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1Cor 4,10 nn. 15/16 anno XV giugno 2016 Rivista dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose San Nicola, il Pellegrino di Trani

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1Cor 4,10 nn. 15/16anno XV

giugno 2016

Rivista dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose San Nicola, il Pellegrino di Trani

ISSN: 2240-2667 anno

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in copertina:San Nicola Pellegrino (part.)fine sec. XIII inizio sec. XIV,tempera su tavola,Museo Diocesano, Trani

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Rivista dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose San Nicola, il Pellegrino di Trani

anno XV - giugno 2016 - nn. 15/16

Questo numero è curato da Domenico Marrone e Angelo Giuseppe Dibisceglia.Coordinamento editoriale di Angelo Giuseppe Dibisceglia.

Comunicazioni di natura editoriale, come anche scambi di riviste e libri, devono essere indirizzati a:Arcidiocesi di Trani - Barletta - Bisceglie

Istituto Superiore di Scienze Religiose “S. Nicola, il Pellegrino”Piazza C. Battisti, 16 - 76125 Trani

Tel. 0883.494228Fax 0883.494262

[email protected]

Le opinioni espresse in questa rivista non sono necessariamentené della redazione né dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose.

Progetto grafico-editoriale e stampaEditrice Rotas • Barletta

www.editricerotas.it • [email protected]

Registrazione n. 370 del 29/10/2001 presso il Tribunale di Trani

Comitato di Redazione

Antonio CiaulaAngelo Giuseppe DibiscegliaSilvia Anna Maria DipacePaolo FarinaRiccardo LosappioDomenico MarroneVincenzo RoblesMichelangelo Piccolo (segretario di redazione)

Comitato Scientifico

Luigi De PintoVincenzo Di PilatoDomenico MarroneVincenzo PavanMatteo Scaringi

Direttore responsabile

Domenico Marrone

ISSN: 2240-2667

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Indice

Domenico MarroneNuovi scenari per gli Istituti Superiori di Scienze Religiose in Italia ..................... 3

editorialeAngelo Giuseppe Dibisceglia

Editoriale ................................................................................................................................................... 7

prolusioniDomenico Marrone

Una “Chiesa in uscita” per un nuovo umanesimoIntroduzione alla Prolusione dell’A.A. 2014-2015Trani, 21 ottobre 2014 - Museo Diocesano .................................................................................. 11

Nunzio GalantinoUna “Chiesa in uscita” per un nuovo umanesimoProlusione dell’A.A. 2014-2015Trani, 21 ottobre 2014 - Museo Diocesano .................................................................................. 13

Domenico MarroneLa lettera-enciclica “Laudato si’”Introduzione alla Prolusione dell’A.A. 2015-2016Trani, 16 novembre 2015 - Chiesa di Santa Teresa ................................................................ 23

Mauro CozzoliLa lettera-enciclica “Laudato si’”.L’insegnamento di papa Francesco sulla cura della casa comuneProlusione dell’A.A. 2015-2016Trani, 16 novembre 2015 - Chiesa di Santa Teresa .................................................................. 27

note

Michele CasieroLa vicenda di un pensatore controverso: Antonio Rosmini (1797-1855) ........... 61

Angelo Giuseppe DibiscegliaLa vita consacrata: una ricognizione storica sulla Capitanata ..................................... 71

Luigi LafranceschinaQuando la fede diventa poesia. Michele Giorgio:«Non mi sconfiggerà la morte» ..................................................................................................... 81

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dice

Domenico MarroneConsonanze ecologiche in don Tonino Bello e papa Francesco ................................ 87

percorsi di studioDomenico Marrone

Il confessore, “medico dell’anima”, dinanzi al peccato di aborto .............................. 103Porzia Quagliarella

Il Giubileo della Misericordia nel dialogo interreligioso ............................................... 111

dissertazioniDissertazioni per la Laurea Magistrale ..................................................................................... 115

Dissertazioni per la Laurea .............................................................................................................. 131

documentiGaetano Corvasce

A trent’anni dalla pubblicazione del Decreto di Unione delle Diocesidi Trani, Barletta e Bisceglie: lettura e analisi ....................................................................... 153

recensioniAngelo Giuseppe Dibisceglia

Maria Rosaria Del Genio - Il sole della mia volontà. Luisa PiccarretaUna vita comune fuori dal comune ............................................................................................... 165

Domenico MarroneLorenzo Leuzzi - Il vangelo della misericordia.Per un nuovo sviluppo globale. Un itinerario teologico ....................................................... 169

Angelo Giuseppe DibiscegliaSalvatore Palese e Michele Bellino (a cura di)Domenico Del Buono a Ruvo e Bitonto (1925-1929)Un prete barese, vescovo del primo Novecento .......................................................................... 175

Collana Sic et Non ................................................................................................................................ 179

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Nuovi scenari per gli Istituti Superiori di Scienze Religiose in Italia

La vicenda degli Istituti Superiori di Scienze Religiose (Issr) in Italia prende avvio formalmente dal 1985 con la nota pastorale della Conferenza Episcopale Italiana (Cei) La formazione teologica nella Chiesa particolare. Nella nostra arcidiocesi, i prodomi della formazione teologica del laicato risalgono al 1976, grazie all’intraprendenza e alla lungimiranza di mons. Giuseppe Gallo. Nel momento in cui gli Issr vengono formalmente istituiti, si presentava l’urgenza di fornire un supporto accademico per la formazione degli insegnanti di religione cattolica.

Lungo gli anni è emersa di pari passo una forte domanda formativa da parte del laicato, che intendeva maturare una fede più adulta e pensata. Negli ultimi anni, a causa dell’emergenza occupazionale, è aumentato considerevolmente il numero di studenti che si sono affacciati all’Issr con una prospettiva di lavoro nel campo dell’insegnamento della religione cattolica. Nel frattempo si avviava il Processo di Bologna - un processo di riforma internazionale dei sistemi di istruzione superiore dell’Unione Europea - e il tavolo di negoziazione tra Stato Italiano e Santa Sede per il riconoscimento dei titoli accademici.

Tutto questo ha innescato un processo di riforma degli Issr che ha portato la Congregazione per l’Educazione Cattolica a promulgare nel 2005 una Nota normativa e, in questo ultimo anno, la Cei, su sollecita-zione della Santa Sede e dello Stato Italiano, a rivedere la mappa degli Issr in Italia al fine di operare un significativo ridimensionamento. Tale ridimensionamento ha come obiettivo una maggiore qualificazione dei centri accademici in vista dell’adeguamento agli standard del Processo di Bologna.

Sicuramente la diffusione capillare degli Issr sul territorio ecclesiale nazionale poteva essere e - di fatto è stata - un’opportunità di offerta formativa teologica che ha inciso non poco sul profilo di un laicato adulto, motivato e preparato nello scenario ecclesiale italiano. Il ridi-

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mensionamento che ora si impone non deve essere letto come un passo indietro, ma come un’esigenza di elevare il profilo accademico al fine di offrire proposte formative sempre più adeguate ai tempi e ai processi culturali in atto.

Nel frattempo, nel panorama ecclesiale italiano, è stata promossa una ricchezza di inizia-tive formative che, pur non avendo sempre il crisma dell’accademicità, ha - però - il pregio di rispondere alle molteplici esigenze pastorali, spirituali e pedagogiche degli operatori pastorali e di quanti avvertono l’esigenza di un approfondimento della fede che motivi sempre più le ragioni del credere. Il “fare teologia” non passa solo attraverso le cattedre, ma a volte - come in questo tornante storico - ha bisogno anche della polvere della strada, del farsi compagna di viaggio dell’homo viator alle prese quotidianamente con l’esaltante e difficile mestiere di vivere.

Nel prossimo anno accademico e per un triennio, dal punto di vista didattico-organizza-tivo, la vita del nostro Issr si svolgerà nella ordinarietà dei ritmi e delle lezioni di ogni altro anno. Ogni studente che ha intrapreso il suo percorso di studi lo porterà a compimento nel rispettivo ciclo a cui è iscritto. Non saranno aperte le immatricolazioni per il primo anno del ciclo triennale e per il primo anno del ciclo biennale. Gli studenti continueranno a sentirsi motivati nel proseguire e portare a termine il loro percorso. I docenti offriranno il loro servizio formativo con passione e competenza. Tutti dobbiamo essere persuasi che, in questo tornante della vita ecclesiale, dobbiamo «preoccuparci più di iniziare processi che di occupare spazi» (Evangelii gaudium, n. 222), anche se certi spazi evocano in tutti noi fatiche, progetti, lotte e sogni coltivati con passione. Ora i sogni non si infrangono: si schiudono solo nuove prospettive.

La nostra rivista con questo numero vede conclusa la sua serie e prende congedo dai suoi lettori, auspicando la pubblicazione di una rivista unitaria di tutti i nuovi Issr di Puglia. L’occasione è gradita per ringraziare il corpo accademico per la dedizione, l’esperienza e la perizia profuse lungo questi anni a servizio di tante generazioni di giovani che hanno intrapreso con entusiasmo l’avventura degli studi teologici. Un pensiero di gratitudine lo rivolgo altresì al personale tecnico-amministrativo per la generosa e intelligente collabo-razione. Ci piace lasciarci con una speranza: «tutte le storie che amiamo hanno una fine, ma è proprio perché finiscono che ne può cominciare un’altra» (dal film Mr. Magorium e la bottega delle meraviglie di Zach Helm).

Domenico Marrone

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Angelo Giuseppe Dibisceglia*

[email protected]

Anno XV, nn. 15/16, giugno 2016, pp. 7 - 8ISSN 2240-2666 - Issr Trani

Editoriale

La pubblicazione di una rivista - espressione di un istituto accademi-co - ricopre, fra le pieghe della cultura cattolica, un ruolo e una funzione di rilievo. Salòs. “Noi folli per Cristo...” (1Cor 4, 10), rappresenta - infatti - non soltanto l’omaggio dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose San Nicola, il Pellegrino - collegato alla Facoltà Teologica Pugliese - alla Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie e al suo territorio, quanto una delle espressioni che cadenzano - caratterizzandola - l’attività di un centro di formazione deputato, per sua nativa peculiarità, a fare della ricerca e della divulgazione di matrice accademica la testimonianza fondante e fondamentale della sua identità.

Secondo tale prospettiva, la rivista non è - quindi - soltanto la testimonianza più evidente della crescita culturale dell’Issr, bensì - an-che - una delle testimonianze più evidenti della perenne attualità del dibattito ecclesiale che costituisce il punto di incontro e di confronto, dal chiaro sapore qualitativo, tra il “rigore” del sapere e la “vivacità” dell’interpretazione: con il primo teso a definire i limiti dell’analisi e la seconda impegnata a tradurne i diversi significati tra obiettività e oggettività, nell’osmotico richiamo alla complementarietà.

Sulla scia di tale impostazione, anche questo numero di Salòs rivela la sua capacità di esprimere le ragioni della «speranza che è in noi» (1Pt 3, 15) attraverso le prolusioni di Sua Ecc. Rev.ma Mons. Nunzio Galantino, Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana, e del Prof. Mauro Cozzoli, ordinario di Teologia Morale nella Pontifi-cia Università Lateranense, nell’Accademia Alfonsiana e nell’Istituto Teologico Camillianum a Roma, tenute per l’inaugurazione dei due più recenti anni accademici. Nel contempo, i contributi dei docenti Michele Casiero, Gaetano Corvasce, Angelo Giuseppe Dibisceglia,

* Docente di Storia della Chiesa nella Facoltà Teologia Pugliese - Istituto Teologico “Santa Fara” di Bari e negli Issr di Trani e Foggia.

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Luigi Lafranceschina, Domenico Marrone, Porzia Quagliarella, esprimono quel “labora-torio di pensiero” che, manifestando l’unità delle discipline, pur nella molteplicità delle rispettive espressioni ermeneutiche, simboleggia la capacità di riversare - tra le pagine della rivista - l’espressione concreta e visibile di un impegno corale.

Concludo, al proposito, riportando quanto papa Francesco scrive tra le pagine della Evangelii gaudium (24 novembre 2013), carta d’identità del Convegno di Firenze In Gesù Cristo il nuovo umanesimo (Firenze, 9-13 novembre 2015), laddove il pontefice, disegnando la “vocazione” al sapere di ogni cristiano, afferma che «La cultura è qualcosa di dinamico, che un popolo ricrea costantemente, ed ogni generazione trasmette alla seguente un com-plesso di atteggiamenti relati vi alle diverse situazioni esistenziali, che questa deve rielaborare di fronte alle proprie sfide. L’essere umano “è insieme figlio e padre della cul tura in cui è immerso”. […] Ciascuna porzione del Popolo di Dio, traducendo nella propria vita il dono di Dio secondo il proprio genio, offre testimonianza alla fede ricevuta e la arricchisce con nuove espressioni che sono eloquenti» (n. 122).

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Domenico Marrone*

[email protected]

Anno XV, nn. 15/16, giugno 2016, pp. 11 - 12 ISSN 2240-2666 - Issr Trani

Una “Chiesa in uscita” per un nuovo umanesimoIntroduzione alla Prolusione dell’A.A. 2014-2015 Trani, 21 ottobre 2014 - Museo Diocesano

Buona sera a tutti. Rivolgo un particolare e deferente saluto all’ospite d’onore, S.E.

Mons. Nunzio Galantino, al nostro Arcivescovo, ai docenti e agli studenti, e a quanti hanno avvertito il piacere di essere qui presenti questa sera.

Il nostro saluto va anche alle Autorità della Facoltà Teologica Puglie-se, nella persona del Gran Cancelliere S.E. Mons. Francesco Cacucci e del Preside Prof. Angelo Panzetta.

Il nostro Issr è collegato accademicamente alla Facoltà Teologica Pugliese dall’anno 2005-2006, data della pubblicazione del Progetto di riordino della formazione teologica in Italia e della Nota normativa per gli istituti superiori di scienze religiose. Da quel momento la Facoltà non manca di rendersi accompagnatrice premurosa e vigile verso il nostro Istituto.

Protagonista di primo piano di quel Progetto è stato il nostro ama-tissimo Mons. Galantino. In quella fase di riordino è stato per noi una guida sicura nell’accompagnarci verso il nuovo corso degli istituti, che si sta rivelando promettente dal punto di vista della qualità dell’offerta teologica. Di tutto questo gli siamo grati.

Nel Consiglio di Istituto del mese di giugno scorso abbiamo pensato - come solitamente facciamo - di vivere questo momento dell’inaugu-razione del XXXIX anno accademico in sintonia con il cammino della Chiesa Italiana, in modo particolare col tema del Convegno Ecclesiale di Firenze del prossimo 9-13 novembre 2015.

Il convengo, dal titolo In Gesù Cristo il nuovo umanesimo, affronterà il travaglio culturale e sociale che caratterizza il nostro tempo e che incide sempre di più nella mentalità e nel costume delle persone. È il dramma affascinante e agonico della cultura occidentale che si vorrebbe

* Direttore dell’Issr di Trani e Docente di Teologia Morale.

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come universale e autosufficiente, con la presunta capacità di creare un nuovo ethos. Il Convegno, come leggiamo nell’Invito, attingendo alla tradizione vivente della fede cristiana, intende avviare «una riflessione sull’umanesimo, su quel “di più” che rende l’uomo unico tra i viventi; su ciò che significa libertà in un contesto sfidato da mille possibilità; sul senso del limite e del legame che ci rende quello che siamo».

Si tratta di dispiegare nei diversi ambiti dell’umano quella novità che sperimentiamo in Gesù Cristo, e farlo con quell’attenzione all’interlocutore che dice di un ascolto attento e dialogico. La dinamica dell’incontro - sottolinea papa Francesco al n. 87 di Evangelii gaudium - genera fraternità.

Il Convegno farà tesoro, in tal senso, dell’indicazione di Gaudium et spes - a cinquant’anni dalla sua promulgazione - che, al n. 44, evidenzia quanto la Chiesa stessa abbia ricevuto dal mondo, dalla cultura, dalla crescita in umanità che in essa si realizza.

Una Chiesa, dunque, “in uscita”, che vive, che è in cammino, che attraversa la storia in un contesto socioculturale e politico complesso e delicato; una Chiesa che, con le sue speranze e le sue fatiche, con le sue risorse e le sue difficoltà, è mistero di comunione e, nello stesso tempo, è missionaria; una Chiesa vicina all’uomo, al territorio, che pone at-tenzione ai suoi bisogni profondi, e offre la sua testimonianza concreta della “passione” di Dio nel suo bisogno di incontrare l’uomo, così come è, per stringerlo nell’abbraccio della sua misericordia. «I cristiani – conclude il documento - in quanto cittadini, desiderano abitare con questo stile la società plurale, protesi al confronto con tutti, in vista di un riconoscimento reciproco».

In tale contesto la stessa parola “umanesimo” - al di là della sua apparente astrattezza - potrà evidenziare la concretezza del rimando a quell’umanità nuova, a quella intensità dell’umano che sperimentiamo nell’incontro dei volti nella luce del Signore.

A me, però, spetta solo introdurre il tema e il relatore. Pertanto mi fermo qui e passo la parola a S.E. Mons. Nunzio Galantino, vescovo di Cassano allo Jonio e Segretario Generale della Cei. Sicuramente saprà illustrarci il tema con competenza e sagacia, tratti che caratterizzano da sempre l’esercizio della carità intellettuale e, da quando è vescovo, la carità pastorale di Mons. Galantino.

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Una “Chiesa in uscita” per un nuovo umanesimoProlusione dell’A.A. 2014-2015**

Trani, 21 ottobre 2014 - Museo Diocesano

Il titolo Una Chiesa in uscita per un Nuovo Umanesimo è un titolo che ho suggerito io: per cui mi tocca spendere qualche parola perché formulandolo ho tenuto presente le due spinte principali che stanno emergendo sulla Chiesa Italiana in questo periodo o che stanno se-gnando la vita della Chiesa Italiana. Tutte le volte che ci ritroviamo per riflettere a qualsiasi livello: a livello accademico, a livello pastorale, o, comunque, di inchiesta, è importante conservare lo sfondo sul quale ci muoviamo o sul quale riflettiamo. Oggi c’è da dire questo.

La Chiesa Italiana, almeno nelle parti più consapevoli di essa, si misura evidentemente con queste due realtà: la Evangelii gaudium (EG) di papa Francesco da una parte e dall’altra il cammino che ci sta portando al Convegno Ecclesiale di Firenze. Sono due realtà che devono accompagnare il cammino di qualsiasi comunità ecclesiale ma anche di qualsiasi realtà accademica come l’Issr, che comunque non è altro rispetto alla Chiesa, e che ha un suo ruolo all’interno della Chiesa stessa.

Personalmente io non sono in grado di dire quanto stiamo riuscendo o quanto riusciremo a fare come Chiesa Italiana alla luce di queste due sfide particolari. Ma ho una certezza. Se le nostre realtà ecclesiali - e quindi anche la struttura accademica come l’Issr - si lasceranno rag-giungere dallo spirito e dalla passione che attraversa la EG, l’obiettivo di ritrovarsi a ridisegnare un nuovo umanesimo a partire da Gesù po-trà essere una realtà. Togliamoci dalla testa che questo possa avvenire mettendo ai margini o evocando solo a parole la passione e lo spirito che innerva la EG. In fondo è il modello di Chiesa che papa Francesco va giorno per giorno disegnando e accompagnando anche con quella che a me piace chiamare “l’enciclica dei gesti”. Ecco il modello che lui

Nunzio Galantino*

* Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana.** Testo non rivisto dall’Autore.

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va disegnando. Mi pare sia proprio una Chiesa che avverte, e che deve avvertire, sempre di più la sua missione, che è quella di contribuire a fare di ogni uomo e di ogni donna, un uomo e una donna riusciti.

Se noi perdiamo di vista questo fatto, io non sto usando troppo in questo periodo il termine “umanesimo”, perché siccome nell’altra vita insegnavo Antropologia, questo ter-mine mi evoca tante cose, tante problematiche, tante discussioni anche inutili. Non so se condividete però, per quel che mi riguarda, il compito della Chiesa: guardando a Cristo Gesù è quello di contribuire a rendere ogni uomo e ogni donna, uomini e donne riusciti. Parlo non di un uomo e di una donna disincarnati, ma di un uomo e di una donna che devono essere raggiunti dalla Chiesa dove stanno.

Sicché, tutto ciò che non contribuisce a realizzare nell’uomo il progetto di Dio non merita energie né spirituali, né materiali. Le parole di papa Francesco vanno proprio in questa direzione. Egli intende aiutare la Chiesa a non distrarsi dal suo compito che è quello di chinarsi su una umanità ferita. Se avete letto o ascoltato il discorso di Francesco a conclusione del Sinodo, il Papa ha - secondo me - con buona pace per i professori di ecclesiologia, pronunciato un discorso di ecclesiologia. Ci ha detto “chi” e “cosa” è la Chiesa, “cosa deve fare” la Chiesa, alla luce di “cosa deve verificare” la sua identità e deve verificarla in questa direzione, cioè, su questo impegno a chinarsi come Cristo ha fatto. In fondo, l’Incarnazione cosa è? Al di là dell’atmosfera del Natale, l’Incarnazione cosa è se non un chinarsi di Dio sull’umanità ferita. La Chiesa allora è questo, non può non essere questo e papa Francesco sta facendo questo, ci sta dicendo questo, ha invitato la Chiesa a visitare le periferie esistenziali che spesso restano ai margini della nostra attenzione.

Su questo sfondo vanno collocate e lette alcune espressioni che possono diventare dei comodi slogan:“Chiesa in uscita” o “Chiesa, tenda da campo”. Se non collochiamo queste affermazioni, queste immagini fortemente evocative, se non le collochiamo all’interno di quello che è l’obiettivo della Chiesa, che poi è, lo ripeto, quello di prolungare gli effetti della Incarnazione, e quindi questo chinarsi sulle ferite di ogni uomo di oggi, se non si fa questo, parlare di “Chiesa in uscita”, parlare di “Chiesa, tenda da campo” diventano i nuovi slogan deresponsabilizzanti, per cui una corretta interpretazione di queste espressioni è in grado di consegnarci una corretta ecclesiologia. Una prassi evangelica e un percorso anche culturale che portano verso un umanesimo rinnovato.

Dal momento che ho evocato la EG, permettetemi di spendere qualche parola che la collochi nel posto giusto nel cammino della Chiesa, evitando facili distorsioni e comode quanto devianti prese di posizione. Qualche parola bisogna dirla per ridimensionare e liquidare l’atteggiamento mentale di chi vede una rottura, una frattura tra papa Francesco e i pontefici precedenti. Tanta gente con uno sguardo superficiale e strumentale tende a opporre o a non riconoscere la continuità di quello che c’è nella Chiesa. Sappiamo che la EG, quanto a contenuto, non è un documento nuovo, riflette per molti aspetti il pensiero

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NUNZIO GALANTINO | Prolusione dell’A.A. 2014-2015

di Paolo VI nella Evangelii nuntiandi (EN). Guardate che quello che Giovanni Paolo II ha detto sulla nuova evangelizzazione e che ha poi ripetuto Benedetto XVI, lo si trova pari pari nella EN. Da una parte quello che papa Francesco ci sta proponendo nella EG è in continuità con la EN e, dall’altra, è evidente la continuità con la Porta Fidei di Benedetto XVI, dove il temine «gioia» ritorna più volte. Qualcuno l’ha dimenticato questo fatto, per descrivere il dinamismo del credere e del comunicare la fede. Queste realtà già esistono. Eppure non è esagerato affermare che si tratta di un testo nuovo, in quanto ci invita ad affrontare questo nostro tempo con freschezza sempre nuova. E qui va evocato Giovanni Paolo II nella spiegazione che ha dato in quel che significa la “nuova evangelizzazione”, che sappiamo tutti non può essere ridotto a un restyling, ma che è invece un recuperare ardore, un recuperare passione. Guardate, io penso che a noi nella nostra Chiesa Italiana non mancano preti, anzi qua a Trani ce ne sono pure tanti, dato che avete questa bella tradizione di mandarli altrove. Qui il problema non è il numero di preti, non è di strate-gie pastorali. Il problema è un altro: stanno venendo meno la freschezza e la passione che devono accompagnare l’esperienza cristiana. Questo sta venendo meno, questo è calato.

Se vogliamo recuperare in una parola quello che Giovanni Paolo II ci ha chiesto e quello che papa Francesco sta chiedendo a noi, è questo: più passione, più entusiasmo, più voglia di scommettere, più voglia di osare a partire da Cristo, riconoscendo la bellezza, la novità, la forza, l’originalità di quello che Cristo ci ha consegnato. Questo è il problema: saper comunicare agli altri che quello che Cristo ci dice e ci dà è inedito rispetto al modo comu-ne di pensare. Inedito. Invece, tante volte, noi giochiamo a essere dei ripetitori di tutto, essere dei replicanti. E il contrario della nuova evangelizzazione è essere dei replicanti. Il contrario della EG è essere replicanti nelle varie declinazioni. La cosa importante è stare attenti a questa vulgata che vorrebbe vedere papa Francesco come il totalmente nuovo, il totalmente diverso rispetto al passato. Ma non è così.

Introducendo il testo della EG al n. 1, papa Francesco dice quale deve essere lo stile della Chiesa perché possa essere “Chiesa in uscita”. Quando parliamo di “Chiesa in usci-ta”, sembra quasi che veniamo invitati a dire: «Ok. Abbiamo la consapevolezza di avere una bella realtà, di possedere una verità straordinaria, allora mettiamoci l’elmetto in testa e usciamo per le strade». Ma dove si va? Non è questo il concetto di “Chiesa in uscita”. “Chiesa in uscita” vuol dire essenzialmente questo: uscire per capire chi ci sta per strada, per imparare cosa sta in mezzo alla strada e così rimodulare la mia testimonianza, la mia predi-cazione, il mio annuncio. Non è un optional. Quando il Papa va nelle periferie esistenziali ne parla non necessariamente e non solo come destinatari di quello che noi siamo e come dobbiamo essere, ma ne parla come scuola dove noi impariamo l’alfabeto ecclesiologico, lo impariamo lì, lo impariamo per strada, lo impariamo incontrando quelle realtà che lui definisce «periferie esistenziali».

Al n. 1 della EG, papa Francesco dice un po’ quale può essere la premessa perché si possa essere “Chiesa in uscita” al di là di ogni slogan. Cosa dice il Papa:

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La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia.1

Questo è il cuore, è l’inizio vero del nostro essere Chiesa, l’incontro con Cristo che non ci fa santi, non ci fa perfetti, ma ci aiuta a recuperare la gioia di vivere, l’entusiasmo di spenderci per la sua causa perché vediamo degli uomini e delle donne che sono tristi, perché vediamo uomini e donne che fanno fatica a vivere, perché vediamo uomini e donne che fanno fatica a mantenere la barra dritta, quando quegli uomini e quelle donne non siamo prima di tutto noi.

Ecco allora, l’inizio di tutto questo: con Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. In altre parti della EG, papa Francesco dirà continuamente che è dall’incontro con Gesù che nasce la gioia, ma non un incontro fatto così, un incontro che veramente rimette in circolazione. Il Papa, continua spiegando:

In questa Esortazione desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni.2

Una nuova tappa. Non l’inizio di un cammino, una nuova tappa. E qui una domanda: perché papa Francesco ci invita ad essere protagonisti di questa nuova tappa evangeliz-zatrice, vivendo questa esperienza di “Chiesa in uscita”? Lo fa perché lui conosce bene la nostra storia, lo fa perché conosce bene quelli che possiamo chiamare i dinamismi della nostra società, della nostra cultura. E visto che siamo in un istituto accademico, qualche parola vorrei dirla su questa nostra situazione che giustifica - poi - il “perché” di alcune espressioni di papa Francesco.

Sappiamo tutti quanti che, al pari di tutte le altre società europee, anche la nostra ha assunto ormai una figura sempre più plurale, sempre più complessa. Ce ne accorgiamo quando riflettiamo su ciò che emerge relativamente al senso dell’umano. Oggi, quando si domanda «Ma cos’è umano?», «Cosa può essere definito umano?», quali gesti, quali con-sapevolezze possono essere ricondotte sotto questo lemma: è umano, ci accorgiamo che non assistiamo tanto oggi a confrontarsi e, a volte, a confondersi di una molteplicità di prospettive, quanto piuttosto al frammentarsi lo sguardo, al venir meno di visioni di insieme.

Io penso che una delle grandi difficoltà che noi come Chiesa stiamo incontrando sia questa: non ci siamo resi conto che, non dico che le ideologie sono finite, ma è avere uno sguardo più o meno armonico sulla realtà. Oggi, i frammenti, le piccole realtà, le piccole cose, tendono a diventare assoluto, per cui anche certe condizioni dell’uomo, che sono di

1 Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, 24 novembre 2013, n. 1.

2 Ibid.

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per sé rispettabilissime, tendono ad essere presentate come una soluzione da poter essere proposta e riconosciuta da tutti. Alle antiche ideologie con la loro pretesa totalizzante sono subentrate nuove teorie più o meno implicite, nuovi saperi che pretendono di tracciare le coordinate entro le quali limitarsi semplicemente ad esprimere e a spiegare i compor-tamenti dell’uomo.

Sembra proprio che non ci sia più la possibilità di dare delle indicazioni, di offrire dei parametri interpretativi. Tutto è valido. Tutto è sul banco del mercato dove ognuno presenta la sua mercanzia. E la convinzione diffusa, nel modo di vivere prima ancora che nell’elabo-razione teorica, è che in fondo non si possa neppure dire che cosa significhi essere uomo ed essere donna. Questa è un po’ la cultura nella quale ci troviamo. È inutile aggiungere che il contesto culturale, chiamiamolo post-moderno nel quale ci troviamo, è pieno di sfide e di grandi domande di senso anche per la fede. Quello che sta accadendo attorno a noi, non possiamo considerarlo come qualcosa che non ci interessa, per cui continuiamo a fare le nostre processioni, i nostri convegni più o meno autoreferenziali. Questo avremmo dovuto capirlo già dalla Gaudium et spes, ma pare che non sia successo questo.

Allora ecco l’importanza di capire questo, di entrare in questa logica: che tutto ciò che esiste, sta lì. Il nostro compito quale è? Intercettare le sfide e le domande al senso di fede che queste realtà ci propongono. Sopravvive soltanto nella memoria di noi adulti, il cri-stianesimo sociologico è tramutato un po’ ovunque nel nostro Paese, sopravvive soltanto nella memoria di noi adulti quel tempo in cui il cristiano e il cittadino coincidevano.

Chi fra noi sacerdoti non ricorda come la Chiesa fosse il centro dei nostri paesi, si nasceva e si moriva in un ambiente naturalmente cristiano che, in quanto tale, traslava linguaggi e visioni dell’esistenza. Ecco a ben guardare, oggi, di tutto questo rimane poco. Paradossalmente, resta in molti la nostalgia di un passato ideologizzato rispetto al quale il confronto con il presente rischia di essere motivo di amarezza, di chiusura, di un cammino intrapreso con uno sguardo rivolto al passato. Io ho l’impressione che, a volte, sia meglio ricorrere alle immagini bibliche, il modo in cui buona parte della Chiesa sta camminando. L’immagine biblica è quella della moglie di Lot che guardò all’indietro e diventò una statua di sale. Di fatto si tratta di una prospettiva davvero umanizzante. Avere il coraggio di non saper osare, questo confronto disincantato con la storia in cui viviamo, questo vivere il rapporto con l’ambiente nel quale stiamo o con la paura e, quindi, scappare cento miglia lontano oppure quello di arrenderci, come se quella realtà, fatta dagli uomini e dalle donne di oggi, non avesse nulla da dirci.

La “Chiesa in uscita” è quella che non si nasconde dietro questo tipo di realtà, di fatto, quella della moglie di Lot è quella che purtroppo, gran parte della nostra Chiesa vive, nonostante il grande entusiasmo che si sta vivendo con papa Francesco, si tratta di una prospettiva davvero paralizzante.

Ce ne accorgiamo - ecco lo dico a noi sacerdoti - a livello pastorale, dove il rimpianto, dove a torto o ragione, si traduce in un attivismo sterile, si moltiplicano le iniziative,

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non si ha più tempo per fermarsi né con le persone né con il Signore nella vana tensione a riportare le cose a come erano prima, quando la parrocchia di fatto coincideva con il territorio e i suoi abitanti.

Ecco, senza giudicare le buone intenzioni e la generosità di molti preti e di molti ope-ratori pastorali, dobbiamo però riconoscere che lungo questa strada, più che risultati, si raccolgono frustrazioni e risentimenti. Si rimane, allora, vittime di quel grande rischio del mondo attuale (EG, n. 2) che è una tristezza individualista, dice papa Francesco, che quando contagia noi credenti, si trasforma in cristiani (EG, n. 6) che sembrano avere uno stile di quaresima senza Pasqua. Eppure, lo sappiamo per esperienza personale: un evangelizzatore non dovrebbe mai avere (EG, n. 10) una faccia da funerale. La più grande minaccia, avverte il Santo Padre, è il grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa nel quale tutto apparentemente procede nella normalità, mentre - in realtà - la fede si va logorando e degenerando nella meschinità, si sviluppa la psicologia della tomba che, poco a poco, trasforma i cristiani in mummie da museo (EG, n. 33).

A questo punto, altro che “Chiesa in uscita”, si diventa una “Chiesa fuori corso”, av-vertita come tale dai nostri contemporanei, e quindi, abbandonata. Molto spesso nelle nostre riunioni di preti stiamo spesso a lamentarci che la gente non viene - e che deve venire a fare, certe volte ed in certe chiese? - quale è il senso nuovo che noi riusciamo a trasmettere, l’entusiasmo, la passione per questa vita in nome di Cristo? Quando la Chiesa è come la moglie di Lot, alla fine diventa una Chiesa fuori corso, avvertita come tale dai contemporanei: si diventa irrilevanti.

Su questo sfondo, il Papa ha collocato questa ripetuta urgenza della “Chiesa in usci-ta”, uno sfondo molto realistico. E – guardate – invitare la Chiesa ad essere “Chiesa in uscita” comporta, secondo il pontefice, l’altra espressione che abbiamo imparato tutti insieme a ripetere tra di noi: comporta passare da una pastorale di semplice conserva-zione a una pastorale decisamente missionaria che richiede - però - una consapevolezza culturale molto forte.

L’aiuto che un Issr fosse all’interno della diocesi non il poltronificio per quelli che vogliono andare a insegnare, ma dovesse diventare veramente il luogo in cui matura la consapevolezza delle sfide concrete che alla fede dà alla società contemporanea ma dà so-pratutto al territorio. Quindi, dovrebbe essere così, che l’Issr dovrebbe fornire al vescovo e a chi per lui, quali sono oggi i parametri in cui ci si muove, che non sono quelli di cinque anni fa, che non sono quelli di quindici anni fa, perché il nostro mondo cambia, che lo vogliamo o no.

Ecco, allora, questa consapevolezza, questa necessità, dice papa Francesco, di uscire per non essere irrilevanti, uscire per capire chi ci sta dall’altra parte, uscire per capire come la pensa chi sta dall’altra parte, non per adeguarci, ma per adeguare il linguaggio, adeguare la sensibilità, per adeguare priorità. Ma ci rendiamo conto che diamo risposte a domande che mai nessuno ci ha rivolto e investiamo energie su questo.

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È evidente che questo essere “Chiesa in uscita” è una proposta esigente, né potrebbe essere diversamente perché domanda quella fiducia del cuore e della mente che impedisce di lasciarsi prendere da un pessimismo sterile (EG, n. 34). Domanda lo sguardo di chi ci riconosce che negli strati della società ci sono molti segni della sete di Dio rispetto ai quali c’è bisogno di persone di speranza. Il Papa parla al numero 36 «di persone anfore» per dare da bere agli altri. Domanda, soprattutto, un improrogabile rinnovamento ecclesiale che passa da far crescere la coscienza dell’identità e della visione dell’altro.

L’esperienza ecclesiale alla quale il Papa non si stanca di richiamarci con quella espressione “Chiesa in uscita” è una esperienza ecclesiale viva, propositiva, cordiale; molte volte abbia-mo paura anche di questi termini. Molte volte anche noi sacerdoti pensiamo che quanto più mostriamo il viso arcigno alla nostra gente, più noi passiamo per essere i Giosuè della situazione. Il ponte attraverso il quale passano certi contenuti e, soprattutto, i contenuti del Vangelo, è la relazione, non è la creazione di muri, non è la contrapposizione, e questo il Papa ce lo sta dicendo. Il discorso fatto durante il Sinodo va in questa direzione, cioè va a scardinare anche questa mentalità che io suppongo sia un po’ una sorta di ancora di salvezza per alcuni di noi, cioè questo non volersi mischiare con la realtà, questo non voler entrare in relazione perché evidentemente quando si entra in relazione ci sono delle realtà che vanno e che vengono e che ci possono anche trovare impreparati. No! Non è possibile tutto questo, dice il Papa al numero 27:

Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione.3

Perché il grande nemico della “Chiesa in uscita” è la voglia di autopreservarsi. La rifor-ma delle strutture, per il Papa che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che queste diventino sempre più missionarie; che la pastorale ordinaria, in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di uscita e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia. Per cui non è il tempo, ammesso che lo sia mai stato, per ripie-garsi sulla lamentela di quello che manca o per concentrarsi sulla zizzania, invece che sul vino nuovo e sul grano che già biondeggia.

Il Papa sta continuamente dicendo di mettere in rilievo la bellezza della famiglia perché concentrandoci soltanto sul problema non ci porta da nessuna parte o - meglio - ci fa mortificare ancora di più. Allora ci dice: partiamo col piede giusto, partiamo col vedere ciò che c’è di bello, di buono, ma questo non solo per il tema della famiglia ma anche per una questione di stile.

3 Ivi, n. 27.

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Tanta tristezza mi ha fatto certe volte. C’era un gruppo che invitava alle catechesi, sulla locandina c’era scritto - mi veniva voglia di strapparli - «Ti senti solo? Ti senti angosciato? Vieni alle ore 21». Ma dove va uno alle 21 se non sta bene? Possibile che questo cristia-nesimo non è fatto per gente allegra, che sta bene, che è contenta anche se ha i guai nella sua vita? Alla catechesi bisogna andarci perché ci sentiamo soli, abbandonati? Ma ci sono le pizzerie per fare questo.

Molte volte questo avviene nelle nostre cose, e sapete perché ci comportiamo in questa maniera? Solo per aiutare i più deboli. Per cui, certe volte le nostre realtà si trasformano in corridoi, in una specie di clinica psichiatrica. Ma perché abbiamo messo noi queste premesse. Il Papa nell’EG ci chiede altro: di intercettare quello che di reale c’è nella gente, anche le cose belle. Perché Cristo ha da parlare anche a chi o - soprattutto - a chi sta bene. Non possiamo invocare Dio soltanto quando noi siamo messi male. Il nostro Dio è un Dio che ci serve sempre, che ci è sempre vicino, che si interessa sempre di noi.

Qualcosa volevo dire anche sul cammino che la Chiesa Italiana sta facendo in questa direzione, perché in questa luce va letto il Convegno di Firenze che si terrà nel 2015. In questa luce va visto anche il cammino, che devo dire con grande fatica, si sta facendo nelle diocesi. Stamattina cercavo di capire per quale motivo c’è questo. È in questa cornice che va collocato il Convegno di Firenze che sarà una tappa importante per verificare che cosa, la qualità della nostra presenza cristiana nella società, se è coerente con quello che il Papa ci sta chiedendo. Questa è la prima cosa che dobbiamo chiederci: se la nostra coerenza è in linea con quello che il Papa ci sta chiedendo, per verificare anche quelli che sono i tratti peculiari dell’intervento pastorale, se sono dei diversivi o se sono veramente cose che ci interpellano e pungono la gente.

A noi è chiesto di operare nel mondo come “Chiesa in uscita”, fedeli al progetto del Padre, proiettandoci nel futuro mentre viviamo il presente con le sue sfide e le sue promesse. Tutto - però - vissuto nella consapevolezza del carico di peccato e di conversione, di comunione e condivisione che il nostro presente porta con sé. E allora, quali atteggiamenti concreti permettono quel discernimento unitario al quale papa Francesco invita continuamente la Chiesa per capire come deve vivere il suo essere “Chiesa in uscita”?

Il Papa indica degli obiettivi precisi: radicamento orante nella Parola di Dio, letta dentro la Chiesa alla luce della tradizione. Questo è importante. Una delle direttrici più belle che io vi porto da questo rapporto personale con papa Francesco è proprio questo radicamento orante nella Parola di Dio: è un uomo che prega assai. Quando ci sono dei problemi, mi dice, «Hai pregato per questo?». Una volta stavamo in tre o quattro, per una cosa mi chiamò da parte e mi disse: «Vieni». Mi dissi: «Chissà quale altro guaio avrò combinato!». E lui: «Ma tu hai già pregato per questa cosa qua?». Non è una cosa banale. È un fatto serio. Non si può essere “Chiesa in uscita” se questa voglia non nasce dall’aver incontrato seriamente Cristo nella preghiera e nell’ascolto della Parola letta nella Chiesa alla luce della tradizione.

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Mettersi alla ricerca dei semi di verità, dei segni dei tempi sparsi dentro la storia degli uomini, anche quelli presenti. Ma che tristezza sentire dire da certi laici impegnati: «Che brutto tempo è il nostro!». Dobbiamo avere chiaro lo spettro della realtà. Non possiamo sempre essere alla ricerca di carogne da seppellire, non possiamo essere sempre e solo questo. Dobbiamo cercare anche le cose belle. Una delle belle parole scritte nella EG è la festa, questo invocare la festa. Questo saper riconoscere che ci sono motivi per cui dire «Grazie!» al Signore, fare festa con Lui e con gli altri.

Interpretazione della società e della cultura alla luce della verità che l’evento Cristo è per noi. Sono questi gli ingredienti che fanno della nostra Chiesa una “Chiesa in uscita”, capace di disegnare e di vivere un umanesimo nuovo. Sull’esempio di Gesù e nella convinzione di riattualizzarne lo stile, papa Francesco immagina una “Chiesa in uscita” capace di abitare il quotidiano delle persone grazie allo stile povero e solidale perché uno stile fatto di enfasi, di ricchezza, troppo mostrato, evidentemente non parla agli altri, non ci avvicina agli altri; uno stile capace di rinnovare la storia di ciascuno, ridare speranza, aprire le nostre vite morte alla gioia della resurrezione.

In altre parole, una Chiesa pronta a fare della vita ordinaria un incontro e dell’esperienza misericordiosa che, con attenzione pastorale, deve andare agli ambiti della vita quotidiana di ogni uomo individuati con chiarezza durante il Convegno di Verona: la cittadinanza, la fragilità, gli affetti, il lavoro e la festa, l’educazione e la trasmissione della fede.

Questi ambiti, oggi, sono gli spazi dell’umano dentro i quali dobbiamo vivere e annun-ciare il vangelo. In questo modo, temi e contesti, della famiglia, del legame sociale e della politica, del creato, della solidarietà, del lavoro, del bene comune, della condivisione del dolore e della resistenza al male di vivere dei poveri: solo così questi ambiti diventano vere e proprie frontiere, luoghi nei quali adoperarci e nei quali sentirci seriamente interpellati.

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prolusioni 23Anno XV, nn. 15/16, giugno 2016, pp. 23 - 25 ISSN 2240-2666 - Issr Trani

La lettera-enciclica “Laudato si’”Introduzione alla Prolusione dell’A.A. 2015-2016Trani, 16 novembre 2015 - Chiesa di Santa Teresa

Laudato si’ è la prima enciclica interamente ascrivibile alla paternità di papa Francesco, un’enciclica dedicata all’ecologia o, meglio, come recita il sottotitolo, alla “cura della casa comune”. Su questo tema il Papa intende “entrare in dialogo con tutti”, non solo con i membri della Chiesa cattolica. Francesco si rivolge a tutti, come fece Giovanni XXIII, papa santo e profeta, con la Pacem in terris quando la ema-nò dedicandola «a tutti gli uomini di buona volontà». Così delinea un parallelo tra la tragica minaccia della guerra all’inizio degli anni Sessanta, «mentre il mondo vacillava sull’orlo di una crisi nucleare», e il «deterioramento globale dell’ambiente» che stiamo provocando, “degradazione” già denunciata come “drammatica” e foriera di una possibile “catastrofe ecologica” da Paolo VI nella sua Lettera apostolica Octogesima adveniens del 1971.

Un testo, quello di papa Francesco, che costituisce anche “una prima” poiché affronta il problema della presa di “coscienza ecolo-gica” contemporanea, come un segno dei tempi che Paolo VI aveva già intravisto fin dal 1970. Dopo quarant’anni di maturazione, la dottrina sociale della Chiesa si arricchisce - così - di un nuovo “pan-nello” della sua riflessione che potrebbe rinnovare in profondità la sua pastorale.

Questa ripresa cristiana di una teologia della creazione è abbastanza rara, per lo più sconosciuta ai credenti, eppure decisiva per poter, come dice Agostino, «adorare la terra» come sgabello della signoria di Dio. Certo, l’ebraismo e il cristianesimo hanno liberato l’uomo dall’idolatria, dall’alienazione agli elementi celesti e terrestri, hanno demitizzato la natura, ma non hanno mai cessato di guardare ad essa non come a un semplice scenario per l’uomo, ma come a una comunità di creature che Dio aveva giudicato realtà “buona e bella”, creature

Domenico Marrone*

[email protected]

* Direttore dell’Issr di Trani e Docente di Teologia Morale.

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che l’uomo deve custodire, ordinare, proteggere perché la vita fiorisca e la convivenza sia foriera di pace e di felicità.

Dobbiamo essere sorpresi del grande silenzio della teologia della creazione che le nostre Chiese attraversano da alcuni secoli e in particolare dal dopoguerra? Schiacciate tra atteg-giamenti filosofici antichi, spiritualità talvolta ben poco incarnate e teologie sistematiche e ben poco intuitive, le teorie e le pratiche della fede cristiana del nostro rapporto con il mondo si sono così inaridite dall’interno.

Con il chiavistello cartesiano dei moderni e i modelli cosmogonici nuovi di un Galileo o di un Darwin, la fede cristiana si è lasciata, a poco a poco, sradicare. Non ha più alcun rapporto con la terra. Solo la liturgia ricorda a tutti, nella semplicità di una benedizione per la semina o nella concretezza del rito eucaristico, che la salvezza di Cristo riguarda davvero tutto di questo mondo: l’umanità e tutta la creazione! L’enciclica di papa Francesco potrebbe costituire una sferzata contro questa incoerenza pastorale tra la fede in una creazione buona e donata da Dio e l’indifferenza di molti davanti al suo rapido degrado attuale.

Si afferra con maggiore pienezza la portata eversiva dell’enciclica Laudato si’, di papa Francesco - rispetto a tutta la tradizione millenaria della Chiesa - se si tiene conto della storia del pensiero ambientalista. Nel 1967, uno storico americano, Lynn White jr, pubblicò su Science un saggio che fece scandalo. Nel suo Le radici storiche della nostra crisi ecologica, White sosteneva, con notevole precocità, che le condizioni di progressiva alterazione degli equilibri ambientali risiedevano nel dominio esercitato in occidente dalla cultura religiosa giudaico-cristiana.

Papa Francesco sente il bisogno di costruire un albero genealogico, una sorta di conti-nuità, nella difesa della madre terra, non solo con i testi classici (dai «racconti biblici» ai vangeli, a san Tommaso) ma anche, e rigorosamente, con i pontefici suoi predecessori e con i deliberati delle conferenze episcopali di tutto il mondo. Infatti, un aspetto particolarmente rilevante dell’enciclica è l’aver valorizzato la riflessione collegiale nella Chiesa: numerosi documenti di episcopati nazionali, che si sono fatti voce di situazioni che evidenziano l’urgenza diffusa di una conversione ecologica, sono citati e utilizzati. Rilevante è, altresì, il riferimento ad alcuni profeti dell’epoca moderna, troppo spesso ignorati, dall’antropologo e teologo gesuita francese Pierre Teilhard de Chardin al pensatore italo-tedesco Romano Guardini, al filosofo protestante Paul Ricoeur.

Si ha però anche una sensazione di autentica novità per almeno tre motivi: 1) per lo stile semplice e immediato; 2) per l’attenzione prestata a contributi che solitamente non costitu-iscono le fonti del magistero papale, come per esempio le opere di altri leader religiosi, tra cui il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, e le analisi di scienziati, di sociologi, di eco-nomisti; 3) per la forza sorprendentemente “laica” degli argomenti e dell’argomentazione.

Laudato si’ ha in profondità il “marchio” del suo autore. Che sta nella poesia, nella tenerezza che traspare nella scrittura del testo in cui papa Francesco invita a meravigliarsi della bellezza della natura come di un dono d’amore di Dio nella creazione; sta nel rifiuto

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di ricorrere a qualsiasi moralismo, a qualsiasi condanna del “mondo” che potrebbe giusti-ficare il saccheggio del pianeta. È un’enciclica circolare, dove si percepisce bene la mano del Papa, la sua forza intuitiva ed affettiva. E nei contenuti è un testo olistico e di sintesi, che mira a cogliere i nessi dentro la totalità della sfida ecologica.

Ma non spetta a me illustrare in profondità la trama e i contenuti dell’enciclica. Lo farà con la sua nota e raffinata competenza il prof. mons. Mauro Cozzoli, ordinario di Teologia Morale presso la Pontificia Università Lateranense ed altri centri teologici. Il prof. Cozzoli ha all’attivo numerose pubblicazioni per le quali rimando al suo blog www.maurocozzoli.co.nr.

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prolusioni 27Anno XV, nn. 15/16, giugno 2016, pp. 27 - 58 ISSN 2240-2666 - Issr Trani

La lettera-enciclica “Laudato si’”. L’insegnamento di papa Francesco sulla cura della casa comuneProlusione dell’A.A. 2015-2016 Trani, 16 novembre 2015 - Chiesa di Santa Teresa

L’ecologia - vale a dire l’interazione tra gli organismi e il loro am-biente naturale - si è fatta, ai nostri giorni estremamente problematica. Per la dottrina sociale della Chiesa costituisce una questione impellente e globale, che appella ineludibilmente le coscienze degli individui e dei popoli.

La questione è eminentemente etica perché non è prodotta da feno-meni naturali, ma da comportamenti umani. Squilibri e dissesti, in cui prende forma, non hanno origine endogena (interna agli ecosistemi) ma esogena. Origine che chiama in causa scelte e condotte umane. Persone e popoli sono ad un tempo beneficiari e responsabili degli habitat di vita e delle loro risorse. Oggi questo nesso s’è fatto critico perché s’è alterata e infranta la relazione osmotica tra il prelevare e il rendere, l’utilizzare e il custodire, il beneficiare e il reintegrare: ad elevato incremento il primo, a grave detrimento il secondo.

Per questa destinazione e implicazione umana dell’habitat e dei suoi beni e della crisi che lo investe, la Chiesa - sollecita del bene integrale umano ed «esperta in umanità»1 - non può disinteressarsi, ma se ne occupa irrinunciabilmente. Lo ha fatto in vario modo e con interventi mirati in questi ultimi decenni, a livello sia universale che locale. Lo fa a tutto campo e nel modo più autorevole del suo magistero oggi, quando ormai il problema ecologico ha assunto lo

* Docente Ordinario di Teologia Morale nella Pontificia Università Lateranense, nell’Accademia Alfonsiana e nell’Istituto Teologico Camillianum (Roma).

1 Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 7 dicembre 1965, nn. 1-3; Paolo VI, Enciclica sullo sviluppo dei popoli Populorum progressio, 26 marzo 1967, n. 13.

Mauro Cozzoli*

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spessore e l’ampiezza di una questione mondiale. Esattamente con l’enciclica Laudato si’ di papa Francesco,2 dedicata alla «crisi ecologica» in atto, come un evento non meramente fisico, ma ampiamente umano nelle cause e negli esiti.3 Come tale essa è da ascrivere alla dottrina sociale della Chiesa,4 di cui costituisce uno snodo storico d’importanza pari alla Rerum novarum di Leone XIII5 e alla Populorum progressio di Paolo VI.6 Encicliche in cui la Chiesa si è misurata con le grandi questioni sociali della modernità: la Rerum novarum con la questione operaia, la Populorum progressio con la questione del sottosviluppo, la Laudato si’ con la questione ecologica.

Una questione sociale è tale in rapporto a eventi nuovi che comportano rivolgimenti radicali e ad ampio spettro per l’umanità e il mondo. La crisi ecologica è un evento di tale portata, che muove la Chiesa ad affrontarla nel modo che le è proprio e doveroso. Non sotto ogni punto di vista: «La Chiesa non pretende definire le questioni scientifiche, né sostituirsi alla politica».7 Consapevole e rispettosa della legittima competenza e autono-mia delle scienze nei rispettivi campi d’indagine e conoscenza,8 la Chiesa ne sollecita gli apporti e ne accoglie i risultati, in ordine a un’istruzione competente e appropriata della “posta in gioco” e dei problemi da risolvere. Il Papa non si nasconde la complessità della questione ecologica, per la diversità d’opinioni di scienziati e scuole di pensiero riguardo a spiegazioni e soluzioni dei fenomeni critici. Per cui non prende posizione in merito, non sposa una teoria. «La Chiesa capisce che deve ascoltare e promuovere il dibattito onesto fra gli scienziati, rispettando le diversità di opinione».9 Nel delineare e spiegare «i vari aspetti dell’attuale crisi ecologica» e «dare così una base di concretezza al percorso etico e spirituale che segue», il Papa attinge ai «migliori frutti della ricerca scientifica oggi disponibile» e alle evidenze comuni e certe, a quel «guardare la realtà con sincerità, per vedere che c’è un grande deterioramento della nostra casa comune».10

La Chiesa affronta una questione sociale - in questo caso la questione ecologica - con la competenza e il metodo del magistero sociale della Chiesa, con lo sguardo cioè rivolto al bene comune dei popoli e della famiglia dei popoli. Sguardo volto a stigmatizzare e denunciare le distorsioni e i mali e a tracciare vie di superamento, additando significati, beni e valori, che fanno da moventi e scopi. Il che equivale a delineare il senso e il fine

2 Francesco, Lettera Enciclica sulla cura della casa comune Laudato si’, 24 giugno 2015.3 Cfr. LS, n. 15. I singoli numeri, preceduti dalla sigla LS, si riferiscono all’enciclica Laudato si’.4 Cfr. LS, n. 15.5 Leone XIII, Lettera Enciclica sulla condizione dei lavoratori Rerum novarum, 15 maggio 1891. 6 Paolo VI, Lettera Enciclica sullo sviluppo dei popoli Populorum progressio, 26 marzo, 1967.7 LS, n. 188. «Su molte questioni concrete la Chiesa non ha motivo di proporre una parola defi-

nitiva e capisce che deve ascoltare e promuovere il dibattito onesto fra gli scienziati»: LS, n. 61.8 Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Gaudium et spes, n. 36.9 LS, n. 61.10 Cfr. LS, nn. 15. 61.

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profondamente umano, quindi etico, della competenza, del metodo e dell’intervento della Chiesa in campo sociale. Senso e fine che qui vogliamo analizzare e mettere in luce nella Laudato si’, l’enciclica di papa Francesco sulla «cura della casa comune».

L’analisi procede lungo quattro direttrici. Partendo dalla descrizione della crisi ecologica, essa risale ai mali che la generano. Traccia quindi orientamenti e norme operative, alla luce di ragioni ispiratrici e moventi.

I. Analisi ricognitiva della «crisi ecologica»: «quello che sta accadendo alla nostra casa comune»

Fedele al metodo proprio della dottrina sociale della Chiesa – scandito dalla triade «ve-dere, giudicare, agire»11 – l’enciclica muove dal «vedere», ovvero da un’analisi ricognitiva degl’indicatori (insieme sintomi e cause) della «crisi ecologica» e delle loro origini umane, riposte in mentalità, scelte, comportamenti, abitudini e stili di vita di persone e comunità su vasta scala. «Considerare quello che sta accadendo alla nostra casa comune»12 è per Francesco il primum ethicum di una sensibilità e premura ecologica. È questa persuasione a indurlo a una denuncia attenta e motivata dei mali ecologici e dei loro effetti nocivi.

1. Inquinamenti, dissesti e perditeNella loro ricognizione fenomenica, i mali ecologici «che oggi ci provocano inquietudine»

sono inquinamenti, dissesti, perdite di risorse e biodiversità. Inquinamenti innanzitutto: da quelli atmosferici, causati dall’impiego massiccio di combustibili fossili (carbone, petrolio, gas), che stanno al centro del sistema energetico mondiale; a quelli del suolo e dell’acqua, prodotti da sostanze acidificanti, fertilizzanti, insetticidi, fungicidi, diserbanti, pesticidi tossici, nonché dalla disseminazione e dal sotterramento e inabissamento di un’immane quantità di detriti da demolizioni, d’immondizie e rifiuti domestici, industriali e commer-ciali, molti dei quali non biodegradabili, tossici e radioattivi, con «un ampio spettro di effetti sulla salute».13 Si prelevano dalla natura beni e risorse e si scaricano residui e scorie, che la natura non riesce a smaltire. Mentre gli ecosistemi naturali riciclano in risorse i rifiuti,14 «il sistema industriale, alla fine del ciclo di produzione e di consumo, non ha sviluppato la

11 Metodo delineato da Giovanni XXIII, Lettera Enciclica su recenti sviluppi della questione sociale Mater et magistra, 15 maggio 1961, n. 217.

12 LS, n. 17.13 Cfr. LS, nn. 20-21.23.14 «Le piante sintetizzano sostanze nutritive che alimentano gli erbivori; questi a loro volta alimen-

tano i carnivori, che forniscono importanti quantità di rifiuti organici, i quali danno luogo a una nuova generazione di vegetali»: LS, n. 22.

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capacità di assorbire e riutilizzare rifiuti e scorie», che si accumulano in natura generando disfunzioni e malesseri.15 Non pensiamo solamente ai rifiuti delle fabbriche. Pensiamo ai rifiuti che produciamo in casa (i detergenti, i prodotti chimici e oleari) che continuano a riversarsi in fiumi, laghi e mari, a disperdersi nell’atmosfera, a infiltrarsi nel suolo.16 «Il ritmo di consumo, di spreco e di alterazione dell’ambiente ha superato le possibilità del pianeta» di riporre in equilibrio l’ecosistema.17

I “dissesti” sono legati al surriscaldamento del sistema climatico, accompagnato dal co-stante innalzamento del livello del mare e dall’aumento degli eventi metereologici estremi. Surriscaldamento dovuto in gran parte alla forte concentrazione di gas serra, provocato soprattutto dall’uso intensivo di combustibili fossili. Forme di dissesto sono, altresì, la deforestazione, lo scioglimento dei ghiacci polari e d’alta quota, l’eccessivo aumento di anidride carbonica, i cambiamenti climatici, con gli scompensi e i guasti che ogni dissesto provoca nell’ambiente e nella salute:18 «I cambiamenti climatici sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche, e costitui-scono una delle principali sfide attuali per l’umanità. Gli impatti più pesanti probabilmente ricadranno nei prossimi decenni sui Paesi in via di sviluppo».19

Le “perdite” si riferiscono al depauperamento ambientale, dovuto allo sfruttamento inconsulto, fino all’esaurimento, delle risorse naturali. Questo dicasi evidentemente delle energie non rinnovabili, come tali destinate a finire. Ma anche di beni soggetti a spreco e dissipazione. Primo fra tutti il bene dell’acqua, di quella potabile in particolare, che scar-seggia sempre più sia per una domanda superiore alle disponibilità, sia per l’inquinamento delle fonti di approvvigionamento, delle falde acquifere per prime. Alla scarsità e cattiva qualità dell’acqua sono legate non poche conseguenze nocive, patite specialmente dalle popolazioni più povere; e, in previsione, impatti ambientali devastanti e forti conflitti per l’accaparramento e il controllo.20

Inquieta particolarmente la perdita di biodiversità: quel complesso geosistemico di specie viventi (animali e piante, macro e micro organismi) e di elementi naturali che formano un insieme organico e interattivo, costituendo una risorsa e una garanzia per l’insieme del pianeta e il futuro dell’umanità. La necessità di spazi per infrastrutture, insediamenti, bacini energetici e piani d’espansione, l’esigenza di materie prime per l’industria e i manufatti, il bisogno di bonificare e trasformare i terreni per impiantare e accrescere le coltivazioni, di attingere alimenti e risorse per soddisfare consumi crescenti, portano a sconvolgere, spesso gravemente e irreversibilmente, gli equilibri con diminuzioni e scomparse di spe-

15 Cfr. LS, n. 22.16 Cfr. LS, n. 29.17 Cfr. LS, n. 161.18 Cfr. LS, nn. 23-25.19 LS, n. 25. “Come” e “perché” l’enciclica lo spiega a seguire: cfr. LS, nn. 27ss.20 Cfr. LS, nn. 27-31.

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cie vegetali e animali e alterazioni sistemiche, i cui danni, per lo più non immediati, si manifestano a medio e lungo termine. Motivo per cui tutta l’attenzione e la convenienza vanno all’interesse e al risultato immediato, incuranti dei danni a venire nel tempo. Non calcolare gli effetti nefasti sulle biodiversità di ogni iniziativa economica è indice di grave miopia e «incuria egoistica».21

In genere «quando si parla di biodiversità, al massimo la si pensa come una riserva di risorse economiche che potrebbe essere sfruttata, ma non si considerano il valore reale delle cose, il loro significato per le persone e le culture, gli interessi e le necessità dei poveri».22 Così, «se il taglio di una foresta aumenta la produzione, nessuno misura in questo calcolo la perdita che implica desertificare un territorio, distruggere la biodiversità o aumentare l’inquinamento».23 Invece «la cura degli ecosistemi richiede uno sguardo che vada aldilà dell’immediato, perché quando si cerca solo un profitto economico rapido e facile, a nes-suno interessa veramente la loro preservazione. Ma il costo dei danni provocati dall’incuria egoistica è di gran lunga più elevato del beneficio economico che si può ottenere».24

2. Dal degrado ambientale al degrado umano e socialeIl degrado ambientale varca le soglie della natura, delle sue risorse e biodiversità, e conta-

mina le città: diventa degrado umano e sociale. La natura comprende anche le persone e le società che la abitano. Non siamo separati da essa, «siamo inclusi, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati». C’è di fatto una «interazione tra gli ecosistemi» e «i diversi mondi di riferimento sociale». «Le ragioni - pertanto - per cui un luogo viene inquinato richiedono un’analisi del funzionamento della società, della sua economia, del suo comportamento, dei suoi modi di comprendere la realtà […]. Non ci sono due crisi separate, una ambien-tale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale».25

21 Cfr. LS, nn. 32-35.22 LS, n. 190.23 LS, n. 195.24 LS, n. 36. Questo va detto dei piccoli e medi ecosistemi di aree regionali, come dei grandi bacini

geosistemici del pianeta. L’enciclica menziona «le foreste tropicali»; «quei polmoni del pianeta colmi di biodiversità che sono l’Amazzonia e il bacino fluviale del Congo, o le grandi falde acquifere e i ghiacciai»; gli oceani, dove «sono particolarmente minacciati organismi marini che non teniamo in considerazione, come certe forme di plancton che costituiscono una componente molto importante nella catena alimentare marina, e dalle quali dipendono, specie che si utilizzano per l’alimentazione umana»; «le barriere coralline, che corrispondono alle grandi foreste della terraferma, perché ospitano approssimativamente un milione di specie». Molte di queste sono «in continuo declino», trasformate - come denunciano i Vescovi delle Filippine - in «cimiteri subacquei spogliati di vita e di colore», indice di uno «sfruttamento delle risorse», ottenuto «a costo di un degrado che giunge fino in fondo agli oceani»: cfr. LS, nn. 37-42.

25 Cfr. LS, nn. 139. 141.

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La logica dell’abuso e del sopruso è una e medesima nel creato e nella città, nell’intera-zione ambientale e in quella sociale. «L’ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano insieme».26 «Anche l’essere umano - peraltro - è una creatura di questo mondo», solidale nel bene e nel male con tutte le altre.27 Per cui l’analisi della crisi ecologica include il degrado umano e sociale. Esso è compreso e delineato, per un verso, come «deterioramento della qualità della vita e degradazione sociale»,28 per altro verso, come «inequità planetaria» che marginalizza ed esclude i più deboli.29

Sul primo versante riscontriamo «la smisurata e disordinata crescita di molte città», diventate caotiche e invivibili, esposte a inquinamenti tossici, ma anche visivi e acustici; con «quartieri congestionati e disordinati» e abitanti «sommersi da cemento, asfalto, vetro e metalli, privati del contatto fisico con la natura».30 Al degrado della città s’accompagna quello della società, sconvolta da danni e squilibri come la disuguaglianza nella disponibilità di beni e servizi, dalla «frammentazione sociale», l’«aumento della violenza e il sorgere di nuove forme di ag-gressività sociale», «il narcotraffico e il consumo crescente di droghe», «la perdita di identità». Sono segni di «una silenziosa rottura dei legami di integrazione e di comunione sociale».31

A questo si aggiungono «le dinamiche dei media e del mondo digitale, che, quando di-ventano onnipresenti, non favoriscono lo sviluppo di una capacità di vivere con sapienza, di pensare in profondità, di amare con generosità». Le intelligenze e le coscienze sono sotto «il rumore dispersivo dell’informazione», che non facilita il formarsi di un sapere sapienziale.32 Nel contempo, le relazioni reali con gli altri tendono ad essere sostituite da un tipo di comu-nicazione mediata da Internet. Ciò permette di selezionare o eliminare le relazioni secondo il nostro arbitrio. Così si generano emozioni artificiali, che hanno a che vedere più con dispositivi e schermi che con le persone e la natura. «I mezzi attuali permettono che comunichiamo tra noi e che condividiamo conoscenze e affetti». Con la loro invadenza però «c’impediscono di prendere contatto diretto con l’angoscia, con il tremore, con la gioia dell’altro e con la complessità della sua esperienza personale». Per cui va crescendo una «malinconica insoddi-sfazione nelle relazioni interpersonali, o un dannoso isolamento».33

In questo quadro integrale della questione ecologica, i degradi raggiungono e includono anche la condizione umana, sconvolta da quegli squilibri che il Papa chiama «inequità»:

26 LS, n. 48.27 LS, n. 43.28 Cfr. LS, nn. 43-47.29 Cfr. LS, nn. 48-52.30 Cfr. LS, nn. 43-45.31 Cfr. LS, n. 46.32 Cfr. LS, n. 47. «La vera sapienza, frutto della riflessione, del dialogo e dell’incontro generoso

fra le persone, non si acquisisce con una mera accumulazione di dati che finisce per saturare e confondere, in una specie di inquinamento mentale»: LS, n. 47.

33 Cfr. LS, n. 47.

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forme sociali di disparità e disuguaglianze che ledono e tagliano fuori chi non ce la fa, i più piccoli, i più fragili, in una spirale perversa per cui i più forti si avvantaggiano sem-pre di più, mentre i più deboli sono sempre più svantaggiati ed esclusi. E questi sono «la maggior parte del pianeta, miliardi di persone». È l’inequità della povertà come fenomeno socialmente indotto, nel modo e con la medesima logica che sottostà agli sfruttamenti ambientali, così da far parte della stessa crisi ecologica, nel contempo ambientale e umana. Essa «non colpisce solo gl’individui, ma Paesi interi».34

La povertà non è solo parte della crisi, è anche esito: conseguenza, in misura notevole, dei dissesti ecologici. Sono i poveri, infatti, a subire «gl’impatti più pesanti» e «gli effetti più gravi di tutte le aggressioni ambientali». Francesco lo dice e lo fa vedere nel concreto di squilibri e degradi particolari.35 Egli mette insieme cose e persone, accomunando nell’unica e medesima crisi e nei suoi gravami i poveri della terra e la povera terra: «Fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra».36 Gli uni e l’altra uniti negli stessi gemiti: i guasti della crisi «provocano i gemiti di sorella terra, che si uniscono ai gemiti degli abbandonati del mondo».37

Nessuna volontà e disegno volti a fronteggiare la crisi possono prescindere da quest’analisi, in tutta la sua cruda realtà, per l’efficacia degl’interventi di contrasto, di tutela e di cura. Non la si può minimizzare o edulcorare, per assopire le coscienze e non essere obbligati a mutare abitudini e prassi ecologicamente censurabili. Come, invece, spesso avviene nell’opinare e operare comune, ad opera di soggetti interessati e influenti: «Molti di coloro che detengono più risorse e potere economico o politico sembrano concentrarsi soprattutto nel mascherare i problemi o nasconderne i sintomi, cercando solo di ridurre alcuni impatti negativi». Ma «molti sintomi indicano che questi effetti potranno essere sempre peggiori se continuiamo con gli attuali modelli di produzione e di consumo».38 Di qui il dovere di vedere ed insieme di capire.

II. Dalla denuncia dei mali alle cause che li provocano

L’analisi è descrittiva ed insieme eziologica: dalla descrizione dei mali risale alle cause che li provocano, per comprenderli e aggredirli in radice. «A nulla ci servirà descrivere i sintomi, se non riconosciamo la radice umana della crisi ecologica».39 Francesco punta l’attenzione sulla radice “umana”. In radice non troviamo determinismi fisici e biologici, ma scelte e condotte umane.

34 Cfr. LS, nn. 48-52.35 Cfr. LS, nn. 25.29-30.48-49.51-52.36 LS, n. 2.37 LS, n. 53. «Gemiti» è parola presa (cfr. LS, n. 2) da san Paolo in Rm 8, 22: «Tutta la creazione

geme e soffre le doglie del parto».38 Cfr. LS, n. 26. 39 LS, n. 101.

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I primi ci sono pure, ci sono sempre stati. Per quanto sconvolgenti, sono fenomeni “naturali”, come tali assorbibili e metabolizzabili dalla natura. Le cause della crisi sono antropologiche, prodotte da voleri umani. Il che rende etico il problema, dà valenza morale alla crisi. Il primo risvolto morale è nella presa d’atto di questa radice volontaria, di quest’attribuzione a scelte e prassi umane delle distorsioni ecologiche in atto. Esse risalgono a individui che le compiono e diffondono e a individui che le fanno proprie e si conformano. I più in forma passiva, dominati da mentalità e prassi correnti e dal potere del “così fan tutti”. Il che non attenua ma dà spessore socio-culturale al risvolto etico della crisi, chiamando in causa artefici e agenti della pubblica opinione. Riandiamo a queste cause, diffusamente richiamate nell’enciclica.

1. Il dominio del paradigma tecnocratico La tecnica - risvolto operativo della scienza - ha tanti meriti per lo sviluppo e il benes-

sere dell’umanità. La progressiva ed espansiva crescita tecnologica consente di rispondere a una quantità innumerevole di bisogni. Capace di produrre l’utile e il bello, contribuisce rilevantemente ad elevare la qualità della vita. Accrescendo il suo potere, avviene anche che la tecnica si centri su sé stessa, facendo del suo metodo di approccio al reale il paradigma dominante e onnicomprensivo. Metodo di oggettivazione, appropriazione e dominio, che sta condizionando e cambiando «l’intervento dell’essere umano sulla natura». Questo «per molto tempo ha avuto la caratteristica di accompagnare, di assecondare le possibilità offerte dalle cosé stesse. Si trattava di ricevere quello che la realtà naturale da sé permette, come tendendo la mano. Viceversa, ora ciò che interessa è estrarre tutto quanto è possibile dalle cose attraverso l’imposizione della mano umana, che tende ad ignorare o a dimenticare la realtà stessa di ciò che ha dinanzi. Per questo l’essere umano e le cose hanno cessato di darsi amichevolmente la mano, diventando invece dei contendenti».40 L’individuo umano domina le cose assoggettandole al suo potere manipolatore.

Questo metodo, che dà tanti risultati sul piano dell’efficacia e del vantaggio, è diventato paradigmatico di ogni attinenza e relazione, in particolare del rapporto dell’uomo con la natura e i suoi beni. Il valore utile e funzionale degli esseri e delle cose sopravanza il valore proprio ed essenziale. La ragione tecnica e strumentale, volta a ricavare e produrre, invade e sottomette la ragione valoriale e sapienziale, volta a comprendere e valorizzare. Così la tecnologia diventa tecnocrazia: dominio della tecnica e del suo paradigma, che pervade le coscienze e gl’immaginari, sottomessi al punto da subire l’oltranzismo delle tecniche e non poter prescindere dai loro apporti anche minimi e superflui, né resistere al fascino dell’ultimo modello o ritrovato. È questo immaginario alla base di quella frenesia dell’“usa e getta” che tanto concorre alla dissipazione di risorse e all’accumulo di rifiuti. Tutto questo nel «falso presupposto», alimentato dal «paradigma tecnocratico», di una «disponibilità

40 LS, n. 106.

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infinita dei beni del pianeta, che conduce a “spremerlo” fino al limite e oltre il limite», nell’acquietante persuasione che le tecniche saranno in grado di rigenerarli.41

Oggi questo paradigma è onnipresente e globalizzato.42 «È diventato così dominante, che è molto difficile prescindere dai suoi prodotti. E ancora più difficile è utilizzare le sue risorse senza essere dominati dalla sua logica. È diventato contro-culturale scegliere uno stile di vita con obiettivi che almeno in parte possano essere indipendenti dalla tecnica, dai suoi costi e dal suo potere globalizzante e massificante. Di fatto la tecnica ha una tendenza a far sì che nulla rimanga fuori dalla sua ferrea logica, e “l’uomo che ne è il protagonista sa che, in ultima analisi, non si tratta né di utilità, né di benessere, ma di dominio; dominio nel senso estremo della parola”».43

Con questa onnipresenza pervasiva, la tecnica diventa «la principale risorsa per interpre-tare l’esistenza». Risorsa fortemente riduttiva della realtà perché costretta nelle ottiche della sue funzioni e utilità, senza quello «sguardo d’insieme» che porta a cogliere «il senso della totalità» e «delle relazioni che esistono tra le cose». Questa contrazione cognitiva «impedi-sce di individuare vie adeguate per risolvere i problemi più complessi del mondo attuale, soprattutto quelli dell’ambiente e dei poveri, che non si possono affrontare a partire da un solo punto di vista o da un solo tipo di interessi».44 «Cercare solamente un rimedio tecnico per ogni problema ambientale che si presenta, significa isolare cose che nella realtà sono connesse, e nascondere i veri e più profondi problemi del sistema mondiale».45 La questione ambientale è composita. Chiede attenzioni globali, irriducibili a un solo aspetto. Per il suo approccio unilaterale e parziale, incapace di «vedere il mistero delle molteplici relazioni che esistono tra le cose», succede che la tecnologia «risolva un problema creandone altri».46

2. Il prevalere dell’interesse economico e finanziario «Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio sull’economia».47

Quando l’economia si polarizza sul guadagno, trova nella tecnocrazia un alleato potente: l’utilità tecnica si salda con il profitto economico in un intreccio che porta a subordinare

41 Cfr. LS, n. 106.42 Cfr. LS, nn. 106. 122.43 LS, n. 108. Il brano citato è di R. Guardini, La fine dell’epoca moderna, Morcelliana, Brescia

1987, 80.44 LS, n. 110.45 LS, n. 111. «La cultura ecologica non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai

problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un pro-gramma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico. Diversamente, anche le migliori iniziative ecologiste possono finire rinchiuse nella stessa logica globalizzata»: LS, n. 111.

46 LS, n. 20.47 LS, n. 109.

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o a escludere ogni altro interesse: «L’alleanza tra economia e tecnologia finisce per lasciare fuori tutto ciò che non fa parte dei loro interessi immediati».48 «L’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione a eventuali conse-guenze negative per l’essere umano».49 Tra queste, le conseguenze ambientali, sottoposte alla legge del mercato e delle sue priorità. «Oggi qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta».50

Il problema non è l’economia a servizio dei bisogni umani, ma l’economia dominata dal mercato, volta alla massimizzazione delle rendite e dei profitti, tra cui non entra la prote-zione dell’ambiente.51 Chi è preso dalla speculazione finanziaria e dalla maggiorazione di utili e ricavi non si ferma a considerare gli effetti ambientali di un’operazione economica. Entro tali modelli e intenti «non c’è posto per pensare ai ritmi della natura, ai suoi tempi di degradazione e di rigenerazione, e alla complessità degli ecosistemi che possono essere gravemente alterati dall’intervento umano». La natura è vista «unicamente come oggetto di profitto e di interesse»: «una riserva di risorse economiche» da sfruttare.52 Così «la finanza soffoca l’economia reale», volta a produrre beni ecocompatibili e per tutti.53

3. La sottomissione della politica alla tecnocrazia e alla finanza«Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio anche sulla politica».54

Spesso in complicità con il potere economico. Complicità che dà luogo a «nuove forme di potere derivate dal paradigma tecno-economico», il quale fuorvia la politica dal bene

48 LS, n. 54.49 LS, n. 109.50 LS, n. 56.51 «L’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi del mercato non sono in grado di difendere o

di promuovere adeguatamente»: Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Com-pendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, 470. «Quando si cerca solo un profitto economico rapido e facile, a nessuno interessa veramente la preservazione [dell’ambiente]»: LS, n. 36.

52 Cfr. LS, nn. 82. 190.53 Cfr. LS, n. 109. 56. Con la pretesa, per di più, di far credere che «l’economia attuale e la tecnologia

risolveranno tutti i problemi ambientali, allo stesso modo in cui si afferma, con un linguaggio non accademico, che i problemi della fame e della miseria nel mondo si risolveranno semplicemente con la crescita del mercato. Non è una questione di teorie economiche, che forse nessuno oggi osa difendere, bensì del loro insediamento nello sviluppo fattuale dell’economia. Coloro che non lo affermano con le parole lo sostengono con i fatti, quando non sembrano preoccuparsi per un giusto livello della produzione, una migliore distribuzione della ricchezza, una cura responsabile dell’ambiente o i diritti delle generazioni future. Con il loro comportamento affermano che l’obiettivo della massimizzazione dei profitti è sufficiente. Il mercato da solo però non garantisce lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale»: LS, n. 109.

54 LS, n. 109.

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comune a interessi di parte.55 I beni ecologici sono «un bene comune, di tutti e per tutti».56 Come tali affidati alla tutela e alle garanzie della politica. Della quale però subiscono le lacune e le devianze. Tre in particolare: la debolezza, l’autoreferenzialità e la corruzione.

La politica deve essere forte. La sua debolezza provoca la sudditanza ad altri poteri, primi fra tutti quelli della tecnica e della finanza. Questa debolezza si verifica facilmente in ambito ecologico, per le difficoltà e i ritardi della politica a far fronte ai problemi ambientali e per la dimensione transnazionale e globale di questi. È nota «la debolezza della reazione politica internazionale. La sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei Vertici mondiali sull’ambiente. Ci sono troppi interessi particolari e molto facilmente l’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune».57 Il che mette a nudo il deficit di politica transnazionale: a fronte di un potere economico-finanziario globaliz-zato, c’è una politica troppo frammentata e chiusa nei confini degli stati. «La dimensione economico-finanziaria, con caratteri transnazionali, tende - così - a predominare sulla politica».58 Interessi di parte, anteposti al bene comune, sono non solo interessi privati (ad opera di lobby di potere), ma anche nazionali (ad opera di singoli Paesi): «I negoziati internazionali non possono avanzare in maniera significativa a causa delle posizioni dei Paesi che privilegiano i propri interessi nazionali rispetto al bene comune globale».59 Per queste debolezze e frammentazioni, «la politica risponde con lentezza, lontana dall’essere all’altezza delle sfide mondiali».60

Un secondo male è l’autoreferenzialità della politica, centrata - specie in stagioni elet-torali - su sé stessa, sul proprio successo. «La grandezza politica si mostra quando […] opera sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine». Invece, «i disegni politici spesso non hanno ampiezza di vedute», perché i politici sono preoccu-pati dei risultati da esibire.61 In campo ecologico, «i risultati richiedono molto tempo e comportano costi immediati, con effetti che non potranno essere esibiti nel periodo di vita di un governo». Per questo, «ci sono sempre resistenze ad intervenire». Che un politico progetti e investi su risultati a lungo termine, con le rinunce e gli oneri che comporta per sé e per la comunità, «non risponde alla logica efficientista e “immediatista” dell’economia e della politica attuali».62 «La miope costruzione del potere frena l’inserimento dell’agenda

55 Cfr. LS, n. 53.56 Cfr. LS, n. 23.57 LS, n. 54.58 LS, n. 175.59 LS, n. 169.60 LS, n. 165. «I Vertici mondiali sull’ambiente degli ultimi anni non hanno risposto alle aspettative

perché, per mancanza di decisione politica, non hanno raggiunto accordi ambientali globali realmente significativi ed efficaci»: LS, n. 166.

61 Cfr. LS, n. 57.62 Cfr. LS, n. 181.

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ambientale lungimirante all’interno dell’agenda pubblica dei governi». Si preferiscono risultati a tempi brevi, elettoralmente più remunerativi e appaganti.63

Un terzo male è il discredito della politica, «a causa della corruzione e della mancanza di buone politiche pubbliche». La corruzione fa affari in politica senza esclusioni di campi, compreso quello ecologico, particolarmente esposto a speculazioni e compromessi affa-ristici, con omissioni di verifiche e controlli e con complicità in operazioni di degrado e sfruttamento, in cambio di compensi e favori. Così la corruzione corrompe la politica. Le cattive politiche, a loro volta, allontanano la gente dalla politica, non percepita a servizio della comunità, della sua tutela ambientale, ma «invischiata in discorsi inconsistenti», volta a «conservare o accrescere il potere».64

4. Il consumismo dissipatore e ossessivoNella ricognizione delle cause all’origine dei mali ecologici non pensiamo solo a inadem-

pienze e colpe altrui (la tecnocrazia, il dominio dell’economia e della finanza, il vuoto e la corruzione della politica). Volgiamo lo sguardo a noi stessi, alle nostre mentalità, abitudini e stili di vita. Noi tutti, abitanti del mondo sviluppato, siamo soggetti di consumo, che eleva lo standard qualitativo della vita. Un consumo che va sovente al di là dei reali bisogni, che tracima nel superfluo e nello spreco. La ricchezza e varietà dei mercati e gli aumentati poteri di acquisto oggi tendono a creare «un meccanismo consumistico compulsivo» che induce a comprare e a spendere: «le persone finiscono con l’essere travolte dal vortice degli acquisti e delle spese superflue». Questo consumismo ossessivo è «il riflesso soggettivo del paradigma tecno-economico», il quale «fa credere a tutti che sono liberi finché conservano una pretesa libertà di consumare».65 Mentre, in realtà, non sono che degli acquirenti e fru-itori, che esperiscono il consumo come via di fuga dal «senso di precarietà e d’insicurezza» che angoscia le coscienze. Così le persone si centrano su sé stesse e si isolano in «forme di egoismo collettivo».66 In realtà, «quando le persone diventano autoreferenziali e si isolano nella loro coscienza, accrescono la propria avidità. Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da comprare, possedere e consumare. In tale contesto non sembra possibile che qualcuno accetti che la realtà gli ponga un limite». Le stesse leggi «saranno rispettate solo nella misura in cui non contraddicano le proprie necessità». Il che mette a nudo la contraddizione esistenziale che sottostà alla «cultura consumistica»: «Abbiamo troppi mezzi per scarsi e rachitici fini».67

63 Cfr. LS, n. 178.64 Cfr. LS, nn. 182. 197-198.65 Cfr. LS, n. 203.66 Cfr. Giovanni Paolo II, «Messaggio per la XXIII Giornata Mondiale della Pace. Pace con Dio

creatore. Pace con tutto il creato (1° gennaio 1990)», 8 dicembre 1989, n. 1, in Acta Apostolicae Sedis 82 (1990), 147.

67 Cfr. LS, nn. 184. 203.

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Questo eccesso di consumo ha costi ecologici e sociali enormi. I primi legati alla gran quantità di risorse che dissipa e all’altrettanto grande quantità di rifiuti che scarica. Nei Paesi più sviluppati e nei settori più ricchi delle società «l’abitudine di sprecare e buttare via raggiunge livelli inauditi».68 Per stare al solo cibo, «sappiamo che si spreca approssi-mativamente un terzo degli alimenti che si producono».69 I costi sociali sono legati alla grande ingiustizia di un modello distributivo, in cui una minoranza si crede in diritto di consumare in una quantità tale per cui il consumismo estremo e selettivo di alcuni è al prezzo dell’insufficienza e dell’indigenza dei molti. Questo significa che «il cibo che si butta via è come se lo si rubasse dalla mensa del povero».70

In «un consumismo senza etica e senza senso sociale e ambientale», con la cultura dello spreco alligna «la cultura dello scarto», la quale «colpisce tanto gli esseri umani esclusi quanto le cose che si trasformano velocemente in spazzatura».71 Perché la logica del “buttar via” è senza soluzione di continuità e dalle cose passa alle persone: è scartato tutto quanto non soddisfa e non serve.

5. L’antropocentrismo moderno Un’ulteriore e più radicale ragione della crisi ecologica è «l’antropocentrismo moderno»,

espressione di una comprensione sbagliata della dignità e della libertà umana nel rapporto con le altre creature. Anche per via di «una presentazione inadeguata dell’antropologia cristiana», che «ha finito per promuovere una concezione errata della relazione dell’essere umano con il mondo».72 Errore di cui diremo più avanti, precisando il potere sulla terra che Dio ha dato all’uomo in Gen 2, 15.73

«Nella modernità si è verificato un notevole eccesso antropocentrico»,74 che pone nelle mani dell’uomo un potere di fare sganciato da ogni regola: «L’antropocentrismo moderno ha finito per collocare la ragione tecnica al di sopra della realtà, perché l’essere umano “non sente più la natura né come norma valida, né come vivente rifugio. La vede senza ipotesi,

68 Cfr. LS, n. 27.69 LS, n. 50. Sappiamo pure che «la maggior parte della carta che si produce viene gettata e non

riciclata»: LS, n. 22.70 Cfr. LS, n. 50. «Non ci accorgiamo più che alcuni si trascinano in una miseria degradante,

senza reali possibilità di miglioramento, mentre altri non sanno nemmeno che farsene di ciò che possiedono, ostentano con vanità una pretesa superiorità e lasciano dietro di sé un livello di spreco tale che sarebbe impossibile generalizzarlo senza distruggere il pianeta. Continuiamo nei fatti ad ammettere che alcuni si sentano più umani di altri, come se fossero nati con maggiori diritti»: LS, n. 90.

71 Cfr. LS, nn. 219. 22.72 Cfr. LS, nn. 116. 67.73 Le citazioni contenute nel testo sono tutte e solo bibliche.74 LS, n. 116.

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oggettivamente, come spazio e materia in cui realizzare un’opera nella quale gettarsi tutto, e non importa che cosa ne risulterà”».75

6. Il relativismo praticoLa nostra epoca è caratterizzata da un «relativismo pratico», «ancora più pericoloso di

quello dottrinale». Esito, esso stesso, dell’antropocentrismo deviato del nostro tempo: «Quando l’essere umano pone sé stesso al centro, finisce per dare priorità assoluta ai suoi interessi contingenti, e tutto il resto diventa relativo». Non sorprende, allora, che «insieme all’onnipresenza del paradigma tecnocratico e all’adorazione del potere umano senza limiti, si sviluppi nei soggetti questo relativismo, in cui tutto diventa irrilevante se non serve ai propri interessi immediati. Vi è in questo una logica che permette di comprendere come si alimentino a vicenda diversi atteggiamenti che provocano al tempo stesso il degrado ambientale e il degrado sociale».76

«La cultura del relativismo è la stessa patologia che spinge una persona ad approfittare di un’altra e a trattarla come un mero oggetto», asservendola, sfruttandola, abusando di essa e, da ultimo, abbandonandola. «Se non ci sono verità oggettive né principi stabili, al di fuori della soddisfazione delle proprie aspirazioni e delle necessità immediate», che limiti - si domanda il Papa - l’individuo può darsi? Si dà la stura, allora, ad ogni forma d’indifferenza e incuria, di abuso e sopruso, di eccesso e sregolatezza. Questo relativismo pratico impregna oggi le coscienze e gl’immaginari collettivi, si sedimenta, diventa cul-tura. In questo deperimento valoriale «non possiamo pensare che i programmi politici o la forza della legge basteranno ad evitare i comportamenti che colpiscono l’ambiente, perché quando è la cultura che si corrompe e non si riconosce più alcuna verità oggettiva o principi universalmente validi, le leggi verranno intese solo come imposizioni arbitrarie e come ostacoli da evitare».77

7. Il mito del progresso Ad alimentare i mali ecologici, sottovalutandoli e relativizzandoli, è altresì il «mito del

progresso», per il quale la natura sarebbe dotata di risorse e riserve infinite e inesauribili, ed insieme delle capacità di riequilibrare tutti i dissesti, ripulire tutte le contaminazioni, ripianare tutte le perdite. Per cui il progresso sarebbe illimitato e senza fine. Una variante del mito è lo spostamento delle capacità reintegratrici dei dissesti e rigeneratrici delle risorse dalla natura ai poteri congiunti e crescenti della tecnica e dell’economia.

Mito perché si tratta di un ottimismo ingenuo e superficiale, non suffragato né dalla realtà delle cose, né dalla scienza. Asserito peraltro a comoda e acquietante legittimazione

75 LS, n. 115. Il brano citato è di R. Guardini, La fine dell’epoca moderna, 57-58.76 Cfr. LS, n. 122.77 Cfr. LS, n. 123.

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di ogni incuria e abuso della natura, e dell’indisponibilità a mettere in discussione abitudini e prassi ecologicamente deplorevoli. Siamo nell’ordine delle credenze e dei sogni, piuttosto che della verità e dei fatti.78

Emerge da questo quadro come alla base della crisi ecologica sta la «crisi etica, culturale e spirituale della modernità».79 La difficoltà di fatto a prendere sul serio la sfida ambientale «è legata ad un deterioramento etico e culturale, che accompagna quello ecologico».80 «I modelli di pensiero influiscono realmente sui comportamenti».81 Per cui da quei modelli si deve cominciare, dalla loro qualità, per un’etica ecologica appropriata ed efficace.

III. Orientamenti e norme di etica ecologica

Analizzati i sintomi della crisi e risaliti alle cause che li generano, emerge la domanda: che cosa fare? Da uno sguardo d’insieme sull’enciclica e da indirizzi e linee di azione in essa tracciate, deriviamo delle indicazioni operative di etica ecologica, che qui delineiamo.

1. Conversione ecologicaIl quadro estremamente critico della crisi, che affonda le sue radici in mentalità, com-

portamenti e abitudini umane, esige una “conversione ecologica”.82 Non c’è “libertà per” senza “libertà da”. Non si dà libertà-impegno per la natura e l’ambiente senza libertà-liberazione da tutte quelle convenienze, comodità e noncuranze che lo contrastano. La conversione significa questo mutamento radicale, da cui comincia ogni rinnovamento morale e spirituale: la conversione porta a «riconoscere i propri errori, peccati, vizi o negligenze e pentirsi di cuore, cambiare dal di dentro».83 «Le radici etiche e spirituali dei problemi ambientali» inducono a «cercare soluzioni non solo nella tecnica, ma anche in un cambiamento dell’essere umano».84 È un «cambiamento», prima di tutto, interiore di modi di vedere e di volere, che «dal di dentro» delle coscienze trabocca fuori, nei comportamenti e negli stili di vita.85 Senza rinnovamento interiore non si dà cambiamento esteriore: «Non

78 Cfr. LS, nn. 60. 78. 106. 109. 190.79 Cfr. LS, n. 119.80 Cfr. LS, n. 162.81 LS, n. 215.82 Cfr. LS, nn. 5. 216-221.83 Cfr. LS, n. 218.84 Cfr. LS, n. 9. «Passare dal consumo al sacrificio, dall’avidità alla generosità, dallo spreco alla

capacità di condividere»: LS, n. 9.85 Cfr. LS, n. 217. «Se “i deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono

diventati così ampi”, la crisi ecologica è un appello a una profonda conversione interiore»: LS, n.

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ci sarà una nuova relazione con la natura senza un essere umano nuovo».86 Conversione essenzialmente personale ed insieme comunitaria, in grado di mutare opinioni e prassi diffuse e consolidate e «creare un dinamismo di cambiamento duraturo».87

Il termine “conversione” ha origine e accezione religiosa, ma nel vangelo assume un significato anche morale, che l’enciclica estende al vivere ecologico. Dalla conversione comincia ogni reale impegno per la natura e l’ambiente. «Cresce - infatti - un’ecologia superficiale o apparente che consolida un certo intorpidimento e una spensierata irrespon-sabilità». È diffusa una sensibilità ecologica di moda e di facciata, più emotiva che reale, la quale «ci serve per mantenere i nostri stili di vita, di produzione e di consumo». È un interesse superficiale, evasivo e verbale, che non coinvolge realmente le persone, perché non le tocca in profondità, mettendone in discussione mentalità e abitudini. Un interesse ecologico senza conversione è illusorio e fallace.88

Con particolare riferimento alla conversione esigita da Gesù per i discepoli, il Papa ne denuncia la negligenza in campo ecologico: «Dobbiamo riconoscere che alcuni cristiani impegnati e dediti alla preghiera […] spesso si fanno beffe delle preoccupazioni per l’am-biente. Altri sono passivi, non si decidono a cambiare le proprie abitudini e diventano incoerenti. Manca loro una conversione ecologica, che comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che li circonda». Questo vuol dire che la conversione ecologica s’iscrive nella fedeltà del cristiano a Cristo, e che stili di vita ecologicamente incompatibili minano questa fedeltà. Essa, infatti, è «dimensione della conversione integrale della persona».89

2. Riconoscere e rispettare il valore di ogni creatura C’è un «valore proprio di ogni creatura», da riconoscere e rispettare.90 Il non avere dignità

di persona, propria degli individui umani, non significa ridurre le creature preumane a mero valore d’uso, così da servirsi semplicemente di esse. «Non basta pensare - precisa Francesco - alle diverse specie solo come eventuali “risorse” sfruttabili, dimenticando che hanno un valore in sé stesse».91 Menziona quindi i Vescovi della Germania, i quali «hanno spiegato che per le altre creature “si potrebbe parlare della priorità dell’essere rispetto all’essere

217. Il brano citato è di Benedetto XVI, «Omelia per il solenne inizio del ministero petrino», 24 aprile 2005, in Acta Apostolicae Sedis, 97 (2005), 711.

86 LS, n. 118. 217. 87 Cfr. LS, n. 219.88 Cfr. LS, n. 59.89 Cfr. LS, nn. 217-218.90 Cfr. LS, nn. 16. 69. 118. 208.91 LS, n. 33.

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utili”»; ed il Catechismo della Chiesa Cattolica, per il quale «ogni creatura ha la sua propria bontà e la sua propria perfezione».92

Questo richiamo al valore «proprio», «in sé stessa» di ogni creatura, è singolare e inu-suale, perché attribuito solitamente alla creatura umana, la quale ha valore di fine e mai di mezzo, valore in sé e per sé, mentre le creature preumane possono avere anche valore di mezzo per le persone. Tale apprezzamento «non significa equiparare tutti gli esseri viventi e togliere all’essere umano quel valore peculiare» che gli è proprio. Non vuol dire, in altre parole, disconoscimento della differenza tra esseri umani ed esseri animali, vegetali e co-sali, uguagliandoli indistintamente, elevando i secondi alla dignità dei primi o abbassando questi alla dignità di quelli.93

Significa, invece, riconoscimento di un «in sé» che ogni creatura possiede, identificandolo nella sua specie e nella sua singolarità. Il valore «in sé stessa» di ogni creatura è il valore “proprio” di ciascuna, antecedente e irriducibile al valore utile per altri. Questo proprium è principio di un rispetto, dovuto da ogni individuo umano, ad ogni membro ed elemento della natura (animali, piante e cose), di ognuno dei quali «dev’essere riconosciuto il valore con affetto e ammirazione».94 Riconoscimento e rispetto che inducono a «rifiutare qual-siasi dominio dispotico e irresponsabile dell’essere umano sulle altre creature»,95 esito di quell’eccesso antropocentrico che rende gli umani padroni e arbitri dell’universo.

Senza cadere, con questo, nell’eccesso biocentrico che, disconoscendo la dignità propria dell’essere umano, «equipara tutti gli esseri viventi», stabilendo una considerazione e una stima indifferenziata e meramente preferenziale per essi. «Un antropocentrismo deviato non deve necessariamente cedere il passo a un “biocentrismo”» indifferente e avventato. Per il quale un essere vivente vale un altro, un animale domestico vale o è preferibile a un bambino.96 «Si avverte a volte l’ossessione - nota il Papa - di negare alla persona umana qualsiasi preminenza, e si porta avanti una lotta per le altre specie che non mettiamo in atto per difendere la pari dignità tra gli esseri umani. Certamente ci deve preoccupare che gli altri esseri viventi non siano trattati in modo irresponsabile, ma ci dovrebbero indignare soprattutto le enormi di-suguaglianze che esistono tra di noi, perché continuiamo a tollerare che alcuni si considerino

92 LS, n. 69. Cfr. Conferenza Episcopale Tedesca, «Zukunft der Schöpfung-Zukunft der Menschheit. Erklärung der Deutschen Bischofskonferenz zu Fragen der Umwelt und der Ener-gieversorgung», 2 (1980), 2; Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1992, n. 339.

93 Cfr. 90. «Consideriamo la persona come soggetto, che non può mai essere ridotto alla categoria di oggetto. Sarebbe però anche sbagliato pensare che gli altri esseri viventi debbano essere con-siderati come meri oggetti sottoposti all’arbitrario dominio dell’essere umano»: LS, nn. 81-82.

94 LS, n. 42.95 LS, n. 83.96 Cfr LS, nn. 90. 118.

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più degni di altri».97 E aggiunge: «Non può essere autentico un sentimento di intima unione con gli altri esseri della natura, se nello stesso tempo nel cuore non c’è tenerezza, compassione e preoccupazione per gli esseri umani. È evidente l’incoerenza di chi lotta contro il traffico di animali a rischio di estinzione, ma rimane del tutto indifferente davanti alla tratta di per-sone, si disinteressa dei poveri, o è determinato a distruggere un altro essere umano che non gli è gradito». Per questo, «si richiede una preoccupazione per l’ambiente unita al sincero amore per gli esseri umani».98 D’altronde, «non si può esigere da parte dell’essere umano un impegno verso il mondo, se non si riconoscono e non si valorizzano al tempo stesso le sue peculiari capacità di conoscenza, volontà, libertà e responsabilità».99

3. Destinazione e distribuzione equa e solidale dei beniL’accesso rispettoso e responsabile ai beni della terra implica ad un tempo il loro bene-

ficio per tutti. Non si ledono beni e risorse solo danneggiandole e dissipandole, ma anche facendone un uso egoistico e ingiusto, che esclude persone, comunità e popoli dal loro utilizzo. Il loro abuso è un peccato contro l’ambiente e contro gli esclusi. La responsabi-lità ecologica abbraccia insieme, in un’unica premura, cose e persone, viventi preumani e umani. Non è eticamente retta un’ecologia rispettosa della natura, ma che emargina dal suo usufrutto parte dell’umanità e di suoi membri. La sollecitudine ecologica è inclusiva: non lascia fuori nessuno. Come i viventi preumani attingono tutti alle risorse della natura, ugualmente dev’essere per i viventi umani, senza esclusioni di sorta.

In merito il Papa richiama un principio cardine della dottrina sociale della Chiesa: «La destinazione universale dei beni», fondamento e fonte del «diritto universale al loro uso». Diritto primario rispetto al diritto di proprietà, per ciò stesso secondario e subordinato. Di qui «la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata», su cui «grava sempre un’ipoteca sociale». Funzione che l’etica ecologica è chiamata ad acquisire e far valere: «Ogni approccio ecologico deve integrare una prospettiva sociale, che tenga conto dei diritti fondamentali dei più svantaggiati».100

4. Acquisire i beni ecologici alle esigenze del bene comune «L’ecologia umana è inseparabile dalla nozione di bene comune».101 I beni ecologici,

infatti, non sono beni privati, ma «di tutti e per tutti».102 Da acquisire, come tali, alle esigenze etiche del bene comune. Ancor più per l’acuirsi della crisi. «La gravità della crisi

97 LS, n. 90.98 Cfr. LS, n. 91.99 LS, n. 118.100 Cfr. LS, n. 93.101 LS, n. 156.102 Cfr. LS, n. 23.

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ecologica esige da noi tutti di pensare al bene comune»:103 il bene di quel ‘noi tutti’ che le persone formano unendosi in comunità sociale (societas) e politica (polis, civitas).104 La prima è la comunità naturale, formata dai membri che le appartengono. La seconda è la stessa comunità sociale politicamente istituita, attraverso la legge, regolatrice dei diritti e dei doveri, e l’autorità, garante della legge.

Nella comunità politica le responsabilità sono primariamente di politici e amministra-tori, chiamati a elaborare e praticare politiche oneste, idonee e lungimiranti di tutela e promozione ambientale, a tutti i livelli di istituzione della polis, da quelli locali e nazionali a quelli internazionali e mondiali.105 Politiche di alto profilo: volte «non solo a evitare le cattive pratiche, bensì a incoraggiare le buone»; operanti «sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine»; preoccupate «di generare processi, piuttosto che di dominare spazi di potere».106

I richiami al bisogno e alle funzioni della politica si fanno incalzanti e urgenti a livello internazionale, per la globalizzazione della questione ecologica, cui non risponde oggi una politica di pari ampiezza, in grado di affrontarla adeguatamente. Per cui, «diventa indi-spensabile lo sviluppo di istituzioni internazionali più forti ed efficacemente organizzate, con autorità designate in maniera imparziale […] e dotate del potere di sanzionare. […]. Urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale».107

Gli obblighi del bene comune, tuttavia, non sono solo di politici e amministratori. Sono di tutti i cittadini, i quali - individualmente o in gruppi organizzati, associazioni di volontariato, cooperative sociali, organismi non governativi - s’adoperano in vario modo per contrastare e rimediare ai mali ambientali e per tutelare e sviluppare i beni. Consapevoli che anche l’operare sociale ha valenza e incidenza politica, in quanto mirato alla qualità della vita e al benessere della polis.108 I cittadini esercitano, altresì, un controllo critico e di stimolo dei governi, volto a promuovere politiche ambientali avvedute ed efficaci.109

5. Riconoscere e assumere obblighi di giustizia ecologicaLa destinazione universale dei beni della terra e l’appartenenza al bene comune pongono

obblighi di giustizia ecologica su scala planetaria e intergenerazionale. Essi riguardano non solo il beneficio di tali beni come diritto di tutti, ma anche i costi di tale beneficio. Costi in

103 LS, n. 201.104 Cfr. LS, nn. 156-158.105 Cfr. LS, n. 176-188. «Funzioni improrogabili» di ogni politica sono «quelle di pianificare, co-

ordinare, vigilare e sanzionare all’interno del proprio territorio»: LS, n. 177.106 Cfr. LS, nn. 177-178.107 Cfr. LS, n. 175 (ma anche i nn. 164-174).108 Cfr. LS, n. 231.109 Cfr. LS, n. 179. «Poiché il diritto, a volte, si dimostra insufficiente a causa della corruzione, si

richiede una decisione politica sotto la pressione della popolazione»: LS, n. 179.

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termini di smaltimento di rifiuti, bonifiche di ambienti e territori, ripristino di mezzi e risorse, da riconoscere e assumere come doveri di giustizia da parte dei beneficiari. Di conseguenza, «si può considerare etico solo un comportamento in cui i costi economici e sociali derivanti dall’uso delle risorse ambientali comuni siano riconosciuti in maniera trasparente e siano pienamente supportati da coloro che ne usufruiscono e non da altre popolazioni o dalle gene-razioni future».110 Non metterli in conto ma scaricarli su altri è un’ingiustizia - una «inequità», dice il Papa111 - che crea un «debito ecologico» verso persone e popoli che la subiscono.112

In special modo la giustizia ecologica è «giustizia tra le generazioni». Non si può usufruire e consumare oggi, non curandosi dei bisogni - che sono reali diritti - di chi abiterà la terra dopo di noi. Per cui è dovere di giustizia consegnare loro un ambiente risanato e salubre e una terra in grado di garantire alimenti e risorse anche per loro. «Non stiamo parlando - osserva Francesco - di un atteggiamento opzionale, bensì di una questione essenziale di giustizia, dal momento che la terra che abbiamo ricevuto appartiene anche a coloro che verranno» dopo di noi.113

La giustizia, a sua volta, è integrata ed elevata da «un’altra logica, quella del dono gra-tuito che riceviamo e comunichiamo». Citando i Vescovi del Portogallo, il Papa precisa: «L’ambiente si situa nella logica del ricevere. È un prestito che ogni generazione riceve e deve trasmettere alla generazione successiva».114 Si estendono così, oltre che nello spazio (fra le nazioni), anche nel tempo le responsabilità e la solidarietà ecologica: «Ormai non si può parlare di sviluppo sostenibile senza una solidarietà fra le generazioni».115

6. Aver cura del creato con piccole azioni quotidiane Orientamenti e norme di azione non sono delineate a un livello solo trascendentale e

generale. Scendono a livello anche categoriale e particolare, nel concreto di comportamenti e atti che ciascuno può assumere e compiere. Per quanto ristretto sia il raggio d’azione di un individuo, nessuno può dirsi fuori da concreti obblighi ecologici. Per quanto esiguo sia il tasso d’incidenza di un atto, esso non è mai ininfluente. Messi insieme, gl’individui fanno una collettività, gli atti fanno una consuetudine, da cui dipende la qualità di vita di un ambiente, di un territorio, di una città.

110 LS, n. 195. Il testo citato è di Benedetto XVI, «Lettera Enciclica sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità Caritas in veritate», 29 giugno 2009, n. 50, in Acta Apostolicae Sedis, 82 (1990), 147.

111 Si determinano «gravissime inequità quando si pretende di ottenere importanti benefici facendo pagare al resto dell’umanità, presente e futura, gli altissimi costi del degrado ambientale»: LS, n. 36.

112 Cfr. LS, n. 51.113 Cfr LS, n. 159 (nonché anche i nn. 160-162).114 Cfr. LS, n. 159. Conferenza Episcopale Portoghese, Lettera pastorale Responsabilidade

solidária pelo bem comum, 15 settembre 2003, n. 20.115 LS, n. 159.

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Per questo la responsabilità ecologica «chiama in causa i comportamenti di ognuno di noi».116 La salvaguardia del creato «è fatta anche di semplici gesti quotidiani».117 Comincia dalle cose piccole e semplici che ciascuno può fare: «coprirsi un po’ invece di accendere il riscaldamento, evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo vei-colo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, e così via. Tutto ciò fa parte di una creatività generosa e dignitosa, che mostra il meglio dell’essere umano. Riutilizzare qualcosa invece di disfarsene rapidamente, partendo da motivazioni profonde, può essere un atto di amore che esprime la nostra dignità».118 Gesti piccoli ma di valore elevato: «È molto nobile assumere il compito di avere cura del creato con piccole azioni quotidiane». Gesti di incisiva e diffusiva efficacia: «Non bisogna pensare che questi sforzi non cambieranno il mondo. Tali azioni diffondono un bene nella società che sempre produce frutti al di là di quanto si possa constatare, perché provocano in seno a questa terra un bene che tende sempre a diffondersi».119 Essi esorbitano dall’ambito interindividuale e privato: «L’amore, pieno di piccoli gesti di cura reciproca, è anche civile e politico».120

Questo I care per l’ambiente porta a «“valorizzare lo spazio in cui si svolge l’esistenza quotidiana”. “Gli ambienti dove viviamo - infatti - influiscono sul nostro modo di vedere la vita, di sentire e di agire”. Non è vero che “nella nostra stanza, nella nostra casa, nel nostro luogo di lavoro e nel nostro quartiere noi facciamo uso dell’ambiente anche per esprimere la nostra identità”? È da ammirare perciò “la creatività e la generosità di perso-ne e gruppi che operano al fine di modificare gli effetti avversi dei condizionamenti”, in modo da poter dare un orientamento anche all’esistenza, pur in mezzo al disordine e alle precarietà. “La vita sociale positiva e benefica degli abitanti diffonde luce in un ambiente, a prima vista invivibile”».121

7. Per la via delle virtù: educare alle «virtù ecologiche» L’etica e la paideia ecologica procedono non solo per la via normativa della legge, ma

ancor prima e più per la via abilitante delle “virtù”, di questi habitus della vita buona, che dispongono e muovono la libertà (intelligenza, volontà e passioni) alla cura amorevole dell’ambiente. Il bene comandato dalla legge verrà vanificato ed eluso se non è fatto amare dalla virtù. Il Papa lo dice espressamente: «L’esistenza di leggi e norme non è sufficiente

116 Cfr. LS, n. 206; Benedetto XVI, Lettera Enciclica Caritas in veritate, n. 66.117 Cfr. LS, nn. 230-231.118 LS, n. 211. Cfr. LS, n. 232.119 Cfr. LS, nn. 211.212.120 Cfr. LS, n. 231.121 Cfr. LS, nn. 147-148, nella sintesi di M. Semeraro, Un’enciclica attesa e da aspettarsi. Prefazione

all’edizione spagnola della Laudato si’, Romana Editorial, Madrid 2015.

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a lungo termine per limitare i cattivi comportamenti, anche quando esista un valido con-trollo». Vale per la legge morale, ma ancor più per quella giuridica: «Affinché la norma giuridica produca effetti rilevanti e duraturi è necessario che la maggior parte dei membri della società l’abbia accettata a partire da motivazioni adeguate, e reagisca secondo una trasformazione personale». Il che è frutto di un’educazione e una crescita nelle virtù: «Solo dal coltivare solide virtù è possibile la donazione di sé in un impegno ecologico».122

Di qui il richiamo ad esplicite «virtù ecologiche».123 La “sobrietà” anzitutto: virtù di libertà dalla bramosia del consumo e del superfluo e dalla cupidigia «del dominio e della mera accumulazione»; virtù di ricerca dell’essenziale, che insegna a «godere con poco».124 La sobrietà induce a «prestare attenzione alla realtà, con i limiti che essa impone» e a «porsi dei limiti per evitare la sofferenza o il degrado di ciò che ci circonda».125 Con la sobrietà la “semplicità”, che «ci permette di fermarci a gustare le piccole cose, di ringraziare delle possibilità che offre la vita senza attaccarci a ciò che abbiamo, né rattristarci per ciò che non possediamo».126 Alla base di entrambe l’“umiltà” che, liberando dall’autoreferenzialità e dalle ambizioni dell’io, apre all’attenzione e alla cura della realtà intorno a noi.127 Oltre queste, due virtù generate dalla dimensione di dono del creato: la “gratitudine”, che dispone all’accoglienza ammirata e grata di beni che non ci siamo dati, ma abbiamo ricevuto dalla provvidenza divina e dalla cura di quanti ci hanno preceduto; e la “gratuità” che - liberando «dalla sfrenata voracità […], che porta a inseguire l’esclusivo beneficio personale» - favorisce «disposizioni di rinuncia e gesti generosi».128

Ciascuna virtù favorisce la «pace interiore»: espressione di un cuore riconciliato, in pace con Dio e con sé stessi, quindi con gli altri e con la natura. È questa una disposizione fondamentale dello spirito, «molto legata alla cura dell’ecologia, perché […] si riflette in

122 Cfr. LS, n. 211.123 Cfr. LS, n. 88.124 Cfr. LS, n. 222. «Quelli che gustano di più e vivono meglio ogni momento sono coloro che

smettono di beccare qua e là, cercando sempre quello che non hanno, e sperimentano ciò che significa apprezzare ogni persona […], imparano a familiarizzare con le realtà più semplici e ne sanno godere. In questo modo riescono a ridurre i bisogni insoddisfatti e diminuiscono la stan-chezza e l’ansia. Si può aver bisogno di poco e vivere molto, soprattutto quando si è capaci di dare spazio ad altri piaceri e si trova soddisfazione negli incontri fraterni, nel servizio, nel mettere a frutto i propri carismi, nella musica e nell’arte, nel contatto con la natura, nella preghiera. La felicità richiede di saper limitare alcune necessità che ci stordiscono, restando così disponibili per le molteplici possibilità che offre la vita»: LS, n. 223.

125 Cfr. LS, nn. 108. 116. 208.126 LS, n. 222.127 Cfr. LS, n. 224. «L’atteggiamento fondamentale di auto-trascendersi, infrangendo la coscienza

isolata e l’autoreferenzialità, è la radice che rende possibile ogni cura per gli altri e per l’ambiente»: LS, n. 208.

128 Cfr. LS, nn. 159.220.227.237.

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uno stile di vita equilibrato, unito a una capacità di stupore, che conduce alla profondità della vita». Essa instaura un rapporto empatico e contemplativo con il creato, in grado di percepirlo in profondità e totalità, con gli occhi dell’amore: «La natura è piena di parole d’amore, ma come potremo ascoltarle in mezzo al rumore costante, alla distrazione per-manente e ansiosa, o al culto dell’apparire?».129

IV. Motivi ispiratori e moventi

Dalle norme direttive del volere e dell’operare ecologico, la Laudato si’ risale ai principi ispiratori e moventi. Francesco li chiama anche «modelli di pensiero».130 Non basta il sapere etico-normativo: il “come” agire. Occorre il conoscere metaetico-fondativo: il “perché”, fatto da motivi che fondano le regole e muovono e sostengono l’azione.131 Ogni soluzione tecnica, norma giuridica, imperativo etico «sarà impotente a risolvere i gravi problemi del mondo […] se si dimenticano le grandi motivazioni che rendono possibile il vivere insieme, il sacrificio, la bontà».132 Abbiamo bisogno di «motivazioni, al fine di alimentare una passione per la cura del mondo. Non sarà possibile impegnarsi in cose grandi soltanto con delle dottrine, senza una mistica che ci animi, senza “qualche movente interiore che dà impulso, motiva, incoraggia e dà senso all’azione personale e comunitaria”».133 L’enciclica ci dà insieme motivazioni di ragione e di fede.

A. Motivi di ragione

L’enciclica «si apre a un dialogo con tutti, per cercare insieme cammini di liberazione».134 Lo fa sulla base di ciò che ci accomuna tutti come individui umani: l’intelligenza razionale. I primi motivi sono dunque di ragione.

1. La terra come «casa comune»La terra, il pianeta, il creato come «casa comune» è il motivo primo e basilare delle re-

sponsabilità ecologiche che ognuno deve assumere. La Laudato si’ è una «lettera enciclica sulla cura della casa comune», 135 designata tale già dal sottotitolo. L’idea di «casa» è un’idea

129 Cfr. LS, nn. 10.210.217.225-226.130 «I modelli di pensiero influiscono realmente sui comportamenti»: LS, n. 215.131 Cfr. LS, nn. 15.211. «Affinché la norma produca effetti rilevanti e duraturi è necessario che la maggior

parte dei membri della società l’abbia accettata a partire da motivazioni adeguate»: LS, n. 211.132 Cfr. LS, n. 200.133 LS, n. 216. Il testo citato è di Francesco, Esortazione apostolica sull’annuncio del Vangelo nel

mondo attuale Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, n. 261.134 LS, n. 64.135 Cfr. LS, n. 1.

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di appartenenza, condivisione, vicinanza: non qualcosa di “altro” e che ci sta “davanti”, oggetto d’uso, ma un habitat di vita, di vita-insieme. L’idea di casa s’interfaccia con l’idea di patria: «Concepire il pianeta come patria e l’umanità come popolo che abita una casa comune».136 In essa «siamo una sola famiglia».137 «La nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza».138 Così da considerare come coabita-tori della stessa casa, in relazione familiare tra loro, tutti gli esseri dell’universo, umani e preumani, animati e inanimati.

Siamo nell’orizzonte di significato e di valore del Cantico delle creature - cui il Papa si richiama - dove Francesco d’Assisi si relaziona a «lo frate sole…, sora luna…, matre terra…». Questa prossimità d’ordine familiare accresce la «consapevolezza di non essere separati dalle altre creature, ma di formare con gli altri esseri dell’universo una stupenda comunione universale».139 Tale consapevolezza è la ragione primaria della cura per la casa “comune” e del “comune” impegno che essa comporta: «Un mondo interdipendente non significa unicamente capire che le conseguenze dannose degli stili di vita, di produzione e di consumo colpiscono tutti, bensì, principalmente, fare in modo che le soluzioni siano proposte a partire da una prospettiva globale […]. L’interdipendenza ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune».140

2. Un’«ecologia integrale»L’ecologia non è un interesse solo cosmologico ed economico, ma antropologico e

sociale insieme. Di qui il concetto di «ecologia integrale».141 L’ecosistema non comprende solo animali e piante, risorse e beni ambientali. Include anche le persone e la società. C’è un legame tra il modo di considerare le persone ed organizzare la società e il modo di comprendere e trattare la natura e il creato: «Quando parliamo di “ambiente” facciamo riferimento anche a una particolare relazione: quella tra la natura e la società che la abita. Questo c’impedisce di considerare la natura come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati».142 L’«ecologia integrale» considera «l’ambiente umano e l’ambiente naturale insieme», «le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali».143 Essa è basata sul dato «tutto è in relazione», «tutto è connesso».144

136 LS, n. 164.137 LS, n. 52.138 LS, n. 1.139 Cfr. LS, n. 220.140 LS, n. 164.141 Cfr. LS, nn. 137-162.142 LS, n. 139.143 Cfr. LS, nn. 48. 139.144 Cfr. LS, nn. 72.91.92.117.120.138.142.240.

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Questa concezione globale, aperta, estende il raggio delle responsabilità ecologiche dalla tutela dell’ambiente naturale alla tutela dell’ambiente umano, così da prendersi cura degli individui umani non meno che dei beni ambientali. Non ci si può adoperare per prevenire l’estinzione ed evitare l’abbandono di specie animali e vegetali e non altrettanto per tutelare la vita umana in condizioni di piccolezza e debolezza, di precarietà e margi-nalità.145 Non ci si può non curare di «persone che vengono scartate, private dei diritti umani fondamentali».146 Un’«ecologia integrale» è un’ecologia aperta ad «ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri».147

Un’ecologia integrale implica altresì «qualcosa di molto profondo: la necessaria relazione della vita dell’essere umano con la legge morale inscritta nella sua propria natura. Affermava Benedetto XVI che esiste una “ecologia dell’uomo”, perché “anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere”».148 E Giovanni Paolo II: «Non solo la terra è stata data da Dio all’uomo, che deve usarla rispettando l’intenzione originaria di bene, secondo la quale gli è stata donata; ma l’uomo è donato a sé stesso da Dio e deve perciò rispettare la struttura naturale e morale di cui è stato dotato».149

Se tutto è in relazione, l’ecologia comprende e indaga tutti i fattori che incidono sull’am-biente e sulla qualità della vita. Questo significa che anche le «risposte», le «soluzioni» devono essere «integrali».150 Di qui la declinazione al plurale dell’ecologia: dall’«ecologia ambientale» a «l’ecologia umana», «l’ecologia economica e sociale», «l’ecologia culturale», «l’ecologia della vita quotidiana», l’ecologia della città e della vita urbana, fino alla politi-ca.151 «Un’ecologia integrale possiede tale visione ampia».152

145 «È preoccupante il fatto che alcuni movimenti ecologisti difendano l’integrità dell’ambiente, e con ragione reclamino dei limiti alla ricerca scientifica, mentre a volte non applicano questi medesimi principi alla vita umana. Spesso si giustifica che si oltrepassino tutti i limiti quando si fanno esperimenti con embrioni umani vivi»: LS, n. 136. «Non è neppure compatibile la difesa della natura con la giustificazione dell’aborto. Non appare praticabile un cammino educativo per l’accoglienza degli esseri deboli che ci circondano, che a volte sono molesti o importuni, quando non si dà protezione a un embrione umano benché il suo arrivo sia causa di disagi e difficoltà: “Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono”»: LS, n. 120. Il brano citato è di Benedetto XVI, Lettera Enciclica Caritas in veritate, n. 28.

146 Cfr. LS, n. 158. 147 Cfr. LS, n. 49. 148 LS, n. 155. Benedetto XVI, «Discorso al Deutscher Bundestag di Berlino», 22 settembre 2011,

in Acta Apostolicae Sedis, 103 (2011), 664.149 LS, n. 115. Giovanni Paolo II, Enciclica nel primo centenario dell’enciclica “Rerum novarum”

Centesimus annus, 1° maggio 1991, n. 38. 150 Cfr. LS, nn. 60.139.151 Cfr. rispettivamente LS, nn. 5.155-156; 138-142; 143-146; 147-155; 44.149-154; 176-198.152 LS, n. 159.

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3. Il corpo che noi siamoIl nostro corpo è l’elemento primo e immediato della relazione con la natura,

dell’appartenenza al mondo, della condivisione della «casa» che abitiamo con tutte le altre creature. Certo, la creatura umana è più del suo corpo. È anche spirito, con cui si eleva su di esse, decidendo di esse. Condivide, però, con le altre creature la dimensione fisica e biologica,153 che è fatta dal corpo. «Il nostro corpo è costituito dagli elementi del pianeta»:154 esso è “un pezzo” di questo mondo. Come tale «ci pone in una relazione diretta con l’ambiente e con gli altri esseri viventi»:155 il corpo ci unisce intimamente ad essi, ci fa com-partecipi del cosmo. Non come qualcosa che io ho (corpo oggetto), ma che io sono (corpo soggetto). Il che, da una parte, dice solidarietà con tutte le altre creature, animate e non. Dall’altra, dice responsabilità per esse. «Imparare ad accogliere il proprio corpo, ad averne cura e a rispettare i suoi significati è essenziale per una vera ecologia» umana e ambientale.156

4. Il libro della natura «Riconoscere la natura come uno splendido libro»157 - esorta Francesco - «“le cui lettere

sono la moltitudine di creature presenti nell’universo”».158 La natura non è un mero dato, oggetto di osservazione e di uso: una tabula rasa in qua nihil scriptum est, un contenitore vuoto che non dice nulla e non obbliga a nulla, e abbandona il mondo all’indifferenza e all’arbitrio. La natura è un «libro» aperto ad ogni uomo e ogni donna, in grado di leggerlo e cogliere contenuti di verità. Verità non solo empiriche e strumentali, ma anche valoriali e morali, imperative di azioni e comportamenti.

Libro che comprende tutto e tutti: «“Il libro della natura è uno e indivisibile” e include l’ambiente, la vita, la sessualità, la famiglia, le relazioni sociali, e altri aspetti».159 Per il credente è «un libro nel quale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà».160 Chi si accosta ad esso con sguardo attento e accogliente trova una policromia di significati, valori, orientamenti e scopi.

153 «Noi stessi siamo terra (cfr. Gen 2, 7)»: LS, n. 2.154 LS, n. 2.155 LS, n. 155.156 Cfr. LS, n. 155.157 LS, n. 12.158 LS, n. 85. Il brano citato è di Giovanni Paolo II, Catechesi, 30 gennaio 2002, 6, in Insegnamenti,

2002: vol. 25/1, 140.159 LS, n. 6. Il brano citato è di Benedetto XVI, Caritas in veritate, 51.160 LS, n. 12. Cfr. LS, n. 85. «Dio ha creato il mondo inscrivendo in esso un ordine e un dinamismo

che l’essere umano non ha il diritto di ignorare»: LS, n. 221.

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5. La semantica del bello Allo sguardo cognitivo del vero s’accompagna lo sguardo contemplativo e ammirato del

bello che la creazione porta con sé, ed in cui la verità del bene assume nuova luce e forza di persuasione. «Prestare attenzione alla bellezza e amarla ci aiuta ad uscire dal pragmatismo utilitaristico. Quando non s’impara a fermarsi ad ammirare ed apprezzare il bello, non è strano che ogni cosa si trasformi in oggetto di uso e abuso».161 L’ecologia chiede «apertura verso categorie che trascendono il linguaggio delle scienze esatte o della biologia e ci colle-gano con l’essenza dell’umano».162 «Ogni volta che Francesco guardava il sole, la luna, gli animali più piccoli, la sua reazione era cantare, coinvolgendo nella sua lode tutte le altre creature. Egli entrava in comunicazione con tutto il creato, e predicava persino ai fiori e “li invitava a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di ragione”».163

«Il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode».164 «Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambien-te senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea».165 Ancor più perché l’attitudine contemplativa porta a «riconoscere Dio nelle creature». «L’universo si sviluppa in Dio, che lo riempie tutto». Lo sguardo contemplatore lo percepisce, «sperimenta l’intimo legame che c’è tra Dio e tutti gli esseri».166

La bellezza del creato ispira e s’effonde nella bellezza creata dall’ingegneristica e dall’ar-chitettura: «dagli oggetti di uso domestico fino ai grandi mezzi di trasporto, ai ponti, agli edifici, agli spazi pubblici». «Nel desiderio di bellezza dell’artefice e in chi quella bellezza contempla si compie il salto verso una certa pienezza propriamente umana».167

B. Motivi di fede

La ragione è elevata e integrata dall’intelligenza della fede, la quale attinge alla Parola rivelata. «La fede apporta nuove motivazioni ed esigenze», «motivazioni alte, per prendersi

161 LS, n. 215.162 LS, n. 11. «Non si può sostenere che le scienze empiriche spieghino completamente la vita,

l’intima essenza di tutte le creature e l’insieme della realtà»: LS, n. 199.163 LS, n. 11. Il brano citato è di Tommaso da Celano, Vita prima di San Francesco, XXIX, 81:

Fonti Francescane, 460. 164 LS, n. 12.165 LS, n. 11.166 Cfr. LS, nn. 233-234.167 Cfr. LS, n. 103.

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cura della natura».168 Essa iscrive le responsabilità ecologiche nella relazione creaturale e salvifica dell’uomo con Dio. Questo significa che hanno una carica di motivazione e di finalità più che secolare e umana: una carica soprannaturale e teologale.

1. Dio Creatore e PadreIl dato originario della rivelazione biblica è il volto creatore e l’opera creatrice di Dio: «In

principio Dio creò il cielo e la terra» (Gen 1,1). Così ci vien detto che il mondo proviene da un disegno divino. «Non dal caos o dalla casualità, e questo lo innalza ancora di più. Vi è una scelta libera, espressa nella parola creatrice»: «Dalla parola del Signore furono fatti i cieli» (Sal 33, 6).169 Il linguaggio comune chiama “creato”, “creazione” la natura, e “creatura” ogni essere che lo abita. «Dire “creazione” è più che dire natura, perché ha a che vedere con un progetto dell’amore di Dio». «La creazione appartiene all’ordine dell’amore. L’amore di Dio è la ragione fondamentale di tutto il creato»: «Tu - riconosce l’orante a Dio - ami tutte le cose che esistono e nulla disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata” (Sap 11, 24)».170 Sapere che l’esistenza «non si perde in un disperante caos, in un mondo governato dalla pura casualità o da cicli che si ripetono senza senso», ma che tutto proviene ed è sostenuto dall’amore creatore e provvidente di Dio, 171 sapere che tutte le creature sono «oggetto», 172 «manifestazione»173 e «linguaggio dell’amore di Dio»174 e sono chiamate a lodare Dio (cfr. Sal 148, 3-5), è una riserva immensa di senso e di valore, che «ci convoca ad una comunione universale».175 «Oltre a manifestare Dio, tutta la natura è luogo della sua presenza. In ogni creatura abita il suo Spirito vivificante che ci chiama a una relazione con Lui».176

«Gesù fa propria la fede biblica nel Dio creatore e mette in risalto un dato fondamen-tale: Dio è Padre».177 Il rapporto con Dio si fa più vicino, più intimo: «Ogni creatura è oggetto della tenerezza del Padre, che le assegna un posto nel mondo».178 «Questo induce alla convinzione che, essendo stati creati dallo stesso Padre, noi tutti esseri dell’universo

168 Cfr. LS, nn. 17. 64.169 Cfr. LS, n. 77.170 Cfr. LS, nn. 76. 77. 84.171 Cfr. LS, n. 65.172 Cfr. LS, n. 77.173 «Possiamo dire che “accanto alla rivelazione propriamente detta contenuta nelle Sacre Scritture c’è

una manifestazione divina nello sfolgorare del sole e nel calare della notte”»: LS, n. 85. Il brano citato è di Giovanni Paolo II, Catechesi, 26 gennaio 2000, 5, in Insegnamenti 2000, 23 (1), 12.

174 Cfr. LS, n. 84.175 LS, n. 76. Cfr. LS, nn. 65. 77. 84-85.176 LS, n. 88. Cfr. LS, nn. 84. 85.177 LS, n. 96. «Il Padre è la fonte ultima di tutto, fondamento amoroso e comunicativo di quanto

esiste»: LS, n. 238.178 LS, n. 77. Cfr. LS, n. 84.

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siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile».179

2. Il creato nel mistero di CristoIn Cristo il creato assume il valore e il destino della sua opera creatrice e salvifica. Egli è

«la Parola divina»: il Verbo eterno del Padre, per mezzo del quale e in vista del quale tutte le cose sono state create (cfr. Gv 1, 1-3; Col 1, 16).180 Nella pienezza del tempo «il Verbo si è fatto carne» (Gv 1,14; Gal 4, 4), stabilendo nella sua carne - la quale, come la nostra, è un “pezzo” di questo cosmo - un’intima solidarietà con tutte le creature che lo abitano.181 Egli «si unì a questa terra quando prese forma nel seno di Maria».182 Così «tutte le creature dell’universo materiale trovano il loro vero senso nel Verbo incarnato, perché il Figlio di Dio ha incorporato nella sua persona parte dell’universo materiale, dove ha introdotto un germe di trasformazione definitiva».183

Gesù ha vissuto «una piena armonia con la creazione […]. Non un asceta separato dal mondo o nemico delle cose piacevoli della vita». Egli «era distante dalle filosofie che disprezzavano il corpo, la materia e le realtà di questo mondo».184 Gesù «si è inserito nel cosmo creato, condivi-dendone il destino fino alla croce».185 Avendolo assunto nella propria carne, fino alla morte, il cosmo è coinvolto nel dinamismo di risurrezione del Crocifisso. Dinamismo di liberazione dalla «schiavitù della corruzione» e di destinazione alla «libertà della gloria dei figli di Dio» (cfr. Rm 8, 19-23): partecipe con questi dello stesso destino. «È piaciuto infatti a Dio che […] per mezzo di lui [Cristo] e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (Col 1, 19-20).

Per questa riconciliazione ri-creatrice, «le creature di questo mondo non ci si presentano più come una realtà meramente naturale, perché il Risorto le avvolge misteriosamente e le orienta a un destino di pienezza».186 «Dall’inizio del mondo - dunque - ma in modo particolare a partire dall’incarnazione, il mistero di Cristo opera in modo nascosto nell’in-sieme della realtà naturale».187

179 LS, n. 89. «Il modo migliore per collocare l’essere umano al suo posto e mettere fine alla sua pretesa di essere un dominatore assoluto della terra, è ritornare a proporre la figura di un Padre creatore e unico padrone del mondo»: LS, n. 75.

180 Cfr. LS, n. 42.181 Cfr. LS, n. 99. 182 LS, n. 238.183 LS, n. 235.184 Cfr. LS, n. 98.185 LS, n. 99.186 LS, n. 100. «Cristo ha assunto in sé questo mondo materiale e ora, risorto, dimora nell’intimo

di ogni essere, circondandolo con il suo affetto e penetrandolo con la sua luce»: LS, n. 221.187 LS, n. 99.

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3. Lo Spirito del Signore riempie l’universoQuesto mistero opera efficacemente per l’azione dello Spirito Santo. «Lo Spirito del Signo-

re riempie l’universo» (Sap 1, 7): lo riempie di «potenzialità che permettono che dal grembo stesso delle cose possa sempre germogliare qualcosa di nuovo».188 Lo Spirito «è intimamente presente nel cuore dell’universo, animando e suscitando nuovi cammini».189 E individual-mente nel cuore di ogni creatura: «In ogni creatura abita il suo Spirito vivificante».190

Senza che questa inabitazione dello Spirito comporti una divinizzazione della natura e dei suoi elementi.191 Perché in rapporto a Dio essi sono e restano creature. Preservati come tali da ogni sacralizzazione idolatrica. La loro essenza è secolare non sacrale: «Il pensiero ebraico-cristiano ha demitizzato la natura. Non le ha più attribuito un carattere divino».192

4. La terra è di Dio«Del Signore è la terra e quanto contiene» - proclama il salmista (Sal 24,1; cfr. Sal 89,12;

Dt 10,14). L’appartenenza della terra a Dio vuol dire che essa «può essere compresa solo come un dono che scaturisce dalla mano aperta del Padre di tutti».193 «Noi non siamo Dio. La terra ci precede e ci è stata data».194 Sicché nessuno può rivendicare un diritto esclusivo e illimitato su di essa.195 Siamo chiamati, invece, a una condivisione dei beni. Ogni individuo, infatti, ha diritto a beneficiare del dono di Dio. Nel contempo la signoria divina toglie all’uomo ogni dominio incondizionato e arbitrario. Il potere sulla terra che Dio ha dato all’uomo è un dovere di coltivazione e di custodia: un appello - precisa il testo biblico - a «coltivare e custodire il giardino» del mondo (cfr. Gen 2, 15).196

5. Il cosmo assunto a mediazione sacramentale di grazia e di lodeNei sacramenti il cosmo è assunto - in taluni suoi elementi basilari e vitali, come l’acqua,

l’olio, il pane, il vino - a segno efficace della grazia che risana e vivifica: «I Sacramenti sono un modo privilegiato in cui la natura viene assunta da Dio e trasformata in mediazione della vita soprannaturale».197 Alla mediazione discendente da Dio a noi s’intreccia la mediazione ascendente, propriamente cultuale, da noi a Dio: «Attraverso il culto siamo invitati ad

188 LS, n. 80.189 LS, n. 238.190 LS, n. 88.191 Cfr. LS, n. 90.192 LS, n. 78.193 LS, n. 76.194 LS, n. 67.195 Cfr. LS, n. 75.196 Cfr. LS, n. 67.197 LS, n. 235.

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abbracciare il mondo su un piano diverso. L’acqua, l’olio, il fuoco e i colori sono assunti con tutta la loro forza simbolica e si incorporano nella lode» al Creatore e Redentore.198

Nell’eucaristia il creato partecipa in sommo grado di questa interazione di grazia e di lode con Dio, e trova in essa «la sua maggiore elevazione». «Il Signore, al culmine del mistero dell’Incarnazione, volle raggiungere la nostra intimità attraverso un frammento di materia. Non dall’alto, ma da dentro, affinché nel nostro stesso mondo potessimo incontrare Lui».199 Incontrarlo in quel pezzo di pane, in quel goccio di vino - «frammenti di materia», diventati sacramento del «corpo dato» e del «sangue versato» «per noi» (cfr. Lc 22, 19) - stabilisce l’unione più intima (consostanziale) e coinvolgente con Lui. Ci fa essere, “rimanere” nel suo amore (cfr. Gv 15, 9-10): l’“amore più grande”, che “dà la vita” (cfr. Gv 15, 13). Amore solidale, che in quei frammenti di materia abbraccia il mondo e lo apre alla lode piena di gratitudine. Davvero «l’Eucaristia è un atto di amore cosmico: “Sì, cosmico! Perché anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l’Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull’altare del mondo”. L’Eucaristia unisce il cielo e la terra, abbraccia e penetra tutto il creato. Il mondo, che è uscito dalle mani di Dio, ritorna a Lui in gioiosa e piena adorazione: nel Pane eucaristico “la creazione è protesa verso la divinizzazione, verso le sante nozze, verso l’unificazione con il Creatore stesso”».200 Così «l’Eucaristia è fonte di luce e di motivazione per le nostre preoccupazioni per l’ambiente, e ci orienta ad essere custodi di tutto il creato».201

6. Non un’apocalisse annientatrice ma una innovazione cosmicaIn questa destinazione a Dio, la creazione è sottratta alla vanità e alla dissoluzione:

«Nutre la speranza - come scrive san Paolo - di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8, 20-21). La fine non sarà un’apocalisse annientatrice, ma una innovazione cosmica: «una terra nuova», (cfr. Is 65, 17; 2Pt 3, 13; Ap 21, 1) di un Dio che «fa nuove tutte le cose» (cfr. Ap 21,5). La cui speranza suscita una premura d’amore, perché le realtà presenti assumano una forma consona alle cose promesse. Chiama, in altre parole, il cristiano a un impegno anticipatore e prefiguratore nell’oggi della «terra nuova» attesa nella speranza. «Non fuggiamo - dunque - dal mondo, né neghiamo la natura quando vogliamo incontrarci con Dio».202

198 Cfr. LS, n. 235.199 Cfr. LS, n. 236.200 LS, n. 236. I due brani citati sono rispettivamente di Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica

sull’Eucaristia nel suo rapporto con la Chiesa Ecclesia de Eucharistia, 17 aprile 2003, 8; e di Benedetto XVI, Omelia nella Messa del Corpus Domini, 15 giugno 2006, in Acta Apostolicae Sedis, 98 (2006), 513.

201 LS, n. 236.202 LS, n. 235.

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La fede piena di speranza ci dà una concezione e un vissuto itinerante dell’esistenza, in cammino «verso il sabato dell’eternità, verso la nuova Gerusalemme, verso la casa comune del cielo». La vita eterna sarà «una meraviglia condivisa, dove ogni creatura, luminosamen-te trasformata, occuperà il suo posto e avrà qualcosa da offrire ai poveri definitivamente liberati».203 «Nell’attesa, ci uniamo per farci carico di questa casa che ci è stata affidata, sapendo che ciò che di buono vi è in essa verrà assunto nella festa del cielo».204 Consape-voli - ci dice il Concilio Vaticano II - che «tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo di nuovo, ma purificati da ogni macchia, purificati e trasfigurati, quando Cristo rimetterà al Padre il regno eterno e universale».205

7. Le responsabilità ecologiche sono «parte della nostra fede»Questi motivi di fede dicono la radice e il valore teologale, propriamente cristiano,

dell’impegno per il creato. La vita in Cristo non conosce spiritualismi di sorta.206 Essa implica tutta la realtà, compreso il creato, l’ambiente, la terra. I cristiani - avverte il Papa - devono «lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che li circonda». Questo significa che le responsabilità ecologiche non sono a margine della fede e del suo vissuto, ma al centro. Non sono impegni meramente secolari, ma propriamente ed essenzialmente cristiani. «La vocazione di essere custodi dell’opera di Dio non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana», ma «è parte essenziale».207 «Se il solo fatto di essere umani muove le persone a prendersi cura dell’ambiente del quale sono parte, “i cristiani, in particolare, avvertono che i loro compiti all’interno del creato, i loro doveri nei confronti della natura e del Creatore sono parte della loro fede”».208 Essi s’iscrivono in quell’ortoprassi della fede che dice fedeltà e culto a Dio creatore e a Cristo redentore del mondo.

ConclusioneQuesto percorso - che dall’analisi della crisi ecologica risale alle cause, per elaborare linee

(etiche) di azione, alla luce di ragioni (metaetiche) ispiratrici di norme, virtù, stili di vita, comportamenti - mette in luce la consistenza etica della Laudato si’, così da delinearla e assumerla a paradigma di una morale ecologica.

203 Cfr. LS, n. 243.204 LS, n. 244.205 GS, n. 39. 206 «La spiritualità non è disgiunta dal proprio corpo, né dalla natura o dalle realtà di questo mondo, ma

piuttosto vive con esse e in esse, in comunione con tutto ciò che ci circonda»: LS, n. 216; cfr. LS, n. 236.207 LS, n. 217.208 LS, n. 64. Il brano citato è di Giovanni Paolo II, «Messaggio per la XXIII Giornata Mondiale

della Pace (1° gennaio 1990)», n. 15.

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La vicenda di un pensatore controverso: Antonio Rosmini (1797-1855)

Il prossimo anno si celebrerà il 220esimo anniversario della nascita di Antonio Rosmini Serbati e tale ricorrenza ci offre un’occasione di riflessione sulla sua esperienza biografica, sulla sua missione di fonda-tore dell’Istituto della Carità e sul suo pensiero filosofico-teologico. Quest’ultimo punto costituisce la parte più controversa di una figura di spicco, ma, al tempo stesso, inattuale nel suo tempo, che ancora oggi, nonostante la Nota della Congregazione per la dottrina della fede sul valore dei decreti dottrinali concernenti il pensiero e le opere del rev.do sacerdote Antonio Rosmini Serbati, pubblicata il 1° luglio 2001 da L’Osservatore Romano, suscita dibattiti tra gli studiosi. In questo breve percorso, che non ha la pretesa di fornire un quadro esaustivo, ma si pone l’obiettivo di fornire un contributo al dibattito per accendere i riflettori sulla figura di un pensatore sistematico talora trascurato da manuali e da considerazioni accademiche sulla cultura filosofico-letteraria del secolo XIX, si cercherà di richiamare le fasi salienti della cosiddetta «questione rosminiana», di analizzare alcuni documenti ottocenteschi e novecenteschi e di fare il punto sullo status quaestionis.

1. Ricostruzione della «questione rosminiana»

Il primo punto da chiarire consiste nella definizione di «questione rosminiana». Essa è la violenta controversia teologico-religiosa, suscitata dagli scritti di Rosmini, sviluppatasi dagli anni Quaranta dell’Otto-cento e proseguita fino alla Nota del 2001 precedentemente citata.1

* Docente di Filosofia nell’Issr di Trani.1 Su questa tematica esiste un’ampia letteratura. In particolare, si segnalano

M. De Paoli, Antonio Rosmini. Maestro e profeta, Paoline, Milano 2007, nel quale l’autore, con uno stile giornalistico riesce a coinvolgere anche emotivamente il lettore nella narrazione delle vicende e nella presentazione

Michele Casiero*[email protected]

Anno XV, nn. 15/16, giugno 2016, pp. 61 - 70ISSN 2240-2666 - Issr Trani

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La «questione rosminiana» si può suddividere in due o tre momenti. Possiamo, infatti, definire per convenzione un primo momento, che inizia nel 1841 con la polemica intorno al Trattato sulla coscienza morale, culmina con la condanna, da parte di Pio IX, degli scritti rosminiani Delle cinque piaghe della Santa Chiesa e La Costituzione civile secondo la giustizia sociale e si conclude con il Dimittantur opera omnia del 1854 e con la morte di Rosmini il 1° luglio 1855, e una seconda fase che nasce il 4 agosto 1879 con l’enciclica di Leone XIII Aeterni Patris e con il successivo Decreto Post obitum del 1888 e termina con la Nota della Congregazione per la dottrina della fede sul valore dei decreti dottrinali concernenti il pensiero e le opere del rev.do sacerdote Antonio Rosmini Serbati, organismo presieduto dal cardinale Joseph Ratzinger, che, divenuto papa Benedetto XVI, autorizzò la Congregazione per le Cause dei Santi a promulgare il decreto sul miracolo compiuto nel 1927 in favore di suor Ludovica Noè al fine di concludere positivamente il processo di beatificazione culminato nella celebrazione del 18 novembre 2008 presso il Palazzetto dello Sport di Novara. Il po-stulatore della causa di beatificazione, padre Claudio Massimiliano Papa, propone, invece, una tripartizione: la prima fase si conclude con la messa all’Indice di due scritti rosminiani nel 1849, la seconda è quella degli anni 1850-1854 e si conclude con il Dimittantur, la terza fase si sviluppa negli anni 1873-1887, si conclude con il Post obitum e presenta un’appendice costituita dalla Nota del 2001. Le prime due fasi indicate da don Claudio Massimiliano Papa si svolsero durante il pontificato di Pio IX, l’ultima, invece, vide come pontefice Leone XIII.2 In entrambe le partizioni, punto di inizio della disputa è il Trattato

delle principali tesi del dibattito. Saggi più scientifici sono di P. Prini (a cura di), Introduzione a Rosmini, Laterza, Roma-Bari 1999, che ha un approccio manualistico e introduce alle princi-pali tematiche del pensiero rosminiano e alle controversie ottocentesche un lettore desideroso di conoscere aspetti bio-bibliografici del Roveretano, del suo contesto di appartenenza e degli sviluppi di tali problematiche, e U. Muratore, Conoscere Rosmini. Vita, pensiero, spiritualità, Edizioni Rosminiane, Stresa 2002, che agli aspetti scientifici unisce le riflessioni di un religioso che vive quotidianamente dall’interno lo stile di vita, di preghiera e di pensiero rosminiano. L’Issr “San Nicola il Pellegrino” di Trani ha contribuito al dibattito in particolare con il Convivio delle Differenze, svoltosi dal 14 al 18 aprile 2008 con autorevoli relatori, tra i quali mons. Nunzio Galantino, attuale Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana, e padre Claudio Massimiliano Papa, Superiore Provinciale dell’Istituto della Carità e Postulatore della Causa di Beatificazione di Antonio Rosmini Serbati, i cui interventi sono stati pubblicati in D. Marrone (a cura di), Dallo scacco alla gloria. L’avventura di un profeta: Antonio Rosmini, Rotas, Barletta 2008. Rimando, inoltre, a un precedente contributo: M. Casiero, «La filosofia rosminiana e il pensare di frontiera», in Salós 11 (2011), 19-26.

2 La suddivisione di padre Massimiliano Papa, per quanto precisa e particolareggiata, non tiene conto dell’ampiezza del dibattito sul pensiero rosminiano. Circoscrivere la «questione rosminia-na» ai pontificati di Pio IX e Leone XIII non rende sufficientemente ragione dell’incubazione della polemica, che divampò già durante il pontificato di Gregorio XVI e che non fu placata nonostante il Decreto del silenzio emanato da quest’ultimo. Non spiegherebbe, inoltre, come mai ci sia voluto tanto tempo per dirimere una controversia, la quale portò alla pubblicazione di un

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sulla coscienza morale, pubblicato in fascicoli nell’anno 1839, lo stesso in cui Gregorio XVI approvò definitivamente l’Istituto della Carità, e raccolto in un’unica edizione pubblicata l’anno successivo dall’editore Pogliani a Milano. Nel 1841 divampò in modo improvviso una controversia, che avrebbe visto Rosmini accusato dai suoi avversari di eresie ed errori gravissimi. In alcune città, cominciò a circolare Alcune affermazioni del signor Antonio Rosmini, prete roveretano, con un saggio di Riflessioni scritte da Eusebio Cristiano. Si tratta di un libello pubblicato con uno pseudonimo, che gli interpreti attribuirono ben presto a un gruppo di gesuiti. Rosmini rispose nell’agosto del 1841 con uno scritto intitolato Risposta al finto Eusebio Cristiano per difendere, come spiega De Paoli, la credibilità dell’istituto, la sua onorabilità di cristiano e la sua serietà di filosofo. La polemica tra rosminiani e gesuiti divampò a tal punto, che il papa Gregorio XVI fu costretto a emettere il Decreto del silenzio, notificato al fondatore dei rosminiani e al superiore generale dei gesuiti, padre Roothaan. Il dibattito, tuttavia, non si placò, ma riesplose in maniera ancora più violenta interessando l’intero pensiero filosofico del Roveretano e impegnando i due schieramenti contrapposti in una battaglia sia filosofica sia teologico-dottrinale condotta a tutto campo. In quegli anni, infatti, Rosmini fu coinvolto non solo nella controversia con i gesuiti, i neotomisti e gli ambienti conservatori della Curia romana, ma ingaggiò uno scontro serrato a livello filosofico con Vincenzo Gioberti. Nel 1847, inoltre, fu pubblicato Postille, un opuscolo nel quale vennero riportate 327 proposizioni considerate eretiche; questo scritto fu cen-surato, ma non fu mai messo all’Indice perché nessuno sporse denuncia. L’ascesa al soglio pontificio di Giovanni Maria Mastai Ferretti, eletto pontefice con il nome di Pio IX, spinse Rosmini a lanciare una sfida culturale che pensava di poter sostenere con il supporto di un papa riformatore: pubblicò, infatti, Delle cinque piaghe della santa Chiesa (scritto iniziato il 18 novembre 1832 e completato nel 1848) e La costituzione civile secondo la giustizia sociale. Rosmini, inoltre, fu inviato dal Regno di Sardegna a intavolare trattative con Pio

documento, firmato dal prefetto Joseph Ratzinger e dal segretario Tarciso Bertone, che nel 2001 riconosceva definitivamente superati i «motivi di preoccupazione» e le «difficoltà dottrinali e prudenziali» legati a quaranta proposizioni tratte da varie opere del Roveretano e condannate dal Post obitum di Leone XIII. Nella riflessione sulla tematica, inoltre, emerge un doppio livello della polemica: uno squisitamente scientifico-filosofico, che interessa tuttora gli studiosi del pensiero occidentale e mette in discussione i principali cardini del pensiero rosminiano, ma che, pur essendo estraneo a questioni dottrinali, rientrò in certi momenti altresì nella «questione rosminiana» a causa del furore del dibattito, che dilagò anche sul versante dei rapporti personali ed ecclesiali; un secondo livello è, invece, teologico-filosofico e si intende concluso con la Nota e con la beatificazione. Questi due livelli di dibattito si intersecano pericolosamente tra di loro, lasciando trasparire che la legittimità dottrinale della posizione rosminiana possa essere ancora messa in discussione, nonostante le parole perentorie della Nota, con la quale il cardinale Ratzin-ger invitava esclusivamente al confronto filosofico-teoretico, dichiarando ufficialmente chiusa la controversia. Per un maggiore approfondimento, rimando a D. Marrone (a cura di), Dallo scacco alla gloria. L’avventura di un profeta: Antonio Rosmini, 51-73.

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IX per un concordato che avrebbe successivamente consentito la creazione di una confe-derazione di Stati italiani. Le sue polemiche filosofiche e teologico-dottrinali, dunque, si intrecciarono con le questioni politiche, che portarono alla prima guerra di indipendenza, dopo le rivoluzioni del 1848, e al successivo ritiro dell’esercito di Pio IX, alla sconfitta di Carlo Alberto e all’esplosione delle rivolte democratiche che, a Roma, registrarono l’assas-sinio del primo ministro Pellegrino Rossi, la fuga del papa a Gaeta e l’instaurazione della Repubblica Romana, guidata da un triumvirato composto da Mazzini, Armellini e Saffi. In questo clima, il fondatore dell’Istituto della Carità, in procinto di diventare cardinale e segretario dello Stato Pontificio, si dimise da inviato del Regno di Sardegna, fuggì con il papa a Gaeta, poi fu costretto a recarsi a Napoli per l’ostilità di alcuni componenti della Curia Pontificia e successivamente tornò a Gaeta.

Il momento culminante della «questione rosminiana» è sicuramente la condanna con cui le due opere del Roveretano summenzionate vennero condannate il 30 maggio 1849 con un decreto notificato ad Albano il 15 agosto dello stesso anno, al quale l’abate si sottomise con una lettera consegnata a padre Buttaoni, maestro del Sacro Palazzo. Contestualmente vi fu il fallimento definitivo della cosiddetta «missione a Roma» e il ritorno a Stresa. Passata la bufera politico-militare con la sconfitta del Regno di Sar-degna, a opera degli austriaci e dei movimenti democratici, Pio IX decise di ritornare sulla sua precedente decisione di condanna delle opere rosminiane e, il 3 luglio 1854, la Congregazione Generale dell’Indice da lui presieduta dichiarò l’insussistenza di errori dottrinali in tutti gli scritti esaminati. Questo documento è meglio conosciuto come Dimittantur opera omnia. Rosmini morì nel 1855, ma la polemica riesplose durante il pontificato di Leone XIII. Il pontefice, infatti, decise di intervenire sul tema della for-mazione del clero e, per fronteggiare i rischi dell’eclettismo filosofico e degli errori delle filosofie moderne, scelse la scolastica tommasiana come perno sul quale costruire un robusto sistema filosofico cristiano. Tale è la motivazione che portò alla pubblicazione dell’enciclica Aeterni Patris nel 1879, nella quale si puntò a un ritorno sic et simpliciter alla filosofia di Tommaso d’Aquino e si condannarono quelle correnti che intendevano portare avanti un confronto con il pensiero moderno.

La preoccupazione di Leone XIII, inoltre, consisteva nel combattere la posizione conci-liatorista e le spinte a un’ecclesiologia innovativa che, secondo alcuni ambienti dell’epoca, si nascondeva dietro la riflessione rosminiana. Il momento principale di questa fase fu l’emanazione del Decreto Post Obitum, risalente al 14 dicembre 1887 e pubblicato il 7 luglio 1888. Questo documento condannò quaranta proposizioni tratte da Teosofia. L’intro-duzione al Vangelo secondo Giovanni commentata e Antropologia soprannaturale. Gli elementi interessanti della polemica sono due: la critica a proposizioni tutte di opere postume ma, al tempo stesso, le argomentazioni ben strutturate e più basate sui contenuti rispetto alle critiche molto più violente sul piano personale che avevano contraddistinto la prima fase del conflitto filosofico e teologico-dottrinale.

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La tripartizione di padre Claudio Massimiliano Papa e degli interpreti del pensie-ro rosminiano chiude a questo punto la questione. È doveroso, però, ricordare che la controversia si è conclusa definitivamente nel 2001 e, in questo tempo lunghissimo, gli scritti del Roveretano sono stati attentamente letti anche per lo sviluppo del percorso che avrebbe condotto, il 18 novembre 2007, alla beatificazione dell’abate. In particolare, dopo il miracolo in favore di suor Ludovica Noè del 1927, Rosmini continuò a essere punto di riferimento dal punto di vista pastorale e anche sotto il profilo filosofico-culturale. È necessario sottolineare la rilevanza rosminiana nel panorama filosofico italiano anche dopo la morte del nostro autore, la scelta da parte di Giovanni XXIII delle Massime di perfezione cristiana come testo guida per uno dei suoi ultimi ritiri spirituali e come propria regola di condotta di vita, la decisione di Paolo VI di togliere il divieto di pubblicazione delle Cinque piaghe della santa Chiesa e la presentazione del pensiero rosminiano come pensiero cristiano da parte di Giovanni Paolo II all’interno dell’enciclica Fides et ratio.3 Giovanni Paolo II e Benedetto XVI operarono per la riabilitazione giuridica, morale e umana che si sostanziò nella Nota della Congregazione per la dottrina della fede. Contestualmente è necessario ricordare che il 5 giugno 1990 il preposito generale dell’Istituto della Carità inviò alla Congregazione per la Dottrina della Fede documenti legati ai Nuovi Elementi di valutazione atti a precisare l’esatta posizione di A. Rosmini in rapporto alle 40 Proposizioni condannate nel decreto Post obitum e che, dopo il lavoro della commissione di studio, si arrivò nel 1994 a iniziare la causa per la beatificazione. Tutto questo processo, come si è già evidenziato, portò alla Nota del 2001 e alla beatificazione del 2007.

Volendo riassumere i termini della «questione rosminiana» si deve, pertanto, evidenziare che, sia che si scelga convenzionalmente di dividerla in due macrofasi, sia che si decida di optare per la tripartizione suggerita dal postulatore della causa di beatificazione, essa ha origine dalla polemica seguita alla pubblicazione del Trattato sulla coscienza morale (1839-1841) e si conclude con la Nota della Congregazione per la dottrina della fede sul valore dei decreti dottrinali concernenti il pensiero e le opere del rev.do sacerdote Antonio Rosmini Serbati e con la celebrazione della beatificazione (2001-2007). È doveroso, dunque, non tralasciare il dibattito, le ricerche e le iniziative di «lenta risalita» che si protrassero per un lungo periodo tra tutto il XX e l’inizio del XXI secolo4 e che portarono ai risultati di

3 Nell’enciclica di Giovanni Paolo II, Rosmini viene incluso fra i «maestri del pensiero cristiano». Il pontefice, inoltre, sempre all’interno della Fides et ratio, definisce il Roveretano come esempio significativo «di un cammino di ricerca filosofica che ha tratto considerevoli vantaggi dal con-fronto con i dati della fede».

4 La tesi qui esposta si propone di integrare criticamente la relazione di don Claudio Massimilia-no Papa al Convivio delle Differenze del 2008, supportata anche dalle argomentazioni di padre Umberto Muratore, autorevole studioso e religioso che ha legato la propria vita al carisma e alla figura di Rosmini all’interno della comunità religiosa e del Centro Internazionale di Studi

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piena riabilitazione sul piano teologico-dottrinale, pur lasciando agli studiosi il compito di continuare a interrogarsi sulle conseguenze filosofiche del pensiero del Roveretano.5

2. Analisi di alcuni documenti

La differenza di impostazione e l’evoluzione della discussione sulle opere di Rosmini emergono già nel livello stilistico dei principali documenti della «questione rosminiana». I decreti di Pio IX e Leone XIII, rigorosamente in latino, lasciano trasparire in modo evidente la nettezza delle posizioni e la durezza dello scontro soprattutto sul piano per-sonale.6 Il decreto del 1849, che mise all’Indice dei libri proibiti Delle cinque piaghe della santa Chiesa e la Costituzione civile secondo la giustizia sociale, fu emanato al termine di una riunione della Congregazione del Sant’Uffizio, convocata straordinariamente a Napoli il 30 maggio 1849.7 La decisione fu notificata al Rosmini soltanto il 15 agosto, nonostante due incontri diplomatici con Pio IX il 6 e il 9 giugno, durante i quali il Pontefice non fece cenno alle decisioni precedentemente assunte. Dal Dimittantur del 3 luglio 1854, invece, emerge una maggiore analisi nel riesame della decisione presa circa cinque anni prima e si «dimettono» tutte le opere rosminiane. Pio IX, inoltre, intima «per la terza volta a tutte le parti il silenzio».8 Nel Post obitum, invece, emerge un problema metodologico: vengono, infatti, estrapolate quaranta proposizioni dal contesto di varie opere rosminiane. Altro elemento interessante è che tali proposizioni vengano scelte «massimamente secondo che risultano chiare dai libri postumi». L’argomentazione del Sant’Uffizio, pertanto, si basa

Rosminiani di Stresa. A tal proposito rinvio alla lettura di U. Muratore, Conoscere Rosmini. Vita pensiero, spiritualità, 38-41.

5 A tal proposito, si ricordi che è in corso la quarta fase di studi rosminiani per ricostruire filologi-camente ed ermeneuticamente una riflessione che si presenta ponderosa, organica e sistematica, ma anche complessa. Rimando, inoltre, alle riflessioni contenute in M. Scaringi, «La questione rosminiana», in Dallo scacco alla gloria. L’avventura di un profeta: Antonio Rosmini, Rotas, Barletta 2008, 52, 54, relativamente alla necessaria separazione tra la disputa sui sistemi filosofici e la controversia strettamente teologica sulla riflessione del fondatore dell’Istituto della Carità.

6 Maurizio De Paoli, citando Lettere di un prete bolognese riconducibili al gesuita padre Antonio Ballerini, sottolinea come Rosmini sia stato definito «ignorante, plagiario, cervello stravolto, ipocrita, sleale, volpe giansenistica, maestro di dottrina infernale, traditore della Chiesa», accuse talmente pesanti da costringere il superiore generale padre Roothaan a prendere le distanze dal suo confratello, al quale, tuttavia, aveva commissionato uno scritto per polemizzare contro le tesi del Roveretano, come emerge da una lettera del 9 novembre 1850.

7 Un testo fondamentale nell’analisi di questa tematica è L. Malusa (a cura di), Antonio Rosmini e la congregazione dell’Indice. Il decreto del 30 Maggio 1849, la sua genesi ed i suoi echi, Edizioni Rosminiane, Stresa 1999.

8 G.B. Pagani-G. Rossi, Vita di Antonio Rosmini, Rovereto, Manfrini, II, 1959, 379 consultabile in www.rosmini.it.

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su due elementi: quaranta proposizioni avulse dai propri contesti di riferimento e pub-blicate successivamente al Dimittantur, considerate «non conformi alla verità cattolica». La pretestuosità e la conclusione «ideologica» di queste argomentazioni possono essere rilevate dalla lettera di accompagnamento al decreto, con cui il 7 marzo 1888 il card. Mo-naco, segretario del Sant’Uffizio, invita i vescovi a operare affinché «le menti dei giovani, segnatamente di quelli che nel Seminario vengono educati a speranza della Chiesa, siano imbevute della germana dottrina della Chiesa, degli approvati Autori e precipuamente dell’Angelico Dottore S. Tommaso d’Aquino».9 Le quaranta proposizioni vennero estrapo-late in questo modo: ventuno dalla Teosofia (opera incompiuta), nove dall’Introduzione al Vangelo secondo Giovanni (scritto abbozzato dall’autore), dieci da altre opere già prosciolte dal Dimittantur.10 Pur non potendo approfondire in questa sede l’esame delle quaranta proposizioni condannate, è interessante notare gli elementi presi in esame dal Post obitum, incentrati soprattutto sull’ontologismo, sulla questione dell’intuizione del divino da parte degli uomini e sulla tripartizione dell’Essere in ideale, reale e morale. In particolare, nella prima proposizione condannata da Leone XIII, Rosmini afferma che «In ordine rerum creatarum immediate manifestatur humano intellectui aliquid divini in se ipso, huiusmodi nempe quod ad divinam naturam pertineat», vale a dire «Nella sfera del creato si mani-festa immediatamente allo umano intelletto qualche cosa di divino in sé stesso, cioè tale che alla divina natura appartenga».11 Nella quarta e nella quinta proposizione oggetto di condanna, invece, si parla rispettivamente di «essere indeterminato (essere ideale), il quale è indubitatamente palese a tutte le intelligenze (è quel divino che) si manifesta all’uomo nella natura» (4) e di «essere intuito dall’uomo [che] deve necessariamente essere qualche cosa di un ente necessario ed eterno, causa creante, determinante e finiente di tutti gli enti contingenti; e questo è Dio» (5). Nell’Introduzione al Vangelo di S. Giovanni, inserita al ventinovesimo posto tra le proposizioni condannate dal Sant’Uffizio, Rosmini afferma:

Non crediamo aliena dalla dottrina catholica, che solo è verità, la seguente conghiettura (cioè che nell’Eucaristico Sacramento) la sostanza del pane e del vino ha cessato intieramente d’essere sostanza del pane e del vino, ed è divenuta vera carne e vero sangue di Cristo, quan-do Cristo la rese termine del suo principio senziente, e così l’avvivo della sua vita, a quel modo come accade nella nutrizione, che il pane che si mangia e il vino che si beve, quando è, nella sua parte nutritiva, assimilato alla nostra carne e al nostro sangue, egli è veramente

9 R. Bessero-Belti, La questione rosminiana, Centro Internazionale di Studi Rosminiani, Stresa 1988, 59-60, 83 consultabile in www.rosmini.it.

10 A dare il senso all’operazione compiuta dal Post obitum vi è una lettera, citata in M. De Paoli, Antonio Rosmini. Maestro e profeta, 212, nella quale il quarto preposito generale don Luigi Lanzoni, pur definendo tale condanna inopinata e assolutamente inattesa (anche don Papa l’ha definita un «fulmine a ciel sereno»), afferma: «La nostra obbedienza in questi giorni è messa a una dura prova, ma all’Autorità bisogna obbedire. E sia fatta la volontà di Dio».

11 Il documento è stato pubblicato in La Civiltà Cattolica 39 (1888) 13, 907, reperibile in rete.

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transustanziato, e non è più come prima pane o vino, ma è veramente nostra carne e nostro sangue, perché è divenuto termine del nostro principio sensitivo.

La nostra breve analisi delle «proposizioni incriminate» si conclude con quella in cui il Roveretano scrive: «Se dunque non potea (Dio) comunicare sé stesso totalmente ad esseri finiti, neppure mediante il lume di gloria, rimane a cercare in che modo egli poteva rivelare loro e comunicare la propria essenza. Certo in quel modo che alla natura delle intelligenze create è conforme; e questo modo è quello pel quale Iddio ha con esso loro relazione, cioè come creatore loro, come provisore, come redentore, come santificatore» (prop. 40). Dalla lettura delle proposizioni summenzionate, si comprende il complesso lavoro di analisi e studio che ha visto impegnati esperti e interpreti del pensiero rosmi-niano dalla fine dell’Ottocento al 2001.12 La Nota firmata da Ratzinger e Bertone il 1° luglio 2001, dopo l’approvazione nell’udienza dell’8 giugno da parte del pontefice Giovanni Paolo II, è certamente più argomentata e ricostruisce in modo preciso tutte le fasi della polemica. Il documento considera superate le condanne precedenti «a motivo del fatto che il senso delle proposizioni, così inteso e condannato dal medesimo decreto, non appartiene in realtà all’autentica posizione di Rosmini, ma a possibili conclusioni della lettura delle sue opere». Questo passaggio chiude definitivamente la «questione rosminiana». La chiosa definitiva sulla vicenda arriva l’11 novembre del 2001 con una presa di posizione della rivista La Civiltà Cattolica, che sembra lontana anni luce dalle lettere di padre Ballerini: «Di questa riabilitazione dell’opera di Rosmini, la nostra rivista non può che rallegrarsi, perché viene resa giustizia piena a un grande pensatore cristiano fedele alla Chiesa e alla fede cattolica […] Se la nostra rivista è incorsa in passato in alcune asprezze […] ne chiede scusa».13

3. Status quaestionis

Quali sono le prospettive di un dibattito su un autore che fu profeta capace di vedere oltre i limiti angusti del suo tempo per proporre una visione ecclesiologica e liturgica che, in alcuni elementi, sarebbe stata successivamente accolta dalle conclusioni del Concilio Vaticano II? Premesso che, ancora oggi, esistono dibattiti anche molto serrati sullo stesso

12 Pur senza voler entrare nel merito delle indagini presenti nei libri Via Crucis e Avarizia rispet-tivamente dei giornalisti Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, per valutare globalmente il processo di beatificazione rosminiano, anche nei suoi aspetti finanziari, bisognerebbe considerare l’impegnativo lavoro di studio che ha visto succedersi diverse commissioni di addetti ai lavori nel corso dei decenni.

13 M. De Paoli, A. Rosmini. Maestro e profeta, 217-218.

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Concilio, 14 gli studiosi si dividono sull’interpretazione di due passi presenti negli artt. 7 e 8 della Nota del 2001, nei quali si afferma:

Nello stesso tempo rimane la validità oggettiva del Post obitum in rapporto al dettato delle proposizioni condannate, per chi le legge, al di fuori del contesto del pensiero rosminiano, in un’ottica idealista, ontologista e con un significato contrario alla fede cattolica […]. Del resto la stessa lettera enciclica di Giovanni Paolo II Fides et ratio, mentre annovera il Rosmini fra i pensatori più recenti nei quali si realizza un fecondo rapporto tra sapere filosofico e Parola di Dio, aggiunge […] che […] non si intende avallare ogni aspetto del loro pensiero.

Si può escludere che tali passaggi possano aprire spiragli alla controversia teologico-dottrinale, come qualcuno cerca di fare ancora oggi,15 ma certamente si apre la disputa sul piano filosofico, dal momento che nella stessa Nota si legge che «resta affidata al dibattito teoretico la questione della plausibilità o meno del sistema rosminiano stesso, della sua consistenza speculativa e delle teorie o ipotesi filosofiche e teologiche in esso espresse». È in corso la quarta fase di studi rosminiani: dopo una prima fase dedicata all’approfondi-mento del dibattito tra Rosmini e i suoi contemporanei, si è passati a una seconda fase incentrata sulla «lettura neoidealista» del Roveretano. La terza fase, caratterizzata dagli studi di Michele Federico Sciacca, è stata definita «ritorno a Rosmini» e si è concentrata sulla ricerca dell’essenza del pensiero rosminiano, depurata da sovrastrutture e incrostazio-ni interpretative neoidealiste. La quarta fase ha l’obiettivo di leggere le opere rosminiane senza pregiudizi che impediscano la considerazione della modernità e dell’attualità di un sistema filosofico che, in modo paradossale dopo la conclusione positiva del processo di beatificazione, rischia di essere marginalizzato nello studio del pensiero cristiano e oc-cidentale. Il lavoro di Markus Krienke focalizza l’attenzione sul confronto con i sistemi

14 Basti semplicemente consultare in rete articoli e prese di posizione contro gli insegnamenti conciliari e contro l’ecumenismo da parte di frange conservatrici tuttora sussistenti anche nel clero cattolico. Un’interessante ricostruzione dei dibattiti che portarono, ad esempio, alla stesura della Dei Verbum è presente nella relazione che Giuseppe Lorizio tenne a Roma in occasione del Convegno internazionale Il Concilio Vaticano II. Problemi e prospettive (22 settembre 2014).

15 Nella relazione di Piero Vassallo «La restaurazione della filosofia. Appunti per una storia me-tafisica nell’età moderna», consultabile in Internet, pur riconoscendo meriti storico-culturali e considerando di fatto chiusa la «questione rosminiana», si legge, sulla scia dell’indirizzo filosofico-teologico della scuola neotomista di padre Cornelio, una surrettizia rimessa in discussione delle tesi del Roveretano, la cui opera viene definita «poderosa ma discutibile» e «parzialmente riabilitata» dalla Nota del 2001. È interessante notare, inoltre, che l’analisi sull’opera di Rosmini venga inserita nel capoverso successivo a una polemica di Vassallo contro il «notturno Cacciari […] promotore di una teologia nichilista», inserita in seguito alla ripresa di una arringa di Cornelio Fabro contro il «ritorno alla gnosi e al tradimento del messaggio salvifico mediante la resa al mondo»; anche Luciano Malusa si è occupato del ritorno surrettizio alla «questione rosminiana» nel porre in evidenza il tentativo, da parte di alcune correnti culturali, di accostare la «questione rosminiana» al «caso Galilei».

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filosofici tedeschi, in particolare con la filosofia kantiana e idealista. Una sintesi di questo contributo può essere rinvenuta nelle parole di Claudio Vittorio Grotti, che respinge le accuse di provincialismo e di chiusura rivolte a Rosmini e alla filosofia italiana. «L’opera di Rosmini è una vera e propria Summa, capace di leggere la totalità dell’esperienza alla luce della sintesi cristiana»16 e per questo è stata obnubilata nel panorama culturale ottocentesco caratterizzata da immanentismo e materialismo.

Eppure è proprio questo carattere di Summa della sua opera che ci fornisce le armi migliori per interpretare il momento che viviamo […]. In tempi di nichilismo, incapaci di conside-rare positivamente un pensiero metafisico e di confrontarvisi, il valore profetico di Rosmini non può che emergere - per viam negationis - dalla constatazione che il pensiero moderno è giunto a quel vicolo cieco che il Roveretano aveva additato come conseguenza del falso punto di partenza.17

16 C.V. Grotti, La rivincita di Rosmini, Edizioni Rosminiane Sodalitas, Stresa 2011, 12.17 Ibid.

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La vita consacrata: una ricognizione storica sulla Capitanata

1. Per cominciare

L’articolo non ha lo scopo di illustrare le coordinate di una probabile mappatura storica, utile a individuare i percorsi seguiti nei secoli dalle molteplici espressioni assunte dalla vita consacrata, quanto fornire, all’interno dell’arco cronologico che attraversa l’età moderna e rag-giunge la contemporaneità, alcuni suggerimenti che interrogano gli avvenimenti, ricercano le cause, individuano le conseguenze, spiegano i significati che caratterizzano, nella sua variopinta articolazione, la presenza religiosa nella società. Un intento che nasce - principalmente - dalla verificabile esistenza di una sorta di “aridità” bibliografica sull’ar-gomento, se si escludono la miriade di studi monografici limitatamente legata alla storia della presenza delle famiglie religiose nei diversi centri abitati in gran parte legata all’affannata - ma inutile - ricerca di locali originalità, nonché alcuni validi contributi su singole fasi della storia della vita consacrata. Una assenza bibliografica derivante non soltanto dalla mole di documenti gelosamente conservati negli archivi - ancora inesplorati - delle istituzioni religiose e statali, quanto dalla constatazio-ne che non è semplice studiare la ricchezza tematica offerta all’analisi storica dalla vita consacrata nel susseguirsi del tempo e dello spazio.

2. Alcune difficoltà

La prima difficoltà scaturisce dal tentativo di dimensionare l’impatto che la vita consacrata, nelle diverse epoche, ha avuto nei confronti della società. Se in età antica il senso unico che accompagnò lo sviluppo del

* Docente di Storia della Chiesa nella Facoltà Teologia Pugliese - Istituto Teologico “Santa Fara” di Bari e negli Issr di Trani e Foggia.

Angelo Giuseppe Dibisceglia*

[email protected]

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monachesimo orientale - tra asceti ed eremiti, anacoreti e basiliani - sulle vie dell’impero romano, considerò la Caput mundi la tappa obbligata per raggiungere l’occidente, in età medievale fu dal centro della cattolicità che la vita consacrata ripartì - imbastendo con l’oriente una circolazione a doppio senso - per la difesa “crociata” della Terra Santa. Un indirizzo che, in età moderna, concluso il Concilio di Trento (1545-1563), ampliò l’ambito di intervento, facendo dei religiosi i principali interpreti e gli autorevoli testimoni di quella missione che, in una prima fase, raggiunse le terre nuove dove far riecheggiare accanto alla civilizzazione l’indiscussa europeizzazione, e successivamente - in tempi più recenti - ha affiancato alla missione ad extra per la conquista degli infedeli, l’evangelizzazione ad intra per la formazione dei fedeli.

La seconda difficoltà deriva dal fascino che proviene, nelle diverse espressioni della vita consacrata, dalla comparazione sinottica tra il modello maschile e la forma femminile. È tipica, infatti, della tradizione cristiana - dall’antichità alla contemporaneità - la ricchezza di esempi e di esperienze spirituali di un uomo e di una donna che - in alcuni casi legati dal vincolo della santità - si sono lasciati guidare da una particolare sintonia, riconoscendosi in un comune ideale di vita e - insieme - hanno lavorato per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Una rappresentazione della vita consacrata in grado di affiancare non soltanto l’apparente preponderanza maschile all’originalità femminile - come nei casi di Francesco (1182-1226) e Chiara d’Assisi (1194-1253), Vincenzo de’ Paoli (1581-1660) e Luisa de Marillac (1591-1660), Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787) e Celeste Crostarosa (1696-1755), Giovanni Bosco (1815-1888) e Domenica Mazzarello (1837-1881) - quan-to la necessaria complementarietà - che prescinde dalla tipologia di genere - tra uomo e donna nei confronti della sequela Christi, come dimostra il felice connubio fra Teresa d’Avila (1515-1582) e Giovanni della Croce (1542-1591). Sarebbe alquanto interessante approfondire “quanto” la riforma tridentina abbia condizionato il ruolo della donna nella società, e - nello specifico - “quanto” l’evoluzione della religiosa abbia influito sulle modi-fiche dell’identità femminile nella collettività moderna e contemporanea. Appare, infatti, alquanto sterile l’interpretazione dello sviluppo delle forme femminili di vita consacrata appellandosi unicamente alla imposta limitatezza prevista, a partire dal 1566, da papa Pio V con la Circa pastoralis, che considerava “religiose” soltanto le monache di clausura, senza tener conto - invece - per l’età moderna della fantasia religiosa suggerita nello stesso anno da Teresa d’Avila che, nel suo Cammino di perfezione, rivendicava: «Signore, […] Voi siete il giudice giusto e non fate come i giudici del mondo - i quali come figli di Adamo sono tutti maschi - che ritengono sospetta la virtù praticata dalla donna»,1 nonché per l’età contemporanea delle numerose e inedite forme di apostolato che, a partire dall’8 dicembre 1900, con la costituzione apostolica Conditae a Christo, Leone XIII abbinò alle tradizionali espressioni di vita consacrata.

1 Teresa d’Avila, Cammino di perfezione, Figlie di San Paolo, Milano 2001, 44.

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Un’ulteriore difficoltà - la terza - riguarda la molteplicità dei termini - quasi un vocabolario a sé dell’ora et labora che, però, se non obiettivamente padroneggiato, rischia di ampliare una disorientante promiscuità - che caratterizza l’articolata raccolta semantica che esiste tra ordini monastici e ordini religiosi, ordini antichi e ordini moderni, ordini mendicanti e ordini militari, chierici regolari e congregazioni clericali, senza dimenticare la fecondità dei semi-consacrati legati al principio della vita regularis sine regula2 o le altrettanto variopinte espressioni assunte dalle medievali religiosae mulieres. Quali le differenze tra il cenobio, il monastero, il convento, il collegio? Stesso spazio in tempi diversi o differenti spazi secondo l’evolversi dello stesso tempo? Come considerare il fenomeno - secondo l’etimologia hus-serliana - delle “pinzochere”, aspetto storicamente combattuto dall’episcopato meridionale tra Settecento e Novecento?3 Il tentativo - forse - di regolarizzare l’adattamento degenerato dell’Ordine delle Vergini, una delle più antiche forme di vita consacrata, che - invece - secondo il più recente Codice di Diritto Canonico, «emettendo il santo proposito di seguire Cristo più da vicino, dal Vescovo diocesano sono consacrate a Dio secondo il rito liturgico appro-vato e, unite in mistiche nozze a Cristo Figlio di Dio, si dedicano al servizio della Chiesa» (can. 604)? Come definire le congregazioni dei sacerdoti dell’extranumero, legati - come i religiosi - da una regola e da un abito distintivo? Quanto di monastico vi fu tra i sodali delle confraternite che, in età moderna, rappresentarono il “braccio secolare” dei religiosi, imitando ogni aspetto della vita consacrata, tranne che nella condivisione di uno spazio per la quotidianità? E i terz’ordini? E l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme? E le espressioni assunte, dopo il Concilio Vaticano II, dalle società di vita consacrata? Quanto si può conoscere degli istituti secolari, i cui membri - ancora oggi - operano sotto l’egida della consacrazione personale e - soprattutto - della riservata discrezione?

3. Alcune domande

Si situa sulla scia di tali difficoltà la domanda che chiede se sia possibile individuare, per la vita consacrata, una specificità legata al territorio. Perché la congregazione delle Suore della Carità dell’Immacolata Concezione d’Ivrea, tra il 1866 e il 1995, fondò trentaquattro comunità in

2 Molto interessante, sull’argomento, il XVII Convegno di Studio organizzato dall’Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa su «Vita regularis sine regula in Italia. Tra istituzioni ecclesiastiche e società civile. Verso un primo censimento», tenutosi a Roma, nella sede della Congregazione delle Suore Oblate del Bambino Gesù il 9 e 10 dicembre 2015, i cui atti saranno pubblicati entro il 2016.

3 Cfr. Le relazioni ad limina dell’Arcidiocesi di Napoli in età moderna. Introduzione, testo e note a cura di M. Miele. Volume monografico di Campania Sacra. Rivista di Storia Sociale e Religiosa del Mezzogiorno, 42 (2011) 1-2.

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quasi tutte le diocesi pugliesi, tranne che in Capitanata?4 Per quale ragione madre Maria Gargani, nata a Morra de Sanctis, in provincia di Avellino, nel 1892, morta a Napoli nel 1973, maturò la sua vocazione nel convento cappuccino di San Marco La Catola, in provincia di Foggia?5

Quanti e quali modelli di vita consacrata sono nati e si sono sviluppati in Capitanata? Quali le presenze che hanno influito sull’identità locale della vita religiosa? Fu a San Gio-vanni Rotondo che, nel 1575, l’allora venticinquenne Camillo de Lellis, capitano di ventura, ebbe un colloquio - determinante per il successivo sviluppo dell’assistenza sanitaria - con il francescano padre Angelo che ne favorì la conversione. E in tempi più recenti, quante figlie spirituali di padre Pio da Pietrelcina sono diventate fondatrici di famiglie religiose? Avendo conosciuto Clelia Merloni, fu lo stesso santo cappuccino a volere a San Giovanni Rotondo le Apostole del Sacro Cuore per l’assistenza ai malati. Quante fondatrici hanno “attinto” dallo Stigmatizzato, nutrendosi della sua spiritualità e - nel contempo - catturando vocazioni tra i numerosissimi pellegrini che frequentavano il Gargano?

La nascita di una nuova famiglia religiosa costituisce l’inizio di una inedita esperienza di gruppo, il termine ultimo di un cammino personale che fa del carisma del singolo l’emblema di una comunità, chiamando in causa - spesso - un altro elemento tipico della storia della vita consacrata: il nesso tra fondazione e santità. È questo il caso, in Capitanata, di Maria Celeste Crostarosa, redentorista, di origine napoletana, che a Foggia nel 1738 istituì il monastero del Santissimo Salvatore, condividendo le ansie apostoliche di Alfonso Maria de’ Liguori e di Gerardo Maiella, residente nella vicina Deliceto; e del vescovo Fortunato Maria Farina (1924-1954), fondatore nel capoluogo dauno nel 1933 dell’Istituto Secolare Sacerdotale della Milizia di Gesù.

Difficoltà e riflessioni, legami e domande che mirano a individuare quale sia stato - nello spazio e nel tempo - l’autentico rapporto tra vita consacrata e società. Provando a sintetiz-zare un’eventuale risposta non si sbaglia ad affermare che, la nascita e lo sviluppo - come la decadenza - di un istituto religioso rappresentano - sempre, in qualunque tempo e in ogni spazio - uno dei sintomi in grado di rivelare vitalità e fervore, rovina e rilassamento non soltanto della vita consacrata, ma dell’intera società.

4. Alcune risposte

Se l’evolversi della vita consacrata segue i mutamenti della collettività, studiare le trasfor-mazioni che hanno caratterizzato il carisma religioso significherà analizzare le trasformazioni

4 Cfr. «Suore di Carità dell’Immacolata Concezione di Ivrea», in Conferenza Episcopale Pu-gliese, Atlante degli ordini, delle congregazioni religiose e degli istituti secolari in Puglia, a cura di A. Ciaula e F. Sportelli, Edizioni Litopress, Modugno 1999 (d’ora in poi Atlante), 228-229.

5 Cfr. «Apostole del Sacro Cuore», in Atlante, 215.

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del territorio. Oggi è alquanto difficile immaginare cosa abbia potuto rappresentare, in età moderna, la presenza di un convento in una città: una presenza non soltanto religiosa e pastorale, ma una presenza attiva in grado di farsi carico dei problemi della quotidianità, capace di trasmettere il senso di una comunità che, pur se separata dal mondo - perché così imponeva la regola - viveva “nel” mondo e “per” il mondo. Altrettanto interessante è capire che cosa sia avvenuto nella vita consacrata quando si è intuito - in età contemporanea - che non era più sufficiente aprire le porte di un convento per offrire solo del pane, ma diventava indispensabile attraversare quelle porte per condividere i problemi della gente e partecipare alla loro soluzione.

Al di là dei diversi ambiti di intervento che hanno caratterizzato e continuano a ca-ratterizzare la presenza dei minori, dei cappuccini, dei conventuali, delle suore di Santa Giovanna Antida, delle oblate del Sacro Cuore, dei salesiani di Don Bosco, delle ancelle del Sacro Cuore Agonizzante, delle pie operaie di San Giuseppe, delle Apostole di Gesù Crocifisso, degli Oblati della Madonna del Rosario - tra antiche e nuove vocazioni vissute nelle parrocchie, nei conventi, negli ospedali, negli orfanotrofi, nelle scuole materne, nei seminari, negli oratori, nei centri educativi, nei pensionati6 - esistono “argomenti” che, pur attestando l’indiscusso protagonismo dei religiosi, rivelano aspetti meno evidenti della quotidianità, ma non per questo meno importanti per la storia.

Il domenicano «fra’ Vincenzo Maria Orsini», designato pastore della sede arcivescovile di Manfredonia dal 1675 al 1680 e, nel 1724, eletto al soglio pontificio con il nome di Benedetto XIII (1724-1730), fu tra i primi, in Capitanata, ad accogliere e a esercitare l’in-dirizzo tridentino. Nella sede sipontina, per cinque anni, l’Orsini fu un vescovo “romano” perché attento a tradurre nella vita quotidiana dei suoi diocesani gli orientamenti previsti dalle conclusioni conciliari che avevano ridisegnato - in risposta alla riforma protestante di matrice luterana - la presenza della Chiesa nella società dell’età moderna. L’inizio del suo episcopato a Manfredonia fu caratterizzato dalla pubblicazione di un editto con il quale l’arcivescovo mirò alla «riformazione de’ costumi della Diocesi Sipontina», 7 proibendo - tra l’altro - a proposito dei conventi femminili, a «qualunque persona, siasi di qualsivoglia grado, e condizione anche Padre, Madre di esse Monache l’accesso ed il parlar con quelle senza nostra licenza o del Vicario Generale in scriptis».8

Fra le carte dell’arcivescovo - però - la figura della religiosa emerge chiaramente all’interno delle disposizioni previste dal sinodo celebrato nel 1678. A Manfredonia, per «le Spose

6 Cfr. «Comunità appartenenti a Ordini e Congregazioni maschili e femminili esistenti in Puglia - Ipotesi di cronologia», in Atlante, 451-462.

7 Archivio Storico dell’Arcidiocesi di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo - Manfredonia, Editto generale, che riguarda la riformazione de’ costumi della Diocesi Sipontina fatto nel nostro primo ingresso alla medesima, 19 giugno 1675, n. 1.

8 Ivi, n. 14.

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di Christo», 9 l’Orsini giudicò intollerabile la consuetudine di “sistemare” «nel Monistero le Educande, c’han passato li 25. anni» e dispose che «ò volonterose si vestano Moniche, ed intraprendano il Noviziato, ò pure se n’escano dal Monistero»,10 considerando «gra-vissimo disordine» l’abitudine che «talune si vestano Moniche, e che stiano Novizie anni, ed anni senza professare».11 Un atteggiamento - quello del domenicano Orsini - motivato dalla convinzione che permettere a una giovane di sposare l’anima a Dio fosse il sintomo di partecipazione all’opera di salvezza e di riforma della Chiesa, all’interno di un contesto che, per la vita consacrata, prevedeva esclusivamente mortificazione personale e chiusura “al mondo” e “dal mondo”.

Nonostante l’esistenza di finestre cieche “dal” e “verso” il monastero, 12 quella dei religiosi fu - infatti - una presenza attiva nella società e attenta alla contemporaneità. Come emerge dallo studio della figura di Gabriele Gabrielli, «Predicatore Cappuccino della Prov.a di S. Angelo»13 che, nato a Cerignola14 nel 1601, 15 dopo il noviziato a Vico del Gargano iniziato nel 1620, fu inviato a Roma per concludere gli studi e per essere «ordinato sacerdote nella Chiesa di S. Giovanni Laterano per le mani di Monsignore Ricciullo, Vescovo Viceregente del Cardinale Ginetti, vicario della Santità d’Urbano VIII» nel 1629.16 Tornato nella sua Provincia, ricoprì numerosi incarichi: fu padre guardiano a Vasto nel 1633, a Serracapriola nel 1634, a Lucera nel 1649, a Foggia nel 1654 e a Cerignola nel 1665;17 fra il 1633 e il 1667 fu definitore per diciassette volte, partecipò al capitolo generale dell’ordine cappuccino come custode nel 1637 e nel 1650, e fu provinciale nel 1643.18 A causa di «una grandissima infermità», padre Gabriele morì a Foggia il 23 novembre 1667.19

9 «Titulus XLIII - Editto per le Moniche», in Appendix Synodi S. Ecclesiae Sipontinae a Fr. Vincentio Maria Ursino Romano Ord. Praed. Miseratione Divina Tituli S. Xysti S.R.E. Presbytero Cardinali Sancti Xysti nuncupato; Archiepiscopo Celebratae Anno M.DC.LXXVIII, Typis Iosephi Piccini, Maceratae 1678, 330-331.

10 «Titulus XLIII - Editto per le Moniche», in Ivi, 326-327.11 «Titulus XLIII - Editto per le Moniche», in Ivi, 327.12 Cfr. sull’argomento s.v. «Fenestrae», in L. Ferraris, Prompta bibliotheca…, vol. III, Migne, Parigi

1860-1861, coll. 1025-1030.13 Cfr. A.G. Dibisceglia (a cura di), La vita et martirio del glorioso Frigio S. Trifone Protettore della

Cirignola descritta da R.P. fra Gabriele Gabrielli della medesima terra, Predicatore Cappuccino della Prov.a di S. Angelo, Provincia di Foggia, Foggia 2005.

14 Archivio della Curia Provinciale dei Cappuccini - Foggia (d’ora in poi ACPC), Memoria di fra’ Gabriele Gabrielli, f. 30.

15 Ivi, f. 75.16 ACPC, Tavola - Fra’ Gabriele Gabrielli, f. 91v.17 Ivi, f. 1r, f. f. 91v, 114r, f. 155v.18 ACPC, Memoria di fra’ Gabriele Gabrielli, f. 68.19 Ivi, ff. 50-51.

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77ANGELO GIUSEPPE DIBISCEGLIA | La vita consacrata: una ricognizione storica sulla Capitanata

L’aspetto più interessante del Gabrielli riguarda la sua produzione scritta. Non fu sol-tanto cronista della Provincia20 - legato, quindi, a un ruolo interno al suo ordine - quanto un religioso innamorato “della” e appassionato “dalla” sua contemporaneità, impegnato a raccontare quanto accadeva all’esterno del convento come la diffusione seicentesca della peste in Capitanata,21 la rivolta di Masaniello nel 1647 e le sue conseguenze a Foggia,22 l’eruzione del Vesuvio del 1660 e i successivi terremoti,23 le vicende di fondazione del patronato del martire Trifone a Cerignola: elementi che il Gabrielli non descrive come racconti estranei alla vita consacrata, ma che pone come vicende complementari alle Cro-nache della Provincia di Sant’Angelo.

È possibile individuare - quindi - una sorta di velata sintonia tra la vita consacrata e la società, messa in atto non soltanto a difesa dell’anima, bensì anche a sostegno del corpo. Una “regolata” presenza osmotica che in Capitanata permise - tra gli altri - ai padri della Compagnia di Gesù del Collegio Romano di acquistare nel 1600 la tenuta di Stornara, comprensiva della vicina Stornarella24 e, fra il 1608 e il 1611, di acquisire l’azienda dell’an-tica Ordona e il feudo d’Orta,25 nel cui territorio successivamente sarebbe sorto il centro abitato di Carapelle. Lo spessore del ruolo svolto dai gesuiti fra la popolazione delle antiche masserie dei cinque Reali Siti tra Seicento e Settecento26 emerge - soprattutto - dall’analisi delle conseguenze innescate dalla soppressione della Compagnia di Gesù - decretata da

20 Tra le più complete, sono pervenute le biografie dei cappuccini vissuti nella Provincia di Sant’An-gelo fra il 1621 e il 1634.

21 ACPC, Memoria di fra’ Gabriele Gabrielli, ff. 39-42.22 Ivi, ff. 15-19.23 Ivi, ff. 24-29r. ACPC, Tavola - Fra’ Gabriele Gabrielli, ff. 154quater, ff. 155septies, ff. 156ter, ff. 158ter.

Il Gabrielli fu Cronista della Provincia di Sant’Angelo dal 1634.24 Cfr. «Memoria Dioecesis Asculi-Satriano et ejusdem dioecesis series episcoporum usque ad annum

1853», in Synodales constitutiones, et decreta ab illustrissimo, et reverendissimo domino Leonardo Todisco Grande Asculan, et Ceriniolen Episcopo edita, et emanata in sua prima dioecesana synodo celebrata die decima aprilis et duobus diebus sequentibus anni 1853 in Cathedrali ecclesia Asculi-Satriani, Neapoli, 1853, 139.

25 Cfr. Percorsi tratturali nel Basso Tavoliere e Reali Siti, Centro Regionale Servizi Educativi e Culturali-Distretto n. 34, Cerignola 1987, 64. Sull’argomento, anche se datata, cfr. A. Sinisi, I beni dei gesuiti in Capitanata nei secoli XVII-XVIII e l’origine dei centri abitati di Orta, Ordona, Carapelle, Stornarella e Stornara, C.E.S.P., Napoli-Foggia-Bari 1963. Inoltre, cfr. Archivio di Stato - Foggia (d’ora in poi ASF), «Stato delle quantità di cereali raccolti dal 1742 al 1769 nelle quattro masserie di campo costituenti la Casa d’Orta, compilato dall’uditore della Regia Dogana di Foggia, Francesco Nicola de Dominicis, in seguito all’espulsione dei gesuiti dal Regno di Napoli», 16 settembre 1769, in Dogana delle pecore di Foggia, Serie I, Busta 739, Fasc. 18164, cc. 180r-192v.

26 Oltre che a Orta, Stornara, Stornarella, Ordona e Carapelle, in Capitanata, in età moderna, la presenza dei gesuiti è attestata anche a Cerignola (1578-1592), Bovino (1607-1637), Troia (1649 - post 1726) e Foggia (sec. XVIII). Nel XIX secolo, la Compagnia fu presente anche a Lucera (1854-1861): cfr. M. Pistillo, I Gesuiti e la Capitanata, Foggia 1992, 3-17.

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papa Clemente XIV (1769-1774) il 21 luglio 1773 con il breve Dominus ac Redemptor27 - e dall’avvio di quel processo che, con la partenza indotta dei religiosi, sollecitò inevitabilmente la realizzazione di un’inedita situazione. Un documento conservato nell’Archivio di Stato di Foggia - senza firma e senza data, comunque riferibile ai primi decenni dell’Ottocento - ricordando che «le terre del Tavoliere di Puglia che vengono denominate i cinque Reali Siti», appartenute «altra volta in feudo a’ P[adri] Gesuiti», erano state assegnate nel 1774 «in censuazione a’ naturali de’ comuni di Orta, Ordona, Carapelle, Stornara, e Stornarella che […] vi avevano costituito de’ meschini villaggi», sottolinea la riorganizzazione del sistema economico - «allorché […] esse divennero delle proprietà fiscali» - ottenuta attraverso la ‘riforma agraria’ con la quale «quattromila e cento versure» furono ripartite tra «quattrocento e dieci famiglie», ciascuna delle quali assegnataria anche di «una casa rurale» e del pascolo utile al «nutrimento degli animali necessarj alla coltivazione», nonché di «istrumenti rurali» e «vettovaglie».28 Se la presenza dei gesuiti, fino alla seconda metà del Settecento, aveva assicurato alla popolazione locale non soltanto un’importante assistenza spirituale e religiosa, quanto una solida gestione della terra, la soppressione della Compagnia ignaziana provocò la rideterminazione degli equilibri interni ai Reali Siti, che il dispaccio napoleonico del 27 settembre 1806 sanzionò con «l’istituzione dei corpi municipali di Orta e Stornarella. Al primo andavano aggregate Ordona e Carapelle, al secondo Stornara».29

L’avvento dell’età contemporanea, anche tra le fila della vita consacrata, sottolineò la novità dei tempi. Leone XIII, nel 1891, scrivendo con la Rerum novarum di alcune “cose nuove”,30 affiancò alla tradizionale mascolinità l’innovativa femminilità31 e, tra le fila dei religiosi, confezionò l’immagine della “donna della soglia”,32 collocandola fra il tradizionale

27 Cfr. Clemente XIV, Breve Dominus ac Redemptor, 21 luglio 1773, n. 25. Sulla soppressione della Compagnia di Gesù, cfr. P. Bianchini (a cura di), Morte e resurrezione di un ordine religioso. Le strategie culturali ed educative della Compagnia di Gesù durante la soppressione (1759-1814), Vita e Pensiero, Milano 2006.

28 ASF, «Origine dei Reali Siti», s.d., in Amministrazione del Tavoliere. Scritture dell’Ufficio, Serie II, Busta 17, Fasc. 18c.-5r. e ss.

29 ASF, «Proposta della Giunta del Tavoliere per l’istruzione dei corpi municipali di Stornarella e Orta», 27 settembre 1806, in Amministrazione del Tavoliere. Scritture dell’Ufficio, Serie II, Busta 17, Fasc. 5, cc. 4r.-3v.

30 Cfr. Leone XIII, Lettera enciclica Rerum novarum, 15 maggio 1891, in E. Lora e R. Simionati (a cura di), Enchiridion delle Encicliche, III: Leone XIII (1878-1903), EDB, Bologna 1997, 645 (n. 919).

31 Cfr. M. Caffiero, «Dall’esplosione mistica tardo-barocca all’apostolato sociale (1650-1850)», in L. Scaraffia - G. Zarri (a cura di), Donne e fede. Santità e vita religiosa in Italia, Laterza, Roma-Bari 1994, 177-225.

32 Cfr. G. Rocca, Donne religiose. Contributo a una storia della condizione femminile in Italia nei secoli XIX-XX, Città Nuova, Roma 1992, 228.

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spazio sacro della chiesa e l’ambito moderno della società sempre più laica.33 A questo proposito, è stato acutamente osservato che l’Ottocento fu il secolo in grado di rispon-dere «all’emergere di aspirazioni femminili nei nuovi equilibri demografici e sociali».34 Il processo segnò l’avvio di una originale avventura che il Novecento - il “secolo breve” - finì per proiettare, nella sua ricca dinamicità, verso inattesi obiettivi. Anche in Capitanata, la relazione tra vita consacrata - tesa a valorizzare e a diffondere il contributo femminile - e società - sempre più secolarizzata - registrò la nascita di innovative forme di vita consacra-ta, come le Apostole del Sacro Cuore nel 1936 a Volturara Appula35 e le Ancelle di San Michele nel 1958 a Monte Sant’Angelo.36 Una varietà di carismi ulteriormente sancita dall’identità che, della vita consacrata, ha disegnato il Concilio Vaticano II e che, nella provincia foggiana, ha assunto i lineamenti del Movimento Missionario Cenacolisti nel 1977 a Torremaggiore,37 della Fraternità di San Giovanni Apostolo per la Nuova Evange-lizzazione nel 1991 a Foggia,38 della Comunità “Maria Stella dell’Evangelizzazione” nel 1997 a Panni,39 senza dimenticare il ritorno di antiche storiche presenze, come i Missionari di Sacri Cuori a Cerignola nel 2008, a testimonianza dell’altrettanto remoto - e sempre solido - legame dei religiosi in Capitanata con il napoletano.

5. Per concludere

La ricchezza di riflessioni offerta dall’analisi storica alla vita consacrata testimonia il clima di “passione religiosa” che, in Capitanata, attraversa l’età moderna e raggiunge l’età contemporanea. Se è vero - come è vero - che il rapporto tra religiosi e società costituisce una solida alleanza, le sfide attuali per la vita consacrata - l’età avanzata dei membri, il numero ridotto delle vocazioni, le non poche difficoltà nel rispondere alle esigenze della realtà circostante - rappresentano uno dei segnali in grado di rivelare le concomitanti pro-blematiche che affliggono la società, come la secolarizzazione sempre più diffusa, la scarsa attenzione riservata alla persona, l’indifferenza verso valori autorevoli e credibili.

Anche per la Capitanata, lo studio dei dinamismi che hanno sotteso nel passato alla vita consacrata - al di là della complessità che abbraccia la sua identità - evidenzia che, per il

33 Cfr. M. Rosa, «La religiosa», in R. Villari (a cura di), L’uomo barocco, Laterza, Roma-Bari 1991, 219-267.

34 P. Stella, «Religiosità vissuta in Italia nell’800», in J. Delumeau (a cura di), Storia vissuta del popolo cristiano, Sei, Torino 1985, 761.

35 Cfr. «Apostole del Sacro Cuore», in Atlante, 215.36 Cfr. «Ancelle di San Michele», in Atlante, 409.37 Cfr. «Movimento Missionario Cenacolisti», in Atlante, 163.38 Cfr. «Fraternità di San Giovanni Apostolo», in Atlante, 372.39 Cfr. «Comunità “Maria Stella dell’Evangelizzazione”», in Atlante, 161.

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futuro, di fronte alle nuove sfide, la storia può soltanto sfiorare il mistero che attraversa le diverse espressioni della contemplazione, dell’adorazione, dell’educazione, dell’assistenza, della carità, del servizio ai poveri, della solidarietà e della condivisione. A questo proposito, se papa Francesco ha ricordato che la vita consacrata registra «istituti religiosi [che] hanno un’antica tradizione al riguardo, altri un’esperienza più recente»,40 è importante, alla scuola di Giovanni Paolo II, non dimenticare che «Voi religiosi non avete solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma una grande storia da costruire!».41

40 Francesco, Lettera Apostolica a tutti i consacrati in occasione dell’Anno della Vita Consacrata, 28 novembre 2014, III: «Gli orizzonti dell’Anno della Vita Consacrata», n. 1.

41 Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Post-Sinodale Vita Consecrata all’episcopato e al clero, agli ordini e congregazioni religiose, alle società di vita apostolica, agli istituti secolari e a tutti i fedeli circa la vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo, 25 marzo 1996, n. 110.

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note 81Anno XV, nn. 15/16, giugno 2016, pp. 81 - 85 ISSN 2240-2666 - Issr Trani

Quando la fede diventa poesia. Michele Giorgio: «Non mi sconfiggerà la morte»

Presentare le “sudate carte” di chi ha avuto il coraggio di darle alle stampe e dire qualcosa di “ragionevole” e fondato, non è sempre un compito facile, compito che si complica ancora di più quando si tratta di poesie e chi scrive è un amico di lunga data. Il rischio, infatti, è di essere poco obiettivi o di cadere nella retorica e nelle lodi non veritiere per compiacere.

Invero, e per mia fortuna, non è questo il caso della raccolta: Non mi sconfiggerà la morte di Michele Giorgio (Ed. Tabula Fati, Chieti 2015) che, come scrive nella “Premessa”, ha voluto «riportare in versi alcune riflessioni sugli avvenimenti significativi che hanno fatto la storia degli ultimi tempi» e reso «inquieti gli animi più sensibili» (7).

Leggere queste settantatré composizioni, splendide per l’eleganza della forma e per la chiarezza del linguaggio, familiare e insieme colto, è una vera “festa dello spirito”, anche perché è facile ravvisare in fili-grana in tutta la silloge il bisogno del poeta di “un’etica” che si faccia carico di stimolare nel lettore una più spiccata criticità e una riflessione quanto mai necessaria sugli eventi della quotidianità e sulla funzione educativa che dovrebbe avere, oggi, anche la poesia e la letteratura, in un momento di crisi, qual è il nostro, con un livello di problematicità e di precarietà così accentuato nell’economia, nell’ecologia, nella poli-tica, nelle relazioni sociali, nei rapporti internazionali, nelle ideologie, nel mondo del lavoro.

Michele Giorgio è un intellettuale meridionale che si pone, come rimarca Daniele Giancane nella “Presentazione”, sulla stessa «linea dei grandi educatori della Puglia (da Giovanni Modugno a Tommaso Fiore)», un autentico maestro, dunque, oltre che uomo di cultura che da tempo si occupa di ricerche storiche, filosofiche e pedagogiche, né è nuovo al mondo della letteratura e della poesia, avendo già pubblicato

Luigi Lafranceschina*[email protected]

* Docente di Pedagogia nell’Issr di Trani.

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un romanzo storico di memoria manzoniana come Venti di Resistenza (2013), una raccolta di Poesie (1970) e un saggio su Realtà e Utopia tra Storia e Poesia (2002).

Sorprendenti in questa sua ultima fatica poetica l’attualità e la varietà delle tematiche, tutte legate alla vita reale e non fittizia, la vita in versi di questi anni così travagliati, di cui il poeta è attento osservatore e testimone, nonché sereno giudice dall’alto della sua saggezza di uomo da sempre impegnato nello studio, nella vita pubblica, nel mondo della cultura, della scuola, del volontariato, della Chiesa.

Nasce così un genere di poesia del tutto nuovo, poesia «felice, fiduciosa, appassionata», come la definisce Giorgio Barberi Squarotti, una poesia non ambigua, che è memoria e, insieme, “pedagogia”, interpretazione critica di fatti, situazioni, eventi, una poesia che si contamina con il mondo al fine di cambiarlo, poesia “pedagogica”, anche perché tutta la silloge si connota come una autentica pedagogia “poetica”. Si può allora dire che Michele Giorgio supera la teoria estetica crociana dell’arte come “intuizione pura” e realizza appieno nelle sue composizioni una mirabile sinergia tra arte ed educazione.

E tutto questo è possibile perché egli è un uomo in piena armonia con sé stesso, con la natura, con gli altri e con Dio, un’armonia che è l’essenza, il fine ultimo dell’educazione, chiara cifra di equilibrio interiore, di pienezza di maturità. Non essere in armonia diventa “supplizio” quotidiano, e il poeta ce lo ricorda, ponendo all’occhiello della silloge i versi di Ungaretti: «Il mio supplizio/è quando/non mi credo/in armonia» (da I fiumi).

Per lui Tutto è armonia, che è poi il titolo della prima composizione: «Anche tu stella del cielo…mi parli di universo/dove tutto è armonia… ordine impresso/dalla Mente sovrana/che governa gli equilibri» (11) e questa presenza della Mente di Dio aleggia in quasi tutte le pagine della raccolta, una presenza importante che rivela la genuina fede religiosa del poeta saldamente ancorata a un cristianesimo di opere e di spirito, più che di preghiere e di liturgie. Chiara, infatti, è la condanna dei “falsi devoti” e di ogni forma di bigotto clericali-smo e in Angelus, quando «un tocco di campana/…echeggia nell’aria/e invita a pregare…», ma «il frastuono assordante/di una vita affannata/nasconde quel suono/e ruba lo spazio/all’incontro con Dio», egli alza la voce contro «la gente sfrenata/che corre distratta/…al collo pendente/l’effige pregiata/amuleto ingannevole/d’una fede bugiarda» (92).

Se è vero, come affermava Francesco Bacone, che poca filosofia rende l’uomo ateo, ma molta filosofia lo riavvicina a Dio, per Michele Giorgio questo mirabile sapere, che ha insegnato per tanti anni nei licei, è stato il fondamento della sua fede in Dio, un nome che compare ben cinquantadue volte nelle composizioni della silloge, ricordato e connotato nei modi più diversi, come, ad esempio: Mente sovrana, Creatore della vita, grembo di misericordia, sorgente d’amore, alterità infinita, volto ammirevole, bontà infinita, Dio dell’Amore, Dio Provvidenza, Dio dell’eterno, Dio di Abramo, Dio di Mosè, divina carità, Dio onnipotente, Signore della storia, Dio che viene, Dio vivente.

Ed è proprio questa fede nel Dio vivente che porta il poeta a sognare insieme «un mondo nuovo./Non lasciatemi da solo/- egli dice - a progettare utopie./Il sogno di tutti/può di-

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83LUIGI LAFRANCESCHINA | Quando la fede diventa poesia. Michele Giorgio: «Non mi sconfiggerà la morte»

ventare realtà/quando insieme/mireremo/alle stesse utopie» (Sogniamo insieme, 15); mentre personalmente assicura: «Non mi pento di amare», e poiché «amo Dio sorgente d’amore/…Non mi stancherò di amare» (20). Peraltro, «ho incontrato Dio/e mi sono scoperto/figlio e fratello/non altro dall’altro/…Attraverso Dio/scopro l’altro/come alterità convergente» (26), quasi a parafrasare il titolo di una nota opera di Paul Ricoeur: Sé come un Altro e L’Altro come sé, perché «vivere insieme/è condividere l’umanità/come atto cosciente/di donazione reciproca/…farsi prossimo/…superare divisioni/…guardare oltre/…comprendere/ che ogni scelta/è atto d’amore/…è sapere cosciente/che si sarà giudicati/sull’amore» (Vivere insieme, 30); una poesia che è una stupenda lezione di pedagogia interculturale quasi a ricordarci, come scriveva Hans-Gerog Gadamer, che «anche nell’altro e nel diverso ognuno di noi può incontrare sé stesso».

Poesia, dunque, con una chiara connotazione interculturale che auspica il riconosci-mento, la comprensione, l’accettazione, l’accoglienza e la valorizzazione delle alterità/diversità etniche, linguistiche e culturali, religiose, come espressamente scrive Michele Giorgio in L’Africa è vicina (46): «Con l’Africa vicina/integrazione e dialogo/validiamo differenze/e spegniamo arroganze»; e questo perché Ogni uomo è una storia e «gli spetta il diritto/di essere attore/nel teatro del mondo./Lasciate che viva/in un mondo di pace/libero fabbro/d’un destino sereno» (43). Anche se amaramente deve egli constatare, nelle pagine seguenti, che la realtà, oggi, è molto diversa e in tante parti del pianeta, l’uomo, oltre ad alzare fili spinati e a chiudersi tra barriere “xenofobe”, continua a perpetrare Ancora eccidi (48): «La spirale di violenza/non arresta gli eccidi./…Nel nome del dio oscuro/crudeli assassini/gonfio il petto/di fanatismo islamista/sgozzano fratelli/…La civiltà del terrore/riporta al tempo/della barbarie ferina»; mentre il Fantasma di Bin Laden (52) «si aggira nascosto/tra montagne e dirupi/ordinando morte/all’Occidente infedele/chiamando a testimone/il tuo dio sbagliato/…e spingi al martirio/promettendo delizie/nel paradiso di Allah/…S’indigna con te/il Dio di Abramo/che ti ama comunque/e ti riserva perdono». Sono versi di una tragica attualità e il pensiero va non solo alle stragi a Nassiriya o a Kabul, a cui il poeta dedica due appassionate composizioni, ma anche ai fatti ultimi di Parigi per mano di quelli che egli chiama «fanatici eroi/imbottiti di bombe/…S’immolano rabbiosi/invocando Allah/con la vana promessa/di futura felicità» (57).

Il richiamo, dunque, è alle nuove “apocalissi” presenti nel mondo globale di oggi, tra le quali una delle più gravi è sicuramente la presenza e il diffondersi del terrorismo e della guerra insieme al carattere endemico della morte che coinvolge non più soltanto i soldati, ma anche i civili, spesso anziani, donne, bambini. È una guerra di tutti contro tutti, una guerra che distrugge tutto e in cui la componente etnica e religiosa è spesso la causa sca-tenante. Questa diffusa “morale guerresca” è la faccia orribile della globalizzazione, una globalizzazione della guerra, del terrorismo, ma anche dell’indifferenza.

Il poeta prende atto di questa Civiltà del terrore (65) e chiosa: «Hanno globalizzato la paura./Hanno riempito le tombe/di vittime innocenti./Hanno cosparso il mondo/di

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orrore infernale./La civiltà del terrore/incombe sugli inermi», anche se la sua fede guarda oltre questa triste realtà e gli fa dire: «Voglio globalizzare/la loro speranza». Al poeta, in-fatti, non viene mai meno La forza dei sogni (74) ed è certo che in tanti «votati all’utopia/ cambieremo il mondo».

Una poesia, dunque, che è appassionata denuncia e, insieme, “utopia”, “attesa” e “spe-ranza”, ma non mancano versi in cui essa si fa più intima e personale, meno narrativa e “pedagogica”, come quando connota scorci di natura. Nella poesia Silenzio (83), ad esempio, Michele Giorgio scrive: «Odo intanto/la voce del vento/che parla alle foglie/tra i rami d’autunno./E ascolto curioso/il frasario dolce/delle chiome d’ulivo/sotto il sole tiepido/del tramonto rossastro/che riscalda l’anima»; oppure in Tramonto d’agosto (84): «È rimasta nuda/la spiaggia sabbiosa/nel tramonto d’agosto/mentre l’ultimo sole/rischiara le nubi/e le tinge di rosso/all’orizzonte lontano/lungo il dorso/del Gargano/…Gocce di spe-ranza/invadono gli occhi»; mentre in Autunno (86), quando «i rami spogli/dondolano nel vento/…ho visto il mio volto/sfiorire nel tempo/segnato da rughe/avviarmi all’autunno». Una considerazione che non rattrista affatto il poeta, convinto che c’è sempre Il sole oltre le nubi (91) e i suoi occhi già vedono «sprazzi d’azzurro/tra nubi minacciose/…Una luce smagliante/…per darmi speranza … Ritorno alla vita/con il sole che splende/oltre le nubi».

Sono versi questi di indubbio carattere “impressionistico”, di memoria pascoliana, che rivelano la tendenza del poeta a trasfondere alla natura i suoi particolari stati d’animo, ma che conservano sempre la freschezza della “classicità”.

Nella poesia Non mi sconfiggerà la morte, che dà il titolo alla silloge, è facile individuare chiare tracce della vasta cultura classica di Michele Giorgio che, rifacendosi a Orazio, sembra dire: «Non omnis moriar multaque pars mei/vitabit Libitinam» (Odi, III, 30), che è un invito a non aver paura di questo evento naturale; anzi, nell’ottica dell’educazione continua, alla morte ci si deve preparare/educare tempestivamente sia con una fede matura, sia lasciando ai posteri «eredità d’affetti/…e testimonianze di opere/… consegnando al tempo/un paniere colmo/di memoria solidale/…/facendomi strumento/di condivisione fraterna/testimone coerente/del Dio provvidenza» (37). Risuonano qui i noti versi foscoliani del Carme Dei Sepolcri: «Sol chi non lascia eredità d’affetti/poca gioia ha dell’urna» (vv. 41-42), come pure i versi delle «egregie cose» che gli uomini dal «forte animo» devono nella vita compiere (v. 152). Che è, poi, un invito ad amare la vita, se si vuole fugare la morte.

Peraltro, per gli «uomini forti», come Giovanni Paolo II, la morte non è un tabù da esor-cizzare; per il poeta il Santo Padre accolse con dignitosa pazienza la «morte amica», avendo sublimato nella «sofferenza/…l’amore per Cristo risorto/…e la tanto sperata/comunione con Dio» (Per Giovanni Paolo II, 60), e il riferimento letterario va subito al Cantico di frate Sole di san Francesco che lodò Dio anche «per sora nostra morte corporale».

Poesia d’amore molto delicata, sicura espressione della nobiltà d’animo di Michele Giorgio, è, invece, A Rosetta (21), dedicata alla cara compagna della sua vita, la cui bellezza «non svanirà/col tempo/…Il tuo fascino/mi rimarrà/per sempre/anche oltre/i sessant’anni./

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85LUIGI LAFRANCESCHINA | Quando la fede diventa poesia. Michele Giorgio: «Non mi sconfiggerà la morte»

Perché l’amore/non ha misura/e sorpassa/ comunque/ogni limite. Anche l’età». E in tempi in cui i matrimoni finiscono sempre più spesso con separazioni e divorzi, questi versi sono un vero inno all’amore coniugale che è donazione reciproca di sé senza “misura” e senza “limite”, amore oblativo che tutto si offre, “accetta” e “accoglie” come, appunto, deve essere l’amore tra coniugi consapevoli e responsabili.

Che cosa dire ancora di questa silloge, se non rimarcare, come fa Daniele Giancane nella “Presentazione”, che essa non è di Michele Giorgio «come sorta di “impegno mino-re”, ma anzi come luogo della confessione, della riflessione ad alta voce, del bilancio, dei sogni, delle amarezze e dell’autenticità» (5), con una valenza sicuramente educativa, dal momento che, offrendo al lettore con realismo lirico una tranche de vie, uno spaccato della vita dei nostri giorni, lo aiuta a riflettere su quelle che sono le contraddizioni, le violenze, le ingiustizie, il bene e il male presenti nella nostra società e, nello stesso tempo, lo invita a porre le proprie attese e le proprie speranze nella fede, vivendo la giornata terrena nel segno del Dio Provvidenza.

Poesia, dunque, come prezioso strumento di formazione del pensiero e di educazione allo spirito di verità, di libertà, di giustizia, di tolleranza, di amore e di pace. E se è vero che la poesia di questa silloge ha valenza educativa, essa dovrebbe essere proposta in chiave didattica nelle scuole, ai giovani lettori, perché potrebbe aiutarli sia ad avvicinarsi e a vivere più consapevolmente la fede cristiana, sia a riflettere e a prendere posizione sui tanti accadimenti del mondo di oggi, di cui sono spesso distratti testimoni, sia a difen-dersi dall’odierna, tragica, nuova “bufera”. E questo perché proprio ai giovani che, come notava Maria Montessori, sono i “padri” della futura umanità, è affidato il compito e la responsabilità di scongiurarne l’estinzione.

Per la salvezza personale di ciascuno di noi, infine, Michele Giorgio ha un chiaro orizzonte da additarci: la Fede, quella Fede matura che gli consente di dire nell’ultima composizione della silloge Resurrezione: «È l’inizio della vita/non il luogo della fine/il Sepolcro./Gesù non è qui/mi precede ormai/nella felicità eterna./ È risorto/mi fa compagnia/resta con me/e mi dà sicurezza./Insieme a lui/sono in cammino/per la Terra Promessa/dove ogni istante è luce./Signore risorto/resta con me/dissolvi la paura/rafforza la fede/e rendimi degno/del tuo perdono./Sciogli la durezza/della mia conversione./La carità pilastro/della mia azione/sia l’ultima parola/della mia vita./Non lasciarmi dimenticato/e sarò felice/nel tuo universo infinito/dove tutto è armonia».

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note 87Anno XV, nn. 15/16, giugno 2016, pp. 87 - 99 ISSN 2240-2666 - Issr Trani

Consonanze ecologiche in don Tonino Bello e papa Francesco

1. Rilancio del tema ecologico

È il pianeta che aveva bisogno di Tonino Bello e Francesco, due giganti capaci di agguantare questo nostro mondo che sembra in fuga da sé stesso e di inchiodare alle sue responsabilità chi lo governa e quanti lo brutalizzano.

Diciamo subito che c’è da essere sorpresi del grande silenzio della teologia della creazione che le nostre Chiese attraversano da alcuni secoli e, in particolare, dal dopoguerra.

Il tema ecologico si è fatto strada solo di recente nell’insegnamento della Chiesa, ma ora è diventato centrale. Schiacciate tra atteggiamenti filosofici antichi, spiritualità talvolta ben poco incarnate e teologie siste-matiche e ben poco intuitive, le teorie e le pratiche della fede cristiana del nostro rapporto con il mondo si sono così inaridite dall’interno.

Il dato è imponente e, purtroppo, incontestabile: noi occidentali del Terzo Millennio siamo testimoni, ma anche in prima persona protagonisti di una profonda tristezza del creato. Cosa c’è alla radice dello sfruttamento - e, non di rado, della distruzione - dell’ambiente operati dall’uomo nell’ultimo secolo e mezzo? L’origine sta nell’oblio del posto che egli occupa nell’ordine del creato. Un oscuramento che ha prodotto una separazione così radicale tra uomo e cosmo, da indurre l’uomo a non concepirsi più come “parte” del creato. L’uomo non riesce più a cogliere la sapienza del mondo.1

Con il chiavistello cartesiano della distinzione tra res cogitans e res extensa, la fede cristiana - e tutto il pensiero occidentale - si è lasciata, a poco a poco, sradicare. Non ha più alcun rapporto con la terra.

* Direttore dell’Issr di Trani e Docente di Teologia Morale.1 Cfr. A. Scola, «Custodire il creato, coltivare l’umano. In ascolto della

vicenda di Giobbe», in La Rivista del Clero, 11 (2015), 763-764.

Domenico Marrone*[email protected]

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Solo la liturgia ricorda a tutti, nella semplicità di una benedizione per la semina o nella concretezza del rito eucaristico, che la salvezza di Cristo riguarda davvero tutto di questo mondo: l’umanità e tutta la creazione! Se un’influente tradizione spirituale ha condotto alla disistima delle realtà corporee e naturali, la sapienza liturgica ha sempre saputo coinvolgere gli elementi della natura. I testi liturgici evidenziano, nella logica celebrativa, il riferimen-to ad una creazione buona, pur in attesa del compimento della redenzione realizzato nel mistero pasquale.

La liturgia, infatti, non solo “ospita” gli elementi del creato (i fiori, i colori, i frutti della terra, l’alternarsi delle stagioni, le fasi lunari, il sole e la luna, ecc.), ma costituisce quello spazio in cui ogni essere vivente è chiamato a vivere quel profondo legame creaturale con Dio, Signore del cielo e della terra. La liturgia, infatti, convoca il nostro corpo nel rito, impastato di terra e di soffio divino; destina e trasforma gli elementi della natura, frutti della terra e del lavoro dell’uomo; orienta il creato verso il suo fine, ove tutto sarà “ricapitolato” in Cristo. In particolare, la liturgia, con grande sapienza, ci educa a vivere e a celebrare la nostra creaturalità.

Da cristiani non bisogna aver paura di riconoscere la grammatica della creazione. L’uomo responsabile è custode del creato e a questo compito non può abdicare.

Il messaggio di Tonino Bello, unitamente all’enciclica Laudato si’, potrebbe costituire una sferzata contro questa incoerenza pastorale tra la fede in una creazione buona e donata da Dio e l’indifferenza di molti davanti al suo rapido degrado attuale.

Ci ammonisce papa Francesco nel Messaggio per la Giornata Mondiale della pace di quest’anno:

L’indifferenza nei confronti dell’ambiente naturale, favorendo la deforestazione, l’inquina-mento e le catastrofi naturali che sradicano intere comunità dal loro ambiente di vita, costrin-gendole alla precarietà e all’insicurezza, crea nuove povertà, nuove situazioni di ingiustizia dalle conseguenze spesso nefaste in termini di sicurezza e di pace sociale.2

Una ripresa cristiana di una teologia della creazione è decisiva per poter, come dice Agostino, “adorare la terra” come sgabello della signoria di Dio. Certo, l’ebraismo e il cristianesimo hanno liberato l’uomo dall’idolatria, dall’alienazione agli elementi celesti e terrestri, hanno demitizzato la natura, ma non hanno mai cessato di guardare ad essa non come a un semplice scenario per l’uomo, ma come a una comunità di creature che Dio aveva giudicato realtà “buona e bella”, creature che l’uomo deve custodire, ordinare, proteggere perché la vita fiorisca e la convivenza sia foriera di pace e di felicità.

Ma su questo fondamento teologico Tonino Bello e papa Francesco fanno emergere due esigenze: consapevolezza e responsabilità. Consapevolezza della situazione-limite in cui i

2 Francesco, Messaggio per la celebrazione della 49a Giornata Mondiale per la Pace. Vinci l’in-differenza e conquista la pace (1° gennaio 2016), 8 dicembre 2015, n. 4.

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nostri comportamenti hanno condotto “nostra madre terra”; consapevolezza dell’irrever-sibilità di certi processi ormai innescati, della necessità di fare fronte comune per fermare il degrado e invertire la rotta.

Lo stesso impulso dato dal Concilio Vaticano II cinquant’anni fa su questo tema rappre-senta un punto di non ritorno a livello culturale: la Gaudium et spes sollecita con puntualità il rispetto e la tutela del territorio e sottolinea che questi eventi non possono che realiz-zarsi, oggi, nel segno della promozione della giustizia e della pace a livello mondiale, della redistribuzione e restituzione dei beni della terra a tutti i popoli, del rispetto dell’uomo e della natura all’interno di un’attività scientifica volta a migliorare le condizioni di vita sul pianeta. L’ambiente e il territorio, l’acqua e l’aria, le fonti alimentari e quelle energetiche, devono essere protetti e conservati nella loro bellezza e funzione originaria di assicurare una vita dignitosa a tutti gli esseri umani mediante un progresso tecnologico che non rinunci alla sua connaturata dimensione etica.

2. Il messaggio di don Tonino

L’attenzione ecologica di don Tonino Bello si apprezza anche nella sua produzione let-teraria: dai suoi scritti affiora una grande sensibilità nei confronti del creato, ma anche la voglia di vivere in comunione col territorio in cui si svolge la vita quotidiana della gente. Nel raccontare la bellezza dell’ambiente naturale, il Vescovo del Sud trasfigura la fatica e la sofferenza di un territorio stravolto dall’incuria di chi detiene le leve dell’economia e della politica.

Il messaggio di don Tonino Bello ha a cuore quello che «sta accadendo alla nostra casa comune». Dal clima all’acqua. Egli affronta la dimensione ecologica della vita quotidiana, come d’altronde possiamo notare nella Luadato si’ di papa Francesco.

Appare così evidente il legame profondo che unisce le grandi questioni ambientali glo-bali alle piccole azioni quotidiane di difesa dell’ambiente e del territorio, come la raccolta differenziata o il risparmio energetico: non sono “ascetici doveri verdi”, ma atti d’amore che esprimono la nostra dignità e danno forma a una cultura ecologica. Questa «non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali.

È altresì riaffermata la visione cristiana del creato per cui l’essere umano è immagine di Dio: «Tutto l’universo materiale è un linguaggio dell’amore di Dio, del suo affetto smisurato per noi. Suolo, acqua, montagne, tutto è carezza di Dio», è il pensiero di don Tonino e di papa Francesco.

Laudato si’, mi’ Signore, cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza. Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi

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proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La distruzione dell’ambiente umano è qualcosa di molto serio, come ammonisce don Tonino:

Oggi, purtroppo a causa della scienza e della tecnica, ma soprattutto con la complicità sotterranea delle leggi del profitto, la natura ha perso la sua plurisecolare funzione di socia dell’uomo. Amputata, sfruttata, disintegrata e ricomposta a piacimento è diventata materia grezza da asservire, schiava da soggiogare, spazio su cui esercitare sconcertanti frenesie mani-polatorie. Da compagna a serva, insomma. A causa di quel maledetto delirio di onnipotenza nascosto nell’uomo, a cui però il Signore non ha mai dato carta bianca di poter sfregiare l’intima essenza delle cose o di alterarne i connotati o di svisare le leggi che ne disegnano l’identità. Dio ha messo Adamo nel giardino perché lo coltivasse e lo custodisse, non perché ne facesse scempio. Il rogito notarile di consegna riportato nel primo capitolo della Genesi gli dà potere di soggiogare la terra non di sterminarla e se lo autorizza a dominare sugli esseri viventi del mare, del cielo e della terra non lo fa per dargli mano libera di infierire crudel-mente sulle creature ma solo perché non deve adorare gli animali o le cose trasformandole in divinità come facevano altri popoli.3

Emerge da queste affermazioni di don Tonino un “umanesimo del prendersi cura”, “un umanesimo samaritano”, che fonda una relazione di reciprocità responsabile tra es-sere umano e natura, nella quale l’intreccio tra uomo, terra e cielo costituisce l’originaria vocazione iscritta nella creazione. Noi siamo creature e, se la terra, l’acqua, il vento e le stelle sono nostri fratelli e sorelle, lo sguardo della creatura umana non può essere quello del possesso e del dominio, bensì quello della cura responsabile. «Noi non siamo Dio. La terra ci precede e ci è stata data», afferma Francesco nella Luadato si’.4

Coltivare e custodire la terra è il mandato che riguarda l’umanità: sono due modi di abitare il mondo che interpellano la libertà chiamata a modificare e a conservare, a prendersi cura in modo creativo e grato. Lo sguardo della cura è uno sguardo rigenerato che vede la bellezza anche là dove non appare e che contrasta la disumanizzante cultura dello scarto che colpisce sia le persone sia le cose. Prendersi cura di tutte le creature, una «cura generosa e piena di tenerezza»,5 significa prendersi cura di sé stessi, perché «tutto è intimamente connesso»:6 c’è una «relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura».7

Il creato - afferma don Tonino - è «da custodire e portare a compiutezza. Non da ma-nipolare a piacimento combinandolo secondo le lussurie dei nostri capricci».8 Urge un atteggiamento casto e non prostitutivo nei confronti della creazione. Il creato non è da

3 A. Bello, Tutto hai posto sotto i suoi piedi, in S (= Scritti di Mons. Antonio Bello) 3, 201.4 Francesco, Lettera Enciclica sulla cura della casa comune Laudato si’, 24 giugno 2015 (d’ora

in poi LS). 5 LS, n. 220.6 LS, n. 16.7 LS, n. 67.8 A. Bello, Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, in S3, 198.

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concupire ma da contemplare e custodire con occhi e mani che accarezzano, e non che bramano e grondano libidine di possesso e abuso.

È importante leggere i testi biblici nel loro contesto e ricordare che essi ci invitano a “coltivare e custodire” il giardino del mondo. Mentre “coltivare” significa arare o lavorare un terreno, “custodire” vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare.

Secondo la concezione cristiana il creato è da coltivare e custodire, ma non da depre-dare. A questo proposito, è necessario che «la coscienza della gravità della crisi culturale ed ecologica deve tradursi in nuove abitudini», a partire dalla vita di ogni giorno. Si tratta di adottare nuovi stili di vita che ci facciano riscoprire il gusto di riparare, aggiustare, ri-usare. Lo stile dell’usa e getta a forza di adottarlo con le cose lo abbiamo persino trasferito nelle relazioni. Stiamo rischiando di diventare tutti degli affettivi seriali, passando da una relazione all’altro, appunto secondo la logica dell’usa e getta.

Illuminanti sono le parole che scrive don Tonino nella Lettera a san Giuseppe:

Oggi purtroppo da noi, non si carezza più, si consuma solo, anzi si concupisce. Le mani incapaci di dono, sono divenute artigli, le braccia troppo lunghe per amplessi oblativi, si sono ridotte a rostri che uncinano, senza pietà, gli occhi prosciugati di lacrime ed inabili alla contemplazione, si sono fatti rapaci, lo sguardo trasuda libidine di possesso, e il dogma dell’usa e getta è divenuto il cardine di un cinico sistema binario che regola le aritmetiche del tornaconto e gestisce l’ufficio ragioneria dei nostri comportamenti quotidiani. Perciò si violenta tutto! E non soltanto le cose, il cui spessore di sostanza si è così rinsecchito da lasciare vibrare soltanto l’immagine esteriore. Ma anche le persone! Il corpo, degradato a merce di scambio, è divenuto spazio pubblicitario e manichino per prodotti di consumo! L’eros mercantile corrode alla radice i rapporti interumani, sgretola la comunione, frantuma l’intimità, irride la famiglia, commercializza la donna. E con i postulati di marketing degli spot televisivi, spersonalizza irrimediabilmente la sessualità, riducendola ad una variabile della cupidigia di potere. Non c’è da meravigliarsi perciò che tra le allucinanti simbologie di questa civiltà dei consumi Rambo costituisca la testa di serie nelle graduatorie più gettonate della violenza. […]. Sicché in un mondo regolato dai petroldollari, angosciato dai crolli di Wall Street, retto dalle bilance dei pagamenti, che flirta con la speculazione, che si infischia dei debiti dei popoli in via di sviluppo, che si lascia sedurre dalla massimizzazione del profitto, che monetizza persino il rischio delle popolazioni, i cui terreni sono espropriati per farne basi militari, che sfrutta i poveri col traffico delle armi, che è sordo alle esigenze di un nuovo ordine economico internazionale. In un mondo del genere, come può esplodere la gioia? Ci si lascia vivere! Si amoreggia con il fatalismo! Ci si appiattisce in un’esistenza che scorre senza più stupore, senza spessore, come le immagini sul video. E noi compiamo le nostre scelte come se spingessimo i tasti di un telecomando. Crediamo di scegliere e invece siamo scelti!9

È necessario, pertanto, valorizzare i movimenti dal basso di coloro che si mettono insieme per cercare di cambiare le cose, come hanno fatto, ad esempio, i movimenti di consumatori

9 A. Bello, Condivisione, gratuità e servizio nella società dell’usa e getta, in S6, 90-104.

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che invitano a scegliere aziende che producono in modo sostenibile con un’attenzione al lavoro umano e all’ambiente.

Il discorso non è però solo socio-politico: sia don Tonino che papa Francesco ricordano puntualmente che i testi biblici, letti con una giusta ermeneutica, «ci invitano a coltivare e custodire il giardino del mondo»,10 escludendo ogni «antropocentrismo dispotico che non s’interessi delle altre creature»11 e fondando una relazione di solidarietà fra l’uomo e la natura al cospetto dell’unico Padre celeste, che se da una parte «demitizza» la creazione, dall’altra evidenzia la responsabilità dell’essere umano, consapevole e libero, verso tutto il creato.

Ciò che di fatto è avvenuto è stato, al contrario, l’insinuarsi nelle coscienze di «un sogno prometeico di dominio sul mondo che ha provocato l’impressione che la cura della natura sia cosa da deboli. Invece l’interpretazione corretta del concetto dell’essere umano come signore dell’universo è quella di intenderlo come amministratore responsabile».12 Partendo dal principio che «tutto è connesso»,13 il Papa ne deduce che la natura non può essere con-siderata «come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita».14 È necessario cercare soluzioni integrali: «Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura».15

3. Consonanze con papa Francesco

Alcuni assi portanti che attraversano il messaggio di don Tonino e tutta l’enciclica di Francesco sono: l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia; la grave responsabilità della politica internazionale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita.

Mi soffermo brevemente su due consonanze tra l’enciclica di papa Francesco e il ma-gistero di don Tonino: il linguaggio e l’intima relazione della questione dei poveri con la fragilità del pianeta.

Il “linguaggio”. La Laudato si’ ha in profondità il “marchio” del suo autore, che sta nella poesia, nella tenerezza che traspare nella scrittura del testo, in cui papa Francesco invita a meravigliarsi della bellezza della natura come di un dono d’amore di Dio nella creazione;

10 LS, n. 67.11 LS, n. 68.12 LS, n. 116.13 LS, n. 138.14 LS, n. 139.15 LS, n. 139.

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sta nel rifiuto di ricorrere a qualsiasi moralismo, a qualsiasi condanna del “mondo” che potrebbe giustificare il saccheggio del pianeta. Anche questi tratti stilistici richiamano il linguaggio di don Tonino Bello.

Don Tonino riconosce l’importanza della questione del linguaggio per una vera e au-tentica comunicazione. Il linguaggio della Chiesa deve adattarsi quanto più possibile al linguaggio dell’uomo comune per rimanere fedele alla legge dell’incarnazione e, di con-seguenza, al dialogo con l’uomo contemporaneo. Ecco che l’annuncio della Chiesa non può essere fatto con parole antiche, se non alla condizione di inverarle in una trasparenza di vita. Solo in tal caso il linguaggio esercita una mediazione di trasparenza e non di ve-lamento. Per don Tonino

l’adattamento al vocabolario del mondo, l’attenzione alla sua sintassi, lo studio della temperie culturale, l’omologazione del suo codice espressivo non vanno interpretati come ‘cronolatria’, ma sulla linea di quella fedeltà all’uomo di cui si parla nei documenti della Chiesa […]. Sarebbe auspicabile che in tutte le nostre comunità ci fossero dei momenti di revisione critica dei nostri linguaggi pastorali. Sottoporre la propria mediazione linguistica a un serrato esame analitico significa sorvegliarsi continuamente perché l’annuncio cristiano non cada nella ‘insignificanza’.16

A proposito poi dell’intima relazione fra i “poveri” e la fragilità del pianeta - e siamo alla seconda consonanza - per don Tonino occorre evangelizzare il valore dei beni come emerge dalla creazione. Dio li crea per la felicità degli uomini. Le pagine iniziali della Ge-nesi evidenziano tale prospettiva, ma nello stesso tempo sottolineano che essi da soli non possono riempire il cuore dell’uomo (cfr. Gen 2, 18-20). Deve stabilirsi tra l’uomo e i beni un rapporto che rifiuta ogni arbitrario consumismo ed ogni appropriazione indebita, e i beni entrano in maniera veramente umana nella nostra vita se si aprono e sono espressione di fraternità solidale: sono segno di rapporto, di incontro, di comunione.

Occorre smascherare i diversi processi che portano ad accumulare i beni solo per sé stessi, a strumentalizzare gli altri per avere sempre di più, a giustificare e legittimare accu-muli e lusso dimenticando le sofferenze che stanno dietro di essi. Si tratta di individuare e di smascherare i cammini tortuosi che portano a trasformare i beni in idoli che esigono sempre il sacrificio indiscriminato di sé stessi e degli altri.

È di fronte a questi meccanismi perversi che la voce di protesta di mons. Bello si leva alta e coraggiosa:

Di fronte alle ingiustizie del mondo, alla iniqua distribuzione delle ricchezze, alla diabolica intronizzazione del profitto sul gradino più alto della scala dei valori, il cristiano non può tacere. Come non può tacere dinanzi ai moduli dello spreco, del consumismo, dell’accaparra-mento ingordo, della dilapidazione delle risorse ambientali. Come non può tacere di fronte a certe egemonie economiche che schiavizzano i popoli, che riducono al lastrico intere nazioni,

16 A. Bello, Insieme alla sequela di Cristo sul passo degli ultimi, in S1, 155.

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che provocano la morte per fame a cinquanta milioni di persone all’anno, mentre per la corsa alle armi, con incredibile oscenità, si impiegano capitali da capogiro. Ebbene, quale voce di protesta il cristiano può levare per denunciare queste piovre? Quella della povertà! Anzitutto, la povertà intesa come condivisione della propria ricchezza. È un’educazione che bisogna compiere, tornando anche ai paradossi degli antichi Padri della Chiesa: ‘Se hai due tuniche nell’armadio, una appartiene ai poveri’. Non ci si può permettere i paradigmi dell’opulenza, mentre i teleschermi ti rovinano la digestione, esibendoti sotto gli occhi i misteri dolorosi di tanti fratelli crocifissi. E le carte patinate delle riviste, che riproducono le icone viventi delle nuove tragedie del Calvario, si rivolgeranno un giorno contro di noi come documenti di accusa, se non avremo spartito con gli altri le nostre ricchezze.17

Come non leggere in queste parole di Bello le parole di Francesco nella Laudato si’:

Oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri.18

È questa, infatti, la profonda convinzione di Bello:

I poveri sono la provocazione di Dio. Anzi, sono l’icona delle provocazioni di Dio verso un mondo più giusto, più libero, più in pace, in cui la convivialità delle differenze diventi costume.19

Poveri e povertà sono essenziali al piano della salvezza. Sono i poveri che ci salvano, e la povertà è la stessa salvezza. Il mondo non può risolvere i suoi problemi, se non sceglie la povertà come regola della sua economia. Si tratta di riscoprire la virtù della sobrietà.

La spiritualità cristiana propone - afferma Francesco - una crescita nella sobrietà e una capacità di godere con poco. È un ritorno alla semplicità che ci permette di fermarci a gustare le piccole cose, di ringraziare delle pos sibilità che offre la vita senza attaccarci a ciò che abbiamo né rattristarci per ciò che non posse diamo. Questo richiede di evitare la dinamica del dominio e della mera accumulazione di piaceri. La sobrietà, vissuta con libertà e consa pevolezza, è liberante. Non è meno vita, non è bassa intensità, ma tutto il contrario. Infatti quel li che gustano di più e vivono meglio ogni mo mento sono coloro che smettono di beccare qua e là, cercando sempre quello che non hanno, e sperimentano ciò che significa apprezzare ogni persona e ad ogni cosa, imparano a familiarizza re con le realtà più semplici e ne sanno godere […]. La felicità richiede di saper limitare alcune necessità che ci stordiscono, restando così disponibili per le molteplici possi bilità che offre la vita.20

Affiora nelle parole di Francesco il medesimo umore di Tonino Bello, entrambi uomini del sud del mondo, è l’umore “meridionale”, che ha il pathos della contemplazione, una grande agilità mentale ed un’attitudine connaturale alla contemplazione.

17 A. Bello, Scritti mariani, S3, 46-47.18 LS, n. 49.19 A. Bello, Scritti di pace, S4, 346-347.20 LS, nn. 222-223.

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È l’umore di chi è libero interiormente perché portatore di festività, cioè del gusto delle cose che sa “usare” e “trascendere”, non inaridito dall’efficientismo, che ha l’esperienza del sacrificio e, quindi, il sapore delle cose.

Tutto questo non è che il riverbero del concetto decisivo dell’enciclica di Francesco, quello di “ecologia integrale”. “Integrale” significa in grado di abbracciare tutte le componenti della vita umana, la quale va riscattata dalla progressiva sottomissione alla tecnologia che, nel suo legame con la finanza, «pretende di essere l’unica soluzione dei problemi» ma, scrive il Papa, «di fatto non è in grado di vedere il mistero delle molteplici relazioni che esistono tra le cose, e per questo a volte risolve un problema creandone altri».21

Non possiamo dimenticare che la salvaguardia dell’ambiente si colloca ben al di là dell’ordine economico e tecnico, ma che è innanzitutto “una questione morale”. «La distruzione della natura è causata da una negligenza ecologica che trova riscontro a breve termine negli interessi economici e nella ricerca egoistica del profitto».22

L’uomo non è il cancro del pianeta. La soluzione dei problemi dell’ambiente non è la riduzione della presenza degli esseri umani sulla terra, ma passa attraverso una responsa-bilità comune: cibo e risorse ci sono per tutti, basterebbe non sprecarle, non depredarle, distribuirle più equamente. E così come è umana la responsabilità del degrado ecologico, delle disuguaglianze, dello sfruttamento indiscriminato, allo stesso modo è umana la via d’uscita dalla crisi.

Memorabile la lotta di don Tonino contro l’espropriazione della terra murgiana ai poveri, minacciata per privilegiare azioni che, invece, tendevano ad affermare la militarizzazione del territorio pugliese e la privatizzazione dei beni fondamentali.23

Sua una splendida preghiera “ecologica”, in cui invoca lo Spirito di Dio perché possa aiutare gli uomini a distruggere le strutture sociali di peccato e restituire al mondo la sua bellezza:

Dissipa le sue rughe/e fascia le ferite che l’egoismo sfrenato degli uomini/ha tracciato sulla sua pelle./Mitiga con l’olio della tenerezza le arsure della sua crosta./Restituiscile il manto dell’antico splendore/che le nostre violenze le hanno strappato./Facci percepire la tua dolente presenza/nel gemito delle foreste divelte, /nell’urlo dei mari inquinati, /nel pianto dei torrenti inariditi, /nella viscida desolazione delle spiagge di bitume.24

Se la terra, saccheggiata e maltratta, lancia i suoi lamenti, occorre certo correre in suo aiuto e cambiare rotta, operare quella «conversione ecologica» di cui già parlava Giovanni Paolo II. Ma ancora più urgente è capire da che parte provengono le lacrime. E perché, per quali perverse connessioni che chiamano in causa sfruttamento di popoli e di individui,

21 LS, n. 20.22 Vescovi canadesi, Lettera pastorale Amare il pianeta come lo ama Dio, 2008.23 Cfr. A. Bello, Perché non si rovesci il sogno di Isaia, in S4, 37-39.24 A. Bello, Omelia per la Messa crismale 1990, in S2, 74.

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sopraffazione, egoismi perpetrati da comunità nazionali o regionali. Il Papa parla di un’e-cologia integrale, ed è questa l’espressione-chiave che dà all’enciclica il tono e il significato di un nuovo manifesto per un’umanità in cerca, o almeno in vista, di una riconciliazione con sé stessa e con l’ambiente in cui vive.

Il «grido della terra» è in larga parte il grido dei poveri, il trionfo dell’«usa e getta» che giustifica ogni tipo di scarto, sia ambientale che umano. «È la logica che porta a sfruttare bambini, ad abbandonare gli anziani, a praticare la tratta degli esseri umani, il commercio di pelli di animali in estinzione, di diamanti insanguinati. È la stessa logica di molte mafie, di trafficanti di organi, del narcotraffico e dello scarto dei nascituri perché non corrispon-denti ai progetti dei genitori». E non basta perché nessuno, anche a livello individuale, può chiamarsi fuori dalle responsabilità di una casa in rovina.

Quello della tutela dell’ambiente - afferma don Tonino - non è l’ultimo ritrovato della nostra furbizia brontolona o delle nostre strategie del consenso. Non è ammiccamento alle mode correnti. Ma è un compito primordiale che ci sovrasta come partner dello Spirito santo, affinché la terra passi dal “Xàos”, cioè dallo sbadiglio di noia e di morte, al “Xòsmos”, cioè alla situazione di trasparenza e di grazia […]. La pelle di questa nostra terra, è deturpata dagli inquinamenti, invecchiata dalle nostre manipolazioni, violentata dalle nostre ingordigie.25

Ci ricorda papa Francesco che:

Vivendo in una casa comune, non possiamo non interrogarci sul suo stato di salute, come ho cercato di fare nella Laudato si’. L’inquinamento delle acque e dell’aria, lo sfruttamento indiscriminato delle foreste, la distruzione dell’ambiente, sono sovente frutto dell’indiffe-renza dell’uomo verso gli altri, perché tutto è in relazione. Come anche il comportamento dell’uomo con gli animali influisce sulle sue relazioni con gli altri, per non parlare di chi si permette di fare altrove quello che non osa fare in casa propria.26

È il momento di avvertire la necessità di questa chiarezza: chiunque tu sia, indipendente-mente dal fatto che tu abbia o meno responsabilità di governo, puoi diventare protagonista del cambiamento di cui la terra ha bisogno.

Oggi - fa notare don Tonino - abbiamo il privilegio di capire che l’annuncio della pace si completa, oltre che con la lotta per la giustizia, anche con l’impegno per la salvaguardia del creato. […] E si realizzerà la splendida intuizione di Isaia che, addirittura invertendone l’ordine, aveva collegato insieme salvaguardia del creato, giustizia e pace: «In noi sarà infu-so uno Spirito dall’alto. Allora il deserto diventerà un giardino... e la giustizia regnerà nel giardino... e frutto della giustizia sarà la pace» (Is 32, 15-17).27

25 A. Bello, Giustizia, pace e salvaguardia del creato, in S4, 163.26 Francesco, Messaggio per la celebrazione della 49a Giornata Mondiale per la Pace. Vinci l’in-

differenza e conquista la pace (1° gennaio 2016), n. 3.27 A. Bello, Giustizia, pace e salvaguardia del creato, in S4, 163.

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In filigrana nel messaggio sul creato di don Tonino e di papa Francesco si intravede la figura di Francesco d’Assisi. Questi mette soprattutto l’accento sulla cura del credente nei confronti della creazione. Fiori e piante, a cui Francesco predicava e di cui si prendeva cura come dei poveri, sono tenuti insieme «alla preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore». Bello anche l’accenno alle piante selvatiche che esprimono pienamente la grazia di Dio, più grande di ogni nostra capacità di cura o di controllo.

Degno di rilievo è, in tal senso, quanto don Tonino affermava durante una festa del Corpus Domini che, per l’occasione, definì festa dell’erba verde:

Nell’episodio della moltiplicazione dei pani raccontatoci da Marco c’è uno splendido par-ticolare che basterebbe da solo a dare senso alla festa del "Corpus Domini". Gesù, prima di compiere il miracolo, ordinò ai discepoli di far sedere la folla affamata “sull’erba verde”. Sull’erba verde. È su questo tappeto di speranza, impregnato di aromi selvatici, che i pani passano da una mano all’altra senza venir meno. […] Sembra proprio che "l’erba verde" sia la condizione preliminare per ogni impegno veramente eucaristico. Perciò, la festa del "Corpus Domini" deve essere la festa della riconciliazione cosmica. Dobbiamo chiedere al Signore che ci restituisca i sapori dell’erba verde, a foglia larga e a foglia stretta. Dobbiamo implorare che tornino i tempi in cui sia possibile respirare a pieni polmoni senza aver paura delle radiazioni nucleari. Dobbiamo promettere a noi stessi che non inquineremo il nostro mare, che non imbratteremo i nostri muri, che non sporcheremo le vie della nostra città, che non ridurremo a pattumiera i vicoli delle nostre campagne. […] Dobbiamo esigere da Dio che sia severo con chi ci ammorba l’acqua, con chi ci avvelena il vino, con chi ci insidia il latte. Dobbiamo protestare contro coloro che violentano la natura, che deturpano i pae-saggi, che speculano sulle bellezze della terra. Dobbiamo gridare con indignazione che solo gli aratri e non i cingoli dei carri armati hanno il diritto di calpestare “l’erba verde” delle nostre colline. Dobbiamo esecrare tutti coloro che, con la scusa del sacro, la domenica delle palme fanno scempio degli alberi a scopo vergognoso di lucro. Dobbiamo pregare perché ogni uomo comprenda che la strada della comunione col prossimo e con Dio non passa sullo svincolo dei sacrilegi operati contro la natura.28

4. Dalla predazione alla contemplazione

Alla luce di queste riflessioni il creato deve tornare a esercitare su tutti noi la sua at-trattiva. Anzitutto perché c’è e non sono stato io a produrlo. Considerare il creato come una sorta di “arredo” o “apparato” scenico” che fa da sfondo alle nostre preoccupazioni, pensieri, lotte, agitazioni e affetti, è una grande miopia quando non una grave patologia. Invece, rendersi conto del creato, delle cose, ci porta sulla soglia del Tu, che ha fatto tutto. Riconosciuto come realtà che mi si dona, il creato diventa compagnia.29

28 A. Bello, Una mensa sul prato. Festa del Corpo e Sangue del Signore, in S5, 290-292.29 Cfr. A. Scola, «Custodire il creato, coltivare l’umano. In ascolto della vicenda di Giobbe», 763-764.

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Urge allora chiederci: ci appassiona ancora l’idea della terra come casa comune, alla cui bellezza dedicare una parte irrinunciabile delle nostre invenzioni e del nostro lavoro? Ci emoziona, ancora, l’immagine della convivenza dei popoli, i cui successi ci rendono orgogliosi di appartenere al genere umano?

Siamo, ancora, capaci di stupirci dell’enigma di questa miracolosa palletta umida, co-lorata, e piena di vita, che non assomiglia a niente di niente, fra tutti i milioni di mondi ai quali abbiamo dato una sbirciatina?

La terra «ci precede», dice Francesco. E noi «non siamo Dio»: potremmo metterci d’ac-cordo almeno su questo? Dipendesse solo da noi, non sapremmo proprio come far vivere un mondo. Non è scientificamente stupido pensare di usare la terra solo per ingozzarci di merendine e giocare con le macchinine?

Secondo la parola biblica l’essere umano è la forma spirituale della vita in cui il mondo si riconosce come creazione di Dio. E l’atto creatore è il segreto dell’attitudine del mondo a offrire doni sempre nuovi, che gli esseri umani possono trasformare in beni condivisi. Questa parola biblica non è mai stata così indispensabile, forse, come lo è ora.30 Incombe, infatti, una cultura predatoria dell’affermazione individuale di sé, e stili di vita collettiva corrispondenti, che campano sul saccheggio delle risorse comuni e sulla distruzione delle forme naturali. Non dobbiamo ‘strappare’ alla natura e alla vita i suoi segreti: dobbiamo ‘chiederli’.

La consapevolezza di un legame affettivo con tutte le creature «non può essere disprezzata come un romanticismo irrazionale, perché influisce sulle scelte che determinano il nostro comportamento».31 Se ci accostiamo alla natura senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, ci comporteremo sempre e solo da dominatori, da consumatori o da sfruttatori delle risorse naturali e delle altre persone, incapaci di sfuggire alla logica della massimizzazione del tornaconto individuale. In definitiva, assumere la prospettiva proposta dall’enciclica pone una domanda sul senso dell’esistenza e sui valori alla base della vita sociale: «Per quale fine siamo venuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo? Perché questa terra ha bisogno di noi?». Se non ci poniamo queste domande di fondo - dice papa Francesco - «non credo che le nostre preoccupazioni ecologiche possano ottenere effetti importanti».32

I problemi ecologici, che poi sono anche economici, avvertono noi cristiani che do-vremmo cambiare atteggiamento verso l’ambiente, il nostro approccio alla fede e il nostro rapporto con Dio Creatore e con il Cristo. Tutto il vangelo ci guida non verso questa civiltà ipertecnologica, ma ad una vita di relazione; quindi, dobbiamo cambiare e rivedere

30 Cfr. LS, n. 62.31 LS, n. 11.32 LS, n. 160.

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il nostro modo di porci nella fede. Dobbiamo renderci conto che travisare le leggi naturali, che siano le leggi proprie della natura o le leggi etiche e sociali che regolano la vita umana, porta al degrado delle persone, della società e della natura.

C’è nella natura un amore che Dio ha posto stabilendone le leggi nella sua sapienza e regolando la vita nel modo migliore possibile. Negli ultimi secoli, invece, si sono sviluppate delle correnti di pensiero, avanzate da vari filosofi, secondo le quali la natura in pratica non esiste perché è solo materia, e che non c’è neppure una natura umana. Oggi possiamo riscontrare che è falso e che la creazione e tutte le creature hanno una loro natura con leggi di sviluppo, sia individuale che comunitario, stabilite da Dio, in interdipendenza e in vista del massimo bene di ciascuno e dell’insieme. La natura esiste.

Che cosa significa, in sintesi, per don Tonino e papa Francesco “ecologia”? “Ecologia” è dare risposte alle domande sul senso della vita, è occuparsi del rapporto fra tutte le forme di vita, al fine di sviluppare l’unione di un’intensa esperienza individuale di contatto con la natura con un atteggiamento critico e impegnato nella lotta per la giustizia. “Ecologia” è la forma stessa di vivere, di pensare il lavoro, lo stile di vita dell’intero pianeta.

Quando parliamo di ecologia, pensiamo subito all’ambiente, ma un’ecologia ambientale richiede un’“ecologia sociale”, una società inclusiva, che senta di avere bisogno di tutte le particelle che la compongono, anche di quelle che un sistema fondato sul denaro come quello che abbiamo costruito finora ha emarginato, rifiutato e negato. “Ecologia” è altresì la capacità di discernere lo Spirito presente in tutto quello che esiste, quell’energia di re-lazione cosmica di cui tutti gli esseri sono espressione e che le religioni riconoscono come l’amore divino alla base di questa grande comunità che è l’universo.

Mi piace concludere con le parole poetiche di Antoine de Saint-Exupery che ci indi-cano la strada per custodire il creato, a partire da una nuova consapevolezza di noi stessi: «Quando tu ti rendi utile, tu servi la creazione. La madre è umile di fronte al bambino e il giardiniere è umile davanti alla rosa».33 Si tratta di passare da un umanesimo della “signoria” a un umanesimo della “diaconia”. Ancora una volta è affidato alle nostre mani il destino della nostra casa comune.

Non dimentichiamo però - come ammonisce don Tonino - che:

l’uomo è re del creato, non monarca assoluto che spadroneggia su tutto. Principe dell’uni-verso, non tiranno con paranoie distruttive. Signore del mondo, non despota con diritto di violentare la natura. Sovrano indiscusso sugli esseri viventi, non dittatore arrogante con licenza di profanazione.34

Poniamoci, allora, «in ascolto della tenerezza di Dio e traduciamola in tenerezza per le cose e per la natura».35

33 A. de Saint-Exupery, Cittadella, Borla, Roma 1978. 34 A. Bello, Tutto ai posto sotto i suoi piedi, in S3, 201.35 A. Bello, Insieme per camminare, in S1, 302.

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Il confessore, “medico dell’anima”, dinanzi al peccato di aborto

1. Il confessore, “medico dell’anima”. Un po’ di storia

I vangeli amano presentare Gesù come medico compassionevole, dei corpi e degli spiriti. Dei circa sessanta racconti di gesti taumaturgici da lui compiuti, ben quarantasette riguardano guarigioni. Ed è risaputo che nel NT la malattia è vista come simbolo dello stato in cui si trova l’uomo peccatore spiritualmente cieco, sordo, muto, paralitico, inca-pace di relazioni buone con Dio e con gli uomini. Per conseguenza la guarigione del malato è simbolo della guarigione spirituale che Gesù opera negli uomini che, nella fede, si affidano a lui.

Il rituale del Vaticano II recupera questa visione terapeutica del sacramento:

Come diversa e molteplice è la ferita causata dal peccato nella vita dei singoli e della comunità, così diverso è il rimedio che la penitenza arreca. Coloro che peccando gravemente, hanno interrotto la comu-nione d’amore con Dio, con il sacramento della penitenza riottengono la vita perduta. Coloro che hanno peccato in maniera veniale, con la ripetuta celebrazione del sacramento riprendono forza e vigore per proseguire il cammino verso la piena libertà dei figli di Dio.1

Il Catechismo della Chiesa Cattolica, da parte sua, annovera la peni-tenza tra i “sacramenti della guarigione”:

Il Signore Gesù, medico delle nostre anime e dei nostri corpi, colui che ha rimesso i peccati al paralitico e gli ha reso la salute del corpo, ha voluto che la Chiesa continui, nella forza dello Spirito Santo, la sua opera di guarigione e di salvezza, anche presso le proprie membra. È lo scopo dei due sacramenti della guarigione: del sacramento della Penitenza e dell’Unzione degli infermi.2

* Direttore dell’Issr di Trani e Docente di Teologia Morale.1 RP, n. 7.2 CCC, n. 1421.

Domenico Marrone*[email protected]

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Il sacerdote, immagine del padre misericordioso e del buon pastore, è strumento di Cristo medico. Secondo il rituale, il sacerdote deve saper distinguere le malattie dell’anima per apportarvi i rimedi adatti. È noto che quello terapeutico è un carattere peculiare della penitenza nelle Chiese d’Oriente, ma esso era vivo anche nel medioevo latino, quando il peccatore apriva il suo cuore al monaco laico o sacerdote, esperto nella vita dello spirito, per essere aiutato a curare le infermità del suo spirito, ed è riconosciu-to dai padri tridentini quando, pur difendendo il carattere penale della soddisfazione, ammettono che essa è anche “presidio per la nuova vita e medicina per l’infermità”. Il rituale del Vaticano II ricupera questa dimensione, là dove presenta la soddisfazione o opera penitenziale come medicina capace di curare le ferite, e rimedio del peccato atto a trasformare la vita del penitente.3

In sintesi, “il ministro della penitenza”

deve avere necessariamente qualità umane di prudenza, discrezione, discernimento, fermezza temperata da mansuetudine e bontà. Egli deve avere, altresì, una seria e accurata preparazio-ne, non frammentaria, ma integrale e armonica, nelle diverse branche della teologia, nella pedagogia, nella psicologia, nella metodologia del dialogo e, soprattutto, nella conoscenza viva e comunicativa della parola di Dio.4

Si tratta di qualità e preparazione che non si improvvisano, non si possono dare per scontate, né si ricevono meccanicamente con l’imposizione delle mani dell’ordinazione, ma sono frutto di ascesi, di familiarità con il medico divino, di studio e di prolungato tirocinio.5

Nel ministero di essere «medico e consigliere spirituale», non si tratta solo di perdonare i peccati ma anche di orientare la vita cristiana per corrispondere generosamente al progetto di Dio Amore.6

a) Ieri L’idea del confessore-medico è antica;7 essa nasce dalla concezione del confessore come

“medico dell’anima”. Il penitente era considerato alla stregua di un individuo moralmen-te infermo, malato, e la sua cura è considerata ripetutamente, quasi abitualmente, nei Penitenziali, compito del medico dell’anima. I suoi peccati sono sintomo di uno stato di malattia. Le penitenze medicamenta, remedia, fomenta, misure destinate a restituirgli la salute morale e spirituale, perduta.

3 Cfr. RP, n. 6c.4 Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Reconciliatio et paenitentia, 2 dicembre 1984, n. 29.5 P. Sorci, «Il “Confessore” o Ministro del Sacramento della Penitenza», in Rivista di Pastorale

Liturgica, (2010) 4, 39-46.6 Congregazione per il Clero, Il sacerdote ministro della misericordia divina. Sussidio per confessori

e direttori spirituali, 9 marzo 2011, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2011, n. 136.7 Cfr. B. Petrà, Fare il confessore oggi, Dehoniane, Bologna 2012, 131-134.

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Per esempio, nella prefazione del Penitenziale di Teodoro (VII sec.) si dice che l’opera è indirizzata a tutti i cattolici inglesi e in particolare “ai medici dell’anima”8. È un’idea che si sviluppa tanto in rapporto alla prassi penitenziale, quanto in rapporto alla direzione spirituale monastica.

Un testo assai significativo è quello offerto dal prologo della parte B del penitenziale di Colombano (VI-VII sec.) e che suona così:

Peccati differenti richiedono penitenze differenti. Anche i medici dei corpi adattano le loro medicine alle differenti specie di malattie. Curano differentemente le piaghe, le malattie, i tumori, i lividi, le cancrene, le cecità, le fratture, le scottature. Così pure, il medico dell’ani-ma dovrà curare con rimedi appropriati le ferite dell’anima, le malattie, i dolori, i languori, le infermità.9

Il Penitenziale di Cummeano (VII sec.) inizia così:

Qui inizia il prologo ed il benefico conferimento di medicine per le anime. Giacché stiamo parlando delle cure delle ferite… per prima cosa indicheremo schematicamente le modalità di cura.

Nell’assegnare le penitenze, il confessore era indotto a considerare sé stesso non come amministratore di una legislazione penale, ma come medico dell’anima ed evidentemente doveva sforzarsi di rendere consapevoli di ciò gli stessi penitenti.

Talvolta, anzi, il confessore è esortato ad identificarsi il più possibile con il peccatore e a familiarizzare, con partecipazione, con le condizioni mentali del reo. Afferma il Penitenziale Pseudo-Romano che:

Nessun medico può curare le ferite del malato se non familiarizza con la sua miseria (nisi foetoribus particeps fuerit).10

Il secondo millennio conserva questa visione del confessore. Può bastare a mostrarne la continuità storica la citazione di due testi molto autorevoli quali il can. 21 del Concilio Lateranense IV del 1215 e il tridentino Catechismo romano. Il primo dice:

Il sacerdote sia discreto e prudente, così da versare vino e olio (cfr. Lc 10, 34) sulle piaghe del ferito come medico esperto, informandosi diligentemente sulle circostanze del peccatore e del peccato, da cui prudentemente possa capire quale consiglio dare e quale rimedio usare, ricorrendo a diversi mezzi per sanare (o salvare) l’ammalato.11

8 Cfr. J. T. Mc Neill, «La medicina del peccato prescritta nei Penitenziali», in M.G. Muzzarelli, Una componente della mentalità occidentale. I Penitenziali nell’alto medio evo, Patron Editore, Bologna 1980, 222.

9 C. Vogel, Il peccatore e la penitenza nel Medioevo, II ediz. ital. riv. e ampl. a cura di C.A. Cesarini, Leumann, Torino 1988, 63.

10 Penitenziale Pseudo-Romano, can. 830.11 DS, n. 813.

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Chiaramente, il confessore è visto qui come un buon samaritano e la sua azione come tutta protesa a disporre le condizioni di guarigione del peccatore. Il peccatore, infatti, è un “ammalato”.

Anche il secondo testo chiama il malato “peccatore”, anche se associa l’idea del sacerdote medico con quella del giudice:

Oltre alla potestà di ordine e giurisdizione, strettamente necessarie, il Ministro di questo sacramento sia fornito di vasta dottrina e di prudenza, poiché egli deve essere insieme giu-dice e medico. Non basta una scienza qualsiasi, perché tale giudice deve conoscere a fondo i peccati commessi, assegnarli alle rispettive specie, distinguere i leggeri dai gravi, secondo la qualità e il rango dei penitenti. Anche come medico ha bisogno della massima sagacia, dovendo con cura apprestare al malato quei rimedi che sembrino più acconci a risanare l’anima, e a premunirla in avvenire dall’insidia del male.12

La percezione del confessore come medico ha trovato poi una matura formulazione nella praxis confessarii degli ultimi secoli, nella esplicitazione della competenza “medica” come parte ineliminabile del ruolo del confessore. Non è certo un caso se sant’Alfonso dedica la maggior attenzione proprio al compito di medico e sottolinea con forza la necessità che il confessore miri all’emendamento del penitente, intendendo per emendazione la guarigione e la salvezza.

Quando commenta il c. VIII del tridentino Decreto sulla penitenza, là dove quest’ultimo chiede che si impongano al penitente «salutares et convenientes satisfactiones», egli dice:

«Salutares, cioè utili alla salvezza del penitente; et convenientes, cioè proporzionate non solo a’ peccati, ma anche alle forze del penitente. Ond’è che non sono salutari né convenienti quelle penitenze a cui i penitenti non sono atti a soggiacere per la debolezza del loro spirito, poiché allora queste piuttosto sarebbon cagione di loro ruina. In questo sagramento più s’intende l’emenda che la soddisfazione: perciò dice il Rituale Romano (De sacram. Poenit., 19) che ‘l confessore nel dar la penitenza deve avere ragione della disposizione de’ peniten-ti. E S. Tommaso dice (Suppl., q. 18, a. 4): «Come il medico non prescrive una medicina troppo efficace perché per la debolezza della natura non ne nasca un pericolo maggiore, così il sacerdote, mosso da divina ispirazione, non impone sempre tutta quanta la pena che è dovuta a un solo peccato, perché il debole (infirmus) non disperi e non si allontani per sempre dalla penitenza». Ed in altro luogo, dice: «che come un picciol fuoco si estingue, se vi si sovrappongono molte legne, così può accadere che il picciolo affetto di contrizione del penitente estingua per lo peso della penitenza (Quodlib. 3, a. 28)».13

Infatti, bisogna evitare al penitente forme di severità «per timore che l’anima muoia del tutto a seguito di un periodo tanto lungo di mancanza di somministrazione della medicina celeste»14. La “medicina celeste” cui qui si allude è l’eucaristia, dalla quale il penitente era escluso.

12 Catechismo Romano, n. 256.13 Alfonso Maria de’ Liguori, Pratica del Confessore per ben esercitare il suo ministero, Luca Cor-

betti, Monza 1832,17-18.14 Penitenziale di S. Gilda (VI sec.).

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b) Oggi Ancor oggi è ben solida la consapevolezza del confessore come medico dell’anima, che

deve conoscere le malattie del peccatore e addurre rimedi opportuni. Lo dicono esplicita-mente anche i Prenotanda:

Perché il confessore possa assolvere al suo dovere rettamente e fedelmente, conosca (dignoscat) le malattie delle anime e imponga rimedi a esse adatti.15

Questa consapevolezza ha trovato efficace espressione in due paragrafi del Catechismo della Chiesa Cattolica:

Celebrando il sacramento della Penitenza, il sacerdote compie il ministero del Buon Pastore che cerca la pecora perduta, quello del Buon Samaritano che medica le ferite, del Padre che attende il figlio prodigo e lo accoglie al suo ritorno, del giusto Giudice che non fa distinzione di persone e il cui giudizio è ad un tempo giusto e misericordioso. Insomma, il sacerdote è il segno e lo strumento dell’amore misericordioso di Dio verso il peccatore.16

Il confessore non è il padrone, ma il servitore del perdono di Dio. Il ministro di questo sacra-mento deve unirsi “all’intenzione e alla carità di Cristo” [Conc. Ecum. Vat. II, Presbyterorum ordinis, 13]. Deve avere una provata conoscenza del comportamento cristiano, l’esperienza delle realtà umane, il rispetto e la delicatezza nei confronti di colui che è caduto; deve amare la verità, essere fedele al magistero della Chiesa e condurre con pazienza il penitente verso la guarigione e la piena maturità. Deve pregare e fare penitenza per lui, affidandolo alla misericordia del Signore.17

Ne parla anche il Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri:

Occorre, pertanto, che egli sappia identificarsi, in un certo senso, con questo sacramento e, assumendo l’atteggiamento di Cristo, sappia chinarsi con misericordia, come buon samari-tano, sull’umanità ferita, facendo trasparire la novità cristiana della dimensione medicinale della penitenza, che è in vista della guarigione e del perdono.18

2. Il confessore dinanzi al peccato di aborto. Indicazioni pastorali

Un pensiero speciale vorrei riservare a voi, donne che avete fatto ricorso all’aborto. La Chiesa sa quanti condizionamenti possono aver influito sulla vostra decisione, e non dubita che in molti casi s’è trattato d’una decisione sofferta, forse drammatica. Probabilmente la ferita nel vostro animo non s’è ancor rimarginata. In realtà, quanto è avvenuto è stato e rimane profondamente ingiusto. Non lasciatevi prendere, però, dallo scoraggiamento e non abban-

15 Rito della Penitenza, Praenotanda, 10°.16 CCC, n. 1465.17 Ivi, n. 1466.18 Sacra Congregazione per il Clero, Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, 11 feb-

braio 2013, n. 70; cfr. CJC., cann. 966, § 1; 978, § 1; 981; Giovanni Paolo II, Discorso alla Penitenzieria Apostolica, 27 marzo 1993: Insegnamenti XVI/1 (1993), 761-766.

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donate la speranza. Sappiate comprendere, piuttosto, ciò che si è verificato e interpretatelo nella sua verità. Se ancora non l’avete fatto, apritevi con umiltà e fiducia al pentimento: il Padre di ogni misericordia vi aspetta per offrirvi il suo perdono e la sua pace nel sacramento della Riconciliazione. A questo stesso Padre ed alla sua misericordia voi potete affidare con speranza il vostro bambino. Aiutate dal consiglio e dalla vicinanza di persone amiche e competenti, potrete essere con la vostra sofferta testimonianza tra i più eloquenti difensori del diritto di tutti alla vita. Attraverso il vostro impegno per la vita, coronato eventualmente dalla nascita di nuove creature ed esercitato con l’accoglienza e l’attenzione verso chi è più bisognoso di vicinanza, sarete artefici di un nuovo modo di guardare alla vita dell’uomo.19

Penso, in modo particolare, a tutte le donne che hanno fatto ricorso all’aborto. Conosco bene i condizionamenti che le hanno portate a questa decisione. So che è un dramma esi-stenziale e morale. Ho incontrato tante donne che portavano nel loro cuore la cicatrice per questa scelta sofferta e dolorosa. Ciò che è avvenuto è profondamente ingiusto; eppure, solo il comprenderlo nella sua verità può consentire di non perdere la speranza. Il perdono di Dio a chiunque è pentito non può essere negato, soprattutto quando con cuore sincero si accosta al Sacramento della Confessione per ottenere la riconciliazione con il Padre. Anche per questo motivo ho deciso, nonostante qualsiasi cosa in contrario, di concedere a tutti i sacerdoti per l’Anno Giubilare la facoltà di assolvere dal peccato di aborto quanti lo hanno procurato e pentiti di cuore ne chiedono il perdono. I sacerdoti si preparino a questo grande compito sapendo coniugare parole di genuina accoglienza con una riflessione che aiuti a comprendere il peccato commesso, e indicare un percorso di conversione autentica per giun-gere a cogliere il vero e generoso perdono del Padre che tutto rinnova con la sua presenza.20

Il sacerdote svolge un ruolo essenziale nella guarigione interiore della persona che ha abortito. Con la grazia del Signore, il confessore può davvero essere uno strumento di gua-rigione per le persone che sono ferite e che soffrono profondamente a causa di questo male terribile e diffuso. Nell’aiutare le persone a risollevarsi dalla scelta devastante dell’aborto, si diventa sempre più consapevoli del ruolo di “medico delle anime”. Alla luce di questa premessa è opportuno tener conto di alcune indicazioni.

Indicazioni pastorali• Il sacramento della penitenza è in tutto il suo darsi un atto terapeutico e di guarigione.

Questo carattere è già attivo nel dialogo sacramentale: se il ministro accoglie, ascolta con rispetto, chiede con saggezza, già così facendo aiuta il penitente a sperimentare la misericordia. Nel dialogo sacramentale dobbiamo ispirarci alle parole di sant’A-gostino, che scrisse: «Non dobbiamo disperare di alcun uomo, finché vive. Perché Dio ha ritenuto meglio trarre il bene dal male che non permettere affatto il male».21 Questa è la Buona Novella di Gesù Cristo!

19 EV, n. 99.20 Francesco, Lettera con la quale si concede l’indulgenza in occasione del giubileo straordinario della

misericordia, 1° settembre 2015.21 Agostino, De civitate Dei, 22, 1, 2.

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• Quando si ha davanti il penitente, è opportuno far risuonare intimamente le seguenti domande: Cosa servirebbe a questa persona che ho davanti affinché faccia in questo momento un passo avanti nel cammino di guarigione, di maturazione? Serve un con-siglio? Una consolazione oppure un incoraggiamento? Una preghiera personalizzata? Una domanda che forse nessun’altro le farà? L’assoluzione oppure la dolce richiesta di tornare per approfondire il dialogo? Oppure una parola paterna, chiedendole scusa a nome di tutti gli uomini che le hanno fatto del male?

• Chi ha abortito può sentire di aver commesso un peccato imperdonabile, e anche dopo una o più confessioni può avere difficoltà a perdonare sé stessa. La speranza di essere perdonata può essersi spenta insieme alla vita del bambino abortito. Proba-bilmente è anche piena di rabbia per essere stata ingannata o abbandonata da tanti. Ogni persona post-aborto può presentare alcuni o molti di questi sintomi sul piano fisico, emotivo e spirituale. L’alienazione da Dio e l’esperienza di un certo “divorzio” dalla Chiesa sono frequenti effetti dell’aborto. Il semplice andare a messa o pregare può diventare difficile o quasi impossibile. Chi ha abortito può sentirsi giudicata in chiesa, anche se nessun altro sa dell’accaduto.

• Una donna potrebbe non manifestare alcun sintomo del trauma dell’aborto a causa di una negazione psicologica, che si può presentare in qualsiasi situazione in cui c’è stato un evento traumatico nella vita. Lei potrebbe accostarsi alla confessione senza sembrar provare molto rimorso. Anzi, potrebbe persino dire esplicitamente: «Se dovessi rifarlo, lo rifarei». In tale situazione sarebbe importante ricordare che il semplice fatto che sia venuta a confessarsi ci dà già il segno che lei sente che «qualcosa non va» a livello interiore. «Se qualcuno viene da te e sente che deve togliersi qualcosa, ma forse non riesce a dirlo, ma tu capisci… e sta bene, lo dice così, col gesto di venire».22

• Qualunque siano la sua esperienza e la sua sofferenza, possiamo ascoltarla con compas-sione, farle domande con sensibilità, dimostrarle la propria comprensione del dolore che l’aborto può causare, e offrirle una relazione paterna che diventa una piccola àn-cora di salvezza. Una tale accoglienza spesso riporta speranza e apre alla possibilità di una guarigione spirituale ed emotiva. Così facendo, noi sacerdoti camminiamo sulle orme del Divin Medico, portando all’anima ferita il suo amore e la sua misericordia.

• Nell’approccio pastorale si tenga conto di alcuni principi di base: - non si deve minimizzare il male o la gravità di ciò che è successo;- si deve mettere enfasi sull’amore, sulla misericordia e sulla potenza di Gesù che

l’accompagna ancora ed è più grande di ogni peccato e di ogni male;- la guarigione non accade pienamente senza la confessione e, al contempo, la gua-

rigione non accade solo nella confessione.

22 Francesco, Discorso ai missionari della misericordia, 9 febbraio 2016.

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In conclusione, è bene precisare che la grazia sacramentale non è un processo psicolo-gico umano, quantunque si traduca nel comportamento del soggetto attraverso risonanze che vanno anche a modificare la sua azione. Spesso, questa confusione è suggerita proprio dall’espressione: il sacerdote, medico dell’anima.

Il carattere sacerdotale non è un’abilitazione all’esercizio della professione di psicotera-peuta e la salute che il sacerdote dà, nell’esercitare il ministero del perdono di Cristo, non è di ordine psichico, ma di ordine mistico e ontologico. La guarigione, quindi, consiste nel ristabilire nello stato di grazia colui che se ne è separato a causa del peccato mortale formale; si tratta di una guarigione di ordine misterioso, accessibile solamente tramite la fede.23

23 Cfr. G. Sovernigo, L’umano in confessione. La persona e l’azione del confessore e del penitente, Dehoniane, Bologna 2003, 116-117.

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Il Giubileo della Misericordia nel dialogo interreligioso

L’8 dicembre si è aperto il Giubileo Straordinario della Misericordia indetto da papa Francesco, che durerà fino al 20 novembre 2016.

Con la consueta attenzione al dialogo e all’accoglienza, papa France-sco nella bolla di indizione Misericordiae Vultus, al paragrafo 23 scrive:

La misericordia possiede una valenza che va oltre i confini della Chiesa. Essa ci relaziona all’Ebraismo e all’Islam, che la considerano uno degli attributi più qualificanti di Dio. Israele per primo ha ricevuto questa rivelazione, che permane nella storia come inizio di una ricchezza incommensurabile da offrire all’intera umanità …. L’Islam, da parte sua, tra i nomi attribuiti al Creatore pone quello di Misericordioso e Clemente. Questo Anno Giubilare vissuto nella misericordia possa favorire l’incontro con queste religioni e con le altre nobili tradizioni religiose; ci renda più aperti al dialogo per meglio conoscerci e com-prenderci; elimini ogni forma di chiusura e di disprezzo ed espelli ogni forma di violenza e di discriminazione.1

Il Giubileo diventa così un’occasione speciale per approfondire il tema della misericordia in maniera “comparata”, riscoprendo i legami profondi fra le tre religioni monoteiste: Cristianesimo, Ebraismo, Islam. Esaminando i testi sacri, troviamo nella Bibbia ebraica tre ter-mini: rechamim, “viscere”, che ci rimanda al termine rechem, “utero, viscere di donna”; l’amore di Dio verso di noi è, quindi, viscerale, istintivo, come quello della madre verso il figlio. L’altro termine è ahabah, che è all’origine dell’agape neotestamentaria; infine hesed, “bontà”, “compassione”.

Nel cristianesimo, la parabola lucana del Padre misericordioso (Lc 15, 11-32) ci indica la mentalità e l’amore di un Padre che, anche di

* Docente di Teologia Ecumenica nell’Issr di Trani.1 Francesco, Misericordiae Vultus. Bolla di indizione del Giubileo Straor-

dinario della Misericordia, 11 aprile 2015, n. 23.

Porzia Quagliarella*[email protected]

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fronte all’agire interessato del figlio, si commuove, l’abbraccia e dimostra di averlo sempre aspettato, non essendosi mai rassegnato a perderlo.

In una rilettura psicologica della parabola, potremmo evidenziare nel Padre una aper-tura totale che rispetta l’autonomia e la volontà dei figli. Accetta nei figli, senza reazioni, anche la negatività, il rifiuto e l’aggressività, senza mutare la propria benevolenza. Anche l’opposizione e le rivendicazioni del fratello maggiore saranno trattate da lui con pazienza e bontà. In effetti l’etimologia della parola “misericordia” è prettamente latina, deriva dal verbo misereor, che significa“ho pietà” e da cor/cordis, cuore. Nel greco neo testamentario ricorre spesso anche il verbo splanchnizomai, che deriva da splanchna, le viscere materne, luogo delle emozioni. Nel linguaggio biblico si identificano l’amore e la compassione di Dio con l’amore di una madre per il suo bambino (Is 49, 15).

Nel Corano quasi tutte le sure si aprono con l’invocazione: «Nel nome di Dio clemen-te e misericordioso», in arabo bismi Llah al rahman al rahim, i cui due aggettivi hanno la stessa radice del termine ebraico rehem sopra citato. Nell’Islam, Dio è prima di tutto un Dio misericordioso e la misericordia è uno degli attributi di Dio, esercitata nei confronti di tutte le sue creature.

Certo è difficile oggi, accostare la misericordia, di cui si parla nel Corano, all’odio fon-damentalista dimostrato al Bataclan a Parigi o alle Torri Gemelle.

L’Anno della Misericordia dovrebbe, quindi, favorire la riscoperta delle radici comuni nelle tre religioni monoteiste che credono tutte in un Dio che ama incondizionatamente gli uomini, capace di perdonarli e ricolmarli del suo abbraccio di tenerezza. Il dialogo, per essere autentico all’interno delle tre religioni monoteiste e di tutti gli uomini di buona vo-lontà, deve partire dalla consapevolezza che la vera fede in Dio, non divide né crea conflitto.

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La rubrica Dissertazioni è curata da Michelangelo Piccolo.

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Dissertazioni per la Laurea Magistralein Scienze Religiose

ANGARANO Michele

L’episcopato di Mons. Andrea Mariano Magrassi. Costruire una comunità ecclesiale, Relatore prof. Vincenzo de Ceglie, difesa il 22 dicembre 2014

IntroduzioneCapitolo I: Contesto storico, sociale ed ecclesiale Pugliese nel decennio 1980-1990Una nuova fioritura economica; Quale sviluppo industriale in Puglia; Bari: La “città che brilla” nella Puglia; Bari la città economica ed ecumenica; La visita del Papa a Bari; La Puglia tra timori e speranze; Analisi dello sviluppo socio-culturale ed ecclesiale in Puglia; a. Lo sviluppo socio-culturale; b. Lo sviluppo ecclesiale in Puglia; Crescere insieme in PugliaCapitolo II: Orientamenti pastorali Cei nel decennale ’80-’90. “Comunione e co-munità”Il cammino pastorale per gli anni ’80; Le sfide del nuovo piano pastorale; Il soggetto dell’evangelizzazione: la chiesa; “comunione e comunità”; Articolazione generale del docu-mento di base; “Comunione e comunità”; Comunione e comunità per la ricomposizione; “ad intra”; “Comunione comunità e disciplina ecclesiale”; Comunione e comunità per la riconciliazione; “ad extra”; Il convegno ecclesiale di Loreto; I criteri di fondo del piano pastorale della Cei; a. La Ministerialità; b. L’attenzione alla chiesa locale; c. Due linee di direzione, ad intra ad extra; Le tre priorità; a. Evangelizzazione e catechesi; b. Comunione; c. Missione; Comunione e Comunità nelle parole di Mons. Magrassi Capitolo III: Biografia di Mons. Andrea Mariano Magrassi. “Vescovo della sintesi”I primi passi nella ricerca di Dio; Dal noviziato alla professione solenne; La fama di Liturgista e Predicatore; L’abbaziato nocese; Dal chiostro alla cattedrale; a. Il ricordo di Mons. Francesco Cacucci; b. La stima di Mons. Cosmo Francesco Ruppi; c. Il ricordo del mondo della cultura: prof. Cosimo Damiano FonsecaCapitolo IV: Mons. Andrea Mariano Magrassi: rilettura della comunità diocesana alla luce del piano pastorale C.E.I. “Comunione e comunità”Il ministero episcopale come sarcina episcoporum; Il passo decisivo del Concilio Vaticano II; La riconciliazione: via per la comunione Ecclesiale; La preghiera nutrimento per la comunione Ecclesiale; I ministeri in una chiesa tutta ministeriale; La pedagogia della

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Chiesa Madre nell’anno liturgico; Il magistero episcopale per la costruzione di una Co-munità; a. “Evangelizzare gli adulti” (1980); b. “Bari Pentecoste” (1981); c. “Diventa quello che sei” (1982); Il progetto pastorale “L’urgenza dell’ora: Evangelizzare tutti” (1984); Il convegno diocesano: “Perseveranti nell’ascolto” (1983)Conclusioni

ANNACONDIA Giuseppina

La Sala della Comunità. Percorsi magisteriali. L’attuazione nell’Arcidiocesi di Trani – Barletta – Bisceglie, Relatore prof. Antonio Ciaula, difesa il 17 marzo 2016

IntroduzioneCapitolo I: La Chiesa, i media, il cinema. Breve excursusChiesa, media, cinema. Evoluzione di un rapporto; I Papi e il cinema, da Pio XII a Paolo VI; Le Sale cinematografiche parrocchiali; La nascita dell’AcecCapitolo II: Dalla Sala cinematografica parrocchiale alla Sala della Comunità. Un percorso pastorale Sala cinematografica parrocchiale e Sala della Comunità; Le Sale cinematografiche parrocchiali e la Nota pastorale della Commissione Cei per le Comunicazioni Sociali (1982); Il progressivo coinvolgimento della comunità ecclesiale; La Sala della comunità: un servizio pastorale e culturale. La Nota pastorale della Commissione episcopale Cei per le Comunicazioni Sociali (1999); Non solo cinema. L’apertura alla multimedialità; Il rinnovato coinvolgimento della comunità ecclesialeCapitolo III: L’Animatore della cultura e della comunicazione e gli scenari contem-poraneiLa prospettiva fondamentale: il Progetto culturale della Chiesa Italiana; Le linee guida: il Direttorio Comunicazione e Missione; L’animazione culturale nei processi di evange-lizzazione; L’Animatore della cultura e della comunicazione nel progetto pastorale della comunità cristiana Capitolo IV: Progetto culturale e Sala della Comunità nell’Arcidiocesi di Trani – Barletta – Bisceglie. L’inizio di una esperienza L’inizio dell’esperienza a Trani – Barletta – Bisceglie. La prima Sala della Comunità a Barletta; La Sala della Comunità S. Antonio: una chiesa per la cultura; Il Cinecircolo del-la Sala S. Antonio a Barletta; La lettera dell’Arcivescovo Parrocchia e Progetto Culturale (2004) e l’istituzione di altre cinque Sale della Comunità (2006); La riflessione del’Issr sul Cinema e la Sala della Comunità durante il Convivio delle differenze del 2006 Conclusioni

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Don Pasquale Uva, la Casa della Divina Provvidenza a Bisceglie e le sue opere in Italia e all’estero. Una rassegna, Relatore prof. Antonio Ciaula, difesa l’8 luglio 2015

IntroduzioneScheda: Don Pasquale Uva, la vita, le Opere. CronologiaCapitolo I: Don Pasquale Uva, il Cottolengo del SudDon Pasquale Uva. Cenni biografici; Il Parroco di Sant’Agostino a Bisceglie e i suoi impegni pastorali e sociali; Un impegno costante per realizzare la sua Opera a favore dei minorati psichici di vario tipo; Don Uva e l’assistenza psichiatrica nel Meridione d’Italia; Una breve panoramicaCapitolo II: La Casa della Divina Provvidenza a BisceglieDall’ispirazione al sogno e dalle analisi, alle ipotesi di realizzazione; Il sogno si inizia a realizzare; Don Uva, le necessità dei ricoverati e dell’Opera; La questua delle Ancelle e di don Uva per i paesi di Puglia, i benefattori e altre iniziative; L’Istituto Ortofrenico, l’Ospedale Psichiatrico e l’assistenza ai folli tubercolotici; L’assistenza post manico-miale; La grande Chiesa-Basilica di San Giuseppe della Casa della Divina Provvidenza di BisceglieCapitolo III: L’Opera Casa della Divina Provvidenza fuori BisceglieL’Ospedale Psichiatrico e l’Istituto Ortofrenico di Foggia; L’Opera a Potenza, Guidonia e Palestrina; La Casa di cura per sacerdoti e religiose; L’Opera Don Uva in ArgentinaConclusione

CAPOGROSSO Maria

La parrocchia, “famiglia di Dio” nella visione del Movimento Fac, esperienze pa-storali in alcune parrocchie di Trani, Relatore: prof. Vincenzo de Ceglie, difesa il 22 dicembre 2014

IntroduzioneCapitolo I: I movimenti ecclesiali e il movimento FacI movimenti ecclesiali. Cenni storici e magistero recente; Il Movimento Fac.; Origine e sviluppo; L’idea-forza del Movimento Fac: l’amore evangelico; Il Fac, un movimento nella Chiesa e per la ChiesaCapitolo II: La parrocchia, alla luce e nello spirito del Concilio Vaticano IILa riscoperta della dimensione “particolare” della Chiesa; La parrocchia è “in certo modo” Chiesa; Conseguenze pastorali; La funzione della parrocchia nella dottrina conciliare; La Chiesa, organismo vivo e dinamico; La parrocchia, “Chiesa - qui e ora”

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Capitolo III: La visione della parrocchia per il movimento FacIl Movimento Fac a servizio della parrocchia; Il ritorno al vangelo; L’esperienza di fra-ternità; Il “sentirsi Chiesa”; Il “farsi prossimo”; La realizzazione del progetto di parroc-chia, “Famiglia di Dio”; Cominciare dall’esistente; L’“incontro vivo con Gesù vivo”; La formazione degli operatori pastorali; Una rete di presenza “capillare” nella parrocchia; Il Fraterno Aiuto CristianoCapitolo IV: La pastorale della carità dal fraterno aiuto cristiano alle Caritas par-rocchialiIl Fraterno Aiuto Cristiano: prime esperienze di pastorale parrocchiale della carità; La nascita della Caritas Italiana; Il Fraterno Aiuto Cristiano e la Caritas parrocchiale; L’o-rientamento degli anni ’70/’80: l’“opzione preferenziale per i poveri; L’orientamento degli anni ‘90/2000: il “Vangelo della carità”; La “pedagogia del buon Samaritano”Capitolo V: Il movimento Fac in alcune parrocchie dell’Arcidiocesi di Trani - Bar-letta - BisceglieDiffusione del Movimento Fac in alcune parrocchie dell’Arcidiocesi di Trani – Barletta – Bisceglie; Il Movimento Fac nella parrocchia di San Giuseppe in Trani; Il Movimento Fac nella parrocchia dello Spirito Santo in Trani; Il Movimento Fac nella parrocchia di Santa Chiara in Trani; La presenza del Movimento Fac nella comunità diocesanaConclusioni

CATERINO Mariapia

La bella notizia della e nella famiglia, Relatore prof. Paolo Farina, difesa il 22 dicem-bre 2014

IntroduzioneCapitolo I: La famiglia nella Bibbia La creazione dell’uomo e della donna (Gn. 2); L’amore sino alla fine (Os. 2); Lo sposo e la sposa (Ct. 2); La famiglia icona della Trinità; Dall’individuo alla persona; Sessualità come via alla comunione; Le note qualificanti la famiglia; La complementarietà; Nel completarsi gli sposi completano i figli, la Chiesa, la società; La condivisione uniti nel corpo, nell’anima e nello spirito; La compresenza

Capitolo II: La metafora della casaIl Soggiorno spazio per costruire relazioni belle; La cucina luogo della condivisione; Sala da pranzo luogo della narrazione; Camera da letto luogo della celebrazione della sponsalità; Il bagno luogo della cura

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Capitolo III: Famiglia e eucaristiaDall’eucaristia all’amore sponsale; Un pane da condividere; Famiglia e preghiera; Rela-zione tra famiglia e preghiera; Dio parla la nostra linguaCapitolo IV: Il vangelo della famigliaLa nuova evangelizzazione; Perché la Chiesa parla di famigliaConclusione

CICCARELLI Giuseppina

La Congregazione delle Ancelle della Divina Provvidenza fondata a Bisceglie da don Pasquale Uva per l’assistenza ai “deficienti dell’Italia Meridionale”, Relatore prof. Antonio Ciaula, difesa l’8 luglio 2015

IntroduzioneCapitolo I: La Casa della Divina Provvidenza fondata da don Uva a servizio dei “deficienti dell’Italia Meridionale” e la nascita della Congregazione religiosa femminileLa Casa della Divina Provvidenza. Dall’idea del fondatore alla sua realizzazione; Dalle Suore Trinitarie alla Congregazione femminile delle Ancelle della Divina Provvidenza per l’assistenza ai ricoverati; Il gruppo delle prime Ancelle confondatrici; Il Regolamento dell’Istituto e le Ancelle della Divina ProvvidenzaCapitolo II: I Servi della Divina Provvidenza. La Congregazione religiosa maschile fondata da don UvaProgetto di fondazione e nascita della Congregazione maschile dei Servi della Divi-na Provvidenza; La Congregazione maschile dei Servi della Divina Provvidenza. Lo Statuto e la disciplina interiore dei Religiosi; I primi religiosi e lo sviluppo della Pia Associazione; Compiti delle due Congregazioni religiose e loro rapporti; Un nuovo compito per le AncelleCapitolo III: Le Ancelle della Divina Provvidenza: identità, compiti, vita di comunitàIdentità carismatica delle Ancelle; Preziosità della vita umana e missione e compiti delle Ancelle; Ancelle e vita di comunità e di orazioneCapitolo IV: Le Ancelle consacrate a Dio e al servizio dei fratelli ‘folli’ nelle medita-zioni di don Uva di giugno 1936Assistenza agli infermi e cammino di Santità nel pensiero di don Uva; Le meditazioni di don Uva alle Ancelle nel mese di giugno 1936; La consacrata, il fine dello stato religioso, la santità. Meditazioni del 9, 10, 11 e 14 giugno 1936; Il vicendevole rapporto tra la

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Religiosa e Dio. Meditazioni del 12 e 13 giugno 1936; La Religiosa, la perfezione e i mezzi per conseguirla. Meditazioni del 15 e 16 giugno 1936; I voti di castità, povertà e obbedienza. Meditazioni dal 17 al 27 giugno 1936Conclusioni

CORVASCE Mariangela

Antropologia religiosa e prospettive di educazione interculturale, Relatore prof. Paolo Farina, difesa il 22 dicembre 2014

PresentazioneCapitolo I: Homo naturaliter religiosus Testimonianze di un passato remoto; La sacralità del cosmo rivela Dio; L’uomo si per-cepisce partner di un progettoCapitolo II: Una teologia plurale Un mosaico di fedi; La creazione; L’induismo; Il buddismo; La concezione biblica; La salvezza; L’eticaCapitolo III: La specificità dell’antropologia cristianaIl cristianesimo come nuovo orizzonte dell’umano; Extra ecclesia nulla salus?; La religione non più fattore di scontro ma d’incontroCapitolo IV: La religiosità umana una dimensione tutta da “rieducare”Per una evoluzione positiva della religiosità; La religione fattore di disagio dell’oggi, ma speranza per il futuro; Educarci alle emozioni nella società multiculturale; Il contributo della scuola per una società multiculturale di identità complessaConclusione

CRISTALLO Francesca

Chiesa e comunicazione sociale istituzionale. I fondamenti nell’Inter mirifica, nella Communio et progressio e nella normativa canonica. Una panoramica, Relatore prof. Antonio Ciaula, difesa il 8 luglio 2015

IntroduzioneScheda. La Comunicazione Istituzionale della Chiesa. Nozione e nuovi percorsiCapitolo I: La comunicazione nella ChiesaLe caratteristiche emergenti nel Concilio Vaticano II: compito missionario ed educativo degli strumenti di comunicazione sociale; Magistero -e strumenti di comunicazione

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sociale prima del Concilio Vaticano II; Il decreto Inter mirifica e alcune “novità” conciliari nell’atteggiamento della Chiesa verso i mediaCapitolo II: La Comunicazione sociale tra decreto Inter Mirifica e istruzione pasto-rale Communio et Progressio: fondamenti di comunicazione istituzionale nei due documentiIl diritto nativo della Chiesa a usare e possedere gli strumenti di comunicazione sociale nel decreto Inter Mirifica; La lettera apostolica In fructibus multis con cui Paolo VI istituisce la Pontificia Commissione per le Comunicazioni Sociali; L’istruzione pastorale Communio et Progressio: tra parte dottrinale, finalità, organizzazione. Organismi, strutture e comu-nicazione istituzionale; I fondamenti della comunicazione istituzionale nella Communio et Progressio tra missione, istituzioni, figure e strumenti; Fondamenti e impegno per la missione; Le strutture istituzionali, i responsabili, i loro compiti. Gli Uffici nazionali e diocesani delle Comunicazioni Sociali; Comunicazione istituzionale della Chiesa: figure e strumenti. Il Portavoce “ufficiale” e permanente e i Notiziari “ufficiali” e BollettiniCapitolo III: Le Comunicazioni sociali nella normativa canonicaIl munus docendi. Le norme canoniche sulle comunicazioni sociali; Norme di Diritto Canonico e media; Comunicazioni sociali e nuovo Codice di Diritto Canonico. Un percorso di studio da approfondireCapitolo IV: Comunicazione sociale istituzionale della Chiesa Tra organismi e isti-tuzioni della Santa Sede. Alcuni esempiOrganismi e Istituzioni della Curia Romana secondo la costituzione apostolica Pastor Bonus di Giovanni Paolo II (28 giugno 1988); Alcuni organismi per la comunicazione della Santa Sede. Profilo; La Sala Stampa della Santa Sede; Il Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali; La Filmoteca Vaticana; L’Osservatore Romano; La Radio Vaticana; La libreria Editrice Vaticana; Gli Acta Apostolicae Sedis; La Santa Sede su Internet; Il nuovo Dicastero della comunicazione voluto da Papa Francesco; Alcune brevi considerazioniConclusioni

DIAKOVIEZ Marcella Clara

Per il profilo di un laico: Francesco Santovito, direttore dell’Isr e la formazione teologica a Trani dopo il Vaticano II, Relatore prof. Antonio Ciaula, difesa il 22 di-cembre 2014

IntroduzioneScheda 1 Il prof. Francesco Santovito; Scheda 2 L’Isr di Trani, oggi Issr; Scheda 3 Docenti dell’Isr di Trani (1979-1999)

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Capitolo I: Il prof. Francesco Santovito, laico e teologo, docente di Teologia nell’Isr di Trani Francesco Santovito, docente dell’Istituto, tra problematiche iniziali e successivi sviluppi; Il prof. Santovito e l’insegnamento di Teologia fondamentale. Programmi e testi di studio e di riferimento; Le altre discipline insegnate dal prof. SantovitoCapitolo II: Il prof. Francesco Santovito e l’Isr di Trani. Il suo ruolo di promozione e di direzioneIl prof. Santovito collaboratore del preside mons. Gallo dall’inizio dell’Istituto di Scienze Religiose al 1986; Francesco Santovito Vice Direttore dell’Isr con la direzione di mons. Mauro Cozzoli (1986-1989); Tematiche teologiche e prospettive di ricerca in alcune proposte del prof. Santovito (luglio 1988); Santovito dopo il primo anno di direzione: la formazione teologica come riflessione critica, capacità di analisi ed itinerario eccle-siologico-spirituale. Il Consiglio del 24 luglio 1990; L’Istituto, la formazione, l’attività scientifica nella Relazione finale del 1991 – 1992 e in quella del triennio 1989 – 1992 Capitolo III: Alcune relazioni del prof. Santovito durante il decennio di direzioneLa relazione del 1992-1993: l’Isr come “seminario dei laici”, la loro formazione teologica e i riferimenti alla Nota pastorale Cei del 1985; Dalla relazione annuale 1993-1994: l’Isr come “strumento della Chiesa particolare”. I riferimenti alla Nota illustrativa e normati-va Cei del 1993; L’ultimo triennio di direzione (1996-1999); La riproposizione di una questione centrale: l’Istituto, il suo stato generale e le sue finalità. La relazione al Con-siglio di Istituto del 27 marzo 1998; La Relazione dell’anno 1997-1998; La Relazione al Consiglio di Istituto del 26 marzo 1999; La Relazione triennale 1996 - 1999; Uno sguardo di sintesi sull’Isr al termine della direzione del prof. Santovito Capitolo IV: Scritti del prof. Santovito riguardanti l’Isr di Trani e i suoi contatti nel mondo accademico ed ecclesiale italiano Gli scritti di Santovito sull’Istituto e i suoi docenti; “La teologia non si fermi alla con-cettualità”. Il senso della “storia dell’Istituto” scritta da Santovito per Salos; L’Istituto attraverso il ricordo dei docenti; Altri scritti di Santovito su Salòs; La cura dei Quaderni di Cultura e Formazione; Oltre l’Isr di Trani. Contatti e rapporti di Franco SantovitoConclusioni

LACALAMITA Ada

Charles de Foucauld e Madeleine Delbrêl testimoni della mistica Cristiana alla luce del Concilio Vaticano II, Relatore prof. Vincenzo Robles, difesa il 17 dicembre 2015

IntroduzioneCapitolo I: La teologia mistica

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La mistica: alla ricerca di una definizione; Breve itinerario storico della mistica cristiana; Caratteristiche distintive dell’esperienza e della vita mistica; Tipologia della vita mistica; Le vie dell’interiorità; La conformità con Cristo; La mistica apostolicaCapitolo II: Charles de Foucauld e la misticaCenni biografici; Cercatore di Dio; Vita religiosa alla trappa; Il contemplativo del mistero di Nazareth; La conformazione a Cristo; Fratello universale a Beni-Abbès; Missionario fino al dono di sé a Tamanrasset; Desolazione interiore; ConclusioneCapitolo III: Madeleine Delbrêl mistica del XX secoloCenni biografici; Dall’ateismo alla mistica; Il vangelo della strada; Vita fraterna in comune; Santità tra gli uomini di ogni credo; Tra l’oscurità e la luce nel quotidiano; ConclusioneCapitolo IV: Charles de Foucauld e Madeleine DelbrêlPrecursori del Concilio Vaticano II; Due itinerari spirituali, unica la meta da raggiungere; Due esperienze mistiche alla luce del Vaticano II; Cristo Eucarestia come fulcro dell’unione con Dio (Foucauld); Un cristianesimo aperto al mondo (Delbrêl); Imitazione-sequela del beneamato GesùConclusioni

LIANTONIO Rosa

L’emergenza educativa oggi. Le proposte di Benedetto XVI e Francesco, Relatore prof. Vincenzo Di Pilato, difesa il 17 marzo 2016

LISO Giuseppe

L’enciclica Laudato si’ nelle pagine del quotidiano Avvenire nel primo mese dalla pubblicazione (18 giugno - 18 luglio 2015). Una panoramica, Relatore prof. Antonio Ciaula, difesa il 17 marzo 2016

IntroduzioneCapitolo I: La prima presentazione dell’Enciclica (Avvenire 18-19 giugno 2015)Ecco l’enciclica sulla casa comune. La prima pagina del 18 giugno 2015; Laudato si’ in prima pagina. Gli editoriali del 19 giugno 2015; Il doppio editoriale del teologo e dell’economista; La presentazione della Laudato si’ nelle pagine interne del 18 e del 19 giugno 2015; L’enciclica nelle pagine interne del 19 giugno, giorno successivo alla conferenza stampa di presentazione; Il quotidiano e alcuni punti dell’enciclica attraverso parole chiave e curiosità; La conferenza stampa di presentazione nelle pagine di Avvenire; La presentazione del teologo ortodosso dell’economista statunitense,

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dello scienziato tedesco e dell’insegnante italiana; I commenti scelti dalla redazione; Le dichiarazioni e i commenti; Le dichiarazioni e i commenti istituzionali dal mondo politico e sindacale; Dichiarazioni e commenti dal mondo ecclesiale e da quello della cultura; Le interviste del quotidiano. Per il mondo scientifico, della cultura e della politica parlano l’economista, lo scienziato, il ministro e il gastronomo; Le tematiche e i modi di comunicare: le impaginazioniCapitolo II: L’Enciclica nei numeri di Avvenire dal 20 al 30 giugno 2015Continua la Laudato si’ in prima pagina; Laudato si’, riflessioni e interventi dal mondo ecclesiale; La Laudato si’ e le iniziative nelle Chiese locali; L’enciclica vista dal mondo della cultura, della scienza, dell’ecologia, del lavoro e della politica; L’enciclica e i gesti, le proposte, i fatti per un nuovo stile di vitaCapitolo III: L’Enciclica nei numeri di Avvenire dal primo al 18 luglio 2015Continua la Laudato si’ in prima pagina; Laudato si’, riflessioni e interventi dal mondo ecclesiale; La Laudato si’ e le Chiese locali; L’enciclica vista dal mondo della cultura, della scienza, dell’ecologia, del lavoro e della politicaConclusioni

LOPS Francesco

Mons. Francesco Petronelli, Relatore prof. Vincenzo Robles, difesa il 17 dicembre 2015

IntroduzioneCapitolo I: Profilo biografico e azione pastoraleCenni Biografici; Gli esordi di Pastore; Mons. Petronelli e la sua attività vocazionale nell’inizio dell’episcopato; Pastore nella diocesi di Trani; Mons. Petronelli e la sua attività vocazionale nella diocesi di Trani; Mons. Petronelli e il FascismoCapitolo II: La Chiesa nella Diocesi di Trani L’Arcidiocesi di Trani nel XX secolo; Il Movimento Cattolico; La Grande Guerra e la sua pesante eredità; La situazione attraverso gli atti magisteriali; L’attenzione di Mons. Leo verso i laici; I fedeli e la loro religiosità; Monsignor Leo e l’istituto familiare; Le nuove ideologie e i contrasti sociali; Segni pastorali tangibili di Mons. Leo; Tensioni con il Capitolo; Il Congresso EucaristicoCapitolo III: L’attività pastorale di mons. Petronelli durante il periodo del regime fascista Situazione sociale e rapporti con il regime fascista; Mons. Petronelli autentico pastore di anime; La spiritualità e gli insegnamenti di Mons. PetronelliConclusione

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MANGANO Mariagrazia

Icone mariane tra comunicazione simbolica ed aspetti religiosi ed espressivi, Relatore prof. Paolo Papagni, difesa il 15 aprile 2015

IntroduzioneCapitolo I: Il rapporto di Maria con la Parola di Dio

Il linguaggio simbolico per parlare con Dio; Maria Madre del Dio SalvatoreCapitolo II: Storia e teologia delle icone marianeIl significato storico e teologico dell’icona; Introduzione storica; Teologia delle icone; Preghiera con le iconeCapitolo III: Le icone della Madre di DioI caratteri comuni di alcune icone mariane bizantine; Il modello sacro dell’Odigitria; Il tipo affettuoso dell’Eleousa; Il tipo umano dell’allattante la Galaktotrophousa; Il tipo intercedente dell’orante: la Blachernitissa e l’Aghiosoritissa; Il tipo della Kiriotissa; Santa Maria dello Sterpeto; La Theotokos del rovetoCapitolo IV: Il simbolismo dei coloriSegno, significato e simbolo; La comunicazione visiva; L’immagine come partecipazione al Divino; L’icona come realtà spirituale nella comunicazione religiosa; L’importanza del colore dell’iconografia bizantina; Il significato simbolico dei colori; Simbologia mariana: i fioriCapitolo V: L’icona mariana nella comunicazione religiosa contemporaneaL’icona: destinazione e mezzo di comunicazione divina; Il II Concilio di Nicea (787) e l’im-portanza della Lettera Apostolica Duodecimum Saeculum; Paolo VI: Il Papa amico dell’arteConclusione

MARTIRADONNA Angela Maria

Don Primo Mazzolari la “tromba dello spirito”, Relatore prof. Vincenzo Robles, difesa il 17 dicembre 2015

IntroduzioneCapitolo I: Vita di un uomo di pace, non in paceLe origini contadine; Uomo del cuore; Un prete obbedienteCapitolo II: Don Primo e i suoi insegnamentiIl desiderio di conoscere “l’uomo”; Il “mediatore” rivitalizzato alla luce di Cristo; Cre-atività personaleCapitolo III: L’eredità di Primo Mazzolari

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Un incredibile cristiano; Evangelizzazione e riforma; Don Primo e la politica; Matura-zione verso il pacifismoConclusione

MIANI Maria Lucia

Giovanni XXIII, Relatore prof. Vincenzo Robles, difesa l’8 luglio 2015

Introduzione Capitolo I: Brevi cenni sulla vita di Angelo Giuseppe RoncalliDall’infanzia all’ordinazione sacerdotale Capitolo II: Esperienza ecumenica di Angelo Giuseppe RoncalliLa nomina a Vescovo; Delegato apostolico in Bulgaria; Delegato apostolico in Turchia e Grecia; Nunzio a Parigi Capitolo III: Da Venezia a RomaPatriarca a Venezia; Elezione a Pontefice; Normalizzazione della Curia; Vescovo di Roma; La decisione del Concilio Capitolo IV: Il Concilio Vaticano II e le EnciclicheL’annuncio del Concilio del 25 gennaio 1959; La solenne apertura e il difficile inizio; La chiusura della prima fase; Le Encicliche; Ultimi giorni di vita di Gio-vanni XXIII Conclusione

PAOLILLO Nicola

Gesù figlio di Dio e Spirito datore di vita. Riflessioni su altre tematiche cristologiche comparati con diverse concezioni dei Testimoni di Geova, Relatore prof. Don Matteo Martire, difesa il 15 aprile 2015

IntroduzioneCapitolo I: Gesù Spirito datore di vitaLa rivelazione dello Spirito Santo nell’Antico Testamento; Cosa dice il Nuovo Testamento; Alcuni passi manipolati; Alcuni errori dei TdG sulla pneumatologia cattolicaCapitolo II: Sintesi di altre falsificazioni cristologicheGesù identificato con l’arcangelo Michele; Johannes Greber; Adorare e pregare Gesù; Il Natale di Gesù; La resurrezione di Gesù vista dal geovismo; Le pseudo citazioni dei Padri della ChiesaCapitolo III: Le date della fine del mondo e cronologia biblica

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C.T. Russell; J.F. Rutherford; N.H. Knorr; La generazione che non passa; I TdG e il 1914; I segni della fine; I falsi profeti; La pseudo bibbia geovistaConclusione

PROCACCI Silvana

L’immagine del Papa nei titoli dei quotidiani per l’annuncio dell’elezione e delle dimissioni di Benedetto XVI, Relatore prof. Antonio Ciaula, difesa il 15 aprile 2015

IntroduzioneCapitolo I: La “lettura” strutturale dei giornali. Aspetti metodologici: il Segno - giornale e le sue modalità di comunicare e informare Il giornale e il suo autore. Un primo approccio; Il Segno – giornale nel processo della comunicazione; I titoli ed il corpo dell’articolo; Altri aspetti metodologici; Il rapporto evento-lettore e la “lettura strutturale”; Alcuni elementi Metodologia della lettura strut-turale applicati nel presente lavoro Capitolo II: Il Romano Pontefice: aspetti storici e dottrinali e gli eventi dell’annuncio dell’elezione e delle dimissioni di Benedetto XVIIl Papa e il governo della Chiesa Cattolica; Il primato della sede romana dai Padri della Chiesa alla fine del primo Millennio; Il papato nel secondo Millennio fino al Vaticano II; Collegialità episcopale e primato pontificio nel Vaticano II; Il Romano Pontefice nel Co-dice di Diritto Canonico; Il Papa nel Catechismo della Chiesa Cattolica; L’evento - annuncio dell’elezione di Benedetto XVI; L’evento – annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI Capitolo III: L’elezione di Benedetto XVI nel titolo principale delle prime pagine dei quotidiani italiani del 20 aprile 2005. I diciassette quotidiani esaminatiIl “racconto” della elezione di Benedetto XVI nei titoli di prima pagina. L’aspetto ver-bale; L’aspetto verbale nei titoli prevalentemente informativi; L’aspetto verbale nei titoli informativo-interpretativi; L’aspetto verbale nei titoli interpretativi; L’aspetto entipologico: il titolo principale e la prima pagina; Prime considerazioniCapitolo IV: L’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI nel titolo principale delle prime pagine dei quotidiani italiani del 12 febbraio 2013I ventiquattro quotidiani esaminati; Il “racconto” dell’annuncio delle dimissioni di Bene-detto XVI nei titoli di prima pagina. L’aspetto verbale; Aspetto verbale e titoli di prima pagina prevalentemente informativi, informativo – interpretativi, interpretativi; L’aspetto verbale nei titoli prevalentemente informativi; L’aspetto verbale nei titoli informativo-interpretativi; L’aspetto verbale nei titoli interpretativi; L’aspetto entipologico: la prima pagina, il titolo principale, le fotoConclusioni

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SECCIA Luigi

Il cuore misericordioso del Padre. Una interpretazione in chiave antropologica di Lc 15,11-32, Relatore prof. Paolo Farina, difesa il 15 aprile 2015

SGARAMELLA Paola

“Evangelii gaudium” istanze etico-teologiche, Relatore prof. Domenico Marrone, difesa il 17 dicembre 2015

IntroduzioneCapitolo I: La gioia: paradigma teologico-moraleL’uomo creato per la gioia; Radici etimologiche della gioia; “Piacere” e “gioia”: oltre i frain-tendimenti; Il dinamismo della gioia; La gioia come comunione con Dio e con il prossimoCapitolo II: La misericordia: criterio ermeneutico dell’agire morale

La misericordia come “sentimento costante” di vita; Nuove sfide per l’evangelizzazione; La misericordia: culmine nella gerarchia delle virtù etiche; La misericordia: fondamento dell’agire moraleCapitolo III: Per una chiesa in uscitaLa famiglia come paradigma interpretativo-relazionale per l’evangelizzazione; Chiesa, paradigma paterno/materno ed evangelizzazione; Chiesa ed archetipo nuziale; Chiesa “popolo di Dio” e “comunità in uscita”; Agire ecclesiale e corresponsabilitàCapitolo IV: Poveri della terra e povera terraLa “cultura dello scarto”; Inclusione sociale dei poveri; Pace, giustizia e bene comune; La “casa comune”: giardino violatoConclusione

STORELLI Maria Rosaria

Itinerario catecumenale dei giovani e adulti diversamente abili, Relatore prof. Savino Giannotti, difesa il 22 dicembre 2014

STRIPPOLI Eleonora

Scrivere un’icona oggi: il santo vescovo Sabino, patrono di Canosa di Puglia, Relatore prof. Antonio Ciaula, difesa il 17 marzo 2016

Introduzione

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Capitolo I: L’icona: aspetti storici, teologici e metodologici. Cenni.Dal divieto di fare immagini alla ricerca del ritratto fisico di Cristo; Il II Concilio di Nicea (787) e la lettera apostolica Duodecim saeculum di Giovanni Paolo II; L’icona. Aspetti teologici e sua funzione sacramentale e liturgica; L’immagine come partecipa-zione al divino. Il pensiero di Giovanni Damasceno; L’immagine come segno. Aspetti metodologici Capitolo II: Scrivere l’icona. Aspetti metodologici e compositivi, tra idea e realiz-zazioneScrivere l’icona. Il processo dall’idea al segno realizzato; Elementi dell’icona come imma-gine (bidimensionalità, irraggiamento, prospettiva rovesciata, atemporalità); Simbolismo, colori e iscrizione. Idea dell’iconografo e realizzazione; L’iconografoCapitolo III: Scrivere l’icona. Tecniche pratiche ed aspetti espressiviScrivere l’icona. Il processo; Tecniche pratiche. Alcuni passaggi; La scelta del legno e la sua preparazione; L’imprimitura, l’incisione del gesso e la doratura; Tecniche ed aspetti espressivi; Le proporzioni del corpo; I colori. La pittura e la verniciatura; Aspetti espres-sivi. Criteri compositivi e struttura; Esempi. Il Volto di Cristo, l’iconografia mariana, le icone degli Apostoli e dei SantiCapitolo IV: San Sabino vescovo, patrono di Canosa. Ricerca iconografica e scrittura dell’iconaLo studio preliminare: San Sabino vescovo di Canosa e il suo patronato; La ricerca ico-nografica: iconografia sabiniana nella Cattedrale di Canosa; La ricerca iconografica: il mosaico di Monreale e il Codice Cassinese; La scrittura dell’icona di San Sabino: aspetti contenutistici e tecnico-espressivi Conclusione

ZECCHILLO Francesco

Il Viaggio Apostolico di Papa Francesco a Cuba e negli Stati Uniti (19-28 settembre 2015) nelle pagine de L’Osservatore Romano. Scelte redazionali ed aspetti entipolo-gici, Relatore prof. Antonio Ciaula, difesa il 17 dicembre 2015

IntroduzioneScheda 1. L’Osservatore Romano, la Sala Stampa, il Centro Televisivo Vaticano e i compiti del recente Dicastero della Comunicazione voluto da Papa Francesco a giugno 2015; Scheda 2. Viaggio Apostolico del Santo Padre Francesco a Cuba, negli Stati Uniti d’America e Visita alla Sede dell’Organizzazione delle Nazioni Unite in occasione della partecipazione all’VIII Incontro Mondiale delle Famiglie in Philadelphia (19-28 set-tembre 2015)

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Capitolo l: Aspetti metodologici per la “lettura” del quotidiano. Brevi cenniComunicazione intellettiva: elementi e processo della comunicazione; Il Segno. Concet-tuale e Contornuale. Il Segno-giornale quotidiano; Il giornale quotidiano. Scelte redazio-nali ed aspetti entipologici; Il giornale quotidiano. Definizione; Il giornale quotidiano. I titoli e la loro capacità di attrazione; Cenni sulla lettura strutturale del giornale quotidiano; Esempio di scelte redazionali ed aspetti entipologici ne L’Osservatore Romano e in altri tre quotidiani del 18 settembre 2015Capitolo II: Le tappe del viaggio apostolico nei messaggi di Papa Francesco, negli articoli di presentazione delle Chiese locali di Cuba, Washington e New York, nell’in-tervista del card. Parolin e nell’intervento dei Segretario generale OnuI messaggi del Papa prima del viaggio e le presentazioni della Chiesa dell’Avana e di Holguin; L’intervento del card. Ortega y Alamino, Arcivescovo dell’Avana; L’intervento di Emilio Aranguren Echeverría, Vescovo di Holguin; Alcune prime considerazioni sugli aspetti entipologici; L’intervista al Segretario di Stato card. Pietro Parolin e l’intervento del Segretario generale dell’Ono Ban Ki-Moon; Verso una nuova stagione. L’intervista a Centro televisivo vaticano, del Segretario di Stato card. Pietro Parolin; Valori condivisi per un futuro comune. L’intervento del Segretario generale dell’Ono Ban Ki-Moon; Gli interventi degli arcivescovi di Washington e New York;L’intervento del card. Donald Wuerl, arcivescovo di Washington; L’intervento del card. Timothy M. Dolan, arcivescovo di New YorkCapitolo III: Papa Francesco a Cuba. Scelte redazionali ed aspetti entipologici nelle pagine de L’Osservatore Romano. Alcuni esempiPapa Francesco a Cuba. Gli avvenimenti in programma dal 19 al 22 settembre; Scelte redazionali e articoli sulla visita a Cuba; Le pagine sulla visita a Cuba. Aspetti entipo-logici. EsempiCapitolo IV: Papa Francesco a: Washington e New York. Scelte redazionali ed aspetti entipologici nelle pagine de L’Osservatore Romano. Alcuni esempiPapa Francesco a Washington e New York. Gli avvenimenti in programma dal 22 al 25 settembre; Scelte redazionali e articoli sulla visita a Washington e New York; Le pagine sulla visita a Washington e New York. Aspetti entipologici. EsempiCapitolo V: Papa Francesco a Filadelfia per I’VIll Incontro Internaziona!e delle Famiglie. Scelte redazionali ed aspetti entipologici nelle pagine de L’Osservatore Romano. Alcuni esempiPapa Francesco a Filadelfia. Gli avvenimenti in programma dal 26 al 28 settembre; Scelte redazionali e articoli sulla visita a Filadelfia; Le pagine sulla visita a Filadelfia. Aspetti entipologici. EsempiConclusioni

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Dissertazioni per la Laureain Scienze Religiose

BALDUCCI Maria Teresa

Il giudizio universale come compimento della salvezza nell’iconografia medievale pugliese, Relatore prof. Matteo Martire, 17 marzo 2016

IntroduzioneCapitolo I: Il Giudizio Universale: fondamenti biblici e Magistero attuale della ChiesaIl Giudizio Universale; Il Giudizio Universale nel contesto dell’escatologia vete-rotestamentaria; Il giorno di Jhwh; Il Libro di Daniele; La “visita di Dio” nella letteratura sapienziale; Il Giudizio Universale nel contesto dell’escatologia neote-stamentaria; Il Giudizio finale nel “discorso escatologico” di Matteo (Mt 25, 31-46); La presenzialità del giudizio e il suo compimento nell’ultima ora: il Vangelo di Giovanni; Il Giudizio Universale negli scritti apostolici; Il Giudizio Universale nell’Apocalisse; Il Magistero attuale della Chiesa: dal Concilio Vaticano II ai no-stri giorni; Lumen Gentium n. 48; Il Documento della Commissione Teologica Internazionale “Alcune questioni attuali riguardanti l’escatologia”; Il Catechismo della Chiesa CattolicaCapitolo II: L’iconografia del Giudizio UniversaleLa rappresentazione del Giudizio Universale: caratteristiche generali; L’iconografia del Giudizio Universale: fonti bibliche; L’iconografia del Giudizio Universale in Occidente; L’iconografia del Giudizio Universale in OrienteCapitolo III: L’iconografia del Giudizio Universale in Puglia tra XII e XV secoloIl Giudizio Universale in Puglia – Caratteristiche e diffusione; Il Paradiso e l’Inferno di Pantaleone nella cattedrale di Otranto; Il Giudizio Universale di Rinaldo da Ta-ranto in Santa Maria del Casale a Brindisi; Il Giudizio Universale della Chiesa di San Giovanni Evangelista a San Cesario di Lecce; Il Giudizio Universale della Chiesa del Casale di Zappino a Bisceglie; Il Giudizio Universale della Chiesa di Santo Stefano a Soleto; Il Giudizio Universale della Chiesa di Santa Maria la Veterana a Bitetto; Il Giudizio Universale della Chiesa abbaziale di San Leone a BitontoConclusioni

Anno XV, nn. 15/16, giugno 2016, pp. 131 - 149ISSN 2240-2666 - Issr Trani

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BALZANO Giuseppe

La seconda sessione del Vaticano II nelle pagine de L’Avvenire d’Italia (28 settembre – 5 dicembre 1963), Relatore prof. Antonio Ciaula, difesa il 15 aprile 2015

IntroduzioneCapitolo I: La lettura strutturale del giornale: aspetti metodologici utilizzati nella ricercaIl giornale quotidiano, il suo autore, il processo della comunicazione; Il giornale come segno; Il rapporto Comunicante – lettore; Il rapporto evento – lettore Capitolo II: Il Concilio Vaticano II come realtà osservata e comunicata Il Concilio Vaticano II: sessioni e tematiche; L’apertura del Concilio; Le quattro sessioni; Il primo periodo (11 ottobre – 8 dicembre 1962); Il secondo periodo (29 settembre – 4 dicembre 1963); Il terzo periodo (14 settembre – 21 novembre 1964); Il quarto periodo (14 settembre – 8 dicembre 1965); La conclusione del Concilio Vaticano II; Osservare e trasmettere il Concilio; Raniero La Valle, direttore de L’Avvenire d’Italia; Mons. Guano e la segretezza del Concilio; Il compito del giornalista cattolicoCapitolo III: La seconda sessione: alcuni temi. Interventi e firmeIl Concilio riprende; Lo schema De Ecclesia; La collegialità episcopale; Il ripristino del diaconato; I vescovi e il governo delle diocesi; L’ecumenismoConclusioni

CARBONARO Giacomo Antonio

“Credo ut intelligam” nelle opere maggiori di Sant’Anselmo D’Aosta, Relatore prof. Riccardo Losappio, difesa il 17 dicembre 2015

IntroduzioneCapitolo I: Biografia di Sant’Anselmo D’AostaVita di Anselmo; Introduzione al Monologion e ProslogionCapitolo II: MonologionIntroduzione; Il Sommo Ente e la Somma Verità; Gli attributi della somma essenza; La Rivelazione delle tre sostanzeCapitolo III: ProslogionIntroduzione; La vera esistenza di Dio; Critica di Gaunilone in difesa dell’insipiente; Risposta di Anselmo a GauniloneCapitolo IV: La critica filosoficaIntroduzione: Gaunilone e San Tommaso D’Aquino; Immanuel Kant e Hegel; Leibniz e Cartesio; Kurt Godel; Karl BarthConclusione

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CATANO Antonia

Una chiesa povera per i poveri, Relatore prof. Paolo Farina, difesa il 17 marzo 2016

IntroduzioneCapitolo I: I poveri: dalla teologia all’ortoprassi della fedeLe esigenze evangeliche della povertà; La povertà evangelica, legge della Chiesa e del cristiano; La Chiesa: risorsa dei deboli e dei poveriCapitolo II: Teologia e liberazioneLiberazione e sviluppo; Il processo di liberazione; La liberazione per i Padri della Chiesa; La liberazione nella teologia medioevale; La liberazione nella teologia moderna; Oscar Romero, vescovo col profumo delle pecoreCapitolo III: La Chiesa oggi: un papa di nome FrancescoLa gioia del Vangelo nella missione e nell’attesa del regno; Maria, Madre della missione nella Chiesa; Il magistero di Papa Francesco in America Latina; Il viaggio in Bolivia, Equador e Paraguay; Papa Francesco a Cuba e negli U.S.A.Capitolo IV: Il caso MiracapilloPadre Giuliani, missionario a servizio degli ultimi; Paradigma della tensione tra Stato e Chiesa in Brasile; Don Vito: processo, condanna e revisioneConclusioni

CERMINARA Alessandro

Dibattito attuale sull’accesso ai Sacramenti da parte dei battezzati divorziati e risposati alla luce della Relatio Synodi 2015, Relatore prof. Giuseppe Tupputi, difesa il 17 marzo 2016

IntroduzioneCapitolo I: Indissolubilità del Matrimonio e condanna delle nuove nozzeLa prassi giudaica; La grande novità del Vangelo; Magistero della ChiesaCapitolo II: Il necessario distacco dal peccato per ricevere il perdonoCosa dice la Sacra Scrittura; Dispute pre-tridentine; La dottrina del Concilio di Trento; Conclusioni: cosa occorre per il perdono del peccato di nuovo Matrimonio dopo il DivorzioCapitolo III: Le condizioni per l’accesso all’EucaristiaTestimonianze Bibliche e Patristiche; Dottrina della Chiesa; Conseguenze per chi non si distacca dal proprio peccatoCapitolo IV: Disciplina della Chiesa sul tema, dalla Familiaris Consortio al Sinodo 2015La dottrina della Familiaris Consortio di San Giovanni Paolo II; Conseguenze; Le proposte approvate dai Padri Sinodali nella Relatio Synodi 2015; Questioni aperte

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ConclusioniMisericordia e Verità; Eucaristia Vero Corpo di Cristo e necessaria devozione nell’acco-starvisi; “Parole di vita eterna” e “Segni dei tempi”; Dottrina, “adattamenti pastorali” ed esempi di parte del protestantesimo; In conclusione

CILIENTO Debora

Il Metodo dell’Azione Cattolica Ragazzi: formazione, cammino annuale e comuni-cazione, Relatore prof. Antonio Ciaula, difesa il 15 aprile 2015

IntroduzioneCapitolo I: Brevi cenni storici sull’Azione Cattolica ItalianaL’Azione Cattolica dalle origini al Concilio Vaticano II; L’Azione Cattolica dal Concilio Vaticano II al nuovo Statuto; L’Azione Cattolica Al Passo coi tempiCapitolo II: Il Progetto Formativo dell’Azione CattolicaIl cammino formativo dell’Azione Cattolica. Il cammino dell’Azione Cattolica Ragazzi. Il Metodo AcrCapitolo III: L’Acr e la comunicazione Il bisogno di comunicare; I mezzi di comunicazione; L’Acr e la Parola vera; L’Acr e i bambini e ragazzi di oggi; L’Acr al passo con te; L’Educatore Acr, un punto di riferimento; L’Educatore come comunicatoreCapitolo IV: Il cammino annuale dell’Acr: un’avventura sempre nuovaCome nasce il Cammino annuale Acr; Il Cammino Acr. Genesi e aspetti operativi; Le Guide Acr 2009 – 2015. Ideazione e rappresentazione; Siamo in Onda. La Guida 2009 – 2010; Ciò che conta di più. La Guida 2010- 2011; Punta in Alto. La Guida 2011- 2012; In cerca d’autore. La Guida 2012-2013; Non c’è gioco senza te La Guida 2013-2014; Tutto da scoprire. La Guida 2014-2015; Dalle Commissioni nazionali alle Equipe diocesane. L’Acr nell’Arcidiocesi di Trani – Barletta – Bisceglie; La mia esperienza nell’AcrConclusioni

CORTELLINO Anna

Organismi geneticamente modificati. Considerazioni etiche, Relatore prof. Domenico Marrone, difesa il 15 aprile 2015

IntroduzioneCapitolo I: Orizzonte creazionaleLe biotecnologie rappresentano un problema etico?Capitolo II: L’uso delle biotecnologie: benefici e rischi

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Benefici; La resistenza degli OGM resistenti ai parassiti; Il caso; La fame; Il caso; L’al-lergenicità; Gli antibiotici; Ecosistema: il suolo, la biodiversità; Il suolo; La biodiversitàCapitolo III: Principi e brevettiI principi; Il principio sostanziale equivalenza; Il Principio di Precauzione e i pronun-ciamenti del Magistero; La ricerca; Il casoConclusione

DAMBRA Iolanda

L’arte via per contemplare il volto regale del Cristo vivente, Relatore prof. Matteo Martire, difesa il 17 dicembre 2015

Introduzione Capitolo I: La bellezza via per la santitàLa Bellezza dalla Creazione all’icona; La ricerca del Volto di Dio e la sua rappresentati-vità tra Antico e Nuovo Testamento; Nel principio dell’Incarnazione il paradigma della rappresentazione del Volto di Cristo; L’icona luogo teologico e teofanico; La liceità delle immagini sacre: da Nicea a Trento; Il Volto di Gesù nel percorso iconografico: dalla canonicità dell’Oriente alla libertà creativa dell’Occidente; L’arte sacra e le sue funzioni; L’inquietudine del “Bel Pastore” tra ricerca e invio; Arte sacra via privilegiata di evange-lizzazione; I sensi spirituali per cogliere la “Forma” di CristoCapitolo II: La bellezza via per conoscere il volto regale del Cristo vivente Caratteri della regalità divina: testimonianza alla Verità, dono e misericordia; Gesù è Re: il Volto di Cristo tra Kenosi e Gloria sul trono della Croce; La Risurrezione come fondamento di un’arte cristologica e kerigmatica; Il Volto di Cristo sul Volto della Chiesa: segno di una Pentecoste continua nella logica della “Traditio”, “Receptio” e “Redditio”; Sul Volto del Cristo Vivente e della Chiesa risplende la Shekinah; Talento artistico: dono carismatico; L’arte sacra tra il “già” e il “non ancora”; Arte sacra spazio di silenzio oranteCapitolo III: La pastorale della bellezza nel magistero della Chiesa L’arte sacra nello Spirito del Concilio Vaticano II da Paolo VI a Francesco; La sfida del sacro nell’arte contemporanea; Un’arte parabolica per umanizzare; Bellezza e sensus fidei; Il Volto di Cristo sul volto dell’uomo; Bellezza e gratuità; L’iride segno di Alleanza e di dialogo ecumenicoCapitolo IV: La bellezza come via di purezza e maternità spirituale Maria Madre di Dio la “Tota Pulchra” modello di pura bellezza; Il Volto di Gesù sul volto di Maria; La fecondità materna del servizio artistico a imitazione di Maria; Beata Vergine Maria accanto al ReConclusione

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DARGENIO Pasquale

Gesù di Nazareth, la parola che rivela il silenzio divino del Padre (Gv 1,18), Relatore prof. Matteo Martire, difesa il 22 dicembre 2014

IntroduzioneCapitolo I: Ambiti del silenzioIl silenzio in Teologia; Fenomenologia del silenzio; Silenzio e parola; Silenzio e personaCapitolo II: Il silenzio nell’antico testamentoIn principio, il silenzio della creazione; a. «Bere’shit» ovvero la grazia degli inizi; b. Il valore dei numeri; c. La parola nascente; d. La creazione e il Sinai; a1. La terra informe e deserta; a2. La creatura il sesto giorno; a3. Abramo: la muta obbedienza della fede; La prova di Abramo cammino verso il Moria; Sul monte; Davide: un silenzio che custodisce e protegge; Silenzio dell’uomo, silenzio di Dio; Elia: nel silenzio dell’Horeb; Giobbe: il silenzio di Dio nella sofferenza e nel dolore; La risposta di DioCapitolo III: Il silenzio di Gesù di NazarethGesù, figlio del silenzio; Il silenzio degli inizi; Da Betlehem a Nazareth; Il silenzio del deserto; Il silenzio del suo sguardo; Gesù e i discepoli: uno sguardo che chiama e con-verte; L’uomo ricco che si sottrasse allo sguardo…; colui che si lasciò guardare; Lc 22,54-62: uno sguardo che converte; Il silenzio dell’ascolto; Marta e Maria: l’ascolto come fondamento del servizio; Il silenzio “imposto”; Il silenzio della preghiera; Preghiera filiale e obbediente; Preghiera di domanda e di benedizione; La grande preghiera eucaristica di Gv 17,26; grandi temi della preghiera sacerdotale; a. La vita; b. La consacrazione nella verità; c. Il nome di Dio; d. L’unità; La preghiera del Padre NostroCapitolo IV: Il silenzio nel mistero pasqualeVerso un silenzio sempre più profondo; La necessità della croce; Il silenzio del Getsèmani; Il silenzio nella passione; Il silenzio della croce; Il silenzio del sabato santo; Il silenzio della gioiaConclusione

DEBARI Patrizia

Il pedobattesimo: il mistero di un dono. Riflessioni teologiche per una coscientizza-zione del battesimo, Relatore prof. Ignazio Leone, difesa il 15 aprile 2015

DETOMA Pasquale

Dalla parte degli ultimi nelle “periferie dell’esistenza”: Don Lorenzo Milani, la scuola di Barbiana e l’apostolato con la grammatica in mano, Relatore prof. Luigi Lafranceschina, difesa il 17 dicembre 2015

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DE VIRGILIO Maurizio

Martirio e culto dell’apostolo Pietro a Roma. Testimonianze letterarie e archeologiche. Secc. I – IV, Relatore prof. Vincenzo Pavan, difesa il 22 dicembre 2014

IntroduzioneCapitolo I: Riferimenti storico-biografici sull’apostolo PietroCapitolo II: Testimonianze letterarie sul martirio dell’apostolo PietroFonti letterarie di età apostolica: la prima lettera di Pietro; Fonti letterarie di età su-bapostolica: Clemente di Roma e Ignazio di Antiochia; Fonti letterarie del II secolo: Dionisio di Corinto e Ireneo di Lione; Fonti letterarie tra III e IV secolo: Clemente di Alessandria, Tertulliano, Eusebio di Cesarea; Fonti apocrife: L’ascensione di Isaia, Atti di Pietro e Apocalisse di PietroCapitolo III: Testimonianze archeologiche sul culto dell’apostolo PietroLa necropoli vaticana; Monumentalizzazione della sepoltura di Pietro: “il Trofeo di Gaio”; La basilica costantinianaConclusioni

DEWI Oliva Hendradalima

La Diocesi di Ruteng (Indonesia). Territorio, cultura, aspetti socio-religiosi, Relatore prof. Antonio Ciaula, difesa il 15 aprile 2015

Introduzione Capitolo I: L’Indonesia Caratteristiche geografiche; Storia dell’Indonesia; Periodo classico; Periodo coloniale; Dal periodo dell’Indipendenza alla Riforma; La società indonesiana; Contesto socio-culturale; Il contesto socio-economico; Il contesto socio-religioso Capitolo II: Cultura e Religioni in Manggarai Aspetti geografici; Aspetti storici; L’origine del nome Manggarai; Storia di Manggarai; Aspetti politici; Aspetti culturali; Religione e religiosità; L’uomo; Villaggio, casa, campo; Lingua; Aspetti economici Capitolo III: La Chiesa Cattolica a Manggarai Il Cattolicesimo a Manggarai dalle origini al 1914; Dalle Missioni dei Gesuiti a quella dei Missionari Verbiti (1914-1920); La nascita del Decanato e la struttura gerarchica (1920-1961); L’inizio della Provincia Ecclesiastica (1951-1961); La Diocesi dal 1961 ad oggi; Struttura della Chiesa; La Chiesa Cattolica radicata nella cultura Manggarai Conclusioni

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DI GRAVINA Mariantonietta

La teologia del corpo nelle catechesi di Giovanni Paolo II alla luce del Cantico dei Cantici (1979-1984), Relatore prof. Domenico Marrone, difesa il 22 dicembre 2014

IntroduzioneCapitolo I: La teologia del corpo di Giovanni Paolo III primi passi sul tema dell’amore di Karol Wojtyla; Le catechesi sull’amore nelle udienze del mercoledì di Giovanni Paolo II: il trittico; a. Il progetto originario di Dio sull’unione dell’uomo e della donna (Mt 19, 3-8); b. Il cuore dell’uomo ferito a causa del peccato originale (Mt 5, 27-28); c. Il matrimonio come annuncio e preparazione della risurrezione (Mt 22, 23-30); Le catechesi sull’amore: il matrimonio alla luce delle nozze di Cristo e della Chiesa; a. La reciproca sottomissione; b. La grande analogia di Efesini 5, 21-33; c. Il matrimonio come garanzia dell’Alleanza; d. Il matrimonio: sacramento primordiale e prototipo dei sacramenti della Nuova Alleanza; La riflessione sulla castità coniugale alla luce della enciclica Humanae VitaeCapitolo II: La teologia del corpo di Giovanni Paolo II sul Cantico dei CanticiIl “linguaggio del corpo” secondo il Cantico dei Cantici; a. La parola come segno sa-cramentale; b. Il Cantico dei Cantici e la grande analogia; c. Il bacio la prima “parola” nel linguaggio dell’amore; d. La bellezza del corpo maschile e femminile; Mascolinità e femminilità come linguaggio oggettivo del corpo; a. Le metafore strumento del linguaggio del cuore; b. Per lo sposo la sposa è sorella e amica; Il dono reciproco e disinteressato nel matrimonio non può prescindere dal riscoprirsi immagine del Dio creatore; a. Sposi/fratelli uniti da comune appartenenza; b. Il sonno come pace del corpo e difesa contro il peccato; c. Cantico dei Cantici testimonianza dell’eros umano: il giardino chiuso-la fontana sigillata; La verità dell’amore impone di rileggere il “linguaggio del corpo” nella verità; a. Linguaggio del corpo e verità sono realtà inseparabili; b. Il “linguaggio del cor-po” parla ai sensi; Nel Cantico dei Cantici l’eros umano svela il volto dell’amore sempre alla ricerca e mai appagato; La stessa gelosia conferma la irreversibilità e la profondità soggettiva della scelta sponsale, secondo un amore “più forte della morte; a. La gelosia segno dell’esclusività e indivisibilità dell’amore; b. L’eros umano si completa nell’amore agapico; La comunione sponsale degli sposi del Cantico dei Cantici è realizzata nel matrimonio di Tobia e SaraCapitolo III: Il Cantico dei Cantici: la storia, le interpretazioni, i contesti e le in-fluenze artistico/culturaliIl Cantico dei Cantici: gioiello enigmatico della Bibbia; Collocazione temporale della redazione e composizione; I grandi filoni interpretativi del Cantico; a. Interpretazione letterale; b. Interpretazione spirituale o allegorica; c. Filoni interpretativi moderni; d. Interpretazione simbolica; Le influenze artistico/culturali e i grandi contesti di

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riferimento; a. Il Cantico indiano; b. Il Cantico mesopotamico; c. Il Cantico egizio; d. Il Cantico grecoConclusione

DORONZO Maria Giovanna

Dal Sinodo dei Vescovi del 1983 all’Esortazione apostolica Reconciliatio et Paeni-tentia, Relatore prof. Giuseppe Tupputi, difesa il 17 marzo 2016

IntroduzioneCapitolo I: La VI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi: Penitenza e riconciliazione nella missione della Chiesa La preparazione al Sinodo; Panorama dei lavori sinodali; La tematica del Sinodo; Idee emerse nel dibattito; Il messaggio al mondo Capitolo II: Dalla Sesta Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi all’Esortazione apostolica Reconciliatio et PaenitentiaProspettiva che guida l’Esortazione apostolica; Giustificazione del titolo: “Reconciliatio et Paenitentia”; Sguardo storico: come si è arrivati all‘Esortazione; Lineamenta; Instrumentum laboris; Propositiones; Risposte e puntualizzazioni teologiche dell’Esortazione apostolica Reconciliatio et Paenitentia; Peccato sociale e personale; Peccato mortale e veniale; Fon-damenti della riconciliazione ed effetti del sacramento della penitenza; Le forme della celebrazione del sacramento della penitenza; Struttura del segno sacramentale; Il ministro; Rapporto tra penitenza ed eucarestiaCapitolo III: Misericordia e riconciliazione nel Magistero di Papa FrancescoLa misericordia secondo Papa Francesco; Giubileo straordinario della Misericordia; Il sacramento della penitenza in Papa FrancescoConclusioni

FALCETTA Deborah

Morale e catechesi nei catechismi dei fanciulli e dei ragazzi, Relatore prof. Domenico Marrone, difesa il 22 dicembre 2014

IntroduzioneCapitolo I: Morale e catechesi: un dialogo interdisciplinare La prospettiva comune: l’uomo nuovo in Cristo; Teologia morale e catechetica: scienza normativa e scienza della comunicazione pedagogica Capitolo II: Modelli, metodo, soggetti e contenuti della catechesi in rapporto alla teologia morale

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I modelli; Modello naturalistico; Modello estrinsecistico; Modello umanistico-religioso; Il metodo; I contenuti; La conversione; Il Regno di Dio; Gesù Cristo; La vita eterna; I soggetti; I fanciulli; La Chiesa; La famiglia; Oltre le mura domestiche; Obiettivi e finalità; Educare al bene; La formazione della coscienza morale; La formazione della personalità moraleCapitolo III: Linee di catechesi morale nei catechismi dei fanciulli e dei ragazziLa proposta contenutistica dei catechismi; Io sono con voi; Venite con me; Sarete miei testimoni; Vi ho chiamato amici; Unità e gradualità della proposta morale; La trasmis-sione del sapere morale; Il giudizio morale e la promozione di atteggiamenti cristiani; Celebrazione liturgica e vita moraleConclusione

FALCO Francescafabiola

La parabola del buon samaritano tra testo evangelico e un album illustrato per bambini. Linguaggi e trasposizione concettuale, Relatore Prof. Antonio Ciaula, difesa il 17 marzo 2016

IntroduzioneCapitolo I: Oggetto della ricerca e approccio metodologico. La Metodologia della lettura strutturale di p. Nazareno TaddeiL’oggetto della ricerca: la catena comunicativa dalla parabola del Vangelo di Luca all’album per ragazzi di Clara Esposito; Nazareno Taddei e la nascita del suo percorso metodolo-gico; Alcuni punti principali della Metodologia della lettura strutturale in riferimento all’oggetto della ricercaCapitolo II: Aspetti di lettura dell’album della parabolaAltri particolari aspetti metodologici utili alla “lettura”: segno (e linguaggio) concet-tuale e segno (e linguaggio) contornuale, sequenze e tipologia dei verbi; La copertina; La personalizzazione dell’album; Le sequenze; La prima sequenza: un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e…; La seconda sequenza dell’album: lo spogliarono e se ne andarono… un sacerdote…; La terza sequenza: passò oltre… così anche il levita…; La quarta sequenza:… invece un samaritano…; La quinta sequenza:… e lo portò a una locanda…; La sesta sequenza:… abbi cura di lui… ti rifonderò…; Avviamento del lettore alle considerazioni conclusive; Impariamo giocando. Le ultime quattro pagine; La quarta di copertina; Aspetti di linguaggio: i verbi usati nella versione Cei 2008 e nell’album di Clara Esposito; Una esemplificazione metodologicaCapitolo III: La collana ParaboleggiamoLa collana; Paraboleggiamo sul web. Altre modalità espressiveConclusione

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GOMES Deolinda

Il comandamento dell’amore fondamento dell’agire morale del cristiano, Relatore Prof. Domenico Marrone, difesa il 22 dicembre 2014

IntroduzioneCapitolo I: La virtù della carità nella sacra scritturaRivelazione della carità nell’Antico Testamento; L’amore di Dio per l’uomo; L’amore dell’uomo per Dio; La rivelazione della carità nel Nuovo Testamento; L’amore di Dio nel Vangelo di Giovanni; La nostra vita come risposta all’amore di Dio; La carità di Dio nell’opera paolina; Risposta dell’uomo all’amore rivelatoCapitolo II: La virtù della carità nella tradizione e nel magisteroL’amore in S. Agostino; Itinerario Filosofico giovanile; Riflessione filosofica e teologica; Amore in S. Tommaso; Amore naturale; Amore soprannaturale o carità; La carità neidocumenti del Concilio Vaticano II; La Chiesa come mistero di caritàCapitolo III: Amore e vita moraleComandamento dell’amore e legge morale naturale; Vita morale e comunione con Dio in Cristo; Rapporto carità-agire morale nella dinamica della vita cristiana; L’amore vissuto di Dio e del prossimoCapitolo IV: Essere e agire nella caritàEssere nella Carità; Agire nella Carità; Il logos dell’agape: amore e ragione come prin-cipio dell’agireConclusione

IASPARRO Adriana

La prassi penitenziale nell’Epistolario di Cipriano di Cartagine, Relatore prof. Giu-seppe Tupputi, difesa il 17 marzo 2016

Introduzione Capitolo I: Ricostruzione della prassi penitenziale antica: le fontiI secoli I e II; Il secolo II Capitolo II: Cipriano di CartagineBiografia; Personalità letteraria e pensiero; OpereCapitolo III: La prassi penitenziale nell’epistolario di CiprianoPrassi penitenziale in Cipriano; La riconciliazione dei Lapsi; Cipriano e la Chiesa romana; Decisioni conciliari sui Lapsi; Il concilio di Cartagine del 251; Il concilio di Cartagine del 252; Il concilio di Cartagine del 253 e del 254; Valutazioni teologicheConclusione

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LABRANCA Nunzio

Umanità e spiritualità nella filmografia di Ingmar Bergman. Il settimo sigillo (1957), Il posto delle fragole (1957), La fontana della vergine (1960), Sussurri e grida (1972), Re-latore prof. Antonio Ciaula, difesa 17 marzo 2016

IntroduzioneCapitolo I: Ingmar Bergman. La vita, l’uomo, le opereIngmar Bergman, il profilo di un uomo; Ingmar Bergman. Filmografia; Bergman regista televisivo; Bergman sceneggiatore; Bergman. Opere teatraliCapitolo II: La comunicazione, il segno cinematografico, la lettura del filmLa comunicazione; Il Magistero della Chiesa sugli strumenti di comunicazione sociale; Il processo della comunicazione; Il segno cinematografico; Il film e l’idea del regista. Cenni; La Metodologia Taddei della lettura strutturale. Il film. CenniCapitolo III: Umanità e spiritualità nella filmografia di Ingmar Bergman: Il settimo sigillo (1957)Il settimo sigillo (1957). La vicenda; Lettura strutturale del film; Breve individuazione dell’idea centrale; Aspetti umani dell’opera; Aspetti spirituali dell’operaCapitolo IV: Umanità e spiritualità nella filmografia di Ingmar Bergman: Il posto delle fragole (1957)Il posto delle fragole (1957). La vicenda; Lettura strutturale del film; Breve individuazione dell’idea centrale; Aspetti umani dell’opera; Aspetti spirituali dell’operaCapitolo V: Umanità e spiritualità nella filmografia di Ingmar Bergman: La fontana della vergine (1960)La fontana della vergine (1960). La vicenda; Lettura strutturale del film; Breve individua-zione dell’idea centrale; Aspetti umani dell’opera; Aspetti spirituali dell’operaCapitolo VI: Umanità e spiritualità nella filmografia di Ingmar Bergman: Sussurri e grida (1972)Sussurri e grida (1972). La vicenda; Lettura strutturale del film; Breve individuazione dell’idea centrale; Aspetti umani dell’opera; Aspetti spirituali dell’operaConclusioni

LEONETTI Sabina Altomare

Donec fermentatum est totum. La recezione del Vaticano II nella Rivista Diocesana Andriese (1959-1969), Relatore prof. Antonio Ciaula, difesa il 22 dicembre 2014

Introduzione

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Scheda 1 La Rivista Diocesana Andriese – Scheda emerografica; Scheda 2 La Rivista Diocesana Andriese, organo di comunicazione istituzionale della Diocesi di Andria. Criteri metodologici di “lettura” e linee seguite nella ricerca; Scheda 3 Circa la recezione. La problematica vista in alcuni studi e accezione di riferimento riguardo al presente lavoroCapitolo I: L’annuncio di un Concilio Ecumenico nella Rivista Diocesana Andriese. Il periodo preparatorio (gennaio 1959 – settembre 1962) “Tre avvenimenti importanti”. Il primo annuncio del Concilio nella Rivista; Gli anni 1959 e 1960; 1961, un “anno impegnativo”. La Missione in Diocesi nell’anno precedente al Concilio; La preparazione immediata (gennaio – settembre 1962); Un primo sguardo di sintesi (gennaio 1959 – settembre 1962)Capitolo II: La Rivista Diocesana Andriese negli anni del Vaticano II (ottobre 1962 – dicembre 1965)All’inizio del Concilio Vaticano II. Gli ultimi due numeri del 1962 e il primo del 1963; 11 ottobre 1962: l’editoriale-notificazione di mons. Brustia per l’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II; Documenti riguardanti il Concilio e altri riferimenti nell’ultimo numero del 1962 e nel primo del 1963; “Due atti, assai simpatici ed apprezzati per il loro significato”. Omaggi al Vescovo e ai Padri Conciliari; La Rivista nel 1963; La tristezza per la morte di Giovanni XXIII. L’immenso gaudio per l’elezione del nuovo pontefice Paolo VI. Il numero di maggio – giugno 1963; La Seconda Sessione del Concilio nella Rivista; La Rivista nel 1964; L’applicazione della Costituzione liturgica: dal motu proprio Sacram Liturgiam alle iniziative diocesane, ad altri riferimenti nella Rivista; Le tematiche della terza Sessione conciliare e l’annuncio della quarta nella Rivista; “Riviste per seguire il Concilio” e volumi specialistici di Ecclesiologia, Liturgia, Dommatica, Morale, Sacra Scrittura; La Rivista nel 1965, ultimo anno del Vaticano II; Sulla Riforma liturgica nel 1965 tra documenti pontifici, norme applicative varie e disposizioni locali conseguenti; Una particolare catechesi domenicale sull’ecclesiologia del Vaticano II durante l’anno 1965; La quarta Sessione e la conclusione del Concilio attraverso le pagine della Rivista; La Costituzione del Consiglio Pastorale Diocesano; Uno sguardo di sintesi (ottobre 1962 – dicembre 1965)Capitolo III: L’immediato postconcilio nella Rivista Diocesana Andriese (1966 – maggio 1969). Brevi cenniL’immediato postconcilio nella Rivista. Una breve panoramica; La Chiesa e il Postconcilio. L’editoriale di mons. Brustia del numero di maggio – agosto 1966; I numerosi documenti e riferimenti al Concilio nel numero di maggio – agosto 1966; Nel clima di rinnovamento conciliare la nomina dell’andriese mons. Ursi ad Arcivescovo di Napoli (1966) e la sua elevazione a Cardinale (1967); Continua il Concilio. L’editoriale del numero di luglio – agosto 1967; Altri riferimenti al Concilio nei numeri dal 1967 al 1969; L’insegnamento

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del Concilio nella mozione finale dell’Assemblea Cei di febbraio 1968; I primi passi del Consiglio PresbiteraleConclusioni

LOSITO Maria

Gesù Cristo Uomo del Lavoro, Relatore prof. Matteo Martire, difesa il 22 dicembre 2014

IntroduzioneCapitolo I: Dimensione etica e culturale del lavoroIl lavoro (come mezzo e come valore); Il lavoro tra festa e famiglia; L’uomo-lavoratore come immagine di Dio; La dignità dell’uomo nel lavoro soggettivo; Il lavoro in senso oggettivo; La spiritualità del lavoroCapitolo II: Gesù Cristo Uomo del Lavoro“Uomo del Lavoro”; Il lavoro umano alla luce della croce e della risurrezione di Cristo; La re-denzione del lavoro umano; La luce della risurrezione; Pane e vino, frutto della terra e del lavoroCapitolo III: L’uomo soggetto del lavoro e la sua dignità nelle varie Encicliche socialiDalla tradizione sociale della Chiesa; Il soggetto del lavoro è l’uomo e la sua radice è la cultura; Dalla dimensione personale, alla famiglia e alla nazione; Il lavoro come chiave di volta nella Sollecitudo Rei Socialis e nella Centesimus Annus; La Caritas in Veritate; Riflessione di Papa Francesco sul lavoroConclusioni

MARINO Emilio

Don Francesco Tattoli, un parroco del Concilio, Relatore prof. Vincenzo Robles, difesa il 17 marzo 2016

MATERA Tanja

La coscienza morale tra discernimento e giudizio, Relatore prof. Domenico Marrone, difesa il 22 dicembre 2014

Introduzione Capitolo I: Che cos’è la coscienza Etimologia di coscienza; La coscienza morale; Il giudizio d coscienza: il rapporto coscienza-attoCapitolo II: Fondazione ontologica della persona La coscienza e la sua funzione; Il dinamismo del giudizio di coscienza; La deliberazione morale; Le fasi della deliberazione morale

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Capitolo III: L’esperienza morale come esperienza di coscienzaLa consapevolezza di sé, del mondo e delle relazioni; I valori e il valore morale; Il bene; Valore e valore morale; La libertà e la responsabilità; Moralmente buono-moralmente corretto; Giudizio moralmente oggettivo; La norma moraleCapitolo IV: La personalità moraleIl discernimento; Il discernimento come atto “morale”Conclusione

MONTRONE Savino

Don Riccardo Lotti e la Puglia Bianca, Relatore prof. Vincenzo Robles, difesa il 22 dicembre 2014

IntroduzioneCapitolo I: Il Patto Gentiloni e la sua applicazioneSituazione Storica; Alle origini del Patto Gentiloni: il ruolo della Unione Elettorale Cat-tolica Italiana; Il ruolo del conte Vincenzo Ottorino Gentiloni; Il Patto Gentiloni; Un esempio di applicazione del Patto Gentiloni: Il caso dell’On.le Riccardo Ceci ad Andria; Valutazione dell’applicazione del Patto GentiloniCapitolo II: Il Partito Popolare Italiano e le elezioni politiche del 1919Situazione di crisi dell’Italia all’indomani della Prima Guerra Mondiale; Natura del Popolarismo; Il progetto di Sturzo al vaglio della Santa Sede; La nascita del Partito Po-polare Italiano; Composizione sociale del Partito Popolare; Il Partito Popolare Italiano e le elezioni politiche del 1919 Capitolo III: La Puglia e Partito PopolareLa situazione politica in Puglia prima della Grande Guerra; La situazione politica in Puglia dopo la Grande Guerra; Speranze legate al Partito Popolare in Puglia; Obiettivi del Partito Popolare in Puglia; Difficoltà del Partito Popolare in Puglia; Le elezioni po-litiche in Puglia del 1919Capitolo IV: Don Riccardo LottiIl fascino di don Riccardo Lotti; I sacerdoti e la politica; Iniziative di don Riccardo Lotti; «La Puglia Bianca»; L’agonia de «La Puglia Bianca»Capitolo V: La Questione Meridionale e la riforma agraria voluta dal Partito PopolareLa Questione Meridionale; Una Questione dimenticata; I principi posti dal Partito Popolare a base della riforma agraria; Radioso Programma di Ricostruzione Sociale; Il Congresso di Napoli del Partito Popolare; La legge sul latifondo; Il congresso agrario a BariCapitolo VI: La crisi del Partito Popolare

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L’ascesa al soglio pontificio di Pio XI ed il rapporto fra il Vaticano e il P.P.I.; L’ascesa al potere di Mussolini; Inizio della crisi del rapporto con il fascismo; Le dimissioni di don Luigi Sturzo; La Legge Acerbo; La Fine del Partito PopolareConclusioni

NOTARGIACOMO Luca

Giuseppe Maria Leone redentorista e la sua missione nella chiesa meridionale, Re-latore prof. Robles Vincenzo, difesa il 17 marzo 2016

IntroduzioneCapitolo I: Chiesa e società meridionale nel XIX secoloSituazione economica e politica; L’unità d’Italia e la questione meridionale; La chiesa di fronte alla questione meridionale; Gli istituti e le congregazioni religioseCapitolo II: Profilo storico di padre Giuseppe Leone (1829-1902)Nascita e prima formazione; Nel seminario arcivescovile di Trani; Chiarimento vocazionale; Dal noviziato all’ordinazione sacerdotale; Attività pastorale in Trinita-poli; Ritorno in congregazione e attività pastorale ad Angri; Padre Giuseppe Leone e Bartolo LongoCapitolo III: Padre Giuseppe Leone e la “missione”La congregazione redentorista e la missione apostolica; Presenza ed azione redentorista nel mezzogiorno d’Italia; I Campi della missione di padre Giuseppe Leone; Relazioni con le claustrali e altre famiglie religiose; Scrittore per la santificazione delle AnimeCapitolo IV: La santità nella chiesaValore teologico della canonizzazione; La santità: vera identità della chiesa e del battez-zato; I Santi personificano il vangelo; Iter della causa di beatificazione del Servo di Dio Leone; Il Servo di Dio Leone e il suo messaggio oggiConclusione

SGUERA Giovina

Verità e libertà. Considerazioni etiche, Relatore Prof. Domenico Marrone, difesa il 17 dicembre 2015

IntroduzioneCapitolo I: Libertà e verità: approccio biblicoI rami della libertà; I campi della verità; Libertà e verità nell’AT; Libertà e verità nel NTCapitolo II: L’apporto del Concilio Vaticano II

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Libertà e verità nella Dei Verbum; Libertà e verità nella Gaudium et spesCapitolo III: Considerazioni teologiche alla luce della Veritatis splendorL’enciclica Veritatis splendor; Il contesto della Veritatis splendor; L’uomo e il suo desiderio di infinito; Etica cristiana e orizzonte di perfezione; Sperare eticamenteConclusione

TANGO Lucia

Un missionario pugliese don Giuseppe Giuliani, Relatore prof. Vincenzo Robles, difesa il 17 marzo 2016

Introduzione Capitolo I: le missioniConcetto di missione e uso del termine; Fondamenti biblici e teologici; Le missioni nell’Antico e nel Nuovo Testamento; La missione nella Storia della Chiesa; La diffusione del Cristianesimo successiva agli Apostoli; La predicazione del Cristianesimo nel Medioevo; I tentativi Apostolici degli Ordini mendicanti (secc. XIII-XV); La predicazione del Cristia-nesimo nei tempi moderni e le missioni cattoliche oggiCapitolo II: La missione in epoca contemporanea nei pontificati di Pio XII e Paolo VIPio XII: Analisi dell’Enciclica (Evangelii Praecones); Novità ed istanze dell’Enciclica; Paolo VI: Analisi dell’Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi; Evangelizzazione e promozione umanaCapitolo III: Mons. Giuseppe Giuliani, missionario a servizio del regno di DioPadre Giuseppe Giuliani, biografia; Don Peppino nella nuova vigna del Signore: Il Brasile (1963); Un legame mai interrotto: Padre Giuliani e Canosa; Intervista a Don Vito MiracapilloConclusioni

TERRACCIANO Flora

Il discernimento francescano: riletture e attualizzazioni, Relatore prof. Paolo Farina, difesa il 15 aprile 2015

IntroduzioneCapitolo I: Il tema del discernimento francescano nelle fonti francescanePunti di riferimento del discernimento; La Parola di Dio; Il Progetto di vita e la Regola; La fraternità Capitolo II: Temi centrali del discernimento Francescano

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Le radici dell’esperienza del discernimento: l’apertura all’iniziativa di Dio nella propria vita; Le radici dell’esperienza del discernimento: l’identificazione con Cristo e il suo progetto; Le radici dell’esperienza del discernimento: gli occhi dello Spirito; Alcuni criteri per conoscere lo Spirito del Signore: l’espropriazione e l’amore gratuito; Alcuni criteri per conoscere lo Spirito del Signore: la vera umiltà e l’obbedienza caritativa; Il discernimento un cammino per la libertà e per l’amoreCapitolo III: Rilettura e attualizzazione di alcune note caratteristiche del discerni-mento in san FrancescoPrimato della contemplazione di Cristo; La priorità della Parola di Dio e la sollecitudine all’obbedienza; Il Radicalismo evangelico; Il discernimento nell’esperienza limite; La realtà della Fraternità Francescana Alcantarina di Bisceglie in relazione al servizio del Centro DiurnoConclusioni

VERNICE Salvatore

Santa Maria Greca: l’icona. Storia e culto della devozione mariana, Relatore Prof. Giuseppe Lobascio, difesa il 17 dicembre 2015

VICO Antonio

Statuto dell’embrione umano, Relatore prof. Domenico Marrone, difesa il 17 marzo 2016

IntroduzioneCapitolo I: L’embrione umano: statuto biologicoOrigine e sviluppo dell’embrione umano; La fecondazione; Individualità genetica dell’embrione umano; Inizia la segmentazione; Lo zigote; Lo sviluppo dell’embrione: dallo zigote alla blastociste; Dalla blastociste al disco embrionale; Dal disco embrionale al feto; Totipotenza dei blastomeri; La gemellanza monozigoticaCapitolo II: Statuto ontologico dell’embrione umanoQuale statuto ontologico?; L’embrione umano è persona?; Obiezioni allo statuto perso-nale dell’embrione umanoCapitolo III. Statuto antropologicoLa corporeità umana; Orizzonte storico-filosofico di persona; Carattere personale dell’em-brione; Implicazioni giuridiche; Questioni epistemologiche; Lo statuto antropologico; Antropologia cristiana; Valore sacro della vita umana; Il MagisteroCapitolo IV: Aspetti etici

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Aspetti etici e normativi: diritto; Concetti “deboli” di persona ed embrione umano; Problemi legati al concetto di persona; L’embrione “plasmatos” di DioCapitolo V: Critiche alle teorie che separano l’esser umano dalla personaIn generale; Nello specificoConclusione

VITERBO Agata

Il Trigramma di San Bernardino. La sua radice francescana, tra storia, fede e at-tualità, Relatore prof. Giuseppe Lobascio, difesa il 17 marzo 2016

Introduzione Il movimento francescano in Italia Il contesto storico; Francesco Bernardone; La “perfetta” conversione e lo stile di vita francescano; Francesco, l’autorità papale e l’autorizzazione; L’ordine minore dei france-scani e le successive correnti San Bernardino da Siena e il movimento francescano Bernardino, dalla sua biografia alla vocazione francescana, La predicazione di San Ber-nardino; Il trigramma sacro del nome di Gesù; Bernardino e le accuse di eresia Le testimonianze del movimento francescano a Corato I trigrammi a Corato, studi e approfondimenti; Le sedi francescane a Corato; I trigrammi a Corato, focus di immagini tra passato e presente Conclusione

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A trent’anni dalla pubblicazionedel Decreto di Unione delle Diocesidi Trani, Barletta e Bisceglie: lettura e analisi

«La vita appartiene ai viventi, e chi vive deve essere preparato ai cam-biamenti»: così scriveva Goethe ne Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister. Tale celebre espressione, in modo sintetico, comunica il senso e gli effetti che un atto di governo porta nella vita di una comunità.

Era l’autunno del 1986 quando giunse nelle città di Trani, Barletta e Bisceglie la notizia che la riforma delle diocesi tanto attesa in Italia le avrebbe direttamente interessate. Tale documento è stato determinante per la vita di questa Chiesa particolare e per quella di tante diocesi italiane che, in virtù di tale riforma, passarono da 325 a 228.1 La lettura sul piano canonistico potrebbe essere proficua non solo per la comunità accademica ma anche per i fedeli di altre Chiese locali visto il rinnovato desiderio della Santa Sede e della Conferenza Episcopale Italiana di procedere ad un’ulteriore riforma.2

* Docente di Diritto Canonico nell’Issr di Trani.1 Il testo del decreto è riportato ne L’Osservatore Romano del 9 ottobre 1986,

“Documento”, IV-V. Successivamente pubblicato sul Bollettino diocesano, Corato 1987. Nel Bollettino diocesano appaiono anche il Decreto della Congregazione per il Culto sulle norme liturgiche e la Lettera al Clero di S. Ecc. Mons. Giuseppe Carata.

2 «Su indicazione della Congregazione per i Vescovi, entro la fine d’agosto 2016 le Conferenze Episcopali Regionali sono invitate a far pervenire alla Segreteria generale della CEI il parere circa un progetto di riordino delle diocesi. Entro il 10 marzo la stessa Congregazione ha chiesto di conoscere come i Vescovi vivano l’emeritato, come anche di poter raccogliere suggeri-menti in vista di una eventuale ulteriore riflessione. Infine, i Presidenti delle Conferenza Episcopali Regionali sono invitati a far pervenire le osservazioni e le proposte relative agli Istituti diocesani per il sostentamento del clero»: Consiglio Permanente della CEI, Comunicato finale, 29 gennaio 2016, in http://www.chiesacattolica.it/cci_new/documenti_cei/2016-02/033/Comunicato%20 finale, %2029%20gennaio%202016.pdf

Gaetano Corvasce*[email protected]

Anno XV, nn. 15/16, giugno 2016, pp. 153 - 162 ISSN 2240-2666 - Issr Trani

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1. Il diritto del Romano Pontefice di erigere e modificare le diocesi

La decisione di erigere una Chiesa particolare, di modificare i suoi limiti o di soppri-merla è una scelta discrezionale dell’autorità suprema (can. 373, CIC 1983). Dal punto di vista storico, fu Urbano II (1088- 1099), in linea con la riforma gregoriana che, volendo contrastare l’azione dei sovrani e dei principi nel costituire circoscrizioni ecclesiastiche e nominare vescovi, rafforzò il principio della libertas Ecclesiae durante tutto il suo pontifi-cato.3 In modo particolare, nei concili di Clermont (1095), Bari (1098) e Roma (1099), furono consolidati principi quali il divieto di nomina dei vescovi da parte dell’imperatore, il divieto del giuramento feudale degli ecclesiastici ai laici e l’interdizione a quest’ultimi di qualsiasi ingerenza nelle elezioni episcopali. È, infatti, noto l’influsso che il potere politico ha esercitato sulle materie ecclesiastiche nell’undicesimo secolo. Il Romano Pontefice riser-vò alla Sede Apostolica il potere di riunire, dividere o erigere nuove diocesi, modificando una tradizionale disciplina che, in oriente, affidava il complesso di tali diritti ai sinodi, ai patriarchi, agli esarchi, ai metropoliti e, in occidente, ai metropoliti con il consenso dei vescovi della provincia.

Il Codice del 1983 non contempla un procedimento al quale l’autorità deve attenersi nell’erigere le Chiese particolari, ma impone la consultazione delle conferenze episcopali interessate solo per la creazione di Chiese particolari personali (can. 372 § 2, CIC 1983). Il principio è rilevante e consente che l’autorità suprema lo applichi per ogni erezione di diocesi.

Relativamente alla possibilità di un cambiamento dell’assetto di più diocesi, il legislatore codiciale tace, tuttavia il Concilio Vaticano II aveva chiesto che fossero riviste «le frontiere territoriali delle diocesi», affinché la loro «determinazione conveniente», tenendo conto «degli elementi diversi del popolo di Dio», rendesse più efficace la cura pastorale della comunità e assicurasse una «ripartizione ragionevole dei chierici e delle risorse rispetto alle esigenze dell’apostolato» (CD, 22- 23). Così facendo, il Concilio ha contribuito a valutare diversamente l’importanza del criterio di territorialità, privandolo del valore costitutivo esclusivo nella creazione delle diocesi previsto dalla legislazione codiciale previgente e ha consentito che fosse messo in risalto l’elemento costitutivo fondamentale delle Chiese particolari: l’individuazione di una porzione del popolo di Dio la quale, una volta eretta, diventi Chiesa particolare. È questa la prima tappa di un percorso che si conclude con la costituzione di una comunità gerarchica, alla quale appartengono oggettivamente i fedeli affidati alla cura pastorale del vescovo.4

3 A tal riguardo si veda A. Fliche - A. Vasina, La riforma gregoriana e la riconquista cristiana (1057-1123), San Paolo, Cinisello Balsamo 1995.

4 A tal proposito si veda P. Valdrini, Comunità, persone, governo, LUP, Città del Vaticano 2013, 35-36.

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Pertanto potremmo interpretare il can. 373 secondo l’intendimento del legislatore che ha voluto rendere operativi gli insegnamenti del Concilio Vaticano II nel Codice del 1983, comprendente la possibilità di una modifica delle diocesi presenti in un territorio.

2. Il decreto della Congregazione dei Vescovi del 1986: atto derivante da facoltà speciale

Essendo quella di erigere e modificare una diocesi di competenza della suprema auto-rità, il Romano Pontefice ha munito la Congregazione dei Vescovi di una speciale facoltà nel porre in essere l’atto che, pertanto, risulterà essere un atto amministrativo della citata Congregazione derivante da uno speciale mandato del Pontefice.5

Tale atto risulta essere la manifestazione di volontà unilaterale da parte della Congrega-zione che, su mandato speciale del titolare della potestà in questione, vincola i fedeli delle diocesi di Trani, Barletta e Bisceglie e che produce effetti giuridici. Rientra nella categoria degli atti amministrativi singolari, pertanto consta dell’elemento della “unilateralità” nella misura in cui rimane una decisione presa da una persona e imposta ad un’altra; dell’elemento della “imperatività” perché conseguente all’esercizio della potestà di governo; risulta essere “vincolante” in quanto richiede di essere applicato dai destinatari. Infine produce, senza l’assenso del destinatario, modificazioni nella sfera giuridica di altri soggetti, sì da essere sempre «esecutivo» (ovvero, può ricevere immediata attuazione) e in particolare dotato di «esecutorietà», cioè può essere portato a esecuzione immediatamente anche contro il volere di chi sarebbe tenuto a prestare il proprio consenso all’esecuzione e - almeno generalmente - senza una previa pronuncia dell’autorità giudiziaria.

Tale atto, come tutti quelli emanati dalla autorità competente, si giustifica esclusiva-mente in riferimento al bene pubblico, ovvero al bene dei fedeli al quale esso è orientato.6

Diversamente dal CCEO 1990, il CIC 1983 contiene un ridotto numero di canoni circa l’emanazione, la forma-contenuto e l’intimazione dei decreti singolari (cann. 50-57

5 Il tema delle facoltà speciali date dal Romano Pontefice ai dicasteri della Curia risulta essere molto ampio. Si ricordino, in tal senso, le facoltà speciali concesse alla Congregazione per la Dottrina della Fede nei casi dei Delicta graviora (si veda: C. Papale (a cura di), I delitti riservati alla congregazione per la dottrina della fede - Norme, prassi, obiezioni, Urbaniana University Press, Roma 2015) o quelle concesse alla Rota Romana. La normativa per ottenere facoltà speciali dal Romano Pontefice da parte dei dicasteri della Curia Romana ha visto un mutamento nel 2011 con l’art. 126 bis del Regolamento Generale della Curia Romana. Il testo normatico: Segreteria di Stato, Rescritto “ex audientia SS.mi” di approvazione dell’art. 126 bis del “Regolamento Generale della Curia Romana”, 7 febbraio 2011, in Acta Apostolicae Sedis, 103 (2011), 127-128.

6 A tal proposito si veda: J. Miras - J. Canosa - E. Baura, Compendio di diritto amministrativo canonico, EDUSC, Roma 2007, 158-169.

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CIC 1983). Questo permette di ribadire la diversità del diritto amministrativo canonico rispetto a quello degli Stati.

Il can. 37 stabilisce che «l’atto amministrativo che riguarda il foro esterno, si deve con-segnare per iscritto», norma che i cann. 51 e 59, § 1 riproducono, rispettivamente, per i decreti singolari e per i rescritti. La forma scritta si configura pertanto come un requisito formale anche nel nostro caso, in quanto riguardante il foro esterno ed espressione della potestà di governo (can. 130). Questo requisito formale intende garantire la certezza e la sicurezza delle situazioni giuridiche, fissando in modo preciso e certo il contenuto e il tenore della decisione dell’autorità, permettendone altresì prova documentale, che è di grande importanza, come ha dimostrato la plurisecolare esperienza giuridica.

Per operare una attenta lettura del documento, potremo dividere lo stesso in tre parti:a) parte introduttiva;b) parte dichiarativa;c) parte dispositiva e finale.

3. La parte introduttiva

Il già citato can. 51, oltre a prescrivere la forma scritta, esplicita il dovere di motivare i decreti, sebbene non costituisca, secondo la dottrina, norma irritante. La Congregazione nella parte introduttiva del Decreto si preoccupa di indicare in modo puntuale le ragioni della decisione presa, delineando l’iter decisionale. In tal modo, nell’atto stesso, sono indicate non solo le motivazioni ma anche il procedimento di emanazione dell’atto amministrati-vo. Si parla a tal riguardo di “momento informativo”. Il can. 50 del CIC 1983 stabilisce che l’autore dell’atto, prima di procedere alla sua emanazione «deve ricercare le notizie e le prove necessarie» (notitia et probationes exquirat). La norma prosegue: «per quanto è possibile, ascolti coloro i cui diritti possono essere lesi». Per alcuni atti amministrativi, tuttavia, il legislatore impone una procedura di consultazione (can. 127, CIC 1983). Ciò avviene, ad esempio, allorquando l’autorità deve chiedere il parere di un collegio o di un gruppo di persone (cann. 515 § 2; 616 § 1, CIC 1983) o deve ricevere il loro consenso (cann. 611;1292 § 1, CIC 1983). Non ci troviamo di fronte a tal caso, e comunque l’aver indugiato nell’indicare iter informativi e motivazioni lasciano pensare all’attenzione data al caso in questione e alla delicatezza degli effetti prodotti.

Il primo passo dell’iter delineato spetta al decreto Christus Dominus del Concilio Ecu-menico Vaticano II sull’ufficio pastorale dei vescovi che, nei numeri 22 e 23, si occupa della revisione dei confini delle diocesi e delle norme da seguirsi. Si ricorda lo studio con-dotto dalla Congregazione dei Vescovi durante il pontificato di Giovanni XXIII, su tale problema e quanto operato dal medesimo dicastero sotto il pontificato di Paolo VI. Per più di vent’anni, con un’opera graduale e progressiva intrapresa in comunione d’intenti

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con la Conferenza Episcopale Italiana, la Congregazione ha lavorato per dare un nuovo ordine alle diocesi d’Italia che «per comune giudizio sono ritenute troppo numerose né tutte hanno una sufficiente capacità per la esiguità del territorio, del numero degli abitanti e delle strutture pastorali. Nell’assolvere questa opera ci fu sempre questo intento, che in ciascuna Diocesi apparisse più chiara la natura della Chiesa, e il Vescovo potesse espletare tutti i suoi uffici con idoneità ed efficacia, come le necessità religiose, spirituali e morali, nonché i cambiamenti della società e della cultura, oggi in corso, richiedono sempre più».7

Rivolgendosi all’assemblea della Conferenza Episcopale Italiana, il 14 aprile 1964, il papa Paolo VI dichiarava: «Grandi problemi si prospettano all’Episcopato italiano, a cominciare da quello che nasce dal numero eccessivo delle diocesi».8 Nel 1986 si segnalavano in Italia, per 57 milioni di abitanti, e ben 325 diocesi, dato che non aveva uguali in nessun’altra parte del mondo. Ma se è vero questo dato, da solo non può costituire una motivazione ragionevole per una modifica all’assetto delle diocesi, considerato il tessuto storico e la presenza capillare nel territorio delle comunità cristiane.

Il lavoro di riordino fu affidato alla Sacra Congregazione Concistoriale. Questa Con-gregazione costituì una prima Commissione detta “Rossi”, dal nome del Cardinale Segre-tario che la presiedeva, che preparò un piano non ultimato e mai portato ad esecuzione. Successivamente il lavoro fu condotto dalla “Commissione dei 40” (numero dei suoi integranti), che predispose un progetto che prevedeva la fusione di un notevole numero di diocesi, tale da ridurre le circoscrizioni ecclesiastiche a sole 119 circa, numero ritenuto molto vicino all’ideale. Mentre tale progetto veniva applicato con lenta gradualità, la Santa Sede procedeva al proposto riordinamento in modo indiretto e provvisorio, unendo cioè le piccole diocesi che si rendevano vacanti sotto l’amministrazione apostolica o nella persona del vescovo di una diocesi vicina.

Ai pastori chiamati a reggere due o più diocesi unite si raccomandava vivamente di adoperarsi perché all’unione giuridica corrispondesse una unione pastorale e spirituale nonché, a più o meno breve scadenza, l’unione strutturale degli organi vitali delle diocesi: un solo bollettino diocesano, il facile trasferimento dei sacerdoti da una diocesi all’altra, ecc.

Le forme di unione sperimentate non risultarono una adeguata soluzione per cui il problema, ritenuto alquanto grave e delicato, fu affrontato con diversa strategia.

La revisione del Concordato da parte della Santa Sede e del Governo Italiano e le Norme circa gli enti e i beni ecclesiastici, nell’obbligare a compilare l’elenco delle diocesi italiane in vista del loro riconoscimento civile, offrirono l’occasione per il riordino.

Alcuni vescovi, rilevando il significativo cammino di effettiva unione compiuto fra le diocesi diversamente unite sotto la loro guida, chiesero spontaneamente e ottennero l’u-nione piena delle medesime (caso di Civita Castellana con Nepi, Sutri, Orte e Gallese nel

7 Insegnamenti di Paolo VI, vol. II, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1965, 244.8 Ibid.

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febbraio 1986, e di Viterbo con Aquapendente, Montefiascone, Tuscania e Bagnoregio nel marzo successivo). La Congregazione per i Vescovi, cui venne affidata l’operazione, chiese la collaborazione della Conferenza Episcopale Italiana. Dalla consultazione effettuata emerse la convinzione che la soluzione possibile e più opportuna fosse l’unione piena e definitiva delle diocesi unite in modo precario.9

4. Criteri della riforma

La Congregazione per i Vescovi, nell’accogliere le proposte della Conferenza Episcopale Italiana, ritenne fondamentali alcuni criteri da applicarsi nel riassetto delle diocesi:

- criterio della pastoralità, in forza del quale la considerazione determinante non doveva essere quella politica (le Norme concordatarie forniscono l’occasione ma non i principi e il contenuto del provvedimento) né di ordine prevalentemente storico, culturale o socioeconomico, per quanto legittime esse siano, ma gli orientamenti contenuti nel decreto Christus Dominus, di natura prettamente ecclesiologica e pastorale;

- criterio dell’unità per il quale soltanto eccezionalmente e ad tempus un vescovo può governare più diocesi: o ciascuna di esse ha i requisiti per essere diocesi autonoma e riceve il proprio vescovo, o non realizza tali requisiti e allora va unita in un’entità consistente la quale riceve il proprio vescovo;

- criterio del bene comune, il quale postula che i desiderata, pur rispettabili, di una comunità particolare cedano il passo alle esigenze della Chiesa locale o della Chiesa Universale, anche al prezzo di qualche inevitabile sacrificio e sofferenza a beneficio del bene comune più alto;

- criterio dell’“uniformità”, in virtù del quale il provvedimento di unione piena viene applicato a tutte senza eccezione;

- criterio di una certa “gradualità”, nel senso che alcune rilevanti modifiche di confini, indispensabili al riordinamento, verranno opportunamente adempiute;

- criterio della “continuità”, sia pur in seno al cambio sostanziale, criterio questo che ha indotto ad associare, nella designazione dell’unica diocesi, i nomi delle diocesi fuse in modo tale che nessuna viene abolita, nessuna assorbita dall’altra, ma tutte amalgamate nell’entità nuova nella quale mantengono il proprio nome, la propria storia, le proprie tradizioni, la propria cattedrale o concattedrale ecc.;

- il criterio dell’“unicità”, mediante il quale sussiste d’ora in poi, la dove erano più diocesi, una sola e unica diocesi con unico seminario, unico tribunale, unico consi-

9 L. Moreira Neves, «Un fatto storico: la nuova “geografia” delle diocesi in Italia», in Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana, (1986) 8, 222- 223.

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glio presbiterale e pastorale, unico Coetus Consultorum, anche se con la possibilità di decentramento di alcuni servizi amministrativi.10

5. Parte dichiarativa

La parte dichiarativa esprime il contenuto principale dell’atto che è dato in questi termini:

Vi criterii generalis, quo statuitur ut in unum coalescant circumscriptiones ecclesiasticae usque adhuc pastorali curae unius Episcopi commissae, etiam pro dioecesibus unitis Tranensi, Barolensi et Vigiliensi Congregatio pro Episcopis praesenti Decreto plenam earum unionem decernit.11

Si ribadisce il criterio principale, per cui le circoscrizioni affidate alla cura di un solo vescovo devono essere unite in una sola, così come era per le diocesi di Trani, Barletta e Bisceglie; pertanto la riforma che toccava varie diocesi italiane riguardava anche le nostre diocesi.

Abbiamo già spiegato che il legislatore non ha emanato norme che spieghino che cosa si intenda per “piena unione” e come questa debba avvenire nel caso della comunità dio-cesana. Tuttavia il can. 12, parlando delle persone giuridiche in generale, espone il caso in cui da persone giuridiche preesistenti si dia vita ad una nuova. L’effetto sarà l’estinzione delle precedenti e la nuova persona giuridica sorta dal confluire delle altre due subentra nella titolarità di tutti i loro rapporti, acquistandone i beni e i diritti patrimoniali e assu-mendone gli obblighi. Sarà necessario approfondire il disposto dell’autorità per chiarificare il termine stesso “plenam unionem”. Potremmo operare un’interpretazione della volontà della disposizione attraverso il procedimento dei “luoghi paralleli” ovvero soffermandoci alle leggi che disciplinano ambiti giuridici simili così come suggerisce il can. 17.

Nel Codice si parla di “unione” nel can. 582, dove si riserva alla Santa Sede le unioni, le fusioni per gli istituti di vita consacrata. L’unione è la soppressione previamente estintiva di due o più enti al fine di erigerne uno nuovo e distinto, con nome e personalità diverse da quelle di quelli soppressi. Se interpretassimo in tale direzione il termine “unione”, vedremmo il sorgere di una diocesi completamente nuova; ci chiediamo se questa fosse la volontà dell’autorità dati i criteri precedentemente indicati. Infatti, non ci troviamo di fronte a nuove comunità nate attraverso, per esempio, una previa istituzione di vicariato apostolico (can. 371).12

10 Tali criteri, presenti nella parte introduttiva del Decreto, sono così espressi in una nota a firma di mons. Lucas Moreira Neves, Segretario della Congregazione per i Vescovi (cfr. Ivi, 224).

11 «In forza del criterio generale, con cui si stabilisce che le circoscrizioni finora affidate alla cura di un solo vescovo si uniscano in una sola, anche per le diocesi di Trani, Barletta e Bisceglie la Congregazione per i Vescovi col presente decreto stabilisce la unione piena delle medesime».

12 A tal proposito si veda D. Andres, Le forme di vita consacrata, Ediurcla, Roma 2008, 46-47.

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Offre ulteriore chiarimento il discorso tenuto da Paolo VI all’episcopato italiano il 23 giugno 1966: «Sarà quindi necessario ritoccare i confini di alcune Diocesi, ma, più che altro, si dovrà procedere alla fusione di non poche Diocesi, in modo che la circoscrizione risultante abbia una estensione territoriale, una consistenza demografica, una dotazione di Clero e di opere idonee a sostenere una organizzazione diocesana veramente funzionale, e a sviluppare una attività pastorale efficace ed unitaria».13 Sottolineiamo il termine “fusione” usato dal Santo Padre. “Fusione” è, nell’ambito del can. 582, l’assorbimento di uno o vari enti in un altro (generalmente, più grande e florido), del quale, alla scomparsa, assumono il titolo e la personalità giuridica.14 È interessante notare che, nel nostro decreto, viene abbandonato questo termine, e inserito il termine “unione”.

Potremmo allora definire l’“unione” come la comunione di Chiese già esistenti che, da questo momento, sono chiamate a camminare in modo unitario, dando così luogo ad un’unica diocesi. Dunque, non si tratterebbe di una diocesi nata ex novo, in caso contrario non si terrebbe conto del cammino di santità già condotto dalle citate diocesi e non si comprenderebbero le disposizioni applicative che, a partire dalla nomenclatura, riprendono le antiche titolazioni delle diocesi. Si tratterebbe piuttosto di una comunità rinnovata nel suo assetto organizzativo e territoriale che, ricca del suo cammino porta, nella varietà dei carismi, a condivisione il patrimonio di fede, tradizioni e cultura maturato.

A tal riguardo ci si chiede se la celebrazione di un congresso eucaristico o di un sinodo diocesano dopo il 1986 possa essere definito il “primo”. Sicuramente è il primo dal decreto di piena unione, ma non il primo nella storia di quel popolo, pertanto per rispettare la cate-goria di Popolo di Dio, tanto cara al dettato conciliare e al magistero pontificio successivo,15 tali iniziative andrebbero indicate specificandole come “le prime dopo l’unione”.

6. Parte dispositiva

Il cammino comunionale sancito e prospettato trova delle disposizioni operative di immediata attuazione nella diocesi.

1) La diocesi dotata di questa nuova struttura avrà la sede nella città di Trani, dove l’attuale Chiesa Cattedrale conserva questo titolo proprio.

2) Il nome della diocesi sarà questo: «Arcidiocesi di Trani – Barletta – Bisceglie».

13 Insegnamenti di Paolo VI, vol. IV, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1967, 308.14 A tal proposito si veda M. Dortel - Claudot, «Questiones hodiernae de fusionibus, unionibus

et foederationibus Institutorumvitae consecratae», in Periodica de re morali, canonica, liturgica, (1990), 663-683.

15 A tal riguardo si veda J. Ratzinger, Das neue Volk Gottes. Entwurfe zur Ekklesiologie, 1971. Traduzione italiana: Il nuovo Popolo di Dio, Queriniana, Brescia 1992.

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3) Le attuali Chiese Cattedrali delle città di Barletta e Bisceglie prendono il titolo di Concattedrali, in memoria delle loro illustri ed antiche tradizioni.

4) Si avrà un unico Capitolo Cattedrale, che sarà il Capitolo della Chiesa Cattedrale della sede vescovile.

I Capitoli delle Chiese Cattedrali delle altre diocesi pienamente unite prendono i nomi di Capitoli Concattedrali.

5) Parimenti unica sarà la Curia Vescovile e anche il Tribunale Ecclesiastico, il Seminario, il Collegio dei Consultori, il Consiglio Presbiterale, il Consiglio Pastorale, l’Istituto preposto al Sostentamento del Clero, gli organi di apostolato e qualsiasi altro istitu-to diocesano, previsti dal vigente diritto canonico, con la facoltà data al Vescovo di trasferire, dalla sede diocesana, altrove alcuni uffici amministrativi.

6) I Santi Patroni delle singole diocesi, unite in una, vengono venerati come Patroni della nuova diocesi.

7) I sacerdoti e i diaconi, che finora erano incardinati in ciascuna delle diocesi unite, d’ora in poi si ritengono incardinati nella nuova diocesi che risulta dalla unione.

8) La nuova circoscrizione ecclesiastica include e comprende i territori, che oggi appar-tengono a ciascuna diocesi unita.

9) Insieme con il territorio delle parrocchie, che finora appartenevano alle singole diocesi unite, si ritengono annessi alla nuova circoscrizione ecclesiastica anche gli istituti ecclesiastici con i loro beni e diritti che, in qualsiasi modo, spettano ad essa a norma del can. 121 del Codice di Diritto Canonico.16

Tali disposizioni mirano nel loro complesso a tracciare un cammino di comunione, ma soprattutto a non lasciare nel disordine soprattutto il periodo dell’implementazione pratica della riforma. A tal riguardo è incaricato di rendere esecutivo il provvedimento l’arcivescovo che già guidava le tre diocesi.17

Di fianco a tale Decreto, la Congregazione per il Culto divino, emise delle norme circa le celebrazioni liturgiche, da osservarsi in tutte quelle diocesi unificate con decreto della Congregazione dei Vescovi.

16 Proponiamo la traduzione così come apparsa nel Bollettino diocesano, Corato 1987, 5- 7. 17 Mons. Giuseppe Carata (Lecce, 9 giugno 1915 - Bisceglie, 25 gennaio 2003) fu nominato dapprima

vescovo ausiliare e poi arcivescovo delle diocesi di Trani, Barletta-Nazareth e Bisceglie il 17 maggio 1965. Fu nominato arcivescovo delle medesime diocesi il 28 agosto 1971. Fu il primo arcivescovo dopo l’unione delle diocesi. A tal riguardo si veda P. Di Biase, Vescovi, Clero e Popolo. Lineamenti di storia dell’arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie, Rotas, Barletta 2013, 192-197.

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Tale decreto si preoccupa di ribadire la centralità e l’unicità della Chiesa Cattedrale nella diocesi e specifica il ruolo e le celebrazioni da tenersi nelle concattedrali, oltre che ulteriori specificazioni per la composizione del calendario liturgico.

La lettura di questo decreto, se da un lato risveglia la memoria di chi è stato protagonista della riforma e attenua la curiosità di chi ne ha semplicemente sentito parlare perché in quel tempo era molto piccolo d’età, risulta essere di decisiva attualità visti gli effetti che ha avuto nella vita ecclesiale. Difatti l’Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie, così come tante altre Chiese in Italia, ha cercato di camminare unitariamente nel segno della comu-nione sperimentando a volte lo slancio della novità, altre volte la stanchezza della marcia. Il cammino per continuare a costruire la comunione è lungo, ma non difficile perché è in ogni caso guidato dallo Spirito.

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Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2014pp. 252, euro 18,00

Anno XV, nn. 15/16, giugno 2016, pp. 165 - 168 ISSN 2240-2666 - Issr Trani

Maria Rosaria Del GenioIl sole della mia volontà. Luisa PiccarretaUna vita comune fuori dal comune

Negli ultimi anni, fra le pagine della storiografia contemporanea, grazie al recupero e alla riproposizione di diari e carteggi, memorie e manoscritti in gran parte inediti, è emersa l’esigenza di rileggere - rivalutandoli - l’originalità e lo spessore del contributo fornito dalle donne in ambito ecclesiale. L’adempimento di questo necessario quanto articolato processo di rilettura storica, voluto e realizzato dalle donne per le donne - come dimostrano, tra gli altri, gli studi di Marina Caffiero, Cecilia Dau Novelli, Paola Gaiotti de Biase, Lucetta Scaraffia e Gabriella Zarri - contribuisce a illuminare alcune delle ombre storiografiche legate alla “questione meridionale” di matrice ecclesiale, individuata da Pietro Borzomati nell’assenza - fra le Chiese del Mezzogiorno - di una certa attenzione, fra Ottocento e Novecento, nei confronti delle novità ispirate dal magistero “romano”.Si situa sulla scia di tale operazione storica e storiografica il volume Il sole della mia volontà di Maria Rosaria Del Genio - esperta di storia della mistica e della santità - dedicato a Luisa Piccarreta (1865-1947) che - come evidenzia nella prefazione il cardinale Josè Saraiva Martins, prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei Santi - «ha co-nosciuto l’avvicendarsi di varie epidemie, di due guerre e ha raccolto tante lacrime per la dura condizione di vita dei suoi contemporanei», trasformando «il suo cuore in spazio tutto abitato da Dio» (7).

Basata sull’analisi di documentazione finora sconosciuta alla ri-cerca - in quanto «Docile alle parole che il Signore Gesù le rivolge, ella obbedisce al confessore che le impone di trascrivere tali parole» (10) - la biografia della Del Genio descrive - della Piccarreta - gli aspetti identitari di una vita comune fuori dal comune - come recita il

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sottotitolo del volume - emblematicamente guidata dal principio del «vivere nella Divina Volontà». Nelle pieghe della storia, la sua “novità” di vita - vissuta «al rovescio» (11) perché in grado di contrapporre all’esteriorità della contemporaneità l’interiorità della mistica - rese la Piccarreta protagonista di un’esistenza inedita, la cui originalità - oltrepassando i confini del territorio nazionale (cfr. 199) - ha raggiunto negli ultimi tempi una diffusione intercontinentale (cfr. 203-206), permettendo, con il sostegno dei membri dell’Associazione Luisa Piccarreta. Piccoli Figli della Divina Volontà (cfr. 200; 204-205), di avviarne la causa di beatificazione, conclusa nella sua fase diocesana (201) dall’arcivescovo Giovan Battista Picherri nel 2005.

Luisa «la santa» - come fu definita, mentre era ancora in vita, dall’autore della scheda per il censimento del 1936 (183) - nacque il 23 aprile 1865 a Corato, centro popoloso a economia prevalentemente agro-industriale delle Murge, compreso nel territorio dell’ar-cidiocesi di Trani e caratterizzato nei decenni compresi tra l’Unità d’Italia e la prima metà del Novecento, dalle vicende che contrassegnarono gran parte del Mezzogiorno. Trascorsa l’infanzia alla scuola delle tipiche espressioni della media borghesia locale - il padre era «fattore alle dipendenze di una ricca famiglia del paese e a sua volta ha dei dipendenti per coltivare i poderi» (12) - la Piccarreta sperimentò la tradizionale pedagogia impregnata di valori cristiani che echeggiava tra le mura dell’abitazione di famiglia (12) e i banchi della chiesa parrocchiale di Santa Maria Maggiore (23). All’età di dodici anni, preambolo della «“vita nuova”» (20), Luisa avviò il «dialogo con il Signore Gesù […] fino a diventare con-tinuo» (15) nel trinomio riparazione-vittima-fiat, per il quale - sottolinea Del Genio - «si offrirà quale “vittima espiatoria” e vivrà un profondo cristocentrismo» (31-32).

In quegli anni - i primi del Novecento - anche Corato, con la Piccarreta, sperimentò la timida affermazione delle “cose nuove” ispirate dalla lettera-enciclica Rerum novarum che Leone XIII aveva pubblicato il 15 maggio 1891. Con quell’indirizzo papa Pecci, invitan-do i cattolici a “uscire di sacrestia” per fronteggiare le inattese conseguenze sociali dei più recenti sviluppi economici, sollecitò - tra l’altro - una riflessione profonda sulla condizione femminile - «certe specie di lavoro non si addicono alle donne, fatte da natura per i lavori domestici» aveva scritto il pontefice - proiettandola verso inediti traguardi. In quel contesto di rinnovato impegno ecclesiale, Luisa - già Figlia di Maria (12) e terziaria domenicana (38) - nonostante il «fenomeno dell’irrigidimento» (cfr. 36-37) che la costringeva a resta-re perennemente a letto (cfr. 45), si fece, per le sue allieve, maestra nelle «applicazioni a “tombolo”, un lavoro di filo fatto con i fuselli» (9) e protagonista di «un vero cenacolo di preghiera e di virtù» (94), stimolando - attraverso quella duplice metodologia - «l’adesione alla Divina Volontà» e l’«impegno nella carità» (27).

Furono quelle le premesse dell’«immersione nella passione di Gesù» (35) di Luisa Pic-carreta - la «piccola povera ignorante coinvolta in un grande mistero» (47) - che, con la sua “missione vittimale”, visse il passaggio dall’intra della religiosità tradizionale all’extra auspi-cato dal più recente magistero papale, abbracciando un innovativo senso di appartenenza

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167A. GIUSEPPE DIBISCEGLIA | Il sole della mia volontà. Luisa Piccarreta una vita comune fuori dal comune

ecclesiale in grado di esprimere l’immolazione di sé per gli altri: «la sua partecipazione alle sofferenze della Passione - scrive Del Genio - è anche partecipazione al fine stesso di essa: la salvezza di tutti gli uomini» (43). Un progetto coltivato con il sostegno spirituale del clero locale (39; 41; 47; 75; 113; 119; 122; 163; 178-181) e realizzato in una vocazione che fece di Luisa - per Gesù «la “vera monacella” del suo cuore» (49) - la testimonianza vivente di una «consumazione perfetta» sperimentata all’interno di una quotidianità che «ha decisamente un timbro divino» (73).

La novità di vita della Piccarreta, attraverso «la croce dello scrivere» (79), confluì in «36 quaderni in forma di Diario che vanno dal 28 febbraio 1899 al 28 dicembre 1938» (79), la cui originalità fu colta da padre Annibale Maria Di Francia (cfr. 80), che ne favorì - con il Diario, l’Orologio della passione, «un “nuovo” e assai proficuo metodo sul modo come contemplare i patimenti di nostro Signore Gesù Cristo» (107), e La Vergine Maria, «medi-tazioni per ogni giorno del mese di maggio» (137) - la diffusione. Ma quelli furono anche gli anni durante i quali «il dibattito sulla mistica cristiana è molto acceso». La particolare attenzione delle competenti autorità vaticane verso fenomeni giudicati «eccessivi o falsi» (147) provocò - a partire dal 1930 - un clima di sospetto nei confronti della Piccarreta, motivando - a causa di alcuni «fraintendimenti circa la dottrina cattolica ufficiale» (159) - «una indagine canonica» (147), la requisizione dei «manoscritti del Diario» (148) e la conseguente iscrizione - seppure temporanea - fra le colonne dell’Indice dei Libri proibiti (149). Colpita da bronchite - «l’unica malattia che i medici le riconoscono e che le dura appena quindici giorni» (167) - Luisa morì il 4 marzo 1947 all’età di 81 anni.

Per la sua specifica identità - imperniata sulla consapevolezza che «“vivere nella Divina Volontà” significa “regnare” con Gesù mentre il “fare la sua volontà” significa “stare ai suoi ordini”» (211) - anche la figura della Piccarreta contribuisce a rivalutare il ruolo femminile nel Mezzogiorno tra vecchio e nuovo secolo, confermando - nel contempo - l’incisività di una testimonianza che accorcia la supposta distanza tra la variegata identità delle diocesi meridionali e la “romanità”. Un aspetto colto, nella sua originalità, dall’arcivescovo Pichierri che, nella postfazione a suggello del volume, legge nel presente - ponendosi alla scuola di papa Francesco - l’indirizzo che nel passato segnò l’esistenza quotidiana della Piccarreta, proiettandolo verso il futuro: «La conoscenza di questa spiritualità alta - scrive il pastore della Chiesa tranese - non ci deve chiudere in uno sterile intimismo spirituale, ma aprirci al fratello che ci passa accanto, nel quale ravvisiamo spesso il gemito dello stesso Gesù, che abita in noi e che da noi vuole essere ricambiato con il suo stesso Amore» (246-247).

Pur privo di un organico apparato di note archivistiche - che avrebbe offerto al lettore il necessario sapore della scientificità - e di essenziali, quanto indispensabili, riferimenti bibliografici - utili per una maggiore contestualizzazione della ricerca - il merito principale del volume di Maria Rosaria Del Genio, redatto sul modello della biografia “documentata” tipica della Positio, è individuabile nel percorso che fa della Piccarreta un ulteriore esempio del processo, avviato nell’Ottocento e concretizzatosi nel Novecento, teso a definire l’imma-

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gine di un nuovo modello di consacrata che la storiografia più recente - come dimostrano gli studi di Giancarlo Rocca - ha individuato nella “donna della soglia”: perché tale fu Luisa, «la piccola suora senza convento, come l’ha voluta Gesù, in un piccolo paese dell’Italia meridionale» (110), la cui esistenza rivelò - come amava lei stessa affermare - che «“Agire nella volontà di Dio è assai più che uniformarsi alla volontà di Dio”» (110).

Angelo Giuseppe Dibisceglia

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Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2015pp. 134, euro 10,00

Anno XV, nn. 15/16, giugno 2016, pp. 169 - 173 ISSN 2240-2666 - Issr Trani

Lorenzo LeuzziIl vangelo della misericordia. Per un nuovo sviluppo globale. Un itinerario teologico

L’invito a presentare un volume suscita due sentimenti: gratitudine e inadeguatezza. La gratitudine per l’atten-zione riservata dall’Autore, l’inadeguatezza perché non sempre si ha l’equipaggiamento adatto per scrutare a fondo il messaggio che l’Autore intende offrire al lettore attraverso l’opera scritta.

Consola però il fatto che ogni opera - letteraria o arti-stica - una volta consegnata al pubblico non appartiene più solamente all’autore ma anche al pubblico. Pertanto, libero da ogni ossessione di inseguire l’intenzione dell’Autore, ci si può concedere la libertà di ascoltare le risonanze che il testo produce in chi deve presentarlo. Ed è con questa disposizione interiore che partecipo l’eco che la lettura del volumetto di mons. Leuzzi ha prodotto in me.

Prima di tutto condivido una considerazione tecnico-terminologica. “Testo” deriva dal latino textus, con significato originario di tessuto o di trama. Per tessere un tessuto, il telaio usa due gruppi di filo: quelli per la trama, che tessono “orizzontalmente” il tessuto, e quelli dell’ordito, che lo tessono “verticalmente”.

Alla luce di queste considerazioni, leggendo il testo di mons. Leuzzi, ho cercato di individuare il filo “orizzontale” della trama e quello “ver-ticale” dell’ordito. La trama ovvero l’orizzonte ermeneutico. L’ordito ovvero per “uno slancio del pensiero”.

1. La trama ovvero l’orizzonte ermeneuticoPer accedere all’orizzonte ermeneutico del testo di Leuzzi bisogna

decodificare l’universo lessicografico con cui è intessuto il suo volu-metto. Scorrendo le pagine del testo ci si imbatte con una frequenza che non può passare inosservata con categorie che possono risultare

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ostiche al lettore sprovveduto. Ne enumero alcune: consistenza ontologica, datum, factum, faciendum, de-onticizzazione, ente storico-dimanico, fede religiosa e fede teologale, iden-tità, stabilità, eternità, naturalismo metafisico, orfananza, organismo storico-dinamico, prassi storiche antirealistiche, realismo storico, società storico-dinamica, storicità, storicità dinamica, storicità naturale, usura esistenziale.

Da una prima considerazione mi viene da dire che, per leggere le pagine del Leuzzi, occorre scrutarle non solo con l’occhio del credente ma è necessario leggerle e inter-pretarle con quello del filosofo metafisico. Va subito detto che il sapere metafisico non gode di buona accoglienza nel panorama filosofico odierno. Viviamo un clima culturale prevalentemente venato di scetticismo; si constata una mancanza di proposte speculative nuove. L’Autore cerca di penetrare, in chiave ontologica, il passaggio epocale che viviamo e per questo scopo adopera nuovi strumenti concettuali per definire la novità dell’epoca dinamica. È il tentativo di rilancio della speculazione metafisica realistica, attraverso l’elaborazione di una ontologia dinamica che, secondo le sue intenzioni, dovrebbe co-stituire una integrazione della metafisica tomistica. Da questo punto di vista la lettura del testo non appare molto agevole.

Scrutando tra le note del testo ecco apparire un nome che, a parer mio, può essere ri-tenuto il mentore di riferimento dell’Autore: Tommaso Demaria (1908-1996), filosofo e religioso salesiano. Questo autore anche se citato solo due volte (71. 126), al suo pensiero si ispira tutta la imbastitura della trama del testo. È lo spessore dell’intellettuale e dell’umile ricercatore della verità, quale è stato Demaria che trasuda dalle pagine di Leuzzi. A dire il vero, questo pensatore non è troppo noto al grande pubblico, che a tratti può risultare persino illeggibile.

Mons. Leuzzi, conoscitore e divulgatore sin dai suoi anni giovanili del pensiero del Demaria, col suo volumetto sembra volerci iniziare ad un approccio graduale all’orizzonte gnoseologico e filosofico del Demaria. Si tratta di cominciare a prendere dimestichezza con categorie nuove. Si tratta di rendere la cultura metafisica cattolica capace di adeguarsi ai nuovi scenari della globalità planetaria e al senso di spiazzamento che questi procura-no, partendo da potenti intuizioni quali “l’ente dinamico”, in un orizzonte di pensiero dinontorganico.

La parola “dinontorganico” viene intesa come la sintesi dei concetti di dinamico-onto-logico-organico, espressiva dunque di una riflessione che intende andare alla profondità della realtà (ontologico) per coglierla nei suoi dinamismi intrinseci (dinamico), che a loro volta rivelano una dimensione “organica”, di “vita” che si attua secondo la logica del dono, del “vivere per”.

Il pensiero di Leuzzi, come quello del filosofo Demaria, va contestualizzato, ricollocato nella fitta trama di collegamenti e di intrecci da cui nasce. Mi riferisco al neo-tomismo rappresentato da Jacques Maritain e alla filosofia dell’azione di Maurice Blondel e, in misura minore, al personalismo di Emmanuel Mounier.

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2. L’ordito ovvero per “uno slancio del pensiero”Dalle pagine del Nostro emerge una filosofia cristiana investita della grande responsabilità

di elaborare le fondamenta metafisiche per la costruzione di una nuova società. Si insiste sulla capacità di trovare strade adeguate ai tempi attuali per un annuncio di fede efficace, senza rimpianti per epoche passate né aperture incondizionate al mondo moderno. Emerge una visione sintetica, globale in grado di avvolgere i molteplici e apparentemente caotici dati di esperienza attraverso uno strumento metafisico nuovo, quello realistico dinamico.

Fedeltà al metodo realista, dunque; passione per la concretezza della realtà storica ove l’uomo costruisce, nell’intreccio con l’operare di Dio, la propria salvezza, concezione dell’attività del pensare come scienza e come docile servizio alla verità, approccio sistema-tico all’essere privilegiando la vitalità della sintesi alla morte dell’analisi: questi i binari sui quali corre il filosofare-teologare di Leuzzi. Filosofia e teologia non appaiono due ambiti separati, due discipline estranee che possono qualche volta incrociarsi, ma due modi diversi di considerare un’unica realtà.

La constatazione del passaggio da un mondo statico a un mondo dinamico. «Siamo in un cambiamento d’epoca e non in un’epoca di cambiamento» (Papa Francesco a Firenze, 10 novembre 2015). Questa transizione è uno dei temi capitali del discorso affrontato nel testo.

La conseguenza più notevole è che il mondo sacrale è diventato secolare, vale a dire che si è passati, in pratica, da un contesto che vedeva la società religiosa e civile strettamente abbracciate a uno in cui esse si distanziano, dato che la seconda rivendica una maggiore autonomia ed emancipazione dalla prima. Se ci sono fatti nuovi, compito dell’intelligenza è aprirsi umilmente alle novità e non chiudersi pregiudizialmente all’interno delle proprie categorie.

Viene proposta una metafisica della realtà storica, che ha a cuore le realtà sociali com-plesse e dinamiche, della relazione tra individuo e gruppo di appartenenza, del rapporto tra natura e storia, della soggettività personale ed ecclesiale.

La riflessione di Leuzzi è in linea con quanto auspicava Benedetto XVI nella Caritas in veritate: «Serve uno slancio del pensiero per comprendere meglio le implicazioni del nostro essere una famiglia; l’interazione tra i popoli del pianeta ci sollecita a questo slancio, affinché l’integrazione avvenga nel segno della solidarietà piuttosto che della marginaliz-zazione» (n. 53).

Le pagine del volume del Nostro elaborano una prospettiva di pensiero “sapienziale” che si contraddistingue per quell’allargamento degli orizzonti della razionalità, così caro al magistero stesso di Benedetto XVI. Come ebbe a ricordarci Benedetto XVI a Ratisbona, Dio agisce συν λόγω, “con logos”. Logos significa insieme ragione e parola, una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi, appunto, come ragione. La “riscoperta” di questa dimensione “razionale” di Dio - come lascia intendere Leuzzi - sembra che oggi possa rappresentare, sulla scia dell’evangelizzazione che l’apostolo Paolo offrì come modello nel

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suo discorso all’areopago di Atene, lo strumento per portare Dio “dal cielo alla terra”, da razionalità a pane quotidiano.

Le pagine di Leuzzi sollecitano una vera e propria opera di carità intellettuale, una cultura capace di dare nuove risposte all’interno di una realtà storica segnata da una profonda e tangibile crisi.

A fronte di tale crisi, però, non si può ignorare che la realtà sociale del mondo cammina verso un’unità, una sempre maggiore interdipendenza; una sorta di marcia verso l’unità, di cui la Chiesa nella sua realtà è un’anticipazione, attraverso l’immagine dell’organismo dinamico di cui parla Paolo nel famoso brano della prima lettera ai Corinzi dove si afferma che siamo parti di un unico corpo (cfr. 12, 6-13; anche 1Cor 15, 22-28; Ef 1, 21-23; Fil 2, 9-11). Questa profonda verità “paolina” deve essere rimessa fortemente al centro anche dei programmi pastorali e della riflessione sulla stessa vita sociale.

La Chiesa dal punto di vista ontologico - secondo questo orizzonte epistemologico - è esattamente un superorganismo dinamico, anzi, è il Superorganismo Dinamico della realtà storica salvifica: il suo assoluto è Cristo, forma viva dell’umanità, Chiesa, Corpo di Cristo nella storia, materia umana in continua conformazione a Cristo per azione dello Spirito Santo.

Si tratta di un’interpretazione filosofica di ciò che, secondo lo sguardo teologico dell’ecclesiologia della Mystici corporis in poi, rappresenta la reale e intima solidarietà della Chiesa con il genere umano e la sua storia. Da questo radicamento ecclesiologico proviene l’apertura ad una considerazione dei problemi su scala planetaria. Non si può, però, tacere che parlare del Corpo Mistico come di un mero ente di ragione, dal punto di vista della teologia cristiana, risulta problematico.

3. Annotazioni criticheL’orizzonte di riflessione si presenta ardito ed elitario e, per certi versi, poco agevole dal

punto di vista della divulgazione, oltre che di una immediata comprensione. Va, altresì, no-tato che l’impostazione epistemologica del volumetto propone certamente una teorizzazione “forte”, una visione “totale” (forse “totalizzante”...), non esente da una certa impressione di “sufficienza”, che potrebbe addirittura indurre il lettore a credere di aver trovato la pietra filosofale, una sorta di magica “chiave universale” per la soluzione di tutti i problemi.

Problematica o quanto meno enigmatica appare l’affermazione più volte ripetuta dall’Au-tore (8; 27; 40): «il Vangelo della Misericordia non coincide con il Dio misericordioso».

Lascio interpretare all’Autore stesso attraverso il messaggio che ha indirizzato agli stu-denti universitari di Roma, in occasione dell’Anno della Misericordia: «Siamo discepoli di un Dio misericordioso o del Vangelo della Misericordia? Un Dio che mi chiede di colla-borare e non semplicemente di obbedire? La liberazione dall’Egitto non era un’esperienza di misericordia? Sì, ma non ancora il Vangelo della Misericordia. Il Vangelo della Miseri-cordia è il dono del passaggio dall’imperativo all’indicativo. È il Vangelo della liberazione

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dal bisogno di dover essere riconosciuto. Tu sei, non devi! Tu sei il collaboratore di quel Dio che ti dona e garantisce la tua piena dignità e non hai bisogno di lottare per essere riconosciuto. Il tuo debito per gli altri è solo quello dell’amare. Ricordo sempre quando studiavo filosofia il grande tentativo di Kant di fondare una morale privata e pubblica fondata sul rispetto dell’altro. Il tentativo è stato vano. L’uomo ha bisogno di essere liberato dal cammino verso la morte che lo costringe al bisogno di essere riconosciuto. La morale del tu devi non è in grado di bloccare questo bisogno inarrestabile. Solo il Vangelo della Misericordia può invertire la rotta della nostra esistenza. Tu sei grande! Non è vero che sei nessuno, che sei un oggetto, un numero. Tu sei qualcuno!».

Domenico Marrone

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Salvatore Palese e Michele Bellino(a cura di)

Domenico Del Buono a Ruvo e Bitonto (1925-1929)Un prete barese, vescovo del primo Novecento

Studi, documenti e immagini costituiscono le tre sezioni del recente volume - «il quarto della nuova serie» (5) - pubblicato dal Centro di Studi Storici della Chiesa di Bari-Bitonto che, curato da Salvatore Palese e Michele Bellino, con i saggi di Giuseppe Micunco, Stefano Milillo, Nicola Pice e Vincenzo Robles, analizza la figura di Dome-nico Del Buono (1880-1929), sacerdote dal 1904 che, tra il 1925 e il 1929, fu vescovo dell’allora diocesi unite - aeque principaliter - di Ruvo e Bitonto. Pur all’interno di un limitato arco cronologico, «la personalità di prete barese e la sua vicenda episcopale nella provincia» rivelano - scrive Palese nella Presentazione - aspetti significativi «degli sviluppi del mondo cattolico e della moderna cultura pastorale, che nella parrocchia e nella moderna organizzazione formativa dei laici fissavano i percorsi fondamentali da fare» (7). Tra le pagine del volume, infatti, accanto ai contributi degli autori, la Cronologia dell’episcopato (1925-1928) attinta da Milillo da Vita Religiosa, che fu la rivista mensile delle diocesi di Ruvo e Bitonto (37-46), la riproposizione di alcuni documenti del magistero di Del Buono (221-286) e la ricca raccolta fotografica (289-300), riecheggiano gli obiettivi pastorali che, nei primi decenni del Novecento, caratterizzarono, nelle diocesi meridionali - anche e tra gli altri - l’operato di Giuseppe Signore (1918-1928) a Telese-Cerreto Sannita, Gennaro Trama (1902-1927) a Lecce, Ignazio Monterisi (1900-1913) a Marsico e Potenza, Salvatore

Edipuglia,Bari, 2015pp. 310, con ill.

Anno XV, nn. 15/16, giugno 2016, pp. 175 - 178 ISSN 2240-2666 - Issr Trani

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Bella (1909-1920) a Foggia: vescovi impegnati nell’osmotica operazione di conciliare, tra rilancio della parrocchia e valorizzazione dell’associazionismo cattolico, le antiche esigenze cultuali della popolazione e le istanze reclamate dalle “novità” dei tempi.

Formatosi in un contesto - quello barese - segnato, come gran parte del Mezzogiorno, «da grossi problemi sociali ed economici» (11), Del Buono rivelò, con l’avvio del ministero sacerdotale, una particolare attenzione verso la formazione del laicato, profusa, a partire dal 1906, in qualità di parroco-sostituto, nella chiesa di San Ferdinando a Bari. Nonostante la «rabbia massonica» (18) - nel 1911 il capoluogo pugliese registrò la soppressione «di ben quindici case religiose» (20) - il sacerdote fu all’origine, tra impegno parrocchiale e solida-rietà sociale, di importanti iniziative - fondò «insieme a Natale Loiacono […] il ‘Circolo Democratico Cristiano’» (18) e fu «collaboratore de “L’Avvenire delle Puglie”» (19) - tese ad affermare una più attiva presenza dei cattolici nella società. Il conseguimento di incarichi “influenti” nell’organigramma diocesano - fu canonico della cattedrale, procuratore fiscale della curia, vicario generale (23) - e la sintonia con il suo arcivescovo - Giulio Vaccaro (1898-1924) operava per il «miglioramento del servizio pastorale», mentre Del Buono ribadiva «la centralità della parrocchia» (22) - rappresentarono le premesse della nomina pontificia che, nel 1920, lo designò «ausiliare dell’arcivescovo di Bari» (24). Mentre il Codice di Diritto Canonico assegnava ai fedeli l’esclusiva funzione di credere, partecipare ai sacra-menti e ubbidire alla gerarchia ecclesiale, Del Buono convogliò in «esperienze comunitarie» (25), accanto agli uomini, anche le donne - il «primo convegno diocesano della gioventù femminile» (26) si tenne a Bari nel 1921 - tradizionalmente legate a una “gestione del sacro” casalinga e devozionale. Il vescovo forniva «all’Azione Cattolica - scrive Micunco - la convinzione della necessità di una obbediente collaborazione con la gerarchia» (28) che, in una nazione votata al fascismo, favorì «una più ‘prudente’ gestione del rapporto con il laicato […] riguardo all’impegno politico» (28).

In un periodo durante il quale Chiesa e regime individuarono nella memoria del passato e nella valorizzazione del presente la “scommessa” per il futuro (cfr. 62-70), Del Buono, sull’esempio di «don Bosco, che gli fu modello di vita», attuò la «“tattica dell’ago da cucire”», mirando alla realizzazione della «unitarietà d’intenti» (85) con i suoi diocesani. Con quel progetto - evidenzia Pice - il vescovo «concorse non poco nel definire le finalità e i compiti del movimento giovanile cattolico» (90) e promosse un senso ecclesiale capace di esprimere, accanto alla tradizionale presenza “fra” i banchi delle chiese, l’appartenenza “alla” Chiesa. Attraverso la strategia pastorale di Del Buono, le diocesi di Ruvo e Bitonto smettevano l’abito vecchio della tradizionale ritualità - alimentata dal protagonismo confraternale - e indossavano il «vestito nuovo» (97) della cattolicità, metaforicamente espressa - anche - dalla attenzione riservata dal vescovo alla «necessità che le chiese, e in particolare le parrocchie, siano centri propulsori della vita cristiana e, in quanto tali, luoghi accoglienti e dignitosi» (136-137).

Gli interventi strutturali compiuti nelle chiese - allo scopo di limitare la «mania dei parroci di accogliere tutte le devozioni particolari dei vari fedeli» (98) - furono tra le

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177A. GIUSEPPE DIBISCEGLIA | Domenico Del Buono a Ruvo e Bitonto (1925-1929)

voci più consistenti della visita pastorale che Del Buono compì dal 1928. Anche quella fase della vita diocesana rappresentò un’occasione favorevole per promuovere la «“tattica dell’ago da cucire”» se, come rivelano le fonti, la situazione riscontrata fra «il clero ruvese e bitontino generalmente colto, ma non sempre disponibile ad accogliere con umiltà e dolcezza l’autorità del vescovo» (122), rifletteva tensioni ben più profonde. Una fitta rete di parentele accomunava sacerdoti, famiglie e responsabili della vita pubblica, rendendo estranea la figura del vescovo (cfr. 125), chiamato ad affrontare gli ostacoli «esortando, ammonendo, presenziando costantemente cerimonie religiose, sostenendo tutte le iniziative, specie quelle legate all’Azione Cattolica» (136). Per eliminare «l’erba cattiva» (138), Del Buono puntò sulla parrocchia, confortato «dalla evoluzione in positivo del laicato» (140), e sostituì all’antico potere delle confraternite la figura del parroco il quale, inviato dall’au-torità episcopale, rappresentava il nuovo punto di riferimento per le relazioni legate alle diverse attività cultuali. Aspetti dell’azione svolta da Del Buono che mostrano l’incisività di una pastorale i cui effetti rivelano «un vescovo dinamico - scrive Milillo - aperto alle novità di una chiesa in cammino, capace di generare semi e fermenti che matureranno in un clero più generoso e in un laicato maturo, punto di riferimento per la chiesa locale e quella regionale» (165).

L’episcopato di Del Buono, infatti, per il movimento cattolico, coincise con la fase di quel processo che, concludendo la «grande e difficile stagione dell’organizzazione cattolica in Italia» (cfr. 176-177), proiettò la presenza dei fedeli verso la formazione di una coscienza cattolica. Dopo l’impegno filantropico sviluppato tra le fila confraternali, i laici furono chiamati alla militanza anche se, come sottolinea Robles, nelle chiese meridionali «la fede non poteva diventare “movimento” perché rimaneva qualcosa di intimo e di personale» (170). Di fronte all’«indifferenza» tramutatasi in «diffidenza», fu l’episcopato - a Ruvo e Bitonto con i vescovi Pasquale Berardi (1898-1921), Ferniani, Del Buono - a promuovere lo sviluppo del movimento cattolico in Puglia (173-177), tra convegni, formazione e presenze, come quelle del torinese Giuseppe Marchisone e della bitontina Anna De Renzio (cfr. 181 e 199). Fra le pieghe di quel «risveglio» (175), Del Buono (cfr. 200) mirò alla realizzazione di un «cattolicesimo preoccupato per la formazione spirituale e sociale dei fedeli» (195) - come dimostrano i verbali dell’Unione Femminile di Azione Cattolica rinvenuti nell’Ar-chivio Storico Diocesano di Bitonto (206-219) - evidenziando «la profonda differenza tra le confraternite “vana parata” e l’Azione Cattolica “cosciente attività richiesta dai tempi nuovi”» (196). Riflessioni che permettono a Robles di concludere che «Del Buono non è stato il “politico” come Romolo Murri e come Luigi Sturzo, ma è stato il sacerdote che ha anticipato una certa promozione del laicato, e di quello femminile in particolare» (201).

A fronte della ormai classica interpretazione storiografica che individua l’assenza di una certa sensibilità ecclesiale nei confronti delle novità imposte dal “secolo breve”, lo studio delle Chiese del Mezzogiorno rivela, invece, l’esistenza di una progettualità pastorale tesa a rivendicare - affermandola - la dignità dell’individuo, all’interno di un contesto sociale

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e politico caratterizzato - invece - dall’anonimato della massa. Nei primi decenni del No-vecento, a Bari da sacerdote e da vescovo nelle diocesi di Ruvo e Bitonto, Domenico Del Buono fu un testimone che formò al “nuovo” i suoi fedeli - uomini e donne - attraverso inedite forme di evangelizzazione, sostituendo al rituale tradizionalismo la consapevolezza di una fede convinta delle proprie scelte e, per tale ragione, capace di una evidente e - pos-sibilmente - incisiva testimonianza nella società. Nel suo programma, la parrocchia non fu più soltanto il luogo dei registri e delle devozioni, ma divenne il nucleo di un processo di socializzazione, all’interno del quale ogni individuo poté sentirsi parte attiva di una comunità. E non solo. Come dimostrano le pagine del volume pubblicato dal Centro di Studi Storici della Chiesa di Bari-Bitonto che - è sempre Palese a sottolinearlo - «consentono di seguire da vicino le significative e interessanti trasformazioni che furono avviate nelle diocesi del regno e nelle loro parrocchie, tra contrasti e ritardi, chiusure e resistenze» (6).

Angelo Giuseppe Dibisceglia

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Comitato scientificoLuigi De Pinto

Vincenzo Di PilatoDomenico Marrone

Vincenzo PavanFrancesco Piazzolla

Matteo Scaringi

Coordinamento editorialeAntonio Ciaula

Beppe Santo

Collana di studi e ricerchedell’Istituto Superiore di Scienze Religiose - Trani

in coedizione con l’Editrice Rotas - Barlettadiretta da Domenico Marrone e Antonio Ciaula

Dubitando, infatti, siamo spinti a ricercare; e indagando a fondo giungiamo a cogliere la verità.

Pietro Abelardo

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Domenico Marrone (a cura di)DALLO SCACCO ALLA GLORIAL’avventura di un profeta:Antonio RosminiEditrice Rotas, Barletta 2008p. 96 - euro 7,00

Paolo FarinaLA PREGHIERAtra ascolto e lezioneEditrice Rotas, Barletta 2009p. 192 - euro 10,00

1. CONVIVIO 2. STRUMENTI

L’Issr S. Nicola il Pellegrino di Trani aggiunge un altro strumento scientifico alla rivista Salós: la collana di studi e ricerche Sic et non che, oltre alla funzione del tipo university press per docenti e studenti, intende rivolgersi ad un pubblico più vasto partendo dalla promozione culturale e scientifica nel territorio in cui l’Issr opera. Al servizio interno all’Issr (come per la pubblicazione di dispense), nel progetto editoriale si accosta quello alle realtà territoriali protagoniste e non intese solo come destinatarie di iniziative; l’intento è di dare voce e sup-porto a lavori scientifici di qualità specie di giovani residenti anche con il coinvolgimento augurabile delle istituzioni. Qui opera anche l’Editrice Rotas alla quale l’Istituto è già legato e che diventa partner del progetto per gli aspetti editoriali specifici. Nella promozione di una coscienza teologica criticamente avvertita, si è scelto come titolo della collana quello dell’opera Sic et non del filosofo-teologo medievale Pietro Abelardo, una delle figure fonda-mentali non solo del XII secolo, ma della storia del pensiero occidentale. Si può affermare che Abelardo, in particolare il Sic et non, ha fondato la logica occidentale, elaborando nelle sue opere vere e proprie regole ermeneutiche, la cui eco risuonerà pienamente un secolo dopo nelle due Summae di Tommaso d’Aquino. Abelardo è un combattente della ragione; egli sviluppa l’alta tecnologia della ragione, la logica, unitamente a una grande capacità di comunicare. Oggi la filosofia o la teologia entrano nella fede in maniera molto marginale: i cristiani sono soprattutto persone impegnate nella preghiera, nel volontariato sociale, nelle missioni. Se c’è una riflessione sulla fede, essa è di tipo psicologico, più che filosofico. Abelardo apre una via, una breccia, nell’eccessivo fideismo o nel moralismo che guarda solo alla forma esteriore. «Abelardo aveva uno spirito lucido e un cuore generoso. La rivelazione cristiana non è stata mai per lui la barriera insormontabile che divide gli eletti dai dannati e la verità dall’errore. Abelardo conosce i passaggi segreti dall’una all’altra e gli piace credere che gli antichi (filosofi) ch’egli ama li abbiano già trovati» (E. Gilson). La collana, che è divisa in sezioni, nasce sotto l’egida di Abelardo ed inizia con un primo volume che raccoglie gli Atti del “Convivio delle differenze” del 2008 dedicato alla figura di Rosmini, altro eminente pensatore che ci sprona a sviluppare ad altissimo livello l’esercizio della ragione senza dover né rinunciare alla fede né tenerla separata dall’intelligenza riflessa, consapevoli che dubitan-do arriviamo alla ricerca, e cercando percepiamo la verità (Abelardo, Sic et non, Prologo).

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Domenico Marrone (a cura di)SAN PAOLO MISOGINO?una lettura al femminiledell’apostoloEditrice Rotas, Barletta 2009p. 152 - euro 9,00

Antonio CiaulaDomenico Marrone (a cura di)PLURALITÀ LAICATOMEZZOGIORNIEditrice Rotas, Barletta 2010p. 160 - euro 8,50

Luigi LafranceschinaLA PEDAGOGIAE SUOI PROBLEMIEditrice Rotas, Barletta 2011p. 120 - euro 8,50

Paolo FarinaSIMONE WEILDentro e fuori la Chiesa?Editrice Rotas, Barletta 2011p. 312 - euro 12,00

Luigi LafranceschinaEDUCATORI DEL NOVECENTO PUGLIESEEditrice Rotas, Barletta 2014p. 88 - euro 7,00

Antonio Ciaula - Francesco Piazzolla (a cura di)APOCALISSI BIBLICHE E NUOVE APOCALISSIEditrice Rotas, Barletta 2015p. 288 - euro 15,00

6. CONVIVIO

8 CONVIVIO

5. STRUMENTI

7. STRUMENTI

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Domenico MarroneIL TESORO DELLO SCRIBAEditrice Rotas, Barletta 2011p. 832 - euro 35,00

Mario Alessandro FaranoUNA COMUNITÀ RICONCILIATAEditrice Rotas, Barletta 2011p. 320 - euro 18,00

Pietro di BiaseVESCOVI, CLERO E POPOLOEditrice Rotas, Barletta 2013p. 296 - euro 18,00

Domenico MarroneIL SICOMORO DI ZACCHEROEditrice Rotas, Barletta 2014p. 520 - euro 25,00

EDITIO MAIOR 4EDITIO MAIOR 3

EDITIO MAIOR 2EDITIO MAIOR 1

EDITIO MAIOR

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in copertina:San Nicola Pellegrino (part.)fine sec. XIII inizio sec. XIV,tempera su tavola,Museo Diocesano, Trani

sul retro:Cattedrale, Trani

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Rivista dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose San Nicola, il Pellegrino di Trani

anno XV - giugno 2016 - nn. 15/16

Questo numero è curato da Domenico Marrone e Angelo Giuseppe Dibisceglia.Coordinamento editoriale di Angelo Giuseppe Dibisceglia.

Comunicazioni di natura editoriale, come anche scambi di riviste e libri, devono essere indirizzati a:Arcidiocesi di Trani - Barletta - Bisceglie

Istituto Superiore di Scienze Religiose “S. Nicola, il Pellegrino”Piazza C. Battisti, 16 - 76125 Trani

Tel. 0883.494228Fax 0883.494262

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Le opinioni espresse in questa rivista non sono necessariamentené della redazione né dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose.

Progetto grafico-editoriale e stampaEditrice Rotas • Barletta

www.editricerotas.it • [email protected]

Registrazione n. 370 del 29/10/2001 presso il Tribunale di Trani

Comitato di Redazione

Antonio CiaulaAngelo Giuseppe DibiscegliaSilvia Anna Maria DipacePaolo FarinaRiccardo LosappioDomenico MarroneVincenzo RoblesMichelangelo Piccolo (segretario di redazione)

Comitato Scientifico

Luigi De PintoVincenzo Di PilatoDomenico MarroneVincenzo PavanMatteo Scaringi

Direttore responsabile

Domenico Marrone

ISSN: 2240-2667

Page 188: nn. 15/16 - ISSR Trani · fine sec. XIII inizio sec. XIV, tempera su tavola, Museo Diocesano, Trani sul retro: Cattedrale, Trani ... Luigi De Pinto Vincenzo Di Pilato Domenico Marrone

1Cor 4,10 nn. 15/16anno XV

giugno 2016

Rivista dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose San Nicola, il Pellegrino di Trani

ISSN: 2240-2667 anno

XV

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