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Anemos TRIMESTRALE CULTURALE A DIFFUSIONE GRATUITA - APR-GIU 2016 ANNO VI - NUMERO 21 ISSN 2281-0994 TRIMESTRALE INTERDISCIPLINARE PER L'INTEGRAZIONE TRA NEUROSCIENZE E ALTRE DISCIPLINE NEUROSCIENZE SCIENZE E POESIA ESTETICA E LINGUAGGI IBRIDI NEUROESTETICA L’invenzione della bellezza, tra scienze biomediche e storia culturale INTERDISCIPLINA NEUROLOGIA IL BELLO MUSICALE LA DECODIFICA DELLA MUSICA E IL SUO GODIMENTO ESTETICO PSICOLOGIA LINEE E FORME COME LE LEGGE IL NOSTRO CERVELLO? NEUROESTETICA Cervello e giudizio estetico, un ponte tra cultura e natura ANTROPOLOGIA La rappresentazione anatomica del corpo attraverso la storia EVOLUZIONISMO L'importanza del fascino estetico nella specie umana e nel regno animale UNIMORE UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA SNO SCIENZE NEUROLOGICHE OSPEDALIERE ANEMOS LIBERA UNIVERSITÀ DI NEUROSCIENZE NUMERO MONOGRAFICO BASATO SUGLI INTERVENTI DEL CONVEGNO ORGANIZZATO DA CURA EDITORIALE DEI TESTI LA CLESSIDRA EDITRICE

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AnemosTrimesTrale culTurale a diffusione graTuiTa - aPr-giu 2016 ♦ anno Vi - numero 21 ISSN 2281-0994

TrimesTrale iNTerDisCiPliNare Per l'iNTeGraZiONe Tra NeUrOsCieNZe e alTre DisCiPliNe

n e u r o s c i e n z e

SCIENZEE POESIAesteticae linguaggiibridi

Neuroestetica L’invenzione della bellezza, tra scienze biomediche e storia culturale

INTERDISCIPLINA

NEUROLOGIA

IL BELLO MUSICALEla decOdiFica

della Musica e il suO gOdiMentO esteticO

PSICOLOGIA

LINEE E FORMEcOMe le legge

il nOstrO cerVellO?

NEUROESTETICACervello e giudizio estetico,

un ponte tra culturae natura

ANTROPOLOGIALa rappresentazione anatomica del corpoattraverso la storia

EVOLUZIONISMOL'importanza del fascino

estetico nella specie umana e nel regno animale

UNIMOREUNIvERsItà dEglI stUdI

dI MOdENa E REggIO EMIlIa

sNOscIENzE NEUROlOgIchE

OspEdalIERE

aNEMOslIbERa UNIvERsItàdI NEUROscIENzE

NUMERO MONOgRafIcO basatO sUglI INtERvENtI dEl cONvEgNO ORgaNIzzatO da

cURa EdItORIalE dEI tEstI la clEssIdRa EdItRIcE

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Centro di riferimento: Centro di Neuroscienze Anemos, Reggio Emilia.Centri Ospedalieri per la Neurochirurgia del rachide e le tecniche mininvasive:

Casa di Cura Salus Hospital (Re), Ospedale di Suzzara (Mn), Casa di Cura San Clemente (Mn), Casa di Cura Villa Maria Cecilia di Cotignola (Ra).

Ambulatori: Reggio Emilia, Correggio, Suzzara, Poggio Rusco, Mantova, Carpi, Modena, Fiorenzuola, Olbia e Agrigento.

CENTRO DI NEUROSCIENZE ANEMOSDirettore sanitario: Dott. Marco Ruini

AreA dI pSIChIAtrIA e pSICOLOGIA CLINICA Dott. Giuseppe Cupello, Dott. Raffaele Bertolini, Psichiatri

Dr.ssa Sangiorgi Annamaria, Dr. Gasparini FedericoDr.ssa Barletta Rodolfi Caterina, Dr.ssa Beltrami Daniela

Dr.ssa Maldini Federica, Dr.ssa Muscatello LauraDr.ssa Faietti Lisa, Dr.ssa Landini Morena, Psicologi

Dr.ssa Cocca Sandra, Logopedista

AreA dI OCULIStICADott. Valeriano Gilioli, oculistaDott. Vicenzo Vittici, oculista

SerVIZIO dI NeUrOChIrUrGIADr. Marco Ruini: Neurochirurgo

Dr. Andrea Veroni: NeurochirurgoDr. Andrea Seghedoni: Neurochirurgo

Dr. Nicola Nicassio: NeurochirurgoDr. Raffaele Scrofani: Neurochirurgo

CollaborazioniDr. Ignazio Borghesi, NeurochirurgoProf. Vitaliano Nizzoli, Neurochirurgo

Prof. Lorenzo Genitori, Neurochirurgia PediatricaDr. Aldo Sinigallia, ortopedico, patologia degenerativa del rachide e scoliosi

Dr. Bruno Zanotti, Neurochirurgo

SerVIZIO dI terApIA ANtALGICADr. Ezio Gulli, Anestesista, Terapia infiltrativa

SerVIZIO dI rIedUCAZIONe FUNZIONALeDr. Aurelio Giavatto, Manipolazioni viscerali, dermatologo

Dr. Nicolas Negrete, Dr.ssa Ft. Bisay Soledad Maria, FisioterapistaDr. Giorgio Reggiani, Fisiatra

SerVIZIO dI NeUrOLOGIA e dI NeUrOFISIOLOGIADr. Mario Baratti, Neurologo e neurofisiologo

Dr. Devetak Massimiliano, Neurologo, patologia vascolareDr. Enrico Ghidoni, Neurologo, neuropsicologia clinica

AreA dI OrtOpedIADr. Antonio Laganà, Ortopedico

Dr. Ivo Tartaglia, Ortopedico

ALtre AreeDr.ssa Ghinoi Alessandra, Reumatologa

Dr. Piazza Rosario, UrologoDr.ssa Fontanesi Marta, Scienze dell’alimentazione

ANEMOS | Centro Servizi di NeuroscienzePoliambulatorio Medico | Libera Università | Ass. CulturaleVia Meuccio Ruini, 6 | 42124 Reggio Emilia tel. 0522 922052 | Fax 0522 517538 | www.anemoscns.it [email protected] | www.associazioneanemos.org

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Anemosneuroscienze

Il secondo numero del 2016 di “Neuroscienze Anemos” esce in anticipo. Come i lettori potranno vedere, si

tratta sostanzialmente di un numero monografico, se si esclude la prima parte del periodico tradizionalmente dedicata alle notizie dal mondo della scienza e alle rubriche.I contributi di questo numero ripropongono i testi su cui si basano gli interventi che si terranno durante il convegno “Neuroestetica. L'invenzione della bellezza”, in data 11 marzo 2016.Il convegno è frutto della collaborazione della Libera Università di Neuroscienze Anemos, dell'Università di Modena e Reggio Emilia e della SNO (Scienze Neurologiche Ospedaliere). La sede dell'evento è il Centro Internazionale Loris Malaguzzi di Reggio Emilia, che ha gentilmente concesso gli spazi e fornito utile supporto logistico per la comunicazione (il programma completo del convegno è disponibile nella terza di copertina di questa pubblicazione).La sequenza degli articoli, però, non segue strettamente l'ordine di intervento degli autori nel corso del convegno. Questo perché il periodico è strutturato in modo da fornire sempre

una prima lettura di tipo neuroscientifico del tema che si tratta, per proseguire poi con progressivi allontanamenti tematici e con punti di vista di diverse discipline non strettamente scientifiche. Convegno e rivista, però, sono accomunati, oltre che da testi e autori, dalla stessa duplice prospettiva: il tema della bellezza, secolare problema filosofico, viene visto attraverso la scienza e attraverso la letteratura, la musica e le arti figurative.La prima parte del convegno e degli articoli ad esso collegati, sono opera di relatori provenienti essenzialmente dalla professione medica (in particolare neurologia e neurochirurgia), mentre la seconda parte è curata da relatori provenienti dal mondo accademico delle scienze umanistiche e della comunicazione scientifica.Moderatori rispettivamente della prima e della seconda parte sono Adriano Amati (scrittore e giornalista) e Bruno Zanotti (Neurologo e Neurochirurgo). I relatori sono anche autori di due articoli presenti nella rivista.

Gli EditoriLa Clessidra Editrice

Libera Università di Neuroscienze Anemos

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Un numero monografico

Editoriale

cONtattI. si possono inviare proposte di articoli, segnalazioni di eventi, commenti o altro all’indirizzo che segue:[email protected]

su facebook.Neuroscienze AnemosLaClessidraEditrice

@

Apr-Giu 2016 | anno VI - numero 21

Numero realizzato con la collaborazione di

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hanno inoltre collaborato:Marco aguggia, alberto bertoni,

stefano calabrese, Enrico grassi, Maria francesca luziatelli, Marco

pivato, salvatore spinnato, angela verlicchi, serena zaniboni

Luogo di stampaE.Lui Tipografia - Reggiolo (RE)

Registrazione n. 1244 del 01/02/2011

tribunale di Reggio Emilia

Iconografia: alcune immagini presenti in «Neuroscienze anemos» sono tratte da siti internet contenenti banche dati di immagini

di libero utilizzo. Qualora vi fossero stati errori e omissioni relativi al diritto d’autore

l’editore rimane a disposizione per sanare la sua posizione.

www.clessidraeditrice.it

NeuroesteticaAPR-GIU 2016 | ANNO VI - NUMERO 21

Neuronews▪ Il programma che rico-

nosce cosa vediamo▪ Scrivere senza errori

▪ L'influenza delle stagioni sul cervello

▪ L'empatia nei roditori

0610L'uomo

macchinaDue pezzi di legno

sul pavimentoII bello superfluo nel gioco dell'arte contemporanea

di Davide Donadio

12Incontri

▪ 56˚ Congresso nazionale SNO

▪ XIX Congresso nazionale della società italiana

di neuropsicofarmacologia▪ Congressi Anircef

Il programma del convegno

Neuroestetica, 11 marzo 2016. Autori, relazioni

e programma della giornata

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EditoreEditrice la clessidra / anemos

Redazionevia 25 aprile, 33

42046 Reggiolo (RE)[email protected]

tel 0522 210183

direttore responsabiledavide donadio

[email protected]

direttore ScientificoMarco Ruini

[email protected]

Redazione: Marco barbieri, federica castagnoli,

tommy Manfredini, paola torelli.

Comitato scientifico*Adriano AmatiLaura AndraoMario Baratti

Mauro BertaniRaffaele BertoliniVitaliano Biondi

Ilenia CompagnoniGiuseppe CupelloLorenzo GenitoriEnrico Ghidoni

Aurelio GiavattoFranco Insalaco

Danilo MoriniAntonio Petrucci

Sara PinelliGiorgio Reggiani

Ivana SonciniLeonardo Teggi

Sara UboldiBruno Zanotti

* Il comitato scientifico è composto da persone che partecipano a vario titolo e con continuità differente alle attività organizzate dalla libera

Università di Neuroscienze anemos e di la clessidra Editrice.

L’invenzione della bellezza, tra scienze biomediche e storia culturale

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SOMMARIO16

Neuroscienze e giudizio estetico L'invenzione della bellezzadi Marco Ruini

Anemosneuroscienze

INtROdUzIONE al tEMa

21Cervello e percezione esteticaDall'occhio biologico all'occhio della mentedi Bruno Zanotti e Angela Verlicchi

NEUROfIsIOlOgIa | psIcOlOgIa

24La bellezza fotograficaTra realtà, errore ed ingannodi Marco Aguggia

bIOlOgIa | psIcOlOgIa

30Sulla bellezza anatomica del corpoDalla preistoria al mondo fluttuantedi Salvatore Spinnato

bIOlOgIa | aRtE

36Riconoscere gli elementi iconiciCome il cervello interpreta linee e formedi Serena Zaniboni

NEUROscIENzE | sEMIOtIca

40Il bello musicaleTra estetica e neuroscienzedi Enrico Grassi e Pasquale Palumbo

NEUROscIENzE | MUsIca

52Processo creativo e processo narrativoIn scienza e poesia di Marco Pivato

lEttERatURa | EstEtIca

60I pensieri del tèUn'intuizione letteraria descrive il "momento perfetto"di Adriano Amati

lEttERatURa

44La bellezza rigorosaIl fascino estetico tra evoluzionedella specie e culturadi Stefano Calabrese

bIOlOgIa | NEUROEstEtIca

56Narrazione e autismoUso terapeutico delle storie con il bambino autisticodi Maria Francesca Luziatelli

lEttERatURa | psIcOlOgIa

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neuronewsrassegna di notizie dal mondo della scienza

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I NEURoNI aLLa BasE dEL sospIRo

A controllare il sospiro è un circuito cerebrale composto da appena 230 neuroni

Un meccanismo fonda-mentale per mantenere in piena efficienza i nostri

polmoni è il sospiro, un atto che eseguiamo non solo in occasio-ne di determinati stati d'animo, ma che compiamo ogni cinque minuti e spesso senza accorger-cene. Ad indagare i meccanismi alla base del sospiro è stato un gruppo di ricercatori della Stan-ford University School of Medici-ne dell'Università della California a Los Angeles, che ha pubblicato

la sua scoperta sulla rivista "Na-ture".L'equipe ha così scoperto che a controllare il sospiro è un cir-cuito cerebrale estremamente specializzato, composto da solo 230 neuroni. Il sospiro è essen-ziale per una buona funzionalità polmonare. Obiettivo dei sospiri è gonfiare il mezzo miliardo di al-veoli di cui sono formati i polmoni e in cui avviene lo scambio fra ossigeno e anidride carbonica. Gli alveoli sono minuscoli e molto

delicati, tanto che spesso collas-sano e riducono la capacità del polmone di scambiare questi due gas. L'unico modo per farli gon-fiare di nuovo è il sospiro, un atto respiratorio forzato che porta nel polmone un volume d'aria doppio rispetto al normale.I ricercatori hanno condotto una serie di esperimenti sui topi, che sospirano più spesso degli uomini (alcune decine di volte al minuto). Hanno così individuato non solo il circuito che controlla il sospiro, collocato nella parte ventolaterale del bulbo dell'ence-falo, ma anche i neuromediatori, cioè quelle sostanze che questi neuroni usano per comunicare fra loro: il peptide di rilascio della gastrina (GRP) e la neuromedina B (NMB).

IL pRogRamma CHE RICoNosCE Cosa vEdIamo

L’algoritmo analizza i segnali del cervelloe riconosce cosa stiamo guardando

Un programma, realizzato dai ricercatori di Stanford e della University of Wa-

shington, rappresenta un nuovo passo avanti nella riabilitazione di pazienti che, a causa di ictus o tumori al cervello, presentano problemi alla vista. Il program-ma, presentato nelle pagine del-la rivista “Plos One”, permette di decodificare i segnali elettrici del cervello riuscendo così a deter-minare cosa sta osservando in quel momento una persona. Lo studio è stato compiuto su sette volontari ai quali, tramite elet-trodi, è stata monitorata l'attività delle regioni lobotemporale e occipitale del cervello quando venivano loro mostrate immagini

di volti umani e di case. Durante il test un programma analizzava due tipi di segnali cerebrali: gli Event-Related Potentials (erp), segnali prodotti quando i neuroni di ciascuna area del cervello si attivano in sincronia, e i broad-band signals, che rappresentano invece differenti aree cerebrali che si attivano in modo asincro-no.Utilizzando i dati raccolti, i ricercatori hanno fatto allenare il loro algoritmo: hanno analiz-zato le prime 200 risposte dei partecipanti e poi hanno chiesto al programma di prevedere le successive 100. L’esperimento ha avuto successo: l’algoritmo infatti ha riconosciuto quando gli

esseri umani stavano osservan-do un’immagine, di che tipo fos-se, con appena mezzo secondo di ritardo.I ricercatori sperano che in futuro, grazie a questi studi, sia possibile allenare i circuiti cere-brali di pazienti vittime di danni neurologici. In molti di questi casi, infatti, il cervello presenta regioni che non riescono a dia-logare in modo corretto tra loro. Se si riuscisse a interpretare i segnali cerebrali e comprendere l’area a cui sono diretti, sarebbe possibile stimolarla artificialmen-te, recuperando con il tempo la funzionalità cerebrale persa.

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Anemosneuroscienze

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Apr-Giu 2016 | anno VI - numero 21

L'INfLUENza dELLE stagIoNI sUL CERvELLo

Non solo l'umore, ma anche le nostre funzioni cognitive sono influenzate dall'andamento stagionale

Uno studio pubblicato sulla rivista “Pnas” ha messo per la prima

volta in relazione capacità cognitive e stagionalità. Finora, infatti, si sapeva che le stagioni possono influenzare in modo significativo il nostro umore (ad esempio, in inverno si è più depressi), ma ora la ricerca ha mostrato come le stagioni possano influenzare in maniera significativa anche il funziona-mento del nostro cervello. Lo studio è stato compiuto da un gruppo di ricercatori dell'Uni-versità di Liegi che ha misurato le funzioni cognitive di 28 vo-lontari, che partecipavano a un esperimento più generale sulla deprivazione di sonno. Ciascun volontario ha trascorso quattro giorni e mezzo in un laboratorio isolato dal mondo esterno con riscaldamento e luce artificiali, senza conoscere le condizioni atmosferiche esterne e la tem-peratura. I volontari sono stati poi sottoposti a due test allo scopo di misurare la capacità di attenzione e la capacità di svolgere compiti intellettuali che coinvolgevano la memoria di lavoro. Il tutto mentre il loro

cervello veniva esaminato tra-mite una risonanza magnetica funzionale.I ricercatori hanno così notato che mentre le prestazioni in entrambi i test erano costanti per ciascun individuo nel corso dell'anno, le risorse cerebrali impiegate per portarli a ter-mine variavano nel corso dei mesi: l’attività cerebrale colle-gata all’esecuzione dei test di attenzione è risultata massima in giugno, vicino al solstizio d’estate, e minima a dicembre, intorno al solstizio d’inverno. Al contrario, l’attività delle aree del cervello impegnate nei compiti di concentrazione e memoria ha avuto il suo picco in autunno ed è stata minima in primavera.A seconda della stagione, il cervello ha quindi dovuto impe-gnarsi di più o di meno, adot-tando anche strategie diverse, per ottenere gli stessi risultati. Questo dipenderebbe dal fatto che in certi periodi dell'anno, a causa o della lunghezza del giorno o del calendario delle ferie, il nostro cervello impie-ga più risorse per svolgere un determinato compito, affatican-dosi di più.

sCRIvERE sENza ERRoRI

Individuate le aree cerebrali che permettono di scrivere senza errori

di grammatica

Un'equipe di ricercatori del CiMeC (Centro interdipar-timentale Mente/Cervello)

dell'Università di Trento e della Johns Hopkins University di Balti-mora ha identificato le aree cere-brali che controllano la capacità di scrivere in modo ortograficamente corretto. I risultati della loro ricerca sono stati pubblicati in un articolo su “Brain”.Anche se siamo abituati a farlo tutti i giorni, scrivere in realtà è un com-pito molto complesso che coinvolge diverse aree cerebrali: comporta il recupero dalla memoria a lungo termine delle informazioni relative alle lettere che compongono la pa-role e il loro ordine, il trasferimento di queste informazioni alla memoria di lavoro e l'attivazione delle aree della corteccia che presiedono il movimento della mano. I ricercatori hanno mappato in tre dimensioni (voxel-based mapping) il cervello di 27 soggetti che, a cau-sa di un ictus o della rimozione di un tumore cerebrale, sono stati col-piti da differenti forme di disgrafia. Confrontando le diverse scansioni, si è scoperto che il vocabolario delle parole scritte si trova nel lobo frontale e temporale, mentre la me-moria di lavoro in un’area specifica del lobo parietale.La scoperta potrà essere utile per sviluppare programmi di riabilita-zione destinati a chi è colpito da disgrafia a causa di un ictus e per chiarire i rapporti fra i processi visi-vi e spaziali alla base della lingua scritta e parlata.

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La CapaCItà dI astRazIoNE dEI CoRvI

La capacità di astrarre non è una prerogativa umana

Una ricerca condotta da Thomas Bugnyar, esper-to in cognizione sociale

animale dell'Università di Vienna, e pubblicata su “Nature Commu-nications” ha portato a importanti risultati per quanto riguarda lo studio del pensiero astratto. Fino-ra si riteneva che solo gli esseri umani avessero questa capacità, la ricerca invece ha svelato che anche i corvi hanno la capacità di immaginare le intenzioni dell'altro senza la sua osservazione diret-ta.Per sei mesi Bugnyar ha studia-to dieci corvi allevati in cattività. I corvi sono stati posizionati in

stanze vicine con finestre comuni-canti inizialmente lasciate scoper-te di modo che ciascuno potesse spiare i vicini mentre ricevevano razioni di cibo. In un secondo momento le finestre sono state oscurate, ma è stato lasciato uno spiraglio da cui gli animali hanno imparato a spiare e gli altri sa-pevano di poter essere spiati. È stato poi dato agli uccelli del cibo da nascondere, mentre in sotto-fondo risuonavano le registrazioni di versi di loro simili. I ricercatori hanno così notato che quando lo spiraglio della finestra era stato lasciato aperto, e c'era la pos-sibilità di essere visti, gli uccelli

celavano con particolare cura le provviste. Quando, invece, lo spiraglio era chiuso, i corvi non si allarmavano, come se sapessero che non potevano essere spiati. Secondo Bugnyar: “ciò suggeri-sce che i corvi facciano genera-lizzazioni basate sull'esperienza, e non si limitino a interpretare e rispondere al comportamento visibile di altri uccelli”.

IL sEgREto dI CHI ImpaRa sUBIto LE LINgUE

Chi apprende in minor tempo le lingue straniere ha più connessioni nel cervello

I ricercatori del Montreal Neu-rological Institute della McGill University in Canada hanno

svelato il mistero per cui alcune persone apprendono più veloce-mente le lingue straniere rispet-to ad altre. L’apprendimento risulta essere più o meno facile a causa di differenze innate nel modo in cui le diverse parti del cervello comunicano tra di loro. In particolare, quindi, chi ha più connessioni tra le diverse aree del cervello riesce ad appren-dere nuovi linguaggi con mag-giore facilità, inoltre è più veloce durante la lettura e più preciso nella pronuncia. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sul

“Journal of Neuro-science”.L'equipe ha scan-sionato il cervello di 15 adulti di lingua inglese che stavano per iniziare un corso di 12 settimane di francese. Grazie alla risonanza magnetica funzionale, i ricerca-tori hanno esaminato la connet-tività all’interno del cervello dei soggetti sia prima che alla fine del corso. Hanno così scoperto che il modo in cui si sviluppa e funziona il “cablaggio” del cer-vello ha ripercussioni sulla capa-cità di apprendimento del corso in termini di maggiore velocità di

lettura o di pronuncia.Tuttavia, gli esperti rassicurano: il nostro cervello è un organo plastico che può essere pla-smato dall’apprendimento e dall’esperienza, i risultati non significano quindi che il succes-so nell’imparare una seconda lingua sia interamente prede-terminato dalla connettività del nostro cervello.

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Anemosneuroscienze

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Per la prima volta uno studio ha dimostra-to l'esistenza di un

comportamento empatico nei roditori. Finora, infatti, oltre che nell'essere umano e nelle grandi scimmie, il comportamento consolatorio era stato riscontrato in poche specie non umane con alti livelli di socialità e di cogni-zione, come elefanti, delfini e cani. Con comportamento di consolazione i ricercatori indicano un atto compiuto allo scopo di calmare un altro soggetto in difficoltà attraver-so il contatto diretto, come baci e abbracci. Lo studio, condotto dai ricer-catori della Emory University ad Atlanta, dello Yerkes Natio-nal Primate Research Center e dell'Università di Utrecht in Olanda e pubblicato su “Science”, ha rivelato che le arvicole delle praterie, roditori molto sociali, provano empa-tia e consolano i propri simili socialmente più vicini quando sono stressati o si trovano in difficoltà. Non solo, questo comportamento è regolato

da meccanismi simili a quelli che si osservano negli esse-ri umani e che coinvolgono l'azione dell'ossitocina. Per giungere a questi risultati, i ricercatori hanno osservato il comportamento dei membri di un gruppo di arvicole delle praterie: tutti i roditori, tranne uno, sono stati posti in un am-biente tranquillo, mentre un membro isolato è stato mes-so in un ambiente dove gli sono state somministrate lievi scosse alle zampe che pone-vano l'animale in uno stato di stress. Quando hanno messo di nuovo insieme i roditori, quelli che non avevano su-bito le scosse hanno iniziato immediatamente a consolare l'animale stressato leccandolo e pulendolo, attività compiute per un tempo ben superiore a quello impiegato normalmen-te. Gli studiosi hanno, inoltre, notato che questo compor-tamento consolatorio era compiuto solo dagli animali della colonia imparentati con l'arvicola stressata o con cui questa aveva rapporti sociali più stretti.

L'EmpatIa NEI RodItoRII roditori consolano i loro simili socialmente

più vicini quando sono stressati o in difficoltà

BREvI

UN CERvELLo pIù gRaNdE pER RIsoLvERE I pRoBLEmIGli animali più abili nel problem solving hanno anche un cervello più grande

Esiste una correlazione tra dimen-sioni cerebrali e intelligenza? Sì, secondo lo studio di Sarah Ben-

son-Amram e colleghi dell'Università del Wyoming, pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”. Finora non era stato possibile avere una conferma sperimentale rigorosa a questa ipotesi. La ricerca condotta su 140 individui di 39 diverse specie di mammiferi carnivori, tra cui orsi polari, volpi artiche, tigri, lontre, lupi, iene, e specie rare come binturong, leopardi delle nevi e ghiottoni, ha dimo-strato come gli animali con un cervello più grande in rapporto alla massa corpo-rea sono anche più abili nell'affrontare un problema nuovo. Non ha, invece, trovato conferma l'ipotesi del cervello sociale, secondo cui gli animali più intelligenti sa-rebbero anche quelli che vivono in gruppi più numerosi.

dIstURBI dELL'aLImENtazIoNEÈ possibile individuarli dalle immagini della risonanza magnetica

L’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche di Catanzaro e Milano

(Ibfm-Cnr) in collaborazione con l’Associa-zione “Ippocampo” di Cosenza ha svilup-pato un algoritmo in grado di determinare se un paziente è affetto da disturbi dell’ali-mentazione, partendo dalle immagini della sua risonanza magnetica. Gli ultimi studi in ambito di neuroimaging hanno sottolineato, infatti, che i disturbi comportamentali dell’alimentazione, come l’anoressia e la bulimia, non sono soltanto disturbi psicologici ma sono caratterizzati anche da piccoli danni neuronali a livello cerebrale, osservabili dalle risonanze ma-gnetiche dei pazienti.

Apr-Giu 2016 | anno VI - numero 21

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L'uomo macchinaAppunti liberi tra filosofia della mente, divagazioni antropologiche e letterarie

dUE pEzzI dI LEgNo sUL pavImENto

Il bello superfluo nel gioco dell'arte contemporanea

Due pezzi di legno appoggiati sul pavimento sono un'opera d'arte? La maggior parte di

noi risponderebbe di no. E due lastre di metallo appoggiate in un angolo? No, sicuramente. È arte una superficie percorsa da segni e macchie casuali, un'immagine pubblicitaria a stampa strappata o replicata all'infinito, un manichi-no nudo appeso con una corda, e così via?L'arte, fin dalla prima parte del Novecento, ha imboccato ben altre strade rispetto al figurativo tradizionalmente relegato nei confini della tela, nella “porzione” materiale che andava a costitu-ire una scultura o tuttalpiù nella superficie di parete che ospitava l'affresco. Eppure, il senso comu-ne dell'arte non ha seguito l'evo-luzione del mondo artistico e del suo giro economico (milionario) in gallerie ed esposizioni: questi prodotti-situazioni che ci vengono presentati come arte, spesso non sono percepiti come tali al di fuori di quel circuito autoreferente.Ma l'arte senza bello esiste e in qualche modo va spiegata. Tutto questo smonta secoli di rifles-sione sulla categoria del bello e

sull'esperienza estetica associata all'arte. O meglio, rende la cate-goria del bello come una questio-ne storica e relativa.Vi è ancora, però, una certa resistenza a far proprio l'adagio popolare del “è bello ciò che piace”. Questo perché ci pare di scorgere universalmente che nel senso comune persiste un'idea di bello come di qualcosa che sia dotato di particolari proporzioni, di rapporto tra le parti che dan-no in qualche modo un naturale senso di piacevolezza.Persino le neuroscienze, tra i paradigmi scientifici dominanti della nostra epoca, tentano di dare una spiegazione neurobio-logica alla concezione del bello, come già era avvenuto in termini evolutivi (ci piace la bellezza di un determinato corpo perché po-trebbe portarci vantaggi evolutivi e riproduttivi, pur nella variabile estetica contingente alla nostra epoca storica).Ma qui, in queste brevi note, non parleremo del secolare e fumo-so problema estetico, quanto di società e di arte contemporanea. Ed è proprio all'interno della sociologia dell'arte che possia-mo spiegare la manifestazione artistica del nostro presente e del

recente passato.L'enigma ironico dell'arte contem-poranea è il seguente: l'arte non ha forse più niente da dire, ma sa perfettamente come dirlo. Enun-ciazione paradossale e sibillina che forse diverrà chiara fra poco.La storia dell'arte contemporanea inizia con lo spostamento del baricentro dal vecchio continente (che rimane però ancora attivo) agli Stati Uniti, in particolare ver-so New York.Nel nuovo mondo, l'arte im-bocca con decisione la strada iniziata in Europa di ribaltamen-to dei canoni classici. Si pensi all'espressionismo astratto, nato negli anni Trenta, di cui Pollock è il rappresentante più noto, alla sua poetica del gesto: non ha importanza il risultato, cosa viene

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Immagine. sopra l'artista lucio fontana (1899-1968) davanti ad una sua tela tagliata.A fianco un'opera dell'artista americano andy Warhol, La Minestra Campbell..

di davide donadio

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Anemosneuroscienze

rappresentato, ma il gesto, quasi rituale, che lo produce. Ed è ancora il gesto ad avere importanza nell'arte informale: Lucio Fontana taglia le tele e le mostra. Cosa significano in sé? Nulla. Conta il gesto di rottura con la tradizione.

Continuando con questo elenco esem-plificativo, la Pop Art che riprende l'imma-gine commerciale come nuovo linguag-gio universale senza più tenere conto dell'intimità dell'artista (Warhol), o la minimal art (siamo già negli anni Sessanta) che riscopre la semplicità dei volumi primitivi.Non solo il senso del bello non si realizza nell'arte contempo-ranea, ma neppure viene perseguito. Non interessa sempli-cemente.Chi vi scrive, pur essendo un “conser-

vatore” ammiratore dell'arte figu-rativa dei secoli passati, sostiene che vi sia un peculiare senso di piacere che ci può derivare dalla fruizione dell'arte contemporanea: le parole che intorno ad essa si spendono.

I concetti che giustificano quei ge-sti e quegli oggetti, spesso inerti e qualche volta poco comunicativi, sono la vera arte. Se le pitture del passato erano il frutto di tecnica e perizia su cui si poteva teorizzare a posteriori, l'arte contemporanea nasce prima come parole e poi come gesto-prodotto. Ma, e non so quanto questa posizione sia originale non seguendo la lette-ratura critica, è la prima parte a costituire prodotto artistico. Instal-lazioni e immagini scompariranno nel passato prossimo futuro, e rimarranno le giustificazioni con-cettuali che le avranno generate.Si tratta, è giusto dirlo, spesso di puro gioco intellettuale fine a se stesso (o in qualche caso fina-lizzato a far alzare la quotazione sul mercato di un certo artista); tale gioco intellettuale non sem-pre è calato nel contesto storico contingente e frutto dello spirito del tempo, come siamo abituati a pensare l'arte. Il critico che legge oggetti d'arte partoriti dal minima-lismo e spiega che gli spazi tra due volumi (un parallelepipedo di legno o di pietra) sono solo “volu-me in negativo” esemplificativi di una “importanza e valorizzazione del vuoto”, non di significati parla, ma di gioco. Di semplice gioco. E vi pare poco?Se si desidera, quindi, superare quel senso di spaesamento o addirittura di superfluo che ci può cogliere nel frequentare mostre ed esposizioni di arte contem-poranea, si consideri che non lì risiede il senso reale di quegli og-getti e di quelle situazioni, ma nel gioco delle teorie che le hanno generate.

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inconTriEventi scientifici e culturali

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L'Anircef, l'Associazione Neurologica Italiana per la Ricerca sulle Cefa-

lee, ha pubblicato le date dei prossimi convegni. Per maggiori informazioni e per il programma si rimanda a www.anircef.it

Cefalee update V edizione9 aprile Solbiate Olona (VA)

VIII giornata Anircef in Lombardia17 GiugnoBrescia

CoNgREssI aNIRCEf

I convegni dei prossimi mesi

Catania, 18-21 maggio 2016. Il programma è molto dettagliato ed è impossibile riportarlo

qui per intero. È possibile consultare il programma completo al sito http://www.avenuemedia.eu. Di seguito un estratto della presentazione del convegno di Erminio Costanzo, Presidente 56° Congresso Nazionale SNO, che illustra i contenuti del congresso.

"In questo nostro incontro scientifico, si è voluto dare rilievo alla prevenzione e alla terapia delle patologie neuro-vascolari con una sessione plenaria e con vari topics che affrontano e riposizionano sia i più recenti interventi farmacologici e sia le più attuali tecniche neuroradiologiche e neurochirurgiche.Spazio è stato dedicato alle patologie neurodegenerative, in particolare ai disordini del movimento e al deterioramento cognitivo, così come alla patologia comiziale, alle neuropatie e alle malattie rare. Altro argomento (in collaborazione con il CNR) sarà la neurologia traslazionale con l’intento di trasferire, in modo rapido, le nuove conoscenze della scienza di base a quella biomedica così da generare applicazioni

diagnostiche-terapeutiche avanzate, offrendo nel contempo nuovi strumenti di indagine. La medicina di genere, inquesto convegno, farà il punto sull’attività, sulle possibilità e sulla complementarietà di vari specialisti nella gestione del paziente con neoplasie cerebrali [...].La sessione precongressuale SNO Internazionale in collaborazione con l’AIMA (Associazione Italiana Malattia di Alzheimer) coinvolge studiosi italiani e stranieri che avranno un ampio confronto su asimmetrie cerebrali e differenze emisferiche. Nell’ottica di una continuità di cura, in cui una sanità diffusa segue il paziente neurologico in un continuum assistenziale, sono stati invitati come relatori i colleghi neurologi del territorio per verificare assieme le possibili strategie nella ricerca di una risposta efficace ai bisogni della comunità.Sono coinvolti da protagonisti Infermieri Professionali, Terapisti della Riabilitazione e Tecnici di Neurofisiopatologia."

InformazioniVia Riva Reno 61 - 40122 BolognaTel. 051 6564300 - fax 051 6564334E-mail. [email protected] www.avenuemedia.eu

56° CoNgREsso NazIoNaLE sNo

Le neuroscienze di oggi guardando al domani

Tema del congresso sarà “Il farmaco e le neuroscien-ze”. Il congresso si svolge-

rà presso il Santa Tecla Palace Hotel di Acireale Acireale (CT) dall'11 al 14 ottobre.Queste le tematiche trattate: modelli animali di patologie neu-rologiche e psichiatriche - epige-netica e psicopatologia - farma-

cogenetica e farmacogenomica - farmacoeconomia - terapie off-label - il placebo come farmaco e le neuroscienze - nuovi target farmacologici - nuove sostanze di abuso - immunopsichiatria e psicofarmaci - gut microbioma e psicofarmaci - neurobiologia e farmacoterapia di: ADHD, disturbi depressivi, disturbo bipolare e

correlati, schizofrenia, disturbo di panico e agorafobia, disturbi del-la nutrizione e dell’alimentazione, disturbo da stress post traumati-co, disturbi dissociativi, disturbo ossessivo compulsivo, disturbi neurocognitivi, disturbi del sonno, disturbi del neurosviluppo.

Per maggiori info: www.sinpf.it

XIX CoNgREsso NazIoNaLE dELLa soCIEtà ItaLIaNa dI NEURopsICofaRmaCoLogIa

11-14 Ottobre, Acireale

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AIl tema del numero

Neuroestetical'invenzione della bellezza

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MAPPA CONCETTUALE: IL TEMA dEL NUMEROProposte per percorsi di lettura interdisciplinari

NEUROSCIENZE Ed ESTETICAFattori soggettivi, sociali e naturali

EVOLUZIONE NATURALE E CULTURALERappresentazione della bellezza del corpo umano e ruolo del concetto di bello nell'evoluzione culturale

2

1

gli argomenti trattati nel numero

3

Articoli pp 16, 21

Articoli pp 30, 44

NEUROfISIOLOGIAE PERCEZIONEPercezione (visiva

e auditiva) e rappresentazione

della bellezza del corpo umano

Articoli pp 24, 36, 40

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15{STRUMENTI dI LETTURA

I testi di «Neuroscienze Anemos» sono idealmente suddivisi in In - InterdisciplinaApp - ApprofondimentiR/Np - Ricerca e nuove proposte

Agli articoli viene inoltre assegnato un numero che indica la complessità di comprensione del testo da 1 a 5.

1 2 3 4 5

LETTERATURA, SEGNI, NARRAZIONE

Aspetti cognitivi della percezione estetica; autismo

e terapia della narrazione; "intuizione letteraria"

IL CONVEGNOProgramma

e interventi.Due prospettive o

integrazione?

Approfondimenti interdisciplinari e altri punti di vista

Anemosneuroscienze

Articoli pp 56, 60, 52, 56, 60.

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5

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Neuroscienze Biologia

NEUROSCIENZE e giudizio estetico

L’INVENZIONE DELLA BELLEZZA

parole chiave. bellezza, cervello, arte, neu-robiologia, socialità.

Abstract. Quando si compiono atti come man-giare e bere, la gratificazione che si prova è istin-tiva e innata. Perchè si provi piacere davanti a un evento culturale, a un pensiero o a qualcosa che riteniamo "bello" è necessario che il cervello riconosca queste esperienze e le confronti con quelle passate. sebbene esista un’idea sogget-tiva di bellezza che si forma durante l'infanzia mediata da fattori emozionali inconsci, la vita so-ciale è governata da un'idea di bellezza comune imposta dall'esterno attraverso canoni culturali che portano a omologare e guidare comporta-menti e desideri.

di Marco Ruini1App

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Neurobiologia del piacere e della gra-tificazione. Da quando le neuroscienze hanno ampliato l’interesse della scienza ai prodotti della mente umana, al pensiero e ai meccanismi della conoscenza, sono

state identificate diverse correlazioni neurobiologiche, meccanismi e circuiti cerebrali chimici e fisici che sottin-tendono a processi puramente mentali come la capacità decisionale, il senso del piacere e, per quel che riguarda questo articolo, la percezione della bellezza. Il circuito più importante è quello della gratificazione e del piacere situato nel sistema limbico, nel diencefalo, che utilizza come neurotrasmettitore la dopamina. Il diencefalo è il centro che controlla le emozioni. Una bella emozione provoca il rilascio di dopamina che si unisce a recettori specifici che provocano sensazione di benessere e piacere e che inducono il desiderio di ripetere l’esperienza. Que-sto sistema è comune a tutti i mammiferi, la sua funzio-ne è di rendere piacevoli alcuni comportamenti istintivi come l’attività sessuale, il mangiare e il bere indispensabili per la sopravvivenza dell’individuo e della specie. L’essere umano ha imparato a utilizzare questi circuiti della gra-16

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AnemosneuroscienzeA NumeroMonografico

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tificazione anche per premiare e rinforzare aspetti culturali come il godimento dell’arte, della bellez-za, dell’ironia, della lettura, di un evento sportivo o di una serata in compagnia di amici, liberando do-pamina e altre sostanze che rendo-no un’attività o un comportamen-to piacevoli e desiderabili anche se non legati alla sopravvivenza dell’individuo o della specie. Men-tre la gratificazione nel mangiare, bere, fare sesso è istintiva e innata, perché si provi piacere davanti a un evento culturale, a un pensie-ro o alla bellezza è necessario che il cervello riconosca queste espe-rienze e le confronti con le espe-rienze passate. Apprendimento e memoria sono essenziali.

Meccanismo della conoscen-za. Il cervello utilizza poche ma importanti strategie di funzio-namento che permettono però un’enorme potenzialità espressi-va. Noi percepiamo l’ambiente e il mondo attraverso i sensi: l’udito, il tatto, la vista, il gusto, l’olfatto. Recettori appositi producono sti-moli chimici che mediante i nervi periferici arrivano prima al dience-falo, dove sono localizzati i centri per le emozioni e si generano le risposte istintive, e quindi alla cor-teccia cerebrale per essere interpre-tati. La realtà esterna non ci appa-re quindi com’è, ma viene prima filtrata dai sensi e poi interpretata dal cervello. Il mondo esterno è quello che i nostri sensi ci mostra-no: una realtà soggettiva, relati-va, influenzata in ogni individuo dalle conoscenze acquisite, dalle esperienze, dai valori morali, dalla cultura. Il cervello, per trasformare in conoscenza gli stimoli che rice-ve dall’esterno, deve riconoscerli, catalogarli, memorizzarli e saperli ricordare al momento giusto. Per fare questo utilizza capacità innate come quella astrattiva che ci per-mette di formare un’idea generale a partire dal particolare, riuscire cioè ad astrarre da un oggetto dei particolari e ritrovandoli simili in altri oggetti, creare dei concetti.

Una volta vista e identificata una casa, quando successivamente il nostro cervello si troverà di fron-te un oggetto con una porta, delle finestre, un tetto, lo riconoscerà come casa anche se forma, colo-re, dimensioni saranno diverse da quella che aveva conosciuto. Così creerà tanti concetti: quello di al-bero, fiume, mare, monte. Il lin-guaggio ha dato all’essere umano la possibilità di utilizzare simboli e metafore, di sottintendere cioè altri significati a segni e parole. I concetti semplici, ad esempio quello di casa, associati a simboli particolari, formeranno concetti più complessi come quelli di scuo-la, edificio religioso o sportivo. I concetti sono tutti rappresentazio-ni mentali e codificano allo stesso modo oggetti o profili ideali come quello di bellezza. Esiste un’idea soggettiva di bellezza, individuale che si forma nell’infanzia e che è legata al senso di protezione e al piacere degli affetti e dell’am-biente. Alcune linee del viso della mamma, il tono della sua voce, il sorriso del padre e così via, anche se sgraziati e tutt’altro che belli per gli altri, possono imprimersi nell’inconscio e contribuire alla nostra idea di bellezza che ci ac-compagnerà tutta la vita e farà si che, ritrovando alcune somiglian-ze nei lineamenti o nella voce dei partner, li troviamo più simpatici e interessanti, belli ai nostri occhi. Fattori emozionali inconsci sareb-bero quindi in grado di influen-zare la nostra idea di bellezza che abbraccia anche comportamenti, atteggiamenti, istanze morali. È una fortuna che questo avvenga per la variabilità genetica della nostra specie e non è scontato. In altre razze animali sono solo gli individui migliori a riprodursi. Per alcuni pensatori questa bellezza soggettiva si avvicina a standard di bellezza innati. Esisterebbe un bello oggettivo comune a tutte le culture e a tutte le latitudini, in base al quale ogni essere umano troverebbe belle, in modo innato, quelle cose e quegli ambienti

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Neuroscienze Biologia

Figura 1.1 - sopra immagine del nautilus, un mollusco di grandi dimensioni. Secondo quei filosofi che vedono armonia e ordine nel mondo, la perfezione del nautilus fa parte di un canone estetico ritenuto bello assoluto utilizzato anche in natura. la sezione del guscio rappresenta, infatti, una perfetta spirale logaritmica.

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naturali che offrono sicurezza e tranquillità: i tratti femminili o

infantili dei volti, i paesaggi con prati, boschi e laghi, alcuni colori come il ver-de, l’azzurro e il giallo, mentre il nero trasmetterebbe ovunque angoscia e il rosso color sangue, aggressività. Così, secondo la scuola pitagorica e di quei filosofi che vedono armonia e ordine nel mondo, le figure simmetriche che rispettano nelle proporzioni la sezio-ne aurea o numero d’oro, il Phi greco 1,618, o la sequenza numerica di Fibo-nacci, fanno parte di un canone esteti-co ritenuto bello assoluto e utilizzato sia in natura (nautilus, girasole ecc) che dai grandi pittori e musicisti. Per que-sta corrente di pensiero il cervello non ama il caos e preferisce l’ordine natura-le. Di contro altri pensatori ritengono che in natura non ci sia nessun ideale universale di bellezza e che questa di-penda sempre da esperienze individua-li. Ad esempio, nel diciottesimo secolo le montagne, i boschi, i loro pericoli e la cultura montanara erano considerati primitivi e angoscianti, non certo belli e tranquillizzanti. Che l’ordine venga culturalmente imposto al nostro cervel-lo lo dimostrerebbe la cultura orientale che predilige il caos, la spontaneità, la ricerca individuale, all’ordine e all’uni-versale. Rimane comunque l’idea di una bellezza soggettiva che, anche se non innata, si forma in base alle espe-rienze della prima infanzia e rimane ben salda nel nostro inconscio.

Invenzione del canone di bellez-za. Vediamo bene in ogni occasione della nostra vita che la bellezza non è solo una percezione, un’emozione inconscia soggettiva. Soprattutto in occidente si è utilizzata anche un’altra idea di bellezza, culturalmente e stori-camente mediata, che pur variando in forma e contenuti, è rimasta costante nel fornire modelli ideali, collettivi e omologanti, fonte di privilegi per chi ne ha detenuto il controllo. La bellez-za è da sempre usata per trasmettere cultura, per favorire l’apprendimento e stimolare la conoscenza. Il piacere del sapere ha gli stessi circuiti neuronali di ogni altra forma di piacere. La bellez-za può però servire a bloccare curiosi-tà e dubbio, le basi della conoscenza, quando si pone a sostegno di una veri-

tà assoluta. In occidente tutto sembra partire dalla Grecia. La bellezza ideale dell’arte greca, estrinsecata nella rap-presentazione del nudo, sta alla base della nostra cultura artistica tanto che lo studio del corpo umano è ancora fondamentale nelle nostre accademie di disegno. Il nudo pone l’opera fuori dal tempo e dal contesto, esclude il simbolico terreno così che la bellezza di questi corpi avvicina l’uomo agli dei, che avevano sembianze umane. In oriente, invece, lo studio è stato rivolto al paesaggio e alle rocce, alla perfezione dell’atto e alla sintonia con la natura. Ma cos’era la bellezza nel mondo gre-co antico emerge dalla tragedia attica. Queste opere che venivano lette e re-citate nei teatri rappresentavano l’esse-re umano, sempre al centro, nelle sue contraddizioni e come contenitore di istanze opposte. Da una parte lo spirito Apollineo, legato alla spiritualità della vita, al mondo ideale, al collegamento con il mondo degli dei, dall’altra lo spi-rito Dionisiaco frutto della vita reale, terrena, dei piaceri offerti dal nostro corpo, delle soddisfazioni della vita che però non dimentica il suo aspetto mortale. Da qui, da questa consapevo-lezza, nasceva la tragedia e la bellezza dell’uomo stava proprio nel contene-re questi opposti, nell’equilibrio che permetteva di avere soddisfazione da questa vita mortale elevando però lo spirito a un mondo ideale. Da Plato-ne in poi, per oltre duemila anni, lo

spirito Apollineo ha preso il sopravvento. La bellezza non risiede più nel nostro corpo e nella vita terrena, ma in un altrove ideale, nel mondo del-le idee, in una luce fuori dalla dimensione umana. La dottri-na Cristiana utilizzerà questa idea Platonica e con Agostino convertirà il Dio del terrore o dell’amore in un Dio bello, ribadendo la bellezza della tra-scendenza e del cielo, creatore e modello di ogni bellezza. Nella bellezza pura del paradi-so la vita continuerà, la morte verrà vinta e la tragedia attica, che faceva perno sulla caducità della nostra vita, non avrà più spazio. Plotino, infine, parlerà di“… quella forma-idea del-la bellezza utilizzata come si utilizza una riga per giudicare se una cosa è dritta”. È la crea-zione di un canone di bellezza che esalta lo spirito Apollineo

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mentre relega il Dionisiaco e il terre-no, compresa la donna, al male, alla bruttezza, al demonio. È l’utilizzo della bellezza nella formazione delle coscienze. In occidente coesisteranno per secoli un bello aggettivo da riferirsi alle cose e “Il bello” sostantivo relativo all’idea del bello assoluto al quale dob-biamo aspirare seguendo un preciso ca-none estetico ed etico. Per secoli l’idea della bellezza è stata, così, sbilanciata a uno degli opposti, quello spirituale, demonizzando tutto ciò che è bellezza o piacere terreno. Questa idea di bel-lezza assoluta, lontana da noi, ma rag-giungibile in un altro mondo in base alla nostra condotta di vita, ha favorito l’apprendimento di un vero e di un buono assoluti. Questa cornice di sen-so di stampo religioso che ha offerto al potere spirituale/terreno il privilegio di poter decidere cosa sia vero, cosa sia

bello e cosa sia buono, ha dominato la vita sociale almeno fin quando il mondo ha iniziato a secolarizzarsi. Il paradosso è che, nel mondo moder-no, altre cornici di senso hanno preso il posto della religione e della trascen-denza mantenendo inalterata l’idea di una bellezza calata dall’alto e sempre altrove rispetto a noi: il partito, il sol dell’avvenire, l’idealismo, la scienza, il mercato si sono via via avvicendati nel dirci cosa dobbiamo intendere per vero, bello e buono. Ne sono esempio le propagande dello stalinismo e del nazismo che avvicinavano i leader alla bellezza assoluta e utilizzavano l’Arte e la bellezza per diffondere valori come la fedeltà e il lavoro al servizio dello Stato. I regimi moderni si comportano nello stesso modo. La sublimazione dei leader avviene ancora attraverso la bellezza, dei quali sono i portatori,

che ha la funzione di conquistare consenso. La bellezza, utilizzata in modo utilitaristico, serve quindi sia l’este-tica che la politica. Questo schema è stato posto in discussione dall’arte moderna e contemporanea, che ha smascherato la sua ambiguità, e dalle neu-roscienze che scientifi-camente hanno dimo-strato l’inconsistenza di queste verità asso-lute e il relativismo di ogni prodotto della mente dell’uomo.

Bellezza e deside-rio. Governando cosa sia vero, bello e buono chi detiene il potere politico e culturale di un dato periodo stori-co, cala dall’alto i suoi valori e condiziona scelte e desideri pro-

muovendo una bellezza “in comune”, data per opinione pubblica, ma figlia di mode, pubblicità, suggestioni mo-rali, leggi di mercato. In questa socie-tà dove l’omologazione e l’apparenza guidano i desideri è molto evidente che l’idea di bellezza non nasce dalla nostra soggettività. Il cinema è stato l’esempio più lampante di come nuovi miti, non più trascendentali, ma legati alla socie-tà dei consumi, abbiano imposto una bellezza culturalmente mediata che ha creato mode, ha influenzato la psicolo-gia e i comportamenti dei consumatori modificando il modo stesso di rappor-tarci agli altri, di tenere la sigaretta, di rimanere seduti sulla moto, di provare piacere, di fare sesso, di consumare. Una bellezza che ha occupato i nostri sogni e stimolato desideri comuni sem-pre più incalzanti e impegnativi, in un surplus di godimento mai pago che si riduce all’omologazione a un modo di essere e di pensare che risponde solo a esigenze di mercato. La televisione, con la trivializzazione dei program-mi e dei messaggi e la banalizzazione della pubblicità, ha in parte smitizzato l’Olimpo del Cinema, apparentemente democratizzato l’accesso alla bellez-za ora appannaggio di tutti, a patto di restare all’interno delle mode e dei consumi. Rimane quindi una bellezza, molto più differenziata, ma sempre ca-lata dall’alto. Basta leggere Il discorso dei capelli di Pasolini (in Scritti Corsari) per capire come il mercato riesca a far suo e sfruttare ogni spunto di soggettività, i capelli lunghi allora, i tatuaggi oggi, trasformandoli da forme di protesta o di manifestazione di una propria indi-vidualità a mode omologanti. È però evidente che il sistema dell’industria culturale di massa ha cambiato sogget-to, dal divismo e dalla bellezza colletti-va il mercato ora ha disseminato l’idea di bellezza anche su quei piaceri cor-porali che fino a pochi anni fa erano amorali e diseducativi. Ha semplice-mente innalzato il valore di consumo, delle cose, del corpo, della cultura a metro di bellezza ribaltando inizial-mente il detto “è bello ciò che piace”, figlio del pensiero antico, in “ciò che è bello, piace” dell’era moderna dove il bello è determinato dall’esterno e il piacere si adegua. L’ultimo effetto, con-temporaneo, della legge di mercato 19

Anemosneuroscienze

Figura 1.2 - Sotto Marcel Duchamp (1887-1968) con la sua opera ready made Bicycle Wheel. Il ready made è un comune manufatto di uso quotidiano che diventa opera d'arte una volta prelevato dall'artista e collocato in una situazione diversa da quella del suo normale utilizzo.

A NumeroMonograficoApr-Giu 2016 | anno VI - numero 21

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Neuroscienze Biologia

Indicazioni bibliografiche

Jean Pierre Changeux. Il bello, il buono, il vero. Raffaello Cortina Editore. 2013Arthur C. Danto, La trasfigurazione del banale, (1981) Laterza 2008Pier Paolo Pasolini. Scritti corsariMarco Pivato. Noverar le stelle. Cosa hanno in comune scienziati e poeti. Donzelli, 2015

Franco Rella. L’enigma della bellezza. Feltrinelli. 1991Carlo Rovelli. La realtà non è come appare. Raffaello Cortina Editore 2014Semir Zeki. Splendori e miserie del cervello. Le scienze. 2011Semir Zeki. La visione dall’interno. Bollati Boringhieri. 2003Slavoj Zizek. Il trasch sublime. Mimesis. 2013

Marco Ruini. Neurologo e neurochirurgo. Responsabile del centro Medico anemos di Reggio Emilia.

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è “ciò che vale è bello” e quindi “ciò che vale piace”. Sono le cose

che valgono, oggi, fonte d’invidia e di desiderio, mentre l’idea di bello è sempre relativa al contesto. Un ogget-to kitch o trash, pubblicizzato bene o trasformato in oggetto cult, di valore e quindi elitario, diviene bellissimo. La storia dell’arte ci aiuta a capire questo stravolgimento.

Arte e bellezza. La fruizione dell’arte è strettamente legata ai fattori emozio-nali che generano piacere e gratifica-zione, e utilizza, del cervello, le stesse strategie che portano alla conoscenza e alla interpretazione del mondo. L’Arte è un importante veicolo di conoscen-za. La percezione dell’arte stimola reti neuronali che provocano nel cervello dei correlati neurobiologici e possiamo dire che, tra le tante forme di linguag-gio, quello dell’arte riesce a utilizzare al massimo le capacità di astrazione, di formazione dei concetti e di utilizzo delle metafore che sono i perni della conoscenza. Ma come può un’ope-ra d’arte provocare un’emozione? Come mai riconosciamo in un oggetto un’opera d’arte mentre per altri è insi-gnificante? Perché il bello non è uni-versale? Ci viene in aiuto Danto con la sua opera del 1981 La trasfigurazione del banale. Secondo questo autore a fare l’opera d’arte è in primo luogo quel che sappiamo, non quel che sentiamo. Le creazioni culturali di successo devono echeggiare quanto del mondo già sappiamo e percepiamo, riagganciarsi a significati pre-esistenti. L’arte che lascia il segno ha in se un elemento di originalità o di innovazione, ha un tocco di sorpresa, ma non così profonda-mente originale o strano da non poter essere riconosciuto dal pubblico. Per riconoscere la bellezza e l’arte in un oggetto, in una poesia, in un brano musicale occorre che questo richiami in noi qualcosa che già sappiamo e conosciamo (que-sto è l’aspetto gratificante che stimola

i circuiti cerebrali del piacere), e che aggiunga un surplus di novità che ol-trepassi i confini, si apra all’immagi-nazione, sia fonte di meraviglia e del brivido dell’inesplorato (fonte di pia-cere per alcuni, di paure per altri). Le radici sono quindi importanti, come ha capito alla fine il protagonista de La grande bellezza di Paolo Sorrentino. La cultura e le conoscenze di chi fruisce dell’opera sono indispensabili per farci provare l’emozione del bello. Secondo Duchamp è colui che guarda che rico-struisce i significati e completa l’opera creativa. Quando l’avanguardia ha po-chi collegamenti con il passato e con la gente, resta appannaggio di una piccola elite. Per farsi riconoscere deve quindi scandalizzare, alzare la voce o nessuno sentirebbe. Oppure necessita di un im-portante apparato critico che crei una cornice di senso. Slavoi Zizek in Il trash del sublime (2013) spiega come dopo i ready made di Duchamp e la Merda d’artista di Manzoni (1961) è diventato evidente che ciò che fa di un oggetto un’opera d’arte non sono semplicemen-te le sue caratteristiche materiali, ma il luogo che occupa, il luogo simbolico dell’arte che non è tanto l’istituzione o l’accademia quanto la cornice di senso. Se nell’epoca premoderna questa cor-nice era data dalla religione e dal mito, nell’epoca moderna dove il mito era passato alla scienza, il sociale, la realtà, l’inconscio hanno rappresentato questa cornice. Con il distacco dell’arte dalla vita e la morte dell’arte tradizionale so-stituita da un’arte autonoma, l’arte per l’arte, come ipotizzato da Hegel, l’ar-tista si è trovato a dover creare, prima ancora dell’opera d’arte, una cornice di senso per il proprio lavoro. Per un cer-to periodo l’ha trovata nel rifiuto degli accademismi, della bellezza, dei vincoli (Marinetti ha chiamato il manifesto del futurismo del 1909 Uccidiamo il chiaro di luna), poi ha utilizzato il negativo, come gli escrementi, per screditare

un’arte che non sapeva più dove anda-re e che infine è stata completamente assorbita dal mercato. Sono i critici d’arte ad aver sopperito alla ricerca di cornici di senso per portare avanti i propri protetti. E noi cittadini o amanti della creatività e soprattutto collezioni-sti ci siamo lasciati portare per mano dai nuovi modelli di bellezza, dal kitch al trash, dal gigantismo alla tecnoart, dalle performance all’arte ingenua, ac-calorati, irretiti sempre più non tanto dalle suggestioni, quanto dal valore di mercato. L’arte ci conferma ancora una volta come i circuiti cerebrali che ri-conoscono la bellezza e producono le emozioni, siano governati da canoni e mode che ci giungono dall’esterno, la bellezza è una costruzione sociale che è servita per duemila anni a selezionare privilegi e potere e, ora, serve a soste-nere un’economia di mercato dove è bello ciò che vale. Ci conferma anche che la nostra vita sociale non può fare a meno della bellezza. Oggi ci sono tanti tentativi di ricreare messaggi identitari attraverso forme di bellezza autonome, vedi i modelli Punk, i tatuaggi, il misti-cismo, la street art, ecc., ma ogni volta che uno di questi ha successo, la moda e il mercato lo inquinano e lo coloniz-zano. Sappiamo però che è anche pos-sibile far crescere una bellezza soggetti-va, non è scontato che ci si debba tutti omologare. È necessaria un’educazio-ne diversa alla creatività, alla bellezza, alle emozioni e soprattutto un modo di vedere il mondo da più angolazioni, come se lo si vedesse dall’esterno, per poterci liberare da desideri incongrui, luoghi comuni, mistificazioni e essere un po’ meno asfissiati da condiziona-menti e paure di uscire dallo spazio protetto e sicuro dell'omologazione, della normalità. È il tentativo che stia-mo cercando di attuare associando di nuovo cultura scientifica e umanistica, scienza e arte.■

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Anemosneuroscienze

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CERVELLOe percezione esteticaDALL’OcchIO BIOLOgIcO ALL’OcchIO DELLA mENtE

parole chiave. Neuroestetica, informazione sensoriale, codici neuronali.

Abstract. tutte le rappresentazioni complesse, comprese quelle emotive e di godimento estetico, sono percepite dalla mente attraverso la percezione sensoriale e la sua elaborazione dovuta al siste-ma nervoso. l'articolo descrive in termini divulgativi come nella costruzione di queste rappresenta-zioni interne del mondo visivo sia possibile rilevare l’opera dei processi creativi del cervello stesso. si introduce, inoltre, il concetto di correlazione tra percezione (propria anche del godimento estetico) e coscienza della percezione stessa, avanzando una visione non unitaria della coscienza. In altre parole, fenomeni complessi sarebbero il frutto di "microcoscienze", generate indipendentemente ed autono-mamente in diverse aree corticali.

di Bruno Zanotti e Angela Verlicchi2App

La totalità dell’informazio-ne sensoriale che arriva al cervello viene convertita in codici neurali, cioè in sche-mi di potenziali d’azione

generati dalle cellule nervose. Queste ultime, dette neuroni, sono le unità elementari del sistema nervoso cen-trale che, mediante la generazione di brevissimi potenziali elettrici “tutto o niente”, veicolano le informazioni di

vista, udito, tatto, ecc. dalla periferia alla corteccia cerebrale.L’informazione sensoriale in entrata, ai livelli superiori viene analizzata ed elaborata alla luce dell’esperienza pas-sata e sfocia nella generazione di una rappresentazione interna che è perce-zione del mondo esterno.Tutto quanto viene correlato alla co-siddetta neuroestetica, di fatto trae ori-gine dagli studi sul sistema visivo ed i

relativi correlati neuronali che portano alla trasduzione-integrazione coscien-te degli stimoli luminosi.Infatti, si è soliti sostenere che il cer-vello è creativo in quanto genera le rappresentazioni interne di tutto ciò che, in qualità di osservatori e/o artisti, “vediamo” intorno a noi.Sappiamo che l’attività delle cellule nervose in specifiche regioni del cer-vello ci induce sia alla percezione ◄

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Neurofisiologia Psicologia

di quello che si identifica con l’arte sia alla risposta emotiva che

questa da luogo nello spettatore.Ma quali sono i meccanismi neurali che sottendono i nostri processi visivi ed emotivi?È acclarato che la visione inizia negli occhi. Questi sono deputati a rileva-re le informazioni che arrivano dal mondo esterno sfruttando gli stimo-li luminosi. Una lente, il cristallino, concentra, capovolge e proietta una piccola immagine del mondo esterno in modalità bidimensionale su una su-perficie denominata retina. La retina, in estrema sintesi, è uno strato di cel-lule nervose differenziate che riveste la parete posteriore dell’occhio. Per me-glio comprendere si può ritenere che le cellule specializzate della retina rap-presentano l’oggetto esterno allo stes-so modo in cui i pixel dell’immagine sul computer somigliano all’immagine reale che si visualizza sullo schermo. Va subito affermato che sia il sistema computazionale sia il sistema biologi-co portano ad una elaborazione delle informazioni. Infatti, il sistema visivo, a livello cerebrale elabora delle rap-presentazioni, i cosiddetti codici neu-rali, sintesi di una grande quantità di elaborazioni, che sono di gran lunga maggiori delle scarne informazioni che arrivano al cervello dall’organo della vista.L’immagine della retina viene dappri-ma decostruita in segnali elettrici e poi questi segnali vengono ricodificati ed, in base alle regole della Gestalt e dell’esperienza precedente, ricostruiti ed elaborati nell’immagine che perce-piamo. Anche se i dati raccolti dagli occhi non sono sufficienti per formare il contenuto ricco di ipotesi che defi-niamo visione, ci pensa il cervello ge-nerando ipotesi molto accurate.Nella costruzione di queste rappre-sentazioni interne del mondo visivo è possibile rilevare l’opera dei processi creativi del cervello stesso.“L’occhio della mente” va quindi ben oltre quell’immagine complessiva sulla retina del nostro occhio fisico. Tutte queste informazioni aggiunti-ve sono frutto di una elaborazione a più livelli che si crea all’interno del cervello stesso. La via della visione è

una circuitazione che si estrinseca in parallelo. Della complessa via della vi-sta (o, meglio, delle viste) va menzio-nato almeno il talamo che si trova al centro di ciascun emisfero cerebrale e rappresenta un grande collettore dove giunge e riparte verso la corteccia ce-rebrale tutta l’informazione sensoriale, tranne quella olfattiva. Il talamo ha un nucleo, denominato genicolato late-rale, che è specializzato nella visione e porta ad una prima elaborazione

dell’informazione che proviene dalla retina dell’occhio per poi inviare quan-to implementato alla corteccia visiva primaria nel lobo occipitale e succes-sivamente ad una trentina di altre aree supplementari nei lobi occipitali, tem-porali e frontali della corteccia cerebra-le. Questo ci porta a dire che le cellule nervose che sono deputate all’elabo-razione dell’informazione visiva sono raggruppate in centri gerarchicamente strutturati dove ciascun aggregato ela-bora un particolare processo di trasfor-mazione dell’informazione in entrata in modalità altamente specializzata. In

sostanza, una data area analizza ed im-plementa tutti i dati in entrata e la sta-zione successiva li rianalizza, ma por-tando l’informazione ad un livello più elevato. Da questo consegue che se si verifica un danno in un determinato distretto visivo, non si perderà l’intera visione, ma solo un aspetto parcellare della visione, per esempio il colore. Da questo discende anche un altro assunto postulato da Samir Zeki: non vediamo tutto contemporaneamente.

Il colore è visto prima del movimento e prima della forma. L’espressione del viso è vista prima del riconoscimento fisionomico: vediamo prima la rabbia che emana il volto e poi identifichia-mo a chi appartiene quel viso. Tutto questo complessivamente si situa in un tempo di cento millisecondi.Non va dimenticato che esiste un’al-tra piccola area nel tronco encefalico, precisamente nel mesencefalo, che contiene degli aggregati neuronali che sono implicati nella gestione dei mo-vimenti oculari. Movimenti che sono importanti nella selezione degli ogget-

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Anemosneuroscienze

ti rilevati nel mondo esterno, compre-si quelli che vediamo in un dipinto.Il concetto di “vedere” ha come epife-nomeno il fatto di “essere coscienti”. Da questo discende che la coscienza non solo è distribuita nello “spazio”, ma anche nel “tempo”. Perché si è co-scienti del colore dopo essere stati co-scienti del movimento. Se questo as-sunto è vero, ne deriva che non esiste una coscienza unitaria (tranne quella che identifica il nostro sé ed è l’unica disponibile tramite il linguaggio), ma piuttosto esistono molte “microco-scienze”. In altre parole, la coscienza

fenomenica di una determinata sce-na, costituita da molteplici elementi quali contorni, colori, movimento, suoni, ecc., potrebbe essere il risulta-to di una serie di coscienze atomiche, definite microcoscienze, generate in-dipendentemente ed autonomamen-te in diverse aree corticali. Il legame di singoli attributi sfocerebbe in una “macrocoscienza”. Se questi legati fos-sero non coerenti potrebbero portare ad associare un colore “sbagliato” con forma e movimento “giusti”. Questo si genererebbe nelle fasi in cui il cervello “collega” le varie elaborazioni-imple-mentazioni visive.Ma come avviene il “trionfo analiti-co della percezione visiva”? Secondo Richard Gregory il cervello non può essere paragonato ad un libro illustra-to: “Quando vediamo un albero c’è un immagine ad albero nel cervello?” La sua risposta è perentoriamente ne-gativa. Il cervello, invece di possedere un’immagine, ha un’ipotesi su un al-bero e su altri oggetti del mondo ester-

no che riflette l’esperienza cosciente del vedere.Tesi sostenuta anche da Francis Crick che ha affermato che per quanto ci possa sembrare di avere nel cervello un’immagine del mondo visivo, in re-altà ne abbiamo una rappresentazione simbolica, un’ipotesi.E.K. Kandel, per semplificare la com-prensione, sostiene che basta pensare ai computer o ai televisori. Sono appa-recchi che presentano continuamente delle immagini, ma se apriamo il com-puter o la televisione non troviamo elementi fisici che “contengano” or-dinatamente le immagini, ma trovere-mo invece dispositivi atti a trattare ed elaborare dati codificati. Nel mondo biologico, non abbiamo ancora tutti i dettagli dei meccanismi neurali che sottendono a questa raffigurazione simbolica. Simbolo che, rammentia-molo, rappresenta qualche cosa che sta per qualche cosa d’altro, come fa la parola.Assodato che la bellezza, la carità, la pietà, l’amore sono tutte frutto dell’at-tività neurale, c’è comunque da chie-dersi perché gli esseri umani creano ed amano l’arte. Non solo, esistono degli “universali estetici” valevoli come sot-tofondo per tutti?C’è da pensare che l’arte in definitiva è stata elaborata e si è evoluta come “simulazione virtuale della realtà”. Ma anche dire ciò può essere riduttivo. Forse si avvicina di più chi pensa che l’arte sia una metafora. Il fatto è che però, ad oggi, non sappiamo quale sia la base neurale della metafora.In definitiva, per ora, si può solo adot-tare l’aforisma di Chris Frith: “la no-stra percezione del mondo è una fan-tasia che coincide con la realtà”. ■

Indicazioni bibliografiche

Crick F., La scienza e l’anima. Rizzoli, Milano, 1994.Frith C., Inventare la mente. Raffaello Cortina Edi-tore, Milano, 2009.Gregory R.L., Vedere attraverso le illusioni. Raffael-lo Cortina Editore, Milano, 2010.

Kandel E.R., L’età dell’inconscio. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2012.Ramachandran V.S., Che cosa sappiamo della mente. Mondadori, Milano, 2006.Zeki S., Con gli occhi del cervello. Di Renzo Editore, Roma, 2008.

Figura 2.1 e 2.2 - A fianco uno schema che descrive la catena psicofisica che porta alla percezione visiva.sopra schema del cervello. si vede bene la posizione del talamo, un grande collettore dove giunge l'informazione, anche visva, e riparte verso la corteccia.

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Bruno Zanotti. ph.d. in scienze e tec-nologia cliniche, specialista in Neurologia e Neurochirurgia. segretario Nazionale della Società di Neuroscienze Ospedaliere (SNO). Direttore Scientifico della rivista “Topics in Medicine” ed Editorial assistant del periodico “Progress in Neuroscience”.

Angela Verlicchi. specialista in Neuro-logia, collabora con la “Libera Università di Neuroscienze anemos” di Reggio Emilia e l’Associazione “SOS Cervello”. Con B. Za-notti ha pubblicato, fra l’altro, “Il coma & Co.” ed ha curato il volume “Statovegetativo.it - I limiti della medicina che salva”. È direttore editoriale della new Magazine edizioni.

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parole chiave. Fotografia, aree cerebrali, realtà, percezione.

Abstract. Quando osserviamo un'immagine, un determinato nume-ro di specifiche aree cerebrali lavora contemporaneamente su diversi aspetti dell'immagine visiva, sulla determinazione del colore, sull’ana-lisi del movimento e sul riconoscimento dei volti. attraverso i millenni gli artisti hanno agito inconsapevolmente come neurologi nel deter-minare quali costruzioni e composizioni siano in grado di stimolare la nostra mente.

di Marco Aguggia1In

La percezione visiva fotografica. I moderni strumenti di immagine funzionale cerebrale of-frono la possibilità di fis-

sare immagini estremamente precise e dettagliate, consentendo il rilievo di aspetti sempre più nuovi dell’at-tività e della struttura cerebrale, fa-vorendo il progresso della ricerca nell’ambito delle neuroscienze. Con un meccanismo ancora in buo-na parte sconosciuto la mente co-sciente percepisce, analizza e giudi-ca un'immagine come coerente ed anche bella. La percezione visiva può essere suddivisa in due fasi: nel corso dell’elaborazione Bottom-up (scansione visiva iniziale) le carat-

teristiche salienti di una scena ri-cevono attenzione focalizzata im-mediata (o fissazione) durante la quale il percorso di scansione della nostra visione rapidamente cam-piona l'immagine per ritornare poi velocemente, più volte, alle caratte-ristiche più interessanti. La seconda fase della percezione visiva implica invece una direzionalità volontaria dello sguardo (volition). Questa fase attentiva, definita come Consape-volezza Top-Down, si fonda su ca-ratteristiche tipicamente individua-li. Nella visualizzazione di un'opera d'arte, la scansione visiva iniziale (Consapevolezza Bottom-up) può dare risalto ai volti e ad altre ca-ratteristiche salienti, per fornire

LA BELLEZZAfotograficatRA REALtà, ERRORE ED INgANNO

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una prima impressione. Nella seconda fase (Consapevolezza

Top-Down), l'osservatore può uti-lizzare la formazione, l'esperienza e l'educazione per valutare il lavoro contestualizzando l'opera. Le due fasi di percezione visiva descrit-te coinvolgono reti neuronali che appartengono al cosiddetto DMN (Default Mode Network), costitui-to da aree fronto-temporo-parietali, cingolate ed ippocampali. Le immagini artistiche possono es-sere suddivise, nell’apprezzamen-to estetico, in due tipi: “immagini Albertiane” (dagli studi di Leon Battista Alberti) ed “immagini Ke-pleriane” (dalle scoperte di Joahn-nes Keplero) che danno vita a due modi distinti di relazionarsi con l’immagine.

Le prime sono assimilabili a finestre attraverso cui l’osservatore si affac-cia su una visione non reale che esaurisce il suo significato all’in-terno della cornice. Le seconde, kepleriane, sono immagini in cui la cornice è rappresentata dall’espe-rienza visiva di un osservatore nei confronti del mondo reale. La foto-grafia è il mezzo più potente per la diffusione di immagini kepleriane, avendo in sé una struttura tecnica in grado di testimoniare fedelmen-te il punto di vista di un osservato-re. Da qui l’ipotesi che il giudizio estetico delle due differenti rappre-sentazioni artistiche coinvolgerà at-tività cognitive differenti ciascuna con specifiche strategie interpreta-tive proprie. Come detto, la visione fotografica

attiva determinate aree cerebrali, quali la corteccia prefrontale ven-tromediale e la corteccia visiva primaria. Nell’ambito di differenti espressioni artistiche, i recenti studi di fMRI hanno dimostrato come la percezione di una rappresentazione corporea in un’opera pittorica atti-vi reti neuronali ed aree cerebrali differenti rispetto alla percezione di un’immagine fotografica. Nel primo caso verrebbero reclutate aree cerebrali parietali, soprattutto di destra, e corteccia extrastriata mentre nel secondo caso la cortec-cia ventromediale frontale sarebbe primariamente interessata insieme alle aree corticali visive primarie. (Fig. 3.1)Fin da subito la fotografia venne utilizzata anche come strumento

Biologia Psicologia

Figura 3.1 - aree cerebrali coinvolte

nella processazione di immagini pittoriche (A) e fotografiche (B) (EC corteccia extrastriata; pvc corteccia visiva

primaria; rpc corteccia parietale destra; vMpfc

corteccia prefrontale ventromediale) (Lutz

2013).

AA

AB

B

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Anemosneuroscienze

scientifico, ciò in considerazione della sua nascita a seguito di studi chimici, ottici e geometrici. L’esse-re da subito considerata mezzo di rappresentazione reale del mon-do, diede ad essa un'autorevolez-za comparabile alla scienza stessa. La luce (natura) era l'attrice attiva mentre il fotografo (artista) era os-servatore e ricercatore, similmente allo scienziato. Dopo la nascita del dagherrotipo, ogni periodo dota-to di uno stile pittorico distintivo ebbe una maniera fotografica paral-lela derivata ed ispiratrice, model-lante la corrente pittorica del mo-mento. (Fig. 3.2)Determinante fu la capacità foto-grafica di analizzare e riprodurre immagini in maniera superiore alle capacità visive dell'uomo. Edwe-ard Muybridge nel 1878 studiò il movimento del cavallo durante il galoppo, dimostrando che, alme-no in un preciso istante, le zampe dell’animale venivano a trovarsi contemporaneamente sollevate dal terreno. Tale rilievo, impossibile ad occhio nudo, aveva per lungo tem-po sollevato discussioni e dispute con tentativi infruttuosi di dimo-strazione in altro modo. (Fig. 3.3)

Il giudizio estetico fotografico. Mentre l’occhio compie un’azione di pura registrazione soggettiva, la

fotocamera è un mezzo impregna-to di oggettività. La fotocamera non possiede l’anima (intesa come “la capacità di provare emozioni e trasferirle all’immagine”) e diviene quindi compito del fotografo tenta-re di sopperire a questa carenza, per far sì che la visione del mezzo mec-canico si avvicini a quella fornita dal proprio sistema visivo. Il tenta-tivo ultimo del fotografo è quindi quello di essere in grado di ripro-durre la sua “immagine mentale”, superando le limitazioni oggettive date dal mezzo fotocamera, per as-similarla al proprio sistema visivo.Nell’osservare una fotografia, ap-pare naturale domandarsi: perchè mi piace? Cosa mi attrae di più di quest’immagine rispetto ad un'al-tra? Esistono regole tangibili inter-soggettive che determinano un giu-dizio di unanime gradimento o di rifiuto fotografico. A ciò contribui-scono: a) fattori antropologico-cul-turali; b) fattori di tipo inconscio; c) fattori linguistici non verbali; d) Fattori proporzionali.

Fotografia e realtà. La verità fo-tografica, come altre verità, poggia su basi culturali, religiose, storiche, e sociali, in pratica sulla natura umana. La realtà non è statica, è in continuo movimento, in fase di revisione, mano a mano che nuo-

vi aspetti della vita continuamen-te vengono alla luce. La fotografia riflette, tuttavia, sia le verità dure-voli che quelle mutevoli. Oggi, per quanto coscienti della manipola-zione applicabile ad una fotografia in fase di post-produzione, mante-niamo spesso la convinzione che, in tutto o in parte, l’immagine sia espressione della vita reale. Solo un'adeguata analisi dell’allinea-mento della fotografia con la realtà può controbilanciare la primitiva e radicata convinzione della sua au-tenticità.

Fotografia ed errore. Il termine serendipity descrive la probabilità di vedere i propri errori trasformarsi in un successo non cercato, lega-to alla casualità. Alla fine del XIX secolo, con lo sviluppo della foto-grafia amatoriale e l’uso di lastre metalliche per la riproduzione fotografica (cliché), la frequenza

Figura 3.2, 3.3 e 3.4 - Nelle immagini qua sotto, da sinistra, foto di Alfred Stieglitz 1911. Parigi. La vittoria dell’impressionismo.al centro Edweard Muybridge, Successione di fotogrammi di un cavallo al galoppo. a destra, JE lartigue, t. schneider N.6, gran premio automobilistico di Francia, 1913.

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Figura 3.5 e 3.6 - Di fianco a sinistra, r.itratto di Mary Todd Lincoln, 1869.Sotto, radiografo portatile, Baraduc e Darget. 1887

Biologia Psicologia

degli errori aumenta causan-do una netta recrudescenza di

sfocatura, fantasmi e sdoppiamenti, pellicole velate o danneggiate. Nel 1913, durante il Gran Premio Au-tomobilistico di Francia, Jacques-Henri Lartigue fotografò la Th. Schneider n.6 di Maurice Croquet in piena velocità. (Fig. 3.4)All'epoca il risultato venne con-siderato insoddisfacente: la foto appariva sfocata, non centrata sul soggetto primario e deformata. Lartigue confessò che durante lo scatto aveva fatto perno ruotato su se stesso “per riuscire a fotografare una Peugeot che sfrecciava a 180 all'ora”, determinando una ana-morfosi finale. Il flou, il decadrage e la deformazione saranno, circa 40 anni dopo, i nuovi canoni del futurismo, ed oggi, l’effetto sfocato (effetto bokeh) viene spesso ricerca-to come un espediente tecnico per

reportage sportivi, di moda, nella ritrattistica e in servizi sportivi e naturalistici.Nei primi anni del '900, un altro errore fotografico generò il filone “dell’auto-ombromania”, dovuto al posizionamento del fotografo con le spalle al sole. Errore comune del fotografo inesperto, venne raccolto da fotografi evoluti come ricerca e sperimentazione di scatto. Dagli anni Venti in poi, l’ombra diretta o portata, da sempre considerata er-rore di scatto, venne invece a rive-stire aspetti di modernità fotografi-ca con il filone Bauhaus.

Fotografia e inganno. Tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 la veri-dicità fotografica fu messa a dura prova dal movimento spiritista. Gli spiritisti, considerandosi in un cer-to senso scienziati dell’occulto, cer-carono di utilizzare la fotografia per

catturare evidenze e prove scientifi-che. Nel 1861 a Bo-

ston, Wiliam Mumler, gioielliere ed incisore, fu il primo fotografo ad annunciare di avere riprodotto l'immagine fotografica di uno spi-rito, che spesso ricalcava le sem-bianze di defunti. L’assoluta cre-denza dell’oggettività e neutralità dell’immagine fotografica indusse a ritenere l'occhio umano in errore, considerandolo incapace di visua-lizzare immagini visibili invece da un mezzo imparziale. Celebre fu il ritratto fatto da Mumler alla moglie del presidente Lincoln, Mary Todd Lincoln, in cui appariva il fantasma di Abraham. (Fig. 3.5)L'inganno fotografico assunse aspetti grotteschi con la “fotografia del pensiero”: i due studiosi Hip-polyte Baraduc e Louis Darget, nel 1886, idearono il radiografo por-tatile, grazie al quale si riteneva possibile catturare l’immagine pro-dotta dal cervello! Lo strumento si componeva di piccola fodera opaca caricata con una lastra sensibile fis-sata sulla fronte. (Fig. 3.6) Analo-

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gamente, l’efflu-vista Jacob von Narkieviz nel 1896, fotografò il “fluido vitale” della sua mano, appoggiandola su di una bobi-na generatrice di corrente su lastra sensibile. E ancora: un vero e proprio “culto della mor-te” si venne ad affermare nella nascente Ameri-ca Vittoriana. La fotografia death-bed era per molti aspetti la contro-parte del dipinto sul letto di morte fino ad allora in voga. La più famosa, e discutibile, di queste fotografie fu la Fading Away (Dissoluzione) di Henry Peach Robinson del 1858. (Fig. 3.7)La fotografia, ritraendo una giova-ne morente assistita dalla madre, dalla sorella e dal fidanzato, docu-mentava per la prima volta la realtà dell'agonia e della morte. Lo scal-pore fu solo in parte sopito quando si appurò che l’immagine era stata costruita in sala di posa con attori

che godevano tutti di ottima salu-te.

E quindi? L'esperienza dimostra che il cervello non è solo in grado di creare, apprezzare e giudicare le opere d'arte, ma che è strutturato per elaborare e finalizzare tali azio-ni. Attraverso i secoli gli artisti han-no agito inconsapevolmente come neurologi nel determinare quali costruzioni e composizioni siano in grado di stimolare la mente. Se è vero che esseri umani hanno ca-

pacità visive molto simili tra loro, il giudizio estetico contempla ampi margini di soggettività, senza ri-nunciare tuttavia a quel consenso che universalmente ci “appare bel-lo”… La ricerca continua.■

Figura 3.7 - Fading Away. henry peach Robinson, 1858.

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Anemosneuroscienze

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Marco Aguggia. Medico neurologo e fisia-tra, dirige l'unità operativa Neurologica e stro-ke Unit di asti. professore presso la scuola di specializzazione di Neurologia Università di torino membro consiglio direttivo e del grup-po di Studio di neuroestetica della SNO (So-cietà Neuroscienze Ospedaliere)

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Biologia Arte

parole chiave. arte, corpo umano, anatomia, Occidente, Orien-te.

Abstract. Le prime raffigurazioni del corpo umano hanno origini antichissime, risalgono infatti alla preistoria ed erano rappresentate sotto forma di graffiti. Da allora lo sviluppo della rappresentazione del corpo umano è diventato sempre più approfondito, prima nell'an-tica grecia e poi nel Rinascimento grazie allo studio dell'anatomia. se in Occidente la bellezza del corpo umano viene concepita come somma dei canoni estetici greci e della morale cristiana basata sulle forme e sulle proporzioni, al contrario in Oriente l’estetica si esprime nel significato simbolico.

di Salvatore SpinnatoIn

DALLA PREIstORIA AL mONDO FLuttuANtE

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il corpo umano nelle arti figurative. Le prime rappresentazioni figurative dell’immagine del corpo umano risalgono alla prei-

storia e compaiono nelle grotte sotto forma di graffiti. La figura maschile è rappresentata attra-verso simboli sessuali. La figura dominante è quella femminile, o meglio la concezione anatomica dell’ideale femminile, rappresen-

tata da statuette in pietra chiamate “veneri”, caratterizzate da attributi sessuali pronunciati. (Figura 4.1)Lo sviluppo delle arti figurative in Grecia presuppone delle cono-scenze anatomiche tali da fare rite-nere che fosse praticata la dissezio-ne. La rappresentazione del corpo umano si concretizza con il Dorifo-ro (figura 4.2) di Policleto (fine del V secolo a.C.) che stabilisce il canone e il metodo proporzio-

anatomica dEL CORPO

SULLA BELLEZZA Apr-Giu 2016 | anno VI - numero 21

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Anemosneuroscienze

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nale. Il primo corpo femmini-le nudo è l’Afrodite di Cnido

di Prassitele seguito dalla Venere di Milo (ca. 130-100 a.C.) e dall’Afro-dite Callipigia (II secolo a.C.). L’anatomia umana come disciplina fu riscontrata presso la scuola di Crotone con Alcmeone (V secolo a.C.) che inaugurò la dissezione de-gli animali. La pratica alla dissezio-ne del corpo umano trovò espres-sione nella scuola di Alessandria d’Egitto con Erofilo (ca. 325-280 a.C.) ed Erasistrato (ca. 310-250 a.C.), ma per più di 1500 anni la medicina fu influenzata dalle teorie del medico greco Galeno (ca.129-200 d.C.). Le conoscenze di ana-tomia si limitarono alle dissezioni praticate sul maiale, che furono ar-bitrariamente estese all’uomo. La presenza delle scuole giuridiche e l’esistenza di una scuola chirur-gica a Bologna si posero all’origine dello studio diretto del corpo uma-no. La prima dissezione fu pratica-

ta nel 1312 da Mondino de’ Liuzzi (ca. 1270-1326) che introdusse la pratica settoria nell’insegnamen-to di medicina e scrisse nel 1316 l’Anothomia, il primo trattato di anatomia, seguito dal primo libro di anatomia illustrato pubblicato nel 1521 da Jacopo Berengario da Carpi (1460-1530).

Studio dell'anatomia. Il ricono-sciuto innovatore dell’anatomia fu Andrea Vesalio (1514-1564) con la pubblicazione nel 1543 del De humani corporis fabrica. Vesalio eser-citò l’atto della dissezione diretta-mente sul cadavere e inserì immagi-ni di figure umane che rimandano agli ideali classici di bellezza e pro-porzione, il corpo concepito come una macchina venne “smontato” (figura 4.3). La nuova lettura della “fabbrica del corpo” inaugurò la tradizione dell’iconografia anato-mica rinascimentale. Bartolomeo Eustacchio (1520-1574) eseguì nelle

sue Tabulae una serie di incisioni su rame colorate a mano. Girolamo Fabrici d’Acquapendente (ca. 1533-1619) affermò con le Tabulae Pictae l’importanza dell’uso del colore nelle immagini anatomiche. Char-les Etienne (ca. 1504 - ca. 1564) nel De dissectione focalizzò l’atten-

Biologia Arte

Figura 4.1, 4.2 e 4.3 - a sinistra, Venere di Willendorf, ca. 27000-19000 a.C., Kunsthistorisches Museum, vienna. al centro, Doriforo, 450-420 a.C., Museo Archeologico Nazionale, Napoli. A destra, A. Vesalio, De humani corporis fabrica, 1543, basilea.

«L’interesse per l’anatomia del corpo

umano registrò nel Rinascimento la sua

massima espressione. Le ricerche più

significative furono condotte da Masaccio,

da Pollaiolo e da Mantegna.»

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Anemosneuroscienze

zione sul piacere generato dalla conoscenza anatomica concepita come un’esperienza estetica. Giulio Casserio (1552-1616) raffigurò le figure anatomiche come se fossero cadaveri “vivi” e Bernard Siegfried Albinus (1697-1770) le rappresentò come scheletri. L’anatomia divenne presto anche rappresentazione pub-blica nei teatri anatomici, come in quello di Padova, dove la dissezio-ne divenne spettacolo. L’interesse per l’anatomia del corpo umano registrò nel Rinascimento la sua massima espressione. Le ricerche più significative furono condotte da Masaccio (1401-1428), da Pollaiolo (1432-1498) e da Mantegna (1431-1506). La rigida norma imposta dalla Controriforma e la preferenza verso i soggetti sacri orientarono a trasferire sul corpo di Cristo (figura

4.4), sulla figura di San Sebastiano e sulle raffigurazioni di San Barto-lomeo le competenze anatomiche acquisite. Che l’anatomia e l’arte siano collegate fra loro fu dimostra-to dagli studi di nudo da parte di Al-brecht Dürer (1471-1528) attraverso il tema di Adamo ed Eva, e la figura del David di Michelangelo (1475-1564) e di Donatello (1386-1466). Leonardo da Vinci (1452-1519) fu la più radicale espressione di uno studio diretto dell’anatomia, il pri-mo a “fare la notomia” su cadavere, proponendo con l’Uomo vitruviano un nuovo canone proporzionale di rappresentazione. Le opere di Leo-nardo e di Michelangelo sono state riprese dal fotografo Robert Map-plethorpe (1946-1989) con gli studi sul nudo maschile (Figura 4.5), un confronto in epoca contemporanea con i modelli rinascimentali cui si ispirava e un richiamo all’ideale della “bellezza anatomica”. Le dissezioni anatomiche carat-

terizzano il tema delle “lezioni di anatomia” nella pittura olandese del XVII secolo. Rembrandt (1606-1669) nella Lezione di anatomia del dottor Deijman recupera l’iconogra-fia del Cristo morto del Mantegna. Accanto alle “lezioni di anatomia” emerge la rappresentazione artisti-ca del corpo umano “spellato”, e lo Scorticato di Lodovico Cardi (1538-1613) anticipa la ceroplastica ana-tomica. La scarsa disponibilità di cadaveri e gli scadenti risultati ottenuti nella preservazione portarono nel XVIII secolo a diffondere a Bologna l’anatomia “plastica”, cioè l’arte di modellare in cera i preparati anato-mici. Nella “Stanza della Notomia” dell’Accademia delle Scienze del Museo di Palazzo Poggi sono espo-ste le opere dei maggiori ceroplasti italiani. La collezione delle cere del Museo “La Specola” di Firenze è unica al mondo per quantità e bellezza. L’eccezionale qualità e

Figura 4.4 - sotto a. Mantegna, Cristo morto, ca. 1500, pinacoteca di brera, Milano.

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la realistica espressività hanno reso questi modelli capolavori

delle arti figurative, tanto da essere presentati in mostre contempora-nee. L’anatomo-patologo Gunther von Hagens ha ripreso l’opera dei ceroplasti con la plastinazione, un procedimento che permette la con-servazione dei tessuti. (Figura 4.6)

La figura umana in Oriente. Se la bellezza del corpo umano in Oc-cidente era la somma dei canoni estetici greci e della morale cristia-na basata sulle forme e sulle pro-porzioni, l’Oriente, in particolare il Giappone, esclude massa, pro-porzioni, tridimensionalità e tratti somatici distintivi. L’estetica giap-ponese si esprime nel significato simbolico. Il Bello “nascosto” dal simbolo è lo sfondo apparente-

mente vuoto degli scenari naturali, è ciò che circonda quello che con-templiamo. La bellezza femminile diventa l’incarnazione dei desideri. Contrariamente alla tradizione oc-cidentale, il realismo e la differen-ziazione non erano richiesti.Le prime rappresentazioni della figu-ra umana nell’arte giapponese risal-gono al periodo Jomon (10.000-300 a.C.) con le sculture antropomorfe. Nel periodo Yayoi (V sec. a.C. - III sec. d.C.) compaiono le haniwa, statuette ricavate da cilindri di ar-gilla che caratterizzano il successi-vo periodo Yamato (250-710 d.C.) in cui si rappresentano sculture di guerrieri. Nei periodi Asuka (552-645) e Nara (710-794) il buddhismo influenza la rappresentazione della figura umana e compaiono le prime maschere Gigaku. La prima rappre-

sentazione di una forma di estetica giapponese del corpo compare nel periodo Heian (794-1192) con la raffigurazione delle dame di corte, nelle quali risalta l’abbigliamento rispetto al corpo. Nel periodo Ka-makura (1192-1333) predomina la rappresentazione dei guardiani dei templi buddhisti e nei guerrieri con kimono risalta ancora il contrasto fra la massa del vestito e la sottile raffinatezza dei tratti del volto. La rappresentazione del corpo nelle arti figurative giapponesi ha avuto la sua massima espressione nel pe-riodo Edo (1615-1868) attraverso le stampe shunga, rivalutate all’interno

Biologia Arte

Figura 4.5, 4.6 e 4.7 - sopra, R. Mapplethorpe, Thomas, 1987. Qui a fianco, G. von Hagens, Scorticato plastinato, 2002, heidelberg.

Nella pagina accanto, K. Hokusai, Toèletta d’estate, 1808-1809.

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Anemosneuroscienze

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Salvatore Spinnato. specialista in Neu-rochirurgia. Neurochirurgo presso a.O. Ni-guarda cà granda, Milano; autore di saggi di neuroscienze, La rappresentazione anatomi-ca dell'immagine del corpo umano 2013; Sul-la nuca: da Mondino alla geisha 2016.

della corrente artistica dell’uki-yo, letteralmente “mondo flut-tuante”, nelle quali venivano raffigurate beltà femminili, il mondo del teatro tradiziona-le, scene erotiche, immagini della natura e della tradizione culturale giapponese. Kitagawa Utamaro (1754-1806) raffigurò nelle sue stampe l’ideale fem-minile di quel periodo. Il fine non era quello di rappresen-tare fedelmente le donne, ma quello di appagare le richieste degli acquirenti, che esigevano bellezze che rispettassero i ca-noni dell’epoca. La rappresen-tazione anatomica della figura umana nella cultura giappone-se segue regole dettate dall’iki, un concetto dell’estetica giap-ponese che indica un modo di vita e di comportamento legati alla seduzione, una gra-zia nello stile che caratterizza il modo di essere della geisha, definita icona di femminilità, con un significato di bellezza e sensualità del corpo lontano dai canoni estetici occidentali.

La geisha rappresenta l’incar-nazione dell’iki, è una figura dalle linee fluenti e voluttuo-se, allungate e idealizzate, da una postura arcuata che tende ad appiattire e nascondere le forme. La regola è non mo-strare grandi porzioni di pelle, ma alludere alla possibilità di poterle vedere. La bellezza del corpo è enfatizzata dal kimono che viene indossato in modo da scoprire con eleganza la nuca, una parte del corpo con-siderata sensuale nella cultura giapponese. Hokusai (1760-1848) sintetizza l’ideale della bellezza femminile nel mondo fluttuante. (Figura 4.7) ■

«La rappresentazione anatomica della figura umana nella cultura giapponese

segue regole dettate dall’iki, un concetto dell’estetica giapponese che indica un

modo di vita e di comportamento legati alla seduzione, una grazia nello stile che

caratterizza il modo di essere della geisha»

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parole chiave. Neuroscienze, immagini, codice eidetico, zeki, forme, linee, grouping, masking, neu-roestetica.

Abstract. L'articolo esamina, in maniera discorsiva, una classificazione di codici e sottolinguaggi del visivo: sotto una prospettiva di stampo neurocognitivo, procede nell'analisi del contributo del codice ei-detico, relativo all'apporto delle linee alla composizione artistica iconica. come legge tali informazioni il cervello di un osservatore? Uno studio recentemente condotto da zeki, padre della Neuroestetica, pare fornire delle valide risposte tramite indagini sperimentali. si prosegue la trattazione evidenziando la capa-cità adattativa della mente di riassemblare, anche in assenza di contributo eidetico, altri elementi plastici in configurazioni già note.

di Serena ZaniboniIn

RICONOSCERE

cOmE IL cERVELLO INtERPREtA LINEE E FORmE

GLI ELEMENTI

La parola "accostamento", quando usata come ter-mine intermediario tra un soggetto osservante e un prodotto d'arte iconica,

pare indicare un semplice avvicina-mento fisico del primo al secondo: uno sguardo lanciato, nel puro eserci-zio delle possibilità percettive che un sistema visivo, esente da patologie o malfunzionamenti che lo riguardino, detiene ed esercita fin dalla nascita individuale. L'interazione quotidia-na con le immagini può certamente

consistere in questa forma sbadata e distratta di approccio: oppure, in al-ternativa, l'accostamento può sfocia-re in pratica piena, essere la prima di una serie di fasi cognitive necessarie per realizzare una reale comunicazio-ne. Infatti, il circuito che caratterizza quest'ultima ha indubbiamente natu-ra, in termini logici, biunivoca: se la composizione iconica raggiunge l'ela-boratore centrale e sortisce determi-nati effetti emozionali, tramite un'in-nata attività di decodificazione dei suoi sottolinguaggi, è altrettanto vero

che lo studio neuroestetico nacque e procede nella direzione di una com-prensione scientifica delle complesse dinamiche e connessioni che guidano tale decostruzione, a livello superiore, ai fini di guidare una consapevole, strategica, efficace ed estetica produ-zione figurativa. Accostarsi a una fotografia, una tavo-la illustrata, un dipinto, una scultura, un'opera di street art deve comporta-re, insomma, una prolungata osserva-zione, un reale proposito attentivo, un'esegesi profonda e consapevole

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Neuroscienze Semiotica

ICONICI

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del figurativo: d'altro canto, un esem-plare di buona qualità di ciascuna del-le forme summenzionate deve poter efficacemente attirare l'attenzione e tali propositi su di sé. Ad oggi, tra i tanti studi compiuti in merito a come avvenga il dialogo tra le figure e il loro pubblico, il princi-pale riferimento per una classificazio-ne dei canali del visivo è rappresen-tato da quello operato dal linguista

e semiologo lituano Algirdas Julien Grei-mas. Secondo Grei-mas (Greimas, 1984, 3-47), il linguaggio visivo si compone, in prima istanza, di due differenti livelli, assumibili a veri e propri linguaggi, con autonomi ambiti di analisi: un livello detto “figurativo” e un secondo definito “plastico”. Ogni espe-rienza visiva fornita al sistema percettivo umano può essere

considerata secondo questi distinti livel-li, che si occupano, rispettivamente, di ritrovare nell'oggetto

figurale un corrispondente elemento appartenente alla realtà e immagaz-zinato nella memoria iconica, e di elaborare la nuova esperienza visiva attraverso un'esegesi complessiva di linee, forme, disposizione spaziale degli elementi e cromatismi. A questo proposito, la dimensione plastica di un'immagine costituisce un immen-so serbatoio di informazioni relative

al visivo, di possibilità combinatorie fra svariati elementi: per orientarsi e potere ordinare i contenuti d'interesse di una simile, ingente categoria, oc-corre fare ricorso a tre sottocategorie. Il codice “eidetico” tiene conto delle forme grafiche degli elementi, delle caratteristiche delle linee, dei tipi di disegno o di pittura. Per quanto ri-guarda invece la distribuzione di tali elementi nello spazio pittorico o, in generale, figurativo, le loro dimensio-ni, le proporzioni in rapporto assolu-to o relativo ad altri oggetti rappresen-tati, la presenza o l'assenza di richiami simmetrici, si fa riferimento al codice “topologico”. Lo studio dei colori, delle loro caratteristiche, dei loro sim-bolismi e combinazioni è materia del codice “cromatico”. In questa sede, si intende focalizzare l'approfondimento sul codice eideti-co. Il concetto principale che interes-sa approfondire diviene, allora, quello di “linea”, cui sono strettamente legati concetti primari, quali quello di “con-fine”, “forma”, ma anche “movimen-to”, dal momento che essa, con gli attributi che riesce potenzialmente ad assumere, conferisce dinamicità, a di-versi livelli, all'oggetto che costruisce.Gli attributi a cui si è fatto riferi-mento sono molteplici: una linea

Figura 5.1 - Sopra, Algirdas Julien Greimas (1917-), linguista e semiologo lituano. fu tra i fondatori della semiotica strutturale, approccio molto diffuso negli anni sessanta del XX secolo.

AnemosneuroscienzeA NumeroMonograficoApr-Giu 2016 | anno VI - numero 21

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Figura 5.2 e 5.3 - a destra, vilayanur subramanian Ramachandran, neuroscienziato indiano. Il suo ambito di lavoro privilegiato riguarda le neuroscienze del comportamento e la psicofisica. sotto, nota immagine utilizzata per dimostrare le peculiarità della percezione visiva. Nonostante l'assenza di angoli e linee, nell'immagine è comunque possibile ravvedere un cane dalmata che annusa il terreno.

◄ può infatti essere diritta oppure mossa, curva, spezzata, chiusa

oppure aperta, a seconda che presenti o meno, cioè, un ricongiungimento con se stessa sulla superficie figurati-va; può essere appena abbozzata, di segno leggero, oppure marcata, trac-ciata in maniera pulita o, viceversa, di segno agitato e confuso. Tutte le possibilità elencate possono combi-narsi tra loro, o giustapporsi a quelle di altre linee facenti parte della stessa composizione visuale. L'osservatore segue l'andamento e le qualità delle linee, ricevendo input sensoriali pres-soché univocamente decifrabili: ma su quali criteri poggia questo carattere di quasi totale universalità interpreta-tiva? Quali sono gli attributi della li-nea che veicolano un certo significato piuttosto che un altro? In aiuto alla risoluzione di simili interrogativi, in-tervengono alcune risposte ottenute dalle neuroscienze. Sotto tale prospettiva, appare di mas-simo interesse lo studio condotto di Shigihara e Zeki nel corso del biennio 2013-2014, rivelatosi in grado di met-tere in discussione un assunto con-cettuale rimasto indiscusso sino ad allora. Prima, infatti, si riteneva che per il cervello umano esistesse una

sola modalità organizzativa, di tipo gerarchico, delle informazioni visive relative al codice eidetico: le configu-razioni più complesse sono decostru-ibili a partire da forme via via sempre più semplici. Queste ultime vengono percepite dalle numerosissime e con-centrate cellule OS (acronimo per Orientation-Selective) dell'area V1: lo stimolo viene elaborato, poi, in aree intermedie come V3, V4 e in seguito processato ulteriormente da altre zone della corteccia visiva. Il modello sino a qui considerato vincente suggerisce, dunque, una gerarchia elaborativa che parte da V1 e da lì si estende e perfe-ziona, assumendo, con ciò, che ogni stadio di processazione sia dipenden-te dal precedente e determinante per il successivo.A seguito, tuttavia, degli studi di A. Shigihara e Zeki, si è considerata la possibilità di verificare, grazie a nuo-ve strumentazioni, la veridicità di tale ipotesi, proponendone una alternati-va. Quest'ultima si regge sul concetto di "strategia parallela", dove l'attribu-to si pone in antitesi con l'idea gerar-chica sopra descritta. La nuova ipotesi si innesta sulla possibilità che forme geometriche costituite da identici segmenti di linea

appartengano a separate categorie, processate da sistemi diversi o in gra-do di lavorare parallelamente, svinco-lati dalla "reazione a catena" implicita nel modello gerarchico. Per avviare la nuova linea di studio, è stato condot-to un esperimento psicofisico, tramite una tecnica denominata "backward masking". Essa consiste nel propor-re due stimoli in rapida successione, dunque separati cronologicamente da un brevissimo intervallo: il primo co-stituisce l'input "target", il secondo è il "mask", la maschera, una deviazione rispetto al target. Il compito richiesto al soggetto sperimentale coincide con il suo tentativo di individuare quale dei due sia il target e quale una sua va-riazione: l'assolvimento della richiesta si rivela tanto più complesso quanto minore è il tempo intercorrente tra l'osservazione della prima e della se-conda opzione. In fase di interpretazione dei risulta-ti dello studio, possiamo affermare che la tecnica di masking rappresenta uno strumento per verificare ipotesi di rappresentazione eidetica parallea dei processi cognitivi di tipo visivo. Linee e angoli sono percepiti simul-taneamente, il che rafforza l'ipotesi di

Neuroscienze Semiotica Apr-Giu 2016 | anno VI - numero 21

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Anemosneuroscienze

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Zoboli G., La voce del libro. Sull'«ovvia» que-stione della forma e del contenuto, in «Hamelin. Storie figure pedago-gia», aprile 2008, n°20

Serena Zaniboni. laureata triennale in let-tere Moderne presso l'Università di bologna e magistrale in pubblicità, Editoria e creatività d'impresa presso l'Università di Modena e Reggio Emilia, è ad oggi dottoranda in Scien-ze Umanistiche presso l'Università di Modena e Reggio Emilia. l'ambito entro cui sviluppa i suoi studi è di tipo neuroestetico e il progetto di ricerca intende esaminare le modalità neu-roscientifiche con cui il cervello umano com-prende le narrazioni per immagini, come esse vengono decodificate, quali i binari universali di interpretazione dei messaggi del linguaggio visivo e di gradimento estetico, quali, invece, le differenze culturali e/o interpersonali.

una processazione parallela ad opera del medesimo sistema: costituisco-no, dunque, una famiglia di forme. I rombi, poi, più resistenti al masking di linee e di angoli ma in grado di ma-scherarli, costituiscono un'altra fami-glia, separata, di forme. Evitando, qui, di affrontare il tema del segno iconico in termini retorici o semiotici, possia-mo asserire che i tratti eidetici siano elementi primari nella comunicazio-ne figurativa e che la loro percezione avvenga in maniera immediata, diffe-renziata e autonoma per forme aperte e per forme chiuse, poligonali: a que-sta ipotesi pare, infatti, rimandarci lo studio di Zeki sintetizzato nelle righe sopra. È molto interessante, oltre che oppor-tuno in questa sede, considerare come l'intuizione dei contorni delle figure presenti nel piano figurativo possa ve-rificarsi, da parte del cervello umano, anche in assenza di linee che ne deli-mitino i contorni. Celebre, in questo senso, l'esempio gestàltico del cane dalmata, emblematico di un principio fatto coincidere da Vilayanur Rama-chandran con una delle nove leggi per un'estetica dell'arte figurativa. Battez-zato grouping o "raggruppamento", fu elaborato per l'appunto dagli psicolo-gi della Gestalt e si può affermare che il principio che lo governa coincida con la tendenza ad accorpare elemen-ti iconici dalle infomazioni che pro-vengono dal visivo: l'autore distingue i casi in cui esse riguardino l'impianto cromatico o quello eidetico. Si consideri il primo caso, che con-cerne composizioni caratterizzate da macchie di un solo colore o di diverse cromie. Il dalmata, ad esempio, ripor-ta un meccanismo di grouping che si

potrebbe qui definire, date le ipotesi di Rama-chandran, per mono-cromatismo: contraddi-stinto da totale assenza di contributo eidetico e da una distribuzione di-somogenea di macchie nere su sfondo bianco, gli elementi figurativi che vi possono essere distinti sono privati di linee che esplicitino i loro confini dallo sfon-do. Eppure, è possibile per l'osservatore umano azionare una modalità cognitiva che permetta di riconoscervi la figu-ra di un cane intento ad annusare il terreno: infatti, il cervello "incolla", raggruppa assieme alcune macchie e segue la configurazione delle stesse per formare un oggetto singolo, ri-conducibile alle fattezze dell'animale depositate in memoria sensoriale. Alla stessa maniera, è possibile considera-re le opere impressioniste come un esempio di grouping policromatico, considerando l'attitudine della mente ad accorpare le pennellate di tinte di un medesimo colore e, di conseguen-za, a distinguerle da tutte quelle diffe-renti. Nel caso della corrente artistica ottocentesca menzionata, questo è più che mai verificato e la distinzione degli elementi facenti parte del com-plesso figurale è affidata alla strategia di grouping policromatico, tanto più efficace quanto aumenta il raggio del-la distanza tra l'occhio e il piano pit-torico.È curioso, in chiusura di trattazio-ne, osservare come le teorie appena

descritte riportino alle intuizioni del genio del Da Vinci riguardo a quell'elemento iconico che fu battez-zato "macchia leonardiana": ognuno di noi l'ha sperimentata, anche nella semplice osservazione di linee e mac-chie sui muri, capaci di formare con-figurazioni che portano la memoria a riconoscervi elementi già noti, per isomorfismo. Così facendo, anticipò anche il formalista russo Slovskij, che ravvisò in questi unidentified objects un'interessante novità, nella visione del reale come "pacchetto" già noto: non stupisce, dal momento che la tendenza neurocognitiva della mente umana a riportare l'informe a una for-ma nota è di tipo evolutivo e precede ogni teorizzazione. ■

Figura 5.4 - Nell'immagine sopra, semir zeki, neurobiologo attualmente docente alla University college di londra, noto per i suoi studi sull'organizzazione del cervello visivo dei primati.

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Neuroscienze Musica

IL BELLOtRA EstEtIcA E NEuROscIENZE

MUSICALEparole chiave. Neuroscienze, musica, arte, cervello.

Abstract. Gli esseri umani possiedono sofisticate abilità nella decodifica dell’informazione musicale che permettono loro la sua comprensione e il suo godimento. l'articolo ripercorre gli studi compiuti per indagare se ciò che viene definito “bello” in ambito musicale dipende da parametri oggettivi o da fattori soggettivi.

di Enrico Grassi e pasquale palumboApp 3

un'abilità naturale. Ognuno di noi, anche la persona che non abbia ricevuto una sola ora di educazione musicale,

mostra sofisticate abilità nella deco-difica dell’informazione musicale che ne permettono l’acquisizione e la conoscenza di una specifica sintassi e la processazione della stessa informa-zione al fine della sua comprensione e del suo godimento. Il cervello dei neonati, infatti, è già predisposto a elaborare una struttura musicale. Una dote innata come ha dimostrato il lavoro che Daniela Pe-rani della Divisione di Neuroscienze

dell’Istituto Scientifico San Raffaele di Milano pubblicato su PNAS. At-traverso l'utilizzo della risonanza ma-gnetica funzionale (FMRI), ha esami-nato l’attività del cervello in neonati di 24-48 ore di vita ai quali sono stati fatti ascoltare brani di Mozart, Schu-mann, Schubert e Chopin, scoprendo che era già presente (come nell’adulto) una predominanza emisferica destra. I risultati di questo studio mostrano cioè che già nelle prime ore di vita si attivano nell’emisfero destro gli stessi sistemi neurali presenti e attivati negli adulti esposti da tempo alla musica (fig 6.1).Questo significa che il cervello si è

evoluto in modo tale da possedere sin dalla nascita quelle strutture necessa-rie all’elaborazione di funzioni com-plesse come la musica. Senza questa evoluzione non avremmo percepito, compreso e nemmeno prodotto quei capolavori della musica che rappresen-tano una delle massime manifestazio-ni della creatività del cervello umano. Nella seconda parte dell’esperimen-to si sottoponevano poi i bambini all’ascolto degli stessi estratti di musi-ca resi dissonanti o alterati nella strut-tura. In questo caso si aveva la coat-tivazione anche dell’emisfero sinistra e in particolar modo della corteccia frontale inferiore, necessaria per ela-

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1 Lentini D. La musica e le emozioni. Percorsi nell'estetica analitica. Mimesis, 2014.

borare le dissonanze (fig. 6.2).Quindi, la comprensione della musi-ca, a livello cerebrale, non è il risulta-to di una lunga esposizione ad essa, ma è semplicemente dovuta ad una predisposizione neurobiologica, che si è evoluta con l’uomo e che ha per-messo la produzione e la comprensio-ne della musica.Possiamo concludere, quindi, che la musicalità è un'abilità naturale del cervello umano.

Indagini sul “bello” musicale. Nel pensiero Platonico la musica ha il po-tere di suscitare emozioni nell’ascolta-tore ed è espressiva in virtù del fatto che essa suscita tali emozioni in chi ascolta. Questa teoria, che potremmo definire teoria eccitazionistica ha avu-to una forte influenza nella storia del pensiero musicale restando egemone fino al XVIII secolo.Per primo Schopenhauer, nel Mondo come volontà e rappresentazione (1819) propose una spiegazione alternativa: “non si tratta più di pensare che la di-namica espressiva della musica sia ri-conducibile alle emozioni risvegliate dall’ascolto, ma di riconoscere che le emozioni sono nella musica.” 1

Bisognerà però arrivare in quel labora-torio culturale interdisciplinare che fu la Vienna della seconda metà dell’800 perché vengano gettate le basi moder-ne del dibattito sull’estetica musica-le. È stato Eduard Hanslick nel 1854 con il lavoro Il bello musicale che ha affrontato in termini nuovi il proble-

ma dell’estetica musicale. Hanslick ha negato che il valore estetico della mu-sica pura, vale a dire senza contenuto rappresentativo extramusicale, abbia qualcosa a che fare con le emozioni. È la pura forma, invece, ovvero la co-struzione sonora e le sue dinamiche strutturali che rappresentano il vero contenuto della musica. La musica assoluta non ha la facoltà di esibire emozioni, di esprimere o rappresentare sentimenti determinati, “perché i suoni non solo sono ciò at-traverso cui la musica si esprime, ma anche la sola cosa espressa”. Il bello musicale, concluse Hanslick “è un bello specificamente musicale” che “consiste unicamente nei suoni e nel-la loro artistica combinazione”. Con Hanslick s’inaugura di fatto il Forma-lismo musicale.Tutto il suo discorso è animato da uno spirito di obbiettività scientifica, da un atteggiamento analitico piuttosto che sistematico: “l'indagine del bello se non vuol diventare affatto illuso-ria, dovrà avvicinarsi al metodo delle scienze naturali...”, e ancora: “l'impul-so verso una conoscenza il più pos-sibile obbiettiva delle cose, che nella nostra epoca agita tutti i campi del sapere, deve necessariamente toccare anche l'indagine del bello” .Anticipando le posizioni dei musicisti del Novecento, che rivendicano i “di-ritti della musica di non essere altro che se stessa, libera da intrusioni sto-riche, psicologiche, morali, letterarie”, Hanslick affermava: “con ciò inten-

diamo un bello che, senza dipendere e senza aver bisogno di alcun conte-nuto esteriore, consista unicamente nei suoni e nella loro artistica connes-sione. Le ingegnose combinazioni di suoni belli, il loro concordare e op-porsi, il loro sfuggirsi e raggiungersi, il loro crescere e morire, questo è ciò che in libere forme si presenta all’in-tuizione del nostro spirito e che piace come bello”.La musica cioè ha una sua razionali-tà intrinseca, basata su principi innati iscritti nella nostra natura; diremmo oggi nella struttura del nostro sistema nervoso centrale.Nel dibattito musicale della Vienna dell’epoca ha un ruolo importante anche un medico, il grande chirurgo Theodor Billroth, l’inventore di una serie impressionante di procedure chirurgiche, tra cui la prima esofagec-tomia (1871), la prima laringectomia (1873), e soprattutto la prima ga-

Figura 6.1 e 6.2 - Risultati della risonanza magnetica funzionale (FMRI) che ha esaminato l’attività del

cervello in neonati di 24-48 ore di vita. I risultati dello studio mostrano che

già nelle prime ore di vita si attivano nell’emisfero destro gli stessi sistemi

neurali presenti negli adulti esposti da tempo alla musica. Quando invece i

bambini ascoltavano gli stessi estratti di musica resi alterati nella struttura

si aveva la coattivazione anche dell’emisfero sinistro e in particolar

modo della corteccia frontale inferiore.

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Figura 6.3 - grazie ai risultati del suo studio, zeki ha scoperto che quando si ascolta un brano o si osserva un quadro, definiti come "belli", si attiva maggiormente un'area della corteccia orbito-frontale mediale, dimostrando che la stessa area del cervello si attiva sia per la bellezza visiva sia per quella uditiva. L'originale immagine a colori è adattata con ausili grafici per il bianco e nero; l'adattamento potrebbe aver comportato alcune imprecisioni del tracciato (ndr).

strectomia (1881) per cancro ga-strico.

Billroth era anche un talentuoso pianista e violinista dilettante, ami-co stretto di Brahms, il quale spesso mandava al medico i suoi manoscritti prima della pubblicazione e altrettan-to spesso li suonava insieme a lui in ensemble cameristici.Billroth scrisse anche un saggio, pub-blicato postumo, dal titolo Wer ist mu-sikalisch? (Chi è musicale?). Questo lavo-ro rappresenta uno dei primi tentativi di applicare il metodo scientifico allo studio della musica. Nel saggio, Bill-roth identifica e descrive pioneristica-mente diversi tipi di quella che oggi definiremmo “amusia” (chiamandole sordità per i toni, sordità per i ritmi, e sordità per le armonie) individuando così alcune abilità cognitive coinvolte nella percezione musicale. Nei diversi capitoli di questo testo, Billroth esami-na il ritmo analizzato come elemento essenziale sia della musicalità che del nostro organismo, poi i rapporti tra altezza del suono, durata, intensità e il nostro organismo e ancora l’effetto della musica sull’uomo.Wer ist musikalisch? “La risposta a que-sta domanda, apparentemente sem-plic - scrive Billroth - è invece assai difficile e complicata perché noi defi-niamo musica sia il suono del tambu-ro, sia una composizione per grande orchestra e coro. Oltretutto, chi tenta di dare una risposta a questa domanda

deve ritenersi musicale e quindi sarà costretto nel corso della trattazione anche a parlare si sé stesso.”“Chi è musicale?” si chiede Billroth, colui che possiede sensibilità e talento ritmico, oppure chi ha prevalentemen-te un talento melodico, oppure anco-ra colui che mostra di avere raggiunto un livello tecnico di assoluta eccellen-za, o chi ha talento drammatico?Molti decenni dopo Hanslick, con l’intenzione di preservare l’autono-mia formale della musica dall’effetto psicologico che essa può esercitare, Strawinskij dirà: “considero la mu-sica, per sua essenza impotente a esprimere alcunchè: un sentimento, un atteggiamento, uno stato psicolo-gico, un fenomeno della natura, ecc. L’espressione non è mai stata la pro-prietà immanente della musica”. E su questa scia, per citarne solo alcuni, anche Lèvi-Strauss, Varèse, Boulez, Schonberg, Webern. Questa posizio-ne ha posto le basi per la teoria co-gnitivista della musica; uno dei suoi maggiori rappresentanti, Peter Kivy, spiega il significato di questa defini-zione: “cognitiva perché l’espressività della musica risiede nella nostra con-sapevolezza delle emozioni e non nel nostro provarle”.2

La musica che esprime tristezza non produce in noi l’affezione nel senso che ci fa sentire tristi, ma nel senso che ci trasmette (evoca in noi) il con-cetto di tristezza. Ci rendiamo con-

to che la musica esprime tristezza. Quindi la risposta estetica primaria è di tipo cognitivo: un riconoscimento del contenuto emotivo che è presente in essa.Per dirla con Malcom Budd, un altro filosofo della musica, le descrizioni emotive della musica devono essere concepite essenzialmente come de-scrizioni letterali, ritenendo che i ter-mini emotivi che applichiamo ad essa ci informano di proprietà espressive incarnate dalla musica stessa.Tutta una serie di problemi in parte nuovi per l'estetica musicale che sor-gono dalla riflessione di Eduard Han-slick. La questione più importante, lasciata aperta e non del tutto risolta, riguarda il valore della struttura logi-co-grammaticale della musica; se cioè il complesso di regole che reggono la costruzione musicale sono conven-zionali, prodotto storico, soggetto a mutamenti nella storia, o se possiedo-no una loro natura indipendente dai fattori storici, cioè una loro eterna ed intrinseca razionalità, diremmo noi oggi, fondata su basi neurobiologi-che. Anche l'esperienza estetica è soggetta alle leggi che regolano le attività cere-brali e quindi l’arte può essere consi-derata come un’estensione della fun-zione del cervello.

Percezione del bello. Nel 2011 il prof. Semir Zeki, uno dei padri fon-

Neuroscienze Musica

2 Kivy P. Sound Sentiment: An Essay on Musical Emotions, 1989.

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Indicazioni bibliografiche

Billroth T.: Wer ist musikalisch? Berlino, 1895.Blood AJ, Zatorre RJ Intensely pleasurable responses to music correlate with activity in brain regions implicated in reward and emotion. Proc Natl Acad Sci U S A. 2001 Sep 25;98(20):11818-23.Budd M. Music and the Emotions: The Philosophical Theories. 1992Hanslick E. Vom Musikalisch-Schönen, Lipsia, 1854.Ishizu T, Zeki S. Toward a brain-based theory of beauty. PLoS One. 2011;6(7):e21852. Kivy P. Sound Sentiment: An Essay on Musical Emotions. 1989.

Lentini D. La musica e le emozioni. Percorsi nell'estetica analitica. Mimesis, 2014.Perani D, Saccuman MC, Scifo P, Spada D, Andreolli G, Rovelli R, Baldoli C, Koelsch S. Functional specializations for music processing in the human newborn brain. Proc Natl Acad Sci U S A. 2010 Mar 9;107(10):4758-63.

Enrico Grassi. specialista in Neurologia. Neurologo presso U.O di Neurologia del Nuovo Ospedale di prato. coordinatore nazionale del gruppo di Ricerca in Neuroestetica della sNO.

pasquale palumbo. direttore dell'U.O. Neurologia dell'Ospedale di prato.

datori della neuroestetica, in una ricerca condotta presso il Wellcome Laboratory of Neurobiology dell'Universi-ty College di Londra ha dimostrato che il nostro cervello dedica alla bel-lezza una specifica area che si attiva quando sperimentiamo il piacere di un'opera d'arte o un brano musicale.In questo studio, 21 soggetti di cul-ture ed etnie diverse hanno valutato una serie di dipinti e di brani musica-li classificandoli come belli, brutti o indifferenti mentre l'attività cerebrale veniva controllata con una risonanza magnetica funzionale (fMRI). Zeki ha così scoperto che quando ascoltavano un brano o visualizzavano un qua-dro classificati come belli si attivava maggiormente un'area della corteccia orbito-frontale mediale dimostrando che la stessa area del cervello si attiva sia per la bellezza visiva sia per quella uditiva negli stessi soggetti. Ciò im-plica che nel nostro cervello la bellez-za esiste come concetto astratto (fig. 6.3).Nell’elaborazione neurale del suono musicale si verifica anche l’unione di due principi chiave non solo della fi-losofia antica ma anche del manteni-mento della specie, quelli della bellez-za e del piacere che da essa ne deriva.Leggiamo ora la definizione della mu-sica di Jean Jacques Rousseau nell’En-cyclopèdie: “La musica […] è l’arte di disporre e di condurre i suoni in

modo tale che dallo loro consonanza, dalla loro successione e dalle loro du-rate relative abbiano origine sensazio-ni gradevoli”.Fra le aree cerebrali che si attivano a seguito di un brano musicale una struttura centrale è rappresentata dal cosiddetto reward circuit, cioè dal cir-cuito della ricompensa o del piacere, un circuito filogeneticamente anti-chissimo su base dopaminergica che si attiva per stimoli edonicamente ri-levanti molto diversi fra loro. È una risposta che accomuna stimoli diver-sissimi come una pralina di cioccolato che si scioglie in bocca, una sniffata di cocaina, un rapporto sessuale, una vincita di soldi, la visione di un’ope-ra di Michelangelo e per l’appunto l’ascolto di una sonata di Mozart.È un circuito che origina dall’Area Tegmentale Ventrale (VTA) mesence-falica e si proietta tramite lo striato ventrale (nucleo accumbens) fino alla corteccia orbitofrontale (OCF) dopo aver comunicato l’informazione ad altre strutture fondamentali del cer-vello limbico come l’amigdala e l’ipo-campo.Nel 2001 il gruppo di Montreal di Ro-bert J. Zatorre dimostrò per la prima volta, con un articolo su PNAS, l’atti-vazione del reward circuit mesencefali-co a seguito dell’ascolto di un brano

musicale. Lo stesso gruppo leader nel-la ricerca neuro-musicale dimostrò 10 anni dopo con un lavoro su Nature che anche nella risposta neurale al piacere musicale (come negli altri tipi di pia-cere meno astratti come cibo, sesso o droga), c’era una fase di piacere appe-titivo, “wanting”, legato all’aspettativa che l’ascolto della musica innescava, e una fase consumatoria “liking” legata al consumo edonistico del brano, che si manifestava fisicamente in quello che gli autori inglesi chiamano chills, i francesi frissons o orgasmi cutanei, cioè gli indefinibili, impagabili brividi nel-la schiena che vi invadono all’ascolto ad esempio dell’Adagietto della V sin-fonia di Mahler (fig. 6.4).In questo intrecciarsi di piacere e bel-lezza, una delle questioni più dibat-tute in estetica è se la bellezza possa essere definita da parametri oggettivi o se dipenda interamente da fattori soggettivi. Nonostante i criteri sog-gettivi e culturali giochino un ruolo importante nelle esperienze estetiche di ciascuno, oggi sappiamo che esi-stono dei principi specifici con una base biologica, delle architetture neu-rali che possono facilitare e mediare la percezione del bello. ■

Figura 6.4 - come negli altri tipi di piacere meno astratti, anche nella risposta neurale al piacere musicale è presente una fase di piacere appetitivo, “wanting”, legato all’aspettativa che l’ascolto della musica innesca e una fase consumatoria “liking” legata al consumo edonistico del brano.

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Biologia Neuroestetica

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parole chiave. bellezza, neuroestetica, cervello, cultura, evoluzione della specie.

Abstract. l'articolo, partendo dalle teorie sul potere del fascino estetico, ripercorre nella prima parte del testo il ruolo che la bellezza ha avuto in campo evolutivo nelle diverse specie. Nella seconda parte, invece, indaga i recettori deputati alla decodifica della bellezza presenti nel cervello umano.

di Stefano Calabrese2In

LA BELLEZZAIL FAscINO EstEtIcO tRA EVOLuZIONE

DELLA sPEcIE E cuLtuRA

rigorosa

il potere del fascino este-tico. Come è strana la bel-lezza, vista con gli occhi di Darwin e dei suoi molteplici seguaci. Essa è innanzitutto

una promessa, un indicatore di fit-ness e di vigore fisico: essere belli significa essere sani, performanti, adattivi e più garanti della prosecu-zione della specie. In questo senso la bellezza era per Darwin un attributo necessariamente maschile, mentre le femmine si limiterebbero a reagire ai segnali estetici del maschio e a de-codificarne la complessa, seducente semiotica. Quale case-study eleggere al proposito? Il mondo ornitologi-co: lì si trova la forma originaria del-la bellezza e modi di corteggiamen-to "estetici" che i mammiferi e la specie umana non hanno ereditato,

deviando verso un modello "musco-lare" le strategie seduttive degli uc-celli (Mithen 2007, 42 ss.). Ad essere precisi, nell'ambito più generale del darwinismo le teorie sul potere del fascino estetico sono tre.(i) La prima teoria di Amotz Zahavi sostiene che la bellezza - si pensi ad esempio alle possenti penne timo-niere del pavone - è un handicap, e proprio per questo costituisce una specie di fitness test, in quanto la sop-portazione di tale handicap è in sé e per sé una prova di forte costitu-zione fisica, tale da garantire la so-pravvivenza della specie. Gli orna-menti sono segni affidabili (reliable) di fitness proprio in quanto esigono dai loro detentori elevati costi fisici. Secondo questa teoria, dunque, il gusto estetico, il piacere e la bellez-

za sono tarati sull'idea del dispen-dio, dell'inutile, del surplus - ciò che spiega in effetti i fenomeni di spesa cospicua nel corteggiamento anche da parte dell'uomo (anelli di fidan-zamento, monili, ecc.) tanto quan-to le nozioni socio-antropologiche care a Bataille di dépense e potlatch. Insomma, la bellezza sarebbe una forma di "selezione di segnale" che si ricongiunge per via indiretta alla se-lezione naturale, come indica anche il fatto che la capigliatura dell'uomo non abbia un limite di crescita pre-programmato, contrariamente a tut-te le altre forme pilifere: si tratta in-fatti di un ornamento "strampalato" che costituisce una "réclame" per la fitness del suo possessore, il quale di-spone di tempo a sufficienza per farne un ornamento (Zahavi, Za-

Figura 7.1 - A fianco il biologo e naturalista britannico Charles Darwin (1809-1882), autore del libro L'origine delle specie (1859) in cui pubblicò la sua teoria sull'evoluzione. Secondo Darwin la bellezza era un attributo maschile, mentre le femmine si limiterebbero a reagire ai segnali estetici del maschio e a decodificarne la complessa semiotica.

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havi 1997, 24 ss.).(ii) La seconda teoria

vede nella bellezza un indi-catore di competenza im-munitaria, per cui animali con ornamenti sfarzosi danno prova di una parti-colare resistenza ai parassiti e quindi di buone capacità di sopravvivenza. Riguardo al corpo umano, tale teo-ria si avvale di due prove: la purezza della pelle (acne e lesioni epider-miche sono indicatori di malattie organiche) e la simmetria corporea (le asimmetrie nel viso o nel corpo sono indicatori di disturbi dello svi-luppo o di malattie gravi), due at-tributi in grado di spiegare perchè la simmetria si sia rivelata nella sto-ria dell'estetica una delle principali candidate a incarnare l'idea stessa di bellezza (Menninghaus 2013, 128).(iii) La terza teoria vede nella bellez-za un indicatore di fitness, là dove ad esempio nella donna sono indi-catori di fertilità due elementi: un particolare rapporto vita-fianchi e lo schema del fanciullo nel viso femmi-nile (la cosiddetta facial babyishness). Quest'ultimo è un indicatore di gio-vinezza nelle donne e quindi di gra-di di fertilità elevati, comprendente parti alte del viso slanciate, mascelle delicate, bocca tonda, occhi grandi, naso piccolo. Anche la pelle nuda crea nell'uomo un'esperienza aptica del tutto nuova, perchè rispetto agli altri mammiferi consente di aumen-tare la superficie di contatto (Men-

ninghaus 2014, 30).

Bellezza ed evoluzione della specie. Ora, un neodarwinista doc come Winfried Menninghaus si è di recente occupato di questi pro-blemi schierandosi esplicitamente per questa terza ipotesi, non senza spiegare in termini adattivi l'attuale ipervalorizzazione della componen-te estetica. Contrariamente a quanto accadeva nelle comunità organiche, dove tutti sapevano tutto di tutti, nelle condizioni odierne di noma-dismo spaziale, flussi migratori, contatti sociali plurimi e “a tempo determinato” la first impression data dall'aspetto fisico per Menninghaus sarebbe divenuta essenziale per il ri-conoscimento degli attributi di una personalità; come se non bastasse, il declino dei grandi sistemi meta-fisici avrebbe altresì consolidato la tendenza ad affidarsi a fornitori di senso settoriali (la psicoterapia, la bio-alimentazione, ecc.) e soprattut-to a delegare all'estetica antichi bi-sogni di legittimazione dell'esisten-za (Steen 2006, 57 ss.). In un’ottica darwinista, il sense of beauty dell'uo-mo sarebbe dunque un "vestigio evolutivo", la traccia delle relazioni arcaiche tra i sessi, quando la scel-

ta estetica aveva ancora il potere di dire la sua nel registro evolutivo; al contrario, per Freud il divorzio tipi-co della civiltà europea tra desiderio sessuale e percezione estetica avreb-be comportato una trasformazione di quest'ultima - delocalizzata dagli organi genitali all'intero corpo, e quindi all’immagine complessiva di un corpo coperto di abiti e ornamen-ti - in vettore di sublimazione. Pur condividendo la tesi di Darwin circa l'origine sessuale dell’impulso este-tico, Freud sottolineava il carattere produttivo, favorevole al progresso della cultura e della civiltà, di uno spostamento dell'estetica dal genita-le all'epidermico, una volta che fosse stata «inibita nella meta» e indirizza-ta altrove. L’autonomia del bello, il suo carattere kantianamente disinte-ressato - per Menninghaus è eviden-te il debito di Freud con l'estetica di Kant, mentre Darwin si sarebbe rifatto a Burke e Hume - avrebbero operato un transfert dal successo ri-produttivo alla costituzione di una "civiltà più elevata" (Menninghaus 2014, 74). Da un lato l'estetica kan-tiana, costruita su un esorcismo del sessuale e sulla valorizzazione della regolarità; dall'altro quella france-se e inglese, propensa a valorizzare

Biologia Neuroestetica

Figura 7.2 - secondo la teoria di amotz zahavi la bellezza rappresenterebbe un handicap e proprio per questo costituisce una specie di fitness test: la sopportazione di tale handicap è in sé e per sé una prova di forte costituzione fisica, tale da garantire la sopravvivenza della specie. Un esempio sono le possenti penne timoniere del pavone che rappresentano segni affidabili di fitness proprio in quanto esigono dai loro detentori elevati costi fisici.

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Anemosneuroscienze

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Anemosneuroscienze

l'impatto "fisico" della bellez-za e a sostenere come i valori estetici si attivino attraverso la forzatura di caratteristiche privilegiate quali la novità, la rarità, l'esagerazione.Nella prospettiva di questo articolo, orientato a com-prendere il passaggio dal mito originario delle sirene-uccello a quello adulterato e tardivo delle sirene-pesce, va sottoli-neato come le armi dell'esteti-ca per Darwin e i neodarwini-sti siano fondamentali per gli insetti e gli uccelli, mentre al confronto i mammiferi appa-iono assai rozzi, fondandosi sulla law of battle, la legge del più forte: infatti la selezione del partner femminile, che non ha alcun diritto di scelta, per i mammiferi avviene spes-so dopo uno scontro fisico tra

due o più maschi contendenti. Se l'uomo esclude in origine la bellezza dal proprio corredo strumentale e si affida invece alla bellicosità, in una prospettiva bioculturalista è vero che più la civiltà si eleva, più il corteg-giamento dell'uomo ritorna all'arte ornitologica e al valore originario della bellezza: il canto vale più di un semplice rumore, la simmetria, il ritmo e la ripetizione più delle asim-metrie (Mithen 2007, 118). A riprova di ciò starebbe il fatto che la nudità della pelle è il primo ornamento del corpo dell'uomo ri-spetto ai mammiferi, nonostante gli innegabili svantaggi pratici (mino-re protezione termica e batterica). L'uomo evolve in modo opposto alla scimmia: gli organi sessuali del-le scimmie sono glabri e il loro cor-po iper-pelvico, mentre l'uomo con la sua pelle glabra in qualche modo estende a tutto il corpo la zona ero-

gena, meno appunto gli or-gani sessuali, che nell'uo-mo sono pelvici (Darwin 1977, 285-291). La nudità, dice Menninghaus, costi-tuisce un tratto altamente improbabile e quindi un valore estetico per l'uomo, come sosteneva non per caso l'estetica classica: la pelle nuda non è dunque un grado zero dell'estetica bensì, au contraire, un "ab-bigliamento" selezionato nel corso di migliaia di ge-nerazioni, equivalente, ma per detractio, al piumaggio policromo degli uccelli (Menninghaus 2014, 58). I neodarwinisti doc fanno notare oggi che gli orna-menti corporei dell'uomo (maquillage, collane di con-chiglie o denti di animali, uso dell'ocra per dipinge-re la pelle) appaiono già 150.000 anni fa, mentre le prime tracce figurative o i primi oggetti decorativi ri-

salgono a non prima di 40.000 anni fa. Ciò ci porta a tre conclusioni. (i) La bellezza riveste originariamen-te un ruolo bio-sessuale. (ii) La pittura nasce storicamente dal maquillage, e non viceversa. (iii) Il canto, le vocalizzazioni rit-miche e melodiche sono la prima forma d'arte della cultura umana, e a tale proposito va notato come i mammiferi non ricorrano per Dar-win al canto (song), ma solo al richia-mo (call): agli scimpanzè mancano del tutto organi fonoarticolatori che consentano loro le straordinarie pre-stazioni canore effettuate invece sia dall'uomo che dagli uccelli (presta-zioni spesso geneticamente limita-te agli uccelli maschi, obbligati ad attrarre con il canto le femmine). Ecco: il canto come attrattore ses-suale, mito fondatore della bellezza. L'Origine, l'omphàlos di tutta l'este-tica nelle arti coreutiche (ad es. le danze rituali del pavone) e canore (ad es. il canto del merlo maschio) rivela tra l'altro una indistinzione tra emittente e destinatario o co-munque una partecipazione attiva del secondo in un modo che solo l'estetica digitale di questi anni ha saputo nuovamente valorizzare.

Cervello e bellezza. Se la bel-lezza ha questo enorme rilievo per l'evoluzione di tutte le specie, sareb-be ragionevole pensare che l'uomo abbia sviluppato dei recettori parti-colarmente deputati alla decodifica della bellezza, e che vi siano regioni neurali che presiedono solo a que-sta funzione. Da questa domanda è partito Semir Zeki, il fondatore della neuroestetica, per condurre una serie di esperimenti sia sulla percezione della bellezza visiva che su quella musicale, nella certezza che la significant form della bellez-za possieda una natura brain-based. In particolare, Zeki ha previsto il monitoraggio dell'attività cerebrale in fase di osservazione di un testo artistico - cioè esteticamente arte-

Figura 7.3 - A fianco Winfried Menninghaus. Secondo Menninghaus, nella società attuale la first impression data dall'aspetto fisico sarebbe divenuta essenziale per il riconoscimento degli attributi di una personalità.

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fatto - allo scopo di verificare se un'unica area del cervello sia de-

putata a una valutazione sinestetica di bellezza, oppure se si attivino aree diverse del cervello, in corrispon-denza di input di genere differente (visivi e musicali), di fronte a qual-cosa di dichiaratamente bello. In questo Zeki fa proprie le teorie che Edmund Burke espresse nella sua celebre Phylosophical Enquiry into the Origin of Our Ideas of the Sublime and Beautiful, in cui l'esperienza estetica veniva identificata in una sorta di "invenzione" illusionistica dei sensi del soggetto. Se per Burke è il desti-natario, non il destinatore, che vede in qualcosa il bello, analogamente per Zeki va formulata l'ipotesi che esista una sola zona, o comunque un unico insieme di aree cerebrali, in grado di elaborare i vari gradi di bellezza artistica, veicolata tramite codici visivi e acustici. In un test specifico Zeki ha valutato in fMRI (Zeki et al. 2011) l'attività

cerebrale di 21 soggetti (età media 27,5 anni, di cui 9 maschi e 12 fem-mine, destrimani, dotati di normali condizioni di percezione visivo-acu-stica e psicomotorie, appartenenti a più gruppi multiculturali), sotto-posti a stimoli figurativi e musicali. In particolare, 30 soggetti sono stati sottoposti, dapprima, a una sessione di prova, orientata alla selezione di alcuni tra 60 immagini e 60 brani musicali. Ogni stimolo veniva pro-posto per 16 secondi, con intervallo di 2 secondi tra l'uno e l'altro, e a ciascuno doveva essere assegnato dal soggetto testato un punteggio da 1 a 9 della scala Likert: considerando le classi valutative 1-3 come "brutto", 4-6 come "indifferente", 7-9 come "bello", sono in seguito stati scelti 10 esempi di ciascuna classe, per un totale di 30 casi pittorici e 30 casi musicali. Il campione di esemplari artistici da sottoporre ai 21 soggetti sperimentali era quindi dato da 60 input totali, equamente suddivisi

per le due tipologie sensoriali. La sessione di ricerca iniziava con la presentazione all'individuo di uno schermo piatto, dotato di un pun-to centrale su sfondo nero, per cir-ca 20 secondi; poi si proponeva la sequenza di stimoli, ciascuno della durata di 16 secondi e separato da quello successivo da un intervallo di un secondo; nel caso dello stimolo acustico, sullo schermo appariva lo sfondo nero con il punto luminoso centrale, che al soggetto veniva ri-chiesto di fissare; al termine di ogni composizione, aveva sino a 5 secon-di di tempo per valutare la qualità di ciò che aveva appena visto o ascolta-to, utilizzando dei tasti per stabilire il livello su scala Likert; conclusa la presentazione dei 60 stimoli, suddi-visi in 5 sessioni da 12, riappariva lo schermo nero per i finali 5 secondi. I risultati ottenuti hanno eviden-ziato una marcata attivazione - nel caso di stimoli acustici o visivi pro-dotti da testi canonici e assai noti

Biologia Neuroestetica

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Anemosneuroscienze

- dell'area conosciuta con l'acroni-mo mOFC, Medial OrbitoFrontal Cortex (corteccia orbitofrontale mediale), una zona ristretta e speci-fica della corteccia prefrontale, una più ampia area in grado di ricevere proiezioni dal nucleo mediodorsale del talamo e che si trova davanti alla corteccia motoria e premotoria del lobo frontale. La corteccia prefron-tale è suddivisa in tre microaree, una delle quali è appunto la corteccia orbitofrontale mediale, inclusiva di una serie di aree "architettoniche", come quella di Brodmann, deputa-ta a processare gli stimoli visivi, ol-fattivi e somatosensoriali, e che ha un ruolo primario nell'elaborazione di sensazioni di premiazione, grati-ficazione e piacere, oltre che nella formulazione di giudizio valutativo. Ora, nel test Zeki ha verificato che la corteccia mediorbitofrontale è stata l'unica area corticale in grado di at-

tivarsi nel sistema cognitivo di tutti i soggetti, in presenza di entrambi gli input artistici presentati, per cui è deducibile che non solo la bellezza fa capo a un'unica area del cervello, ma che bellezza figurativa e bellezza musicale coincidono da un punto di vista neurale. Zeki afferma altresì che, da un lato, più si percepisce un testo come bello, più è intensa l'atti-vazione della mOFC; dall'altro, che la percezione del brutto ha prodotto una intensa attività nell'amigdala si-nistra e destra, nel giro fusiforme e occipitale inferiore, soprattutto nel caso degli input visivi. Insomma, se resta accertata la correlazione tra l'esperienza estetica della bellezza e l'attività della corteccia orbitofron-tale mediale, in particolare si sotto-linea come l'esperienza della valu-tazione neuroestetica sia visiva che musicale trovi il proprio centro ela-borativo nell'area A1 della mOFC.

Come diceva Burke, è il soggetto che fa la bellezza e la bruttezza, e lo fa in aree cerebrali del tutto diverse.

Il ruolo della cultura. Natural-mente, ciò che appare deficitario in Zeki è proprio il concetto di bellez-za: egli decide di non porsi il pro-blema e utilizza nei suoi test model-li canonici e affermati di pittura o di esecuzioni musicali: insomma, Mo-zart è bello perchè è Mozart, Cara-vaggio è bello perchè è Caravaggio. Da questa tautologia esce il neuro-scienziato di origini indiane Rama-chandran, che in un capitolo del suo libro The Tell-Tale Brain (Ramachan-dran 2011, 156-177) teorizza il fatto che l'arte e più in generale l'attività di produzione estetica comportino alcuni requisiti permanenti, e che tali requisiti rispondano alle carat-teristiche funzionali del cervello. Non posso qui dilungarmi troppo su questo aspetto della trattazione di Ramachandran, per cui è suffi-ciente elencare in estrema sintesi i nove principi che il nostro cervello tende a considerare belli: (1) Grou-ping (2); Peak shift o "spostamento dell'apice" (3); Contrast (4); Isolation (5); Peekaboo o "problem solving percettivo"(6); Abhorrence of coinci-dences o "rifiuto della casualità" (7); Orderliness (8); Symmetry (9); Meta-phor. Tutto ciò che ci aiuta a iden-tificare qualcosa come una figura su uno sfondo (attraverso l'aggluti-nazione degli elementi percepiti e il loro isolamento da un contesto secondario, così come attraverso elementi rari nella realtà della na-tura quali l'ordine, la simmetria, la predittività, il contrasto) o ad attri-buirvi un significato per analogia a qualcosa d'altro (come fanno le metafore), viene da noi percepito come bello. Ci conferma nel no-stro sistema di attese (qui il rifiuto delle casualità domina sovrano), la conferma mette in circolo dopa-mina, la dopamina ci avvolge con il suo tepore neurochimico: ecco la bellezza. Naturalmente Rama-chandran non dimentica o sotto-valuta l'importanza del ruolo delle singole culture nella creazione e

Figura 7.4 e 7.5 - A fianco Nikolaas Tinbergen con lo zoologo ed etologo, Konrad Lorenz. Tinbergen (1907-1988) nel 1973 ha vinto il Premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina condividendolo con i suoi colleghi Karl von Frisch e Konrad Lorenz. sotto un gabbiano reale. tinbergen ha condotto esperimenti sin dagli anni cinquanta sui gabbiani reali, una specie diffusa sulle coste inglesi e americane, per capire come i pulcini quando richiedono il cibo sono in grado di riconoscere il becco della loro madre in mezzo agli altri membri del gruppo.

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Biologia Neuroestetica

nella fruizione dell'arte: il fat-to che si ricerchino fattori uni-

versali, da ricollegare a basi neurali, non sminuisce l'immensa ricchezza culturale rappresentata dai diversi stili, a loro volta determinati dalle diversità. Inoltre, la storia dell'arte o della musica non coincide affat-to per Ramachandran con il trion-fo delle valchirie verso un modello di bellezza assoluta, anzi: spesso si tratta di un gioco di attacco e dife-sa, costruzione e decostruzione, di conservazione e avanguardia teso esclusivamente a produrre diversità estetica e differenziazione percetti-va, non certo bellezza.Per comprendere come procede l'analisi di Ramachandran mi soffer-mo specificamente solo sul secondo elemento, il peak shift (letteralmente, "spostamento del picco"), sintagma con cui il neuroscienziato indiano si riferisce a un processo di ampli-ficazione/ridimensionamento dei tratti distintivi: l'operazione cogni-tiva che identifica qualcosa come bello richiede sia da parte dell'arti-sta sia da quella del destinatario il riconoscimento implicito delle ca-ratteristiche salienti di una forma rappresentabile e la realizzazione esplicita di un'esasperazione o vi-ceversa di un ridimensionamento di esse. È questo che piace molto al cervello, e non solamente a quello umano, come dimostrano molti casi esemplari di osservazione visiva in cui si ricorre al peak shift e un noto test che assume come primo aspet-to suscettibile di peak shifting quello della forma, in particolare dove la rettangolarità è la caratteristica di ri-ferimento di un oggetto osservato. È stato osservato un comportamento molto particolare nei topi, che si è verificato anche in altre specie ani-mali: a un topo sono stati presentati due elementi visivi, uno quadrato e uno rettangolare; ogni volta che si

dirigeva verso il primo, non succedeva niente, mentre ve-niva premiato con del cibo quando si dirigeva verso il se-condo. Dopo una dozzina di prove, il topo ha appreso che scegliere il rettangolo porta-va al cibo. E fin qui, niente di nuovo: è lo stesso mec-canismo del famoso cane di Pavlov. Ciò che rende estre-mamente interessante questa prova è la fase successiva: al topo sono stati presentati lo stesso oggetto rettangolare e un altro oggetto diverso, non più quadrato ma ancora più rettangolare (più esteso e dai contorni meglio marcati). Ci si sarebbe potuto aspettare che il topo continuasse a diri-gersi verso l'oggetto che ave-va imparato potergli procu-rare il formaggio, e invece il topo è andato verso il secon-do, poichè ha riconosciuto la proprietà saliente del primo oggetto e l'ha rivista però amplificata nel se-condo oggetto, ciò che ha provocato un interesse finalistico ancora mag-giore: una volta appreso che "rettan-golare" vuol dir "ottengo cibo", più è marcata la rettangolarità, meglio sarà. Insomma, il peak shift ha reso "bello" il triangolo più marcato.

Estetizzare la realtà. Da parte sua, il premio Nobel per la biologia Ni-kolaas Tinbergen ha condotto degli esperimenti sin dagli anni Cinquanta sui gabbiani reali, una specie diffusa sulle coste inglesi e americane che si distingue dalle altre per la presenza, sul lungo becco giallo della femmi-na, di una piccola macchia circolare rossa. Di fronte ai comportamenti dei pulcini affamati che beccavano vigorosamente il puntino rosso del becco materno, Tinbergen si chiese come potessero riconoscerla in mez-

zo a tante altre. Una prova succes-siva ha fornito una risposta interes-sante: non la riconoscevano affatto, o meglio, i pulcini di gabbiano re-ale per richiedere il cibo fanno af-fidamento al riconoscimento di un oggetto allungato con una macchia rossa: presentare loro un finto becco inanimato con questa caratteristica li porta ad avere lo stesso comporta-mento di richiesta messo in atto con la madre. Peraltro il meccanismo vi-sivo del gabbiano non è certamente sofisticatissimo e molti altri fattori porterebbero il pulcino a confon-dersi, ma la sua visione si è evoluta nei millenni seguendo un principio di risparmio energetico ai fini della sopravvivenza, per cui gli basta un piccolo dettaglio per riconoscere un elemento nell'ambiente. Ebbene, ciò che appare ancor più interessante è un ulteriore fattore, che accomuna il caso del gabbiano di Tinbergen agli

Figura 7.6 - A fianco il dipinto di Pablo Picasso Les Demoiselles d'Avignon. Secondo Ramachandran, il cubismo è riuscito a legare profondamente il suo operato ai "principi figurativi" della nostra grammatica neuro-percettiva.

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Anemosneuroscienze

Indicazioni bibliografiche

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Stefano Calabrese. professore Ordina-rio di semiotica del testo presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, insegna inoltre semiotica presso lo UlM di Milano e lettera-tura per l’Infanzia presso la libera Università di bolzano. tra le sue recenti pubblicazioni, Anatomia del best seller (Laterza, Roma-Bari 2015) e Retorica e Neuroscienze cognitive (Carocci, Roma 2014).

esperimenti sui topi appe-na citati. Ma-nipolando le condizioni e proponendo al pulcino un finto bec-co con tre strisce rosse all'estremità, si è notato che esso lo cerca ancora più intensa-mente, bec-chettandolo più forte. Il secondo ret-tangolo era stato perce-pito dal topo come un "su-p e r - r e t t a n -golo" e il se-condo becco, dal piccolo di gabbiano, come un "su-per-becco": tutto questo è avvenuto di

fronte alla proposta di un oggetto noto, dalla proprietà estetica ampli-ficata. Naturalmente il genere caricaturale è una forma evidente di esasperazio-

ne in termini di peak shift, ma non è il solo modo di estetizzare la re-altà. Ramachandran fa l'esempio di una statua della dea indiana Parva-ti: il fatto che i due seni e i fianchi siano così prorompenti potrebbe fare di lei una sorta di sexy pinup, mentre al contrario l'operazione che presiede al peak shift della dea Parvati è molto raffinata e si com-pone di due diverse riconfigurazioni rispetto alla realtà consueta: la pri-ma riguarda l'applicazione dell'iper-bole alle proporzioni anatomiche; la seconda, l'amplificazione delle possibilità posturali. Proprio attra-verso queste due operazioni, Parvati è in grado di incarnare in una for-ma bella il concetto di femminilità. Essa vi riesce sia tramite un'iperbo-lica maggiorazione di tratti tipici della donna (fianchi e mammelle), sia tramite un'altrettanto iperbolica costrizione volumetrica di attributi più sviluppati nell'uomo (l'addome è ad esempio ridottissimo). Mentre l'artista scultore aggiunge elemen-ti femminili e riduce gli elementi potenzialmente maschili, si dedica anche al peak shift posturale: molte statue la rappresentano in posizioni di torsione assolutamente innaturali e pressoché impossibili da assume-re. Anche qui, ecco la bellezza vista dal punto di vista del cervello che guarda. Il peak shift è dunque un "ultrasti-

molo"? La bellezza coincide con la salienza percettiva? Ramachandran sostiene che alcune correnti pitto-riche hanno messo in atto princìpi di peak shift, ad esempio il cubismo, che è riuscito a mettere in atto lo stesso meccanismo innescato dalle tre strisce rosse nella percezione dei piccoli gabbiani. Picasso o Henry Moore nei rispettivi ambiti pittori-co e scultoreo sono riusciti a lega-re profondamente il loro operato ai "principi figurativi" della nostra grammatica neuro-percettiva: l'arte astratta è infatti composta di ultra-stimoli, che eccitano con particolare intensità i neuroni delle aree visive rispetto alle immagini realistiche. ■

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Scienza e poesia. Il de-siderio di conoscenza e le capacità di esplorare e de-cifrare il funzionamento della natura sono in dote

all’Homo Sapiens, specie particolar-mente “privilegiata”, in questo senso. Si può tuttavia percepire il desiderio di conoscenza come un fardello, fru-strante dòmino di domande senza fine. Oppure accogliere la necessità che proprio la scienza regge le sue certezze sul dubbio: il suo percorso è un anelito, una volontà di conoscen-za che si alimenta delle proprie man-canze, dunque un processo creativo e ottimista. Vero è che l’uomo sconta un profondo desiderio di essere nu-trito di sapere, per via di quel senso di vacanza - scriveva Mario Luzi - nei

confronti di un universo dato ma non spiegato e allora sempre da ricostru-ire. Il sentimento che non esime l’uo-mo dall’interpretare continuamente l’ignoto è ambivalente: è fatto di in-quietudine e allo stesso tempo di me-raviglia. E proprio dalla paura e dalla meraviglia nascono le domande della scienza, ma anche quelle di un’altra millenaria attività contemplativa uma-

na per eccellenza: la poesia. Entram-be, pur per strade diverse, tracciano visioni del mondo invocando - diret-tamente o indirettamente - risposte. Tra le operazioni più frequenti, co-muni a scienza e poesia, vi sono gli studi e le riflessioni sugli stati d’animo - dall’euforia alla profonda malinco-nia - narrati, per esempio, dalle neuro-scienze con gli equilibri biochimici tra neurotrasmettitori e dalla letteratura

parole chiave. poesia, scienza, metafore, astrazione.

Abstract. Tra le operazioni più frequenti, comuni a scienza e poesia, vi sono gli studi e le riflessioni sugli stati d’animo umani narrati, per esempio, sia dalle neuroscienze che dalla letteratura. Entrambe, grazie alla nostra facoltà astrattiva, utilizzano immagini, metafore e allegorie per spiegare l'uomo e il mondo e per diffondere conoscenza.

di Marco pivatoIn

Processo

IN scIENZA E POEsIA2

e processoCREATIVO

NARRATIVO

«L’atteggiamento scientifico e quello poetico coincidono: entrambi sono atteggiamenti insieme di ricerca e di progettazione, di scoperta e di invenzione.»

I. Calvino, La sfida al labirinto (1962)

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◄con i vividi episodi degli autori romantici, decadenti e anche cre-

puscolari. Anche nella proposta della poesia italiana del Novecento si ritro-va una coerente e inesausta riflessione sulla natura e sull’Io, una tensione che attraversa l’opera di Giorgio Caproni, Giuseppe Ungaretti, Andrea Zanzotto e molti altri, instancabili nel mettere in scena il dramma della ricerca di un rapporto armonico tra sé e il mondo.Proprio attorno agli affetti è - tra le tante testimonianze - emblematico il Carme 51 del poeta latino Catul-lo, capace di formulare una piccola fenomenologia della passione, quasi scientifica: chissà in quanti hanno provato una sintomatologia dell’in-namoramento proprio come ce la de-scrive lui, con le orecchie rintronate e gli occhi annebbiati.

[…] mentre dolcemente gli sorridi; a me infelicequesto toglie completamente i sensi; per-ché non appenati vedo, o Lesbia, non mi resta piùun filo di voce,

la lingua s’inceppa, sottile per le membra serpeggia una fiamma, rimbombano le orecchieper un suono interno, su entrambi gli oc-chicala la notte […]1.

Sappiamo quanto vasto e complesso sia il quadro dell’affettività. Ma non siamo riduzionisti nello spiegare che nella dimensione biologica dei legami di coppia hanno ruolo assolutamente centrale, tra le altre, molecole come

dopamina e ossitocina, sia durante lo svolgimento sia durante l’evoluzione degli affetti stessi. Quella tempesta emozionale automatica involonta-ria che descrivono i poeti come Ca-tullo, oppure Virgilio (“Se l’amore tutto vince, conviene per noi cedere all’amore”2), oggi la potremmo spie-gare con il concetto di «sequestro neurale».

Immagini, metafore e astrazio-ne. Scienza e poesia spiegano inces-santemente il racconto della natura e dell’uomo che vive al suo interno e in questo atto è comune il ricorso alle immagini, possibile grazie alla nostra facoltà di astrarre. Una capacità tanto utile all’uomo primitivo per raffigura-re i fenomeni naturali variopinti sulle pareti delle caverne di Lascaux, quan-to a Charles Darwin per esemplificare la teoria dell’evoluzione (con un al-bero genealogico) o ai fisici contem-poranei per rendere conto del signi-ficato del bosone di Higgs, ovverosia la “particella di Dio”, senza la quale non si spiegherebbe in che modo la materia abbia massa. Spesso proprio

grazie all’uso di una metafora, aridità o concretezza della fisica delle parti-celle, come della scienza in generale, diventano panoramiche. Spiegava, del resto, Margherita Hack: “ci piace scrutare le stelle dalla Terra e descriverle come un tappeto di mar-gherite di un immenso prato celeste: meglio immaginarle così che non per quello che sono, cioè enormi masse di gas puzzolenti”3. La metafora diviene strumento ancora più necessario oggi, negli anni in cui la scienza non parla più di pesi e carrucole ma di concetti più complessi come “onde gravitazio-nali”, “materia oscura”, “radiazione fossile” o “eco del Big Bang”.È ancora più facilmente intuibile quanto sia importante il ricorso a im-magini, metafore e allegorie nella cre-azione poetica: “una lonza leggiera e presta molto”, “un leone [...] con la test’alta e con rabbiosa fame” ed “una lupa, che di tutte brame sembiava car-ca ne la sua magrezza” sono immagini della superbia e della violenza (leone), dell’avarizia e della cupidigia (lupa), dell’avidità e della lussuria (lonza) che, nel racconto dantesco, sono in-

Letteratura Estetica

1 Carme 51, G. V. Catullo, in I tre volti di Catullo, trad. it. L. Canali e L. Perilli, Bur-Rizzoli, Milano 2013. Trad. it. adattamento dell’autore.2 “Omnia vincit amor: et nos cedamus amori”. Trad. it. letterale: “L’amore vince tutto: e noi cediamo all’amore”. Virgilio, Bucoliche, ecloga X, v. 69.3 M. Pivato, Le stelle? Per capirle uso la mente e il cuore, in «Quotidiano Nazionale», 27 novembre 2007. Intervista a Margherita Hack.4 Singolo elemento di una cultura o di un sistema di comportamento, replicabile e trasmissibile per imitazione da un individuo a un altro o da uno strumento di comunicazione ed espressione a un altro. Il termine fu coniato nel 1976 dal biologo Richard Dawkins per indicare un’entità di informazione replicabile.

Figura 8.1 - A fianco il poeta e scrittore Giuseppe Ungaretti (1888 - 1970). Tra le operazioni più frequenti, comuni a scienza e poesia, vi sono gli studi e le riflessioni sugli stati d’animo. Nelle sue opere si ritrova una coerente e inesausta riflessione sulla natura e sull’Io.

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Anemosneuroscienze

Indicazioni bibliografiche

Bibliografia generalistaD. Alighieri, La divina commedia, a cura di N. Sapegno, 2° edizione ricompo-sta, La Nuova Italia, Firenze 1968.U. Amaldi, Sempre più veloci. Perché i fisici accelerano le particelle: la vera storia del bosone di Higgs, Zanichelli, Bologna 2012.P. Bertinetti (a cura di), Breve storia della letteratura inglese, Torino, Einaudi, 2004.L. Canali e L. Perilli, I tre volti di Catullo, Bur-Rizzoli, Milano 2013.Y. Castelfranchi, N. Pitrelli, Come si comunica la scienza?, Laterza, Roma-Bari 2007.Esiodo, Le opere e i giorni, trad. it. L. Magugliani, Bur-Rizzoli, Milano 2010.E. R. Kandel, Principles of Neural Science, Elsevier, Amsterdam 1981.G. Laini, Il romanticismo europeo, 2 voll., Vallecchi, Firenze 1959.G. O. Longo, Il senso e la narrazione, Springer, Milano 2008.N. Lorenzini, La poesia italiana del Novecento, Il Mulino, Bologna 2005.M. Luzi, Vero e Verso, scritti sui poeti e sulla letteratura, a cura di D. Piccini e D. Rondoni, Garzanti, Milano 2002.M. Pivato, Noverar le stelle. Che cosa hanno in comune scienziati e poeti, Donzelli, Roma 2015.E. Raimondi, Scienza e letteratura, Einaudi, Torino 1978.

Bibliografia speciali-sticaA. Bartels and S. Zeky, The neural basis of ro-mantic love, in «Neuro-Report», vol. 11, n. 17, Lippincott Williams & Wilkins, Philadelphia 2000.T. R. Insel e L. J. Joung, The neurobiology of attachment, in «Na-ture Reviews Neuro-science» vol. 2 di febbraio, Nature Publishing Group, Londra 2001.D. Marazziti, H. S. Akiskal, A. Rossi, G. B. Cassano, Alteration of the platelet serotonin transporter in romantic love, in «Psychological Medicine», vol. 29, n. 3, Cambridge University Press, Cambridge 1999.K. Whalley, Synaptogenesis. A new partner for neurexins, in «Nature Reviews Neuroscience», vol. 11, n. 2, Nature Publishing Group, Londra 2010.

Marco pivato (Rimini 1980) è giornalista e scrittore. Dopo gli studi classici si è laureato presso l’Università di bologna in chimica e Tecnologia Farmaceutiche ed è farmacista. ha conseguito il Master in comunicazione della scienza presso la scuola Italiana su-periore di studi avanzati di trieste, sterzando la professione verso il giornalismo scientifico, prima presso il Quotidiano Nazionale, poi come free-lance per quotidiani e riviste di settore. con l’Università di bologna collabora per progetti del dipartimento di scienze per la Qualità della vita. collabora con La Stam-pa per il supplemento Tuttoscienze&Salute.

carnate da tre fiere che hanno in ostaggio la libertà spirituale dell’uomo. L’immagine, strumento dell’estetica, è dunque (anche) strumento di scienza e poesia. Per entrambe l’immagine - o ancora meglio la metafora - ha il potere di ridurre la complessi-tà dei concetti trasformandoli in ana-loghi più maneggevoli. La metafora, in altre parole, è dotata di un'immen-sa capacità antientropica: con essa l’uomo è in grado di ri-costruire un mondo eccessivo e sovraccarico di stimoli e perturbazioni per derivarne uno a propria misura, conferendogli un ordine e un senso.Il processo narrativo di scienza e po-esia ha inoltre un fine: se non quello di corteggiare la verità, quello almeno di produrre cambiamenti nella realtà. La scienza lo fa, come ben sappiamo, attraverso l’innovazione tecnologica, resa possibile dalla condivisione e dal-la comunicazione dei nuovi studi. La poesia lo fa attraverso i suoi messag-

gi. Oggi la poesia non ha più questo potere forse, ma in potenza lo ha da sempre. Basta rammentare gli antichi poemi didascalici. Lucrezio, nel De re-rum natura, spiegava la fisica secondo Epicuro in versi; Esiodo ne Le opere e i giorni insegnava a interpretare la po-sizione delle stelle per navigare, oltre a riconoscere, seguendo sempre gli astri, il momento per la semina e la raccolta. Questi e molti altri poemi, ovviamente, avevano non solo uno scopo didattico, ma anche quello di impartire insegnamenti morali e poli-tici. Se in antichità al poeta, al filosofo, al sacerdote o allo sciamano era conferi-ta l’autorizzazione a educare la società oggi questa autorizzazione è conferita

dalla società a opinion leader di altro genere. Tuttavia nel processo narrativo dell’alfabetizzazione mediante meme4 o messaggio lo strumento è rimasto la parola: sia per quanto concerne la filiera dell’innovazione tecnologica, che è il risultato della condivisione e della discussione e poi dell’applica-zione dei risultati della ricerca di base, sia per quanto riguarda la retorica dei leader e dei mass media. La parola è quindi quella “tecnologia biologica” in dote all’Homo Sapiens che ha fatto di scienziati e poeti gli ingegneri della cultura. ■

Figura 8.2 - A fianco graffiti nelle Grotte di Lascaux, un complesso di caverne che si trova nella francia sud-occidentale. Nelle grotte si trovano esempi di opere d'arte risalenti al paleolitico superiore. Il tema più rappresentato è quello dei grandi animali dell'epoca.

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NARRAZIONEusO tERAPEutIcO DELLE stORIE cON IL BAmBINO AutIstIcO: uN EsERcIZIO POssIBILE DELLE cOmPEtENZE cOgNItIVE E DELLE ABILItà sOcIO-RELAZIONALI

Potenziale terapeutico della narrazione. L'in-contro tra teorie della narrazione e neuroscien-ze cognitive svela il po-

tenziale terapeutico dell'atto del narrare: applicare infatti gli studi narratologici in ambito medico con-sente di tentare veri e propri approc-ci terapeutici rispetto a molteplici patologie.Sono già in corso ad esempio per-

corsi di sostegno terapeutico per i malati di Alzheimer, i quali benefi-ciano dello storytelling nel senso del rallentamento della degenerazione neuronale e del mantenimento di un contatto con la realtà autobio-grafica. Possiamo ipotizzare inoltre che la narrazione abbia una funzio-ne terapeutica nel processo di accet-tazione del trauma interiore subìto, poiché riordinare le sequenze narra-tive di una storia equivale a mette-

re ordine tra memoria narrativa (il ricordo costruito per difendersi dal trauma) e memoria traumatica (il ri-cordo respinto di ciò che è realmen-te accaduto).Non solo: nel Regno Unito esistono collaborazioni riconosciute dal Go-verno britannico e dal sistema sani-tario nazionale tra agenzie di lettura e centri di supporto per malati di cancro, realizzate per offrire soste-gno emotivo e psicologico ai pazien-

Letteratura Psicologia

parole chiave. Narrazione, terapia, autismo, storie, storygrammar, comprensione cognitiva, condivi-sione del significato.

Abstract. I bambini autistici hanno la tendenza a concentrarsi sui dettagli di una storia narrata, senza riuscire a coglierne il significato generale. L'uso della narrazione stimola e sviluppa la capacità di com-prensione e interpretazione cognitiva degli eventi: per questo ci chiediamo se l'atto del narrare, declinato nelle sue diverse forme - orale, scritta e visiva - possa fungere da sostegno per lo sviluppo di queste competenze cognitive nei bambini con autismo. Ipotizziamo inoltre che i benefici di tale approccio tera-peutico coinvolgano anche la sfera relazionale, visto che la comprensione di una storia narrata (evento accaduto) veicola la condivisione del suo significato a livello comunicativo.

di Maria Francesca Luziatelli1In

E AUTISMO

Apr-Giu 2016 | anno VI - numero 21

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Anemosneuroscienze

ti sotto cura, per mezzo di romanzi e raccolte di poesie. Inoltre recenti studi di scienze cognitive hanno ini-ziato a esplorare il difficile terreno della comprensione delle storie da parte delle persone con autismo. A fronte di queste sperimentazio-ni, alcune già avviate, altre in fase di definizione teorica, possiamo guardare al componimento narrati-vo - e parliamo indifferentemente di un romanzo o di un racconto bre-ve - come a un'opera letteraria che diventa strumento terapeutico. In conseguenza le persone con difficol-tà, traumi o vere e proprie patologie diventano i destinatari dell'opera

creativa nel senso della sua fruizione terapeutica: i benefici riguardano il significato lenitivo e curativo della narrazione, rispetto agli stati emoti-vi e ai processi cognitivi interrotti o ritardati a causa di fattori di distur-bo esterno, di motivi genetici e/o fisiologici.

Autismo e narrazione. L'autismo appare dunque una sindrome del tutto impermeabile alla compren-sione di una storia narrata, poiché questo richiede competenze e abi-lità di tipo cognitivo, percettivo ed emotivo che sembrano di difficile - se non impossibile - raggiungimento

per le persone autistiche.Eppure proprio ai bambini autistici vogliamo provare a raccontare storie per tentare di sfruttare il potenziale terapeutico della narrazione, sia in senso cognitivo che emotivo e rela-zionale. Gli studiosi di psicologia sperimen-tale Simon Baron Cohen e Jennifer Barnes - conosciuti per le loro ri-cerche sull'autismo - si sono recen-temente concentrati sugli elementi principali di una storia che le per-sone autistiche, o con sindrome di Asperger, riescono a cogliere: l'am-bientazione, il personaggio, il conflitto e la risoluzione. L'ana-

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Letteratura

lisi ha mostrato che tendono a fornire dettagli locali piuttosto

che dati riferiti al senso globale, per quello che riguarda ognuno dei quattro elementi. L'abilità di comprendere storie è collegata all'abilità di capire il mon-do sociale e quella di raccontare sto-rie alla comunicazione pragmatica. Per questa ragione la ricerca si sta focalizzando sulle abilità di storytel-ling nelle persone con difficoltà di comunicazione, come quelle autisti-che, caratterizzate da comportamen-to ripetitivo, difficoltà di interazio-ne sociale e di comunicazione.Una storia - e in particolare una storia di finzione - non è semplice-mente una catena causale di eventi; al contrario una narrazione ha una struttura coesa, sviluppata intorno a elementi standard. Quando le per-sone parlano di storie, libri o film non incentrano il dibattito sulle cor-nici causali, discutono invece di ele-menti come la caratterizzazione dei personaggi o il plot. Il termine story grammar si riferisce all'uso di specifici elementi usati per raccontare una storia e include i per-sonaggi, l'ambientazione, il proble-ma centrale o il conflitto, i tentativi dei personaggi di superare l'ostaco-

lo, le conseguenze, le reazioni dei personaggi e la risoluzione finale. Negli studi sullo sviluppo delle ca-pacità narrative dei bambini, questi elementi sono spesso ridotti a tre componenti chiave: l'inclusione di un obiettivo iniziale o di un proble-ma, i tentativi di raggiungere l'obiet-tivo, l'esito finale della storia.Nonostante le difficoltà con la co-municazione, le persone con sin-drome autistica spesso riescono con successo a strutturare le loro narrazioni intorno ad alcune com-ponenti chiave dello story grammar: ad esempio, malgrado la tendenza a trattare i personaggi come oggetti, un bambino con autismo spesso in-clude elementi di una trama basica nel racconto di un semplice puppet show. Gli studiosi Norbury e Bishop hanno usato un picture book senza didascalie né dialoghi per osservare un esercizio di storytelling in bam-bini con e senza HFA (High Fun-ctioning Autism) e non hanno tro-vato differenze tra i due gruppi, nel rilevare gli elementi principali dello story grammar.

In che modo dunque le persone autistiche raccontano le storie? Delle componenti narrative del-

lo story grammar - ambientazione, personaggio, conflitto e risoluzione - l'elemento su cui le persone con sviluppo tipico e quelle con sindro-me ASC (Autism Spectrum Condi-tions) differiscono solo lievemente è il conflitto. In vari modi questo è un dato inaspettato poiché il conflitto è l'unico aspetto che richieda di attri-buire stati mentali ai personaggi in una scena specifica. Una possibile spiegazione a questo risultato è che le storie usate per condurre l'espe-rienza di ricerca, come molte altre narrazioni convenzionali, sono in-centrate proprio sul conflitto: gran parte dei dialoghi è dedicata a spie-gare il conflitto e le storie terminano quando il conflitto si risolve. Allo stesso tempo, le analisi di Bar-nes e Baron-Cohen hanno rivelato differenze significative tra il gruppo ASC e quello con sviluppo tipico ri-guardo la descrizione dell'ambienta-zione della storia, dei suoi personag-gi e delle loro relazioni, infine del modo in cui la storia finisce.

Ci chiediamo così se l'atto del narrare possa essere speri-mentato come esercizio cogni-tivo che aiuti i bambini autisti-ci a sviluppare narrativamente

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Anemosneuroscienze

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Indicazioni bibliograficheBarnes Jennifer L. e Baron-Cohen Simon, The big picture: storytelling ability in adults with autism spectrum conditions, "Journal of autism and developmental disorders" (2012), 42: 1557-1565;Calabrese S. (a cura di), Neuronarratologia. Il futuro dell'analisi del racconto, Co-operativa Libraria Universitaria Editrice Bologna, Bologna (2012); Colle L., Baron-Cohen S., Wheelwright S., van der Lely HK., Narrative discourse in adults with high-functioning autism or Asperger syndrome, "Journal of Autism and Developmental Disorders" (2008), 38(1): 28-40;Craig J., Baron-Cohen S., Story-telling ability in children with autism or Asperger syndrome: a window into the imagination, "The Israel journal of psychiatry and related sciences" (2000), 37(1): 64-70; Craig J., Baron-Cohen S., Scott F., Drawing ability in autism: a window into the imagination, "The Israel journal of psychiatry and related sciences" (2001), 38(3-4): 242-53; Diehl JJ., Bennetto L., Young EC., Story recall and narrative coherence of high-functioning children with autism spectrum disorders, "Journal of abnormal child psychology" (2006), 34(1): 87-102; Grandin T., Pensare in immagini. E altre testimonianze della mia vita di autisti-

ca, Erickson, Trento (2006);King D., Dockrell J., Stuart M., Constructing fictional stories: a study of story narratives by children with autistic spectrum disorder, "Re-search in develop-mental disabilities" (2014), 35(10): 2438-49; Suh J., Eigsti IM., Naigles L., Barton M., Kelley E., Fein D., Narrative perfor-mance of optimal outcome children and adolescents with a history of an Autism Spec-trum Disorder (ASD), "Journal of Autism and Developmental Disorders" (2014), 44(7): 1681-94.

Maria Francesca Luziatelli. Si è laure-ata in Editoria e scrittura presso l'Università sapienza di Roma, con tesi di laurea in so-ciologia dei processi culturali e comunicativi. ha lavorato come web editor presso riviste online sul tema dell'università e della ricer-ca, e come addetta alla comunicazione per un'agenzia di comunicazione del Ministero dello Sviluppo Economico; è stata analista d'informazione e comunicazione politica presso un laboratorio d'indagine sulla comu-nicazione audiovisiva. svolge il dottorato in Narratologia, presso la scuola di dottorato in scienze Umanistiche dell'Università di Mode-na e Reggio Emilia, con un percorso di ricer-ca sulla narrativa terapeutica.

Figura 9.1 e 9.2 - clip tratte dal cortometraggio Paperman: dettaglio storygrammar .

“scene” complesse e ricche di dettagli, per creare un senso globale e condivisibile della storia. Rispettando la difficoltà di cogliere e restituire la visione del tut-to, possiamo pensare di stimolare in loro la narrazione di singole micro-scene in cui sia ripetuto un dettaglio narrativo che riguardi l'elemento del conflitto (poiché questo funziona da attrattore cognitivo): l'ipotesi è che, "giocando" su materiale narra-

tivo così strutturato e chiedendo di rinarrarlo, la narrazione si sviluppe-rà a partire dai dettagli verso la com-posizione di una visione d'insieme della storia.

L'attività del narrare, concen-trata sul dettaglio ripetuto, po-trebbe sviluppare così nel nar-ratore autistico la capacità di seguire una traccia che porti induttivamente alla costruzio-ne della storia, restituita in un modo sempre più prossimo a quello totalmente compiuto. Gli ultimi studi sull'autismo rivela-

no infine che gli autistici si avvalgo-no di un procedimento di pensiero di tipo visivo, anziché pensare per linguaggio come accade alle persone con sviluppo tipico: questo apre la possibilità di analizzare, studiare e definire un modo per testare la fun-zione delle narrazioni visive nello sviluppo cognitivo del bambino con autismo: e questa è un'altra impor-tante storia da raccontare.■

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Definizione di bellezza. Al fine di trovare un am-pliamento del concetto di bellezza, possibile sulla base di nuove intuizioni

che scaturiscono da ambiti del sapere non ancora del tutto indagati, è necessa-rio operare un superamento delle acqui-sizioni filosofiche classiche che si sono consolidate nel corso della storia. Nell'ambito della letteratura saggistica alcune definizioni vengono date per ac-quisite. La bellezza come insieme delle qualità percepite tramite i cinque sensi, qualità il cui scopo è suscitare piacere o comunque un contenuto emozionale positivo, ed anche quale scaturigine di una riflessione benevola sul significato della propria esistenza dentro il mondo naturale. Così pure si è cristallizzata la distinzione tra bellezza oggettiva, definita come insieme delle qualità rispondenti a dei canoni - funzione del tempo - e bel-lezza soggettiva, dipendente dal proprio gusto estetico - funzione della formazio-

ne -; infatti, attraverso l'analisi storica, è ampiamente condivisa l'idea che non si tratti di un assoluto immutabile bensì cangiabile, non solo relativamente alla bellezza fisica ma anche alla bellezza di Dio o semplicemente come idea.Le tappe dell'elaborazione filosofica pas-sano da Aristotele e Platone, per i quali la bellezza era il vero, da Giambattista Vico, che legava il vero al fatto e da que-sti due criteri ricava la forma occidentale della bellezza, l'arte; quindi Plotino in-troduce il concetto di visione interiore, per cui l'artista attinge ad una forma ide-ale del bello che risponde appunto ad un sentire intimo, e Kant analizza il bello secondo quattro criteri - disinteresse, universalità, finalità senza scopo (fine a se stessa) e necessità, ovvero percezione istintiva - e distingue la bellezza in natura e la bellezza nell'opera d'arte. Individua cioè alcuni criteri obiettivi per valutare un'opera d'arte, come l'armonia nella composizione, il rispetto del canone, la corrispondenza al vero, la prospettiva, il

rispetto delle proporzioni, eccetera.Il superamento di tale impostazione avviene in epoca moderna, quando al-cuni di questi canoni vengono del tut-to ignorati e ci si indirizza verso criteri innovativi cui la bellezza deve risponde-re: accettazione della critica, asimmetria controllata, astrattismo, iperrealismo, impressionismo, provocazione, simboli-smo, stilizzazione, surrealismo... ovvero si abbattono di fatto tutti i canoni prede-finiti e si accetta la proposta dell'artista cercando l'attribuzione del bello a poste-riori. L'epoca recente ha affidato la ricerca sul-la bellezza alla neuroestetica, un'area di ricerca che coinvolge le scienze cognitive e l'estetica e affianca l'approccio neuro-scientifico alla consueta analisi estetica della produzione e della fruizione di opere d'arte; questo ha stabilito una più stretta relazione fra arte e cervello, cioè si cerca di esaminare le aree del cervello che si attivano nell'ammirazione di un quadro, una statua, eccetera.

L'eleganza del riccio. Un'apertura concettuale inedita ci viene suggerita dalla narrativa. E non bisogna consultare migliaia di pagine e squadernare centinai di libri, perché una delle virtù della lette-ratura è saper racchiudere in un solo ro-manzo un universo completo costruito sulla base di una cosmogonia autoriale che giustifica la verità di quanto vi si af-ferma. Diceva Miguel de Unamuno che la singolarità ha una dimensione univer-sale, e bisogna leggere il suo Come si fa

Letteratura

parole chiave. bellezza, letteratura, Muriel barbery, L'elegan-za del riccio, filosofia.

Abstract. La neuroestetica oggi ha stabilito una più stretta re-lazione fra arte e cervello, cioè si cerca di esaminare le aree del cervello che si attivano quando si ammira un quadro, una statua... Un'apertura concettuale inedita da questo punto di vista ci viene suggerita dalla narrativa. l'articolo cerca di aprire uno spiraglio d'indagine sulla bellezza con un libro interessante e raffinato scrit-to nel 2006 da Muriel Barbery, docente di filosofia francese: L'ele-ganza del riccio.

di Adriano Amati1In

I PENSIERIuN'INtuIZIONE LEttERARIA

DEscRIVE IL “mOmENtO PERFEttO” uN INsIEmE DI ELEmENtI chE sI

cOmBINANO IN tOtALE ARmONIAdEL TÈ*

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Anemosneuroscienze

un romanzo per accettare questa piccola grande verità.Così eccoci di fronte a una proposta in-solita: cerchiamo di aprire uno spiraglio d'indagine sulla bellezza con un libro in-teressante e raffinato scritto nel 2006 da Muriel Barbery, una docente di filosofia francese, in cui troviamo pagine di fortu-nate intuizioni: L'eleganza del riccio.Renée Michel, la protagonista, sembra essere la comunissima portinaia del nu-mero 7 di rue Grenelle, un condominio parigino abitato da famiglie facoltose; è apparentemente sciatta, pigra, peren-nemente presa dalla cura del suo gat-to, dalla televisione e dalle sue piccole faccende private. In realtà Renée è una persona coltissima: si interessa di arte, di filosofia, di cinema, di musica classica e di cultura giapponese ma preferisce dissi-mulare la propria erudizione.Ecco il suo esordio: “Quando sono an-gosciata, mi ritiro nel mio rifugio. Non c'è nessun bisogno di viaggiare; mi basta raggiungere le sfere della mia memoria letteraria e il gioco è fatto. Quale distra-zione più nobile, quale compagnia più amena, quale trance più deliziosa di quella letteraria. O no?”Sue sono alcune affermazioni che acca-rezzano il nostro tema con sguardo lieve e garbato. “Il bello è ciò che cogliamo mentre sta passando. È l'effimera confi-gurazione delle cose nel momento in cui ne vedi insieme la bellezza e la morte... Forse essere vivi è proprio questo andare alla ricerca degli istanti che muoiono... Stasera, ripensandoci, con il cuore e lo stomaco in subbuglio, mi dico che forse in fondo la vita è così: molta disperazio-ne ma anche qualche istante di bellezza dove il tempo non è più lo stesso. È come se le note musicali creassero una specie di parentesi temporale, una so-spensione, un altrove in questo luogo, un sempre nel mai. Sì, è proprio così, un sempre nel mai”.Le sue riflessioni ci avvicinano al nucleo dell'indagine: “Dove si trova la bellezza? Nelle grandi cose che, come le altre, sono destinate a morire, oppure nelle piccole che, senza nessuna pretesa, sanno inca-stonare nell'attimo una gemma d'infi-nito?... Ma è così estenuante desiderare

incessantemente... Ben presto aspiriamo a un piacere senza ricerca, sogniamo una condizione felice che non abbia inizio né fine e in cui la bellezza non sia più finalità né progetto, ma divenga la cer-tezza stessa della nostra natura. Ebbene, questa condizione è l'arte”.Tutte queste affermazioni sembrano pre-parare la pagina in cui l'Autrice racconta il suo ideale di bellezza: Renée riceve la visita dell'unica amica che ha e insieme trascorrono un'oretta bevendo il tè e chiacchierando. È il momento perfetto, tutti gli elementi di quella circostanza all'apparenza così banale concorrono a una completa appagante armonia. La sua migliore amica (“fatevi una sola ami-ca, ma sceglietela con cura”) le fa visita, e questa consolidata abitudine la rassicura, le conferma la sua posizione nel mondo. Nell'occasione la portineria resta chiu-sa, e questo la isola dall'ipocrita vita di condominio, la stanzetta dell'incontro diventa davvero un'isola felice in cui co-vare una quieta intimità. Le chiacchiere amene scambiate a cuor leggero e sen-za dissimulazioni dispongono l'animo alla bonomia degli affetti che sono puro nutrimento dello spirito; e poi il piacere del tè, ove le amiche intingono i biscotti, svolgendo un rito fatto di lentezza, sere-nità e pause in cui ascoltano il silenzio delle cose o si scambiano brevi frasi nel tono sommesso della complicità.Insomma, qui la bellezza non ha storia né filosofia alle spalle, non cerca riscon-tri cerebrali o motivazioni fisiologiche, perché è un breve tratto di presente che abbraccia una serie di elementi perfetta-mente combinati tra loro (psicologici, ambientali, affettivi, relazionali, spiri-tuali, gustativi); questo per Renée è il momento perfetto, lontano dalla vita rutilante dei borghesi che abitano il pa-lazzo, senza contatti umani viziati dalla differenza di classe e dalle maschere che s'indossano quotidianamente, con la persona con la quale ha una piena cor-rispondenza d'affetto amicale, in una pausa d'intimità in cui i pochi gesti bastano a dare il senso d'una raffinata ospitalità; e tutto questo con profonda pace dello spirito.È questa la bellezza, ancora più prezio-

sa della letteratura, perché combina ele-menti diversi che solo occasionalmente si rendono disponibili. “Le cose belle dovrebbero appartenere alle belle per-sone”, dice Renée all'amica, l'unica con la quale lo scambio avviene attraverso un “cablaggio neuronale” di spontanea immediatezza, cospicuo, veloce, senza malintesi. La visita pomeridiana è la pa-rentesi temporale in cui la protagonista si riconcilia con la propria esistenza, allo-ra il suo animo si dispone all'accoglienza ed è foriero di emozioni e sentimenti squisiti. Dunque la bellezza sgorga da una circostanza, quando le condizioni soggettive e oggettive in un definito arco temporale concorrono a determinare la qualità di ciò che è sentito come bello dai sensi e dall'anima.Per chi legge il romanzo infine la bellez-za risiede anche nell'eleganza del riccio, cioè nel tratteggio intelligente con cui Barbery ci fa conoscere la protagonista: e pagina dopo pagina capiamo che Renée di fuori è protetta da aculei, chiusa come una vera fortezza, ma dentro è semplice e raffinata come i ricci, animaletti indo-lenti e solitari terribilmente eleganti.Il romanzo trasuda bellezza, non solo perché ne parla ma perché la rappresenta magistralmente nella finzione narrativa, la sola che permette slanci iperbolici svincolati da qualsivoglia presupposto scientifico; esso di certo occhieggia in certe affermazioni e descrizioni, ma non è condizione necessaria per disegnare la forma ideale di un concetto che non deve solo spiegare il bello ma, appunto, prendere vita nella scrittura. Anche con piccole cose che non hanno alcuna pre-tesa ma sanno incastonare nell'attimo una gemma d'infinito. ■

* Ho preso a prestito il titolo di un libro di Gui-do Ceronetti che di prima mattina e verso le cinque del pomeriggio beve qualche tazza di tè verde cinese. In quei momenti il pensiero gli si accende...

Indicazioni bibliograficheMuriel Barbery, L'eleganza del riccio, Editore E/O - collana Dal mondo, 2006Guido Ceronetti, I pensieri del tè, Piccola Biblioteca Adelphi, 1987Miguel de Unamuno, Come si fa un romanzo, Ibis, 1994

Adriano Amati. scrittore. Oltre a libri ditu-rismo ed arte ha pubblicato: Turista a Tebaide (1991) e Bertrand il matematico (1994) per paolini Editore; Dialoghi del namoro (1997) per severgnini Editore; Domicilio Mantova (2003) per l'Editoriale La Cronaca; Detto tra noi (2005) per Prospecta Editore; I miei (2006) per il Cartiglio Mantovano; Una voglia di Sur (2008) e L'iride azzurra (2010) per Lui Editore; Ballate (2013) per Clessidra Editrice; Nebbia a teatro (2014) per Paolini Editore. partecipa attivamente alle iniziative editoriali di clessidra Editrice.

A NumeroMonograficoApr-Giu 2016 | anno VI - numero 21

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LeTTure e appunTamenTiR

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La RappREsENtazIoNE aNatomICa dELL'ImmagINE

dEL CoRpo UmaNo

Da Mondino alla geisha

Un percorso anatomo-artistico che rappresenta l’aspetto culturale di un

impegno e di un interesse per l’anatomia umana con un perso-nale viaggio iconografico nel cor-so della storia della rappresenta-zione del corpo umano attraverso incisioni, libri a stampa, sculture, dipinti e immagini fotografiche che documentano il rapporto tra arte e scienza nella raffigurazio-ne e nella diffusione delle cono-scenze anatomiche. Anatomia e arte, un binomio inevitabile nella storia della cultura per gli artisti e gli anatomisti, a dimostrazione dell’inscindibile relazione tra la cultura umanistica e quella scientifica. Una lettura della “fabbrica del corpo” dall’epoca preistorica a quella contemporanea, con la rivisitazione delle più presti-giose collezioni anatomiche ospitate nei musei di anatomia umana e la rappresentazione dell’immagine del corpo uma-no attraverso la fotografia e le attuali tecniche di bio-imaging.

Autore: Spinnato SalvatorePrezzo: 15,00€2013, Editore New Magazine (collana Anemos neuroscienze)

sULLa NUCa

Un personale viaggio sulla nuca femmini-le attraverso libri a

stampa, dipinti, sculture e immagini fotografiche. Un percorso che contempla la nuca dall’origine del termine, una regione del corpo uma-no che ha attirato l’attenzio-ne di anatomisti e artisti, una parte di pelle nuda di una bellezza esclusiva, la cui immagine nell’arte e nella cultura tradizionale giappo-nese assume un particolare significato. La visione della nuca nelle arti figurative riprende quella del nudo femminile visto di schiena. La nuca, una parte del no-stro corpo esposta allo sguardo altrui, per un piacere esclusivo di chi osserva da tergo.

Autore: Spinnato SalvatorePrezzo: 15,00€2016, Editore New Magazine (collana Anemos neuroscienze)

soggEtto, IdENtItà E NEURosCIENzE

L'uomo da centinaia di migliaia di anni è passa-to attraverso alcuni processi che lo hanno for-mato così come lo conosciamo. Il primate che

nasce un anno troppo presto, l'uomo, ha all'inizio della sua vita una lunga maturazione sviluppando relazioni intersensoriali e sinestetiche indisponibili agli altri animali. Tali intrecci sono poi alla base della capacità metaforica e linguistica su cui si fonda il "logos". Nel seminario verranno esplorati alcuni dei principali aspetti che per i neuroscienziati sono alla base della costruzione dell'identità umana.

Quando? 3 incontri, lunedì 18 Aprile, lunedì 25 aprile e lunedì 2 maggio 2016, alle ore 20.30Dove? Al Centro Anemos, via M. Ruini, 6 Reggio Emilia. Tel. 0522922052. Entrata libera Gli incontri saranno tenuti dal filosofo Franco Insalaco

Tra voce, occhio, mano e orecchio il gioco del pensiero e della comunicazione umana

LIBRI

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INCONTRI

Apr-Giu 2016 | anno VI - numero 21

Che cosa hanno in comune scienziati e poeti

NovERaR LE stELLE

Scienziati e poeti fanno lo stesso mestiere, secondo l'au-tore di questo libro; entrambi

tracciano visioni del mondo, gli uni attraverso teorie e formule, gli altri attraverso immagini e metafore. Le "due culture" si nutrono l’una dell’al-tra; e a portare alla luce una me-desima comunanza di sentire sono gli stessi protagonisti di queste discipline, spesso sollecitati direttamente dall’autore del volume: linguisti, letterati, fisici, genetisti e premi Nobel ci raccontano la loro esperienza e ci fanno capire quanto contigue siano le loro strade, e quanto spesso si incrocino, nel comune viaggio verso la conoscenza.

Autore: Marco PivatoPrezzo: 17,00€ 2015, Editore Donzelli

LIBRI

Page 63: NEUROLOGIA - anemoscns.it · CENTRO DI NEUROSCIENZE ANEMOS Direttore sanitario: Dott. Marco Ruini AreA dI pSIChIAtrIA e pSICOLOGIA CLINICA Dott. Giuseppe Cupello, Dott. Raffaele Bertolini,

Data 11 marzo 2016

seDe DeL coNvegNo Centro Internazionale Loris Malaguzzi, Viale Ramazzini 72/A, Reggio Emilia.

reLatoriMarco aguggia, medico neurologo e fisiatra, dirige l'unità operativa Neurologica e Stroke Unit di Asti. Professore presso la Scuola di Spe-cializzazione di Neurologia Università di Torino Membro Consiglio Direttivo e del Gruppo di Studio di neuroestetica della SNO (Società Neuroscienze Ospedaliere).alberto Bertoni, Professore Associatodi Letteratura italiana contem-poranea e di Prosa e generi narrativi del ‘900, presso il Dipartimento di Filologia classica e Italianistica dell'Università di Bologna.stefano calabrese, Professore Ordinario di Semiotica del testo pres-so l’Università di Modena e Reggio Emilia, insegna inoltre Semiotica presso lo ULM di Milano e Letteratura per l’Infanzia presso la Libera Università di Bolzano. Tra le sue recenti pubblicazioni, Anatomia del best seller (Laterza, Roma-Bari 2015) e Retorica e Neuroscienze cognitive (Carocci, Roma 2014).enrico grassi, Specialista in Neurologia. Neurologo presso U.O di Neurologia del Nuovo Ospedale di Prato. Coordinatore nazionale del Gruppo di Ricerca in Neurostetica della SNO. Marco ruini, Specialista in Neurologia e Neurochirurgia; Direttore del Centro di Neuroscienze Anemos; Direttore scientifico della Rivi-sta "Neuroscienze Anemos".salvatore spinnato, Specialista in Neurochirurgia. Neurochirurgo presso A.O. Niguarda Cà Granda, Milano; autore di saggi di Neu-roscienze. "La rappresentazione anatomica dell'immagine del corpo umano" 2013; "Sulla nuca: da Mondino alla geisha" 2016.Marco Pivato, laureato in Chimica e tecnologia farmaceutica, specia-lizzato in Comunicazione della Scienza. Membro dell'Associazione Stampa Medica Italiana (Asmi), dell'unione Giornalisti Scientifici Italiani (Ugis). Collabora con "La Stampa" ed è redattore presso "il Resto del Carlino" di Ferrara. Ha pubblicato: "A poca voce" (2008), "Il miracolo scippato" (2011), "Noverar le stelle" (2015).

MoDeratoriamati adriano: Scrittore e giornalista. Oltre a libri di turismo ed arte ha pubblicato romanzi e raccolte poetiche, tra le quli ricordiamo: "Bertrand il matematico" (1994), "Una voglia di Sur" (2008), "L'iride azzurra" (2010), "Ballate" (2013), "Nebbia a teatro" (2014). Zanotti Bruno: Specialista in Neurologia e Neurochirurgia; Segre-tario Nazionale della Società di Neuroscienze Ospedaliere (SNO). Direttore scientifico della rivista "Topic in Medicine" ed Editorial Assistant del periodico "Progress in Neuroscience".

iL PrograMMa

i sessionearte, musica, fotografia e neuroscienze cognitiveOre 9.00 Saluti e apertura dei lavori Ore 9.20 - 11.30 Moderatore: Bruno Zanotti

Interventi di: Marco ruiNi, Neuroscienze e giudizio estetico: l’invenzione della bellezza eNrico grassi, Il bello musicale: dalla percezione al pia-cere (Coffee break)saLvatore sPiNNato, Sulla bellezza anatomica del corpo: dalla preistoria al mondo fluttuanteMarco aguggia, La bellezza fotografica, tra realtà, errore e inganno 11.40-12.30 discussione

ii sessione Letteratura, poesia e neuroscienze cognitiveOre 14.30 - 16.00 Moderatore: Adriano Amati

Interventi di: steFaNo caLaBrese, Per una definizione scientifica di bellezza aLBerto BertoNi, Poesia e Alzheimer Marco Pivato, Noverar le stelle. Che cosa hanno in comune scienziati e poeti16.00-16.30 discussione

Ore 16.30-18.00 Interventi di dottorandi e dottorande della Scuola di Dottorato in Scienze Umanistiche dell’Università di Modena e Reggio Emilia: sereNa ZaNiBoNi Riconoscere gli elementi iconiciMaria FraNcesca LuZiateLLi, Narrazione e auti-smo

segreteria orgaNiZZativa: Libera università di Neuroscienze Anemos, associazione culturale, via Meuccio Ruini, 6, Reggio Emilia.

contatti: Tel. 0522 922052 www.anemoscns.it - [email protected]

Neuroestetica. L'invenzione della bellezza

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L’associazione culturale e di volontariato anemos, fondata nel marzo 2009, nasce per coordinare e ampliare le attività di volontariato sociale di un gruppo di amici

di novellara (re), nonchè le attività culturali del centro di neuroscienze anemos, l’attività editoriale scientifica in collaborazione con la casa editrice new magazine edizioni e con la casa editrice La clessidra. Tra i vari campi d’attività accennati:

Libera università di neuroscienze anemos: organizza convegni, seminari e corsi multidisciplinari sul tema delle neuroscienze in collaborazione con La clessidra editrice (vedi testo sotto). pubblicazione della rivista «neuroscienze anemos»

♦ “Libri anemos”. attività editoriale con la casa editrice new magazine con una collana di neuroscienze e una collana di narrativa e poesia

♦ Biblioteca di neuroscienze anemos

♦ promozione e valorizzazione di giovani artisti

♦ programmi di volontariato sociale nei paesi in via di sviluppo e in italia

www.associazioneanemos.org

nell’autunno del 2010 è nato il progetto «neuroscienze anemos», trimestrale interdisciplinare per l'integrazione tra le neuroscienze e le altre discipline. il

periodico di divulgazione scientifica, distribuito gratuitamente nelle biblioteche pubbliche della provincia di reggio emilia e mantova e in altri circuiti distributivi, si sviluppa dalla collaborazione con La clessidra editrice, giovane casa editrice reg-giana (con sede a reggiolo, re) nata in un contesto di associazionismo culturale nel 2004 e costituitasi come casa editrice nel 2006. editrice La clessidra è specializzata in editoria periodica locale e settoriale, ma tra le sue attività si annovera anche l'editoria libraria; è inoltre attiva nel settore della comunicazione e del web marketing.La giovane casa editrice raduna intorno a sé un gruppo di intellettuali che agiscono oltre la sfera dell'editoria e della comunicazione. sotto questo aspetto, le attività promosse dall'editore contribuiscono ad alimentare il dibattito sulla contemporanei-tà, non solo presentando e divulgando la propria attività e quella di altri operatori culturali, ma anche promuovendo e organizzando convegni e seminari (riguardanti l'ambito scientifico e le scienze umane), corsi di formazione, serate culturali a tema.

www.clessidraeditrice.ithttps://www.facebook.com/Laclessidraeditrice

La CLEssIdRa EdItRICE

L'assoCIazIoNE aNEmosPresidente: dr. Marco Ruini

Direzione editoriale: davide donadio, tommy Manfredini

Gli Editori

La Clessidra Editrice. Redazione editrice e della rivista: via XXV aprile, 33 - 42046 Reggiolo (RE) tel. 0522 210183