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409 Lazio protostorico e mondo greco:considerazioni sulla cronologia relativa e assoluta della terza fase laziale GILDA BARTOLONI, VALENTINO NIZZO * L’accettazione dei dati emersi dalle analisi naturalistiche da parte di alcuni studiosi ha comportato, come è noto, un generale innalzamento della prima età del ferro con il conseguente inserimento della sua fase avanzata tra IX e VIII secolo a.C. e dell’inizio del periodo Orientalizzante nella prima metà dell’VIII secolo 1 . La riconsiderazione delle evidenze pithecusane (ed in particolare della tomba 325 con il noto scarabeo risalente al regno di Bocchoris) ha reso inconciliabile l’accettazione acritica dei dati dendrocronologici inducendo alcuni studiosi ad un riassestamento delle cronologie basse intorno alla data tradizionale del 725 a.C. 2 L’impatto con il mondo greco, che caratterizzava concordemente la fase avanzata della prima età del ferro, andava rialzato e la ceramica greca medio e tardogeometrica importata risultava datata prima in Italia che nel luogo di produzione di origine. Del resto, come rilevava nel 1960, Massimo Pallottino “questo periodo ha esercitato una particolarissima attrattiva sugli studiosi non soltanto perché ad esso si riportano problemi cruciali come quello dell’origine dei popoli italici e quello dei rapporti tra Grecia, Italia ed Europa continentale agli albori dei tempi storici, ma anche proprio per le intrinseche difficoltà di classificazione dei suoi fenomeni culturali e della loro cronologia relativa ed assoluta che, come spesso accade in questi casi, lungi dallo scoraggiare alla ricerca hanno anzi stimolato l’interesse critico, favorito il giuoco delle ipotesi personali, provocato una serie di avvincenti e vivaci discussioni” 3 . Per quanto riguarda la cultura laziale le analisi al radiocarbonio della capanna di Fidene, che ha restituito materiali inquadrabili tipologicamente nella III fase laziale 4 , hanno determinato un rialzamento di questa fase alla fine del IX secolo a.C., entro l’820 5 . Il confronto tra i materiali delle sepolture laziali con quelli della tomba a tumulo di Wehringen, datata dendrocronologicamente al *Università di Roma “La Sapienza”. 1 Da ultimo DELPINO 2003. 2 Vd. ad es. PACCIARELLI 2000. 3 PALLOTTINO 1960, p. 11. 4 BIETTI SESTIERI ET ALII 1998; NIJBOER ET ALII 2000; NIJBOER c.s., rialza la cronologia relativa della struttura alla transizione tra le fasi laziali II B e III. La capanna del resto non è stata ancora integralmente pubblicata. In base a quanto finora edito ed in base alle integrazioni proposte dagli editori dei frammenti rinvenuti, buona parte di essi risulta ampliamente documentata a Roma, con cui Fidene e l’area della bassa valle tiberina mostra una evidente omogeneità culturale (BARTOLONI 1986), nella fase IIB (cfr. ad esempio le tombe Esquilino 11 e 51), come formulata a partire dal Müller-Karpe nel 1962: ad esempio, tra i materiali più significativi, il vaso biansato su piede tipo 26 Müller-Karpe (BETTELLI 1997, p. 40, tipo 3, tav. 2, 1), l’anfora con collo distinto troncoconico e forse ansa bifora tipo 25 Müller-Karpe (BETTELLI 1997, p. 58, tipo 5b, tav. 23, 3), la tazza con labbro a colletto ed ansa bifora cornuta tipo 27 Müller- Karpe (BETTELLI 1997, p. 58, p. 72, tipo 18, var. b, tav. 34, 4). 5 Meno coerenti appaiono i dati di Satricum (NIJBOER ET ALII 2000, cfr. DE MARINIS in questa sede) e quelli basati sulle analisi dei resti ossei delle necropoli (per Castiglione cfr. DELPINO 2003). Cfr. inoltre per i dati della necropoli di Fossa COSENTINO, D’ERCOLE, MIELI 2001, pp. 174-177.

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Lazio protostorico e mondo greco:considerazioni sulla cronologiarelativa e assoluta della terza fase laziale

GILDA BARTOLONI, VALENTINO NIZZO *

L’accettazione dei dati emersi dalle analisinaturalistiche da parte di alcuni studiosi ha comportato,come è noto, un generale innalzamento della primaetà del ferro con il conseguente inserimento della suafase avanzata tra IX e VIII secolo a.C. e dell’inizio delperiodo Orientalizzante nella prima metà dell’VIIIsecolo1. La riconsiderazione delle evidenzepithecusane (ed in particolare della tomba 325 con ilnoto scarabeo risalente al regno di Bocchoris) ha resoinconciliabile l’accettazione acritica dei datidendrocronologici inducendo alcuni studiosi ad unriassestamento delle cronologie basse intorno alla datatradizionale del 725 a.C.2 L’impatto con il mondogreco, che caratterizzava concordemente la faseavanzata della prima età del ferro, andava rialzato e laceramica greca medio e tardogeometrica importatarisultava datata prima in Italia che nel luogo diproduzione di origine.

Del resto, come rilevava nel 1960, MassimoPallottino “questo periodo ha esercitato una

particolarissima attrattiva sugli studiosi non soltantoperché ad esso si riportano problemi cruciali comequello dell’origine dei popoli italici e quello deirapporti tra Grecia, Italia ed Europa continentaleagli albori dei tempi storici, ma anche proprio perle intrinseche difficoltà di classificazione dei suoifenomeni culturali e della loro cronologia relativaed assoluta che, come spesso accade in questi casi,lungi dallo scoraggiare alla ricerca hanno anzistimolato l’interesse critico, favorito il giuoco delleipotesi personali, provocato una serie di avvincentie vivaci discussioni”3.

Per quanto riguarda la cultura laziale le analisial radiocarbonio della capanna di Fidene, che harestituito materiali inquadrabili tipologicamentenella III fase laziale4, hanno determinato unrialzamento di questa fase alla fine del IX secoloa.C., entro l’8205. Il confronto tra i materiali dellesepolture laziali con quelli della tomba a tumulo diWehringen, datata dendrocronologicamente al

*Università di Roma “La Sapienza”.1 Da ultimo DELPINO 2003.2 Vd. ad es. PACCIARELLI 2000.3 PALLOTTINO 1960, p. 11.4 BIETTI SESTIERI ET ALII 1998; NIJBOER ET ALII 2000; NIJBOER

c.s., rialza la cronologia relativa della struttura alla transizionetra le fasi laziali II B e III. La capanna del resto non è stataancora integralmente pubblicata. In base a quanto finora editoed in base alle integrazioni proposte dagli editori dei frammentirinvenuti, buona parte di essi risulta ampliamente documentataa Roma, con cui Fidene e l’area della bassa valle tiberina mostrauna evidente omogeneità culturale (BARTOLONI 1986), nellafase IIB (cfr. ad esempio le tombe Esquilino 11 e 51), come

formulata a partire dal Müller-Karpe nel 1962: ad esempio, trai materiali più significativi, il vaso biansato su piede tipo 26Müller-Karpe (BETTELLI 1997, p. 40, tipo 3, tav. 2, 1), l’anforacon collo distinto troncoconico e forse ansa bifora tipo 25Müller-Karpe (BETTELLI 1997, p. 58, tipo 5b, tav. 23, 3), latazza con labbro a colletto ed ansa bifora cornuta tipo 27 Müller-Karpe (BETTELLI 1997, p. 58, p. 72, tipo 18, var. b, tav. 34, 4).

5 Meno coerenti appaiono i dati di Satricum (NIJBOER ET

ALII 2000, cfr. DE MARINIS in questa sede) e quelli basati sulleanalisi dei resti ossei delle necropoli (per Castiglione cfr.DELPINO 2003). Cfr. inoltre per i dati della necropoli di FossaCOSENTINO, D’ERCOLE, MIELI 2001, pp. 174-177.

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778±5 a.C.6, hanno indotto a far coincidere con il780 a.C. l’inizio dell’orientalizzante7, rialzando lacronologia tradizionale di almeno 60 anni.

Quest’ultima data è stata poi da alcuni studiosiabbassata al 725, anche per la cultura laziale, nonpotendo ovviare ad alcuni dei parallelismi con ilMediterraneo orientale, determinando unampliamento del periodo di 75 anni, cioè ad un lassodi tempo riferibile a forse tre generazioni.8

Per quanto riguarda la cronologia relativaquindi l’ipotesi di una notevole durata temporalesi contrappone alla proposta di ridimensionamentoscaturita dall’analisi di Osteria dell’Osa. Per quelche concerne la cronologia assoluta, invece, da unaparte abbiamo una coerente adesione alle datazioninaturalistiche, dall’altra un aggiustamento ibridotra queste e le sequenze del Mediterraneo orientale,con un indubbio tentativo di adattare a queste ultimei dati emersi dalle analisi fisiche.

In questa sede si intende riconsiderare alcuniaspetti della II fase laziale avanzata e della III, speciequelli relativi al rapporto con genti esterne, cercandodi definirne l’estensione. Ci si baserà essenzial-mente sull’edizione dello scavo estensivo e

sistematico di Osteria dell’Osa9, con riferimenti allaseriazione di Marco Bettelli per alcune tomberomane e laziali10.

Il quadro laziale verrà quindi integrato, al finedi ottenere degli elementi di cronologia assoluta,con i dati emersi da un tentativo di analisiinterpretativa della sequenza stratigrafica etipologica della necropoli di Pithekoussai, di cuivengono presentati in questa sede i primi risultati11.

L’esame della fase IIB della necropoli di Osteriadell’Osa, dove la maggior parte di coincidenze conVeio rientrano in tipi Toms I C-IIA, prospetta unparallelismo, già del resto formulato da Anna MariaBietti e Anna De Santis, tra Veio II A e Osteriadell’Osa II B12 (e si può precisare II B213). Lamaggior parte dei tipi inseriti nella tipologia comepertinenti alla III fase di Osteria dell’Osa coincidononella pubblicazione della necropoli con tipi di TomsVeio IIB-IIC14. Ne consegue che solo unpiccolissimo gruppo di tombe della III fase potrebbeessere contemporaneo della fase veiente II A, leinevitabili tombe di passaggio15. Quindi Osteriadell’Osa IIB corrisponderebbe a un periodo tra Veio

6 Per l’inquadramento cronologico della tomba 8 diWehringen cfr. HENNIG 1995, pp. 129 ss., e da ultimo DE MARINIS

2002, pp. 39-40, con bibliografia.7 NJIBOER ET ALII 2000, pp. 163-164. Il c.d. “Hallstatt

plateau” rende estremamente complessa la datazionedell’Orientalizzante con analisi naturalistiche.

8 Per il computo delle generazioni intorno ai 20/25 anni inbase alle analisi antropologiche di Veio vd. DELPINO 2003 pp.13 e s., nota 24 e p. 17 e s., che critica l’uso discontinuo cheviene fatto solitamente nell’archeologia protostorica di questoutile strumento di analisi.

9 BIETTI SESTIERI, DE SANTIS 1992. I tipi della necropoli diOsteria dell’Osa enucleati dalle editrici saranno di seguito citaticon la sigla “Osa” premessa al nome del tipo.

10 BETTELLI 1997.11 Per una analisi più approfondita si rinvia a NIZZO c.s.12 “E’ noto che questa fase della cultura laziale corrisponde

in linea generale alla fase II A del villanoviano (fasi IC-II A diJ. Toms nella necropoli di Veio-Quattro Fontanili)” (BIETTI

SESTIERI, DE SANTIS, LA REGINA 1989, pp. 80-81).13 Ad es. Osa 10a confrontato con Toms IX 4=Guidi 71;

Osa 12a confrontato con Toms VIII 4=Guidi 67a; Bettelli tazze19A1 e 18A con Toms V 3 e V 6; Osa 6a-6d con Toms IV 1,dell’IC; fibule Osa 40e confrontato con Toms III 3; Osa 40d,del IIB1, confrontato con Toms III 2. Nella citazione dei

confronti con i materiali veienti della necropoli di QuattroFontanili si è fatto riferimento principalmente al lavoro di JudithToms (TOMS 1986) con riferimenti, quando una analogaformulazione della tipologia lo permetta, alla monografia diGuidi (GUIDI 1993).

14 Ad es. per le anfore: Osa 7l confrontato con Toms VI 7(Veio IIB); Osa 7m confrontato con Toms VI 13 (Veio IIB-C)=Guidi 48b (Veio IIB); Osa 7p confrontato con Toms VI 15(Veio II C); Osa 7t confrontato con Veio, Quattro Fontanili,tomba LL 12-13 (Notizie Scavi 1963, p. 243 c, fig. 108c; VeioIIC); per le tazze: Osa 20h confrontato con Toms V 13 (VeioIIB)=Guidi 33a (Veio IIB1-IIC); Osa 20j confrontato con TomsV 15 (Veio IIB). Una stessa coincidenza si nota tra le fibule(Osa 42f confrontato con Toms III 12-Veio IIB=Guidi 103b-Veio IIB1-IIC; Osa 42h confrontato con Toms III 7-Veio IC-IIA = Guidi 105b-Veio IC-IIA; Osa 42j confrontato con TomsIII 16-Veio IIB-IIC=Guidi 103c-Veio IIB), anche se i tipi nonsono enucleati nelle tipologie di riferimento in maniera analoga(per la formulazione dei confronti tra Osteria dell’Osa e Veioci si è strettamente attenuti a quanto proposto in sede di tipologiadalle Editrici pur mantenendo alcune riserve sulla scelta deiriferimenti, ad esempio il confronto Osa 7p con Toms VI 15).

15 Per una non perfetta coincidenza della fasi tra le diversesequenze vd. DELPINO 2003.

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16 In antitesi con queste considerazioni appare quanto affermatoda PACCIARELLI 2000, p. 62 che vede una perfetta coincidenza traVeio II A ed il periodo laziale IIIA. Anche nelle conclusionicronologiche di Osteria dell’Osa viene considerato, anche se “inlinea di massima”, un parallelismo tra Osa III e la seconda fasevillanoviana (BIETTI SESTIERI, DE SANTIS 1992, p. 537).

17 Pontecagnano 1988, p. 112.18 Nella citazione dei confronti con la necropoli di Pontecagnano

si è adoperata la terminologia adottata per i tipi a partire dallapubblicazione del 1998 (Pontecagnano 1998, pp. 51 ss.).

19 DELPINO 2003, p. 11.20 Cioè dall’800/780–760/750 (CLOSE BROOKS 1965) a 770

a 750 (BARTOLONI 1989). I nuovi dati di S. Imbenia (cfr. daultimo OGGIANO 2000) possono rialzarne l’inizio agli anniprecedenti il 780 a.C. (cfr. TOMS 1997).

21 L. Lazzarini considera l’iscrizione di Osteria dell’Osa unapresenza sporadica, prodotto di una serie di contatti fra mondogreco e Lazio arcaico, storicamente e archeologicamente benattestati nei periodi successivi (LAZZARINI 1999, p. 60). Comunqueè incerto il significato del testo e di conseguenza la lingua cheesso esprime, eu(l?)in.. Anna De Santis che ha scavatopersonalmente la tomba 482, probabilmente femminile (“female???”), esclude che, come si potrebbe dedurre dalla pubblicazionedelle tombe 482 e 485 (BIETTI SESTIERI, DE SANTIS 1992, tav. 3a.269), il vaso a fiasco con iscrizione rinvenuto in posizionemarginale, accanto alle pietre superficiali del riempimento della482, possa appartenere alla tomba 485, del pieno VII secolo a.C.,che risulta aver tagliato la copertura della tomba più antica, ocostituire un’offerta di espiazione alla profanazione. Una suggestivaspiegazione della posizione anomala del vaso potrebbe veniredall’interpretazione della sua funzione, proposta da David Ridgway(RIDGWAY 1996, p. 92, n. 33), come brocca utilizzata nello

IC e Veio II A16. Lo stesso slittamento rispettoall’Etruria propria è del resto stato notato anche aPontecagnano17. Nella fase IIB sono frequenti adOsteria dell’Osa le attestazioni di confronti conl’area meridionale (specie Pontecagnano e SalaConsilina): ad es. la brocca globulare con alto collorigonfio Osa 11j, frequente a Pontecagnano (tipo80a1b18) nella fase IB, o la fibula ad arco ribassatocon staffa a disco e barretta attestato inPontecagnano IB-II (tipo 320b15b), esclusivo diOsteria dell’Osa IIB1(tipo 38s).

Come ha recentemente ricordato FilippoDelpino la proposta di abbassare l’inizio dellaseconda fase di Veio rispetto a quella enucleata daJ. Close Brooks, era dovuta ad una diversa divisionenella sequenza tipologica della necropoli tra primae seconda fase19. Inserendo dei tipi Close Brooks IIA nella I fase ne conseguiva un abbassamentocronologico dell’inizio della seconda e una vita

molto breve per la fase II20. L’analisi di Judith Tomsnon sembra cambi di molto questa prospettiva: nonsi può infatti attribuire a questa fase isolata da I Cpiù di una generazione.

L’inizio della seconda fase villanoviana è datempo stato collegato all’impatto con il mondogreco, mentre leggermente posteriore sembrerebbel’inizio della III fase laziale come formulatodall’analisi di Osteria dell’Osa o da quella diBettelli. In questo intervallo di tempo potrebberoessere inserite sia tombe ancora della fase Osteriadell’Osa II B2, come la 314 o la 581, decisamentetombe da considerare di passaggio tra II e III fase,considerate da Marco Pacciarelli tra i contesti tipicidella II fase avanzata di Osteria dell’Osa, ma anchecontesti più antichi, i cui confronti tipologicirimandano tutti ad area laziale e per cui è piùdifficile una correlazione esterna, come le tombe482 (quella con l’iscrizione greca21) o la 576.

spegnimento del rogo, denotando la precoce conoscenza nel mondoindigeno del rituale funerario greco, analogamente a quanto rilevatoa Pontecagnano (Pontecagnano 1988, p. 241). La presenza di unforo, qualora effettivamente sia antico, potrebbe assumere uncarattere di defunzionalizzazione rituale e non essere quindi inrapporto con un suo eventuale utilizzo per pratiche connesse conla filatura (contra BAGNASCO GIANNI 1999). La forma del vaso, perora un unicum, rimanda, come ha giustamente notato la Bietti(BIETTI SESTIERI 1992b, pp. 185 e s.) ad area meridionale. Un’analisidell’impasto potrebbe aiutare ad una definizione di questo tipo divaso ed alla sua provenienza. Ridgway, soffermandosi sullatipologia del vaso e rilevandone le caratteristiche morfologicheoriginali considera probabile che esso sia opera di un artigianolocale “su commitenza” straniera. Come è stato rilevato nellatipologia della necropoli, i vasi a fiasco, fra i quali è inserito quelloin esame, sono documentati esclusivamente in tombe maschili(BIETTI SESTIERI, DE SANTIS 1992, p. 272), e spesso in contesti plurimi;l’unica eccezione sarebbe costituita dalla tomba in esame, priva diindicatori archeologici di genere, sulla cui attribuzione antropologicasussistono notevoli dubbi : la tomba 307 (BIETTI SESTIERI, DE SANTIS

1992, p. 627, datata al IIB1), i cui dati antropologici (F???) sonoanaloghi a quelli della 482 (cfr. già RIDGWAY 1996, p. 90, n. 16),presenta elementi che nella necropoli caratterizzano le sepolture deipatres familias. E’ ben noto come ad Osteria dell’Osa (ad esempiole tombe 503, 164, 307 del IIB1) ed a Roma (BARTOLONI 1984) ilrito crematorio sia eccezionale nell’ambito del periodo IIB ed inparticolare non sia attestato per altre sepolture femminili. Nel Laziosono frequenti del resto tombe bisome dello stesso sesso (BARTOLONI

2003). Nonostante le incertezze sull’interpretazione dei dati di scavoquesto contesto è indizio di una apertura della comunità verso l’Italiameridionale ed il mondo greco nel momento in cui iniziano i rapportiprecoloniali.

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Coeve alle deposizioni più recenti della secondafase della sequenza di Osteria dell’Osa risultano,anche in base alla tipologia di Bettelli su Roma e ilLazio, sia la tomba 132 di Castel di Decima22,caratterizzata dalla presenza di una tazza bronzeaad ansa cornuta, che Massimo Botto ha attribuitoad artigianato nord-siriano o da questo fortementeinfluenzato23, sia le tombe 30 e 31 dell’Esquilino,caratterizzate dalle più antiche attestazioni diceramica di argilla depurata tornita e dipinta, operadi un artigiano che conosceva decisamente laceramica greca24. Nella tomba 30 la tazza a boccalarga con ansa bifora insellata trova precisi confrontinella stessa Roma25 e a Caracupa nella tomba XXIX,contesto riferibile ad un momento abbastanzainiziale della necropoli (periodo IIB)26 e la grandetazza con ansa bifora di un tipo attestatoall’Esquilino in tombe dello stesso periodo27; lafibula nonostante la frammentarietà potrebbeappartenere al tipo Osa 42a (fibula serpeggiante adoppio occhiello a sezione circolare28), tipo di lungadurata non solo nel Lazio29. L’altra tombadell’Esquilino e la tomba di Castel di Decimapresentano tipi attestati a Osteria dell’Osa siaunicamente nel IIB, come le tazze profonde con ansabifora caratterizzate dalla massima espansione dellavasca in alto (Osa 20g) sia nella fase successivacome quelle con alto colletto troncoconico (Osa20h), che trova confronti a Veio in contesti Veio IIB30. Nella tomba di Decima la brocca globulare adansa ad anello, da cui potrebbe derivare il tipo dellebrocche in argilla figulina dell’Esquilino, trovaconfronti solo in Osteria dell’Osa II (Osa 11f)mentre la tazza profonda con ansa bifora ad apertura

superiore molto sviluppata appare peculiare diOsteria dell’Osa III (Osa 20m).

Quindi nel Lazio il rapporto con genti esterne(matrimoni misti, scambi di oggetti, tecniche, ideee modelli culturali), siano essi greci o fenici, apparecoevo a Toms Veio II A avanzato, momento in cuisi possono inserire i corredi con ceramica importata.La più antica attestazione di ceramica greca a Veioè, come è noto, il frammento di coppa a semicerchipenduli, rinvenuto sporadico nella necropoli diQuattro Fontanili, troppo frammentario perricavarne la pertinenza a un tipo, ma decisamenteantico per il tipo di pasta: Toms lo considera“arrivato certamente dalla Grecia e probabilmentenella prima parte dell’VIII secolo a.C.”31 Ridgway32,a proposito delle presenze di contatti tra Veio eambiente greco, aggiunge ai già conosciuti skyphoia chevrons (tombe FF 16-17; EE14-15, ZAA7) e auccelli (CC 17 A: prob. II A) le brocche e il bicchieredelle tombe BB7, F 12-13, P 2-3 (e forse dellaCC17A) tutte attribuibili ad un momento moltoavanzato di Toms II A: tra questi alcuni esemplarisono sicuramente veienti. Coeve del resto sono leforme locali (brocca Toms VIII 5 e olla IV 4) condecorazione dipinta33, contemporaneamentesembrerebbe quindi alla produzione più antica diargilla figulina dipinta nel Lazio.

Queste considerazioni portano a ridimensionarela durata della III fase laziale, dai confronticoincidente più o meno con Toms Veio IIB e IIC.Non sembra che il numero dei tipi attestati possacoinvolgere più di una cinquantina di anni,analogamente, del resto, a quanto proposto daPacciarelli che attribuisce alle ultime due sottofasi

22 Indubbiamente ad una svista si deve l’inserimento nellesequenze di Pacciarelli di questa tomba nel periodo III B,essendo inserita giustamente nella fase II B2 dallo stesso autore(PACCIARELLI 2000 p. 62).

23 BOTTO 1995.24 Per le brocche dell’Esquilino cfr. LA ROCCA 1974-1975,

passim; sulla variabilità della decorazione a cerchi concentricicfr., ad esempio, KOUROU 1999. L’assenza in questo primoperiodo di rapporti con genti greche di ceramica d’importazionenelle tombe laziali, differentemente da quanto riscontrato perl’Etruria villanoviana, può essere spiegato con un rigore nelrituale funerario che non permetteva di sostituire le tazze adansa bifora, elemento essenziale nel servizio deposto, con letazze biansate di importazione o imitazione greca, conosciute

invece dagli abitati. E’ noto come frammenti di skyphoi deltipo a semicerchi penduli, siano attestati a Roma e Ficana(BARTOLONI ET ALII 2000).

25 MÜLLER-KARPE 1962, tav. 44, tipo 27.26 Civiltà Lazio Primitivo 1976, cat.118, pp. 357-358.27 MÜLLER-KARPE 1962, tav.7, B 5 e 12 C 6.28 BETTELLI 1997, tipo FS 3.29 Pontecagnano 1988, tav. 20, tipi 320E1a1, 1a2 (fasi IB-

IIA); PACCIARELLI 2000, fig. 30, nn. 39-40.30 TOMS 1986, fig. 26, tipo V, 3.31 TOMS 1997, p. 88.32 RIDGWAY 1988.33 TOMS 1986, p. 85, BBCC8; F12-13; EE10B; PQ1α.

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veienti due generazioni34.Se dunque le coincidenze con l’analisi di Bietti

Sestieri e De Santis appaiono indubbie per quantoriguarda la cronologia relativa, per quanto riguardala cronologia assoluta, la presenza di ornamenti evasellame di produzione laziale nella necropoli diPithekoussai permette di istituire parallelismi conla sequenza coloniale.

G. B.

Un aspetto della necropoli pithecusana che nonè stato ancora sufficientemente approfondito in tuttala sua complessità, sebbene sia stato colto fin dalprincipio da Buchner35 ed in parte sviluppato daNeeft36, consiste nell’eccezionale intreccio di fattoriche, garantendo l’integrità del complesso, hapermesso di trasmettere fino ad oggi una fitta tramadi relazioni stratigrafiche, orizzontali e verticali, chenon trova confronti nei principali sepolcretidell’Italia peninsulare e sulla cui rilevanzaarcheologica e cronologica non possono sussisteredubbi.

Un esame complessivo dei dati stratigraficipertinenti alle quasi 600 sepolture d’età grecapre-el lenist ica pubbl icate nel volumePithekoussai I, ha permesso di evidenziare unnucleo di circa 500 tombe, distribuite in 52“gruppi”37 composti da un minimo di 2 ad un

massimo di 82 unità, legate da relazioni“f is iche” di strat igraf ia or izzontale e/overticale38. Per la presente indagine sono statiselezionati i gruppi più rilevanti sia per numerodi sepolture e qualità dei materiali che percronologia, ottenendo così una base di 278contesti distribuiti tra il TG I ed il CA (di questiben 258 riferibili al TG1 ed al TG2) (Tav. 1)39. Imateriali dei corredi inseriti nel campioneprescelto sono stati classificati tipologicamentesecondo i criteri tradizionali per questo tipo dianalisi e sono stati inseriti in tabella in modotale da rispettare, nella sequenza, l’insieme didati derivante dall’analisi stratigrafica dellanecropoli. La posizione “cronologica” rispettivatra tombe pertinenti a diversi gruppi o poste indiversi “rami” del medesimo gruppo, nonessendo ulteriormente definibile sulla sola basestratigrafica, è stata stabilita, in primo luogo,tenendo conto dell’analisi delle associazioni, insecondo, quando gli elementi del corredo ed idati stratigrafici non lo permettevano, sulla basedi un terzo fattore che si è rivelato, in molti casi,di insospettata aff idabil i tà. La posizionereciproca delle singole tombe sul livello delmare ha infatti permesso di considerare, contutte le cautele del caso, tendenzialmente piùantiche le sepolture poste ad un l ivel lo

34 PACCIARELLI 1996, pp. 186 ss. in cui però la durata diuna generazione viene fissata intorno ai trentacinque anni.

35 Si veda BUCHNER 1975, in particolare pp. 70 e s. e schemaalla pl. 2 ripreso in RIDGWAY 1984, p. 65, fig. 6.

36 NEEFT 1987, passim, in particolare pp. 301 ss., fig. 303.Quello di Neeft rappresenta fino ad oggi il primo ed unicotentativo di avvalersi di alcuni tratti della sequenza stratigraficapithecusana, riassunti in rudimentali matrix, per la ricostruzionedell’evoluzione di una determinata classe ceramica, quella degliaryballoi protocorinzi, e per la puntualizzazione della suacronologia.

37 Il termine “gruppi” è usato in senso lato per definire gliinsiemi di tombe legate da rapporti stratigrafici. Che questirapporti possano essere interpretati anche nel senso di“relazioni” familiari è un tema che in questa sede non ciproponiamo di affrontare. I 52 gruppi totali sono così suddivisi:25 sono localizzati nel settore “A” della necropoli e 27 in quello“B”; le lettere “A” e “B” premesse al numero arabo con il qualei nostri “gruppi” sono stati convenzionalmente nominatidenotano la loro pertinenza ad uno dei due settori dellanecropoli sopra menzionati; per ciascun settore la numerazione

dei gruppi è progressiva.38 Nell’elaborazione finale dei matrix pertinenti ai singoli

gruppi è stato necessario, per non discostarci troppo dalladocumentazione di scavo disponibile, considerare ciascunatomba alla stregua di un’unica “azione” tralasciando,necessariamente, determinati “momenti” stratigrafici come, adesempio, il taglio della fossa, la deposizione, il suo riempimento,l’elevazione del tumulo, ecc. ecc.; il risultato così ottenuto seda un lato non sembra allontanarsi molto da quello ottenibilecon la tradizionale logica stratigrafica, dall’altro, seppursemplificato, sembra acquisire una più immediata “leggibilità”.

39 I gruppi selezionati sono i seguenti: A01) costituito da82 tombe (Tav. 1/2); B02-B03) da 82 tombe (Tav. 1/1-2); A05)da 65 tombe (Tav. 1/3); A06) da 31 tombe (Tav. 1/3); A25) da 4tombe (Tav.1/3); B15) da 13 tombe (Tav. 1/1); a questi sonostati aggiunti la tomba 547, estrapolata dal gruppo B01 e latomba 944 (Tav. 1/2) estranea alla pubblicazione PithekoussaiI. Per una più completa definizione della composizione delcampione esaminato rinviamo alla pubblicazione definitiva dellavoro che terrà conto anche dei contesti non considerati inquesta sede (NIZZO c.s.).

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significativamente più profondo rispetto a quellecircostanti40. Il risultato finale è stato quello diottenere una complessa sequenza delle tombe edelle tipologie dei materiali.

L’analisi ha in buona parte confermato e precisatoil quadro cognitivo già noto da tempo circa lasuccessione cronologica del materiale greco importatoo prodotto localmente41. Le principali acquisizioniriguardano in particolare la fase di vita più antica dellanecropoli che, per lo scarso numero e la scarsa entitàe variabilità dei corredi utilizzabili e per la presenzaspesso episodica di alcune classi di materiali, risultava,complessivamente, quella meno nota.

È stato infatti possibile rilevare come alcuni trai materiali considerati come i più caratteristicidell’orizzonte locale del TG 1, quali gli skyphoi tipoThapsos con pannello o le kotylai del tipo Aetos666, compaiano a partire da un momento chepotremmo definire “centrale” della sequenza dellaprima fase, per concentrarsi prevalentemente in unostadio avanzato del TG 142 ed esaurirsi, quasi deltutto, prima dell’inizio del TG 243 (Tav. 2). Neconsegue che se tali reperti risultano difondamentale importanza per la definizione delmomento centrale ed, in particolare, avanzato delTG 1 pithecusano e dei suoi rapporti con la coeva

sequenza greca essi, tuttavia, non sono sufficientiai fini di una più ampia comprensione del momentoiniziale della necropoli e, più in generale, dell’interadurata della sua prima fase.

Un valido strumento di analisi per una migliorepuntualizzazione della questione è stato fornitodall’esame dell’evoluzione formale di quella che,senza dubbio, è la componente più comune delrepertorio ceramico locale, ovvero le oinochoai.Esse costituiscono, infatti, per fattori probabilmentelegati alla cerimonia funebre, uno degli elementicostanti dei corredi della necropoli pithecusana, findalla sua fase più antica, cosa che ha permesso diseguirne, in maniera più approfondita rispetto adaltri manufatti e col supporto della sequenzastratigrafica, le linee generali dell’evoluzioneformale. Sono state così confermate osservazioniquali quelle espresse da Buchner e Ridgway fin dal198344 circa la recenziorità di particolari come leanse a nastro e la decorazione continua sul colloche, effettivamente, risultano documentati solo apartire da un momento molto avanzato, se nonaddirittura finale della sequenza locale del TG 1,per affermarsi, poi, compiutamente nel TG 2. E’stato inoltre possibile precisare come caratteri tipicidegli esemplari più antichi45, della fase iniziale e

40 L’esame del matrix elaborato per le singole aree ed ilconfronto delle associazioni tipologiche fra i materiali dei singolicorredi hanno infatti messo in evidenza, con poche e sporadicheeccezioni, come la sequenza stratigrafica e quella tipologicapossano essere messe in relazione con il progressivo innalzamentodel terreno conseguente al dilavamento delle colline circostanti.La quota sul livello del mare delle tombe in diretta relazionestratigrafica è risultata infatti crescere progressivamente dallesepolture più antiche a quelle più recenti, con una costanza tale,tenendo conto anche delle variabili insite nella diversità dei rituali,nella tipologia delle strutture e nell’andamento del terreno, darendere utile tener conto, in mancanza di elementi più espliciti,anche della loro quota per meglio definire il loro rapportocronologico con le tombe circostanti (per osservazioni sulla naturapedologica della Valle di San Montano vd. BUCHNER 1975, p. 61e la premessa geomorfologica del volume Pithekoussai I, pp.17-33, in particolare pp. 28-29).

41 COLDSTREAM 1968, pp. 302-331.42 Skyphoi dalle tombe 212, 944 e 161; kotylai dalle tombe

490, 550 e 161, per citare solo i contesti più significativi inseritinella nostra sequenza (per l’elenco completo delle attestazionisi veda Pithekoussai I, p. 730, 4, ii).

43 Nel TG 2 è documentato solo uno skyphos del tipo

Thapsos con pannello dalla tomba 309A, associato conesemplari del tipo più recente, senza pannello. Al medesimoorizzonte cronologico dei più recenti esemplari pithecusanirimandano le attestazioni più antiche di skyphoi tipo Thapsoscon pannello e kotylai tipo Aetos 666 rinvenute in contestiindigeni (in generale sulle coppe tipo Thapsos cfr. BUCHNER

1964, p. 265, nota 3; RIDGWAY 1967, p. 315; RIDGWAY 1969, p.28; NEEFT 1981; BUCHNER, RIDGWAY 1983, p. 6, note 12, 13;D’A GOSTINO 1989, p. 70; per gli esemplari dai contesti indigenisi veda in particolare la documentazione fornita dalla necropolidi Capua cfr. JOHANNOWSKY 1969, pp. 35 ss.; cfr. inoltre, per unesemplare con decorazione simile a quello della T. 212 diPithekoussai, Pontecagnano 2001, T. 4900, pp. 47 s., tav. 25,n. 3). Sulle kotylai tipo Aetos 666, oltre alla bibliografia sopracitata, cfr. COLDSTREAM 1982, pp. 31 e ss.; per la documentazionedel tipo nella Valle del Sarno cfr. D’A GOSTINO 1979, pp. 60 e s.,tipo 2, figg. 34-35, che considera di fabbrica pithecusana gliesemplari più antichi (tipo 2a, tombe 73, 126 e 264, della finedella prima età del Ferro).

44 BUCHNER, RIDGWAY 1983, pp. 5 e s.45 Tombe 435/1; 574/1; 549/1; 216/1; 609/1; 581/1; 199/1-

2; 491/1; 490/1, pubblicate in Pithekoussai I, e 944 in RIDGWAY

1983, p. 4, n. 1, fig. 1, 1.

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centrale del TG 1, siano da considerare la formaglobulare del corpo ed il collo generalmentecilindrico oltre all’ansa a bastoncello e alladecorazione limitata alla sola parte anteriore delcollo già rilevati. Il tipo di oinochoe con corpoglobulare, a partire da un momento centrale del TG1, viene affiancato e poi, nel corso del TG 2,progressivamente sostituito da oinochoai con corpoovoide46 quali, ad esempio quella della tomba 168che presenta tutti i tratti caratteristici degli esemplaripiù antichi associati ad un corpo ovoide47. Lafrequenza di tali oinochoai nei corredi del TG 1, fadi esse uno dei pochi elementi della sequenza diquesta fase che possa essere seguitoininterrottamente nella sua evoluzione per tutta lasua durata. Se si tiene conto, infatti, della costanzadei caratteri formali e della ripetitività di motividecorativi quali gli chevrons ed i sigma checontraddistinguono quasi tutta la produzione del TG1 e di parte del TG 2, diviene molto probabilericondurre la loro manifattura alla mano di unsingolo artigiano o, tutt’al più, all’impulso di unasingola bottega, la cui attività, di conseguenza, saràinscrivibile in un lasso di tempo pari, o di poco

superiore, ad una generazione, durata che, sulla basedegli studi demografici effettuati per quest’epoca,può essere valutata tra i 20 ed i 25 anni.Aggiungendo a questa cifra un margine di circa 5anni tra il momento in cui il manufatto vieneprodotto e quello in cui viene deposto, possiamoallargare il range ad un massimo di ca. 30 anni, perl’arco di tempo in cui devono essere comprese letombe pithecusane rapportabili al TG 148.

Tra i contesti più antichi emersi nel corsodell’esame stratigrafico e tipologico della necropolifigurano una fibula con arco a navicella cava49 staffabreve leggermente allungata, molla a due giri,decorazione dorsale ad incisione consistente in fascidi linee trasversali50 (Tav. 3) ed un piccolo gancio51

pertinenti ad una deposizione a fossa (che abbiamochiamato convenzionalmente T. 574 bis), sconvoltaall’epoca della realizzazione della tomba 57452

(anch’essa da porre all’inizio della sequenza dellesepolture della fase TG1), che potrebbe essereconsiderata un relitto di quella fase più antica dellanecropoli indiziata da alcuni materiali sporadicirecentemente riferiti da Coldstream ad un momentodi passaggio tra il MG2 ed il TG 153 (Tav. 1/1).

46 Nelle oinochoai con corpo ovoide continuano ancora adessere attestate per buona parte del TG 2 le caratteristichetradizionali del tipo più antico come l’ansa a bastoncello e ladecorazione limitata alla sola parte anteriore del collo (tombe222/1; 434 /1; 167/1-2; 227/1; 228/1; 433/1; 422/1 del TG 1 e,nel TG 2, nelle tombe 168/5; 180/1; 165/1; 573/1; 664/1; e170/1). Per una più puntuale definizione della tipologia di talioinochoai e per un più approfondito esame della loro posizionenella sequenza pithecusana rinviamo a NIZZO c.s.

47 Sulla base di tali osservazioni è stato possibile notare comele più antiche attestazioni di questa classe ceramica nel mondoindigeno documentate, fino ad ora, nella Valle del Sarno(D’A GOSTINO 1979, p. 66, tipo 11 e varianti, “Oinochoai achevrons”) e, più sporadicamente, anche a Pontecagnano (BAILO

MODESTI, GASTALDI 1999, pp. 73 e s., n. 2, fig. 24 e tav. 6, 1;D’A GOSTINO 1999, p. 20), in contesti della fine della prima età delFerro e dell’inizio dell’Orientalizzante trovino confronti, aPithekoussai, con esemplari dei tipi più evoluti databili in unmomento avanzato del TG 1 ed, in particolare, nell’ambito del TG2 (si cfr., ad es., l’oinochoe della tomba 178 della necropoli di SanValentino Torio, D’A GOSTINO 1979, p. 66, fig. 38, n. 1, con quellamolto simile della tomba 168 di Pithekoussai del TG 2; cfr. inoltrel’es. della tomba 4900, in Pontecagnano 2001, p. 47, tav. 25, n. 2,con corpo globulare, collo cilindrico, ansa a nastro e decorazionecontinua sul collo, con quello della tomba 159 di Pithekoussai).

48 Un’ulteriore prova a favore della breve durata del TG1

pithecusano può essere considerato il numero ridotto disovrapposizioni stratigrafiche documentate per il TG 1 incontrapposizione a quanto osservato più avanti relativamentealla fase successiva. Tale circostanza induce a ritenere piùplausibile il termine inferiore del ventaglio temporale sopraproposto per la durata di questa fase, ovvero 20-25 anni.

49 Non è certo che l’arco fosse originariamente a navicella,dal disegno sembra possibile anche ipotizzare una suaidentificazione con una sanguisuga cava la quale, frammentatasinella parte inferiore, sia poi stata facilmente confondibile conuna fibula con arco a navicella. Sulle fibule “ad arco” in generalecfr. da ultimo TOMS 2000. Per il ruolo delle fibule pithecusanenella definizione della cronologia relativa ed assoluta di Veiosi veda CLOSE BROOKS 1967, pp. 323-329.

50 Pithekoussai I, pp. 567 ss., 574*, 1, tav. 169.51 Il gancio, formato da un “sottile filo di bronzo ripiegato

in doppio, da una parte piegato a gancio, dall’altra partedivergente a formare due occhielli laterali”, corrisponde ad untipo abbastanza diffuso nel Lazio (BIETTI SESTIERI, DE SANTIS

1992, tipo 86a, p. 417, tav. 44, in contesti della fase IIIB, tra iquali le tombe 82, fig. 3c, 11, s.n., e 251, fig. 3b. 24, nn. 9a,9b), in Campania (tipo 385B, Pontecagnano 1998, p. 51 ss.,tomba 6107, fase IB fin., tav. 123, n. 13), ed in Etruria (GUIDI

1993, tipo 149a), fase IIA-IIC.52 Pithekoussai I, pp. 567 ss., tavv. CLXXVI e 169.53 COLDSTREAM 1995, p. 266.

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Fibule a sanguisuga cava o a navicella con staffabreve allungata e decorazione dorsale, note aPithekoussai da questo solo esemplare, sonodocumentate nel Lazio54, a Pontecagnano55 ed aVeio56 in contesti riferibili prevalentemente ad unmomento avanzato della fase evoluta della primaEtà del Ferro, corrispondente al momento dipassaggio tra la fase IIIA e IIIB laziale, tra la faseIIB e la IIC veiente e ad un momento iniziale dellafase IIB di Pontecagnano.

Nella tomba 609, una inumazione pertinente adun “infante” di sesso femminile tra le più antichedel suo gruppo57 (Tav. 1/2), una oinochoe del tipopiù arcaico risulta associata con due fibule di bronzoa sanguisuga ingrossata al centro, con staffaallungata e molla a due giri, una con arco cavo, el’altra con arco apparentemente pieno: la primatrova confronti in un esemplare dalla tomba 547,

databile in una fase terminale del TG1, con arcogrande, molla ad un giro e decorazione complessa58,la seconda in un esemplare ad arco pieno appiattitoal centro dalla tomba 583, anch’essa databile in unmomento iniziale del TG 1.

Le due fibule della tomba 609 ed i relativiconfronti che, abbiamo visto, si collocanogeneralmente in un orizzonte omogeneo dell’iniziodel TG 1 locale, trovano riscontri puntuali nelleprincipali necropoli dell’Italia centrale tirrenicatanto da rendere probabile una loro importazioneda quest’area. Esemplari simili per forma e perdecorazione al tipo ad arco pieno sono documentatinel Lazio59 a partire dalla fase IIIA e, con riscontripuntuali, nella fase IIIB, in Etruria, a Veio60

nell’ambito della fase IIB2, probabilmente in unmomento avanzato dello stesso periodo e, piùgenericamente in Campania, a Pontecagnano, in

54 BETTELLI 1997, tipo FSA 1E, p. 101, tav. 48, n. 3, conarco a sanguisuga cava, documentato nelle fasi IIIA-IIIB, adArdea colle del Noce T. 2; Esquilino T. 25, La Rustica T. 11,Tivoli tomba 24A, tutti con decorazione consistente in fascecampite a spina di pesce, e tipo FSA unicum delta, p. 103, tav.49, n. 1, inornato, documentato nella tomba 43 di Tivoli,considerata di fase IIB2; per la decorazione si veda anche iltipo FSA un. beta, p. 103, tav. 48, n. 15, a sanguisuga piena,documentato nella tomba 22 dell’Esquilino, di fase IIB2.

55 Genericamente avvicinabile al tipo 320C8b(Pontecagnano 1992, p. 25) a sanguisuga cava, abbastanza raronella necropoli, documentato in particolare nel corredo dellatomba 3213, di fase IIB iniziale (cfr. le tabelle in Pontecagnano1998 ed in BAILO MODESTI, GASTALDI 1999, tabella 1), ma condecorazione più complessa ed arco ingrossato al centro.

56 Cfr. Toms, tipo I 19, fase IIB (TOMS 1986, p. 79, fig. 25),Guidi tipo 90E, fase IIB1 (GUIDI 1993, p. 46, fig. 8\1), asanguisuga cava ed arco ingrossato al centro, con decorazionedorsale ed, in particolare, il tipo Toms I 35 (TOMS 1986, p. 80,fig. 31) e Guidi 96E di fase IIC (GUIDI 1993, p. 48, fig. 16\1),con arco meno ingrossato a sanguisuga tendente alla navicella,documentato nelle tombe KKLL 18-19, LL 12-13, JJKK 15, Yalfa, da esemplari decorati con fasce campite a spina di pesce.

57 Pithekoussai I, pp. 595 e s., tav. CLXXX. Il gruppo incui questa tomba è inserita è il nostro B03.

58 Una partizione dello spazio decorativo simile a quelladell’esemplare della tomba 547, sebbene più complessa, puòessere ravvisata in una fibula a navicella (ma cheoriginariamente poteva essere a sanguisuga cava) dalla tomba82 della necropoli di Osteria dell’Osa (BIETTI SESTIERI, DE SANTIS

1992, pp. 823 e ss., tav. 3c. 12, n. 83/1; decorazione tipo i 38,p. 357, fibula tipo 38dd, pp. 365 e s.) datata nella fase III B, inun momento centrale dello stesso periodo (BIETTI SESTIERI, DE

SANTIS 1992, tabella p. 548. fig. 21, 7). Cfr. inoltre un esemplaremolto simile per forma e decorazione, dalla tomba 4886 dellanecropoli di Casella, a Pontecagnano, in Pontecagnano 2001,p. 20, tav. 15, n. 1, databile nell’ambito dell’Orientalizzanteantico. Dubbia, sebbene plausibile, la pertinenza al tipo in esamedi una fibula dalla tomba 222 di Pithekoussai databile in unmomento piuttosto antico del TG1, vicino a quello della tomba609 (Pithekoussai I, p. 281, 222/2, esemplare non raffigurato).

59 Confronti validi per la forma possono essere istituiti conalcune fibule sporadiche dalla necropoli dell’Esquilino a Roma,corrispondenti al tipo FSA 5 del Bettelli (BETTELLI 1997, p.102, tav. 48\11) ed, in particolare, con un esemplare dalla tomba235 di Osteria dell’Osa (BIETTI SESTIERI, DE SANTIS 1992, pp.800 e s., n. 11, fig. 3b32, 11; corrispondente al tipo 38x, var. I,p. 365, decorazione tipo i 34), identico per forma e decorazionea quello della tomba 583, datata nell’ambito della fase IIIBdella necropoli; la forma, più in generale, corrisponde ai tipiOsa 38w e 38x, documentati a partire dalla fase IIIA e per tuttala durata del periodo IIIB.

60 L’esemplare della tomba 583 trova un confrontopuntuale per forma e decorazione con una fibula dalla tombaIIJJ 8-9 (Notizie degli Scavi 1965, pp. 203 ss., fig. 106) dellanecropoli veiente dei Quattro Fontanili, datata dalla Tomsnella sua fase IIC e da Guidi in un momento avanzato dellasua fase IIB2 (TOMS 1986; GUIDI 1993 con relative tabelle; inquella del Guidi la tomba IIJJ 8-9 è indicata erroneamentecome IIJJ 18-19). La fibula con arco pieno e staffa allungatacorrisponde più genericamente al tipo I 24 della Toms, datatonella fase IIB (TOMS 1986, p. 80, fig. 25; in tabella l’autriceconsidera la fibula della tomba IIJJ 8-9 erroneamente nel suotipo I 34, ma si tratta evidentemente di una svista), ed al tipo94 di Guidi (GUIDI 1993, p. 48, fig. 12/1), datato nella faseIIB2 della necropoli.

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esemplari con staffa ancora simmetrica o appenaallungata61 diffusi nel corso della II fase dellanecropoli. Ad un momento leggermente più avanzatorimandano i confronti individuati per le fibule conarco a sanguisuga cava e staffa allungata che nelLazio sono documentati a partire dalla fase IIIB62 edin Etruria, a Veio63, tra le fasi IIB2 e IIC.

Nella tomba 58164 (Tav. 1/1), riferibile ad unorizzonte centrale del TG1 pithecusano, associate aduna oinochoe del tipo più antico, compaiono unafibula a sanguisuga piena analoga a quelle sopraesaminate ma con staffa lunga65 ed uno dei primiesemplari di fibula con arco pieno a sanguisugaromboidale e staffa lunga66 di un tipo che trovariscontri molto puntuali per la forma ad Osteria

dell’Osa67, sempre in contesti di fase IIIB68, inCampania a Capua69, in contesti della II fase locale,ed a Pontecagnano, a partire da un momento moltoavanzato della fase IIB70 ed all’inizio dell’Orienta-lizzante.

Quindi la cronologia relativa della fase iniziale ecentrale del TG 1 pithecusano, caratterizzata, perquanto riguarda il repertorio ceramico, dalle oinochoaidel tipo più antico con corpo globulare, sembra poteressere collocata non prima dell’inizio della fase IIIBlaziale, IIB2 finale-IIC veiente e IIB iniziale diPontecagnano, e sia probabilmente da collocare entroil momento centrale delle suddette fasi, in particolarese, come sembra probabile, alcuni degli esemplarivadano considerati come delle importazioni71 (Tav. 3).

61 Pontecagnano 1988, p. 59, tipo 320C9, varianti “a” e “b”databili nel corso della fase II; in particolare si veda l’esemplaredella tomba 4871, fig. 210, n. 14, con staffa leggermente allungata,databile in un momento estremamente avanzato della fase IIA(cfr. la posizione della tomba nella tabella 1, in BAILO MODESTI,GASTALDI 1999). Cfr. inoltre il tipo 320E4 (Pontecagnano 1988,p. 61, tav. 20), con staffa allungata, diffuso nell’ambito dellafase IIB della necropoli (cfr. anche l’es. dalla t. 4891, dellanecropoli di Caselle, Pontecagnano 2001, p. 31, tav. 19, n. 20).

62 BETTELLI 1997, tipo FSA 7, p. 103, tav. 48\14 (La Rustica,tomba 11 ed Esquilino, tomba 103, con staffa da simmetrica aleggermente allungata); BIETTI SESTIERI, DE SANTIS 1992, tipo 38dd,pp. 365 e s., tav. 37, diffuso prevalentemente nella fase IIIB macon attestazioni anche in un momento iniziale della fase IVA1.

63 TOMS 1986, tipo I 33, p. 80, fig. 31, fase IIC; GUIDI 1993,tipo 101, p. 49, fig. 1\2, IIB2-IIC.

64 Pithekoussai I, pp. 572 e ss., tavv. CLXXVI e 169.65 Pithekoussai I, p. 573, n. 1. Tale esemplare non è

purtroppo riprodotto, pertanto ci si deve affidare alla soladescrizione degli editori che, in base alle misure riportate (lungh.cons. 5.6 cm.; lungh. arco 3.5), permette di stabilire per la staffauna lunghezza di almeno 2.1 cm., sufficiente a farla rientrarenel tipo con staffa lunga. Questo tipo di fibula è documentato aPithekoussai a partire da un momento centrale (tomba 581) edavanzato del TG I (tombe 432, 210 e 592) e, piùsistematicamente, per tutta la fase successiva (tombe 643, 159,507, 226 ecc. ecc., fino agli esemplari della tomba 326, databilein un momento iniziale del MPC); nel Lazio esso trova confrontipuntuali nella necropoli di Osteria dell’Osa dove può essereavvicinato al tipo 38cc (BIETTI SESTIERI, DE SANTIS 1992, p.365, tav. 37; il tipo include anche due esemplari dalla tomba226, della fase IIIA, che, per la presenza di una staffa appenaallungata, sembrano meglio inseribili fra le fibule del tipo 38xe simili sopra considerate; esclusi questi ultimi esemplaril’escursione cronologica del tipo rientra integralmentenell’ambito della fase IIIB), ed in particolare agli esemplaridella tomba 178 (BIETTI SESTIERI, DE SANTIS 1992, tav. 3c.9, n.

27 bis), databile in un momento centrale della fase IIIB. In Campaniapossono essere istituiti confronti con esemplari con staffa già piuttostolunga, databili in un momento iniziale della prima fase Orientalizzante(D’A GOSTINO 1968, p. 80, fig. 3, tipo b, tomba 745).

66 Questo tipo di fibula, a Pithekoussai è piuttosto comunenella necropoli tra il TG 1 e per buona parte del TG 2, mentretende a sparire in un momento avanzato di quest’ultimo periodo.

67 Avvicinabile ad Osa 38aa e 38bb (BIETTI SESTIERI, DE

SANTIS 1992, p. 365, tav. 37).68 In Etruria, a Veio, sono possibili confronti con esemplari

con staffa allungata, da considerare probabilmente leggermentepiù antichi degli esemplari laziali (cfr. TOMS 1986, p. 80, tipo I31, fase IIB-IIC, con staffa simmetrica, corrispondente a Guidi1993, tipo 91a, tav. 20\1, fase IIB1-IIC; TOMS 1986, p. 80, tipoI 34, fig. 31, fase IIC, con staffa allungata).

69 Capua, tombe 213 (JOHANNOWSKY 1983, tav. XX, n. 8),492B (tav. XXVI, n. 6), 363 (tav. XXXII, nn. 28, 30-37, p. 133e ss.; contesto datato nella fase IIB, JOHANNOWSKY 1969, p. 35e pp. 215 ss.), con arco a sanguisuga romboidale più o menoaccentuata che rappresenta il tipo di fibula prevalente nelle fasiIIA e IIB locali (JOHANNOWSKY 1969, p. 36).

70 Tipo 320F2, Pontecagnano 1988, p. 62; 2 esemplari dallatomba 211, ai quali sono da aggiungere un numero imprecisatodi fibule dalla tomba 3091 (BAILO MODESTI, GASTALDI 1999, cat.40, pp. 59 s., fig. 16; per la posizione cronologica nella sequenzalocale delle tombe citate si veda S. DE NATALE, in BAILO MODESTI,GASTALDI 1999, tabella 1); cfr. inoltre D’A GOSTINO 1968, p. 80,fig. 3, tipo a, tomba 566, dell’Orientalizzante.

71 Recentemente, seguendo stimoli già più volte prospettatida Buchner e Ridgway, il carattere di importazione del materiale“non greco”, ceramico e non, della necropoli è stato consideratosotto una diversa prospettiva che tende a privilegiare una suainterpretazione come “segno di pertinenza etnica” piuttosto chequello tradizionale di semplici importazioni (per il materialeindigeno cfr. D’A GOSTINO 1995, pp. 51-62; D’A GOSTINO 1999b,pp. 207-227; CERCHIAI 1999, pp. 657-683; per quello orientalecfr. BOARDMAN 1994; DOCTER 2000).

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Ad un momento centrale del TG 1 sembrapossibile riferire il corredo della tomba 944, estraneaal gruppo pubblicato in Pithekoussai I, maugualmente inserita nella nostra sequenza perl’indubbio interesse che tale corredo presenta72 (Tav.1/2). La posizione cronologica della tomba, che nonpuò avvalersi, come negli altri casi, di indicazionidi carattere stratigrafico, è comunque piuttostochiara per la presenza nel corredo di una oinochoecon corpo globulare del tipo più antico, di un aryballoscon collo cilindrico modanato, d’importazioneorientale73 e di due skyphoi TG corinzi originali tipoThapsos con pannello74 che permettono di collocarela tomba 944 in un momento centrale, ma abbastanzaprogredito, del TG1 non lontano da quellorappresentato dalle tombe 166 e 167 con le quali

essa presenta diversi tipi in comune. Nella tomba944, com’è noto, è presente un’anforetta a spiraliconcordemente ritenuta tra le testimonianze piùantiche di questa classe75. Le attestazioni più antichedi questo tipo sono documentate, nel Lazio,dall’esemplare della tomba 23 di Decima76,considerata da Bettelli fra i contesti più recenti dellafase IIIB laziale77, ed in Etruria a Veio78 ed aCerveteri, nella necropoli del Sorbo79, in contestidatabili in un momento molto avanzato delVillanoviano evoluto80. Tra il materiale metallicodella tomba 944, costituito integralmente da oggettiin argento, spiccano due fibule a sanguisugaromboidale cava81, di un tipo comune nellanecropoli a partire da un momento centrale del TGI e per buona parte del TG 282. Questo tipo di fibula

72 La tomba è edita in BUCHNER, RIDGWAY 1983.73 Cfr. gli esemplari delle tombe 167\4, Pithekoussai I, p.

211, ma la pertinenza dell’aryballos al corredo è dubbia; 166\5-8, p. 208, tavv. 65, 66, CXXII; tomba 662\4, pp. 649 s., tavv.187, CLXXXIV. Per l’origine orientale di tali aryballoi cfr.BUCHNER, RIDGWAY 1983, p. 7, n. 18. I tre corredi citati sonotutti databili entro il TG 1, in un momento centrale le primedue tombe, subito a ridosso del TG 2 quello della tomba 662.La presenza nella tomba 662 di uno dei più antichi esemplaridi aryballos globulare di produzione locale rende certa la suapertinenza ad un orizzonte cronologico molto avanzato del TG1, di transizione alla fase successiva. La datazione ancoranell’ambito del TG 1 è garantita, oltre che dall’aryballosorientale citato, che non è documentato nel TG 2, dalla presenzadi un kyathos TG corinzio originale (di un tipo analogo a quellidelle tombe 212 e 593 del TG 1, ma con pannello centralecontenente un airone) e di una oinochoe locale con corpo dalglobulare all’ovoide, collo troncoconico, ansa a bastoncello edecorazione a sigma sulla parte anteriore del collo, di un tipoche risulta legato profondamente alla tradizione degli esemplaripiù antichi e che perdura, episodicamente, agli inizi del TG2.

74 Lo skyphos meglio conservato è stato riferito da Neeftalla variante b, del suo “panel type”, datata tra il 740 ed il 715a.C. (NEEFT 1981, p. 71).

75 L’anforetta della tomba 944 è considerata dal Beijer nelsuo tipo più antico (BEIJER 1978, p. 9, tipo Ia).

76 Decima 1975, pp. 244 ss., n. 3, figg. 11-12 (G. BARTOLONI);BEIJER 1978, p. 9, tav. I, 1; l’anforetta della tomba 23 rappresentaindubbiamente il confronto più puntuale per l’esemplarepithecusano (anche per la presenza, su entrambi i vasi, di tondiniimpressi nella parte sommitale della spalla), la qual cosa indurrebbea pensare ad una importazione dall’ambiente laziale piuttosto cheda quello etrusco dove, gli esemplari più antichi, sembranocomunque di un tipo leggermente più evoluto. Nella necropoli diDecima è documentata un’anforetta che, pur non presentando la

consueta decorazione a spirali, sembra poter essere considerataper forma e tessitura della decorazione, un prototipo di questaclasse ceramica (T. 117, A. BEDINI, F. CORDANO in Formazione1980, p. 99, n. 2c, tav. 12, fase III). Sull’anforetta a spirali di tiporecenziore dalla tomba 159 di Pithekoussai, del TG2, cfr.Pithekoussai I, 159/3, pp. 198 s., tavv. CXXIV, 61, con bibl.

77 La cronologia del Bettelli (BETTELLI 1997, tabella 1)conferma quella generalmente accettata per questo contesto, inun momento di passaggio tra la III e la IV fase laziale.

78 Veio, Casale del Fosso, T. 871, MÜLLER-KARPE 1974, tav. 25,n. 3; BURANELLI ET ALII 1997, p. 71, fig. 13; due esemplari, inassociazione, fra le altre cose, con un’anforetta lenticolare con collocilindrico ed anse crestate tipicamente laziale (BETTELLI 1997, p. 61,tipo A 13, tav. 27\1, dalle tombe 123, 110, 99 e 88 dell’Esquilino;BIETTI SESTIERI, DE SANTIS 1992, pp. 250 e s., tipo 7 w), e con unakotyle riferita da alcuni al tipo Aetos 666 (LA ROCCA 1974-75, p.102; D’A GOSTINO 1989, p. 69), da altri invece considerata comederivante “da un modello corinzio tardo geometrico” (BARTOLONI,CORDANO 1978, p. 324; BURANELLI ET ALII 1997, p. 73, nota 42).

79 POHL 1972, p. 276, n. 5, fig. 271, 1.80 Un’altra anforetta, sporadica ma rinvenuta in parte al di

sotto dei tumuli delle tombe 166 e 433 riferibili al TG 1(Pithekoussai I, sp. 12/1, p. 720, tav. 255), trova confronti moltopuntuali nel Lazio, per forma e decorazione, con due esemplariprovenienti da Ardea (BETTELLI 1997, p. 61, varietà 11c, tav.26/4; Ardea Colle della Noce T. 2 e Campo del Fico T. 3, contestidella fase IIIB finale).

81 Confrontate dagli Editori con un esemplare della tomba166 (Pithekoussai I, p. 208, n. 12, tav. 66) che sembra essere ilpiù antico fra quelli della nostra sequenza.

82 Gli esemplari più recenti provengono dal ricco corredodella tomba 483 (Pithekoussai I, pp. 487 e s., nn. 29-32, tav.CLXVI, associati a fibule dello stesso tipo ma in bronzo),inquadrata in un momento centrale della sequenza del TG 2,anteriore a quello rappresentato dalla tomba 325.

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è documentato nel Lazio ed in Etruria da esemplaridi bronzo83, dell’inizio dell’Orientalizzante, ma nonmancano confronti in metallo prezioso come lafibula d’oro a sanguisuga romboidale dalla tombaG della necropoli vulcente di Marrucatello84,riferibile ad un momento di transizione tra ilVillanoviano evoluto e l’Orientalizzante antico.

Coeve alla 944 possono essere considerate letombe 490 e 491 (Tav. 1/2), due inumazioni infantilimaschili pertinenti al medesimo appezzamentofamiliare della 168, in cui figurano oinochoai deltipo più antico: la prima con la decorazione canonicaa “sigma”, la seconda con un ornato a losanghebipartite piuttosto raro rispetto al repertorio comunein questa classe. Nella tomba 490 l’oinochoe èassociata ad una kotyle del tipo Aetos 666,d’imitazione locale, analoga a quella dalla piùrecente tomba 16185; nella tomba 491 è associatainvece ad una fibula a drago di bronzo con arcoserpeggiante a sezione circolare, molla ad un giro ecoppia di apici sul gomito, staffa lunga, di un tipo

che trova confronti in esemplari in bronzo dellanecropoli di Osteria dell’Osa da contesti di III fase86

ed a Veio, in ferro, da contesti di fase IIB-IIC87.I materiali fin qui citati ed i confronti istituibili

con i principali contesti dell’Italia centralepeninsulare permettono di evidenziare una generalecoincidenza tra la sequenza pithecusana del TG 1 ela fase IIIB laziale (forse a partire da un momentonon proprio iniziale della medesima), la fase IICdella necropoli di Quattro Fontanili e buona partedella fase IIB di Pontecagnano. Per quanto concerneinvece la fine del TG 1 ed il passaggio alla fasesuccessiva, rappresentato da corredi come quellidelle tombe 662 e 161 e, nel repertorio ceramico,dall’affermarsi o dal primo apparire, nelleoinochoai, di caratteri come il corpo ovoide, ladecorazione continua sul collo o l’ansa a nastro,essi possono essere rapportati, nel Lazio ed a Veio,al momento finale delle fasi IIIB e IIC ed aPontecagnano, ad un momento avanzato della faseIIB 88.

83 Nel Lazio, ad. es., si veda il tipo, considerato a navicella,38ee (con staffa lunga) dalla necropoli di Osteria dell’Osa(BIETTI SESTIERI, DE SANTIS 1992, p. 366, tav. 37; si veda inoltreOsa 38dd, con staffa allungata, diffuso a partire dalla fase IIIB,con confronti in Etruria nel tipo Toms I 37, di fase IIC, TOMS

1986, p. 80, fig. 31), documentato nella fase IV A1 dellanecropoli. Anche a Pithekoussai gli unici esemplari in bronzodel tipo sono documentati nel TG 2 (si veda ad es. la tomba483 citata alla nota precedente).

84 A.M. MORETTI SGUBINI, in AA.VV. 2001, pp. 200 e ss.,cat. III.B.2.18, con ulteriori confronti.

85 La tomba 161, del TG1 finale, è immediatamenteposteriore, stratigraficamente, alla tomba 491.

86 BIETTI SESTIERI, DE SANTIS 1992, p. 378, tipo 42J, tav. 39,documentato nella tomba 256, di un momento iniziale dellafase IIIB.

87 TOMS 1986, p. 82, fig. 29, tipo III 16, fasi IIB-IIC (ma il tipocompare prevalentemente in contesti di fase IIB); GUIDI 1993, p. 50,fig. 10\3, tipo 103c. La rarità di questo tipo di fibula a Pithekoussaie la presenza di confronti con contesti databili in un momento piùantico rispetto a quello rappresentato dalla tomba 491 sembraconfermare il carattere d’importazione dell’oggetto in esame.

88 Tra i materiali dalla fase avanzata del TG 1 figurano dueanforette d’impasto dalle tombe 166 e 436. La prima(Pithekoussai I, 166/2, p. 209, tav. 65) è stata confrontata moltogenericamente con esemplari veienti e falisco capenati(confronti in CERCHIAI 1999, p. 661, nota 13) di fase IIC, tutticon collo cilindrico e corpo lenticolare (da considerare forsemigliori i confronti con anfore d’impasto, ma con anse non

sormontanti, degli scavi Stevens nella necropoli di Cuma, dalletombe LI e LX, GABRICI 1913, c. 254 e 265, tav. LIII, nn. 4 e 6;contesti riferibili orientativamente al TG 2), mentre la seconda(Pithekoussai I, 436/2, p. 450, tav. 135) è stata più puntualmenteavvicinata ad esemplari sarnensi piuttosto comuni in contestidella fine della prima età del Ferro e degli inizidell’Orientalizzante e diffusi in numerosi esemplari anche aPontecagnano in contesti della fase IIB (CERCHIAI 1999, p. 661,n. 11, con bibliografia; confronti generici nel Lazio potrebberoessere istituiti con il tipo Osa 7p, documentato nella fase IIIBdella necropoli, BIETTI SESTIERI, DE SANTIS 1992, p. 248, tav.14). Tra i materiali metallici va registrata la presenza, a partireda un momento avanzato del TG 1 e nella fase iniziale del TG2, di fibule a drago con molla ed ago bifido nel tratto ricurvo inargento (dalle tombe 167/5; 213/1; 168/28), bronzo (tombe 550/4; 172/2), e ferro (queste ultime documentate prevalentementenel TG 2: 584/1, del TG 1; 379/1; 348/1 del TG 2), che trovanoconfronti puntuali nel Lazio (BIETTI SESTIERI, DE SANTIS 1992,p. 378, tav. 39, tipo 42i, III fase), in Etruria (TOMS 1986, p. 82,fig. 24, tipo III 14, IIA-IIC; GUIDI 1993, tipo 108A, fig. 18/5,fasi IIA-IIB2, con arco a sezione circolare), ed in Campania nellaValle del Sarno (GASTALDI 1979, p. 36, fig. 8, tipo E2, e pp. 54-55), a Pontecagnano (Pontecagnano 1988, pp. 61 e s., tav. 20,tipi 320F1A e 320E3b1a, prevalentemente in contesti di fase IIBma non mancano attestazioni anche in contestidell’Orientalizzante antico: Pontecagnano 2001, p. 61) ed a SalaConsilina (KILIAN 1970, tipo M4p var. I, beil. 14, IIB-IIIA). Suquesto tipo di fibule si vedano da ultimo le osservazioni fatte daFilippo Delpino (DELPINO 2003, pp. 22 e ss.).

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Tra i corredi più antichi riferibili al TG 2 figura,per questioni di carattere stratigrafico, quello dellatomba 16889 (la nota tomba con la coppa di Nestore).Sebbene non manchino legami con la faseprecedente rappresentati dall’oinochoe locale deltipo ovoide più antico o dalla fibula a drago inargento, la quasi totalità dei materiali, pur nella suainequivoca eccezionalità, presenta, con unsignificativo anticipo rispetto al resto dellanecropoli90, caratteristiche comuni a gran parte deicorredi riferibili all’inizio del TG 2 con puntualiriscontri nei principali contesti dell’Italia centraletirrenica91. Tra gli oggetti più interessanti ai fini diuna interrelazione della tomba 168 con i coevicorredi indigeni dell’Italia centrale figura la notatazza d’impasto con ansa bifora sopraelevata,purtroppo frammentaria, labbro a colletto e corpo

tendenzialmente lenticolare che trova i suoiconfronti più puntuali in contesti laziali della faseIIIB finale e dell’inizio dell’Orientalizzante92.

La stratigrafia interna della necropoli dimostrachiaramente come il TG2, per il numero stesso delletombe ad esso riferibili e per la complessità deirapporti stratigrafici esistenti, non possa essere statodi breve entità. La sequenza dei rapporti stratigraficidiretti ricostruibile a ritroso nel tempo tra la tomba151, una delle più recenti del gruppo A01, e la tomba168, conta la sovrapposizione di ben 8 tumuli(escluso quello della tomba 168)93, pertinenti adindividui cremati, presumibilmente non infanti, unacircostanza che difficilmente può far pensare ad unbreve lasso di tempo94. E’ quindi possibile ipotizzareche tra la tomba 168 e quella più recente delmedesimo gruppo, la 151, databile in un momento

89 Pithekoussai I, pp. 212 e ss., tavv. CXXVI-CXXX, 67-75.90 Tale anticipo, sebbene non possa essere facilmente

puntualizzato, risulta piuttosto evidente ad un’analisi attenta dellasequenza stratigrafica e di quella tipologica, almeno limitatamenteal gruppo di tombe di cui la 168 fa parte (gruppo A01) (Tav. 1/2).

91 Si vedano, ad esempio, i kantharoi o gli skyphoi PCAtipo Thapsos tardo senza pannello, originali o d’imitazione,documentati nel Lazio ed in Etruria ed, in particolare, inCampania nella Valle del Sarno ed a Pontecagnano (per il Lazio,a Roma, nell’area di Sant’Omobono, cfr. LA ROCCA 1977, p.391, fig. 2, n. 9, ed a Decima nella tomba XV, Civiltà del LazioPrimitivo 1976, pp. 260 ss., nn. 13-15, tav. LXIII, B-C; perl’Etruria cfr. l’esemplare da Veio nella tomba VIII dellaVaccareccia, RIDGWAY 1969, pp. 25, 28; per gli esemplari dellaValle del Sarno cfr. D’A GOSTINO 1979, p. 65, tipo 8, kantharoi;p. 63, tipo 5, skyphoi; per Pontecagnano cfr. D’A GOSTINO 1968,p. 94, tipi 10a e 10b e Pontecagnano 2001, pp. 59 s., con bibl.,cfr. in particolare gli esemplari dalla tomba 4900, p. 48, nn. 4-5, tav. 25) in contesti dell’inizio dell’Orientalizzante (sullaclasse degli skyphoi tipo Thapsos senza pannello cfr. da ultimoBRUNI 1994, pp. 306 ss.). Meno comuni i crateri e le tazzemonoansate documentati, rispettivamente, nella Valle del Sarno(D’A GOSTINO 1979, p. 70-71, tipo 16A) ed a Pontecagnano(Pontecagnano 1988, p. 47, tipo 280A2a, tav. 17, e BAILO

MODESTI, GASTALDI 1999, pp. 50 e s., cat. 26, n. 1, fig. 11, dallatomba 2325, considerata “affine alle black cups”).

92 Cfr. BARTOLONI 1994, p. 546; CERCHIAI 1999, p. 661, nota12. Tale tazza può essere confrontata puntualmente conesemplari laziali riferibili ai tipi Osa 20o var. 1, con ansasemplice, 20q, con ansa leggermente crestata e, moltogenericamente, con Osa 20t, con corpo lenticolare (BIETTI

SESTIERI, DE SANTIS 1992, pp. 286 s., tav. 22, tipi diffusi tra lefasi IIIB e IVA1), in particolare con le tazze dalle tombe 251,(fig. 3b, 24, n. 10) e 99 (fig. 3c, 5, n. 4) di Osteria dell’Osa edalle tombe 2 del Quirinale (Civiltà del Lazio Primitivo 1976,

tav. XIX, F, n. 1), XCIX dell’Esquilino (Civiltà del LazioPrimitivo 1976, tav. XXA) e 11 della necropoli di La Rustica(Civiltà del Lazio Primitivo 1976, tav. XXVIA, n. 3), tuttedatabili in un momento molto avanzato della fase IIIB.D’Agostino pensa invece ad una importazione da Cuma(CERCHIAI 1999, p. 661, nota 12).

93 Nella sequenza possono essere aggiunte anche le duetombe ad inumazione 500 e 501, che portano il numero dellesovrapposizioni a 10.

94 Se si tiene conto inoltre che il dislivello ricostruibile tra ipiani di calpestio esistenti all’epoca della tomba 151 e quellidella tomba 168 (valutato a partire dal punto più profondo dellelenti di terra poste al di sotto dei tumuli che, come sappiamo,corrispondono in maniera approssimativa al piano di calpestiocontemporaneo; cfr. al riguardo BUCHNER 1975, p. 69) è compresotra 1 o 2 metri (la misura precisa non è valutabile con esattezzain mancanza di una adeguata sezione ed a causa dell’andamentodeclinante del terreno verso NE, ad ogni modo è possibileriscontrare tra i vari tumuli una differenza progressiva di ca. 20-30 cm.), risulta ancora più evidente la lunga durata di unfenomeno che deve essere stato prodotto dal lento dilavamentodelle colline circostanti non essendo documentati riporti artificialidi terreno nell’area. Una più approfondita analisi pedologica dellaValle di San Montano potrebbe, forse, in futuro fornire deglielementi indicativi per stabilire i tempi medi di accumulo deiterreni alluvionali. Se si riflette inoltre sul fatto che tra l’VIIIsecolo e l’epoca romana c’è un dislivello complessivo di ca. 4m., ancor più significativa sembra risultare la misura di 2 m.rilevabile tra la tomba 168 e la 151 (bisogna tener conto, ad ognimodo, che il processo di livellamento non deve essere statosempre costante; è logico immaginare che esso sia stato maggiorenel momento in cui le colline circostanti erano abitate e quindidisboscate ed inferiore nei momenti in cui l’abbandono del sitopermetteva alla vegetazione di riformarsi frenando così i processierosivi alluvionali).

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avanzato del TG 2 non lontano dalle prime tombedel MPC95, sia trascorso un periodo di tempocompreso tra un minimo di una fino ad un massimodi due generazioni, ovvero tra i 25 ed i 50 anni circa,durata che corrisponde approssimativamente aquella di ca. 30-40 anni comunemente attribuitaall’intero TG 2.

Nel caso del gruppo di pertinenza della tomba32596 (gruppo A05) (Tav. 1/3) che, come è noto, hanello scarabeo di Bocchoris un fondamentaleterminus post quem, la situazione è più complessa.Questa deposizione risulta compresastratigraficamente fra una tomba databilegenericamente in un momento avanzato del TG 1,la 33197, e la tomba 326 del MPC98. Un esame dellequote sul livello del mare non fornisce utiliindicazioni trovandosi le tre tombe appros-simativamente sullo stesso piano, la qual cosa puòal massimo indicare una recenziorità nell’ambitodel TG 1 per la tomba 33199. Quest’ultima fossarisulta stratigraficamente anteriore anche alla tomba329100, a sua volta precedente rispetto alla 328,tagliata marginalmente anch’essa dalla citata tomba326. La circostanza che la fossa 326 si trovi “inseritanello stretto spazio tra le fosse più antiche 324, 325,

328, 329… rispettandole e soltanto marginalmenteintaccando un angolo di 325 e 328, indica che ilperimetro di queste fosse dev’essere stato alloraancora chiaramente contrassegnato in superficie”101.Una simile circostanza depone chiaramente a favoredi una vicinanza cronologica tra i corredi citati che,sebbene non quantificabile, non dovrebbe esseresuperiore ad un massimo di 25 anni. Tralasciandoil corredo della tomba 326 che, ad ogni modo, nonpuò essere considerato anteriore al 680, dataproposta dal Neeft per l’inizio del MPC102, un breveesame dei materiali presenti nella tomba 328,certamente quella cronologicamente più vicina alla325, può essere utile ai fini di un inquadramentopiù puntuale della tomba 325, la cui cronologiadovrà necessariamente ricadere tra il 714 (il terminepiù alto presumibile per la deposizione delloscarabeo)103 ed il 680, terminus ante quem fornitodalla tomba 326.

Tra i materiali presenti nel corredo della tomba328 figurano due fibule a navicella romboidale conapofisi laterali a bottone, di un tipo diffuso nellanecropoli solo in un momento avanzato del TG 2104

ed in particolare nei corredi delle tombe 507 e 505dello stesso gruppo di cui fa parte la tomba 168,

95 Tra i materiali più recenti che fanno parte del corredofigura una fibula d’argento “a drago” senza molla, con quattrocoppie di apofisi “a bottone” sull’arco (Pithekoussai I, 151/7,p. 187, tav. 57), di un tipo documentato nella Valle del Sarno(GASTALDI 1979, tipo E3, p. 37, fig. 8, e p. 55, con confronti aVeio, fase IIIA, e Bisenzio), a Pontecagnano (D’A GOSTINO 1968,p. 81, fig. 5, tipo s; Pontecagnano 2001, p. 61, nota 66), SalaConsilina (KILIAN 1970, tipo M4o, IID-IIIA), in contesti di unorizzonte avanzato dell’Orientalizzante antico. Ad Osteriadell’Osa è documentato, a partire da un momento avanzato dellafase IIIB, il tipo con due coppie di apici (BIETTI SESTIERI, DE

SANTIS 1992, p. 378, tav. 39, tipo 42K). A Pithekoussai questotipo di fibula è documentato da esemplari di bronzo (tombe505bis/8 e 527/2), ed in argento (tombe 153/1; 215/5; 149/3),tutti riferibili ad un momento centrale (gli esemplari in bronzo),ed avanzato (quelli in argento), della sequenza locale del TG 2.

96 Pithekoussai I, pp. 378 e ss., tavv. CLVII, 122.97 Pithekoussai I, p. 388, tav. 127. Della tomba fa parte

solo una kotyle TG corinzia originale di un tipo documentatoanche nei corredi delle tombe 201 e 212, riferibili genericamenteal TG 1. Un esemplare simile, ma interamente verniciato, èdocumentato anche nella Valle del Sarno (D’A GOSTINO 1979, p.62, fig. 35, tipo 3).

98 Pithekoussai I, p. 382, tavv. CLVI, 123. Del corredo fannoparte due aryballoi ovoidi ed una pixys, originali del MPC.

99 Il livello del fondo della fossa 331 è di 5.25 s.l.m.; illivello delle tombe più antiche del gruppo è generalmente dipoco inferiore ai 5 m., ma esse sono tutte databili nel TG 2 o,tutt’al più, in un momento di transizione tra il TG 1 ed il TG 2.

100 Vale la pena sottolineare come dalla tomba 329(Pithekoussai I, p. 386 s., tavv. CLVI, 126) provenga una raropendaglio macedone che rientra in una classe di materialirecentemente studiata da Marina Martelli, che risultadocumentata, in Italia, a Veio, Cuma e forse Pompei in contesti,quelli noti, riferibili al primo quarto del VII secolo a.C.(MARTELLI 1997, pp. 207 ss.).

101 Pithekoussai I, p. 387.102 NEEFT 1987, pp. 379 e s.103 Gli Editori (Pithekoussai I, p. 379, con rinvio a NEEFT

1987 per la polemica sulla cronologia della sepoltura) calcolanoun lasso di tempo massimo di 4 anni tra la produzione delloscarabeo in questione e la sua deposizione nella tomba (2 anniil tempo calcolato tra la realizzazione dell’amuleto ed il suoarrivo in Italia cui vanno aggiunti 2 anni ca. per l’età dell’infanteche lo indossava); essendo il regno di Bocchoris compreso trail 718-17 ed il 712, ne conseguirebbe che il terminus post quemper la tomba 325 vada posto tra il 714 a.C. ed il 708. Sullacronologia della tomba 325 cfr. da ultimo RIDGWAY 1999b.

104 Tombe 505/7-9; 507/6-8; 556/4; 328/7-10; 336/1-2; 323/9-11; 322/3; 243/8-9; 326/6-7.

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con un’unica attestazione nel MPC,significativamente nel corredo della tomba 326105.Questo tipo di fibula trova confronti puntuali nelLazio106 e in Campania107 in contesti databili in unmomento piuttosto avanzato della prima fasedell’Orientalizzante antico, periodo in cui dovrebbericadere anche la cronologia della tomba 328.

Passando, infine, al corredo della tomba 325,ad un esame più attento, figurano anche in essoelementi che sembrano suggerire una sua datazionein un momento leggermente più avanzato rispetto aquello più basso proposto dai suoi editori, ovveroil 708 a.C., stabilito sulla sola base dello scarabeodi Bocchoris. La tomba 325, come è noto, è unasepoltura a fossa bisoma, pertinente ad un individuodi sesso maschile dell’età di circa 10 anni e ad unindividuo di sesso femminile di circa 2 anni e mezzo,cui certamente va riferito lo scarabeo. Sullacontemporaneità delle due sepolture non sembranosussistere dubbi, infatti, oltre a mancare segni dimanomissione, il corpicino dell’infante era postotra le gambe del bambino, in una posizionedifficilmente immaginabile come conseguente aduna riapertura. Tutti gli oggetti del corredoceramico, l’oinochoe e la lekythos locale, lo skyphostipo Thapsos senza pannello, la lekythos di tipoArgive Monochrome e gli aryballoi globulari,trovando ampi confronti per buona parte del TG 2locale, non forniscono indicazioni più puntuali sullacronologia del corredo. Tra gli oggetti d’ornamentospicca invece una fibula con arco configurato, diun tipo molto raro nella necropoli, che sembrarappresentare l’elemento cronologicamente piùsignificativo dell’intero corredo. La fibula risultava

frammentata ab antico e del tutto priva dell’attaccodella staffa che, come giustamente sostengono glieditori, dovette essere presumibilmente limato perdarle l’aspetto di un pendaglio. Prescindendo daquest’ultimo particolare che permette comunque diconsiderare un discreto lasso di tempo tra laproduzione della fibula e la sua deposizione etralasciando, inoltre, i parallelismi individuabili perquesto tipo di fibule a Pithekoussai ed in areacampana108, tutti relativi ad un momento avanzatodell’Orientalizzante antico, il confronto in assolutopiù calzante è con due esemplari dalla fossa 8, dellanecropoli tarquiniese di Poggio Gallinaro, contestodatabile tra gli inizi e non oltre il primo quarto delVII secolo a.C.109 La cronologia di tale fibula el’esame della posizione stratigrafica della tomba325 in relazione a quelle circostanti permettono dipuntualizzarne la datazione che dovrà ricadere alpiù presto negli anni intorno alla fine dell’VIIIsecolo inizi di quello successivo, in un momentonon lontano da quello postulato per la tomba 328 enon superiore ai 20 anni di distanza rispetto allacronologia della tomba 326.

Poste tali basi diviene anche possibile fissare,con una buona approssimazione, la cronologia dellatomba 168, in particolare, e più in generale quelladell’inizio del TG2. Abbiamo visto, infatti, comealcune tra le tombe del gruppo A01, quali leinumazioni 505 e 507, la prima coeva alla tomba151 la seconda cronologicamente a metà strada fraquest’ultima e la tomba 168, presentino affinità contombe quali la 328, coeva o di poco posteriore allatomba 325; se è corretto ipotizzare, sulla base diconsiderazioni di carattere stratigrafico, un lasso di

105 A riprova di un “costume” legato, forse, ad una tradizionefamiliare (data anche la frequenza di questo tipo di fibula nelletombe del gruppo).

106 BIETTI SESTIERI, DE SANTIS 1992, p. 367, tav. 37, tipo38hh (tombe 116 e 224, la prima databile in un momento finaledella fase IVA1, la seconda nella fase IVB), con inserti d’ambra,con ulteriori confronti nel Lazio, nell’Agro Falisco, in Etruriaed a Cuma, con esemplari con e senza inserti d’ambra.

107 Nella Valle del Sarno, dove caratterizzano l’ultima fasedell’Orientalizzante antico locale (GASTALDI 1979, tipo E9b, p.38, fig. 8, p. 55), a Pontecagnano dove non sembrano avereun’ampia diffusione (D’A GOSTINO 1968, tipo v, p 81, fig. 5; cfr.inoltre gli es. dalle tombe 4889 e 4931 in Pontecagnano 2001,tav. 17b, n. 10 e tav. 25b, n. 3), ed a Capua, nella tomba 500

(JOHANNOWSKY 1983, tav. LII, n. 30), in un corredo riferibile alMPC, per la presenza di due aryballoi ovoidi.

108 Sulle fibule configurate ad animali, documentate aPithekoussai da esemplari leggermente diversi dalle tombe 694e 678, cfr. CERCHIAI 1999, p. 666, note 39 e 40, con confrontinella Valle del Sarno (GASTALDI 1979, tipo E6, p. 38, fig. 6), eda Pontecagnano (D’A GOSTINO 1968, tipo z, pp. 81 s., fig. 5), incontesti dell’Orientalizzante antico avanzato.

109 HENCKEN 1968, vol. II, pp. 345 e ss., fig. 347, g. BRUNI

1994, pp. 306 ss., con bibl. alla nota 87. Per la cronologia delcontesto cfr. CANCIANI 1974, p. 17, tav. 11, 2.3.6; BRUNI 1994,p. 123. Allo stesso orizzonte cronologico rimanda del resto latomba tarquiniese di Bocchoris.

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tempo non superiore ai 40-50 anni tra la tomba 151e la 168, ponendo le tombe 507 e 328 intornoall’inizio del VII secolo o poco dopo, potremmocosì concludere in favore di una cronologia nonanteriore al 720, per la tomba 168 di Pithekoussai.

V. N.

In conclusione l’inizio del TG 2 verrebbe acoincidere con la data tradizionale dell’iniziodell’Orientalizzante con la conseguente confermadell’apparato cronologico tradizionale almenorelativamente al momento finale della prima età delFerro. Avendo inoltre fissato a 30 anni al massimo ladurata per la sequenza di tombe del TG 1 pithecusanosi può porre al 750/740 ca. la cronologia delle tombe

più antiche di Pithekoussai, data da considerare, inpieno accordo con quanto affermato da Buchner findal 1975110, quale terminus ante quem per il primostabilirsi dell’insediamento euboico che, al momento,non sembra poter essere considerato più antico delsecondo quarto dell’VIII secolo a.C.111 epoca in cuivanno anche datate le prime importazioni di ceramicagreca dai contesti indigeni dell’Italia peninsulare(Veio IIA; Pontecagnano IIA; Cuma preellenico II).

I parallelismi individuati tra la sequenzapithecusana e quelle locali, tutt’altro che episodici,sembrano rendere possibile trasferire agliinsediamenti indigeni i risultati ottenuti perPithekoussai (TAB. A).

110 BUCHNER 1975, pp. 65 ss.111 Anche sulla base della ceramica più antica fino ad ora

rinvenuta, che non sembra risalire oltre il MG II (RIDGWAY 1981,pp. 45-56; COLDSTREAM 1995, pp. 251 ss., in particolare p. 266dove conclude che “It seems then, that this acropolis depositcontains some pottery older than anything in the complete gravegroups, but no older than the earliest use of the cemetery”).Ridgway ipotizza per Pithekoussai una fase precedente allanecropoli scavata e propone che STRABONE V,4,9 e LIVIO VIII,

22, 5-6 si riferiscano ad una generazione pithecusana anteriorea quella rappresentata dai corredi del Tardo Geometrico I, nellaquale si sarebbe formata la comunità eclettica, che noiconosciamo: “A Pithekoussai, quando cominciamo a poterseguire la storia si tratta di una comunità mista” (RIDGWAY 1999a;RIDGWAY 2000, pp. 101-102). Aggiunge come elemento diinteresse per questa proposta la constatazione che gli oggettiindigeni si trovino soprattutto in tombe di donne e di bambinoche sembrerebbe dimostrare il contrario.

TAB. A: Cronologia della sequenzapithecusana e parallelismi con lesequenze di Pontecagnano, Osteriadell’Osa e Veio.

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424

Dal punto di vista metodologico l’analisi deidati della necropoli pithecusana, seppur nonrisolutiva ai fini della generale rielaborazione dellacronologia della prima età del Ferro, suggerisce inogni caso una maggiore prudenza nell’accettazionea scatola chiusa di rigidi schemi predisposti,fondendo elementi oggettivi quali le analisinaturalistiche con schemi tipologici inevitabilmentesoggettivi, a partire da realtà esterne e talvoltaestranee rispetto a quelle in esame.

Per quanto riguarda il Lazio, la quasi totalecontemporaneità tra la fase IIIB ed il TG 1, con unaleggera posteriorità delle tombe più antiche del TG1 rispetto alle prime del IIIB laziale, permette diipotizzare una cronologia per questa fase compresagrosso modo tra il 750 ed il 720; per quanto riguardala fase IVA1 essa sembra complessivamentecoincidere con il TG 2. Parimenti, in ambito veiente,il TG 1 sembra coincidere complessivamente conla fase IIC della necropoli di Quattro Fontanili,mentre il TG 2 corrisponde alla prima fasedell’Orientalizzante antico locale. In relazioneinvece alla sequenza di Pontecagnano, moltocomplessa per quanto riguarda la seconda faselocale, sembrerebbe esservi una coincidenza tra ilTG 1 e la parte iniziale e centrale del IIB locale che,in un suo momento avanzato potrebbe essere invecerapportato all’inizio del TG 2 pithecusano edall’inizio dell’Orientalizzante antico nella Valle delSarno in particolare ed in Campania in generale112.

In base alle considerazioni esposte, quindi,

sembra difficile, nonostante le analisi naturalistiche,sostenere un forte innalzamento cronologico perl’inizio della fase evoluta della prima età del Ferro.L’analisi della sequenza pithecusana, condotta subasi oggettive quali la sequenza stratigrafica interna,sembra infatti confermare pienamente il quadro finoad oggi ricostruito in base alla sinergia tra le fontiletterarie e la documentazione archeologica113. Allostato attuale degli studi sull’età del Ferro italianasembra quindi poco proficuo se non impossibileprescindere dai dati della tradizione, sia essa classicao orientale, israelita, assira ed egiziana, a causa deifrequentissimi rapporti intercorsi tra le variepopolazioni del Mediterraneo antico nel corsodell’VIII secolo a.C.

G. B., V. N.

Abbreviazioni utilizzate nel Matrix (Tavv. 1-3):f : femmina.m : maschio.b : bambino.inf : infante.g : giovane.sc : senza corredo.

Nell’indicazione del sesso e delle età dei defunti diPithekoussai ci si è strettamente attenuti ai dati forniti dagliEditori.

112 Come ha recentemente evidenziato la De Natale (S. DE

NATALE, in BAILO MODESTI, GASTALDI 1999, pp. 81 ss.), ladefinizione del momento finale della fase IIB di Pontecagnanoè resa estremamente complessa dal “numero limitato di tipicronologicamente significativi” riferibili a questa fase e dallaloro scarsa consistenza numerica. La presenza, nel IIB finale,di tipi caratteristici dell’Orientalizzante antico della Valle delSarno, sembrerebbe indiziare almeno una sovrapposizioneparziale del momento finale della citata fase picentina all’iniziodell’Orientalizzante sarnense ed a quello del TG 2 pithecusano.La documentazione della necropoli di località Casella(Pontecagnano 2001, in particolare pp. 71-72), per la frequenteassociazione di tipi caratteristici della fine della prima età delFerro con materiali tipici dell’inizio dell’Orientalizzante e perla presenza di numerosi parallelismi con l’orizzonte di passaggiodal TG 1 al TG 2 di Pithekoussai, sembrerebbe avvalorare ilquadro prospettato in questa sede.

113 Nonostante siano trascorsi 35 anni dalla magistrale epuntuale sintesi del Coldstream (COLDSTREAM 1968), le lineeessenziali del quadro cronologico elaborato dallo studiosoinglese (almeno relativamente alle fasi esaminate in questa sede)sembrano ancora reggere al vaglio della critica. Dal punto divista metodologico non sembra essere fuori di luogo ricordarecome il Coldstream, per la definizione dei termini della suacronologia assoluta, si sia fondato in primo luogo sui dati fornitidalla documentazione archeologica “non greca” (come, percitare un esempio, la presenza di materiali greci nella stratigrafiainterna dei principali siti palestinesi ed i suoi legami con lacronologia veterotestamentaria che sono alla base dellesequenze vicino orientali), ed abbia poi, su tali basi, sottopostoa “verifica” i dati cronologici tradizionali derivanti dal confrontotra le sequenze coloniali occidentali e le principali datazionitrasmesse dagli storici antichi (nelle due principali versioni:tucididea ed eusebiana), dimostrandone la generale veridicità.

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Mentre gli atti del presente convegno erano incorso di stampa abbiamo avuto modo di leggere ilrecente contributo di Keith DeVries sulla ceramicacorinzia dell’VIII secolo a.C. e la problematica dellacronologia delle prime colonie greche d’Occidente(DEVRIES 2003). Riprendendo in esame i principalicontesti di Corinto posti cronologicamente a cavallotra la fine del MG 2 ed il TG 1 (in termini di cronologiarelativa corinzia secondo la tradizionale definizionedel Coldstream) e soffermandosi in particolar modosull’evoluzione, distribuzione e diffusione dideterminate classi ceramiche quali le kotylai (dalleproto-kotylai alle chevron kotylai del tipo “Aetos 666”)ed il repertorio della Thapsos class, considerateuniversalmente un fossile guida della colonizzazionegreca in Occidente, DeVries perviene a conclusioniinteressanti seppur non pienamente condivisibili sullacronologia della fondazione di Pithekoussai: “inconformance with the Thucydidean chronology114, adate in the 730s for the initial settlement at Pithekoussaiseems plausible” (DEVRIES 2003, p. 156).

Il punto focale della discussione verte sullacronologia assoluta della transizione dalla proto-kotyle alla kotyle di tipo più evoluto, transizioneche segna (COLDSTREAM 1968, pp. 96-98), ilpassaggio dal MG 2 al TG 1 corinzio (750 a.C.).L’analisi della distribuzione delle proto-kotylai edelle chevron kotylai nei principali contesti

stratigrafici di Corinto ed il riesame della cronologiadi questi ultimi115 induce DeVries a post-datare taletransizione nell’ambito del terzo quarto dell’VIIIsecolo a.C. e, ad ogni modo, dopo il 750 e primadel 730 a.C., termine, quest’ultimo, nel qualeandrebbero datate le più antiche kotylai pithecusanein base alle analogie riscontrabili con gli esemplaridel “Museum Pithos Deposit”.

Tali conclusioni, prosegue DeVries, troverebberopiena conferma anche in virtù della cronologia dellaceramica di tipo “Thapsos” che sembra esseredocumentata a Corinto solo in un momento avanzatodel TG 1116 e che a Pithekoussai risulta assai più diffusarispetto agli esemplari noti di chevron kotylai 117.

La ricostruzione proposta da DeVries trova unriscontro con quanto è stato discusso in questa sederelativamente alla diffusione, nella necropoli diPithekoussai, delle kotylai del tipo Aetos 666 e degliskyphoi tipo Thapsos con pannello che risultanodocumentati “a partire da un momento … centraledella sequenza della prima fase per concentrarsiprevalentemente in uno stadio avanzato del TG 1”,vale a dire, secondo la cronologia sopra proposta,tra il 735 ed il 720 a.C.118 Se, alla luce delladocumentazione pithecusana, l’arco temporaleriferito da DeVries alle classi ceramiche citate sia,nelle linee generali, condivisibile119, diversa è laquestione relativa alla cronologia del primo

114 Che però nella sua trattazione della colonizzazione grecad’Occidente non tiene conto significativamente di Pithekoussai.

115 DeVries pone in sequenza come segue i principalicontesti corinzi : 1°) well 1981-6 (secondo quarto VIII secoloa.C.); 2°) well 1950-3 (post 750); 3°) well 1975-3 (TG1b attico= 750-735); nei tre contesti citati compaiono esclusivamenteproto-kotylai; 4°) well 1968-1 (considerato l’ultimo della fasedelle proto-kotylai); 5°) well 1972-2 (con una kotyle a chevronsdi tipo non ancora evoluto); 6°) Museum Pithos Deposit(considerato come il più antico con kotylai di tipo evolutoconfrontabili con quelle pithecusane e datato dal DeVriesintorno al 730 sulla base di un confronto con un esemplare daMegara Hyblea, fondata secondo Tucidide nel 728 a.C.).

116 Tale circostanza, secondo DeVries, spiegherebbe inoltrela scarsa frequenza di questa classe a Corinto in virtù del numerolimitato di contesti noti rapportabili all’orizzonte evoluto diquesta fase.

117 Per l’elenco completo delle attestazioni cfr. sopra

bibliografia alla nota 42.118 Cfr. sopra le osservazioni a p. 414 e le note 42 e 43.119 Un termine cronologicamente più alto per l’inizio della

produzione di tali classi intorno al 740-730 rispetto al 730 delDeVries sarebbe ad ogni modo preferibile. La documentazionestratigrafica della necropoli esaminata in questa sede (cfr. inparticolare i dati sintetizzati nella Tav. 2) mostra come gliesemplari più antichi di kotylai e skyphoi dei tipi in esamecompaiano non prima di un momento centrale-avanzato dellasequenza locale del TG1, databile presumibilmente negli anniintorno al 735-730; la presenza di un discreto numero diimitazioni locali fra gli esemplari più antichi (nel caso dellekotylai le imitazioni ammontano ad un totale di 12 controappena 3 esemplari d’importazione corinzia; nel caso degliskyphoi il dato è invece ribaltato, le importazioni ammontanoinfatti a ca. 20 esemplari, tra i quali i “numerosi frammenti …di una dozzina circa di skyphoi tipo Thapsos” SP 4/2, cfr.Pithekoussai I, p. 702, contro 1 solo es. locale; tale circostanza

ADDENDUM

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426

insediamento euboico sull’isola d’Ischia per ilquale, come abbiamo accennato, DeVries proponeuna datazione intorno al 730 a.C. L’analisicomplessiva della necropoli di Pithekoussai, deisuoi materiali e delle sue stratigrafie, mostra infattichiaramente come lo stanziamento siasignificativamente precedente rispetto alla primaapparizione nella necropoli delle classi ceramichein oggetto; la questione della datazione assoluta diqueste ultime va pertanto necessariamente scissadalla problematica della cronologia dell’insediamentoeuboico. Se la documentazione della necropoli finoad ora nota non sembra giustificare una datazionedel suo primo impianto “regolare” prima del 750,tuttavia non sembrano esservi dubbi circa il fattoche la cronologia dell’installazione dei colonieuboici vada ricercata in un momento anteriore aquesta data, in pieno accordo con quanto ipotizzatoda tempo da Buchner e Ridgway ed indipendentemente

dalla maggiore o minore credibilità che si vuoleprestare alla datazione della ceramica MG 2-TG 1120

rinvenuta nella necropoli e nell’abitato sui qualiDeVries torna più volte a soffermarsi criticamente.

La priorità stessa e l’originalità dell’esperienzapithecusana rispetto alle altre iniziative greche inOccidente121 risultano così ulteriormente rafforzatein armonia con il quadro desumibile dalladocumentazione archeologica indigena peninsulareche, altrimenti, in virtù di un abbassamentocronologico quale quello ipotizzato, vedrebbesminuiti al livello di semplici contatti episodiciquelle che invece sembrano essere le testimonianzedi una dialettica vivace e tutt’altro che occasionaletra i primi coloni euboici e le comunità dell’Italiacentrale tirrenica a partire dal secondo quartodell’VIII secolo a.C.

G. B., V. N.

potrebbe costituire un dato a favore della leggera prioritàcronologica delle kotylai, note da più tempo e quindi soggetteprima ad imitazione) induce conseguentemente a ritenere chela produzione di tali materiali nella madrepatria abbia precedutodi un certo lasso di tempo la loro esportazione ed imitazione ilche sembra rendere più plausibile un arco di tempo compresotra il 740-730 per l’inizio della loro produzione a Corinto.

120 Cfr. nota 111.

121 Contra DEVRIES 2003, p. 156 : “…the sequence of MG-LG deposits also sheds important historical light on Greeksettlement in the west. It strongly suggested that the foundationof Pithekoussai was not an utterly precocious, isolated earlyevent but should rather be understood as an integral part of abroadly based colonial movement away from the Aegean thatsaw the foundation of settlements in a quite closely packedsequence”.

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DISCUSSIONE E INTERVENTI

Bruno d’Agostino: Vi sono alcuni punti dellamia relazione sui quali speravo di suscitare qualcheriflessione e qualche contrasto. Ho tenuto asottolineare come il mio atteggiamento nei confrontidella tabella di sequenza sia attento ma critico: ioconsidero la tabella di sequenza uno strumentofondamentale per cogliere le linee di tendenza nellosviluppo di un repertorio culturale, ma penso chela dinamica “reale” sia in generale più complessa:non possiamo dunque assumere le sue indicazionicome il fedele e puntuale riflesso della realtà. Forsel’amico Peroni mi sgriderà per questo atteggiamento“trasgressivo”, ma credo che chi costruisce questogenere di “strumenti” sappia bene come l’assenzadi un tipo nuovo possa essere condizionata dal casoo da fattori non cronologici, e possa a sua voltacondizionare in maniera determinante la posizionedi un gruppo di sepolture. Vi sono poi momenti incui l’innovazione può seguire diversi percorsi, chenon è facile disporre in una successione lineare.

La tabella di sequenza è in fin dei conti unaproiezione simbolica di quello che noi giudichiamolo sviluppo di una comunità data. Anche se essaserve a razionalizzare questa proiezione, a renderlaentro certi limiti verificabile, conserva tuttavia unelemento di soggettività: questa considerazione puòcerto sembrare limitante, tuttavia essa permette diaderire meglio alle situazioni storiche concrete.

Elisa Gusberti: Il mio intervento si collega, inparte, alla articolata e ampia relazione della Prof.ssaGilda Bartoloni e del dott. Valentino Nizzo; inoltre,vuole contribuire alla definizione dell’orizzonterecente della seconda fase della prima età del ferrolaziale (IFe 2 B), alla luce di alcuni importanti

complessi stratigrafici e tombali romani, e di altrinoti contesti funebri del Lazio, primo fra tutti quellodi Osteria dell’Osa. Illustrerò dunque parte di unmio lavoro che sarà a breve pubblicato (GUSBERTI

c.s.) e che si sostanzia delle scoperte avvenute allependici settentrionali del Palatino, nello scavodiretto dal Prof. Andrea Carandini e - sul campo -dalla dott.ssa Dunia Filippi; questo studio siinserisce in un vasto progetto di ricostruzionestorica, archeologica e topografica della prima etàregia a Roma, condotto dal Prof. Andrea Carandinie dalla sua équipe.

In particolare, l’individuazione di due orizzontidistinti nell’ambito della fase laziale III B - che inun convegno in cui vengono trattate ampie faciescronologiche, può sembrare una sottigliezza - miha permesso di stabilire una sequenza cronologicarelativa all’interno di importanti contesti romani diVIII sec. a.C.

Le indagini stratigrafiche condotte tra l’Arcodi Tito e il tempio di Vesta ci hanno infatti permessodi acquisire nuovi dati sulla topografia della pendicesettentrionale del Palatino tra VIII e VII sec. a.C.Le prime mura vengono costruite, seguendol’andamento del monte, tra i 20 e i 18 m s.l.m.; neltratto settentrionale della pendice sono statedocumentate in due punti, con andamento E-S-E/W-N-W. Lungo la porzione di muro indagata pressoil versante nord-orientale del monte si apre una porta(BROCATO 2000a; BROCATO 2000b; BROCATO 2000c),da noi interpretata come Porta Mugonia(TERRENATO 2000, pp. 205-206; FILIPPI c.s. a), sottola cui soglia è stato rinvenuto il deposito difondazione che sancisce la costruzione delle mura(BROCATO 2000d; GUSBERTI c.s.); le mura vengono

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1 Fondamentali e preziosi, nell’elaborazione della tabella enon solo, sono stati i consigli e il supporto del Prof. Renato

poi ricostruite lievemente più a N delle precedenti,ma coincidenti in corrispondenza della portainterpretata come la Mugonia (FILIPPI 2004 a),intorno al primo quarto del VII secolo a.C. Lacronologia del loro allestimento è confermata daicorredi relativi alle quattro sepolture rituali depostesopra e immediatamente all’interno del tratto delmuro 1 documentato presso la pendice nord-occidentale, dopo la sua obliterazione (CARANDINI

2000; GALLONE 2000; GUSBERTI 2000). Le nuoveindagini nell’area occupata dalla casa nota comedomus publica, parzialmente scavata da Lanciani eda Carettoni (CARETTONI 1978-80) hanno rivelatol’esistenza, ad una quota di circa 13.80/13.90 ms.l.m., di un grande edificio con salone centrale eambienti laterali, interpretato come domus regia 1(FILIPPI 2004 b), la cui vita è inquadrabile entro laseconda metà dell’VIII sec. a.C. (GUSBERTI c.s).L’edificio occupava l’area del Santuario di Vesta,che - secondo la nostra accezione - non era limitataal tempio di Vesta e alla casa delle Vestali, macomprendeva il lotto della domus regia e l’area sacraai Lari (FILIPPI 2004 b; CUPITÒ 2004); infatti, gli scavidel 2003, al di sotto dell’aula absidata parzialmenteindagata da Lanciani, Boni e Carettoni (CARETTONI

1978-80 pp. 338-346), e da noi interpretata comeaedes Larum di epoca medio-repubblicana eaugustea (CUPITÒ 2004), hanno messo in luce unaserie di focolari (tra i 13.30 e i 13.75 m circa s.l.m.),che verranno utilizzati per almeno un secolo, apartire dall’orizzonte recente della fase III B o, alpiù tardi, da quello iniziale della fase IV A (CUPITÒ

2004; GUSBERTI c.s.). Il fatto che questi focolari sitrovano al di sotto della cella che successivamentesarà destinata al culto dei Lari, rende plausibileipotizzare che questi allestimenti, oltre al lorocarattere profano, avessero una funzione sacra,relativa al più antico culto all’aperto dei Lari, sulmodello delle escharai dedicate al culto degli eroiin Grecia, in rapporto topografico-funzionale conla domus Regia (CUPITÒ 2004). Infine, la presenzadi materiale residuale ascrivibile alla fase lazialeIII B all’interno del pozzo B di Vesta scavato da

Boni (da ultimo CARAFA 2004), già segnalata daMüller-Karpe (MÜLLER-KARPE 1962, tav.39.12,14 e16), conferma l’ipotesi di una occupazione dell’areadel santuario sin dalla metà dell’VIII sec. a.C.

Al fine di ottenere un’intelaiatura cronologicarelativa dei contesti stratigrafici fin qui esaminati edei principali complessi funerari romani e laziali difase III B, è stato utilizzato il metodo statistico-combinatorio. Sulla base delle associazioni dei tipinei contesti, si è ottenuto un diagramma in cui èstato possibile definire due nuclei di tipi, varietà econtesti riferibili ad altrettanti orizzonti distintinell’ambito del III B laziale. Premessa fondamentalealla costruzione del diagramma, è statal’elaborazione di un’articolata classificazionetipologica, che fosse in qualche modocomplementare alle ampie tipologie esistenti, basatequasi esclusivamente sui corredi funerari (BIETTI

SESTIERI 1992; BETTELLI 1997); la tabella - giàmostrata al convegno - e il commento ad essarelativo1, saranno a breve pubblicati (GUSBERTI c.s.).In questa sede, per ovvi motivi di spazio, mi limiteròad accennare ad alcuni contesti caratteristici diciascuna sottofase, unitamente ai tipi e/o alle foggepiù rappresentative di ogni momento.

I contesti che hanno restituito materialeesclusivo del momento antico della fase III B sono:- gli strati di costruzione del muro 1 (RICCI 2000;BETTELLI 2000, pp. 127-128, figg. 88-89; GUSBERTI

c.s.);- la deposizione sotto la soglia del muro 1 (BROCATO

2000c; BROCATO 2000d; GUSBERTI c.s.);- la tomba 2 del Quirinale (GJERSTAD 1953, pp. 276-278, fig. 239);- le tombe 14 (GJERSTAD 1956, pp. 203-204, fig. 181;MÜLLER-KARPE 1962, p. 86, tav. 15 B), 86 (GJERSTAD

1956, pp. 225-227, fig. 203; MÜLLER-KARPE 1962,p. 86, tav. 15 A) e 102 (GJERSTAD 1956, pp. 237-239, fig. 212; MÜLLER-KARPE 1962, p. 92, tav. 27A) dell’Esquilino;- le tombe 82 (BIETTI SESTIERI 1992, pp. 823-826,

Peroni, al quale vanno i miei più sentiti ringraziamenti.

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figg. 3c.10-14) e 235 (EAD. 1992, pp. 800-801, fig.3b. 32) di Osteria dell’Osa.

I contesti ascrivibili all’orizzonte recente del IIIB sono decisamente più numerosi :- gli ultimi strati di vita del muro 1 (BETTELLI 2000,pp. 123-126, figg. 84-86; GUSBERTI c.s.);- le tombe infantili entro dolio (enchytrismòs)deposte prima della costruzione (tomba 1; fase 2.1)e sui livelli di distruzione (tomba 2; fase 2.3 o 3.1)della domus Regia (FILIPPI 2004 b; GUSBERTI c.s.);- il riempimento della fossa relativa alla distruzionedella domus Regia (FILIPPI 2004 b; GUSBERTI c.s.);- la tomba M del Foro Romano (GJERSTAD 1953, pp.88-96, figg. 88-92; MÜLLER-KARPE 1962, pp. 81-82,tav. 5);- le tombe 74 (GJERSTAD 1956, pp. 222-223, fig. 200;MÜLLER-KARPE 1962, p. 88, tav. 19 C), 99 (GJERSTAD

1956, pp. 234-237, fig. 211; MÜLLER-KARPE 1962,p. 93, tav. 29), 110 (GJERSTAD 1956, pp. 241-242,fig. 214) e 123 (ID. 1956, p. 246, fig. 218)dell’Esquilino;- le tombe 99 (BIETTI SESTIERI 1992, pp. 820-821,figg. 3c. 5-6), 112 (EAD. 1992, pp. 826-827, fig. 3c.16), 171 (EAD. 1992, p. 820, fig. 3c. 3), 175 (EAD.1992, p. 844-845, fig. 3c. 57), 223 (EAD. 1992, p.826, fig. 3c. 15), 251 (EAD. 1992, pp. 794-795, fig.3b. 24), 264 (EAD. 1992, p. 810, fig. 3b. 46) e 510(EAD. 1992, pp. 828-829, fig. 3c. 20) di Osteriadell’Osa;- le tombe 2 del Colle della Noce (Ardea 1983, pp.44-50) e 3 del Campo del Fico (ibidem, pp. 76-78)ad Ardea;- la tomba 11 di La Rustica (CLP 1976, pp. 157-159, tavv. XXV-XXVI A);- la tomba 23 di Castel di Decima (BARTOLONI 1975);- la tomba C del Torrino (BEDINI 1985, pp. 44-51);- la tomba 2 di Tor de’ Cenci (BEDINI 1989, pp. 224-229).

Per quanto riguarda i tipi e le fogge delleceramiche vascolari, va sottolineato che è statosoprattutto l’ampio repertorio tipologico restituitodai contesti d’abitato a consentire la definizione deidue momenti; d’altro canto, l’ampia articolazionestratigrafica di tali complessi ha reso possibile ladefinizione di chiare cesure tra le due sottofasi.

Le tazze profonde esclusive del III B1 lazialesono ancora accostabili a tipi attestati nella fase IIIA (Fig. 1, 1-5 e 6-11). Analogamente ai tipi del IIIA laziale, le tazze esclusive dell’orizzonte anticodella fase III B presentano un profilocomplessivamente poco rigido, dove la distinzionetra collo e spalla è tendenzialmente meno accentuatache nell’orizzonte più tardo (Fig. 1, 6-11). Le tazzeprofonde di medie o grandi dimensioni presentanospesso il collo lievemente troncoconico, ditradizione III A (Fig. 1, 6-8); le tazze di dimensioniridotte hanno invece quasi sempre colli brevi ocolletti (Fig. 1, 10-11). Le anse bifore non hannoancora il foro superiore decisamente sviluppato enon sono mai crestate (Fig. 1, 6-11).

I tipi di tazze diffusi nell’orizzonte recente delIII B hanno invece la vasca più schiacciata rispettoa quelli della sottofase precedente; il loro profilo ècomplessivamente più rigido, con una marcatadistinzione tra il collo e la spalla, che diviene moltoprominente (Fig. 1, 12-25); compaiono le tazze conalto collo cilindrico (Fig. 1, 19-21, 24) o lievementetroncoconico, quest’ultimo di tradizione antica (Fig.1, 22-23); le anse bifore presentano il foro superioresempre più ampio (Fig. 1, 12-22, 24), non di radocrestato (Fig. 1, 14).

In riferimento alla tazza in impasto attestatanella tomba 168 di Pithecusa (BUCHNER, RIDGWAY

1993, p. 223, tavv. CXXX, 75), non ritengo - e inquesto mi discosto lievemente dai confrontipresentati dalla Prof.ssa Bartoloni e dal dott. Nizzo- che l’esemplare sia assimilabile a tipi della faseIV A laziale, in quanto rientra esclusivamente intipi caratteristici della fase precedente,presumibilmente del suo orizzonte più avanzato (cfr.Fig. 1, 12-13 e 25), anche se ne costituisce una delleespressioni più estreme; ovviamente non nego cheesistano affinità tipologiche tra alcuni tipi di tazzeIII B ed altri della fase successiva; tuttavia,diversamente dall’esemplare pithecusano, le tazzecaratteristiche della fase laziale IV A, hanno la vascadecisamente schiacciata, la spalla breve oltre cheprominente, il collo ancora più fortementesviluppato in altezza (cfr. Fig. 1, 26). Al limite,potremmo pensare ad un parallelismo tra il TG II diPithecusa, orizzonte al quale appartiene la tomba168, e la sottofase laziale qui definita III B2.

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Diversamente, e forse con maggiore probabilità, vasupposta un’antichità lievemente maggiore dellatazza (che, del resto, presenta fratture antiche)rispetto al resto del corredo della tomba, fenomenonon raro nelle sepolture.

Per quanto riguarda le anforette a collo, in quellecaratteristiche del III B1 il corpo è decisamentemeno schiacciato rispetto ai tipi successivi (Fig. 2,2-3); da corpi globulari lievemente schiacciatiattestati nella sottofase antica, nel III B2 si passa a

corpi marcatamente “a bulbo”, con profilolievemente concavo nella parte inferiore (Fig. 2, 4-11); nel III B1 le anse crestate sono ancora rare e,se compaiono, presentano gli apici poco marcati esviluppati (Fig. 2, 1-2).

Le più antiche attestazioni di anforette condecorazione spiraliforme o equivalente sul corposono riferibili all’orizzonte avanzato del III B laziale(Fig. 3, 1-2). Giova soffermarci ancora una voltasulla stretta somiglianza tra l’anforetta attestata nella

Fig. 1: tazze profonde caratteristiche della fase laziale III A (1-5), delle sottofasi antica (6-11) e recente (12-25) della fase lazialeIII B, e della fase laziale IV A (26).

1: Osteria dell’Osa, t. 238 (BIETTI SESTIERI 1992, fig. 3b. 41.2). 2: Osteria dell’Osa, t. 276 (EAD. 1992, fig. 3b. 45.1). 3: Osteriadell’Osa, t. 262 (EAD. 1992, fig. 3b. 45.1). 4: Osteria dell’Osa, t. 244 (EAD. 1992, fig. 3b. 23.2). 5: Osteria dell’Osa, t. 246 (EAD. 1992,fig. 3b. 22.2). 6: Palatino-pendici settentrionali, deposito sotto la soglia del muro 1 (BROCATO 2000d, fig. 159. 3). 7: Esquilino, t. 102(MÜLLER-KARPE 1962, tav. 27 A. 7). 8-10: Osteria dell’Osa, t. 235 (BIETTI SESTIERI 1992, fig. 3b. 32. 2, 4, 6). 11: Osteria dell’Osa, t. 82(EAD. 1992, fig. 3c. 10.33). 12: domus regia 1, t. 1 (GUSBERTI c.s.). 13: domus regia 1, t. 2 (GUSBERTI c.s.). 14-15: Osteria dell’Osa, t.251 (BIETTI SESTIERI 1992, fig. 3b. 24. 10). 16-17: Osteria dell’Osa,t. 99 (EAD. 1992, fig. 3c. 5. 4, 3). 18: Esquilino, gruppo 103(MÜLLER-KARPE 1962, tav. 26.17). 19-20: Esquilino, t. 99 (ID. 1962, tav. 29. 2, 4). 21-23: Castel di Decima, t. 23 (BARTOLONI 1975,fig. 11. 6-8). 24: Foro Romano, t. M (MÜLLER-KARPE 1962, tav. 5. 27). 25: Pithecusa, t. 168 (BUCHNER, RIDGWAY 1993, p. 223, tav. 75).26: Osteria dell’Osa, t. 63 (BIETTI SESTIERI 1992, fig. 3c. 27. 3).

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Fig. 2: anforette a collo caratteristiche delle sottofasi antica (1-3) e recente (4-14) della fase laziale III B.

1: Arco di Augusto (GUSBERTI c.s.). 2: Osteria dell’Osa, t. 82 (BIETTI SESTIERI 1992, fig. 3c. 10.30). 3: Osteria dell’Osa, t. 235 (EAD.1992, fig. 3b. 32.5). 4: domus regia 1, fossa di distruzione (GUSBERTI c.s.). 5: Esquilino, t. 99 (MÜLLER- KARPE 1962, tav. 29. 8). 6:Osteria dell’Osa, t. 223 (BIETTI SESTIERI 1992, fig. 3c. 15.2). 7-8: Esquilino, t. 110 (GJERSTAD 1956, figg. 214. 5-6). 9-10: Esquilino,t.123 (ID. 1956, fig. 218. 3-4). 11: Castel di Decima, t. 23 (BARTOLONI 1975, fig. 11. 4).

Fig. 3: anforette con decorazione spiraliforme o equivalente sul corpo, caratteristiche della sottofase recente della fase laziale III B(1-3) e della fase laziale IV A (4-5).

1: Castel di Decima, t. 23 (BARTOLONI 1975, fig. 11. 3). 2: Torrino, t. C (BEDINI 1985, fig. 5. 19). 3: Pithecusa, t. 944 (BUCHNER,RIDGWAY 1983, fig. 1. 4). 4: Foro Romano, t. KK (CARAFA 1995, tipo 177). 5: Pithecusa, t. 159 (BUCHNER, RIDGWAY 1993, pp. 198-199,tav. 61. 3).

tomba 23 di Castel di Decima (BARTOLONI 1975, p.247, fig. 11.3) e l’esemplare importato attestato nellatomba 944 di Pithecusa (Fig. 2, 3), il cui corredo èascrivibile al TG I (BUCHNER, RIDGWAY 1983).

Come è stato ribadito ancora una volta in questoconvegno, il TG I pithecusano sarebbe inquadrabilegrossomodo nel terzo venticinquennio dell’VIII sec.a.C. Dovremmo allora immaginare che a questo arco

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di tempo possa corrispondere soltanto il momentorecente della fase laziale III B; ne conseguirebbeche l’orizzonte iniziale del III B laziale andrebbe

collocato in un arco di tempo antecedente la metàdell’VIII sec. a.C. Una lieve posteriorità del TG Ipithecusano rispetto al III B laziale è stata ipotizzatadalla Prof.ssa Bartoloni e dal dott. Nizzo in questoconvegno, anche se la non contemporaneità tra ledue fasi non viene poi esplicitata nella tabella.

Una seconda anforetta a spirali, anch’essaimportata, è attestata a Pithecusa nella tomba 159,del TG II (Fig. 3, 5; cfr. BUCHNER, RIDGWAY 1993,pp. 198-199, tav. 61.3); l’esemplare è in tutto similea tipi della fase laziale IV A, inquadrabili entro laprima metà del VII sec. a.C. (Fig. 3, 4; cfr. CARAFA

1995, tipi 177-178).Altre fogge esclusive della fase recente del III

B laziale sono le coppe con orlo sviluppato esvasato, spalla pronunciata e profilo della vascatendenzialmente angolare, fornite di una (Fig. 4, 1-2; cfr. BETTELLI 1997, tipo 2, Variante A a, pp. 74-75, tav. 36.1) o due anse orizzontali (Fig. 4, 3-4;cfr. BETTELLI 1997, tipo 2, Varietà A, pp. 74-75,tav. 35.9).

Per quanto riguarda gli oggetti in bronzo, èpossibile notare che gli anelli da sospensione dimedie e grandi dimensioni, con motivo inciso a zig-zag, attestati in contesti dell’orizzonte recente delIII B laziale, presentano la sezione a losangadecisamente più schiacciata e asimmetrica (Fig. 5,3-4), rispetto ai tipi dell’orizzonte antico (Fig. 5, 1-2), per arrivare agli esemplari con sezione piattaattestati nell’orizzonte finale della fase, al limitecon il IV A laziale (Fig. 5, 5).

Prima di concludere, è opportuno soffermarsibrevemente sul corredo del deposito rinvenuto sottola soglia delle prime mura palatine. Ritengo infattiche sia plausibile rialzare lievemente la datazioneproposta nelle edizioni dello scavo (BROCATO,CARAFA 1992, pp. 129-130; BROCATO 2000d, pp. 195-196), poiché il deposito, insieme agli strati dicostruzione del muro 1, appare un contestocaratteristico dell’orizzonte non evoluto della faselaziale III B (GUSBERTI c.s.). Abbiamo visto come iltipo di tazza attestato nel deposito sia esclusivo diquesto momento, con forti legami morfologici contipi del III A laziale (Fig. 1, 6). La coppa in argilladepurata dipinta (BROCATO 2000d, fig. 159. 1), puressendo accostabile ai noti esemplari della tombadel Guerriero di Tarquinia (HENCKEN 1968, figg.

1: Ardea-Colle della Noce, t. 2 (Ardea 1983, fig. 56). 2: Osteriadell’Osa, t. 175 (BIETTI SESTIERI 1992, fig. 3c. 57.4). 3:Esquilino, t. 99 (MÜLLER-KARPE 1962, tav. 29. 5). 4: Ardea-Campo del Fico, t. 3 (Ardea 1983, fig. 170).

Fig. 4: coppe monoansate (1-2) e biansate (3-4)caratteristiche della sottofase recente della fase laziale III B.

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191. b-d; BROCATO, CARAFA 1992, p. 129 e nota a p.194) o a fogge più evolute - con orlo distinto - comel’esemplare della tomba M del Foro Romano(MÜLLER- KARPE 1962, tav. 5. 24; BROCATO, CARAFA

1992, p. 129 e nota a p. 194), trova confronto anchein un contesto ben più antico, riferibile al I Fe 1 B 2(Cerveteri, necropoli del Sorbo, tomba a fossa 8;POHL 1972, fig. 88. 1). Infine, è vero che le due fibulead arco rivestito, con profilo a ‘losanga’ con latifortemente concavi (BROCATO 2000d, fig. 159, 4-5),trovano confronti in contesti riferibili all’orizzontematuro del I Fe 2 (ad esempio nella tomba Yá dellanecropoli dei Quattro Fontanili a Veio; WARD

PERKINS ET ALII 1970, p. 261, fig. 48. 42; BROCATO,CARAFA 1992, p. 129 e nota a p. 194); tuttavia, vaosservato che queste attestazioni non sononumerose, e che fibule in bronzo fuso con arco dellamedesima foggia sono presenti nel ripostiglio diArdea (PERONI 1966, pp. 182-183, fig. 1. 10), in unorizzonte a cavallo tra le fasi laziali III A e III B.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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1: Esquilino, tomba 86 (MÜLLER-KARPE 1962, tav. 5. 15). 2:Osteria dell’Osa, tomba 235 (BIETTI SESTIERI 1992, fig. 3b. 32.11a). 3: Osteria dell’Osa, t. 99 (EAD. 1992, fig. 3c. 5.12). 4: Osteriadell’Osa, t. 171 (EAD. 1992, fig. 3c. 3.10). 5: Foro Romano,tomba M (MÜLLER-KARPE 1962, tav. 5.15).

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Mar co Rendeli: Mi volevo complimentare conValentino Nizzo perché ha fornito un quadro moltoaccurato della situazione di Pithecusa. Pithecusa,di fatto, sembra assurgere a un ruolo per così dire“internazionale”, dove confluiscono uomini eprodotti di differenti provenienze: che il distrettopitecusano e cumano fosse un “obiettivo sensibile”è noto, soprattutto per la seconda, già da fasiprecedenti e quindi non può stupire il ruolo che lazona ha in un momento così importante della storiadi questa parte dell’età del Ferro. Ma, a mio avviso,il quadro risulterebbe incompleto e impoverito se,oltre a tutte le connessioni che si possono allacciarecon il mondo indigeno e non dell’Italia centro-meridionale, non si riuscisse a trovare un momentodi confronto con le scoperte e le analisi che si stannoproducendo su altri siti del Mediterraneo centrale:in particolare si fa riferimento alla Sardegna, dallapiù antica presenza di Sant’Imbenia, alle semprepiù frequenti attestazioni delle colonie fenicie, inprimis Sulcis e Nora, ai nuovi scavi della Spagnameridionale, a quelli tedeschi e olandesi diCartagine, alla Sicilia in particolare Mozia. Misembra che questa sia una storia che è ben lontanadall’essere stata scritta: un aspetto, fra i tanti, chevorrei portare alla vostra attenzione è quello delladislocazione topografica e della scelta del sito chesegue un’impostazione che noi ritroviamo sia nelleprime colonie euboiche, sia nelle colonie feniciesia in Sardegna, ma poi anche nella stessa Cartagine,con la differenza che lo sviluppo delle prime saràin una fase di poco successiva rivolto al controllodelle terre e dell’interno, oltre che del mare, leseconde saranno ancorate per una buona parte dellaloro storia solamente al mare.

L’invito quindi che rivolgo a Valentino Nizzo èad allargare gli orizzonti, perché un ampliamentopotrebbe darci un senso dei rapporti e delle vie ditraffico che in questa prima fase mi paiono moltovicine, per non dire uniche. Esse possono ancheaiutare a comprendere, in maniera piùsoddisfacente, le presenze della bassa valle delTevere, dove Massimo Botto ha enucleato tutta unaserie di forme e attestazioni che sono vicino-orientali o che si possono riferire a colonie levantined’Occidente.

Questo è sostanzialmente un augurio e un invito

alla creazione di una sinergia tra tutti coloro chestanno studiando questi argomenti, per creare unquadro che a tutt’oggi è ancora pieno di ombre, unadelle quali, quella che a me sta più a cuore è quelladi Sulcis, dove c’è evidenza a mio avviso sufficienteper ricostruire le prime fasi della colonizzazionenel senso di una condivisione di saperi e di sinergiefra mondo greco (euboico in primis, e poi corinzio)e mondo levantino, fenicio in particolare.

M. Letizia Lazzarini : Volevo innanzituttocongratularmi con Gilda Bartoloni e ValentinoNizzo per la bella relazione, di cui hoparticolarmente apprezzato l’accurata analisi dellegiaciture e dei contesti, i confronti trasversalioperati tra Campania, Lazio ed Etruria e soprattuttola capillare revisione stratigrafica della necropolidi Pithekusa. Quest’ultima, infatti, vede al centro,come uno dei punti focali, proprio la famosa tomba168 contenente la “coppa di Nestore”, con la suaiscrizione così importante per la prima storia dellascrittura greca in generale e per la sua trasmissionee diffusione in Occidente in particolare.

Desidererei inoltre fermare un att imol’attenzione su un’altra iscrizione greca, quellaincisa su un’olla trovata nella tomba 482 diOsteria dell ’Osa. Purtroppo si tratta diun’iscrizione minimale, graffita in maniera nontroppo precisa, ma molto importante anche se ilsuo contenuto rimane difficile da definire. Diessa, infatti, sono state date le letture più disparatee sono state tratte da queste poche lettere (quattroo cinque) conclusioni veramente eccessive, comequelle di coloro che, in base ad esse, hannoimmaginato che proprio a Gabii potesse essereavvenuta la paideia di Romolo e Remo, in quantoGabii sarebbe stato un centro di grecità già in etàantichissima.

In merito a questa breve iscrizione devoconfessare che la prima volta che ne ho avutocognizione sono rimasta piuttosto turbata per il fattoche il vaso su cui essa è incisa risultasse databile,in relazione alla stratigrafia dello scavo stesso,intorno al 775, nel periodo laziale II B e che, diconseguenza, alla stessa iscrizione dovesse essereattribuita una cronologia molto alta. L’imbarazzo ècostituito infatti da come poter giustificare la

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presenza nel Lazio, in età così antica, diun’iscrizione contenente segni sicuramentealfabetici, in quanto, anche se la parte centraledell’iscrizione non è decifrabile con assolutacertezza, nelle lettere iniziale e finale sonocertamente riconoscibili rispettivamente una E eduna N. L’unica possibilità di accettare la presenzadi un’iscrizione in scrittura alfabetica in età cosìantica potrebbe essere quella di considerarla fenicia,ma ciò è automaticamente escluso dal fatto chel’iscrizione è progressiva, mentre i Fenici hannosempre scritto in direzione retrograda. Le alternativerimanenti sarebbero quelle di considerarla o grecao latina. Ambedue le ipotesi purtroppo incontranoperò delle serie difficoltà. Quella dell’iscrizionelatina mi sembra da escludere a priori, poiché leprime iscrizioni latine che noi conosciamo sono digran lunga più tarde, più precisamente di ben più diun secolo. Se volessimo invece considerarlaun’iscrizione greca - come si potrebbe ipotizzarese la seconda lettera fosse effettivamente un Y (intal caso si potrebbe riconoscere all’inizio dellaparola il prefisso avverbiale ευ-, che in greco èoperante in molti termini) - ci imbatteremmo anchequi nella difficoltà dell’iscrizione progressiva,perché anche le più antiche iscrizioni greche sonoretrograde, e le prime iscrizioni progressive, piccolee sporadiche, cominciano ad apparire, in casi moltorari, solo alla fine dell’VIII secolo a. C.

Allo stato attuale delle nostre conoscenzerelative alla diffusione e all’evoluzione dellascrittura in Occidente il quadro storico ricavabileda questa iscrizione, cioè la presenza di una personaletterata nel Lazio - e non in un centro urbano -avrebbe dunque una sua giustificazione solo se sipotesse trovare un sistema per abbassare ladatazione di questo vaso di almeno un secolo. Mirendo conto tuttavia che ci sono dei seri problemidi base.

Ricordo, infine, che la più antica iscrizionesicuramente greca finora nota per il Lazio, risalesoltanto alla seconda metà del VII secolo a.C. e futrovata nell’Ottocento nella necropolidell’Esquilino, e quindi in un contesto urbano. Essaè costituita da un graffito vascolare con un nomeproprio al genitivo. Benché anche di questaiscrizione la lingua e l’interpretazione siano state a

lungo contestate, la sua grecità è statadefinitivamente rivendicata ed anche alla luce dellapiù recente lettura proposta per il testo (quella diM. GUARDUCCI, in La parola del passato, 38,1983,pp. 354-358) appare coerente alla natura delsupporto (un vaso protocorinzio) e si puògiustificare storicamente in maniera più adeguata.

Giovanni Colonna: Vorrei innanzituttoesprimere la mia adesione a tutta la linea di pensierosottesa alla relazione Bartoloni-Nizzo, adesione chetrova ulteriore motivo di conforto nel constatareche anche i colleghi specialisti di protostoria hannomostrato di accettare, pressoché unanimi, mi pare,la datazione dell’inizio della fase orientalizzantein Etruria e in Italia intorno al 730-720, purprospettando la possibilità di una lieveanticipazione. Questo, non esito a dire, è un puntofermo che esce dal convegno, un risultato nienteaffatto scontato, di cui si deve essere grati a chi ilconvegno ha organizzato.

Detto questo rimane in piedi il problema delladurata della III fase laziale. Anch’io sonodell’avviso di Bartoloni e Nizzo che l’arcocronologico attribuito alla III fase dai sostenitoridella necessità di rialzare la cronologia delpassaggio dal primo al secondo periodo del Ferrosia troppo lungo. La durata di oltre un secolo suscitaperplessità perché si tratta di una fase di grandedinamismo culturale, determinante per la storiadella penisola, ma anche notevolmente omogenea.Quanto ci ha ora mostrato la dott.ssa Gusberti mettebene in evidenza, mi pare, come siano minime levariazioni tipologiche che intervengono tra unasottofase e l’altra e come non intacchino il caratteresostanzialmente unitario della cultura materiale deltempo, i cui tratti distintivi affiorano e sistabilizzano fin dall’inizio.

In proposito vorrei menzionare quello che èstato detto di Pithecusa in un saggio pubblicato nelprimo numero, uscito da poco (2003), della nuovarivista “Incidenza dell’Antico”. In esso uno storicoponderato e consapevole come Alfonso Mele nonesita a prendere posizione a favore del carattere dicittà dello stanziamento euboico, di polispienamente strutturata sin dall’origine, ossia dal770 circa, in contrasto con la tesi di chi pensa a

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una sua connotazione eminentemente emporica.L’aspetto emporico, indubbiamente esistente,viene da Mele riassorbito in pieno tra quelliintrinseci a una polis quale poteva essere concepitae realizzata nell’VIII secolo. Il che ha ovviamenteuna forte ricaduta sul problema degli insediamenti‘protourbani’ dell’Italia centrale, che sono un fattomolto più antico, risalente all’inizio dell’orizzontevillanoviano, ma che ora, nell’età da me a suo tempochiamata ‘romulea’ (in Civiltà del Lazio primitivo,Roma 1976, p. 30), conosce una fortissimaaccelerazione, come hanno mostrato per Roma lericerche di Andrea Carandini. La presa di posizione,espressa con grande convinzione da Mele, previoun riesame di tutti gli argomenti introdotti nelladiscussione sia sul piano storico che su quelloarcheologico, invita a riconsiderare con la massimaattenzione quello che è stato l’VIII secolo nel Lazio.

In questa sede, prendendo lo spunto dalprecedente intervento di M. Letizia Lazzarini, misoffermo su uno dei maggiori fattori d’innovazioneche incontriamo in quel secolo nell’Italia centrale,ossia l’introduzione della scrittura. La questione èstata toccata nella relazione Bartoloni-Nizzo solomarginalmente, nella nota 21, a proposito dellatomba 482 di Osteria dell’Osa e del suo ormaicelebre vaso iscritto. Io avrei ricordato, come giàfeci in Scienze dell’antichità, 3-4, 1989-1990, p.112 s., anche il ripostiglio di bronzi di Ardeastudiato da Renato Peroni ed unanimementecollocato nella piena III fase, in cui, ancheammettendo che il segno a tridente non valga chima il numerale 502, compaiono varie forme di sigma(e anche di iota sinuoso?), oltre a un possibileomicron a losanga (Fig. 1)3. Le lettere isolate nonsono iscrizioni, ovviamente, ma presuppongono,come più tardi a Bologna nel ripostiglio di SanFrancesco4, una conoscenza pur embrionale

dell’alfabeto e la capacità di avvalersene, anche sesolo a fini identificativi e di conteggio. Masoprattutto c’è l’iscrizione di Osteria dell’Osa, aproposito della quale devo dire che mi ha un pocosorpreso, nella relazione Bartoloni-Nizzo, il ricorsoaddirittura alla testimonianza di chi ha scavatopersonalmente la tomba per accreditare lapertinenza ad essa del vaso, e quindi la suadatazione alla fine del II periodo, invece che nelpieno IV: il che ha dato a M. Letizia lo spunto perl’intervento decisamente scettico e riduttivo cheabbiamo ascoltato. Ora è vero che il vaso ètipologicamente un unicum, ma è anche vero chela foggia sua e soprattutto di altri vasi del contestodi appartenenza rinvia all’area ausonia ed enotriadell’Italia meridionale e trova pertanto unacollocazione di gran lunga più soddisfacenteall’inizio dell’VIII, quando i contatti con quelle areesono altrimenti attestati, tanto nel Lazio quantonell’Etruria meridionale5, che non nel VII secolo,quando al contrario è difficile trovarne traccia. Népuò meravigliare la presenza in età così antica diparlanti greco nel Lazio tiberino - al quale si puòsenza forzature annettere Gabii -, solo che sirammenti il frammento di sostegno di stilegeometrico dal Foro Romano, di poco più recente,ascrivibile con certezza a un vasaio euboico attivoa Veio o nella stessa Roma6.

Circa l’età della prima accettazione dellascrittura nell’area tiberina disponiamo ora di undocumento indiretto e seriore, ma non per questomeno degno di attenzione, già da me segnalato nelconvegno dello scorso maggio a Tarquiniasull’emergere delle aristocrazie (e ora edito in StudiEtruschi, LXIX, 2003, pp. 379-382). Si tratta diun’anforetta a spirali da Veio del secondo quartodel VII secolo, recante graffite sul collo le letterealpha, beta, gamma e delta, interpretabili

2 L. AGOSTINIANI, in Annali Istituto Orientale Napoli,Linguistica, 17, 1995, p. 54 ss.

3 G.L. CARANCINI , Le asce nell’Italia continentale II(Prähistorische Bronzefunde IX, 12), München 1984, nn. 2302,2349, 2371, tavv. 25, 29, 31 (sigma coricato trilineare equadrilineare, sigma eretto, o eventualmente iota, plurilineare,come appare anche nel ripostiglio di S. Francesco di cui allanota seguente); n. 2395, tav. 33 (segno a losanga); n. 2494, tav.38 (segno a tridente).

4 G. SASSATELLI, in Emilia preromana, 9-10, 1981-1982(1984), pp. 147-255.

5 G. COLONNA, in Aspetti e problemi dell’Etruria interna,Firenze 1974, pp. 297-299; F. DELPINO, in Studi G. Maetzke, II,Roma 1984, pp. 257-271. Da ultimo per parte mia in Storia diRoma, I, Torino, Einaudi, 1988, p. 297, con bibl.

6 Ibid., p. 298 s.; J.GY. SZILÀGYI , in Atti del II congressointernazionale etrusco, II, Firenze 1989, p. 616 s.

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Fig. 1: asce con segni grafici dal ripostiglio di Ardea.

Fig. 2: anforetta a spirali da Veio con le quattro lettere iniziali di un alfabetario in successione sinistrorsa e con ductus retrogrado.

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ovviamente come un inizio di alfabetario, scrittein successione sinistrorsa con l’ultima posta sottola riga a mo’ di complemento, e curiosamente tuttecon ductus retrogrado (Fig. 2)7. Mentre le altrelettere mostrano l’attesa forma euboica, beneattestata nell’Etruria dell’epoca dall’alfabetario diMarsiliana d’Albegna, l’alpha ha la forma ‘adagiata’propria della scrittura fenicia, finora attestatanell’epigrafia greca solo dall’iscrizionedell’oinochoe del Dipylon8, restando invecesconosciuta a Lefkandi, Eretria, Al Mina ePithecusa9. Il che riporta a un modello antichissimodi alfabeto euboico, che potremmo definire pre-pitecusano, databile al più tardi nella prima metàdell’VIII secolo. A conferma della sua esistenza sipuò addurre il cinerario della tomba 21 Benacci-Caprara della Bologna villanoviana, risalenteeffettivamente a quell’età, che reca sul collo, graffitacol vaso tenuto in posizione orizzontale, la sequenzasinistrorsa di un alpha adagiato e retrogrado come aVeio, seguito da quello che sembra essere un lambda,forse anch’esso retrogrado (Fig. 3)10.

Tutto sommato direi che ce n’è abbastanza perpensare che l’acquisizione della scrittura nell’Italiacentrale sia stato non un evento puntuale, comefinora abbiamo creduto, ma un processo ‘lungo’,svoltosi almeno in due tempi, e con conseguenzeassai diverse. Un primo, timido passo verso lascrittura sembra essere stato compiuto nella bassavalle del Tevere, probabilmente a Veio, all’epocadelle frequentazioni euboiche ‘pre-coloniali’, conuna fievole ripercussione a Bologna. Il secondopasso, decisivo perché non ha conosciutoripensamenti, a differenza del primo, ha avuto

luogo in una delle grandi città dell’Etruriameridionale costiera, forse Tarquinia, nella fase ditransizione o agli inizi dell’Orientalizzante,trovando anch’esso un’eco, e ben più incisiva dellaprecedente, a Bologna, come insegna in primoluogo il ripostiglio di S. Francesco, che ha restituitouna delle più antiche iscrizioni etrusche finoraconosciute11.

[Aggiungo in sede di revisione del testo (marzo2005), col cortese consenso degli organizzatori,alcune considerazioni di merito sull’iscrizione diOsteria dell’Osa (Fig. 4). La constatazione chel’alfabetario di Veio e forse anche l’iscrizioncellaBenacci-Caprara procedono in direzione sinistrorsa,ma con lettere costantemente retrograde, induce asospettare che lo stesso si verifichi all’Osteriadell’Osa, fermo restando il riconoscimento dellesingole lettere operato da Adriano La Regina e datutti accettato (a eccezione del Peruzzi, che leggecontro ogni evidenza euoin). Se questo è vero,l’iscrizione sarà da leggere non eulin ma nilue,con lambda retrogrado (rispetto al prototipofenicio). E la lingua sarà da considerare non grecama latina. S’impone infatti, se quella è la lettura, ladivisione ni lue e l’interpretazione del testo comeuna prescrizione negativa, corrispondente in latinoclassico a *ne luas. Non fanno difficoltà inproposito né l’imperativo presente né la varianteni (< *ne-i) della particella ne, peculiarità cheritornano entrambe nella lingua di Plauto12 e,associate tra loro come in questo caso, nella nuovaiscrizione latina arcaica del santuario delGarigliano13, mentre nel latino di Roma già nella

qui al caso da intendere come dono funerario, rivolto alla defunta.11 L’antroponimo Aie (G. COLONNA, in Studi e documenti di

archeologia, II, 1986, pp. 57-66, tavv. 21-23).12 Per es. ne time (Amph. 674), ne fle (Capt. 139), ni quid

tibi in hanc spem referas (Ep. 339), quid ego ni fleam ? (Mil.1311), ecc.

13 Nella clausola finale nei pari med, isolata da M. MANCINI,Osservazioni sulla nuova epigrafe del Garigliano, Roma 1997,pp. 21-25, seguito da B. VINE, in Zeitschrift für Papyrologieund Epigraphik, 121, 1998, p. 258, e da D.F. MARAS in uncontributo in corso di stampa in Archeologia Classica. Ricordoche la forma ni ricorre già nella coeva o di poco più anticaiscrizione ernica di Anagni (S. GATTI, G. COLONNA, in StudiEtruschi, LVIII, 1993, pp. 321-325).

7 Per l’alpha ciò vale nei confronti del ductus attribuitoalla lettera nell’iscrizione del Dipylon (v. la nota seguente).

8 Dove compare sei volte e sempre con l’angolo a destra,all’opposto delle iscrizioni fenicie (e della testimonianza veiente).Sull’iscrizione: M.L. LAZZARINI , in Scritture mediterranee tra ilIX e il VII secolo a.C., a cura di G. BAGNASCO GIANNI e F. CORDANO,Milano 1999, p. 64, fig. 7; T. ALFIERI TONINI, ibid., p. 117 s.

9 Vedi A. BARTONEK, in Die Sprache, 37, 2, 1995, pp. 129-237.10 Rispetto al prototipo fenicio. Cfr. G. BAGNASCO GIANNI , in

Scritture mediterranee, cit., p. 87, fig. 1 (riprodotta qui a Fig. 3).La lettura che propongo è pertanto al, lemma etrusco significante“dono”, di cui esiste ormai una ricca documentazione (rinvio aL’archeologia dell’Adriatico dalla Preistoria al Medioevo, Attidel convegno di Ravenna 2001, Bologna 2003, p. 166, nota 31),

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Fig. 3: iscrizione con alpha adagiato dalla tomba Benacci-Caprara 21 di Bologna.

Fig. 4: vaso iscritto dalla tomba 482 della necropoli di Osteria dell’Osa.

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prima metà del VI secolo14, e poi nelle XII Tavole,incontriamo ne con l’imperativo futuro.

Quanto al verbo luìre, usato assolutamente, nonpar dubbio che esso compaia qui nell’accezione piùantica che gli si può attribuire, quella di “sciogliereda un legame materiale”15, con riferimento alle fibrevegetali con le quali il piccolo vaso, sprovvisto diuna base d’appoggio (a differenza degli altriesemplari classificati dagli scopritori nel tipo del“vaso a fiasco”)16, doveva di norma essere sospesonel luogo in cui era conservato, come più tardi losaranno gli aryballoi dei palestriti. “Sciogliere”equivaleva in tal caso a “prendere (in mano)”, ilche, in senso pregnante, poteva equivalere a“rubare”, sicché non è affatto escluso che si abbiaqui, molto prima delle clausole finali dell’iscrizionedi Duenos e di quella del Garigliano, unantichissimo esempio del ‘divieto diappropriazione’, attestato nell’epigrafia vascolaregreca in forma indiretta fin dalla prima metà delVII secolo (lekythos cumana di Tataie), e in quellaetrusca in forma diretta dalla seconda metà dellostesso secolo17. Altrimenti si può pensare alsignificato di “scomporre”, “dissolvere”,“distruggere”, implicito nel termine lue(m) delcarme dei Fratres Arvales e forse sottostante ancheal teonimo Lua dell’antico pantheon romano18.Avremmo allora un invito a preservare l’integritàdel vaso e quindi del suo contenuto, ritenutoparticolarmente prezioso.]

Mar co Pacciarelli: Intervengo sulla relazioneBartoloni-Nizzo, e incidentalmente su quellad’Agostino. Vorrei anche fare un accennoall’iscrizione di Osteria dell’Osa.

Naturalmente ho molto apprezzato il matrix diPitecusa, strumento fondamentale di lettura deiprocessi demografici e sociali di questo centro.Penso che darà molti altri risultati e sarà la base per

ulteriori letture sugli sviluppi di Pitecusa, e sonoanche d’accordo sul fatto che possa costituire unasorta di strumento orientativo sulla durata e suiprocessi demografici di questo centro, ma da qui afarne uno strumento di puntuale datazione in terminidi cronologia assoluta, ci andrei un po’ più cauto.Ritengo lecito ottenere una durata orientativa intermini di generazioni, però sappiamo che dedurreuna cronologia precisa in base al ritmo con cui sidepongono le tombe è un procedimento un pochinorischioso. Ian Morris ha ben evidenziato come visiano dei precisi fattori culturali che presiedono alladeposizione delle tombe, peraltro non sempre facilida decifrare. In Attica infatti abbiamo delle fasi incui c’è una deposizione molto selettiva dei defuntilegata a motivi di carattere sociale, per cui siseppelliscono solo certi ceti, e delle fasi invece incui c’è minore selezione, e quindi da tutto ciòdedurre una durata esatta in termini di generazioninon è facile. Fra l’altro, se adottiamo la lettura diun fenomeno culturale e demografico come baseper fissare la cronologia assoluta, vi è il rischio dicadere in un ragionamento circolare, nel senso cheovviamente la cronologia così dedotta confermeràla lettura culturale e demografica che abbiamo dato,per cui rimane comunque l’esigenza di ancorarequest’ultimo tipo di lettura a delle date assoluteindipendenti.

A questo proposito, quando si ragiona intornoalle date della fine del primo Ferro, anche unospostamento di 10 o 20 anni può avere conseguenzesensibili. Vorrei quindi chiedere un chiarimentocirca la data di inizio del Tardo Geometrico II, cheè stata posta da Bartoloni e Nizzo al 720, e dad’Agostino al 730, si tratta di dieci anni di differenzache possono avere un significato. L’altro quesito èquesto: poiché Tucidide parla di 733-34 per lafondazione di Siracusa, dove abbiamo sostan-zialmente solo il Tardo Geometrico II, perché non

14 Clausola ne med malos tatod del vaso di Duenos: H.RIX, Kleine Schriften, Bremen 2001, p. 158 ss.

15 Thes. linguae Latinae VII, 2, col.1844 sg., I C 1.16 Dai quali differisce anche per il breve colletto verticale

(cfr. D. RIDGWAY, in Opuscula Romana, XX, 1996, p. 89, fig.2), funzionale all’inserimento di un tappo, e per il foro perviopraticato nella parte alta della parete, che consentiva di versare

il contenuto del vaso senza togliere il tappo.17 L. AGOSTINIANI, in Archivio glottologico italiano, LXIX,

1984, p. 84 ss., e specialmente p. 107 ss.18 G. DUMÉZIL, Déesses latines et mythes védiques, Bruxelles

1956, pp. 103-107. Diversa interpretazione in G. RADKE, DieGötter Altitaliens, Münster 1965, p. 186 s., seguita da A.BENDLIN, in Der Neue Pauly, VII, 1999, p. 451, s.v.

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considerare questa data come un terminus ante quemper l’inizio di questa fase? Ciò potrebbe portare aspostarne l’inizio almeno al 735 a.C.

Riguardo all’iscrizione di Osteria dell’Osa,Letizia Lazzarini ha solo posto un problema dalpunto di vista epigrafico. Problema che esiste datempo perché in termini di cronologia assolutaquella tomba dovrebbe appartenere a rigore non al775, ma al IX secolo a.C. Si tratta infatti di unasepoltura attribuita da Anna Maria Bietti Sestierialla fase II B2, a mio parere agevolmenteparallelizzabile alla fine della fase I dell’Etruria(Veio IC). Tale tomba dovrebbe dunque collocarsialla fine del IX in termini di cronologia tradizionale,o addirittura prima della metà dello stesso secolosecondo le cronologie alte. A questo punto mi chiedose sia dovuto solo a una singolare coincidenza ilfatto che la tomba 482 è tagliata da una tomba delVII secolo a.C. - la 485 - considerando oltretuttoche il taglio di quest’ultima corre molto vicino alvaso in questione.

Alessandro Vanzetti: In pratica MarcoPacciarelli ha fatto quasi completamentel’intervento che volevo fare io ed anche di più.Anch’io ho ovviamente apprezzato la formulazionedi un diagramma di tipo Harris per le tombe diPithekoussai, ma anch’io devo osservare che nonsono per niente d’accordo con l’altro strumentoestrinseco che viene introdotto nel ragionamento,ovvero quello del calcolo delle generazioni presunteper proporre la durata di un intervallo di tempo o diuna fase. Volevo però porre un problemametodologico più generale: anche in articolirecentemente usciti si propone questo strumento perla valutazione del ritmo di trasformazione dellaceramica; più in generale, nell’ambito classico edetruscologico questo strumento estrinseco ritornacon eccessiva frequenza, secondo me [FilippoDelpino ha in seguito criticato questo mio intervento(cfr. p. 657 s.), per il fatto che non avevoesplicitamente detto che l’articolo citato conmaggiore dettaglio era suo, edito in Quaderni diArcheologia Etrusco-Italica, 29, 2003, e da luitrasmesso a tutti i partecipanti all’Incontro di Studio;peraltro, la mia mancata citazione era un fattocasuale, e dipendeva largamente dal fatto che non è

l’unico ad adottare una tale prospettiva, e intendevosottolineare questo fatto. Mi dispiace che ciò siastato considerato una voluta omissione]. Ilpregiudizio del ritmo di cambiamento da legare aduna o più generazioni è un pregiudizio estrema-mente avventato, basato ovviamente su unariconsiderazione all’indietro di quanto è stato fattoper la ceramica classica, e però non è detto che siapplichi a questi periodi più antichi. Ricordo moltosemplicemente un paio di elementi, così permemoria, ovvero che, per esempio, gli archeologiprotostorici, poiché supponevano che i ritmi ditrasformazione fossero accelerati - oltre al fatto chetrovavano dei sincronismi rivelatisi poi erratiquanto a cronologia assoluta -, ritenevano chel’antica età del bronzo durasse due secoli, invecene dura cinque. Oppure ancora, se sono vere ledatazioni assolute delle tombe del Paleoliticosuperiore - e capisco che non c’entra assolutamentenulla, è tutto un altro contesto - della Grotta del Romitodi Papasidero in Calabria, a distanza di 800 anni questepersone erano in grado di mettere una tombaperfettamente parallela ad una deposta 800 anni prima.Quindi non c’è nessun motivo di ritenere che fra duetombe la memoria debba essere legata ad una o duegenerazioni, la memoria non è legata a tempicalcolabili in modi così schematici e aprioristici.

Inoltre se uno dice che tra due tombe, leggo daBartoloni-Nizzo, sia trascorso un periodo di tempocompreso fra un minimo di una fino ad un massimodi due generazioni, ovvero tra i 25 ed i 50 annicirca - a parte il calcolo della durata di unagenerazione, che ovviamente ognuno propone inmodo diverso -, spazio di tempo che corrispondeapprossimativamente a quello comunementeattribuito all’intero TG II, faccio notare che passareda una a due generazioni (25-50), comporta unaumento del 200%; se uno aggiunge soltantoun’altra generazione siamo a 75, cioè a tre voltetanto: questi calcoli non si possono fare, sono utilicome ragionamento ed esercizio mentale, comeelemento da tenere presente, ma gli agganci devonoessere sempre esterni.

Anna Maria Bietti Sestieri: Voglio in primoluogo ringraziare Giovanni Colonna, che con la suaconsueta competenza e apertura mentale sa molto

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bene che quando i dati non si adattano alle nostreaspettative la cosa più saggia che possiamo fare ècercare di valutare obiettivamente il nuovo quadroche abbiamo di fronte; di questo quadro, nel casospecifico, fanno parte anche le date 14C calibrate diFidene, fornite dal laboratorio di Groningen, chespostano prima della fine del IX sec. l’inizio del IIIperiodo laziale. E’ utile ricordare che si tratta di dateottenute non solo su legno (dove potremmo averel’effetto old wood) ma anche su semi di cereali, conla tecnica della spettrometria di massa, con duedeviazioni standard, che vuol dire con il 95% diprobabilità che la data calendariale ricada all’internodell’oscillazione osservata; in sostanza, sono dateche dimostrano che il problema della cronologiaassoluta della I età del ferro italiana esiste, e che,anche se non siamo in grado di risolverlo qui eadesso, non possiamo ignorarlo limitandoci a fareriferimento alla cronologia storica.

Forse, fra le molte cose da fare, sarebbe ancheutile cominciare a considerare in modo un po’ piùcritico l’idea ancora molto radicata che si debba aogni costo trovare una corrispondenza cronologicafra le fasi archeologiche identificabili nelle variezone del territorio italiano. Non è la soluzione delproblema, ma certamente è uno degli aspetti sui qualiè necessario lavorare.

Per quanto riguarda la relazione Bartoloni-Nizzo, mi sembra che i confronti che sono statipresentati per parallelizzare Osteria dell’Osa IIB conVeio IC-IIA possono essere accettabili sul piano diuna generica affinità formale, ma non su quello dellatipologia.

Gilda Bartoloni: I confronti tra i tipi di Osteriadell’Osa e le altre necropoli del Lazio e dell’Etruriacitati nel nostro testo sono ripresi tutti dallapubblicazione di Osteria dell’Osa, quindi mi riferivoai dati indicati dalle autrici come base per i loroparallelismi e datazioni. Ritengo la tipologia unaelaborazione soggettiva e personale e quindi nonmi sarei mai permessa di confutare alcun dato senon rielaborando la tipologia completamente.

Anna Maria Bietti Sestieri: Nella classificazionedei materiali della necropoli abbiamo dato per ogniforma uno spettro relativamente ampio di riferimenti

a pezzi da altri complessi, che ovviamente non sonoda considerare come confronti tipologici specifici,e tanto meno come indicatori di cronologia relativa,se non a maglie molto larghe. Comunque, come hogià detto, l’aspetto più significativo dei confronti,che riguarda tutto il repertorio delle forme e deitipi presenti nella necropoli, è che nella fase IIBfinale (IIB2) si comincia a delineare un fenomenoche credo rifletta un cambiamento storico moltoimportante, cioè il rapido spostamento dellagravitazione culturale del Lazio dalle regionimeridionali tirreniche, Campania e Calabria,all’Etruria; la comparsa di questo fenomeno èevidentemente più antica degli inizi dellacolonizzazione, e indica una intensificazione deicollegamenti che dall’Etruria si dirigono verso laCampania, coinvolgendo direttamente il Lazio. Delresto, la presenza di nuclei villanoviani in Campaniafin dalla fase iniziale della I età del ferro indicacomunque collegamenti sistematici e un interessespecifico che dall’Etruria si rivolge alla Campania.Per quanto riguarda la sequenza laziale, inparticolare quella dell’Osa, il cambiamento nellatipologia dei manufatti indica in particolare unostretto collegamento con Veio, che comincia nellafase IIB2, ma si sviluppa soprattutto nella faselaziale IIIA, che corrisponde più o meno alla faseIIA a Veio e in Etruria. Sulla cronologia assoluta diquesta fase, come si è già visto, non si possono nonprendere in considerazione le date 14C di Fidene.Per inciso, mi fa piacere che in questo convegno siparli un po’ di Osteria dell’Osa, dopo che per unadecina d’anni è sembrato che la pubblicazione dellanecropoli non esistesse.

Sulla relazione sulle tazze laziali di III periodopresentata dalla dott.ssa Gusberti, con la quale sonosostanzialmente d’accordo, vorrei solo osservareche, dato che sono in gran parte coincidenti, sarebbestato utile mettere a confronto visivamente laclassificazione delle tazze di Osteria dell’Osa conquella da lei proposta, in modo da verificare glieventuali scostamenti.

Per quanto riguarda l’intervento di LetiziaLazzarini, non posso che essere d’accordo conquanto ha già detto Giovanni Colonna. Il vaso con

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iscrizione dalla tomba 482 di Osteria dell’Osarientra pienamente nella tipologia laziale così comeè documentata nella necropoli: si tratta di una formacon caratteristiche ben definite, che corrispondonoa quanto sembra a una funzione specifica19.Aggiungo qualche precisazione per quanto riguardail contesto archeologico del vaso. Sulla base delladocumentazione grafica e fotografica e del giornaledi scavo, scritto da me il 12 luglio 1984, giornodella scoperta della tomba 482, l’appartenenza delvaso e della relativa iscrizione alla fase IIB2, che èla datazione archeologica della tomba, appareincontrovertibile. Ho ripreso il testo originale inmodo che sia possibile valutare la situazione cosìcome si presentava al momento dello scavo; vaanche ricordato che la presenza dell’iscrizione nonè stata notata nel corso dello scavo della tomba 482,ma solo più tardi, quando i materiali sono staticonsegnati al restauratore Bruno Schifano, che hascoperto l’iscrizione durante le operazioni di puliziadel vaso. Le osservazioni fatte sullo scavo non sonostate quindi in nessun modo influenzatedall’eccezionalità del trovamento. Dal giornale discavo relativo alla tomba 482: “Riempimento: grossiblocchi di lava e cappellaccio dispostiuniformemente in tutta la fossa. A ca. 23 cm dallasommità della fossa, presso il lato lungo NNE enella metà ESE della fossa, affiora nell’ammassouniforme dei blocchi di riempimento la bocca di undolio con accanto, verso E, un vaso ovoide conbocca ristretta e ansa quadrangolare (NB: il vasocon iscrizione), posato sui blocchi di riempimentocon la bocca poco al disotto di quella del dolio. Unaltro vaso, forse globulare con almeno un’ansa amaniglia, è in frammenti fra la bocca del dolio e ilriempimento”.

I punti in discussione per quanto riguarda laposizione del vaso con iscrizione sono: 1) se essosia contemporaneo della tomba 482, con la quale èfisicamente associato, o sia un’aggiunta successiva;oppure 2) se l’iscrizione sia contemporanea del vasoo sia stata graffita su di esso in seguito a un disturbopiù recente. Queste possibili obiezioni sono basatesul fatto che alla fossa della tomba 482 erasovrapposto l’angolo della fossa della tomba 485,

di età orientalizzante.Va notato in primo luogo che la fossa 485,

scavata nei giorni precedenti, era estremamentesuperficiale, e aveva intaccato la copertura e ilmargine della fossa 482 solo per una profondità dialcuni centimetri. Dalla descrizione risultachiaramente che, al disotto di questo limitatodisturbo superficiale, lo strato più alto delriempimento della fossa della tomba 482 sipresentava come un ammasso intatto e uniforme diblocchi di tufo e lava, che copriva completamentela sommità della deposizione della tomba 482 (cheè stata individuata solo dopo l’asportazione diquesto strato) e non presentava alcuna traccia diinterferenze. Il vaso con l’iscrizione era statocollocato accanto al dolio, con la bocca poco al disotto di quella del dolio stesso, e quindi a notevoleprofondità all’interno del riempimento. Questecircostanze indicano chiaramente la relazioneoriginaria del vaso con la tomba 482, e confermanoche, come il dolio, esso non era stato raggiunto dalloscavo, molto più superficiale, della fossa 485. Delresto, è anche utile ricordare che, dal momento chela necropoli è stata in uso ininterrottamente dallafase IIA1 alla fase IVB (cioè dalla I età del ferroall’orientalizzante recente), la presenza nell’area ditombe più antiche doveva essere ben nota nelle fasitarde di deposizione, e non doveva essere oggettodi precauzioni particolari, tranne forse, come nelcaso della tomba 485, quella di non andare al disotto del livello superficiale del riempimento di unatomba più antica eventualmente presente nellostesso punto.

In conclusione, mi sembra che si possatranquillamente constatare che non c’è alcunaevidenza archeologica che possa essere usata persostenere una differenza di cronologia fral’iscrizione (o il vaso con l’iscrizione) e il complessodella tomba 482. La conseguenza diretta dellalettura dell’evidenza archeologica è la conferma cheuna scrittura alfabetica di tipo greco o fenicio eragià nota nel Lazio in corrispondenza con la faseIIB. La tomba 482 è una tomba del tutto eccezionale;quindi la presenza dell’iscrizione, che è anch’essaun elemento eccezionale, può essere probabilmente

19 Osteria dell’Osa 1992, p. 501 ss., vaso a fiasco 16.

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spiegata nel modo migliore proprio se la si consideracome parte di questo contesto. Si tratta di una tombaa incinerazione probabilmente femminile20, di donnaanziana, deposta quasi simultaneamente all’internodella fossa occupata da una inumazione maschileimportante, la tomba 483, fornita di un corredo divasi decorati e di un rasoio. Per fare postoall’incinerazione 482 il cadavere 483 è statospostato nella parte della fossa corrispondente allaposizione dei piedi; l’incinerazione 482 eraaccompagnata da alcune offerte: il vaso conl’iscrizione e un secondo vaso rotto inten-zionalmente. Si tratta dell’unico caso noto nellanecropoli di una doppia deposizione quasisimultanea nella stessa fossa, mentre la tomba 482è uno dei pochissimi casi di incinerazioneprobabilmente femminile.

Vorrei fare infine, se posso, una osservazionesull’uso della matrice come espediente grafico peresprimere sinteticamente la sequenza dellanecropoli di Ischia così come è stata ricostruita nellarelazione di Bartoloni e Nizzo. Non c’è dubbio chela matrice sia uno strumento adatto a esprimere inmodo efficace e sintetico le relazioni cronologichefra unità di deposizione; però non possiamodimenticare che questo strumento è stato inventatoper riassumere sequenze stratigrafiche reali, nellequali le unità che appaiono collegate sonocomunque fisicamente in contatto, anche nel casodi relazioni stratigrafiche indirette o apparenti. Lacosiddetta stratigrafia orizzontale non può essereespressa con una matrice, proprio perché non ci sonorelazioni fisiche e stratigrafiche fra tutte le unitàrappresentate. Quindi è necessario chiarire che inquesto caso la matrice è stata utilizzata in modonon del tutto legittimo; a rigore, il suo uso dovrebbeinfatti autorizzarci a ritenere che tutte le relazioniindicate facciano parte di una stratificazione nelsenso tecnico del termine.

Gilda Bartoloni : Nel lontano 1970 pubblicaiuna tazza o orciolo di argilla figulina, provenientedalla tomba Poggio dell’Impiccato 68 di Tarquinia,definendolo un vaso enotrio-geometrico. In seguito

Bruno d’Agostino, nel catalogo della mostra Civiltàdegli Etruschi (1985), scrisse che invece era difoggia adriatica, daunia. Yntema lo aveva riferitoal bacino del Crati. Mi rimane il dubbio se sia enotriao daunia e chiederei ad Ettore De Juliis unchiarimento in proposito.

Ettor e M. De Juliis: Lo farò sapere tra qualchegiorno. [Questa era stata la risposta, sicuramenteottimistica, da me data durante la sedutacongressuale. In realtà la tazza (o brocchetta)rinvenuta nella tomba 68 della necropoli tarquiniesedi Poggio dell’Impiccato è difficilmenteclassificabile, non trovando confronti convincentinelle produzioni geometriche della prima età delFerro. Infatti, per quanto riguarda la forma, se dauna parte il corpo biconico arrotondato e compresso,il piede a disco, il labbro inclinato appaionoabbastanza comuni, l’ansa a stelo, sormontata daun’appendice ad anello (?) e impostata sulla spalla,si presenta finora, a quanto mi risulta, come ununicum. Diversamente, per quanto riguarda ladecorazione, limitata alla metà superiore del vaso,i quattro motivi che la contraddistinguono (raggieraa cinque punte sul labbro; e, dall’alto in basso, seriedi scalini, doppia linea a zig-zag, triglifi e metope)sono attestati sia nella ceramica enotria che in quelladaunia, con una netta preminenza per le produzionienotrie. In conclusione, se si esclude l’ansa, tazzedella stessa forma della nostra e vasi con motividecorativi simili appaiono abbastanza diffusinell’area enotria meridionale, da S. Mariad’Anglona, all’Incoronata di Pisticci, da Garagusoad altri centri della valle del Bradano].

Bruno d’Agostino: Su De Juliis, vorrei riprendereil discorso su Otranto, ricordando la proposta cheavanzai nel ‘79, e che mi pare sia riaffiorata anchenella parte finale del suo intervento. Suggerii allorache forse Otranto andava considerata non come unepisodio dell’espansione greca verso l’Occidente, macome un fenomeno interno a un mare greco, in cuiOtranto fa da sponda alla Grecia occidentale, checomprende il golfo corinzio, la Tesprozia, l’Acarnania,le isole Ionie, l’Acaia nord-occidentale. E’ una

20 Osteria dell’Osa 1992, p. 686 ss., figg. 3a.269-70, 275-76.

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prospettiva ben presente nell’Odissea, come hadimostrato per esempio Malkin nel suo libro suiritorni di Odisseo. Citai allora (Salento Arcaico,Galatina 1979, p. 36 s.) i luoghi omerici in cui siparla di un hepeiron e di un’antiperaia, di una terrache sta di fronte. Su questa lettura i filologi nonsono del tutto d’accordo, e d’altra parte essa non èindispensabile a sostenere l’ipotesi da me avanzata.Quello che mi riesce molto più difficile è vedereOtranto in funzione di una redistribuzione verso ilSalento e la Puglia perché - come Ettore ricordava- essa è circoscritta a Otranto e ai suoi immediatidintorni; ha dunque una portata così ridotta da nongiustificare un fenomeno come quello che Otrantorappresenta. L’errore che commettiamo a voltesenza rendercene conto è quello di leggere la realtàantica secondo le nostre partizioni geografiche, chesono il risultato di un sistema ad essa estraneo.

Per quanto riguarda la domanda che mi è statafatta circa le cronologie (perché la data del 730 a.C.per l’inizio dell’Orientalizzante a Pontecagnano),il ragionamento è di una banalità impressionante eriguarda le coppe di Thapsos senza pannello. E’ notoche nella famosa tomba di Lamis di Megara le coppedi Thapsos con pannello e quelle senza pannelloconvivono, ed è verificabile che le prime, presentigià in un momento finale della I Età del Ferro, siesauriscono prima delle seconde, che invececaratterizzano il momento iniziale dell’Orientalizzante.Si suppone dunque che le coppe di Thapsos conpannello incomincino intorno al 740 e le altre versoil 730, e che queste ultime convivano per circa undecennio con quelle più antiche. E’ evidente comequesto discorso sia il frutto di una nostraperiodizzazione, agganciata al sistema cronologicotucidideo, che a sua volta rappresenta unaricostruzione della Archaiologia da un osservatoriomolto più vicino ai fatti di quanto non sia il nostro.

Questo vale anche per la fondazione di Siracusa.Io sono convinto che Tucidide sapeva bene quel chesi diceva, quando indicava il 734-3 come la datadel viaggio di Archias, della espulsione degliEuboici da Kerkyra e della fondazione di Siracusa,e credo che dalla relazione della collega AlbaneseProcelli verranno fuori spunti interessanti che forseci confermano che Tucidide non va preso sottogamba.

E’ chiaro che la data dell’aryballos globulare èuna data che rientra in un sistema cronologico:proprio per questo non ha senso prendere questoelemento isolato e spostarlo, dimenticando cheColdstream ha costruito un sistema che regge allepiù recenti verifiche, e che fa incominciare il TG IIin una certa data. Ovviamente il problema non èquello di non mancare di rispetto a Coldstream,bensì di non introdurre un elemento anomalo in unsistema. Se i conti non tornano, è preferibilesottoporre a una revisione generale il sistema, edancorarlo a nuovi punti di riferimento esterni chesembrino più validi. Dobbiamo rassegnarci all’ideache queste sono nostre proiezioni, e non sono “foglidel calendario”, come avrebbe detto Bertold Brecht.

Cristiano Iaia: Ho trovato molto interessantee convincente la relazione Gusberti, a differenzadella prima presentazione in occasione dellapresentazione degli scavi del Prof. Carandini dovec’erano cose che non avevo capito io sostan-zialmente.

Questa differenziazione fra le tazze con collettobasso tendenzialmente troncoconico e tazze invececon colletto più cilindrico e profilo rigido, trovauna conferma molto stringente nella sequenzastratigrafica che sto studiando insieme a Francescodi Gennaro da Fidene. Va ricordato che i complessistratigrafici di Fidene, al di fuori della capannascavata dalla Prof. Sestieri, sono molto ricchi. Inparticolare voglio ricordare un livello stratigraficoin cui compaiono diversi esemplari delle tazze deltipo attribuito a III B1, associati con alcuniframmenti che io definirei italo-geometrici,comunque di tipo greco o di imitazione locale sumodelli greci, che legherei al TG I. Tra l’altro duedi questi frammenti sono pubblicati negli atti delconvegno Preistoria e Protostoria in Etruria, IV,del 2000. Ci sono altri elementi tipologici in questostrato che rimandano ad un orizzonte Veio 2B-2C,quindi sembrerebbe confermata l’esistenza di questomomento antico del IIIB parallelizzabile con Veio2B-2C.

Valentino Nizzo: Ringrazio sinceramente tuttiper aver letto con attenzione, riflettuto e giudicatoun lavoro che non vuole presentarsi come uno

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schema precostruito, come un qualcosa da imporreagli altri. Esso si fonda su un “sistema” cheovviamente non ho creato io ma che è la sintesi“oggettiva” dei dati di scavo della necropolipithecusana pubblicati da Buchner e Ridgway edisponibili a tutti per una verifica o una critica. Il“principio” sul quale è improntata la mia ricerca èquello del “dubbio”; un principio fondamentale che,come ho imparato dalle relazioni di molti deipresenti, deve essere sempre alla base di unaindagine scientifica anche laddove esso debbaconfrontarsi con la “certezza”, talvoltaimbarazzante, dei sistemi di datazione naturalistica,come ha dimostrato in particolare il Prof. deMarinis.

Nell’avvicinarmi a questo lavoro, grazie ancheall’estrema libertà concessami dalla Prof. Bartolonialla quale rivolgo la mia riconoscenza, non sonopartito da un’idea prestabilita né tanto meno il mioproposito voleva essere quello di confermare osmentire una o l’altra teoria; in tal senso e con talespirito la ricostruzione del Coldstream harappresentato un punto di arrivo e non un punto dipartenza, cosa che, altrimenti, non avrebbe fattoaltro che costituire un “ragionamento circolare”. Suquest’ultimo punto raccolgo e condivido gliammonimenti di quanti, in questi giorni, hanno conforza posto l’accento sull’uso spesso inavvertito epericoloso di argomentazioni “circolari”.

Il dato su cui mi sono essenzialmente fondato èquello “oggettivo” della sequenza stratigrafica dellanecropoli di Pithecusa, sull’eccezionalità della qualecredo non sussistano dubbi. In alcuni casi tali datinon sono certi ed è forse possibile che io abbia datotroppa fiducia ad alcune affermazioni degli editori,cosa d’altronde inevitabile in mancanza di elementicontrari. Si guardi ad esempio al caso della celebretomba 168, quella della “coppa di Nestore”, la cuiposizione stratigrafica è stata sostenuta dal Buchnercon energiche argomentazioni e che pertanto vaposta inevitabilmente in un momento iniziale dellasequenza locale del TG2. Come ha già in parterilevato il Neeft nel 1987 (NEEFT 1987, p. 372 ss.),tale collocazione cronologica non è priva diproblemi; alcuni dubbi possono sussistere, adesempio, circa il rapporto stratigrafico con la tomba445. Nel caso in cui tali obiezioni fossero valide ne

conseguirebbe inevitabilmente una cronologiarecenziore per la tomba 168. Tralasciando talecircostanza e poche altre situazioni dubbie, il quadrostratigrafico complessivo della necropoli èestremamente coerente e, come è stato giàampiamente rilevato dagli editori, esso è in buonaparte il risultato di precise “scelte” ideologiche, inalcuni casi tali da poter far ragionevolmentesupporre rapporti familiari fra gli individui depostiin sepolture fra loro in relazione. Credo quindi chesia lecito inferire, a partire da tali constatazioni,delle considerazioni di natura temporale.

Riguardo l’intervento di Elisa Gusberticondivido le sue osservazioni circa l’evoluzionemorfologica delle tazze e degli altri materiali da leicitati nell’ambito della fase III B laziale; come hasottolineato il Prof. Colonna si tratta di variazioniminime che ben si collocano in un periodo direpentini mutamenti quale quello del momentofinale della prima Età del Ferro, tali, a mio giudizio,da non giustificare, almeno sul piano storico, unadistinzione così netta in due sottofasi come quellaproposta.

Per quanto concerne l’osservazione circa latazza d’impasto della tomba 168 sono costretto arinviare a quanto scritto nel testo ed in particolarealla nota relativa (p. 420, nota 92), nella quale misembra di aver specificato con chiarezza come iconfronti più puntuali ravvisabili nel Lazioriconducano a contesti (che sono in gran partecoincidenti con quelli da lei citati) “databili in unmomento molto avanzato della fase IIIB”. Ilriferimento ad un momento iniziale alla fase IVA ègiustificato solo da motivi prudenziali data anchela frammentarietà dell’ansa nell’esemplarepithecusano (cfr. ad esempio i tipi Osa 20o var. 1,con ansa semplice, di fase IIIB, e 20q, con ansaleggermente crestata documentato in contesti di faseIIIB e IVA1). Comunque stiano le cose la puntualecollocazione cronologica della tazza d’impastopithecusana, dato il suo chiaro carattered’importazione, non credo possa influire sulladatazione della tomba 168 nell’ambito del TG2 enon credo sussistano dubbi circa il parallelismo diquesta fase con il periodo IV A laziale. D’altrondea Pithecusa sono noti diversi casi di materialiriferibili ad orizzonti cronologici più antichi

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rinvenuti in contesti recenziori; un caso interessantepuò essere quello del rasoio lunato dalla tomba 381,del TG2, forse riferibile al tipo “Caracupa” (cfr.BIANCO PERONI 1979, p. 99 s., nn. 600-606, tavv.49-50; per l’attribuzione cfr. BARTOLONI 1994, p.546, ripresa da CERCHIAI 1999, p. 669, n. 46), cheha le sue attestazioni più recenti in contesti dellaprima metà dell’VIII secolo (cfr. ad es. la tombaAAZ alfa di Quattro Fontanili, fase IIA del Guidi;il rasoio corrisponde al tipo 113, GUIDI 1993, p. 52,fig. 3/14; il rasoio potrebbe rappresentare una sortadi “corrispettivo” indigeno alle prime coppe achevrons precoloniali), ovvero di almeno 50-70 annipiù antichi di quello pithecusano. Il Prof. Cerchiaied in particolare il Prof. d’Agostino hanno più volteprima di me affrontato la questione dellainterpretazione e del significato del materiale “nongreco”, ceramico e non, della necropoli di Pithecusa(D’A GOSTINO 1995, pp. 51-62; D’A GOSTINO 1999b,pp. 207-227; CERCHIAI 1999, pp. 657-683) e non èil caso né c’è il tempo in questa sede di affrontaretali problematiche. Ad ogni modo, diversamente dalcaso del rasoio ora citato, non credo che siaintercorso un lungo lasso di tempo tra la produzionee la deposizione della tazza della tomba 168, comesembrano documentare anche i casi analoghi delleanfore a spirali delle tombe 944 e 159.

Come spero di potervi mostrare nellapubblicazione complessiva del mio lavoro, l’esamedel matrix e della sequenza tipologica dei materialisolleva innumerevoli e spesso inaspettateproblematiche e riflessioni, credo maggiori rispettoa quelle consuete tra una realtà abitativa e la suarappresentazione stratigrafica in quanto, nel casodi una necropoli come quella in esame, tali rapportipossono essere influenzati anche da fattori di naturarituale-ideologica. Da questo punto di vista anch’io,come molti di voi, devo molto alla mia formazionenell’ambito della scuola di Renato Peroni; sebbenepoi abbia rivolto la mia attenzione ad ambiti piùpropriamente “classici”, molti degli spunti e dellemie riflessioni sono la diretta conseguenza del suoinsegnamento. Grazie anche a tali stimoli la miaattenzione si è soffermata su una realtà archeologicaquale quella pithecusana che, per la molteplicitàstessa degli “intrecci” stratigrafici (credo con pochialtri paragoni nel resto della penisola e nel

Mediterraneo), induce inevitabilmente ad unapproccio con le tecniche di seriazione tipologicainsolito ed in un certo senso “inverso” rispetto aisistemi tradizionali. La sequenza relativa deicontesti che, di solito, è il risultato finale che siottiene attraverso la seriazione tipologica deimateriali e l’esame delle associazioni è stata inquesto caso, infatti, un punto di partenza e diriferimento per l’esame della cultura materialedella necropoli. Tali circostanze hanno fatto sìche l ’elemento “oggettivo” dell ’analisistratigrafica precedesse ed, in un certo senso,preordinasse quello inevitabilmente “soggettivo”dell’esame tipologico, per poi fondersi entrambinel quadro finale conclusivo. Se osservate conattenzione la disposizione dei materiali nelletombe in rapporto alla sequenza del matrix (Tavv.2-3 alle pp. 435-436), in alcuni casi potrete notarecome la presenza ed il ricorrere di determinatitipi (oltre alle affinità nel rituale) in determinaticontesti legati da “relazioni” fisiche, possa essereinterpretata (ed in buona parte lo hanno fattomagistralmente prima di me gli editori dellanecropoli) anche come il frutto di “legami” ditipo familiare che si traducono, sul piano dellacultura materiale, in “tradizioni rituali” e“costumanze” comuni.

Veniamo alle osservazioni di Pacciarelli e diVanzetti: laddove Alessandro Vanzetti mette inrilievo la mia affermazione circa la durata “tra unae due generazioni” del TG2, sottolinea giustamentequello che forse è un difetto di chiarezza della miafrase, cosa della quale mi scuso. Infatti non volevointendere che la durata del TG 2 fosse“dubitativamente” di una o alternativamente duegenerazioni bensì fosse quella del lasso intermediotra la durata di 25-50, ovvero, come poi laProfessoressa Bartoloni ed io concludiamo, un arcodi tempo compreso tra i 35 ed i 40 anni (come dire,in termini impropri, una generazione e mezza), inpieno accordo con le teorie tradizionali sulla duratadi questa fase. Su quest’ultimo punto va sottolineatala coincidenza delle nostre conclusioni con loschema cronologico proposto dal Neeft nel 1987(NEEFT 1987, passim, in particolare p. 380) il quale,fondandosi in buona parte proprio sull’evidenzastratigrafica pithecusana, pone la fine del periodo

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degli aryballoi globulari e, conseguentemente, latransizione dal PCA=TG2 al MPC intorno al 680a.C. in contrapposizione al Coldstream checollocava tale cesura nel 690 a.C.

Per il resto condivido gli avvertimenti diPacciarelli e Vanzetti circa il rischio dell’uso delcalcolo generazionale nell’archeologia protostoricaallo scopo di ricavare una cronologia assoluta.Probabilmente è un pegno che pago, come tanti altri,ad una formazione di archeologo classico. Nelmomento in cui però si pone attenzione sullaineludibile componente di rischio che è insita inogni ricerca, ritengo che l’applicazione attenta diquesto sistema di analisi sia perfettamente legittimanella stessa misura in cui vengono consideratilegittimi altri metodi d’indagine. Il caso diPithekoussai è però diverso dalle altre realtàprotostoriche italiane. E’ cosa risaputa che latradizione degli studi classici sulla ceramica grecasia fondata in buona parte sullo studio di singolebotteghe, sull’attribuzione di alcune fabbriche adeterminati artefici e sulla supposizione lecita che,una volta riconosciuta la “mano” di un singoloartefice, si possa attribuire alla sua attività la durataragionevole di una generazione. Nel momento incui l’obbiettivo si sposta dall’artefice al vaso èaltrettanto ragionevole supporre che tra la suaproduzione e la sua deposizione sia intercorso undeterminato lasso di tempo che, a seconda dellecircostanze, può essere più o meno amplificato.Poiché questo sistema di analisi è difficile daapplicare in un campo come quello della ceramicad’impasto, soggetta a numerose variazionidipendenti dallo stesso numero di individui chepossiedono la techne necessaria alla fabbricazionedi un vaso, è lecito in tal caso essere prudenti. Nelcaso invece della ceramica di argilla figulina, sucui sono basate le riflessioni espresse in questa sede,essendoci dietro una tecnica molto più complessaed elaborata ritengo che sia ragionevole supporreche la “personalità” dell’artigiano sia molto più fortee che pertanto l’applicazione del calcologenerazionale abbia una maggiore legittimazionealmeno limitatamente alla fase più antica; seriflettiamo inoltre sul contesto particolare nel qualetale produzione ceramica si colloca, ovvero su diun’isola e all’“alba” del fenomeno coloniale, credo

che sia lecito supporre che il numero di artigianifosse commisurato alla natura stessadell’insediamento e che pertanto le “mani” operantial principio dell’attività ceramistica pithecusanafossero proporzionalmente circoscritte e fossero alcontempo limitati gli influssi esterni. Nella miarelazione, inoltre, il sistema del calcolo dellegenerazioni è strettamente congiunto all’analisistratigrafica che, come ho accennato prima, hacercato di mettere in rilievo come buona parte delle“sovrapposizioni” sia il frutto di scelte premeditatee non della casualità: lo spazio non mancava e quindile sovrapposizioni “non volontarie” si potevanotranquillamente evitare; è evidente quindi che lepersone legate da rapporti parentali e non, comeavviene ancora oggi nelle cappelle familiari, “sicercavano” e, sebbene forse non sia sufficien-temente dimostrata, credo che sia nel vero lasupposizione del Buchner circa l’esistenza dideterminati “appezzamenti” familiari nellanecropoli fin dal principio dell’insediamento.

Il matrix presentato in questa sede - va detto senon è chiaro per qualcuno - consiste in una selezionedei 7 “gruppi” numericamente e materialmente piùsignificativi sul totale di 52 “insiemi” di tombelegati da rapporti stratigrafici diretti. Come hospiegato nel testo, i gruppi non legati da vincolistratigrafici diretti sono posti sullo stesso “piano”tenendo conto dell’analisi delle associazioni rilevatein base alla tabella di seriazione che verrà presentatain altra sede. Un aspetto sul quale invito tutti quantia riflettere e spero molto in ulteriori scambi di idee,deriva proprio dal confronto tra la sequenzaottenibile su base stratigrafica e quellatradizionalmente ricavabile sulla base delle soletabelle di seriazione; in futuro sarà interessanteprocedere ad un confronto tra la sequenzapithecusana e quella ricavabile procedendoall’analisi dei dati con l’ausilio dei diversiprogrammi informatici fondati su basi statistico-combinatorie. Si tenga inoltre presente un aspettonon secondario di questo lavoro: l’analisi condottain questa sede che, nella pubblicazione definitivaterrà conto della totalità della necropoli, non haoperato una selezione preventiva dei contesti daesaminare. Nei tradizionali sistemi di elaborazioneè necessaria infatti una cernita preliminare del

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campione sul quale poi si opererà per la definizionedi una determinata sequenza; è inevitabile che nellacernita del campione subentrino valutazioni di tiposoggettivo che spesso possono non essere in gradodi rispecchiare la complessità della realtàarcheologica; ne consegue, come ha rilevatod’Agostino, che il risultato finale sia talvolta una“proiezione” della nostra realtà che, nei casipeggiori, può essere inficiata dalla volontà più omeno esplicita e cosciente di dimostrare o smentiredei propri presupposti. Nel nostro caso la naturastessa della documentazione ha permesso di nonoperare alcuna selezione, di modo che la realtàarcheologica disponibile è stata valutata nel suocomplesso comprendendo anche contesti che,solitamente, per irrilevanza o assenza di corredo,sarebbero stati di conseguenza non considerati. E’logico che le conclusioni non vanno prese comedefinitive e che la ricostruzione ottenuta sulla basedei principi esposti va considerata solo come unapallida immagine della ben più complessa realtàpithecusana, ancor più evanescente se si tiene contoche essa è fondata su un campione che equivale ameno del 10% del totale del sepolcreto e che èprobabilmente localizzato in una zona marginaledella necropoli.

Vi è poi, infine, la domanda del Prof. Pacciarellisulla possibilità di innalzare di almeno un decenniola cronologia della transizione dal TG1 al TG2 allaquale ha risposto ampiamente il Prof. d’Agostino.Su tale questione mi permetto di aggiungere unasemplice cosa. Devo confessarvi che, rispetto alquadro cronologico prudenzialmente proposto nellarelazione, non sono del tutto convinto che si possaescludere la possibilità di un leggero abbassamentorispetto alla sequenza cronologica tradizionale. Adesempio nel caso della cronologia della tomba 325,laddove la datazione da noi proposta intorno al 700a.C. è di circa 10 anni inferiore rispetto a quellasostenuta ancora recentemente dal Ridgway, nonescluderei la possibilità, proprio in virtù delconfronto citato con Tarquinia, di un ulterioreabbassamento di 15 anni. Questo non significa pocoed è una cosa che fa riflettere. Allo stesso modoanche per l’analisi del lasso di tempo intercorso trala tomba 168 e la 325 non avrei escluso la possibilitàdi un arco cronologico inferiore ai 20 anni circa

ipotizzati. Premesso questo, difficilmente potreisupporre un innalzamento anche di un solodecennio.

Sottopongo infine, alla vostra attenzione, unultimo elemento che volontariamente nellarelazione, per la mia scarsa preparazione nel campodei materiali orientali, avevo omesso. Ho notato,sempre sulla base della sequenza, che un’altra seriedi oggetti che caratterizzano con una certa costanzale sepolture del TG1, oltre alle oinochoai, è quelladei sigilli del Lyre Player Group. Tali sigilli nonmancano anche in tombe dell’inizio del TG2, ma illoro numero è molto limitato e risultano quasi tuttisignificativamente molto usurati, il che fa pensaread un loro utilizzo o ad una loro conservazione perun certo lasso di tempo prima della deposizione.Essi rappresentano un elemento ricorrente fin dalprincipio del TG1 e credo che, data l’uniformitàdella produzione e la ripetizione dei motividecorativi, non sia in dubbio la loro attribuzione aduna singola bottega operante in area nord siriana.Avendo posto intorno al 720 la transizione tra ilTG1 ed il TG2 e avendo collocato nello stesso lassodi tempo le ultime attestazioni di questa classe dimateriali, credo che sia ragionevole porre inrelazione l’interruzione dell’esportazione di talimanufatti con gli eventi storici che, in quegli anni,interessarono quell’area del Vicino Oriente e che,proprio nel 720 (in base alla cronologia orientale;fonti e discussione in BOTTO 1990, p. 36 ss.),culminarono con la conquista e la distruzione diHama da parte degli Assiri guidati da Sargon II,con tutte le conseguenze che essa ebbe non solo inOriente ma anche in Occidente.

Un’ultima cosa. Elisa Gusberti ha domandatocome mai nella relazione noi scriviamo che c’è unaleggera anticipazione della fase 3B laziale rispettoal TG1. La spiegazione ….

Elisa Gusberti: Mi chiedevo come mai, dalmomento che ipotizzate una leggera anticipazionedel III B laziale rispetto al TG I pithecusano, nellatabella i due momenti coincidono…

Valentino Nizzo: Ovviamente nella tabella si èsempre costretti ad una estrema schematizzazione, elo spazio disponibile non ci ha permesso di tener conto

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di flessioni dell’ordine di ca. 5-10 anni; ammetto cheforse questa cosa può essere sfuggita. Rimango fedelea quanto viene detto nel testo ed in particolareriguardo a quanto ho affermato prima circa una miatendenza leggermente più ribassista di quella espressa.Un elemento interessante per la definizione di unterminus a quo per l’inizio della necropoli risiedeappunto nella fibula della tomba convenzionalmentechiamata 574 bis, rinvenuta associata ad un gancionella terra di riempimento della tomba 574. Quantafiducia vogliamo dare a questo contesto? La stessafiducia che vi hanno riposto gli scavatori. Se noiconsideriamo questa fibula una prova dell’esistenzadi un utilizzo della necropoli precedente a quello finoad ora documentato dai più antichi contesti del TG1,diamo un senso forse maggiore alle affermazioni degli

BARTOLONI 1994 : G. Bartoloni, Recensione aPithekoussai 1, in Archeologia Classica, XLVI,pp. 542-549.

BIANCO PERONI 1979: V. Bianco Peroni, I rasoinell’Italia continentale (PrähistorischeBronzefunde, VIII, 2), München.

BOTTO 1990: M. BOTTO (Ed.), Studi storici sullaFenicia, l’VIII e il VII secolo a.C., Pisa.

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D’A GOSTINO 1995: B. D’A GOSTINO, Pitecusa e Cuma

scavatori che, giustamente, pongono l’insediamentodei primi coloni intorno al secondo quarto dell’VIIIsec. a.C., ponendo nella giusta luce anchequell’esiguo nucleo di materiali riferibili al MGstudiati dal Ridgway e dal Coldstream. Taliframmenti, data la loro consistenza, non sonosufficienti per delineare il quadro di un insediamento,però pongono degli importanti elementi di riflessionesulla cronologia del sito. Tale fibula trova confrontiin contesti riferibili alle fasi IIIA-IIIB laziale e IIB-IIC veiente, secondo la cronologia Guidi-Toms. Neconsegue che se è lecita la collocazione di tale fibulain un momento di passaggio fra queste fasi, essarappresenti necessariamente un terminus post quemper l’inizio dell’uso della necropoli, anche per ilcarattere di importazione del manufatto.

tra Greci e Indigeni, in La colonisation grecqueen Mediterranée Occidentale (Atti Convegno,Roma-Napoli 1995), Parigi-Roma 1999, pp. 51-62.

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NEEFT 1987: C.W. NEEFT, ProtocorinthianSubgeometric Aryballoi (Allard Pierson, Series7), Amsterdam.

Gilda Bartoloni: Rispondo ad Anna MariaBietti. Nel porre a confronto gran parte della terzafase iniziale del Lazio con Veio IIB o PontecagnanoIIA mi sono basata esclusivamente sui confronti chevoi avete indicato, su cui, visto che erano segnalati,pensavo fossero state ricavate le concordanzecronologiche. Mi riesce un po’ difficile, riferendomia quanto ha precisato Anna Maria Bietti, capire inche consistano i confronti formali; sono sempre stataabituata a inserire nei confronti delle varie tipologiemateriali omogenei. Se dovessi fare un confrontoformale per un vaso biconico, forma in uso dal

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

protovillanoviano al pieno orientalizzante in variezone d’Italia, il ventaglio di confronti sarebbetalmente vasto da rischiare di non servire a nulla.

Mi sembrava di aver messo in evidenzanell’articolo come a una fase di rapporti con l’areameridionale (“Nella fase IIB sono frequenti adOsteria dell’Osa le attestazioni di confronti conl’area meridionale, specie Pontecagnano e SalaConsilina: ad es. la brocca globulare con alto collorigonfio Osa 11j, frequente a Pontecagnano (tipo80a1b) nella fase IB, o la fibula ad arco ribassatocon staffa a disco e barretta attestato in

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Pontecagnano IB-II (tipo 320b15b), esclusivo diOsteria dell’Osa IIB1(tipo 38s)”) sia subentrato unmaggior rapporto con l’Etruria Meridionale, specieVeio.

In ogni modo siamo completamente d’accordonell’ambito della cronologia relativa, e sulla duratadella terza fase per un periodo lungo intorno ai 50anni, comprendenti almeno due generazioni, chesono state articolate rispettivamente in IIIA e IIIB.Certo in base alle analisi di Pithecusa riesce difficileaccettare senza problemi la cronologia assolutaproposta per Fidene, che porta come è noto, adanticipare al pieno IX secolo a.C. l’iscrizione inalfabeto greco della tomba 482, in netto anticiposulle attestazioni di scrittura alfabetica nella Greciastessa.

La precisazione relativa ai dati di rinvenimentodelle tombe 482 e 485, riferita ad Anna De Santis,era dovuta, a mio avviso, per superare il dubbio sullaposizione del vaso iscritto della tomba 482 che puòevincersi dalla pubblicazione, sia dalla descrizioneche dall’apparato illustrativo, dubbio del restomesso in evidenza anche da Marco Pacciarelli.

Anna Maria Bietti Sestieri: Il metodo seguitodagli antropologi, che viene descritto nellapubblicazione, consiste nel fornire per ognideterminazione il grado di incertezza, espresso conun numero di punti interrogativi compreso fra unoe tre. Nel caso della tomba 48221 il forte grado diincertezza (tre punti interrogativi) deriva dal fattoche si tratta di una incinerazione, con le ossa ridotte

per lo più in frammenti minuti, oltre che deformatedal fuoco; la convinzione che si tratti di una donnaè basata soprattutto sulle dimensioni piuttostopiccole di alcune ossa determinabili, mentrel’assenza di suture craniche aperte indica unindividuo di età avanzata. Comunque, è chiaro chesulla determinazione del sesso esistono ampimargini di dubbio.

Ettor e M. De Juliis: Una brevissima replicaall’intervento di Bruno d’Agostino. Sono d’accordosul ruolo che lui ha indicato per Otranto come puntodi riferimento dell’attività marinara di Corinto inun ambito ancora sostanzialmente greco. Per quantoriguarda, invece, la sua funzione di centro di raccoltae di distribuzione, che lascia perplesso Bruno, vachiarito che tale funzione doveva valere anche esoprattutto per i beni provenienti sia dall’areaadriatica posta più a nord, sia dalla costa illiricameridionale. A questo proposito non ho fatto cennonella mia relazione ad ipotesi sostenute da diversistudiosi ed ampiamente note, che hanno postol’accento sul possibile, forte, interesse da parte diCorinto per il ferro dell’Adriatico settentrionale, perla radice dell’iris usata nella preparazione deiprofumi, per l’ambra, ecc27. Il dato concreto estupefacente resta la presenza ad Otranto di circa3000 frammenti di ceramica corinzia, recuperatinell’ambito circoscritto di due cantieri edili di pochedecine di metri quadrati. Il problema va, perciò,ulteriormente approfondito e interpretato anche allaluce dei nuovi ritrovamenti salentini.

21 Osteria dell’Osa 1992, p. 177 s.27 F. D’ANDRIA, Corinto e l’Occidente: la costa adriatica,

in Corinto e l’Occidente (Atti 34° Convegno Magna Grecia,Taranto ottobre 1994), Taranto 1995 (1997), pp. 457-508.