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Introduzione ai disturbi d'ansia Ansia e stress sono fenomeni di cui tutti fanno esperienza nel corso della vita in risposta a stimoli esterni più o meno intensi (un esame, un colloquio di lavoro, una gara sportiva, l'attesa di una notizia importante, il matrimonio ecc.). Entro certi limiti, non sono necessariamente reazioni negative perché, nella giusta misura, danno la spinta per essere più pronti ed efficienti. Se gli episodi ansiosi sono fastidiosi, ma gestibili, occasionali e di durata limitata nel tempo, quindi, non ci si deve preoccupare. Al contrario, è importante consultare il medico e intraprendere un trattamento specifico quando preoccupazione, nervosismo, irritabilità e agitazione diventano molto intensi, persistenti e non controllabili, al punto da impedire di svolgere serenamente le attività quotidiane e interferire con le relazioni familiari e sociali, riducendo significativamente la qualità di vita. In relazione alla causa che ha contribuito a scatenarlo, alla risposta individuale alle sollecitazioni esterne e alla natura delle manifestazioni si possono individuare diverse tipologie di disturbo d'ansia. Quelle di più frequente riscontro nella popolazione sono: Disturbo d'Ansia Generalizzata (DAG) Disturbo da Attacchi di Panico (DAP) Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS) Disturbo d'Ansia/Fobia Sociale Fobie specifiche

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Introduzione ai disturbi d'ansiaAnsia e stress sono fenomeni di cui tutti fanno esperienza nel corso della vita in risposta a stimoli esterni più o meno intensi (un esame, un colloquio di lavoro, una gara sportiva, l'attesa di una notizia importante, il matrimonio ecc.). Entro certi limiti, non sono necessariamente reazioni negative perché, nella giusta misura, danno la spinta per essere più pronti ed efficienti.

Se gli episodi ansiosi sono fastidiosi, ma gestibili, occasionali e di durata limitata nel tempo, quindi, non ci si deve preoccupare. Al contrario, è importante consultare il medico e intraprendere un trattamento specifico quando preoccupazione, nervosismo, irritabilità e agitazione diventano molto intensi, persistenti e non controllabili, al punto da impedire di svolgere serenamente le attività quotidiane e interferire con le relazioni familiari e sociali, riducendo significativamente la qualità di vita.

In relazione alla causa che ha contribuito a scatenarlo, alla risposta individuale alle sollecitazioni esterne e alla natura delle manifestazioni si possono individuare diverse tipologie di disturbo d'ansia. Quelle di più frequente riscontro nella popolazione sono:

Disturbo d'Ansia Generalizzata (DAG) Disturbo da Attacchi di Panico (DAP) Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS) Disturbo d'Ansia/Fobia Sociale Fobie specifiche

Disturbo d'ansia generalizzataInquadramento del disturbo d'ansia generalizzataNel linguaggio comune il termine "ansia" viene spesso usato in modo improprio, riferendosi a generiche condizioni di apprensione, nervosismo e stress, molto comuni nella vita quotidiana, che nulla hanno a che vedere con il disturbo psichiatrico vero e proprio. L'ansia patologica non è un semplice disagio transitorio, ma una reazione abnorme che interferisce severamente con le prestazioni psico-intellettive, impedendo di fissare la mente su problemi e situazioni specifiche e di elaborarli, limitando la possibilità di svolgere le attività abituali. Il disturbo d'ansia generalizzata non insorge necessariamente in risposta a stimoli esterni, anche se eventi stressanti o un ambiente complessivamente sfavorevole possono slatentizzarne o aggravarne le manifestazioni. Proprio come la depressione, l'origine del disturbo d'ansia è legata all'alterato funzionamento di alcuni circuiti cerebrali, non ancora del tutto noti, ma che almeno in parte coinvolgono il sistema della serotonina e della noradrenalina. Il disturbo d'ansia può manifestarsi in un qualunque momento della vita, spesso in corrispondenza di periodi di transizione particolarmente critici o quando ci si trova di

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fronte a scelte difficili. A soffrirne sono soprattutto le donne (colpite con una frequenza doppia rispetto agli uomini), i bambini e gli anziani (specie se affetti da malattie croniche).

Fattori che aumentano la probabilità di sviluppare un disturbo d'ansia

Essere donne. Aver vissuto esperienze traumatiche o aver assistito a eventi drammatici

durante l'infanzia. Soffrire di malattie croniche (in particolare, cardiache, respiratorie, digestive e

metaboliche) o l'aver sperimentato una patologia grave (per esempio, un tumore).

Essere stati esposti a una fonte di stress acuto intenso o a stress più modesti, ma ripetuti nel tempo.

Avere un profilo psicologico caratterizzato da una scarsa capacità di adattamento agli stimoli esterni e da una spontanea tendenza al nervosismo e alla preoccupazione.

Predisposizione su base genetica. Assunzione di sostanze (alcol, droghe, farmaci, caffeina, nicotina, estratti

fitoterapici ecc.) che tendono a peggiorare la risposta allo stress e ad aumentare la tendenza all'ansia.

Sintomi e Diagnosi del disturbo d'ansia generalizzataContrariamente a quanto avviene nel caso della depressione, arrivare alla diagnosi di disturbo d'ansia generalizzata è abbastanza semplice perché i sintomi sono ben riconoscibili e il disagio sperimentato porta i pazienti a rivolgersi al medico rapidamente. Oltre a sintomi psicologici, quali agitazione e irritabilità, la sindrome ansiosa si associa di norma a insonnia, alterazioni dell'appetito e a tutta una serie di manifestazioni fisiche caratteristiche (accelerazione del battito cardiaco, difficoltà respiratorie, aumento della sete, bisogno di muoversi in continuazione, gesti ripetitivi ecc.) che possono ridurre la qualità di vita in modo significativo.Per ottenere un corretto inquadramento del disturbo d'ansia, definirne con precisione la gravità e individuare la strategia terapeutica più adatta, è consigliabile rivolgersi a uno specialista.

Segni e sintomi psicofisici dell'ansia

Indolenzimenti e contratture muscolari, tendenza a serrare i denti sia durante il giorno (digrignamento) sia durante la notte (bruxismo), voce tremante.

Ronzii alle orecchie, visione confusa, vampate, dolori localizzati privi di evidenti cause organiche.

Tachicardia, palpitazioni, dolori al centro del torace, cali di pressione, polso irregolare.

Senso di costrizione e oppressione al petto, difficoltà respiratorie, sensazione di soffocamento.

Aumento della frequenza urinaria, disturbi del ciclo mestruale e del desiderio sessuale.

Difficoltà a deglutire, difficoltà digestive, mancanza di appetito, nausea, vomito, diarrea.

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Cefalea, vertigini, aumento della sudorazione, vampate oppure pallore, riduzione della salivazione.

Preoccupazione costante o ricorrente, ingiustificata o per motivi futili, pessimismo.

Irritabilità, incapacità a rilassarsi, ipersensibilità agli stimoli e trasalimenti, facilità al pianto, fobie specifiche.

Insonnia con difficoltà ad addormentarsi o sonno interrotto da incubi, problemi di concentrazione, ridotta capacità di memorizzazione.

Trattamento del disturbo d'ansia generalizzataEsistono molti modi per contrastare il disturbo d'ansia generalizzata: tecniche di rilassamento, terapia farmacologica e psicoterapia. Spetterà al medico scegliere quello più adatto caso per caso, eventualmente combinandoli tra loro, in relazione alla gravità e alla durata del disturbo, alle caratteristiche e all'età del paziente, alla sua disponibilità a impegnarsi nel trattamento e alle attese rispetto agli esiti clinici.

Tecniche di rilassamentoForme lievi di ansia e stress possono essere attenuate grazie a tecniche di rilassamento più o meno specifiche, che possono andare dai massaggi allo yoga, da un bagno caldo alla visualizzazione mentale guidata, da tecniche di respirazione profonda all'agopuntura. Ma anche l'ascolto della musica preferita, una nuotata o una passeggiata nella natura possono portare a miglioramenti significativi del livello di tensione. Quando queste contromisure si rivelano insufficienti e lo stato di allerta si associa anche a disturbi del sonno, si può trovare un blando aiuto aggiuntivo in alcuni principi attivi di origine naturale in grado di influenzare positivamente la funzionalità dei circuiti nervosi che controllano le reazioni allo stress. Tra questi, gli infusi di tiglio o camomilla, le tisane di malva, escolzia o valeriana, gli estratti di biancospino o passiflora e miscele di tutte le piante citate sono i rimedi "verdi" più collaudati e innocui per allentare la tensione e favorire il sonno. Se si sceglie di utilizzarli, però, meglio optare per preparati certificati venduti in farmacia e informare il medico prima di iniziare ad assumerli, soprattutto se si stanno già utilizzando farmaci contro l'ansia o altre patologie e durante gravidanza e allattamento.

Terapia farmacologicaQuando il medico ritiene che per contrastare la forma d'ansia presente sia necessario ricorrere ai farmaci, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i principi attivi più utili non appartengono alla classe dei tranquillanti, ma a quella degli antidepressivi, in particolare i cosiddetti SSRI (inibitori del riassorbimento della serotonina). Gli SSRI sono farmaci ben tollerati e, di norma, non causano effetti collaterali rilevanti, ma per ottenerne i massimi benefici devono essere utilizzati seguendo attentamente le indicazioni del medico rispetto a dosaggi e tempi d'assunzione. Per osservare un miglioramento dei sintomi ansiosi è necessario avere un po' di pazienza perché il loro effetto ansiolitico non è immediato, ma compare in media dopo 2-4 settimane dall'inizio dell'assunzione. Ottenuto il beneficio, poi, il trattamento non va interrotto fintanto che il medico non lo ritenga opportuno. Generalmente, ciò avviene dopo alcune settimane o mesi. L'abbandono dei farmaci deve essere sempre graduale, con progressive riduzioni della quantità assunta, e monitorato dal medico.Nella piccola quota di pazienti in cui il disturbo d'ansia è così intenso da meritare un intervento farmacologico dagli effetti tranquillanti immediati, il medico può

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prescrivere composti della classe delle benzodiazepine, da assumere per non più di 2-3 settimane insieme agli SSRI, in attesa che si manifesti pienamente l'azione di questi ultimi. Le benzodiazepine sono farmaci delicati da gestire, poiché associati a un certo numero di effetti collaterali e controindicazioni, oltre che alla possibilità di indurre assuefazione e dipendenza fisica e psicologica. Per evitare un peggioramento dell'ansia, l'interruzione del trattamento con benzodiazepine dovrà essere graduale, con progressive riduzioni di dosaggio.

Approccio psicoterapicoI farmaci sono molto utili per attenuare le manifestazioni acute del disturbo d'ansia e favorirne il superamento, ma per risolvere il problema a lungo termine è necessario effettuare anche un lavoro di elaborazione e adattamento allo stimolo ansiogeno, avvalendosi di un supporto psicologico. In questo contesto, la tecnica che ha dimostrato di riuscire a determinare i maggiori benefici è la terapia comportamentale indirizzata al "decondizionamento dallo stimolo ansiogeno", ossia a sciogliere il legame tra le situazioni critiche e la reazione ansiosa del paziente. Questa strategia prevede che la persona ansiosa, anziché evitarli, si esponga gradualmente agli eventi ritenuti stressanti, li analizzi con l'aiuto dello specialista e li elabori in chiave positiva per far rientrare l'esperienza vissuta in un contesto di normalità e affrontarla meglio in occasioni successive. La terapia comportamentale è molto utile anche in caso di ansia "anticipatoria": una forma di ansia che insorge prima dell'esposizione a uno stimolo notoriamente disturbante e che spesso è indotta dall'aver vissuto esperienze fortemente traumatiche in situazioni analoghe in precedenza.

Interventi di supporto

Seguire ritmi di vita regolari. Dormire un numero sufficiente di ore per notte. Alimentarsi in modo sano. Praticare un'attività fisica moderata ogni giorno. Evitare eccessivi stress lavorativi e ritagliarsi piccole pause per rilassarsi

durante la giornata. Assumere tutte le terapie prescritte dal medico con regolarità, ai dosaggi

indicati. Evitare di bere alcolici e bevande a base di caffeina. Non fumare o cercare di ridurre il numero di sigarette abituali. Frequentare gruppi di auto-mutuo aiuto e condividere la propria esperienza

con altre persone affette da un problema analogo.

Disturbo da attacchi di panicoInquadramentoIl disturbo da attacchi di panico (DAP) è una patologia psichiatrica nella quale le tipiche reazioni di intensa paura, desiderio di fuga, angoscia e timore per la propria

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incolumità, tipicamente sperimentate in occasione di situazioni catastrofiche o realmente pericolose, vengono scatenate da eventi e circostanze assolutamente innocue e come tali percepite dalla maggioranza delle persone. L'attacco di panico può innescarsi anche mentre si è tranquillamente seduti in poltrona a leggere o a guardare la televisione, o addirittura nel sonno, con manifestazioni sia psicologiche sia fisiche.Il disturbo da attacchi di panico può esordire in qualunque momento della vita (ma più spesso tra i 20 e i 30 anni), all'improvviso e nelle circostanze più insospettabili, mentre si sta compiendo un'azione assolutamente banale che prima di allora non aveva mai creato problemi. In genere, il minimo comune denominatore delle situazioni critiche consiste nel trovarsi in luoghi da cui è difficile fuggire (nell'abitacolo dell'automobile mentre si guida soli, in ascensore, su un traghetto, in metropolitana ecc.) o nei quali non si potrebbe essere soccorsi in caso di malore (per esempio, mentre ci si trova in mezzo alla folla o da soli in luoghi isolati). L'attacco di panico non è pericoloso per la salute né mentre si verifica né in seguito, ma le sensazioni che si provano sono talmente coinvolgenti e traumatiche da indurre chi le sperimenta a evitare la situazione in cui si è verificato per non rischiare di ripetere l'esperienza. Se non adeguatamente trattato, con l'evolvere del disturbo e il moltiplicarsi delle situazioni da evitare, la persona affetta da disturbo da attacchi di panico, nell'arco di 2-3 anni, finisce con il chiudersi in se stessa, fino a non riuscire più a lavorare, ad avere una vita sociale, a svolgere le attività quotidiane più banali, come andare al supermercato o al cinema da sola.Le cause della malattia non sono ancora completamente chiarite. Esiste sicuramente una predisposizione genetica, dal momento che i familiari di una persona affetta da disturbo da attacchi di panico hanno una probabilità dieci volte superiore a quella della popolazione generale di svilupparlo a loro volta, ma non sono ancora stati individuati specifici geni responsabili. Studi condotti alla fine degli anni '90 hanno evidenziato nei pazienti con disturbo da attacchi di panico un'ipersensibilità all'anidride carbonica, al punto che facendo respirare a questi soggetti aria arricchita di CO2 si può scatenare un attacco del tutto simile a quelli spontanei. Altri fattori in gioco, soprattutto nelle donne, sono le oscillazioni ormonali associate al ciclo mestruale (che possono favorire l'insorgenza dell'attacco) e alla gravidanza (che, invece, risulta protettiva).

Sintomi e DiagnosiEmettere la diagnosi di disturbo da attacchi di panico è relativamente semplice quando insorgono in modo del tutto spontaneo, ingiustificato e improvviso sintomi quali:

Profonda angoscia. Terrore. Tachicardia. Senso di soffocamento e difficoltà respiratorie. Vertigine e perdita dell'equilibrio. Sensazione di morte imminente o di essere sul punto di impazzire. Desiderio di fuga.

TrattamentoLa strategia da seguire per eliminare gli attacchi di panico dipende dalla gravità del disturbo e dal momento in cui il paziente si rivolge al medico. Il disturbo da attacchi

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di panico è, infatti, un disturbo con andamento periodico, caratterizzato da periodi di riacutizzazione, con attacchi frequenti, e fasi di benessere, libere da sintomi. Nel primo caso, è in genere necessario prevedere un trattamento combinato, basato su farmaci e psicoterapia.

Terapia farmacologicaPer disinnescare le reazioni abnormi caratteristiche del disturbo da attacchi di panico e interrompere il circolo vizioso negativo che moltiplica le situazioni da evitare è indispensabile ricorrere ai farmaci. I composti più indicati in questo caso sono gli antidepressivi, in particolare gli inibitori del sistema di riassorbimento della serotonina (SSRI) e della noradrenalina (SNRI). Si tratta di farmaci sicuri, efficaci e ben tollerati che riescono a determinare un buon miglioramento dei sintomi dopo 2-4 settimane di assunzione regolare. Per ottenerne i massimi benefici è, però, importante seguire attentamente le indicazioni del medico rispetto a dosaggi e tempi del trattamento. Generalmente, per azzerare gli attacchi sono necessari da uno a tre mesi, cui devono seguire altri due mesi di consolidamento, nei quali ai farmaci si abbinano interventi psicoterapici. L'opportunità di interrompere la terapia farmacologica dopo questo periodo deve essere valutata dal medico in accordo con il paziente.

Approccio psicoterapicoPer ottimizzare gli effetti della terapia farmacologica e offrire al paziente un efficace mezzo di autogestione delle sensazioni sperimentate nelle diverse circostanze della vita quotidiana è utile abbinare ai farmaci una terapia comportamentale indirizzata al "decondizionamento dallo stimolo fobico", ossia a sciogliere il legame tra le situazioni critiche e la reazione ansiosa del paziente. Questo approccio è particolarmente vantaggioso nella fase di consolidamento del trattamento per ridurre la tendenza del paziente a evitare luoghi e situazioni percepite come "temibili". L'approccio comportamentale prevede che la persona affetta da disturbo da attacchi di panico, anziché evitarli, si esponga gradualmente agli eventi ritenuti stressanti, li analizzi con l'aiuto dello specialista e li elabori in chiave positiva per far rientrare l'esperienza vissuta in un contesto di normalità e affrontarla meglio in occasioni successive.

Interventi di supporto

Seguire ritmi di vita regolari. Dormire un numero sufficiente di ore per notte. Alimentarsi in modo sano. Praticare un'attività fisica moderata ogni giorno. Assumere tutte le terapie prescritte dal medico con regolarità, ai dosaggi

indicati. Evitare di bere alcolici e bevande a base di caffeina. Non fumare o cercare di ridurre il numero di sigarette abituali. Frequentare gruppi di auto-mutuo aiuto e condividere la propria esperienza

con altre persone affette da un problema analogo.

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Disturbo ossessivo-compulsivoInquadramento del disturbo ossessivo-compulsivoIl disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) è un disturbo d'ansia caratterizzato da pensieri ricorrenti (ossessivi) associati a timori e forti preoccupazioni che inducono chi ne soffre a ripetere in modo incessante e incontrollato specifiche azioni o processi nel tentativo di placare l'ansia e tutelarsi da possibili eventi disastrosi, in realtà altamente improbabili e del tutto irragionevoli. Le azioni compiute dalla persona affetta da disturbo ossessivo-compulsivo possono essere di per sé assolutamente normali, ma assumono una valenza patologica in ragione dell'elevata ripetitività, dell'estrema ritualità e della concitazione con la quale vengono eseguite. Esempi caratteristici di comportamenti compulsivi sono il lavarsi continuamente le mani nel timore di contaminazioni, controllare ripetutamente di aver chiuso il gas prima di uscire di casa (es. 10-20 volte), disporre in un ordine ben preciso i vestiti nell'armadio o i libri sugli scaffali della libreria, intravedendo catastrofi se questo ordine viene anche solo impercettibilmente modificato. Se non adeguatamente trattato, con il tempo, il disturbo porta a moltiplicare e intensificare i comportamenti ossessivi-compulsivi fino a determinare un serio scadimento della qualità di vita, il ritiro sociale e lavorativo e un serio deterioramento delle relazioni familiari.Il disturbo ossessivo-compulsivo insorge prevalentemente in giovane età, di solito tra i 15 e i 25 anni, persistendo poi in modo cronico. Analogamente alla depressione, la malattia appare legata a una riduzione dei livelli cerebrali di serotonina e migliora assumendo farmaci antidepressivi che agiscono a questo livello. All'origine del disturbo si riconosce una base genetica, non ancora definita con precisione, ma chiaramente testimoniata dal tramandarsi del disturbo di generazione in generazione, a livelli di gravità via via crescenti. Questa predisposizione familiare tende a ritardare la diagnosi e a ostacolare il trattamento. Non è raro, infatti, che la madre di un ragazzo con l'ossessione dei lavaggi ripetuti ai limiti della sterilità abbia a sua volta la tendenza a lavarsi le mani spesso o a pulire la casa molto più di quanto non sia realmente necessario. Così, quando il figlio inizia a chiederle di aiutarlo a fare il bagno, di controllare se si è lavato a sufficienza o di cambiargli le lenzuola ogni giorno non arriva a rendersi subito conto della stranezza delle richieste. La decisione di rivolgersi allo specialista per cercare di capire che cosa stia accadendo, spesso, è presa quando la situazione diventa francamente patologica.

Sintomi e Diagnosi del disturbo ossessivo-compulsivoLa diagnosi di disturbo ossessivo-compulsivo è quasi sempre tardiva. In genere, il paziente arriva all'osservazione dello specialista dopo alcuni anni dall'esordio dei sintomi, quando la malattia è talmente avanzata da limitarlo fortemente nelle attività quotidiane e interferire pesantemente con le relazioni interpersonali. È un grosso errore, perché una valutazione psichiatrica accurata e l'individuazione precoce del trattamento più adatto nel caso specifico permettono di arrivare in tempi rapidi alla risoluzione del disturbo.I principali sintomi ossessivi che devono indurre a consultare il medico sono:

Terrore di contaminarsi toccando oggetti e persone (es. stringere la mano). Paura di non ricordarsi di chiudere la porta, spegnere il gas ecc. Convinzione di aver ferito qualcuno in un incidente stradale.

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Intenso stress di fronte a oggetti non perfettamente allineati. Estrema paura di far del male al proprio figlio o a una persona cara. Evitamento delle situazioni che mettono a disagio (es. stringere la mano). Desiderio di urlare parole oscene in luoghi pubblici. Continui pensieri legati al sesso e visualizzazione di immagini pornografiche. Dermatiti derivanti dai lavaggi eccessivi Ferite cutanee associate a sfregamento, graffi e pizzicotti continui. Perdita o deterioramento dei capelli a causa dell'attorcigliamento ossessivo.

I principali sintomi compulsivi che devono indurre a consultare il medico sono:

Ripetizione continua di un determinato gesto. Tendenza a contare qualunque cosa. Bisogno costante di allineare e disporre simmetricamente gli oggetti. Verifica di aver effettivamente eseguito una certa azione un numero di volte

francamente irragionevole. Continua richiesta di rassicurazione rispetto alla correttezza delle proprie

azioni. Impossibilità di evitare la ripetizione di specifici comportamenti.

Trattamento del disturbo ossessivo-compulsivoIl disturbo ossessivo-compulsivo deve essere sempre trattato con l'aiuto di uno psichiatra, il più precocemente possibile e preferibilmente coinvolgendo l'intero nucleo familiare. In qualunque momento si riesca a intervenire, il primo passo è chiarire tanto al ragazzo quanto ai genitori la natura della malattia, per favorire la comprensione dei meccanismi che la sostengono e l'origine dei comportamenti del tutto irrazionali che ne conseguono, offrendo così una prima chiave per disinnescarli.Il concetto fondamentale da interiorizzare è che, analogamente a quanto avviene per tutte le patologie psichiatriche, i comportamenti associati al disturbo ossessivo-compulsivo non sono guidati dalla volontà e non possono essere evitati senza cure specifiche di tipo psico-comportamentale e/o farmacologico.

Approccio psicoterapicoSe la situazione non è particolarmente grave, il primo intervento proposto al paziente affetto da disturbo ossessivo-compulsivo è quasi sempre un intervento comportamentale teso al graduale decondizionamento dalle abitudini ossessivo-compulsive acquisite, partendo da quelle che lo coinvolgono in modo più lieve e che interferiscono meno con le attività quotidiane. Ottenuti i primi miglioramenti, si passa ad analizzare e rimuovere i comportamenti più invasivi e disturbanti, seguendo una logica graduale, fino alla completa risoluzione del disturbo. Nella maggior parte dei casi, il trattamento è effettuato a livello ambulatoriale, con sedute periodiche individuali o di gruppo, o in regime di day hospital.

Terapia farmacologicaSe il disturbo ossessivo-compulsivo è presente da diverso tempo o molto radicato per riuscire a ottenere un miglioramento significativo, è necessario intraprendere un trattamento farmacologico con antidepressivi, in grado di correggere la riduzione dei livelli cerebrali di serotonina. I composti più indicati a questo scopo sono gli inibitori del riassorbimento della serotonina (SSRI) e della noradrenalina (SNRI). Si tratta di farmaci sicuri, efficaci e ben tollerati che nel disturbo ossessivo-compulsivo

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riescono a determinare un buon miglioramento dei sintomi dopo circa 2-4 settimane di assunzione regolare. In alcuni casi, in relazione alle caratteristiche del singolo paziente e delle manifestazioni specifiche del disturbo, il medico potrà proporre, in associazione agli antidepressivi, anche farmaci di altro tipo, come per esempio antipsicotici. Qualunque sia la terapia individuata, per ottenerne i massimi benefici è importante seguire attentamente le indicazioni del medico rispetto a dosaggi e tempi di assunzione, senza interrompere il trattamento farmacologico non appena ci si sente meglio.

Interventi di supportoLa famiglia (i genitori in particolare) può fare molto per agevolare il percorso terapeutico del paziente, assicurando un ambiente domestico capace di supportare e promuovere il recupero del figlio e cercando di ristabilire relazioni interpersonali positive. Tuttavia, in alcuni casi il clima familiare è talmente destabilizzato da arrivare a compromettere seriamente la possibilità di ottenere benefici dalle cure proposte. Quando ciò si verifica, di norma il medico consiglia di estendere l'intervento psicoterapico all'intera famiglia o di prevedere l'allontanamento temporaneo del paziente dall'ambiente abituale. Nei casi più gravi, può essere necessario il ricovero ospedaliero.

Disturbo post-traumatico da stress Inquadramento del disturbo post-traumatico da stressIl disturbo post-traumatico da stress è un disturbo psichiatrico transitorio che può insorgere in soggetti di qualunque età che abbiano vissuto o che abbiano assistito a un evento traumatico che ha implicato un rischio per l'integrità fisica o per la vita, propria o di altre persone. Affinché si sviluppi il disturbo post-traumatico da stress non è indispensabile che la situazione sperimentata sia stata effettivamente catastrofica (come una guerra, un incidente aereo, un grave incendio o una calamità naturale devastante), ma che la persona coinvolta l'abbia percepita come tale. Entro certi limiti, quindi, la probabilità che si instauri il disturbo non dipende solamente dal tipo di evento vissuto, ma anche dal profilo psicoemotivo e da fattori di vulnerabilità individuali della persona interessata.

Sintomi e Diagnosi del disturbo post-traumatico da stressI sintomi del disturbo post-traumatico da stress possono manifestarsi dopo periodi di tempo variabili dal momento del trauma, e possono essere molto diversi da persona a persona.Il sintomo cardine per la diagnosi di disturbo post-traumatico da stress è la "riesperienza del trauma", che consiste in un insieme di ricordi e sensazioni così intensi e realistici da dare al paziente la netta sensazione di rivivere il momento "catastrofico". La sua manifestazione più estrema e coinvolgente è il flash back. Non si tratta di un'allucinazione, poiché la persona interessata è cosciente di non essere nel luogo e nel momento già vissuto, ma gli elementi che stimolano il ricordo e le sensazioni che ne derivano sono esattamente sovrapponibili a quelle originali. La riesperienza del trauma può verificarsi in qualunque momento: di solito compare

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con maggior probabilità quando la persona si trova in situazioni che ricordano il trauma, ma spesso si manifesta anche in circostanze insospettabili. L'elemento scatenante può essere anche soltanto un colore, un odore o un suono.Altre manifestazioni tipiche del disturbo post-traumatico da stress sono l'appiattimento affettivo (con perdita di interesse verso cose, persone e situazioni), uno stato di allerta costante (caratterizzato tensione, ansia, iper-reattività agli stimoli, difficoltà di concentrazione e insonnia) e l'evitamento degli stimoli che possono ricordare il trauma (associato a una sensazione di disagio invalidante, che va ben al di là della comune preoccupazione vissuta dalla maggior parte delle persone quando, per esempio, si cerca di ricominciare a guidare l'automobile dopo un incidente stradale, e che può essere scatenato anche dal semplice rumore di una frenata, dal suono di un clacson o dalle luci dei fari in movimento).Per poter affermare che è presente un disturbo post-traumatico da stress questi sintomi devono persistere costantemente per più di un mese e interferire con la qualità di vita oppure compromettere seriamente il funzionamento sociale, lavorativo o relazionale dell'individuo.

Trattamento del disturbo post-traumatico da stressIl disturbo post-traumatico da stress non corrisponde alla normale fase di adattamento fisiologico che ogni persona sperimenta dopo uno shock, ma a un disagio molto intenso e protratto che deve essere affrontato in modo specifico. Per ottenere una remissione completa dal disturbo post-traumatico da stress servono in media 6-8 mesi, ma in genere i pazienti iniziano a stare meglio già dopo le prime 4-6 settimane di terapia.

Terapia farmacologicaL'intervento farmacologico indirizzato ad attenuare i sintomi del disturbo post-traumatico da stress si basa essenzialmente sull'impiego di antidepressivi della classe degli inibitori del riassorbimento della serotonina (SSRI). Si tratta di farmaci utilizzati anche nel trattamento di altri disturbi d'ansia e dei disturbi dell'umore che risultano efficaci anche nel disturbo post-traumatico da stress poiché i sistemi neurobiologici coinvolti in queste diverse problematiche sono in parte sovrapponibili. Gli SSRI si sono dimostrati efficaci nell'alleviare tutti i principali sintomi del disturbo post-traumatico da stress, compresa la riesperienza del trauma. Inoltre, hanno effetti positivi sull'ansia, l'irritabilità, l'insonnia e il tono dell'umore, offrendo un mezzo per ripristinare l'equilibrio psicofisico globale del paziente. Per trarne i massimi benefici è importante seguire attentamente le indicazioni del medico rispetto a dosaggi e tempi di assunzione.

Approccio psicoterapicoLa riesperienza del trauma e la tendenza a evitare le situazioni che lo ricordano possono essere affrontate anche con interventi psicoterapeutici e cognitivo-comportamentali che aiutano a rielaborare il vissuto emotivo legato al trauma e a riavvicinarsi alle situazioni associate all'evento. Lo stato di allarme costante e l'ansia possono, invece, essere gestiti e resi meno invasivi grazie a pratiche come il training autogeno, il rilassamento muscolare e la respirazione guidata.Un'altra tecnica utile contro il disturbo post-traumatico da stress è il cosiddetto Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR): un approccio che consiste nell'attivazione contemporanea di entrambi gli emisferi cerebrali, mediante una stimolazione bilaterale alternata di tipo visivo, tattile o acustico, eseguita durante la

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rievocazione dell'evento traumatico. L'EMDR sembrerebbe facilitare il processo di rielaborazione emotiva e cognitiva della situazione critica vissuta.

Interventi di supportoAmici e familiari possono aiutare chi soffre di disturbo post-traumatico da stress a superare il disagio, assumendo un atteggiamento accogliente e supportivo. In particolare, chi sta vicino a una persona che ha vissuto un evento traumatico non dovrebbe mai sottovalutarne le eventuali lamentele o richieste d'aiuto. Se la persona con disturbo post-traumatico da stress si mostra agitata a causa di un incubo ricorrente legato a un episodio violento da poco vissuto, quindi, non si devono drammatizzare, ma neppure banalizzare le sue emozioni, ritenendole esagerate e irragionevoli. Il comportamento più utile consiste nel cercare di comprendere il disagio (reale e significativo) e aiutare a ridimensionarlo, elaborandolo in modo razionale.

Disturbo d'ansia/Fobia sociale InquadramentoEssere agitati e un po' intimoriti quando si devono affrontare situazioni che espongono al giudizio di altre persone, come tenere una conferenza, intervenire in un dibattito, salire su un palcoscenico per recitare, danzare, cantare o suonare uno strumento musicale in pubblico è del tutto normale. Ma quando la preoccupazione e l'ansia per la situazione che si sta per affrontare è tale da suscitare desideri di fuga e da indurre a cercare scuse e stratagemmi per non trovarsi nuovamente nella stessa situazione, si è di fronte a una vera e propria patologia psichiatrica nota come "fobia sociale". La fobia sociale è una condizione che, se non adeguatamente trattata, può interferire seriamente con le relazioni interpersonali, le prestazioni scolastiche e lavorative, determinando un significativo scadimento della qualità di vita.La fobia sociale può interessare chiunque, ma tende a insorgere più facilmente nell'infanzia/adolescenza. Le donne hanno maggiori probabilità di soffrirne rispetto agli uomini, ma questi ultimi tendono a sviluppare forme più gravi della malattia. Una volta instaurata, la fobia sociale non si risolve quasi mai spontaneamente, ma tende a mantenersi in modo cronico, peggiorando via via nel corso della vita. In genere, chi ne soffre è consapevole dell'insensatezza delle proprie reazioni emotive e comportamentali, soffrendo oltre che dei sintomi specifici anche di un notevole senso di colpa e inadeguatezza.

Sintomi e DiagnosiI principali sintomi emotivi della fobia sociale comprendono:

Intensa paura di interagire con persone estranee. Nervosismo e apprensione verso situazioni in cui si può essere giudicati. Senso di colpa per il proprio imbarazzo/timidezza. Timore che gli altri si accorgano della propria paura. Impossibilità di controllare il terrore e l'ansia provata in contesti sociali. Evitamento delle situazioni che causano disagio. Interferenza della ansia provata con le attività quotidiane. Difficoltà a parlare in pubblico o con estranei Difficoltà a guardare negli occhi gli interlocutori.

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I principali sintomi fisici della fobia sociale comprendono:

Rossori e vampate. Tremori e movimenti involontari. Accelerazione del battito cardiaco. Difficoltà respiratorie. Mal di stomaco, nausea. Crampi intestinali e diarrea. Alterazione del tono di voce. Tensione muscolare. Mani fredde e sudate. Confusione mentale.

Quando sintomi di questo tipo si ripresentano costantemente con un'intensità tale da creare un significativo disagio è essenziale rivolgersi al medico e intraprendere un trattamento specifico.

TrattamentoAttenuare i sintomi della fobia sociale e recuperare una vita di relazione serena e soddisfacente è possibile grazie a interventi psicoterapici abbinati a una terapia farmacologica adeguata.

Terapia farmacologicaLa terapia farmacologica della fobia sociale può avvalersi di diverse tipologie di farmaci. Di norma, quelli impiegati più frequentemente sono antidepressivi della classe degli inibitori del riassorbimento della serotonina (SSRI) e della noradrenalina (SNRI). Si tratta di farmaci utilizzati anche nel trattamento di altri disturbi d'ansia e dei disturbi dell'umore che risultano efficaci anche nella fobia sociale poiché i sistemi neurobiologici coinvolti in queste diverse problematiche sono in parte sovrapponibili. SSRI e SNRI si sono dimostrati efficaci nell'alleviare tutti i principali sintomi ansiosi, determinando un significativo miglioramento già dopo 2-4 settimane dall'inizio della terapia. Per trarne i massimi benefici è importante assumerli regolarmente, seguendo le indicazioni del medico rispetto a dosaggi e tempi di assunzione. In relazione alle specifiche caratteristiche del paziente e del disturbo presente, il medico potrà decidere di proporre il ricorso occasionale ad altre tipologie di farmaci: in particolare, tranquillanti come le benzodiazepine oppure beta-bloccanti (farmaci antipertensivi utilizzati in cardiologia, che nel paziente con fobia sociale aiutano a prevenire l'insorgenza di tachicardia, alterazioni della voce e tremori). Anche in questo caso, per assicurarsi un'azione ottimale è indispensabile seguire attentamente le indicazioni del medico e rispettare i dosaggi e i tempi di trattamento prescritti.

Approccio psicoterapicoLa tipologia di supporto psicologico più usata ed efficace per superare la fobia sociale è la terapia cognitivo-comportamentale, che aiuta ad analizzare razionalmente le situazioni che generano ansia e a smitizzarle, slegandole da emozioni e presagi negativi. Nei pazienti con forme lievi può essere l'unico intervento necessario; nei casi di ansia sociale moderata-severa aiuta a ottimizzare e consolidare l'azione della terapia farmacologica.Sul piano pratico, l'approccio comportamentale prevede che la persona affetta da fobia sociale, anziché evitarle, si esponga gradualmente alle situazioni che creano disagio

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ed, elaborandole in chiave positiva, riesca a gestire meglio e ad adattarsi progressivamente allo stress associato. Oltre che attraverso esperienze della vita reale, questo percorso può prevedere giochi di ruolo nel contesto di terapie di gruppo che facilitano l'analisi degli elementi critici di specifiche situazioni e il confronto con altre persone che vivono un problema analogo.

Interventi di supporto

Seguire ritmi di vita regolari. Dormire un numero sufficiente di ore per notte. Alimentarsi in modo sano. Praticare un'attività fisica moderata ogni giorno. Dedicarsi ad attività rilassanti e piacevoli con persone con cui si sente a

proprio agio. Frequentare corsi indirizzati a migliorare la comunicazione in pubblico. Assumere tutte le terapie prescritte dal medico con regolarità, ai dosaggi

indicati. Evitare di bere alcolici e bevande a base di caffeina. Non fumare o cercare di ridurre il numero di sigarette abituali. Frequentare gruppi di auto-mutuo aiuto e condividere la propria esperienza

con altre persone affette da un problema analogo.

Fobie specificheInquadramento delle fobie specificheSi parla di fobie specifiche quando, in una persona complessivamente equilibrata dal punto di vista psicologico, una situazione, un fenomeno, un animale o un oggetto ben precisi riescono a generare uno stato di ansia e un'istintiva reazione di fuga, assolutamente irragionevoli e spropositati. La gravità del disturbo e il suo impatto sul benessere e la qualità di vita di chi ne soffre dipendono non soltanto dall'intensità della reazione ansiosa, ma anche dall'effettiva probabilità che la persona interessata ha di venire a contatto con l'elemento critico nella vita quotidiana. Così, se una fobia specifica per i serpenti o gli scorpioni può creare disagi limitati in un paziente che abita in una grande città, essendo i possibili incontri con questi animali del tutto sporadici, l'ansia generata, per esempio, dallo stare chiusi in luogo angusto come un ascensore (claustrofobia) o dal trovarsi a un'altezza superiore ai dieci metri dal suolo (acrofobia) possono limitare enormemente le scelte e le attività della stessa persona.Alcune fobie specifiche sono più frequenti nell'infanzia e tendono a scomparire spontaneamente durante la crescita. È il caso, per esempio, della paura degli animali (di tutti in generale o di uno o più specie particolari, come nel caso dei ragni, dei cani, dei cavalli ecc.), del buio, di singole persone (per esempio, il medico, il dentista o il parrucchiere) o di gruppi di estranei (demofobia). Altre fobie, invece, tendono a insorgere in epoche successive della vita, ossia nell'adolescenza o addirittura in età adulta: è il caso, per esempio, della paura dei temporali, dell'acqua, dell'altezza, della velocità, delle infezioni, del dolore, di salire su un aereo o di trovarsi in un luogo chiuso. Esistono anche fobie specifiche di riscontro particolarmente frequente nella popolazione, seppur con livelli di intensità molto variabili, e "socialmente accettate",

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come la paura del sangue, delle iniezioni, delle ferite, degli oggetti taglienti o appuntiti ecc.

Sintomi e Diagnosi delle fobie specificheI sintomi associati alla presenza di una fobia specifica sono complessivamente sovrapponibili a quelli caratteristici di una crisi d'ansia o di un attacco di panico, con l'unica differenza che a scatenare le manifestazioni sono fattori ben definiti e circoscritti.Di fronte all'elemento critico, il paziente affetto da fobia specifica sperimenta principalmente:

Paura intensa, fino al panico. Forte stato di tensione e nervosismo. Accelerazione del battito cardiaco. Difficoltà respiratorie. Mal di stomaco, nausea. Alterazione del tono di voce. Tensione muscolare. Mani fredde e sudate. Confusione mentale.

Nel caso della paura di sangue e ferite o di cure mediche o dentistiche, oltre a queste manifestazioni ansiose tipiche, il paziente può andare incontro a una reazione vagale (così definita perché innescata da una particolare sollecitazione del nervo vago, che contribuisce a regolare il ritmo cardiaco e la pressione arteriosa), con conseguente rallentamento del battito cardiaco, nausea e perdita dei sensi. Benché molto coinvolgente dal punto di vista psicofisico, la reazione vagale non è di per sé pericolosa per la salute.

Trattamento delle fobie specificheDal momento che la situazione che scatena la reazione ansiosa è ben determinata, in tutti i casi in cui è possibile, evitarla è la strategia più semplice ed efficace per aggirare il problema. Quando, al contrario, l'elemento scatenante è presente in modo pressoché costante nell'ambiente di vita abituale e non eliminabile, il trattamento diventa indispensabile. L'approccio più utile per ottenere un buon controllo a lungo termine della fobia è di tipo psicoterapico e, in particolare, basato su una terapia cognitivo-comportamentale del tutto analoga a quella utilizzata per gestire l'attacco di panico. Anche nel caso delle fobie specifiche, quindi, è prevista un'esposizione graduale all'agente che genera ansia, associata a interventi psicologici che aiutano il paziente ad analizzare e gestire le proprie reazioni fobiche. Questo tipo di trattamento permette di ottenere buoni risultati nella maggior parte dei casi.La terapia farmacologica non è indicata come rimedio a lungo termine, ma può essere utile e vantaggiosa come rimedio per affrontare fobie specifiche relative a eventi circoscritti e occasionali, come per esempio un volo aereo o una seduta dal dentista. In questi casi, in previsione dell'esposizione alla situazione problematica si può ricorrere (dietro prescrizione medica) a farmaci tranquillanti, come le benzodiazepine

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Introduzione ai Disturbi dell'umoreCiò che comunemente si definisce "depressione" è in realtà un insieme di patologie psichiatriche che rientrano nella sfera dei "disturbi dell'umore". Tutti i disturbi dell'umore sono caratterizzati da un disagio psicologico più o meno intenso e da una serie di sintomi fisici che possono variare da persona a persona e che, talvolta, possono rendere più difficile la diagnosi della malattia.

A prescindere dal livello di gravità e dalle manifestazioni specifiche, i disturbi dell'umore non sono semplici "stati d'animo" o tratti caratteriali, ma vere e proprie patologie psichiatriche determinate da una predisposizione individuale legata all'imperfetto funzionamento di alcuni circuiti cerebrali, alla quale si sommano una serie di fattori ambientali sfavorevoli. Quel che ne deriva è sempre una notevole sofferenza psicofisica, che si traduce in difficoltà relazionali, lavorative e di interazione sociale e in una seria riduzione della qualità di vita complessiva.

I disturbi dell'umore devono essere sempre affrontati in modo specifico con il supporto di medici esperti, fin dall'esordio dei sintomi. Spesso i risultati migliori si ottengono combinando più strategie terapeutiche tra loro (farmaci, psicoterapia individuale o di gruppo, strategie comportamentali, modificazione dello stile di vita ecc.).

I disturbi dell'umore più frequenti sono:

Depressione unipolare Disturbo bipolare Depressione nel post-partum Depressione mascherata Depressione associata a patologie neurologiche/organiche (malattia di

Parkinson, malattia di Alzheimer, demenze senili, patologie croniche, neoplasie, Aids ecc.)

Depressione unipolareInquadramento della depressione unipolare o depressione maggioreLa depressione unipolare (o "depressione maggiore") è il disturbo dell'umore più diffuso nella popolazione adulta. A soffrire di depressione unipolare sono soprattutto le donne, probabilmente a causa di una predisposizione di tipo ormonale. Il disturbo può insorgere a qualunque età, ma in genere esordisce con maggior frequenza tra i 25 e i 45 anni. La depressione unipolare è una patologia cronica che tende a persistere per tutta la vita, ma caratterizzata dall'alternanza di periodi di benessere e fasi di riacutizzazione dei sintomi depressivi, che tendono ad attenuarsi spontaneamente per poi ricomparire a distanza di tempo. Il numero e la durata degli episodi depressivi sono estremamente variabili e

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imprevedibili. Alcune persone sperimentano soltanto uno o pochi episodi depressivi nell'arco della vita. Altre possono sperimentarne molti a breve distanza di tempo l'uno dall'altro. Se non adeguatamente trattata, ogni riacutizzazione può durare da poche settimane a diversi mesi o, addirittura, anni. La terapia è sempre necessaria e assicura un buon controllo dei sintomi depressivi nella stragrande maggioranza dei casi. I pazienti con forme gravi o con episodi molto frequenti devono essere gestiti con estrema cautela per l'elevato rischio di suicidio cui sono esposti.All'origine della depressione unipolare si riconoscono fattori genetici predisponenti e specifiche alterazioni nei circuiti cerebrali che controllano il tono dell'umore, l'affettività e alcune funzioni biologiche fondamentali (appetito, sonno, sessualità ecc.). Queste alterazioni sono legate principalmente a modificazioni dei livelli di alcuni neurotrasmettitori della classe delle "amine biogene": in particolare, serotonina, noradrenalina e dopamina. Altri meccanismi difettosi nei pazienti con depressione unipolare sono stati osservati a carico della via che controlla la risposta allo stress (il cosiddetto "asse ipotalamo-ipofisi-surrene"). Nella donna, modificazioni significative dei livelli ormonali, in particolare degli estrogeni, possono favorire l'insorgenza di depressione.L'episodio depressivo maggiore tende a insorgere più facilmente o a peggiorare in particolari periodi dell'anno. Due momenti critici sono, per esempio, l'autunno (probabilmente, a causa della diminuzione della quantità di luce ambientale) e il Natale.

Sintomi e Diagnosi della depressione unipolareSoffrire di depressione unipolare non significa semplicemente "essere tristi" o "giù di corda" ogni tanto, ma trovarsi in una condizione di persistente e severo abbattimento, al quale si è incapaci di reagire, indipendentemente dalla propria volontà e dalla presenza di persone che cercano di essere vicine e di trasmettere positività. Tra i principali sintomi che caratterizzano l'episodio depressivo maggiore vanno ricordati:

Umore depresso per gran parte della giornata, non motivato da ragioni specifiche gravi.

Significativo calo di interesse nelle attività abituali e incapacità di trarre piacere da circostanze o situazioni di norma stimolanti e gradevoli.

Diminuzione o aumento significativi dell'appetito, spesso associati a notevole perdita o aumento di peso (oltre 5 kg), non giustificati da diete o patologie specifiche.

Difficoltà ad addormentarsi o a dormire un numero sufficiente di ore (risvegli ripetuti durante la notte o all'alba) o, al contrario, aumento del bisogno di dormire, anche durante il giorno.

Sensazione di agitazione e ansia o, al contrario, rallentamento dei movimenti e dei riflessi.

Facile affaticabilità e/o mancanza di energia non giustificata. Calo dell'autostima e della fiducia nelle proprie capacità; senso di colpa

persistente e immotivato. Diminuzione delle capacità di concentrazione e dell'efficienza intellettiva

(nello studio, sul lavoro ecc.); difficoltà a prendere decisioni che di norma non comportano problemi.

Calo del desiderio sessuale.

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Irritabilità o frustrazione. Pensieri di morte ricorrenti, ideazione suicidaria o tentativi di suicidio. Pianto immotivato, una o più volte al giorno. Problemi fisici privi di cause riconoscibili e che, spesso, non rispondono alle

terapie di norma utilizzate per contrastarli (dolore articolare, mal di testa, crampi addominali, disturbi digestivi, vertigini ecc.).

In base ai criteri ufficiali, per poter emettere una diagnosi di depressione unipolare questi sintomi, variabilmente combinati tra loro, devono essere presenti da oltre due settimane, con un'intensità tale da creare alla persona che li presenta un serio disagio psicologico e sociale e da impedire di mantenere i ritmi di vita abituali.

La depressione nell'infanzia/adolescenza e negli anzianiLe esatte modalità di presentazione della depressione unipolare sono sempre estremamente soggettive: anche a parità di gravità, quindi, il disturbo può assumere caratteristiche molto diverse da paziente a paziente. Questo è vero soprattutto nel caso dei bambini/adolescenti e degli anziani.Nei bambini più piccoli, la depressione compare spesso in associazione ad altre patologie neurologiche o psichiatriche come, per esempio, l'ansia da separazione, la fobia sociale o il disturbo da iperattività e disattenzione (ADHD) e si manifesta principalmente con sintomi quali tristezza, irritabilità, disperazione, dispiacere, cambiamenti comportamentali.Negli adolescenti la depressione unipolare può essere particolarmente difficile da riconoscere sia perché le oscillazioni dell'umore, la ridotta autostima e le difficoltà relazionali/comportamentali sono considerate una normale componente del processo di crescita sia perché spesso il disturbo si manifesta principalmente con sintomi "atipici" quali ansia, rabbia e isolamento sociale.Negli anziani l'insorgenza della depressione può essere particolarmente subdola sia perché tende a determinare sintomi lievi e poco definiti, facilmente interpretabili come un semplice riflesso dell'età che avanza (lentezza dei movimenti, declino cognitivo, perdita di interesse, riduzione del desiderio ecc.) o come disturbi organici associati a malattie diverse (difficoltà digestive, insonnia, riduzione della forza muscolare, dolori in diverse parti del corpo ecc.). Sul fronte dell'umore, gli anziani depressi si presentano particolarmente annoiati, pessimisti, insoddisfatti, tendono a fare le stesse cose ogni giorno ed evitano l'interazione sociale.

Trattamento della depressione unipolareLa depressione unipolare non va sottovalutata perché difficilmente la situazione migliora senza l'aiuto del medico e senza il ricorso a trattamenti specifici. Il trattamento, in genere, prevede interventi farmacologici e psicoterapici, spesso associati tra loro, ed eventualmente affiancati da altre strategie di supporto. Nei casi più gravi può essere necessario il ricovero temporaneo.

Terapia farmacologica per la depressione unipolareI farmaci più utili contro la depressione unipolare sono gli antidepressivi, ormai disponibili in numerose formulazioni e varianti di dosaggio che il medico può scegliere in relazione alla tipologia e alla gravità del disturbo presente e alle caratteristiche del paziente. Si tratta di rimedi affidabili ed efficaci nella stragrande maggioranza dei pazienti. Tuttavia, dal momento che la risposta alle diverse molecole può variare molto da persona a persona potrà essere necessario provare due o tre

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farmaci differenti prima di riuscire a individuare l'antidepressivo più adatto nel singolo caso. Per poter stabilire se il farmaco antidepressivo scelto è efficace bisogna assumerlo per almeno 2-3 settimane perché l'effetto terapeutico diventa evidente soltanto dopo un certo tempo di assunzione regolare, ai dosaggi indicati dal medico. Le principali classi di antidepressivi attualmente in uso comprendono composti di nuova generazione, come gli inibitori del riassorbimento della serotonina (SSRI) e della noradrenalina (SNRI) e gli inibitori del riassorbimento della noradrenalina e della dopamina (NDRI), e altri in commercio da più tempo, come gli antagonisti/inibitori del riassorbimento della serotonina (SARI) e altri antidepressivi atipici, i triciclici (TCA) e gli inibitori delle monoamino ossidasi (I-MAO). Rispetto a TCA e I-MAO, gli antidepressivi di nuova generazione sono caratterizzati da una maggiore maneggevolezza d'uso, minori controindicazioni ed effetti collaterali più lievi o assenti.

PsicoterapiaEsistono diverse strategie di supporto psicologico/psicoterapico che possono aiutare a superare meglio l'episodio depressivo. Tutte prevedono sedute periodiche, individuali o di gruppo, nel corso delle quali il paziente analizza ed esterna le proprie sensazioni e le proprie difficoltà psicologiche, pratiche e relazionali con l'aiuto del medico e degli altri eventuali partecipanti alle sedute. Oltre a permettere ai pazienti di conoscere meglio il disturbo di cui soffrono e ad accettarlo come una qualunque altra malattia organica, la psicoterapia offre la chiave per disinnescare alcuni circoli viziosi negativi di tipo comportamentale che tendono a far consolidare e peggiorare la depressione (per esempio, la tristezza/stanchezza iniziali inducono all'isolamento sociale che diventa esso stesso motivo di ulteriore sconforto e malessere psicologico). In questo senso, sembra essere particolarmente utile l'approccio cognitivo-comportamentale che insegna al paziente a sostituire atteggiamenti sfavorevoli con comportamenti e pensieri positivi.In genere, il trattamento psicoterapico si protrae per diversi mesi o anni fintanto che il medico e il paziente non ritengono raggiunto l'obiettivo terapeutico fissato all'inizio del trattamento.

Interventi di supportoBenché non abbiano un effetto terapeutico specifico, alcune buone regole di vita possono contribuire a migliorare lo stato psicofisico generale e a porre i pazienti affetti da depressione unipolare nelle condizioni ideali per beneficiare dei trattamenti farmacologici e psicoterapici. In particolare, è importante:

Seguire ritmi di vita regolari. Dormire un numero sufficiente di ore per notte. Assumere tutte le terapie prescritte dal medico con regolarità, ai dosaggi

indicati. Non assumere farmaci né rimedi fitoterapici per la cura di altri disturbi senza

aver prima informato il medico. Non sforzarsi di compiacere familiari ed amici impegnandosi in attività che

non desiderate. Nei limiti del possibile, evitare situazioni e incontri che possono mettere a

disagio o risultare stressanti. Non fumare e non bere alcolici (specie se si stanno assumendo farmaci). Cercare di praticare ogni giorno un'attività fisica moderata.

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Evitare di guidare o di eseguire attività rischiose dopo aver assunto farmaci che tendono a causare sonnolenza o capogiri.

RicoveroIn una limitata quota di pazienti con forme depressive molto severe, temporaneamente incompatibili con la permanenza nell'ambiente familiare o che richiedono una fine calibrazione della terapia farmacologica o altri trattamenti specifici, può essere necessario e utile prevedere il ricovero ospedaliero per alcune settimane. In questo contesto, potranno essere proposti anche interventi non farmacologici che hanno dimostrato di migliorare i sintomi depressivi come la stimolazione magnetica transcranica, la deprivazione di sonno e la terapia con luce intensa (light therapy). Nei pochi pazienti particolarmente gravi che risultano resistenti a tutti i farmaci disponibili e agli altri interventi citati può essere proposta la terapia elettroconvulsivante (ECT).

Disturbo bipolareInquadramento del disturbo bipolareIl disturbo bipolare o "depressione bipolare" è caratterizzato dall'alternanza di fasi depressive (polo negativo), con sintomi simili a quelli determinati dalla depressione unipolare, e fasi cosiddette "maniacali" o "euforiche" (polo positivo), nelle quali il paziente si sente particolarmente attivo, in forma, allegro, "su di giri" e si trova in uno stato di temporanea esaltazione e grande espansività. La durata di ogni singola fase e l'intervallo tra l'una e l'altra sono estremamente variabili da persona a persona e nei diversi momenti della vita di uno stesso paziente.  Solitamente, gli episodi depressivi tendono a manifestarsi con maggior frequenza e a perdurare più a lungo (settimane o mesi), mentre i sintomi maniacali possono comparire in modo evidente soltanto per pochi giorni o settimane e in poche occasioni nell'arco della vita (talvolta, anche una sola). In mancanza di un trattamento adeguato, tuttavia, con l'evolvere del disturbo, fasi depressive e maniacali tendono a presentarsi sempre più spesso, alternandosi sempre più rapidamente tra loro (cicli rapidi).Il disturbo bipolare esordisce quasi sempre durante l'adolescenza o, comunque, prima dei 25-30 anni. Nella maggioranza dei casi, il primo episodio è di tipo depressivo. La prima fase maniacale o euforica, invece, può comparire anche dopo diversi anni. Questa modalità di presentazione, unita al fatto che in genere il paziente in fase maniacale si sente bene e non ritiene necessario rivolgersi al medico, complica e ritarda notevolmente la diagnosi, orientandola almeno in un primo tempo verso la depressione unipolare anziché verso il disturbo bipolare.

Emettere una corretta diagnosi di disturbo bipolare fin dall'esordio è estremamente importante per poter offrire al paziente la terapia farmacologica adeguata. Un elemento che deve far sospettare che si tratti di disturbo bipolare anziché depressione unipolare è la presenza di uno o più sintomi ansiosi durante le fasi depressive.All'origine del disturbo bipolare si riconoscono fattori genetici predisponenti e specifiche alterazioni nei circuiti cerebrali che controllano il tono dell'umore, l'affettività, gli impulsi e alcune funzioni biologiche fondamentali (appetito, sonno,

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sessualità ecc.). Queste alterazioni sono legate principalmente a modificazioni dei livelli di alcuni neurotrasmettitori della classe delle "amine biogene": in particolare, serotonina, noradrenalina e dopamina. Altri elementi che possono contribuire all'insorgenza del disturbo bipolare comprendono difetti nei meccanismi della risposta allo stress e modificazioni significative dei livelli ormonali. Anche l'ambiente riveste un ruolo chiave, potendo favorire lo scatenamento dei sintomi (in particolare, in corrispondenza di situazioni critiche quali difficoltà relazionali, insuccessi scolastici, perdita del lavoro, problemi economici, traslochi, esperienze traumatiche, lutto ecc.) o, al contrario, prevenendo le manifestazioni (buon supporto familiare, relazioni interpersonali serene, assenza di stress sociale o professionale ecc.). Il disturbo bipolare tende, inoltre, a peggiorare in particolari periodi dell'anno. In genere, l'episodio depressivo maggiore insorge più facilmente in autunno (probabilmente, a causa della diminuzione della quantità di luce ambientale) mentre le fasi maniacali possono essere scatenate dal cambio di stagione primaverile o dall'arrivo dell'estate. In questi periodi, il paziente affetto da disturbo bipolare dovrà essere seguito con maggior attenzione e potranno essere necessarie modificazioni temporanee della terapia.

Sintomi e Diagnosi del disturbo bipolareA seconda delle esatte modalità di presentazione il disturbo bipolare può essere di tipo I o II. In entrambi i casi, per arrivare a una diagnosi corretta e, in particolare, per differenziare il disturbo bipolare dalla depressione unipolare è essenziale che si verifichi, oltre a uno o più episodi depressivi, un episodio maniacale ben definito (disturbo bipolare di tipo I) oppure che si manifestino, in uno o più momenti della vita del paziente, sintomi maniacali anche non particolarmente intensi (ipomania) o altri comportamenti indicativi di uno stato "euforico"/"eccitato", quali instabilità affettiva, divorzi ripetuti, viaggi frequenti, facilità ad apprendere molte lingue, iperattività lavorativa ecc. (disturbo bipolare di tipo II). I principali aspetti caratteristici dell'episodio maniacale o ipomaniacale comprendono:

Notevole aumento dell'autostima e della fiducia nelle proprie capacità. Diminuzione del bisogno di dormire (3-4 per notte per più notti), senza sentirsi

stanchi il giorno dopo. Aumento dell'interazione sociale e tendenza a parlare molto, in fretta, senza

dare tempo all'interlocutore di rispondere o intervenire. Pensieri incalzanti, passaggio rapido da un'idea all'altra. Facile distraibilità, difficoltà a concludere quello che si sta facendo. Ritmi lavorativi frenetici, intensa vita sociale, viaggi frequenti, vita affettiva

instabile, ipersessualità. Generale difficoltà a controllare gli impulsi. Marcata tendenza a comportamenti potenzialmente dannosi sul piano sociale o

economico (eccessiva invadenza nelle relazioni, disinibizione sessuale, shopping compulsivo, gioco d'azzardo, investimenti poco oculati ecc.).

Tendenza ad abuso di alcol o sostanze psicoattive.

Per poter affermare di essere di fronte a un episodio maniacale o ipomaniacale, i sintomi citati devono essere di intensità tale da interferire con le attività quotidiane e non essere legati a fattori esterni specifici (per esempio, assunzione di droghe o farmaci) o alterazioni della funzionalità della tiroide.

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I principali aspetti caratteristici dell'episodio depressivo nel disturbo bipolare comprendono:

Umore depresso per gran parte della giornata, non motivato da ragioni specifiche gravi.

Significativo calo di interesse nelle attività abituali e incapacità di trarre piacere da circostanze o situazioni di norma stimolanti e gradevoli.

Diminuzione o aumento significativi dell'appetito, spesso associati a notevole perdita o aumento di peso (oltre 5 kg), non giustificati da diete o patologie specifiche.

Difficoltà ad addormentarsi o a dormire un numero sufficiente di ore (risvegli ripetuti durante la notte o all'alba) o, al contrario, aumento del bisogno di dormire, anche durante il giorno.

Sensazione di agitazione e ansia o, al contrario, rallentamento dei movimenti e dei riflessi.

Facile affaticabilità e/o mancanza di energia non giustificata. Calo dell'autostima e della fiducia nelle proprie capacità; senso di colpa

persistente e immotivato. Diminuzione delle capacità di concentrazione e dell'efficienza intellettiva

(nello studio, sul lavoro ecc.); difficoltà a prendere decisioni che di norma non comportano problemi.

Calo del desiderio sessuale. Irritabilità o frustrazione. Pensieri di morte ricorrenti, ideazione suicidaria o tentativi di suicidio. Pianto immotivato, una o più volte al giorno. Problemi fisici privi di cause riconoscibili e che, spesso, non rispondono alle

terapie di norma utilizzate per contrastarli (dolore articolare, mal di testa, crampi addominali, disturbi digestivi, vertigini ecc.).

Per poter affermare di essere di fronte a un episodio depressivo, i sintomi citati devono essere di intensità tale da interferire con le attività quotidiane e non essere legati a fattori esterni specifici (per esempio, un lutto o altro evento traumatico recente, assunzione di droghe o farmaci) o alterazioni della funzionalità della tiroide. I pazienti affetti da disturbo bipolare, in particolare di tipo I, possono andare incontro a episodi misti nei quali i sintomi depressivi e maniacali tendono a essere presenti contemporaneamente, in alternanza durante la stessa giornata o in giorni successivi, per almeno una settimana.

Trattamento del disturbo bipolareLa terapia del disturbo bipolare è principalmente di tipo farmacologico e deve essere accuratamente definita nel singolo paziente da psichiatri esperti nella gestione di questa patologia. La scelta dei farmaci e dei dosaggi da somministrare può non essere semplice perché la risposta alle diverse molecole cambia da persona a persona. Per questa ragione prima di individuare lo schema terapeutico efficace potrà essere necessario provare più farmaci diversi, spesso combinati tra loro. Talvolta, nella fase di calibrazione iniziale del trattamento e in occasione di eventuali revisioni successive della terapia, può essere richiesto un ricovero ospedaliero di alcune settimane per garantire al paziente un monitoraggio costante.

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Terapia farmacologicaDal momento che il disturbo bipolare è caratterizzato dall'oscillazione non controllata del tono dell'umore, con picchi di depressione ed esaltazione, le terapie di base più utili per ristabilire una condizione di equilibrio a lungo termine sono rappresentate da farmaci stabilizzatori dell'umore, come i sali di litio e il valproato. Quando, come spesso avviene, il solo stabilizzatore dell'umore non riesce a tenere completamente sotto controllo il disturbo e nelle fasi di riacutizzazione dei sintomi depressivi o maniacali si possono aggiungere altri farmaci, da scegliere in relazione agli specifici sintomi sperimentati dal paziente e alle sue caratteristiche cliniche generali (età, presenza di altre patologie organiche o psichiatriche, peso corporeo ecc.).In particolare, durante le fasi depressive può essere utile aggiungere, almeno temporaneamente, un farmaco antidepressivo a basso dosaggio oppure composti ad azione antiepilettica. In presenza di sintomi maniacali, invece, lo stabilizzatore dell'umore può essere combinato con antiepilettici e/o anticonvulsivanti. Per brevi periodi, possono essere utili anche farmaci ad azione tranquillante (benzodiazepine) che aiutano a ristabilire un corretto ritmo sonno-veglia.

PsicoterapiaEsistono diverse strategie di supporto psicologico/psicoterapico che possono aiutare a controllare meglio il disturbo bipolare a lungo termine e migliorare la qualità di vita del paziente. Tutte prevedono sedute periodiche, individuali o di gruppo, nel corso delle quali il paziente analizza ed esterna le proprie sensazioni e le proprie difficoltà psicologiche, pratiche e relazionali con l'aiuto del medico e degli altri eventuali partecipanti alle sedute. Oltre a permettere ai pazienti di conoscere meglio il disturbo di cui soffrono e ad accettarlo come una qualunque altra malattia organica, la psicoterapia offre la chiave per disinnescare alcuni circoli viziosi negativi di tipo comportamentale che tendono a far consolidare e peggiorare il disturbo. In questo senso, sembra essere particolarmente utile l'approcciocognitivo-comportamentale che insegna al paziente a sostituire atteggiamenti sfavorevoli con comportamenti e pensieri positivi.In genere, il trattamento psicoterapico si protrae per diversi mesi o anni fintanto che il medico e il paziente non ritengono raggiunto l'obiettivo terapeutico fissato all'inizio del trattamento.

Interventi di supportoBenché non abbiano un effetto terapeutico specifico, alcune buone regole di vita possono contribuire a migliorare lo stato psicofisico generale e a porre i pazienti affetti da disturbo bipolare nelle condizioni ideali per beneficiare dei trattamenti farmacologici e psicoterapici. In particolare, è importante:

Seguire ritmi di vita regolari. Dormire un numero sufficiente di ore per notte. Assumere tutte le terapie prescritte dal medico con regolarità, ai dosaggi

indicati. Non assumere farmaci né rimedi fitoterapici per la cura di altri disturbi senza

aver prima informato il medico. Nei limiti del possibile, evitare situazioni e incontri che possono mettere a

disagio o risultare stressanti. Non fumare e non bere alcolici (specie se si stanno assumendo farmaci).

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Cercare di praticare ogni giorno un'attività fisica moderata. Evitare di guidare o di eseguire attività rischiose dopo aver assunto farmaci

che tendono a causare sonnolenza o capogiri.

Depressione nel post-partumInquadramento della depressione post partumDare alla luce un figlio è senza dubbio una delle gioie più grandi per una donna, eppure in molti casi, nei primi giorni dopo il parto, la neomamma prova una profonda tristezza e scoppia a piangere all'improvviso, senza ragioni specifiche. Se il problema è tollerabile e si risolve nell'arco di circa una settimana, come quasi sempre avviene, non c'è nulla di cui preoccuparsi: si tratta del "maternity blues", una reazione dell'organismo femminile determinata dal forte stress psicofisico associato al parto e dallo stravolgimento ormonale che esso comporta. A volte però le cose non sono così semplici e, anche se la donna nelle prime settimane di maternità si sente perfettamente in forma, dopo un periodo di tempo variabile da un mese a un anno dal parto può andare incontro a una vera e propria sindrome depressiva. Di solito, ciò si verifica in donne che già hanno sperimentato uno o più episodi di depressione unipolare in precedenza o che sono geneticamente predisposte a soffrirne senza saperlo. In Italia, sono interessate da questo disturbo circa 10-15 donne su cento.La depressione nel post-partum, anche se si manifesta in forma lieve o moderata, non deve mai essere trascurata perché, oltre a creare un serio disagio psicofisico alla mamma, può interferire anche con le possibilità di accudimento del bambino. Se ci si accorge di essere particolarmente giù di tono, di sentirsi angosciate o non all'altezza del proprio ruolo di madre, di ritrovarsi a piangere spesso senza motivo, dormire male, mangiare troppo o troppo poco e avere costantemente pensieri negativi è importante segnalare il problema al medico di fiducia.

Fattori che possono aumentare il rischio di depressione nel post-partum

Aver sofferto di disturbi psichici in precedenza Presenza di caratteristiche della personalità, predisponenti alla depressione Comparsa di disturbi psichici durante la gravidanza Insorgenza di maternity blues in occasione di gravidanze precedenti Soffrire di sindrome premestruale intensa Intraprendere la gravidanza in giovane età

AvvertenzeSe una donna soffre di disturbi depressivi non deve rinunciare alla gravidanza, ma deve essere consapevole che il periodo successivo potrà essere particolarmente critico. Per prevenire disagi eccessivi, dovrà segnalare la sua intenzione di avere un figlio, oltre che al medico e al ginecologo, anche allo psichiatra che la segue per il disturbo depressivo di base e programmare con lui una terapia profilattica indirizzata a minimizzare la probabilità che la depressione nel post-partum si instauri in modo troppo severo. Ciò comporterà la necessità di assumere farmaci antidepressivi subito dopo la nascita del bambino e, quindi, la rinuncia ad allattare al seno.

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Sintomi e Diagnosi della depressione post-partumI sintomi della depressione nel post-partum sono sostanzialmente gli stessi della depressione unipolare poiché si tratta a tutti gli effetti della medesima patologia, con l'unica particolarità che in questo caso è la nascita del bambino ad agire da evento scatenante.

Umore depresso per gran parte della giornata, non motivato da ragioni specifiche gravi.

Significativo calo di interesse nelle attività abituali e incapacità di trarre piacere da circostanze o situazioni di norma stimolanti e gradevoli.

Diminuzione o aumento significativi dell'appetito, spesso associati a notevole perdita o aumento di peso (oltre 5 kg), non giustificati da diete o patologie specifiche.

Difficoltà ad addormentarsi o a dormire un numero sufficiente di ore (risvegli ripetuti durante la notte o all'alba) o, al contrario, aumento del bisogno di dormire, anche durante il giorno.

Sensazione di agitazione e ansia o, al contrario, rallentamento dei movimenti e dei riflessi.

Facile affaticabilità e/o mancanza di energia non giustificata. Calo dell'autostima e della fiducia nelle proprie capacità; senso di colpa

persistente e immotivato. Diminuzione delle capacità di concentrazione e dell'efficienza intellettiva

(nello studio, sul lavoro ecc.); difficoltà a prendere decisioni che di norma non comportano problemi.

Calo del desiderio sessuale. Irritabilità o frustrazione. Pensieri di morte ricorrenti, ideazione suicidaria o tentativi di suicidio. Pianto immotivato, una o più volte al giorno. Problemi fisici privi di cause riconoscibili e che, spesso, non rispondono alle

terapie di norma utilizzate per contrastarli (dolore articolare, mal di testa, crampi addominali, disturbi digestivi, vertigini ecc.).

Per poter affermare di essere di fronte a una depressione nel post-partum, i sintomi citati devono comparire a distanza di 1-12 mesi dalla nascita del bambino, essere di intensità tale da interferire con le attività quotidiane e non essere legati ad altri fattori esterni (per esempio, un lutto o altro evento traumatico recente, assunzione di droghe o farmaci) o patologie specifiche.

Trattamento della depressione nel post-partumIl trattamento della depressione nel post-partum si basa principalmente su interventi di tipo farmacologico analoghi a quelli utilizzati in caso di depressione unipolare, affiancati da strategie di supporto indirizzate a migliorare la qualità di vita della donna e metterla nelle condizioni ottimali per superare il periodo critico.

Terapia farmacologicaI farmaci più utili contro la depressione nel post-partum sono gli antidepressivi, ormai disponibili in numerose formulazioni e varianti di dosaggio che il medico può scegliere in relazione alla tipologia e alla gravità del disturbo presente e alle caratteristiche del paziente. I farmaci antidepressivi sono rimedi affidabili ed efficaci nella stragrande maggioranza delle pazienti. Tuttavia, dal momento che la

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risposta alle diverse molecole può variare molto da persona a persona potrà essere necessario provare due o tre farmaci differenti prima di riuscire a individuare l'antidepressivo più adatto nel singolo caso.  Per poter stabilire se il farmaco antidepressivo scelto è efficace bisogna assumerlo per almeno 2-3 settimane perché l'effetto terapeutico diventa evidente soltanto dopo un certo tempo di assunzione regolare, ai dosaggi indicati dal medico. Le principali classi di antidepressivi attualmente in uso comprendono composti di nuova generazione, come gli inibitori del riassorbimento della serotonina (SSRI) e della noradrenalina (SNRI) e gli inibitori del riassorbimento della noradrenalina e della dopamina (NDRI), e altri in commercio da più tempo, come gli antagonisti/inibitori del riassorbimento della serotonina (SARI) e altri antidepressivi atipici, i triciclici (TCA) e gli inibitori delle monoamino ossidasi (I-MAO). Rispetto a TCA e I-MAO, gli antidepressivi di nuova generazione sono caratterizzati da una maggiore maneggevolezza d'uso, minori controindicazioni ed effetti collaterali più lievi o assenti.

Strategie di supportoIl marito e i familiari in genere possono fare molto per aiutare la neomamma affetta da depressione nel post-partum a superare il periodo critico.  In primo luogo, dal momento che il sonno ha un'influenza notevole sul tono dell'umore, si dovrà organizzare l'accudimento del bambino in modo che la mamma possa dormire tranquilla per almeno 6-8 ore ogni notte. Quindi, dovranno essere il marito o una persona di supporto ad alzarsi per dare da mangiare al bambino o calmarlo se piange durante la notte.   Anche di giorno, poi, la mamma andrà aiutata, cercando di alleviarle il carico di lavoro e lo stress associato alla cura del bambino o alla gestione della casa ed evitando di farla stancare eccessivamente. Un altro aspetto importante è mantenere un atteggiamento sereno e non farle pesare gli effetti che la sua condizione può avere sul menage familiare.Per quanto possa sembrare strano, almeno in una prima fase, la donna con depressione nel post-partum (come tutti i pazienti depressi) non deve essere stimolata a dedicarsi ad attività generalmente ritenute piacevoli, come per esempio passeggiare, fare shopping o andare al cinema. Finché l'effetto dei farmaci antidepressivi non si è consolidato e l'umore non migliora, la persona depressa non è in grado di reagire in modo positivo alle sollecitazioni: spronandola a impegnarsi in una qualsiasi attività, non si fa altro che peggiorare la situazione, facendola sentire ancora più inadeguata. A scopo preventivo e, insieme ai farmaci, durante l'episodio depressivo, per la mamma può essere utile avvalersi di un supporto psicologico o partecipare a gruppi di auto-aiuto in cui donne affette da depressione nel post-partum o a rischio di svilupparla mettono a confronto le proprie esperienze.

Depressione mascherataInquadramento Benché si tratti di un disturbo dell'umore, in alcune persone la depressione assume caratteristiche assolutamente peculiari, manifestandosi principalmente con sintomi di tipo fisico. In questi casi, si parla di "depressione mascherata" e riuscire a

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diagnosticarla correttamente può essere un'impresa ardua perché i disagi lamentati dal paziente portano il medico a pensare, almeno in un primo momento, a malattie di altra natura. D'altro canto, il paziente non si percepisce "depresso" ed è convinto che quanto segnala al medico abbia un'origine organica.

Sintomi e DiagnosiI sintomi più spesso associati alla "depressione mascherata" comprendono i seguenti sintomi fisici:

Insonnia Mal di testa Vertigini Disturbi digestivi Crampi addominali Alterazioni della funzionalità intestinale Dolori osteomuscolari generalizzati Mal di schiena Cervicalgia Contratture muscolari Stanchezza psicofisica persistente

Se queste manifestazioni non sono giustificate da eventi specifici (un trauma, un'indigestione, uno sforzo muscolare ecc.), dalla presenza di patologie (per esempio, un'ulcera, una colite, un'artrosi o un difetto del sistema dell'equilibrio) o da alterazioni metaboliche evidenziabili e/o non rispondono alle terapie comunemente utilizzate per contrastarle ed efficaci nella maggior parte delle persone, molto probabilmente a determinarle è, in tutto o in parte, un disturbo dell'umore. Naturalmente, prima di arrivare a questa conclusione, il medico dovrà effettuare una visita accurata e tutte le analisi e le valutazioni strumentali necessarie per escludere la presenza di altre malattie.

Altri segnali di cui tener conto per emettere la diagnosi di depressione mascherata comprendono:

Presenza in famiglia di altre persone con storia di depressione o disturbi somatoformi.

Tendenza a presentare disturbi fisici più intensi durante periodi di stress. Andamento ciclico dei sintomi fisici, con remissioni stagionali e spontanee. Presenza di una storia di disturbi dell'umore. Risposta positiva al trattamento con farmaci antidepressivi. Sentimenti di tipo depressivo collegati ai disturbi fisici lamentati.

TrattamentoLa depressione mascherata è a tutti gli effetti un disturbo dell'umore analogo alla depressione unipolare. Anche il trattamento, quindi, sarà simile e basato principalmente sull'assunzione di farmaci antidepressivi, eventualmente affiancati da interventi di supporto psicologico. Benché la loro efficacia non sia supportata da studi clinici, tecniche di rilassamento come lo yoga, i massaggi o il tai-chi possono contribuire ad allentare lo stress associato ai sintomi fisici e migliorare il benessere globale del paziente.

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Terapia farmacologicaI farmaci antidepressivi, ormai disponibili in numerose formulazioni e varianti di dosaggio che il medico può scegliere in relazione alla tipologia e alla gravità del disturbo presente e alle caratteristiche del paziente, sono rimedi sicuri ed efficaci contro la depressione mascherata. Dal momento che la risposta alle diverse molecole può variare molto da persona a persona potrà essere necessario provare due o tre farmaci differenti prima di riuscire a individuare l'antidepressivo più adatto nel singolo caso. Per poter stabilire se il farmaco antidepressivo scelto è efficace bisogna assumerlo per almeno 2-3 settimane perché l'effetto terapeutico diventa evidente soltanto dopo un certo tempo di assunzione regolare, ai dosaggi indicati dal medico. Le principali classi di antidepressivi attualmente in uso comprendono composti di nuova generazione, come gli inibitori del riassorbimento della serotonina (SSRI) e della noradrenalina (SNRI) e gli inibitori del riassorbimento della noradrenalina e della dopamina (NDRI), e altri in commercio da più tempo, come gli antagonisti/inibitori del riassorbimento della serotonina (SARI) e altri antidepressivi atipici, i triciclici (TCA) e gli inibitori delle monoamino ossidasi (I-MAO). Rispetto a TCA e I-MAO, gli antidepressivi di nuova generazione sono caratterizzati da una maggiore maneggevolezza d'uso, minori controindicazioni ed effetti collaterali più lievi o assenti.

PsicoterapiaEsistono diverse strategie di supporto psicologico/psicoterapico che possono aiutare a gestire meglio la depressione mascherata. Tutte prevedono sedute periodiche, individuali o di gruppo, nel corso delle quali il paziente analizza ed esterna le proprie sensazioni e le proprie difficoltà psicologiche con l'aiuto del medico e degli altri eventuali partecipanti alle sedute. Oltre a permettere ai pazienti di conoscere meglio il disturbo di cui soffrono, la psicoterapia offre la chiave per disinnescare alcuni circoli viziosi negativi che tendono a promuovere la depressione e a esacerbarne i sintomi fisici. In genere, il trattamento psicoterapico si protrae per diversi mesi o anni fintanto che il medico e il paziente non ritengono raggiunto l'obiettivo terapeutico fissato all'inizio del trattamento.

Interventi di supportoBenché non abbiano un effetto terapeutico specifico, alcune buone regole di vita possono contribuire a migliorare lo stato psicofisico generale e a porre i pazienti affetti da depressione unipolare nelle condizioni ideali per beneficiare dei trattamenti farmacologici e psicoterapici. In particolare, è importante:

Seguire ritmi di vita regolari. Dormire un numero sufficiente di ore per notte. Assumere tutte le terapie prescritte dal medico con regolarità, ai dosaggi

indicati. Non assumere farmaci né rimedi fitoterapici per la cura di altri disturbi senza

aver prima informato il medico. Non sforzarsi di compiacere familiari ed amici impegnandosi in attività che

non desiderate. Nei limiti del possibile, evitare situazioni e incontri che possono mettere a

disagio o risultare stressanti.

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Non fumare e non bere alcolici (specie se si stanno assumendo farmaci). Cercare di praticare ogni giorno un'attività fisica moderata. Evitare di guidare o di eseguire attività rischiose dopo aver assunto farmaci

che tendono a causare sonnolenza o capogiri.

Depressione associata a patologie neurologiche/organiche Soprattutto nelle persone anziane, tipici sintomi della depressione come il calo del tono dell'umore e delle prestazioni cognitive, il rallentamento dei riflessi, la riduzione delle capacità di concentrazione, l'insonnia e il minor interesse nelle attività che di norma procuravano piacere, sono spesso sottovalutati sia dai medici sia dai pazienti, che li ritengono un semplice effetto dell'età che avanza.È un grosso errore perché, oltre a segnalare la possibile presenza di un disturbo dell'umore che può e deve essere contrastato per assicurare al paziente una migliore qualità di vita, questi sintomi possono rappresentare le manifestazioni iniziali di altre patologie neurologiche da trattare in modo specifico.

Le patologie neurologiche più diffuse che frequentemente esordiscono o si associano secondariamente a sintomi depressivi sono:

la malattia di Parkinson, il declino cognitivo lieve, la malattia di Alzheimer, le demenze senili in genere.

Alla base del legame tra patologia neurologica e disturbo dell'umore c'è la parziale sovrapposizione dei circuiti cerebrali che controllano l'affettività, la memoria, le prestazioni cognitive, le reazioni comportamentali, il sonno, l'appetito e i movimenti muscolari, e il coinvolgimento di alcuni neurotrasmettitori comuni, in particolare serotonina, noradrenalina e dopamina.Questa stretta interdipendenza, che generalmente complica la diagnosi iniziale, si rivela in alcuni casi positiva all'atto del trattamento. Nel caso della malattia di Parkinson, per esempio, è stato osservato che, somministrando un farmaco antidepressivo in aggiunta alla terapia antiparkinson specifica, nei pazienti che presentano un calo del tono dell'umore si ottiene, non soltanto un maggior benessere psicoemotivo, ma anche un miglioramento della funzionalità fisica generale.

In altri casi, la depressione può comparire come effetto dello stress e della riduzione della qualità di vita determinata dalla presenza di una patologia cronica invalidante o che in qualche misura limita il paziente nelle proprie attività quotidiane (come la sclerosi multipla, lo scompenso cardiaco, l'angina, la broncopneumopatia cronica ostruttiva, l'asma severa ecc.) oppure caratterizzata da una prognosi incerta o sfavorevole (per esempio, una neoplasia). Anche in questi casi, riconoscere i sintomi depressivi e trattarli fin dall'esordio è importante non soltanto per migliorare il tono dell'umore del paziente, ma anche per sostenerne la motivazione e l'aderenza alle terapie necessarie per controllare la malattia organica di base, ottimizzandone l'efficacia.

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Dovendo essere somministrata a soggetti complessivamente fragili e che già assumono diversi altri farmaci, la terapia antidepressiva dovrà essere definita con particolare attenzione e cautela, partendo con i minimi dosaggi efficaci e optando per i composti antidepressivi meglio tollerati, caratterizzati da minori interazioni ed effetti collaterali.

Disturbo di somatizzazione

IpocondriaIl disturbo somatoforme, più noto come ipocondria, è un disturbo psichiatrico cronico caratterizzato da una molteplicità di fastidi fisici ricorrenti (dolore osteomuscolare, disturbi gastroenterici, mal di testa, ecc.) del tutto sovrapponibili per tipologia e intensità ai sintomi determinati da patologie specifiche, ma che non possono essere spiegati pienamente dalla presenza di una reale disfunzione o malattia fisica. L'ipocondria, preoccupazione legata alla paura o alla convinzione di avere una malattia grave, basata sull'erronea interpretazione dei sintomi somatici, colpisce nella stessa misura uomini e donne e può svilupparsi in un qualunque momento della vita, spesso nella fase di passaggio dall'adolescenza all'età adulta, ma spesso anche verso i 40-50 anni, determinando un serio scadimento della qualità di vita.

Inquadramento del disturbo somatoformeL'esordio del disturbo somatoforme può essere spontaneo e graduale oppure legato a un fatto specifico, come una grave malattia pregressa (anche soltanto sospettata, in attesa di diagnosi) propria o di un proprio caro. In questo secondo caso, di solito, si tratta di un problema transitorio, che si risolve da solo nell'arco di pochi mesi, a mano a mano che si elabora e si supera l'esperienza negativa. L'ipocondria vera e propria, al contrario, tende a persistere per tutta la vita, risultando difficile da contrastare anche con trattamenti adeguati.Un rapporto critico con il medico di base, il sospetto che non presti la giusta attenzione ai problemi dei pazienti è un elemento che può facilitare lo sviluppo e il mantenimento del disturbo somatoforme, ma va precisato che in genere i soggetti ipocondriaci hanno pretese decisamente eccessive sul piano sanitario. Anche il migliore dei medici, quindi, difficilmente riuscirà a conciliare la loro esigenza di rassicurazione clinica con la prescrizione di un numero ragionevole di analisi e valutazioni specialistiche. La conseguenza abbastanza tipica è che l'ipocondriaco tende a lamentarsi diffusamente del proprio medico, a cambiarlo frequentemente e a rivolgersi, ogniqualvolta gli sia possibile, direttamente a specialisti di varie aree cliniche. Anche in questo caso, il bisogno di conferme è esasperato: vengono ricercati più pareri sullo stesso sintomo, interpellando molti esperti di diverse discipline e sottoponendosi agli esami e agli approcci terapeutici più disparati, ma ritrovandosi alla fine sempre insoddisfatti. Il moltiplicarsi dei controlli e delle opinioni, anziché placarla, spesso accresce ulteriormente l'ansia perché confonde il quadro clinico e alimenta nuovi dubbi di possibili malattie. All'estremo opposto, tuttavia, esistono anche forme di ipocondria nelle quali il timore per la propria salute è così intenso da spingere i pazienti a rifiutare ogni tipo di rapporto con il medico e ogni esame clinico (anche quelli ritenuti necessari per

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escludere la presenza di patologie fisiche reali), nella convinzione che la diagnosi non potrebbe che essere nefasta. L'ipocondria diventa ben presto invasiva, stravolgendo tutte le abitudini di vita della persona che ne soffre, costantemente impegnata nell'inutile tentativo di tenere sotto controllo una malattia sicuramente presente, ma che nessuno riconosce. Spesso questo atteggiamento arriva a interferire con le relazioni familiari e sociali e a creare problemi in ambito professionale.

Sintomi e Diagnosi del disturbo somatoformeI sintomi fisici che possono essere lamentati da una persona con disturbo somatoforme possono essere estremamente variabili e interessare qualsiasi parte del corpo. In genere, la prevalenza di specifiche manifestazioni è legata anche a fattori culturali e sociali dell'ambiente in cui vive il paziente, mentre la loro intensità è solitamente definita "notevole", "intollerabile", "indescrivibile". I sintomi fisici più tipicamente lamentati dal soggetto ipocondriaco comprendono:

Mal di testa Nausea e vomito Gonfiore e dolore addominale Diarrea o stitichezza Alterazioni del ritmo cardiaco (palpitazioni e aritmie) Stanchezza e mancamenti Crampi addominali Intensi dolori di tipo mestruale Perdita del desiderio sessuale Disturbi urinari Disfunzione erettile o problemi dell'eiaculazione Sintomi neurologici (nevralgie e dolori di vario tipo, formicolii, cali di forza,

alterazioni della sensibilità ecc.)

Oltre a queste sensazioni organiche, i pazienti presentano spesso problemi a livello psicologico, in particolare depressione e/o disturbi d'ansia, che possono essere precedenti/concomitanti con l'esordio dell'ipocondria oppure svilupparsi secondariamente come conseguenza del deterioramento della qualità di vita e delle relazioni determinato dall'ipocondria stessa. In aggiunta, chi soffre di disturbo somatoforme tende a essere estremamente dipendente dagli altri, ricercando continuamente supporto e rassicurazione, e ad assumere atteggiamenti aggressivi di fronte a chi lo contraddice, soprattutto su questioni relative alla salute. Spesso, il disturbo somatoforme si associa a disturbo di personalità, soprattutto di tipo borderline e antisociale.

Trattamento del disturbo somatoformeIl trattamento del disturbo somatoforme, nella maggior parte dei casi, è una vera e propria sfida, spesso destinata a fallire proprio a causa delle caratteristiche della malattia. Innanzitutto, l'ipocondriaco rifiuta radicalmente l'idea che i suoi mali possano avere un'origine psicologica e ciò fa sì che, nella sua ricerca dello specialista capace di dargli sollievo, eviti di rivolgersi all'unico che potrebbe veramente aiutarlo: lo psichiatra. Anche quando i familiari riescono a convincerlo a sperimentare un approccio psicoterapeutico, poi, è abbastanza difficile che lo specialista riesca a costruire una relazione di fiducia con il paziente e a fargli riconsiderare l'origine e la

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natura dei propri malesseri in un'ottica differente.Nei casi in cui si riesce a instaurare un dialogo franco e sereno tra medico e paziente, il primo passo della terapia sarà indirizzato a cercare di capire quali sono i fattori psicologici che hanno innescato il disturbo somatoforme e ad analizzare il legame esistente tra l'andamento dei sintomi fisici e il livello di ansia e preoccupazione per la salute. L'approccio più indicato in questi casi è la psicoterapia cognitivo-comportamentale, focalizzata sull'analisi dei sintomi e sulle convinzioni che li alimentano, le cosiddette "distorsioni cognitive". Il percorso terapeutico, di norma, non è breve né semplice, perché la disponibilità a mettersi in discussione in questi pazienti è molto scarsa.Purtroppo, per contrastare il disturbo somatoforme non si hanno a disposizione interventi farmacologici specifici risolutivi. Tuttavia, i farmaci antidepressivi possono risultare utili per gestire i sintomi depressivi e l'ansia che tipicamente accompagnano l'ipocondria, migliorando la qualità di vita generale del paziente e favorendo una migliore accettazione del percorso psicoterapeutico.

Fonti

American Psychiatric Association. DSM-IV-TR. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali - Text Revision, IV edizione. Masson, Milano 2001

Mayo Clinic: www.mayoclinic.com/health/generalized-anxiety-disorder/DS00502

Manuale Merck: www.msd-italia.it/altre/manuale/sez15/1871631b.html DSM-IV-TR. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali - Text

Revision. Elsevier, Milano 2007 Alzheimer Italia: www.alzheimer.it/depress.html Associazione Italiana Sclerosi Multipla (AISM): www.aism.it/index.aspx?

codpage=depressione www.la-sclerosimultipla.net/depressioneSM.php Unione Parkinsoniani: www.parkinsonitalia.it/depressione.htm www.farmacoecura.it

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