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ACCADEMIE: U.D.K. DI BERLINO, ACCADEMIA DI BOLOGNA, ACCADEMIA DI CATANIA, ACCADEMIA DI TORINO ARTISTI: EMILIO NOTTE, VINCENZO FERRARI, PAOLA DI BELLO, ANNA ROMANELLO, PAOLA FONTICOLI. C.r.a.b: DERRICK DE KERCKHOVE. LUOGHI D’ARTE: FONDAZIONE MUSEO PINO PASCALI. RECENSIONI, LIBRI, MOSTRE. TRIMESTRALE DELLE ACCADEMIE E DELLE ARTI, TESTIMONIANZE, PROGETTI, DIDATTICA, RECENSIONI, MOSTRE, NOVITÀ. ANNO 2012 - N° 12 - EURO 6,00 NASCE “ACADEMY-OF” LA NUOVA RIVISTA ONLINE www.academy-of.eu

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ACCADEMIE: U.D.K. DI BERLINO, ACCADEMIA DI BOLOGNA, ACCADEMIA DI CATANIA, ACCADEMIA DI TORINO ARTISTI: EMILIO NOTTE, VINCENZO FERRARI, PAOLA DI BELLO, ANNA ROMANELLO, PAOLA FONTICOLI. C.r.a.b: DERRICK DE KERCKHOVE.LUOGHI D’ARTE: FONDAZIONE MUSEO PINO PASCALI. RECENSIONI, LIBRI, MOSTRE.TR

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troverai la nuova rivista ACADEMY on line, una rivista molto più ampia e ricca di rubriche; basta abbonarsi semplicemente seguendo le indicazioni contenute nel-la finestra “abbonamenti” e con soli 20 euro riceve-rai per un anno intero tante notizie, potrai sfogliarla e scaricare i suoi contenuti ogni volta che vorrai. Stiamo cercando di far decollare questo progetto in un momento difficile, dacci una mano e diffondi la notizia presso i tuoi amici!

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Sommario ragionato

L’UNICA RIVISTA PERIODICA RIVOLTA ALLE ACCADEMIE DI BELLE ARTI, AI DOCENTI, AGLI STUDENTI E A TUTTI GLI OPERATORI DEL SETTORE.

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04 Redazionale di Gaetano Grillo: Nasce Academy on line

08 Emilio Notte

14 Accademia di Bologna

18 Accademia di Catania

22 Docenti: Ferrari, Di Bello, Romanello

28 Ex-studenti: Fonticoli

30 Accademia di Torino

32 Accademia di Bari

33 Progetti

34 C.r.a.b. Brera

36 Siti d’Arte: Fondazione Museo Pino Pascali

41 Una mostra: Marco Gastini

42 Nuove gallerie: M. Wild Arte Contemporanea

44 Recensioni

HANNO COLLABORATO*

Gino AgneseAnna CominoEnrico CrispoltiCarlo FalcianiAle GuzzettiCosmo LaeraSerena ManentiDiego MormorioAlfonso PanzettaFrancesca PensaAntonella PiernoElena PontiggiaLaura ValleGianpiero Vincenzo

di Elisabetta Longari

ACADEMY OF FINE ARTSIscritta al Tribunale di Tranin.3/09Rivista fondata da Gaetano Grillo

NUMERO 12 / Estate 2012

SEDEViale Stelvio, 6620159 Milanotel. 02 36706774fax 02 [email protected]

DIRETTORE RESPONSABILEGaetano Grillo

DIRETTORE EDITORIALEGaetano [email protected]

VICE- DIRETTORE EDITORIALEElisabetta [email protected]

REDAZIONEGaetano GrilloElisabetta LongariCristina ValotaMelissa Provezza (segreteria di red.)[email protected]

GRAFICAMassimiliano Patriarca

EDITRICEL’IMMAGINE SRLVia Lucarelli 62/H70124 BARI

tel. +39.0803381123fax +39.0803381251

[email protected]

SOMMARIO

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In copertina:Emilio Notte all’Accademia di Napoli

Saremo sul web: ciò consentirà ai contenuti di Academy di circolare liberamente e trovare collaboratori e interlocutori altrimenti difficilmente raggiungibili. Un vento nuovo che doveva salire ed è bene che sia arrivato proprio in un momento di particolare crisi per la vecchia Europa, che tanto ha dato all’arte, e specialmente per l’Italia che avrebbe dovuto fondare la propria principale idea identitaria sulla produzione, valorizzazione e conservazione dei “beni culturali”, locuzione fastidiosa ma di cui occorre ormai servirsi per capirsi: ci fa sperare nel fatto che possono esserci anche novità positive.Ma torniamo a noi senza ulteriori divagazioni. Troverete, in apertura del numero 13, la presentazione, che nelle intenzioni si configura come continuativa, di una istituzione a carattere internazionale, in questo caso l’u.d.k. di Berlino. Sarebbe davvero auspicabile intensificare un confronto globale.

Il maestro storico cui diamo rilievo è Emilio Notte, cogliendo l’occasione di una mostra antologica che l’Accademia della sua città, Napoli, gli ha dedicato.In questo numero sono presentati alcuni aspetti di diverse Accademie, quali quelle di Bari, di Catania e di Bologna, dove insegna Alfonso Panzetta che ha costruito per noi un discorso molto articolato sulla scultura.La forma dell’intervista si conferma sempre molto interessante, basta leggere quella con Paola di Bello, docente a Brera, e quella con Paola Fonticoli, artista ex allieva della medesima accademia.Non poteva mancare un saluto a Vincenzo Ferrari, che tante energie ha donato all’insegnamento. Seguono come sempre le recensioni alle mostre e ai libri.E sul web... ? navigare necesse est!

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di Gaetano Grillo

Siamo a una svolta importante per la nostra rivista, un rilan-cio sia in termini di apertura a nuove categorie di lettori sia di maggiore dinamicità, elasticità, approfondimenti e vastità tematiche.

www.academy-of.eu sarà il nuovo indirizzo on line a cui collegarsi per essere informati su diverse rubriche di Acad-emy, vere e proprie aree specifiche che arricchiranno di molto la nostra rivista. Andando sulla home page di academy-of.eu troverete dieci al-tre riviste da cliccare per entrare in dieci pubblicazioni diverse, ricche di immagini, racconti biografici avvincenti, straordinari luoghi d’arte, fotografie bellissime, recensioni di grandi mostre ma anche di esposizioni in interessanti gallerie d’arte, eventi, reportage su accademie e università d’arte di tutto il mondo e poi ognuno dei lettori potrà inserire piccoli spot delle attività che vuole pubblicizzare a costi contenutissimi, ma proviamo ad elencarle:

Academy of: Fine Arts / Belle Artisarà la pubblicazione on-line della rivista stampata, consulta-bile in rete e sfogliabile pagina per pagina dagli abbonati. Troverete un’edizione in pdf che potrete scaricare sul vostro computer o sulla vostra ipad ed eventualmente stampare tutto il contenuto o solo ciò che v’interessa, con la vostra stampante comodamente a casa vostra. Si potranno consultare anche tutti i numeri pregressi, archiviarli, estrarre le pagine che vi riguardano.

Academy of: Profiles / Profiliè una pubblicazione in rete ma che potrà anche essere stam-pata e spedita insieme ad Academy of Fine Arts come inserto speciale. Si tratta di una piccola enciclopedia delle personal-ità, di profili biografici, interviste, dialoghi, racconti su persone, autori, istituzioni, aziende ecc. Una sorta di data-base di “who is who”? Una pubblicazione intesa come una collana di profili di personalità interessanti, una galleria di personaggi, da con-sultare ogni volta che vogliamo saperne di più di loro.

Academy of: Art Sites / Siti d’Arte è una rivista quasi esclusivamente fatta d’immagini, bellissimi servizi fotografici e video, su luoghi dove � presente l’arte� ar� luoghi dove è presente l’arte: ar-chitetture, musei, fondazioni, gallerie, studi e case d’artista, case di collezionisti ecc. Una rivista bella da guardare, avvin-cente, che ci porterà a visitare luoghi di grande interesse, a navigare in realtà che spesso ignoriamo.

Academy of: Photo Story / Storie di Fotografiaè una pubblicazione dedicata alla fotografia e al video. Un luo-go in cui incontrare straordinari protagonisti di questo linguag-gio, selezionati da un team di esperti del settore. Una finestra attraverso la quale affacciarsi verso un mondo ormai vastis-simo, con tanti professionisti ma anche appassionati collezi-onisti e tanti autori spesso poco conosciuti ma di straordinario interesse.

Academy of: Exhibitions / Esposizioniè invece una rubrica attraverso cui essere informati su grandi mostre in Italia e nel mondo. Una rivista nella rivista ma non un elenco, un calendario delle mostre; piuttosto un luogo dove trovano posto solo alcune mostre, accuratamente scelte dalla nostra redazione. Siamo infatti convinti che sia tempo di uscire dall’attuale giungla di informazioni offrendo un servizio raffi-nato che sceglie ciò che vuole segnalare, che orienta verso la qualità.

Academy of: Events / Eventiè uno spazio in cui chiunque può pubblicare il proprio evento per darne la massima comunicazione. L’invito a una mostra d’arte, la notizia della pubblicazione di un libro, quella relativa a convegni, work�shop, presentazioni in ambiti fieristici, ma anche notizie di progetti speciali, di viaggi ecc. Ognuno, con una spesa davvero economica potrà inserire il proprio comu-nicato sapendo di contare su un’ampia vetrina.

ACADEMY of Fine Arts diventa anche una rivista on line e decuplica la sua attività!

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Academy of: International University of Art / Università Internazionali d’arteè una galleria in progress nella quale presenteremo accad-emie e università d’arte sparse nel mondo. Non un semplice elenco ma una presentazione nutrita, con immagini e indica-zioni sul funzionamento di ciascuna di esse. Una guida per orientarsi, soprattutto per gli studenti che vogliano fare espe-rienze all’estero ma anche per docenti, per chi deve scegliere una sede da inserire in un progetto Erasmus.

Academy of: Art Galleries / Gallerie d’Arte è invece una sorta di fiera d’arte in internet. La rivista ospiterà dei box in cui ogni galleria potrà esporre i propri artisti, fare delle piccole personali o collettive oppure semplicemente pub-blicizzare la propria attività espositiva. Come ad una fiera si potrà acquistare a costi davvero bassissimi dei moduli spazio-temporali per essere presenti e promuovere i propri artisti.

Academy of: Studentsè uno spazio dedicato agli studenti di tutte le accademie, itali-ane ed estere. Una rubrica in cui ospitare interventi dei giova-ni, in cui informare di loro iniziative e problemaiche ma anche uno spazio in cui segnalare con bellissimi servizi gli studenti più interessanti e meritevoli in modo da dare loro opportunità di distinguersi e affermarsi; vogliamo valorizzare i nostri talenti e farli conoscere.

Requests / Offers / Richieste / Offerteè uno spazio in cui poter pubblicare alcune inserzioni di mer-cato che riguardano richieste e offerte; un luogo in cui vend-

ere o acquistare opere d’arte, libri, oggetti, tecnologie, attrez-zature per belle arti, ma anche qualsiasi altra cosa, sapendo di poter contare sulla visibilità di una vetrina a cui accedono soprattutto persone culturalmente vicine ai propri interessi. Un luogo utile per cercare collaborazioni oppure per offrile, un luogo dove poter incontrare giovani studenti interessati ad offrire lavoro, un luogo dove poter scambiare o trovare un ap-partamento e perché no, anche una casa per la vacanza.

Academy of: Il Grillo parlanteè una rubrica in cui il sottoscritto, direttore della rivista, scrive i suoi redazionali e incontra i lettori con scambi di lettere e opinioni. Oguno potrà scrivere a [email protected] un momento di crisi complessa che non sembra essere solt-anto economica, Academy risponde con entusiasmo e voglia di reagire investendo in un progetto di forte crescita. I lettori tradizionali di Academy, che sono soprattutto artisti, critici d’arte ed in generale docenti delle accademie di belle arti, ma anche tante migliaia di studenti, avranno d’ora in poi molte occasioni per spaziare in territori più vasti, per comu-nicare efficacemente le loro attività professionali e le loro idee. Insomma avremo d’ora in poi molte più occasioni per uscire dall’isolamento e fare del mondo delle accademie italiano e internazionale un sistema collegato che riesce ad esprimere finalmente le sue tantissime potenzialità. Per fare questo, noi di Academy abbiamo bisogno del sostegno di tutti voi, abbiamo bisogno che ci crediate e che ognuno di voi dia il suo piccolo contributo; tutti in-sieme realizzeremo e faremo crescere un progetto avvin-cente.

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“Accademia Europa”: un progetto pluriennale dell’Accademia di Brera che parte da una visita all’Università dell’Arte di Berlino; un’occasione per con-frontare il sistema dell’alta formazione artistica tedesco con quello italiano.

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Dopo il successo del progetto “Accademia Italia” realizzato a Brera, in collaborazione con i miei colleghi Stefano Pizzi e Nicola Salva-tore, in aprile è partito il nuovo progetto “Accademia Europa” che nei prossimi tre anni cercherà di tessere una rete di relazioni inter-acca-demiche a carattere europeo per rinforzare il processo di uniformità dei sistemi formativi artistici universitari.La prima tappa è stata all’Accademia di Berlino, più precisamente denominata UDK (Universität Der Künste).La visita � stata occasione utilissima per riflettere sui nostri sistemi e particolamente sull’impostazione e sull’organizzazione degli spazi della didattica in relazione ai contenuti dell’offerta formativa. L’impatto iniziale con la UDK, infatti, ci ha riportati indietro di una dozzina d’anni, ovvero alla struttura delle nostre accademie prima dell’ultima riforma. Mi riferisco principalmente al fatto che a Berlino la didattica ha ancora al centro il laboratorio come cuore pulsante di un processo di maturazione che passa dall’esperienza e dalla pratica dell’arte molto di più di quanto non avviene in Italia, nelle cui acca-demie ha preso il sopravvento una eccessiva frammentazione delle discipline, tale da rendere impossibile la stessa attività laboratoriale come esercizio costante di ricerca.

Di Gaetano Grillo

La prima riflessione � stata� “…ma loro sono ancora fermi a un’impostazione didattica molto simile al nostro vecchio ordinamen-to, non saranno ormai obsoleti?”. La tentazione a giudicare con una certa velocità e sommarietà è stata subito scoraggiata leggendo l’elenco dei loro docenti dei quali provo a indicarne solo alcuni: Lothar Baumgarten, Georg Baselitz, Anthony Cragg, Dieter Hacker, K.H. Hödicke, Rebecca Horn, Leiko Ikemura, Bernd Koberling, Chris-tiane Möbus ecc. ecc. Chi conosce gli artisti internazionali riesce a comprendere il prestigio di certi nomi…D’altro canto in molte Università d’Arte europee hanno insegnato negli ultimi 20 anni e molti vi insegnano ancora, artisti come Ger-hard Richter, Sigmar Polke, Annette Messager, Jean-Michel Alberola, Markus Lüpertz, Daniel Spoerry, ma anche italiani come Giuseppe Penone, Jannis Kounellis, Michelangelo Pistoletto, Giuseppe Spag-nulo, Fabrizio Plessi, solo per citarne alcuni.Verrebbe subito da pensare che il modello più accreditato è ancora quello che prevede una “Scuola” intorno ad una forte personalità ar-tistica piuttosto che una presunta “Scuola forte” a cui accedono come docenti non sempre forti professionisti.

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Naturalmente stiamo parlando di formazione artistica, ovvero di quella specificità che un tempo in Italia era l’unica ragione dell’esistenza delle Accademie di Belle Arti; oggi le nostre istituzioni formano sulla base di indirizzi molto più vasti ed et-erogenei (con il pericolo di sconfinare spesso in territori non propri) ma questa non � una ragione sufficiente per non riflettere su eventuali errori commessi nell’ultima riforma. Probabilmente gli obiettivi migliori si raggiungono con provvedimenti specifici legati ai singoli percorsi formativi, piuttosto che con formule generiche spalmate demagogicamente. Alla UDK di Berlino esiste ancora il laboratorio della disciplina principale, in cui gli studenti sono seguiti da un docente che li orienta per sperimentare e trovare il proprio linguaggio artistico visivo, la propria poetica in funzione del pensiero e della personale inclinazione. Un laboratorio in cui poter lavorare in qualsiasi ora del giorno e non necessariamente con la presenza del professore che invece dis-tribuisce il suo monte ore indipendentemente dall’attività degli studenti. Ognuno di loro ha libero accesso al laboratorio tutti i giorni, sino a sera, ha in con-segna uno spazio dove tenere i propri lavori e attrezzature, una specie di studio in cui lavorare con una elasticità e una programmazione molto più vicine all’attività professionale che a quella meramente scolastica come avviene in Italia.Intorno al lavoro di studio del linguaggio artistico si snodano approfondimenti labo-ratoriali più rivolti a pratiche manuali che da noi in Italia sembrano ormai essere bandite; mi riferisco allo studio di tecniche della pittura, alle tecniche della scultura del legno o del ferro o dei materiali lapidei o anche delle nuove tecniche fotogra-fiche e multimediali ma ognuna di queste esperienze viene compiuta in laboratori specificatamente attrezzati per approfondirne la conoscenza con molto esercizio, pratica e sperimentazione. Si tratta di laboratori davvero attrezzati, falegnamerie per la costruzione di telai, officine per la saldatura dei metalli, carri�ponte per il sol-levamento delle sculture ecc. ecc.

Vista così, verrebbe davvero di sospettare che l’Università UDK di Berlino sia una scuola professionalizzante piutto-sto che un’Università ma si tratta di una vera Università dell’Arte, con una decina di sedi staccate distribuite nella città, con oltre tremila studenti; una Università molto or-ganizzata e con rigore disciplinare, che rilascia delle vere lauree e che forma artisti e operatori visivi accreditati. Le nostre Accademie italiane sono invece molto carenti di laboratori, hanno concettualizzato e teorizzato quasi tutti i processi delle pratiche artistiche, formano pochi professionisti di prestigio, non sono ancora consider-ate Università e hanno un’impostazione delle lezioni più vicina a quella dei Licei con orari che si sovrappongono per eccesso di frammentazione disciplinare. Con l’ultima riforma (Legge 508/99) le accademie italiane hanno ad-ottato sin troppo l’impostazione universitaria generica privilegiando le lezioni frontali e la scansione oraria di queste ultime, perdendo quella specificità che, con il vec-chio ordinamento, consentiva allo studente di organiz-zare lo studio teorico sinergicamente con quello labora-toriale senza l’estenuante e inutile rincorsa all’accumulo di crediti formativi con la quantificazione di un numero eccessivo di esami e di appelli.I nostri studenti stanno perdendo la sensibilità manuale, tendono a giustificare con presuntuose e arbitrarie mo-tivazioni teoriche delle carenze formative grandi come caverne, emulano frustrazioni di una generazione di docenti formatisi negli anni ’70, fermi alle teorie di Du-champ con le quali sono partiti per sovvertire la rigidità dell’accademismo costruendo, nei fatti, la rigidità scle-rotica dell’accademismo concettuale.C’è da noi ancora la convinzione che i processi manuali siano obsoleti e la convinzione, ancora più pericolosa, che sia la tecnologia a rendere attuali i linguaggi. Nulla di più provinciale se ci confrontiamo a livello internazionale.Io, Stefano Pizzi, Nicola Salvatore e i nostri allievi, ab-biamo costantemente riflettuto sulle potenzialità e sui limiti delle diverse impostazioni didattiche fra il modello tedesco e quello italiano, abbiamo anche visitato mostre, gallerie, musei e la splendida retrospettiva di Gerhard Richter, grande artista contemporaneo che ha insegnato a lungo all’Accademia di Düsseldorf formando giovani artisti di grande talento che riscuotono oggi molti ricon-oscimenti. Richter è un maestro della pittura che ha saputo ag-giornare il suo statuto antico innestandolo su una pro-cessualità nuova e originalissima, sempre sorretta da sperimentazione e rigore mentale.L’arte, per chi la conosce davvero, è una pratica, è una disciplina, è una modalità per esprimere con grande attualità il proprio tempo senza per questo, essere nell’attualità del proprio tempo. Sembrerebbe un gioco di parole ma la differenza fra l’artista e il creativo è proprio in questo sottilissimo e qua-si impercettibile scarto fra la propensione a interpretare oppure a rappresentare il proprio tempo.Il progetto “Accademia Europa” continuerà a visitare, incontrare e confrontare non solo le Accademie e Uni-versità di “Fine Arts” di Germania, Inghilterra, Francia, Olanda ecc. ma anche in paesi dell’Europa orientale (Varsavia, Budapest ecc.); l’obiettivo è quello di formare una coscienza internazionale per meglio vivere e pos-sibilmente correggere le disfunzioni del nostro sistema italiano.Le prime domande che verrebbe naturalmente da fare sono le seguenti: Siamo proprio sicuri che il 3+2 sia un buon sistema? E’ davvero utile avere un’offerta formativa articolata in maniera simmetrica fra i vari indirizzi?La quantità delle nostre discipline è davvero un arricchi-mento oppure fonte di dispersione dell’organicità disci-plinare?

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Negli spazi della Galleria dell’Accademia di Napoli, una mostra personale di Emilio Notte, protagonista storico e riferimento per più generazioni di studenti. Una rilevante iniziativa curata da Giovanna Cassese e Aurora Spinosa.

EMILIO NOTTE

L’Allievo, 1931, olio su tela, cm 142 x 100

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maestri storici

Di Elisabetta Longari

Dopo essere stato attivo a Firenze, a Milano, a Venezia e a Roma, Emilio Notte, nato a Ceglie Messapica da genitori veneti nel gennaio 1891, alla fine del 1929 ottenne la cattedra di Decorazione, convertita in seguito in Pittura, all’Accademia di Belle Arti di Napoli, della quale fu poi nominato direttore dal 1939 al 1947. Ora la “sua” Accademia gli dedica una mostra, nell’ambito della rassegna “Maestri”, curata da Giovanna Cassese, direttore dell’Accademia di Napoli, e da Aurora Spinosa. Circa quaranta tele e una dozzina di disegni costituiscono una sintesi dell’intricato percorso di un artista che partecipò alle più varie esperienze del secolo scorso, dal Futurismo all’Espressionismo, dal movimento di Novecento al Realismo magico, sempre però seguendo una sua coerente poetica e attestando una precisa riconoscibilità.Dunque, un’esposizione per exempla, che si concentra soprattutto sull’intervallo dell’insegnamento, dal 1925 al 1963. Sono quindi esclusi gli ultimi due decenni della produzione del maestro, che morì a Napoli nel 1982; terminus ad quem necessario, poiché una vera retrospettiva, mai prima tentata, dovrebbe raccogliere non meno di duecento opere rilevanti, sparse in collezioni pubbliche e private in tutta l’Italia. Già dal 1907, da poco trasferitosi in Toscana, Emilio Notte grazie a Plinio Nomellini e a Galileo Chini frequenta lo studio del vecchio Fattori. L’anno dopo s’iscrive all’Accademia di Via Ricasoli, allievo di Sartorio e di Adolfo De Carolis, il quale gli presenta D’Annunzio. Appena ventunenne, nel 1912 espone due opere alla Biennale di Venezia (sarà poi presente alla Biennale quasi ininterrottamente fino al ’48, e a tutte le Quadriennali fino al ’65). Ma � nell’ambiente dei lacerbiani, con Palazzeschi, Soffici, Papini, Prezzolini e Settimelli che matura la sua adesione all’avanguardia futurista, immediatamente dopo la non breve stagione post-impressionista ed espressionista, di cui in mostra sono presenti I poveri di Prato e Sotto le armi (molto vicini a Ensor e a Schiele). Il 1915 segna l’adesione al movimento futurista e l’avvio di un’intensa elaborazione. Nel 1917 firma con Lucio Venna su “L’Italia Futurista” il manifesto Fondamento Lineare Geometrico. Non a caso Enrico Crispolti, nel suo saggio in catalogo, individua qui un nodo fondamentale e lancia anche una sfida teorica� “Sarebbe interessante – scrive – approfondire in che modo Notte, che in quel tipo di esperienza è partito da Cézanne, sia giunto a dialogare con Boccioni per poi recuperare nuovamente Cézanne nel suo itinerario, ma al di là di Boccioni; come se questo particolare percorso riuscisse a superare i limiti dell’esperienza degli altri fiorentini già previsti da Boccioni. Questa ipotesi si giustifica nella necessità della ricostruzione della forma, avvertita da Notte in quegli anni, e dichiarata a chiare lettere nel manifesto del 1917, nonché in varie altre precisazioni di carattere teorico”. Del periodo futurista sono in mostra Carrozzella del 1915, dall’accentuato dinamismo plastico, Burattinaio e Piazza Battistero a Firenze, che sperimentano l’innesto del futurismo sulla matrice espressionista e sintetista, nonché vari disegni futuristi commentati in catalogo da un saggio di Gino Agnese (tra cui Studio, pubblicato sulla rivista dadaista “Procellaria” nel 1920).Col trasferimento a Milano, nel 1918, Notte entra in più stretto contatto con Marinetti, Carrà, Sironi e Arturo Martini; e frequenta il salotto di Margherita Sarfatti, che a Milano presenterà una sua ampia mostra personale nel 1919, presto replicata a Roma presso la Galleria Bragaglia. Invitato da Prampolini partecipa alla storica Esposizione Futurista di Ginevra, benché poco dopo sia già sulla via di Novecento, come del resto molti altri futuristi e come qui testimonia il Carretto. Caratteristica di Notte � una pittura severa, “antigraziosa”, perfino nella stagione verista successiva a Novecento, di cui sono esposti un particolare de La cieca cantastorie, la Fanciulla del 1922 e Le bagnanti del 1924, anno del trasferimento a Roma, dopo la vittoria del “Pensionato Nazionale”; ma Notte fa la spola con Venezia, dove ha vinto la cattedra di Pittura al Liceo artistico (e lì ha per allievi Afro e Mirko Basaldella). A Roma è, dove nel frattempo insegna anche Figura disegnata all’Accademia (avendo tra gli allievi Scipione), è un frequentatore assiduo del Caffè “Aragno” e dell’ambiente di Villa Strohl-Fern, con Arturo Martini, Marino Marini, Balla e soprattutto con Bontempelli, che influenza la sua pittura introducendolo de facto al Realismo magico, cosicché l’atmosfera dei suoi quadri subisce una metamorfosi e

diventa distaccata e sospesa, simbolica. In mostra sono presenti due eccellenti esempi: Le allieve del 1929 e Lo scolaro del 1931. “Nella seconda metà degli anni ’30 – scrive Crispolti – e soprattutto all’inizio del ’40, si può poi individuare un punto di crisi, quando la figurazione esplicita di Notte diventa drammatica, fosca, perché rispetto alle certezze della sua ben più chiara visione della realtà, che caratterizzava i periodo precedenti, entra ora in gioco un elemento di emotività, di precarietà: una sorta di dubbio generalizzato”. Sono anche gli anni del trasferimento definitivo a Napoli, alla fine del 1936, dell’involuzione del regime e poi della guerra. In mostra un esempio è l’Autoritratto con allievi, che fu allo storico Premio Bergamo nel 1940; ma lo è anche il grande affresco alla Mostra d’Oltremare, dedicato al Mito di Enea, mai prima fotografato e commentato dalla Cassese nel suo saggio sulle opere pubbliche di Notte.

Emilio Notte e Carmine Di Ruggiero

Emilio Notte e Carlo Del Pozzo

Si riconoscono Vincenzo Ciardo, Emilio Notte e Manlio Sarra

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LA STRAORDINARIA VERSALITÀ DI UN GRANDE DISEGNATOREDi Gino Agnese

Emilio Notte rivelò tutto il suo talento di disegnatore quando, ancora ragazzo, ritrasse un suo sfortunato compagno sul letto di morte. Tutti ne furono ammirati. Quel disegno lo rintracciò Ugo Piscopo a Sant’Angelo dei Lombardi, dove l’artista visse la prima adolescenza accanto al padre che, veneto di nascita, come Ufficiale del Registro era stato destinato per qualche anno a quella cittadina del Sannio. “Un disegno molto bello, d’impianto naturalistico ma vigoroso nel tratto” – ricorda lo studioso napoletano. Notte anche nel disegno ebbe il dono di una manualità straordinaria, e lo arricchì ulteriormente con lo studio e con l’esercizio, che con maggiore o minore impegno tenne ininterrotto anche nella tarda età. Quella eccezionale manualità, già nella giovinezza si piegò alle inquietudini di carattere, a una pluralità di attrazioni estetiche e culturali, insomma a quella sorta di nomadismo che gli fece avvicinare idealmente o fisicamente le più importanti esperienze artistiche della prima metà del Novecento, con sguardi talvolta rivolti anche a tempi precedenti, o più raramente alle grandi epoche lontane. Però in quel suo andare – la sosta futurista lo vide attivo partecipe e teorico - l’artista restò sempre se stesso, tanto che la mano è sempre riconoscibile. E dunque si hanno letture inequivocabilmente sue di quelle esperienze o di quanto altro del passato si fermò nel suo interesse. Negherebbe tuttavia il dato di fatto chi si avventurasse a sostenere che perciò Notte fu soltanto un interprete, sia pure di quelli che in musica o nell’arte drammatica hanno la forza di alzarsi dalla lettera fino allo spirito di un testo, offrendo così di esso una versione singolare. Infatti, nell’opera di Notte s’incontrano a ogni passo cifre del tutto originali. Per esempio, si guardino i ventuno “Disegni sotto le bombe”, recentemente giunti

in dono al nuovo Museo del Novecento di Castel Sant’Elmo, l’unico spazio napoletano in cui si specchi apprezzabilmente – e fortunatamente “in progress” – il passato prossimo del contemporaneo, specialmente quello fiorito all’ombra del Vesuvio. Quei disegni sono i fogli di un album che Notte portava con sé nel ricovero antiaereo di vico Trone a Materdei, dove abitava, ogni volta che la sirena d’allarme segnalava l’imminente incursione e tutti del palazzo scendevano precipitosamente in un malsicuro scantinato puntellato da pali. Napoli tra il 1941 e il 1944 fu sfregiata da quasi cento bombardamenti, alcuni tedeschi e tutti gli altri anglo-americani. Talvolta l’incursione, era “a ondate”: e perciò la gente, strappata al letto o alla luce del giorno, doveva restare nel sotterraneo per un tempo che sembrava non finire mai. Nei fogli che raccontano molti momenti di quel tempo l’artista lasciò un segno snervato, quasi sempre spoglio di ogni sapienza pittorica, non riconducibile a qualsivoglia modello. L’occhio di Notte si fece discreto, pudico: un vedere senza guardare, senza indagare la rassegnazione di un anziano, il sonno di una mamma e del bambino in grembo, la lettura di un ragazzo, le rughe di una vecchia. Un segno dimesso che al di là delle scene, delle figure, dei volti raffigurati, volle rappresentare esso stesso la condizione di quella gente vinta, naufraga in sorte incerta. Per contro, qualche volta la grande manualità suggerì all’artista estemporanee prove di virtuosismo. Ecco allora la silhouette di un acrobata in calzamaglia eseguita in continuità, senza mai alzare la matita dal foglio. Ed ecco uno studio per la “Grande Crocifissione” del 1971, che � nella Galleria Civica di Ceglie Messapica, in cui tra segni in tempesta il capo di Gesù è rivolto verso l’alto (ed è il momento estremo dell’invocazione al Padre) e al tempo stesso è rivolto anche verso il basso (ed è il conclusivo momento della reclinatio capitis). Infine� si guardi a certi autoritratti della vecchiaia – quasi sempre di piccolo formato, a matita o a penna – nei quali si divertiva a “scolpire con la luce”, si potrebbe dire, il suo volto di barbuto patriarca. Emilio Notte, dunque, con la sua mano sicura guidò la matita o la penna, i pastelli, il carboncino o il pennello, in un’ampia varietà di modi: ma la cifra ricorrente in tutto il suo operare, la cifra propriamente sua, è data da un segno inconfondibile, che si fa sintesi perentoria d’ogni dettaglio e diviene struttura evidente, discreta o sottesa, a seconda dei casi. In esso si riflette l’ésprit de géometrie, che abita l’artista forse da sempre, ma almeno da quando nel 1917 firmò a Firenze, assieme al suo allievo Lucio Venna, il Manifesto Futurista del Fondamento Lineare Geometrico. Naturalmente, questo connotato si appalesa nelle opere, specie pittoriche, che rivelano quanto altresì il Cubismo sia stato importante nella maturazione dell’arte di Notte. Ma, per dire dei disegni, è presente nei “pastelli di Vulcano” del 1961, nostalgico ritorno al primo amore: l’espressionismo, che furoreggiava in Germania mentre Notte realizzava la xilografia “Testa di vecchia”, qui in mostra, che coi suoi tratti violenti rimanda ai campioni di quell’avanguardia. Correva l’anno 1912, che segnò la prima partecipazione dell’artista, ventunenne, alla Biennale di Venezia.

Foto di Luciano Pedicini

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maestri storici

In un piccolo libro intitolato Dopo Boccioni, curato da Claudio Bruni e da Maria Drudi Gambillo e legato a una mostra tenuta nel ’61 a Roma alla galleria “La Medusa”, emergeva per la prima volta una questione che soffriva di una concezione che era stata soprattutto di Giulio Carlo Argan, secondo il quale il Futurismo fu solo pittorico e incentrato sulla figura di Boccioni. Su questa idea (e su pressione di Argan) furono anche impostati buona parte degli Archivi del Futuris-mo. Ebbene, quel volumetto del ’61 riapriva il discorso oltre quel limite arbitrariamente imposto, e proprio da lì comincia la ricostruzione del background storico e della presenza vitale di Emilio Notte, che negli anni Sessanta operava a Napoli, ma che aveva alle spalle una storia molto lunga, che si estende alle sue matrici pre-futuriste. Il primo grande nodo nella pittura di Emilio Notte si rintraccia infatti tra la fine del primo decennio e gli inizi del secondo decennio del secolo scorso, quando a Prato, in una serie di quadri come “I vecchi”, “Le bigotte” o “I poveri di Prato” egli esplorava un verismo sociale, umanitario, pietistico, molto forte e accentuato, e questa impostazi-one emerse alla Biennale di Venezia del 1912. Si tratta di un momento storico molto importante nella vicenda italiana tra il primo decennio e l’inizio del secondo del XX secolo, perché in generale si avverte in esso l’influenza secessionista, mentre ciò che accade in seguito risente dell’accelerazione futurista. Il Notte di quegli anni, benché giovanissimo, è già forte e caratterizzato, cosicché la sua opera apre un problema di indagine storica che a mio parere non è stato ancora approfondito e sul quale si innestano diverse ques-tioni. Già Longhi nel ’19 e Parronchi nel ’58, scrivendo di Emilio Notte, avevano accennato all’influenza dei pittori nordici. E in effetti nelle opere di quegli anni si evince una vena espressionista, coniugata però a un forte “verismo”: una volontà tesa ad afferrare la realtà quasi graffiandola, scavando nel vissuto dei personaggi rappresentati. In realtà, il più vicino a Notte è Casorati, in un passaggio particolare della sua vicenda costituito dai quadri realizzati intorno al 1909. Par-ronchi, a proposito delle influenze, parlava anche di Hodler, di Toorop, di Meunier: personalità inserite nel contesto europeo, ma � difficile stabilire dei precisi rapporti tra il loro lavoro e le prime fasi della pittura di Emilio Notte, benché il punto di riferimento sia la Biennale di Ven-ezia, dove questi artisti erano giunti fin dalle prime edizioni.L’adesione di Notte al Futurismo si sviluppa invece a Firenze, verso la metà degli anni ’10, matura poi a Milano nella seconda metà degli anni ’10 e lì si conclude, innervandosi nella vicenda di Novecento. Non a caso a Milano, nel 1919, Notte tiene una personale inaugurata da Marinetti: che è seguita, sempre nel ’19, da quella più fortunata

La figura di Emilio Notte nel novecen-to artistico italianoDi Enrico Crispolti

a Roma, alla galleria Bragaglia. Due mostre che fanno il punto sui precedenti, riscoperti attraverso la rivalutazione del suo Futurismo. In questi antecedenti affiora una pittura per così dire “antipatica”, nata da violenti momenti di coraggio oppositorio, dalla partecipazione vi-tale alla realtà rude e dura. Naturalmente, nel contesto fiorentino occorreva anche cimenta-rsi con Cézanne, con il quale si confrontavano anche Primo Conti e molti altri che avevano alle spalle la lezione forse più critica, che non pittorica, di Soffici. Quindi, viene il momento in cui Notte osserva Cézanne, non necessariamente in maniera diretta, benché le opere del pittore di Aix-en-Provence fossero giunte per tempo a Firenze in una nota mostra. È un Cézanne probabilmente mediato dal Derain degli anni ’10, dunque da un artista che ha attraversato il Cubismo e che diventa punto di riferimento della giovane pittura europea. Derain è stato il veicolo del cézannismo a cui partecipò Emilio Notte e che in-nerva l’esperienza dei futuristi fiorentini, quelli del gruppo de “L’Italia Futurista”. Uno dei fascicoli li enumera tutti: Baldessari, Conti, Ginna, Lega, Neri Nannetti, Rosai, Giulio Spina (oggi pressoché sconosciu-to), Vènna, Vieri (l’altro Nannetti) e naturalmente Notte. In realtà, come ho avuto modo di sperimentare occupandomi del Fu-turismo in Toscana in una mostra a Livorno, il quadro di avanzamento della ricerca futurista dell’inizio degli anni ’10 segue una prospettiva boccioniana, dove peraltro un Boccioni estremo – ma non solo quello degli ultimissimi quadri – già tra il ’14 e il ’15 dialoga nuovamente con Cézanne, e probabilmente anche in quel caso attraverso la me-diazione di Derain. Del resto, anche Carlo Levi, benché molto tempo dopo, � stato influenzato da Derain. Infatti, mentre Picasso e Braque hanno utilizzato Cézanne in chiave decostruttiva, aprendo la via all’astrazione, al contrario Derain ne ha riformato la lezione, tentando una figurazione moderna, strutturale, non più figurativo�rappresenta-tiva ma, appunto, figurativo�strutturale, reinventando l’architettura dell’immagine. Notte si inserisce in questo particolare cézannismo e se confrontiamo i fiorentini con ciò che a Roma realizzavano Balla, Depero o Prampo-lini verso la metà degli anni ’10, si comprende bene che i primi sono ancora legati alla prospettiva boccioniana della prima metà degli anni ’10.Sarebbe interessante approfondire in che modo Notte, che in quel tipo di esperienza è partito da Cézanne, sia giunto a dialogare con Boccioni per poi recuperare nuovamente Cézanne nel suo itinerario, ma al di là di Boccioni; come se questo particolare percorso riuscisse a superare i limiti dell’esperienza degli altri fiorentini già previsti da Boccioni. Questa ipotesi si giustifica nella necessità della ricostruzi-one della forma, avvertita da Notte in quegli anni, e dichiarata a chi-are lettere nel manifesto del 1917, nonché in varie altre precisazioni di carattere teorico, in cui, a suo modo, partecipa all’inizio del ritorno all’ordine. In genere si sostiene che Novecento sia il ritorno all’ordine, ma io ritengo che esso cominci intorno alla metà degli anni ’10, pervaden-do tutta l’arte europea, sia figurativa che astratta, in quanto effettivo superamento del disordine decostruttivo che va dall’Espressionismo fino al Cubismo e al Futurismo. Poi si inizia ad analizzare, a sin-tetizzare e a costruire un ordine formale, i cui aspetti più espliciti si trovano in Malevič, e soprattutto in Mondrian. Ma esiste anche un versante figurativo, in cui gioca un ruolo determinante Derain, che in Notte trova un riscontro che si sovrappone alla pressione esercitata dal modello boccioniano, perché � una via figurativa. Infatti, nelle opere di Notte degli anni ’20, realizzate tra Milano, Venezia e Roma, ricompaiono i mendicanti, i contadini, le vecchie e altri soggetti tipici, mai del tutto assenti anche nella stagione futurista. Il terzo nodo storico della creatività e della personalità del pittore cegliese è il Novecento, che però può essere considerato un pre-Novecento, poiché parte dall’inizio degli anni ’20. Alla metà degli anni ’20 si riconosce un passaggio esplicito di tale rappresentatività, che mano a mano vira verso una sorta di classicità sempre più esplicita, come dimostrano gli affreschi di Villa d’Este, a Tivoli.Nella seconda metà degli anni ’30, e soprattutto all’inizio dei ’40, si può poi individuare un punto di crisi, quando la figurazione esplicita di Notte diventa drammatica, fosca, perché rispetto alle certezze della sua ben più piana visione della realtà, che caratterizzava i periodi precedenti, entra ora in gioco un elemento di emotività, di precarietà: una sorta di dubbio generalizzato. La realtà appare a Notte non più qualcosa di definibile, ma il frutto di una situazione dai contorni sfu-mati, com’è evidente nel quadro “Nello studio”, del 1940. Si potrebbe

Primi anni ‘50 - Emilio Notte, Mario Colucci e altri allievi

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anche tentare qualche confronto con quanto accadeva nella gener-azione dei giovani che confluirono in Corrente, a Milano, alla fine degli anni ’30. Per non dire del contesto romano, da Scipione a Mafai, cioè là dove inizia la lotta contro Novecento, che in qualche modo si concluderà, sul piano nazionale, nell’ambito di Corrente. Ma Notte appartiene a una generazione precedente a questi artisti nati intorno agli anni ’10, e la sua irrequietezza può essere stimata proprio in ragione di questa distanza generazionale, dunque nel di-verso modo di rapportarsi all’esigenza di andare oltre il Novecento. Nella sua lunga vicenda occorre chiarire la stagione complessiva-mente chiamata “del dopoguerra” e che invece dovrebbe essere esa-minata nei suoi diversi momenti. Viene alla luce un artista che non si arrende. Se negli anni ’30 e ’40 Notte aveva ridiscusso quanto realiz-zato nel periodo precedente, altresì negli anni ’50 egli inizia a porre in dubbio la sua stessa esperienza di superamento del Novecento. In quel periodo si manifesta l’importanza della sua docenza all’Accademia di Napoli, ad esempio per Colucci e per i giovani del Gruppo ’58, attitudine già evidente al tempo della sua docenza a Venezia e che orientò alcuni personaggi di primo piano come Afro e Mirko Basaldella. Certo, Mirko è uno scultore, ma in realtà aveva seguito Notte. Per capire l’originalità di Notte in quegli anni lo si deve infatti valutare nel confronto con il post�Cubismo (che oggi occorrerebbe definire “sec-ondo post-Cubismo”, per distinguerlo dal primo che si colloca nella metà degli anni ’10) e con tutta la vicenda che caratterizza buona parte dell’arte italiana della seconda metà degli anni ’40. Guttuso, per esempio, com’è noto, in quegli anni osservava Picasso, e Cassinari Braque, il Picasso degli anni ’30.In sintesi, il Notte degli anni ’50 adotta il sintetismo della lezione post-cubista, innestandolo però sulla solidità di una base arcaica, perché il post-Cubismo era stato utilizzato in chiave narrativa, svin-colandolo dalla solidità e anzi orientandolo verso una sorta di fluidità dell’immagine pura, risolta in senso sintetico. Al contrario, Notte tende a recuperare la dimensione della sintesi ar-caica, come si evince in tutti i dipinti, dalla “Maternità” del 1953, alle maschere, agli arlecchini, a “Gli acrobati stanchi” fino alla “Strage di Melissa”. Una scelta che si svilupperà ulteriormente negli anni ’60 in una sintesi ancora maggiore, che lambisce l’astrazione. Si riconosce

il rapporto con il Sironi del secondo dopoguerra, che rigetta la re-torica novecentesca e che opta per il frammento: quasi una soluzione astratta. Negli anni ’70 Notte approderà poi a una sorta di Neofuturismo e Neocubismo, che è anche il momento della sua maggiore libertà di movimento, giocata sulla pura pittura, utilizzando anche pretesti di dialogo storico, benché le due Crocifissioni dell’inizio degli anni ’70, con il loro realismo arcaico, quasi grottesco ma non ironico, siano opere molto forti e caratterizzate dal peso della realtà. Ecco, questo potrebbe essere l’ultimo nodo della presenza storica di Notte nell’arte italiana ormai non più della prima metà, ma già della seconda metà del XX secolo.Come si vede, si tratta di una lunga storia, costellata da vari punti cruciali che necessitano di ulteriori approfondimenti. Direi che il nodo futurista sia stato già indagato a fondo, ma non così il primo periodo e gli anni dell’adesione a Novecento, anche perché mano a mano affiorano nuove opere. Tantomeno sono stati studiati quello che io chiamo “oltre Novecento” e l’ultima stagione, benché questa sia più nota, perché Notte era sul campo, anche nel senso creativo e innovativo. Però è chiaro che, se si riuscisse a organizzare una adeguata ret-rospettiva, tutti questi nodi, che singolarmente vanno approfonditi, potrebbero essere risistemati in un quadro che restituirebbe davvero il peso della personalità di Emilio Notte. Credo che se le nostre istituzioni funzionassero, sarebbe un loro preciso dovere rileggere le grandi personalità dell’arte italiana. Sono numerose e una di queste, indubbiamente importante perché - come si vede - attraversa i tre quarti di un secolo, è Emilio Notte: un person-aggio di cui riconosciamo la grandezza, ma vorremmo anche volerla comprovare complessivamente, presentandola alle nuove gener-azioni. Ai giovani occorre insegnare che cos’è Notte e lo si può solo attraverso una grande mostra. Speriamo di arrivarci.

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“IN-ES” 2012, tecnica mista cm. 210 x 330 x 47

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Acrobati stanchi, 1951

Bagnanti, 1924

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Giugno - Settembre 2012

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Insomma, a cosa servono oggi le Accademie, in un momento in cui il reddito d’impresa è divenuto il metro della società, un metro forse incapace a misurare la cultura e l’espressione, ma comunque dominante. Insomma, per scendere al registro basso: a che servono le Accademie in un momento in cui con l’arte non si mangia?Questo è un pensiero che dimostra solo la miopia di alcuni. Fortunatamente le Accademie non sono rimaste immobili ma si sono adeguate al cambiamento della società con una nuova offerta formativa, e a quello del mondo della creatività contemporanea senza dimenticare i risvolti applicativi di un insegnamento che

altrimenti rischiava di avvitarsi su se stesso. Nelle Accademie ormai è possibile accedere non solo alla ricerca estetica e all’espressione pura ma anche ai risvolti sociali e produttivi di questa. Senza voler con ciò creare dei mestieranti, ma, sulla scorta del mandato teorico sviluppatosi dall’Illuminismo - come dire... tolto il velo alla fama e scoperto che c’è un risvolto tecnico e pratico -, anche il professionista a largo raggio trova oggi nell’Accademia un interlocutore che entra nel merito, un sostegno creativo applicato e non solo un maestro esistenziale. Ma tutto questo deve accadere sempre a braccetto con la ricerca pura, se si dimentica quella lo spirito e la peculiarità delle Accademie diventano cosa morta.

MAURO MAZZALIIncontro Mauro Mazzali nei giorni successivi alle due forti scosse di terremoto che hanno fatto chiudere l’Accademia di Bologna per le necessarie verifiche strutturali che, fortunatamente non hanno evidenziato danni. La paura forse è rimasta, ma l’attività didattica è ripresa a ritmo normale. Sempre in vena di memorie relative alle opere d’arte del territorio, Mauro ricorda le chiese dalla piana che non ci sono più, e quanto si dovrà fare per riparare i danni inferti al patrimonio. Ma il discorso torna obbligatorio a insistere su una questione spinosa, ormai centrale, che riguarda il ruolo delle Accademie e la loro funzione in una società che sembra aver perso alcuni dei confini che la storia aveva tracciato.

di Carlo Falciani

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accademia di bologna

E tutto questo come ha trovato applicazione nella nuova offerta? Accanto agli indirizzi storici relativi alle arti visive abbiamo istituito quelli di comunicazione e didattica dell’arte, poi corsi di fashion design, di nuove tecnologie dell’arte (fotografia, cinema e televisione), fumetto e illustrazione, e poi questa che è la novità assoluta e che io ho voluto da molti anni, quasi a chiudere un cerchio aperto secoli fa proprio all’interno delle Accademie: un corso magistrale di secondo livello, quinquennale di Restauro. Questo non è in contraddizione con il mandato storico delle Accademie di Belle Arti, anzi completa la visione d’insieme e la funzione sociale di questo luogo. Quasi un ritorno alle origini, perché il restauro nell’Ottocento e prima ancora è nato nelle Accademie. Noi ci siamo resi conto per tempo di ciò che l’Ottocento aveva portato a perfetta armonia, e una dimostrazione l’abbiamo avuta proprio organizzando la mostra dedicata ad Antonio Basoli, una delle glorie della nostra Accademia: fantasia e creatività aperte ai risvolti applicativi richiesti da un mondo nuovo.

Quale pensi sia il futuro delle Accademie in Italia rispetto all’Europa? Cosa manca alle accademie italiane? O viceversa? Stiamo sperimentando da anni con Erasmus proprio le differenti collocazioni delle Accademie d’Europa nella società rispetto alla realtà italiana. Nel 99% dei casi in Europa le Accademie hanno una collocazione universitaria e una totale parificazione di ruolo e di dignità con la formazione accademica (mi si passi il gioco di parole) In Italia ancora no, e questo accade in pochi altri stati. Questa è la grande differenza. Da noi c’è come una remora a inserire pariteticamente la formazione artistica all’interno del comparto

universitario. Ciò dipende da un equivoco che affonda le radici nella poca considerazione (solo in Italia) del ruolo dell’artista nella società, e nella diffusione a qualunque livello dei falsi stereotipi dell’artista d’avanguardia. Altro motivo di tale separazione rispetto alle Università è poi l’accorpamento relativamente recente delle Accademie ai Conservatori, che hanno invece una realtà del tutto differente rispetto a noi, soprattutto perché la formazione musicale è parallela ad altri studi e parte dall’infanzia. Quindi le Accademie italiane soffrono di un gap rispetto all’Europa, che deve essere colmato anche in vista di una sempre più stretta unificazione, oggi non più rimandabile.

A che punto è la a riforma delle Accademie? La riforma delle Accademie si è arenata proprio perché è stata portata avanti assumendo anche le problematiche dei Conservatori, delle Accademie di danza e di quelle di arte drammatica, problematiche irrisolvibili finché tutto � tenuto insieme in un medesimo contenitore. Le Accademie di Belle Arti dovranno in qualche modo essere divise dal comparto AFAM, che deve conservare pari dignità, rispondendo a prerogative e funzioni differenti, mentre le Accademie devono riunirsi al comparto universitario come nel resto d’Europa. Questa è la richiesta che viene ormai dal basso, dal corpo studentesco italiano che all’interno delle Accademie italiane percepisce una forte discriminazione rispetto al resto dei giovani europei. Semmai il problema sarà quello di eliminare questo gap senza far perdere alle nostre scuole la loro identità e particolarità. Ma ora mi sembra che anche i parlamentari che seguono la riforma abbiano capito, anche grazie a voci esterne, europee, che proprio in quella identità fattiva è

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la tipicità delle Accademie italiane, identità dovrà essere conservata anche se ci sarà la riunificazione fra Accademie e Università

Ma questa riforma è ormai partita molti, forse troppi anni fa, c’è ora la volontà di portarla a conclusione? Mi sembra di sì, nella VII Commissione, dove pur si sta cercando di salvaguardare l’identità profonda di Conservatori e Accademie, ci si sta accorgendo delle profonde differenze fra le due realtà, legate soprattutto all’età di formazione degli allievi. Il conservatorio, inseguendo necessariamente i giovani talenti si colloca sempre più nella formazione secondaria proprio perché la peculiarità della formazione musicale necessita un inizio precoce degli studi, mentre l’artista visivo in tutte le sue declinazioni è legato a una formazione che si colloca in un’età differente e più adulta, parallela a quella universitaria.

Come potrà collocarsi l’Accademia all’interno del sistema universitario? Non rischia di essere il vaso di coccio?Rischia di essere un vaso di coccio proprio se perde la sua identità, quando invece potrebbe diventare la calamita di quelle particolarità presenti sul territorio già sperimentate in ambito teorico, fra le altre, nelle Facoltà di Beni Culturali. Ad esempio le commissioni interministeriali MIBAC-MIUR hanno passato l’Accademia di belle arti di Bologna e Napoli a pieno titolo per la formazione dei restauratori parificandole ai grandi istituti come Istituto Centrale di Restauro di Roma e Opificio delle Pietre Dure di Firenze.La specificità non va vissuta come fragilità ma come capacità di catalizzare esperienze che le Università stanno già compiendo (come il restauro ad esempio) ma senza avere un retroterra tecnico-pratico sperimentato di laboratori e di pratica oggettiva. Solo nell’unità di queste due vie sta il comune sviluppo.Pensiamo che debba rinascere lo spirito che agli inizi del Settecento ha portato alla nascita dell’Accademia di Belle arti e delle scienze.

Questo prevede anche una profonda coesione fra differenti realtà: l’Accademia di Bologna come è collegata alla città e al territorio?Il collegamento appare proprio nelle molte convenzioni stipulate con la Soprintendenza e con le realtà produttive dell’industria e design, col teatro di Cesena dove realizziamo le scenografie di opere liriche. Quest’anno facciamo Didone ed Enea di Purcell. Poi abbiamo già attivato convenzioni con Università estere, anche della California per una comune formazione complessa e contemporanea. Ormai il passo da compiere è breve.

*Mauro Mazzali, direttore dell’Accademia di Belle Arti di Bologna è scultore e docente di Scultura.

*Carlo Falciani, storico dell’arte, curatore di mostre dedicate alla pittura rinascimentale insegna all’Accademia di Belle Arti di Bologna

Più di vent’anni sono trascorsi dal 1989, anno di pubblicazione della prima edizione del Dizionario degli scultori italiani dell’Ottocento per la Umberto Allemandi & C. (in preparazione è la quarta edizione), momento in cui poca o nulla attenzione era ancora dedicata alla scultura del XIX secolo e periodo in cui il mio angusto ruolo era quello della “vox clamantis in deserto”. Vent’anni sono tanti, ma non sono trascorsi in vano se, oggi, consideriamo quanto la scultura italiana degli ultimi due secoli sia tornata alla ribalta, riappropriandosi lentamente, ma progressivamente, del corretto ruolo che gli compete nella storia delle arti figurative in Italia. Certo le esposizioni dedicate sono sempre in numero inferiore rispetto a quelle sulla pittura, ma è un dato oggettivo che tali eventi temporanei suscitino un reale e crescente interesse del pubblico. Non sarà mai ripetuto abbastanza, e con sufficiente forza, che la critica ufficiale del secondo Novecento ha commesso e perpetrato per decenni il più grossolano errore di valutazione dell’Ottocento italiano nel suo complesso. Per troppi lustri infatti, nell’ansia di rivalutare e dare dignità alla nostra pittura del XIX secolo, cercando d’inserirla nel contesto della produzione europea e sostenendola nel mercato e nel collezionismo, si sono persi i fondamentali parametri di riferimento e confronto, a detrimento, tra l’altro, della reale importanza internazionale della coeva scultura nostrana.

Si ragiona…di Scultura tra XIX e XX secolodi Alfonso Panzetta

1ª parte – Riflessioni generali

Giovanni Duprè, Saffo

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sulla scultura

La preponderanza e la stima della scultura nel XIX secolo emerge invece con evidenza dai documenti, che disegnano in maniera sempre più chiara un Ottocento italiano davvero più importante ed eloquente in quest’arte che non nella pittura. Duole constatarlo, ma in Italia non si sono avuti pittori della caratura di Constable, Turner, Friedrich, Géricault, Delacroix, Corot, Courbet, Millet o Manet. La grande pittura del XIX secolo - è un dato di fatto inequivocabile � � tutta oltre i confini del nostro Paese, che all’epoca si dibatteva nella frammentazione delle scuole locali.Una prima, autorevole ed efficace traccia della straordinaria considerazione internazionale della scultura italiana si realizza semplicemente riflettendo su di un importantissimo evento di pieno Ottocento, l’Esposizione Universale di Parigi del 1867, vera e propria cartina di tornasole della reale situazione. A quell’appuntamento, che per intenderci vide trionfare il «Napoleone morente» di Vincenzo Vela, onorato dal primo premio per la scultura ed acquistato dalla Francia per la Reggia di Versaille, e dove Giovanni Duprè ottenne la Gran Medaglia d’Onore, l’Italia era presente con un massiccio numero di scultori. Da Santo Varni a Giovanni Strazza, da Tito Sarrocchi a Giosuè Argenti, a Pietro Magni, il meglio della produzione degli ultimi vent’anni, tra romanticismo e prime istanze realiste, era squadernato ad affermare l’assoluto primato italiano in tale arte.

Consolidando su di sé l’attenzione di tutto il mondo, l’Italia era riconosciuta come la grande maestra della scultura quando la Francia, guida indiscussa in pittura, poteva vantare solamente Carpeaux come rappresentante degno della qualifica di scultore.A sostegno di questa convinzione sono alcuni scritti di Francesco Hayez, - commissario per l’arte italiana all’Esposizione parigina - inviati all’amico Andrea Maffei, già collaboratore del periodico Gemme d’Arti Italiane, conservati all’Accademia di Brera e pubblicati nel 1890 (F. Hayez, Le mie memorie, con appendice a cura di G. Carotti, Milano 1890, pp. 196-198), che contengono interessanti ed illuminanti passaggi sulla considerazione della pittura e della scultura in quel torno d’anni: “Mio caro Maffei, Ho sentito dal comune amico Prof. Rizzi che conti far una visita all’Esposizione Universale di Parigi, e farai bene. In quell’emporio di tante e variate cose certo le arti belle ti fermeranno di più, e vorrei che potesti riferire essere la Italiana bene rappresentata, Ti dico la verità che se temo per la pittura spero molto per la scoltura, quest’arte fra noi ha più fortuna…” (lettera datata Milano, 11 aprile 1867); mentre in una variante della medesima lettera è riportato: “…In quell’emporio è certo che le belle arti ti fermeranno di più e vorrei che potesti vantarmene il primato all’italiana, ma temo per la pittura siccome fra noi manca di occasioni, le sole che fanno gli artisti, così forse in confronto con Francia e Germania resterà indietro. Non così la scultura; quest’arte in Italia è più fortunata ….”.Piccoli esempi, spigolature critiche e documentarie selezionate in una bibliografia, ripeto, sterminata e quasi del tutto ignorata, esempi che la dicono lunga sulla necessità di revisionare la storia dell’arte dell’Ottocento italiano ed europeo.Se, per giustificare l’oblio dell’arte plastica, molto spesso si � puntato l’indice sul fatto che la scultura fosse poco visibile, quasi costantemente relegata nei depositi museali, e che l’allestimento di una mostra di scultura fosse più difficile, impegnativa e dispendiosa rispetto ad una dedicata alla pittura, è necessario però riconoscere che tali giustificazioni sono da ritenersi concause che legittimano solo in parte la mancanza di attenzione per quest’arte, una disattenzione che invece è da considerare soprattutto come il risultato di quel generalizzato atteggiamento di indifferenza e superficialità di intere generazioni di studiosi e soprattutto della cultura universitaria ufficiale, che solo in rari casi ha sollecitato l’interesse per la scultura. La saltuaria considerazione della scultura di tutte le epoche - certamente responsabile della diffusa incapacità a valutare quest’arte maggiore nel suo complesso – rende evidente quanto la storia dell’arte italiana, almeno da Giotto in poi, sia sempre stata tendenzialmente e profondamente “pitturocentrica”, ha cioè valutato e studiato il fenomeno artistico ponendo costantemente in primo piano la pittura, relegando così la scultura in una posizione secondaria e solo occasionalmente in evidenza; un “pitturocentrismo” che si è perpetrato sino al Novecento.Con ciò non si ha né la pretesa, né tanto meno la volontà di anteporre Scultura a Pittura in un’assurda quanto anacronistica graduatoria, ma semplicemente rivendicare alla Scultura il corretto ruolo di arte maggiore, speculare e paritaria della consorella Pittura.

* Questo articolo di riflessione sulla scultura si articola di tre parti, la seconda e la terza saranno pubblicate sui prossimi due numeri di Academy.

Giulio Bergonzoli, Amore degli Angeli, 1867

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L’Accademia di Belle Arti di Catania nel XXI secolo

Di Gianpiero Vincenzo

A pieno titolo l’Accademia deve essere affermata come componente fondamentale per i progetti di rilancio dei territori che oggi vivono una decadenza culturale prodotta sia dalla crisi economica, ma anche dalla totale assenza di politiche culturali. La nostra Istituzione, presente sul territorio catanese ormai da circa 45 anni, deve dare segnali forti attraverso progettualità culturali che ad oggi hanno già prodotto un’immagine importante sul territorio nazionale, ma che si devono ulteriormente potenziare con iniziative che riescano a coinvolgere in pieno tutte le amministrazioni locali. Basterebbero queste poche righe del suo programma elettorale per spiegare in buona parte il successo di Virgilio Piccari, a partire dal prossimo novembre nuovo direttore dell’Accademia di Catania, eletto con oltre l’85% dei consensi. Lo scenario cui fa riferimento Piccari, già vice-direttore dell’istituzione etnea, non è quello delineato dai 300.000 abitanti del “piccolo” comune di Catania, ma il “Sistema lineare della Sicilia Orientale” da Messina a Siracusa, una conurbazione tra le maggiori d’Italia, con

quasi due milioni di abitanti e decine di istituzioni locali, che guardano a Catania come assoluto punto di riferimento economico e culturale. In quest’area urbana molti luoghi comuni sull’arretratezza del Meridione andrebbero rivisti. Nonostante la crisi, nel primo trimestre del 2012 l’high tech elettronico e farmaceutico di quella che è ormai definita Etna Valley ha fatto registrare un più 44% di esportazioni, miglior dato nazionale, mentre la provincia di Ragusa, in cui si è saputo investire sull’eccellenza alimentare, cresce da tempo al ritmo di un + 20% annuo. L’Accademia di Belle Arti di Catania (ABACA) si è venuta a trovare al centro di uno dei bacini più interessanti e dinamici sotto il profilo dello sviluppo, con alle spalle un patrimonio culturale diffuso straordinario e ancora in buona parte da valorizzare, che parte dall’età del Bronzo, passa per le civiltà del Mediterraneo fino alle avanguardie odierne. Nel 2000 l’ABACA aveva appena 650 studenti che sono diventati 2.100 dieci anni dopo, con una crescita di quasi il 30% annuo, attirando studenti non solo da tutta la Sicilia, ma anche dal resto d’Italia e dall’estero.

con una stagione segnata da attenzione alla propria specificità identitaria in stretta connessione con il territorio della Sicilia orientale e del Mediterraneo. Un’Accademia in fortissima crescita che in pochi anni ha triplicato il numero dei suoi studenti; un’Accademia sensibile e attivissima anche in termini progettuali, espositivi ed editoriali. Da Enzo Indaco a Carmelo Nicosia fino a Virgilio Piccari, una direzione segnata da intelligente continuità.

L’Accademia di Catania prende il volo

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Il direttore uscente, Carmelo Nicosia, ha più volte sottolineato come la fase organizzativa sollevata dalla legge 508 fosse ormai in buona parte superata e che bisognasse concentrarsi maggiormente sulla specificità dell’offerta formativa dell’Accademia, aprendo un ampio dibattito con relative polemiche che si sono trascinate per mesi. Nelle ultime elezioni, finalmente si � operata la scelta tra opposti differenti modelli accademici. Da una parte la prospettiva di un’istituzione destinata perennemente a inseguire l’Università sul piano dell’organizzazione interna, soprattutto in vista di un legittimo riconoscimento economico, dall‘altra quella di un’Accademia capace di diventare un polo autonomo di ricerca e promozione culturale, a costo di un impegno scientifico e professionale ancora maggiore. Non si è trattato della solita opposizione razionalità/passione, ma di due differenti prospettive sul ruolo che le Accademie possono svolgere nel XXI secolo.Il tema merita un approfondimento. La sociologia di Tönnies, uno dei padri trascurati del pensiero moderno, ha mostrato come una mentalità centrata sulle logiche di mercato provochi la marginalizzazione degli aspetti più creativi dell’uomo. È così che arte e cultura sono state spesso considerate figlie di un dio minore, mettendo le Accademie su di un gradino più basso rispetto al mondo universitario. Seguendo una logica analoga si è investito in sviluppo industriale trascurando il patrimonio culturale� un filo logico unisce il disastro idrogeologico della diga di Assuan, ai muri caduti a Pompei, alle aree archeologiche siciliane abbandonate alla mercé dei tombaroli.Nel corso del XX secolo, però, il modello industriale è entrato in crisi e, tra le pieghe della globalizzazione, nuovi stili di vita hanno fatto riscoprire il gusto della bellezza, della naturalezza e dell’eleganza. Non si tratta solo delle spettacolari blockbuster exhibitions dei grandi musei internazionali o dei panegirici sulle opere d’arte moderna e

contemporanea che raggiungono all’asta cifre mirabolanti. Sono soprattutto i giovani a riscoprire il valore delle professioni artistiche e creative: secondo i dati dell’Istituto Tagliacarne, rielaborati nel Libro Bianco sulla Creatività (Egea, Milano 2009), nel 2004 il macrosettore della produzione culturale italiana - moda, design, editoria, arte, patrimonio culturale, ecc. - valeva quasi il 10% del PIL e assorbiva il 12% dell’occupazione totale. Ancora oggi è l’unico settore in espansione.È in questo contesto che l’ABACA si è trovata al centro di un processo di riqualificazione culturale. Le amministrazioni locali e molte aziende siciliane, infatti, si sono trovate impreparate di fronte alla forte richiesta creativa che si è riversata su Catania, chiamando l’Accademia a giocare un ruolo istituzionale decisivo. Infatti, nell’ultimo anno l’ABACA ha organizzato direttamente, o indirettamente tramite i suoi docenti e studenti, quasi i due terzi delle mostre pubbliche cittadine. Parallelamente si è avvitato un processo di riorganizzazione dei processi culturali. Gli spazi espositivi catanesi del Palazzo della Cultura, di Castello Ursino e delle Ciminiere sono stati messi in rete con Palazzo Montevergini e l’ex Monastero del Ritiro di Siracusa, con il GAN (Galleria Civica d’Arte Contemporanea) di Noto e con altri spazi della regione. La prospettiva, anche grazie all’impegno di curatori come Ornella Fazzina e Michele Romano, è di coinvolgere l’isola di Malta, storicamente legata a questa parte della Sicilia, nella creazione di un circuito del Mediterraneo.Questo sviluppo implica anche una migliore integrazione tra i diversi dipartimenti dell’Accademia. Un problema nazionale riguarda la valorizzazione delle “scuole” storiche dell’Accademia - pittura scultura, decorazione e scenografia � che vantano a Catania una notevole vitalità: nell’ultima discussa e discutibile Biennale di Venezia erano circa quaranta gli artisti partecipanti legati all’ABACA. L’integrazione

da sinistra: Enzo Indaco, Presidente, Carmelo Nicosia, Direttore us-cente, Nunzio Sciavarrello, Fondatore ABACA. Courtesy Oriana Ta-bacco

pagina a sinistra: Carmelo Nicosia, Una grossa nuvola oscurò il cieel ac, 2011

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dovrà passare anche attraverso una parziale revisione dei piani di studio, sviluppando maggiormente, per esempio, i corsi di disegno anche all’interno del design e fornendo più occasioni di lavoro in comune tra studenti di arti visive e tecnologiche. Nei prossimi mesi sono previsti a Catania incontri con le aziende della Confederazione Nazionale dell’Artigianato per ottimizzare i percorsi formativi alla luce della sempre maggiore richiesta di professionisti dell’immagine. Si sta studiando anche la realizzazione di una collana editoriale di testi ed e-book per venire incontro alle esigenze delle Accademie e alla formazione professionale dei creativi. Un primo assaggio è stato il volume Fieramente: estetica popolare nel cuore di Catania (curato da Salvo Russo e Gianpiero Vincenzo, Cavallotto Editore 2011), una riflessione artistica e sociologica sul kitsch che ha coinvolto oltre cento studenti ABACA, dando vita a mostre e confronti cittadini. Parallelamente, si prevede una migliore documentazione delle iniziative legate alla fotografia e alle installazioni multimediali, una corrente creativa originale che dagli Anni Ottanta con il Gruppo Fase (Carmelo Bongiorno, Carmelo Mangione, Carmelo Nicosia) ha dato vita a una tendenza ormai di livello internazionale, che approfondisce i fluidi rapporti tra modernità e memoria, identità e culture locali.Naturalmente occorre fare i conti con alcune problematiche strutturali delle Accademie. Come sottolinea Alessandro Blancato, direttore amministrativo ABACA, andrebbero riviste le dotazioni organizzative del personale: i sei funzionari in organico a Catania sono in linea con la media nazionale, ma diventano pochissimi quando si sfonda il tetto dei 2.000 studenti. Anche la sede resta uno dei problemi maggiori da affrontare. Di fatto l’ABACA deve gestire tre sedi - Barriera, Reclusorio e Vanasco - distanti tra loro e comunque largamente insufficienti come spazi. Anche questo � un problema la cui soluzione può passare attraverso un maggiore coinvolgimento delle istituzioni territoriali. Uno dei progetti in cantiere, infatti, mira alla condivisione con il Centro Documentale dell’Esercito di uno dei più ex-complessi monastici della città, la Caserma Santangelo Fulci. Riaprendo l’ingresso sulla piazza Carlo Alberto, sullo scenario di uno dei più suggestivi e vivi Suq siciliani, l’Accademia mira a presentarsi sempre più come Museo Diffuso, luogo di promozione culturale e di

coordinamento tra istituzioni locali e mondo dell’arte. Una prospettiva che ha portato finora l’Accademia di Catania a godere di un prestigio cittadino forse unico nel panorama nazionale.

* Gianpiero Vincenzocritico sociale dell’arte, Docente Discipline SociologicheAccademia di Belle Arti di Catania

Virgilio Piccari (a sinistra), neo Direttore ABACA e Carmelo Nicosia.courtesy Carmen Cardillo

Aula Magna di via Vanasco, progetto Virgilio Piccari

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MOSTRE ABACA ANNO 2011-2012: Frammenti di realtà (Collettiva giovani artisti ABACA, a cura Ambra Stazzone), Palazzo della Cultura, Catania, gennaio 2011; Percorsi Paralleli, Officina Forma (Grafica contemporanea, a cura Gianpiero Vincenzo) Museo Emilio Greco, Catania, marzo 2011, Fieramente: estetica popolare nel cuore della città (Rivisitazione del Kitsch siciliano, a cura Salvo Russo e Gianpiero Vincenzo) Sala delle Grida, Camera di Commercio, Catania, giugno/luglio 2011, Caserma Santangelo Fulci, luglio 2011; La

Nuova Scuola di Fotografia Siciliana (Fotografia contemporanea, a cura Giovanni Chiaramonte, Carmen Cardillo, Turiana Ferrara, Antonio Grisalvo) Galleria Credito Siciliano, Acireale luglio/ottobre 2011, Galleria del Credito Valtellinese, Milano ottobre 2011/gennaio 2012; ACADEMIA (Maestri e allievi Scuola di Pittura ABACA e Accademia Val di Noto, a cura Michele Romano e Gianpiero Vincenzo), GAN, Noto, ottobre 2011, Palazzo della Cultura, Catania, novembre 2011; Artisti nella Luce di Sicilia (Artisti Sicilia Orientale presenti alla Biennale di Venezia e Maestri ABACA, a cura Vittorio Sgarbi, Vincenzo D’Amico e Gianpiero Vincenzo) Palazzo della Cultura, dicembre 2011/febbraio 2012; Agata è per sempre (Mostra concorso di abiti teatrali, a cura Liliana Nigro, progetto grafico cattedra Grafica Editoriale), Museo Diocesano, Catania, febbraio 2012; In Fieri (Giovani artisti ABACA, coordinamento Ornella Fazzina), Le Ciminiere, Catania, marzo 2012, ex Monastero del Ritiro, Siracusa, luglio/agosto 2012, GAN, Noto, agosto 2011; Uova d’autore (Collettiva a tema), Museo Biscari, marzo 2012; Il Viaggio nell’Arte (Collettiva Maestri Scuola di Pittura ABACA, a cura Gianpiero Vincenzo), Galleria Cavallotto, marzo/aprile 2012; Aquiloni (Collettiva 70 giovani artisti ABACA), Etnapolis, Catania, aprile 2012; Generazione 50 (Maestri delle Scuole di Pittura, Scultura e Decorazione ABACA, a cura Gianpiero Vincenzo), GAN, Noto, maggio 2012; La natura cromatica dell’Arte (Collettiva Scuola di Pittura ABACA, a cura Gianpiero Vincenzo), Galleria Cavallotto, Catania, maggio/giugno 2012; È Sicilia... fermati! (Fotografi ABACA, a cura di Antonio d’Amico), Villa Vallero, Torino maggio/giugno 2012; Luoghi Comuni (13 giovani fotografi ABACA, a cura Giuseppe Lazzaro Danzuso e Gianpiero Vincenzo), Palazzo della Cultura, giugno 2012, Anima Mundi (Collettiva giovani artisti ABACA), Sede CGIL via Crociferi, Catania, giugno 2012; 11° Kermesse di moda teatrale (a cura Liliana Nigro), Villa Pantò, Catania, giugno 2012; Nuovi Confini: Barcellona, Bucarest, Catania, Palermo, Sassari Urbino, Valencia, Venezia (Grafica Internazionale, a cura Ornella Fazzina e Gianpiero Vincenzo), Le Ciminiere, Catania, giugno/luglio 2012; GAN, Noto, settembre/ottobre 2012; Galleria Montevergini, Siracusa, ottobre 2012; Biennale d’arte Contemporanea (Fotografi ABACA), Mulhouse, Francia, luglio 2012; Area Centottantanove (Collettiva del Dipartimento di Arti applicate ABACA, a cura Daniela Costa, Elio Calabresi e Ornella Fazzina, progetto grafico cattedra Grafica Editoriale) Palazzo della Cultura, Catania, luglio 2012; Spazio Cultura “Meno Assenza” , Pozzallo, agosto/settembre 2012..

In Fieri, ex Monastero del Ritiro, Siracusa, luglio 2012,courtesy Mario Cantarella

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Gli amici gli dicevano sempre: “Sei il più sano di tutti noi”. E davve-ro Vincenzo Ferrari, che ci ha lasciati pochi mesi fa e che dal 1997 un destino beffardo aveva obbligato a vivere solo concettualmente (quasi un contrappasso per lui che dell’arte concettuale era stato un protagonista, insieme con un altro Vincenzo, il suo amico Vincenzo Agnetti); davvero Vincenzo aveva una salute invidiabile. Una salute mentale, che è poi la sola che conta.Viveva da filosofo, consapevole che l’anima � la parte più importante del corpo. E faceva dimenticare l’immobilità fisica cui ormai era cos-tretto col vertiginoso dinamismo delle sue idee, dei suoi progetti. Mai che gli sfuggisse un lamento, un rimpianto, una recriminazione. E non solo per quello che gli era successo, per quel surreale incidente nel deserto africano che sembrava un’invenzione di Dalì e poteva capitare solo a lui, ma nemmeno per le cose che invece accomunano tutti coloro che vivono nel “doloroso mondo dell’arte”, come lo chiama

Persico: l’insoddisfazione per gli esiti, l’umiliazione per le incompren-sioni, la malinconia per il divario tra quello che si fa e quello che si vorrebbe fare. Con l’aggiunta, se si lavora in Italia, della sgradevole sensazione di far parte del Terzo mondo. Mai sentito Vincenzo lamentarsi di non essere invitato, ricordato, ci-tato in uno dei tanti spettacoli del circo artistico. Non gli importava arrivare perché sapeva che l’arrivo � la fine del viaggio� e a lui inter-essava il viaggio. Del resto l’arte di Vincenzo Ferrari sfugge alle classificazioni. La sua è un’opera concettuale che ha nostalgia della pittura, una pittura che ha nostalgia dell’Enciclopedia illuminista, un’Enciclopedia illuminista che ha nostalgia della follia.Nato a Cremona nel 1941, ma milanese d’adozione, Ferrari aveva studiato qui all’Accademia di Brera, dove si era diplomato nel 1964 e per qualche anno era stato assistente di Gianfilippo Usellini, a cui

VINCENZO FERRARINel suo attraversamento del tempo Ferrari aveva trovato un alter ego, insieme com-plice e amico, in un altro ulisside dell’arte contemporanea: Alik Cavaliere. Il loro lavoro a quattro mani, volto al recupero visionario di un eterno Il loro lavoro a quattro mani, volto al recupero visionario di un eterno presente, esplorava i “giardini della memo-ria”, aggirandosi nello sterminato numero di frammenti e di macerie lasciati dalla sto-ria e dalla vita.

Di Elena Pontiggia

Alik Cavaliere e Vincenzo Ferrari

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rimarrà legato da un profondo vincolo di amicizia. Già dal 1968 aveva avviato una ricerca concettuale che lo porterà a stringere una lunga serie di sodalizi artistici (con Agnetti, La Pietra, Carrega e infine, per anni, con Alik Cavaliere), da cui nasceranno tanti lavori a quattro mani: opere, riviste, libri, installazioni. Nel 1975 con Accame, Carrega, Anna Oberto e altri aveva firmato il Manifesto della Nuova Scrittura. In quel periodo lavorava a una scrittura visiva che esplorava i rapporti tra razionalità e immaginazi-one: una «scrittura nello spazio» in cui comparivano numeri, forme geometriche, simboli, ripensati in una dimensione alchemica ed eso-terica.A partire dagli anni Ottanta, però, Ferrari era tornato alla pittura: a una pittura, comunque, che non dimenticava la sua radice concettu-ale e diventava segno, schema grafico, tavola scientifica o pitagorica. Aveva creato cioè una «pittura a caratteri mobili», come lui stesso la definiva� un repertorio di figure ricorrenti (una mano, una freccia, un occhio, una spirale) che ritornavano uguali nelle composizioni, mutando però continuamente di significato. Erano figure nitide e perfette che si coloravano di valenze metafi-siche, oniriche, irreali. Come un enciclopedista eretico, come uno scienziato faustiano colto da una crisi di identità, Ferrari allineava nei suoi lavori diagrammi lucidi e insensati, frecce che non conducevano da nessuna parte, studi prospettici inservibili, tavole anatomiche di corpi inesistenti.Spesso i «caratteri mobili» tornavano indietro nel tempo. Allora si individuavano nelle sue composizioni arcaismi greci, guerrieri achei tratti dai vasi a figure nere e insieme segni egizi, etruschi, micenei, caldei: reperti di sibille o di aruspici abituati a scrutare il fegato degli animali, il volo degli uccelli. Oppure si vedevano reminiscenze rinas-cimentali: piramidi visive albertiane, lettere capitali di Aldo Manuzio, labirinti perfetti, cubi dove ogni spigolo era indicato con la sua lettera. E, ancora, c’erano nei suoi lavori circonvoluzioni cerebrali divenute ritmo ornamentale, impronte digitali, consonanti e vocali anarchiche che volavano in assenza di gravità, parentesi quadre, tonde o a graffe, ma anche segni inventati, segni mai visti prima. Il tutto con una precisione millimetrica, con l’accanimento mite di chi detesta l›approssimazione. Nel suo attraversamento del tempo Ferrari aveva trovato un alter ego, insieme complice e amico, in un altro ulisside dell’arte contem-poranea: Alik Cavaliere. Il loro lavoro a quattro mani, volto al recupe-ro visionario di un eterno presente, esplorava i “giardini della memo-ria”, aggirandosi nello sterminato numero di frammenti e di macerie lasciati dalla storia e dalla vita.Sia quando scolpiva le sue misteriose tavole della legge, sia quando

racchiudeva il disordine delle cose nelle sue allucinate enciclope-die, sia nelle opere più recenti in cui le figure si moltiplicavano nello spazio, Vincenzo Ferrari perseguiva sempre un’idea di bellezza. C’era una dimensione classica nel suo concettualismo (e del resto il primo a sostenere che la pittura è una cosa mentale è stato Leonar-do). Era una dimensione che si esprimeva nel dialogo con la storia dell’arte, nell’esercizio sapiente del disegno, ma soprattutto in una Malinconia di Narciso che ha accompagnato tutto il suo percorso. Il mito di Narciso, nel suo lavoro, non aveva nulla a che vedere col narcisismo, perchè Narciso, al contrario, contempla il miraggio di una bellezza irraggiungibile e soffre per la sua inafferrabilità. La Malinco-nia di Narciso, allora, coincide con quel senso di incompiutezza che fa dire a Dante: “O insensata cura dei mortali!/ Quanto son difettosi sillogismi/ Che vi fanno qui in terra batter l’ali.”.Vincenzo Ferrari ha dipinto appunto un universo di sillogismi difettosi. E ci ha aiutato a capire che ogni sillogismo (ogni presunta razional-ità, ogni presunta conoscenza) non è che un’illusione travestita da certezza.

Il soffio... Mente malinconica

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Quando ha avuto inizio questo ciclo di opere?In questa mostra sono raccolti tre cicli tematici del mio lavoro che ruotano intorno al concetto e all’idea della strada, nel senso che a me interessa fotografare la città e il fatto urbano, però dal punto di vista della strada e infatti il titolo della mostra è Ottakringer strasse, una strada molto lunga di Vienna paragonabile a Via Padova di Milano che va dal centro alla periferia e che ha subito varie ondate di immigrazioni balcaniche. E’ stata ed è oggetto di studio da parte di un gruppo composto da architetti, urbanisti ed avvocati a cui il comune ha chiesto di svolgere uno studio proprio sul fenomeno e che mi hanno chiesto di documentare fotograficamente la strada per il libro che raccoglie la loro lunga ricerca.

Si tratta di una prassi già eseguita da te..

Infatti avevano visto i miei lavori realizzati alla Stecca, qui nel quartiere Isola e avevano visto i miei ritratti delle famiglie, però in questa strada io ho unito due miei lavori.I ritratti alle famiglie con l’idea della strip della strada, con il collage: ho fotografato dieci isolati che fanno da sfondo alle persone, che hanno chiesto di essere fotografate accettando di essere coinvolte nella dimensione di ritratto collettivo attraverso volantini multilingue e un gazebo.Lo sfondo � la cortina urbana della città montata a collage e le figure in queste opere sono in primo piano, un’ idea di montaggio che unisce i due generi, il ritratto e la strada. Proviamo a fare una cronologia del passaggio ad risultato quantomeno complesso della tua concezione della fotografiaInizia con Venezia, dove non essendoci macchine in strada di

La incontriamo in occasione della sua mostra personale alla galleria Federico Bianchi di Milano dove ha esposto con la cura di Marco Scotini una serie di opere fotografiche di grande formato.

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Di Antonella Pierno

Rear Window, Milano, casa Margherita, 2012, Fotografia a colori

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passaggio davanti ai soggetti, ed essendoci tanti passanti, ha avuto inizio il mio rapporto con il primo piano e con il fotomontaggio sono diventati soggetti. Mentre la città sempre con il fotomontaggio diventa scena di eventi e questi due elementi rappresentano la contemporaneità, motivo per cui la fotografia si situa in questo contesto urbano.

Sembra però quasi più prossimo al concetto di video, il montaggio, la sequenza, il raggruppamento all’interno di una scena, l’attenzione al fotogramma al momento che lo precede e al successivo ..un po’ come l’elaborazione che operi quando lavori dalla finestra tra giorno e sera .. Non tanto ai due tempi quanto ai tempi nell’insieme, perchè ci sono tanti tempi successivi. Direi che è più un interesse verso un fattore temporale e spaziale, nella serie RearWindow è molto chiaro: sono vedute di città riprese urbane, di strade e palazzi riprese dal punto di vista dell’abitante, nel senso che sono scattate dalla finestra della sua abitazione, con questo espediente di scattare due volte e unire due fotogrammi nella stessa immagine, uno scatto al mattino con luce diurna e uno scattato la sera con luce artificiale.In realtà l’occhio umano non ha la contemporaneità di lettura delle due e legge o il giorno o la notte, mentre nelle foto le due visioni si fondono in un unico fotogramma. Pellicola? Quindi una foto analogica?Esatto, è proprio grazie alla pellicola che posso inserire gli scuri della notte sui chiari del giorno e di ottenere questa somma dei due tempi lasciando vergine la pellicola, con il digitale non sarebbe possibile .

Passiamo ad un altro argomento, quello degli oggetti trovati , un rady made dichiaratamente Duchampiano Questa è una vecchia serie di foto del 96, della mia prima mostra da Luciano IngaPing, sono oggetti lasciati in strada che io recupero nel loro assetto originale, quindi il tavolo reclinato o la sedia adagiata che ritornano alla loro presentazione-funzione domestica stampati in grandezza naturale.

Il collage ritorna nell’opera verticale del mercato..Sì e si tratta di un mercato di San Paolo dove in realtà il collage è celato e i punti di vista si alternano tra il ponte e in lontananza il punto di vista parallelo

Il digitale in fotografia , in video , ci porta ad un rapporto diretto e ravvicinato con la realtà. La conoscenza relativa della tecnica assume un ruolo importante, ma cosa trasmettiamo di tutto questo ai nostri studenti in accademia?Per me la tecnica è puro utilitarismo, uso quello che più mi occorre in ogni contesto, è ovvio però che la fotografia nell’arte contemporanea � il mezzo più idoneo a raccontare la realtà, ed evidentemente è per rispondere a questa richiesta di realtà che la fotografia è così presente nelle gallerie e nei musei, proprio per questa aderenza al quotidiano cerco di trasmettere il massimo impegno nelle mie attività didattiche .

Realtà, fotografia ed arte in un’unica proposizione, è questo quindi il futuro della formazione artistica oggi ?Necessariamente non si può non tenerne conto dovendo fare delle scelte didattiche anche impegnative per la stessa Brera, e tenendo conto della diversità che il panorama artistico offre e col quale noi autori – docenti dobbiamo relazionarci costantemente .

Quindi com’è il tuo bilancio rispetto al biennio specialistico di cui sei responsabile a Brera?Ottimo, se si pensa che in pochi anni i nostri studenti vengono invitati a mostre e vincono premi e che il numero degli studenti è in aumento. Abbiamo importanti progetti in ballo, l’idea di base è quella di avviare un laboratorio che soddisfi le richieste interne dell’accademia stessa e che si apra alla città offrendo una serie di opportunità ai nostri studenti di entrare in diretto contatto con il mondo produttivo.

Avete dei progetti per l’Expo del 2015? Sì, siamo già impegnati in una importante produzione per il Politecnico di Milano con cui stiamo preparando una guida dell’architettura moderna della citta che sarà pubblicata da Hoepli e che sta già impegnando molti nostri colleghi e studenti, ma è solo un primo momento e spero di poterne programmare molti altri.

* Paola Di Bello � titolare della cattedra di Fotografia all’Accademia di Brera, dove riveste anche il ruolo di coordinatrice del Biennio di Fotografia, molto impegnata nella ricerca e nella produzione artistica da anni è attiva nel panorama della ricerca sociale e dei movimenti di interesse urbano a Milano, in particolare nel quartiere Isola dove vive.

Rear Window, Reggio Emilia, casa Andrea, 2011, Fotografia a colori

Concrete Island, 1996, Fotografia a colori

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Da tempo – ormai tanti anni – viviamo in un bosco incantato. Navighiamo tra un riflesso e l’altro, in un mare di specchi, dove la nostra vita e quella delle cose sembrano galleggiare leggere, e svanire tra un niente e l’altro – nel continuo mutare della luce.Ricordandoci di Faust, qualche volta vorremmo gridare� fermati riflesso, sei bello! Ma spesso – quasi sempre – esso muta già solo a un nostro piccolo movimento. Non ci lascia quasi il tempo di dire, o più velocemente di pensare.

Presso il Centro Documentazione Ricerca Artistica Contemporanea Luigi di Sarro, Anna Romanello con una mostra dal titolo ‘London Reflections’, opere fotografiche e tecniche miste di gran formato realizzate durante i due anni di soggiorno a Londra, per la prima volta esposte in Italia.

Una corda tesa ANNA ROMANELLO

Di Diego Mormorio

Noi siamo figli di una civiltà degli specchi; e con essi possiamo compiere giochi innumerevoli. Siamo figli di Perseo e di Atena, che ha dato all’eroe lo scudo riflettente col quale egli ha potuto decapitare la Medusa senza guardarla direttamente negli occhi. Sopra gli specchi, e soprattutto usando quello della fotografia, noi costruiamo le nostre figure, e da esse raccogliamo inganni e lusinghe. Con incanto e immaginazione, attraverso di esse abbiamo abbandonato le antiche paure.

Courtfield Gardens 2, 49 x 92 cm Trellick Tower bis

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Prima della civiltà degli specchi l’umanità ha vissuto nella paura dell’ombra e dei riflessi – nell’idea che questi nascondessero delle insidie. Ancora oggi, in molte culture è considerato di cattivo auspicio rompere uno specchio o vedersi rispecchiati di notte, così come è considerato importante velare gli specchi nella casa di un morto e sottrarsi alla posa fotografica. Gesto quest’ultimo che nel 1847 sembrava consigliare Balzac, il quale riteneva che, ad ogni operazione fotografica, il corpo fotografato perdesse uno dei suoi spettri “inafferrabili ma percettibili”. Idea questa che aveva corrispondenza con la teoria democritea degli idola, che da Epicuro è passata alla più nota esposizione di Lucrezio, nel quarto libro del De rerum natura� “Dico che figure e immagini sottili sono emesse dagli oggetti e ne sgorgano dalla superficie; a queste immagini diamo il nome di membrane o cortecce; ognuna ha la forma e l’aspetto dell’oggetto – qualunque sia – da cui emana per errare nello spazio”.Vivesse oggi, Balzac – che pure si fece almeno una volta fotografare – non avrebbe forse più quei suoi timori. Anche lui si troverebbe a suo agio nel mondo delle figure riflesse, che diventerebbero certamente parte della sua commedia umana. Platone, invece, avvertendo la qualità demoniaca dello specchio, resterebbe profondamente inquietato. Tutta questa fantasmagoria di immagini gli apparirebbe come il trionfo della irrealtà, di un mondo senza fondamento. Gli

tornerebbero sulle labbra le parole del Fedro: “gli esseri che la pittura produce si ergono come se fossero vivi; ma se rivolgi loro qualche domanda, oppongono un solenne e totale silenzio”.Noi invece abbiamo preso abitudine a parlare con le figure riflesse nella pittura o sui vetri, e a farci silenziosamente rispondere. Il mondo di queste figure � diventato il nostro luogo. Tutta la nostra cultura di odierni uomini occidentali poggia infatti su una colossale fabbrica di superfici trasparenti e specchianti. Tutte le nostre immagini ci vivono dentro. A tal punto che, crediamo, ne resterebbe affascinato anche Leonardo, autore di un memorabile consiglio pittorico: “Lo ingiegno del pittore vol essere a similitudine dello specchio… Lo specchio si de’ pigliare per suo maestro, cioè lo specchio piano, impero ch’in sulla sua superficie le cose ànno similitudine colla pittura in molte parti… La pittura � una sola superficie e lo specchio quel medesimo”.

Penso questo riguardando le immagini che Anna Romanello ha ripreso a Londra e che ha raccolto sotto il titolo di London Reflections. La prima volta che le vidi avvertii un chiaro piacere di guardarle, ma anche che c’era qualcosa che mi faceva pensare a Jan van Eyck, sebbene lì per lì non riuscissi a identificare cosa fosse. Poi, guardando e riguardando, ho capito: in una delle due immagini di Knightsbridge c’è una forma – una sorta di ruota dentata – che mi portava inconsciamente a pensare al Ritratto dei coniugi Arnolfini (1434), nel quale, alle spalle dei rappresentati c’è uno specchio con una cornice anch’essa a forma di ruota dentata che riflette di spalle la coppia e che lascia vedere frontalmente lo stesso pittore e un altro personaggio. Ecco, è inevitabile: viviamo in un continuo rimando di figure. Platone direbbe che vaghiamo nell’inesistente, mentre tutto ciò è per noi parte considerevole dell’esistenza.

Nelle immagini di Anna Romanello ritrovo delle cose di Londra che mi sono familiari, ma soprattutto vedo una contaminazione a me carissima� quella tra la fotografia e l’incisione. L’autrice, infatti, realizza le sue figure, oltre che usando le superfici riflettenti, con diversi segni xilografici e con l’ausilio di altre tecniche. A rigore, dunque, non possiamo definire queste opere fotografie, ma immagini che si fondano su delle fotografie e fotografie che si fondono con la pittura. In esse trovo semplicità e rigore. Guardandole, mi sembra di camminare su una corda tesa tra la verità fotografica e l’immaginazione.

Knightsbridge, 49 x 92 cm

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Conversazione con Paola Fonticoli

di Elisabetta Longari

Le fotografie non restituiscono mai il corpo dell’opera, sono un’ombra vaga e lontana, nel caso dei tuoi più recenti lavori di pittura, spesso vaga e impalpabile con un alito, su vetro, l’impresa di rendere visibile ciò che c’è sembra ancora più impossibile. Tanto più impossibile quanto intrigante la tua scelta di imporre all’occhio dello spettatore dei rallentamenti, delle accelerazioni, dei percorsi davvero inusuali, che si compiono in uno spazio variabile. Guardando i tuoi recenti lavori è come se ognuno, attraverso una ginnastica fatta di rallentamenti, accelerazioni, sospensioni e intralci, potesse scoprire meglio come funziona la propria visione, e la sua ambiguità. Come e quando sei arrivata al vetro?

L’oggetto della mia ricerca non è propriamente il vetro. È, come tu dici, l’ambiguità della visione, la lettura lenta e attenta (per chi lo desidera) di uno spazio che si offre senza invadenza; un “sussurro” che vorrei carico di promesse e di scoperte. Per questo sono vari anni (forse da sempre) che la mia ricerca si rivolge a materiali eterogenei per corpo, colore e densità; qualità che scopro ed esploro senza forzature, disponendomi in uno stato di ascolto. Non intendo con ciò un atteggiamento passivo che attende una qualche, imprecisata rivelazione o il totale abbandono ad effetti creati dalla casualità. Intendo, al contrario, un fare sì libero da aspettative o imposizioni, ma attento, preciso e concentrato come può esserlo quello di un bambino intento ad un gioco solitario.

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PAOLA FONTICOLI

11 - 8, 2011, gel su vetri, cm 25 x 20

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Arrivo al vetro come momentaneo approdo di un cammino che negli ultimi anni ha sfiorato “parole chiave” come leggerezza, luce, ombra, trasparenza e che procede verso la profondità della superficie, quella dimensione (spazio canonico della “pittura”) non percorribile se non dall’occhio e dal libero vagare del pensiero.Dopo aver usato velature propriamente pittoriche, mi sono rivolta a carte sottili che, imbevute di colla, si andavano a sovrapporre come una seconda pelle alla pittura sottostante. Quindi la carta da lucido, materiale altamente instabile che ho dovuto presto abbandonare, ma che mi ha permesso di scoprire “uno spazio” lattiginoso, sospeso e mi ha rivelato “il retro”, l’interno stesso della superficie. Sono nate così una serie di lavori pittorici avvolti da una pellicola di PVC e un’altra serie di piccole dimensioni, più radicale, dove forme leggere e sottilmente definite dall’ombra, sembravano emergere (o sul punto di svanire) in uno spazio senza dimensioni. Sono quindi arrivata al vetro, giocando prima con velature e trasparenze attraversate dal colore applicato sul fondo e poi con l’ultima serie (quella esposta allo Spaziotemporaneo) dove sembra che sia la luce stessa a modulare la superficie, ad essersi incarnata nella trasparenza del supporto. Fra le “parole chiave” si aggiunge, in questo caso e non “per caso”, il termine fragilità.

Duchamp aveva dato una specie di sottotitolo al suo Grande vetro e questo era “ritardo in vetro”. Capisci e condividi questa affermazione per i tuoi lavori recenti?Credo di essere molto lontana dal sarcasmo sottile e tagliente di Duchamp. Prova ulteriore ne sia la scelta di corredare il Grande vetro con una serie di titoli e sottotitoli che sembrano indirizzarne la lettura, ma che in realtà la depistano intenzionalmente, moltiplicando i “cortocircuiti” tra l’immagine e i suoi possibili “significati”. Io, al contrario, insisto nel non usare titoli, proprio per evitare di delimitare in ogni modo la sensibilità di chi guarda, e per sottolineare la distanza fra forma e parola.

E tecnicamente che iter hai compiuto con il vetro? che tentativi hai fatto? con quali mezzi? Colore acrilico, resine, ma anche

frese, mole e strumenti per sabbiare o incidere? oppure no, restiamo in modo ortodosso sempre solo nell’ambito della pittura?“Ortodossia” non è un termine che mi appartiene. Ritorno invece all’immagine del bambino intento al suo gioco; gioco come forma di conoscenza, libera da preconcetti o limitazioni di carattere teorico. La misura del mio esplorare si realizza nelle capacità della mia mano (raramente coadiuvata da un utensile complesso), non per ortodossia a qualsivoglia regola, ma perché è solo attraverso la vera e propria manipolazione che il materiale si rivela nelle sue qualità e nei suoi limiti. Inciampi frequenti che diventano motivo di scoperta e di curiosità sempre rinnovata.Generalmente i primi materiali che utilizzo sono quelli che ho sottomano; così ho fatto per il vetro (avvalendomi di tutti gli esperimenti e gli esiti raggiunti via via con gli altri materiali) con l’acrilico, materiale duttile e piuttosto resistente, poi saggiando altri materiali (gel e resine diverse) scelti a partire dal loro grado di trasparenza e dalla loro capacità di aderenza al vetro. Spesso poi la risoluzione di problemi di stabilità coincide anche con soluzioni formali. Non appena raggiunta una certa padronanza, però, me ne distacco per mantenere un approccio libero dal controllo manuale così come da quello mentale perché, come dice Robert Walser: ”La bella poesia (...) deve fiorire da parole misurate poste smemoratamente, quasi senza idee, sul foglio.”

Qual è la cosa che ricordi come la migliore della tua formazione in Accademia?Credo di poter dire che sono state le divertenti e appassionate lezioni di Filosofia ed Estetica tenute da Francesco Leonetti. I suoi eccentrici occhiali da sole, le pile sbilenche di libri pieni di “orecchie” che si ammassavano su una cattedra sempre troppo piccola, le “danze” irrequiete sulla sedia, la sua voce inconfondibile sono indimenticabili così come le sue parole dense e mai autoreferenziali. Attento a spiegare con chiarezza senza mai perdere in complessità, Leonetti con la sua intelligenza, la sua passione e la sua generosità è stato essenziale per la comprensione di alcune tematiche del pensiero e dell’arte contemporanei.

Installazione, 2011, resina e acrilico su vetri, cm 190 x 260

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Torino, Accademia Albertina, marzo 2012: nell’ambito del ciclo “Dalla pittura alla letteratura e ritorno”, nato per cercare legami, “gettare ponti”, stabilire rapporti fecondi, anche a livello operativo, con un diverso linguaggio artistico secondo le direttrici narrazione/opera visiva, immagine/parola, abbiamo avuto il piacere di ospitare un grande maestro storico della Neoavanguardia degli anni ’60, Arrigo Lora Totino.Nato a Torino nel 1928, ALT, come ama firmare le proprie opere, � poeta concreto e sperimentatore a partire dagli anni ’50-’60, quando ricerca un nuovo linguaggio rifuggente da neorealismo ed ermetismo, in cui siano azzerate le concezioni di pittura e poesia legate alla cultura umanistica, storicistica e idealistica. Fondatore di riviste (antipiùgiù / modulo) e, con Enore Zaffiri e Sandro De Alexandris, dello Studio di informazione estetica (1964), ha contatti con altri poeti concreti, lo svizzero Gomringer, segretario di Max Bill, e il gruppo brasiliano Noigandres di S.Paolo del Brasile.

Studioso di tutte le forme di poesia visiva e autore di antologie letterarie e sonore – sorprendenti le immagini di pressoché sconosciuti autori medioevali che mi ha mostrato con entusiasmo nel suo studio in un indimenticabile incontro di preparazione - ci ha dato, nel seminario in Accademia, un intenso saggio delle sue ricerche artistiche tra poesia visiva, sonora, performativa e liquida.“Il poeta si fa architetto del verbo”, una sua famosa espressione, � la migliore definizione di sé artista, delle sue ricerche che non si possono dire visuali cioè basate su una parola integrata all’immagine bensì visive in cui la parola diviene essa stessa immagine nelle più varie declinazioni della sua forma grafica in rapporto al significato. Cominciato con un’introduzione di storia della scrittura, di cui l’artista ha tracciato le linee essenziali di sviluppo nel corso dei secoli, l’incontro è proseguito con la presentazione delle opere visive più significative della sua lunga attività artistica. Dalle poesie le cui parole e lettere diventano oggetto concreto

ARRIGO LORA TOTINO SUBLIME ESSENZA OBSOLETA

“Il poeta si fa architetto del verbo”, una sua famosa espressione, è la migliore definizione di sé artista, delle sue ricerche che non si possono dire visuali cioè basate su una parola integrata all’immagine bensì visive in cui la parola diviene essa stessa immagine nelle più varie declinazioni della sua forma grafica in rapporto al significato.

Di Laura Valle

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tridimensionale perché incise su lastre di plexiglas sovrapposte (Corpi di poesia) alle numerose variazioni dei Cromofonemi iridescenti, in cui il colore e la disposizione di ogni parola rispetto alle altre creano l’immagine visiva (tra gli altri, quello del sogno che si sviluppa all’interno del sonno, nella condizione estiva tra sole e ombra o l’incontro tra fiume e mare che diviene fluire, fiorire, confluire, affluire a seconda che sia mattino, meriggio, notte, alba).Nelle numerose tavole di Poesia concreta, il movimento dato dalla disposizione grafica delle parole – � ottenuta, � bene sottolinearlo, senza l’aiuto dei personal computer, ancora di là da venire – produce innumerevoli varianti in un gioco affascinante di rimandi tra segno grafico e significato creando con il primo un’immagine concreta che sembra volerne oltrepassare l’arbitrarietà. Dalle parole read e idea emergenti in Readymade alle poesie dedicate alla rosa in varie lingue e differenti composizioni fino alle tavole di poesia sonora, veri e propri pentagrammi di grafemi, sillabe, parole da recitare, la carrellata nell’opera di questo estroso e pluridimensionale artista è passata naturalmente dalla poesia visiva a quella sonora.ALT non ha potuto farci vedere come, negli anni intorno al ‘68, con appositi strumenti, la voce recitante modificata creava una sorta di “poesia liquida” ma ha poco per volta indossato i panni del grande performer di un tempo (circa 250 performance a partire dagli anni ‘60) occupando, anzi meglio, creando uno spazio intorno a sé che progressivamente ha inglobato gli spettatori con la forza della parola, della gestualità dei movimenti, della presenza fisica carismatica. Abbiamo potuto ascoltare “Ah” (1977) dove il discorso si compone della sola vocale A pronunciata in vari toni (sbadiglio, noia, lamento, dolore, stupore, rabbia, risata e molti altri ancora), il Dialogo tra due extraterrestri (1978), tra suoni gutturali, urla trattenute e suoni di consonanti avulsive nonché, tra svariate divagazioni tra cui il provocatorio e irriverente “Blah, blah” dei critici, alcuni brevi esempi di declamazioni mimiche di testi d’avanguardia (nel suo repertorio si

va dal futurismo al dadaismo, dall’espressionismo al surrealismo e lettrismo). Perfino all’uscita dal seminario, sulle scale, un’allieva ha chiesto curiosa ed ammirata all’artista come fossero le cene futuriste degli anni ’70, che cibo effettivamente si mangiasse.Arrigo fissandola con quei suoi occhi neri di brace� “Ah… qualsiasi cosa, porcherie insomma!”L’arte di Lora Totino ha trovato nell’ambiente accademico torinese, tra gli altri, un interessato e interessante seguace: Andrea Mabellini. Allievo del professore di Grafica, Franco Fanelli, egli ha potuto, grazie al seminario, conoscere il maestro al quale era ispirata la sua tesi ed avere con lui uno scambio artistico proficuo e stimolante, foriero di futuri sviluppi.Dare la possibilità di conoscere direttamente gli artisti, “respirare” la loro arte negli ambienti dove all’arte ci si forma e l’arte si fa: un contatto e una trasmissione forse necessari per poter trovare la propria, di arte. Anche questo, penso, sia compito entusiasmante e imprescindibile di noi docenti delle Accademie.

* Laura Valle è docente di seconda fascia su cattedra di Pittura all’Accademia Albertina di Belle Arti di [email protected]

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Nuova sede per l’Accademia di Bari

Dopo il caso dell’Accademia di Brera (ancora tutto aperto) ecco una nuova area ex militare destinata a un’Accademia delle Belle Arti. Si direbbe che le ex caserme vadano di moda per essere convertite in edifici per l’alta formazione artistica, cosa anche plausibile ma a condizione che gli interventi di recupero siano qualificati e che non si faccia della banale edilizia scolastica. Le Accademie devono vivere in contenitori architettonicamente adeguati e devono anche tornare a essere luoghi dove si conserva e si studia il patrimonio storico, come è stato dal settecento in poi, ma oggi con una vocazione speciale verso il contemporaneo.L’Accademia di Bari avvia una nuova fase della sua travagliata storia, vogliamo augurarci che si faccia una forte e autorevole pressione verso gli amministratori politici perché investano economicamente per il rilancio di un’Istituzione che meriterebbe un ruolo più incisivo e centrale fra le tre accademie pugliesi.

Ecco la cronaca!La mattina del 3 agosto 2012, in una sala del Palazzo Comunale di Bari, � stato firmato un documento, per l’ esattezza un Protocollo d’ intesa, fra il Comune di Bari (nella persona del Sindaco Michele Emiliano) e l’ Accademia di Belle Arti di Bari (con il suo Direttore Pasquale Bellini) che riguarda la concessione a titolo gratuito all’Accademia barese di una porzione di spazi e strutture all’ interno dell’ area in Bari denominata “caserma Rossani”. Si tratta di edifici di architettura e funzione militare risalenti ai primi del ‘900, da tempo dismessi, di cui il Comune di Bari è entrato in possesso, alcuni anni fa, grazie ad uno scambio di immobili con il Demanio militare e dello Stato. La porzione che verrà consegnata all’Accademia (nell’ ambito di un vasto insieme di edifici, manufatti e spazi verdi della ex caserma che comprende ben 80.000 mq, cio� circa otto ettari di superficie complessiva) comporterà uno sviluppo di superficie coperta pari a circa 4000 metri quadri. Qui troverà finalmente uno spazio più che decoroso e più che funzionale la nuova sede dell’ Accademia, in una struttura che rimane soprattutto molto centrale nella città di Bari: l’area della ex caserma è infatti immediatamente a ridosso della Stazione ferroviaria centrale, in una location estremamente comoda per l’utenza studentesca, nonché molto funzionale per un’ Accademia di Belle Arti.Una sede in Bari dell’Accademia di Belle Arti per la verità, fino a questa svolta, ha rappresentato un problema non da poco: infatti già dalla sua fondazione (nel 1970) l’Istituzione fu allocata in spazi

inadeguati e poco funzionali. La prima sede “provvisoria” (ma si sa, in Italia non c’è nulla di più duraturo del “provvisorio”!) fu all’interno di locali e strutture che, benché centrali dal punto di vista della fruizione e della raggiungibilità, non presentavano garanzie e tutele per la sicurezza dei laboratori, per l’ agibilità di aule e biblioteca. In tale “prima” sede (per altro di proprietà privata, quindi onerosa per gli Enti pubblici di riferimento) l’Accademia di Bari doveva restare fino al 1996, cioè per oltre venticinque anni della sua esistenza. Nel 1996 poi, la catastrofe� alla disdetta dei contratti di affitto, il Comune di Bari (o almeno l’amministrazione di allora!) pensò bene di spostare l’Accademia da quella sua sede, destinandola ad occuparne una estremamente periferica collocata in una sorta di quartiere-ghetto (il Cep-S.Paolo), collocazione estremamente disagevole per l’ utenza studentesca, oltre che indubbiamente marginalizzante per una istituzione come un’ Accademia di Belle Arti. La “rivolta” di studenti e docenti, l’accordo preventivo con il Ministero, la disponibilità da parte del Comune di Mola di Bari (a venti km dal capoluogo), portarono al “trasferimento” della sede operativa e dei laboratori appunto a Mola, in una struttura storica: l’ex Convento di S. Chiara, una nobile architettura del ‘700. D’allora l’Academia di Belle Arti di Bari occupa stabilmente tale struttura a Mola, benché già dal 2007 siano stati reperiti, ristrutturati e utilizzati degli spazi didattici nuovamente in Bari (alla Via Re David).Si tratta di una porzione di edificio, un piano terra e un primo piano per un totale di circa 2000 mq, dove appunto dal 2007 trovano spazio, sia pure a fatica e con estremo disagio logistico, i corsi del Triennio. Sia il Biennio che alcuni laboratori (Scultura, Incisione, Restauro) sono collocati tuttora a Mola nell’ex convento di S. Chiara. Questa “divisione in casa” (oltretutto onerosa, stante il fitto ai proprietari privati che paga la Provincia di Bari) costringe tutt’ora i circa 700 studenti dell’Accademia a spostamenti e disagi fra le due sedi. Tutto ciò è destinato, in prospettiva, a cambiare del tutto quando la “nuova sede” sarà operativa e agibile nella centralissima ex Caserma Rossani. Naturalmente i tempi non saranno affatto brevi, stante la necessità di procedere a una completa e radicale ristrutturazione dell’edificio e delle strutture destinate all’Accademia nella ex caserma, al fine di adeguare il tutto alle esigenze didattiche e laboratoriali della ricerca artistica. Ovviamente si tratta di opere onerose alle quali l’Accademia di Bari si propone di avviarsi, certo con il necessario spirito di sacrificio, ma con l’ entusiasmo e l’energia di sempre (i soliti “artisti”!).

Destinata una grande area (ex caserma Rossani), nel centro della città, per la nuova sede dell’Accademia; Il Direttore Pasquale Bellini vara la nuova stagione!

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Di Gaetano Grillo

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Incontriamo il prof. Antonio Ciurleo che (assieme al prof. Fabio Zanzotto ed alri 18 docenti) è uno dei promotori del complessivo progetto: cinque seminari (da marzo a giugno 2012) che si stanno svolgendo con successo a Milano, all’Accademia di Belle arti di Brera dal titolo: “i dialoghi dell’accademia di Brera”….

Prof. Ciurleo, come nasce questa iniziativa?i dialoghi dell’accademia di Brera sono il risultato di uno straordinario rapporto interdisciplinare tra molti docenti della stessa accademia, un rapporto che affonda le sue radici in un terreno di straordinaria intesa e collaborazione; il motivo è la chiara volontà di mettere al “primo posto” nelle nostre attenzioni, sempre e comunque “lo studente”.

Abbiamo visto che “i dialoghi” sono promossi anche dal “gruppo A”; cosa sarebbe il “gruppo A” ?Il “gruppo A” nasce nel 2008 da un manipolo di studenti, guidati da alcuni docenti come Fabio Zanzotto, Marco Pellizzola, Italo Bressan, Riccardo Notte, ed altri (tutti principali promotori anche dell’attuale progetto) nonchè vari professionisti esterni, riuniti in un gruppo chiamato A (dove A sta chiaramente per accademia)….; con i fondatori di questo gruppo, hanno collaborato (sin dalle origini) vari scrittori e filosofi, come Vincenzo Consolo, Alda Merini, Emanuele Severino, apportando notevoli contribuiti con scritti, dialoghi, interviste, letture ecc. Nello specifico il gruppo promuove e realizza progetti di arte ambientale o interventi urbani in generale (documentati da varie e recenti pubblicazioni).

Quindi è per questo motivo che avete dedicato il ciclo dei seminari a Vincenzo Consolo?Si....si, in ricordo di uno tra i maggiori narratori italiani contemporanei (che ha spesso incontrato i nostri studenti)…e purtroppo recentemente scomparso….

Che tipo di difficoltà avete riscontrato nel far partecipare tanti soggetti diversi, al fine di un progetto comune ?Le difficoltà non sono mancate….questo progetto � iniziato lo scorso anno accademico, riscontrando uno straordinario successo (centinaia di studenti presenti, assolutamente interessati.....in ogni occasione); determinante è stata quindi la nostra volontà di incentivarlo di più, coscienti del fatto che l’accademia di belle arti di

Brera �….( come � sempre stata per la sua “onorevole storia”) il fiore all’occhiello delle istituzioni di alta formazione artistica e musicale in Italia, peraltro come sappiamo bene, riconosciuta ed apprezzata in tutto il mondo….(queste aule sono state laboratori di ricerca di personalità eccellenti… che hanno scritto le pagine più importanti della nostra storia dell’arte…) per cui svolgendo le nostre normali mansioni in qualità di docenti (attraverso le stesse discipline d’insegnamento) siamo andati decisamente oltre…. cercando di dare ulteriori risposte al singolo studente che…per esempio… si pone questo tipo di domanda: in una società moderna, globalizzata ed in continua mutazione, quali sono gli strumenti che servono per realizzare le proprie aspettative d’inserimento professionale?... noi intendiamo rispondere portando esempi concreti… tra l’altro in un momento storico di riconosciute difficoltà occupazionali….. difficoltà che di certo…come si sa, non risparmiano il settore dell’arte e della cultura in generale.

Il primo ciclo di incontri ha avuto per titolo “giovani, talento e realizzazione”, il secondo “giovani e media in un mondo che cambia”…: cosa sperate di ottenere con questi seminari ? ....obiettivi finali…?l’intento è di consentire l’incontro tra giovani talenti (che si sono distinti in Italia e nel mondo, per “avercela fatta” nel loro settore professionale specifico) agevolando un dialogo tra di loro, in una cornice accademica “aperta alla città”.

Perché i seminari si svolgono nell’aula 37 dell’accademia e non altrove?Uno dei corsi complementari al complessivo progetto è il mio, “disegno architettonico di stile e arredo”; questo corso si svolge in quest’aula….un’aula intesa come grande contenitore di rapporti, di pensiero, di riflessione, di confronto…, l’aula 37 diventa “fucina laboratoriale” ove confluiscono docenti e studenti di indirizzi diversi che partecipano allo stesso progetto, nonché, come in questi casi, personalità differenti della società civile… che hanno voglia comunque di raccontare il proprio singolare percorso (peraltro…a “costo zero”….il che � tutto dire… in un periodo di “crisi conclamata”…..).

“I dialoghi dell’Accademia di Brera”

Un’iniziativa di Antonio Ciurleo & colleghi vari anima l’attività didattica della Scuola di Scenografia dell’Accademia di Brera coinvolgendo stimolanti personalità della cultura.Di Serena Manenti

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E’ difficile presentarti e indicare con esattezza, a parte gli im-pegni accademici, la tua attività…Mi interessa molto la dimensione epistemologica dei ns. rapporti con la tecnologia. E poi io sono uno schermologo. Lo schermologo è colui che si interessa dell’impatto dello schermo con la sensibilità e con la conoscenza. Mi interessa l’esternazione continua della mente come una lanterna magica. La lanterna magica già in uso in Italia nel ‘600, nasceva dall’idea di una pittura su vetro, con delle candele sul retro per creare un effetto di luce e una proiezione sulla parete dell’immagine. Questo è l’inizio della esteriorizzazione della mente. Come “scher-mologo” vedo un futuro sempre più vicino tra il computer e il pensi-ero. Adesso posso parlare con questa macchina, posso comprarne una per 100 euro che messa sulla pesta, materializza i nostri pen-sieri sullo schermo.

A proposito di inizi: quando eri Supervisor del mio PhD citavi spesso La Danza delle Muse. La loro separazione e riunione…E’ tutto il problema dell’intelligenza umana dell’estensione del suo linguaggio e i rapporti del linguaggio con i sistemi di supporto di questo linguaggio. Il primo modo è orale. Il linguaggio è portato dal corpo. La danza delle muse è un riferimento al logos classico che era multi-sensoriale. Lo scambio interpersonale con il linguaggio portato dal corpo generava una copresenza delle persone e una ripetizione delle cose piuttosto che la loro iscrizione dentro un posto particolare.

ha incontrato i docenti e gli allievi del Dipartimento Arti Visive, su invito del CRAB, Centro Ricerche dell’Accademia di Brera. Una Lectio Magistralis densa di contenuti e d’inattesi punti di vista.

Derrick de Kerckhove

A cura di Ale Guzzetti

Vuol dire re-nachahmen; Il teatro del mondo orale è sempre fare pre-sente la cosa piuttosto che rappresentarla. La mimesis come pratica e non più come simulazione. Arriva l’alfabeto e fa esplodere il corpo e lo riporta alla specializzazione dei sensi. Le Muse si prendono un senso ciascuna. Le Muse sono per la poesia lirica, poesia tragica, la danza, per la storia, per l’astronomia ecc. Sono le specializzazioni che vengono con l’alfabeto. Fondamen-talmente i grandi momenti della storia umana e del linguaggio umano sono quando il linguaggio incontra un nuovo medium. La cultura “let-terata” crea l’individuo. Dico volutamente “letterata” perché tutte le scritture creano una separazione tra la conoscenza e l’essere.Leggere qualcosa vuol dire prendere dal testo elementi che sono introdotti nella persona. Infatti la scelta delle cose che leggiamo sono le condizioni della nostra identità privata.Il nostro problema oggi è di come negoziare il fatto che siamo immersi nell’informazione, non più separati. La modalità elettrica (il digitale � uno dei figli dell’elettricità.) L’elettricità � oggi il supporto principale del linguaggio . In una tasca con il telefonino, o sullo schermo, tutt’intorno a noi c’è sempre questa presa di potere dell’elettricità sul linguaggio e attraverso il linguaggio sull’essere, sul nostro modo di sentirci, di vederci, di relazionarci. Siamo nel corso di un cambiamento che è antropologico e non sola-mente culturale. Ma l’idea fondamentale di staccare il lettore dal con-testo vuole dire liberare il lettore dal contesto. E’ una cosa triplice: nella cultura orale il linguaggio possiede il corpo,

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c.r.a.b. brerail linguaggio controlla il corpo; nella cultura “letterata” il corpo cont-rolla il linguaggio; nella situazione della elettricità è diverso perché lo scambio tra il corpo e il sé è talmente intenso, talmente forte; siamo sempre di fronte ai ns. telefonini a fare cose, viviamo una vita com-pletamente sotto il controllo dello schermo. Questo schermo è la transizione tra il mondo e noi . Questo inseri-mento del ns. essere dentro un modo così intimo, questa intimità profonda dell’essere con il mondo diviene una responsabilità mutuale di controllo del linguaggio.

La velocità del cambiamento ha una progressione precisa?Proviamo a misurarla in generazioni: 1700 generazioni di cultura orale, 300 generazioni di cultura scritta, 35 generazioni di cultura della stampa e 10 generazioni di elettricità. L’accelerazione fenomenale del cambiamento e dell’innovazione e della creatività. È evidente in questi paragoni misurati in numero di generazioni. Le tendenze attuali� finalmente stiamo passando dal tecnico al sociale. questo è il mondo del Web 2.0, dei Social Media, stiamo saltando ad un livello molto più interessante di quello unica-mente tecnico.

Andiamo verso nuove architetture cognitive?Indubbiamente: siamo difronte a dei veri rovesciamenti: le cose che abbiamo conosciuto nel passato divengono il contrario: la frontalità di ogni situazione del passato e di oggi va verso la realtà virtuale e l’immersione quindi all’essere coinvolti all’interno. La linearità diventa ipertestualità. La esplosione di tutte le cose (la diffusione della conoscenza) di-venta implosione di tutte le informazioni su ciascuno di noi. Questo è il sistema implosivo della conoscenza perché tutta la storia della con-oscenza umana è concentrata in questo oggetto (indica una tablet): questo strumento è un sistema implosivo della conoscenza; scrittura, parola, disegno, musica, tatto.

Qualcosa di più intelligente sta emergendo?La mente “aumentata” è un concetto riconosciuto, ma la domanda è :”siamo tutti vaporizzati in qualche sorta di cloud computing?”. Io rispondo : “No!” Il punto di essere è la risposta al punto di vista del rinascimento. Gli artisti hanno capito completamente (e molto prima della scienza)

la prospettiva, ma era un momento di divisione tra il soggetto vedente e l’oggetto da vedere. La risposta a questo tipo di separazione tra l’individuo e il mondo è quello del punto di essere: la dimensione tattile della nostra vita, sempre più chiamata in gioco dagli strumenti che usiamo è l’appropriazione del tempo, del mondo e dell’essere. E il punto di essere non è un vero punto, ma ha una sua localizzazi-one, che noi sentiamo fisicamente quando possiamo percepire qual-cosa. Come diceva un amico: noi ignoriamo la nostra percezione, il nostro corpo sempre, sino al momento che non funzionano.

Visto l’ambiente che ci ospita (l’Accademia di Brera), un tuo pensiero sull’arte:Ho una teoria sulla dimensione artistica ovvero la comunicazione omeopatica. L’arte normalmente nella cultura occidentale è fatta da avanguar-die che rifiutano il passato, irrompono sulla scena vulcanicamente. Voglio dire che esplodono come un vulcano però poco a poco, scen-dono e si raffreddano e diventano istituzione. Vuol dire l’innovazione, la crosta terrestre, la crosta psicologica: c’è un cambiamento sociale enorme, l’artista arriva e lo esprime. L’arte omeopatica invece o meg-lio la dimensione omeopatica non è vulcanica ed è la dimesione di comunicazione sulla rete. L’omeopatia è una dose minimale di effetto su un corpo che l’assume in totale . L’arte delle nuove tecnologie è un mondo omeopatico del corpo so-ciale, serve a sforare e mostrare la condizione umana sotto l’influenza della tecnologia. Tutto cambia, in rapporto allo spazio, dimensioni al-largate dal telefonino al pianeta, in rapporto al tempo: ieri, oggi e domani concentrati nell’ “ora” infinito. Il senso del nostro corpo per-sonale quando il punto di essere, la sensazione tattile del mondo completa il nostro punto di vista. Dal visuale al tattile; come diceva McLuhan: Electricity is tact! La differenza tra la visione che si concentra nella testa e la tattilità che è distribuita per tutto il corpo occhi compresi, in strati di intensità variabile. Il tatto non è uno dei cinque sensi bensì una competenza di tutti i sensi, Ritorno all’idea delle Muse in tondo: la tattilità non è una percezione rivolta solo verso l’esterno, verso l’ambiente, ma è anche il senso interno che il corpo ha di sé stesso e dello sforzo necessario per muoversi o resistere al movimento. McLhuan diceva che il futuro deve appartenere ai mistici perché non c’è altro modo di mettere insieme tutte le differenti cose del mondo.

Derrick de Kerckhove è stato allievo del grande sociologo e teorico della comunicazione Marshall McLuhan con cui per più di 10 anni ha lavorato come traduttore, assistente e co-editore, tanto da esserne considerato il più autorevole erede intellettuale. E’ Direttore del Programma McLuhan di cultura e tecnologia e professore del Dipartimento francese all’Università di Toronto (Canada). Docente presso la Facoltà di Sociologia dell’Università degli Studi di Napoli Federico II dove è titolare degli insegnamenti di “Sociologia della cultura digitale” e di “Marketing e nuovi media”. È supervisor di ricerca presso il PhD Planetary Collegium M-Node e Direttore della Ricerca presso l’Universitat Obertas de Catalunya in Barcellona.

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Puoi dirci come siete arrivati a questo importante risultato?La storia ha inizio nel 1993 quando, con Fabio Sargentini che era il mentore di Pino Pascali in vita, abbiamo deciso di fare un festival a lui dedicato che si chiamava “Ritorno al mare”. E’ durato sei anni, si volgeva in una piccola spiaggia fuori da Poligna-no a mare e nel corso delle varie edizioni sono arrivati circa settanta artisti con varie situazioni, dai più giovani e meno conosciuti ad altri molto affermati con cui si creava un dialogo intenso e decisamente incentrato sulla mediterraneità di Pascali. Nel ’97 abbiamo pensato di strutturarci diversamente ed il Comune è intervenuto concedendoci il palazzo all’ingresso del centro storico che ha ospitato il lascito della famiglia Pascali: un elemento fonda-mentale visto che si tratta di un archivio storico che contiene molti ma-teriali, dalle fotografie fatte da lui all’archivio degli articoli dell’epoca che confermano il suo successo immediato, più altri documenti che vengono utilizzati da studenti e cultori dell’arte contemporanea. Inol-tre durante questi anni abbiamo raccolto e restaurato tutta una serie di scenografie fatte per la Rai, studi e bozzetti, e abbiamo acquistato un’opera su latta, un missile, che è stata esposta recentemente a Washington. Nel frattempo ho sempre continuato a occuparmi sia di artisti a livello del territorio sia di autori internazionali, quindi il Palaz-zo Pascali ormai era divenuto troppo piccolo per ospitare tutte queste operazioni, compreso il ”Premio Pascali”.Si tratta dello stesso premio che avevano istituito i suoi geni-tori?

FONDAZIONE MUSEO PINO PASCALI

La bellissima Puglia fra le sue tante meraviglie, da qualche mese vanta anche la nuova sede del Museo Fondazione dedicato a Pino Pascali nella sua città natale, Polignano a mare. In un grande spazio affacciato sul lungomare, immerso nel-la luce azzurra dell’adriatico abbiamo incontrato la direttrice della Fondazione, Rosalba Branà.

Infatti era stato istituito nel ’69 ed era stato assegnato agli artisti che erano stati compagni di strada di Pascali: da Kounellis a Mochetti, a Vettor Pisani e altri, ma cessa nel ’79 con la morte dei genitori di Pas-cali ed io lo riprendo nel ’97 e lo rivitalizzo mantenendo la formula per cui gli artisti vengono premiati su invito di una commissione che viene nominata ogni anno, quindi lo abbiamo ripreso e negli ultimi anni si attesta come uno dei premi più importanti e viene assegnato ad ar-tisti quali Jean Fabre, Studio azzurro, Adrian Paci e altri e stiamo andando avanti con la prossima edizione.Torniamo alla sede, vuoi dirci quali prospettive si aprono dis-ponendo di uno spazio così importante e così ampio rispetto alla sede precedente?Quando il Comune ci ha assegnato l’ex mattatoio come sede della Fondazione il restauro era già completato per cui abbiamo accettato pur essendo un contenitore culturale generico e tra la possibilità di prendere possesso o aspettare eventuali modifiche che lo rendesse-ro più consono al suo utilizzo io ho preferito insediarmi e procedere col tempo ad eventuali rettifiche. La struttura ha un rapporto fantastico con il mare e di fronte c’è una piccola isola, lo scoglio dell’Eremita, e noi nel ’98 abbiamo realizzato la prima mostra su Pascali che si intitolava appunto “L’isola di Pas-cali”, un passo indietro e una proiezione in avanti. La struttura è di tremila metri quadri su due piani, con una grande terrazza che siamo in procinto di attivare, e con un grande spazio all’esterno che ospiterà un parco di sculture. Nella parte interna, nella

Testo di Antonella Pierno, fotografie di Cosmo Laera

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zona inferiore ci sarà la collezione del museo con le opere a rotazi-one visto che ormai è piuttosto vasta, e oltre all’archivio è predis-posta una zona per il video, per la fotografia e anche un laboratorio didattico, una struttura viva e assolutamente dinamica; nella zona superiore saranno ospitate le mostre temporanee e quindi anche il Premio Pascali.Quali sono invece le politiche culturali che intendi sviluppare, hai gia’ individuato dei possibili interlocutori affinche’ questa struttura possa ambire a un respiro internazionale?La linea artistica della fondazione è decisa dal direttore artistico così

come accade in tutte queste strutture. Io non farò altro che appro-fondire e potenziare quanto ho già sperimentato per cui ci saranno una serie di attività legate ad artisti del territorio e anche un’apertura verso le Accademie di belle arti visto che in Puglia ce ne sono tre, l’Università e le istituzioni scolastiche con cui abbiamo già avviato dei progetti in merito all’allestimento degli spazi espositivi. Poi ci sono le Residenze d’artista, per il momento ne attiviamo quat-tro con venti artisti in quattro comuni della zona che permetteranno ad ogni gruppo di confrontarsi con un settore specifico sul territo-rio, video, ceramica, arti visive e design una residenza multidisci-

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plinare coordinata dalla fondazione i cui risultati saranno esposti nel museo. Ancora l’attenzione verso artisti emergenti, con una project room destinata ad ospitare le loro proposte e poi c’è uno sguardo sul mondo: abbiamo avuto artisti dell’Iran, della Cina, da Israele, spesso in anteprima in Italia e adesso siamo in procinto di presentare una iniziativa con gli artisti del Montenegro.

Quali le prossime mostre ? Subito, a settembre iniziamo la nuova stagione, la prima è una ricos-truzione filologica della mostra che Pascali fece da Sargentini con i bachi da seta e una ragnatela e che riproporrà la stessa disposizione e lo stesso allestimento con cui furono presentate all’Attico e contem-poraneamente una mostra collettiva: EST/OVEST, un dialogo tra

Puglia e Montenegro attraverso gli artisti. Entrambe resteranno fino a dicembre, Polignano è molto interessante anche in autunno quindi l’invito a venire a visitare questo nuovo luogo dell’arte contempora-nea che la Puglia aspettava da tempo.

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(Con questo servizio inizia una nuova rubrica di Academy esclusi-vamente mirata a valorizzare e far conoscere luoghi d’arte come musei, gallerie, case e studi d’artisti e di critici d’arte, di collezionisti e comunque luoghi interessanti e densi di personalità. Una rubrica affidata soprattutto alle immagini e alla loro capacità evocativa. La rubrica sarà attiva anche nella nuova versione on line della nostra rivista, basterà collegarsi a: www.academy-of.eu)

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Di Anna Comino

Nel volo...sospeso di Marco Gastini è qualcosa che va oltre la semplice mostra: è l’occupazione di un luogo, la sua strutturazione attraverso un sistema di corrispondenze che ridisegna lo spazio e traccia confini tra interni ed esterni. Linguaggi differenti si appoggiano uno sull’altro, in dialogo, in opposizione, autonomi. Il passato e il presente, la ridondanza e l’essenzialità trovano il giusto equilibrio nel tempo immobile di un’area delimitata. Il Salone Napoleonico dell’Accademia di Brera è l’ambiente primario, la struttura in acciaio di Giulio Paolini quello secondario. Uno contiene l’altro rispettando le proporzioni dettate da una riduzione in scala. Uno è denso, fagocitante, pieno, sia visivamente che di trascorsi storici, l’altro è scarno, vuoto, volutamente aereo e privo di sovrastrutture. I contorni netti ingabbiano il nucleo centrale, che si fa neutro, distaccato, rimanendo però parte integrante dell’insieme che lo accoglie per via di una incorporeità che niente cela. E questa bolla d’aria dall’atmosfera rarefatta, diventa il campo d’azione dell’installazione di Gastini. Solo quattro lavori: due recenti e due degli anni Settanta. La scena si svolge nello spazio fisico delimitato dalla costruzione paoliniana. Un timore quasi reverenziale induce il visitatore a non varcare la soglia di questo sacrario, a rispettarne l’inviolabilità e a osservare dalla giusta distanza la ritmica alternanza dei pezzi. Per quanto questa cella immateriale sembri impenetrabile, ribaltando il punto di osservazione, dall’interno trattiene a fatica le opere che tendono a fuoriuscire liberamente. Le grandi tele, accostate per il retro, fluttuano nel vuoto oltre un soffitto tracciato ma non chiuso da vere pareti. Lo stesso dicasi per i plexiglas che, con le loro forme convesse, bucano e attraversano i muri laterali. Questi ultimi si presentano nella

Marco GastiniNel volo...sospesoSalone Napoleonico dell’Accademia di Brera

loro trasparenza completamente penetrabili dall’occhio, tranne per un impasto denso, spalmato sulla rotondità del supporto. Occlude interrompendo il flusso della luce, e apre un varco su una dimensione legata più al mondo della sensibilità immaginativa, che ad una reale possibilità di esplorazione. Il rapporto stesso con l’ombra, che si traduce in una macchia grigio-nera a parete o a pavimento, avvalora l’ipotesi di un doppio, di una possibilità oltre, simile e diversa nel contempo. Le tele, invece, lasciano meno spazio alle proiezioni speculative e agiscono direttamente sullo spettatore alterando la percezione con un ingannevole senso di moto. La stesura pittorica perlacea si espande fino a rivestire quasi interamente il supporto ed � mossa da leggere fenditure che si trasformano otticamente in micro�tagli filanti. Una nube plumbea, scura e polverosa, si addensa nella parte alta della composizione e da lì si allargano le lastre d’ardesia aggettanti perpendicolarmente dal piano. Blu e nero contribuiscono a creare una condizione di profondità stabilendo un rapporto di rifrazione (il blu è il “corpo”, il nero la sua “ombra”) e distanza basato sullo slittamento orizzontale della forma sottostante. Apparentemente speculari, le quattro opere sono variabili di una stessa teoria di proiezione materica verso l’esterno. La direttrice che taglia il rettangolo espositivo sul lato lungo allineando i lavori in tre tappe, obbliga ad un giro perimetrale completo per cogliere ognuno nella sua frontalità e nello stesso tempo mostra, o meglio allude, all’eventualità di un dietro: raramente un’opera pittorica occupa una posizione centrale e non periferica e altrettanto di rado rinuncia ad un fondo sicuro di appoggio offrendosi nella sua “tridimensionalità”.

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Chi è Marianne Wild?Sono nata gallerista, da piccola sapevo già quello che avrei fatto nella vita.

Perché una galleria d’arte contemporanea a Chieti?Chieti è una città colta e l’Abruzzo si sta rivelando protagonista coi suoi eventi nel panorama cul-turale italiano.(vedi Castelbasso, Premio Michetti, lo spazio Aurum a Pescara, il nuovissimo museo della Fondazione Carichieti a Chieti e tante altre realtà.

Quale è la linea della galleria? In cosa credi? Cosa t’interessa seguire? Inanzitutto la pittura di qualità, non ho timore di dire che mi piace la bellezza nei lavori della generazi-one di mezzo e i giovani con le loro proposte.

Quali mostre hai già fatto e quali saranno le prossime?A Chieti ho aperto con una personale di Gaetano Grillo, seguita da un giovane scultore cileno José Maluenda.Nello spazio che avevo ad Alghero ho realizzato diverse mostre tra le quali quella di Nanni Me-netti, Carlo De Meo e molti giovani provenienti dall’Accademia di Belle Arti di Sassari che all’epoca viveva un momento molto felice. Tanti di questi gio-vani sono oggi artisti affermati.Dopo la chiusura estiva riapro ad ottobre con una personale di Marco Cingolani, seguirà la mostra di Filippo di Sambuy.

Quale può essere il ruolo di una galleria nel sud Italia?Chieti per la verità è centro Italia ed io voglio diven-tare centrale nell’Arte ed essere un punto di riferi-mento per la pittura e per giovani ricercatori.

Quali sono i progetti a cui punti per i prossimi anni? Continuare a fare mostre di qualità e partecipare alle fiere più importanti per degli scambi proficui. Credi nel ruolo delle Accademie per la formazi-one dei giovani artisti?Negli ultimi cinquant’anni i migliori artisti hanno fre-quentato le Accademie vedi Kounellis, Piero Guc-cione, Mimmo Germanà e tanti altri ancora come

Marco Tirelli, Piero Pizzicanella e tutti quelli del pastifico di San Lorenzo. Ai tempi in cui ho studiato io all’Accademia di Roma avevo come docenti i migliori maestri italiani (Monachesi, Gentilini, Scialoja, Emilio Greco, Umberto Mastroianni e storici dell’Arte come Calvesi, Boatto, Vivaldi e tanti altri).

Che ruolo giocano le tue origini fra il Sud America e la Svizzera? Intanto parlo cinque lingue e sono facilitata nei rapporti, ho contatti con altre realtà e cercherò sempre di portare in Italia artisti curiosi ma da noi non ancora conosciuti come è stato il caso di José Maluenda.

A Chieti apre una nuova galleria d’arte e lancia una sfida ambiziosa: coltivare in pro-vincia una nuova sensibilità all’arte contemporanea senza fare un’attività provinciale ma al contrario con un respiro internazionale. Marianne Wild da allieva dell’Accademia di Roma a manager della finanza a Zurigo per tanti anni, ora finalmente realizza un suo vecchio sogno: fare la gallerista!

Marianne Wild, Arte Contemporanea UnicA, Chieti

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43Dopo la conclusione, con la terza tappa allestita presso Spazio Sansovino Arte Contemporanea, a Torino nel mese di dicembre 2011, dell’ampio ed ambizioso progetto de “Un’Altra Storia. Arte Italiana dagli anni Ottanta agli anni Zero”, è stato doveroso trarre un bilancio, che abbiamo ritenuto, io e gli artisti coinvolti o coinvolgibili in iniziative future di segno analogo, soddisfacente. Nella parte finale delle tre tappe in cui è stata suddivisa la prima parte del progetto si è sviluppato, in particolare sulle pagine web, assai frequentate , del magazine artistico on line “Artribune”, un animato dibattito sui temi della rassegna, a seguito di un’intervista al sottoscritto condotta dal critico Daniele Capra. Gli 84 artisti invitati sono stati ripartiti in tre sedi, con un criterio di scelta, per le prime due, dettato dalla sinergia del lavoro con l’architettura dei luoghi, mentre a Spazio Sansovino hanno trovato ospitalità in prevalenza gli autori più giovani. La prima sezione, allestita ad aprile 2011 nella suggestiva sede della Fondazione Ratti - Ex Chiesa di San Francesco a Como, ottenuta grazie alla collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune, è stata dedicata in maggioranza all’installazione, la seconda, dove sono state privilegiate pittura e fotografia, si � svolta in un luogo anch’esso di grande impatto come l’Ex Chiesa di San Carporforo a Milano, sede espositiva del CRAB dell’Accademia di Brera. Il tutto è stato integrato da due momenti di discussione e di dibattito a Milano ed a Como, sul tema “E’ ancora possibile una dimensione etica dell’arte?”, con la presenza di personalità quali Renato Barilli, Elena Di Raddo, Sergio Gaddi e Massimo Kaufmann. I temi affrontati nella mostra erano spinosi e non facili da digerire, per uno scenario tendenzialmente conformista come il nostro, ed � certo pesata l’assenza di un ufficio stampa, dato il budget pressoché inesistente quanto a liquidità monetaria, carenza surrogata dalla disponibilità del collezionista torinese Anselmo Basso a stampare un importante catalogo, punto di forza dell’evento, alla concessione gratuita di sedi pubbliche e private ed alla collaborazione volontaria fornita da molti artisti ed amici. Ci siamo poi trovati a convivere con una ultra polemica edizione del Padiglione Italia della Biennale di Venezia curato da Vittorio Sgarbi, su cui gli organi di informazioni si sono gettati a capofitto oltre ogni limite, soprattutto a causa degli strascichi generati dalla pletora interminabile delle varie edizioni regionali, organizzate con fretta e spesso con improvvisazione, ad onta di un’idea di per sé non negativa, ma necessitante di una messa in cantiere molto più meditata. Fatte salve queste difficoltà � stato possibile percepire una grande attenzione per i temi indicati dal progetto, il che mi induce a tornarci immediatamente sopra. Questi temi, in estrema sintesi, consistono nella denuncia della stagnazione del sistema artistico italiano, a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta fino ai giorni nostri, dovuto alla presenza dominante delle ultime due correnti dell’arte contemporanea italiana in

Gianantonio Abate, Salvatore Anelli, Guglielmo Aschieri, Salvatore Astore, Bruno Benuzzi, Enzo Bersezio, Corrado Bonomi, Dario Brevi, Carmine Calvanese, Francesco Correggia, Ferruccio D’Angelo, Aldo Damioli, Domenico David, Filippo di Sambuy, Raffaello Ferrazzi, Franco Flaccavento, Omar Galliani, Riccardo Ghirardini, Gaetano Grillo, Ale Guzzetti, Ernesto Jannini, Marco Lavagetto, Mario Marucci, Andrea Massaioli, Iler Melioli, Vinicio Momoli, Giordano Montorsi, Pietro Mussini, Luciano Palmieri, Plumcake, Sergio Ragalzi, Marco Nereo Rotelli, Gianfranco Sergio, Eraldo Taliano, Nello Teodori, Vittorio Valente, Giorgio Zucchini, Wal.

grado di imporsi, in una logica di gruppo, a livello internazionale, Arte Povera e Transavanguardia, ma anche alla sostanziale pavidità di molte componenti, in particolare la critica e le gallerie emerse nell’ambito temporale analizzato dalla mostra, adeguatesi passivamente, in cambio di un po’ di visibilità e di incarichi, ai diktat dei curatori storici, di buona parte dell’editoria e di alcuni grandi collezionisti. Come già sottolineato nella parte introduttiva del mio testo in catalogo, non è stato possibile, per oggettiva mancanza di spazio, inserire nella prima edizione de “Un’Altra Storia” in maniera esauriente il primo segmento, fondamentale per comprendere appieno gli sviluppi successivi, quello dell’ ingresso nel recinto della post modernità, caratterizzato dalla citazione e dalla fase del “ritorno alla pittura”, ma anche dal graduale affacciarsi sulla scena di esperienze provenienti della più giovane generazione, che segnerà il passaggio tra la seconda metà degli anni Ottanta e la prima parte degli anni ’90, attenta ad un confronto non solo con una rilettura intelligente del passato, nell’accezione di un dialogo, opportunamente contestualizzato al presente, con la tradizione dell’arte del Novecento italiano ed ancora più indietro, con il Manierismo ed il Barocco, ma anche con i nuovi scenari segnati dall’invasività tecnologica e mediale e dalla contaminazione con forme espressive come il fumetto e la musica, e dalla ridefinizione di categorie estetico � formali come l’astrazione, la scultura e quelle, appena alle spalle, dell’area analitica e concettuale, in particolare l’ambito concentrato sulla secondarietà oggettuale. Un lasso di tempo collocabile, come si evince dal titolo d’apertura, tra il 1980 ed il 1990. Avrei voluto, a onor del vero, estendere la mia ricerca anche agli anni Settanta, invitando quegli artisti che già allora iniziarono gradualmente a violare i dogmi del Concettuale di più rigida osservanza, ma ho dovuto arrendermi di fronte ai limiti di budget, in quanto ho scarsa confidenza personale, anche per motivi generazionali, con gli autori di quel periodo, conseguentemente mi sarei dovuto scontrare, reperendo le opere presso gallerie e collezionisti, con insormontabili problemi di trasporto ed assicurazione, quindi rimanderò il tutto ad una occasione più propizia, se capiterà. Anche “Un’Altra Storia 2”, sarà un progetto ben confezionato ma autogestito in maniera addirittura più ampia rispetto alla prima edizione. Ci avvaliamo di un contenitore di prim’ordine. Si tratta del CCC-T Ex Birrificio Metzger Centro di Cultura Contemporanea Torino, nuovo spazio polivalente per arte, teatro, musica e balletto, gestito dall’operatore culturale Alessandro Novazio Griffi, che ha ristrutturato uno spazio di archeologia industriale, sito in via San Donato 68 a Torino, a poca distanza dal Museo d’Arte Urbana da me diretto. Lo stabilimento, progettato nel 1872 da Pietro Fenoglio, celebre architetto del Liberty torinese, sarà destinato a giocare un ruolo importante per i futuri programmi artistico - culturali della città .

a cura di

Edoardo Di MauroOrganizzazione : MAU Museo d’Arte Urbana di Torino. Regione Piemonte , Fondazione CRT, IV Circoscrizione Comune di Torino

CCC-T Ex Birrificio Metzger - Centro di Cultura Contemporanea Torino - Via Pinelli 63/a Torino12 ottobre – 3 novembre 2012

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Rachele Ferrario

Le signore dell’arteMondadori

Se non fosse che vi sono volumi da lei firmati che affrontano il lavoro degli artisti (fin qui Paolini e Tremlett per i tipi di Nomos) a partire dall’osservazione dei loro “atelier”, anche mentali, ovvero dai loro laboratori creativi, si direbbe che l’autrice si stia specializzando in biografie di femmine speciali del mondo dell’arte, si pensi al precedente libro su Palma Bucarelli. Le signore dell’arte, nonostante il titolo a mio avviso un po’ infelice, è composto da quattro racconti di media lunghezza che ricostruiscono le vicende umane, gli incontri e i contesti delle protagoniste mentre per ciascuna personalità viene sottolineato il ruolo terapeutico del lavoro creativo più che entrarne in merito. La scrittura di Ferrario è spigliata, brillante, godibilissima, sorretta da una grande verve nel narrare episodi e dipingere situazioni, nel descrivere realtà strettamente connesse al mondo di Carla Accardi, Giosetta Fioroni, Marisa Merz e Carol Rama, donne e artiste profondamente diverse l’una dall’altra per età, biografia, stile e pensiero, ma tutte inevitabili nel momento in cui ci si accinga a considerare l’arte italiana del secolo scorso. Non ci si aspetti però dei capitoli dal tono agiografico, le parole di Ferrario danno piuttosto corpo alla realtà che sta prima e attorno all’opera, facendo riferimento in modo sorprendentemente ricco al tessuto delle relazioni sociali e culturali.Particolarmente bello e prezioso l’inciso su un’altra grande donna, fondamentale per l’iter della storia della critica d’arte in Italia: Carla Lonzi. Elisabetta Longari

Barbara Tosi

Arte in Italia 1920 - 1945Universitalia

Barbara Tosi, docente di Storia dell’Arte Contemporanea all’Accademia di Roma, ma a noi più nota come storico e critico d’arte di raffinatissime qualità intellettuali, ha recentemente pubblicato questo piccolo libro che sorprende per la straordinaria secchezza del suo impianto.Soltanto sei capitoli, dal Futurismo al gruppo “Corrente”, attraversando storie molto specifiche come il “Selvaggio”, il “Gruppo dei Sei”, personalità isolate come Viani, Casorati, Martini, Prampolini, Morandi, Licini ecc. Raccontando dei pittori astratti alla Galleria del Milione di Milano, anzichè del gruppo di Como, della Scuola Romana fra Mafai, Scipione, Raphael e Mazzacurati, per tornare ancora a Milano con il gruppo “Corrente” (Treccani, Birolli, Sassu, Cassinari, Morlotti, Manzù ecc). Il libro si fa leggere molto piacevolmente sia per il linguaggio chiaro, sia per la pertinenza di note approfondite e utilissime bibliografie. Siamo così ormai abituati a leggere (!) testi in critichese e deliranti divagazioni sull’arte che un libro come questo ci riconcilia con una lettura pulita, seria e soprattutto documentata. Gli autori, i contesti, le vicende, le pubblicazioni, le opere, parlano realmente e ci fanno entrare nel clima di quelle stagioni; si respira l’atmosfera autentica di un periodo della nostra storia in Italia segnata da due guerre e fervente di stimoli culturali.Dopo aver letto questo libro verrebbe da dire: Viva la sobrietà! Ne abbiamo tanto bisogno per ritrovare la solidità dei valori in un tempo frastornato e confuso. Grazie Barbara!

Gaetano Grillo

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recensioni

IL DOLORE DI ALTRI ANIMALI Una mostra a cura di Elisabetta Longari presso la Fondazione Maimeri a Milano.Le storie vissute dagli animali hanno costituito la traccia sulla quale si è articolata la mostra Il dolore di altri animali, curata da Elisabetta Longari e presentata alla Fondazione Maimeri di Milano nello scorso marzo. La selezione espositiva ha riunito artisti dalle tendenze espressive differenti, che non solo si sono distinte nella scelta dei linguaggi formali, ma anche nella definizione delle tecniche e dei materiali; e quindi il tema della mostra, ossia il mondo degli animali, ha potuto essere rappresentato in una vasta gamma di risultati artistici, che hanno mantenuto gradi diversi di vicinanza alla realtà e che hanno potuto concretizzarsi attraverso svariati materiali, dalla pittura alla fotografia, dalla scultura composta da sostanze desuete per la tradizione artistica all’installazione, dal collage alla graphic novel creata per essere fruibile sul web.Ma l’idea che ha dato vita all’esposizione non era semplicemente quella della rivisitazione dell’iconografia degli animali, da sempre presente nella nostra storia dell’arte e spesso impiegata come simbolo o allegoria: le immagini presentate volevano infatti evocare una precisa situazione della nostra realtà, che vede la sofferenza degli animali nel rapporto con gli uomini. Da questa generale considerazione � poi partita la riflessione individuale di ogni artista, che ha declinato l’idea centrale della mostra in riflessioni diverse, capaci di evocare scenari insopportabili come i laboratori della vivisezione o i macelli o di proporre riflessioni oggi assolutamente necessarie sulla supposta centralità dell’uomo nel cosmo.E’ importante inoltre precisare che l’esposizione, con il suo contenuto iconografico specifico, non si � posta solo come riflessione poetica sul tema del dolore degli animali, ma è stata realizzata in concomitanza con la discussione al Parlamento Italiano del recepimento della Direttiva Europea 2010/63/UE sulla “protezione degli animali utilizzati a fini scientifici”, secondo un’idea di arte che ritrovi uno sguardo critico e vigile sulla realtà complessa e non sempre gradevole del mondo.La mostra si è accompagnata a un attento catalogo che, oltre ai testi introduttivi ed esplicativi, si è concentrato particolarmente sulla lettura delle opere presentate piuttosto che sulle biografie degli artisti espositori.

Francesca Pensa

FRANCESCO TEDESCHI

Il mondo ridisegnatoArte e geografia nella contemporaneità

VITA E PENSIERO

Francesco Tedeschi

Il mondo ridisegnato, Arte e geografia nella contemporaneità.L’introduzione si intitola significativamente All’insegna del labirinto, poiché il tema che il libro si propone è talmente vasto e affascinante da imporre obbligatoriamente in apertura la figura che rappresenta la complessità dello spazio per eccellenza. Il libro, che sembra dare seguito alla boettiana indicazione di “mettere al mondo il mondo”, è suddiviso in cinque capitoli, L’artista come geografo/cartografo, Definizione e controllo del territorio, Il cosmo del viaggiatore - capitolo a sua volta composto di due parti, Il mondo in testa e Il mondo a piedi-, Istanze di trasformazione- Deterritorializzazione, non-luoghi, geografia postmoderna, Geografie dell’immaginario, a sua volta strutturato in due parti, La città ideale. La città e l’ideale e La città come figura dell’immaginario: modelli di città nell’arte contemporanea. Si è scelto di trascrivere i titoli dei diversi segmenti di questo grande affresco per cercare di restituirne l’ampiezza dell’orizzonte in cui si muove il pensiero di Tedeschi che insegue diverse modalità di relazione tra arte, invenzione e rappresentazione, e territorio, mappandole in una costellazione ricca di spunti e di rimandi quasi inesauribili. Ogni capitolo reca in apertura un’epigrafe che funziona da viatico in questo avventuroso viaggio per immagini che si sviluppa nel tempo e nello spazio, dal cartografo di Deft di Vermeer alla psicogeografia situazionista, dai percorsi della Land art a Exotica di Anna e Patrick Poirier.Quel che se ne ricava è che, soprattutto oggi, l’arte sogna più spesso lo spazio che non il tempo, più la geografia che la storia. Forse perché la storia si è già disintegrata, mentre ora è la volta della sparizione della geografia, azzerata, inghiottita dalla globalizzazione� al mondo con le sue differenze si sta sempre più sostituendo un’indifferente catena di non-luoghi. Elisabetta Longari

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Approfondimenti sull’Uomo vitruvianodi Leonardo da Vinci

a cura diPaola Salvi

CB EDIZIONI

L’Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci è oggetto di continue attenzioni che ne ampliano, talvolta oltre ogni ragionevole verifica, significati e collegamenti. Gli “Approfondimenti” che a questo famosissimo di-segno ha dedicato l’Accademia di Belle Arti di Brera negli anni 2010 e 2011, ora raccolti in questo volu-me, hanno voluto ricondurre a fondamenti scientifi-ci i temi di ricerca, e alla più avveduta elaborazione artistica i motivi d’ispirazione. Attraverso i contribu-ti di studiosi leonardisti, sono stati indagati i valori armonici e proporzionali di questa limpida figura, le modalità costruttive del disegno, le sue derivazioni da Vitruvio e da Leon Battista Alberti, la sua possibile destinazione che contempla la scultura e la pittura, i rapporti aurei che esso contiene e la rispondenza eu-clidea, la vicenda storiografica che lo ha coinvolto, le tracce della tradizione antropomorfa dell’architettura cui è riconducibile. Il tema dell’armonia (anche musicale) e il costante dialogo tra il corpo umano e lo spazio che esso deli-mita, misura, abita, hanno ‘naturalmente’ reso l’Uomo di Leonardo oggetto di riflessione e ispirazione ar-tistica, ben oltre i richiami diretti e le citazioni. Qui compaiono alcuni tra gli exempla più significativi che affiorano nell’opera di artisti di varia estrazione, com-presi alcuni esponenti dell’arte a noi contemporanea. Poiché per Leonardo “quella scenzia è più utile della quale il suo frutto è più communicabile” e “la pittura ha il suo fine communicabile a tutte le generazioni dell’universo” (Libro di Pittura, cap. 7), la scelta di pro-porre una sintesi, anche ludica, delle infinite rielabo-razioni dell’Uomo vitruviano che ‘avvolgono’ e ‘coin-volgono’ il pianeta (compresa la tuta degli astronauti della Nasa) è parsa, oltre che elemento di riflessione simbolica, un omaggio alla fiducia comunicativa che l’artista ha riposto nell’opera visiva.

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3.6.0

Leon Battista Alberti, De statua, Exempeda, Ms. 927, c. 17 v, XVI sec., Firenze, Biblioteca Riccardiana

I numeri 3.0.0 e 3.6.0, che compaiono in copertina sull’Uomo vitruviano, indicano le quote misurate con l’exempeda a cui Leon Battista Alberti colloca nella sua figura proporzionata, espressa numericamente (De sta-tua, Tabulae dimensionum hominis), “l’osso da cui pende il pene” e l’ombelico, rispettate da Leonardo e coinci-denti con il centro del quadrato e del cerchio.

Paola SalviApprofondimenti sull’Uomo vitruviano di Leonardo da VinciPrima di tutto bisogna registrare l’ampiezza e la profondità con cui ci si è esercitati ad affrontare la lettura, in quest’epoca così lontana dall’utopia rinascimentale e umanistica, di un’immagine che è ormai diventata un’icona pop, un simulacro e come tale svuotato del suo senso originario.Paola Salvi, docente di Anatomia che non ha nulla da invidiare agli storici dell’arte dall’iter più “canonico” in quanto ad acume interpretativo e metodo di indagine, ha orchestrato sapientemente gli interventi degli studiosi chiamati alla “ricostruzione” della natura e del significato dell’icona leonardesca, affrontando anche le ragioni della sua radicata persistenza nell’immaginario collettivo.Il volume raccoglie gli scritti che testimoniano dei contributi che inizialmente in forma orale erano stati oggetto di confronto durante alcune giornate di studio, tenute nella sala Napoleonica dell’Accademia di Brera. La curatrice ha studiato echi, ascendenze e discendenze dell’Uomo vitruviano di Leonardo, mostrandole al lettore con grande chiarezza, e ricordando le vicende storiche legate al destino di quel prezioso foglio, ricorda: << Peccato che, entrato nella collezione di Giuseppe Bossi, segretario di Brera nell’Ottocento, il disegno, che avrebbe potuto essere acquistato dall’Accademia, finì invece a Venezia. Per questo considero il libro come un suo ritorno ideale a Milano>>. Tra i diversi contributi, tutti significativi, risultano particolarmente importanti quello di Annalisa Perissa Torrini che accompagna il viaggio del foglio dalle mani di Leonardo fino a sotto i nostri occhi, quello di Nicola Cisternino che pratica un gioco di rimandi particolarmente ampio e suggestivo, aprendo il ventaglio dei riferimenti in molte direzioni, con un approccio interdisciplinare che chiama in gioco tutti gli altri sensi, come l’immagine della figura umana come piccolo sole in espansione autorizza a fare.

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recensioni

Centro per l’arte Contemporanea open SpaCe di Catanzaro

Minime ETERNITÀ

CATERINA ARCURIGIULIO DE MITRITEO DE PALMAA maggio e fino al 20 luglio, il Centro per l’arte contemporanea “Open Space” di Catanzaro ha ospitato una particolare mostra - tra installazione, pittura e video - intitolata Minime ETERNITÀ di tre artisti: Caterina Arcuri, Giulio De Mitri e Teo De Palma, operanti da anni nel campo della ricerca e della sperimentazione visiva con linguaggi diversi, tra progetto e processo del fare, rappresentando l’attualità della fenomenologia artistica contemporanea. Li unisce in questa mostra un tema comune: la spiritualità, simbolicamente rappresentata dalla leggerezza di un essere vivente: la farfalla, simbolo dell’anima e della rinascita. La mostra è curata dal critico e storico dell’arte Massimo Bignardi (docente di Storia dell’arte contemporanea all’Università degli Studi di Siena), ed è promossa ed organizzata dal Centro, con il contributo delle Cattedre di Pittura e di Tecniche e tecnologie della Pittura dell’Accademia di Belle Arti di Catanzaro.“La parola eternità – scrive il critico nella presentazione in catalogo - ci spaventa anche se accarezziamo, nascostamente, il desiderio che qualcosa sfugga alle regole dell’esistenza e dunque al suo tempo, offrendoci la possibilità o la speranza che viva al di là dell’estremo orizzonte, oltre cioè il nostro sguardo terreno. A spaventarci sono molteplici motivi; primo fra tutti, almeno per me, è l’idea che non esista una fine o meglio che il tempo abbia dato forfait, rinunciando deliberatamente alla sua azione e con essa ai processi di metamorfosi che fanno della vita, quella vissuta dal corpo come dall’anima nel loro attraversare la scena naturale e sociale, qualcosa di non concluso. Va detto, però, che nel corpo dimora lo spirito, ossia l’essenza che ci pone in relazione con gli altri, con il sociale; lo spirito, più di ogni altra “astrazione” tende all’eternità che il pensiero esprime. È nella mente, là ove la memoria si fa elaborazione attiva che si sovrappongono continue immagini sollecitate da altre immagini, da suoni, da parole, in pratica da percezioni emotive che aprono al mondo magico, muovendo su un asse tracciato fra transitorietà e eternità, vale a dire fra esistenza, intendendo per essa anche la minima frazione di tempo nel quale l’immaginazione si manifesta, ed essenza ovvero il corpo assente, perché annullato, proprio dell’eternità”. Per l’occasione è stata realizzata una pubblicazione per le Edizioni Open Space, contenente testi critici di Massimo Bignardi e Annamaria Restieri, apparato iconografico e nota bio�bibliografica sugli artisti.

*CATERINA ARCURI. Nata a Catanzaro. È professore ordinario di Pittura nell’Accademia di Belle Arti di Catanzaro. Opera nel campo della ricerca e della sperimentazione visiva utilizzando linguaggi diversi, dalla fotografia alla videoinstallazione, alle opere plastiche.

*GIULIO DE MITRI. Nato a Taranto. È professore ordinario di prima fascia in Tecniche e tecnologie della Pittura nell’Accademia di Belle Arti di Catanzaro. Campo della sua poetica è la Mediterraneità tra spiritualità e identità geo-politica.

*TEO DE PALMA. Nato a San Severo (Fg). Già docente di Discipline umanistiche nei Licei. Filo conduttore della sua ricerca è il linguaggio della pittura orientata verso l’illusorietà e l’evanescenza in forte sinergia tra l’essenza umana e la natura, utilizzando materiali diversi: colori vegetali, pastelli, ruggine, collage con carta.

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Il mondo di Gastone Novelli scivola senza fatica dalle tele di grande dimensione alle pagine ben più piccole e raccolte di un libro. Il Disegno della Scrittura. I libri di Gastone Novelli è la mostra che il Museo del Novecento di Milano dedica a questa particolare produzione dell’artista, riunendo per la prima volta l’intero corpus dei volumi realizzati. Novelli si sposta agilmente da quelli composti a quattro mani (con poeti e scrittori), a quelli interamente nati dalla sua fantasia. Le collaborazioni eccellenti non si contano: si va da Dacia Maraini a Elio Pagliarani, da Emilio Villa a Pierre Klossowski, Guido Ballo, Samuel Beckett, Giorgio Manganelli, fino all’edizione Le mur derrière le mur, con poesie di Jaguer e litografie sue e degli amici e colleghi Boille, Perilli e Sterpini. Di carattere sicuramente più libero sono i lavori in cui Novelli figura anche come autore. In questi libretti parole e disegni trovano, come di consueto, quell’armonia e quell’equilibrio che rende le une indispensabili agli altri, senza prevaricazioni o graduatorie di importanza. L’illustrazione, il segno grafico, la lettera, la parola sono utilizzati nelle loro multiple valenze� con funzione ottico�visiva, di forma, di significato, di suono. Semantica e fonetica si integrano a colore, segno e ordine compositivo, e prendono possesso del bianco della pagina. La quale è intesa come spazio, sia fisico che mentale, dove azione e pensiero convivono in una rapporto fluido e continuo. Crollano le strutture rigide e si aprono possibilità di interazione e sperimentazione tra parola ed espressione grafica basate su un rapporto privilegiato, intimo, con la letteratura e la poesia da una parte, ma anche su una ricerca personale condotta con l’ausilio dei sensi alla riscoperta dell’origine del segno. Questo secondo aspetto trova sfogo nello studio della tradizione classica e si concretizza in Viaggio in Grecia, mentre quella popolare ha una puntuale rispondenza ne I viaggi di Brek, libro a fumetti che trae ispirazione dall’attualità e dalla politica. In queste realizzazioni gli abituali canoni si invertono: la scrittura si guarda e il disegno si legge e questi mondi, prima così distanti e chiusi, trovano finalmente la possibilità di confluire in uno unico universo, mosso da un nuovo linguaggio.

Anna Comino

Gastone Novelli al Museo del Novecento di Milano

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VALLE D’AOSTA Spelgatti Colori, Aosta.PIEMONTE Edilcoloranti, Novara · Lombardi Marco, Torino · Colorificio Moderno, Torino · Colorificio Monviso, Cuneo · Arte e colore, Biella · Villa Mario, Borgosesia (VC) · Morandi Giuseppe, Omegna (VB) · Colorificio Verbanese, Verbania Intra (VB) · Colorificio Fontana, Ivrea (TO) · Casa dei colori, Pinerolo (TO) · Casa della cornice, Brandizzo (TO) · Colorificio Mp, Chivasso (TO) · Mazzoni, Cirié (TO) · Colore Amico, Villardora (TO) · Il centro di Marco Botta, Candelo (BI), · Athena , Cirié (TO).

LIGURIA Creative Center, La Spezia · Muller Francesco, Genova · Albe Ligure, Genova Pegli · Gianfranco & Marta, Sarzana (SP) · Podestà Elio, Genova · Bottega d’arte Sabbadini, Chiavari (GE) · Vigo Luigi, Sanremo (IM) · Petrucci Angelo, Crevari-Genova.LOMBARDIA Centro Belle Arti, Muggiò (MB) · Pellegrini, Milano · Nuovo Centro Giardinaggio Pilastro, Desio (MB) · Tucci Service Colorificio, Milano · Il Colorificio, Abbiategrasso (MI) · L’Eliografica, Milano · Colorificio Beato Angelico, Milano · Biemme Colori, Cormano (MI) · Urka Import, Busnago (MI) · Fillegno Spa, Concorezzo (MI) · Marelli Maurizio, Milano · Pentacolor, Giussano (MB) · Zinna Giovanni, Lissone (MB) · Colorificio Adige, Milano · Centro Arte, Vigevano (PV) · Nuova Carcolor, S. Martino Siccomario (PV) · Colorificio Lombardo, Bergamo · La Bottega del Colore, Cantù (CO) · Colorificio Vanzulli, Bollate (MI) · C&M di Mazza, Como · Lo-Mar, Bergamo · Colorificio Luinese, Luino (VA) · A. Rebesco Riproduzione Disegni, Busto Arsizio (VA) · Utility, Vergiate (VA) · Colorificio Centrale, Sondrio · Arte Shop, Boltiere (BG) · De Vanna Giovanni, Legnano (MI) · Fratelli Limonta, Casatenovo (LC) · Ideatre, Robbiate (LC) · De Tomasi Angelo Belle Arti, Varese · Colorificio Bresciano, Brescia · Nadia Color, Iseo (BS) · Colorificio Fossati, Brescia · Ingros Carta Giustacchini, Brescia · Effea, Bagnolo Mella (BS) · Valtrompia, Gardone Val Trompia (BS) · Colorificio Lorenzoli, Darfo Boario Terme (BS) · Mariani Fabio, Lissone (MB) · Colorificio De Carli, Varedo (MI) · Punto Arte, Milano · Manzoni Claudio, Milano · Colorificio Iris, Lecco · Colorificio Esseci, Dalmine (BG) · Tiziana De Molli, Angera (VA) · Checchi colori, Gallarate (VA) · Colorificio Gaetano, Chiari (BS) · Colorificio Freddi, Mantova · Colorificio Moderno, Mantova.

TRENTINO ALTO ADIGE L’arte di Laura Paissan, Trento.FRIULI VENEZIA GIULIA Nuova Edilcolor, Trieste · Quadricolor, Trieste · Electa Color Store, Fagagna (UD) · Colori Danilo, Pordenone (PN) · Modesto Colori, Codroipo (UD) · Centro Colori, Gorizia · Belle Arti De Marchi, Cervignano Del Friuli (UD).

VENETO Ciolli Roberta, Sanguinetto (VR) · Zeus, Garda (VR) · Maraia, Verona · Colorificio Alla Porta, Verona · Centro Cornici, Verona · Color Line, Thiene (VI) · Colorificio 2M, Marostica (VI) · Bottega dell’arte, Venezia · Emporio del Colore, Montebelluna (TV) · Arte e Colore, Abano Terme (PD) · Angeloni Fine Arts, Mestre (VE) · L’artificio Battagin, Padova · Colorificio Savna, Padova · Artemisia, Treviso · Comedil Color, Creazzo (VI) · Ruberti - Corradini, Sommacampagna, (VR) · La Beppa, Venezia · Arte e Colore, Spinea (VE).EMILIA ROMAGNA Mesticheria Bolognese, Bologna · La Corniceria, Montecchio Emilia (RE) · Pratico, Lugo (RA) · La Politecnica, Ravenna · Marchesi, Parma · Bazzani, Piacenza · Mesticheria Casadei, Forlì (FC) · Centrocolor, Riccione (RN) · Artart, Bologna · Bazar del Pittore, Bologna · Unicolor, Modena · Corbara Marino, Cesena (FC) · L’artistica, Bologna · Stil Color, Felino (PR) · Punto Color, Ponte Taro Fontevivo (PR) · Colorarte, Parma · Il Pennello, Ferrara · Colorline, Bologna · Maccaferri Arreda Art & Co., Pieve di Cento (BO) · Color Decor, Villamarina di Cesena (FC) · Nerio Colori, Lugo (RA) · Colori in luce, Correggio (RE) · Nonsolobianco, Cattolica (RN) · Color Arte Cornici, Modena.TOSCANA Zecchi Colori Belle Arti, Firenze · Bosi Carlo, Firenze · Casa del Pittore, Livorno · Ditta Vagelli, Pontedera (PI) · Barsotti Giuseppe, Carrara (MS) · Colorificio Cappelli, Empoli (FI) · Ugo Ercoli Belle Arti, Firenze · Paoli, Lucca · Belle Arti Fabrizzi, Poggibonsi (SI) · Effegi, Grosseto · Marsino Vernici Belle Arti, Pistoia · Centro Color, Follonica (GR) · Cartoleria Lory, Firenze · Fratelli Rigacci, Firenze · Mastro Artista, Arezzo · Paperbook, Prato.UMBRIA Montmatre, Perugia · Arti & Colori, Terni · Ferramenta dei Trinci, Foligno (PG) · Arte a Parte, Foligno (PG) · La Nuova Parati, Perugia · Centro Parati, Terni · Bragiola, Perugia · G.T. Color, Fossombrone (PU).MARCHE Cluana Color, Civitanova Marche (MC) · Cartolibreria Botticelli, Porto San Giorgio (AP) · Nuova So.I.Ma., Macerata (MC) · Amicucci Gianpaolo, Urbino (PU) · Angelucci A., Pesaro (PU) · Cartolibreria Buona Stampa, Urbino (PU) · Il Registro, Fabriano (AN) · Colorgroup, Magliano di Tenna (AP) · Libreria Cavour, Macerata · Fratelli Cocchetti, Fermo (AP) · Longhini Vernici, Fano (PU) · Storani Nello, Osimo (AN) · Peverelli Annamaria, Senigallia (AN) · Il matitone, Ascoli Piceno · Irno Rumori & figlio, Ancona · Tuttocolori, San Benedetto del Tronto (AP).LAZIO Sprint, Roma · Gioia Arte, Roma · Vertecchi, Roma · Ditta Funiciello Alfredo, Roma ·Centro Carta Pizzino, Roma · Fratelli Agostinelli, Roma · Fratelli Cavalieri, Nettuno (RM) · Dieffe, Roma · Elioemme, Ciampino (RM) · Agostinelli Arte, Roma · Klimt Art, Viterbo · L’arte del Colore, Roma · Ars Graphica Art-Ware, Frosinone · Office Today, Viterbo · Arte e Creatività, Roma · Malule, Roma · Tipografia Zirizzotti, Frosinone · La Partenope, Roma · Globe di Iannone, Fondi (LT).ABRUZZO Tonino, Teramo · Ottovolante, Teramo · Ferramenta Sisti, Vasto (CH) · Soqquadro, Teramo · Cosmocolor, Montesilvano Sp. (PE) · Eurocolor, Lanciano (CH) · Iacuone, Pescara · Cartoleria dello stadio, San Salvo (CH) · Multicolor, Pescara.MOLISE Tecnocolor, Campobasso.CAMPANIA Giosi, Napoli · La Boheme, Scafati (SA) · Color Mix by MP, Atripalda (AV) · Perrone Alfredo, Battipaglia (SA) · Meddi, S. Maria Capua Vetere (CE) · Cartolibreria Iannelli, Benevento · Figliolia Giovanni, Salerno · Volpe Monica, Pozzuoli (NA) · Visal, Pomigliano D’arco (NA) · Pentacolor, Vallo della Lucania (SA) · Delart, S. Giovanni Vesuviano (NA) · Ferramenta Ferrente Aniello, Torre del Greco (NA) · Termoelettra Giordano, Torre Annunziata (NA) · DG Computers, Benevento · Cucciniello Salvatore, Salerno · Colori & Decori, Lioni (AV).PUGLIA Lotito Gaetano, Foggia · La Libreria, Monopoli (BA) · Cornici Paglia, Foggia · Comar, Lecce · Galli Francesco, Taranto · Galleria Belle Arti, Lecce · D’Ambrosio Vincenzo, Trani (BT) · Artecolor, Foggia · Piccoli Vittorio Color Casa, Manfredonia (FG).CALABRIA Casa del Colore, Vibo Valentia · Fantasie d’arte, Catanzaro · La Sfera, Catanzaro Lido.SICILIA Punto Arte, Noto (SR) · A.G. Cornici, Caltagirone (CT) · Sabatino Prodotti Siderurgici, Enna · Color Shop, Giarre (CT) · Rifatto Rosetta, S. Teresa di Riva (ME) · Arredabrico, Comiso (RG) · Fratelli Baglione, Barcellona (ME) · Cicero, Modica e Ragusa · Morganti Giuseppe, Vittoria (RG) · Leonino Giuseppe, Capo d’Orlando (ME) · Belle Arti, Milazzo (ME) · Art Fantasy, Palermo · Cavallaro Ferramenta, Palermo · Arti e Grafica, Bagheria (PA) · Arte e Hobby, Messina · Artisticamente, Acireale (CT) · Cartolibreria Troisi Loredana, Agrigento · Libreria Pirola Maggioli, Favara (AG) · Tuttocolori, Grammichele (CT) · Masag, Partinico (PA) · Saladino Settimo, Palermo.SARDEGNA Cadoni Sergio, Oristano · Incas Pisano, Cagliari · Cartaria Valdy, Cagliari · Fa.Bri. Color, Sassari · Soru Margherita, Macomer.

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