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ITINERARI NASCOSTI DI ROMA ANTICA N. 4 Aprile 2010 1,50 Supplemento al n. 4/2010 di Forma Urbis - Poste Italiane Spa – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) srt. 1, comma 1, Aut. N. C/RM/036/2010 - 1,50 E.S.S. EDITORIAL SERVICE SYSTEM S.r.l. Prima della Scuola di Atene: alle origini dell’“archeologia” italiana in Grecia

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ITINERARI NASCOSTI DI ROMA ANTICAN. 4 Aprile 2010 € 1,50

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E.S.S.EDITORIAL

SERVICESYSTEM S.r.l.

Prima della Scuola di Atene: alle origini

dell’“archeologia” italianain Grecia

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I CENTO ANNI DELLA SCUOLA ARCHEOLOGICAITALIANA DI ATENE (1910-2010)

Per ricordare i cento anni della Scuola ArcheologicaItaliana di Atene (SAIA), istituita con Regio Decreto il 9Maggio 1909 e inaugurata il 7 Aprile 1910, il ComitatoScientifico di Forma Urbis ha deciso di dedicare ilnumero di Aprile 2010 - curato dal Direttore, prof.Emanuele Greco, dai Collaboratori e dagli Allievi - allafervida attività scientifica che caratterizza a tutt’oggi l’i-stituzione, nonché uno speciale del tascabile monografi-co alla lunga e articolata storia delle ricerche archeolo-giche italiane in Grecia che affonda le sue radici nelQuattrocento.

Questo, a nostro parere, è il modo migliore per ren-dere omaggio alla prestigiosa e nobile istituzione, da unsecolo punto di riferimento non solo degli archeologi edegli storici delle Università o del CNR che si trovano inGrecia per approfondire i propri studi, ma anche esoprattutto dei giovani studiosi che intendono formarsie specializzarsi. Infatti, da sempre sensibile al binomioformazione e ricerca, la Scuola ospita fin dai suoi alboriallievi scelti, delle università italiane e della scuola diarcheologia di Roma, proprio come recita l’art.2 delR.D. n.373 del 9 Maggio 1909 “L’istituto ha per iscopodi promuovere l’alta coltura archeologica e classica dellaNazione, di fornire ai licenziati della Regia Scuola diArcheologia di Roma e ai laureati nelle discipline classi-che e storico-artistiche … il mezzo di perfezionarsinegli studi di archeologia in generale e delle antichitàgreche in particolare, e di prendere parte all’esplorazio-ne dell’Oriente ellenico con viaggi, ricerche e scavi. Essaservirà inoltre come centro e stazione agli archeologiitaliani che si recheranno in Grecia per studi speciali,sarà il punto di convegno fra dotti italiani e dotti greci,il mezzo per favorire e cementare i rapporti scientificifra le due nazioni che hanno comuni i vincoli e le tradi-zioni della civiltà classica”.

Pertanto preme particolarmente ricordare ai lettoridi Forma Urbis che la Scuola Archeologica Italiana diAtene oltre a patrocinare culturalmente il I Salonedell’Editoria Archeologica di Roma - promosso dallaEdiarché Srl e che si terrà al Museo Pigorini (info suwww.ediarche.it) dal 20 al 23 Maggio p.v. - sarà presentenella stessa con uno stand espositivo presso cui sarà pos-sibile ai visitatori reperire materiale informativo e pren-dere visione delle sue pregiate pubblicazioni, con l’au-spicio che una maggiore sensibilizzazione del pubblicoalla conoscenza della Scuola impedisca in futuro aberra-zioni quali la proposta - per fortuna bocciata - di unMinistro della Repubblica che, nel 2006, aveva inserito laSAIA tra gli enti inutili da sopprimere.

La redazione

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Collana archeologica

Prima della Scuola di Atene: alle origini

dell’“archeologia” italianain Grecia

di Valentino Nizzo

4Roma 2010

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DIRETTORE RESPONSABILESILVIA PASQUALI

DIREZIONE SCIENTIFICACLAUDIO MOCCHEGIANI CARPANO

COMITATO SCIENTIFICOLUCA ATTENNI, GIANFRANCO DE ROSSI, CARLO PAVIA, SIMONA SANCHIRICO

CURATORE TASCABILI LAZIOLUCA ATTENNI

COORDINAMENTO EDITORIALE E SEGRETERIA DIREDAZIONELIDIA LAMBERTUCCI, SIMONA SANCHIRICO

GRAFICA, DOCUMENTAZIONEFOTOGRAFICAA CURA DEGLI AUTORI

DISEGNIPIETRO RICCI

COMITATO SCIENTIFICO D’ONOREPAOLA DI MANZANO Soprintendenza Archeologica diRoma;DARIO GIORGETTI Università degli Studi di Bologna;BRUNO LA CORTE GIÀ Comandante Gruppo TutelaPatrimonio Archeologia del Nucleo Polizia Tributa-ria di Roma della Guardia di Finanza;EUGENIO LA ROCCA Sapienza, Università di Roma;TEN. COL. RAFFAELE MANCINO Comandante del Repar-to Operativo del Comando dei Carabinieri TutelaPatrimonio Culturale;FEDERICO MARAZZI Università degli Studi “Suor OrsolaBenincasa”, Napoli;PAOLO MORENO Università degli Studi di Roma III;CAP. MASSIMILIANO QUAGLIARELLA Comandante dellaSezione Archeologia del Reparto Operativo delComando dei Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale;SILVANA RIZZO Consigliere Culturale del Ministro peri Beni e le Attività Culturali;CAP. MASSIMO ROSSI Comandante della II Sezionedel Gruppo Tutela Patrimonio Archeologico delNucleo Polizia Tributaria di Roma della Guardia diFinanza;PATRIZIA SERAFIN PETRILLO II Università degli Studi di RomaTor Vergata.

IN COPERTINA L. von Klenze, L'acropoli di Atene, ipote-si ricostruttiva (1846)IN IV DI COPERTINA R. Ceccoli, L’Acropoli di Atene nelXIX secolo. Atene, Pinacoteca

EDITORE E.S.S. Editorial Service SystemVia di Torre Santa Anastasia, 61 - 00134 Romae-mail: [email protected] - www.editorial.itPubblicazione registrata presso il Tribu-nale di Roma n° 548/95 del 13/11/95

AMMINISTRAZIONE E SEGRETERIAE.S.S. Editorial Service SystemVia di Torre Santa Anastasia, 61 -00134 Roma

PUBBLICITÀ E DIFFUSIONELAURA PASQUALI

ABBONAMENTIL’abbonamento partirà dal primo numeroraggiungibile eccetto diversa indicazione.

TASCABILIITALIA: annuale 15,50 euro FORMA VRBIS+TASCABILEITALIA: annuale 50,00 euro ESTERO: annuale 80,00 euro

ARRETRATII numeri arretrati devono essere richie-sti mediante versamento anticipato sulc.c. 58526005, intestato a ESS Srl Viadi Torre Santa Anastasia, 61 - 00134Roma, per un importo di 3,00 euro acopia; nella causale occorre indicare lapubblicazione e il numero/anno desi-derato. Le richieste saranno evasesino esaurimento delle copie.

STAMPA System Graphic Srl Via di Torre Santa Anastasia, 6100134 Roma - Telefono 0671056.1

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Nessuna parte della presente pubblicazio-ne può essere riprodotta in alcun modosenza il consenso scritto dell’EditoreFinito di stamparenel mese di Aprile 2010© Copyright E.S.S.

supplemento al n. 4/2010di FORMA VRBIS

Itinerari nascosti di Roma antica

Questo periodico è associatoall’Unione Stampa PeriodicaItaliana

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Dedicato alla memoria di Werner Johannowsky (1925-2010)

e Giovanni Pugliese Carratelli (1911-2010),Veteres Athenarum Hospites

Athenas veni. Ubi primum ingentia moenia undique conlapsa antiquita-te conspexi, ac intus, et extra per agros incredibilia ex marmore aedificiadomosque, et sacra delubra diuersasque rerum imagines, miraque fabre-factoris arte conspicuas, atque columnas immanes, sed omnia magnisundique convulsa ruinis.Giunsi ad Atene. Ho visto delle enormi mura distrutte dal tempoe, sia in città sia nelle campagne circostanti, edifici in marmo distraordinaria bellezza, case, templi e numerose statue eseguite daartisti di prim’ordine e grandiose colonne, ma tutte queste cosenon formavano che un vasto ammasso di rovine.

Ciriaco d’Ancona, 7 Aprile 1436

Lo spettacolo di magnificente decadenza, offertodalle rovine di Atene all’umanista anconetanoCiriaco Pizzicolli (1391-1455), rappresentò

una costante dei viaggi che egli instancabilmente con-dusse nel Mediterraneo orientale fra la prima infanzia egli ultimi anni della sua vita, dall’Italia, alla Dalmazia, allaGrecia continentale, a quella insulare, alla Turchia, alLibano, alla Siria e all’Egitto. Destinato alla navigazione eal commercio per tradizione familiare, Ciriaco seppe benpresto piegare le vocazioni economiche della sua profes-sione alle inclinazioni antiquarie che l’avevano attrattosin da giovane. Alcune testimonianze lasciano intuirequali fossero le origini di tale passione; sembra infatti che

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Ciriaco d’Ancona e la riscoperta della Grecia

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egli, intorno al 1421, fosse rimasto affascinato nel con-templare da vicino i rilievi e l’iscrizione dell’arco erettoda Traiano nella sua città, allora in corso di restauro aopera del legato pontificio Gabriele Condulmer (il futu-ro Papa Eugenio IV), al quale, fra il 1441 e il 1442, Ciria-co avrebbe indirizzato uno dei suoi pochi scritti soprav-vissuti integralmente, l’Itinerarium, una sorta di autobio-grafia redatta in forma epistolare nella quale enunciava,fra le altre cose, i moventi intellettuali che avevano ani-mato le sue peregrinazioni: «Io, spinto da un forte desideriodi vedere il mondo, ho consacrato e votato tutto me stesso sia percompletare l’investigazione di ciò che ormai da tempo è l’ogget-to principale del mio interesse, cioè le vestigia dell’antichità spar-se su tutta la terra, e sia per poter affidare alla scrittura quelle chedi giorno in giorno cadono in rovina per la lunga opera di deva-stazione del tempo e a causa dell’umana indifferenza».

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Cristoforo Buondelmonti, Liber Insularum Archipelagi (1420), Codice Urb.lat. 459, vedute di Chio e Mitilene

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Una passione, quella dell’umanista anconetano, che benpresto si tramutò in una vera e propria missione nellaquale egli si proponeva, attraverso la ricerca e lo studiodei monumenti antichi, di “resuscitare i morti”, come testi-monierà Leandro Alberti (1479-1552) nella Descrittione ditutta Italia del 1550, opera storico-periegetica che,ponendosi sulla falsariga dell’Italia illustrata (1474) di Fla-vio Biondo (1392-1463), traghetterà nel Rinascimentouna parte significativa dell’eredità di entrambi. L’opera diCiriaco, tuttavia, per la qualità e la quantità dei dati rac-colti e per la vastità delle regioni esplorate, non solo sidistinse di gran lunga da quella dei coevi umanisti quat-trocenteschi (come il suo immediato precursore Cri-stoforo Buondelmonti, 1386 - post 1430, mercante esacerdote fiorentino che, fra il 1414 e il 1430, esploròRodi, Creta e le altre isole dell’Egeo e le illustrò nellaDescriptio Insulae Cretae del 1417 e nel Liber InsularumArchipelagi del 1420) ma rimase sostanzialmente insupe-rata fin quasi alle soglie dell’Illuminismo, quando l’allen-tarsi delle rigide barriere dell’impero Ottomano resepossibile il ritorno in Grecia e in Asia Minore di eruditioccidentali, come il lionese Jacob Spon (1647-85) e l’in-glese George Wheler (1650-1724), autori del celebreVoyage d’Italie, de Dalmatie, de Grèce et du Levant (1678).L’esperienza dell’anconetano, quindi, non fu eccezionalesoltanto per lo spirito d’osservazione e l’acribia docu-mentaria con i quali indagava i monumenti antichi, maanche per le circostanze storiche nelle quali si trovò aoperare. Egli, infatti, fu testimone diretto e privilegiatodel lento e inarrestabile disgregarsi di quel declinantebaluardo di romanità che fu l’Impero bizantino, cadutonelle mani dei Turchi nel 1453 in seguito alla conquista

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di Costantinopoli da parte del sultano Maometto II ilquale, secondo la coeva cronaca di Zorzi Dolfin (1396-1457 ca.), durante il lungo assedio della città, «aspirante agloria quanto Alexandro Macedonico ogni di se fa lezer historieromane et de altri da uno compagno detto Chiriaco d’Ancona etda uno altro ítalo; da questi se fa lezer Laertio, Herodoto, Livio,Quinto Curtio, Cronice de i papi, de imperatori, de re di Fran-

Ciriaco d’Ancona, schizzo del Partenone, dal Manoscritto Hamilton 254 dellaDeutsche Staatsbibliothek Berlin

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za, de Longobardi […]. Diligentemente se informa del sito deItallia et de i luoghi dove capitono Anchise cum Enea et Anthe-nor, dove è la sede dil papa, del Imperator, quanti regni sono inEuropa, la quale ha depenta cum li reami et provincie».Che sia vero o meno l’episodio narrato dal cronista vene-to, esso testimonia in modo suggestivo quella che fu unacostante del metodo del Pizzicolli, il quale fu tra i primia saper fondere la ricerca filologica sui classici con l’inda-gine topografica “sul campo” allo scopo di integrare e/overificare l’attendibilità delle fonti letterarie, un metodoche si distingueva rispetto alle tendenze collazionatorie espesso acritiche della precedente tradizione umanistica eche lo portò a compiere scoperte straordinarie, come l’i-dentificazione stessa del Partenone trasformato in chiesacristiana dedicata alla Vergine. Per Ciriaco, inoltre, imonumenti del passato come iscrizioni, monete e edificiavevano il valore di «historiarum sigilla» e dovevano, quin-di, essere considerati testimonianze storiche di valoresuperiore a quanto era dato leggere sugli stessi “libri”(«maiorem longe quam ipsi libri fidem et notitiam praebere vide-bantur»), come testimoniava il suo amico e biografo Fran-cesco Scalamonti, di modo che non c’è da stupirsi se ilPizzicolli sia stato da molti considerato come il “padredell’epigrafia” e, talora, anche dell’“archeologia” sebbenepoi, nelle sue opere, non dimostrasse di aver raggiuntoquella compiuta e matura riflessione storica che da alcu-ni gli viene attribuita.Purtroppo la maggior parte dei suoi scritti subì quellostesso destino dal quale Ciriaco aveva tentato di sottrarrele vestigia del passato; sembra infatti che la sua operamaggiore, i sei volumi dei Commentarii nei quali eracompreso e illustrato gran parte del materiale raccolto

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nei suoi viaggi, sia andata dispersa nel 1514 in seguitoall’incendio che devastò la biblioteca Sforza di Pesaro,come pure che venissero distrutti dal fuoco nel 1532 imanoscritti donati alla città di Ancona, sicché quanto èoggi noto di buona parte dei testi ciriacani è stato para-dossalmente ricostruito a partire dagli appunti e dallecopie di quanti poterono consultare i suoi lavori primache essi andassero distrutti.

La conquista ottomana dell’Impero Romano d’Orientenel 1453 determinò una improvvisa interruzione deicontatti fra il Mediterraneo orientale e l’Occidenteeuropeo, sospendendo sul nascere quella esplorazionedelle antichità della Grecia cui aveva dato impulsoCiriaco. La riscoperta della grecità classica, tuttavia, nonsi arrestò drasticamente ma assunse forme diverse lega-te alle fortune delle imprese commerciali e “coloniali”della Serenissima in Oriente e alla passione crescenteper le antichità dell’aristocrazia mercantile della cittàlagunare. Non si può quindi parlare di vera e propria“archeologia” quanto piuttosto di quel fenomeno col-lezionistico che, più o meno contemporaneamente,coinvolse sovrani e dignitari delle principali corti rina-scimentali europee, con la differenza sostanziale che ilcollezionismo veneziano, data la vocazione della cittàquale “porta d’Oriente”, fu quello maggiormenteattratto dalle antichità del mondo greco. Tale “passio-

Il collezionismo veneto di antichità dal XII al XVI secolo

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Venezia, Piazza San Marco, Colonna di San Todaro

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ne”, tuttavia, affondava le sue radici nel XII e XIII seco-lo, al tempo in cui la Repubblica di Venezia “costruiva”la sua identità politica e storica appropriandosi mate-rialmente di un passato che, viste le origini altomedie-vali della città, non le era appartenuto. Lo spoglio deimonumenti antichi della Grecia costituì, in un certosenso, un mezzo per l’affermazione e l’ostentazione del-le ambizioni commerciali e politiche della Serenissimaal punto che gli stessi simboli della città, come le statuedi San Todaro e il leone marciano nonché le colonnesulle quali esse troneggiano presso il molo di piazza SanMarco, sebbene oggetto di restauri e integrazioni, rive-lano la loro antica origine. Con la IV Crociata indettada Papa Innocenzo III, le aspirazioni della Repubblicaguidata dal Doge Enrico Dandolo si concretizzaronoulteriormente sviando l’obiettivo dell’impresa dalla Ter-ra Santa e incentrandolo sulla conquista di Costantino-poli; il saccheggio di quest’ultima nel 1204, infatti,arricchì la Basilica di San Marco di tesori dell’antichità- come la quadriga bronzea (considerata da Ciriacod’Ancona opera di Fidia, essendo vivo in lui il ricordodei marmi del Partenone), il gruppo dei Tetrarchi e lalastra a rilievo col mito del cinghiale d’Erimanto - eportò alla costituzione di quell’effimero “Impero lati-no” (1204-1261) che permise alla città di affermare lasua supremazia nel Mediterraneo orientale grazieall’acquisizione e al controllo dei principali scali navalidell’Egeo e al dominio diretto di Durazzo, Cefalonia,Creta, dell’isola di Negroponte (l’Eubea), di Rodi eCorfù. Le vocazioni commerciali di Venezia fecero sì che solouna minima parte delle antichità che affluivano costan-

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temente nella laguna dall’Egeo venissero destinate a unapubblica fruizione. La riscoperta del mondo classico,conseguente al diffondersi degli studi umanistici in Ita-lia e in Europa, determinò ben presto una diaspora del-le antichità che man mano erano andate accumulando-si nelle collezioni dell’aristocrazia veneziana, dando vitasin dal XIV secolo a un fiorentissimo mercato antiqua-rio che traeva ulteriore vantaggio dal monopolio quasiassoluto esercitato dalla Repubblica nei mercati delMediterraneo. Data l’elevatissima richiesta era quindiassai raro che i beni acquisiti da una famiglia si conser-vassero presso di essa per più di due generazioni, circo-stanza che rende oltremodo difficile non solo l’indivi-duazione della loro origine e provenienza ma anche laricostruzione delle loro vicende collezionistiche.

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Venezia, Basilica di San Marco, Gruppo dei Tetrarchi

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Non fu questa fortunatamente la sorte della CollezioneGrimani, confluita nello Statuario Pubblico della Sere-nissima attraverso due distinti lasciti: il primo del 1523a opera del Cardinale Domenico (1461-1523; esso eracomposto da un nucleo di sculture di provenienzaromana, parte delle quali rinvenute nelle proprietà cheil prelato possedeva sul Quirinale), e l’altro, più consi-stente, donato da Giovanni (1500-93), nipote di Dome-nico, nel 1587, il quale era costituito da materiali (inprevalenza sculture, ma anche rilievi, elementi architet-tonici ed epigrafi) provenienti in gran parte dall’Atticae dalle isole dell’Egeo, Creta in particolare, ma anche daAquileia (di cui Giovanni era patriarca dal 1546) o frut-to di acquisti da altre collezioni della regione. Al principio del ‘600 lo Statuario - arricchito nel 1596

A. Zanetti il Giovane, Parete laterale dello Statuario Pubblico di Venezia(1736)

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con i doni del Procuratore di San Marco, FedericoContarini (1538-1613), responsabile fra le altre cose delsuo riordino, con quelli del senatore Jacopo Contarini(1536-95) e del “procuratore de ultra” (provveditoregenerale a Candia-Creta e a Palmanova), ZuanneMocenigo (1531-1598) - destava l’ammirazione diquanti da tutta Europa si fermavano a visitarlo, tantoche lo Stringa, nel 1604, nella sua revisione della Vene-tia città nobilissima et singulare del Sansovino ebbe a direche il «Museo […] riesce agli occhi de gli intendenti la piùbella e ricca opera che possi essere fatta in questo genere», unadefinizione più che giustificata per una raccolta che,stando ad alcuni inventari, aveva raggiunto intorno allametà del XVII secolo più di duecento pezzi antichi, lamaggioranza dei quali, come affermavano diverse cro-nache dell’epoca, provenienti «da Athene, da Costantino-poli, dalla Morea e da quasi tutte l’isole dell’Arcipelago», pri-ma fra tutte Creta. Il legame con Creta rappresenterà, d’altronde, unacostante per l’antiquaria prima e per l’archeologia ita-liana poi, visto il dominio esercitato ininterrottamenteda Venezia sull’isola tra il 1204 e il 1669, un dominioche permetterà a un epigono di Ciriaco, il naturalistavicentino Onorio Belli (1550-1604), giuntovi nel 1583in qualità di medico del provveditore Alvise Grimani, diesplorarla per circa sedici anni, descrivendone le carat-teristiche naturalistiche e quelle archeologiche in unaserie di opere la più importante delle quali, la RerumCreticarum observationes variae… (giudicata di altissimolivello da chi poté consultarla ancora nel Settecento),andò in seguito sciaguratamente dispersa.

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Se i domini veneziani nell’Egeo avevano garantito l’af-flusso di antichità greche in Occidente anche al tempo incui l’Impero ottomano fu retto da Solimano il Magnifi-co (1494-1566), all’indomani della riscossa cristiana con-seguita a Lepanto nel 1571 le poche informazioni chefiltravano sullo stato dei principali siti della Grecia conti-nentale controllati dai Turchi erano a dir poco desolanti,come testimonia una lettera inviata intorno al 1575 daTheodosius Zygomalas (1544-1607), erudito, filologo ecopista, a Martin Crusius (1526-1607), professore di lin-gua greca a Tübingen, nella quale, alludendo allo stato diAtene, lo tranquillizzava dicendo che esisteva ancora mala paragonava al contempo a «un animale morto da tempo dicui si conserva solo la pelle». La succinta descrizione dellacittà offerta dallo Zygomalas mostra come, alla fine del‘500, si fosse smarrita l’esatta cognizione dell’identità dimonumenti importanti come il Partenone, denominatoerroneamente «Pantheon». Tale situazione non migliorònel XVII secolo anche a causa della contrazione dellapotenza veneta nell’Egeo, conseguente alla vittoria pirri-ca di Lepanto che, esaurite le casse della Serenissima,contribuì alla perdita, dapprima, di Cipro e di parte deipossedimenti nella Morea (l’attuale Peloponneso) e, poi,nel 1669 anche di Candia (Creta), passata in mano turcadopo una strenua resistenza durata quasi un quarto disecolo a conclusione della quale l’intera isola era ridottaad appena 22.000 anime.La riscossa veneta, sebbene effimera, non si fece attendere

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Dalla raccolta allo studio delle antichità: il XVII e il XVIII secolo

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e culminò nel 1687 con la conquista dell’intera Morea econ il drammatico assedio di Atene da parte del coman-dante Francesco Morosini (1619-94), cui si deve il depre-cabile bombardamento del Partenone divenuto obiettivostrategico in seguito alla sua trasformazione in polverierada parte dei Turchi. Alle imprese militari del Morosini sideve indirettamente una ripresa dell’afflusso di antichitàgreche (prevalentemente ateniesi) a Venezia (come i leonisottratti a Delo, Atene e al Pireo e collocati, nel 1692, qua-li trofeo nell’Arsenale; foto a pag. 19), parte delle quali -dapprima comprese in celebri collezioni come quelleMorosini, Giustiniani, Querini e Nani - andarono succes-sivamente disperse fra le principali raccolte europee, dalLouvre (dove giunse un elemento scultoreo del frontonedel Partenone), a Berlino e a Vienna. Al risveglio dell’interesse per il collezionismo antiquariocorrispose finalmente anche una ripresa della riflessioneteorica sulle antichità della Grecia che, almeno per quel

Anonimo veneto, l’Acropoli di Atene nel 1670 prima del bombardamento delMorosini, disegno. Bassano Museo Civico

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che concerne l’Italia, si incentrò prevalentemente sullaraccolta e analisi dei testi epigrafici, un filone di ricercache, come si è visto, affondava le sue radici nell’espe-rienza del Pizzicolli e che nel ‘700 ebbe un significativoincremento grazie all’opera di eruditi del calibro delMuratori (1672-1750), perfettamente consci del valoredelle epigrafi per la ricostruzione critica della documen-tazione storica. In tale disciplina eccelse non a caso unveneto, il veronese Francesco Scipione Maffei (1675-1755), al quale si deve l’avvio di un progetto ambizioso,purtroppo rimasto incompiuto, che prevedeva la raccol-ta sistematica di un nuovo corpus epigrafico che inclu-desse tutte le iscrizioni note, tenendo distinte quelle gre-che da quelle latine. Per fare questo Maffei viaggiò, sindal 1732, in tutta Europa e curò contestualmente l’alle-stimento nella sua città natale del primo Museo epigra-fico (1745), noto come Museum Veronense, nel quale tro-vavano ospitalità numerose iscrizioni greche e latineinsieme ad antichità elleniche, preromane e romane divaria provenienza. Nel 1761 si colloca, infine, l’edizionedei Monumenta Peloponnesia commentariis explicata di Pao-lo M. Paciaudi, bibliotecario parmense, opera erudita didiscreto livello nella quale l’autore seppe raccogliere leantichità greche importate nel Veneto dal tempo delMorosini fornendone, quando possibile, la provenienzama privilegiando, secondo l’estro del tempo, i documen-ti epigrafici. Tale impostazione, comune a molte dellespeculazioni antiquarie coeve, venne ben presto scossa esuperata grazie al diffondersi impetuoso delle teorieestetiche di Winckelmann (1717-68) il quale, nonostan-te fosse morto assassinato senza aver potuto metter pie-

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de in Grecia, nella sua Storia dell’arte nell’antichità del1764, seppe per la prima volta delineare l’evoluzione sti-listica dell’arte antica, fornendo al contempo gli stru-menti critici per la comprensione dell’“essenza” e della“superiorità” dell’arte greca e contribuendo a dar vita aquel celebre movimento culturale noto come Neoclas-sicismo. Per Winckelmann «la libertà fu la fonte principaledella superiorità artistica. In ogni tempo la libertà ha avuto lasua sede in Grecia, anche accanto al trono dei re», una libertà,quella greca, che sarebbe stata ben presto ripristinataanche politicamente.

Venezia, Arsenale. Leone di provenienza greca

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La riscoperta dei valori estetici e culturali del mondoclassico, propagata in tutta Europa anche grazie agli effi-meri successi napoleonici, non ebbe soltanto esiti artisti-ci in opere come quelle di Canova, Thorvaldsen, David eIngres e, in campo letterario, del giovane Goethe, diRacine, Monti, e dell’italo-greco Foscolo, ma pose purele basi per quella rinascita della coscienza nazionale elle-nica che, fra il 1821 e il 1832, portò all’indipendenza daldominio turco, una indipendenza raggiunta grazie ancheal contributo e al sacrificio di intellettuali europei comeGeorge Gordon Byron (1788-1824). Episodi quali loscarso interesse destato dai marmi partenonici, trafugatiin Inghilterra dal conte di Elgin al principio del secolo erimasti a lungo invenduti, testimoniano tuttavia come,per effetto di riflessioni teoriche incentrate essenzial-mente su repliche che oggi sappiamo essere di età roma-na, fosse allora diffusa una visione ancora immatura del-l’arte greca. Il Risorgimento ellenico rese possibile col-mare tali lacune dando finalmente principio a quellariscoperta della Grecia interrottasi nel 1453 e facendo sìche, all’indomani dell’indipendenza, venisse fondato un“Servizio Archeologico” (1833) che aveva lo scopo ditutelarne le antichità secondo i dettami di una leggeappositamente varata nel 1834. Nel 1837 «per promuoverela scoperta, la conservazione e il restauro delle antichità in Gre-cia» A. Rangavis (1810-92) e K. Pittakis (1798-1864) fon-darono l’Arcaiologik» Etaire…a (Società archeologi-ca), alla quale ben presto aderirono numerosi studiosistranieri (fra i quali L. Ross, F. W. von Thiersch, E. Schau-

Il Risorgimento Greco

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bert, L. von Klenze, C. e T. Hansen) che contribuirono adare all’organizzazione una connotazione sopranazionaleche del resto ben si attagliava a uno stato retto da unmonarca bavarese, Ottone di Wittelsbach. L’internaziona-lità culturale della Grecia venne poi ulteriormente riba-dita dal succedersi delle fondazioni di Scuole archeologi-che straniere che dettero inizio a scavi e imprese scienti-fiche di primaria importanza dalle quali gli stati promo-tori, coincidenti non a caso con le maggiori potenze del-l’epoca, traevano non poco lustro, finendo spesso col tra-sporre su di un piano culturale quelle competizioni equelle tensioni che animavano gli scenari politici con-temporanei. Nell’arco di un cinquantennio si susseguiro-

L. Dupré, Il Console francese Fauvel ad Atene (1819). Litografia da L. Dupré,Voyage d’Athènes à Constantinople, Paris 1825

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no l’istituzione della scuola francese (nel 1846, che vantada allora sino a oggi scavi in numerosi siti fra i quali Delo,Delfi, Argo, Thasos, Filippi e Malia), di quella tedesca(inaugurata il 12 Dicembre del 1874, data di nascita diWinckelmann, con scavi a Olimpia, Tirinto, Atene eSamo), americana (1882; Corinto, Agorà di Atene, Olin-to, Samotracia, Istmia, Heraion di Argo, Sicione, Nemea eLerna), inglese (1886; Phylakopi, Cnosso, Praisos, Zakros,Sparta, Perachora, Lefkandi) e austro-ungarica (oggiaustriaca, fondata nel 1898; con scavi a Lousoi, Elis,Aigeira ed Egina).

Le vicende risorgimentali fecero sì che per lungo tempola nostra Nazione rimanesse esclusa da tale competizionesebbene, per tradizione e per consonanza storica e cultu-rale, fosse più delle altre votata a traguardare il suo passa-to attraverso quello greco. I primi timidi passi dell’ar-cheologia italiana in Grecia vennero mossi da un giova-ne palermitano, Antonino Salinas (1841-1914), il qualeall’età di 22 anni, dopo un soggiorno annuale di studipresso le Università di Berlino e Vienna finanziato dalMinistero della Pubblica Istruzione (retto dallo storico eorientalista Michele Amari, 1806-1889, suo conterraneoed estimatore), nell’Aprile del 1863, sempre a spese delloStato e su impulso dell’ambasciatore e patriota italianoTerenzio Mamiani, venne inviato in Grecia per perfezio-narsi negli studi archeologici, nei quali eccelleva sin da

I primi passi dell’archeologia italiana in Grecia e la Scuola di Archeologia

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tenera età, in primo luogo come numismatico. Ad AteneSalinas, insieme all’architetto Seveso, fu il principale testi-mone degli scavi condotti da alcuni contadini presso lachiesa dell’Aghia Triàs, sul sito dell’antica necropoli delCeramico (che precedettero di un cinquantennio quellitedeschi iniziati nel 1913), di cui fornì una dettagliatadescrizione nell’Agosto di quello stesso anno; in essa egliebbe modo di rivelare come, in brevissimo tempo, avesseacquisito una compiuta conoscenza delle problematichetopografiche dell’antica Atene, riuscendo a fornire unainterpretazione e un inquadramento storico-artisticopuntuale dei monumenti rinvenuti in tale occasione, fra iquali spicca la celebre stele funeraria di Dexileos (foto apag. 24). L’esperienza di scavo ateniese fu la sola che ilSalinas condusse al di fuori della Sicilia, tuttavia essa destòin lui impressioni vivide che meritano di essere riportatecon le sue stesse parole: «Bisogna aver veduto quel cielo di unazzurro che inebria gli occhi; bisogna aver veduto quella luce, pergiudicare delle cagioni che movevano e informavano la plastica ela pittura greca; e più che in ogni descrizione antica, il caratteregentile e ridente degli antichi greci puoi comprendere allora che,seduto sulla soglia sacra del Partenone, consideri il quadro incan-tevole che si presenta ristretto fra quelle colonne di candido mar-mo, in cui, sotto l’azzurro del cielo, risplende quel mare che hacolore infocato come vino, ed in esso paiono nuotare Salamina edEgina; e da lunge, per la meravigliosa trasparenza dell’aere, vedii monti di Cillene e l’istmo di Corinto».La consapevolezza che l’arte greca poteva essere compre-sa, in primo luogo, attraverso una osservazione direttache integrasse l’arido studio teorico («l’archeologia si impa-ra con gli occhi e non con l’udito» scriveva il 18-VIII-1869 il

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celebre archeologo Giuseppe Fiorelli al Villari) incorag-giò l’istituzione, con Regio Decreto del 28-III-1875(formalizzata il 5-III-1876 con un altro decreto che nestabiliva le norme e ne bandiva il concorso), di una Scuo-la Italiana di Archeologia che prevedeva tre anni di appren-distato equamente ripartiti fra Roma, Pompei e Atene esi sostituiva alla Scuola di Archeologia fondata da Fiorellinel 1866, la quale era incentrata sulla sola città vesuviana.A volerla, oltre al Fiorelli posto nel 1875 a capo dellaneo-istituita Direzione centrale degli scavi e dei Musei delRegno, fu il Ministro Ruggero Bonghi (1826-1895) che,per la sua formazione filologica e storica, fu particolar-mente propenso a favorire lo studio e la tutela delle anti-chità. A trarre beneficio da questa nuova atmosfera cultu-

Atene, Ceramico. Veduta della via sepolcrale con a sinistra, in primo piano, lacopia della stele di Dexileos

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rale fu Edoardo Brizio (1846-1907), ex-allievo dellaScuola pompeiana, il quale, con una borsa di studio mini-steriale, venne inviato in Grecia fra la fine del 1874 e laprimavera del 1875 e divenne subito dopo, dalla presti-giosa cattedra di Archeologia dell’università di Bolognaottenuta nel 1876, uno dei protagonisti del dibattitoscientifico sulle origini degli Italici e degli Etruschi alquale, grazie alla sua esperienza diretta nell’Egeo, avrebbeapportato nuovi significativi argomenti.Col 1877 una nuova generazione di archeologi (fra iquali figurano nomi del calibro di L. Viola, L. A. Milani eG. Ghirardini) cominciò, con una certa regolarità, a esse-re inviata in Grecia dove, nonostante i pochi mezzi e l’as-senza di una sede li costringessero a valersi dell’ospitalità

Frontespizi dei Regi Decreti del 28-III-1875 (sx) e del 5-III-1876 (dx)

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degli altri istituti, poté compiere la sua regolare forma-zione propagandone i frutti in Italia. Mancava tuttaviaun’impresa sul campo che recasse allo Stato quel lustroche le altre potenze avevano cominciato a conseguirecon i loro scavi.

L’impresa riuscì a un giovane di Rovereto, FedericoHalbherr (1857-1930), il quale, paradossalmente, nel1876-77 non aveva potuto partecipare al concorso per laScuola in quanto cittadino austriaco. Laureatosi pressol’Università di Roma nel 1880 in Storia Antica con J.Beloch (con risultati giudicati non troppo “brillanti”: 25punti su 27), Halbherr nel 1881 si era poi trasferito aFirenze per perfezionarsi (questa volta a pieni voti) nellafilologia presso l’Istituto di studi superiori dove lo avevaattratto la fama di Domenico Comparetti (1835-1927),titolare dal 1872 della cattedra di Letteratura greca, unanotorietà che a breve si sarebbe ulteriormente consolida-ta proprio grazie all’incontro con il suo giovane discepo-lo. Comparetti, instradato Halbherr verso gli studi epi-grafici, nel Marzo del 1883 riuscì a fargli assegnare unsussidio ministeriale che gli permise di frequentare «uncorso di epigrafia greca all’università di Atene» col prof. Mylo-nas e di condurre ricerche di epigrafi nelle Cicladi e visi-te di studio in diverse località del Peloponneso, facendodell’allievo la sua longa manus in Grecia. Fu proprio suincarico e con finanziamenti forniti in parte dal Maestroche Halbherr raggiunse per la prima volta Creta il 9 Giu-

Comparetti, Halbherr e l’“impresa” cretese

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gno del 1884. Lo scopo della missione era sempre quellodi andare “a caccia” di epigrafi inedite e, in particolare diiscrizioni arcaiche a carattere legislativo, argomento allo-ra particolarmente a cuore al Comparetti in seguito allascoperta, nel 1882, durante i restauri della Basilica di SanMarco a Venezia, di una iscrizione cretese, rinvenuta nel1620 e dispersa poco tempo dopo, e a quella della tra-scrizione di un’epigrafe affine rinvenuta a Oaxos, conte-nuta nella Descrittione dell’Isola di Creta (1577) di Fran-cesco Barozzi (1537-1604) conservata manoscritta nelMuseo Correr. Partendo da tali indizi Halbherr, con l’a-bilità del segugio, alla fine di Agosto del 1884 in localitàAghioi Deka (un tempo sede di Gortyna, capitale romanadell’isola), individuò quello che ancora oggi è considera-to «il più insigne complesso di leggi scritte che l’antica Grecia ciabbia finora tramandato», come scrisse Margherita Guar-ducci, «la regina di tutte le epigrafi greche», secondo la defi-nizione datane dal Comparetti nel 1893: il celebre codi-ce gortinio, un lungo complesso di norme incise, conandamento bustrofedico, fra il 480 e il 460 a.C., su bloc-chi di marmo poi riutilizzati per la costruzione di unedificio pubblico nel I sec. a.C.La scoperta, divulgata con una rapidità e una accuratezzache oggi meravigliano, incoraggiò ulteriormente lericerche di Halbherr (divenuto nel 1885 cittadino italia-no) che allargò i suoi interessi dall’epigrafia alla ricercatopografica, una scelta, questa, che venne subito coronatanel 1885 dalla scoperta, dallo scavo (per incarico e a spe-se del Syllogos di Candia, J. Chatzidakis) e dall’edizione -quest’ultima in collaborazione con il suo conterraneoPaolo Orsi (1859-1935) - dell’Antro Ideo, luogo di cultolegato all’infanzia di Zeus, nel quale venne individuato

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uno straordinario deposito votivo di età compresa fral’VIII e il VII sec. a.C.Le scoperte citate, insieme a diverse altre che per brevitàsi omettono, attribuirono fama scientifica ai loro prota-gonisti (Halbherr conseguì nel 1887 la cattedra di Epi-grafia greca presso l’Università di Roma), ma sul pianopolitico non portarono all’auspicata creazione di una isti-tuzione italiana stabile, col rischio concreto che l’Italiaperdesse il primato anche nell’archeologia cretese, dovel’iniziativa di personaggi del calibro di Schliemann (cheprogettava l’acquisto dell’intera collina di Cnosso) o dimissioni scientifiche di altre nazioni era stata, fino adallora, frenata dal diniego di permessi di scavo delle auto-rità turche. La scuola archeologica, riformata nel 1888,continuò a inviare gli allievi del terzo anno in Grecia ma,

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Iraklion 1900. Da sinistra: L. Savignoni, J. Chatzidakis, M. Iliakis, F.Halbherr, Z. Iliakis, G. De Sanctis (Arch. SAIA 15958)

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solo grazie ai consistenti finanziamenti concessi dall’Ar-chaeological Institute of America a Halbherr, reduce da unciclo di lezioni tenute negli Stati Uniti fra il 1892-93, fupossibile avviare un progetto di ricognizione sistematicadella parte centro-orientale dell’isola; esso portò, fra lealtre cose, all’individuazione e allo scavo di siti comeErganos, Kourtes, Psichrò, Patsos e Praisos i cui risultativennero editi rapidamente, fra il 1896 e il 1901, nell’A-merican Journal of Archaeology e nei Monumenti Antichi deiLincei a opera dello stesso Halbherr e di un esiguo mani-polo di giovani ex-allievi come L. Mariani (1865-1924),A. Taramelli (1869-1939), L. Savignoni (1864-1918) e G.De Sanctis (1870-1957), tutti destinati a breve a una bril-lante carriera.

Le insurrezioni e i massacri che insanguinarono l’isolanel 1896-97 e la portarono a una parziale autonomiasotto la tutela internazionale e la guida del principeGiorgio di Grecia (1898) se, da un lato, interrupperomomentaneamente le ricerche archeologiche, dall’altro,posero le premesse politiche per la creazione della Mis-sione archeologica italiana di Creta. Quest’ultima nac-que grazie all’interessamento dell’ammiraglio FeliceNapoleone Canevaro (1838-1926), passato dal coman-do della flotta alleata a Candia al Ministero degli Esteri,e all’impegno del paletnologo Luigi Pigorini (1842-1925) che, in qualità di presidente della Regia Scuola Ita-liana di Archeologia (riformata e aggregata all’Università

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Dall’istituzione della Missione Cretese (1899)alla fondazione della Scuola di Atene (1910)

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di Roma nel 1896), ne aveva proposto la fondazione alMinistro Baccelli sin dal 20 Gennaio 1899 ed era riu-scito a far sì che essa rimanesse sotto l’egida dell’istitu-zione da lui retta, affidandone la direzione allo stessoHalbherr. I primi allievi giunsero a Creta il 2 Giugno diquello stesso anno, dando inizio a una serie di impreseche avrebbero dato lustro all’archeologia italiana per idecenni a venire come lo scavo del Palazzo minoico diFestòs (affidato fin dall’inizio a Luigi Pernier, 1874-1937, futuro primo Direttore della Scuola Archeologicadi Atene), principiato nel 1900 in concomitanza conquello inglese di Cnosso e protrattosi con alcuni inter-valli per tutto il XX secolo, o le esplorazioni dello stan-ziamento minoico di Haghia Triada (1902) e della roc-caforte di Priniàs (1906) che portò alla scoperta, fra lealtre cose, di due templi protoarcaici con cicli scultoreitardo-dedalici risalenti alla fine del VII secolo a.C. Nel-lo stesso lasso di tempo l’allievo Giuseppe Gerola(1877-1938) si dedicava alla ricognizione sistematicadei monumenti della dominazione veneta dell’isola cheavrebbe poi pubblicato in quattro volumi fra il 1905 e il1932 ripagando, per così dire, Venezia per il contributoche indirettamente aveva dato all’avvio dell’impresa diComparetti e Halbherr. I successi conseguiti dagli Italiani a Creta incoraggiaro-no sempre di più la creazione di una Scuola archeologi-ca italiana ad Atene sul modello di quelle straniere datempo ivi operanti, una esigenza che, come spesso acca-de, non aveva solo moventi scientifici ma era il risultatodiretto delle mutate condizioni politiche che offrivanoall’Italia l’occasione di manifestare le sue ambizioni

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espansionistiche nel Mediterraneo orientale (poi con-cretizzatesi a scapito del dominio turco con l’annessio-ne della Tripolitania, della Cirenaica, di Rodi e delDodecaneso fra il 1911 e il 1912). La visita di Stato

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E. Ximenes e R. Salvadori: la visita di Vittorio Emanuele III al Museo Archeo-logico di Atene nell’Aprile del 1907

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effettuata dal Re Vittorio Emanuele III in Grecia (fotoa pag.31) dette in un certo senso una veste formale a talipropositi la cui realizzazione, almeno per quel cheriguarda la Scuola Archeologica di Atene, si concretizzòsulla carta con Regio Decreto del 9 Maggio del 1909 e,sul terreno, con l’inaugurazione alla presenza del ReGiorgio I della Palazzina in Odòs Sina, prima sede del-l’Istituto, il 7 Aprile del 1910, lo stesso giorno in cuiCiriaco d’Ancona aveva posto piede ad Atene per laprima volta.

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* Valentino Nizzo è Dottore di Ricerca in Archeologia-Etruscologia presso la “Sapienza”-Università diRoma; borsista post-doc presso l’Istituto Italiano diScienze Umane di Firenze.

Per contattarlo scrivere a: [email protected]

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Bibliografia Essenziale

Sulle tematiche trattate in questa sede si vedano ingenerale: AA.VV, Creta antica. Cento anni di archeologia italiana(1884-1984), Roma 1984.SETTIS 1984-86: S. SETTIS (cur.), Memoria dell’anticonell’arte italiana, voll. I-III, Torino 1984-86A. Schnapp, La conquista del passato. Alle origini dell’ar-cheologia, Milano 1994M. Barbanera, L’archeologia degli italiani, Roma 1998Su Ciriaco d’Ancona:G. B. De Rossi, Inscriptiones christianae urbis Romae sep-timo saeculo antiquiores, Roma 1888, vol. II, parte I, pp.356-387C. R. Chiarlo, “Gli fragmenti dilla sancta antiquitate: stu-di antiquari e produzione delle immagini da Ciriacod’Ancona a Francesco Colonna”, in SETTIS 1984-86,v. I, pp. 271-302C. Ampolo, “Per una storia delle storie greche”, in S.Settis (cur.), I Greci. I, Noi e i Greci, Torino 1996, pp.1015-1088G. Paci, S. Sconocchia (cur.), Ciriaco d’Ancona e la cul-tura antiquaria dell’Umanesimo, atti del convegno, Reg-gio Emilia 1998G. A. Possedoni (cur.), Ciriaco d’Ancona e il suo tempo,Ancona 2002Sul collezionismo veneziano:V. Galliazzo, I cavalli di San Marco, Treviso 1981M. Greenhalgh, “Ipsa ruina docet: l’uso dell’antico nelMedioevo”, in SETTIS 1984-86, v. I, pp. 115-167I. Favaretto, Arte antica e cultura antiquaria nelle collezio-ni venete al tempo della Serenissima, Roma 1990G.L. Ravagnan, I. Favaretto (cur.), Lo Statuario pubblicodella Serenissima. Due secoli di collezionismo di antichità.1596-1797, Cittadella 1997

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Sul Risorgimento greco e la riscoperta dell’arte classicaC. Spetsieri Beschi, E. Lucarelli (cur.), Risorgimento gre-co e filellenismo italiano, Roma 1986 L. Beschi, “La scoperta dell’arte greca”, in SETTIS1984-86, v. III, pp. 293-372Sull’archeologia ottocentesca in GreciaR. Etienne (cur.), Les Politiques de l’Archéologie duMilieu du XIX à l’Orée du XXI, Atene 2000E. Korka et al. (cur.), Foreign Archaeological Schools inGreece, 160 Years, Atene 2006Sui primordi dell’archeologia italiana in Grecianell’800Su A. Salinas cfr. l’introduzione di V. Tusa ad A. Salinas,Scritti scelti, Palermo 1976, opera in cui è inclusa anchela ristampa di A. Salinas, A. Seveso, I monumenti sepol-crali scoperti nei mesi di maggio, giugno e luglio 1863, pres-so la chiesa della Santa trinità in Atene, Torino 1863G. Cravero, A. Dore (cur.), Edoardo Brizio, 1846-1907:un pioniere dell’archeologia nella nuova Italia, Bra 2007Sulla storia e gli scavi della Scuola Archeologica diAteneV. La Rosa (cur.), L’archeologia italiana nel Mediterraneofino alla seconda guerra mondiale, Catania 1986M. Petricioli, Archeologia e Mare Nostrum. Le missioniarcheologiche nella politica mediterranea dell’Italia 1898-1943, Roma 1990M. G. Marzi (cur.), Domenico Comparetti tra antichità earcheologia, individualità di una biblioteca, Firenze 1999AA.VV., La figura e l’opera di Federico Halbherr, Atti delConvegno di Studi, Rovereto 2000 («Creta Antica» I),Padova 2000AA.VV., I cento anni dello scavo di Festòs, Atti dei Con-vegni Lincei 173, Roma 2001E. Greco, A. Benvenuti, Scavando nel passato. 120 anni diarcheologia italiana in Grecia, Atene 2005E. Fiandra, E. Mangani (cur.), Neolitico a Festòs, edizio-ni CIRAAS 2009

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