Avorio

$140 USA

• Fornire per un anno a un rifu-giato in Addis Abeba, Etiopia, unaserie di servizi sociali

$500 USA

Il vostro continuo sostegno rende possibile per noi l’aiuto ai rifugiati e richiedentiasilo in più di 50 nazioni. Se desideri fare una donazione, compila per cortesia il

tagliando e spediscilo all’ufficio internazionale del JRS. Grazie per l’aiuto.(Si prega di intestare gli assegni all’ordine del Jesuit Refugee Service)

SOSTIENI IL NOSTRO LAVORO CON I RIFUGIATI

Desidero sostenere il lavoro del JRS

Ammontare della donazione

Allego un assegno

Cognome:

Indirizzo:

Nome:

Codice postale:Città:

Nazione:

Telefono:

Email:

Fax:

Per trasferimenti bancari al JRS

Banca:

Nome del conto:

Numeri del conto:

Banca Popolare di Sondrio, Roma (Italia), Ag. 12

ABI: 05696 – CAB: 03212 – SWIFT: POSOIT22JRS

• per euro: 3410/05 IBAN: IT 86 Y 05696 03212 000003410X05

• per dollari USA: VAR 3410/05

IBAN: IT 97 O 05696 03212 VARUS0003410

La missione del JRS è quelladi accompagnare, servire e

difendere i diritti dei rifugiatie degli sfollati, specialmentecoloro che sono dimenticati ela cui situazione non attiral’attenzione internazionale.Lo facciamo attraverso i nostriprogetti in più di 50 paesi intutto il mondo, dandoassistenza tramite istruzione,assistenza medica, lavoropastorale, formazioneprofessionale, attivitàgeneratrici di reddito e moltealtre attività e servizi airifugiati.

Il JRS può contare soprattuttosu donazioni da parte diprivati, di agenzie di sviluppoe organizzazioni ecclesiali.

Alcuni esempi di come

vengono utilizzatii fondi del JRS:

Come aiutare una persona Servir è pubblicato in marzo,settembre e dicembre dalJesuit Refugee Service,creato da P. PedroArrupe SJ nel 1980.

Il JRS, un’organizzazionecattolica internazionale,accompagna, serve e difendela causa dei rifugiati e deglisfollati.

Direttore:

Francesco De Luccia SJ

Direttore Responsabile:

Vittoria Prisciandaro

Produzione:

Stefano Maero

Assistente alla produzione:

Sara Pettinella

Servir è disponibilegratuitamente in italiano,

inglese, spagnolo e francese.

e-mail: [email protected]

indirizzo: Jesuit Refugee Service

C.P. 613900195 Roma Prati

ITALIA

tel: +39 06 6897 7386

fax: +39 06 6880 6418

Dispatches, un bollettino di

notizie quindicinale dell’UfficioInternazionale del JRS che

riporta notizie sui rifugiati e

aggiornamenti sui progetti e leattività del JRS, è disponibile

gratuitamente via e-mail initaliano, inglese, spagnolo

o francese.

Per abbonarsi a Dispatches:

http://www.jrs.net/lists/manage.php

Foto di copertina:

Campo profughi di Kakuma,nord del Kenya.

Foto di Sara Pettinella/JRS.

Foto di:

Sara Pettinella/JRS (pp. 2 in alto,4, 5); JRS Ecuador (p. 3);

JRS Liberia (pp. 6, 7); Ana LuciaArias Vanegas/JRS (pp. 8, 9);

Max Martin/JRS (pp. 10, 11);

Mark Raper SJ/JRS (p. 12).