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Gruppo Dipartimento di Sociologia Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano Interstizi & Intersezioni N N e e w w s s M M A A G G A A Z Z I I N N E E I I n n t t e e r r s s t t i i z z i i & & I I n n t t e e r r s s e e z z i i o o n n i i n n . . 2 2 3 3 , , A A u u t t u u n n n n o o 2 2 0 0 1 1 1 1 In mezzo alla vita accade che la morte venga a prendere le misure dell’uomo. Quella visita si dimentica e la vita continua. Ma il vestito si cuce in silenzio. (Tomas Tranströmer, Premio Nobel 2011 per la Letteratura) Cari destinatari, ogni settimana, ogni giorno oramai ci accorgiamo sulla nostra pelle del mutamento sociale, di quel social change che mobilitò l’attenzione di coloro che fondarono più di un secolo fa la Sociologia. L’entità e l’accelerazione dei mutamenti a cui la nos tra vita quotidiana va incontro nel contesto attuale, più o meno dalla svolta del nuovo millennio, è impressionante anche se paragonata a pochi decenni fa: basti citare le parole informatica-internet, biotecnologie, globalizzazione, crisi economico- finanziaria. In Italia poi si è vissuto per anni in una situazione di anomalia politica che non ha riscontro in altri paesi a noi vicini: il risultato più evidente è stato il disastro etico e insieme la perdita di fiducia nelle Istituzioni che pervade giovani e meno giovani, pregiudicando il futuro del nostro meraviglioso paese. In un articolo recente, scritto nell’acme della crisi finanziaria attuale, l’ex-presidente Ciampi ha richiamato l’importanza che i paesi europei riprendano coscienza della loro memoria e riacquistino fiducia nelle loro grandi potenzialità, nel contributo essenziale che possono dare ad un mondo globalizzato. E’ un messaggio positivo che vorremmo fare nostro, perché bene si accorda anche con una visione delle Scienze sociali umanistica e sensibile all’etica quale il nostro Newsmagazine e il nostro Gruppo con le sue modeste forze porta avanti da anni. Con i migliori saluti e auguri. Giovanni Gasparini SOMMARIO 1. Incontri Forum su “Scrivere a tutto campo- a cura di Cristina Pasqualini (Cristina Pasqualini, Michela Bolis, Silvia Cortellazzi) - Claudia Mazzucato, Ciclo seminariale “Giustizia e letteratura (Law and Literature)” - Giusi Venuti, Farsi da parte per Essere Parte. Riflessioni sugli spazi della convivenza oggi - OssCom (a cura di), Tracce Creative: otto conversazioni sui percorsi della creatività nell’industria culturale in Italia 2. Libri & Scritti - Vanni Codeluppi, Chi sta uccidendo la Tv? - Alida Airaghi, Tempo di Natale di Gianni Gasparini - Claudio Gambardella, Progettare [interni] come esperienza - Alida Airaghi, Come il fuoco. Uomo e denaro di Franco Riva 3. Arte & Comunicazione - Giovanni Gasparini, Due film sulle migrazioni dall’Africa: “Terraferma” di E.Crialese (2011) e “Il villaggio di cartone” di E.Olmi (2011) - Francesco Mazzucotelli, Silvio Wolf: sulla soglia 4. Vita quotidiana - Marco Ermentini, La casa interstizio - Ivana Pais, Interstizi pendolari. Racconti di viaggio tra Brescia e Milano Rubrica “Le città interstiziali” - Lucia Gasparini, Vancouver, interstizio umano tra montagna e mare, tra oriente e occidente - Francesco Mazzucotelli, Sarajevo, il fiore dei Balcani Pubblicazioni recenti neXus

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Gruppo Dipartimento di Sociologia Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano Interstizi & Intersezioni

NNNeeewwwsssMMMAAAGGGAAAZZZIIINNNEEE IIInnnttteeerrrssstttiiizzziii &&& IIInnnttteeerrrssseeezzziiiooonnniii nnn... 222333,,, AAAuuutttuuunnnnnnooo 222000111111

In mezzo alla vita accade che la morte venga

a prendere le misure dell’uomo. Quella visita

si dimentica e la vita continua. Ma il vestito

si cuce in silenzio.

(Tomas Tranströmer, Premio Nobel 2011 per la Letteratura)

Cari destinatari,

ogni settimana, ogni giorno oramai ci accorgiamo sulla nostra pelle del mutamento sociale, di quel social change che mobilitò

l’attenzione di coloro che fondarono più di un secolo fa la Sociologia. L’entità e l’accelerazione dei mutamenti a cui la nostra

vita quotidiana va incontro nel contesto attuale, più o meno dalla svolta del nuovo millennio, è impressionante anche se

paragonata a pochi decenni fa: basti citare le parole informatica-internet, biotecnologie, globalizzazione, crisi economico-

finanziaria. In Italia poi si è vissuto per anni in una situazione di anomalia politica che non ha riscontro in altri paesi a noi

vicini: il risultato più evidente è stato il disastro etico e insieme la perdita di fiducia nelle Istituzioni che pervade giovani e

meno giovani, pregiudicando il futuro del nostro meraviglioso paese. In un articolo recente, scritto nell’acme della crisi

finanziaria attuale, l’ex-presidente Ciampi ha richiamato l’importanza che i paesi europei riprendano coscienza della loro

memoria e riacquistino fiducia nelle loro grandi potenzialità, nel contributo essenziale che possono dare ad un mondo

globalizzato. E’ un messaggio positivo che vorremmo fare nostro, perché bene si accorda anche con una visione delle Scienze

sociali umanistica e sensibile all’etica quale il nostro Newsmagazine e il nostro Gruppo con le sue modeste forze porta avanti

da anni. Con i migliori saluti e auguri. Giovanni Gasparini

SOMMARIO

1. Incontri Forum su “Scrivere a tutto campo” - a cura di Cristina Pasqualini (Cristina Pasqualini, Michela Bolis, Silvia Cortellazzi)

- Claudia Mazzucato, Ciclo seminariale “Giustizia e letteratura (Law and Literature)”

- Giusi Venuti, Farsi da parte per Essere Parte. Riflessioni sugli spazi della convivenza oggi

- OssCom (a cura di), Tracce Creative: otto conversazioni sui percorsi della creatività nell’industria culturale in Italia

2. Libri & Scritti - Vanni Codeluppi, Chi sta uccidendo la Tv?

- Alida Airaghi, Tempo di Natale di Gianni Gasparini

- Claudio Gambardella, Progettare [interni] come esperienza

- Alida Airaghi, Come il fuoco. Uomo e denaro di Franco Riva

3. Arte & Comunicazione - Giovanni Gasparini, Due film sulle migrazioni dall’Africa: “Terraferma” di E.Crialese (2011) e “Il villaggio di cartone” di

E.Olmi (2011)

- Francesco Mazzucotelli, Silvio Wolf: sulla soglia

4. Vita quotidiana - Marco Ermentini, La casa interstizio

- Ivana Pais, Interstizi pendolari. Racconti di viaggio tra Brescia e Milano

Rubrica “Le città interstiziali” - Lucia Gasparini, Vancouver, interstizio umano tra montagna e mare, tra oriente e occidente

- Francesco Mazzucotelli, Sarajevo, il fiore dei Balcani

Pubblicazioni recenti

neXus

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1. Incontri

Forum su “Scrivere a tutto campo - Note a

margine della presentazione del volume “Tous

azimuts. Il senso della scrittura” di Gianni

Gasparini (FrancoAngeli 2011) - a cura di

Cristina Pasqualini

Vivere di scrittura. Un dialogo-intervista con

Gi(ov)anni Gasparini

Da tempo Gi(ov)anni Gasparini stava meditando

di scrivere un‟autobiografia e, tra tanti, scelse me

come interlocutrice a cui affidare i suoi ricordi,

per ripercorrere assieme, nella forma del dialogo-

intervista, i nodi e gli snodi più significativi della

sua ampia produzione scientifica e letteraria.

Presso la saletta docenti dell‟Università Cattolica,

comodamente seduti su poltrone di pelle, nella

calda estate 2010, in una atmosfera serena, quasi

domestica, ci siamo dati appuntamento più volte.

Le nostre lunghe conversazioni, interrotte

esclusivamente dal piacevole suono delle

campane della Basilica di Sant‟Ambrogio, sono

oggi parte integrante del volume Tous azimuts e

restituiscono l‟immagine di un uomo, oltre che di

uno studioso, amante della vita, della natura, della

cultura e, soprattutto, della scrittura. Per Gasparini

la natura è costante fonte di ispirazione poetica

oltre che elemento costitutivo della sua persona e

del suo benessere psico-fisico. E la sua scrittura,

come recita il titolo stesso del volume, è a tutto

campo, contaminata e arricchita sì, ma non direi

ibrida, perché i diversi registri di scrittura sono

assolutamente riconoscibili e volutamente distinti

Operazione, quest‟ultima, non facile, soprattutto

nel nostro Paese, in cui le stesse discipline sono

accuratamente tenute separate da steccati, che

Gasparini ama ironicamente e più correttamente

chiamare per quello che sono, ovvero “stecchini”.

In Italia non esiste ancora una vera e propria

cultura della scrittura a tutto campo. Quanti sono i

poliscrittori? Pochi ma autorevoli – basti pensare

a Edgar Morin e Marc Augé. Ci siamo divertiti a

contarli. In Italia sono un numero esiguo e a

livello internazionale una ventina circa, tra cui

Gi(ov)anni Gasparini.

Cristina Pasqualini, Università Cattolica del

Sacro Cuore –Milano.

Per una introduzione Il 19 ottobre è stato presentato in Università

Cattolica a Milano l‟ultimo libro di Gianni

Gasparini, “Tous azimuts. Il senso della scrittura”,

che ha dato vita a una vivace tavola rotonda sul

tema “Scrivere a tutto campo”. L‟evento si è

rivelato un‟occasione ricchissima di spunti, su cui

si sono confrontati Piermarco Aroldi, Giampaolo

Azzoni, Duccio Demetrio e Cesare Segre.

Particolarmente suggestiva è stata la presenza del

maestro Stefano Albarello, cultore di musica

antica, che ha accompagnato l‟evento con il canto

e il liuto. “Tous azimuts” costituisce una sorta di

autobiografia intellettuale di Gianni Gasparini,

presentata con uno stile che, come ha affermato

Cesare Segre durante la presentazione di questo

lavoro, anche Calvino avrebbe apprezzato per la

leggerezza e la coerenza. Nel libro l‟autore

riprende tutti i temi che hanno caratterizzato la sua

ricchissima produzione che inizialmente

presentava due anime, una sociologica e l‟altra

poetica e, successivamente, si è arricchita di

numerosi altri registri di scrittura (critica

letteraria, prosa poetica, teatro, racconti,

spiritualità, autobiografia). A questo proposito,

Gasparini utilizza inizialmente l‟efficace metafora

delle due mani e poi quella delle cinque dita di

ciascuna mano per rappresentare la diversità e,

insieme, l‟unitarietà, della sua produzione. In

un‟epoca di iperspecializzazione del sapere, la

scrittura a tutto campo di Gasparini costituisce

un‟eccezione originale e creativa. La sua storia

intellettuale all‟insegna dell‟eclettismo nasce dalla

convinzione che la sociologia e le scienze sociali

debbano essere aperte alle altre discipline, in

nome dell‟innovazione e della creatività.

Michela Bolis, Università Cattolica - Milano

Una “scrittura a tutto campo”. Tra cultura e

sociologia

Uno degli interrogativi più interessanti emersi dal

convegno per la presentazione del libro di Gianni

Gasparini “Tous azimuts” è la contaminazione che

le scienze sociali potrebbero (dovrebbero) avere

con altre discipline, in primis la letteratura. Le

scienze sociali si alimentano di una serie di

richiami letterari e nascono, comunque, all‟interno

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di un filone, quello delle scienze umane, che della

letteratura, dell‟umanesimo, della filosofia si nutre

fin dalle origini. “Terza via” tra filosofia e

letteratura, questo la sociologia potrebbe essere. E

il libro di Gianni testimonia direttamente quanto

questo sia possibile. I padri fondatori della

disciplina sociologica sono scrittori di vaglia:

pensiamo a Max Weber di Economia e società o

alle scintillanti pagine di Karl Marx nel primo

libro del Capitale. Ma la sociologia, questo

sembra il senso della riflessione di Gianni

Gasparini, non sembra tanto alimentarsi di questo

nutrimento fondativo, quanto propendere per

analisi finalizzate alla conoscenza ristretta e senza

respiro richiesta da alcuni momenti critici e da

alcune mode del momento. Questo potrebbe

essere in parte causato dalla poca sensibilità dei

sociologi ma, anche o soprattutto, dalla scarsa

considerazione che analisi più approfondite (e

sostenute da miglior scrittura) ricevono all‟interno

della nostra società. La sociologia potrebbe aver

smarrito il senso su cui aveva fondato il suo

nascere ma, probabilmente con una spiegazione

più semplice (e anche semplificatoria), l‟interesse

per la conoscenza dei fondamenti della nostra

società si è diradato. Per molti motivi: dalla

politica, che ha perso ogni visione di Stato (e di

società, che ne costituisce il fulcro), alla

complessità macchinosa che la nostra società

esibisce ogni giorno di più, alla scarsità delle

risorse dedicate a ciò che ai sociologi sembrava

importante un tempo e che ora non appare più così

necessario. O per altri motivi meno evidenti, che

vanno dalla strisciante ignoranza su alcuni capitoli

considerati da sempre capisaldi imprescindibili di

un‟umanità colta ma che oggi non hanno più alcun

richiamo, all‟imperare della tecnologia, che

diventa governo incolto di ciò che andrebbe

invece coltivato con diversa attenzione. Da

sempre, Gianni Gasparini è attento al tema del

tempo. Ebbene, di quale tempo parliamo oggi? Il

“tempo reale” della comunicazione istantanea, il

tempo di lavoro (quando il lavoro è scarso anche

il tempo che vi si dedica è di peso diverso e

dunque non più “liberato”, ma desiderato), il

“tempo umanistico” invocato dall‟Autore? Come

viene riempito questo tempo, di quale cultura si

sostanzia? Soprattutto nel nostro tempo, dire che

cosa sia degno di attenzione è compito difficile da

compiere. Come impieghiamo il tempo?

Letteratura, poesia, bellezza sembrano

appannaggio di pochi: dovrebbero essere di tutti,

nella partecipazione agli spazi collettivi, nello

sforzo comune di contribuire alla costruzione di

qualcosa di stabile e di condivisibile, nel rispetto

di (alla fine) poche regole. Il circuito virtuoso tra

condizioni strutturali di benessere condiviso e di

cultura che trascina a riflettere sul bene comune

fonda le società degne di essere abitate. Lasciando

sullo sfondo la struttura sociale, che costituisce

parte a sé stante ancorché indisgiungibile, ci

chiediamo che cosa sia cultura oggi. Che cosa

dobbiamo insegnare, dalla scuola materna, nelle

nostre istituzioni scolastiche e formative? Quale

peso devono avere le diverse discipline? Uno

degli sforzi possibili della sociologia potrebbe

essere di comprendere che cosa alimenta davvero

percorsi di vita soddisfacenti dal punto di vista

culturale. Ma, anche, quanto debbono contare le

materie pratiche nella formazione? I bambini

australiani imparano in prima elementare a infilare

un ago, attaccare un bottone, fare un rammendo,

provvedere in qualche misura ai bisogni della vita

pratica. Sono privi di cultura? Noi abbiamo

dimenticato qualunque riferimento ai bisogni che

collochiamo “in basso” (ma che della cultura sono

la matrice e che richiedono “appagamento

gerarchico”, se vogliamo arrivare alle più alte

vette di quelli spirituali), rimandando a qualcun

altro, a qualcos‟altro la loro soddisfazione.

Abbiamo ribrezzo per le attività pratiche più

semplici, nel vano tentativo di esorcizzare la

nostra corporeità e, in definitiva, la morte,

l‟ultimo tabù. Che cosa può nutrire le nostre menti

e i nostri cuori (sociologici, anche)? Se società

diverse ritengono necessarie discipline che altrove

nel tempo e nello spazio sono considerate in altro

modo, allora le risposte sono difficilissime. I

programmi della scuola, ma soprattutto quelli

universitari sono ridotti all‟osso in termini di

cultura: ci si accontenta di raggiungere alcune

mete di breve raggio, computate diligentemente in

crediti formativi (dove saranno mai spese queste

monete, nessuno lo sa). Le proposte di “pura

cultura” (dove non sono rilasciate attestazioni di

credito), che pure le università offrono, sono di

solito disertate dagli studenti. Nessuno, o pochi

(Gianni Gasparini tra questi), d‟altra parte, dice

loro chiaramente che queste sono le occasioni

dove un nutrimento vero e di qualità è a

disposizione, per la vita e la professione e non

solo per finire presto l‟iter degli studi. Dove

acquisire la prima delle competenze, quella di

sapere che non si sa, insieme al desiderio di

sapere, perché sapere è bello? Probabilmente,

laddove nella prima infanzia sia mancato un

alimento di base composto di libri, parole dette,

suggerimenti proposti; un clima dove abbia potuto

germogliare il primo dei regali familiari, interesse

e curiosità, il compito di rispondere a questa

domanda è pressoché impossibile da compiere. E

la catena di incultura si allunga velocemente.

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L‟unica risposta è probabilmente di crederci

sempre, di ripresentare sempre l‟argomento, di

fendere le nebbie dell‟indifferenza con tenacia e

coraggio. Credendo in tempi migliori.

Silvia Cortellazzi, Università Cattolica - Milano

Ciclo seminariale “Giustizia e letteratura

(Law and Literature)”

Per il terzo anno consecutivo, il Centro Studi

“Federico Stella” sulla Giustizia penale e la

Politica criminale dell‟Università Cattolica

organizza un ciclo seminariale dedicato al tema

della giustizia nella letteratura e ispirato ai

numerosi corsi di Law and Literature di molte

università inglesi e americane. Un fil rouge tesse

l‟intero ciclo seminariale, in linea con le edizioni

precedenti: mettere a contatto i partecipanti, grazie

alle testimonianze di eminenti scrittori e critici

letterari, con le interpretazioni di significativi testi

letterari pertinenti al tema della giustizia

(specialmente penale), affinando così l‟apertura al

dialogo interdisciplinare, la sensibilità culturale e

il “senso di giustizia” degli appartenenti al mondo

delle professioni, non solo giuridiche, e degli

studenti. L‟edizione 2011-2012 disegna un

itinerario che si dispiega in territori volutamente

disparati quanto ai generi letterari, alle epoche e

agli ambienti culturali considerati: dalla tragedia

greca al grande cinema americano a cavallo tra i

due millenni, passando per la fiaba e il romanzo

ottocenteschi. Si comincia con Manzoni: non,

come sarebbe stato più “scontato”, La storia della

colonna infame, bensì I Promessi Sposi e, in

particolare, l‟evoluzione della domanda di

giustizia in Renzo, diviso tra istanze vendicative

che “chiudono” ogni prospettiva di compimento –

e ogni moto narrativo – e slanci verso una

giustizia altra e “vera” che nel perdono troverà

l‟apertura alla realizzazione di sé e rimetterà in

modo la storia (“La via stretta: vendetta, giustizia,

perdono nei Promessi sposi”, relatore Pierantonio

Frare, discussant Luciano Eusebi, 10 novembre

2011). Sarà poi la volta del seminario intitolato

“La legge in mare: Melville da Benito Cereno a

Billy Budd” (relatore: Francesco Rognoni,

discussant Arianna Visconti, 16 febbraio 2012): il

mondo della legge è onnipresente nelle opere di

Melville, nel registro documentario di White

Jacket come in quello semicomico di Bartleby,

nelle tonalità tragiche di Benito Cereno o quasi

religiose di Billy Budd. Il seminario avrà ad

oggetto queste ultime due opere, con frequenti

riferimenti al capolavoro, sempre ricco di spunti,

Moby Dick. Il Pinocchio di Collodi, capolavoro

della letteratura mondiale, condurrà

all‟esplorazione della devianza seguendo

peripezie, bugie, inganni e incontri di cui è

protagonista e vittima il notissimo burattino, per

ritrovarsi infine al cospetto di una giustizia

capace, con il per-dono, di generare

trasformazione e compimento (“Il caso Pinokkio:

tra menzogna, violenza e perdono”, relatori

Giovanni Gasparini e Ruggero Eugeni, discussant

Gabrio Forti, 15 marzo 2012). Il seminario di

aprile, dal titolo “Limite, trasgressione e

responsabilità: riscritture moderne della tragedia

antica” (relatrice Anna Maria Cascetta, discussant

Francesco D‟Alessandro, 19 aprile 2012), è

interamente dedicato al genere letterario che, forte

del carattere performativo del teatro, ha

attraversato i secoli elaborando sempre nuove

declinazioni, fino ad arrivare al nostro tempo con

riscritture e revisioni profonde, cifra

dell‟incessante ricerca di senso dell‟uomo in

merito alla giustizia, alla libertà e alla

responsabilità, alla punizione. Chiude il ciclo

seminariale una tavola rotonda sulla

cinematografia di Stanley Kubrick. L‟opera di

Kubrick consegna allo spettatore un‟idea di

giustizia ambivalente: alla giustizia degli uomini

si contrappone una giustizia “superiore”,

svincolata da logiche e regole comprensibili e

dominata dal caso. L‟alternanza fra queste due

facce della giustizia si ripercuote sui destini dei

protagonisti, creando forme cinematografiche

dagli sviluppi costantemente aperti (“La giustizia

indifferente: etica e casualità nella cinematografia

di Stanley Kubrick”, relatori Gian Battista

Canova, Remo Danovi, Ruggero Eugeni, Carlo

Enrico Paliero, 10 maggio 2012). Il ciclo

seminariale 2011-2012 di “Giustizia e letteratura

(Law and Literature)” si propone quindi come un

viaggio del pensiero i cui “paesaggi” culturali e

“climi” letterari svelano il senso profondo,

unitario e comune, dell‟andare in cerca della

giustizia attraverso la letteratura: un andare che,

nell‟edizione di quest‟anno, pare più che mai

condensarsi intorno all‟interrogativo difficile su

violenza e male e intorno alla risposta difficile

circa i modelli di giustizia che a quel male e a

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quella violenza desiderano porre rimedio1.

Claudia Mazzucato, Università Cattolica -

Milano

Farsi da parte per Essere Parte. Riflessioni

sugli spazi della convivenza oggi.

(Resoconto ragionato della seconda edizione del

corso residenziale di Alta Formazione in

Umanesimo Cristiano tenutosi presso l‟Almo

Collegio Borromeo di Pavia dal 29 agosto al 3

settembre 2011).

Un‟isola felice. È questo il pensiero che mi ha

accompagnato durante la permanenza al Collegio

Borromeo. L‟eccellente ospitalità del Rettore don

Ernesto Maggi, l‟alta preparazione dei relatori, la

profonda umanità degli organizzatori2 e la

piacevole disposizione al confronto dei

partecipanti, ha confermato quello che già

pensavo prima di arrivare e cioè che il problema

del rilancio o della rinuncia di valori - nonostante

la tristezza, l‟indifferenza e la liquidità che sembra

segnare il nostro tempo - è una opzione profonda

dell’anima propria di ogni tempo: sta a ciascuno

di noi sapere se vogliamo tenerli e sostenerli o se,

ignorandoli, cediamo sotto il peso di un compito

che i più dicono essere, ormai, insostenibile.

Utilizzando appieno quanto sostiene Simone Weil

potremmo allora dire che, contro questa

vittimistica perdita di realtà, è forse necessario

imparare a discrearsi. E questo - rispetto ad

un‟esperienza come il corso di Alta Formazione -

significa che dobbiamo, certamente, continuare a

nutrirci di incontri culturalmente alti, lasciando,

però, perdere l‟infantilistica pretesa di un

immediato indottrinamento una volta fuori da

questi luoghi. Dobbiamo cioè riscoprire la

paziente arte della mediazione se vogliamo,

davvero stare, nel mondo con la consapevolezza di

non essere completamente del mondo. Potremmo

dire che si tratta di imparare ad agire quasi non

agendo, mettendoci da parte. Con questa

rotazione interiore diveniamo, paradossalmente,

parte viva del mondo. Attenzione, però, a non

confondere questa operazione come un nuovo

rifugio nell‟intellettualismo, nel misticismo o

nella vita eremitica. Farsi da parte è un

movimento attivo e passivo allo stesso tempo. È

una scelta dettata dalla contingenza che, però, va

1 Per maggiori informazioni e per scaricare il programma dei

seminari (sottoposti a condizioni di iscrizione e accesso):

CSGP – CENTRO STUDI “FEDERICO STELLA”,

Via Carducci 30 – 20123 Milano

Tel. 02.7234.5175 – Fax. 02.7234.5179

Sito Web: csgp.unicatt.it 2 Prof. Giampaolo Azzoni, Università di Pavia; Prof.

Stefano Semplici, Università Tor Vergata di Roma.

oltre la contingenza stessa. È un fare posto ad

altri, non uno svuotarsi di sé. C‟è, al fondo,

un‟attività. Ci si rende disponibili e permeabili,

orientati dall‟idea che il nostro lavoro, vista la

nostra natura di esseri individuali di sostanza

razionale, non possa essere determinato solo

dall‟egoistico procacciamento del cibo, ma che

abbia anche un radicale (ontologico) bisogno di

essere scandito dal desiderio altruistico della

costruzione del bene comune. La domanda

potrebbe allora essere: come realizzare questa

rotazione di pensiero? Con Giovanni Gasparini

ritengo che si potrebbe cominciare imparando a

risignificare il tempo nel quale siamo, facendolo

transitare dalla ferrea logica dell‟efficienza a

quella simbolica del tempo debito (Kairòs) in cui

ciascuno di noi, in prima persona, si mette in

gioco e si dona al mondo nel rispetto del vissuto e

del luogo da cui proviene.

Giusi Venuti, dottore di ricerca in Scienze

Cognitive, Università degli Studi di

Messina

Tracce Creative: otto conversazioni sui

percorsi della creatività nell’industria culturale

in Italia OssCom – Centro di ricerca sui media e la

comunicazione dell‟Università Cattolica di

Milano e l‟agenzia di comunicazione

TBWA\Italia sono promotori del progetto “Tracce

Creative. Otto conversazioni sui percorsi della

creatività nell‟industria culturale in Italia” (dal 12

ottobre al 30 novembre presso l‟Università

Cattolica). Attraverso il confronto diretto con i

protagonisti, “Tracce Creative” racconta le storie

di persone e prodotti che hanno recentemente

tracciato percorsi innovativi, attraverso esperienze

originali capaci di rappresentare l‟energia diffusa

nel contesto nazionale. Personalità del mondo del

cinema, della televisione, dell‟editoria, della

musica, dell‟arte, del teatro e dei media digitali

che hanno rotto gli schemi e trovato vie nuove di

espressione nel proprio mercato di riferimento.

Innovatori che hanno avuto il coraggio di

cambiare le regole e le prospettive. Il blog satirico

collettivo Spinoza.it, la free press

sull'intrattenimento urbano Zero Magazine, il

gruppo di ricerca teatrale Babilonia Teatri, il

regista cinematografico Michelangelo

Frammartino, l'artista Marco Fantini, il magazine

maschile del Sole24ore IL - Intelligence in

Lifestyle, il portale di musica indipendente italiana

Rockit e la fiction italiana Boris sono i

protagonisti di questo ciclo di conversazioni. Ad

essi si affiancano diversi interlocutori: giornalisti,

teorici e docenti, professionisti del mercato,

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personaggi del mondo della cultura. L‟obiettivo di

“Tracce creative” è offrire un contributo per

rianimare e approfondire un dibattito pubblico il

cui interesse è nello stesso tempo culturale,

istituzionale e produttivo. Ovvero per discutere,

attraverso alcuni interpreti del cambiamento, sia

dei possibili percorsi di emersione della creatività

italiana in una fase di stagnazione, sia di un tema

che non può più essere ridotto a pochi stereotipi.

“Tracce Creative” è allora una piccola

esplorazione a tappe, intorno alle circostanze che

valorizzano la capacità dei soggetti di mettersi in

connessione, creare nuovi legami, contaminare

competenze diverse, far dialogare mercati e

prodotti che in precedenza erano distinti e

separati. Tutti i casi considerati infatti evidenziano

l‟importanza di alcuni fattori che vanno aldilà del

puro „genio ideativo‟, e mostrano il ruolo decisivo

della spinta abilitante di fattori „esterni‟ o

contestuali (la presenza di reti di relazioni, di

ambienti informali o istituzionali, di condizioni

nelle politiche pubbliche). Un percorso in cui

emerge come la creatività non è solo questione di

idee, ma di processi sociali (culturali e politici)

che vedono al centro la possibilità e la capacità di

„costruire ponti‟, „mettere in contatto‟ esperienze

diverse, in partenza persino distanti.

OssCom - Centro di Ricerca sui media e la

comunicazione (a cura di), Università Cattolica

- Milano

2. Libri & Scritti

Chi sta uccidendo la Tv?

Dopo la Paleotelevisione e la Neotelevisione

teorizzate qualche anno fa da Umberto Eco, oggi

stiamo cominciando ad entrare nell‟epoca della

Transtelevisione», cioè di una televisione “aperta”

e caratterizzata dalla mancanza di precisi confini.

Nella Transtelevisione infatti cadono gli steccati

interni tra i generi e ogni distanza rispetto alle

persone che guardano, mentre il pubblico diventa

il vero protagonista del flusso comunicativo. I

reality show in programmazione da diversi anni

hanno stancato gli spettatori, ma il loro modello

rappresenta comunque quello verso cui si sta

muovendo la televisione contemporanea. Nel mio

recente volume Stanno uccidendo la tv (Bollati

Boringhieri, Torino, 2011) ho cercato di

dimostrare che molti ritengono che la televisione

sia arrivata al termine del suo ciclo di vita, mentre

in realtà possiede ancora delle notevoli possibilità.

Va considerato, ad esempio, che Internet oggi

sfrutta spesso i contenuti creati dalla televisione

(non a caso rintracciabili in gran parte su

YouTube). I due mezzi si stanno sempre più

fondendo, ma i contenuti sembra che potranno

rimanere in gran parte quelli televisivi. Inoltre, i

più giovani si stanno spostando su social network

come Facebook, ma spesso guardano la

televisione e commentano simultaneamente in

Rete i programmi che stanno vedendo. La

televisione è un mezzo potente che possiede una

notevole capacità d‟influenza sulle persone e la

politica ha cercato perciò da tempo di controllarla

per creare consenso. Il controllo eccessivo ha

generato però progressivamente un effetto

boomerang: la fine della competizione interna e

l‟omogeneità dell‟offerta, che hanno indebolito il

mezzo e fatto perdere interesse agli spettatori. È

possibile pensare però a un modello differente di

televisione, dove a prevalere sia principalmente la

natura di strumento di acculturazione e di

emancipazione di tale mezzo, nel solco di molti

degli esempi che sono stati forniti in passato dalle

televisioni pubbliche di vari Paesi, a cominciare

dall‟Italia. Chi gestisce i network televisivi deve

tenere conto di ciò e cercare di sviluppare dei

linguaggi innovativi. La fiction di qualità,

l‟informazione e i grandi eventi sono solo alcuni

esempi delle aree verso cui la televisione può

orientarsi. La Tv è in grado inoltre di aiutare chi

guarda a comprendere meglio quello che accade

ogni giorno. Può pertanto recuperare parte dello

spirito pedagogico degli inizi, seppure

comunicandolo attraverso un nuovo linguaggio.

Vanni Codeluppi, Università di Modena e

Reggio Emilia

Gianni Gasparini, Tempo di Natale, Viator

editore

Gianni Gasparini, docente di Sociologia alla

Cattolica di Milano, poeta e scrittore dai

molteplici interessi, ha dedicato questi dieci

racconti “diversissimi e convergenti” - come

recita la quarta di copertina – alla festività del

Natale. Racconti tenui e velatamente malinconici,

tenuti insieme appunto dal filo rosso

dell'occasione natalizia, ma ambientati in epoche e

luoghi molto lontani tra di loro: dalla Val d‟Aosta

alla Spagna, dalla Liguria alla Danimarca. E i

protagonisti imprevedibili e originali si rincorrono

nelle loro vicende accomunati da una sensibilità

attenta e discreta nei riguardi dell'atmosfera

delicata e struggente del 25 dicembre. Così un

Garcia Lorca bambino vive la notte della vigilia

con la sospesa premonizione del suo futuro

destino di poeta, un anziano vedovo ritrova

casualmente un suo antico amore, uno scrittore

demotivato recupera l‟ispirazione per un racconto

natalizio nella solitudine di un bosco. E ancora un

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trovatore catalano di otto secoli fa tenta di

sfuggire alla passione per la sua signora cercando

scampo nei suoi versi e in un altrove nutrito di

nostalgia, un incompreso liutista inglese del 1600

mette in musica il Salmo 100 proprio il mattino

della natività, un aquilone sperso nel cielo

invernale riesce a dare l'allarme di un glaciomoto

e a portare soccorso ad alcuni sopravvissuti. Il

Natale “è il presente di Dio”, “festa di una

memoria che ritorna”, una giornata unica che

mantiene la sua magia anche nell'epoca di

internet, un momento particolare in cui piantare

“il seme del dono, con la fiducia che il dare e il

ricevere possano un giorno congiungersi”. La

natura partecipa silenziosa e buona alla

commozione delle persone:“ su tutto aleggiava

come un manto la profonda concentrazione

dell'inverno”. Dieci racconti poetici, in cui non

appare il male, che sembra sconfitto almeno per

ventiquattro ore, perché – come dice un

personaggio- “nel Natale del nostro Signore

bambino dobbiamo avere nel cuore allegrezza e

gratitudine, qualunque sia la sofferenza che ci

affligge”.

Alida Airaghi, scrittrice

Claudio Gambardella, Progettare [interni]

come esperienza, Aracne Editrice, Roma 2010.

Che spazio viene riservato dalla cultura del

progetto al mondo interiore delle persone, in

primis dei progettisti stessi e degli studenti

universitari, degli abitanti di una casa, dei

lavoratori di un ufficio, dei fedeli di una chiesa,

dei pazienti di un ospedale? È la domanda

implicita con cui Claudio Gambardella affronta

nel libro Progettare [interni] come esperienza

alcuni temi sensibili della disciplina dell‟Interno

Architettonico. L‟architettura di questi anni di

«dittatura dei mercati finanziari», per dirla con

Latouche, prestandosi ad essere l‟arma mediatica

di «una globalizzazione trionfante e arrogante

(seppure in crisi)», si manifesta attraverso

splendide carrozzerie ipertecnologiche e

stupefacenti epidermidi comunicative;

quest‟architettura, innamorata narcisisticamente

della sua immagine e sempre più autoreferenziale,

preferisce stupire con “oggetti abitabili” che

aggravano la progressiva frammentazione dei

paesaggi, urbani e naturali, tipica della modernità,

anziché misurarsi nell‟antico magistero del

dialogo paziente con i luoghi. L‟architettura

diventa design, lo spazio interno un calco di gusci

vuoti, l‟abitare una simulazione, un esercizio in

3D. All‟affermarsi di società nuove dovrà

corrispondere un‟architettura liberata dalla

sottomissione nei confronti della

«tecnoeconomia», che plachi la sua ossessiva

frenesia di apparire a tutti i costi, che si preoccupi

di farsi “rete” riannodando i rapporti recisi tra

uomo, città e natura e che rivaluti l‟interno

architettonico – “architettura invisibile” dell‟era

della globalizzazione - come spazio dell‟uomo,

delle sue esperienze interiori e dell‟ascolto di sé,

spazio dei sentimenti, della vita, delle relazioni,

spazio conviviale, per propagarsi all‟esterno e

dare forma all‟architettura nella sua unità e

interezza. Attraverso la raccolta di elaborati di

esami e tesi di laurea degli studenti della Facoltà

di Architettura della Seconda Università di

Napoli, viene illustrato un metodo progettuale

sperimentato nel corso dell‟attività didattica.

Nonostante la diversità dei temi affrontati

(l‟attesa, le case per immigrati, gli arredi per la

cura di sé), un unico fil rouge li lega facendo

entrare in gioco l‟esperienza interiore nelle fasi

preliminari del progetto. In particolare, quello dei

luoghi dell‟attesa negli ospedali è stato un tema

sviluppato attraverso una straordinaria esperienza,

umana e scientifica, ispirata alle precedenti

ricerche sugli “interstizi” del professore Giovanni

Gasparini, che l‟autore del libro ha condotto nel

corso di un forum con pazienti e familiari, medici

e infermieri, tenutosi anni fa presso l‟Istituto di

Psicologia Oncologica del Pascale di Napoli.

Claudio Gambardella, Seconda Università degli

Studi di Napoli

Franco Riva, Come il fuoco. Uomo e denaro,

Cittadella ed., Assisi 2011.

Quando si parla del denaro, ci si scontra con la

sua ambivalenza strutturale. San Francesco lo

chiamava “sterco del demonio”, per Calvino esso

esprimeva la benevolenza di Dio, per Sartre aveva

un carattere “magico”. Il filosofo Franco Riva gli

dedica uno stimolante studio, in cui afferma che

ormai il denaro è diventato un feticcio universale,

una sorta di religione globale, con “i suoi

sacerdoti, il suo popolo, i suoi templi, le sue

liturgie, i suoi riti”. Una nuova divinità, quindi,

che permea e invade la nostra quotidianità, si

insinua negli ambienti domestici e lavorativi,

prolifera e domina qualsiasi attività del nostro

tempo libero: dallo sport al turismo, dalla

contemplazione di opere d'arte all'utilizzo dei

servizi igienici nelle stazioni. Ormai paghiamo un

ticket per qualsiasi espressione della nostra

volontà: “La contraddizione totalitaria della

liberissima società dei consumi non consiste nel

ridurre tutto a consumo, ma nell'imporre senza che

nessuno protesti sul serio...dei ticket per accedere

al diritto stesso di consumare”.

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È proprio tutto così sconfortante? L'homo

oeconomicus ha quindi assorbito totalmente ogni

altra caratteristica dell' essere umano? Quali valori

si sottraggono al nuovo credo del denaro? La

verità, la fede, i diritti umani, la giustizia, la difesa

dell'ambiente, la gratuità del dono, la

solidarietà...Ma ne siamo certi, o fingiamo un

candore da anime belle che preferiscono la cecità

all'efferatezza del realismo? Cosa ci può salvare, a

questo punto? Franco Riva richiama tutti a una

“resistenza silenziosa ed eroica”, a un

ripensamento dei propri valori, a una dignità

dell'impegno nella vita comune: allora anche il

denaro può essere d'aiuto nel soccorrere chi si

trova in difficoltà, nel diffondere cultura, nel

riequilibrare la giustizia attraverso il risarcimento

piuttosto che con la vendetta, nel recuperare l'idea

della propria professione non solo come ricerca

del profitto ma anche come pienezza e

soddisfazione di vita.

Alida Airaghi

3. Arte & Comunicazione

Due film sulle migrazioni dall’Africa:

“Terraferma” di E.Crialese (2011) e “Il villaggio

di cartone” di E.Olmi (2011) Il tema scottante delle migrazioni dall‟Africa in

Italia, con l‟arrivo dei barconi di clandestini, è

affrontato da due film usciti quasi

contemporaneamente ad opera rispettivamente di

Emanuele Crialese e di Ermanno Olmi. In

entrambi abbiamo a che fare con sbarchi che

costano la vita in mare ad una parte dei clandestini

che tenta di raggiungere le coste italiane, con una

donna che partorisce un bambino appena arrivata,

con l‟accoglienza riservata a questi migranti. In

generale, il tema è quello del confronto tra culture

diverse e distanti ma oggi destinate ad avvicinarsi

e a incontrarsi a motivo della facilità dei

collegamenti e della stessa posizione geografica

del nostro paese. I due film sviluppano in modo

ben diverso la tematica: Crialese aveva firmato

nel 2002 un film singolare ed efficace (Respiro)

raccontato su una Lampedusa che non conosceva

ancora il drammatico problema degli sbarchi,

mentre quella di oggi (anche se le riprese sono

state effettuate nella vicina Linosa) ne è

profondamente coinvolta e traumatizzata, pur non

rinunciando ad una vocazione turistica. Nel film si

assiste all‟arrivo di un gruppo di disperati che

viene avvistato e soccorso dalla barca su cui

stanno pescando l‟anziano Ernesto, uno degli

ultimi tenaci pescatori dell‟isola, e il ventenne

nipote Filippo. Quest‟ultimo appare disorientato

tra la “legge del mare” che il nonno gli testimonia

quando accoglie immediatamente i naufraghi e si

tuffa in mare per salvare una donna e il suo

bambino, e un atteggiamento di rifiuto dei

migranti che si verifica in un episodio successivo

quando Filippo respinge le mani di coloro che

vorrebbero attaccarsi alla sua imbarcazione per

salvarsi. Il nonno e la nuora (vedova di suo figlio

e madre di Filippo) accolgono in casa la donna

salvata con il figlio, proprio mentre questa sta per

partorire un altro bambino, e la aiutano a proprio

rischio, opponendosi alle leggi che impongono la

denuncia dei clandestini; alla fine sarà proprio

Filippo a condurre alla salvezza verso il

continente la donna con il neonato e l‟altro

bambino. Al realismo equilibrato e problematico

di Crialese fa da contrappunto una narrazione

decontestualizzata e quasi simbolica di Olmi,

dove il confronto tra culture e tra persone diverse

si incarna soprattutto nella figura del vecchio

prete che accoglie nella chiesa appena dismessa e

privata dei suoi arredi un gruppo di clandestini

africani, i quali costruiscono al suo interno un

precario “villaggio di cartone”. La narrazione di

Olmi, che si avvale di immagini suggestive, trova

il punto centrale nella contrapposizione tra fede e

carità di cui si fa interprete il prete, già in crisi sul

senso della propria opera svolta in tanti anni per i

parrocchiani: il bene supera ogni altro obiettivo,

aiutare gli altri è la priorità assoluta, anche se

entra in rotta di collisione con le leggi degli

uomini. La sensibilità di un regista come Olmi è

ovviamente fuori discussione, ma la sua proposta

filmica rischia di cadere qui in una retorica

stucchevole: come nella discussione sulla violenza

che avviene tra i membri del gruppo di

clandestini, o nella scena improbabile del prete

che dà un‟ombrellata in testa al capo dei tutori

dell‟ordine entrato in chiesa per arrestarne gli

occupanti e in tal modo lo fa desistere; o come,

per finire, nella sovrimpressione che conclude il

film, in cui gli spettatori vengono avvertiti che la

storia ci sta cambiando se non la cambiamo noi. Il

messaggio di Olmi è evidente, ma sorge il dubbio

che per trasmetterlo sarebbe stato meglio lasciar

parlare le immagini, le musiche e le vicende

raccontate; e che i dialoghi, anche se firmati da

persone di valore come Magris e Ravasi, abbiano

reso intellettualistico l‟approccio a un tema che in

Crialese acquista invece vivezza ed efficacia di

racconto. Giovanni Gasparini, Università Cattolica -

Milano

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Silvio Wolf: sulla soglia

Il titolo della mostra è quasi un manifesto

programmatico. La personale di Silvio Wolf,

allestita al PAC di via Palestro dal 6 Ottobre al 6

Novembre scorso, è stata impostata tutta intorno

al tema della soglia. Non solo per le fotografie di

portali arabeggianti che si aprono su squarci di

palmeti e di deserti, in un gioco di luci e di ombre,

di pieni e di vuoti. Non solo per le immagini

fortemente simboliche, le architetture, i rimandi a

un Altrove lasciato all‟immaginazione di chi

osserva. Ma perché tutta la tematica quasi

trentennale dell‟artista milanese lavora, come egli

stesso afferma, sul “rapporto fra reale visibile,

superficie e soggetto”. Si potrebbe dire che alcune

delle opere esposte sperimentino la possibilità che

non possa nemmeno darsi un reale visibile senza

l‟interazione con un soggetto. Giochi di luce,

apparizioni e scomparse, superfici riflettenti e

specchi nascosti da drappeggi: l‟artista vuole

mostrare come sia l‟atto stesso dell‟osservare a

mutare la natura di ciò che viene osservato. In un

certo senso, è l‟osservatore stesso a entrare dentro

l‟opera e a doversi porre degli interrogativi. La

mostra di Wolf si svolge attorno al tema della

soglia e del passaggio anche nel modo di

affrontare il rapporto tra luci e oscurità, tra

l‟assenza di dati e immagini e il loro eccesso.

L‟artista dichiara che, in un mondo ormai saturo

di immagini di ogni tipo, l‟unica operazione

d‟avanguardia sia quella di lavorare per

sottrazione e di investigare le possibilità

dell‟assenza. La serie “Orizzonti” è quella che

forse maggiormente colpisce l‟immaginario di chi

visita la mostra: una selezione di frammenti di

scarto del processo fotografico, spezzoni di

pellicola che rimane impressionata durante il

caricamento, prima che il fotografo componga la

sua immagine. Forme e colori allo stato liquido,

una fotografia prima della fotografia, una

immagine che si scrive nella breve soglia prima

che il fotografo decida cosa farle scrivere. Con le

sue sperimentazioni, mai comunque così tanto

“sperimentali” da risultare illeggibili al resto del

mondo, le opere di Silvio Wolf offrono stimoli e

prospettive interessanti di riflessione anche teorica

sul “quasi” e sul “non ancora”.

Francesco Mazzucotelli, Università Cattolica –

Milano

4. Vita quotidiana

La casa interstizio

Che strana costruzione, non ne esiste una simile.

Nei miei lungi viaggi non ho visto mai qualcosa

come la casa interstizio. Si trova in un quartiere di

ville suburbane, nella zona Occidentale della

citta`. Ad un certo punto, dove la strada curva

improvvisamente, te la trovi proprio di fronte. La

casa si presenta differente da tutte le villette

circostanti. Si vede un gran tetto con spioventi e

abbaini come appoggiato al terreno. Ad una prima

occhiata sembra che ci sia stato un terremoto e

conseguentemente la copertura sia crollata a terra.

Poi, avvicinandosi un poco, si capisce che non si

tratta di un crollo, ma la cosa e` voluta. Si sa che il

proprietario, il professor Gianni, e‟ un tipo molto

strano. Dopo una brillante carriera scientifica, si

e´ fatto costruire una ben curiosa casa. Un giorno

sono riuscito a farmi invitare. Il prof. Gianni mi

ha accolto con simpatia e mi ha accompagnato

nella visita. Il grande tetto ha spioventi come le

case svizzere con abbaini luminosi, il sottotetto

custodisce una bellissima soffitta con tanti mobili,

armadi, contenitori, oggetti dappertutto; insomma

proprio come la soffitta dei sogni dove ritroviamo

le vecchie cose dei nonni e i giochi della nostra

infanzia. Poi c‟è una ripida scala che porta al

piano interrato con una grande cantina dove

trovano spazio i salami, le provviste, i vini, i

formaggi e le biciclette. Tutt‟intorno corrono una

serie di intercapedini e di corridoi stretti. Alla fine

della visita perplesso chiedo al mio interlocutore

perché ha rinunciato ai locali veri e propri, perché

non ha un soggiorno, una cucina e una camera da

letto come tutte le case, perché non esiste il piano

terreno? Mi ha risposto così: “ Ho capito che nella

casa interstizio si può salire verso l‟astrazione

della soffitta e allo stesso modo discendere nella

cantina sognando di trovare un tesoro sepolto. Ho

evitato quindi il piano terra della pura razionalità,

così posso finalmente abitare poeticamente”.

Marco Ermentini, Shy Architecture Association

Interstizi pendolari. Racconti di viaggio tra

Brescia e Milano

Giovedì 15 settembre 2011, ore 7:27, stazione di

Brescia. Sul treno regionale per Milano sale un

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passeggero d'eccezione: il Vescovo Luciano

Monari. Vuole conoscere da vicino l'esperienza

dei pendolari. Per un'ora e otto minuti, mentre il

treno copre lo spazio interstiziale tra Brescia e

Milano, studenti e lavoratori raccontano storie di

vita quotidiana. Il tragitto è uno solo, ma ognuno

lo percorre a modo suo. Studenti universitari che

prendono il treno locale, più lento ma meno

affollato, per poter leggere con tranquillità;

professionisti che preferiscono l‟eurocity, per

raggiungere prima il luogo di lavoro. Se c‟è una

cosa che li accomuna è il “kit del pendolare”:

maglione anche d'estate, per difendersi dall'aria

condizionata oppure lo scotch per coprire i

bocchettoni dell'aria; cuscini da viaggio per stare

più comodi o un semplice telo per evitare il

contatto diretto con tessuti spesso sporchi. E tutti

parlano la “microlingua” delle Ferrovie: chiamano

i treni per numero e sono gli unici in grado di

decifrare gli annunci in caso di ritardo.Durante il

viaggio, il treno diventa sala di lettura per chi

deve studiare, cabina telefonica per chi inizia in

viaggio la propria giornata lavorativa, bar per chi

scambia qualche opinione leggendo il giornale.

Esigenze spesso incompatibili tra loro, ma le

divergenze emergono solo nei momenti di

tensione, quando ci sono guasti o ritardi. Perché la

carrozza di un treno, per i pendolari, è un luogo

sociale: uno spazio di relazione, dove si fa

comunità. Una comunità che ora è anche digitale:

grazie ai messaggi istantanei, i pendolari sono

informati dei ritardi da chi prende il treno nelle

stazioni precedenti; nei gruppi di discussione,

condividono informazioni e scambiano opinioni,

esprimono il loro dissenso e organizzano le

proteste. Il Vescovo ascolta, fa domande, poi

racconta i suoi viaggi da studente-pendolare. E ci

si accorge che, nei ricordi, i viaggi sono meno

faticosi. Stazione centrale di Milano. Prima che il

treno riparta per Brescia, c'è giusto il tempo per

una visita a quello che è diventato un vero e

proprio centro commerciale. I pendolari fanno le

scale, per non perdere tempo con i lunghi percorsi

obbligati dei tapis roulant. Capita anche che

facciano acquisti, ma poi rimpiangono le sale

d‟attesa. Perché nelle stazioni di nuova

generazione anche gli spazi interstiziali sono a

pagamento.

Ivana Pais, Università Cattolica - Milano

Rubrica “Le città interstiziali” Vancouver, interstizio umano tra montagna e

mare, tra oriente e occidente

Ho sempre sentito parlare in termini molto

elogiativi di questa città sulla costa occidentale

del Canada, vicinissima agli Stati Uniti eppure

così diversa dall‟atmosfera che si respira in tante

metropoli americane, ma non ho mai capito

esattamente chi mi decantava Vancouver da cosa

fosse motivato: non mi si raccontava infatti nulla

di particolare, nessun monumento o museo

prestigioso (anche se il MOA smentisce ciò in

parte), nessuna architettura mozzafiato, nessun

piano urbanistico originale, insomma nulla di

caratterizzante. La mia curiosità si è acuita quando

questa estate, in occasione di un viaggio in

Canada, ho chiesto un consiglio ad un amico

canadese – della costa Est, quindi non imputabile

di campanilismo- riguardo all‟organizzazione del

viaggio e mi ha suggerito caldamente di stare

almeno quattro giorni a Vancouver. Mi sembrava

esagerato, per una città bella sì ma che non pareva

aver nulla di particolare e caratterizzante. Così,

sulla fiducia, abbandonata la natura grandiosa dei

parchi canadesi dell‟Ovest, mi sono messa gli

abiti cittadini per visitare Vancouver. E‟ stata una

vera e propria scoperta: è una città straordinaria

nel suo essere assolutamente normale, dove però

in questa normalità rientra uno degli standard di

qualità della vita più alti al mondo. Non so

esattamente cosa concorra a determinare questo

livello, ma senz‟altro da fruitrice di questo

ambiente urbano e naturale (poiché le due

componenti non si possono assolutamente

scindere a Vancouver) posso indicare il panorama

delle montagne innevate visibile da ogni punto

della città, i chilometri di spiaggia bianca su cui si

gioca a beach-volley, si prende il sole e si fa pic-

nic che potrebbero farti pensare di essere in

Florida (anche se poi non lo pensi perché sullo

sfondo ci sono i ghiacci), un‟estensione enorme di

giardini e parchi che sarebbe meglio chiamare

boschi o foreste in cui quando entri un cartello ti

avverte di fare attenzione perché potresti

incontrare il coyote, un parco in particolare – lo

Stanley Park- che sembra una via di mezzo tra una

foresta tropicale e una foresta selvaggia di

conifere, il “Pacific spirit” - ovvero lo spirito dei

nativi - che è presente e si sente, un mix

equilibrato, elegante e particolare tra elementi

culturali ed estetici orientali ed occidentali, una

qualità particolare della luce, quella dell‟oceano.

Girare a piedi e in bicicletta questa città è forse il

modo migliore per vivere una continua scoperta di

forme, colori, ambienti, gente, in particolare molti

giovani, completamente diversi tra loro e che

eppure sembrano essersi armonizzati. Certo è una

città che ho vissuto per poco e in tempo di

vacanza, ma non tutte le città che si visitano in

vacanza lasciano questo senso di bellezza e

serenità. Per rimanere in tema interstiziale potrei

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dire che davvero Vancouver è città interstiziale

per eccellenza: dislocata su vari isolotti all‟interno

di una foce, si trova tra mari e monti, e

culturalmente è intersezione visiva e palpabile di

occidente - americano ed europeo –, oriente –

Cina, Giappone ma anche India - e la comunità

nativa locale. L‟interstizio in questa città è

esperienza vissuta nel quotidiano: nell‟attraversare

i ponti che collegano le varie isole dal carattere

differente tra loro; nella sospensione tra oriente e

occidente che viene messa in mostra nella cura dei

giardini pubblici e privati o nelle architetture delle

case; nelle passeggiate per strada dove incroci

gente di ogni provenienza; nell‟alternanza

continua tra mare, collina, montagna, foresta,

lago.

Lucia Gasparini, dottoranda, Università

Cattolica - Milano

Sarajevo, il fiore dei Balcani Verrebbe da dire: Istanbul e Vienna, il Tirolo e la

Turchia condensati nello stesso posto; ma sarebbe

una banalizzazione di una città troppo affascinante

e ricolma, forse suo malgrado, di storia. Già

arrivando lungo la strada che sale dall‟Adriatico si

avvertono eco di avvenimenti non lontani nel

tempo: milizie asserragliate sulle montagne; mani

che scavano il terreno gelato sotto la pista

dell‟aeroporto per creare un tunnel di fortuna e

tentare di sfuggire a un assedio infame e senza

fine. Il boulevard di ingresso alla città,

praticamente l‟unica grande arteria in questa valle

allungata e stretta, con i monti tutti attorno, scorre

accanto ai palazzoni socialisti della città nuova e

agli impianti realizzati per le olimpiadi invernali

del 1984, che invece appaiono vestigia di

un‟epoca assai remota. Si passa accanto

all‟Holiday Inn e al palazzo del parlamento.

Anche se ricostruiti e oggi scintillanti, tornano alla

memoria fotogrammi di edifici in fiamme. La via

Ferhadija, nel centro della città, è una lezione di

storia e geografia dell‟Europa orientale. Partendo

dal monumento in onore dei partigiani che

combatterono contro il nazifascismo, si entra in

una strada di aspetto viennese, con i caffè, le

banche (turche), i negozi delle grandi firme

(globali) e la cattedrale cattolica. Una grande

piazza dove i vecchi giocano con gli scacchi

giganti, anche sotto la neve, e la cattedrale serbo-

ortodossa “nuova” (cioè dell‟Ottocento), perché

quella “vecchia”, con le sue preziose icone, è più

su, vicina alla sinagoga vecchia. La sinagoga

nuova, in stile moresco, invece è dall‟altra parte

del fiume. Entrambe, insieme a un museo e

all‟associazione caritatevole “La Benevolencija”,

testimoniano di quattrocento anni di storia ebraica

sefardita: i giudei scacciati dai re cattolici della

penisola iberica e venuti a prosperare qui, in

mezzo ai Balcani ottomani, conservando il loro

idioma castigliano medievale. Si giunge infine

nella Bašcaršija, il “mercato principale” di

chiarissima impronta turca, coi bedesten (mercati

coperti), le madrase (scuole coraniche) e le

splendide moschee in stile ottomano,

frequentatissime dai fedeli musulmani. Fra negozi

e ristoranti tipici si arriva alla biblioteca

nazionale, anch‟essa in fiamme nelle guerre

etniche degli anni Novanta. Altre immagini troppo

in fretta rimosse dalla memoria dall‟altra parte

dell‟Adriatico. Si gira verso il fiume per tornare

indietro e si arriva a un ponte. Qui, un giorno del

1914, un certo Gavrilo Princip sparò a un arciduca

della casa d‟Asburgo, con le conseguenze che tutti

conoscono. La grande storia, a Sarajevo, è sempre

dietro l‟angolo. Non è un peso facile da

sopportare, e spesso si ha l‟impressione di

avvertire per strada una cupa rassegnazione e il

desiderio di lasciar cadere nell‟oblio ricordi

troppo ingombranti e dolorosi. Grbavica è il

quartiere che sta sull‟altra sponda del fiume

Miljacka rispetto al centro storico. È anche il

nome di un film di Jasmila Žbanic, il film che più

amaramente affronta il tema della memoria,

dell‟amnesia e della difficoltà di fare i conti con il

passato. Il rapporto conflittuale tra una madre e

una figlia, un padre morto da eroe che poi si

scoprirà mai esistito, la rivelazione agghiacciante

delle violenze atroci inferte sul corpo delle donne.

Ci vogliono determinazione e delicatezza per

porsi in relazione con questo muro di amnesie,

diffidenze e dolore irrisolto. Nel tinello della loro

villetta di periferia, I. e L., una coppia “mista” di

settantenni vissuti con l‟utopia di edificare la

società socialista, tra buone letture e vacanze

estive in Italia, scuotono la testa. La “loro”

Sarajevo, dicono, non esiste più. I quartieri sono

di fatto segregati su base etnica e la politica locale

continua a essere intrisa di discorsi nazionalisti. I.

e L. ancora non si capacitano. Si chiedono cosa è

andato storto, dove hanno sbagliato. La vita

riprende a fluire in questa città; ma sarebbe

salutare ricordarsi ogni tanto che in questa città

così europea, così vicina a Trieste e Ancona, in

giorni neanche troppo lontani sono iniziate a

succedere alcune cose terribili.

Francesco Mazzucotelli

Pubblicazioni recenti Marc Augé, Straniero a me stesso. Tutte le

mie vite di etnologo, Bollati Boringhieri,

Milano 2011.

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Marc Augé, Diario di un senza fissa dimora,

Cortina, Milano 2011.

Jacques Derrida, Gli occhi della lingua,

Mimesis, 2011.

Mario Aldo Toscano, Altre sociologie.

Dodici lezioni sulla vita e la convivenza,

FrancoAngeli, Milano 2011.

Rivista “Culture della sostenibilità”, n. 8,

2011, fascicolo monografico a cura di

Enrico M. Tacchi e Mario Salomone,

dedicato all’VIII Convegno dei Sociologi

dell’ambiente, svoltosi a Brescia il 23-24

settembre.

I nostri recapiti: Giovanni Gasparini

(Il coordinatore)

Dipartimento di Sociologia

Università Cattolica del Sacro Cuore

Largo A. Gemelli, 1

20123 Milano

[email protected]

Tel. 02.7234.2547

Cristina Pasqualini

(La segreteria)

Dipartimento di Sociologia

Università Cattolica del Sacro Cuore

Largo A. Gemelli, 1

20123 Milano

[email protected]

Tel. 02.7234.3976

Redazione:

Piermarco Aroldi, Giampaolo Azzoni, Giovanni Gasparini, Ivana Pais, Cristina Pasqualini

I corrispondenti:

Maurizio Ambrosini, Università degli Studi di Milano (Relazioni interculturali); Marc Augé, École des Hautes

Études en Sciences Sociales – Parigi (Antropologia); Maurice Aymard, Maison des Sciences de l‟Homme – Parigi

(Storia europea); Giampaolo Azzoni, Università di Pavia (Filosofia del Diritto); Laura Balbo, Università di Ferrara

(Women studies); Enzo Balboni, Università Cattolica – Milano (Diritto e Istituzioni); Claudio Bernardi, Università

Cattolica – Milano (Teatro); Gianantonio Borgonovo, Facoltà Teologica dell‟Italia Settentrionale – Milano (Bibbia);

Laura Bosio, scrittrice (Fiction); Enrico Camanni, Torino (Montagna); François Cheng, Académie Française –

Parigi; Giacomo Corna Pellegrini, Università degli Studi di Milano (Geografia); Cecilia De Carli, Università

Cattolica – Milano (Arte); Roberto Diodato, Università Cattolica – Milano (Estetica); Duccio Demetrio, Università

degli Studi – Bicocca, Milano (Educazione e formazione); Ugo Fabietti, Università di Milano-Bicocca (Antropologia);

Maurizio Ferraris, Università di Torino (Ontologia); Gabrio Forti, Università Cattolica – Milano (Diritto penale e

Criminologia); Enrica Galazzi, Università Cattolica – Milano (Linguistica); Hans Hoeger, Università Libera di

Bolzano (Design); Philippe Jaccottet, Grignan (Poesia); Cesare Kaneklin, Università Cattolica – Milano

(Psicologia); David Le Breton, Université de Strasbourg (Socio-Antropologia); Frédéric Lesemann, Université du

Québec – Montréal (Culture delle Americhe); Francesca Marzotto Caotorta, Milano (Paesaggio); Elisabetta Matelli,

Università Cattolica – Milano (Letterature antiche); Francesca Melzi d’Eril, Università di Bergamo (Letterature

straniere); Giuseppe A. Micheli, Università di Milano-Bicocca (Demografia); Margherita Pieracci Harwell,

University of Illinois – Chicago (Italian Studies); Edgar Morin, Cnrs – Parigi (Pensiero complesso); Salvatore Natoli,

Università di Milano-Bicocca (Etica); Luigi L. Pasinetti, Accademia dei Lincei – Roma; Alberto Ricciuti, Milano

(Medicina); Francesca Rigotti, Università della Svizzera Italiana – Lugano (Filosofia); Detlev Schild, University of

Göttingen (Biologia); Cesare Segre, Accademia dei Lincei – Roma; Dan Vittorio Segre, Università della Svizzera

Italiana, Lugano (Politologia); Pierangelo Sequeri, Facoltà Teologica dell‟Italia settentrionale – Milano (Religione);

Antonio Strati, Università di Trento (Teoria dell’organizzazione); Pierpaolo Varri, Università Cattolica – Milano

(Economia); Claudio Visentin, Università della Svizzera Italiana, Lugano (Viaggio); Serena Vitale (Letteratura

russa).

Le Newsletters precedenti sono consultabili sul sito dell’Associazione Italiana di Sociologia (www.ais-

sociologia.it) e sul sito del Dipartimento di Sociologia dell‟Università Cattolica di Milano

(http://www3.unicatt.it/pls/unicatt/consultazione.mostra_pagina?id_pagina=15524). Il contenuto degli articoli è

liberamente riproducibile citando la fonte.

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Numero chiuso il: 23 novembre 2011