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Analisi Reale, Parte I C.L. in Matematica e Matematica per le Applicazioni Universit` a di Milano Anno Accademico 2007-2008 Kevin R. Payne September 28, 2007

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Analisi Reale, Parte IC.L. in Matematica e Matematica per le Applicazioni

Universita di Milano

Anno Accademico 2007-2008

Kevin R. PayneSeptember 28, 2007

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Capitolo 1

Differenziazione ed Integrazione

1.1 Introduzione.

In questo primo capitolo vogliamo analizzare i legami tra l’integrabilita nel senso di Lebesgue e ladifferenziabilita nel senso classico per le funzioni misurabili secondo Lebesgue. In questo senso,abbiamo due obiettivi concreti.

1.1.1. Obiettivi:

1. Dare una risposta parziale alla domanda sulle possibili generalizzazioni del Teorema Fon-damentale del Calcolo Integrale nel contesto della teoria di Lebesgue. Sara mostrato chegli integrali indefiniti (definiti in senso opportuno) di funzioni integrabili secondo Lebesguesono differenziabili quasi ovunque, e, nel caso unidimensionale, sara precisato per quali fun-zioni possiamo calcolare l’integrale tramite la differenza agli estremi di una sua primitiva. Inquesto senso, abbiamo voglia di chiudere un discorso che rimane aperto dal corso di AnalisiIV. Nel corso di questa investigazione, appariranno nuovi spazi funzionali, le funzioni divariazione limitata e le funzioni assolutamente continue.

2. Fornire nuove tecniche di Analisi Reale per lo studio delle proprieta fini di funzioni. Cosı,vogliamo aprire la porta al uso di concetti della teoria della misura che sostituiscono iconcetti topologici familiari di compatezza, interno, esterno, bordo, etc.. Questo approcciosta alle base di tanti problemi di Analisi Armonica, Calcolo della Variazione, Equazionialle Derivate Parziali ed altro.

Per cominciare il discorso, partiamo da due risultati ben noti da Analisi II.

1.1.2. Proposizione: Sia [a, b] ⊂ R.

a) Se f ∈ R([a, b]) (integrabile secondo Riemann) allora F (x) :=∫ xa f(y) dy e Lip([a, b]) e vale

F ′(x) = f(x) in ogni punto x di continuita per f .

b) Se f ∈ C0([a, b]) allora

limh→0+

12h

∫ x+h

x−hf(y) dy = f(x), ∀x ∈ (a, b).

Si nota che la prima affermazione riguarda la regolarita di una funzione integrale e sara inquadratacome la questione della differenziabilita dell’integrale indefinito. Mentre la seconda affermazione

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 2

riguarda il problema delle medie, ovvero, la questione se le medie locali tendono al valore dellafunzione in x quando si calcola lungo una famiglia di intorni che tenda al punto x.

1.1.3. Problema: Cosa succede per:

i) f ∈ L([a, b]) (integrabile secondo Lebesgue)?

ii) dimensione superiore?

Per il problema delle medie e chiaro che cosa si intende per entrambi casi i) e ii). Invece, per laquestione della differenziabilita dell’integrale indefinito, abbiamo bisogno di specificare che cosaprendera il posto della funzione integrale F (x) nel caso ii). Inoltre, per il caso i), avra sensochiederci anche quando vale ∫ b

af(x) dx = F (b)− F (a).

Concludiamo questa breve introduzione fissando qualche notazione che sara usata nel seguito:

• Br(x) e Br(x) sono la palla aperta e la palla chiusa con raggio r > 0 e centro in x ∈ Rn

• Sr(x) = ∂Br(x) e la sfera di raggio r e centro x

• M(Rn) e la σ-algebra di insiemi misurabili secondo Lebesgue e M(A) sono gli sottoinsiemimisurabili di A ∈M(Rn)

• |E| e la misura (di Lebesgue) di E ∈M(Rn)

• |E|e e la misura esterna (di Lebesgue) per E ⊂ Rn

• αn = |B1(0)| e misura della palla unitaria e ωn = |S1(0)|n−1 e la misura di superficie dellasfera unitaria

• L(A) = L1(A) e lo spazio di funzioni integrabili secondo Lebesgue su A ∈M(Rn)

• ∫A f dx =

∫A f(x) dx e l’integrale di f ∈ L(A) rispetto alla misura di Lebesgue

1.2 L’integrale indefinito

Come primo passo, ci chiediamo in che modo possiamo generalizzare il concetto dell’integraleindefinito (vedi Proposizione 1.1.2.a) al caso di dimensione n ≥ 2. Una possibile risposta efornita dal seguente formula: sia f ∈ L(R2), poniamo

F (x1, x2) =∫ x1

a1

∫ x2

a2

f(y1, y2) dy2dy1. (1.2.1)

Cioe, questo e un tentativo di definire F nel punto (x1, x2). Pero, per un certo numero di motivi,questa non e una buona idea. Invece, e piu utile avere la nostra funzione integrale definita suuna collezione di insiemi.

1.2.1. Definizione: Sia f ∈ L(A) con A ∈ M(Rn). Si chiama integrale indefinito di fl’applicazione F : M(A) → R definita da

F (E) :=∫

Ef(y) dy, E ∈M(A). (1.2.2)

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 3

1.2.2. Osservazione: F cosı definita e una funzione (additiva) di insiemi, cioe, F : Σ → Rdove

i) Σ e un σ-algebra di insiemi;

ii) F (E) < +∞ per ogni E ∈ Σ;

iii) E =⋃

k∈NEk, {Ek} ⊂ Σ disgiunti =⇒ F (E) =∑

k∈N F (Ek).

N.B. Vedi cap. 10 di Wheeden-Zygmund [11] per un trattamento piu esteso e piu astratto delconcetto di funzioni di insiemi.Abbiamo delle buone proprieta per le funzioni additive di insiemi, per cui ci serve prima delledefinizioni generali.

1.2.3. Definizione: Una funzione additiva di insiemi si chiama continua ◦⇐⇒ |F (E)| → 0 sediam(E) → 0; cioe

∀ε > 0 ∃δ = δ(ε) > 0 : E ∈ Σ,diam(E) < δ =⇒ |F (E)| < ε. (1.2.3)

Uno puo chiedersi se l’uso della parola continua e giustificabile. Lo e come mostra il seguentefatto.1.2.4. Esercizio Sia F : Σ → R una funzione (additiva) di insiemi. Mostrare che se F e continuanel senso (1.2.3) allora

∀ε > 0 ∃ δ > 0 : E1, E2 ∈ Σ con diam(E1∆E2) < δ ⇒ |F (E1)− F (E2)| < ε, (1.2.4)

dove E1∆E2 = (E1 \ E2) ∪ (E2 \E1) e la differenza simmetrica di E1 e E2.Non tutte le funzioni additive di insiemi sono continue come si vede dal seguente esempio.

1.2.5. Esempio: Sia A ∈M(Rn) con 0 ∈ A. Definiamo F : M(Rn) → R via

F (E) ={

1 se 0 ∈ E0 altrimenti.

Allora F e una funzione additiva di insiemi ma non e continua.Un concetto piu forte usa la misura |E| di E anziche il diametro.

1.2.6. Definizione: Una funzione additiva di insiemi si chiama assolutamente continua rispettoalla misura di Lebesgue ◦⇐⇒ |F (E)| → 0 se |E| → 0; cioe

∀ε > 0 ∃δ = δ(ε) > 0 : E ∈ Σ, |E| < δ =⇒ |F (E)| < ε. (1.2.5)

1.2.7. Osservazione: Una funzione di insieme assolutamente continua e continua, ma non valeil contrario, in generale.La prima implicazione dipende dal fatto che diam(E) piccolo =⇒ |E| piccolo. In particolare, sediam(E) < ν allora E e contenuto in Bν(x0) una palla aperta di raggio ν e centro in x0 ∈ Rn.Quindi, |E| < α(n)νn dove α(n) = |B1(0)|. Invece, non vale, in generale, il contrario.

1.2.8. Esempio: Siano A = [0, 1]× [0, 1] e D = {(x, x) ∈ A} il diagonale in A. Sia

Σ = {E ⊂ A : E e misurabile, E ∩D e linearmente misurabile},

cioe, E⋂

D puo essere identificato con un sottoinsieme E1 di R e si chiede che E1 ∈ M(R).Definiamo F (E) := |E ∩ D|1 = |E1|1. Allora F e continua (perche ?) ma non assolutamente

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 4

continua. Esistono E con |E|2 arbitrariamente piccola ma |E ∩ D|1 limitato dal basso da unacostante positiva (ad esempio?).

Il risultato principale di questo paragrafo e il seguente teorema sulla regolarita dell’integraleindefinito.

1.2.9. Teorema: Sia f ∈ L(A) con A ∈ M(Rn). Allora l’integrale indefinito F di f e assolu-tamente continua.

Dimostrazione:

1. Possiamo assumere f ≥ 0; altrimenti, si considera la parte positiva f+ e la parte negativaf− di f . Ricordiamo che

f+(x) := max{f(x), 0}, f−(x) = max{0,−f(x)}, f(x) = f+(x)− f−(x).

2. Per f ≥ 0, spezziamo f = Tkf + (f − Tkf) con un taglio a quota k (con k da scegliere inmodo opportuno). Piu precisamente poniamo

gk(x) := Tkf(x) :={

f(x) se f(x) ≤ kk se f(x) > k

Quindi, abbiamo anche

hk(x) := f(x)− Tkf(x) ={

0 se f(x) ≤ kf(x)− k se f(x) > k

Abbiamo 0 ≤ gk ↗ f , e, quindi, per il Teorema di Beppo-Levi (convergenza monotona),abbiamo

∫A gk dx ↗ ∫

a f dx, ovvero,∫A hk dx ↘ 0 per k → +∞. Quindi, ∀ε > 0 ∃k = k(ε)

t.c.

0 ≤∫

Ahk(x) dx =

A(f(x)− Tkf(x)) dx < ε/2.

Essendo hk ≥ 0, per ogni E ∈M(A), si ha

0 ≤∫

Ehk(x) dx < ε/2. (1.2.6)

3. D’altra parte, 0 ≤ gk = Tk ≤ k, e, quindi

0 ≤∫

Egk(x) dx ≤ k|E| < ε/2, (1.2.7)

per ogni E ∈M(A) con |E| < ε/(2k(ε)). Quindi, usando f = gk + hk e combinando (1.2.6)e (1.2.7), si ha 0 ≤ ∫

E f dx < ε per ogni ε > 0, e, quindi, il risultato.

¤

1.2.10. Osservazione: C’e un risultato inverso del Teorema 1.2.9: Sia F e una funzioneadditiva di insiemi t.c. F e assolutamente continua rispetto alla misura di Lebesgue. Alloraesiste f ∈ L(A) t.c. F (E) =

∫E f(x) dx per ogni E ∈M(A).

Questo risultato e una versione del Teorema di Radon-Nikodym (vedi Cap. 10 di [11], per es-empio). Faremo il caso unidimensionale nel paragrafo 1.10. Un’altra versione del Teorema diRadon-Nikodym sara usata nel paragrafo 2.9.

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 5

1.3 Il Teorema di Differenziazione di Lebesgue

Il nostro obiettivo e di studiare la differenziabilita dell’integrale indefinito, ovvero, il problemadelle medie.

1.3.1. Domanda: Siano f ∈ L(Rn) e B la famiglia di palle aperte B t.c. x ∈ B. E vero che

F (B)|B| =

1|B|

Bf(y) dy → f(x), per |B| → 0? (1.3.1)

Quando abbiamo la proprieta (1.3.1) diciamo che l’integrale indefinito e differenziabile in x conderivata f(x) e scriviamo

lim|B|→0

x∈B

F (B)|B| = lim

|B|→0

x∈B

1|B|

Bf(y) dy = f(x). (1.3.2)

N.B.

1. La proprieta (1.3.2) vuol dire: per ogni ε > 0 esiste δ = δ(ε, x, f) t.c.

B ∈ B, |B| < δ =⇒∣∣∣∣

1|B|

Bf(y) dy − f(x)

∣∣∣∣ < ε (1.3.3)

2. Abbiamo seguito la definizione usato da Stein-Shakarchi [9] quando abbiamo scelto lafamiglia B di palle con contengono x. Invece, Wheeden-Zygmund [11] usano la famigliaQ di cubi con lati paralleli alle asse con centro in x. Le due definizioni sono equivalenticome avremo modo di mostrare nel paragrafo 5.

1.3.2. Osservazione: essendo che F (B) non cambia se cambiamo f su un insieme di misuranulla, non possiamo aspettare che valga (1.3.1) ovunque, solo che valga quasi ovunque (q.o).

Il risultato principale del capitolo e il seguente teorema che ci impegnera per un po.

1.3.3. Teorema (di Differenziazione di Lebesgue): Sia f ∈ L(Rn). Allora l’integraleindefinito F di f e differenziabile con derivata f per quasi ogni x ∈ Rn; cioe,

lim|B|→0

x∈B

1|B|

Bf(y) dy = f(x), q.o. x ∈ Rn.

1.3.4. Esercizio: Trovare qualche esempio “onesto” che mostra che la conclusione del Teorema1.3.3 non vale ovunque; cioe un f ∈ L1(Rn) per cui il limite non esiste (o non esiste finito)ovunque. Cosı, non c’e’ modo di cambiare f in un punto per ricuperare il risultato.

1.3.5. Osservazione: Il teorema (TDL) vale sicuramente per f ∈ C0(Rn).

Infatti, abbiamo∣∣∣∣

1|B|

Bf(y) dy − f(x)

∣∣∣∣ =1|B|

∣∣∣∣∫

B[f(y)− f(x)] dy

∣∣∣∣

≤ supy∈B

|f(y)− f(x)| → 0, per |B| → 0,

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 6

per la continuita uniforme di f su ogni palla chiusa e piccola. Quindi, un’idea potrebbe esseredi approssimare f mediante funzioni continue e di controllare il resto. Qui, nascono delle nuovetecniche. In particolare, la funzione massimale di Hardy-Littlewood ed argomenti di ricopri-mento di Vitali. Invece di preparare prima il terreno per la dimostrazione, preferiamo “scoprire”perche nascono questi strumenti nel contesto della dimostrazione. Quindi, cominciamo subito ladimostrazione, e, poi, con la calma sistemeremo tutto.

Dimostrazione (del TDL): Sia f ∈ L(Rn).

Passo 1: Basta mostrare che: per ogni α > 0 si ha |Eα| = 0 dove

Eα :=

x ∈ Rn : lim sup

|B|→0

x∈B

∣∣∣∣1|B|

Bf(y) dy − f(x)

∣∣∣∣ > 2α

.

Infatti, perche allora:

1. E :=⋃+∞

k=1 Ek ha misura nulla.

2. Ponendo

|Φ(B)| :=∣∣∣∣

1|B|

Bf(y) dy − f(x)

∣∣∣∣ , (1.3.4)

vogliamo mostrare che sul complemento di E abbiamo lim|B|→0

x∈B|Φ(B)| = 0 usando il con-

trollo che abbiamo sul limite superiore di |Φ(B)|. Ricordiamo che

lim sup|B|→0

x∈B

|Φ(B)| := limδ→0+

(sup

{B:|B|<δ,x∈B}|Φ(B)|

)= inf

δ>0

(sup

{B:|B|<δ,x∈B}|Φ(B)|

). (1.3.5)

3. Su Ec = Rn \E si ha

lim sup|B|→0

x∈B

∣∣∣∣1|B|

Bf(y) dy − f(x)

∣∣∣∣ ≤2k, ∀k ∈ N

e, quindi,

lim sup|B|→0

x∈B

∣∣∣∣1|B|

Bf(y) dy − f(x)

∣∣∣∣ = 0, ∀x ∈ Ec.

Cioe, abbiamo lim sup|B|→0 |Φ(B)| = 0, e, abbiamo 0 ≤ lim inf |Φ(B)| ≤ lim sup |Φ(B)| = 0;cioe, esiste ed e zero il limite di |Φ(B)| per ogni x /∈ E.

Passo 2: (Approssimare f con g ∈ C00 (Rn)).

Lemma 1: Per ogni ε > 0 esiste g = gε ∈ C00 (Rn) t.c. ||f − g||L1(Rn) < ε.

Questo e un risultato di Analisi IV ed e Lemma 7.2 in [11] dove si puo consultare la dimostrazione.Ricordiamo solo che C0

0 (Rn)e lo spazio di funzioni continue con supporto compatto e ||f ||L1(Rn) =∫Rn |f(x)| dx. In particolare, esiste una successione {gk} ⊂ C0

0 (Rn) t.c. ||f − gk||L1(Rn) → 0 perk → +∞.

Passo 3 (Usare gε per spezzare Eα).

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 7

1. Con α > 0 e ε fissati, scegliamo g = gε secondo Lemma 1. Abbiamo

1|B|

Bf(y) dy − f(x) =

1|B|

B[f(y)− g(y)] dy +

1|B|

B[g(y)− g(x)] dy + [g(x)− f(x)]

Usando la disuguaglianza triangolare e l’Osservazione 1.3.5 (g e continua) sul secondo ter-mine, si trova

lim sup|B|→0

x∈B

∣∣∣∣1|B|

Bf(y) dy − f(x)

∣∣∣∣ ≤ lim sup|B|→0

x∈B

1|B|

B|f(y)− g(y)| dy + |g(x)− f(x)| (1.3.6)

2. Adesso vogliamo scambiare il problema di controllare il limite superiore nel membro destrodi (1.3.6) con quello piu semplice di controllare l’estremo superiore. Quindi, possiamoaffermare

lim sup|B|→0

x∈B

∣∣∣∣1|B|

Bf(y) dy − f(x)

∣∣∣∣ ≤ sup{B:x∈B}

1|B|

B|f(y)− g(y)| dy + |g(x)− f(x)| ,

ovvero,

lim sup|B|→0

x∈B

∣∣∣∣1|B|

Bf(y) dy − f(x)

∣∣∣∣ ≤ (f − g)∗ (x) + |g(x)− f(x)| , (1.3.7)

dovef∗(x) := sup

{B:x∈B}

1|B|

B|f(y)| dy

e la funzione massimale di Hardy-Littlewood.

3. Abbiamo x ∈ Eα ⇐⇒ il membro sinistro di (1.3.7) e maggiore di 2α. Quindi, poniamo

E∗α = {x : (f − g)∗(x) > α} e Eα = {x : |f − g|(x) > α}, (1.3.8)

e abbiamo Eα ⊂ E∗α∪ Eα. Quindi, il teorema si riduce all’affermazione che |E∗

α| = 0 = |Eα|.

Passo 4: Si ha |Eα| = |{x : |f(x)− g(x)| > α}| ≤ ε/α per ogni ε > 0.Infatti, usando la disuguaglianza di Tchebychev (vedi Cor. 5.12 di [11]):

f ∈ L1(Rn) =⇒ |{x ∈ Rn : |f(x)| > α}| ≤ 1α

Rn

|f(x)| dx, ∀α > 0,

si trova |Eα| ≤ α−1||f − g||L1(Rn) < ε/α, per la scelta di g = gε.

Passo 5: ∃A > 0 t.c. |E∗α| = |{x : (f(x)− g(x))∗| > α}| ≤ Aε/α per ogni ε > 0.

Infatti, basta usare la disuguaglianza di Hardy-Littlewood (vedi il paragrafo successivo):

f ∈ L1(Rn) =⇒ ∃A > 0 t.c. |{x ∈ Rn : f∗(x) > α}| ≤ A

α

Rn

|f(x)| dx, ∀α > 0,

e la scelta di g = gε come nel Passo 4.Quindi, per ogni α > 0, abbiamo |Eα| ≤ ε(1 + A)/α, per ogni ε > 0. Quindi, |Eα| = 0 per ogniα > 0, e abbiamo finito. ¤

1.3.6. Osservazione: Nella dimostrazione del Teorema di Differenziazione di Lebesgue datasopra, abbiamo ridotto tutto alla validita della disuguaglianza di Hardy-Littlewood.

Questa disuguaglianza sara il soggetto del prossimo paragrafo, dove studiamo la funzione massi-male e le sue proprieta.

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 8

1.4 La funzione massimale di Hardy-Littlewood

In questo paragrafo, vogliamo esaminare la funzione massimale e le sue proprieta in preparazioneper la dimostrazione della disuguaglianza di Hardy-Littlewood che abbiamo citato nella di-mostrazione del Teorema di Differenziazione di Lebesgue.

1.4.1. Definizione: Sia f ∈ L(Rn). La funzione massimale di Hardy-Littlewood associata ad fe definita da

f∗(x) := sup{B: x∈B}

1|B|

B|f(y)| dy, (1.4.1)

dove B ∈ B, la famiglia di palle aperte per cui x ∈ B.

Si nota che f∗ da una misura sulla grandezza delle medie di |f | attorno ad x. Vogliamo avereuna stima che dice che la misure dei sopra-livelli di f∗ sono ben controllate dalla norma in L1.Per cominciare, enunciamo qualche proprieta semplice.

1.4.2. Proposizione: Sia f ∈ L(Rn). Allora:

(a) 0 ≤ f∗(x) ≤ +∞(b) (f + g)∗(x) ≤ f∗(x) + g∗(x), ∀g ∈ L(Rn)

(c) (cf)∗(x) = |c|f∗(x), ∀c ∈ R(d) f∗(x0) > α =⇒ f∗(x) > α, ∀x vicino ad x0

Dimostrazione: Le affermazioni (a), (b), (c) sono facili, e lasciamo la loro verifica per esercizio.Per la (d), notiamo che: f∗(x0) > α =⇒ ∃B con x0 ∈ B t.c. |B|−1

∫B |f(y)| dy > α. Ma, per

ogni x vicino ad x0 abbiamo anche x ∈ B, e, quindi f∗(x) > α. ¤

N.B. La proprieta (d) segue direttamente dalla Definizione 1.4.1 in cui abbiamo usato le palleB che contengono x. Invece, usando la definizione di Wheeden-Zygmund in cui si usa cubi concentro in x, la verifica della (d) non e immediata. Si sfrutta la continuita in senso assolutodell’integrale indefinito (Teorema 1.2.9).

1.4.3. Teorema (disuguaglianza di Hardy-Littlewood) Sia f ∈ L(Rn). Allora:

(a) f∗ e misurabile

(b) f∗(x) < +∞ per q.o. x ∈ Rn

(c) ∀α > 0 si ha

|{x ∈ Rn : f∗(x) > α}| ≤ 3n

α||f ||L1(Rn) (1.4.2)

Dimostrazione:

1. Per la (a), notiamo che la proprieta (d) della Proposizione 1.4.2 implica che (f∗)−1 (α, +∞]e un insieme aperto, e, quindi f∗ e semicontinua inferiormente. Quindi, f∗ e misurabileperche gli insiemi aperti sono misurabile secondo Lebesgue; cioe e una misura di Borel (vedi.Cor. 4.16 di [11] per considerazioni sulle funzioni semicontinue e Capitolo 2 di [8] per lateoria di misure di Borel).

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 9

2. Abbiamo che (c) =⇒ (b). Infatti, per ogni α > 0 si ha

{x ∈ Rn : f∗(x) = +∞} ⊂ {x ∈ Rn : f∗(x) > α}

e, quindi, se vale la (c), abbiamo per ogni α > 0:

|{x ∈ Rn : f∗(x) = +∞}| ≤ 3n

α||f ||L1(Rn).

Si ottiene la (b) mandando α → +∞.

3. Per la (c), poniamo E∗α := {x ∈ Rn : f∗(x) > α} e vogliamo |E∗

α| ≤ 3nα−1||f ||L1(Rn). Perogni x ∈ E∗

α esiste una palla Bx t.c. x ∈ Bx e

1|Bx|

Bx

|f(y)| dy > α, ovvero, |Bx| < 1α

Bx

|f(y)| dy. (1.4.3)

Ricordiamo che E∗α e aperto, quindi, possiamo calcolare la sua misura di Lebesgue via

|E∗α| = sup{|K| : K ⊂ E∗

α, K compatto}.

Questa proprieta e la regolarita interna che ha ogni misura di Borel (vedi Capotolo 2 di[8] oppure paragrafo 1.2 di [6]). Fissiamo K ⊂ E∗

α compatto ma arbitrario. Quindi, Ke ricoperto da una collezione finita B = {B1, . . . , BN} di palle che contengono qualchexj ∈ E∗

α e soddisfano (1.4.3). Adesso abbiamo bisogno di un argomento di ricoprimentoapprossimativo, ovvero, il seguente lemma che dice che possiamo ricoprire una frazione fissa(dell’insieme coperto da B) usando palle disgiunte in B.

1.4.4. Lemma (di ricoprimento di Vitali - versione finita) Sia B = {B1, . . . , BN}una collezione finita di palle aperte in Rn. Allora esiste una sottocollezione {Bi1 , . . . , Bik}di palle disgiunte t.c.

∣∣∣∣∣N⋃

i=1

Bi

∣∣∣∣∣ ≤ 3nk∑

l=1

|Bil | (1.4.4)

Assumendo questo lemma, da B, scegliamo {Bi1 , . . . , Bik} per cui valgono (1.4.3) per ogniBil e (1.4.4). Si ha

|K| ≤∣∣∣∣∣

N⋃

i=1

Bi

∣∣∣∣∣ ≤ 3nk∑

l=1

|Bil | ≤3n

α

∫S

Bil

|f(y)| dy

≤ 3n

α

Rn

|f(y)| dy

Quindi, per ogni compatto K ⊂ E∗α abbiamo |K| ≤ 3nα−1||f ||L1(Rn), un maggiorante

uniforme rispetto a K arbitrario. Quindi, si ha

|E∗α| ≤

3n

α||f ||L1(Rn),

e, quindi, la (c), modulo la dimostrazione del Lemma 1.4.4.

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 10

¤

Dimostrazione: (del Lemma 1.4.4)Si basa sostanzialmente sulla seguente osservazione geometrica: Siano B, B due palle aperte t.c.B ∩ B 6= ∅ con la relazione r(B) ≥ r(B) fra i loro raggi. Allora B ⊂ 3B dove 3B e la palla conlo stesso centro ma il raggio 3r(B). Infatti, se B = Br(x) e B = Br(x), si ha

supy∈B

d(x, y) ≤ 2r + r ≤ 3r.

L’algoritmo per scegliere la sottocollezione e il seguente:

1. Scegliamo Bi1 la palla in B di raggio massimale. Togliamo da B tutte le palle con intersezionenon vuoto con Bi1 . Tutte queste palle sono contenute in 3Bi1 per l’osservazione sopra.Chiamiamo B1 la nuova ridotta collezione.

2. Ripetiamo passo 1, eliminando da B1 la sua palla di raggio massimale Bi2 e tutte quellecon intersezione non vuoto con Bi2

Dopo al piu N passi, abbiamo la nostra collezione {Bi1 , . . . , Bik}, con k ≤ N .

3. Ogni B ∈ B ha intersezione con qualche Bij e si ha r(B) ≤ r(Bij ). Quindi, per l’osservazionegeometrica, B ⊂ 3Bij , e, quindi

∣∣∣∣∣N⋃

i=1

Bi

∣∣∣∣∣ ≤∣∣∣∣∣∣

k⋃

j=1

(3Bij

)∣∣∣∣∣∣≤

k∑

l=1

|3Bil | ≤ 3nk∑

l=1

|Bil | .

Quindi, abbiamo Lemma 1.4.4 (Lemma di Vitali), e, quindi Teorema 1.4.3 (disuguaglianzadi Hardy-Littlewood, e, quindi Teorema 1.3.3 (di differenziazione di Lebesgue).

¤

1.4.5. Domande: Sia f ∈ L(Rn).

1. Relazioni tra f e f∗?

2. Esempi di f∗?

3. Interpretazione della disuguaglianza di Hardy-Littlewood?

1.4.6. Osservazione: Sia f ∈ L(Rn). Allora

f∗(x) ≥ |f(x)| per q.o. x ∈ Rn.

Infatti, applicando il TDL a |f | ∈ L(Rn), si ha

lim|B|→0

x∈B

Φ(B) = lim|B|→0

x∈B

1|B|

B|f(y)| dy = |f(x)| per q.o. x ∈ Rn,

dove abbiamo chiamato Φ(B) la media di |f | su B. Quindi, si ha: per q.o. x ∈ Rn,

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 11

|f(x)| = lim sup|B|→0

x∈B

Φ(B) = infδ>0

sup{B: |B|<δ,x∈B}

Φ(B)

≤ sup{B: |B|<δ,x∈B}

Φ(B), ∀δ > 0

≤ sup{B: x∈B}

Φ(B) := f∗(x).

N.B. Non e detto che f∗(x) ≥ |f(x)| per ogni x; per esempio,

f(x) ={

1 x = 00 x 6= 0

e una funzione su R con f = 0 q.o., e, quindi, tutte le sue medie sono nulle. Quindi, f∗ ≡ 0, maf(0) = 1 > f∗(0).

1.4.7. Osservazione: Confrontando la disuguaglianza di Hardy-Littlewood:

|{x ∈ Rn : f∗(x) > α}| ≤ 3n

α

Rn

|f(x)| dx, α > 0

con la disuguaglianza di Tchebychev per |f |,

|{x ∈ Rn : |f(x)| > α}| ≤ 1α

Rn

|f(x)| dx, α > 0,

si puo dire che “f∗ non e molto piu grande di |f |” nel senso della misura dei loro sopralivelli.

D’altre parte, nel senso dei loro integrali, f∗ e molto piu grande di f .

1.4.8. Proposizione: Sia f ∈ L(Rn). Allora:

f∗ ∈ L(Rn) ⇐⇒ f = 0 q.o. x ∈ Rn.

Infatti, abbiamo gia visto l’implicazione⇐=. Per l’implicazione =⇒, sara lasciato per un esercizioguidato (vedi Esercizi 1.4.11 - 1.4.14), che comincia con un esempio.

1.4.9. Esempio: Trovare f∗ per f(x) = χI(x), la funzione caratteristica di I = (−1, 2) ⊂ R.Verificare che f∗ /∈ L(R).

• Si ha f∗(x) = χ∗I(x) = sup{|I ∩ B|/|B| : x ∈ B}. Per ogni B ⊂ I, si ha |I ∩ B|/|B| = 1.D’altre parte, se B \ I 6= ∅, allora I ∩B ⊂ B, e, quindi |I ∩B|/|B| ≤ 1.

• Adesso, se x ∈ I si ha f∗(x) = 1 (la media locale massimale e uno).

• Se x < −1, si vede che la media locale e piu grande quando B copre tutto I, cioe, il limiteper ε → 0 di Bε = (x− ε, 2 + ε), e, quindi f∗(x) = 3/(2− x).

• Se x > 2, si trova, in modo analogo, f∗(x) = 3/(x + 1).

• Con la formula esplicita, e chiaro che f∗ /∈ L(R).

1.4.10. Osservazione: Abbiamo visto allora:

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 12

(a) Mf(x) := f∗(x) definisce un operatore l’operatore massimale di Hardy-Littlewood t.c.

M : L1(Rn) → mis+(Rn),

dove mis+(Rn) e lo spazio di funzioni misurabili, non-negative, finite q.o.

(b) Si ha Mf ∈ L1(Rn) =⇒ f = 0 q.o.. Quindi, M non e un operatore da L1(Rn) in L1(Rn).

(c) Invece, vale la stima:

|{x ∈ Rn : Mf(x) > α}| ≤ 3n

α||f ||L1(Rn), (1.4.5)

ovvero, una stima debole-L1.

Cioe, si puo dire che f∗ e una funzione debole-L1, dove g e debole-L1 se esiste C > 0 t.c.

|{x ∈ Rn : g(x) > α}| ≤ C

α. (1.4.6)

La disuguaglianza di Tchebychev mostra che g ∈ L1(Rn) e debole-L1, ma non vale il contrario.Quindi, il decadimento ∼ α−1 (della misura dei sopralivelli a quota α) e una condizione necessaria,ma non sufficiente, per avere g ∈ L1(Rn). Inoltre, questa condizione necessaria non puo essereindebolita, cioe, esistono funzioni g per cui

|{x ∈ Rn : g(x) > α}| ≤ C

α1−ε, ε > 0

ma g /∈ L1(Rn). Queste considerazioni spiegano la terminologia.

Per concludere il paragrafo, proponiamo qualche esercizio legato alla Proposizione 1.4.8.

1.4.11 Esercizio: Sia f definita da

f(x) =

x + 1 se x ∈ [−1, 0]1− x se x ∈ [0, 1]

0 altrimenti

(a) Calcolare la funzione massimale di Hardy-Littlewood f∗ associata ad f (vedi Def. 1.4.1).

(b) Verificare che f∗ /∈ L(R1).

1.4.12. Esercizio: Sia f definita da

f(x) ={

1/[|x|log2(1/|x|)] se |x| ≤ 1/2

0 altrimenti

a) Verificare che f ∈ L(R1).

b) Verificare che esiste c > 0 t.c.

f∗(x) ≥ c

|x|log(1/|x|) , |x| ≤ 1/2

e quindi f∗ /∈ L1loc(R1).

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 13

1.4.13. Esercizio: Sia f ∈ L(Rn).

a) Considerare g(x) = [τx0f ](x) := f(x − x0) la traslata di f per x0 ∈ Rn. Verificare chel’operatore massimale commuta con le traslazioni; cioe

g∗(x) = [τx0f ]∗(x) = [τx0f∗](x).

b) Sia f ∈ L(Rn) radiale; cioe f(x) = g(|x|) per qualche g. Mostrare che anche f∗ e radiale.

1.4.14. Esercizio: Siano E ∈M(Rn) un insieme misurabile secondo Lebesgue e χE la funzionecaratteristica di E.

a) Con E = Br(0), mostrare che esistono costanti c1, c2 > 0, R > 0 tali che

c1|E||x|n ≤ χ∗E(x) ≤ c2

|E||x|n , |x| > R

e quindi χ∗E /∈ L(Rn).

b) Generalizzare il risultato della parte a) a qualsiasi E misurabile e limitato

c) Concludere chef∗ ∈ L(Rn) ⇒ f(x) = 0 q.o. x ∈ Rn.

1.5 Generalizzazioni ed applicazioni del TDL

In questo paragrafo vogliamo fornire qualche generalizzazione e qualche applicazione del Teoremadi Differenziazione di Lebesgue. La prima generalizzazione riguarda l’ipotesi sulla funzione f . Echiaro che l’integrabilita e necessaria solo in senso locale.

1.5.1. Teorema (TDL per funzioni localmente integrabili): Sia f ∈ L1loc(Rn). Allora:

lim|B|→0

x∈B

1|B|

Bf(y) dy = f(x), q.o. x ∈ Rn.

Dimostrazione: Sia R > 0 fisso, ma arbitrario. Poniamo

fR(x) ={

f(x) |x| ≤ R0 |x| > R

Si ha fR ∈ L1(Rn) e, quindi, vale il TDL per fR, ovvero,

lim|B|→0

x∈B

1|B|

BfR(y) dy = fR(x), q.o. x ∈ Rn.

Adesso, per x ∈ BR(0), f = fR e, quindi, abbiamo la tesi per q.o. x ∈ BR(0), ma R e arbitrario.¤.

Da questa versione, segue una descrizione della natura degli insiemi misurabili; in particolare, seE ∈M(Rn) allora χE ∈ L1

loc(Rn), e, quindi,

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 14

χE(x) = lim|B|→0

x∈B

1|B|

BχE(y) dy = lim

|B|→0

x∈B

|E ∩B||B| , q.o. x ∈ Rn. (1.5.1)

Si distingue i punti x per cui il limite in (5.1) vale 1 e 0.

1.5.2. Definizione: Sia E ∈M(Rn). Si chiama x ∈ E un punto di densita (secondo Lebesgue)per E se

lim|B|→0

x∈B

|E ∩B||B| = 1.

Se, invece, il limite vale 0 si chiama x un punto di dispersione (secondo Lebesgue) per E.

N.B. Possiamo affermare le seguenti cose.

1. Se x e un punto di densita per E, allora ogni palla aperta e piccola attorno ad x e quasicoperta da E. Infatti, per ogni α < 1, ma vicino ad 1, esiste B con raggio piccolo, attornoad x, t.c. |B ∩ E| ≥ α|B|; cioe “E copre una frazione α di B”.

2. Non c’e, a priori, un legame fra x ∈ E e x e punto di densita di E. Per esempio,

• Se E = B \ {x}, allora x e un punto di densita fuori di E

• Se E = B1(0)∪{x} con |x| > 1, allora x e un punto di E che non e un punto di densitaper E.

3. Usando l’identita |B| = |B ∩ E| ∪ |B ∩ Ec|, si verifica

• x e un punto di densita per E ⇐⇒ x e un punto di dispersione per Ec

• x e un punto di dispersione per E ⇐⇒ x e un punto di densita per Ec

4. I punti di densita sono “l’interno di E” nel senso della misura (di Lebesgue) e i punti didispersione sono “l’esterno di E” nel senso della misura.

Dal Teorema 1.5.1, segue il seguente descrizione degli insiemi misurabili.

1.5.3. Corollario (punti di densita): Sia E ∈ M(Rn). Allora q.o. x ∈ E e un punto didensita per E e q.o. x ∈ Ec e un punto di dispersione per E.

Il risultato dice che quasi ogni punto di un insieme misurabile sta nell’interno nel senso dellamisura. Inoltre, il TDL fornisce anche uno “sostituto” per il concetto della continuita puntualeper le funzioni localmente integrabili. Infatti, per f ∈ L1

loc(Rn), abbiamo che

lim|B|→0

x∈B

1|B|

B(f(y)− f(x)) dy = 0, q.o. x ∈ Rn.

Il concetto che ci serve e piu forte di questa proprieta.

1.5.4. Definizione: Sia f ∈ L1loc(Rn). Si chiama x un punto di Lebesgue per f se

(i) f(x) e finito

(ii) lim|B|→0

x∈B

1|B|

B|f(y)− f(x)| dy = 0 .

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 15

La collezione di tutti i punti di Lebesgue per f si chiama l’insieme di Lebesgue per f

N.B. Dalla definizione, segue che:

1. x e un punto di Lebesgue =⇒ vale la tesi del TDL nel punto x.

2. Se f e continua in x, allora x e un punto di Lebesgue per f .

1.5.5. Corollario (punti di Lebesgue) Sia f ∈ L1loc(Rn). Allora quasi ogni punto e un punto

di Lebesgue per f ; cioe, si ha

lim|B|→0

x∈B

1|B|

B|f(y)− f(x)| dy = 0.

Dimostrazione: L’idea e di applicare il TDL alla famiglia di funzioni g(x) := |f(x) − r| ∈L1

loc(Rn) con r ∈ Q. Infatti.

1. Per ogni r > 0, il TDL garantisce che esiste Er ∈M(Rn) t.c. |Er| = 0 e

|f(x)− r| = lim|B|→0

x∈B

1|B|

B|f(y)− r| dy, ∀x ∈ Rn \Er. (1.5.2)

Poniamo E =⋃

r∈QEr, e abbiamo |E| = 0.

2. Supponiamo x /∈ E, ovvero, x /∈ Er per ogni r ∈ Q. Supponiamo inoltre che f(x) sia finito.Essendo Q denso in R, dato ε > 0, esiste r = r(ε) t.c. |f(x)− r| < ε. Quindi, abbiamo

1|B|

B|f(y)− f(x)| dy ≤ 1

|B|∫

B|f(y)− r| dy + |f(x)− r| ≤ 1

|B|∫

B|f(y)− r| dy + ε.

(1.5.3)

3. Sfruttando (1.5.2), con x = x /∈ Er e r = r, la (1.5.3) diventa

lim|B|→0

x∈B

1|B|

B|f(y)− f(x)| dy ≤ |f(x)− r|+ ε < 2ε,

ma, ε > 0 e arbitrario e quindi

lim|B|→0

x∈B

1|B|

B|f(y)− f(x)| dy = 0

per ogni x /∈ E per cui f(x) e finita. Ma f localmente integrabile implica che e finita q.o.,e, quindi, la tesi.

¤

Finalmente, vogliamo chiedere se e possibile sostituire le palle aperte con altri insiemi del TDL.La risposta e ovviamente sı, e si base sulla seguente definizione.

1.5.6. Definizione: Sia x ∈ Rn. Una famiglia di insiemi U = {Uλ : λ ∈ Λ} e dettarestringersi regolarmente ad x, oppure, di avere eccentricita limitata in x se

(i) Uλ e misurabile per ogni λ ∈ Λ

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 16

(ii) infλ∈Λ diam(Uλ) = 0

(iii) Esiste C = C(x) > 0 t.c. per ogni U = Uλ esiste una palla aperta B = Br(λ) t.c.

x ∈ B, U ⊂ B, |U | ≥ C|B|.

Raccogliamo qualche osservazione in preparazione per il risultato finale.

1. Negli esempi, spesso Λ = (0,+∞).

2. La condizione (ii) implica che la famiglia ha insiemi di diametro piccolo a piacere.

3. La condizione |U | ≥ C|B| > 0 implica che gli insiemi U ∈ U hanno misura positiva. Spessonegli esempi, U◦ 6= ∅.

4. Per ogni successione {Uk} minimizzante per il diametro, abbiamo diam(Uk) → 0 per k →+∞, si ha |Uk| → 0, e, quindi, |Br(k)| ≤ C−1|Uk| → 0, ma x ∈ Br(k) per ogni k. Quindi,Br(k) → {x}, da cui segue Uk → {x}.

5. Siano Φ : M(Rn) → R una funzione di insiemi e U = {Uλ : λ ∈ Λ} una famiglia di insiemidi eccentricita limitata in x, possiamo definire

limU↘x

Φ(U) = Φ ⇐⇒ ∀ε > 0 ∃ δ > 0 : |U | < δ =⇒ |Φ(U)− Φ| < ε.

1.5.7. Teorema (di Differenziazione di Lebesgue - Versione Generale) Sia f ∈ L1loc(Rn).

Allora, quasi ogni x ∈ Rn e un elemento dell’insieme di Lebesgue. In particolare, per q.o. x ∈ Rn

(a) limU↘x

1|U |

U|f(y)− f(x)| dy = 0

(b) limU↘x

1|U |

Uf(y) dy = f(x)

dove U = {Uλ : λ ∈ Λ} e qualsiasi famiglia di insiemi con eccentricita limitata in x.

Dimostrazione: L’implicazione (a) =⇒ (b) e gia stata notata. Invece, per l’affermazione (a)notiamo: per ogni U ∈ U esiste B con x ∈ B,U ⊂ B, e |U | ≥ C|B|, dove C = C(x) > 0. Quindi,si ha

1|U |

U|f(y)− f(x)| dy ≤ 1

C|B|∫

B|f(y)− f(x)| dy. (1.5.4)

Se |U | → 0, allora |B| ≤ C−1|U | → 0, e, quindi, per il Corollario 1.5.5, il membro destro di (1.5.4)va a zero. ¤.

1.5.8. Esempio (cubi): Siano x ∈ Rn,Q = {Q cubo aperto (lati paralleli alle asse) con x ∈Q}. Allora, Q ha eccentricita limitata in x. Infatti

• Ogni Q e determinato dai suoi vertici. Chi e Λ?

• Dato Qt con lato t > 0 t.c. x ∈ Qt, abbiamo diam(Qt) =√

nt, e, quindi Qt ⊂ B√nt/2 (lapalla piu piccola possibile).

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 17

• Quindi, vogliamo trovare C > 0 t.c.

|Qt| = tn ≥ C∣∣∣B√nt/2

∣∣∣ = Cαn(√

nt/2)n

dove αn = |B1(0)|.

• Basta scegliere C ≤ 2n

αnnn/2

N.B. Ovviamente, va bene anche la sottofamiglia di Q formata dai cubi che hanno centro in x.Questa e la scelta di Wheeden-Zygmund [11]. Invece, e essenziale che i lati sono paragonabili,come si vede dal seguente esempio.

1.5.9. Esempio (rettangoli): Siano x ∈ R2 e R = {Ra,b rettangolo aperto con x ∈ Ra,b}a,b>0.Allora, R non ha eccentricita limitata in x. Infatti

• diam(Ra,b) =√

a2 + b2, e, quindi Ra,b ⊂ B√a2+b2/2 (la palla piu piccola possibile).

• Per assurdo, assumiamo che esista C > 0 t.c.

|Ra,b| = ab ≥ C∣∣∣B√a2+b2/2

∣∣∣ = Cπ(a2 + b2)/4

• Ma, con b = b fisso, mandiamo a → 0 e troviamo un assurdo.

Ovviamente, e facile generalizzare Esempio 1.5.9 a dimensione n qualsiasi. Infine, notiamo che epossible avere U con eccentricita limitata in x, ma x /∈ U per ogni U ∈ U .

1.5.10 Esercizio (corone circolari):

a) Mostrare che {Ur = Br(x) \Br/2(x) : r > 0} ha eccentricita limitata in x ∈ Rn.

b) Mostrare che {UR,r = BR(x) \Br(x) : 0 < r < R} non ha eccentricita limitata in x ∈ Rn.

1.6 Intermezzo

In questo breve paragrafo, vogliamo dare un riassunto rispetto alle nostre domande di partenza.

1.6.1. Osservazione (Problema delle medie): Abbiamo visto che:

1|U |

Uf(y) dy → f(x), q.o. x ∈ Rn

SE f ∈ L1loc(Rn) e U ↘ x regolarmente.

1.6.2. Osservazione (Differenziabilita dell’integrale indefinito): Abbiamo visto: se defini-amo F (E) :=

∫E f(y) dy, allora

F (U)|U | → f(x), q.o. x ∈ Rn

SE f ∈ L1loc(Rn) e U ↘ x regolarmente.

Si puo dire che f ∈ L1loc(Rn) e condizione sufficiente affinche f ammetta una primitiva quasi

ovunque. Si nota anche, nel caso unidimensionale, scegliendo E = (x, x + h) per h > 0 oppureE = (x + h, x) per h < 0, si ha

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 18

F ′(x) = limh → 0∫ x+h

xf(y) dy = f(x) q.o. x ∈ R.

1.6.3. Domanda: Possiamo trovare delle condizioni per cui F : [a, b] → R risulta differenziabilequasi ovunque, con derivata F ′ ∈ L1([a, b]), e

F (b)− F (a) =∫ b

aF ′(x) dx ?

Cioe, possiamo avere una generalizzazione del Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale inquesto senso? La risposta a questa domanda ci portera ad incontrare:

1. Un altro Lemma di Ricoprimento di Vitali

2. Il problema della differenziabilita di funzioni monotone.

3. Spazi nuovi di funzioni BV ([a, b]) e AC([a, b]), le funzioni di variazione limitata e le funzioniassolutamente continue.

Piu in generale, uno puo cominciare a pensare come si puo generalizzare il Teorema della Diver-genza per un campo vettoriale F per cui divF ∈ L1

loc(Rn), per esempio.

1.7 Il Lemma di ricoprimento di Vitali

Il nostro primo obiettivo e di mostrare che le funzioni monotone sono differenziabili quasi ovunque.Per farlo, abbiamo bisogno di un altro Lemma di Vitali per una buona collezione (non necessari-amente finita) di intervalli.

1.7.1. Definizione: Sia I = {I} una collezione di intervalli. Si dice che I ricopre E ⊆ R nelsenso di Vitali se

∀ ε > 0, ∀ x ∈ E ∃I ∈ I : x ∈ I ∧ |I| < ε.

Cioe, I e un ricoprimento “fine” di E nel senso che attorno ogni punto x ci sono intervalli piccolia piacere.

1.7.2. Teorema (Lemma di Ricoprimento di Vitali) Sia E ⊂ R con |E|e < +∞, dove siricorda che

|E|e := inf{+∞∑

j=1

|Ij | : E ⊂+∞⋃

j=1

Ij}

e la misura esterna (secondo Lebesgue) di E. Sia I un ricoprimento di E nel senso di Vitali.Allora, per ogni ε > 0, esistono N = N(ε) ed una collezione finita {I1, . . . , IN} ⊂ I t.c.

(i) Gli intervalli Ij con j = 1, . . . , N sono disgiunti

(ii)

∣∣∣∣∣∣E \

N⋃

j=1

Ij

∣∣∣∣∣∣e

< ε.

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 19

Cioe, con un numero finito di intervalli disgiunti, si riesce a quasi coprire tutto E.

Dimostrazione: Si articola in quattro passi.

Passo 1: Basta mostrare il Teorema nel caso I chiuso per ogni I ∈ I.Infatti, assumendo il Teorema per questo caso, dato I qualsiasi ricoprimento di E nel senso diVitali , si definisce la collezione I := {I : I ∈ I}. Si verifica che I e anche un ricoprimento diE nel senso di Vitali di E. Poi, per ogni ε > 0, esistono N = N(ε) e {I1, . . . , IN} disgiunti t.c.

∣∣∣∣∣∣E \

N⋃

j=1

Ij

∣∣∣∣∣∣e

< ε

Ma, {I1, . . . , IN} ha solo, eventualmente, qualche punto estremo in meno, e, quindi∣∣∣∣∣∣E \

N⋃

j=1

Ij

∣∣∣∣∣∣e

≤∣∣∣∣∣∣

E \

N⋃

j=1

Ij

∪ {aj , bj}N

j=1

∣∣∣∣∣∣e

< ε

Passo 2: Possiamo assumere: esiste U aperto t.c. |U | < +∞ e I ⊂ U per ogni I ∈ I.Infatti, |E|e < +∞ =⇒ ∃U aperto t.c. U ⊃ E e |U | < +∞. Essendo I un ricoprimento nel sensodi Vitali di E, per ogni x ∈ E esiste I ∈ I t.c. x ∈ I e |I| e piccolo a piacere. Quindi possiamoeliminare da I tutti I per cui I 6⊂ U , e la collezione cosı ridotta e ancora un ricoprimento nelsenso di Vitali di E.

Allora: Dai Passi 1 e 2, basta mostrare il Teorema con I un ricoprimento nel senso di Vitali diE con le proprieta aggiuntive: ogni I e chiuso e contenuto in U , un insieme aperto con misurafinita.

Passo 3: Il processo di selezione per {I1, . . . , IN}.

1. Sia I1 arbitrario

2. Se E ⊂ I1, abbiamo finito. Altrimenti, esiste I ∈ I t.c. I ∩ I1 = ∅. Infatti, esistex ∈ E \ I1 e quindi per ogni I abbastanza piccolo, con x ∈ I, si ha I1 ∩ I = ∅. Poniamok1 := sup{|I| : I ∩ I1 = ∅}, e abbiamo 0 < k1 < +∞. Infatti, k1 > 0 perche esiste I conI ∩ I1 = ∅ e k1 < +∞ perche |I| ≤ |U | < +∞ per ogni I ∈ I. Prendiamo:

I2 ∈ I t.c. I2 ∩ I1 = ∅ e |I2| ≥ 12k1.

3. Ripetiamo, con questo algoritmo. Se, dopo un numero finito di passi, abbiamo E ⊂ ⋃nj=1 Ij ,

abbiamo finito. Altrimenti, esiste In+1 ∈ I t.c.

In+1

n⋃

j=1

Ij

= ∅ e |In+1| ≥ 1

2kn :=

12

sup

|I| : I

n⋃

j=1

Ij

= ∅

.

Cosı, abbiamo una successione infinita di insiemi {Ij}+∞j=1 con queste proprieta.

4. Essendo che⋃+∞

j=1 Ij ⊂ U , abbiamo∑+∞

j=1 |Ij | < +∞. Quindi, esiste N = N(ε) t.c.∑+∞j=N+1 |Ij | < ε/5. La nostra collezione e {I1, . . . , IN} con questo N = N(ε).

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 20

Passo 4: Poniamo R := E \⋃Nj=1 Ij e mostriamo |R|e < ε.

Basta trovare degli intervalli {Jk}+∞k=1 t.c.

R ⊂+∞⋃

k=1

Jk e

∣∣∣∣∣+∞⋃

k=1

Jk

∣∣∣∣∣ < ε.

1. Sia x ∈ R arbitrario. Esiste I = I(x) ∈ I t.c. x ∈ I e I ∩(⋃N

j=1 Ij

)= ∅ (di nuovo usando

il fatto che I ricopre E, e, quindi, R, nel senso di Vitali).

2. Affermiamo: esiste n = n(x) > N t.c. I ∩ In 6= ∅. Se no, ∀ n ∈ N si ha I ∩ Ij = ∅ per ognij ≤ n. Quindi, per la costruzione di Passo 3, si ha

|I| ≤ kn ≤ 2|In+1|, ∀ n ∈ N,

ma, |In+1| → 0, che e assurdo.

3. Sia n = n(x) il piu piccolo n t.c. I ∩ In 6= ∅. Abbiamo n > N e |I| ≤ kn−1 ≤ 2|In|. Quindi,

d(x,midpt(In)) ≤ |I|+ 12|In| ≤ 5

2|In|

dove midpt(In) e il punto medio di In.

4. Quindi, x ∈ Jn = Jn(x) dove Jn = 52In; cioe, l’intervallo con lo stesso punto medio ma con il

raggio 5/2 volte piu grande. Quindi, per ogni x ∈ R, si ha x ∈ Jn(x) con n(x) > N , ovvero,x ∈ ⋃+∞

n=N+1 Jn e

|R| ≤+∞∑

n=N+1

|Jn| = 5∞∑

n=N+1

|In| < 5(ε/5) = ε.

¤

1.8 Differenziazione di funzioni monotone

In questo paragrafo, esaminiamo il problema della differenziabilita delle funzioni monotone e larelazione fra l’integrale definito della derivata e l’incremento della funzione. Per organizzare lostudio, e utile il seguente concetto.

1.8.1. Definizione (I numeri di Dini): Sia f definita e finita in un intorno di x ∈ R.Denotiamo con

∆hf(x) =f(x + h)− f(x)

h, h 6= 0, piccolo, (1.8.1)

il rapporto incrementale di f . Definiamo i numeri di Dini

D±f(x) := lim suph→0±

∆hf(x) (1.8.2)

D±f(x) := lim infh→0±

∆hf(x) (1.8.3)

N.B. Dalla definizione possiamo osservare:

1. E ovvio cheD+f(x) ≤ D+f(x) e D−f(x) ≤ D−f(x). (1.8.4)

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 21

2. f e differenziabile in x ⇐⇒ tutti i numeri di Dini sono finiti ed uguali.

In realta, sfruttando il punto 1 sopra, il punto 2 si semplifica nel modo seguente

1.8.2. Osservazione: f e differenziabile in x se:

(i) D+f(x) < +∞(ii) D+f(x) ≤ D−f(x)

(iii) D−f(x) ≤ D+f(x)

Infatti, in tal caso, si ha

D+f ≤ D−f ≤ D−f ≤ D+f ≤ D+f < +∞.

Il risultato principale e il seguente.

1.8.3. Teorema: Sia f : (a, b) → R crescente e limitata. Allora:

(a) f e differenziabile per q.o. x ∈ (a, b).

(b) La derivata f ′ e misurabile, ovvero, e ben definita q.o. ed ogni suo prolungamento g a tutto(a, b) e misurabile.

(c) f ′ ≥ 0 q.o. in (a, b).

(d) f ′ e integrabile e si ha:

0 ≤∫ b

af ′(x) dx ≤ f(b−)− f(a+), (1.8.5)

dove ricordiamo f(x±0 ) := limx→x±0f(x).

N.B.

1. C’e una disuguaglianza in (1.8.5) anziche uguaglianza; per esempio, una funzione crescente ascala avra < (stretta). Inoltre, la funzione di Cantor-Lebesgue, spesso chiamata ”la scala deldiavolo”, e una funzione continua e crescente per cui risulta f ′ = 0 q.o., ma f(1)−f(0) = 1(vedi paragrafo 1 di Capitolo 3 di Wheeden-Zygmund [11] per la sua definizione, oppurevedi paragrafo 1.10).

2. Vale, ovviamente, una versione del Teorema per f decrescente. Nella formula (1.8.5) si ha≥ anziche ≤.

L’idea della lunga dimostrazione e di mostrare:

1. I numeri di Dini sono uguali quasi ovunque. Si usa il Lemma di Vitali per stimare glieventuali insiemi dove due numeri di Dini differiscono.

2. Il limite g del rapporto incrementale (che esiste q.o., ma e eventualmente infinita), e mis-urabile e non-negativa. Inoltre g e integrabile su [a, b] e vale (1.8.5) con g al posto dif ′.

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 22

3. Dalla integrabilita di g, segue che g e finita quasi ovunque. Quindi, f e differenziabile q.o.con derivata g e vale (1.8.5).

Dimostrazione: Si articola in quattro passi.

Passo 1: Riduzione al caso (a, b) un intervallo finito.

Cioe, se vale il Teorema per ogni (α, β) finito, allora nel caso di (a, b) infinito, si prende unasuccessione di intervalli finiti (αk, βk) → (a, b) e si passa al limite (vedi Esercizio 1.8.5).

Passo 2: Per q.o. x ∈ (a, b) finito, esiste g(x) = limh→0 ∆hf(x) con eventualmente g(x) = +∞;cioe i numeri di Dini sono uguali q.o., ma eventualmente infiniti.

1. Basta mostrare: f : (a, b) → R crescente su (a, b) qualsiasi intervallo finito implica∣∣{x ∈ (a, b) : D−f(x) < D+f(x)}∣∣ = 0. (1.8.6)

Infatti, ponendo, −y = x e usando f(y) := −f(−y), abbiamo f : (−b,−a) → R crescente,e, quindi (1.8.6) applicata a f implica

∣∣∣{y ∈ (−b,−a) : D−f(y) < D+f(y)}∣∣∣ = 0. (1.8.7)

Ma, si verifica facilmente che D−f(y) = D+f(−y) = D+f(x) e D+f(y) = D−f(−y) =D−f(x), e, quindi, dalla (1.8.7) segue

∣∣{x ∈ (a, b) : D+f(x) < D−f(x)}∣∣ = 0. (1.8.8)

Quindi, combinando (1.8.6) e (1.8.8) con le proprieta (1.8.4), si trova: per quasi ognix ∈ (a, b):

D+f(x) ≤ D−f(x) ≤ D− ≤ D+f ≤ D+f.

2. Poniamo E := {x ∈ (a, b) : D−f(x) < D+f(x)} e

Er,s := {x ∈ (a, b) : D−f(x) < s < r < D+f(x)},

con r, s ∈ Q+. Notiamo che f crescente implica che tutti i numeri di Dini D±f(x), D±f(x)sono non-negativi. Vogliamo mostrare |E| = 0, e, quindi, basta mostrare

|Er,s|e = 0, ∀ r, s ∈ Q+.

3. Per assurdo, supponiamo che esista m > 0 per cui |Er,s|e = m > 0 per qualche r, s,∈ Q+.

• Allora, ∀ ε > 0, esiste U = U(ε) aperto t.c. Er,s ⊂ U =⋃+∞

j=1(aj , bj) e |U | ≤ m + ε.

• Per ogni x ∈ Er,s, si ha D−f(x) < s, quindi, esiste h∗ = h∗(x) > 0 t.c.

∀ h ∈ (0, h∗),f(x− h)− f(x)

−h< s (⇐⇒ f(x)− f(x− h) < sh) .

Scegliendo h∗ ancora piu piccola (se e necessario), possiamo assumere [x− h∗, x] ⊂ U .

• Abbiamo cosı un ricoprimento I = {I = [x − h, x] : 0 < h < h∗(x)} nel senso diVitali di Er,s dove ogni I = [x− h, x] ⊂ U .

• Dato ε > 0, per il Lemma di Vitali (Teorema 1.7.2), esiste una collezione finita {Ij =[xj − hj , xj ]}N

j=1 con N = N(ε) t.c.

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 23

(i) Ij disgiunti per j = 1, . . . , N .

(ii)∣∣∣Er,s \

⋃Nj=1 Ij

∣∣∣e

< ε(⇐⇒

∣∣∣Er,s ∩[⋃N

j=1 Ij

]∣∣∣e

> m− ε)

(iii) [xj − hj , xj ] ⊂ U, ∀ j = 1, . . . , N (per costruzione).(iv) f(xj)− f(xj − hj) < shj , ∀ j = 1, . . . , N (per costruzione).

• Sommando la (iv), si trova

N∑

j=1

[f(xj)− f(xj − hj)] < sN∑

j=1

hj < s|U | < s(m + ε) (1.8.9)

4. Sia A := Er,s ∩[⋃N

j=1 Ij

](la parte di Er,s coperta dagli Ij).

• Per ogni y ∈ A che non e un estremo di qualche Ij , si ha

D+f(y) > r

(⇐⇒ lim sup

h→0+

f(x + h)− f(x)h

> r

),

e, quindi, esiste k∗ = k∗(y) > 0 t.c. [y, y + k∗] ⊂ [x− j − hj , xj ] per qualche j e anche

∀k ∈ (0, k∗) : f(y + k)− f(y) > rk.

• Quindi, abbiamo J = {J = [y, y + k] : 0 < k < k∗(y)} un ricoprimento nel senso diVitali di A = Er,s ∩

[⋃Nj=1 Ij

].

• Dato ε > 0, applicando di nuovo il Lemma di Vitali, esiste una collezione finita {Ji =[yi, yi + ki]}M

i=1 con M = M(ε) t.c.

(v) Ji disgiunti per i = 1, . . . , M .

(vi)∣∣∣A \⋃M

i=1 Ji

∣∣∣e

< ε(⇐⇒

∣∣∣Er,s ∩[⋃N

j=1 Ij

]∩

[⋃Mi=1 Ji

]∣∣∣e

> m− 2ε)

(vii) ∀ i = 1, . . . , M,∃j = j(i) t.c. [yi, yi + ki] ⊂ [xj − hj , xj ] (per costruzione).(viii) f(yi + ki)− f(yi) > rki, ∀ i = 1, . . . ,M , (per costruzione).

• Sommando la (viii), si trova

M∑

i=1

[f(yi + ki)− f(yi)] > rM∑

i=1

ki > r(m− 2ε) (1.8.10)

5. Usando il fatto che f e crescente, insieme con la (vii) [yi, yi + ki] ⊂ [xj − hj , xj ] , si trova

r(m− 2ε) <m∑

i=1

M∑

i=1

[f(yi + ki)− f(yi)] ≤N∑

j=1

[f(xj)− f(xj − hj)] < s(m + ε).

Cioe, r(m− 2ε) < s(m + ε) dove ε > 0 e arbitrario, e, mandano ε → 0+, si trova rm ≤ sm,ma, r < s implica m = 0, assurdo.

Quindi: Esiste g(x) = limh→0 ∆hf(x) per q.o. x ∈ (a, b), dove il limite non e ancora garantitoad essere finito, ma f ‘e differenziabile in ogni x per cui g(x) esiste ed e finito.

Passo 3: La funzione g(x) = limh→0 ∆hf(x), definita q.o., e misurabile e non-negativa, ovvero, euguale q.o. ad una funzione misurabile e non-negativa su (a, b).

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 24

Infatti, essendo f(b−) = sup(a,b) f < +∞, si prolunga f all’intervallo (a,+∞), ponendo f(x) =f(b−) per ogni ogni x ≥ b. Poi, si definisce

gn(x) := n[f(x + 1/n)− f(x)](

=f(x + 1/n)− f(x)

1/n

). (1.8.11)

Abbiamo gn e misurabile, non-negativa su (a,+∞). Inoltre, per Passo 2, abbiamo gn(x) → g(x)per q.o. x ∈ (a, b), e, quindi, g e quasi ovunque un limite puntuale di una successione di funzionimisurabili e non-negative.

Passo 4: La funzione g e integrabile su (a, b) e si ha

∫ b

ag(x) dx = f(b−)− f(a+). (1.8.12)

Il ragionamento e il seguente.

• La successione {gn} di funzioni misurabili e non-negativi, e, quindi, possiamo usare il Lemmadi Fatou (vedi Teorema 5.17 di [11]). Abbiamo

∫ b

alim infn→+∞ gn(x) dx ≤ lim inf

n→+∞

∫ b

agn(x) dx.

Ma gn → g q.o. su (a, b), e, quindi∫ b

ag(x) dx ≤ lim inf

n→+∞

∫ b

an[f(x + 1/n)− f(x)] dx

= lim infn→+∞

[n

∫ b+1/n

a+1/nf(x) dx− n

∫ b

af(x) dx

]

= lim infn→+∞

[n

∫ b+1/n

bf(x) dx− n

∫ a+1/n

af(x) dx

]

• Poi, essendo f (prolungato come nel Passo 3) continua per x ≥ b, abbiamo

∫ b

ag(x) dx ≤ f(b−)− lim inf

n→+∞

[n

∫ a+1/n

af(x)

]. (1.8.13)

• Adesso, usando f crescente, abbiamo anche

f(a+) ≤ n

∫ a+1/n

af(x) dx, ∀ n ∈ N abbastanza grande,

e, quindi,

f(a+) ≤ lim infn→+∞

[n

∫ a+1/n

af(x) dx

](1.8.14)

• Combinando (1.8.13) e (1.8.14), abbiamo∫ b

ag(x) dx ≤ f(b−)− f(a+),

che e finito perche −∞ < f(a+).

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 25

Conclusione: Abbiamo g integrabile, e, quindi, g e finita quasi ovunque. Quindi, f e differen-ziabile q.o. con derivata g e vale (1.8.5). ¤

1.8.4. Esercizio: Completare Passo 1 della dimostrazione del teorema sulla differenziabilitadelle funzioni monotone (Teorema 1.8.3); cioe abbiamo mostrato il teorema nel caso (a, b) unintervallo finito. Mostrare che il caso generale segue di quello che abbiamo mostrato.

Concludiamo questo paragrafo con qualche corollario del Teorema 1.8.3.

1.8.5. Corollario: Sia f : [a, b] → R crescente. Allora valgono le conclusioni del Teorema 1.8.3.con [a, b] al posto di (a, b). Inoltre, vale il risultato analogo per f : [a, b] → R decrescente.

Dimostrazione: Basta considerare la restrizione di f a (a, b), che e crescente e limitata. ¤

1.8.6. Corollario: Sia f : (a, b) → R crescente (non necessariamente limitata). Allora f edifferenziabile q.o. con f ′(x) ≥ 0 per ogni x in cui esiste la derivata.

Dimostrazione: Basta scrivere (a, b) come un unione numerabile di intervalli compatti crescentiIk = [ak, bk]. Dal Corollario 1.8.5, abbiamo f differenziabile su Ik \ Ek dove |Ek| = 0. Quindif e differenziabile su (a, b) \⋃+∞

k=1 Ek, ovvero, quasi ovunque. Essendo f crescente, la derivata enon-negativa in ogni punto di esistenza. ¤

1.9 Funzioni di variazione limitata: lo spazio BV ([a, b])

L’idea di questo paragrafo e di generalizzare Corollario 1.8.5 ad una classe piu ampia di funzioni.Cominciamo con la definizione di tale classe.

1.9.1. Definizione: Sia f : [a, b] → R definita in un intervallo compatto. Si dice chef ha variazione limitata in [a, b] se esiste ed e finito

V [f ; a, b] := supΓ

VΓ[f ; a, b], (1.9.1)

dove

VΓ[f ; a, b] :=m∑

i=1

|f(xi)− f(xi−1)| (1.9.2)

ed il sup e preso rispetto alle partizioni Γ = {a = x0 < x1 < · · · < xm = b} di [a, b]. In tal caso,si scrive f ∈ BV ([a, b]).

N.B.

1. La quantita V [f ; a, b] si chiama variazione totale di f in [a, b]. Per semplicita, spessoscriviamo solo V e VΓ anziche V [f ; a, b] e VΓ[f ; a, b].

2. Il concetto somiglie quello della rettificabilita di una curva in Rn. Ricordiamo da Analisi III,ϕ : [a, b] → Rn continua si chiama rettificabile se esiste finito L(ϕ) := supΓ

∑mi=1 ||ϕ(ti) −

ϕ(ti−1)|| . Questo concetto sta anche alle base dell’integrale di Riemann-Stieltjes (vedi Cap.2 di Wheeden-Zygund [11]).

1.9.2. Esempio: f : [a, b] → R monotona =⇒ f ∈ BV ([a, b]).

Infatti, per ogni partizione Γ,

VΓ =m∑

i=1

|f(xi)− f(xi−1)| = ±m∑

i=1

((f(xi)− f(xi−1)) = ± (f(b)− f(a)) ,

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 26

e, quindi V [f ; a, b] = |f(b)− f(a)| < +∞.

1.9.3. Esercizio: Mostrare che f : [a, b] → R monotona a tratti, cioe, esiste una partizione{a = a0 < · · · < aN = b} t.c. f|[ai−i,ai] e monotona, implica che f ∈ BV ([a, b]).

1.9.4. Esempio: f ∈ Lip([a, b]) =⇒ f ∈ BV ([a, b]). Ricordiamo che f ∈ Lip([a, b]) ⇐⇒ ∃ L > 0t.c. |f(x)− f(y)| ≤ L|x− y|, per ogni x, y ∈ [a, b].

Infatti, per ogni partizione Γ,

VΓ =m∑

i=1

|f(xi)− f(xi−1)| ≤ Lm∑

i=1

|xi − xi−1| = L(b− a),

e, quindi V [f ; a, b] ≤ L(b− a) < +∞.

1.9.5. Esercizio: Sia f : [a, b] → R la funzione di Dirichlet, cioe,

f(x) ={

1 x ∈ [a, b] ∩Q0 x ∈ [a, b] \Q ,

non e un elemento di BV ([a, b]).

Alle fine del paragrafo, saranno proposti altri esercizi. Adesso cominciamo di esaminare alcuneprime proprieta delle funzioni f ∈ BV ([a, b]) e della variazione totale V .

1.9.6. Proposizione (Proprieta elementari):

(a) f ∈ BV ([a, b]) =⇒ f limitata su [a, b].

(b) BV ([a, b]) e uno spazio vettoriale.

(c) Siano f, g,∈ BV ([a, b]). Allora fg ∈ BV ([a, b]) e f/g ∈ BV ([a, b]) se esiste c t.c. |g(x)| ≥c > 0 per ogni x ∈ [a, b].

(d) Se [a′, b′] ⊂ [a, b], allora V [f ; a′, b′] ≤ V [f ; a, b].

(e) Se c ∈ (a, b), allora V [f ; a, b] = V [f ; a, c] + V [f ; c, b].

Lasciamo la dimostrazione per esercizio (vedi Teorema 2.1 e 2.2 di [11]), ma notiamo che proprietaanaloghe a (d), (e) sono stati discusse in Analisi III, nel contesto della rettificabilita.

1.9.7. Domanda: Esiste una semplice caratterizzazione delle funzioni di variazione limitata suun intervallo compatto?

La risposta e sı. Sono differenze di funzioni monotone, e, quindi, sono differenziabili quasiovunque. Per mostrare questo, e utile spezzare la variazione totale in due parti.

1.9.10. Definizione: Sia f : [a, b] → R. Si chiama variazione positiva di f su [a, b] la quantita

P = P [f ; a, b] := supΓ

PΓ[f ; a, b] = supΓ

m∑

i=1

[f(xi)− f(xi−1)]+ (1.9.3)

e la variazione negativa di f su [a, b] la quantita

N = N [f ; a, b] := supΓ

NΓ[f ; a, b] = supΓ

m∑

i=1

[f(xi)− f(xi−1)]− (1.9.4)

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 27

Abbiamo usato nella definizione la parte positiva/negativa degli incrementi [f(xi)− f(xi−1)]±,

dove ricordiamo per ogni x ∈ R:

x+ :={

x x > 00 x ≤ 0

e x− :={

0 x > 00 −x ≤ 0

,

o, in modo equivalente, x+ := max{x, 0} e x− := max{−x, 0}. Si ricorda

x+, x− ≥ 0, |x| = x+ + x−, x = x+ − x−.

Da queste proprieta seguono banalmente

0 ≤ PΓ, NΓ, ∀Γ partizione (1.9.5)

PΓ + NΓ = VΓ, ∀Γ partizione (1.9.6)

PΓ −NΓ = f(b)− f(a), ∀Γ partizione (1.9.7)

e, quindi, si ha 0 ≤ P,N ≤ +∞. C’e una relazione sorprendente, a prima vista, tra la finitezzadelle quantita V, P , e N .

1.9.11. Lemma: Sia f : [a, b] → R. Se uno delle variazioni V, P , o N e finita, allora lo sono lealtre e vale

P + N = V e P −N = f(b)− f(a), (1.9.8)

ovvero,

P =12

[V + f(b)− f(a)] e N =12

[V − f(b) + f(a)] (1.9.9)

Dimostrazione: Infatti

1. Se V < +∞, da (1.9.6) abbiamo

PΓ + NΓ = VΓ ≤ V, ∀Γ,

ma, da (1.9.5) segue che PΓ, NΓ ≤ V < +∞ per ogni Γ, e, quindi

P, N ≤ V < +∞

2. Se P < +∞, si applica (1.9.6) e (1.9.7) per trovare

VΓ ≤ P + NΓ, ∀ Γ= P + PΓ − f(b) + f(a) ∀Γ≤ 2P − f(b) + f(a) < +∞,

e, quindi, V ≤ 2P − f(b) + f(a) < +∞. Allora, da Passo 1, segue che anche N < +∞.

3. In modo analogo, N < +∞ =⇒ V < +∞ (=⇒ P < +∞) dove V ≤ 2N + f(b) − f(a).Quindi, abbiamo la prima parte del Lemma.

4. Per la seconda parte, dai Passi 2 e 3, abbiamo V ≤ P + N . D’altre parte, se scegliamo unasuccessione {Γk} t.c. PΓk

→ P , la (1.9.7) implica NΓk= PΓk

− f(b) + f(a) → P − f(b) +f(a) = N , e, si ha P −N = f(b)− f(a). Inoltre, dal Passo 1, V ≥ PΓk

+ NΓk→ P + N , e,

quindi, V = P + N .

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 28

¤

Adesso, siamo pronti per i risultati principali.

1.9.12. Teorema (di Jordan) Sia f : [a, b] → R. Allora:

f ∈ BV ([a, b]) ⇔ f = f1 − f2, con fj limitata, crescente.

Dimostrazione: L’implicazione (⇐=) e banale dato che fj ∈ BV ([a, b]) e BV ([a, b]) e uno spaziovettoriale. Per l’implicazione (=⇒), basta identificare f1, f2. Si parte osservando

f ∈ BV ([a, b]) =⇒ f ∈ BV ([a, x]) per ogni x ∈ [a, b],

ed, in particolare sono ben definiti le funzioni

P (x) := P [f ; a, x] e N(x) := N [f ; a, x], x ∈ [a, b].

Inoltre, e chiaro che P (x), N(x) sono crescenti in x e limitate da P [f ; a, b], N [f ; a, b] < +∞.Applicando il Lemma 1.9.11 su ogni intervallo [a, x] fornisce

P (x)−N(x) = f(x)− f(a),

e, quindi si pone f1(x) := P (x) + f(a) e f2(x) := N(x). ¤.

Da questo Teorema insieme ai risultati sulle funzioni monotone, abbiamo due corollari facili, maimportanti.

1.9.13. Corollario: Sia f ∈ BV ([a, b]). Allora

(a) f ′(x) esiste per q.o. x ∈ [a, b].

(b) f ′ ∈ L1([a, b]).

Dimostrazione: Basta applicare Teorema 1.9.12 e Corollario 1.8.5. ¤

Usando il fatto Lip([a, b]) ⊂ BV ([a, b]), abbiamo anche il seguente risultato.

1.9.14. Corollario (Teorema di Rademacher) Sia f ∈ Lip([a, b]). Allora

(a) f ′(x) esiste per q.o. x ∈ [a, b].

(b) f ′ ∈ L1([a, b]).

Concludiamo questo paragrafo con qualche osservazione e qualche esercizio. La prima osser-vazione e che il Teorema di Rademacher si generalizza a Rn nel modo seguente: Sia f ∈Lip)loc(Rn,R). Allora f e differenziabile per q.o. x ∈ Rn (vedi Cap. 3 di Evans-Gareipy [2],per esempio). La seconda osservazione e che si generalizza il concetto di funzioni di variazionelimitata anche in Rn (vedi Cap. 5 di Evans-Gareipy [2], per esempio). In particolare, per ogniU ⊂ Rn aperto, si dice che f ∈ L1(U) ha variazione limitata in U se esiste finito

sup{∫

Ufdivϕ dx : ϕ ∈ C1

0 (U ;Rn), |ϕ| ≤ 1}

< +∞.

Nel caso unidimensionale, uno puo dire che f ∈ L1((a, b)) e BV ((a, b)) se

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 29

sup{∫ b

afϕ′ dx : ϕ ∈ C1

0 ((a, b);R), |ϕ| ≤ 1}

< +∞.

Usando un linguaggio fuori dal scopo di questo corso, si puo dire che f ∈ L1((a, b)) e la suaderivata in senso debole (nel senso delle distribuzioni) e un funzionale lineare e continua suC1

0 ((a, b)). Piu precisamente, f ′ e una misura di variazione finita.

1.9.15. Esercizio: Siano p, q > 0 e

f(x) ={

xp sin (x−q) se 0 < x ≤ 10 se x = 0

Mostrare che f ∈ BV ([0, 1]) se e solo se p > q.

1.10 Funzioni assolutamente continua: lo spazio AC([a, b])

L’obiettivo principale di questo paragrafo e di trovare ipotesi necessarie e sufficienti su f : [a, b] →R affinche abbiamo il Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale

∫ b

af ′(x) dx = f(b)− f(a),

dove l’integrale e l’integrale di Lebesgue. Abbiamo visto che anche se entrambi membri dellaformula sono ben definiti, possiamo avere una disuguaglianza stretta. In particolare, questo puocapitare anche se f e continua e monotona (oppure BV ). Il controesempio prototipo abbiamogia nominato, cioe la funzione di Cantor-Lebesgue. Per completezza, facciamo un breve ricordodi come si costruisce la funzione.

1.10.1 Controesempio (La funzione di Cantor-Lebesgue):

Passo 1: Costruzione dell’insieme di Cantor C

1. Sia I = [0, 1]. Si divide I in tre pezzi uguali I = [0, 1/3] ∪ [1/3, 2/3] ∪ [2/3] e si eliminal’interno del terzo in mezzo, ponendo C1 := I \ (1/3, 2, 3) = [0, 1/3] ∪ [2/3, 1].

2. Si ripete la costruzione di eliminazione degli interni dei terzi in mezzo dal passo precedente.Al passo k, uno ha un insieme chiuso Ck formato da 2k intervalli, chiusi, disgiunti, di misura3−k, ed equidistribuiti.

3. Si definisce C =⋂

k∈N Ck.

L’insieme C e chiuso, perfetto (consiste in soli punti limite), e misurabile con misura nulla (|Ck| =2k/3k).

Passo 2: Costruzione della “scala del diavolo” f .

1. Sia

Dk = I \ Ck =2k−1⋃

j=1

Ikj

gli 2k − 1 intervalli aperti eliminati dai primi k passi. Si ordina gli intervalli con l’indice jda sinistra a destra.

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 30

2. Si definisce una successione di funzioni fk : [0, 1] → R come il prolungamento continuo elineare a tratti della funzione definita cosı su Dk ∪ {0, 1}:

fk(x) =

0 x = 0j2−k x ∈ Ik

j

1 x = 1

Si ha che ogni fk e continua, crescente, e fk+1 = fk su Dk. Inoltre, si ha la stima

|fk(x)− fk−1(x)| ≤ 2−k, ∀ x ∈ [0, 1], ∀ k ∈ N.

Quindi, la serie∑+∞

k=1 |fk(x) − fk−1(x)| converge uniformemente su [0, 1], e, di conseguenza lasuccessione fk converge uniformemente ad una funzione (continua) f . La funzione limite soddisfa:

(i) f : [0, 1] → R continua, crescente

(ii) f(0) = 0 e f(1) = 1

(iii) f e costante su I \ C, un insieme di misura piena.

Quindi: La funzione di Cantor-Lebesgue e continua, monotona, e quindi differenziabile q.o., conderivata nulla q.o., ma, con incremento totale f(1)− f(0) = 1.

Adesso, introduciamo lo spazio idoneo per nostra discussione.

1.10.2. Definizione: Sia f : [a, b] → R. Si dice f e assolutamente continua su [a, b] se per ogniε > 0 esiste δ = δ(ε) t.c. per ogni collezione al piu numerabile {[ai, bi] : (ai, bi) disgiunti} si ha

i

(bi − ai) < δ =⇒∑

i

|f(bi)− f(ai)| < ε.

In tal caso, si scrive f ∈ AC([a, b]).

N.B. f ∈ AC([a, b]) =⇒ f ∈ UC([a, b]) (uniformemente continua su [a, b]). Infatti, basta pren-dere un intervallo nella definizione.

1.10.3. Esempio: f ∈ Lip([a, b]) =⇒ f ∈ AC([a, b])

Infatti,∑

i |f(bi)− f(ai)| ≤∑

i L(bi − ai) < Lδ < ε, se δ < ε/L.

1.10.4. Esempio (integrali indefiniti): Sia f ∈ L1([a, b]). Allora F ∈ AC([a, b]) doveF (x) :=

∫ xa f(y) dy.

Infatti, si ha

F (bi)− F (ai) =∫ bi

ai

f(y) dy,

e, quindi

i

|F (bi)− F (ai)| ≤∑

i

∫ bi

ai

|f(y)| dy =∫

E:=S

i(ai,bi)|f(y)| dy.

Adesso, usiamo il fatto che F e assolutamente continua come una funzione di insiemi (Teorema1.2.9); cioe se |E| → 0 allora F (E) → 0.

Questo esempio dice che gli integrali indefiniti sono assolutamente continue. il risultato principalee che vale il contrario. Prima, ci serve qualche risultato preliminare.

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 31

1.10.5. Proposizione: AC([a, b]) ⊂ BV ([a, b])

Dimostrazione: Sia f ∈ AC([a, b]).

1. Sia δ = δ(1) nella Definizione 1.10.2; cioe,∑

i |f(bi)− f(ai)| < 1 per ogni collezione al piunumerabile di intervalli con interni disgiunti t.c.

∑i(bi − ai) < δ.

2. Per ogni [α, β] ⊂ [a, b] t.c. β − α < δ abbiamo V [f ; α, β] < 1. Infatti, per ogni partizioneΓ{α = α0 < · · ·αn = β} abbiamo

VΓ[f ; α, β] =N∑

k=1

|f(αk)− f(αk−1)| < 1

3. Dividiamo [a, b] in M = M(δ) intervalli {Ij}Mj=1 di ampiezza minore di δ, e abbiamo

V [f ; a, b] =∑M

j=1 V [f ; Ij ] < M .

¤

N.B. E essenziale [a, b] limitato; per esempio, f(x) = x definisce una funzione in AC([a, +∞)],ma f /∈ BV ([a,+∞)).

1.10.6. Proposizione: Sia f ∈ AC([a, b]) t.c. f ′ = 0 quasi ovunque. Allora f e costante.

N.B. Prima di fare la dimostrazione, vogliamo notare:

1. f ∈ AC([a, b]) ⊂ BV ([a, b]) =⇒ f ′ esiste quasi ovunque

2. Se, invece, f ∈ BV ([a, b]) ∩ C0([a, b]), la tesi e falsa in generale (Esempio 1.10.1).

Dimostrazione: Di nuovo, usiamo il Lemma di Vitali. Piu precisamente:

1. Basta mostrare che f(a) = f(b). Infatti, se f ha valori uguali agli estremi, essendo che larestrizione di f ad ogni [α, β] ⊂ [a, b] e AC([α, β], si trova f(α) = f(β) per ogni α < β ∈[a, b].

2. Sia E = {x ∈ (a, b) : f ′(x) = 0}, e abbiamo |E| = b − a. Fissati ε > 0, x ∈ E esisteh∗ = h∗(ε, x) t.c. per ogni h ≤ h∗:

(i) [x, x + h] ⊂ (a, b)(ii) |f(x + h)− f(x)| < εh.

Sia δ = δ(ε) > 0 nella definizione di f assolutamente continua; cioe |⋃i(ai, bi)| < δ =⇒∑i |f(bi)− f(ai)| < ε.

3. Abbiamo cosı un ricoprimento nel senso di Vitali di E con intervalli I = [x, x + h] percui valgono (i) e (ii). Per il Lemma di Vitali, associato a δ = δ(ε), esiste una collezione{[xj , xj + hj ]}N

j=1 di intervalli disguinti t.c.

(iii) |f(xj + hj)− f(xj)| < εhj

(iv)∑N

j=1 |Ij | =∑N

j=1 hj > |E|e − δ = (b− a)− δ.

Sommando la (ii), si trova

N∑

j=1

|f(xj + hj)− f(xj)| < ε

N∑

j=1

hj ≤ ε(b− a).

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 32

4. Per il complemento R := (a, b) \[⋃N

j=1 Ij

], abbiamo |R| < δ, e R =

⋃Mi=1 Ji =

⋃Mi=1(αi, βi).

Quindi, abbiamo∑M

i=1 |f(βi)− f(αi)| < ε, e, di conseguenza

M∑

i=1

|f(βi)− f(αi)|+N∑

j=1

|f(xj + hj)− f(xj)| < ε + ε(b− a).

Quindi, |f(b)− f(a)| < ε(1 + b− a), con ε > 0 arbitrario.

¤

Adesso, siamo pronti per il risultato principale del paragrafo: il Teorema Fondamentale delCalcolo Integrale per L’integrale di Lebesgue.

1.10.7. Teorema: Sia F [a, b] → R. Allora F ∈ AC([a, b]) se e solo se valgono:

(i) Esiste F ′(x) per q.o. x ∈ [a, b].

(ii) F ′ ∈ L1([a, b]).

(iii) F (x)− F (a) =∫ xa F ′(y) dy per ogni x ∈ [a, b].

Cioe, F e assolutamente continua in [a, b] se e solo se F e una funzione integrale associato aduna funzione f = F ′ ∈ L1([a, b]).

Dimostrazione: L’implicazione (⇐=) e gia fatta; cioe G(x) :=∫ xa F ′(y) dy ∈ AC([a, b]), e,

quindi F (x) = F (a) + G(x) ∈ AC([a, b]). Per l’altra implicazione (=⇒):

1. F ∈ AC([a, b]) =⇒ F ∈ BV ([a, b]), e, quindi, F ′(x) esiste per quasi ogni x ∈ [a, b] conF ′ ∈ L1([a, b]); cioe valgono (i) e (ii).

2. La funzione G(x) :=∫ xa F ′(y) dy ∈ AC([a, b]) con F ′ ∈ L1([a, b]). Quindi, per il Teorema

di Differenziazione di Lebesgue, esiste G′(x) = F ′(x) per q.o. x ∈ [a, b]. Allora, H(x) :=F (x) − G(x) e assolutamente continua con derivata nulla quasi ovunque, e, quindi, perProposizione 1.10.6, H e costante dove H(a) = F (a).

¤

Concludiamo con qualche esercizio.

1.10.8. Esercizio: Usando la definizione, mostrare che la funzione di Cantor-Lebesgue definitain Controesempio 1.10.1 non e assolutamente continua.

1.10.9. Esercizio Siano F, G ∈ AC([a, b]).

(a) Mostrare che FG ∈ AC([a, b]) e vale la seguente formula di integrazione per parti

∫ b

aF ′(x)G(x) dx = [F (b)G(b)− F (a)G(a)]−

∫ b

aG′(x)F (x) dx

(b) Dedurre che per f ∈ L([a, b]) si ha∫ b

af(x)G(x) dx = [F (b)G(b)− F (a)G(a)]−

∫ b

aG′(x)F (x) dx

dove F e una qualsiasi primitiva di f .

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 33

1.11 Funzioni convesse su R e la disuguaglianza di Jensen

In questo paragrafo, vogliamo dare qualche applicazione della teoria sviluppata nei paragrafiprecedenti al problema della regolarita delle funzioni convesse. Inoltre, vogliamo esaminare unafamiglia di disuguaglianze che sara molto utile nello studio degli spazi Lp del prossimo capitolo.Cominciamo con un ricordo sulla definizione di base.

1.11.1. Definizione: Una funzione ϕ : (a, b) → R si chiama convessa se per ogni [x1, x2] ⊂ (a, b)si ha

ϕ(tx1 + (1− t)x2) ≤ tϕ(x1) + (1− t)ϕ(x2), ∀t ∈ [0, 1]. (1.11.1)

Cioe, ϕ e convessa se e solo se il segmento [P1, P2] = [(x1, ϕ(x1)), (x2, ϕ(x2))] e al di sopra ilgrafico di ϕ su ogni sotto-intervallo [x1, x2].

N.B.

1. ϕ si chiama strettamente convessa se c’e < al posto di ≤ per ogni t ∈ (0, 1).

2. ϕ e concava se −ϕ e convessa

3. ϕ e convessa ⇐⇒ ∀ a < x1 < x2 < b, ∀ t1, t2 ≥ 0 con t1 + t2 > 0

ϕ

(t1x1 + t2x2

t1 + t2

)≤ t1ϕ(x1) + t2ϕ(x2)

t1 + t2(1.11.2)

Infatti, ponendo t := t1/(t1 + t2), si ha (1− t) = t2/(t1 + t2) e (1.11.2) diventa (1.11.1).

1.11.3. Teorema (Disuguaglianza di Jensen - Versione Discreta) Sia ϕ : (a, b) → Rconvessa. Siano {xj}N

j=1 e {tj}Nj=1 t.c.

xj ∈ (a, b), tj ≥ 0,N∑

j=1

tj > 0.

Allora:

ϕ

(∑Nj=1 tjxj∑N

j=1 tt

)≤

∑Nj=1 tjϕ(xj)∑N

j=1 tj, dove

∑Nj=1 tjxj∑N

j=1 tj∈ (a, b). (1.11.3)

Si nota che (1.11.3) e la generalizzazione di (1.11.2) ad N ≥ 2. Infatti, la dimostrazione e perinduzione in N ≥ 2. La lasciamo per esercizio. (I dettagli si possono trovare in Fusco-Marcellini-Sbordone [5] - Paragrafo 39).

1.11.4. Esempi:

(a) Nel caso tj = 1/N per j = 1, . . . , N , abbiamo x =(∑N

j=1 xj

)/N ∈ (a, b), la media

aritmetica dei xj , e la Disuguaglianza di Jensen dice

ϕ(x) ≤ 1N

N∑

j=1

ϕ(xj),

ovvero, ϕ della media aritmetica dei xj e minore o uguale della media aritmetica dei ϕ(xj).

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 34

(b) Nel caso tj ≥ 0 con∑N

j=1 ti = 1, abbiamo una combinazione lineare convessa∑N

j=1 tjxj ∈(a, b) e

ϕ(N∑

j=1

tjxj) ≤N∑

j=1

tjϕ(xj),

ovvero, ϕ di una combinazione lineare convessa di xj e minore o uguale della combinazionelineare convessa dei valori di ϕ.

1.11.5. Esercizio: Mostrare che l’insieme delle funzioni convesse su (a, b) e un cono convessochiuso. Cioe:

(a) ϕ1, ϕ2 convesse implica t1ϕ1 + t2ϕ2 e convessa dove tk ≥ 0, t1 + t2 = 1.

(b) ϕ convessa e α > 0 implica αϕ convessa.

(c) {ϕk} convesse, ϕk → ϕ implica ϕ e convessa.

1.11.6. Osservazione: Come abbiamo visto in Analisi III, tutto funziona anche per ϕ : A ⊂Rn → R se A e un insieme convesso; cioe,

∀ x1, x2 ∈ A [x1, x2] ⊂ A,

usando esattamente la formula (1.11.1) per definire ϕ convessa.

1.11.7. Osservazione (Test di convessita): Da Analisi I, sappiamo che ϕ : (a, b) → R econvessa se vale una delle seguenti proprieta:

1. ∃ ϕ′ : (a, b) → R con ϕ′ crescente.

2. ∃ ϕ′′ : (a, b) → R con ϕ′′ ≥ 0.

Ci sono delle generalizzazioni al caso A ⊂ Rn (Analisi III).

Sulle base di questi criteri si verifica facilmente che le funzioni definite da xp con p ≥ 1, eαx

con α ≥ 0, ln(1/x) = − ln x sono convesse sul loro domini. Adesso, cominciamo a studiare laquestione della regolarita delle funzioni convesse, nel caso unidimensionale.

1.11.8. Proposizione: Sia ϕ : (a, b) → R convessa. Allora:

(a) ϕ : (a, b) → R e continua su (a, b).

(b) Esistono finite D±ϕ(x) le derivate destra/sinsista per ogni x ∈ (a, b).

(c) Esiste finita ϕ′(x) per ogni x ∈ (a, b) \E, dove E e al piu numerabile.

(d) ϕ′(x) e crescente sul suo dominio.

N.B. Abbiamo usato gli stessi simboli D± che abbiamo usato per i numeri di Dini (Definizione1.8.1). Qui, D+ esiste vuol dire che esistono e sono uguali due dei numeri di Dini (D+ e D+), adesempio. Forse, sarebbe stato meglio usare ϕ′(x±) qui.

Dimostrazione:

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 35

1. Si nota che il rapporto incrementale ∆hϕ(x)e una funzione decrescente in h per h ↓ 0; cioe

0 < h1 ≤ h2 =⇒ ϕ(x + h1)− ϕ(x)h1

≤ ϕ(x + h2)− ϕ(x)h2

.

Infatti, moltiplicando questa disuguaglianza per h1h2, si vede che e la (1.11.1) per t := h1/h2

e (1− t) = (h2 − h1)/h2.

2. Allora, per ogni x ∈ (a, b), per la monotonia esistono

D+ϕ(x) = limh→0+

∆hϕ(x) = infh>0

∆hϕ(x) < +∞

D−ϕ(x) = limh→0+

∆−hϕ(x) = suph>0

∆−hϕ(x) > −∞.

3. Abbiamo

ϕ(x)− ϕ(x− h)h

≤ ϕ(x + h)− ϕ(x)h

per ogni x ∈ (a, b), h > 0,

e quindi calcolando il limite per h ↓ 0 abbiamo −∞ < D−ϕ(x) ≤ D+ϕ(x) < +∞, ovvero,esistono finiti D±ϕ(x) per ogni x ∈ (a, b); cioe abbiamo la parte (b).

4. Abbiamo anche ϕ(x± h) → ϕ(x) per h ↓ 0; cioe la parte (a).

5. Affermiamo che: D+ϕ(y) ≤ D−ϕ(x) se a < y < x < b. Infatti

D+ϕ(y) := infx>y

ϕ(x)− ϕ(y)x− y

≤ ϕ(x)− ϕ(y)x− y

≤ supy<x

ϕ(x)− ϕ(y)x− y

:= D−ϕ(x).

6. Quindi, D±ϕ(x) sono crescente, perche, ad esempio, per ogni y < x, D+ϕ(y) ≤ D−ϕ(x) ≤D+ϕ(x) per il passo 5 e il passo 3. Il caso di D− ↗ e analogo.

7. Essendo D±ϕ : (a, b) → R monotone, hanno al piu un numero numerabile di discontinuita(di tipo salto). Ad ogni punto x ∈ (a, b) di continuita di D+ϕ abbiamo, usando passo 6

D+ϕ(x) = limy↑x

D+ϕ(y) ≤ D−ϕ(x) ≤ D+ϕ(x),

e, quindi, ϕ e differenziabile sull’insieme di punti di continuita di D+ϕ. Questa implica la(c) e, quindi, anche la (c) per D+ϕ. L’argomento per D− e analogo.

1.11.9. Proposizione: Sia ϕ : (a, b) → R convessa. Allora, per ogni [x1, x2] ⊂ (a, b), si haϕ| [x1,x2] ∈ Lip([x1, x2]) e vale

ϕ(x2)− ϕ(x1) =∫ x2

x1

ϕ′(y) dy. (1.11.4)

Dimostrazione: Sia [x1, x2] ⊂ (a, b). Allora, per x1 ≤ y < x ≤ x2 abbiamo visto che:

D+ϕ(y) ≤ ϕ(x)− ϕ(y)x− y

≤ D−ϕ(x).

Ma, D± sono crescenti, e, quindi,

D+ϕ(x1) ≤ ϕ(x)− ϕ(y)x− y

≤ D−ϕ(x2).

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 36

Combinando queste due disuguaglianze, si trova ϕ| [x1,x2] ∈ Lip([x1, x2]); infatti

|ϕ(x)− ϕ(y)| ≤ max{D+ϕ(x1), D−ϕ(x2)}(x− y) := L(x− y).

Segue la formula (1.11.4), essendo ϕ Lipschitz, e, quindi, assolutamente continua, su [x1, x2].

L’ultimo obiettivo di questo paragrafo e una versione integrale della disuguaglianza di Jensen.Prima, ci serve due ultime considerazioni.

1.11.10. Definizione: Sia ϕ : (a, b) → R convessa. Si chiama linea di supporto per ϕ in x0

una retta che passa per (x0, ϕ(x0)) che sta sempre sotto il grafico di ϕ.

Notiamo che basta prendere l(x) = ϕ(x0) + m(x− x0) per ogni m t.c.

D−ϕ(x0) ≤ m ≤ D+ϕ(x0).

In particolare, m = ϕ′(x0) nel caso ϕ differenziabile in x0.Come ultima premessa, ricordiamo (da Analisi IV) che se A ∈ M(Rn) e g ∈ L1(A) con g ≥ 0allora possiamo definire una misura su M(A) tramite

µ(E) :=∫

Eg(x) dx :=

Edµ, E ∈M(A). (1.11.5)

1.11.11. Teorema (Disuguaglianza di Jensen - Versione Integrale) Siano f, g : A ⊆Rn → R con A ∈M(Rn) t.c.

(i) f, g misurabili

(ii) fg, g ∈ L1(A)

(iii) g ≥ 0,∫A g(x) dx > 0

Se ϕ : (a, b) → R convessa con f(A) ⊂ (a, b), allora:

ϕ

(∫A fg(x) dx∫A g(x) dx

)≤

∫A(ϕ ◦ f)(x)g(x) dx∫

A g(x) dx. (1.11.6)

N.B. Prima della dimostrazione, e utile fare qualche commento:

1. Scrivendo dµ = g(x) dx e usando (1.11.5), la tesi prende la forma:

ϕ

(∫A f dµ

µ(A)

)≤

∫A(ϕ ◦ f)(x) dµ

µ(A), (1.11.7)

cioe ϕ della media integrale di f rispetto alla misura µ e dominata dalla media integralerispetto alla misura µ di ϕ ◦ f . L’ipotesi g ∈ L1(A) significa µ(A) < +∞ e l’ipotesifg ∈ L1(A) significa f ∈ L1(A, dµ). Quindi, si puo dire enunciare il Teorema cosı: Siaf ∈ L1(A, dµ) con 0 < µ(A) < +∞. Per ogni ϕ convessa su (a, b) ⊃ f(A) vale (1.11.7).

2. In particolare, nel caso g ≡ 1 e 0 < |A| < +∞ si ha:

ϕ

(∫A f dx

|A|)≤

∫A(ϕ ◦ f)(x) dx

|A| , (1.11.8)

per ogni f ∈ L1(A) e ϕ convessa su (a, b) ⊃ f(A)

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CAPITOLO 1. DIFFERENZIAZIONE ED INTEGRAZIONE 37

Dimostrazione del Teorema 1.11.11: Abbiamo −∞ ≤ a < b ≤ +∞ con ϕ : (a, b) → Rconvessa e a < f(x) < b per ogni x ∈ A. Poniamo

γ :=

∫A f dµ

µ(A).

Allora, abbiamo a < γ < b perche

aµ(A) <

Af dµ < bµ(A).

Chiamando m la pendenza di una linea di supporto per la funzione convessa ϕ nel punto γ ∈ (a, b),si ha

ϕ(γ) + m(t− γ) ≤ ϕ(t), a < t < b.

Quindi, per ogni x ∈ A abbiamo

ϕ(γ) + m(f(x)− γ) ≤ ϕ(f(x)).

Si puo integrare questa disuguaglianza su A perche f e misurabile e quindi anche la composizioneϕ ◦ f lo e (ϕ e continua per Proposizione 1.11.8). Quindi, si trova

ϕ(γ)µ(A) + m

[∫

Af dµ− γµ(A)

]≤

A(ϕ ◦ f) dµ,

ma, l’espressione∫A f dµ− γµ(A) e nulla per la definizione di γ. ¤

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Capitolo 2

Spazi Lp.

In questo Capitolo, vogliamo studiare una classe importante di spazi funzionali, gli spazi Lp.Questi spazi sono caratterizzati da proprieta di sommabilita o limitatezza e quindi sono legatoai modi piu naturali per misurare la grandezza di una funzione data. Tali spazi anche fornisconoun modo naturale di parlare della vicinanza di funzioni; cioe generano diverse topologie in spazidi funzioni. La presenza degli spazi Lp e omnipresente nell’analisi superiore. Il caso particolaredi p = 1 e stato brevemente introdotto in Analisi IV e certi aspetti astratti di spazi funzionalisara il punto principale di Analisi Funzionale I. Il nostro obiettivo e di fornire, in modo sistem-atico, le definizioni e proprieta di base di tali spazi, sfruttando la loro rappresentazione concreta.Lavoriamo esclusivamente nello spazio euclideo Rn, ma una grande parte della teoria si estendeal contesto di spazi di misura qualsiasi (vedi le referenze nella bibliografia) o di varieta con unminimo di regolarita (vedi il libro di Taylor [10]).

2.1 Gli spazi Lp(E).

Cominciamo subito di identificare i protagonisti del nostro studio. Nel seguito, denotiamo con

mis(E,R) = {f : E → R; f misurabile}, (2.1.1)

per E ∈M(Rn).

2.1.1. Definizione: Siano E ∈ M(Rn) e p ∈ (0, +∞). Lo spazio delle funzioni p-sommabili suE e

Lp(E) := {f ∈ mis(E,R) :∫

E|f |p dx < +∞} (2.1.2)

Denotiamo anche

||f ||p := ||f ||p,E :=(∫

E|f |p dx

)1/p

. (2.1.3)

N.B. Sulla definizione, si puo notare:

1. Il caso |E| = 0 e banale. Infatti, in tal caso, si ha Lp(E) = mis(E,R) e ||f ||p = 0 per ognif . Quindi, da adesso in poi, intendiamo sempre |E| > 0.

2. Ha senso definire anche Lp(E,C) := {f ∈ mis(E,C) : ||f ||p < +∞}. Usando la rappre-sentazione f = f1 + if2, si sa |f |2 = f2

1 + f22 , e, quindi

|fj | ≤ |f | ≤ |fj |, j = 1, 2.

Quindi, f ∈ Lp(E,C) ⇐⇒ f1, f2 ∈ Lp(E,R).

38

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 39

3. Dato qualsiasi spazio di misura (X, µ,M), ha senso definire anche Lp(E, dµ) per E ∈M(X).

2.1.2. Esercizio: Sia f(x) = ||x||−α con α > 0. Trovare α per cui f ∈ Lp(E) nei casi

(a) E = B1(0) ⊂ Rn

(b) E = Rn \B1(0)

Abbiamo bisogno anche del “caso limite” p = ∞ che e legato alla proprieta di limitatezza. Piuprecisamente, ci serve un concetto di limitatezza compatibile con il bisogno (e la necessita) ditrascurare gli insiemi di misura nulla.

2.1.3. Definizione: Siano E ∈M(Rn) e f ∈ mis(E,R). Si chiama estremo superiore essenzialedi f il numero

ess supEf := inf {α ∈ R : |{x ∈ E : f(x) > α}| = 0} (2.1.4)

Diciamo che f e essenzialmente limitata superiormente se e solo se Ef < +∞.

N.B. Si vede facilmente:

1. ess supEf = +∞⇐⇒ ∀ α ∈ R si ha |{x ∈ E : f(x) > α}| > 0.

2. Il caso di E ∈ M(Rn) con |E| = 0 e di nuovo banale; tutte le funzioni misurabili f sonoessenzialmente limitate superiormente su E con misura nulla e, in tal caso, ess supEf = −∞.

3. C’e una definizione analoga per ess supEf , l’estremo inferiore essenziale di f su E.

Per cominciare di capire cosa significa questa definizione, notiamo che abbiamo ampliato lo spaziodi funzioni limitate superiormente a quelli limitati superiormente fuori di un insieme di misuranulla.

2.1.4. Esempio: La funzione f : R→ R definita da

f(x) ={

n x = 1/n0 altrimenti

e essenzialmente limitata con ess supRf = 0, ma f non e limitata (supR f = +∞).

Piu precisamente, si ha la seguente caratterizzazione del estremo superiore essenziale.

2.1.5. Proposizione: Sia E ∈M(Rn). Allora

(a) Per ogni f ∈ mis(E,R), si ha

ess supEf = min {M ∈ [−∞,∞] : f(x) ≤ M, per q.o. x ∈ E} , (2.1.5)

(b) f e essenzialmente limitata superiormente ⇐⇒ esistono M < +∞, e Z ⊂ E con |Z| = 0t.c. f(x) ≤ M per ogni x ∈ E \ Z.

2.1.6. Esercizio: Mostrare Proposizione 2.1.5.

Adesso siamo pronti per il caso limite p = ∞.

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 40

2.1.7. Definizione: Sia E ∈M(Rn). Lo spazio delle funzioni essenzialmente limitate su E e

L∞(E) := {f ∈ mis(E,R) : ess supE |f | dx < +∞} (2.1.6)

Denotiamo anche||f ||∞ := ||f ||∞,E := ess supE |f |. (2.1.7)

N.B. Esattamente come nella Proposizione 2.1.5, si puo affermare:

1. ||f ||∞ = min{M ∈ [0, +∞] : |f(x)| ≤ M q.o. in E}2. f ∈ L∞(E) ⇐⇒ esistono M < +∞, Z ⊂ E t.c. |f(x)| ≤ M per ogni x ∈ E \ Z.

2.1.8. Esercizio: Mostrare le seguente affermazioni di uso comune:

||f ||∞,E = ess supE |f | ≤ supE|f |; (2.1.8)

f ∈ L∞(E) =⇒ f(x) ≤ ||f ||∞ per q.o. x ∈ E. (2.1.9)

Adesso, chiediamo quali sono le relazioni fra gli spazi Lp(E) e fra le “norme” || · ||p per le varievalori di p? La prima risposta da un senso alla nostra affermazione che L∞(E) e un caso limitedi Lp(E).

2.1.9. Proposizione: Sia E ∈M(Rn) t.c. 0 < |E| < +∞. Allora

||f ||∞ = limp→∞ ||f ||p, ∀ f ∈ mis(E,R).

Dimostrazione: Sia M = ||f ||∞ ∈ [0, +∞].

1. Il caso M = 0 e banale; se f = 0 quasi-ovunque, ||f ||p = 0 per ogni p ∈ (0,∞]. Quindi,possiamo assumere M ∈ (0, +∞].

2. Per ogni M ′ t.c. 0 < M ′ < M definiamo A := {x ∈ E : |f(x)| > M ′}. Abbiamo |A| > 0per la definizione di ||f ||∞ e |A| ≤ |E| < +∞ per ipotesi. Quindi, per ogni p ∈ (0,∞),abbiamo

||f ||p ≥(∫

A|f |p dx

)1/p

≥ M ′|A|1/p → M ′, per p →∞.

Quindi,lim infp→∞ ||f ||p ≥ M ′, ∀ 0 < M ′ < M.

Quindi, si ha lim infp→∞ ||f ||p ≥ M , e abbiamo il risultato nel caso M = +∞3. D’altra parte, se M < +∞, usando 0 < |E| < +∞, abbiamo

||f ||p :=(∫

E|f |p dx

)1/p

≤ M |E|1/p → M, per p →∞.

Quindi, si ha lim supp→∞ ||f ||p ≤ M . Combinano le disuguaglianze sul limsup e liminfabbiamo il risultato nel caso 0 < M < +∞.

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 41

¤

N.B. L’ipotesi |E| < +∞ e essenziale. Per esempio, una funzione costante f ≡ c su E di misurainfinita avra ||f ||∞ = c < +∞ = ||f ||p per ogni p ∈ (0,∞). Il risultato e falso se |E| = 0, perche?

2.1.10. Proposizione: Sia E ∈M(Rn) con 0 < |E| < +∞. Allora

0 < p1 < p2 ≤ ∞ =⇒ Lp2(E) ⊂ Lp1(E).

Dimostrazione:

1. Per prima cosa, facciamo una decomposizione utile di E = E1 ∪ E2 definendo

E1 = {x ∈ E : |f(x)| ≤ 1} e E2 = {x ∈ E : |f(x)| > 1}.Per ogni p ∈ (0,∞) abbiamo

E|f |p dx ≤ |E1|+

E2

|f |p dx,

dove l’integrale su E2 e crescente in p.

2. Nel caso p1 < p2 < +∞, abbiamo∫

E|f |p1 dx ≤ |E1|+

E2

|f |p1 dx ≤ |E1|+∫

E2

|f |p2 dx,

usando la monotonia in p. Quindi, abbiamo il risultato in questo caso.

3. Nel caso p1 < p2 = ∞, usiamo la stima |f(x)| ≤ ||f ||∞ per q.o. x ∈ E. Quindi,∫

E|f |p1 dx ≤ |E| ||f ||p1∞,

e, abbiamo il risultato anche in questo caso.

¤

N.B. Si vede facilmente:

1. L’ipotesi |E| < +∞ e essenziale; per esempio, ci sono controesempi del tipo:

(a) x−1/p1 ∈ Lp2(1, +∞) per ogni p2 > p1, ma non appartiene a Lp1(1, +∞).(b) c ∈ L∞(E) \ Lp(E) per ogni p ∈ (0,∞) se |E| = +∞ e la costante c 6= 0

2. Essendo |E| > 0, le inclusioni sono strette; cioe esistono f ∈ Lp1(E) per ogni p1 < p2, maf /∈ Lp2(E). Per esempio, sull’intervallo E = (0, 1)

(a) f(x) = x−1/p2 con p2 < ∞(b) f(x) = ln(1/x) con p2 = +∞

2.1.11. Esercizio: Via la disuguaglianza di Jensen mostrare: per ogni p ∈ (1,∞) e per ogniE ∈M(Rn) con |E| < +∞, si ha

||f ||1 ≤ |E|1−1/p||f ||pe, quindi, Lp(E) ⊂ L1(E) di nuovo.

2.1.12. Proposizione: Sia E ∈ M(Rn). Allora per ogni p ∈ (0,∞), lo spazio Lp(E) e unospazio vettoriale; cioe

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 42

(a) cf ∈ Lp(E) per ogni f ∈ Lp(E), c ∈ R(b) f + g ∈ Lp(E) per ogni f, g ∈ Lp(E).

Lasciamo la dimostrazione per esercizio, pero con qualche aiuto.

1. I casi p = 1,∞ sono facili. Si usa solo la definizione di || · ||1 e || · ||∞ e la disuguaglianzatriangolare in R. L’argomento sara fatto successivamente (Teorema 2.2.6).

2. Il caso 1 < p < ∞ quando |E| < +∞ puo essere fatto integrando la versione discreta delladisuguaglianza di Jensen (Teorema 1.11.3), partendo da

|f(x) + g(x)|p =∣∣∣∣122f(x) +

122g(x)

∣∣∣∣p

≤ . . . .

Poi, si deve passare al caso generale per E misurabile. Sara presentato, invece, un altroargomento che funzione direttamente su E ∈M(Rn) qualsiasi (vedi Teorema 2.2.6).

3. Il caso p ∈ (0, 1) si base sulla disuguaglianza: se 0 < p < 1, allora (a + b)p ≤ ap + bp perogni a, b ≥ 0 (vedi Teorema 2.3.9).

2.2 Le disuguaglianze di Holder e Minkowski

L’idea di questo paragrafo e di cercare di controllare ||fg||p, ||f +g||p per f ∈ Lp1(E), g ∈ Lp2(E).In particolare, quali sono le relazioni fra p, p1, p2 che garantiscono ||fg||p, ||f + g||p < +∞?

2.2.1. Definizione: Siano p, q ∈ (0,∞) Diciamo che p e q sono esponenti coniugati se p+q = pq,ovvero se

1p

+1q

= 1. (2.2.1)

N.B.

1. 1/p, 1/q > 0 e hanno somma 1. Quindi, 1/p, 1/q < 1, ovvero p, q > 1.

2. Ci sono i “casi limite”, ovvero, (p, q) = (1,∞) e (p, q) = (∞, 1). Queste copie sono chiamateanche esponenti coniugati.

3. Spesso si denota

p′ = q(p) =(

1− 1p

)−1

=p

p− 1(2.2.2)

e si parla del coniugato di Young di p ∈ [1,∞].

2.2.2. Teorema (Disuguaglianza di Young): Sia ϕ : [0,+∞) → [0,+∞) continua e stret-tamente crescente t.c. ϕ(0) = 0. Sia ψ = ϕ−1 la sua funzione inversa (essa anche continua estrettamente crescente). Allora, per ogni a, b ≥ 0 si ha

ab ≤∫ a

0ϕ(x) dx +

∫ b

0ψ(y) dy, (2.2.3)

con uguaglianza in (2.2.3) se e solo se b = ϕ(a).

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 43

Dimostrazione: Si fa “per disegno”, interpretando gli integrali di ϕ,ψ come area sotto il lorografico.

2.2.3. Corollario: Sia p ∈ (1,∞) e q = p′ = p/(p− 1) ∈ (1,∞). Allora

ab ≤ ap

p+

bq

q, ∀ a, b ≥ 0. (2.2.4)

Dimostrazione: Si applica Teorema 2.2.2 con ϕ(x) = xα e α opportuno. Si trova che la sceltaα + 1 = p e quella giusta.

Adesso siamo pronti per i risultati principali di questo paragrafo. Nel seguito, anche se non vienespecificato, E ∈M(Rn) un insieme misurabile con |E| > 0.

2.2.4. Teorema (Disuguaglianza di Holder) Siano 1 ≤ p ≤ +∞ e q = p′ = p/(p−1). Alloraper ogni f, g ∈ mis(E,R) si ha

||fg||1 ≤ ||f ||p ||g||q, (2.2.5)

N.B. Ci dice qualcosa solo nel caso f ∈ Lp(E) e g ∈ Lp′(E), e la conclusione in tal caso efg ∈ L1(E) con la disuguaglianza (2.2.5).

Dimostrazione: Ci sono tre casi:

Caso 1: Se p = 1, vogliamo mostrare∫

E|fg| dx ≤

[∫

E|f | dx

]ess supE |g| (2.2.6)

ma questo e ovvio perche se |g(x)| ≤ M = ess sup|g| per ogni x ∈ E \ Z con |Z| = 0, abbiamo∫

E|fg| dx ≤ M

E\Z|f | dx ≤ M

E|f | dx.

Caso 2: Se p = ∞, vogliamo mostrare∫

E|fg| dx ≤ ess supE |f |

[∫

E|g| dx

], (2.2.7)

ma questo e caso 1, scambiando f per g.

Caso 3: Se 1 < p < ∞, vogliamo mostrare

E|fg| dx ≤

[∫

E|f |p dx

]1/p [∫

E|g|p′ dx

]1/p′

, (2.2.8)

integrando la disuguaglianza di Young (Corollario 2.2.3). In particolare:

1. Basta mostrare il caso ||f ||p = 1 = ||g||p′ . Infatti, se ||f ||p = 0 (oppure ||g||p′ = 0), alloraf = 0 q.o. in E (oppure g = 0 q.o. in E). Quindi, abbiamo (2.2.8) nella forma banale 0 ≤ 0.Se ||f ||p = +∞ (oppure ||g||p′ = ∞), abbiamo (2.2.8) nella forma banale ||fg|| ≤ +∞.Quindi, possiamo assumere che

0 < ||f ||p, ||g||p′ < +∞,

e consideriamo i riscalamenti f = f/||f ||p e g = g/||g||p′ . Se mostriamo

||f g|| ≤ ||f ||p ||g||p′ = 1,

allora abbiamo la (2.2.8).

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 44

2. Con a = |f |, b = |g| dove ||f ||p = 1 = ||g||p′ , si integra (2.2.4) su E, trovando

E|fg| dx =

E|f | |g| dx ≤

E

(|f |pp

+|g|p′p′

)dx =

1p

+1p′

= 1

¤

Nel caso “autoduale” di p = q = 2, abbiamo il seguente corollario di uso frequente.

2.2.5. Corollario (disuguaglianza di Cauchy-Schwarz) Per ogni f, g ∈ mis(E,R), si ha

E|fg| dx ≤

[∫

E|f |2 dx

]1/2 [∫

E|g|2 dx

]1/2

. (2.2.9)

Adesso esaminiamo la norma di una somma.

2.2.6. Teorema (Disuguaglianza di Minkowski) Sia 1 ≤ p ≤ ∞. Allora, per ogni f, g ∈mis(E,R), si ha

||f + g||p ≤ ||f ||p + ||g||p. (2.2.10)

N.B. Di nuovo, ci dice qualcosa solo nel caso f, g ∈ Lp(E), e , in tal caso, f + g ∈ Lp(E) con ladisuguaglianza (2.2.10), che e la disuguaglianza triangolare in Lp(E).

Dimostrazione: Di nuovo, ci sono tre casi.

Caso 1: Se p = 1, vogliamo mostrare∫

E|f + g| dx ≤

E|f | dx +

E|g| dx, (2.2.11)

ma questo e ovvio integrando la disuguaglianza triangolare |f(x) + g(x)| ≤ |f(x)| + |g(x)| perogni x ∈ E.

Caso 2: Se p = ∞, vogliamo mostrare

ess supE |f + g| ≤ ess supE |f |+ ess supE |g|, (2.2.12)

ma questo e facile nel caso non banale di ||f ||∞, ||g||∞ < ∞. Infatti, si ha

|f(x)| ≤ ||f ||∞, x ∈ E \ Z1, con |Z1| = 0,

|g(x)| ≤ ||g||∞, x ∈ E \ Z2, con |Z2| = 0,

quindi, |f(x) + g(x)| ≤ ||f ||∞ + ||g||∞ per x ∈ E \ Z, dove |Z| = |Z1 ∪ Z2| = 0.

Caso 3: Se 1 < p < ∞, vogliamo mostrare

[∫

E|f + g|p dx

]1/p

≤[∫

E|f |p dx

]1/p

+[∫

E|g|p dx

]1/p

. (2.2.13)

Si sfrutta la disuguaglianza di Holder nel modo seguente

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 45

||f + g||pp =∫

E|f(x) + g(x)|p−1 |f(x) + g(x)| dx

≤∫

E|f(x)| |f(x) + g(x)|p−1 dx +

E|g(x)| |f(x) + g(x)|p−1 dx

≤ ||f ||p |||f + g|p−1||p′ + ||g||p |||f + g|p−1||p′ ,

ma p′ = p/(p− 1) e, quindi, (p− 1)p′ = p, percio

||f + g||pp ≤ ||f ||p ||f + g||p−1p + ||g||p ||f + g||p−1

p . (2.2.14)

Se ||f + g||p 6= 0, cancelliamo il fattore di ||f + g||p−1p nella (2.2.14) per trovare (2.2.13). Se invece

||f + g||p = 0, la (2.2.13) e banale.¤

2.2.7. Osservazione (sui valori di p): Nelle disuguaglianze di Holder e Minkowski, si ha1 ≤ p ≤ ∞; in particolare:

(a) Holder Ci serve p ∈ [1,∞] per definire l’esponente coniugato p′.

(b) Minkowski ci serve p ∈ [1,∞] per avere la convessita necessaria. Il risultato e falso, ingenerale, per p ∈ (0, 1).

2.2.8. Esempio: Siano E = (0, 1), f = χ(0,1/2), e g = χ(1/2,1). Allora, si vede ||f + g||p = 1 perogni p > 0, ma ||f ||p = (1/2)1/p = ||g||p per p ∈ (0,∞). Quindi,

||f ||p + ||g||p = 21−1/p < 1 = ||f + g||p, se p ∈ (0, 1).

Una conseguenza importante della disuguaglianza di Minkowski e il seguente corollario.

2.2.9. Corollario: Siano 1 ≤ p ≤ ∞ e E ∈ M(Rn). Allora (Lp(E), || · ||p) e uno spaziovettoriale semi-normato; cioe:

(a) || · ||p : Lp(E) → [0, +∞) ;

(b) ||cf ||p = c||f ||p, ∀ c ∈ R, f ∈ Lp(E);

(c) ||f + g||p ≤ ||f ||p + ||g||p, ∀ f, g ∈ Lp(E).

Ovviamente, manchiamo per poco la struttura di uno spazio normato perche ||f ||p = 0 implicasolo f = 0 q.o. in E, non che f e identicamente nulla. Questo “difetto” dello spazio Lp(E) puoessere rimediato passando a classe di equivalenza rispetto alla relazione di equivalenza naturalein questo contesto. Questo e uno dei punti principali del prossimo paragrafo. Proponiamo, infine, esercizi su possibili generalizzazioni delle disuguaglianze di Holder e Minkowski.

2.2.10. Esercizio (Disuguaglianza di Holder generalizzata): Siano 1 ≤ p, q, r ≤ ∞ conp−1 + q−1 = r−1 e E ∈M(Rn). Mostrare che, per ogni f, g ∈ mis(E,R), si ha

||fg||r ≤ ||f ||p||g||q.

Quindi, il prodotto definisce una mappa bilineare e continua da Lp(E)× Lq(E) → Lr(E).

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 46

2.2.11. Esercizio (Disuguaglianza di Minkowski - versione integrale) Sia 1 ≤ p < ∞.Mostrare che, per ogni f ∈ mis(Rn × Rm,R) t.c. f(·, y) ∈ L(Rn

x) per q.o. y ∈ Rm, si ha

[∫

Rm

∣∣∣∣∫

Rn

f(x, y) dx

∣∣∣∣p

dy

]1/p

≤∫

Rn

[∫

Rm

|f(x, y)|p dy

]1/p

dx

Quindi, se f ∈ L1(Rnx,Lp(Rm

y )), allora F definita quasi ovunque da F (y) = ||f(·, y)||pLp(Rn) sta inL1(Rm

y ).

2.3 Gli spazi Lp(E)

Il punto di questo paragrafo e di mostrare che uno puo fornire la struttura di uno spazio di Banachagli spazi Lp(E) che sono le proiezioni degli spazi Lp(E) rispetto ad una opportuna relazione diequivalenza. Cosı, si puo usare i vari bazooka dell’analisi funzionale associate a tali spazi.

2.3.1. Definizione: Siano f, g ∈ mis(E,R). Diciamo che f e equivalente a g in Lp(E), escriviamo f ∼ g, se f = g q.o. in E; cioe se

∃Z ⊂ E : |Z| = 0, e f(x) = g(x), ∀ x ∈ E \ Z.

2.3.2. Osservazione: La relazione ∼ e una relazione di equivalenza su mis(E,R); cioe:

(i) f ∼ f ;

(ii) f ∼ g =⇒ g ∼ f ;

(iii) f ∼ g, g ∼ h =⇒ f ∼ h.

Infatti, le proprieta (i)-(ii) seguono direttamente dalla definizione, e la (iii) segue facilmente(Zf,h ⊂ Zf,g ∪ Zg,h).

N.B. La restrizione di ∼ agli spazi Lp(E) e anche una relazione di equivalenza.

2.3.3. Definizione: Siano 0 < p ≤ ∞ e E ∈M(Rn) con |E| > 0. Si definisce

Lp(E) := Lp(E)/ ∼ := {F : F = [f ] con f ∈ Lp(E)}, (2.3.1)

dove[f ] := {g ∈ Lp(E) : g ∼ f} = {f + R : R = 0 q.o. in E} (2.3.2)

N.B. Spesso, si scrive lo stesso simbolo f sia per un elemento in LP (E) sia per la classe diequivalenza F = [f ] ∈ Lp(E) determinata da f . Questo abuso di notazione e molto comodo. Inrealta, quello che si fa, in pratica, e di fare un’identificazione:

Lp(E) ←→{

lo spazio dei rappresentanti Lp(E)la definizione di uguaglianza f = g in Lp(E) ⇐⇒ f ∼ g

(2.3.3)

Anche se in tanti libri, e nell’uso comune, non ci si sofferma molto su quest’identificazione,guardiamo una volta per tutte che cosa succede se si lavora esplicitamente al livello delle classedi equivalenza. Poi, dopo, usiamo anche noi l’identificazione (2.3.3), cercando di avere una buonamiscela di flessibilita e rigore.

2.3.4. Proposizione: Sullo spazio Lp(E) sono ben definiti:

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 47

(a) || · ||p : ||F ||p := ||f ||p per ogni f ∈ F ;

(b) + : F + G := [f + g] per ogni f ∈ F, g ∈ G;

(c) mc : cF := [cf ], c ∈ R, per ogni f ∈ F .

Dimostrazione: Per la (a), dobbiamo verificare solo che f ∼ g =⇒ ||f ||p = ||g||p, che e ovviosia nel caso p = ∞ via la definzione di ess supE |f | = ||f ||∞,E sia nel caso p ∈ (0,∞) usando lesemi-norme integrali.Per la (b), notiamo inanzi tutto che f, g ∈ Lp(E) =⇒ f + g ∈ Lp(E); per p ∈ [1,∞], questae una conseguenza della disuguaglianza di Minkowski (Corollario 2.2.9), e, per p ∈ (0, 1) saratrattato nella dimostrazione del Teorema 2.3.9. Poi, si verifica facilmente che f1 ∼ f2, g1 ∼g2 =⇒ f1 + g1 ∼ f2 + g2, ovvero, che la classe di equivalenza della somma e la somma delle classidi equivalenza. La proprieta (c) si mostra in modo analogo. ¤

2.3.5. Teorema: Siano 1 ≤ p ≤ ∞ e E ∈ M(Rn). Allora (Lp(E), || · ||p) e uno spazio linearenormato.

Dimostrazione: Nella dimostrazione di Proposizione 2.3.4, abbiamo gia visto che Lp(E) e unospazio lineare. Inoltre, le proprieta delle norme si verificano facilmente.

1. Se ||F ||p = 0 e f ∈ F , allora ||f ||p = 0, e, quindi, f ∼ 0, percio F = [f ] = [0].

2. Per la disuguaglianza triangolare, abbiamo, grazie alla disuguaglianza di Minkowski sullospazio delle rappresentati: se f ∈ F, g ∈ G

||F + G||p := ||f + g||p ≤ ||f ||p + ||g||p := ||F ||p + ||G||p.

3. Finalmente, se f ∈ F , ||cF ||p := ||cf ||p = |c| ||f ||p := |c| ||F ||p.¤

Adesso vogliamo parlare della convergenza di successioni. Per prima cosa, cosa si intende per unasuccessione in Lp(E)? Data una successione di classi di equivalenza, {Fj} ⊂ Lp(E), scegliamo unrappresentante, diciamo fj ∈ Fj . Quindi, abbiamo Fj = [fj ]; cioe la j-esima classe e la classe delrappresentante j-esimo, e l’idea sara di lavorare su una successione di rappresentanti, controllandoche la convergenza non dipenda dai rappresentati scelti. Le definizioni, al livello delle classi inLp(E), sono esattamente quello che ci si aspetta dato il fatto che Lp(E) e uno spazio normato.

2.3.6. Definizione: Siano {Fj} una successione in Lp(E) e F una classe in Lp(E).

(a) Diciamo che Fj converge a F in LP (E) se ||Fj − F ||p → 0, per j → +∞.

(b) Diciamo che {Fj} e una successione di Cauchy in Lp(E) se, per ogni ε > 0, esiste N =N(ε) ∈ N t.c. ||Fj − Fk||p < ε per j, k > N .

Adesso, guardiamo cosa succede in queste definizioni se scegliamo dei rappresentanti. Per lesuccessioni di Cauchy, consideriamo una successione di rappresentanti fj ∈ Fj , j ∈ N. Allora,abbiamo

||Fj − Fk||p = ||[fj ]− [fk]||p := ||[fj − fk]||p := ||fj − fk||p,e si vede che {fj} e una successione di funzioni in Lp(E) che e una successione di Cauchy rispettoalla norma || · ||p in Lp(E).

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 48

In modo analogo, se Fj → F in Lp(E), e scegliendo dei rappresentanti fj , f ∈ Lp(E), abbiamo

||Fj − F ||p := ||[fj − f ]||p := ||fj − f ||p,

e, quindi, la successione di rappresentanti per Fj converge al rappresentante di F rispetto allanorma || · ||p in Lp(E). Quindi, convergenza di elementi in Lp(E) vuol dire convergenza di ognisuccessione di rappresentanti.

2.3.7. Teorema: Siano 1 ≤ p ≤ ∞ e E ∈ M(Rn) con |E| > 0. Allora (Lp(E), || · ||p) e unospazio di Banach. In particolare, se {fj} ⊂ Lp(E) e una successione di Cauchy rispetto allanorma || · ||p in Lp(E), esiste f ∈ Lp(E) t.c. ||fj − f ||p → 0 per j → +∞.

Dimostrazione: Ci sono due casi.

Caso 1: (p = ∞) Sia {fj} ⊂ L∞(E) una successione di Cauchy.

1. Esiste Z di misura nulla t.c.

|fj(x)− fk(x)| ≤ ||fj − fk||∞, ∀ x ∈ E \ Z. (2.3.4)

Infatti, dato che fj , fk ∈ L∞(E), abbiamo fj − fk ∈ L∞(E) e quindi esiste Zj,k di misuranulla t.c.

|fj(x)− fk(x)| ≤ ||fj − fk||∞, ∀ x ∈ E \ Zj,k.

Quindi, si ha (2.3.4) per Z =⋃

j,k∈NZj,k, dove Z ha misura nulla.

2. Per ogni x ∈ E \Z, esiste finito il limite lim fj(x) := f(x). Infatti, {fj} e Cauchy in norma,e, quindi, per la stima di passo 1, {fj(x)} e Cauchy in R per ogni x ∈ E \Z, cioe: per ogniε > 0, esiste N = N(ε) ∈ N t.c.

|fj(x)− fk(x)| ≤ ||fj − fk||∞ < ε, ∀ x ∈ E \ Z,∀ j, k > N. (2.3.5)

3. La convergenza di fj(x) → f(x) e quasi-uniforme; cioe, e uniforme su E \ Z con |Z| = 0.Quindi, si puo affermare

(i) ||fj − f ||∞ → 0, per j → +∞(ii) fj e limitata su E \ Z, e quindi f ∈ L∞(E).

Infatti, dalla formula (2.3.5), possiamo mandare j →∞ usando la convergenza puntuale suE \ Z per trovare

|f(x)− fk(x)| ≤ ε, ∀ x ∈ E \ Z,∀ k > N,

e, quindi

limk→+∞

[supE\Z

|f(x)− fk(x)|]

= 0.

Allora, abbiamo ||fk − f ||∞ = ess supE |fk − f | ≤ supE\Z |fk − f | → 0, e, quindi la (i). Poi,usando

|f(x)| ≤ |f(x)− fk(x)|+ |fk(x)|≤ ε + ||fk||∞ < +∞, ∀ k > N(ε), ∀x ∈ E \ Z,

abbiamo la (ii).

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 49

Caso 2: (1 ≤ p < ∞) Sia {fj} ⊂ Lp(E) una successione di Cauchy. La dimostrazione in questocaso richiede un po’ di strumenti. Brevemente, usiamo una versione Lp della disuguaglianza diTchebychev per affermare la convergenza in misura di {fj}. Poi, da questa successione, possiamoestrarre una sottosuccessione che converge q.o. ad un limite misurabile. Infine, mostriamo che lasottosuccesione converge anche in norma || · ||p, con limite in Lp(E). Infatti:

1. Lemma 1: (Disuguaglianza di Tchebychev - versione Lp) Siano f ∈ mis(E,R) eα > 0. Allora:

|{x ∈ E : |f(x)| > α}| ≤ 1αp

E|f(x)|p dx. (2.3.6)

Infatti, abbiamo le stime facili:∫

|f |>α|f |p dx ≥

|f |>ααp dx = αp |{x ∈ E : |f(x)| > α}| ,

quindi, dividendo per αp > 0, si trova una disuguaglianza piu forte di (2.3.6).

2. Applicando (2.3.6) alla successione {fj}, abbiamo per ogni α > 0

|{x ∈ E : |fj(x)− fk(x)| > α}| ≤ 1αp

E|fj(x)− fk(x)|p dx. (2.3.7)

dove {fn} ⊂ LP (E) e una successione di Cauchy rispetto alla convergenza in norma Lp(E).Con α > 0 fisso, abbiamo che per ogni ε > 0 esiste N = N(α, ε) ∈ N t.c. ||fj − fk||pp < αpεse j, k > N . Combinando questo con (2.3.7) abbiamo: per ogni α > 0, ε > 0 esisteN = N(α, ε) ∈ N t.c.

|{x ∈ E : |fj(x)− fk(x)| > α}| ≤ ε, ∀ j, k > N,

ovvero, {fj} ⊂ LP (E) e una successione di Cauchy rispetto alla convergenza in misura suE; cioe

∀ α > 0 : limj,k→+∞

|{x ∈ E : |fj(x)− fk(x)| > α}| = 0. (2.3.8)

Parliamo di questa convergenza (ed altre) nel paragrafo successivo.

3. Lemma 2: Sia {fj} ⊂ mis(E,R). Allora esiste f ∈ mis(E,R) t.c. fj converge in misurasu E; cioe,

∀ α > 0 : limj→+∞

|{x ∈ E : |fj(x)− f(x)| > α}| = 0 (2.3.9)

se e solo se {fj} soddisfa (2.3.8). Questo risultato e Teorema 4.23 di [11]. Quindi, esisteuna funzione misurabile f che e il limite rispetto la convergenza in misura della successione{fj}.

4. Lemma 3: Se fj converge ad f in misura su E, allora esiste una sottosuccessione {fjm}che converge ad f q.o. su E. Questo risultato e Teorema 4.22 di [11], che sara mostratonel paragrafo successivo. Quindi, abbiamo una sottosuccessione che converge ad un limitemisurabile q.o. su E.

5. Possiamo affermare

(i) ||fj − f ||p → 0 per j → +∞;

(ii) f ∈ Lp(E).

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 50

Infatti, abbiamo per ogni ε > 0 esiste N = N(ε) ∈ N t.c.[∫

E|fjm − fj | dx

]1/p

= ||fjm − fj ||p < ε, ∀ jm, j > N(ε),

quindi, mandiamo jm → +∞ usando il fatto che fjm → f q.o. su E. Per il Lemma diFatou, abbiamo

Elim infjm→+∞

|fjm − fj |p dx ≤ lim infjm→+∞

E|fjm − fj |p dx,

ovvero, ∫

E|f − fj |p dx ≤ lim inf

jm→+∞||fjm − fj ||pp < εp, ∀ j > N(ε).

Quindi, vale la affermazione (i). Inoltre, ||f ||p ≤ ||f − fj ||p + ||fj ||p < ε + ||fj ||p < +∞ perogni j > N(ε), e, quindi vale la affermazione (ii).

¤.

Abbiamo visto che Lp(E) e uno spazio di Banach (lineare, normato, completo) per 1 ≤ p ≤ +∞.D’altre parte, gli spazi Lp(E) con p ∈ (0, 1) sono spazi lineari non normati. Cosa possiamo diresulla completezza? C’e’ comunque qualche struttura geometrica nel caso p ∈ (0, 1)? Le rispostesono sı.

2.3.8. Definizione: Sia 0 < p ≤ +∞. La metrica Lp(E) e definita da:

dp(f, g) =

||f − g||p 1 ≤ p ≤ ∞

||f − g||pp 0 < p < 1, f, g ∈ Lp(E). (2.3.10)

E chiaro che dp : Lp(E) × Lp(E) → [0, +∞) e ben definita per ogni p ∈ (0,∞] e soddisfaf1 ∼ f2, g1 ∼ g2 =⇒ dp(f1, g1) = dp(f2, g2), quindi, proietta su una funzione dp : Lp(E)×Lp(E) →[0, +∞). Vale molto di piu.

2.3.9. Teorema: Siano 0 < p ≤ ∞ e E ∈M(Rn) con |E| > 0. Allora (Lp(E), dp) e uno spaziometrico completo; cioe, valgono:

(i) dp(f, g) ≥ 0 per ogni f, g ∈ Lp(E), e dp(f, g) = 0 ⇐⇒ f = g in Lp(E);

(ii) dp(f, g) = dp(g, f) per ogni f, g ∈ Lp(E);

(iii) dp(f, g) ≤ dp(f, h) + dp(h, g) per ogni f, g, h ∈ Lp(E);

iv) Se {fj} ⊂ Lp(E) soddisfa dp(fj , fk) → 0 per j, k → 0, allora esiste f ∈ Lp(E) t.c. dp(fj , f) →0 per j → +∞.

Dimostrazione: Il caso p ∈ [1, +∞] segue direttamente dal Teorema 2.3.6, dove la metrica ecompatibile con la norma. Nel caso p ∈ (0, 1), ci sono tre passi significativi.

1. Si mostra la disuguaglianza

0 < p < 1 =⇒ (a + b)p ≤ ap + bp, ∀ a, b ≥ 0 (2.3.11)

Infatti, per a = b = 0, e ovvio. Se a 6= 0, si pone t := b/a, e la (2.3.11) diventa

g(t) := (1 + t)p ≤ 1 + tp := h(t), ∀ t > 0.

Ma, g(0) = 1 = h(0) e si mostra facilmente che g′(t) < h′(t) per ogni t > 0 se p ∈ (0, 1).

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 51

2. Sfruttando (2.3.11), si verifica facilmente le proprieta geometriche (i), (ii), (iii).

3. Per la proprieta topologica (iv), si usa un argomento simile a quello fatto nel caso 2 (p ∈[1,∞)) del Teorema 2.3.7.

¤.

L’ultima proprieta generale che ci interessa e quella dell’esistenza di una base numerabile per glispazi.

2.3.10. Definizione: Uno spazio metrico (F , d) si chiama separabile se esiste un sottoinsiemenumerabile e denso; cioe esiste {fj}j∈N t.c. per ogni f ∈ F e per ε > 0, esiste fk con k =k(f, ε) ∈ N t.c. d(f, fk) < ε.

2.3.11. Teorema: Siano 0 < p < ∞ e E ∈M(Rn) con |E| > 0. Allora (Lp(E), dp) e uno spaziometrico separabile.

N.B. In generale, il risultato e falso per L∞(E). Ad esempio, in L∞(0, 1) consideriamo la famiglianon numerabile di funzioni

ft(x) = χ(0,t)(x), 0 < t < 1.

E facile vedere che per ogni s 6= t, ||ft − fs||∞ = 1.

L’idea della dimostrazione: E stata discussa in Analisi IV il caso p = 1. Qui, l’idea e identica.I passi principali sono:

1. Considerare una famiglia numerabile di rettangoli:

R :=

{R =

n∏

k=1

(ak, bk) : ak, bk ∈ Q, R ⊂ E

}.

2. Considerare una famiglia numerabile di funzioni a scala:

E :=

f =

M∑

j=1

αjχRj : αj ∈ Q, Rj ∈ R,M ∈ N .

3. Per ogni f ∈ Lp(E) e per ogni ε > 0, esiste f1 ∈ C00 (E) t.c. ||f − f1||p < ε. Questo e un

risultato di densita che abbiamo gia nominato da Analisi IV nel caso p = 1 (vedi Lemma 1nella dimostrazione del Teorema 1.3.3).

4. Sia U ⊂ E aperto, limitato t.c. suppf1 ⊂ U ⊂ E. Allora esiste f2 ∈ E t.c.

suppf2 ⊂ U e |f2(x)− f1(x)| < ε

|U |1/p, q.o. su U.

Per questo, basta controllare l’oscillazione di f1 (che e uniformemente continua).

Quindi, abbiamo ∫

E|f2 − f1|p dx =

U|f2 − f1|p dx ≤ εp

|U | |U | = εp,

ovvero, ||f2 − f1||p ≤ ε. Si combina questa stima con quella del passo 3. ¤.

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 52

2.4 Convergenza di funzioni misurabili

Come abbiamo visto nella dimostrazione del Teorema 2.3.7, e essenziale essere capaci di con-frontare la convergenza in norma Lp con altri modi di convergenza. Quindi, in questo paragrafo,poniamo il seguente problema: data una successione di funzioni {fj} ⊂ mis(E,R) e data una fun-zione limite f ∈ mis(E,R), quali sono i principali modi di convergenza e quali sono le relazionifra loro? Cominciamo con un elenco dei tipi di convergenza.

2.4.1. Definizioni: Siano E ∈M(Rn) con |E| > 0, {fj} ⊂ mis(E,R) e f ∈ mis(E,R). Diciamoche fj → f rispetto alla convergenza:

Uniforme (U) ◦⇐⇒ supE |fj(x)− f(x)| → 0, j → +∞

Quasi-Uniforme (QU) ◦⇐⇒ ∀ α > 0 ∃ Eα t.c. |Eα| < α e supE\Eα|fj(x)−f(x)| → 0, j → +∞

Quasi-Ovunque (QO) ◦⇐⇒ ∃ Z t.c. |Z| = 0 e |fj(x)− f(x)| → 0, j → +∞, ∀x ∈ E \ Z,

in Misura (M): ◦⇐⇒ ∀ α > 0 |{x ∈ E : |fj(x)− f(x)| > α}| → 0, j → +∞

in Norma (L∞) ◦⇐⇒ ||fj − f ||∞ = ess supE |fj − f | → 0, j → +∞

in Norma (Lp) ◦⇐⇒ ||fj − f ||p =[∫

E |fj − f |p dx]1/p → 0, j → +∞

2.4.2. Teorema:(Confronto fra le convergenze) Si ha il seguente diagramma:

uniforme↙ ↘

quasi− uniforme ←− norma L∞

↓ ⇑ ↘ ↙ ⇓quasi− ovunque " misura

←V norma Lp

dove le frecce significano:

→ sempre vero

⇒ vero se |E| < +∞V vero, se |E| < +∞ e |fn| ≤ M per ogni n

# vero, passando ad una sottosuccessione

Invece di fornire una dimostrazione molto formale, facciamo qualche osservazione, dimostriamoqualche affermazione, lasciamo qualche affermazione per esercizio, e forniamo degli esempi sem-plici che mostrano perche certe implicazioni non valgono.

2.4.3. Osservazioni: Si puo dire:

1. La catena di implicazioni “U → QU → QO” e facile, e la lasciamo per esercizio (Esercizio2.4.6a). E anche facile l’implicazione “norma L∞ → QU”.

2. L’implicazione “QO ⇒ QU” e il Teorema di Egorov di Analisi IV (vedi Teorema 4.17 di[11]).

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 53

3. L’implicazione “QU → misura” piu il Teorema di Egorov da l’implicazione “QO ⇒misura”. Mostriamo questa prima implicazione in Proposizione 2.4.4.

4. L’implicazione “misura # QO” e quella che abbiamo usato nella dimostrazione della com-pletezza di Lp(E) (Teorema 2.3.7), e sara dimostrata in Proposizione 2.4.5.

5. L’implicazione “norma Lp → misura” e la Disuguaglianza di Tchebychev (Lemma 1) cheabbiamo usato nella dimostrazione del Teorema 2.3.7.

6. L’implicazione “norma L∞ → norma Lp” e la disuguaglianza di Holder, che abbiamo giaproposto come modo di verificare l’inclusione di L∞(E) ⊂ LP (E) se |E| < +∞.

7. La catena di implicazioni “U → norma L∞ → misura” e facile e la lasciamo per esercizio(Esercizio 2.4.6b).

8. L’implicazione “misura V Lp” e un buon esercizio (Esercizio 2.4.6c).

2.4.4. Proposizione: Sia {fj} ⊂ mis(E,R) t.c. fj → f ∈ mis(E,R) quasi-uniformemente.Allora, fj → f anche in misura.

Dimostrazione: Dobbiamo mostrare che per ogni α > 0 e per ogni ε > 0 esiste N = N(α, ε)t.c.

|{x ∈ E : |fj(x)− f(x)| > α}| < ε, ∀ j > N(α, ε).

Sappiamo, invece, che per ogni µ > 0 esiste Eµ con |Eµ| < µ e

limj→+∞

[sup

E\Eµ

|fj(x)− f(x)|]

= 0,

ovvero, per ogni δ > 0 esiste M = M(µ, δ) t.c.

|fj(x)− f(x)| < δ, ∀ j > M(µ, δ), ∀x ∈ E \ Eµ.

Quindi, abbiamo

|{x ∈ E : |fj(x)− f(x) ≥ δ}| ≤ |Eµ| < µ, se j > M(µ, δ),

quindi,|{x ∈ E : |fj(x)− f(x)| > δ}| < µ, se j > M(µ, δ).

Prendendo δ = α e µ = ε abbiamo il risultato. ¤

2.4.5. Proposizione: Siano {fj} ⊂ mis(E,R) e f ∈ mis(E,R) t.c. fj → f in misura. Allora,esiste una sottosuccessione {fjm} t.c. fjm → f quasi-ovunque.

Dimostrazione: Infatti,

1. Sappiamo che per ogni α > 0 e per ogni ε > 0 esiste N = N(α, ε) ∈ N t.c.

|{x ∈ E : |fj(x)− f(x)| > α}| < ε, ∀ j ≥ N(α, ε).

Per ogni m ∈ N, consideriamo αm = εm = 2−m, e quindi esiste jm := N(2−m, 2−m) ∈ N t.c.∣∣{x ∈ E : |fj(x)− f(x)| > 2−m

}∣∣ < 2−m, ∀ j ≥ jm.

Questa definisce la nostra sottosuccessione {fjm}.

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 54

2. Sia Em := {x ∈ E : |fjm(x) − f(x)| > 2−m}. Allora, |Em| < 2−m. Per ogni k ∈ N,definiamo Fk :=

⋃+∞m=k Em, e abbiamo |Fk| ≤

∑+∞m=k 2−m = 2−k+1.

3. Per ogni x 6∈ Fk (cioe x 6∈ Em per ogni m ≥ k), abbiamo

|fjµ(x)− f(x)| ≤ 2−µ, ∀µ ≥ k,

quindi, per ogni x 6∈ Fk, abbiamo fjµ → f(x) per µ → +∞. Quindi, per ogni x 6∈ (⋂+∞k=1 Fk

),

abbiamo fjµ → f(x) per µ → +∞. Ma,∣∣∣∣∣+∞⋂

k=1

Fk

∣∣∣∣∣ ≤ |Fk| = 2−k+1, ∀ k ∈ N,

quindi,∣∣⋂+∞

k=1 Fk

∣∣ = 0, e abbiamo fjµ → f su F =⋂+∞

k=1

(⋃+∞j=m Em

)dove |F | = 0. ¤

2.4.6. Esercizio. Rispetto la nostra discussione sui modi di convergenza fj → f per fj , f ∈mis(E)R), completare il quadro enunciato, mostrando le seguente affermazioni.

(a) “U −→ QU −→ QO”

(b) “U −→ L∞ −→ M”

(c) “M V Lp” (1 ≤ p < ∞)

Adesso, vogliamo fornire un elenco di esempi utili per indicare che non si puo migliore il quadrodel Teorema 2.4.2 senza aggiungere ulteriore ipotesi particolari; cioe, non e vero, in generale, chesi puo passare da un tipo di convergenza ad un altro dove non ci sono delle frecce nel diagramma.

2.4.7. Esempi (di fj → 0 in dimensione n = 1) :

(i) fj = 1j χ(0,j), j ∈ N

(ii) fj = jχ(0,1/j), j ∈ N(iii) fj = χ(j,j+1), j ∈ N(iv) fj = jχ(j,j+1/j), j ∈ N

(v) fj = χ(m/2k,(m+1)/2k), j = 2k + m ∈ N, 0 ≤ m ≤ 2k − 1

2.4.8. Osservazioni:

1. L’esempio (i) converge ad zero in senso uniforme (U) su tutto R (supR |fj | = 1/j), e,quindi converge anche nei sensi (QU), (QO), (M), L∞. Invece, E = R ha misura infinitae il supporto di fj e (0, j) tende ad un insieme di misura infinita. Quindi, non possiamoaspettarci che valga convergenza in norma Lp, in generale. Infatti, questa successione nonconverge a zero in L1(R) perche ||fj ||1 = 1 per ogni j. D’altre parte, ||fj ||p = j1/p−1 → 0se p > 1. Non e difficile aggiustare questo esempio per avere esempi che non convergononegli altri Lp.

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 55

2. L’esempio (ii) converge a zero in senso quasi-uniforme (QU) su R perche la convergenzae uniforme su Eα = R \ (0, α) per ogni α > 0. Invece, la convergenza non e (U). Dallaconvergenza (QU) abbiamo anche la convergenza (QO), (M). Inoltre, non c’e convergenzaL∞ ne convergenza Lp ad zero (il limite dovrebbe essere zero perche la successione convergea 0 in misura). Infatti, ricordando

||fj ||∞ := ess supR|fj | := inf {α : |{x ∈ R : |fj | > α}| = 0} ,

abbiamo ||fj ||∞ = j → +∞ perche fj assume il valore j su un insieme di misura positiva.Abbiamo anche ||fj ||p = j1−1/p 6→ 0 perche 1 − 1/p ≥ 0 per ogni p ≥ 1. In fine, notiamoche abbiamo anche un esempio di convergenza in misura senza convergenza in Lp.

3. L’esempio (iii) converge solamente in senso quasi-ovunque (QO) a zero. La convergenzanon e (QU) a zero (e quindi non e (U)) perche |fj(x)| = 1 su un insieme di misura 1 perogni j. Notiamo che non si puo applicare il Teorema di Egorov perche i supporti di fj nonsono contenuti in un insieme di misura finita. Inoltre, abbiamo

||fj ||∞ = 1 = ||fj‖p, p ≥ 1,

e, quindi, non ci sono convergenze L∞, Lp. In fine, non c’e convergenza in misura (M)perche per ogni α > 0,

|{x ∈ R : |fj(x)| > α}| = 1 6→ 0, j → +∞.

4. L’esempio (iv) converge solamente nei sensi quasi-ovunque (QO) ed in misura (M) a zero.Chiaramente, per ogni β > 0, abbiamo fj ≡ 0 su (−∞, β) per ogni j > β e la convergenzae ovunque a zero. Inoltre, per ogni α > 0

|{x ∈ R : |fj(x)| > α}| ≤ |(j, j + 1/j)| = 1/j → 0, j → +∞,

e abbiamo la convergenza (M). La convergenza non e (QU) a zero (e quindi, neanche (U))perche per ogni β > 0 la convergenza non e uniforme su (β, +∞). In fine, abbiamo

||fj ||∞ = j e ||fj ||p = j1−1/p, dove 1− 1/p ≥ 0,

e non ci sono le convergenze L∞, Lp.

5. L’esempio (v) converge a zero solamente nei sensi (M), Lp con 1 ≤ p < +∞. Infatti, perogni α > 0,

|{x ∈ R : |fj(x)| > α}| = 2−k → 0, j +∞, (j := 2k + m, 0 ≤ m ≤ 2k − 1),

quindi, la convergenza in misura. La convergenza Lp segue in generale perche abbiamoconvergenza in misura di una successione uniformemente limitata su un insieme di misurafinita. La convergenza ad zero non e (QO) perche per ogni x ∈ [0, 1] ci sono infiniti jt.c. fj(x) = 1. Quindi, non ci sono neanche le convergenze (QU), (U). Notiamo in fineche dalla convergenza in misura, esiste una sottosuccessione che converge quasi-ovunque adzero; infatti, ci sono tante, ad esempio, la sottosuccessione determinata dalla successionedi intervalli [0, 1], [0, 1/2], [0, 1/4], . . ..

Finiamo questo paragrafo, con un’osservazione importante. Questi esempi rappresentano ancheun problema di compatezza negli spazi Lp(E).

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 56

2.4.8. Osservazione: Negli esempi (i), (ii), (iv) con p = 1, (iii) con 1 ≤ p ≤ ∞], e (v)con p = ∞ abbiamo delle successioni limitate in Lp(R) per cui non esiste una sottosuccessioneconvergente in norma Lp(R). Questo e un problema di compatezza in questi spazi normati infinitodimensionale.

Per rimediare questo difetto negli spazi Lp(E), ci serve un altro modo di convergenza, la conver-genza debole (vedi paragrafo 2.6), che si appoggia sul concetto dello spazio duale di Lp(E), ovvero,lo spazio di tutti i funzionali lineari continui su Lp(E) (vedi paragrafo 2.5). Sara mostrato che dauna successione limitata in Lp(E) si puo estrarre una sottosuccessione che converge debolmente.Questo fatto e uno dei strumenti piu usati nella costruzione di soluzioni nel campo delle equazionialle derivate parziali e nel calcolo delle variazioni.

2.5 Dualita in Lp(E)

Come abbiamo notato alle fine del paragrafo precedente, vogliamo ricuperare una proprieta dicompatezza negli spazi Lp(E). Ci serve la convergenza debole che si definisce tramite lo spazioduale di Lp(E). Discutiamo lo spazio duale in questo paragrafo e poi la convergenza debole inquello successivo.

2.5.1. Definizione: Sia (F , || · ||) uno spazio vettoriale normato. Si chiama funzionale linearelimitato un’applicazione l : F → R t.c.

(i) l(αf1 + βf2) = αl(f1) + βl(f2), ∀ α, β ∈ R, f, g ∈ F ;

(ii) esiste C ≥ 0 t.c. |l(f)| ≤ C||f ||, ∀f ∈ F .

N.B. Un funzionale lineare limitato e limitato nel senso che manda insiemi in F limitati in normaad insiemi in R limitati in valor assoluto. Non sono, in generale, limitati nel senso che |l(f)| ≤ Mper ogni f ∈ F .

2.5.2. Osservazione: Un funzionale lineare limitato e continuo rispetto alla topologia di con-vergenza in norma delle successioni in F ; cioe,

||fj − f || → 0 =⇒ |l(fj)− l(f)| → 0.

Infatti, |l(fj)− l(f)| = |l(fj − f)| ≤ C||fj − f || → 0.

N.B. Si puo mostrare che per funzionali lineari le due proprieta (continuita e limitatezza) sonoequivalenti.

2.5.3. Definizione: Sia (F , || · ||) uno spazio vettoriale normato. Si chiama spazio duale di Flo spazio

F ′ := {l : F → R lineare, continuo (limitato)}.

2.5.4. Osservazione: Su F ′ possiamo fornire la struttura di spazio vettoriale normato; cioe, sipuo definire:

(i) + : (l1 + l2)(f) := l1(f) + l2(f), l1, l2 ∈ F ′, f ∈ F ;

(ii) mc : (cl)(f) := c(l(f)), c ∈ R, l ∈ F ′, f ∈ F ;

(iii) || · ||F ′ : ||l||F ′ := sup{|l(f)| : f ∈ F , ||f || ≤ 1}.

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 57

2.5.5. Esercizio: Verificare che (F ′, +,mc) e uno spazio vettoriale e che || · ||F ′ e una norma.

2.5.6. Teorema: Se (F , || · ||) e uno spazio normato, allora (F ′, || · ||F ′) e uno spazio di Banach.

Dimostrazione: Sfruttando l’Esercizio 2.5.5, rimane solo verificare che il duale e completo.

1. Sia {ln} una successione di Cauchy rispetto alla norma || · ||F ′ ; cioe, per ogni ε > 0 esisteN = N(ε) ∈ N t.c.

||ln − lm||F ′ < ε, ∀ n,m ≥ N.

Sfruttando la definizione della norma duale e linearita, abbiamo per ogni f 6= 0 in F

|ln(f)− lm(f)| =∣∣∣∣||f || ln

(1||f ||f

)− ||f || lm

(1||f ||f

)∣∣∣∣

= ||f ||∣∣∣∣(ln − lm)

(1||f ||f

)∣∣∣∣ ≤ ||f || ||ln − lm||F ′ .

Quindi, per ogni ε > 0 esiste N = N(ε) ∈ N t.c.

|ln − lm| < ε||f ||, ∀ n,m ≥ N, ∀f ∈ F . (2.5.1)

Quindi, per ogni f fisso, la successione {ln(f)} e Cauchy in R completo ed e convergentead un numero reale l(f). Usiamo questi limiti per definire il funzionale limite l : F → R.Dobbiamo ancora mostrare che l e lineare e limitato e che ||ln − l||F ′ → 0.

2. Abbiamo l lineare. Infatti, per ogni f1, f2 ∈ F ′ e per ogni α, β ∈ R abbiamo

l(αf1 + βf2) := limn→+∞ ln(αf1 + βf2) = α lim

n→+∞ ln(f1) + β limn→+∞ ln(f2) := αl(f1) + βl(f2).

3. Abbiamo l limitato.

• Si comincia notando che la famiglia {ln} e uniformemente limitata nel senso che esisteC > 0 tale che

|ln(f)| ≤ C||f ||, f ∈ F . (2.5.2)

Infatti, for ogni n,m ∈ N e per ogni f 6= 0 si puo scrivere

ln(f) = ||f ||ln(

1||f ||f

)= ||f ||

((ln − lm)

(1||f ||f

))+ lm

(1||f ||f

).

Usando la limitatezza di ogni ln e la definizione di {ln} Cauchy (con ε = 1), esisteN = N(1) ∈ N per cui

|ln(f)| < ||f ||(1 + Cm), m, n > N(1).

Fissiamo m > N(1) e abbiamo

|ln(f)| < ||f ||(1 + Cm), n > N(1).

Quindi vale (2.5.1) con C = max{1 + Cm, C1, . . . , CN(1)}.• Si combina questa limitatezza con la convergenza per vedere che per ogni f ∈ F

|l(f)| =∣∣∣∣ limn→+∞ ln(f)

∣∣∣∣ ≤ limn→+∞ |ln(f)| ≤ C||f ||.

Quindi abbiamo l limitato.

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 58

4. Abbiamo anche ||ln− l||F ′ → 0. Infatti, possiamo prendere il limite per m → +∞ in (2.5.1)per trovare: per ogni ε > 0 esiste N = N(ε) ∈ N per cui

|ln(f)− l(f)| < ε||f ||, ∀ n > N(ε), ∀ f ∈ F ,

da cui la tesi.

¤.

Per essere in grado di operare con questi funzionali lineari continui nel caso F = Lp(E), sarebbemolto utile avere una caratterizzazione concreta di loro. Una prima indicazione di “chi sono” efornita nella osservazione seguente.

2.5.7. Osservazione: Siano 1 ≤ p ≤ ∞ e E ∈ M(Rn) con |E| > 0. Per ogni g ∈ Lp′(E)l’applicazione

lg(f) :=∫

Efg dx, f ∈ Lp(E), (2.5.3)

definisce un funzionale lineare sullo spazio Lp(E) che e limitato rispetto alla norma || · ||p.Infatti, lg e ben definito per la disuguaglianza di Holder, dove abbiamo

|lg(f)| ≤ ||f ||p ||g||p′ , ∀ f ∈ Lp(E)

Quindi, abbiamo anche una stima di limitatezza di lg con C = ||g||p′ . E chiaro anche che lg agiscein modo lineare su Lp(E).

2.5.8. Osservazione: L’applicazione lg, definita in (2.5.1), ha le seguente proprieta ovvie:

(a) L’azione passa al quoziente Lp(E); cioe f ∼ f =⇒ lg(f) = lg(f);

(b) Se g ∼ g, allora i due funzionali lg, lg sono uguali su Lp(E).

Quindi, possiamo affermare che per ogni g ∈ Lp′(E), (2.5.1) definisce un funzionale lg ∈ (Lp(E))′.Inoltre, se usiamo l’identificazione degli spazi di classe di equivalenza Lp, Lp′ con gli spazi dirappresentati Lp,Lp′ possiamo anche usare la notazione di (2.5.1); cioe

lg(f) :=∫

Efg dx, per g ∈ Lp′(E), f ∈ Lp(E)

come un modo corto per scrivere

lg(f) := lg(f) :=∫

Ef g dx, ∀ f ∈ f, g ∈ g. (2.5.4)

2.5.9. Teorema: Siano 1 ≤ p ≤ ∞ e E ∈ M(Rn) con |E| > 0. Allora, l’applicazionel : Lp′(E) → (Lp(E))′ definita da g 7→ lg e ben definita, continua, ed iniettiva.

Dimostrazione:

1. Abbiamo gia visto che l’applicazione e ben definita.

2. Per la continuita, essendo che l e un’applicazione lineare da uno spazio normato in un altro,intendiamo che esiste C ≥ 0 t.c.

||lg||(Lp(E))′ ≤ C||g||Lp′ (E).

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 59

Abbiamo, grazie alla disuguaglianza di Holder,

||lg||(Lp(E))′ := sup||f ||p≤1

|lg(f)| ≤ sup||f ||p≤1

[||f ||p ||g||p′] ≤ ||g||p′ ,

e, quindi, l e continua con costante C ≤ 1.

3. Per l’iniettivita, assumiamo che esistono g1, g2 ∈ Lp′(E) t.c. lg1 = lg2 in (Lp(E))′; cioe chelg1(f) = lg2(f) per ogni f ∈ Lp(E). Scegliamo due rappresentanti g1, g2 ∈ g1, g2. Quindi,abbiamo ∫

E(g1 − g2) f dx = 0, per ogni f ∈ Lp(E).

Affermiamo che g1 − g2 = 0 quasi-ovunque in E (vedi Lemma 2.5.10). Quindi, g1 = g2 inLp′(E).

¤

2.5.10. Lemma (di annullamento) Sia g ∈ Lp′(E) t.c.∫E fg dx = 0 per ogni f ∈ Lp(E).

Allora g = 0 q.o. in E.

Dimostrazione: Per ogni ε > 0 e x0 ∈ E, consideriamo f(x) = |Bε(x0)|−1χBε(x0) ∈ L∞comp(Rn) ⊂Lp(E). Essendo g ∈ Lp′(E) con p′ ≥ 1, abbiamo g ∈ L1

loc(E). Quindi, per ipotesi, abbiamo

0 =1

|Bε(x0)|∫

Bε(x0)g(x) dx,

dove prolunghiamo g con zero se e necessario; cioe se Bε(x0) 6⊂ E. Per il Teorema di Differenzi-azione di Lebesgue, abbiamo

0 = limε→0+

1|Bε(x0)|

Bε(x0)g(x) dx = g(x0), q.o. x0 ∈ E.

¤

Adesso, siamo pronti per il risultato principale del paragrafo che da una caratterizzazione concretadello spazio duale di Lp(E) quando p ∈ [1,∞). Il punto e che i funzionali che abbiamo consideratonel Teorema 2.5.9 sono tutte i possibili funzionali lineari continui, ovvero, che la mappa l e anchesuriettiva.

2.5.11. Teorema (di Rappresentazione di Riesz): Siano 1 ≤ p < ∞ e E ∈ M(Rn) con|E| > 0. Allora, per ogni l ∈ (Lp(E))′ esiste un’unica g ∈ Lp′(E) t.c. l = lg. Inoltre, abbiamo||l||(Lp(E))′ = ||g||p′; cioe la mappa l definita in Teorema 2.5.9 e un’isometria.

N.B. La strategia della dimostrazione e di mostrare che esiste g ∈ Lp′(E) t.c.

(i) fissato f ∈ Lp(E), abbiamo l(f) =∫E gf dx per ogni f ∈ f ;

(ii) se esiste g1 con la stessa proprieta, allora g1 ∼ g; cioe, abbiamo un’unica classe Lp′(E);

(iii) vale ||g||p′ = ||l||(Lp(E))′ .

N.B. La nostra dimostrazione (vedi paragrafo 2.9), come quella di [11], si appoggia sul Teoremadi Radon-Nikodym, quindi, e una dimostrazione via la teoria della misura. C’e almeno un’altrastrada, quella dell’analisi convessa, come si puo trovare nel libro di Lieb-Loss [6]. Infine, notiamoche il risultato non e vero per il caso p = ∞ (vedi Esempio 2.9.1).

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 60

Finiamo questo paragrafo con un semplice esercizio.

2.5.12. Esercizio: Sia E ∈ M(Rn) con |E| < +∞. Considerare i seguenti funzionali l.Verificare che sono lineari e continui su Lp(E) con 1 ≤ p < ∞. Poi, trovare un rappresentanteper g ∈ Lp′(E) per cui l(f) = lg(f) =

∫E fg dx. N.B. Esempi ancora piu interessante hanno

bisogno di un po’ di piu di analisi funzionale (per esempio, il teorema di Hahn-Banach).

(a) l(f) la media integrale di f .

(b) l(f) =∫T−1(E) f(Tx) dx dove T : Rn → Rn e lineare ed invertibile.

2.6 Convergenza debole in Lp(E)

In questo paragrafo mettiamo in moto il discorso sulla dualita per definire la convergenza debolee di esaminare le sue prime proprieta. Essendo che abbiamo il Teorema di Rappresentazione diRiesz (TRR) per p ∈ [1,∞), si puo aspettare che i risultati saranno migliore per gli p strettamentefra 1 e ∞. In tutto quello che segue E ∈M(Rn) con |E| > 0.

2.6.1 Definizione: Siano {fj} ⊂ Lp(E), f ∈ Lp(E). Diciamo che fj converge debolmente ad f

in -Lp(E) seper ogni l ∈ (Lp(E))′ : l(fj) → l(f) in R, per j → +∞. (2.6.1)

In tal caso, scriviamo fj ⇀ f in Lp(E).

N.B. Quando 1 ≤ p < ∞, via il Teorema di Rappresentazione di Riesz, possiamo dire che fj ⇀ fin Lp(E) se e solo se

per ogni g ∈ Lp′(E) : lg(fj) → lg(f) per j → +∞, (2.6.2)

ovvero,

per ogni g ∈ Lp′(E) :∫

Efjg dx →

Efg dx per j → +∞, (2.6.3)

dove abbiamo identificato fj , f con uno qualsiasi dei loro rappresentanti in Lp(E). La formula(2.6.3) definisce anche la convergenza fj ⇀ f in Lp(E) per {{fj}, f} ⊂ Lp(E).

2.6.2. Osservazione: La convergenza forte (in norma Lp(E)) e piu forte della convergenzadebole, ovvero:

fj → f in Lp(E) =⇒ fj ⇀ f in Lp(E).

Infatti, via la disuguaglianza di Holder, abbiamo per ogni g ∈ Lp′(E):∣∣∣∣∫

E(fj − f) g dx

∣∣∣∣ ≤ ||fj − f ||p ||g||p′ → 0.

N.B.: La convergenza forte e strettamente piu forte della convergenza debole; cioe, esistonosuccessioni debolmente convergenti ma non convergenti in norma.

2.6.3. Esercizio Verificare che le seguenti successioni di funzioni {fj} convergono debolmente azero in Lp(E), ma non convergono fortemente (in norma Lp).

(a) fj(x) := ϕ(x + j) con 0 6= ϕ ∈ Lp(R). Esiste una versione di questo esempio anche suE = (0, 1)?

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 61

(b) fj(x) := j1/pϕ(jx) con ϕ ∈ Lp(R).

(c) fj(x) := sin(jx) per x ∈ [0, 1] e fj(x) := 0 per x /∈ [0, 1].

Adesso, cominciamo di vedere le prime proprieta della convergenza debole.

2.6.4. Teorema: Sia f ∈ Lp(E) con 1 ≤ p < ∞. Allora:

(a) l(f) = 0 per ogni l ∈ (Lp(E))′ =⇒ f = 0 in Lp(E);

(b) Il limite debole e unico se esiste.

Dimostrazione:

1. La proprieta (a): Assumiamo, per assurdo, che lg(f) = 0 per ogni g ∈ Lp′(E) ma f 6= 0in Lp(E). Scegliendo un rappresentante per f (che chiamiamo anche f), definiamo unafunzione misurabile g mediante

g(x) :={ |f(x)|p−2f(x) f(x) 6= 0

0 f(x) = 0. (2.6.4)

Abbiamo g ∈ Lp′(E). Infatti, ci sono due casi. Se 1 < p < ∞, abbiamo

||g||p′p′ :=∫

E|g|p′ dx =

E

(|f |p−1)p/(p−1)

dx = ||f ||pp < +∞,

e, se p = 1, abbiamo

g(x) ={ ±1 f(x) 6= 0

0 f(x) = 0,

e, quindi ||g||∞ = 1. Calcolando lg(f), nel primo caso:

0 = lg(f) =∫

supp(f)|f(x)|p−2f2(x) dx =

E|f(x)|p dx,

che e assurdo se f 6= 0 in Lp(E). Nel secondo caso,

0 = lg(f) =∫

supp(f)

f(x)|f(x)|f(x) dx =

E|f(x)| dx,

che e, di nuovo, assurdo.

2. La proprieta (b): Assumiamo che fj ⇀ f e fj ⇀ f . Allora, per ogni l ∈ (Lp(E))′, si hal(fj) → l(f), l(f) in R, ma il limite e unico in R, quindi l(f) = l(f) per ogni l ∈ (Lp(E))′.per la parte (a), f = f in Lp(E).

¤

2.6.5. Teorema: Sia 1 ≤ p < ∞. Se fj ⇀ f in Lp(E), allora esiste M < +∞ t.c. ||fj ||p ≤ Mper ogni j ∈ N; cioe successioni debolmente convergenti sono limitate in norma.

Dimostrazione: Questo risultato vale in un contesto molto piu generale ed e una conseguenzadel Teorema di Banach-Steinhaus (il principio di limitatezza uniforme) che si mostra in AnalisiFunzionale. Invece, forniamo una dimostrazione diretta nel nostro caso concreto che si trova in[6].

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 62

1. Scegliamo dei rappresentanti per fj , f . Dal Teorema di Rappresentazione di Riesz, per ognig ∈ Lp′(E), si ha

∫E (fj − f) g dx → 0 per j → +∞. Quindi, per ogni g, {lg(fj)} e una

successione convergente in R, e, quindi

∀ g ∈ Lp′(E) : {lg(fj)} e′ limitata in R. (2.6.5)

2. Per assurdo, assumiamo che {fj} non e limitata in norma; cioe, per ogni M ∈ R esistej = j(M) ∈ N t.c. ||fj ||p > M . Passando ad una sottosuccessione (che continuiamo achiamare fj), possiamo assumere

||fj ||p ≥ 4j , ∀ j ∈ N. (2.6.6)

3. Consideriamo il seguente riscalamento di {fj}:

Fj :=4j

||fj ||p fj .

Abbiamo ||Fj ||p = 4j e anche

|lg(Fj)| = 4j

||fj ||p |lg(fj)| ≤ |lg(fj)|,

quindi {lg(Fj)} e anche limitata in R per ogni g ∈ Lp′(E). L’idea e di costruire una g percui {lg(Fj)} non e limitata, assurdo.

4. Costruiamo g nel caso 1 < p < ∞; il caso p = 1 e analogo (vedi passo 1 della dimostrazionedel Teorema 2.6.4). Definiamo

g :=+∞∑

j=1

3−jσjgj

dove

gj(x) :=|Fj(x)|p−2

||Fj ||p−1p

Fj(x) (||Fj ||p = 4j 6= 0),

e σj = ±1 e definita per induzione: σ1 = 1 e poi avendo scelto σ1, . . . , σk−1, scegliamo σk

per avere

sign(

3−k

EσkgkFk dx

)= sign

k−1∑

j=1

3−jσj

EgjFk dx

. (2.6.7)

Notiamo che gj ∈ Lp′(E) e ||gj ||p′ = 1. Quindi, la serie converge a g ∈ Lp′(E). Il ruolodei fattori σj sara chiaro nel passo successivo quando facciamo delle stime. Vogliamo averecontrollo del segno dei singoli termini nelle somme.

5. Affermiamo che {lg(Fk)} e illimitata, e, quindi, abbiamo l’assurdo voluto. Infatti, abbiamo:

|lg(Fk)| =

∣∣∣∣∣∣

k∑

j=1

3−jσj

EgjFk dx +

+∞∑

j=k+1

3−jσj

EgjFk dx

∣∣∣∣∣∣:= |A + B| ≥ |A| − |B|

Adesso, facciamo delle stime su |B| dal alto e su |A| dal basso. Troviamo via la disug-uaglianza di Holder:

|B| ≤+∞∑

j=k+1

3−jσj ||gj ||p′ ||Fk||p =+∞∑

j=k+1

3−j4k =12

13k

4k.

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 63

Poi, usando (2.6.7),

|A| =

∣∣∣∣∣∣

k−1∑

j=1

3−jσj

EgjFk dx + 3−kσk

EgkFk dx

∣∣∣∣∣∣

≥ 3−k

∣∣∣∣∫

EgkFk dx

∣∣∣∣ = 3−k ||Fk||pp||Fk||p−1

p

= 3−k4k.

Percio |lg(Fk)| ≥ 2−1(4/3)k → +∞, assurdo.

¤

Adesso, siamo pronti per il risultato principale di questo paragrafo.

2.6.6. Teorema: Sia 1 < p < ∞. Se {fj} ⊂ Lp(E) e limitata in norma (cioe, esiste M < +∞t.c. ||fj ||p ≤ M, ∀ j ∈ N), allora esiste una sottosuccessione {fjk

} ed esiste f ∈ Lp(E) t.c.fjk

⇀ f in Lp(E).

Dimostrazione:

1. Sfruttiamo il fatto che Lp′(E) e separabile (ha un sottoinsieme numerabile e denso) nelmodo seguente. Per prima cosa, diciamo che una successione {fj} in Lp(E) e Cauchy perla convergenza debole se {lg(fj)}j∈N e Cauchy in R per ogni g ∈ Lp′(E). Poi abbiamo ilseguente risultato:Lemma: Sia 1 < p < ∞. Una successione limitata {fj} in Lp(E) e Cauchy per laconvergenza debole se e solo se {lgi(fj)}j∈N e Cauchy in R per ogni i ∈ N dove {gi}i∈N euno qualsiasi sottoinsieme numerabile e denso.Infatti, l’implicazione (=⇒) e banale. Invece per l’implicazione (⇐=) usiamo la limitatezza||fj ||p ≤ M ed il fatto che per ogni g ∈ Lp′(E) esiste gi ∈ Lp′(E) t.c. ||g − gi||p′ < 2−i perstimare

|lg(fj)− lg(fk)| ≤ |lg(fj)− lgi(fj)|+ |lgi(fj)− lgi(fk)|+ |lgi(fk)− lg(fk)|≤ 2M2−i + |lgi(fj − fk)| .

Ma {lgi(fj)}j∈N e una successione di Cauchy in R per cui: dato ε > 0 esiste N = N(ε, i)t.c.

|lg(fj)− lg(fk)| < 21−iM + ε/2, ∀ j, k > N(ε, i).

Scegliamo i abbastanza grande per avere 21−iM < ε/2 e poi per ogni j, k > N(ε, i) ilmembro destro dalla disuguaglianza sopra e minore di ε.

N.B. un argomento molto simile mostra che una successione limitata {fj} in Lp(E) convergedebolmente ad f se e solo se lgi(fj) → lgi(f) per ogni i ∈ N.

2. Usiamo la diagonalizzazione di Cantor per costruire una sottosuccessione opportuna {fjk}

mediante la famiglia {gi}.• Poniamo α1

j :=∫E fjg1 dx e si ha |α1

j | ≤ ||fj ||p ||g1||p′ ≤ M ||g1||p′ . Quindi esistono{f1

j } ⊂ {fj}, α1 ∈ R t.c. ∫

Ef1

j g1 dx → α1.

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 64

• Poniamo α2j :=

∫E f1

j g2 dx e si ha |α2j | ≤ ||f1

j ||p ||g2||p′ ≤ M ||g2||p′ . Quindi esistono{f2

j } ⊂ {f1j }, α2 ∈ R t.c. ∫

Ef2

j g2 dx → α2.

Inoltre, dal passo precedente, abbiamo∫E f2

j g1 dx → α1 perche {f2j } ⊂ {f1

j }.• Per induzione, esistono {fk

j } ⊂ {fj}, {αk} ⊂ R t.c.

∫E fk

j gk dx → αk

∫E fk

j gl dx → αl, ∀ l ≤ k,

dove la seconda affermazione segue dal fatto che fkj e un elemento dalla successione

{f lj} per ogni l ≤ k.

Quindi, abbiamo il nostro candidato fjk:= fk

j per ogni k ∈ N.

3. La nostra successione {Fk} := {fjk} e Cauchy per la convergenza debole (per costruzione e

grazie al Lemma di passo 1). Infatti, abbiamo

limk→+∞

[∫

EFkgi dx

]= αi, ∀ i ∈ N,

perche per ogni k ≥ i, Fk e un elemento di {f ij}. In particolare, {lgi(Fk)}k∈N e una

successione di Cauchy in R per ogni i ∈ N . Applicando il Lemma, abbiamo l’affermazione.

4. Essendo {lg(Fk)}k∈N una successione di Cauchy in R per ogni g ∈ Lp′(E) esiste un numeroα(g) ∈ R per cui

α(g) := limk→+∞

[∫

EFkg dx

].

5. Affermazione: L’applicazione α : Lp′(E) → R cosı definita e un funzionale lineare, con-tinuo. Infatti, la linearita segue dalla linearita dell’integrale e il processo di limite in R.Inoltre, sempre per la disuguaglianza di Holder, abbiamo

∣∣∣∣∫

EFkg dx

∣∣∣∣ ≤ ||Fk||p ||g||p′ ≤ M ||g||p′ =⇒ |α(g)| ≤ M ||g||p′ .

6. Quindi, per la Rappresentazione di Reisz con p′ ∈ (1,∞), esiste f ∈(Lp′(E)

)′= Lp(E)

per cui

∀g ∈ Lp′(E) :∫

Efg dx = α(g) := lim

k→+∞

Efjk

g dx,

ovvero, fjk⇀ f in Lp(E).

¤

N.B. Abbiamo usato che B = Lp(E) con 1 < p < ∞ e uno spazio di Banach, separabile eriflessivo ((B)′)′ = B. Sotto tali ipotesi si mostra in generale il risultato sopra (Teorema diBanach-Alaoglu); cioe B e sequenzialmente compatto rispetto alla convergenza debole. Questo eun risultato basilare del corso di Analisi Funzionale.Finiamo questo paragrafo con un ulteriore esercizio sulla convergenza debole.

2.6.7. Esercizio: Mostrare le seguente affermazioni sulla convergenza forte e debole in Lp.Siano {fj} ⊂ Lp(E), f ∈ Lp(E).

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 65

(a) ||fj − f ||p → 0 =⇒ ||fj ||p → ||f ||p (1 ≤ p ≤ ∞).

(b) fj → f q.o., ||fj ||p → ||f ||p =⇒ ||fj − f ||p → 0 (1 ≤ p < ∞)

(c) fj → f q.o, ||fj ||p ≤ M < +∞ =⇒ fj ⇀ f (1 < p < ∞).

(d) fj ⇀ f =⇒ ||f ||p ≤ lim inf ||fj ||p (1 < p < ∞)

2.7 Convoluzione

In questo paragrafo, parliamo di un’operazione molto utile sugli spazi Lp(E), cioe quello delprodotto di convoluzione. In parte, la nostra motivazione e di introdurre delle strategie perregolarizzare ed approssimare delle funzioni in Lp(E). Inoltre, e un’operazione basilare nell’analisidi Fourier, soggetto della ultima parte di questo corso.

2.7.1. Definizione: Siano f, g ∈ mis(Rn,R). Il loro prodotto di convoluzione e definito dallaformula

f ∗ g(x) :=∫

Rf(x− y)g(y) dy, (2.7.1)

per ogni x ∈ Rn per cui esiste l’integrale in (2.7.1.).

N.B. Esistono varie circostanze per cui f ∗ g e ben definito almeno per q.o. x; per esempio se fe limitata con supporto compatto K ⊂ Rn e g ∈ L1

loc(Rn). Infatti, in tal caso, ponendo

H(x, y) := f(x− y)g(y), (2.7.2)

la funzione integranda in (2.7.1), abbiamo per ogni x ∈ Rn, H(x, ·) ∈ L1(Rn) e quindi

|f ∗ g(x)| ≤(

supRn

|f |)||g||1,{x}−K ,

dove{x} −K := {y ∈ Rn : y = x− z, z ∈ K} ⊂ Rn,

una traslazione di K = supp(f), e compatto. Infatti, abbiamo f(z) = 0 per ogni z /∈ K, quindi,con x fisso, abbiamo f(x− y) = 0 per ogni y per cui x− y /∈ K, ovvero, per ogni y /∈ {x} −K.

2.7.2. Teorema: Sia 1 ≤ p ≤ ∞. Se f ∈ Lp(Rn) e g ∈ L1(Rn), allora:

(a) esiste finito f ∗ g(x) per q.o. x ∈ Rn;

(b) la funzione cosı definita f ∗ g appartiene allo spazio Lp(Rn);

(c) vale la stima ||f ∗ g||p ≤ ||f ||p ||g||1.

Dimostrazione:

1. La funzione H(x, y) := f(x − y)g(y) e misurabile su R2n = Rnx × Rn

y . Infatti, abbiamoG(x, y) := y, F (x, y) := x sono chiaramente misurabili su Rn

y ,Rnx rispettivamente. Poi,

considerando la trasformazione lineare nonsingolare Φ : R2n → R2n definita da

(x, y) = Φ(ξ, η) := (ξ − η, ξ + η),

essendo Φ un diffeomorfismo globale di classe C∞, abbiamo F (x, y) := F ◦Φ(ξ, η) = F (ξ−η, ξ +η) e misurabile su R2n

ξ,η. Ma F (ξ, η) = f(ξ−η), e, quindi H(x, y) e misurabile su R2nx,y.

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 66

2. Consideriamo il caso f, g ≥ 0. Per il Teorema di Tonelli (vedi Teorema 6.10 di [11]), abbiamoper ogni x ∈ Rn, la funzione integrale

f ∗ g(x) =∫

Rn

H(x, y) dy

e misurabile da Rnx a valori in [0,+∞]. Verifichiamo che f ∗g ∈ Lp(Rn) nel caso 1 ≤ p < ∞,

lasciando il caso p = ∞ per esercizio. Usando la non negativita di f(x − y)g(y) e ladisuguaglianza di Holder, troviamo

||f ∗ g||pp :=∫

Rn

[∫

Rn

f(x− y)g(y) dy

]p

dx

=∫

Rn

[∫

Rn

[f(x− y)]1/p′ [f(x− y)]1/pg(y) dy

]p

dx

≤∫

Rn

[∫

Rn

f(x− y) dy

]p/p′ [∫

Rn

f(x− y)[g(y)]p dy

]dx.

Adesso, usando il cambiamento di variabili y′ = x − y nel primo integrale piu la relazionep/p′ = p− 1, abbiamo

||f ∗ g||pp ≤∫

Rn

[∫

Rn

f(y′) dy′]p−1 [∫

Rn

f(x− y)[g(y)]p dy

]dx

= ||f ||p−11

Rn

[∫

Rn

f(x− y)[g(y)]p dy

]dx

= ||f ||p−11

Rn

[∫

Rn

f(x− y)[g(y)]p dx

]dy,

dove abbiamo scambiato l’ordine di integrazione usando il Teorema di Tonelli. Poi, facendodelle manipolazioni semplici

||f ∗ g||pp ≤ ||f ||p−11

Rn

[g(y)]p[∫

Rn

f(x′) dx′]

dy

= ||f ||p1 ||g||pp,

e, quindi, ||f ∗ g||p ≤ ||f ||1 ||g||p < +∞ e abbiamo la stima (c), l’affermazione (b), e poil’affermazione (a) nel caso f, g ≥ 0.

3. Finalmente, nel caso generale, abbiamo

|f ∗ g(x)| =∣∣∣∣∫

Rn

f(x− y)g(y) dy

∣∣∣∣

≤∫

Rn

|f(x− y)| |g(y)| dy

= |f | ∗ |g|(x),

e, quindi, ||f ∗ g||p ≤ || |f | ||1 || |g| ||p = ||f ||1 ||g||p.

N.B. Nel caso speciale p = 1, c’e una formula notevole (vedi la dimostrazione del Teorema 6.14in [11]):

f, g ≥ 0 in L1(Rn) =⇒∫

Rn

f ∗ g dx =(∫

Rn

f dx

) (∫

Rn

g dx

).

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 67

Abbiamo definito la convoluzione al livello di funzioni misurabili e abbiamo visto che una con-voluzione con g ∈ L1(Rn) conserva tutti gli spazi Lp(Rn). Ovviamente, questi fatti rimangonovero passando alle classe L1, Lp.

2.7.3. Proposizione: Scegliendo dei rappresentanti, il prodotto di convoluzione definisce un’operatoredi convoluzione

∗ : Lp(Rn)× L1(Rn) → Lp(Rn)

con le seguente proprieta:

(a) ∗ e bilineare;

(b) ∗ e continuo nel senso che:

(fj , gj) → (f, g) ∈ Lp(Rn)× L1(Rn) =⇒ fj ∗ gj → f ∗ g ∈ L1(Rn).

Dimostrazione: E chiaro che la classe in L1(Rn) di f ∗ g non dipende dai rappresentanti f , g.Inoltre, la linearita e altrettanto ovvio. Per la continuita, notiamo che

||fj ∗ gj − f ∗ g||p ≤ ||fj ∗ g − f ∗ g||p + ||fj ∗ gj − fj ∗ g||p≤ ||fj − f ||1 ||g||p + ||fj ||1 ||gj − g||p

che tende a zero, dove notiamo che ||fj ||p ≤ M per ogni j (successioni convergenti sono limitate).

Prima di presentare altre circostanza dove il prodotto di convoluzione e ben definito, notiamoqualche proprieta della convoluzione.

2.7.4. Proposizione: Siano f ∈ Lp(Rn), g, h ∈ L1(Rn). Allora abbiamo le seguente proprietaalgebriche:

(a) f ∗ g = g ∗ f ;

(b) f ∗ (g ∗ h) = (f ∗ g) ∗ h.

Dimostrazione: Per quello che abbiamo gia visto, tutte le espressioni in (a) e (b) sono bendefinite, quindi, basta mostrare le identita. Per esempio, per la commutativita (a), usiamo unasemplice cambiamento di variabili y′ = x− y:

f ∗ g(x) =∫

Rn

f(x− y)g(y) dy =∫

Rn

f(y′)g(x− y′) dy′ = g ∗ f(x),

Lasciamo la dimostrazione della associativita per esercizio notando solo che gli ingredienti sonoil Teorema di Fubini e cambiamento di variabili. ¤

Adesso, torniamo al problema di stabilire altri accoppiamenti di f, g per cui e ben definita la loroconvoluzione.

2.7.5. Teorema: Siano 1 ≤ p, q ≤ ∞ con q = p′. Allora, per ogni f ∈ Lp(Rn), g ∈ Lq(Rn) siha:

(a) f ∗ g(x) esiste finito per ogni x ∈ Rn;

(b) f ∗ g e limitata e vale supRn |f ∗ g| ≤ ||f ||p ||g||q;(c) f ∗ g e uniformemente continua.

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 68

Dimostrazione:

1. Le affermazioni (a), (b) seguono dalla disuguaglianza di Holder e il cambiamento di variabiliy′ = x− y

|f ∗ g(x)| ≤∫

Rn

|f(x− y)| |g(y)| dy ≤ ||f ||p ||g||q, ∀x ∈ Rn.

2. Per l’affermazione (c), consideriamo prima il caso 1 ≤ p < ∞. Abbiamo per ogni h ∈ Rn

|f ∗ g(x− h)− f ∗ g(x)| =∫

Rn

[f(x− h− y)− f(x− y)] g(y) dy

:=∫

Rn

[τhf − f ](x− y)g(y) dy

≤ ||τhf − f ||p ||g||q, (2.7.3)

dove abbiamo usato la disuguaglianza di Holder e l’invarianza dell’integrale rispetto alletraslazioni in Rn. Abbiamo anche denotato con τh la famiglia di operatori di traslazione inh τhf(x) := f(x− h). Questa famiglia e continua rispetto h nel senso seguente.Lemma: Sia 1 ≤ p < ∞. Per ogni ε > 0 esiste h∗ = h∗(ε) t.c.

|h| < |h∗| =⇒ ||τhf − f ||p < ε.

Infatti:

• Prendiamo f ∈ C00 (Rn), continua con supporto compatto in K, t.c.

||f − f ||p < ε/3. (2.7.4)

Questo possiamo fare per la densita di C00 (Rn) in Lp(Rn).

• Per ogni |h| ≤ 1, per esempio, tutti i supporti delle traslazioni τhf e quello di f sonocontenuto in uno stesso compatto K, e, quindi,

||τhf − f ||pp ≤ supx∈K

|f(x− h)− f(x)|p |K|, (2.7.5)

che possiamo rendere piccolo a piacere per |h| piccolo perche f e uniformemente con-tinua. In particolare, esiste h∗ = h∗(ε) con |h∗| ≤ 1 per cui la radice p-esima delmembro sinistro in (2.7.5) e minore di ε/3 per |h| < |h∗|.

• Allora, per ogni ε > 0 abbiamo

||τhf − f ||p ≤ ||τh(f − f)||p + ||τhf − f ||p + ||f − f ||p= ||f − f ||p + ||τhf − f ||p + ||f − f ||p < ε

per |h| < |h∗| usando (2.7.5) e (2.7.4).

Quindi, la continuita uniforme segue dalla stima (2.7.3) ed il Lemma.

3. Per il caso p = ∞, basta scambiare i ruoli di f e g nel passo 2; cioe si trasla il fattore g.

¤

N.B. Di nuovo, il Teorema 2.7.5 ha la sua versione al livello degli spazi Lp, Lq, dove si puoaffermare che esiste un rappresentante uniformemente continua nella classe f ∗ g ∈ L1(Rn).

Chiudiamo questo paragrafo con qualche generalizzazione dei Teoremi 2.7.2 e 2.7.5.

2.7.6. Teorema (di Convoluzione di Young): Siano 1 ≤ p, q, r ≤ ∞ t.c.

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 69

(i)1p

+1q≥ 1;

(ii)1r

=1p

+1q− 1.

Allora, si ha:

(a) l’operatore ∗ : Lp(Rn)× Lq(Rn) → Lr(Rn) e ben definito, bilineare, continuo;

(b) si ha la stima ||f ∗ g||r ≤ ||f ||p ||g|q.

2.7.7. Esercizio: Mostrare il Teorema di Convoluzione di Young (Teorema 2.7.6).

2.7.7. Osservazione: Esistono delle versioni locali dei Teoremi 2.7.2, 2.7.5, 2.7.6. Ad esempio,abbiamo

∗ : L1loc(Rn)× Lp

comp(Rn) → L1loc(Rn),

dove L1comp(Rn) := {g ∈ mis(Rn,R) : supp(g) compatto}. Vale anche un risultato analogo a

Teorema 2.7.5..

Lasciamo la dimostrazione di questa proposizione per esercizio. Anche proponiamo il seguenteesercizio di natura semplice.

2.7.8 Esercizio:

(a) Verificare la formula∫

Rn

|f | ∗ |g|(x) dx =[∫

Rn

|f | dx

] [∫

Rn

|g| dx

], f, g ∈ L1(Rn)

(b) Calcolare f ∗ g per le funzioni caratteristiche su R definite da

f = χ[0,1] e g = χ[a,b].

2.8 Regolarizzazione ed approssimazione

L’obiettivo di questo paragrafo e di approssimare elementi in Lp(U),Lploc(U) con U ⊆ Rn via

funzioni regolari, ad esempio, di classe C∞. L’idea, dovuto a K. O. Friedrichs, e di approssimaref mediante una famiglia di convoluzioni fε := ϕε ∗f con ε > 0 e ϕε opportuno e regolare. Il puntoe di mostrare la convergenza di fε ad f quando ε → 0+. Sono importanti risultati di convergenzain norma Lp e anche puntuale (quasi-ovunque). Per avere risultati adatti ai problemi diversi,presentiamo sia versioni globali che locali. Trattiamo prima il caso globale degli spazi Lp(U) conparticolare attenzione al caso U = Rn. In particolare, mostriamo la densita di C∞

0 (Rn) in Lp(Rn).Poi, trattiamo il caso locale degli spazi Lloc(U) che e ben adatto allo studio della regolarita persoluzioni di equazioni alle derivate parziali.

Il caso globale Lp

Iniziamo con un risultato di regolarizzazione che ci dice grosso modo che la convoluzione di duefunzioni non e meno regolare della piu regolare dei fattori. Per il momento lavoriamo in tuttolo spazio U = Rn, ma verso la fine (in Osservazione 2.8.4) facciamo qualche commento sul caso

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 70

generico di U aperto. In quello che segue, usiamo la seguente notazione per gli operatori diderivazione parziale:

Dxi :=∂

∂xi

e per ogni multi-indice α = (α1, α2, . . . , αn) ∈ {0, 1, . . .}n si denota

Dαx = Dα1

x1◦Dα2

x2◦ · · ·Dαn

xn

dove l’ordine di Dαx e |α| := α1 + . . . αn.

2.8.1. Proposizione: (Regolarizzazione) Siano 1 ≤ p ≤ ∞ e k ∈ N. Se f ∈ Lp(Rn) eϕ ∈ Ck

0 (Rn) allora aa convoluzione ϕ ∗ f ∈ Ck(Rn) e si puo scaricare le derivate sul fattoreregolare:

Dαx (ϕ ∗ f) = (Dα

xϕ) ∗ f, ∀ |α| ≤ k. (2.8.1)

In particolare, ϕ ∗ f ∈ C∞(Rn) se ϕ ∈ C∞0 (Rn).

Dimostrazione:

1. Per ogni α con 0 ≤ |α| ≤ k, abbiamo Dαxϕ ∈ C0

0 (Rn) e quindi Dαxϕ ∈ L1(Rn). Quindi, per il

Teorema 2.7.2, abbiamo f ∗Dαxϕ ben definita come un elemento di Lp(Rn). In particolare,

f ∗ ϕ e le funzioni nel membro destro di (2.8.1) sono ben definiti.

2. Abbiamo anche Dαxϕ ∈ Lp′(Rn) per ogni α t.c. 0 ≤ |α| ≤ k dove p′ e l’esponente coniugata

di p. Quindi, per il Teorema 2.7.5, abbiamo anche Dαxϕ ∗ f e (uniformemente) continua. In

particolare, ϕ ∗ f e le funzioni nel membro destro di (2.8.1) sono continui. Quindi, rimanesolo di mostrare che Dα

x (ϕ ∗ f) esiste per ogni α e che valga (2.8.1).

3. Per ogni i ∈ {1, . . . , n} esiste Dxi(ϕ ∗ f) e vale Dxi(ϕ ∗ f) = (Dxiϕ) ∗ f . Infatti, poniamog = ϕ ∗ f e calcoliamo il limite del rapporto incrementale

∆hi g(x) :=

1h

[g(x + hei)− g(x)] =1h

Rn

f(y)[ϕ(x + hei − y)− ϕ(x− y)] dy

per h → 0 in R. Applicando il teorema del valor medio (di Lagrange), esiste h′ con |h′| < |h|t.c.

∆hi g(x) =

Rn

f(y)Dxiϕ(x− y + h′ei) dy. (2.8.2)

Ma, Dxiϕ e continua con supporto compatto per cui Dxi(x − y + h′ei) → Dxi(x − y)uniformemente in y con x fisso per h → 0. Usando questa convergenza uniforme sul dominiodi integrazione possiamo passare il limite sotto il segno dell’integrale in (2.8.2) per trovare

Dxi(ϕ ∗ f)(x) = Dxig(x) =∫

Rn

f(y)Dxiϕ(x− y) dy = (Dxiϕ ∗ f)(x),

la nostra affermazione.

4. Abbiamo che le prime derivate parziali di ϕ ∗ f esistono e sono continue. Iterando il passo3 rispetto all’ordine delle derivate finisce la dimostrazione.

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 71

¤

Il prossimo ingrediente consiste nella capacita di approssimare f ∈ Lp(Rn) mediante una succes-sione di convoluzioni di f con una famiglia “autosimile” di funzioni in L1(Rn) che diventano piuconcentrata e piu ”a picco” a variare di un piccolo parametro. La famiglia di operatori di con-voluzione associata si chiama un’approssimazione della identita perche si riproduce f nel limiterispetto la norma Lp.

2.8.2. Proposizione: (Approssimazione della identita) Sia ϕ ∈ L1(Rn) e definiamo lafamiglia di funzioni ϕε per ε > 0 tramite

ϕε(x) := ε−nϕ(x/ε), x ∈ Rn. (2.8.3)

in modo di avere per ogni ε > 0∫

Rn

ϕε dx =∫

Rn

ϕdx e ||ϕε||1 = ||ϕ||1, (2.8.4)

e per ogni δ > 0 fisso ∫

|x|>δ|ϕε(x)| dx → 0 per ε → 0+. (2.8.5)

Se f ∈ Lp(Rn) con 1 ≤ p < ∞, allora la famiglia fε = ϕε ∗ f soddisfa:

fε ∈ Lp(Rn) con ||fε||p ≤ ||ϕ||1 ||f ||p; (2.8.6)

||fε − f ||p → 0 per ε → 0+. (2.8.7)

Dimostrazione:

1. Le affermazioni in (2.8.4) seguono facilmente dal cambiamento di variabili y = x/ε; adesempio ∫

Rn

ϕε(x) dx =∫

Rn

ε−nϕ(x/ε) dx =∫

Rn

ϕ(y) dy.

2. In modo analogo, fissiamo δ > 0 e scegliamo y = x/ε per trovare∫

|x|>δ|ϕε(x)| dx =

|y|>δ/ε|ϕ(y)| dy.

Essendo ϕ ∈ L1(Rn) e δ/ε → +∞ abbiamo la affermazione (2.8.5).

3. La affermazione (2.8.6) segue immediatamente dal Teorema 2.7.2.

4. Per mostrare la convergenza in (2.8.7), sfruttiamo la prima parte di (2.8.4) per scrivere

f(x) = f(x)∫

Rn

ϕε(y) dy =∫

Rn

f(x)ϕε(y) dy.

Quindi abbiamo

|fε(x)− f(x)| =∣∣∣∣∫

Rn

(f(x− y)− f(x))ϕε(y) dy

∣∣∣∣

≤∫

Rn

|f(x− y)− f(x)| |ϕε(y)|1/p|ϕε(y)|1/p′ dy

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 72

dove 1/p′ = 0 nel caso p = 1. Usando la disuguaglianza di Holder abbiamo

|fε(x)− f(x)| ≤[∫

Rn

|f(x− y)− f(x)|p |ϕε(y)| dy

]1/p [∫

Rn

|ϕε(y)| dy

]1/p′

= ||ϕ||1/p′1

[∫

Rn

|f(x− y)− f(x)|p |ϕε(y)| dy

]1/p

.

Integrando la potenza p di quest’ultima disuguaglianza e sfuttando il Teorema di Tonelli sitrova

||fε − f ||pp ≤ ||ϕ||p/p′1

Rn

[∫

Rn

|f(x− y)− f(x)|p |ϕε(y)| dy

]1/p

dx

= ||ϕ||p/p′1

Rn

[∫

Rn

|f(x− y)− f(x)|p |ϕε(y)| dx

]1/p

dy

= ||ϕ||p/p′1

Rn

|ϕε(y)| ||f(· − y)− f(·)||pp dy

:= ||ϕ||p/p′1

Rn

|ϕε(y)|G(y) dy,

dove G(y) = ||f(· − y) − f(·)||pp → 0 per |y| → 0. Quindi, dato η > 0 esiste δ > 0 t.c.0 ≤ G(y) < η per |y| < δ. Usiamo questo controllo su G per spezzare l’ultimo integrale nelseguente modo:

||fε − f ||pp ≤ ||ϕ||p/p′1

(∫

|y|<δ|ϕε(y)|G(y) dy +

|y|≥δ|ϕε(y)|G(y) dy

)

≤ ||ϕ||p/p′1

(η||ϕ||1 +

|y|≥δ|ϕε(y)|G(y) dy

).

Ma, G e anche limitata. Infatti ||f(· − y)− f(·)||pp ≤ 2p||f ||pp. Quindi abbiamo

||fε − f ||pp ≤ η||ϕ||1 + 2p||f ||pp||ϕ||1∫

|y|≥δ|ϕε(y)| dy.

Usando la proprieta (2.8.5), abbiamo

lim supε→0

||fε − f ||pp ≤ η||ϕ||1,

con η > 0 arbitrario, da cui la tesi (2.8.7).

¤

Combinando le Proposizioni 2.8.1 e 2.8.2 si vede che data f ∈ Lp(Rn) con 1 ≤ p < ∞ si puoscrivere f come un limite in norma Lp di funzioni fε = ϕε ∗ f ∈ C∞(Rn) ∩ Lp(Rn) per ogniscelta di una funzione ϕ ∈ C∞

0 (Rn). Nel linguaggio di spazi funzionali, abbiamo la densita diC∞(Rn)∩Lp(Rn) in Lp(Rn) dove va notato che C∞(Rn) 6⊂ Lp(Rn). Aggiustando leggermente lacostruzione, si puo mostrare invece il seguente risultato di densita.

2.8.3. Teorema: Sia 1 ≤ p < ∞. Allora C∞0 (Rn) e denso in Lp(Rn).

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 73

Dimostrazione: Fissiamo una rappresentante f ∈ Lp(Rn) di una qualsiasi classe Lp(Rn). Datoη > 0 possiamo scrivere f = g + h dove g ∈ Lp(Rn) con supporto di g contenuto in un compattoK e ||h||p < η. Scegliamo ϕ ∈ C∞

0 (Rn) con supporto di ϕ in B1(0), ad esempio. Poniamogε = g ∗ ϕε e abbiamo gε ∈ C∞(Rn) ∩ Lp(Rn) con convergenza in norma ad g (per Proposizione2.8.2). Inoltre, gε ha supporto compatto. Infatti,

gε(x) =∫

Rn

g(y)ϕε(x− y) dy =∫

Kg(y)ϕε(x− y) dy,

ma supp(ϕε) ⊂ Bε(0) e, quindi, l’integrale vale 0 per ogni x fuori di un ε-intorno di K. Abbiamogε ∈ C∞

0 (Rn) e affermiamo che gε → f in norma Lp. Infatti,

||f − gε||p = ||g + h− gε||p ≤ ||h||p + ||gε − g||p≤ η + ||gε||p < 2η.

per ε abbastanza piccola. Ma questa e la densita cercata essendo η > 0 arbitrario.¤

2.8.4. Osservazione: I risultati sopra sono state enunciati per il caso U = Rn. Nel caso di Umisurabile e f ∈ Lp(U), possiamo definire f ∈ Lp(Rn) via il prolungamento banale, f = 0, suRn \ U . Si pone

fε(x) := (ϕε ∗ f)(x), x ∈ U (2.8.8)

per ϕ ∈ L(Rn). La convergenza in norma Lp analoga a quella di Proposizione 2.8.2 e vero perLp(U). Se inoltre U e aperto (in modo di essere in grado di definire Ck(U) ad esempio) allorala regolarizzazione analoga a quella di Proposizione 2.8.1 e vera con Ck(U) al posto di Ck(Rn) ef al posto di f in (2.8.1).

2.8.5. Esercizio: Verificare le affermazioni nella Osservazione 2.8.4.

Finiamo le considerazioni nel caso globale con la questione di convergenza puntuale di fε versof . Scegliendo ϕ ∈ L1(Rn) e combinando la convergenza in norma Lp (Proposizione 2.8.2) e larelazione fra convergenza in norma Lp e convergenza puntuale (Teorema 2.4.2), possiamo trovareuna successione fεj che tende ad f quasi-ovunque. Pero non abbiamo ancora controllo su dovec’e’ convergenza puntuale. Possiamo sfruttare il Teorema di Differenziazione di Lebesgue permostrare il seguente risultato dove per abbiamo bisogno di ϕ ∈ L1(Rn) con qualche proprieta inpiu. Un’esempio di tale ϕ e data in Esempio 2.8.? sotto.

2.8.5. Proposizione: (Convergenza quasi-ovunque) Siano f ∈ Lp(Rn) con 1 ≤ p < ∞ eϕ ∈ L1(Rn) t.c. ϕ e non-negativa, ha supporto compatto in B1(0), e soddisfa ||ϕ||1 = 1. Alloraper ogni x nell’insieme di Lebesgue Leb(f), si ha

fε(x) = (f ∗ ϕε)(x) → f(x). (2.8.9)

In particolare, fε → f quasi-ovunque in Rn.

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 74

Dimostrazione: Usando∫Rn ϕε(x− y) dy = 1 per ogni x e supp(ϕε) = Bε(0), si ha

|fε(x)− f(x)| =∣∣∣∣∫

Rn

f(y)ϕε(x− y) dy − f(x)∫

Rn

ϕε(x− y) dy

∣∣∣∣

=

∣∣∣∣∣∫

Bε(x)ϕε(x− y) [f(y)− f(x)] dy

∣∣∣∣∣

≤ 1εn

Bε(x)ϕ

(x− y

ε

)|f(y)− f(x)| dy

dove abbiamo usato la positivita di ϕ. Adesso usando la limitatezza di ϕ si trova

|fε(x)− f(x)| ≤ α(n) supRn

|ϕ| 1|Bε(x)|

Bε(x)|f(y)− f(x)| dy. (2.8.10)

Essendo f ∈ L1loc(Rn), possiamo usare il Teorema di Differenziazione di Lebegue. Quindi, per

ogni x ∈ Leb(f) il membro destro di (2.8.10) tende ad 0 quando ε → 0+, da cui l’affermazione(2.8.9). Si ricorda che quasi ogni x e un punto di Lebesgue di f . ¤

Il caso locale Lploc

Adesso affrontiamo il problema di regolarizzazione ed approssimazione nei spazi locali Lploc(U)

con U ⊆ Rn un insieme aperto. Per mostrare, una volta per tutto, che valgono risultati analoghia tutti quelli del caso globale, richiediamo che la funzione ϕ sia veramente buona.

2.8.6. Definizione: Una funzione ϕ : Rn → R si chiama mollificatore se

(i) ϕ ∈ C∞0 (Rn);

(ii) ϕ ≥ 0;

(iii) ||ϕ||1 =∫Rn ϕ(x) dx = 1.

Si vede che un mollificatore e ammissibile per tutti i risultati enunciati nel caso globale. Inparticolare, definiera un’approssimazione della identita essendo un elemento di L1(Rn), avra laproperieta di regolarizzare f essendo C∞

0 (Rn), e gode di tutte le proprieta usata nel risultato diconvergenza quasi-ovunque. Notiamo che tali funzioni esistono.

2.8.7. Esempio: (il mollificatore canonico) La seguente funzione soddisfa le proprieta (i),(ii), (iii) e ha il suo supporto nella palla unitaria B1(0):

ϕ(x) :=

{C exp

(1

|x|2−1

)|x| < 1

0 |x| ≥ 1, (2.8.11)

dove C > 0 e scelta per avere ||ϕ||1 = 1.

Anche se ormai devono essere chiare, diamo un’elenco delle proprieta principale della famiglia{ϕε : ε > 0} definita da ϕ.

2.8.8. Proposizione: Sia ϕ un mollificatore. Allora

ϕε(x) :=1εn

ϕ(x/ε), ε > 0, (2.8.12)

definisce una famiglia di mollificatori; cioe per ogni ε > 0, ϕε e un mollificatore nel senso diDefinizione 2.8.6. Inoltre, valgono le seguenti affermazioni:

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 75

(iv) Se supp(ϕ) ⊂ B1(0), allora supp(ϕε) ⊂ Bε(0) → {0}, per ε → 0+;

(v) Se supRn [ϕ] = M , allora supRn [ϕε] = M/εn → +∞, per ε → 0+.

Lasciamo per esercizio la verifica di queste proprieta che sono alle base del metodo di mollificatoridi Friedrichs (vedi K. O. Friedrichs, The identity of weak and strong differential operators, Trans.Amer. Math. Soc. 55 (1944), 132-151.). Il nostro trattamento e una rilettura moderno, vedi adesempio il libro di Evans [1].Adesso definiamo il processo di regolarizzazione ed approssimazione nel caso locale in un apertoU ⊆ Rn dove denotiamo con

Uε := {x ∈ U : dist(x, ∂U) > ε}, (2.8.13)

il sottoinsieme di U nel cui sara definita la famiglia di approssimazioni di f senza di aver bisognodi qualche estensione di f in un intorno di U . Nel caso, U = Rn, abbiamo Uε = Rn per ogniε > 0.

2.8.9. Definizione: Sia f ∈ L1loc(U). La mollificazione di f (via ϕ) e definita da fε := ϕε ∗ f

in Uε; cioe:

fε(x) :=∫

Uϕε(x− y)f(y) dy, x ∈ Uε (dist(x, ∂U) > ε). (2.8.14)

N.B. La funzione fε e ben definita; in particolare:

1. Come abbiamo gia visto, ϕε ha supporto in Bε(0). Quindi, per ogni x fissato, la traslataϕε(x− y) ha supporto y ∈ Bε(x) ⊂ U se x ∈ Uε. Quindi

fε(x) =∫

{y∈U :|x−y|<ε}ϕε(x− y)f(y) dy, x ∈ Uε

=∫

Bε(x)ϕε(x− y)f(y) dy, x ∈ Uε. (2.8.15)

Quindi, fε e ben definita in Uε essendo la convoluzione di una funzione ϕε ∈ L∞comp(Rn) euna funzione f ∈ L1

loc(Rn), dove si puo prendere il prolungamento da zero di f fuori da U ,perche l’integrale si calcola su Bε(x) ⊂ U .

2. Facendo il semplice cambiamento di variabili y′ = x− y si trova

fε(x) =∫

Bε(0)ϕε(y′)f(x− y′) dy′, x ∈ Uε

=∫

Bε(0)ϕε(y)f(x− y) dy, x ∈ Uε, (2.8.16)

ovvero, fε = ϕε ∗ f in Uε. Le due formule (2.8.15) e (2.8.16) sono equivalenti, ma hannodelle utilita diverse quando si considerano incrementi in x; l’effetto di tale incremento esentito da solo uno dei due fattori f, ϕε.

3. Essendo Lploc(U) ⊂ L1

loc(U) per ogni p ≥ 1, la formula (2.8.15) (oppure (2.8.16)) continua adefinire la mollificazione di una funzione localmente Lp(U) per ogni p > 1.

4. A maggior ragione, la mollificazione di funzioni Lp(U) e ben definita tramite questa versionelocale, incluso il caso “semplice” di U = Rn, dove ricordiamo Uε = Rn in questo caso.

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 76

Il risultato principale di questo paragrafo, ed il capolinea della prima parte del corso, e il seguenteteorema.

2.8.5. Teorema (Mollificazione in spazi locali): Sia f ∈ L1loc(U) con U ⊆ Rn aperto.

Allora, la mollificazione fε di f soddisfa le seguente proprieta:

(a) fε ∈ C∞(Uε);

(b) fε → f q.o. in U . Piu precisamente, c’e convergenza sull’insieme di Lebesgue di f ;

(c) Se inoltre f ∈ C0(U), la convergenza fε → f e uniforme su i sottoinsiemi compatti di U ;

(d) Se f ∈ Lploc(U) con 1 ≤ p < ∞, abbiamo la convergenza fε → f in Lp

loc(U); cioe, per ogniV ⊂⊂ U , abbiamo ||fε − f ||p,V → 0.

Abbiamo usato la notazione comune V ⊂⊂ U per indicare che V e un sottoinsieme di U apertodove V ⊂ U ; cioe, V ha chiusura compatta in U . Anche se la dimostrazione e molto simile aipezzi relativi nel caso globale, presentiamo una dimostrazione completa cercando di sottolinearele somiglianze con il caso globale e le differenze. Il problema principale e di tener conto deldominio in cui e ben definito il processo.

Dimostrazione:

1. Regolarita: Fissiamo x ∈ Uε e 1 ≤ i ≤ n. Mostreremo solo che esiste la derivata parziale(Dxifε)(x). Poi, si procede per iterazione di stabilire l’esistenza delle derivate di ordinesuperiore.

• Per ogni |h| piccolo, x + hei ∈ Uε per ogni ε > 0 piccolo (basta prendere |h| <dist(x, ∂Uε)). Quindi, possiamo calcolare il rapporto incrementale come abbiamo fattoin Proposizione 2.8.1: per ogni x ∈ Uε si ha

∆hi fε(x) :=

1h

[fε(x + hei)− fε(x)]

=1h

U[ϕε(x + hei − y)− ϕε(x− y)] f(y) dy

=1εn

U

1h

(x + hei − y

ε

)− ϕ

(x− y

ε

)]f(y) dy, (2.8.17)

• Notiamo che il rapporto incrementale nella funzione integranda in (2.8.17) ha supportoin Bε(x+hei)∪Bε(x) := V , dove V ⊂⊂ U . Quindi, per questo rapporto incrementaleabbiamo

limh→0

(1h

(x + hei − y

ε

)− ϕ

(x− y

ε

)])= Dxi

(x− y

ε

))=

1εDxiϕ

(x− y

ε

),

(2.8.18)dove la convergenza e uniforme per y ∈ V e x ∈ Uε fisso.

• Combinando (2.8.17) e (2.8.18) abbiamo per ogni x ∈ Uε

limh→0

∆hi fε(x) =

1εn

V

1εDxiϕ

(x− y

ε

)f(y) dy, ,

ovvero, per ogni x ∈ Uε:

Dxifε(x) =∫

U

1εn+1

Dxiϕ

(x− y

ε

)f(y) dy.

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 77

Quindi, abbiamoDxifε(x) = (Dxiϕε ∗ f)(x), x ∈ Uε, (2.8.19)

ed esistono le derivate parziali del primo ordine in Uε con la formula (2.8.8).

• Poi, in modo tutto analogo si mostra

Dαxfε(x) = (Dα

xϕε ∗ f)(x), x ∈ Uε,

e, quindi, fε ∈ C∞(Uε).

2. Convergenza quasi-ovunque: la dimostrazione e esattamente quella usata nel caso globale(Proposizione 2.8.5). Per ogni x ∈ Leb(f), abbiamo (ricordando

∫Rn ϕε(x − y) dy = 1 e

supp(ϕε) = Bε(0))

|fε(x)− f(x)| =

∣∣∣∣∣∫

Bε(x)ϕε(x− y) [f(y)− f(x)] dy

∣∣∣∣∣

≤ 1εn

Bε(x)ϕ

(x− y

ε

)|f(y)− f(x)| dy

≤ α(n) supRn

|ϕ| 1|Bε(x)|

Bε(x)|f(y)− f(x)| dy → 0, x ∈ Leb(f),

e, quindi, la convergenza quasi-ovunque.

3. La convergenza uniforme sui compatti (se f e continua): Dato V ⊂⊂ U , vogliamo mostrareche la convergenza e uniforme su V . Scegliamo un altro aperto W t.c. V ⊂⊂ W ⊂⊂U . Abbiamo f uniformemente continua su W , e quindi abbiamo la tesi del Teorema diDifferenziazione di Lebesgue

limr→0+

1|Br(x)|

Br(x)|f(x)− f(y)| dy = 0,

dove la convergenza e uniforme per x ∈ V . Quindi, per il passo 2, abbiamo la convergenzauniforme su V di |fε(x)− f(x)| ad zero.

4. Una stima a priori: Siano 1 ≤ p < ∞ e f ∈ Lloc(U). Se V ⊂⊂ W ⊂⊂ U , allora:

∀ ε > 0 piccolo ||fε||p,V ≤ ||f ||p,W . (2.8.20)

• Per ogni x ∈ V , usando la disuguaglianza di Holder, abbiamo

|fε(x)| ≤∫

Bε(x)ϕε(x− y)1/p′ϕε(x− y)1/p|f(y)| dy

≤[∫

Bε(x)ϕε(x− y) dy

]1/p′ [∫

Bε(x)ϕε(x− y)|f(y)|p dy

]1/p

=

[∫

Bε(x)ϕε(x− y)|f(y)|p dy

]1/p

, (2.8.21)

usando il fatto che l’integrale di ϕε vale 1.

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 78

• Integrando (2.8.21) su V e scambiando l’ordine di integrazione si trova

V|fε(x)|p dx ≤

V

(∫

Bε(x)ϕε(x− y)|f(y)|p dy

)dx

≤∫

W|f(y)|p

(∫

Bε(y)ϕε(x− y) dx

)dy, (2.8.22)

dove si nota la presenza dell’insieme W in (2.8.22) e abbiamo usato la non-negativitadella funzione integranda. Con W fissato, la formula (2.8.22) vale per ogni ε > 0abbastanza piccolo. Di nuovo, l’integrale di ϕε vale 1, e abbiamo

||fε||pp,V ≤ ||f ||p,W , ε > 0 piccolo,

che e la nostra stima.

5. La convergenza ||fε − f ||p,V → 0 per ogni V ⊂⊂ U :

• Sia δ > 0, prendiamo g ∈ C0(W ) t.c. ||f − g||p,W < δ.

• Si stima:

||fε − f ||p,V ≤ ||fε − gε||p,V + ||gε − g||p,V + ||g − f ||p,V

≤ 2||f − g||p,W + ||gε − g||p,V

≤ 2δ + ||gε − g||p,V

dove il termine rimanente tende ad zero perche la convergenza e uniforme su V (passo3 applicato a g).

• Quindi, per ogni δ > 0:lim sup

ε→0+

||fε − f ||p,V ≤ 2δ,

e, quindi, il risultato

.

¤

N.B. Nel caso U = Rn, la dimostrazione e piu facile, e l’ultima parte dice f ∈ Lploc(R

n) =⇒||fε − f ||p,V → 0 per ogni V ⊂⊂ Rn

Commento finale: Ci sono tante altre varianti di questi processi di approssimazione nel librodi Wheeden-Zygmund [11], dove il punto e che si puo scegliere dei nuclei diversi del nostroK(x, y) = ϕε(x− y) in una trasformazione integrale del tipo

Tf(x) :=∫

Rn

K(x, y)f(y) dy.

Vari casi di K particolare sono di uso comune nell’analisi di Fourier, come sara caso di vedere nellaseconda parte del corso. Inoltre, la versione locale presentata qui con il mollificatore canonicoradiale (Esempio 2.8.7) viene usato nel discorso sugli spazi di Sobolev e regolarita all’internoper equazioni uniformemente ellittiche nel corso di Equazioni alle Derivate Parziali I. Invece, perrisultati di regolarita al bordo o per equazioni degenere, spesso conviene scegliere un mollificatorecon una simmetria minore o solo in qualche direzione.

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 79

2.9 Dimostrazione del Teorema di Rappresentazione di Riesz

In questo paragrafo, che e facoltativo nell’ambiente del corso, presentiamo la dimostrazione delTeorema 2.5.11. Ricordiamo il suo enunciato:

Teorema (di Rappresentazione di Riesz): Siano 1 ≤ p < ∞ e E ∈ M(Rn) con |E| > 0.Allora, per ogni l ∈ (Lp(E))′ esiste un’unica g ∈ Lp′(E) t.c. l = lg. Inoltre, abbiamo ||l||(Lp(E))′ =||g||p′; cioe la mappa l definita in Teorema 2.5.9 e un’isometria.

La strategia della dimostrazione sara di spezzare di due casi, cioe

A. Il caso |E| < +∞: si usa il Teorema di Radon-Nikodym qui.

B. Il caso |E| = +∞: si usa approssimazione del dominio con domini di misura finita, il casoA, ed il Teorema di Convergenza Dominata di Lebesgue.

Dimostrazione nel caso A: Assumiamo |E| < +∞.

1. Sia l ∈ Lp(E)′ e denotiamo con m = |||l||| = ||l||(Lp(E))′ , la norma del funzionale linearecontinua l. Usando l, definiamo una funzione di insiemi ν : M(E) → (−∞, +∞) con laregola

ν(A) := l(χA). (2.9.1)

Essendo |E| < +∞, abbiamo χA ∈ Lp(E) e ν e ben definita. Inoltre, abbiamo||χA||p =|A|1/p

2. ν : M(E) → R e una misura sigma-finita con segno su (E,M(E)); cioe:

(i) ν(∅) = 0;

(ii) ν(⋃+∞

j=1 Aj

)=

∑j = 1+∞ν(Aj) se {Aj} ⊂ M(E) disgiunti;

(iii) |ν| e σ-finita; cioe esiste una collezione {Aj}j∈N ⊂ M(E) t.c. E =⋃

j∈NAj e|ν(Aj)| < +∞ per ogni j ∈ N.

Infatti:

• |ν(A)| = | l(χA)| ≤ m||χA|| = m|A|1/p, e, quindi abbiamo (i).

• |ν|(E) := |ν(E)| ≤ m|E|1/p < +∞, e, quindi abbiamo banalmente la proprieta (iii).

• Se A =⋃N

j=1 Aj con {Aj} disgiunti, allora

ν

N⋃

j=1

Aj

= l

(χSN

j=1 Aj

)= l

N∑

j=1

χAj

=N∑

j=1

l(χAj

)=

N∑

j=1

ν(Aj),

e, quindi, ν e finitamente additiva.

• Se invece, A =⋃+∞

j=1 Aj con {Aj} disgiunti, spezziamo

A := A′ ∪A′′ :=

N⋃

j=1

Aj

+∞⋃

j=n+1

Aj

,

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 80

e abbiamo, dal passo precedente,

ν(A) = ν(A′) + ν(A′′) =N∑

j=1

ν(Aj) + ν(A′′),

ma

|ν(A′′)| ≤ m|A′′|1/p = m

∣∣∣∣∣∣

+∞⋃

j=n+1

Aj

∣∣∣∣∣∣→ 0 per N → +∞.

Quindi, abbiamo ν(A) =∑+∞

j=1 ν(Aj), ovvero, la proprieta (ii).

3. La misura ν e assolutamente continua rispetto alla misura di Lebesgue; cioe

|A| = 0 =⇒ ν(A) = 0, ∀ A ∈M(E). (2.9.2)

Infatti, abbiamo la stima |ν(A)| ≤ m|A|1/p.

4. Adesso, si puo applicare il Teorema di Radon-Nikodym (vedi Teorema 2.12.14 del libro diFriedman [4]:

Teorema (di Radon-Nikodym): Sia ν una misura σ-finita con segno sullo spazio dimisura di Lebesgue (E,M(E), | · |). Se ν e assolutamente continua rispetto la misura diLebesgue | · |, allora:

(a) esiste g ∈ mis(E,R) t.c.

ν(A) =∫

Ag dx, ∀ A ∈M(E) t.c. |ν(A)| < +∞; (2.9.3)

(b) se g1 e un altro rappresentante di ν, allora g = g1 q.o. rispetto alla misura di Lebesgue.

La funzione g ∈ mis(E,R) nella tesi del Teorema e il nostro candidato per la funzione cherappresenta l, dove notiamo che g e un elemento di L1(E) perche |E| < +∞. Infatti,

E|g| dx =

Eg+ dx +

Eg− dx

=∫

A+

g dx−∫

A−g dx := ν(A+)− ν(A−),

dove A± := {x ∈ E : ±g(x) ≥ 0}. Ma, l’ultima espressione e finita perche A± ⊂ E con|E| < +∞.

5. Per costruzione, abbiamo la rappresentazione desiderata se f = χA e una funzione carat-teristica. Infatti, per ogni A ∈M(E)

l(χA) := ν(A) =∫

Ag dx =

EχAg dx

e, quindi, per linearita abbiamo la rappresentazione per ogni f semplice, misurabile, ovvero

l(f) = l

N∑

j=1

αjχAj

=

E

N∑

j=1

αjχAj

g dx, ∀ αj ∈ R, Aj ∈M(E).

Vogliamo questa formula per un f ∈ Lp(E) qualsiasi.

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 81

6. Affermazione 1: Valgono g ∈ Lp(E) e ||g||p′ ≤ m = ||| l|||.Infatti, per 1 < p < ∞, la funzione |g|p′ e misurabile e non-negativa, e, quindi, esiste unasuccessione di funzioni semplici, misurabili {hk} t.c.

0 ≤ hk ↗ |g|p′ , per k → +∞, (2.9.4)

(vedi Teorema 4.13 di [11]). Definiamo gk := h1/pk sign(g). L’affermazione dipende dalle pro-

prieta delle successioni {hk}, {gk}, per cui vogliamo applicare il Teorema della convergenzamonotona (vedi Teorema 5.6 di [11]).

• Abbiamo:||gk||pp =

Ehk dx = ||hk||1,

e, quindi, ||gk||p = ||hk||1/p1 .

• Essendo gk semplice, possiamo usare il passo 5 per trovare∫

Egkg dx = l(gk) ≤ m||gk||p ≤ m||hk||1/p

1 . (2.9.5)

• La successione {hk} e limitata in norma L1(E). Infatti, abbiamo gkg = h1/pk g sign(g) =

h1/pk |g|, ma |g| ≥ (hk)1/p′ per (2.9.4), e, quindi, gkg ≥ (hk)1/p+1/p′ = hk, percio

||hk||1 ≤ ||gkg||1 ≤ m||hk||1/p1 , (2.9.6)

per (2.9.5). Possiamo assumere ||hk||1 6= 0 per k grande; altrimenti, g = 0 q.o. eabbiamo il caso banale l = 0. Quindi, possiamo riscrivere (2.9.6) come

||hk||1 ≤ mp′ = ||| l|||p′ , per ogni k grande. (2.9.7)

• Quindi, abbiamo le ipotesi (2.9.4), (2.9.7) del Teorema di Convergenza Monotona, percui concludiamo |g|p′ ∈ L1(E) e || |g|p′ ||1 ≤ mp′ , ovvero, ||g||p′p′ ≤ mp′ .

• Il caso p = 1 e analogo, e abbiamo Affermazione 1.

7. Affermazione 2: Vale l(f) =∫E fg dx per ogni f ∈ Lp(E).

• Possiamo approssimare f mediante funzioni semplici; cioe esistono {fk} semplici t.c.||fk − f ||p → 0.

• Per la continuita di l abbiamo∫

Efkg dx = l(fk) → l(f) ∈ R. (2.9.8)

• Ma abbiamo anche ∫

Efkg dx →

Efg dx (2.9.9)

per la disuguaglianza di Holder. Infatti,∣∣∣∣∫

E(fk − f) dx

∣∣∣∣ ≤ ||fk − f ||p ||g||p′ → 0.

• Combinando (2.9.8) e (2.9.9) abbiamo l’Affermazione 2.

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 82

8. Dall’Affermazione 2, abbiamo anche la stima

|l(f)| ≤ ||f ||p ||g||p′ ,

ovvero, la stima m = ||| l||| ≤ ||g||p′ . Ma, dal passo 6, abbiamo anche m ≥ ||g||p′ , e, quindi||| l||| = ||g||p′ .

9. l’uncitia della classe Lp′(E) di g segue dal Teorema di Radon-Nikodym, e la dimostrazionenel caso |E| < +∞ e completa. ¤

Dimostrazione nel caso B: Assumiamo |E| = +∞. Sia l ∈ (Lp(E))′.

1. La misura µ = | · | e σ-finita, e , quindi esiste una successione numerabile di insiemi {Ej}t.c. |Ej | < +∞ e Ej ↗ E. Abbiamo per ogni j ∈ N, l|Lp(Ej) ∈ (Lp(Ej))

′. Quindi, per ilcaso A, esistono gj ∈ Lp′(Ej) (uniche classi in Lp′(Ej)) t.c.

||gj ||p′,Ej≤ || l||(Lp(E))′ ; (2.9.10)

l(f) =∫

Ej

fgj dx, ∀ f ∈ Lp(E) t.c. f = 0 su E \ Ej . (2.9.11)

Siano j fisso e f = 0 su Ecj . Essendo Ej ⊂ Ej+1, abbiamo anche

l(f) =∫

Ej+1

fgj+1 dx =∫

Ej

fgj+1 dx, ∀ f ∈ Lp(E), f = 0 su Ecj

e, quindi gj+1 = gj q.o. in Ej . Ridefinendo {gj}, se e necessario, possiamo assumeregj+1 = gj in Ej .

2. Definiamo una funzione g su tutto E tramite la regola

g(x) = gj(x) se x ∈ Ej .

Abbiamo g ∈ mis(E,R) e ||g||p′ ≤ || l||(Lp(E))′ ||. Per ogni f ∈ LP (E), abbiamo

l(fχEj ) =∫

Ej

fgj dx =∫

Ej

fg dx,

ma fχEj → f in Lp(E), e, quindi∫

Ej

fg dx = l(fχEj ) tol(f) in R.

Ma ∫

Ej

fg =∫

EχEjfg dx →

Efg dx,

per il Teorema di Convergenza Dominata (vedi Teorema 5.36 di [11]). Quindi, abbiamol(f) =

∫E fg dx per ogni f ∈ Lp(E) ed inoltre ||| l||| = ||g||p′ .

¤

Finiamo questo paragrafo con una osservazione importante. Il Teorema di Rappresentazione diRiesz prende una forma diversa per il caso p = ∞; cioe non e vero che (L∞(E))′ = L1(E). Infatti,il duale di L∞(E) e molto piu grande.

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CAPITOLO 2. SPAZI LP . 83

2.9.1. Esempio: Definiamo un’applicazione lineare l : C0([−1, 1]) → R via la formula

l(f) = f(0), (2.9.12)

cioe il funzionale di valutazione in x = 0. Questa mappa ha un prolungamento allo spazio L∞(E)con E = [−1, 1] che non e rappresentabile come integrazione contro una funzione g ∈ L1([−1, 1]).

L’idea della verifica e la seguente.

1. La mappa definita da (2.9.12) e lineare e soddisfa

|l(f)| = |f(0)| ≤ supE|f |.

Quindi, per un risultato basilare del corso Analisi Funzionale, il Teorema di Hahn-Banach,esiste un prolungamento continuo

l : L∞(E) → R;

cioe, l = l su C0(E) e ||| l||| ≤ ||f ||∞.

2. Assumiamo, per assurdo, che esiste g ∈ L1(E) t.c. l(f) =∫E fg dx per ogni f ∈ L∞(E).

Testando l su tutte le funzioni f ∈ C0(E) che si annullano in 0 si trova l(f) = l(f) = f(0) =0. Quindi, g = 0 q.o., assurdo.

Il funzionale l e, in realta, una distribuzione, la distribuzione δ di Dirac.

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