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Fare Business in Etiopia IL PUNTO . #8 NEWSLETTER D’INFORMAZIONE ECONOMICA E GIURIDICA Dicembre 2017

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Fare Business in Etiopia

I L P U N T O.#8

N E W S L E T T E R D ’ I N F O R M A Z I O N E E C O N O M I C A E G I U R I D I C A Dicembre 2017

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Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA] 32 Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA]

Etiopia:il mercato ri-emergente

Lo sapevate che il movimento rasta di Bob Marley & co. ha origine in Etiopia? E che Axum non è solo una stazione del metrò ma un antico regno etiope? E che l’ambaradan oltre a essere un gran casino è un monte etiope dove combatté l’esercito del fascio? Per non dire di Lucy, forse non esattamente una bel-la abissina ma sicuramente una delle femmine più ammirate ad Addis…Dall’arsa terra etiope emergono segreti e aned-doti che ci fanno capire quanto vicino sia questo lontano paese, dimenticato per troppo tempo laggiù nel Corno d’Africa, che sta tentando ora di riemergere dopo essere sopravvissuto al trittico fascismo-dittatura-comunismo, sempre con il mi-nimo comune multiplo della fame e della violenza a imperare.Finiti i tempi dell’assistenzialismo sovietico e dei li-ve aid, nell’era della globalizzazione e dell’apertura internazionale, l’Etiopia si sta profilando come uno dei paesi africani più interessanti dal punto di vista dello sviluppo economico, con progressioni degne dei propri marciatori.

Così non potevamo proprio fare a meno di andare a fare un giro ad Addis a vedere cosa succede: dopo averlo lumato tante volte, fermo sulla pista di Mal-pensa, eccoci dunque finalmente prendere il bigliet-to e imbarcarci sul volo Ethiopian per Addis Abeba.Ad attenderci sul posto alcuni imprenditori italo-etio-pi che ci hanno introdotto nel tessuto economico del paese, parlandoci delle grandi opportunità ma anche delle difficoltà del fare business nel territorio etiope.A questo primo viaggio ne sono seguiti altri che, unitamente ad una buona dose di studio, ci hanno permesso di comprendere di più la realtà etiope e di aprire importanti canali commerciali.Nelle pagine seguenti vi parliamo delle nostre espe-rienze in Etiopia, partendo dalla storia di questo importante Paese, perché è proprio la conoscenza di questo passato tanto glorioso quanto doloroso che ci permette di comprendere il presente. Il focus ovviamente resta “fare business”, ma non dimenti-chiamoci che stiamo parlando di uno dei paesi più poveri del mondo che sta ora lavorando per ricon-quistare gli antichi splendori.

Infine, e non mi stanco di ripeterlo, fuori dalla nostra vecchia Europa, sempre dedita più a “controllare e vietare” che a “osare e intraprendere”, il mondo sta girando a mille e sta facendo passi da gigante. Le opportunità di business sono molteplici e per co-glierle bisogna recuperare la capacità di aprirsi al nuovo e di rimettersi in discussione.

Andrea [email protected]

Siamo a disposizione degli imprenditori e degli operatori economici che stanno va-lutando l’Etiopia quale potenziale merca-to per i loro prodotti oppure quale luogo d’insediamento di un’unità produttiva o di un’entità commerciale, offrendo i se-guenti servizi:– Ricerche di mercato– Studi di fattibilità economica– Partecipazione a fiere ad Addis Abeba– Ricerca di partner commerciali

Per ulteriori informazioni contattateci al numero +41 91 210 35 00

[Speciale ETIOPIA]

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Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA] 5

Da Lucy a Bob: Etiopia culla dell’umanitàDai primi ominidi a Bob Marley, passando per il regno di Axum e l’Impero fascista. L’Etiopia è un paese antico quanto affascinante, dai mille colori e che ne ha viste di tutti i colori. Un paese dalle mille contraddizioni, tra i più poveri del mondo, eppure attualmente uno dei più ricchi in ter-mini di opportunità economiche. Cominciamo il nostro viaggio alla scoperta del pianeta Etiopia partendo proprio dalla storia di questa nazione, perché solo conoscendone il passato si può tentare di decifrare la complessa realtà in cui esso si trova.

L’Etiopia in cifre e fattiLa Repubblica Federale Democratica dell’Etiopia è uno Sta-to dell’Africa orientale con una popolazione stimata intorno ai 110 milioni di abitanti, cifra che la colloca al secondo posto, dopo la Nigeria, tra i paesi africani più popolosi. Situata nel Corno d’Africa e priva di sbocchi sul mare, l’Etiopia confina a nord con l’Eritrea e a nord-est con Gibuti, dal cui porto transitano tutte le merci da e per l’Etiopia. Ad est vi è il confine con la Somalia, ad ovest con il Sudan e il Sud Sudan e a sud con il Kenya.L’Etiopia occupa una superficie totale di 1’127’000 chilometri quadrati e rappresenta il decimo paese africano per estensione.La capitale, Addis Abeba (o Addis Ababa), si trova sull’altipiano etiope a 2’640 metri d’altitudine e conta oggi 3,3 milioni d’a-bitanti. Addis, come viene comunemente chiamata, è una città relativamente recente, essendo stata costruita a fine Ottocento.

L’Etiopia deve il suo nome alla lingua greca antica. Αἰθιοπία (Aithiopia) è una parola composta da αἴθω (aitho, «io brucio») e da ὤψ (ops, «faccia»), che letteralmente significa quindi «fac-cia bruciata», in altri termini «persona dalla pelle scura». La morfologia del territorio etiope è caratterizzata da due grandi altopiani, quello etiopico ad ovest con un’altitudine quasi sempre superiore ai 1’500 metri e con montagne che, in alcuni casi, superano anche i 4’000 metri d’altezza, e quello galla-somalo ad est, più basso e con valli più larghe, che di-grada progressivamente verso la Somalia e l’Oceano Indiano. L’altopiano etiopico è caratterizzato da una notevole uniformi-tà termica, con una temperatura media annua moderata che si aggira intorno ai 18 °C e con un’escursione termica contenuta. Le temperature massime sono raggiunte nella parte meridio-nale e centrale dell’altopiano fra aprile e maggio, con punte di 31 °C, mentre in quella settentrionale il culmine viene raggiun-to fra maggio e giugno, con punte di 28 °C.La popolazione è composta da circa 80 gruppi etnici differen-ti, con le comunità afro-asiatiche, chiamate Habesha (da cui il nome Abissinia), che costituiscono la maggioranza della popo-lazione e sono accomunate da affinità linguistiche e religiose nonché dalla particolare fisionomia, che li distingue nettamen-te dai neri africani, dovuta al fatto che gli abissini sono il frutto dell’unione di popolazioni indigene africane e mediorientali.

I gruppi etnici più numerosi sono gli Oromo o Galla (34,5%) e gli Amhara (27%), che insieme costituiscono oltre il 60% degli abitanti del Paese.

DEMOGRAFIALa popolazione etiope è cresciuta dai 33,5 milioni del 1983-1987 ai 90 milioni nel 2014. Secondo il censimen-to demografico del 2007 la popolazione è cresciuta ad un tasso annuo medio del 2,6% tra il 1994 e il 2007. Attualmente, il tasso di crescita della popolazione è fra i primi dieci del mondo. Si prevede che per il 2060 l’Etiopia raggiunga i 210 milioni di abitanti, ipotizzan-do un tasso annuo medio di crescita del 2,5%.

Le differenti etnie Habesha hanno numerosi elementi culturali e religiosi comuni tra loro, tra i quali le lingue, appartenenti al ceppo semitico (ovvero affini a quelle dell’attuale Medio Oriente) e l’appartenenza, in maggioranza, alle chiese orto-dosse etiope ed eritrea (denominate entrambe Tewahedo).L’Etiopia ha stretti legami storici con le tre principali religioni abramitiche. Il cristianesimo è stato ufficialmente adottato co-me religione di Stato nel IV secolo e oggi la religione cristia-no-ortodossa etiope (43,5%) è la fede più professata, seguita da islamismo (34%) e da protestantesimo (18,5%).La lingua ufficiale è l’amarico, scritta con un alfabeto proprio e derivante dall’antica lingua Ge’ez di origine semitica. L’inglese viene insegnato a scuola e rappresenta la lingua straniera più parlata. Sono presenti tracce del breve passato coloniale italia-no, con alcune parole (ad esempio i toponimi Merkato e Piassa ad Addis Abeba oppure il caffè makiato) entrate a far parte del vocabolario locale.

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6 Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA]

Etiopia culla dell’umanitàL’area etiope è abitata dall’uomo fin dai tempi preistorici e nu-merosi sono stati i ritrovamenti di scheletri e ossa di ominidi (tra i quali il più celebre è quello ribattezzato col nome di Lucy, una femmina di Australopithecus Afarensis risalente a 3,2 mi-lioni di anni fa, rinvenuto nel 1974 nei pressi del villaggio di Ha-dar ed esposto al Museo Nazionale di Etiopia ad Addis Abeba) che permettono di affermare che l’Etiopia rappresenti una vera e propria culla dell’umanità.La storia antica di questa regione è legata a quella delle cultu-re del Medio Oriente, come i Sabei e gli Ebrei, con la presenza di popolazioni di lingua semitica in Etiopia ed Eritrea almeno dal II millennio a.C. e con elementi dell’ebraismo che hanno influenzato la tradizione religiosa etiopica.Ancora oggi sopravvive nel nord-ovest dell’Etiopia un’anti-ca comunità di ebrei, chiamati Falasha (termine spregiativo che significa esiliato o straniero) o piuttosto Bēta ‘Isrā’ēl che letteralmente significa Casa (di) Israele. Minacciati da carestie e repressioni, circa l’85% di questa comunità è sta-ta trasferita in Israele nel corso degli ultimi decenni del XX secolo con missioni di salvataggio da parte del governo di Tel Aviv.

I regni antichiLe origini degli abissini risalgono all’antico regno di D’mt e al successivo regno di Axum o Aksum, il quale arrivò, all’apice della sua potenza e ricchezza verso il I secolo d.C., a ricoprire un’estensione di 1,25 milioni di km², dominando Etiopia, Eri-trea, Sudan settentrionale, Egitto meridionale, Gibuti, Somalia occidentale, Yemen e il sud dell’attuale Arabia Saudita.Profondamente coinvolto nei commerci tra l’India e il Mediter-raneo orientale, il Regno di Axum cominciò a battere moneta propria e fu considerato da Mani (il padre della religione ma-nichea) come uno dei quattro stati più potenti del mondo di quell’epoca, assieme a Roma, Persia e Cina.Nella sua forma più moderna, l’Etiopia ebbe inizio con il regno di Menelik II, che ne fu imperatore dal 1889 fino alla sua morte nel 1913. Durante il suo regno, Menelik II realizzò molte inno-vazioni: costruì strade, distribuì l’elettricità, diffuse l’istruzione, sviluppò un sistema di tassazione centrale e fondò la città di Addis Abeba (che significa “nuovo fiore”), che nel 1881 diven-ne la capitale della provincia di Scioà e nel 1889, dopo la salita al potere dell’Imperatore, la nuova capitale dell’Etiopia.

La presenza italiana in EtiopiaAlla fine del XIX secolo, in seguito all’apertura del canale di Suez, prese nuovo slancio la colonizzazione del continente afri-cano da parte dei Paesi europei, che si interessarono anche all’impero etiope. Tra questi troviamo anche il neonato Regno d’Italia, che guardava con appetito ai territori ancora liberi, fra cui l’Impero etiope.La prima presenza italiana nella regione risale al 1870 quando il porto eritreo di Assab, presso l’entrata meridionale del Mar Rosso, fu acquistato da una compagnia italiana, come cessio-ne di un sultano locale, ponendo le basi per la fondazione del-la futura colonia italiana in Eritrea.Le mire espansionistiche italiane in Abissinia tuttavia si scon-trarono con la strenua resistenza da parte etiope, che portò prima alla guerra d’Eritrea nel 1889, poi alla guerra d’Abissinia nel 1895 (conclusasi l’anno seguente con la pesante sconfitta italiana nella battaglia di Adua).L’Italia dovette attendere quarant’anni prima di impossessarsi di Addis Abeba, quando il regime fascista, che nel frattempo aveva rilanciato il colonialismo italiano, riuscì nell’impresa nel 1936 e l’Etiopia divenne parte dell’Africa Orientale Italiana in-sieme a Eritrea e Somalia italiana (vedi riquadro).La guerra d’Etiopia ebbe ampio risalto mediatico e suscitò en-tusiasmo tra la popolazione italiana. Celebre è la canzone di epoca fascista “Faccetta Nera”, che rimanda tra l’altro all’eti-mologia della parola habesha vista poc’anzi (“faccia bruciata”) e dedicata – seppur con tutte le limitazioni e l’enfasi proprie della propaganda fascista – alla donna abissina (vedi riquadro).

FACCETTA NERAÈ una canzone scritta da Renato Micheli e musicata da Mario Ruccione nell›aprile del 1935, mentre lo Stato maggiore dell›Esercito italiano prepara le operazioni militari in Abissinia. In quel periodo iniziano ad esse-re pubblicate notizie relative allo sfruttamento della schiavitù cui era sottoposta la popolazione abissina ed è appunto la liberazione dalla schiavitù il tema che la propaganda italiana vuole attribuire all›occupazione dell›Etiopia. Inizialmente composta in romanesco, la canzone «Faccetta nera» intende celebrare l’unio-ne del popolo abissino con quello italiano. Seppur osteggiata dal Ministero della Cultura Popolare Fa-scista, che proprio nell’unione tra italiani ed etiopi ve-deva una violazione delle leggi razziali, Faccetta Nera riscuote un grande successo popolare sia per il motivo orecchiabile, che per quei toni salvifici e machisti tan-to cari al maschio di casa nostra. In effetti nel testo si favoleggia di salvare le belle donne abissine dalla condizione di schiavitù e di portarle a Roma liberate, in marcia per le strade dell’urbe e baciate dal sole, imponendo loro unicamente la schiavitù…dell’amore oltre che la camicia nera, ovviamente!

A proposito di donne abissine, non si può non menzionare il “madamato” e l’ampia diffusione che ebbe questa forma di unione tra uomini italiani e donne abissine.

IL MADAMATOIl termine madamato designava una relazione tempo-ranea more uxorio tra un cittadino italiano ed una ma-dama, ossia una donna nativa delle terre colonizzate. Sin dai primi anni di presenza italiana in Eritrea il feno-meno da più parti venne giustificato come rispondente alla tradizione locale del dämòz o «nozze per merce-de», una forma di contratto matrimoniale che vincola i coniugi ad una reciprocità di obblighi che includono per l’uomo quello di provvedere alla prole anche do-po la risoluzione del contratto. Molto spesso, però, gli italiani intendevano il madamato come libero accesso a prestazioni domestiche e sessuali, senza curarsi trop-po dei doveri che l’unione prevedeva. Il madamato si diffuse enormemente sia per la lontananza delle mogli italiane e delle famiglie, sia per la preferenza accor-datagli dai Comandi Militari rispetto alla occasionale frequentazione di prostitute locali, veicolo di malattie sessualmente trasmissibili, che per la maggiore sta-bilità di vita offerta ai militari. Molto raramente però il madamato approdava ad una legale regolarizzazio-ne e pertanto questo fenomeno portò alla nascita e, purtroppo, spesso anche all’abbandono di un numero altissimo di figli meticci, non riconosciuti dal padre, la cui unica sorte era quella di essere accuditi presso gli orfanotrofi religiosi. In seguito, con l’introduzione delle leggi razziali, il madamato venne proibito e penalmen-te perseguito, in quanto il regime fascista lo giudica-va rovinoso per l’integrità della razza e per il prestigio dell’Italia imperiale (“Aut Imperium aut Voluptas!”). Si tentò, peraltro con scarsi esiti, di sopperire con le case di tolleranza, dove vennero impiegate ragazze mar-sigliesi, per evitare di fornire ai sudditi delle colonie un’immagine negativa delle donne italiane.

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Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA] 98 Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA]

LA GUERRA D’ETIOPIA E L’AFRICA ORIENTALE ITALIANAL’Africa Orientale Italiana (A.O.I.) era la denominazione ufficiale dei possedimenti coloniali italiani nel Corno d’Africa. Proclamata da Benito Mussolini il 9 maggio 1936 dopo la vittoria italiana nella guerra d’Etiopia, l’Africa Orientale Italiana comprendeva, oltre all’Etio-pia stessa, le colonie dell’Eritrea e della Somalia Ita-liana. La guerra d’Etiopia fu originata da una disputa territoriale (l’incidente di Ual Ual) che portò il Regno d’Italia, il 3 ottobre 1935, ad attaccare l’Impero d’Etio-pia. Hailé Selassié si appellò alla Società delle Nazioni, che deliberò delle sanzioni economiche contro l’Italia. Con questa mossa, Hailé Selassié acquisì ampia no-torietà internazionale, tant’è che la rivista Time lo no-minò Persona dell’anno. Il comando dell’esercito ita-liano fu affidato al generale Pietro Badoglio, che riuscì a sconfiggere la resistenza etiope utilizzando in alcuni casi anche le terribili armi chimiche. Il 2 maggio 1936 Hailé Selassié partì in esilio volontario per la Gran Bre-tagna e, tre giorni dopo, Badoglio entrò nella capitale Addis Abeba. L’8 maggio il generale Rodolfo Graziani espugnò la regione di Harar e, il giorno seguente, Be-nito Mussolini annunciò la nascita dell’Impero, di cui si proclamò Fondatore, mentre il re Vittorio Emanuele III assunse il titolo di Imperatore d’Etiopia e a Badoglio fu concesso prima il titolo di Viceré dell’Etiopia e poi il titolo di Duca di Addis Abeba. L’A.O.I. tuttavia ebbe vita breve in quanto cessò di esistere dopo soli cinque anni, alla fine del novembre 1941, dopo la sconfitta ita-liana subita nella campagna contro gli Alleati durante la seconda guerra mondiale.

Ciò nonostante, gli etiopi non si sottomisero ai colonizzato-ri italiani e continuarono, in particolare attraverso l’operato del ras Hailé Selassié salito al potere qualche anno prima, nel 1930, a combattere gli invasori attraverso guerriglia piuttosto efficace, che portò le forze italiane a dure azioni repressive, in particolare per mano del terribile e ancora oggi ricordato generale Rodolfo Graziani (vedi riquadro).

IL GENERALE RODOLFO GRAZIANI E L’ATTENTATO DI ADDIS ABEBAPersonaggio di spicco del fascismo italiano, Rodolfo Graziani (1882-1955) ebbe responsabilità di coman-do durante le guerre coloniali italiane: nella riconqui-sta della Libia (1921-1931), per la Guerra d’Etiopia e, successivamente, nella repressione della guerriglia abissina (1935-1937). Il suo ruolo in Libia e i suoi me-todi brutali gli valsero il soprannome di «macellaio del Fezzan». Nominato viceré d’Etiopia, Graziani in questa veste fece costruire numerosi edifici pubblici. A ciò si affiancò anche una dura opera di repressione dei rivoltosi etiopi. Furono istituiti campi di prigionia, erette forche pubbliche e uccisi molti ribelli. Triste-mente famose sono le fotografie che ritraggono mili-tari italiani accanto ai cadaveri penzolanti dalle forche o accovacciati intorno a ceste piene di teste mozzate. Ben presente ancora nella memoria collettiva etiope è l’eccidio compiuto dagli italiani a seguito dell’atten-tato di Addis Abeba avvenuto il 19 febbraio 1937, in occasione della cerimonia per celebrare la nascita del primogenito di Umberto, Vittorio Emanuele di Savo-ia. Nei tre giorni che seguirono l’attentato, la rappre-saglia italiana causò almeno 3’000 vittime secondo le stime britanniche (di cui circa 700 etiopi, rifugiatisi nell’ambasciata inglese, vennero fucilati appena usciti da questa), 30’000 secondo le fonti etiopiche presen-tate dopo la fine della guerra.

In Etiopia il governo italiano pianificò una serie di lavori pubblici in tutto il Paese, tra cui il piano regolatore di Addis Abeba del 1938, ma molte opere non furono completate o neppure avvia-te a causa dell’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale il 10 giugno del 1940, che evidentemente distolse molte risorse dal progetto coloniale. Poco dopo, Hailé Selassié partì per Khar-tum, nel vicino Sudan, per dimostrare il suo sostegno ai patrioti etiopi e nei mesi seguenti, nel corso della campagna dell’Africa Orientale Italiana, le forze inglesi, insieme ai combattenti etiopi, gli arbegnuoc, riuscirono a riconquistare il paese. Hailé Selassié rientrò così trionfalmente ad Addis Abeba il 5 maggio del 1941 e molti videro in lui una figura divina da cui poi sortì un movimen-to religioso ancora vivo ai giorni nostri, il Rastafarianesimo, la cui popolarità andò oltre i confini del paese africano (vedi riquadro).

HAILE SELASSIE E IL RASTAFARIANESIMOHailé Selassié (ge’ez: «Potenza della Trinità»), al secolo Tafarì Maconnèn (Egersa Goro, 23 luglio 1892 – Addis Abeba, 27 agosto 1975) è una delle figure più celebri e discusse della recente storia africana.Negus neghesti (re dei re) è stato l’ultimo imperato-re d’Etiopia dove ha regnato dal 1930 al 1936 e dal 1941 al 1974. Eletto di Dio, Luce del mondo, Leone conquistatore della tribù di Giuda sono altri appellativi utilizzati da Hailé Selassié.A seguito della sconfitta nella guerra d’Etiopia contro l’Italia fascista nel 1936, sceglie l’esilio volontario, fino al 1941, quando il Regno Unito conquistò l’Africa Orientale Italiana e gli riconsegna il trono. Viene nuovamente de-tronizzato nel 1974, quando una giunta militare, il Derg, facente capo a Menghistu Hailè Mariàm, rovescia l’im-pero e trasforma l’Etiopia in uno Stato comunista. Hailé Selassié viene imprigionato nel palazzo imperiale dove viene assassinato per soffocamento con un cuscino il 27 agosto 1975 per ordine di Menghistu Hailé Mariàm. Il ca-davere del negus viene seppellito a tre metri di profondi-tà sotto un bagno del palazzo per ordine di Menghistu, si dice allo scopo di potervi camminare sopra e fare in modo che…il suo fantasma non esca dalla tomba per perseguitarlo. Dopo il crollo del regime comunista nel 1991, le spoglie di Hailé Selassié vengono ritrovate il 16 febbraio del 1992 e tumulate nella cattedrale della San-tissima Trinità di Addis Abeba il 5 novembre del 2000.Diretto discendente della tribù di Giuda, che affonda le sue radici nell’incontro tra re Salomone (figlio di Davide) e la regina di Saba, in Hailé Selassié, l’ultimo negus, molti vedono il nuovo Messia e la seconda in-carnazione di Gesù Cristo come profeticamente an-nunciato dalle Sacre Scritture.Da lui, dal Ras Tafari, trae origine in Giamaica, dunque a migliaia di chilometri di distanza, quel movimento politico-religioso noto come rastafarianesimo o, più semplicemente, “rasta”, la cui notorietà troverà il suo apice negli anni Ottanta, veicolato nella musica reg-gae di Bob Marley e Peter Tosh, nel ricorso alla ma-rijuana per uso medico e meditativo, nelle treccine (i dreadlock) e nell’uso nell’abbigliamento dei colori della bandiera etiope (rosso, giallo e verde).

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Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA] 1110 Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA]

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, l’Eritrea divenne nel 1950 una regione autonoma federata dell’Etiopia, ma nel 1962 Hailé Selassié la annetté con decisione unilaterale, scate-nando l’avvio della guerra per l’indipendenza eritrea protratta-si fino al 1991.Nel 1973 la crisi energetica mondiale e la forte carestia che colpì l’Etiopia causando circa 100’000 morti, unite al malcon-tento della classe media e all’incertezza sulla successione al trono, esasperarono la popolazione, che nel mese di febbraio dell’anno seguente iniziò i primi scioperi e manifestò contro il governo dell’ormai anziano e stanco Hailé Selassié.Nonostante i tentativi di sedare le rivolte da parte dell’Impera-tore, il 12 settembre 1974 scoppiò la guerra civile, condotta dal Derg, una giunta militare di stampo marxista-leninista. Hailé Selassié fu deposto e rinchiuso nel palazzo di Menelik II, ove fu assassinato l’anno seguente.

Alla fine degli anni Ottanta, in linea con quanto succedeva nei paesi dell’orbita sovietica a seguito della caduta del Muro di Berlino, anche in Etiopia si diffusero le insurrezioni contro la dittatura comunista, che portarono alla cacciata di Menghistu nel 1989, che dal 1991 vive in Zimbabwe.Nel maggio del 1998 una disputa di confine con l’Eritrea causò lo scoppio di una nuova guerra tra i due Paesi, che si protrasse fino alla stipula dell’accordo di Algeri nel 2000; l’elevato costo del conflitto, stimato per entrambe le parti intorno al milione di dollari al giorno, causò effetti devastanti sull’economia dell’E-tiopia, ancora visibili oggi.Nonostante l’antico e glorioso passato, oggi l’Etiopia rappre-senta uno dei paesi più poveri del mondo con l’85% della po-polazione che vive nelle aree rurali in situazione di povertà o grave indigenza. Il reddito pro-capite annuo è inferiore ai 100 dollari e circa l’80% della popolazione del paese vive in condi-zioni di estrema povertà, sopravvivendo con meno di due dol-lari al giorno, mentre circa 25 milioni di persone sopravvivono con meno di un dollaro al giorno.

Live AidIl Live Aid è stato un concerto rock tenutosi il 13 luglio 1985 in diverse località. L’evento è stato organizzato da Bob Geldof dei Boomtown Rats e Midge Ure degli Ultravox, allo scopo di ricavare fondi per alleviare la carestia in Etiopia. È diventato uno dei più grandi eventi rock della storia, caratterizzando gli anni ottanta. Fu presentato come un jukebox globale e i luoghi principali dell’evento furono il Wembley Stadium di Londra, con circa 72’000 presenze, e il John F. Kennedy Stadium di Fila-delfia, con approssimativamente 90’000 presenze; altri luoghi furono Sydney e Mosca. È stato il più grande collegamento via satellite e la più grande trasmissione televisiva di tutti i tempi: si stimano infatti due miliardi e mezzo di ascoltatori in cento paesi che assistettero alla trasmissione in diretta. Il concerto crebbe di dimensioni man mano che si aggiungevano nuovi musicisti dalle due parti dell’Oceano Atlantico. La raccolta di fondi superò gli obiettivi. Ognuna delle due porzioni di con-certo si è conclusa con il proprio inno continentale all-star con-tro la fame, con la Band Aid a chiusura del concerto in Gran Bretagna con Do They Know It’s Christmas e USA for Africa a chiusura del concerto in USA (e quindi dell’intero evento) con We Are the World.

Andrea [email protected]

L’Etiopia fu così trasformata in uno Stato comunista, governata dal maggiore Menghistu Hailè Mariàm (1937), detto il Negus Ros-so, sostenuto dall’Unione Sovietica. Menghistu divenne nel 1977 il leader incontrastato del Paese, eliminando tutti gli oppositori e instaurando il cosiddetto regime del “Terrore Rosso” durante il quale persero la vita almeno 500’000 persone, in parte anche a causa delle deportazioni forzate o dell’uso della fame come arma. Tra il 1983 e il 1985 L’Etiopia fa colpita da una gravissima ca-restia che causò la morte di almeno 400’000 persone. Questa calamità ebbe ampia risonanza a livello internazionale e le tra-giche immagini dei bambini scheletrici col ventre rigonfio toc-carono profondamente gli animi della comunità internazionale che si mobilitò per reperire aiuti umanitari. Celebre fu il Live Aid (vedi riquadro), un colossale evento musicale che si tenne contemporaneamente tra Londra e gli Stati Uniti a favore della martoriata terra etiope.

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Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA] 1312 Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA]

Fare Business in Etiopia

Grazie alla sua posizione strategica, l’Etiopia ricopre da sempre un ruolo chiave nell’economia e nella politica dell’Africa orien-tale, rappresentando un vero e proprio «ponte» tra l’Africa, il Mediterraneo e il mondo arabo. Dopo un lungo periodo di chiu-sura, il Paese si sta riaprendo al commercio internazionale ed è impegnato in un importante sforzo per ammodernare le proprie infrastrutture con l’obiettivo di attirare investimenti esteri e favo-rire gli scambi. Vediamo quali sono le caratteristiche del mercato etiope e quali sono le condizioni offerte agli investitori stranieri.

Quadro economicoSecondo il Fondo monetario internazionale, l’Etiopia è una delle economie in più rapida crescita al mondo. Dall’inizio del nuovo millennio ad oggi, il Paese ha conosciuto alti tassi di crescita, mediamente superiori al 10%, con picchi fino al 12%-13% negli anni post-recessione 2004 rispettivamente 2010. Nel 2016, la crescita è stata del 7.4%, dato ben al di sopra rispetto ai tassi medi riscontrabili nell’Africa sub-sahariana, tuttavia in rallentamento, riflettendo una più debole domanda estera e un ambiente sempre più vincolato per l’attività del settore pri-vato. Motori dell’economia etiope sono, in particolare, il setto-re agricolo e quello dei servizi. Per il 2017, la Banca Mondiale stima una crescita del PIL in risalita (8.3%).

A sostenere la crescita economica vi è l’importante tasso di crescita della popolazione, pari al 2.5% nel 2016, che, per il secondo paese più popoloso dell’Africa dopo la Nigeria, signi-fica 2 milioni e mezzo di persone in più all’anno (l’Etiopia conta oggi oltre 100 milioni di abitanti).Nel 2016 il PIL nominale è stato di 72.3 miliardi di dollari (70.mo posto nella classifica mondiale), mentre il PIL pro capite (nomi-nale) è stato di soli 511 dollari, collocando l’Etiopia al 193.mo posto e, dunque, tra i paesi più poveri del mondo.In generale, il costo del lavoro in Etiopia è inferiore rispetto agli standard africani e risulta essere tra i più bassi a livello glo-bale, tant’è che si assiste ad un fenomeno di delocalizzazione in Etiopia da parte di aziende provenienti da paesi tradizional-mente “low cost” quali, ad esempio, lo Sri Lanka e il Pakistan per quanto riguarda il settore tessile. I salari variano in base alle dimensioni dell’azienda, alla tipologia di professione e ai livelli di competenza richiesti e sono determinati a seguito di accordi diretti tra datore di lavoro e lavoratore. La manodope-ra è abbondante e il livello di qualificazione è in crescita, grazie ai massicci investimenti del Governo nel settore dell’educazio-ne di base e professionale. Per dare un’idea, oggi un’operaia nel settore tessile guadagna circa 80 dollari al mese per 5.5 giorni di lavoro alla settimana.

Il principale problema dell’economia nazionale etiope è la cro-nica, modesta apertura al commercio internazionale e al con-testuale disavanzo nella bilancia commerciale, con le espor-tazioni pari all’8% del PIL a fronte di importazioni del 28% del PIL (dati stimati al 2016 dalla Banca Mondiale). Poiché i tra-sferimenti netti non sono in grado di compensare questo di-savanzo, le partite correnti sono in costante disavanzo con le relative conseguenze sulla valuta locale, il Birr, periodicamente svalutato per dare ossigeno ai conti.Nel tentativo di dare fiato all’economia nazionale, il Governo etiope ha elaborato, all’inizio della decade attuale, un piano di sviluppo denominato “Growth and Transformation Plan” (GTP) con il quale intende raggiungere vari obiettivi tra i quali l’otte-nimento della sicurezza alimentare per la popolazione etiope. Inoltre si vuole rendere l’Etiopia una “middle income country” entro il 2025. Crescita della produzione agricola, miglioramen-to delle infrastrutture e aumento delle esportazioni sono i prin-cipali pilastri del GTP. Al momento le esportazioni etiopi sono costituite principal-mente dai prodotti agricoli, tra cui troviamo il caffè, il khat (uno stupefacente leggero), i fiori recisi nonché vari prodotti zoo-tecnici tra cui bestiame, cuoio e pellame. Inoltre troviamo semi oleosi, cereali, legumi, spezie e oro.A proposito di cuoio e pellame, va evidenziato che l’Etiopia conta il più alto numero di capi di bestiame di tutto il conti-nente africano. Le esportazioni di borse e accessori in pelle prodotti nel Paese sono in crescita e nascono anche le prime griffes locali, quali ad esempio Taytu, che sta diventando il pri-mo brand di lusso del paese.L’agricoltura rappresenta a tutti gli effetti il settore cruciale per l’economia etiope in quanto dà lavoro all’85% della popolazio-ne ed è un’importante fonte di materie prime per l’industria. Dotata di aree agro-ecologiche e di risorse diversificate, è sta-to stimato che il potenziale di terreno irrigabile equivale a 10 milioni di ettari. Anche le risorse provenienti dalla pesca e dal settore forestale sono di tutto rispetto.Il caffè, di cui l’Etiopia è la patria e dove rappresenta la bevan-da nazionale, rimane comunque il più importante prodotto di esportazione, con nuove offerte da parte di marchi di tutto il mondo, tra le quali Starbucks. Il paese prevede per il futuro di aumentare le proprie entrate dal caffè.

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Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA] 1514 Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA]

IL KHATIl khat o qat (Catha edulis, famiglia delle Celastraceae; in arabo: تاق che significa arbusto), è una pianta origi-naria delle regioni orientali dell’Africa, ma assai diffusa nella penisola Arabica e in particolare nello Yemen. Le foglie di questa pianta contengono un alcaloide dall’azione stimolante, che causa stati di eccitazione e di euforia e provoca forme di dipendenza. Nel 1980 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha classifica-to il khat tra le droghe. Il consumo del khat avviene per masticazione e provoca, oltre alla deformazione delle guance, un effetto anoressizzante, rendendo ti-pica la figura dei consumatori di questa sostanza, che balzano all’occhio per la loro allampanata magrezza e per le guance rigonfie. Nei consumatori abituali sono frequenti le abrasioni, parodontiti ed ulcerazioni delle mucose interne della bocca, interessate dalla mastica-zione, dovute alla cronicizzazione degli stati infiamma-tori. Il khat ha inoltre effetto cancerogeno.

La Cina è attualmente il primo partner commerciale dell’E-tiopia e nel Paese la presenza cinese è tangibile: molti sono i cantieri di imprese cinesi e altrettante sono le opere già realizzate dai gruppi del Dragone. Infrastrutture, strade, fer-rovie, parchi industriali. Per far fronte alla crisi alimentare e all’emergenza rifugiati, il governo etiope è corso ai ripari cedendo le terre migliori agli investitori cinesi che le han-no convertite alla produzione di cereali da esportazione. In cambio i cinesi hanno realizzato grandi opere infrastrutturali. Tra queste citiamo la nuova ferrovia che unisce Addis Abeba

STORIA E CERIMONIA DEL CAFFÈ IN ETIOPIALa storia del caffè risale molto probabilmente al Me-dioevo e molte sono le leggende sull’origine del caffè. Una delle più diffuse narra che un pastore abissino di nome Kaldi notò l’effetto tonificante delle bacche di caffé sul proprio gregge di capre. Si dice che il caffè sia originario dell’Etiopia, dove è bevanda nazionale. In effetti l’albero di Coffea (la specie nativa non do-mesticata) è originario dell’antica provincia di Kaffa/Kefa (da cui il caffè trae il nome) situata nel Sudovest dell’Etiopia. Dal Corno d’Africa la coltivazione si dif-fuse presto nella vicina penisola arabica, dove la sua popolarità trasse beneficio dal divieto islamico nei confronti delle bevande alcoliche. La nera bevanda prese il nome di «K’hawah», che significa «rinvigoren-te». Celebre era il caffè preparato nella città yemenita di Mokha, citato per la sua eccellenza anche da Pelle-grino Artusi nel suo manuale “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”.Altrettanto importante è in Etiopia la cerimonia del caffè. I semi del caffè vengono prima torrefatti poi por-tati in giro per la stanza in modo che gli astanti pos-sano odorarne l’aroma. In seguito il caffè viene maci-nato utilizzando uno strumento tradizionale chiamato mokecha. La polvere del caffè macinato viene quindi collocata in un recipiente in porcellana chiamato je-bena, bollita e poi servita in tazzine chiamate si’ni. Il caffè normalmente viene gustato zuccherato, ma ca-pita anche di trovarlo servito con sale in molte parti dell’Etiopia. Curiosamente, insieme al caffè vengono offerti snack come pop-corn o orzo. Nella maggior parte delle case etiopi esiste un’area dedicata al caf-fè, circondata da piante d’appartamento, con mobi-li speciali per la caffettiera. Una cerimonia completa prevede tre giri di caffè (Abon, Tona e Bereka) ed è accompagnata dalla combustione di incenso.

al porto di Gibuti (750 chilometri), che garantisce al Paese uno sbocco sul mare, realizzata dalla China Railway Group e dalla China Civil Engineering Construction Corporation. Il governo di Pechino ha realizzato per 700 milioni di dolla-ri anche la nuova superstrada a tre corsie Modjo-Hawassa (Hawassa ospita una delle principali aree industriali d’Etio-pia), così come la metropolitana aerea che, con due linee, taglia in quattro Addis Abeba, per un investimento di 500 milioni di dollari.

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Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA] 1716 Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA]

TrasportiIl Governo etiope sta effettuando notevoli sforzi per moderniz-zare e migliorare le infrastrutture del Paese.Negli ultimi anni, le autorità federali etiopi hanno aumentato significativamente i finanziamenti per la costruzione di ferrovie. L’Etiopia sta costruendo una rete ferroviaria a scartamento nor-male, la Rete Ferroviaria Nazionale dell’Etiopia, progettata per un totale di 5’000 km di via ferrata.I progetti stradali rappresentano, al momento, circa un quar-to del budget annuale per le infrastrutture del governo fede-rale etiope. Inoltre, attraverso il Road Development Program (RSDP), il governo ha stanziato 4 miliardi di dollari per costrui-re, riparare e aggiornare le strade nel prossimo decennio.L’autostrada Addis Abeba-Adama è stata completata nel 2014 come prima superstrada in Etiopia. A dicembre 2015 è iniziata la costruzione di una seconda superstrada tra Awasa e Mojo, dove si collegherà alla superstrada esistente.L’aeroporto internazionale Bole di Addis Abeba e l’aeropor-to internazionale di Aba Tenna Dejazmach Yilma di Dire Dawa ospitano voli internazionali.

L’Etiopia rappresenta ovviamente un vastissimo mercato po-tenziale anche per le aziende italiane, storicamente conosciute e apprezzate per il loro alto livello di qualità. Il “Made in Italy” tuttavia soffre nell’affermarsi in Etiopia a causa delle barriere doganali e della bassa capacità di spesa degli etiopi, che han-no budget decisamente limitati.Da un punto di vista strettamente commerciale, per le aziende straniere, tra cui le imprese italiane, le maggiori opportunità si trovano nei settori delle attrezzature e dei materiali da costru-zione, delle macchine movimento terra, impianti e attrezzature nel settore energetico (convenzionale e rinnovabile), nel settore delle tlc (reti fisse e cellulari), dei mezzi di trasporto e delle at-trezzature per il settore aeronautico, ferroviario e stradale, nel settore minerario, del turismo (settore questo decisamente sot-tosviluppato), nel settore tessile e nella filiera agro-alimentare.Inoltre, dal 2006, è in corso un processo di privatizzazione di aziende pubbliche, che negli ultimi anni ha evidenziato un’acce-lerazione favorita da una nuova e più elastica regolamentazione.

Clima politicoL’Etiopia si colloca all’interno di un contesto regionale difficile, con paesi confinanti altamente instabili come la Somalia, il Sud Sudan e l’Eritrea, con la quale le tensioni politiche non sono mai definitivamente cessate.All’interno del Paese, i continui scontri tra le varie etnie (ricor-diamo i gravi disordini nell’ottobre del 2016 nelle regioni di Oromia, Harar, Dire Dawa e Amhara) costringono il governo etiope a mantenere alto il livello di guardia. Nonostante questo quadro politico complesso, si può affer-mare che l’Etiopia oggi sia un Paese relativamente stabile, con solide istituzioni centrali e federali.

L’Ethiopian Airlines è la compagnia di bandiera del paese, in-teramente di proprietà del governo etiope.L’Aeroporto di Addis Abeba-Bole è la più importante struttura aeroportuale dell’Etiopia e prende il nome dalla frazione di Bo-le, nella parte meridionale di Addis Abeba. Precedentemente intitolato a Hailé Selassié, la struttura è in rapida crescita e rap-presenta oggi uno dei principali hub del continente africano. La compagnia aerea di bandiera, Ethiopian Airlines, membro di Star Alliance, offre un servizio con standard qualitativi in-ternazionali ed è oggi una delle più grandi compagnie aeree dell’Africa, servendo un network di oltre 100 destinazioni inter-nazionali oltre a 55 nazionali. Bole è anche il principale centro di addestramento piloti e di attività di manutenzione in Africa.

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Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA] 1918 Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA]

L’Etiopia è senza sbocco sul mare. Fino alla guerra con l’Eritrea nel 1997 ha utilizzato i porti di Asseb e Massawa; dopo la guer-ra tra i due paesi, l’Etiopia ha utilizzato il porto di Gibuti per quasi tutte le sue importazioni. L’Etiopia si affida sempre più ai porti interni asciutti per la distribuzione delle merci, dopo che il carico è arrivato da Gibuti. Modjo è il principale porto asciutto etiope.

Sistema bancario e monetaIl sistema bancario etiope conta 16 istituti (3 pubblici e 13 pri-vati), che operano sotto la supervisione della National Bank of Ethiopia. La Commercial Bank of Ethiopia (appartenente allo stato) domina il mercato etiope in termini di assets, depositi, filiali e numero di dipendenti. In effetti la quota della CBE rela-tiva a depositi, prestiti e attività di cambio è superiore al 60%.Le banche straniere non sono autorizzate ad offrire servizi fi-nanziari in Etiopia, fatto che contribuisce alla mancanza di competitività del sistema bancario etiope. Sebbene il credito sia disponibile agli investitori a condizioni di mercato, il requi-sito del 100% di collaterale limita di fatto la capacità imprendi-toriale di alcuni operatori. Il livello del non performing loan è attualmente del 15% circa dei prestiti totali.La valuta etiope è il birr, suddiviso in santim. Attualmente 1 euro equivale a 32 birr.

Investire in Etiopia dall’esteroInvestire in Etiopia significa scegliere di operare nel secondo paese più popoloso del continente africano (100 milioni di abi-tanti, seconda solo alla Nigeria) in un contesto di forte crescita e di progressiva apertura internazionale, che ne fanno un hub di riferimento per l’intero Corno d’Africa.Tramite un nuovo piano di sviluppo quinquennale (GTP II), il Governo etiope sta aprendo il Paese agli investitori interna-zionali, realizzando parchi industriali tematici che prevedono incentivi per chi investe, quali: affitto dei terreni a basso costo, esonero pluriennale dalla tassazione sui redditi per le aziende esportatrici e libero trasferimento dei profitti.

Nonostante l’Etiopia rappresenti un Paese dalle grandi oppor-tunità, sono presenti ancora molti rischi e problematiche lega-te principalmente alla mancanza di valuta forte nel Paese e agli eccessivi costi di trasporto dovuti alla carente rete infrastruttu-rale ed alla mancanza di un accesso diretto al mare.Vediamo in sintesi quali sono i principali aspetti nomativi, buro-cratici e fiscali che l’investitore straniero intenzionato ad opera-re in Etiopia deve considerare.

Quadro normativoGli investimenti in Etiopia sono disciplinati dalla Legge n.280 del 2002 e successivi emendamenti (Investment-Amendment-Pro-clamation no.373/2003) nonché dal Regolamento n.84 del 2003.

Capitale necessarioIl capitale minimo richiesto ammonta a:– 100’000 USD per investimenti senza un partner locale;– 60’000 USD nel caso di investimento in joint venture con un

partner locale; – 50’000 USD e 25’000 USD rispettivamente per investimenti,

autonomi o con partner locale, ed in alcuni precisati settori di consulenza (ingegneria, architettura, contabilità e revisione contabile, studi di progetti o servizi di consulenza d’affari e di gestione o editoria);

– nessun capitale minimo è invece richiesto per attività imprendi-toriali i cui profitti o dividendi siano reinvestiti nel progetto o la cui produzione sia per almeno il 75% destinata all’esportazione.

Settori d’attivitàFare business in Etiopia è più complicato del previsto perché vi sono una serie di limitazioni per gli stranieri e di protezioni verso gli operatori etiopi. Ma andiamo con ordine.

Alcuni settori sono riservati esclusivamente al Governo: – energia elettrica (fornitura e trasmissione);– servizio postale (con l’eccezione dei corrieri);– servizio di trasporto aereo con velivoli che abbiano posti per

più di venti passeggeri;– settore bancario.

Altri settori sono riservati ad investimenti congiunti con il Governo:– settore bellico; – telecomunicazioni.

Inoltre alcuni settori sono riservati ai cosiddetti “Domestic investors”, cioè ai cittadini etiopi o agli stranieri permanente-mente residenti nel Paese. La lista, contenuta nel Regolamen-to n. 84 del 2003, comprende 18 settori di attività, tra le quali:– il commercio all’ingrosso e al minuto;– l’importazione, l’esportazione di caffè crudo e di altri generi

agricoli;– le costruzioni;– l’attività alberghiera (ad esclusione di hotel di alta categoria)

e turistica (agenzia di viaggio, noleggio autoveicoli).

Esclusivamente riservati ai cittadini etiopici sono i seguenti settori:– l’attività bancaria, assicurativa e i servizi di microcredito e

risparmio;– i servizi di trasporto aereo (fino a 20 passeggeri);– l’attività di diffusione radiotelevisiva;– i servizi di shipping e forwarding agency.

Permesso d’investimentoPer poter investire in Etiopia è necessario il permesso di in-vestimento, che viene rilasciato dall’Agenzia Etiopica per gli Investimenti (EIA – Ethiopian Investment Agency).Per ottenere il permesso d’investimento gli operatori devono presentare all’EIA la documentazione richiesta, che verrà esa-minata dalla Commissione Etiopica per gli Investimenti (EIC) e, se accettata, provvederà a rilasciare il permesso d’investimen-to dietro pagamento di una tassa. Il permesso viene rinnovato annualmente presentando domanda all’EIC almeno un mese prima della scadenza.

Apertura di una filialeUn’ azienda straniera può aprire una filiale in Etiopia, presen-tando all’EIA la seguente documentazione: – l’apposito formulario compilato da un agente;– una fotocopia di un documento che attesti la personalità giu-

ridica dell’ente (ad esempio la Visura camerale);– il verbale dell’organo societario deputato nello statuto a tale

decisioni in cui si attesti che è stato deciso di aprire la filiale in Etiopia, debitamente tradotto in inglese e autenticato da notaio e legalizzato all’Ambasciata di Etiopia;

– una fotocopia della delega del legale rappresentante della società, con una copia del suo documento di identità;

– una copia del documento di associazione con la filiale etiope.

Le aziende che vogliono aprire soltanto un ufficio di collega-mento devono presentare la loro richiesta solamente al Mini-stero dell’Industria e del Commercio.

Trasferimento di tecnologieÈ inoltre possibile trasferire tecnologie in Etiopia. Tuttavia l’operatore dovrà richiedere l’approvazione e la registrazione all’EIA, affinché il trasferimento abbia valore legale.

Utilizzo di valuta stranieraAgli operatori stranieri è consentito aprire in banche locali au-torizzate conti bancari in valute estere in accordo con le diret-tive della Banca Nazionale d’Etiopia.Un investitore straniero che ottiene un finanziamento o un pre-stito dall’estero deve registrarlo alla National Bank of Ethiopia sulla base delle direttive vigenti. A seguito di un progetto di investimento approvato dalle au-torità etiopi, l’investitore straniero avrà il diritto di effettuare rimesse in valuta straniera convertibile in relazione a:– profitti e dividendi provenienti dall’investimento;– pagamenti in conto capitale e interessi relativi a prestiti esteri; – pagamenti relativi ad accordi di trasferimento di tecnologia;– ricavi provenienti dalla vendita o liquidazione di un’impresa;– ricavi provenienti dal trasferimento di quote o della parziale

proprietà di un’impresa a un investitore nazionale.

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20 Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA]

TerreniLa costituzione etiope definisce il diritto di possedere i terreni solo per «lo Stato e il popolo»: in sostanza i terreni sono di esclusiva proprietà statale e vengono concessi in affitto fino a 99 anni, con canoni abbastanza elevati nell’area della capitale. Il possesso non conferisce diritto di proprietà della terra, che quindi non è possibile ipotecare o vendere. Le rispettive Auto-rità regionali provvedono all’assegnazione dei terreni.

Regime fiscaleSecondo la Tax Proclamation n.286 del 2002, il regime di tassa-zione diretta prevede le seguenti aliquote: – imposte sui redditi di lavoro dipendente: aliquota progressi-

va da 0% a 35% oltre i 5’000 Birr– imposte sui redditi immobiliari: aliquota progressiva da 0% a

35% oltre i 60’000 Birr– imposte sui redditi derivanti da attività imprenditoriali: - individui: aliquota progressiva da 0% a 35% oltre i 60’000 Birr - società: 30% del reddito annuo imponibileDa notare che l’anno fiscale etiope si chiude il 6 luglio. È tut-tavia ammessa la chiusura contabile secondo il calendario gre-goriano (31 dicembre).

È prevista l’esenzione dall’imposta sul reddito nei seguenti casi:– esenzione totale di 5 anni (7 anni in casi speciali) se si esporta

almeno il 50% del proprio prodotto o se si re-investe nella propria attività il 75% della produzione.

– esenzione totale di 2 anni (5 anni in casi speciali) se si esporta meno del 50% del proprio prodotto;

– un anno addizionale può essere concesso dalle autorità com-petenti etiopiche se l’operatore straniero investe in regioni sottosviluppate come Gambella, Benshangul-Gumuz, Sud Omo e Afar;

– due anni addizionali sono invece concessi quando un investi-tore, che opera nel settore manifatturiero e agro-alimentare, oltre ad esportare più del 50%, aumenta il valore della pro-pria produzione del 25%.

L’IVA in Etiopia è pari al 15% (turnover minimo per la registra-zione IVA: 500’000 Birr).

Dazi doganaliTutti i beni importati in Etiopia sono soggetti a dazi doganali e tasse, a meno che siano esenti per legge.Le tasse applicabili sui beni importati sono pari a:Dazio d’importazione (0-35%)+ Imposta alla fonte (3%) + Acci-sa (se applicabile), IVA (15%) + Sovrattassa (10%).In alcuni casi (ad esempio per le automobili con cilindrata su-periore ai 3’000 cc) l’accisa può arrivare fino al 100% del valore del bene importato, il che comporta un’imposizione doganale complessiva del 163%!Esente da dazi doganali è l’importazione di materiali ed equi-paggiamenti necessari alla costruzione dell’impresa o per l’e-spansione di un’impresa esistente. Inoltre, ad un investitore che ha ottenuto un precedente “customs duty exemption pri-vilege” sarà consentito importare in esenzione cespiti e mate-riali necessari per la sua impresa, a meno che il Federal Invest-ment Board ritenga che i suddetti cespiti e materiali abbiano localmente prezzi competitivi e buoni standard qualitativi. Settori che non beneficiano dell’esenzione: hotel e/o struttu-re ricreative che non abbiano standard internazionali (che non

siano parte di catena internazionale); importazione e commer-cio al dettaglio per il mercato interno; servizi di manutenzione; trasporto su strada; servizio di noleggio di autovetture; servizi postali e corrieri espressi; attività immobiliare; servizi di con-sulenza; agenzie di pubblicità; servizi televisivi e radio; teatri e cinema; servizi di lavanderia; agenzie di viaggio; lotterie e giochi analoghi.

Personale espatriato È ammessa l’assunzione di personale espatriato sia a livello dirigenziale, che di qualifiche inferiori. In quest’ultimo caso tut-tavia l’operatore straniero si deve impegnare a sostituirlo con personale locale entro un periodo di tempo predefinito.

Garanzie e protezione degli investimenti stranieri Secondo quanto disposto dalle normative etiopi nessun inve-stimento può essere espropriato o nazionalizzato salvo che per motivi di pubblico interesse e solo in conformità con le disposi-zioni di legge. In questo caso l’investitore espropriato riceverà dalle autorità etiopi un adeguato indennizzo (esportabile) cor-rispondente al prevalente valore di mercato.

Accordo sulla Protezione e Promozione degli InvestimentiNel dicembre 1994, Italia e Etiopia hanno firmato un Accordo sulla Protezione e Promozione degli Investimenti, successiva-mente entrato in vigore l’8 maggio 1997. Questo accordo as-sicura che gli investimenti non vengano in alcun modo colpiti da misure ingiustificate o discriminatorie, con l’impegno delle due Parti alla creazione e al mantenimento sul proprio territo-rio di un quadro legale che garantisca agli investitori continuità di trattamento.

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Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA] 2322 Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA]

Made in Ethiopia: il futuro Hub del fashion? Tanti pionieri, per lo più asiatici, han-no già avviato prospere produzioni tessili in Etiopia, avvantaggiati dal fat-tore climatico che permette la colti-vazione del cotone e l’approvvigiona-mento a costi ridottissimi. Pensando al futuro, l’Etiopia e, più in generale, l’Africa potrebbe rappresentare una valida alternativa alle produzioni de-localizzate in giro per il mondo, abbattendo i costi grazie alla vicinanza geografica. Sarà quindi l’Etiopia la prossima fabbrica del mondo?

Addis Abeba, ottobre 2017 - Il mal d‘Africa esiste: ora lo so!

Sono solo al mio terzo viaggio in questo affascinante continen-te, ma mi è stato sin da subito chiaro che questo è un territorio totalmente diverso da tutti gli altri in cui abbiamo condotto mis-sioni esplorative alla ricerca di nuove opportunità di business... avverto qualcosa di diverso, difficile da descrivere ma chiara-mente percettibile, che amplifica tutto, rendendolo unico. Saranno i colori degli abiti tradizionali, gli occhi profondi e sempre gentili della gente, il costante piacevole tepore del sole sulla pelle durante il giorno, il sorriso delle persone che riesce a farmi piacere tutto, anche le strade dissestate e il ci-bo non propriamente squisito. Sebbene Addis Abeba non sia esattamente Dubai, anzi tutt’altro, vedo colori che Dubai non potrà mai offrire, i colori della storia e della realtà di un popolo che tenta di sollevarsi dalla povertà, cercando, nel tempo, di trovare la propria dimensione a livello internazionale, a partire dal settore tessile. Pronti, dunque, per una full immersion nel mondo del fashion abissino. Appena giunti ad Addis Abeba - meglio nota semplicemente come «Addis“ – il Boss ed io non perdiamo tempo: depositati i bagagli, raggiungiamo curiosi l’ASFW, l’Africa Sourcing & Fa-shion Week Exhibition, la piattaforma africana più importante

nel settore fashion, tecnologia tessile ed abbigliamento nata tre anni fa ed ospitata, per l’edizione 2017, dalla capitale etio-pe, con più di 240 espositori (170 nel 2016) provenienti da più di 25 Paesi. Nonostante le dimensioni piuttosto contenute della fiera, le nostre aspettative non vengono deluse: tra gli stand si respi-ra voglia di crescere e di fare, con designers ed imprenditori locali, indiani, pakistani e cingalesi in pole position, consape-voli che il vero futuro dell’economia è in Paesi come l’Etiopia, dove, per ora, gli imprenditori europei non sono ancora forte-mente presenti, purtroppo… o per fortuna per noi; situazione riflessa anche dagli espositori dell’ASFW, a cui hanno preso parte soltanto poche e piccole rappresentanze di aziende UE, tra cui quella italiana, costituita da 17 aziende produttrici di macchinari tessili che hanno esposto nel padiglione italiano organizzato da ICE-Agenzia in collaborazione con l’Associa-zione dei costruttori italiani di macchinari per l’industria tessile (ACIMIT). Nel corso di una delle conferenze presso l’ASFW, la responsabile dell’ufficio di Addis Abeba dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (AICS), Ginevra Letizia, ha reso noto il prossimo avvio di un intervento per promuovere il settore tessile nella regione nord-occidentale del Tigray con l’assistenza tecnica dell’Organizzazione delle Nazioni Unite

per lo sviluppo industriale (UNIDO), con uno stanziamento di 2,5 milioni di euro già approvati, 500.000 dei quali destinati all’acquisto di macchinari per la formazione professionale. In una fase congiunturale positiva, la domanda di macchinari del-le aziende tessili locali è cresciuta in modo significativo; negli ultimi cinque anni le esportazioni italiane in Etiopia sono au-mentate del 14% annuo. Il loro valore nel 2016 ha raggiunto i 3 milioni di euro e nel periodo gennaio-maggio 2017 le vendite italiane sono state pari a circa 1 milione di euro. In Etiopia l’industria tessile vanta una lunga tradizione ed è destinata a crescere. Il Paese, infatti, ambisce a generare un fatturato nell’ordine dei 30 miliardi di dollari entro il 2030, co-me riportato da Bogale Feleke, viceministro dell’industria del governo etiope, la quale ha avviato un importante piano di sviluppo volto ad aumentare la superficie dei terreni utilizzata per la coltivazione di cotone dal 20 all’80%. Il governo mira alla realizzazione di 13 poli industriali, la maggior parte dei quali dedicati all’abbigliamento, oltre alla creazione di 150 aziende tessili che vedranno la luce entro il 2020 e, a tal proposito, il go-verno ha avviato il II° GTP, il piano di Crescita e Trasformazione per promuovere l’industria e per sfruttare i diversi accordi com-merciali bilaterali firmati con i Paesi occidentali.I produttori etiopi stanno, dunque, divenendo sempre più

competitivi ed ambiziosi, investendo per migliorare produttività e qualità, nonché prestando sempre più attenzione alla forma-zione del personale, dando filo da torcere ai competitors asiatici. Così tra raffinati rituali del caffè perfettamente curati nei mini-mi dettagli da donne etiopi avvolte nei loro abiti tradizionali e gli sguardi attenti di visitatori provenienti da tutto il mondo, gli imprenditori locali sono ben lieti di aprire le porte delle proprie fabbriche alla ricerca di nuovi clienti, mostrandosi una valida alternativa all’Asia per l’approvvigionamento di capi di abbi-gliamento di largo consumo. Pensiamo ad esempio ad H&M, un vero e proprio colosso dell’abbigliamento con fornitori in tutto il mondo, dall’Asia all’Europa: quelle che, qualche anno fa, potevano sembrare rumors, sono stati confermati dall’am-ministratore delegato Karl-Johan Persson, il quale nel 2013 annunciò la decisione dell’azienda di testare l’Africa, avviando una collaborazione produttiva con l’Etiopia, la cui economia, a partire dal 2007, cresce tra il 7 e il 10%.

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Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA] 2524 Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA]

L’Etiopia risulta, inoltre, particolarmente attrattiva per il settore calzaturiero, grazie alle grandi risorse di bestiame e ad un’in-dustria specializzata nella trasformazione di numerose varietà di pellami. Il numero di esportazioni di scarpe sono quintupli-cate negli ultimi cinque anni (da 680.000 paia nel 2012 a 3,54 milioni di paia di oggi) e, secondo Wondu Legesse, direttore generale dell’Istituto per lo sviluppo dell’industria del cuoio dell’Etiopia (LIDI), dovrebbe raggiungere 75,2 milioni di paia entro il 2020, pari a circa 490 milioni di dollari nelle vendite. L’imprenditore etiope Bethlehem Tilahun Alemu ha individua-to e colto subito questa opportunità e, dopo aver lanciato il suo marchio di scarpe Fair Trade SoleRebels più di dieci anni fa, oggi è esportato in 45 paesi, potendo vantare anche una rete di boutique proprie che vanno dalla Svizzera a Singapore. Circa un quarto dei produttori di calzature in Etiopia sono di proprietà straniera, principalmente cinesi, o taiwanesi, italiani e indiani. Merita di essere citato, inoltre, il cinese Huajian, terzi-sta di scarpe per grandi marchi internazionali, il quale ha delo-calizzato nel sud-est della città 1.600 operai e 120 quadri cinesi.Per favorire il processo di crescita del Paese, sono nate alcune organizzazione, tra le quali “Made by Ethiopia”, che si propone di fornire alle fabbriche etiopiche tutto il supporto di cui hanno bisogno, assistendo le aziende nella produzione, nelle vendite, nelle strategie di marketing, nonché nella gestione delle espor-tazioni e nel rapporto con gli acquirenti internazionali.Certamente l’Etiopia, con i suoi 110 milioni di abitanti, vanta una forza lavoro giovane, numerosa e relativamente ben istru-ita, nonché uno dei prezzi più bassi al mondo per l’energia elettrica, avendo la più grande diga idroelettrica d’Africa; ed è stato proprio questo il principale incentivo per cui, quattro anni fa, alcuni imprenditori hanno deciso di delocalizzare la propria azienda su suolo etiope, come Zhang Huarong, il quale ha tra-sferito alcune delle sue fabbriche di scarpe da Dongguan (Cina) in Etiopia per produrre per Guess, Tommy Hilfiger e Caleres. Zhang sta costruendo una città industriale di 1 miliardo di dol-lari al di fuori di Addis Abeba, che ospiterà 20.000 lavoratori, scuole, ospedali e alberghi. Tuttavia, nonostante le recenti ope-re di miglioramento delle infrastrutture (autostrade, ferrovie, porto di Djibouti), la logistica rappresenta ancora una sfida… malgrado ciò, il processo di delocalizzazione è in aumento.

Fra tradizione e innovazione, dunque, il fashion Made in Ethio-pia si sta facendo largo sul panorama internazionale, come il marchio Lemlem – fondato 10 anni fa da una delle modelle più pagate e famose al mondo, l’etiope Liya Kebede – che cerca di rendere il proprio Paese d’origine un paese in grado di competere e collaborare con i grandi giganti della moda occidentale, attraverso la creazione di una filiera locale che va dalla coltivazione del cotone e del lino, fino alla produzione di capi finiti. Inizialmente focalizzato sulla produzione di abiti per bambini, Lemlem si è consolidato nel tempo, grazie ad una collezione di capi ed accessori per donna seguita da una linea di biancheria per la casa che vanta la collaborazione di Anthropologie, marchio americano che produce abiti, acces-sori e complementi di arredo per la casa, dando vita ad una li-nea assolutamente innovativa, che fonde la tradizione africana con la modernità occidentale, attraverso la creazione di capi etnici, casual semplici ed originali. Possiamo, dunque, conclu-dere riassumendo così: in questo momento storico, l’Etiopia gode di stabilità politica, sociale e religiosa, vive un periodo di crescita economica senza precedenti, con il tasso di criminali-tà più basso dell’intera Africa. Il Paese ha un clima eccellente,

La strategia di sviluppo locale punta sul settore tessile-manifat-turiero, forte di salari ben più bassi che in Cina e alla pari con il Bangladesh (dai 40 agli 80 dollari al mese) e di tempi di conse-gna ridotti di un terzo rispetto a quelli necessari dall’Estremo Oriente, grazie al canale di Suez con cui si raggiunge veloce-mente l’Europa. Non è un caso se in Etiopia molti imprenditori hanno delocalizzato la produzione, infatti, a titolo meramente esemplificativo, qui vengono già realizzati vestiti per la catena di supermercati Tesco (UK) e il discount irlandese di abbiglia-mento Primark, per non parlare del gruppo turco Ayka, che gestisce la più grande fabbrica di abbigliamento, in cui 8.000 dipendenti sfornano ogni giorno più di 75.000 capi tra magliet-te, abiti e pantaloni destinati alle catene tedesche. Per di più Ayka ha messo a cotone 15.000 ettari per gestire in autonomia il proprio approvvigionamento di materia prima, in una nazio-ne che ha dedicato il 6% della terra a queste coltivazioni. Anche il francese Mehdi Slimani, il creatore di Sawa, marchio delle basket più modaiole molto apprezzate oltreatlantico, ha avviato qui il suo stabilimento quattro anni fa, lanciando un Made in Etiopia di alto livello. Sarà quindi l’Etiopia la prossima fabbrica del mondo?Attualmente in Etiopia sono attivi più di 115 stabilimenti tessili ed il Paese sta attraendo nuovi investimenti e capitali stranieri, che contribuiscono all’incremento del processo di industria-lizzazione. Il più grande parco industriale africano creato ad Awassa - costruito dalla China Civil Engineering Corporation ed inaugurato a giugno 2016 – è stato riservato esclusivamente alla produzione di tessuti e abbigliamento ed è già al comple-to. In loco sono arrivati a produrre per esempio l’americana Pvh, che detiene tra gli altri i brand Calvin Klein e Tommy Hil-figer, e la TAL Apparel di Hong Kong, uno dei più grandi fab-bricanti di abbigliamento al mondo. Ma anche altre aziende, cinesi, indiane e cingalesi.

Gli imprenditori asiatici, come potete vedere, non mancano! Visitando il Merkato, una delle concentrazioni di negozi e ban-carelle più vaste dell’Africa, chiamata ancora con un nome che suona italiano, non si può fare a meno di notare che il 90% dei prodotti è made in China, dunque molti imprenditori cinesi hanno prontamente iniziato a produrre in Etiopia, mossi anche dai grandi vantaggi previsti dagli accordi di Addis Abeba con l’Unione europea e gli USA per l’esportazione dall’Etiopia; e il governo locale contribuisce con ulteriori sgravi e incentivi, di cui i cinesi sono perfettamente consapevoli. La Zona industriale orientale – cinque chilometri quadrati di capannoni verdi e bianchi che lavorano pelle, plastica, tessu-ti, acciaio, ferro, legno e molto altro - ora riprodotta anche su altre superfici africane, è stata “copiata” apertamente dalla Cina, progettata nel 2007 come la seconda più vasta area di cooperazione fuori dalla Repubblica popolare cinese.La presenza di una vera e propria industria tessile potrebbe costituire il perno per cambiare l’economia del Paese, proprio come fu un fattore chiave delle prime rivoluzioni industriali di Inghilterra e Germania nella seconda metà del diciottesimo secolo. Il tessile è considerato il settore prominente per raf-forzare l’export, creare opportunità di lavoro e acquisire cono-scenza ed esperienza a modello anche per altri settori e potrà facilitare lo sviluppo delle capacità, attraverso la formazione e la condivisione di esperienze e il trasferimento di tecnologia.L’Etiopia non è per tutti, ma rappresenta un’occasione unica per diversificare il proprio bacino di approvvigionamento ed esplorare una nuova capacità internazionale grazie ad hub al-ternativi. L’Africa si staglia, quindi, come la prossima frontiera e, insieme a giocatori più sviluppati come Sudafrica, Kenya e Mauritius, l’Etiopia è considerata uno dei centri produttivi più promettenti e dinamici del continente.

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Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA] 2726 Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA]

Ad Addis Abeba abbiamo incontrato l’imprenditore italo-etiope Gabriele Amara, che gestisce un’azien-da attiva nel settore della produzione di bottiglie di PET per bevande. Amara ci racconta la sua espe-rienza imprenditoriale in Etiopia.

P: Gabriele, la tua famiglia appartiene alla comunità ita-lo-etiope da tre generazioni ormai. In Etiopia siete attivi nel settore del beverage, con un’azienda che produce pre-forme di bottiglie in PET. Ci racconti della vostra presenza in Etiopia e di com’è nata la tua azienda?

GA: Sono nato ad Addis Ababa e ho vissuto in Etio-pia in due fasi, dal 1969 (anno della mia nascita) al 1978 e quindi dal 1996 fino ad oggi, con un inter-vallo di 18 vissuti a Roma dove ho completato i miei studi ed effettuato le prime esperienze lavorative. In Etiopia ci sono arrivato grazie ai miei nonni mater-ni e paterni che arrivarono in Eritrea a seguito delle migrazioni degli Italiani durante il secondo conflit-to mondiale. I miei genitori si sono poi conosciuti e sposati in Eritrea, dove è nato mio fratello Angelo e poi trasferiti in Etiopia. Il ritorno in Etiopia fu de-ciso a seguito dell`idea di mio padre di iniziare una nuova attività formando la Universal Plastic Factory, azienda attiva tuttora che produce imballaggi indu-striali per il settore beverage. L’azienda annovera tra i suoi principali clienti Coca Cola, BGI, Diageo, Ba-varia ed altri produttori di bevande, coprendo circa il 70% del mercato etiope. In seguito, nel 2012, ab-biamo poi formato, in collaborazione con alcuni in-vestitori svizzeri, la Coba Impact, dove produciamo imballaggi in PET sempre per settore beverage con clienti quali Coca Cola e Nestlé. Inoltre siamo attivi nel settore riciclaggio e riduzione in flakes delle bot-tiglie usate di PET.

P: Quali sono le difficoltà quotidiane che incontri nell’eser-cizio della tua attività?

GA: Se questa domanda mi fosse stata posta anni fa, ti avrei risposto: nulla, tranne il fatto che serve “solo” una buona dose di coraggio imprenditoria-le per investire in un paese come l’Etiopia.

Oggi, per contro, la situazione è un po’ più com-plicata, nonostante l’enorme sviluppo del Paese e i tassi di crescita a due cifre dell’economia etio-pe, e non nascondo che si incontrano difficoltà in ambiti di vitale importanza per un’azienda quali: la reperibilità di valuta per effettuare bonifici all’e-stero, l’ottenimento dei permessi di importazione per macchinari e materie prime, l’erogazione della corrente elettrica che subisce spesso interruzioni. A questo proposito va detto che il Paese ha suffi-ciente produzione di energia, che tra l’altro esporta nei paesi confinanti, mentre è carente nella distri-buzione d’energia al proprio interno. Confidiamo che presto la situazione migliori… Un ulteriore pro-blema è rappresentato dalla lentezza burocratica per l’assegnazione di terreni per l’industria, anche se oggi in verità sono in costruzione numerosi par-chi industriali in varie zone d’Etiopia che dovrebbe-ro facilitare l’insediamento di una nuova azienda, riducendone notevolmente i tempi.

P: Quanto è difficile districarsi nella burocrazia etiopica? Com’è il rapporto imprenditore/autorità e qual è l’atteg-giamento delle Autorità nei confronti dell’economia e del libero mercato?

GA: Come accennato in precedenza, in Etiopia la burocrazia è piuttosto farraginosa. Pertanto consi-glio a tutti coloro che stanno pensando di venire ad operare in questo Paese di…non perdersi d’animo! In tutta onestà devo dire che il sistema è efficiente a livello governativo e per quanto riguarda l’otte-nimento delle licenze per operare, mentre è nelle operazioni quotidiane con gli uffici di quartiere che spesso ci si perde nei meandri della burocrazia, ma comunque, con un po’ di pazienza, alla fine tutto si sistema. Ovviamente il Paese esce da un lungo pe-riodo di crisi e, dunque, manca ancora un’apertura totale da parte del governo nei confronti di un’eco-nomia di libero mercato. Basti pensare che le utenze e molti altri servizi sono ancora monopolio del go-verno, come d’altronde era il caso in Europa fino a vent’anni fa. Tutti ci auguriamo che le privatizzazioni

Imprenditori italiani in Etiopia: la testimonianza

una straordinaria presenza di risorse idriche ed un suolo ferti-le, vanta una posizione strategica (essendo crocevia tra Africa, Medio Oriente e Asia) ed è il secondo mercato più popoloso dell’intera Africa, con una forza lavoro abbondante e a basso costo. Tutte queste peculiarità, unitamente alla politica di in-centivi agli investimenti perseguita dal Governo, fanno dell’E-tiopia un’area di investimento di notevole interesse per gli im-prenditori che desiderano delocalizzare dove non tutti hanno il coraggio di andare, esplorando realmente nuovi orizzonti per il proprio business. Quanto al mio mal d’Africa, beh, troverà presto sollievo…tra una settimana si riparte con Ethiopian Airlines alla volta di Ad-dis, pronta per nuove sfide!

Ornella [email protected]

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Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA] 2928 Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA]

Father Francis, you are currently managing two villages which help children, St. Francis and St. Clara, which rescue orphaned and abandoned children from the streets ok Kenya. How many children are you currently taking care of?

I am currently managing three orphanages taking care of rescued orphans and abandoned children and a special category of children who are born HIV+ and looked at a walking dead. The total num-ber of children: ST. FRANCIS CHILDREN’S VILLAGE 459 boys, ST. CLARE GIRLS’ CENTRE 374 girls and ST. PHILOMENA HOMES of HOPE 168 children.I ensure that these children have food, clothes, shel-ter, medical care and quality education based on four pillars: PRAYER, STUDY, SPORTS AND WORK with the motto: SIMPLE LIVING HIGH THINKING.

Running two villages at a time is challenging for sure. How are the two villages organised? Which are the most urgent needs oft h two villages?

Yes, running three villages is challenging but I find satisfaction because I comprehensively address the problem of all needy children without discrimina-tion. I was shocked when a young man told me that the solution to combat HIV/AIDS is to wipe all the

HIV+ infected people from the face of the earth and I decided to dedicate my life to help the HIV+ chil-dren by loving them.I have three categories of children: 1. ST. FRANCIS CHILDREN’S VILLAGE ex-street boys are the most difficult to deal with, they like freedom and take time to adopt and embrace life of order and discipline.2. ST. CLARE GIRLS’ CENTRE girls are the easiest to take care of. They quickly embrace the new life and enjoy the protection accorded to them.3. ST. PHILOMENA HOMES OF HOPE orphaned chil-dren born HIV+ are on the top easiest group to take care. They are the most appreciative and cooper-ative children I have ever met in life.

THE ORGANIZATION OF THE THREE VILLAGES:The three villages are managed by a team of three administrators, one for each village. There are staff of 100 persons - teaching staff, cooks, security officers, drivers, maintenance team and farm workers ; all working under the direction of the Direc-tor, Administrators and Heads of Departments. It is all about management by delegation.

We are the childrenLove wins ... and shortens distances! Father Francis and Futuro e Speranza, an association of Lugano which has been active since 2003 in humanitarian projects, help needy, poor and sick people of all nationalities.The Association supports the initiatives of Father Francis, a missionary from Tanzania, for years engaged in favoring Kenya's children, which we have the pleasure of interviewing to better understand its activities and projects.

annunciate arrivino presto in modo tale da favorire il miglioramento dei servizi e contribuiscano alla cre-scita della nostra economia, che oggi è una delle quattro con il più alto tasso di crescita in Africa.

P: Qual è la composizione settoriale dell’economia etiopica?GA: Prevalentemente i settori che predominano nell’economia del nostro Paese sono: agricoltura, tessile, costruzioni e industria di vario genere.

P: L’Etiopia può essere considerata un’interessante oppor-tunità di investimento per le imprese straniere tra cui quel-le italiane. Quali sono le opportunità e quali gli ostacoli che intravvedi?

GA: Considerando quanto da me detto prima, cre-do che ci siano ancora enormi possibilità di inve-stimento in Etiopia per le imprese italiane. Le op-portunità maggiori derivano dal basso costo della mano d’opera, anche se è difficile reperire figure adeguatamente qualificate, ma rimane comunque una risorsa preziosa considerando la buona volon-tà degli etiopi. Da non dimenticare, inoltre, il basso costo dell’energia elettrica, la stabilità sociale (spe-rando che duri a lungo…) e le enormi potenzialità di crescita di questo Paese, per il quale mi auguro non cessi il supporto da parte del governo e della comunità internazionale.

P: Come viene recepito il “Made in Italy” in Etiopia?GA: Non c’è dubbio che anche in Etiopia il Made in Italy rappresenti un marchio di qualità e che confe-risca così un importante vantaggio competitivo alle merci italiane. A questo proposito mi preme eviden-ziare che, nonostante storici e giornalisti italiani ab-biano spesso scritto con tonalità negative del nostro passato di colonizzatori, noi italiani siamo stati e sia-mo ancora molto ben visti e apprezzati qui in Etiopia.

P: Quanto costa vivere in Etiopia?GA: Non dispongo di parametri di confronto precisi con gli altri paesi africani, tuttavia posso affermare che vivere in Etiopia con gli standard e i prodotti europei sia piuttosto costoso, a causa delle tariffe doganali sui prodotti d’importazione e dei costi di trasporto.

P: L’Etiopia ha destato l’attenzione di molti per gli elevati tassi di crescita registrati negli anni scorsi. Quali ritieni sia-no le prospettive per il futuro?

GA: Le prospettive e le potenzialità rimangono enor-mi. Per il futuro si confida che gli enormi investimenti effettutati nella costruzione di infrastrutture, strade, centrali idroelettriche, linee ferroviarie, tra cui il col-legamento con il porto di Djibouti, facilitino lo svi-luppo economico. Tuttavia molto di più ci si attende da parte del governo per arrivare finalmente ad una economia di libero mercato vera e propria. In questo confidiamo molto nel supporto da parte delle grandi potenze mondiali, considerando le potenzialità non solo dell’Etiopia ma dell’intero continente africano.

P: Per concludere potresti parlare del progetto a favore del riciclo della plastica.

GA: Ti ringrazio per l`opportunità che mi dai per rac-contare ai vostri lettori del nostro fiore all’occhiello: l’impianto di riciclaggio di bottiglie di PET post con-sumo.Si tratta del primo ed unico impianto del genere in Etiopia e nel Corno d’Africa. Al di là dei profitti, che ovviamente ci aspettiamo di conseguire, ci rallegria-mo per il positivo impatto sociale ed ambientale dello stesso. Questo progetto è nato a seguito del fatto che noi siamo, come produttori di preforme in PET, uno dei primi anelli della catena che teoricamente contri-buisce all’inquinamento con le bottiglie usate. Pertan-to, con il team Coba, abbiamo pensato di trovare una soluzione al problema realizzando da zero una catena di raccolta e successivamente di riduzione in scaglie delle bottiglie, le quali vengono trattate e lavate per poi essere interamente esportate in Europa.La “chicca” del nostro sistema di lavaggio delle sca-glie risiede nel trattamento dell’acqua di lavaggio, che avviene con un impianto di trattamento a ciclo chiuso che abbassa quasi a zero l’impatto ambienta-le del nostro processo.Altro aspetto interessante è quello dell’impatto so-ciale del progetto che, direttamente e indirettamen-te, dà lavoro a più di mille persone, contribuendo sostanzialmente a creare opportunità di impiego in un paese con una grossa crescita demografica. Con-cludo con un invito a tutti i lettori a visitare il nostro sito internet www.cobaimpact.com e ringraziando tutti voi di Albula Advisors per avermi dato l’oppor-tunità di raccontare la mia esperienza di vita e im-prenditoriale in Etiopia.

Intervista raccolta da Ornella Pianezza

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30 Il Punto #8 [SPECIALE ETIOPIA]

THE MOST URGENT NEEDS OF THE THREE VILLAGES:- Dining tables and chairs- Mattresses, blankets, bed sheets and towels- School uniforms- Money money money. Nowadays more than ever money seems to be the sole godness of humani-ty. How important is money for your villages? How much is your yearly budget? Which are the main dif-ficulties when it is about raising funds?MONEY is very important for my villages because it is the only tool I can use to satisfy the needs of our children. Our yearly budget is US$ 600,000.The main difficult in fundraising is the problem of continuity. If today a sponsor gives you a donation, you are not sure whether tomorrow he/she will give you the same amount. So I am faced with the prob-lem of sustainability, which I must address, by think-ing of projects that in the long term will render the village self-sufficient.

Giving these children the “sense of family” is one of your goals. How do you reach it?

We give the children the “sense of family” by creat-ing a fraternity - a brotherhood and sisterhood com-munity where all are treated equally. I personally live in a small cubicle in the boys’ dormitory, as do some of the teachers, we eat same food and we live the same motto: “SIMPLE LIVING HIGH THINKING” and we are all guided by the four pillars of PRAYER, STUDY, SPORT AND WORK.

Education is a key factor when it’s about fighting poverty. Are there any “success stories“, are you aware of any of your children who then reached academic degrees?

I believe in this Chinese Proverb: “If you give me fish you have given food for the day but if you give a hook, you have given me food for the life time”. This is the mission of the Children’s Villages to pre-pare the children for a bright future.

SUCCESS STORY:Joseph Mutuma was one of the first entries to St. Francis Children’s Village. He worked so had and won a scholarship to study Computer Science in Chestnut Hill College in America. Upon returning to Kenya he got a job as a lecturer in one of the pri-vate Universities.Edward Muriithi and Franklin Mwingiria both grad-uated in Bachelor of Education and are currently teaching in the Children’s Village.Mercy and Purity are two girls from St. Clare Girls’ Centre who are currently studying Finance and Ac-counting in the United States of America. They will be graduating next April 2018. It is very encour-aging to learn that two International Companies DELOITTE and ERNEST AND YOUNG are offering to give the jobs in America.

Soon it will be Christmas again. How will you celebrate it in your villages?

Yes, soon it will be Christmas again. Our celebration is divided into two parts:1. We have special Christmas Mass, singing togeth-er and dancing.2. We have a special meal, which the children choose by themselves: yougurt, bread, rice, meat, vegeta-bles and fruits (banana and avocado).

Which is your dream for the future? Which your regret?I have two dreams and I believe I am getting there:1) to see every child who comes to me asking for help is given a chance to prepare for a bright future. I am happy that as I dedicate my last years to help HIV+ children people of good will are responding positively

2) I would like to see that the education that I am offering to these children is education for self-reli-ance. I would to say a day that am able to create production industries in particular in agriculture and fish enterprises.I pray and I believe that the children’s villages will be role models...that can be copied somewhere else and save lives of many children suffering rejection.

Coordinate Bancarie per offerteIstituto bancario:UBS Switzerland AGLugano (Svizzera)

BIC/SWIFT: UBSWCHZH80A

Conto risparmio CHF: 0247-00599098.M1PIBAN: CH8500247247599098M1P

Conto corrente EUR: 0247-005990098.60UIBAN: CH 600024724759909860U

Intestazione:Associazione Futuro e Speranzac/o Lextray (Suisse) SAVia Serafino Balestra 33CP 5349CH-6901 Lugano

Bisrat YaredArea Manager Italy and Southern Europe

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