n°III 08/03/2018 ilC OSMO...un calo di quella maschile (-0,1%). Il tasso di occupazione, per le...

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L’Editoriale Sul nostro giornale, uno speciale dedicato alle libero professioniste che ce l’hanno fatta. Anche nello Sport L’Istat rivela: quote rosa meglio degli uomini. In Europa guidano Spagna e Paesi Bassi. Cresce il part-time Dal 1998 al 2016 si sono fatti dei passi in avanti nel diva- rio di genere nel mondo del lavoro? La risposta è sì, ana- lizzando grafici e dati dell’indagine sulle forze di lavoro dell’Unione Europea. C’è stato infatti un appiattimento, ossia le donne hanno avvicinato gli uomini per numero di forze lavoro. Soprattutto Spagna e Paesi Bassi hanno lavorato per le donne, ma nella maggior parte dei casi è proprio la crescita dei tassi di occupazione femminile ad aver ridotto il divario con i maschi. un universo di notizie SMO C il O www.il-cosmo.com La festa della donna dura tutto l’anno assicurare la discendenza mi- gliore. Si grida tanto alla pari- tà dei sessi e all’uguaglianza: è davvero così? Le femmine, nel 2018, hanno gli stessi diritti dei maschi? A guardare i numeri occupazionali e non sembre- rebbe di sì. Eppure i femmini- cidi sono in crescita così come le violenze domestiche; una donna in carriera occupa quel- la sedia solo perché è carina (e quindi ha fatto favori al capo) e le quote rosa vengono rispet- tate alla ben e meglio. Auguri a noi, dunque, signore: nel ce- lebrare, però, il nostro “giorno” ricordiamoci per cosa abbiamo lottato e non per uscire una sera in discoteca. Quello pos- siamo farlo tranquillamente ogni weekend. Mimose accanto ad una cande- la profumata a fare da segnapo- sto sulla tavola imbandita, fusti marmorei sul palcoscenico del locale rivestiti solo da un minu- scolo tanga e fiumi di vino eco- nomico nei calici. Otto marzo è spesso, purtroppo, sinonimo di caciara, di “libera” uscita al femminile quando anche la di- gnità, a volte, si può lasciare tra le mura di casa perché tanto è l’8 marzo. “Festa della donna”, appunto. Ha senso festeggiare una donna, oggi, per un solo giorno all’anno? Gli altri 364 del calendario non valgono? Forse il significato di questa ricorrenza, per attribuirgliene ancora in un secolo dove la sua accezione è diventata tutt’altro, andrebbe ricercato ai suoi al- bori. Quando le donne erano ritenute solo delle madri, del- le nutrici della progenie futura ed i loro diritti erano quelli di trovarsi un “brav’uomo” a cui Intervista Rosanna Cavoli arbitro sul campo e nella vita di Deborah Villarboito pag. 16 Il Cmo in cucina Farfalle risottate alla Vodka di Chiara Bellardone pag. 12/13 Eventi Film, mostre ed eventi da non perdere! continua 2 Michela Trada n°III 08/03/2018 In fase di registrazione presso il tribunale di Vercelli Editore: il Cosmo SRL via degli Oldoni 14, Vercelli. Direttore responsabile: Michela Trada www.cooperativacolibri.com visita il sito: Assistenza domiciliare e casa famiglia per anziani autosufficienti In Italia l’impresa è donna: a gennaio il record di occupazione femminile Politica Dopo il voto, tutto fermo. E il Web si scatena.... Di Bodo e Bianchi pag. 6/7 Video intervista La parola ai milanesi, unico feudo del PD Di Sara Brasacchio pag. 6 Intervista Paola Monferrato e il suo dolce che infonde nuova vita Di Sabrina Falanga pag. 3 Rubrica Una serie a settimana, ecco Traveles Di Sara Brasacchio pag.11 Sport La storia di Tessa e i suoi vent’anni di pallone Di Deborah Villarboito pag.15

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L’Editoriale

Sul nostro giornale, uno speciale dedicato alle libero professioniste che ce l’hanno fatta. Anche nello Sport

L’Istat rivela: quote rosa meglio degli uomini. In Europa guidano Spagna e Paesi Bassi. Cresce il part-time

Dal 1998 al 2016 si sono fatti dei passi in avanti nel diva-rio di genere nel mondo del lavoro? La risposta è sì, ana-lizzando grafici e dati dell’indagine sulle forze di lavoro dell’Unione Europea. C’è stato infatti un appiattimento, ossia le donne hanno avvicinato gli uomini per numero di forze lavoro. Soprattutto Spagna e Paesi Bassi hanno lavorato per le donne, ma nella maggior parte dei casi è proprio la crescita dei tassi di occupazione femminile ad aver ridotto il divario con i maschi.

un universo di notizieSMOCil O

www.il-cosmo.com

La festa della donna dura tutto l’anno

assicurare la discendenza mi-gliore. Si grida tanto alla pari-tà dei sessi e all’uguaglianza: è davvero così? Le femmine, nel 2018, hanno gli stessi diritti dei maschi? A guardare i numeri occupazionali e non sembre-rebbe di sì. Eppure i femmini-cidi sono in crescita così come le violenze domestiche; una donna in carriera occupa quel-la sedia solo perché è carina (e quindi ha fatto favori al capo) e le quote rosa vengono rispet-tate alla ben e meglio. Auguri a noi, dunque, signore: nel ce-lebrare, però, il nostro “giorno” ricordiamoci per cosa abbiamo lottato e non per uscire una sera in discoteca. Quello pos-siamo farlo tranquillamente ogni weekend.

Mimose accanto ad una cande-la profumata a fare da segnapo-sto sulla tavola imbandita, fusti marmorei sul palcoscenico del locale rivestiti solo da un minu-scolo tanga e fiumi di vino eco-nomico nei calici. Otto marzo è spesso, purtroppo, sinonimo di caciara, di “libera” uscita al femminile quando anche la di-gnità, a volte, si può lasciare tra le mura di casa perché tanto è l’8 marzo. “Festa della donna”, appunto. Ha senso festeggiare una donna, oggi, per un solo giorno all’anno? Gli altri 364 del calendario non valgono? Forse il significato di questa ricorrenza, per attribuirgliene ancora in un secolo dove la sua accezione è diventata tutt’altro, andrebbe ricercato ai suoi al-bori. Quando le donne erano ritenute solo delle madri, del-le nutrici della progenie futura ed i loro diritti erano quelli di trovarsi un “brav’uomo” a cui

IntervistaRosanna Cavoli

arbitro sul campo e nella vita

di Deborah Villarboito pag. 16

Il Cosmo in cucina

Farfallerisottate alla

Vodkadi Chiara Bellardone pag. 12/13

EventiFilm, mostre ed eventi danon perdere!

continua 2

Michela Trada

n°III 08/03/2018

In fase di registrazione presso il tribunale di VercelliEditore: il Cosmo SRL via degli Oldoni 14, Vercelli. Direttore responsabile: Michela Trada

www.cooperativacolibri.comvisita il sito:

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In Italia l’impresa è donna: a gennaio il record di occupazione femminile

PoliticaDopo il voto, tutto fermo. E il Web si scatena....

Di Bodo e Bianchi pag. 6/7

Video intervistaLa parola ai milanesi, unico feudo del PD

Di Sara Brasacchio pag. 6

IntervistaPaola Monferrato

e il suo dolce che infonde nuova vita

Di Sabrina Falanga pag. 3

RubricaUna serie a settimana,

ecco Traveles

Di Sara Brasacchio pag.11

SportLa storia di

Tessa e i suoivent’anni di pallone

Di Deborah Villarboito pag.15

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Grecia e Cipro fanno storia e hanno una storia diversa: qui, infatti, il divario è sceso perché sono calati i tassi di oc-cupazione per gli uomini. In altri Paesi dell’Ue, invece, le condizioni non sono cambiate, ossia maschi e femmine han-no guadagnato posti di lavoro allo stesso ritmo. È il caso della Repubblica Ceca: 19,1 punti percentuali di differenza nel 1998, 16 nel 2016; 2,9 punti percentuali nel 1998 e 3,8 nel 2016 in Svezia.Divario di genere dunque in discesa, ma ancora tassi di occupazione più bassi per le donne rispetto agli uomini, con le uniche eccezioni rappresentate, nel 2010, da Lettonia e Lituania, in seguito a un forte calo dei tassi tra gli uomini e un calo molto più piccolo tra le don-ne. Nel 2016, nell’Ue-28, poco meno di un terzo delle donne occupate di età compresa tra i 20 e i 64 anni (31,4%) lavorava con un part-time. Addirittura quattro volte circa gli uomini (8,2% a

tempo parziale). Nei Paesi Bassi, sem-pre nel 2016, il 74,8% delle donne ave-va un lavoro a tempo parziale: si tratta della percentuale più elevata negli Stati membri dell’Ue. Ma il lavoro part-time femminile, tra il 1993 e il 2016, è netta-mente cresciuto anche in Italia, in Ger-mania, in Irlanda e in Austria. È calato in Islanda.Ora stringiamo il focus sull’Italia, con dati anche più recenti grazie all’Istat. A gennaio del 2018 è stato registrato in-fatti il record per il tasso di occupazione femminile, 40,3%. Non eravamo mai ar-rivati a un dato così elevato. A gennaio, l’aumento dell’occupazione nel nostro Paese è stato traghettato proprio dalla componente femminile (+0,4%) contro un calo di quella maschile (-0,1%). Il tasso di occupazione, per le donne tra i 15 e i 64 anni, è salito al 49,3% (+0,2%). Il calo degli inattivi, sempre nella stessa fascia d’età, ha riguardato di nuovo pre-

valentemente le ‘quote rosa’ (-0,9%). Il tasso di inattività femminile è sceso al 43,7% (-0,4%).

Notizie positive, dunque, in parte però cancellate dal fatto che ad aumenta-re sono stati soprattutto i contratti a termine. Secondo l’Istat, in totale, i 2.916.000 lavoratori a tempo determi-nato (tra uomini e donne) sono il record di sempre. È poi aumentata la disoccu-pazione (+2,3%, +64 mila) dopo cinque mesi consecutivi di calo. E ha riguarda-to donne e uomini, distribuiti in tutte le fasce d’età.

di Alessandro Pignatelli

Le origini e il mito della Festa in rosaL’origine della Festa della Donna, più propriamente detta Giornata Internazionale della Donna, viene spesso associata a un evento tragico: la morte di ol-tre un centinaio di donne nel rogo di una fabbrica a New York. Secondo la maggior parte delle versioni, la tragedia si sarebbe consumata nel 1908. Sarebbe stato lo stesso proprietario della fabbrica ad appic-care il fuoco, dopo avere chiuso dentro le operaie durante uno sciopero. Fortunatamente, si tratta di una “bufala”: non è mai successo. È invece triste-mente vera una storia simile, ma non uguale: quel-la dell’incendio della fabbrica Triangle. Avvenne il 25 marzo 1911 e costò la vita a 146 persone, di cui 123 erano donne, soprattutto giovani immigrate, in gran parte italiane. Pare, peraltro, che effettivamen-te gli operai fossero stati chiusi dentro la fabbrica. Probabilmente, dunque, una delle più note “bufale” legate all’8 marzo attinge parzialmente a una sto-

ria vera. Eppure, anche se la tragedia accese final-mente i riflettori sul tema della sicurezza sul lavoro, neanch’essa ebbe qualcosa a che vedere con la na-scita della Giornata Internazionale della Donna.In realtà, non esiste un’univoca data di istituzione di questa ricorrenza, che per anni venne festeggiata con nomi e obiettivi analoghi, ma date diverse nei vari paesi del mondo. Sicuramente, uno dei primi ambiti in cui prese forma l’idea fu un congresso del Partito Socialista statunitense tenuto a Chicago nel 1908. Inizialmente, si trattava di una giornata di rivendicazione del diritto di voto per le donne e veniva celebrata verso la fine di febbraio. In breve tempo la Giornata fu istituita anche in Europa, con scopi simili, ma le varie nazioni scelsero date diver-se, legate ad avvenimenti della loro storia.La prima guerra mondiale interruppe per qualche anno le celebrazioni. L’8 marzo 1917, a San Pie-

troburgo, una manifestazione al femminile diede il via alla Rivoluzione Russa. Solo nel 1921, però, la seconda Conferenza internazionale delle donne comuniste sancì l’8 marzo come “Giornata inter-nazionale dell’operaia”. In Italia fu festeggiata l’an-no successivo, su volere del Partito Comunista: era però il 12 marzo, domenica successiva all’8. Il rico-noscimento ufficiale dell’Onu arrivò solo nel 1977.Oggi, uno dei simboli più tipici della Giornata è rappresentato dalla mimosa. Il fiore giallo, però, apparve solo nel 1946. A ergerlo a simbolo furo-no Teresa Mattei, Rita Montagnana e Teresa Noce, esponenti politiche di sinistra: la mimosa, infatti, fioriva proprio in quel periodo ed è un fiore sem-plice ed economico. All’inizio degli anni cinquanta, distribuire mimose era considerato un gesto pres-soché rivoluzionario.

di Fabiana Bianchi

Speciale 8 MarzoIl nostro modo per celebrare le donneè dare loro la possibilità di raccontare le loro storie

Attualità

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Questa è una di quelle storie che sembrano con-fermare l’inesistenza del caso. Capita a tutti, pri-ma o poi. Una volta almeno, nella vita. Capita di trovarsi in situazioni che mostrano il senso di qualcosa che, fino a quel momento, non si era percepito: avviene un piccolo miracolo, in cui si avverte la chiusura di quei cerchi che parevano non avere una ragione. Che somigliavano, ap-punto, al caso. E che, invece, caso non sono.È la storia di un dolce, che nasce per quella che in apparenza era una semplice esigenza pratica e che ha acquisito, poi, un significato che va oltre la materialità della vita: è il Dolce di San Giovanni, chiamato così proprio in onore del Santo a cui è dedicato.A dare vita alla torta è stata Paola Monferrato, attraversando un percorso personale e professio-nale che – dicevamo – l’ha portata in una direzio-ne diversa da quella che si aspettava. Paola, per lavoro, aiuta le aziende a trovare soluzioni valide e alternative agli eventuali problemi in cui un’im-presa può incorrere. Il dolce nasce così, dall’esi-genza di trovare una soluzione al problema della ‘stagionalità’ di alcune aziende: «Ci sono alcune ditte produttrici di dolci che lavorano solo in cer-ti periodi dell’anno: Natale e Pasqua, ad esempio. Ho quindi pensato – racconta Paola – a quale sa-rebbe potuta essere la soluzione per fare vendite anche durante il periodo estivo». Da qui nasce l’ispirazione: Paola prende come riferimento il 24 giugno, festa di San Giovanni Battista, pen-sando dunque a quale potrebbe essere un dolce adatto al periodo. Scopre, poi, che il Santo non è festeggiato solo nella sua città, Torino, ma anche in altre grandi città d’Italia: «Questa scoperta mi ha fatto pensare che avrei dovuto, quindi, trovare una ricetta che contenesse in sé i sapori di diver-se parti d’Italia». È qui, allora, che inizia a rac-contare i dettagli del dolce: «Le nocciole, affinché ricordassero Torino; i limoni, perché riportasse-ro a Genova. E poi la mandorla, per Firenze. Un tripudio di gusti, insomma, in cui ognuno ha il privilegio di riconoscere se stesso e il suo territo-rio».Ma questa storia è molto di più. Non è solo una ricetta, non è solo il desiderio di creare un legame tra un cibo e una festa. È il bisogno di mandare un messaggio: «Quello della seconda possibilità. Della rinascita. Di una nuova vita». Ognuno la intende come vuole. Il concetto, però, è chiaro: ricordare che è concesso a tutti tornare a vivere dopo sofferenze, errori, traumi. Che è diritto di

tutti trovare e intraprendere un nuovo percorso, di pace per se stessi e di perdono per il passato.Paola, questa possibilità, se l’è data: in seguito a un grande trauma subìto quando aveva appena dieci anni, perde la memoria dell’episodio di cui ha iniziato a ricordarsi da adulta e inizia per lei un lungo lavoro di ritrovamento. Ritrovamento di se stessa e del suo equilibrio interiore. Ed è proprio così che nasce in lei l’esigenza di condividere con gli altri quella sua rinascita, quella capacità uma-na di staccarsi dalla parte sofferente del passato e iniziare a vedere quest’ultimo sotto una prospet-tiva diversa: perché se non possiamo modificar-lo, per lo meno possiamo iniziare a dialogarci in maniera differente. Concetti, questi, che – non a caso – si legano alla figura di San Giovanni che, come raccontato nella Bibbia, nelle acque del fiu-me Giordano battezzava in segno di purificazione dai peccati del passato e, appunto, ‘nuova vita’.I cerchi, insomma, iniziano a chiudersi. Uno per uno. Più i giorni passano e più Paola sente di star andando verso una direzione che non pensava ma che sa essere quella giusta. Ritrovata la for-za nelle braccia, Paola dà dunque vita al Dolce di San Giovanni, con una maniacale attenzione a ogni minimo dettaglio: «Volevo che i colori ri-cordassero la simbologia del Santo e che anche gli ingredienti fossero legati a lui, non solo al territorio. Ho deciso, ad esempio, di utilizzare il miele al posto dello zucchero perché secondo la storia, Giovanni Battista si nutriva di locuste e miele selvatico. All’interno del dolce, poi, ci sono ‘nascoste’ quattro amarene: le amarene, innan-zitutto, sono un dolce estivo e, in più, il numero scelto simboleggia i quattro cardinali che accom-pagnavano la figura religiosa. E la forma del dol-ce, infine: a conchiglia, come quella con cui San Giovanni ha battezzato Gesù».Ma, come dicevamo, il principio a cui Paola è più legata è quello di una ‘nuova vita’: non è quindi casuale che il dolce, consegnato su prenotazione, venga preparato con l’aiuto dei ragazzi del ‘Fer-ranti Aporti’, l’Istituto Penale per Minorenni di Torino: «Sono i volti di quei ragazzi a emozionar-mi più di qualunque altra cosa – dice Paola -: se sei attento al prossimo, ti accorgi di come il viso delle persone cambi mentre si dedicano a qual-cosa che le diverte, le appassiona, le coinvolge emotivamente. Anche questo, per me, è dare una seconda occasione: la più importante, forse, per questi ragazzi».

Ogni dolce confezionato, infine, contiene in sé una preghiera, un augurio: «Non ha a che vedere con una particolare fede o religione: anche chi è ateo può ‘pregare’. È quella che io definisco ‘pre-ghiera laica’. Chi prepara il dolce, lo fa pregando per la nuova vita di chi lo mangerà; a chi lo con-suma viene chiesto di pregare per la nuova vita di chi l’ha per lui composto. Infine, le offerte rac-colte sono devolute all’associazione che si occupa dei ragazzi detenuti e alle associazioni che seguo-no bambini in difficoltà».

Una positività, insomma, che vuole generare altra positività: una catena di possibilità che racconta dei viaggi immensi che fa la vita per mandarti i messaggi di cui necessiti. Sempre, puntuale. Una positività che unisce esistenze, popoli, persone. Che lo fa attraverso la sensorialità di profumi, sapori e consistenze che raccontano di vite che si intrecciano e di ragioni che danno nuove spe-ranze. Perché del giorno della nostra nascita non ricordiamo nulla, ma abbiamo ricevuto in regalo la possibilità di ricordare quello della nostra ri-nascita: e di costruirlo, con la consapevolezza che sarà della nostra stessa immagine e somiglianza.

di Sabrina Falanga

Paola e il dolce di San Giovanni per ridare speranza

Roberta Razzano, inventa e augura: “Donne, realizzare i vostri sogni”Possiamo definirla una donna scienziata? Proba-bilmente sì perché Roberta Razzano da Parma ha letteralmente inventato una nuova figura professio-nale: “Sono una designer e una ricercatrice univer-sitaria. Una fashion and food designer. Negli ultimi anni ho approfondito gli aspetti multisensoriali del design, non limitandomi alle pure caratteristiche visive. Faccio ricerca su strutture tessili innovative e sull’estetica del cibo e spesso fondo le due cose. Ho creato un po’ di tutto: dai tessuti commestibili agli abiti colorati con alimenti, ai drink non new-toniani. La mia base è effettivamente a Parma, in due laboratori dell’università., ma il mio lavoro mi porta un po’ ovunque”.Ha coronato il suo sogno da bambina, Roberta, e ora marcia spedita: “Ma più che scegliermi la pro-fessione, me la sono inventata. Ho creato una figu-ra professionale che in realtà non esisteva quando ho iniziato a studiare”. Le difficoltà sono nel trovare persone che vogliano aiutarla nella sua visione la-vorativa: “Non è facile trovare assistenti appassio-nati e perseveranti. I giovani soprattutto cercano il risultato rapido. Figurati che ho trascorso un anno da un vecchio maestro giapponese che mi faceva ripetere gli stessi gesti centinaia di volte, per inse-

gnarmi i segreti delle antiche tinture tessili”.L’8 marzo che cos’è oggi? “Poteva essere un’occasio-ne interessante, ma spesso diventa una manifesta-zione di superficialità ed esteriorità”. Roberta non è tra le donne che hanno subito approcci troppo spinti da parte degli uomini, né nella vita né sul la-voro: “Fortunatamente”. Non è per la parità a tutti i costi: “Ci sono limiti intrinseci alla parità. Uomo e donna sono due entità profondamente diverse in fin dei conti. Forse abbiamo raggiunto la parità di diritti, ma non vedo possibile una parità assoluta di ruoli”.L’augurio per tutte le donne del mondo, però, c’è eccome: “Che possano realizzare i loro sogni sen-za ricorrere a compromessi”. Tu sei una donna di successo? “Più che altro mi ritengo una donna for-tunata. La parola successo in sé, per me, non ha molta attrattiva. Quello che conta non è il giudizio che ricevi dagli altri, ma continuare a fare ciò che ho sempre sognato”.L’augurio, da aggiungere, è dunque che tutte le don-ne possano dirsi non tanto persone di successo, ma fortunate. Perché sono e si sentono realizzate nel-la vita e nel lavoro che svolgono. Per informazioni maggiori sulla ricetta giusta non si può non chie-

dere a Roberta Razzano. Donna che proprio spe-rimentando, mixando quantità, ha ottenuto oggi prodotti assolutamente unici nel loro genere.

di Alessandro Pignatelli

Attualità

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AttualitàCamilla Rocca, l’esperta di food&beverage: “Indipendenza economica per scoprire quella spirituale”

Lisa Dalla Via, dal teatro al burlesque: “Sul palco tutta la vita”

Il settore food&beverage negli ultimi tempi è diventato predominante, in Italia ma non solo. E una delle protagonista della scena nazionale è Camilla Rocca, che si occupa di uffici stampa e social media management per diversi locali della penisola.“Vivo a Milano da sei anni e scrivo anche per diverse testate, come freelance, sia di settore che nazionali, di food e di beauty. Tra queste, Il Sole 24 Ore, Il Giornale, Repubblica, Man in Town. Mi occupo, poi, della redazione di libri come l’ultimo di ricette dello chef Sadler, edito da Giunti. Per finire, organizzo eventi di setto-re, in particolare per l’associazione Le Soste”.Camilla Rocca, un vulcano. Dove lo troverà il tempo di fare tutto? E da bambina, pensava di diventare quello che è oggi? “Avrei voluto fare la broker finanziaria o la giornalista economi-ca, ho quindi studiato Economia e mi è servi-to molto per costruire lo schema mentale che mi aiuta nell’organizzare un evento o nel ge-stire una campagna stampa”. E, sicuro, anche nell’organizzare la giornata. Eppure, lo zam-pino ce l’ha messo anche il destino. Racconta, Camilla.“Il primo stage è stato nell’organizzazione di eventi di Confindustria Verona, dove invece avevo mandato il curriculum per l’ufficio fi-nanza. Ho organizzato il più grande evento, a oggi, nella mia vita: per l’assemblea pubblica abbiamo affittato l’intero hangar dell’aeroporto

“Definirmi? Ho sempre difficoltà, probabilmente perché sono un essere mutevole e questo mi ha por-tato a cambiare molti lavori. Forse il comun deno-minatore è la creatività declinata in svariati modi”. Lisa Dalla Via scrive di auto, ma è pure performer di burlesque, oltre che docente. E già si capisce come le piaccia essere tante cose. Forse perché viene da stu-di psicologici e sa che la cosa importante è essere se stessi in quello che si fa, non fare per cambiare se stessi.

“Ho lavorato come barista, in teatro, in tv, come copywriter, come giornalista automotive. Da circa 12 anni sono una performer e insegnante di burlesque, mamma orgogliosa di un progetto fatto da burlesque performer ‘parlanti’, Le Fanfarlo (lefanfarlo.it), pro-getto che vede il burlesque come strumento di em-powerment femminile”.Da bambina, Lisa non pensava di diventare perfor-mer di burleseque: “Non ne conoscevo l’esistenza. Ho sempre avuto un debole, però, per palcoscenico e scrittura, quindi ero sempre in prima fila alle recite scolastiche e inventavo storie e poesie. La prima vol-ta che sono andata in scena in un teatro vero, il Verdi di Pisa, con ‘Sogno di una notte di mezza estate’, ave-vo 17 anni. Ricordo l’emozione che provai e pensai

‘Valerio Catullo’ e invitato oltre 600 persone. Il mio secondo stage è stato alla Camera di Com-mercio di Verona, in particolare per la promo-zione del territorio veronese, principalmente collegato al mondo del vino. Abbiamo seguito il premio Verona Wine Top e tutte le iniziative legate a Vinitaly, da qui la mia profonda pas-sione per il mondo food&beverage”.La ragazza che aveva affittato l’hangar dell’ae-roporto decolla letteralmente. E oggi il suo è un mondo di relazioni: “Non sempre è facile interfacciarsi con ogni tipologia di persone. Inoltre, nel mondo degli eventi, l’imprevisto è sempre dietro l’angolo”.Come ogni anno, arriva la Festa della Donna: “E’ un momento per ricordare le discrimina-zioni subite da quello che mai definirei ‘il gen-til sesso’. Spesso comunque le donne sono di-scriminate sul lavoro e il mio primo obiettivo è stato da sempre quello di raggiungere l’in-dipendenza economica e quindi quella ‘spiri-tuale’, potendo prendere pienamente coscienza di me stessa”. Vita lastricata di qualche battuta non proprio da gentleman, ammette Camilla: “Nulla di più grave di qualche battuta, è vero, anche se le parole hanno il loro peso”.La parità tra uomo e donna, argomento che vie-ne forzatamente affrontato solo l’8 marzo: “Nel settore editoriale vi è una grande disparità. La maggior parte dei direttori sono uomini. Nella vita di tutti i giorni trovo grande disparità tra

che sarei voluta rimanere lì, su quel palco, per il resto della mia vita”.Restare sul palco, alla fine, le è riuscito. E le riesce molto bene anche oggi. “Il burlesque l’ho scoperto alla fine del 2006. Rappresentava l’unione di due pas-sioni: quella per il teatro e quella per i vestiti della nonna, l’amore per l’eleganza del tempo che fu e la voglia di rompere certe gabbie sociali. Il burlesque mi piace perché racconta storie di libertà, di rottu-ra, di confidenza col proprio corpo, un corpo spes-so avvilito da canoni di bellezza irreali o da un’aurea peccaminosa. Il corpo che io porto in scena, e che raccomando di portare alle mie allieve, è un corpo liberato e divertito, che non teme le censure sociali, che racconta vizi e virtù della società in cui vive e che non ha paura del suo sensuale e multiforme linguag-gio”.Le difficoltà “sono figlie dei pregiudizi. Nel campo automotive ci sono luoghi comuni duri a morire (“donna al volante pericolo costante”) e nel campo del burlesque, pare che per molte persone sia diffi-cile accettare che una donna possa avere un buon rapporto sia con il proprio corpo che con il proprio cervello”.La Festa delle Donne che cos’è oggi? “Arriva l’8 mar-zo e rispuntano polemiche trite e ritrite. Spesso è raccontata in maniera dicotomica: o la ricorrenza di donne rabbiose o la festa in cui le donne infilano i soldi nelle mutande agli spogliarellisti. Ci invita in-vece a ricordare che la parità, anche se riconosciuta, almeno nel nostro Paese, dal punto di vista legislati-vo, non esiste del tutto nel mondo reale”. Il motivo? “In Italia la parità dei diritti è una questione ‘giovane’, si pensi a esempio al delitto d’onore o al matrimonio riparatore”. Quindi, l’8 marzo gli auguri alla donna si fanno o no? “Per me, purtroppo, la Festa della Don-na ha ancora ragione di esistere. Anelo il giorno in cui non ci sarà più bisogno di questa ricorrenza, per-ché vorrà dire che non saremo più schiavi dei pre-giudizi di genere”. Pregiudizi che sconfinano negli abusi o nelle molestie: “ In tv sì. Quello che è venuto fuori in Italia è solo la punta dell’iceberg. Sotto, c’e-rano richieste extracurriculari continue, ricattucci,

Nord e Sud Italia e tra i maggiori centri urba-ni e le città di provincia”. L’augurio alle donne da mettere al posto delle mimose o insieme a loro: “Di prendere pienamente consapevolezza di se stesse, della loro forza e di non fermarsi di fronte agli ostacoli”. Per diventare una donna di successo che, “per me, è impegnarsi al mas-simo in quello che si fa giorno per giorno: è il mio mantra quotidiano”.

mezzucci, gente piccola piccola che usava il proprio misero e inutile potere per cercare di ottenere altro da prestazioni professionali. A me il lavoro piaceva, solo che mi piace di più la mia indipendenza e, a un certo punto, ho deciso che quel mondo non faceva per me. È stato difficile accettare il fallimento, il sen-tirsi una Don Chisciotte che aveva perso, ma per for-tuna negli anni ho costruito una vita che amo e dove nessuno potrà dirmi: sai, se devo scegliere tra una ragazza che mi dà qualcosa in cambio e una che no, scelgo la prima...”.Niente parità, ancora adesso, dunque, secondo Lisa Dalla Via: “Basti pensare alla lettere di licenziamen-to con la data in bianco, al ridottissimo numero di donne nei board delle aziende, agli attacchi mediati-ci verso le donne che non si ‘accontentano’ di essere madri e non vogliono abbandonare la loro carriera, alle disparità di stipendio (il 30% in meno dei col-leghi maschi). Abbiamo fatto passi avanti nei nostri diritti, ma c’è ancora tanta strada da fare, pregiudizi da smontare, luoghi comuni che annebbiano la vista e compromettono il giudizio. Il maschilismo è una malattia sottile e strisciante che ancora sopravvive in tutti, donne e uomini. E’ quella cosa che ci porta a dire, vedendo una donna di successo, ‘chissà a chi l’a-vrà data per farcela’. È ora di emanciparsi da questo. Auguro alla donne di sentirsi libere di essere quello che vogliono, senza il timore dei giudizi sociali. Mi piacciono le donne che alzano la testa e sfidano, con il sorriso, il mondo che le vuole ingabbiare”.

Lisa Dalla Via è donna di successo? “Quello della popolarità televisiva o del successo economico, pro-babilmente no. Se intendi il successo di una donna che ha scelto di fare quello che vuole nella vita, allora sì. Sono una donna di successo perché sono felice di quello che faccio e non cambierei per niente al mon-do”.

di Alessandro Pignatelli

A.P.

foto di Ermanno Ivone

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Attualità

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Eugenia Toni pesca l’anima delle aziende: “L’uomo non va combattuto, va disarmato”

Daniela Faggion, giornalista – scrittrice: “Donne, sogniamo ancora a occhi aperti”

Anche le aziende hanno un’anima. E il compito di tirarla fuori spetta a Eugenia Toni, che si occupa di corporate identity: “Ossia sviluppo l’identità d’im-presa, la parte più profonda e spirituale dell’azien-da, il suo nucleo e valore”. Un meccanismo che si traduce “in un coordinamento di immagine inte-grata al territorio attraverso la strategia più appro-priata, online e offline. Talvolta, quando il nucleo identitario è già stato improntato, intervengo per rafforzare l’immagine o per un miglior coordina-mento con il mercato di riferimento”.Come avrete capito, Eugenia è una donna in carrie-ra, sempre in giro per lavoro: “Con il corpo sono a Verona, ma con la testa e il pc sono ovunque per l’Italia”. Indagare, inventare, realizzare: questi i tre verbi che la descrivono meglio. Del resto “io credo che la migliore forma di autorealizzazione sia at-tualizzare al meglio ciò che si è in potenza. Io sono diventata in forma quello che sono sempre stata in essenza”. Non è stato un viaggio lineare: “Un per-corso di autocoscienza, spirituale e di conoscenza, capace di cogliere ogni segnale. Conoscere è anche conoscersi”.Se il background di Eugenia Toni è classico, laurea in Lettere classiche, ricerca nell’ambito della misti-ca bizantina del secolo XIV, diploma in paleografia greca, “sono uscita dall’accademismo di mestiere portando una forma mentis e un modus operandi di stampo prettamente metodologico nel mondo delle risorse umane, poi nella comunicazione in azienda strutturata e impresa. Mi occupo ancora di vision, mistica e immateriale, ma incanalati in maniera differente”. La concezione di Adriano Oli-vetti, insomma: “Un’impresa non dovrebbe essere solo fucina di profitti, ma anche di idee, progetti, simboli che siano in grado di far avanzare la socie-tà. Questa è la vera innovazione e di questa voglio occuparmi”.Creare cultura e sapere porta “diffidenza. In un mondo che ha fatto della mediocrità un valore ag-giunto, in cui il medio è al potere perché la for-

Ha appena pubblicato un libro, ‘Tutto a posto’, sull’organizzazione. E scrivere, effettivamente, è una delle cose che accompagnano la sua vita. Da sempre e in vari campi. Daniela Faggion, classe 1974, bolognese di nascita ma milanese d’azione, è una di quelle donne che si possono davvero defi-nire multitasking. Tante ne pensa, altrettante ne fa.Dal 2000 in poi, dopo la laurea in Scienze della Co-municazione, ha lavorato nel campo della comu-nicazione e dell’informazione. Fin dal suo arrivo a Milano. Folgorata, insomma, sulla via meneghina: “Prima ho fatto la project manager in agenzia, poi la copywriter free lance, quindi la giornalista spe-cializzata in cultura e spettacoli. Ho seguito festi-val di musica e di cinema, ho avuto la fortuna di incontrare tanti celebri artisti, ma pure bravissimi professionisti che lavorano dietro le quinte, senza i quali la creatività degli artisti andrebbe dispersa”. Non è tutto: “Ho diretto una rubrica e un magazi-ne sull’enogastronomia, visto che sono una buona forchetta; siccome non mi piace stare ferma, sono diventata anche insegnante di yoga e, da poco, ho pubblicato il libro”.A Bologna, durante il corso di laurea, Daniela ha avuto la possibilità di venire a contatto con una personalità come Umberto Eco. E i suoi consigli sono stati preziosi: “Ci disse che la nostra profes-sione era tutta da inventare. Io avevo una prepara-zione eclettica e non mi spaventava provare. Infatti, sono arrivata alla mia professione perché – oltre a essere una persona curiosa – non mi sono mai fer-mata davanti alle avversità. Non avevo ‘messo nel mirino’ di diventare giornalista, ma quando ne ho avuto l’occasione ho dato il massimo”.Con il primo figlio, è arrivata anche la seconda

mazione stessa è mediocre, parlare di conoscenza e non di competenze tecniche e operative può creare diffidenza. Eppure, il Made in Italy che ha smesso da tempo di essere prodotto originale, può essere ancora un metodo. E per fare le cose con metodo vi è bisogno di cultura trasversale. Al contrario, la mediocrità rassicura. Il network dei mediocri è una lobby chiusa e che si esprime con segnali di fumo, ovvero riporta indietro la connessione stretta e il legame tra realtà e valore della parola”.La situazione peggiora quando l’interlocutore è una donna: “Dispiace dirlo, ma le donne devono ancora spogliarsi del vizio di confondere il piano personale con quello professionale: avere divergen-ze lavorative è occasione di crescita e respiro. In questo, pur riconoscendo alle stesse grandi capa-cità trasversali e di problem solving, bisognerebbe cedere l’onore delle armi ed essere più strategiche o politiche. Vero è che vi sono anche molti uomini prime donne”.

L’8 marzo è tuttora data fondamentale, storica, ma strumentalizzata per Eugenia: “Svuotata di senso. Ridotta a celebrazione. Il problema permane nel sottobosco del lavoro quotidiano, è legislativo e culturale e va ben oltre il protezionismo di genere. Non amo l’idea di chiedere di diritto all’uomo di

svolta nella vita di Daniela Faggion: “Mi sono avvi-cinata a space clearing, decluttering e time mana-gement. Ho scoperto che esisteva una professione che ruotava intorno a queste materie: ho approfon-dito i temi, intervistato alcuni guru di materie le-gate all’organizzazione e poi ho avuto la fortuna di incontrare un editore interessato al progetto edito-riale che stava nascendo”. C’è chi da bambina sogna di andare nello spazio, Daniela voleva “fare l’attrice o l’insegnante. Quindi, la comunicazione era nelle mie corde”.La famiglia, il lavoro sono inconciliabili nel 2018? “E’ molto difficile fare un lavoro che esca da canoni orari e logistici tradizionali, soprattutto se i nonni vivono lontani dai propri figli”. Un legame partico-larmente profondo con la famiglia: “Per me la Fe-sta della Donna è mia mamma che tornava a casa dalla fabbrica con le mimose per me e mia nonna. È il ricordo di tante battaglie che, per tanti motivi, vengono spinte nell’oblio”.I problemi da ‘donna’ ci sono stati, Daniela Faggion non lo nasconde: “Sul lavoro ho avuto un capo raz-zista e maschilista a dir poco imbarazzante. Incre-dibile come, in una grande azienda, tutt’oggi, i ruoli di responsabilità possano essere affidati a persone impresentabili. Nella vita, invece, ricordo un episo-dio su un autobus quando avevo 15 anni: un vec-chietto si era affezionato particolarmente al mio ginocchio. La cosa mi turbò parecchio, per fortuna ero decisamente ingenua: se mi accadesse oggi, non passerebbe molto dal ginocchio alla ginocchiata”.Ma oggi, quindi, per le donne che lavorano non è ‘tutto a posto’? “No, lo dicono statistiche sugli sti-pendi, posti di comando e board aziendali. Lo di-cono i racconti di tutte le mie amiche, sulle quali

avere il suo posto: è la meritocrazia che deve esse-re garante della persona, oltre il genere. Sono una persona che, allo stesso tempo, riterrebbe giusto il congedo mestruale dei tre giorni mensili: è un fatto fisiologico e di natura e va rispettato. Ritengo dan-noso il superfemminismo, come forma tutta con-temporanea alternativa al superomismo”.Donna in carriera, bersaglio di molestie, ma capa-ce di rispondere perché ci sono due strade: “Essere strategiche con intelligenza, senza scadere nel ses-suofobico e risvoltare la situazione a nostro favore, oppure dire di no. Saper e poter dire di no, tenen-do le redini della situazione come un buon auriga quando si può è cosa che di sicuro mi hanno in-segnato un Machiavelli, come le Odi Olimpiche di Pindaro e l’epica corsa delle bighe di Ben Hur”.Donne e uomini entità distinte, però, sottolinea Eu-genia: “Non si può essere pari perché non lo siamo per natura. Non siamo uguali, psicologicamente e biologicamente: la differenza è una ricchezza. La parità dei diritti è giustamente un’altra cosa e par-te del nucleo primigenio: l’educazione famigliare e quel patriarchismo culturale che domina ancora la coscienza. C’è molto lavoro da fare, una legge può poco se non non sussistono due elementi: sapere riconoscere i segnali negativi, combattere le forme pregiudiziali ed educare al rispetto”. La ricetta per tenere testa agli uomini c’è eccome: “L’uomo non va combattuto, va disarmato”.

Eugenia Toni donna di successo? “Ultimamente ‘successo’ è una parola, o conquista, diventata mol-to ‘facile’: basta aprire un profilo Instagram e com-prare una manciata di like, oppure essere mediocri. Se per successo intendiamo questo, no, non mi ri-tengo una donna di successo. Se equivale a una for-ma di autorealizzazione, crescita, aiutando gli altri a crescere, sì, mi ritengo tale”.

ricade il maggior peso pratico di figli, casa e fami-glia”. Mentre, le donne devono “trovare il coraggio di avere tempo per loro, solo per loro. Anche solo per non far nulla e sognare a occhi aperti”.Ma tu, Daniela, ti reputi una donna di successo? “Come fama e denaro no. Di certo sono una don-na difficile da dimenticare, lo vedo dal numero di persone che accorrono sorridenti alle presentazio-ni del mio libro. E per me questo è un enorme suc-cesso”.

A.P.

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L’Italia si è svegliata dopo le elezioni più confusa del giorno prima. Avremo bisogno tutti di qualche giorno per metabo-lizzare il risultato elettorale.Il fallimento del nuovo meccanismo elettorale è sotto gli occhi di tutti. Come da noi, e naturalmente non solo noi, preventivato, nessuna maggioranza emerge dalle urne dopo il 4 marzo. Tanta confusione, tanta incertezza, ed alcune sorprese che ci confermano lo stato mentale dell’elettore medio. Unico dato stabile, a sorpresa, l’affluenza: agli appun-tamenti nazionali l’affluenza si attesta costantemente tra il 70 e l’80%, in questo caso il 72,91%. L’interesse a cambiare, o quantomeno a partecipare, c’è stato, è evidente. Il meccanismo elettorale non ha però per-messo la definizione di una maggioranza certa.Ciò che emerge dalle urne è una coalizione di cen-trodestra forte, ma non abbastanza, un Movimento 5 Stelle di gran lunga il primo partito italiano, ma anch’esso non abbastanza forte, ed una coalizione di centrosinistra sconfitta su tutta la linea, fragile, traballante. Lega e Movimento 5 Stelle si dichiara-no vincitori di queste elezioni, ma il dato effettivo ci mostra l’immagine di uno stallo in cui nessun mo-

vimento o partito, o coalizione che sia ha ottenuto abbastanza consensi per avere la maggioranza. In particolare, sia alla Camera che al Senato, ogni forza politica necessita di ulteriori apparentamenti o coa-lizioni per arrivare ad una maggioranza effettiva con cui governare. Nello specifico, nessuno ha raggiunto il 40% dei con-sensi, né ai collegi uninominali, né ai collegi maggio-ritari. La coalizione di centrodestra si è avvicinata di più, con un 36,99% alla Camera e un 37,5% al Se-nato. All’interno della coalizione la sorpresa è stata sicuramente l’avanzata della Lega di Matteo Salvini,

che ha ottenuto 4 punti percentuali più di Forza Ita-lia a livello nazionale. Secondo gli accordi pre-elet-torali all’interno della coalizione Salvini risulterebbe dunque come candidato Premier, nel caso riuscisse a raggiungere la maggioranza. Il Movimento 5 Stelle avvera i propri pronostici, di-ventando a tutti gli effetti il primo partito d’Italia, con il 32,21% all’uninominale e il 32,14% al maggio-ritario. Ma niente premio di maggioranza, per gover-nare è assolutamente necessario stabilire alleanze, o abbandonarsi ad un ulteriore legislatura all’opposi-zione. La coalizione di centrosinistra ha subito una sconfitta pesantissima. Chiude lo spoglio con una percentuale di consensi pari al 23%, con un Partito Democratico al 19,14%, in discesa netta rispetto agli appuntamen-ti passati. Matteo Renzi ha annunciato le sue dimis-sioni, un nuovo corso arriverà necessariamente, nel tentativo di riunificare la sinistra. Dimissioni dopo la formazione del nuovo Governo però, mossa tatti-ca del Segretario dimissionario, che intende conclu-dere il suo mandato influendo il più possibile sulle consultazioni.La data da tenere in mente è il 23 marzo: questo l’ap-

puntamento della prima riunione delle nuove Ca-mere, in cui cominceranno le discussioni riguardo la nomina dei Presidenti di Camera e Senato. Da quel momento si delineeranno le possibili nuove coali-zioni, assolutamente necessarie per formare un Go-verno di maggioranza. Siamo prudenti: non è il momento di fare pronostici, la situazione è tra le più delicate degli ultimi anni. Strada facendo vedremo la definizione di nuove pos-sibilità, le descriveremo e proveremo a fornire i pro e i contro di ciò che evolve.Alcune riflessioni rimangono però doverose.

La democrazia ha vinto, il cuore dell’elettorato ha parlato. Chi ha fallito è la classe dirigente, incapace di fornire un meccanismo elettorale valido, rispettoso di chi spende tempo per esercitare il proprio diritto e dovere civico di votare in modo responsabile, di par-tecipare alla Democrazia. La distanza tra il cittadino e la classe dirigente si è fatta drastica, ai limiti dell’in-colmabile, è evidente: chi è chiamato a rappresentare gli elettori al Governo, a tutti i livelli, è scaltramente in grado di far proprie le necessità dei cittadini, di parlare alla loro pancia, di convincerli, ma è chiaro che non sia in grado di interpretare queste necessità, il malcontento e la paura e trasformarle in un’attività di Governo stabile, sicura e lungimirante. Aleggia il timore che la Terza Repubblica sia ancora lontana, e lo sguardo volge con nostalgia alla Prima. Troppo spesso ci appare che i nostri rappresentanti eletti si facciano portatori di una conoscenza alta, ai più sco-nosciuta, attraverso la quale decidere cosa sia meglio o peggio per i cittadini Sovrani, facendosi scudo con la mancanza di interesse diffuso di una popolazione assopita e disinformata.E’ compito di chi governa interessare i cittadini, in quanto sovrani. E’ compito del cittadino scegliere ac-

curatamente i propri rappresentanti in Parlamento. Uno dei due ha fatto la propria parte. Ora tocca ai nuovi eletti. Rimane una certezza: nessuno vorrebbe trovarsi nei panni del Presidente Mattarella.

Politica

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L’Italia dopo il voto e la grande confusioneTutti hanno vinto e nessuno ha vinto: ora si attendono le grandi alleanze o il bis alle urne

di Federico Bodo

di Sara Brasacchio

4 Marzo: parlano i milanesi, dove ha trionfato il PD

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Attualità

L’esigenza di dare concretizzazione ad una effettiva “democrazia paritaria” ha spinto numerosi Paesi, tra i quali anche l’Italia, all’adozione di misure finalizzate ad assi-curare la rappresentatività femminile nel-la società.Ciò è avvenuto seguendo strade diverse: in alcuni ordinamenti è intervenuto il le-gislatore, in altri sono state modificate le disposizioni statutarie dei partiti, in altri ancora si è ricorso a raccomandazioni non vincolanti con mero carattere di “moral suasion”. La ratio sottesa all’introduzione delle mi-sure citate è rappresentata dalla neces-sità di garantire a entrambi i generi una partecipazione equilibrata in ogni settore della società prevedendo che un numero prestabilito di posti sia destinato al genere meno rappresentato (sia uomini che don-ne). Pertanto l’utilizzo del termine “quote rosa” adottato in Italia per riferirsi a tale meccanismo è fuorviante. Non si tratta di strumenti a favore esclusivamente del genere femminile, ma essi hanno invece l’obiettivo di garantire la rappresentanza paritaria.Chiarito detto aspetto essenziale, l’inter-vento legislativo più significativo in tale direzione degli ultimi anni è rappresen-tato dalla Legge “Golfo-Mosca” del 2012. In base a tale Legge nelle aziende quotate e nelle società a partecipazione pubblica una parte dei rispettivi consigli di ammi-nistrazione devono essere composti dal genere femminile, considerata l’originaria composizione quasi completamente ma-schile degli stessi. Sebbene tale intervento sia avvenuto solo molti anni dopo rispet-to a quelli posti in essere negli altri Paesi,

l’effetto sperato è stato parzialmente per-seguito. L’aumento delle donne che sie-dono nei C.d.A. delle società citate è salito notevolmente anche se spesso, per elude-re l’imposizione, sono state inserite mogli o parenti sprovviste, di fatto, di poteri. Le imprese non destinatarie di tali vincoli, in-vece, faticano ad adeguarsi spontaneamente.La stessa difficoltà a garan-tire la parità tra i generi non riguarda però solo il setto-re delle imprese, ma anche quello che concerne il siste-ma elettorale. Anche in tale settore sono state stabilite delle “quote rosa” (Legge 165/2017) finalizzate ad assi-curare una rappresentatività paritaria dei sessi. Tuttavia i critici piú attenti hanno sin da subito ravvisato possibi-li modalità elusive che non vanno sottovalutate. Come si suol dire “fatta la legge, fatto l’inganno”.É ancora lungo il percorso verso una piena ed effettiva parità tra i sessi, soprattutto quando gli interventi legisla-tivi non procedono di pari passo con il mutamento del contesto sociale nel quale vengono realizzati. Ció pur-troppo è confermato dalle esperienze di vita di qualsiasi persona.Anche se le statistiche dimostrano che la parità di genere non solo è giusta in quan-to espressione di principi fondamentali, ma soprattutto porta con sè vantaggi, i

ruoli apicali di molte imprese continuano ad essere attribuiti a uomini anche quando all’interno delle medesime imprese sono presenti figure femminili che, a livello me-ritocratico (sia per titoli che per capacità), sarebbero di gran lunga preferibili.

di Giulia Candelone

Quote rosa: la legge per garantire la rappresentanza paritaria

E il Web si scatena tra sfottò su Facebook e proteste su TwitterIl giorno dopo le elezioni non vedrà mai tutti con-tenti. Questo è scontato. Del resto, se la pensasse-ro tutti allo stesso modo, non esisterebbe neppure la competizione elettorale. Basterebbe che almeno il 50% la pensasse allo stesso modo per formare un governo in modo relativamente semplice. E in-vece. Così i bar si riempiono di chiacchiere e so-prattutto i social network si riempiono di hashtag. E se qualcuno si dispera e minaccia di preparare il passaporto, tanti altri invece trovano ancora la voglia di ridere. Su Twitter, Lia Celi osserva: «In fondo le elezioni rispondono a un urgente bisogno del Paese: rimandare milioni di italiani nelle scuo-le dell’obbligo». “Lercio”, il celeberrimo giornale online satirico, si lancia in un’accurata analisi del voto con i dieci scenari più probabili. Da segnalare “Mattarella affida l’incarico esplorativo a Sauron”, “I cinquestelle restituiscono metà dei voti presi e perdono le elezioni” e (il più auspicabile) l’affida-mento del Governo ad Alberto Angela. Pamela Ferrara cinguetta: «Vorrei far sapere agli hacker russi che il loro intervento è superfluo e di non di-sturbarsi: ci boicottiamo da soli». “Dio”, una delle tweetstar più seguite sul social dell’uccellino blu, scrive: «Capisco che vogliate emigrare in un paese più stabile, ma mettetevi l’anima in pace: sta per tornare la servitù della gleba, quindi fatevi trovare pronti».Per quanto riguarda Facebook, si scatena anche il mondo della cultura nerd. Sulla pagina dei fan della saga di “Game of thrones” intitolata “Mai, mai dimenticare chi sei” Salvini e Di Maio si tra-

sformano in Ned Stark e Robert Baratheon, re del nord e del sud. I fan di Star Wars di “L’insolenza di R2-D2” immaginano Mattarella chiedere aiuto ai Jedi: «Aiutami Obi Wan Kenobi, sei la mia unica speranza». Addirittura i fan di Harry Potter si lan-ciano in improbabili paragoni, mentre quelli dei Simpson trasformano i loro beniamini dalla pelle gialla nei portavoce dei vari partiti. Chissà se Matt Groening ha qualche idea in proposito? Cam-biando genere, gli “Hipster democratici” hanno affrontato la campagna elettorale e il post voto de-

cisamente ispirati. Da segnalare l’immagine di Di Maio che beve una tazzina di lacrime Pd. Dilagano poi i “meme” che vedono il leader a 5 Stelle sedu-to davanti al computer cercare su Google quesiti del calibro di “Cosa fa il presidente del consiglio di preciso”. Sul fronte della satira politica più pura, non può mancare Spinoza: «Mentana: “Ci sono al-meno tre sconfitti in queste elezioni”. Io ne avevo contati più o meno 60 milioni».

di Fabiana Bianchi

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Attualità

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Accoglienza: i motivi dell’ostilità anti-immigrati

di Maurizio Ambrosini

Come era prevedibile, l’immigrazione è stata uno dei temi decisivi della campagna eletto-rale, contribuendo a produrre un massiccio spostamento di voti verso i partiti anti-si-stema e anti-accoglienza. I fatti di Macerata hanno gettato benzina sul fuoco, ma dietro di essi c’è un’idea inconfessata (ma a volte anche dichiarata) dell’Africa e degli africani come minaccia oscura e ancestrale. Vorrei qui indi-viduare alcuni motivi dell’ostilità anti-africa-ni e anti-immigrati.Il primo è la percezione di un pericolo per l’ordine sociale. Non è un caso che, attenua-ta la sindrome dell’invasione per il calo degli sbarchi, l’enfasi sia tornata sulla criminalità e sul degrado urbano. Gli immigrati, e segnata-mente gli africani poveri, danno fastidio per il solo fatto di circolare nelle nostre città, so-prattutto se in gruppo.

Di qui un secondo motivo, che rimanda ai razzismi del passato: il vittimismo. Gli xeno-fobi, come nel caso di Macerata, si ritengono autorizzati alla violenza verbale, simbolica e talvolta anche fisica verso le minoranze per-ché si sentono vittime di soprusi da parte di quelle stesse minoranze: invasioni, aggressio-ni fisiche, violenze sessuali o altro ancora. Le vittime in questo modo possono essere eti-chettate come aggressori, e gli aggressori possono travestirsi da vittime.Molto eloquente al riguardo è un terzo motivo: la privatizza-zione dello spazio pubblico. Lo dimostra lo slogan “padroni a casa nostra”. Le città, le loro piaz-ze e i parchi vengono ricodifica-ti come proprietà di qualcuno, i residenti storici, da cui dovreb-be essere escluso qualcun altro, i nuovi arrivati. Più razionale è un argomento più specifico: la competizione per le risorse scarse dello Stato sociale. Qui domina l’idea che l’accoglienza dei rifugiati abbia tolto qualcosa agli italiani, soprattutto quelli in difficoltà. Come se prima dei rifugiati fos-sero in vigore politiche generose per disoccu-pati, poveri e senza casa, cancellate per acco-

gliere i nuovi arrivati. Al fondo di tutto possiamo scorgere l’insicu-rezza e l’impoverimento seminati dai processi che in sintesi possiamo porre sotto l’etichet-ta di una globalizzazione mal governata. Ma darne la colpa agli africani sbarcati negli ul-timi anni richiama sinistri eventi del passato: in tempi di crisi, scaricare le colpe sul capro espiatorio delle minoranze indifese.

Il video della settimana Inviateci i vostri filmati, i più interessanti saranno pubblicati sul nostro giornale.

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Rubrica

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Benvenuti al Centro

Diario di bordo: Norvegia

Che gioia la neve... peccato per l’assenza di acqua calda sotto la doccia

Dovete sapere che qui al Centro, quando ne-vica, è una festa. Perché capita raramente. Da quando vivo qui, cinque anni, non era mai capitato. Così, in questa fine di febbraio 2018, ho deciso di unirmi anche io a trombette, urla, sorrisi e passeggiate (facile, in realtà, visto che sono un estimatore della signora bianca). Ha iniziato di sera, prima come piccoli spilli ghiacciati che ti accarezzavano il viso; poi, è diventata neve. E ha proseguito tutta la notte. E pure per un pezzo di mattina. Il paesaggio, tra le dolci colline umbre, era di quelli spetta-colari. Voi direte: che differenza c’è dunque con la neve del Nord? Intanto, qui se nevica, deve per forza fare freddissimo. Anche se le tem-perature sono più basse quando è sereno. E allora la gente tira fuori sciarpe e cappelli che non metteva dai tempi di Garibaldi. Perché per la neve serve un abbigliamento consono. Ok, quest’anno ha fatto davvero molto fred-do, ma io sono rimasto lo stesso incantato dall’abbigliamento dei miei vicini. Poi, c’era tanta gente in giro a piedi, semplice-mente a godersi il ciap ciap delle scarpe sul-la neve. C’era chi faceva fotografie che chissà quando ricapita. Naturalmente, se nevica, può pure capitare che i negozi non aprano. Tanto chi ci va? Per non parlare delle scuole: chiu-se a prescindere. Pure se dal cielo verranno giù al massimo 5 centimetri. È come se tutto

si paralizzasse, se il tempo si fermasse. Ogni impegno viene rimandato. A quando la neve si scioglierà, l’auto ripartirà. Insomma, hai quasi la sensazione che la neve si sporchi più tardi qui al Centro di quel nero che fa un po’ schifo. Naturalmente, se incontri qualcuno durante la tua passeggiata, ha lo sguardo da bambino che ha appena scoperto i doni sotto l’Albero a Natale. E si parla ...del tempo. Nevicherà ancora? No, purtroppo è finita. Ma no dai, le previsioni mettono ancora neve. Penso che un po’ si sogni quando nevica. Qui più che al Nord. Dove si maledice pure l’in-clemenza del tempo. Perché, dai, la neve sta bene in montagna, mica qui in città. Se guardi all’orizzonte, e se c’è vento, vedi i fiocchi che si sollevano verso di te. Si ferma-no un attimo, poi ripartono. Il vento, dovete sapere, qui ‘sgrulla’ via la neve dalle colline. Non la spazza, no. Ed è un po’ come quan-do devi ‘sgrullare’ la tovaglia piena di briciole fuori dal balcone. Bello pensare che il mondo innevato sia tipo una tovaglia piena di bricio-le. Briciole di qualcosa di buono.Dimenticavo: la neve qui fa saltare le tubatu-re. E addio acqua calda. E io mi domando: ma i tubi non sono uguali al Nord e al Centro? Oppure, anche loro posticipano l’appunta-mento tanto non c’è nessuno che li aspetta? (Brrr, che brividi la doccia con l’acqua fredda)

di Alessandro Pignatelli

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Io e Martina, la mia coinquilina, ci troviamo nei pressi di Karasjok, considerata la capitale della Lapponia. Siamo arrivate ieri pomerig-gio e per i prossimi 25 giorni abiteremo con Anton, Anne Kari e i loro due bambini, Naia e Ole Daniel. Sono passate solo 24 ore e ho già imparato due cose molto importanti: la prima è che qui in Norvegia, a causa dell’inclinazio-ne dell’asse di rotazione della Terra, nei pe-riodi tra i due equinozi il Sole non tramonta e non sorge mai. La seconda cosa, forse ancora più importante, è che cambiare un pannolino

non è affatto un gioco da ragazzi. Ieri sera, stremate dal viaggio, abbiamo chiac-chierato un po’ con i padroni di casa e ci siamo messe subito a dormire. Naia e Ole Daniel era-no già nel mondo dei sogni, perciò abbiamo potuto conoscerli soltanto il giorno seguen-te. La mia prima notte in Norvegia è stata... particolare. Particolare nel senso che non è stata una notte, bensì un lunghissimo mezzo-giorno, con un sole abbacinante sempre alto nel cielo e uno dei suoi raggi, senz’altro il più mefitico, dritto nel mio occhio destro. Questa

mattina, appena sveglie, scendiamo in cuci-na e ci imbattiamo nei due bambini intenti a fare colazione. Naia, in braccio a sua mamma, quando ci vede agita le manine e ci sorride mostrandoci il suo unico dente, mentre Ole Daniel, reputandoci assai meno interessanti del pezzo di pane che sta sgranocchiando, a malapena si accorge della nostra presenza. Ci sediamo, giochiamo con i bambini, di-scorriamo con Anne Kari (Anton è già anda-to a lavoro) e facciamo la nostra prima cola-zione in Lapponia. Questo pasto, ci racconta

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della trama, svelando sempre di più alcuni misteri, con piccoli colpi di scena. Vi parlo della prima stagione, in realtà trovate sul por-tale già la seconda, ma è giusto incominciare dall’inizio (occhio...si vocifera anche di una terza stagione)!

Una delle migliori maratone Netfix, insom-ma. Fidatevi!

Voto 7/8

di Sara Brasacchio

di Samanta Betti

Una serie a settimana: Travelers

Non gli avrei dato una cicca, come si suol dire.

Sarà per la locandina che non spicca più di tanto tra le altre serie Netfix, sarà per il nome della serie, sarà per l’attore Eric McCormack, protagonista di Will&Grace.

Ma se guardate la prima puntata di Travelers ne resterete sorpresi, passerete subito alla se-conda puntata. E, diciamocelo, sono proprio queste le serie televisive che vogliamo sco-prire su Netfix: un prodotto interessante, con una suspense crescente che ti tiene lì davanti al pc, un clima un po’ da “L’esercito delle do-dici scimmie” e costruzione dei personaggi ben fatta. Dal trailer potete capire che si tratta

di viaggi nel tempo: le coscienze di 5 perso-ne dal futuro vengono trasferite all’interno di corpi di persone pochi secondi prima della loro morte, in questo modo non viene altera-to il futuro o ucciso qualcuno. Il fine ultimo è una missione, salvare l’umanità, non vi dirò da cosa.

Ritmo mai noioso, trama intrecciata con 5 personaggi principali del futuro che si tro-vano a vivere e gestire vite di qualcun altro, vite spesso complicate e che in qualche modo coinvolgono e fanno risaltare il lato umano della serie. Sia chiaro, il prodotto non ha nul-la di innovativo, segue ,anzi, le regole sulla costruzione dei personaggi e sulla scrittura

Rubrica

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la donna, deve essere molto abbondante, in quanto pranzare non fa parte della loro cul-tura e si passa direttamente alla cena, che si consuma verso le 16. Iniziamo pertanto ad abbuffarci e, per farcire i quarantasette panini che ci siamo imposte di mangiare per riuscire a sopravvivere fino all’ora di cena, utilizziamo una delle pochissime invenzioni per le quali la Norvegia è famosa, ovvero l’ostehøvel, l’affet-ta-formaggio. Se in Italia ce la tiriamo perché abbiamo la pizza, i norvegesi millantano di aver inventato il Brunost, un formaggio mar-

rone, caramellato e a dir poco delizioso di cui si rimpinzano in quantità esagerate e in qual-siasi momento della giornata. Noi non siamo da meno e, quando finalmente ci alziamo da tavola con la pancia piena, plachiamo il no-stro senso di colpa con la scusa che le quattor-dicimila calorie appena ingerite serviranno al nostro organismo per proteggersi dal freddo. Mentre discutiamo con Anne Kari e pianifi-chiamo la mattinata, veniamo improvvisa-mente interrotte da un terremoto di magni-tudo 7.9 nel pannolino di Naia; Anne Kari ci

mostra come pulire un bambino e cambiarlo, in quanto nelle prossime settimane l’ingrato compito potrebbe toccare a noi. Inizia così, tra pannolini e deliziosi formaggi, la nostra prima giornata in Lapponia, una bellissima terra che ci riserverà moltissime sorprese.

Continua...

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Attualità

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Il Cosmo in cucina: Farfalle “risottate” alla vodka con gorgonzola cremosoC’era una volta, tanto tempo fa, l’uomo nomade. Abitante del mondo, non aveva fissa dimora, spostandosi continuamente a seconda delle stagioni e della disponibilità di cibo. Un giorno si abbandonò quella vita, l’essere umano si fermò e imparò l’arte dell’agricoltura. Fu allora che, seminando e raccogliendo conobbe il grano e nacque l’amore più sincero e duraturo di tutte le epoche: quello per la pasta. Simbolo indiscusso della cultura gastronomica italiana, la pasta è conosciuta e mangiata in tutto il mondo. Ma, questo ci sia concesso non senza un pizzico di orgoglio tricolore, nessuno la cucina come noi.Per celebrare questo infinito amore, oggi prepariamo una pastasciut-ta in versione invernale, in barba alla dieta.

Farfalle “risottate” alla vodka con gorgonzola cremoso

Ingredienti per 4 persone:300gr di pasta tipo “farfalle”100ml di vodka liscia100gr di gorgonzola dolcemezza cipolla (rossa in questo caso)salepepeolio Evo

di Deborah Villarboito

Il Giornalismo Italiano perde il suo “ufficiale e gentiluomo”Dal Medio Oriente al Sud America: Mimmo Candito, reporter d’altri tempi

Mi ricordo di quando ha risposto alla timida mail che gli avevo mandato. Un mostro sacro che si rende disponibile ad un’aspirante gior-nalista in cerca di notizie per la sua tesi. Non mi sembrava vero. Non vedevo l’ora. Anche se ero rimasta colpita dal suo tanto secco quanto sarcastico replicare al mio presentar-mi. Poi il giorno dell’intervista (telefonica) il cuore a mille e la paura di fare figuracce. Tutto pronto. Rispose al telefono e subito un nodo in gola. Arrivò la prima figuraccia. E così andò avanti tutta la chiamata: a suon di figure e panico “controllato”. Ansimava un po’. Ogni parola uno sforzo. Ogni frase una rivincita verso il nemico invisibile più terri-bile. Ma continuava ad andare al fronte nella vita di tutti i giorni. Sempre nel suo modo che ispirava una professione di altri tempi. Una voce profonda e dall’italiano perfetto rendeva ogni mia domanda ovvia e banale. Con fendenti che avrebbero messo in diffi-coltà la maggior parte dei cronisti “esperti”. “Ma come? Eppure mi ero preparata! Ho let-to i suoi libri, i suoi articoli!”. Ero in difficoltà, ma cercavo di dissimulare per quel poco di orgoglio che non aveva ancora demolito. Mi aspettavo un “vada a quel paese” da un mo-mento all’altro. Disponibile ma ostile. Non invidiavo i suoi studenti all’Università. Bar-collando tra la gioia e lo sconforto arrivai alla fine. Dopo avermi ripreso su praticamente ogni parola detta per più di mezz’ora, mi fece i complimenti e mi consigliò altre fonti per la

mia ricerca. La telefonata più stressante del-la mia vita si era rivelata la più bella. La più vera. La più utile per la mia professione. Mi aveva messo in difficoltà apposta per pesarmi e nello stesso tempo mi insegnò qualcosa sul giornalista d’altri tempi. Il reporter e il cor-rispondente di guerra. L’uomo che, 77enne con un cancro ai polmoni, che lo consumava ormai da tredici anni, non smetteva di rin-correre per quanto possibile la notizia. Mim-mo Candito è stato in Medio Oriente, Asia, Africa e Sudamerica. Ha seguito l’invasione sovietica e americana dell’Afghanistan, la guerra Iran-Iraq, le due guerre del Golfo e quella di Libia. Era tra le bombe della Nato in Kosovo e alle Falkland per la guerra tra Gran Bretagna e Argentina. È stato testimone di-retto della storia. L’ha raccontata con perso-nalità e finezza. Questo era il difficile perchè «essendo molto vicino ai fatti si poteva ca-dere o nel cinismo o nell’empatia esagerata, il coinvolgimento non era professionale, ma l’umanità d’obbligo» mi ha raccontato quel-la volta. La professione non era un mestiere, era la passione che lo muoveva verso il peri-colo delle bombe e della morte dietro all’an-golo, solo per raccontare la verità da dentro l’occhio del conflitto. Questa settimana se ne va un pezzo di storia del giornalismo, quello fatto “consumando le suole”. Quello vero, fat-to da appassionati uomini veri.

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Intervista

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di Chiara Bellardone

Cucineremo questa pasta come se fosse un risotto, facendola tostare e cuocen-dola insieme al resto degli ingredienti. Questo tipo di cottura conferirà al piat-to una consistenza molto cremosa e un sapore avvolgente.

In una padella antiaderente, soffriggia-mo la cipolla tagliata a listarelle (fig.1), e aggiungiamo le farfalle per la tostatu-ra (fig.2). Bisogna prestare attenzione a non far bruciare la pasta durante que-sto passaggio ed è consigliabile conti-nuare a mescolarla finchè non sarà leg-germente colorita. Ora aggiungiamo la vodka: è consigliabile versarla allonta-nando la padella dalla fiamma per evi-tare che l’alcol schizzi sul fornello acce-so prendendo fuoco (fig.3). Per la stessa ragione, una volta versata la vodka, co-priamo la padella e facciamo cuocere a fiamma moderata fino a che l’alcol non sarà evaporato. Ora copriamo le farfalle con acqua calda superandone la super-ficie di circa 2cm (fig.4), aggiustiamo di sale e lasciamo cuocere col coperchio leggermente aperto in modo che l’ac-qua bollendo non strabordi. Una volta che l’acqua sarà stata assorbita, uniamo il gorgonzola (fig.5), mezzo bicchiere d’acqua e mantechiamo finchè il for-maggio non sarà sciolto e la consisten-za sarà cremosa (fig.6). Le farfalle sono pronte per essere servite con una bella spolverata di pepe nero (fig.7).

Felix: “I tatuaggi mi legano all’anima delle persone”Luca Verzi, 32 anni, artista dell’inchiostro sulla pelle

mese un mentore che mi ha insegnato davve-ro tanto, soprattutto dal punto di vista umano.Pensi di avere uno stile riconoscibile? Qua-le? Lo stile che più si avvicina si chiama etching (tecnica grafica dell’acquaforte) ma i soggetti che creo sono spesso anacronistici a quello stile. A volte hanno contaminazioni barocche altre volte pop e io ho la forma mentis da gra-fico pubblicitario. In pratica faccio un insalata di stili scegliendo di soggetto in soggetto, ma nonostante ciò mantengo sempre un sapore mistico ed enigmatico, rigorosamente in nero.Scegli tu i tatuaggi che fai alle persone o ti adatti a quello che vuole il cliente?Io parto sempre dal conoscere la persona che dovrò tatuare davanti ad un caffè. Chiac-chieriamo e cerco di capire il perché della sua scelta, quali sono i significati che attribuisce al soggetto per poi metterli a macerare nella mia mente ed infine rappresentarli. Credo che sia proprio questo che renda forte il mio lavoro. È il cercare di andare più a fondo, prendere un microscopico pezzettino di anima e inca-stonarla nel disegno. Inoltre, ho la fortuna di essere scelto prevalentemente da persone eclettiche e dal forte bagaglio umano, senza la cui forza i miei soggetti non esisterebbero.Da quando hai iniziato ad avere successo a Milano e come ti sei fatto riconoscere dalle persone? Avendo iniziato a tatuare da meno di un anno, dire che ho successo credo sia prematuro. Credo comunque di essere bravo a presenta-re il mio lavoro sui social sfruttando la passio-ne per la grafica in generale, ma la vera pub-blicità la fa il buon vecchio passaparola!Quali consigli daresti a un giovane tatua-tore? Di prendersi bene per quello che fa! È

quello che faccio io.Un giorno hai detto “io voglio sempre ta-tuare qualcosa di figo”. E’ sempre il tuo ob-biettivo? Io credo che tatuare crei un legame umano, in quanto le persone che mi si affidano portano il mio segno sulla loro pelle per tutta la vita. Quindi voglio che sia un esperienza di cui serbino un bel ricordo e assolutamente si in-namorino di questo segno! Non mi perdonerei mai il creare qualcosa di non figo!

Nome? Luca “Felix” VerzíEtà? 32Che lavoro fai? Credo il tatuatore!Come e quando ti sei avvicinato al mondo dei tatuaggi? Hai seguito dei corsi?Mi ha sicuramente segnato il video Frozen di Madonna! Sin da piccolo mi imbrattavo le mani con l’henné e mi appiccicavo decine di trasferibili comprati in edicola. Poi, negli ultimi anni, vari amici mi hanno chiesto di disegnare per loro dei tatuaggi e alla fine mi sono det-to perché non fare un corso e provare questa strada!? Però i corsi che ho fatto insegnano solo la parte igienico sanitaria, nessuno ti dice come tenere in mano una macchinetta o quali sono gli stili. Bisogna farsi adottare da qual-cuno che ti insegni! Io ho avuto per qualche

di Sara Brasacchio

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Attualità

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Ciao Davide, capitano “viola” dall’animo gentileQuando il Calcio diventa tragedia: da Astori a MorosiniDavide Astori, Marc-Vivien Foé, Miklos Feher, Antonio Puerta, Phil O’Donnell, Dani Jarque, Piermario Morosini, Christian Benitez, Vittorio Mero, Renato Curi. Po-trebbe essere una squadra di calcio ed è, ef-fettivamente, composta da calciatori. Sono quelli che sono morti prematuramente, al-cuni mentre erano in campo, altri prima di scendere sul terreno di gioco. Altri ancora in incidenti automobilistici o aerei.Alla triste lista, la notte tra sabato e dome-nica scorsi, si è aggiunto Davide Astori, 31 anni, capitano e difensore centrale della Fio-rentina. E’ stato colto da un malore nella sua camera d’albergo, mentre si trovava in ritiro con i compagni in attesa di scendere in cam-po per l’incontro di serie A Udinese-Fioren-tina. Morto nel sonno. Scoperto la mattina, dopo che non si era presentato per fare co-lazione. Fino alla sera prima tardi aveva gio-cato alla Playstation con Sportiello, portiere della squadra toscana.Astori è stato anche in Nazionale, disputan-do 14 partite e segnando un gol, nella finale per il terzo posto della Confederations Cup contro l’Uruguay. Lascia la compagna e una figlia di 2 anni, Vittoria. Tutto il calcio si è fermato per rispetto di Davide: il turno di serie A (il 27esimo, mancavano 8 partite) e gli incontri di serie B da disputare domenica e nel Monday Night sono stati rinviati.Il 26 giugno del 2003, stessa sorte toccò al nazionale del Camer Marc-Vivien Foè: un collasso nella semifinale di Confederations Cup contro la Colombia. Inutili i soccorsi e i tentativi di rianimazione. Poco dopo, en-trando in campo per la seconda semifina-

le, i calciatori della Francia erano in lacri-me. Passano pochi mesi e a perdere la vita mentre sta facendo il suo mestiere è Miklos Feher, attaccante del Benfica. Subito dopo aver ricevuto un’ammonizione, il giocatore si accascia al suolo. La morte viene dichiara-ta qualche ora dopo.Il 28 agosto del 2007 anche la Spagna piange un suo calciatore. A pochi giorni dalla finale di Supercoppa europea tra Siviglia e Milan, il difensore Antonio Puerta subisce più arresti cardiaci prima di lasciarci. Viene rimanda-ta la finale, poi vinta dagli uomini di Carlo Ancelotti, che dedicano al difensore la vit-toria. Sergio Ramos, suo vecchio compagno di squadra, lo stesso farà con i successi della Roja agli Europei e ai Mondiali.Il 29 dicembre del 2007 altra tragedia, in Scozia: muore Phil O’Donnell, capitano del Motherwell. Nell’agosto del 2009, lo spa-gnolo Dani Jarque viene colpito da asistolia mentre si trova in ritiro a Firenze. Era il ca-pitano della sua squadra, l’Espanyol. Il Mon-diale del 2010, vinto dalla Spagna, sarà una commovente dedica anche a lui da parte de-gli iberici.Due anni fa, fu Patrick Ekeng, giocatore del-la Dinamo Bucarest, ad accasciarsi in campo per un arresto cardiaco durante un incontro del campionato romeno.Il calcio italiano, il 14 aprile del 2012, aveva assistito attonito alla morte in diretta, su un campo di calcio, di Piermario Morosini, 25 anni: crisi cardiaca durante Livorno-Pescara per il giocatore in forza ai labronici. Si scoprì in ospedale che aveva una malattia eredita-ria, la cardiomiopatia aritmogena. Se andia-mo ancora più indietro, nel 1987, fu colto da malore in campo Andrea Cecotti, pure lui 25enne: morì dopo sei giorni di agonia. Le sue condizioni peggiorarono negli spoglia-toi, dopo la partita con la sua squadra, la Pro Patria, per trombosi alla carotide.L’Italia ha spesso pianto suoi calciatori mor-ti per malori. Come non ricordare Renato Curi, 24 anni, simbolo del Perugia che lot-tava addirittura per lo scudetto. Si accasciò a terra, dopo uno scatto, all’inizio del secon-do tempo di Perugia-Juventus del 30 ottobre 1977. Benetti, Bettega e Scirea lo aiutarono a tirarsi su, ma Curi ricadde, con gli occhi ro-vesciati. Inutili tutti i tentativi di rianimazio-ne. L’autopsia rileverà un’anomalia cardiaca. A lui è stato intitolato lo stadio del Perugia. Nel 1969, stessa tragica sorte per Giuliano

Taccola, attaccante della Roma, che morì su-bito dopo la partita contro il Cagliari, in se-guito a un malore avvertito negli spogliatoi.Un po’ diverso il caso di Christian Benitez, ex attaccante del Birmingham, morì mentre era nella sua casa in Qatar per arresto car-diaco.Altri calciatori hanno perso la vita in inci-denti automobilistici: l’attaccante del Chievo Jason Mayele, nel 2002. Poco prima era capi-tato al vercellese del Brescia, Vittorio Mero, che sbandò sull’A4 mentre stava andando a casa dei genitori. Nel 2001, in motorino ,perse la vita Niccolò Galli, figlio dello sto-rico portiere di Fiorentina e Milan, vicino al centro sportivo del Bologna. Nel 1997, fu l’atalantino Federico Pisani a perdere la vita con la sua Bmw. Il caso più famoso di un incidente automobilistico fatale è quello di Gaetano Scirea, ex capitano della Juventus. Il 3 settembre del 1989, da osservatore e al-lenatore in seconda bianconero, perse la vita in Polonia. Aveva smesso di giocare appena quattro mesi prima, a 36 anni. A Torino, nel 1967, toccò a Luigi Meroni, bandiera grana-ta, venire preso sotto da un’auto mentre at-traversava corso Re Umberto.Infine, ci sono le tragedie aeree che hanno tolto di mezzo intere squadre di calcio. Dal Torino a Superga al Manchester United fino alla recente scomparsa dei brasiliani della Chapecoense. (foto Ansa)

di Alessandro Pignatelli

IN BREVECALCIO - Oggi i funerali di Davide Astori, il capitano della Fiorentina deceduto per cause naturali domenica scorsa (4 marzo). La Basilica di Santa Croce accoglierà la salma alle 10 e il Club Viola ha comunicato che nel ri-

spetto della volontà della fa-miglia di Davide Astori non sarà possibile fare riprese e foto con smartphone o altri apparecchi elettronici du-rante i funerali. La Fioren-tina e il Comune di Firenze riserveranno, all’esterno del-la Basilica, un’area agli ope-ratori della comunicazione.

FORMULA 1 - “Continuiamo a credere nella possibilità che ci sia un progetto condiviso che dia futuro alla Formula Uno. Noi vo-gliamo una scelta chiara sulla pro-tezione del dna di questo sport, non vogliamo che sia diluito da ragioni commerciali e di spet-tacolo”. Lo ha detto Sergio Mar-chionne, presidente della Ferrari, al Salone dell’Auto di Ginevra. “A

noi interessano gli aspetti tecnici - ha aggiunto Marchionne e di que-sti credo che Liberty non capisca un tubo. Ci lasci lavorare”.”Se non riusciamo a distinguere un con-corrente dall’altro dal punto di vista tecnico, se Ferrari non si di-stingue da Mercedes, non mi in-teressa, - ha aggiunto Marchion-ne - costa un sacco di soldi, ce li teniamo e facciamo altro”.

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Oltre i pregiudizi: la giovane Tessa Rigolino e i suoi 20 anni di calcio.

«Ho iniziato a giocare all’età di cinque anni, in Scuola Calcio con i maschi. Mi è subito piaciuto, ero l’unica femmina sì, però mi è sempre andata bene così. Anche perchè il rapporto con i miei compagni era buonissi-mo. Ho cercato sempre di non sentire questa differenza e loro sono stati bravi a non far-mela mai sentire. Adesso ne ho 25 di anni quindi gioco a calcio oramai da 20». Passio-ne incontenibile e determinazione instanca-bile sono il motore di Tessa Rigolino, clas-se 1992, difensore centrale e capitano della Novese Calcio Femminile, squadra di serie B, che attualmente sta lottando per il terzo posto in classifica. «Ho iniziato a giocare a calcio per un motivo molto casuale. A scuo-la giocavo sempre con i miei amici e com-pagni di classe. Quindi ho deciso di fare con

loro i primi allenamenti. Da lì non ho poi più smesso proprio perchè mi piace. Vivo di calcio e non potrei trovare un altro sport che riesca a darmi quello che mi dona il calcio». Spiega la vercellese che continua: «Una ra-gazza secondo me può giocare a calcio. No-nostante tutti i pregiudizi che ci siano pro-prio perchè non è uno sport per soli uomini. Il calcio maschile è molto diverso da quello femminile. Però nonostante le donne non siano considerate professioniste dalla mag-gior parte delle persone il calcio femmini-le può dare tanto». Capitan Rigolino spicca subito per la genuinità nel raccontare la sua esperienza, sempre accompagnata dalla de-cisione che la contraddistingue mista a umil-tà nonostante i buonissimi risultati: «Il mio goal più bello l’ho realizzato in una partita in cui ci giocavamo il campionato, Novese- Empoli (12 marzo 2017, stadio Gilardengo, Novi Ligure, ndr). L’ho realizzato al 96esi-mo, praticamente all’ultimo secondo di par-tita ed è stato il goal più emozionante perchè in quel momento stavamo perdendo 1 a 0 e vedevamo la possibilità di essere sorpassati dall’Empoli. Con questa rete ho tenuto a gal-la i nostri sogni anche se successivamente è andata male, ma ho comunque i brividi ogni volta che ci penso. Tra l’altro è un goal che ho fatto io da difensore. Di solito qualcuno si aspetta le punte, i centrocampisti, nessuno lo

avrebbe mai detto da un centrale di difesa». La lotta agguerrita in campo si accompagna a quella di tutti i giorni contro i pregiudizi, vera sfida del movimento calcistico femmi-nile italiano: «Essere una ragazza che gioca a calcio, vuol dire anche lottare con i soliti pregiudizi. Per la maggior parte delle per-sone una ragazza non può giocare a calcio o comunque non è capace come un uomo. È vero, magari il calcio femminile è meno spettacolare di quello maschile, però non è vero che una ragazza non può giocare a cal-cio perchè regaliamo comunque tante emo-zioni. Lo spogliatoio è diverso e si vive in un altro modo, però lo facciamo per passione, non riceviamo uno stipendio. Tutto quello che facciamo lo facciamo per la nostra pas-sione. Vorrei che passasse questo messaggio contro tutti i pregiudizi».

Sport

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di Deborah Villarboito

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Sport

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Quando la determinazione è donnaRosanna Cavoli, arbitro sul campo e nella vita

Determinazione, passione, personalità e forte senso delle regole ca-ratterizzano l’arbitro in ogni sport. Nel mondo calcistico, questa figu-ra è vista come prettamente maschile. Negli ultimi anni però qualcosa è cambiato. L’Aia, Associazione Italiana Arbitri, conta al 28 febbraio 2018 un totale di 29.858 iscritti. Tra questi 1418 sono di sesso femmi-nile pari al 4,74%. A prima vista potrà sembrare poco, ma rispetto a vent’anni fa la percentuale rosa è aumentata sensibilmente, visto che all’epoca contava un timido 1%. In tutta la storia del calcio italiano solo due donne sono arrivate nell’ambito professionistico, Cristina Cini e Romina Santuari, e solo come assistenti dell’arbitro. Rosanna Cavoli fa parte di quell’1% che ha aperto la porta alle donne arbitro. Le caratteristiche citate all’inizio sono facilmente rintracciabili in questa quarantenne docente di educazione fisica e di sostegno delle scuole medie. La Professoressa emerge, però, in età giovanile aggiu-dicandosi un titolo italiano juniores nei 3000 metri e partecipando con la Nazionale Azzurra ai Mondiali di Cross (corsa campestre) nel 1997 a Torino.Visti gli ottimi risultati nell’atletica, come è nata la passio-ne per l’arbitraggio?Mi sono sempre avvicinata al calcio come spettatrice. Ho sempre ti-fato il Palermo e per questo andavo sempre allo stadio. Mentre guar-davo la partita, mi incuriosiva quella macchietta nera che andava su e giù per il campo e mi chiedevo come riuscisse a gestire tutto. All’i-nizio mi dicevo “fossi nata uomo avrei fatto l’arbitro”, perchè questa figura mi incuriosiva molto. Un giorno un mio amico mi disse che anche le donne possono fare l’arbitro. Non lo avesse mai detto. Den-tro di me si scatenò una rivoluzione. Stiamo parlando di 20 anni fa.Come iniziò il tuo percorso?Andai in famiglia e dissi: “papà voglio fare l’arbitro di calcio”. Pre-metto che ero nata in una realtà difficile e chiusa, quella palermi-tana, dei campetti della periferia. Mio padre mi disse che non se ne sarebbe parlato proprio, non esisteva, ma non mi fermai. Quindi mi impuntai e gli dissi: “Senti, a me conoscere bene il regolamento serve per la scuola quando devo arbitrare. Lo faccio e poi si vedrà”. Con-tinuava a dirmi di no. Io ho iniziato lo stesso, anche se per gioco, e una volta che sono entrata dentro l’Aia, sono stata accolta come in una famiglia, anche se avevo iniziato tardi, a 20 anni. Nell’Associa-zione eravamo veramente poche all’epoca, delle mosche bianche da proteggere. Quando si arbitra ci sono degli osservatori che vengono a verificare l’operato dei giudici di gara. Inaspettatamente questi veni-vano a farmi i complimenti dicendomi che ero brava e promettente. Da lì ho iniziato anche a sognare.Essendo un ambiente maschile, come reagivano giocatori e dirigenti?Quando arrivavo al campo con il borsone, i dirigenti mi guardavano malissimo e a stento venivano a salutarmi e a portarmi le distinte. Alcuni giocatori si dicevano a vicenda: “c’è la donna, andiamoci pia-no”, intendendo sia con me sia tra di loro, altri mi prendevano sotto gamba pensando che non avrei avuto polso. Poi con il primo fischio capivano che sarebbe stata una partita tosta e che non c’era da scher-zare. La soddisfazione più bella era che poi a fine partita gli stessi di-rigenti venivano a farmi i complimenti dicendomi che ero anche me-glio di alcuni arbitri maschi e che i giocatori mi rispettavano. Alcuni di questi addirittura mi lasciavano il loro numero nello spogliatoio!Come ti vedevano i colleghi arbitri?In Aia, pur essendo un ambiente maschile, siamo trattate alla pari per gli aspetti tecnici, e siamo proprio ben viste. Siamo “il fiore rosa all’occhiello” della federazione, mi piace dire. E’ una grande famiglia. Quest’anno festeggerò i miei 20 anni di tesseramento.Cosa ti piace di più dell’essere arbitro?

Quando sei arbitro lo sei sempre. Non solo nel campo, ma anche nel-la vita. I miei genitori mi hanno sempre inculcato il rispetto delle re-gole e dei valori. Sono cresciuta a Palermo, in un quartiere periferico, dove il rispetto delle regole non era sempre il massimo. Quindi l’idea di essere quella persona che faceva rispettare le regole in un campo, il cui fare bene o male poteva influenzare la partita, a me piaceva. Poi le cose sono venute da sé.Quali sono stati i passaggi della tua carriera in campo?Dalla categoria provinciale sono passata a quella regionale e ho arbi-trato fino alla Promozione. Vent’anni fa in Sicilia non era facile en-trare in quei campi per una donna. Poi iniziai a fare l’assistente a Pa-lermo e Pavia per motivi di età. Anche qui belle soddisfazioni, come l’esordio in Can D, la prima serie nazionale. In quei cinque anni di assistente ho anche partecipato alla finale di Coppa Italia dell’Eccel-lenza, in quel contesto addirittura la terna era tutta al femminile. Per non dimenticare delle manifestazioni speciali come “Partita del Cuore” o quelle legate alla commemorazione di Falcone. Tutti piccoli passi in avanti per la figura dell’arbitro donna, che negli ultimi anni è andata crescendo. Penso che sarei potuta andare ancora avanti, ma ho perso una stagione importante a causa di un infortunio. Nono-stante questo, non rimpiango nulla perchè sono pienamente soddi-sfatta della mia carriera sportiva.

Dopo il campo, i ruoli federali...Dopo l’esperienza da assistente sono stata chiamata per il ruolo fede-rale di referente atletico regionale. Mi occupavo dei test atletici che gli arbitri dovevano effettuare durante l’anno. L’arbitro è un atleta tra gli atleti, è quello che corre più di tutti senza pausa, quindi si deve preparare al meglio. Poi, seguendo mio marito, mi sono trasferita in Piemonte dove sono tornata in campo, iniziando la carriera di osser-vatore arbitrale, quella figura che guarda la partita e valuta la pre-stazione dell’arbitro. Ho visionato arbitri di prima categoria, promo-zione ed eccellenza. Mi hanno proposto anche al Comitato Regionale Arbitri (Cra) del Piemonte.Attualmente una nuova soddisfazione, ma anche sfida che arriva direttamente dalla Federazione Italiana Gioco Cal-cio...Ora sono in una fase di “stand by” con l’Aia perchè ho ricevuto un incarico dalla Figc: sono il delegato provinciale scolastico di Vercelli. Sono passata così, senza non troppi pensieri, dal campo alla scriva-nia. Il mio obiettivo ora è quello di far incontrare il mondo scuola con il mondo calcio, che spesso non coincidono. Soprattutto mi im-pegnerò per avvicinare bambine e ragazze al calcio, perchè non è uno sport da maschi. Si può tranquillamente giocare a calcio rimanendo donne. Per dimostrare questo io mi sono sempre presentata in cam-po con i capelli lunghi, anche se raccolti e agli appuntamenti ufficiali vestita in modo femminile. Voglio continuare a infrangere i pregiudi-zi che si sono radicati sull’ingresso delle donne nel calcio. Dopo che avrò adempiuto a ciò, vorrei tornare sul campo, come osservatrice.Pregiudizi che si infrangono anche grazie alle nuove gene-razioni. A casa hai anche una piccola appassionata di cal-cio, vero?Mia figlia Sonia ha cinque anni e si diverte un mondo a guardare le partite di calcio con me. Ogni volta che le chiedo “ma non ti annoi?” lei mi risponde “no! È uno sport bellissimo!”. Questo lascia ben spe-rare in una carriera da calciatrice, o perchè no, da arbitro.

D.V.

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Sport

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PyeongChang 2018: lo spettacolo continua

Donne nel pallone: parla Mister Maurizio Fossati

Da oggi, giovedì 8 marzo, a domenica 18 si terranno i XII Giochi Paralimpici invernali, sempre a PyeongChang, Corea del Sud. An-che con la possibilità di variazioni dell’ultim’ora, questa si prospetta come l’edizione con il numero maggiore di paesi partecipanti. Ben cinquantuno sono le nazioni che hanno il diritto di far competere almeno un atleta nella manifestazione. Cinque anni fa a Sochi 2014 sfilarono quarantacinque comitati nazionali. Agli esordi Brunei, Ge-orgia, Tagikistan e Corea del Nord, mentre l’Ungheria tornerà in gara dopo aver saltato l’edizione precedente e l’Estonia non partecipava dal 2002. Grande assente l’Africa per la seconda volta consecutiva, anche se il Sudafrica era sempre stata presente dal 1998 al 2010. La delegazioni Italia conta 26 azzurri (tutti uomini) che proverà a tor-nare sul podio dopo il nulla di fatto di Sochi 2014. Florian Planker sarà il Portabandiera azzurro durante la cerimonia di apertura dei Giochi. Il 40enne bolzanino è alla sua sesta Paralimpiade (tre edizio-ni come sciatore, tre come pedina fondamentale della Nazionale di para ice hockey). Numerosi i successi in carriera: bronzo a Salt Lake City nel 2002 nello sci alpino, campione europeo nel 2011, vice cam-pione europeo nel 2016 con la nazionale di Para Ice Hockey e deten-tore di nove titoli italiani con le Aquile del Sudtirolo nel campionato italiano di Para Ice Hockey.

Maurizio “Fox” Fossati è attualmente l’allenatore della FCD Novese Cal-cio Femminile. Ha quasi mezzo secolo di esperienza calcistica sia da gio-catore che da allenatore e da anni è sostenitore del movimento del cal-cio femminile. «Io alleno dal 1997, quasi 21 anni e per 10 anni circa ho allenato le squadre maschili. Non avevo mai allenato il femminile, ma essendo di larghe vedute entrai in A2 e inizia ad allenare una squadra di ragazze, nel 2010. Fui colpito positivamente dal loro atteggiamento - racconta Mister Fossati – Le giocatrici sono più professionali dei col-leghi maschi, mettono lavoro, attenzione, passione, credendo davvero che potrà arrivare la chiamata della vita. Ogni partita per la ragazza è importante, mentre per i ragazzi è normale. Le ragazze si allenano in condizioni che i ragazzi non accettano». Attualmente il calcio femmini-le è in espansione, nonostante ancora la diffidenza del pubblico e degli addetti ai lavori stessi. «E’ un movimento in pieno sviluppo e la Federa-zione Italiana Gioco Calcio sta investendo. Anche i grandi club si stanno aprendo al femminile come la Juventus che oltre il Brescia non ha anta-gonisti – continua - Sta andando avanti ma non so quanto ci impiegherà a svilupparsi, a livello giovanile si sta radicando moltissimo. Per avere una marcia in più però bisogna vincere i pregiudizi di genitori e per-sone comuni: “Le donne non devono giocare a calcio perchè perdono di femminilità”, questo è solo un esempio. All’estero non si incontrano queste resistenze». Un altro dei grandi limiti è la mancanza di popolarità di uno sport che comunque ha un suo trascorso: «Non c’è visibilità, ma il calcio femminile ha una sua storia. La visibilità però è una questione di numeri. Bisogna riuscire ad arrivare agli spettatori. Ma voglio essere ottimista». Molti sono stati i passi avanti della Figc ma «Noi dobbiamo investire nello sviluppo perchè la Federazione stessa passa da noi. Stia-mo andando molto piano. Si cresce anche perchè a volte non si hanno mezzi. Mancano le risorse e ci dobbiamo arrangiare. È un contesto net-tamente più povero perchè le sponsorizzazioni preferiscono il maschile “perchè ha più visibilità”. In alcune occasioni non c’erano alternative e mi sono impegnato il più possibile per ottenere per la mia squadra tutto il necessario. Non ho mai guadagnato nulla di materiale, anzi ci ho rimes-so di tasca mia. Ma le soddisfazioni mi hanno ripagato. La cosa positiva è che noi siamo trattati molto bene dalla città di Novi Ligure. Abbiamo cinque categorie femminili: primi calci, under 12, under 15, primavera, prima squadra. Siamo partiti dal nulla e la città ha risposto molto bene». Maurizio Fossati ha speso la maggior parte della sua vita nella passione calcistica: «Ho nei piedi 45 anni di calcio consecutivi. Ho giocato ed al-lenato. Tra un po’ festeggerò le nozze d’oro con il calcio. Questo sport mi ha dato tantissimo e rifarei tutto così».

D.V.

D.V.

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Sport

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Kobe Bryant: sorprende tutti e dona un Oscar al Basket

Italia ruggente ai Mondiali di Ciclismo su pista 2018Filippo Ganna è oro: il 21enne è l’uomo dei record

Sicuramente quello che rimarrà nella storia storia della 90sima edizione degli Oscar sarà la sorpresa di veder salire sul palco una leggenda vivente del basket per ritirare un premio: Miglior cortometraggio. Con lui sul palco un’altra leggenda Glen Keane, storico animatore della Disney e che ha nel suo curriculum La Sirenetta, La Bella e la Bestia, Aladdin e ora un Oscar per Dear Basketball, il corto sull’amore di Bryant per la pallacanestro. Il testo del cortometraggio animato è tratto dalla lettera che l’atleta scrisse nel 2015 quando si ritirò. La tecnica di non-finito (completamente a mano) ricrea immagini che ripercorrono la vita di Bryant dai sogni d’infanzia fino alle fatiche, ai dolori ma anche ai successi di una carriera che non ha paragoni nel mondo del basket, tutto con il sottofondo delle musiche di John Williams. Agli Annie Award, ovvero i premi specializzati nel cinema di animazione, aveva già ottenuto riconoscimenti. Nessun premio sarebbe stato più azzeccato per celebrare la carriera di un giocatore con Bryant. Una carriera veramente da Oscar.

Gli Azzurri hanno sorpreso ai Mondiali 2018 di ciclismo che si sono disputati ad Apeldoorn (Paesi Bassi) dome-nica scorsa, 4 marzo. Vincendo sei medaglie si è piazzata sesta nel medagliere e ha eguagliato il record del 1995 a Bogotà. Fenomenale l’oro di Fabrizio Ganna che a 21 anni bissa il risultato nell’inseguimento individuale, mettendo a referto il tempo di 4’13″607, migliorando così ulterior-mente il record italiano già suo. La seconda medaglia l’ha ottenuta con il “quartetto” dell’inseguimento a squadre al maschile con Simone Consonni, Liam Bertazzo e Fran-cesco Lamo, che ha portato a casa anche il nuovo record italiano (3’54″606). Argento invece per Michele Scartez-zini che nello scratch, ha conquistato il risultato più im-portante di tutta la sua carriera. Altro bronzo per Simo-ne Consonni nell’omnium, la prima in questa specialità. Doppio bronzo anche per Letizia Paternoster che ha con-quistato il terzo posto sia nella staffetta di inseguimento femminile con Silvia Valsecchi, Elisa Balsamo e Tatiana Guderzo (4’20’’202), sia nella madison con Maria Giulia Confalonieri.

D.V.

di Deborah Villarboito

IN BREVETENNIS - Fabio Fognini si conferma numero uno azzur-ro nella classifica del tennis mondiale: con il titolo con-quistato a San Paolo il 30enne ligure risale ancora di una posizione, portandosi al nu-mero 19. Alle sue spalle per-de due posti Paolo Lorenzi,

55/o, mentre è stabile Andreas Seppi al nu-mero 62. Al comando della classifica resiste lo svizzero Roger Federer, che ha 600 pun-ti di vantaggio sullo spagnolo Rafael Nadal. Per quanto riguarda la classifica femminile la romena Simona Halep resta al comando davanti alla danese Caroline Wozniacki, ter-za la spagnola Garbine Muguruza. Camila Giorgi è sempre la prima delle azzurre: la marchigiana guadagna una posizione e risa-le al n.60.

GOLF - La parità di ge-nere conquista anche il golf. Nell’edizione 2018 del GolfSixes (5-6 mag-gio), innovativo torneo dell’European Tour, per la prima volta nella storia giocatori professionisti maschili e femminili gio-cheranno l’uno al fian-co dell’altra. A St.Albans

(nella contea inglese dell’Hertfordshire), sul green del Centurion Club, ci sarà anche una squadre mista. Un fatto più uni-co che raro. Accolto con grande entusiasmo dal mondo del golf.

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Film, mostre ed eventi da non perdere!Eventi

Film

Mostre

Eventi

Tomb RaiderTomb Raider è un film d’azione del 2018 diretto da Roar Uthaug, basato sull’omonimo videogioco del 2013 creato da Crystal Dynamics.

The Strangers: Prey at NightThe Strangers: Prey at Night è un film del 2018 diretto da Johannes Roberts. La pellicola è il sequel del film horror del 2008 The Strangers.

Stagioni russe: al vittoriano i giovani artisti dell’accademia di mosca

In mostra al Vittoriano di Roma giovani artisti dell-accademia moscovita. Dal 3 marzo al 2 maggio a Roma.

Luigi Busi. L’arte elegante in mostra a Perugia

Grande monografica dedicata al pittore nella sua città natale, raccoglie una sessantina di opere, tra dipinti e opere grafiche, di provenienza sia pubblica che privata. Palazzo d’accursio bologna dal 27 gennaio al 18 marzo 2018

Il Camaleonte a Roma: Liu Bolin, l’uomo invisibile

Al complesso Vittoriano di Roma, protagonista di incredibili camuffamenti l’in-terprete Liu Bolin, che ripercorre la sua carriera artistica con circa 70 opere fo-tografiche. Dal 2 marzo al 1° Luglio, Complesso Vittoriano, Roma

Arte e Fiori in mostra a Milano

Sabato 10 e Domenica 11 Marzo, si svolgerà la dodicesima edizione di Arte & Natura Fiori in Villa, una ricca esposizione di Artigianato Artistico di Qualità ispirato alla Natura, Florovivaismo e Prodotti naturali,

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